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Full text of "La Divina commedia di Dante Alighieri"

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LA  DIVINA  COxMMEDIA  DI  DANTE 
ALIGHIERI    ¥¥¥¥¥^¥*^ 


LA  DIVINA  COMMEDIA 
DI  DANTE  ALIGHIERI 

CON  IL  COMMENTO  DI  TOMMASO 
CASINI  ^  QUINTA  EDIZIONE  ACCRE- 
SCIUTA E  CORRETTA  ^ 

(NUOVA  TIRATURA) 


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In  Firenze,  G.  C.  Sansoni,  Editore  -  1907 


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I      LIBRARY 


PROPBIBTÀ  LETTBRABU 


Firanz*  —  Tip.  G.  Cunencohi  •  figli,  Fìazz*  Mentana 


ALLE  DILETTE  FIGLIUOLE 

BICE  E  MATELDA 

DEDICO  t^UESTO  COMMENTO  DANTESCO 

MIA  LIETA  FATICA  NEQLI  ANNI  DELLA  LORO  INFANZIA 

PERCHÉ  SIA  SEMPRE  PER  ESSE 

RICORDO  CARO  DEL  PADRE  E  DOCUMENTO  DI  VITA  VIRTUOSA 

XX  ■ETTEMSRE  KDCCCXCtL 


T-  a 


ti 


I 


PREFAZIONE 


Allorquando,  nel  1892,  cinque  anni  dopo  la  prima  ap- 
parizione del  mio  commento  dantesco,  io  ne  procurai  una 
nuova  edizione  riveduta  e  corretta,  che  era  la  terza,  pre* 
misi  al  libro  queste  parole: 

«  81  presenta  per  la  tersa  volta  agli  ttndiosi  di  Dante,  ai  maestri 
e  diaoepoli  delle  scuole  italiane  il  poema  sacro,  aooompagnato  dal 
mio  commento;  il  quale,  uscendo  dal  Manuale  di  letteraktra  UaiUana 
per  entrare  nella  BxbUoteea  scolastica  di  ckusid  italiani^  non  ha  oam* 
biato  di  intenti  né  di  forma.  Esso  è  rimasto,  salvo  alcuni  pochi  ri* 
tocchi,  quello  che  era  daj^xima;  né  già  perché  dagli  studi  di  questi 
ultimi  anni  non  fossero  consigUati  qua  e  là  mutamenti  ed  emenda- 
doni,  massime  nella  illustrazione  storica  e  nella  critica  del  testo, 
ma  perché  mi  parve  opportuno  di  indugiare  ancora  qualche  tempo, 
prima  di  mettermi  a  ri£ure  tutto  il  lavoro  del  commento  :  indugile, 
doè,  sino  a  quando  sieno  tolte  di  mezzo  per  altre  indagini  e  ossero 
vazioni  le  difficoltà  principali  che  restano  da  superare  per  costituire 
criticamente  la  lesione  del  poema,  per  dichiarare  il  senso  di  non  pochi 
luoghi  controversi,  per  accertare  sui  documenti  i  nomi  e  1  £fttti  di 
molti  personaggi  ricordati  dal  poeta.  La  Società  dantesca  italiana, 
fondata  nel  1888,  per  gl'intendimenti  suoi  e  per  i  criteri  ohe  ne  go* 
vernano  l'opera  già  chiaritasi  a  più  segni  feconda  e  degna,  rappre- 
senta l'inizio  di  un  nuovo  periodo  negli  studi  sulla  vita  e  sulle  opere 
dell'Alighieri;  e  quando  ootesta  opera,  che  saviamente  si  ò  ristretta 
a  coordinare  con  l'uniformità  del  metodo  il  lavoro  delle  forse  indi-^ 
vidnali  al  conseguimento  di  un  fine  comune,  ai  sarà  esplicata  con 
quella  maggiore  larghezza  che  non  può  essere  raggiunta  in  brevis* 
Simo  tempo,  sarà  opportuno  che  per  mezzo  dei  commenti  destinati  alle 
scuole  passino  nel  dominio  della  comune  cultura  i  resultati  più  certi 
delle  nuove  indagini  erudite,  dottrinali  e  filologiche  sul  poema  sacro* 
Augurando  agli  studi  danteschi  italiani  fortuna  proporzi<mata  all'ar* 


Vìtt  ì>ItEPA2lONÉ 


dorè  presente,  sarò  ben  lieto  se  l' incremento  di  essi  mi  obbligherà 
presto  a  rifar  per  intero  il  mio  lavoro,  che  non  intende  se  non  a 
esporre  in  modo  sommario  e  fedele  la  esegesi  e  la  critica  moderna 
del  poema  di  Dante.  Intanto  anche  in  questa,  come  nelle  precedenti 
impressioni,  mi  sono  ingegnato  di  £qt  tesoro,  non  por  delle  osserva- 
zioni di  cui  in  privato  mi  furono  cortesi  alcuni  benevoli  miei,  si  an- 
che di  tutto  ciò  che  mi  parve  opportuno  ritrarre  dalle  innumerevoli 
pubblicazioni  dantesche  di  questi  ultimi  anni;  ma  né  per  l'una  via 
né  per  l'altra  ebbi  motivo  di  modificare  sostanzialmente  il  commento 
primitivo. 

<  Venuto  ultimo  ad  Aggiungermi  alla  numerosa  schiera  dei  com- 
mentatori della  Commedia,  io  non  ho  avuto  ambizione  o  presunzione 
di  fare  operai  come  oggi  dicesi,  originale  :  né  solo  perché  lo  spigar 
lìante,  come  qualunque  altro  autorò,  in  modo  nuovo  sarebbe,  alPin- 
fuori,d^i  luoghi  controversi,  impresa  disperata;  ma  perché  il  mio 
intendimento,  modestissimo,  è  stato, quello  di  sostituire  nelle  scuole 
nostre  i  commenti  un  po' invecchiati  del  Costa,  del  Fraticelli,  del 
Bianchi  e  dell' Andreoli  con  una  esposizione  che  tenesse  conto,  più 
che  quelli  non  fecero  (né  potevano  perché  mancava  per  gran  parte 
la  materia),  dell'esegesi  antaca  assommata  nei  commenti  del  Lana, 
dell'Ottimo,  del  Eambaldi,  del  Buti  e  del  Landino,  e  degli  studi  sto- 
rici, filologici  e  filosofici  ohe  all'illustrazione  del  poema  sacro  dettero 
gli  eruditi  italiani  e  stranieri  negli  ultimi  trent'anni.  Posti  questi 
confini  all'  opera  mia,  era  naturale,  e  direi  doveroso,  oh'  io  vi  deri- 
vassi dàlie  fonti  antiche  e  moderne  tutto  ciò  che  paresse  essenziale 
alla  pièna  e  sicura  intelligenza  di  Dante;  senza  preoccuparmi  di  ri- 
oercare  e  di  avvertire  chi  avesse^  ad  esempio,  notato  per  primo  in 
un  passo  dantesco  la  imitazione  di  una  similitudine  virgiliana  o  la 
rispondenza  con  una  frase  biblica  o  la  conformità  con  una  dottrina 
tomistica;  senza  fermarmi  a  indagare  chi  al  ricordo  di  tm  personaggio 
o  di  un  £Bitto  avesse  per  la  prima  volta  richiamato  le  testimonianze 
dei  poeti,  dei  cronisti,  degli  storici,  onde  traeva  luce  l'accenno  del- 
l'AlighierL  Sarebbe  stata  pedanteria  vana  e  soverchia  fatica,  da  poi 
che  si  riconosce  universalmente  ad  ogni  commentatore  il  diritto  di 
valersi  dell'opera  dei  suoi  predecessori  ;  i  quali  è  da  Credere  abbiano 
lavorato,  non  già  per  l'ambizione  di  apparire  dottissimi,  ma  per  con- 
tribuire ieilla  spiegazione  dell'  opera  commentata  ;  e  di  aver  evitato  co- 
tale pedantesca  erudizione  mi  saranno  grati  i  lettori,  senza  che  se  ne 
offendano  i  critici  più  rigidL  Con  questo  non  voglio  dire  di  aver  messo 
insieme  il  mio  commento  con  le  forbici  :  tutt'altroi  Anzi  tutto  la  di- 
chiarazione dei  sensi  letterali,  negli  innumerevoli  passi  di  sicura  in- 
terpretazione, ho  data  per  lo  più  in  forma  nuova,  che  mi  sozko  stu- 
diato di  rendere  breve  e  perspicua  quanto  più  ho  potuto,  perché  le 


PREFAZIONE  ix 


troppe  chiacolnere  annebbiano,  non  che  illustrinoi  PintellìgcoiKa  del 
testo;  e  qxiando  mi  ò  parso  più  opportuno  riferire  le  spiegazioni  di 
altri  con  le  lor  proprie  parole  (il  che  ho  fatto  di  preferenza  coi  com- 
mentatori antichi,  perché  il  colorito  del  loro  linguaggio  meglio  con- 
suona in  molti  casi  con  la  sentenza  dantesca),  sono  stinto  scrupolo- 
sissimo, accennando  sempre  la  provenienza  e  con  le  virgolette  indi- 
cando i  limiti  della  citazione.  Poi,  allorché  le  interpretazioni  comuni 
non  mi  pareTano  sodisfacenti,  non .  sono  passato  oltre,  saltando  le 
difficoltà  o  girandole;  ma  ho  cercato  di  superarle  con  interpretazioni 
nuove,  alle  quali  la  critica  serena  e  spassionata  darà  il  valore  che 
hanno,  molto  o  poco  che  sia,  e  delle  quali  non  ho  latto  pompa  met- 
tendone in  rilievo  la  novità,  appunto  perché  è  un  dovere  di  coscen- 
zioso  commentatore  non  arrestarsi  innanzi  ai  nodi,  ma  ingegnarsi  a 
dìsgropparli  si  che  il  senso  apparisca  piano  ed  agevole  ai  lettori  che 
lo  eleggano  i>er  guida.  Nei  casi  poi  in  cui  é  ancor  troppo  dubbia  la 
spiegazione,  mi  sono  adoperato  a  ritessere  brevemente,  ma  esatta- 
mente, la  storia  delle  varie  interpretazioni,  presentando,  senza  giu- 
dicarle, quelle  che  più  hanno  di  probabilità  o  più  importa  conoscere 
per  farci  la  strada  a  intendere  in  modo  ragionevole  il  passo  dantesco. 
Largheggiando  nelle  citazioni  al  fine  di  illustrare  nel  rispetto  sto- 
rico, dottrinale  e  letterario  la  parola  di  Dante,  che  è  imagine  del  me- 
dioevo tmiversale,  ho  cercato  di  assommare  nel  mio  commento  il 
meglio  delle  erudizioni  sparse  nei  commenti  precedenti  ;  ma  sono 
infinite  le  giunte  che  ho  ricavate  da  fonti  svariatissime,  come  potrà 
aver  notato  chi  abbia  avuto  voglia  e  tempo  di  paragonare  il  mio  la- 
Toro  con  quelli  di  altri  moderni  commentatori  della  Commedia, 
Di  guisa  ohe  posso  affermare  di  non  essermi  sempre  ristretto  all'espo- 
sizione di  cose  già  dette,  ma  di  essermi  volto,  dove  era  consentito 
dall'indole  del  passo,  a  indagini  ulteriori  e  spesso  non  infeconde. 

<  Lungamente  dubbioso  fui,  sino  da  quando  mi  misi  a  questo  la* 
Toro,  sulla  scelta  del  testo;  pur  dopo  matura  rifessione  mi  parve 
ehe  nello  stato  presente  degli  studi  danteschi  fosse  da  accegliere,  a 
preferenza  di  ogni  altro,  quello  di  Carlo  Witte  ;  la  cui  edizione  ber- 
linese del  1862  fu  il  prime  tentativo  veramente  metodico  e  razionale 
per  costituire  un  testo  critico  del  poema.  Ho  adimque  seguito  co- 
stantemente la  lezione  di  questa  stampa  ;  salvo  che  in  alcuni  pochi 
luoghi,  indicati  quasi  tutti  nelle  mie  note,  me  ne  sono  scostato  per 
ritornare  a  quella  della  vulgata  moderna,  rappresentata  dalla  edi- 
Àone  che  procurarono  gli  Accademici  della  Crusca  nel  1837,  o  per 
aecogliere  i  risultati  più  certi  degli  studi  recentissimi  che  sul  testo 
della  Commedia  ha  fatti  con  lode  universale  Eduardo  Moore.  Cosi 
credo  di  avere,  anche  per  ciò  che  riguarda  la  lezione  del  poema,  ser- 
bato fede  al  concetto  fondamentale  del  mio  lavoro,  che  fu  dì  rappre- 


PREFAZIONE 


sentare  9A  lettori  lo  stato  attuale  degli  studi  danteschi;  se  non  che, 
per  il  fine  particolare  di  questo  libro  ohe  si  rivolge  specialmente  ai 
maestri  e  discepoli  delle  scuole  secondarie,  ho  dovuto  allontanarmi 
dal  Witte  nella  punteggiatura,  riordinandola  secondo  la  pratica  più 
comunemente  osservata  in  Italia  e  cercando  che  per  essa  fosse  co- 
stantemente agevolata  l'intelligenza  del  poema. 

«  Dando  queste  cure  alla  OomfMéia  di  Dante  Alighieri,  che  nelle 
scuole  della  nuova  Italia  ò  posta  come  fondamento  ali*  istituaione 
letteraria  e  all'educasione  morale  e  civile,  non  ho  avuto  di  mira  se 
non  il  b«ae  della  nostra  gioventù;  e  alla  gioventù  raccomando  l'opera 
mia,  che,  nata  nella  scuola,  mi  ò  cara  come  il  miglior  ricordo  degli 
anni  spesi  nell'  insegnamento  ». 

Nel  1895,  quando  l' inoremento  degli  studi  sul  poema 
dell'Alighieri  promosso  specialmente  dalla  Società  dantesca 
italiana  aveva  già  incominciato  a  mostrarsi  fecondo  di  ma- 
gnifici £rutti,  ebbi  a  curare  una  nuova  ristampa  del  mio 
commento;  alla  quale  mandai  innanzi  questo  breve  avver- 
timento : 

Nulla  ho  da  aggiungere,  innanzi  a  questa  quarta  edizione,  a  ciò 
che  dissi  nella  prefìkzione  òhe  precede,  la  quale  fa  scritta  quasi  tre 
anni  or  sono  per  la  terza;  se  non  che  non  mi  ò  parso  ancora  giunto 
il  momento  di  €  rifare  per  intero  il  mio  lavoro  »,  il  quale  risponde 
tuttavia  al  suo  fine  principale  di  «  esporre  in  modo  sommario  e  fe- 
dele la  esegesi  e  la  critica  moderna  del  poema  di  Dante  ».  Ciò  non 
vuol  dire  che  questa  nuova  impressione  sia  una  materiale  ripetizione 
della  precedente  ;  che  anzi  mi  sono  studiato  di  derivare  per  essa  nel 
commento  non  pochi  risultati  certi  delle  più  recenti  indagini,  special- 
mente storiche,  intorno  al  poema  di  Dante  e  di  emendare  inesattezze 
eh'  io  vidi  da  me  o  mi  furono  additate  in  privato  0  per  istampa  da 
benevoli  amici:  tra  i  quali  ringrazio  in  particolar  modo,  anche  per 
aver  f&tto  tesoro  dei  loro  consigli,  i  professori  F.  Torraca,  G.  A.  Yen- 
turi,  U.  Cosmo,  P.  De  Nolhac,  autori  di  pregevoli  recensioni  del  mio 
lavoro.  Quanto  al  testo,  una  nuova  e  più  accurata  revisione  mi  ha 
permesso  di  ripulirlo  d'alcune  mende  tipografiche,  di  ritoccarne  qua 
e  là  l'interpunzione,  e  in  alcun  luogo  anche  di  restituirlo  alla  mi- 
glior lezione,  quando  mi  apparve  tale  specialmente  per  gli  studi  di 
E.  Moore,  che  recentemente  ha  dato  fuori  una  bella  edizione  di  tutte 
le  opere  dantesche.  Da  ultimo  non  voglio  chiudere  questo  avverti- 
mento senza  ringraziare  anche  i  maestri  italiani,  che  al  mio  com- 
mento fecero  e  fanno  si  buona  accoglienza  da  compensarmi  di  ogni 
fastidio  venutomi,  a  cagion  di  esso,  dalla  tristizia  degli  invidiosL 


PBEFAZIONE  XX 


La  buona  aeoogliensai  della  quale  allora  io  mi  Cinupia- 
oeva,  seguitò  per  tutti  gU  anxii  clie  vennero  di  poi,  tanto 
che  della  quarta  edizione  del  commento  si  vennero  facendo, 
dopo  il  1896,  parecdiie  altre  impressioni,  clie  fiirono  ma- 
teriali ripetizioni  di  quella,  salvo  qua  e  là  alcuna  minima 
emendazione  che  fu  possibile  introdurre  nelle  tavole  ste« 
reotìpe.  Ma  la  continuità  del  £Eivore  dato  all'opera  mia  mi 
fece  sentir  smnpre  più  il  dovere  che  mi  incombeva  di  ve- 
nirla rinnovando  in  modo  che,  non  pure  gli  studiosi,  si  an- 
che i  maestri  e  i  discepoli  delle  scuole  italiane  potessero 
trovar  rispecchiato  in  essa  il  miglior  frutto  delle  indagini 
che  frattanto  sì  facevano  intomo  al  testo  della  Commedia, 
alla  interpretazione  generale  e  particolare  di  esso,  alla  cro- 
nologia, alle  fonti  e  alla  lingua  del  poema  e  alla  sua  illu- 
strazione storica  e  dottrinale.  Questo  lavoro,  per  me  dilet- 
tevole almeno  quanto  era  doveroso,  ho  compiuto  non  senza 
difficoltà,  p^  l'abbondanza  grandissima  degH  scritti  con- 
sacrati nell'ultimo  decennio  all'opera  maggiore  dell'Ali- 
ghieri: abbondanza  la  quale,  debbo  dirlo  francamente,  se 
mi  ha  costretto  a  larghe  e  faticose  letture  e  meditazioni, 
non  mi  ha  poi  costretto  a  introdurre  sostanziali  mutamenti 
nel  mio  commento,  che  nelle  sue  lìnee  generali  ho  potuto 
e  dovuto  mantenere  quale  era  nella  primitiva  redazione. 

Oià  ho  accennato  i  punti  intorno  ai  quali  più  larga- 
mente si  è  svolta  in  questi  ultimi  anni  l'operosità  indaga- 
trice degli  studiosi  di  Dante;  e  or  mi  resta  da  dire  sola- 
mente quali  sono  stati  i  sussidi  più  efficaci,  di  cui  con  più 
d'utilità  mi  sono  valso  per  il  rifacimento  dell'opera  mia, 
e  insieme  entro  quali  limiti  io  l'abbia  contenuto.  Le  prime 
cure  furono  date  al  testo  ;  intomo  al  quale  argomento  è  da 
avvertire  che  già  per  le  precedenti  ristampe  avevo  messo 
a  profitto  la  larga  indagine  fatta  nei  codici  del  poema  da 
E.  Moore.  ^  Ma  l'esame  metodico  di  tutti  i  manoscritti,  ini- 


1  Oonirihutiona  io  the  Uxtual  criHeiam  of  the  Divina  Commódiaf  Cam- 
bridge, Unirenity  Presa,  1889.  Chi  non  aresse  agio  di  conanltare  qnest^  opera 


xn  PREFAZIONE 


ziato  sotto  gli  anspici  della  Society  dantesca  italiana  e  affi- 
dato a  mani  operose  e  valenti,  dovrà  dare  assai  più  sicuri 
elementi  per  la  ricostituzione  critica  del  testo;  come  già  si 
vede  da  ciò  ehe  finorie^  è  apparso  dalla  nuova  edizione  del 
poema  procurata,  quanto  alla  lezione,  da  Giuseppe  Yan- 
deUi.^  Io  mi  sono  tenuto  fedele  al  mio  concetto  primitivo, 
che  fa  di  accordare  il  testo  dei  Witte  con  i  risultati  degli 
studi  posteriori  ;  e  però  in  questa  edizione  la  lezione  si  è 
venuta  qua  e  la  modificando  per  accogliere  quanto  mi  pa- 
reva che  dalle  indagini  del  Moore  e  del  Yandelli  fosse  sca- 
turito di  più  certo  e  di  più  dantesco,  e,  come  tale,  più  me- 
ritevole di  passare  dal  campo  ristretto  degli  eruditi  a  quello 
più  largo  della  gente  cólta. 

Quanto  all'interpretazione  del  poema,  poche  volte  ho 
sentito  la  necessità  di  modificare  sostanzialmente  il  mio  com- 
mento primitivo:  pur  ritoccando  qua  e  là  le  mie  chiose  per- 
ché riuscissero  più  precise  e  più  perspicue,  il  fondo  di  esse 
è  rimasto  tale  quale  era;  e  i  maggiori  debiti  ho,  per  ciò  che 
mi  parve  da  innovare,  verso  Francesco  d'Ovidio  e  Francesco 
Torraca,  due  dei  più  geniali  e  profondi  interpreti  del  pen- 
siero e  dell'  arte  dantesca,  nei  quali  la  erudizione  tutta  mo- 
derna di  filologia  e  di  storia  si  congiunge  al  sentimento  fine 
e  misurato  dell'arte  ereditato  dal  loro  grande  maestro,  Fran- 
cesco De  Sanctis.  Per  la  cronologia  del  poema,  o  meglio,  del- 
l' azione  in  esso  descritta,  ha  fatto  studi  di  molta  impor^ 
tanza  un  dotto  astronomo,  Filippo  Angelitti  ;  dei  quali  mi 
sono  valso  qua  e  là,  pur  dissentendo  da  lui  circa  la  tesi 


monumentale,  può  vederne  nna  particolarefirgiata  notizia  di  H.  Barbi  nel 
BulUttino  della  Società  dantesca  italiana  (1*  serie),  n^  2-8,  pp.  66-99.  Come 
derivazione  delle  Contributiona  del  Moou  poasono  essere  considerate  le  dae 
recenti  edizioni  inglesi  del  poema,  Tnna  procurata  dal  Hoore  medesimo 
(Oxford,  University  Press,  1900,  di  pp.  658)  e  l'altra  da  P.  Torirtii  (Londra, 
Methnen,  1900,  di  pp.  564),  nelle  qaali  il  testo  del  Wit^  è  ipodltfeato  |n 
più  centinaia  di  passi. 

1  La  Div.  Comm,  di  D.  Alighieri  notamente  illu8traAa  da  artiiti  ita- 
liani a  cura  di  Y.  Aiihìri,  voi.  I,  Inferno  ;  Firenze,  fratelli  Alinari,  1902, 
di  pp.  xTiii-UO  con  187  illnstrazioni. 


PREFAZIONE  xnx 


fondamentale  che  riporterebbe  il  principio  di  ^nell'azione 
al  25  marzo  1301  ;  ^  mentre,  dopo  uno  studio  riposato  della 
questione,  ho  adottato  u  sistema  del  Moore,  per  cui  il  viag- 
gio dantesco  si  inizia  la  sera  dell'  8  aprile  1300.  Le  fonti 
del  poema  sono  state  oggetto  di  molte  e  svariate  indagini, 
non  sempre  coronate  da  felice  fine  ;  ma  quanto  di  meglio  in 
questa  materia  è  stato  ricercato  io  lo  debbo,  con  tutti  gli 
studiosi  di  Dante,  a  due  dottissimi  inglesi,  il  Moore  e  il 
Toynbee,  delle  opere  de^  quali  ho  fatto  quell'  uso  discreto 
che  i  limiti  segnati  al  mio  commento  mi  imponevano.  Cosi 
per  la  illustrazione  filologica  del  poema,  oltre  che  i  vec- 
chi ma  sempre  utili  studi  del  Nannucci,  del  Blanc  e  dello 
Zingarelliy  mi  è  riuscito  prezioso  aiuto  l'insigne  lavoro  di 
E.  G.  Parodi  sopra  la  rima  e  i  vocaboli  in  rima  della  Gom- 
media  ;  lavoro  ove  la  più  rigida  dottrina  glottologica  si  ac« 
coppia  con  un  senso  estetico  finissimo,  di  cui  il  Parodi  ha 
dato,  sempre  a  proposito  del  poema  dantesco,  altri  saggi 
notabilissimi.  Finalmente  per  l'illustrazione  storica  e  dot* 
trinale  dell'opera  di  Dante  ho  tenuto  conto  di  molti  e  sva* 
nati  contributi,  che  ai  lor  luoghi  il  lettore  troverà  con  più 
precisione  citati  ;  ma  qui  non  potrei  non  ricordare  il  libro 
geniale  ed  erudito  di  Alfredo  Bassermann  ;  il  quale  messosi 
<  sulle  orme  di  Dante  >  ha  percorsa  la  nostra  penisola  rac- 
cogliendo con  4evozione  e  indagando  con  fortunata  e  sagace 
erudizione  i  ricordi  e  gli  echi  della  parola  dantesca  si  da 
restituirle  molte  volte  quella  vera  significazione  che  nel 
corso  dei  secoli  si  era  venuta  alterando  o  perdendo. 

In  tal  modo  e  con  tali  aiuti  credo  di  avere  onestamente 
compiuto  il  mio  dovere  d'interprete ,  e  però  oflfro  agli  ita- 
liani il  mio  commento  dantesco  come  una  guida  non  man- 
chevole e  non  fallace  per  l'intelligenza  del  sacro  poema; 
e  perché  il  libro,  oltre  che  al  bisogno  e  al  desiderio  dei 

1  F.  AmiuTTi,  8Ma  data  del  viaggio  dantesco,  desunta  dai  dati  ero- 
noìogid  e  eonftnnata  dalle  osservazioni  astronomiche  riportate  nella  Com- 
media,  Napoli,  tip.  dell'Univenità,  1897;  u>.  Sull'anno  della  visione  dan- 
Useth  nuovs  coniidcrasioni,  ivi,  1898. 


XIV  PREFAZIONE 


più,  possa  anche  servire  a  iniziare  gli  studiosi  nelle  inda- 
gini erudite  intomo  a  Dante  e  all'opera  sua,  ho  voluto  cor- 
redarlo di  alcune  appendici  che  integrando  il  commento 
raccogliessero  sotto  brevità,  lo  stato  attuale  degli  studi 
danteschi.  Ho  aggiunto  pertanto  al  poema  (in  un  volumetto 
separato  di  prossima  pubblicazione),  oltre  il  Bimano  che 
molti  desiderano  come  lo  strumento  più  facile  e  pronto  alla 
ricerca  d'un  passo  qualsiasi,  alcuni  indici  che  registrano 
elementi  di  capitale  importanza  per  chi  si  volga  a  codesti 
studi,  come  quelli  che  ordinatamente  rappresentano  la  lin- 
gua del  poema  (Indice  filologico),  la  storia  del  tempo  (In- 
dice storico)  e  la  fortuna  di  Dante  e  delle  opere  sue  (Indice 
bibliografico). 

Se  con  queste  nuove  cure  l'opera  mia  sarà  riuscita  tale 
da  meritare  ancora  il  favore  onde  fu  sinora  accolta,  mi  sen- 
tirò ad  usura  ricompensato  delle  fatiche  duratevi  intomo  ; 
né  lascerò  che  passino  molti  anni  senza  ripresentarla  con 
quei  miglioramenti  che  i  nuovi  studi  danteschi  fossero  per 
consigliarmi. 

V  novembre  1902. 


Tommaso  Casihi. 


ABBREYUTUBE  USATB  NEL  COMMENTO 


Andr La  D.  C.  col  commento  di  B.  Andrioli,  Firenze,  1870, 

Ah.  fior Comm.  alla  2>.  C.  d'Anonimo  fiorentino  ad  sec.  XI F^ 

pnbbl.  da  P.  Fanfkni,  Bologna,  1866-74,  tre  toIL 

Ani. Delle  dottrine  aetronomiche  della  2>.  C.  per  il  p<  GioT^nnì 

Antonelli,  Firenze,  1866;  e  AnnoUuioni  astronomiche  deUo 
stesso  nel  eommento  del  Tomm. 

Bassermann  .  .  .  Sulle  orme  di  Dante  di  A.  Bassermann,  trad.  di  K  Gorm, 
Bologna,  Zanichelli,  1902. 

BeoT Senevenuti  de  Bambaldis  de  Imola  Comentum  super  D.  A, 

Oomoediam^  pobbl.  da  G.  F.  Lacaita,  Firenzei  lasT,  cin- 
que TOU. 

Biag Commento  di  G.  Biagioli,  Parigi,  1818-19  (si  clU  dalla  Dtt?. 

Comm,  di  D.  Al,  Firenze,  Ciardettì,  1880-8S). 

Bianelii La  Comm.  di  D.  A,  fior,,  notamente  riveduta  nel  trsto  e 

dichiarata  da  R  Bianchi,  7»  ediz.,  Firenze,  1868. 

Blanc Vocabolario  dantesco  di  L.  G.  Blanc.,  trad.  di  0.  Carbone, 

Firenze,  1888;  e  Saggio  di  una  interpretasione  filologica 
di  parecchi  passi  oscuri  e  contropersi  della  D.  C*,  l  parte, 
Inferno,  trad.  da  0.  Oooioni,  Trieste,  1865;  U  parte,  Turg,, 
trad.  da  C.  Vassallo,  nel  Bropugtmtùre,  a.  1877,  toI,  X. 

Boce Il  Com,  sopra  la  Comm.  di  D.  A,  di  Giovanni  BoecacciOt 

Firenze,  1881-82,  tre  ▼oli.  (cioè  voli.  X-XII  delle  Opere 
volg,  di  O.  B,  corrette  su  i  testi  a  penna  da  L  Moatler)  ; 
e  La  Vita  di  Dante  scritta  da  O.  Boccaccio,  pnbbL  da 
F.  Macri  Leone,  Firenze,  1888. 

Borgh Studi  sulla  D.  C,  di  G.  Chililei,  Vincensio  Borghini  ed 

altri,  pvbb.  da  0.  Gigli,  Firenze,  1865  (pp.  H0^36i), 
Bull. Bullettino  della  Società  dantesca  italiana^  l*  serie,  Fi- 
renze, 1894  e  segg.  (è  citata  secondo  il  n.*  dei  fascico]!  j  ; 
t*  serie,  Firenze,  1896  e  segg.  (ò  citata  per  yoìumi.  In  cifre 
romane). 

Boti Comm.  di  Francesco  da  Buti  sopra  la  D.  0.  di  D.  A, , 

pnbbl.  da  C.  Giannini,  Pisa,  1868-62,  tre  voli. 
Case Postille  d*nn  anonimo  trecentista  pnbbl.  col  titolo  :  lì  Co- 
dice cassinese  della  D.  C.  per  la  prima  volta  kiteralmente 
messo  a  stampa,  Monte  Cassino,  1866. 


XVI  ABBREVIATURE  USATE  NEL  COMMENTO 

Ces BtUesee  delia  Comm,  di  D.  A.,  diàloghi  di  Antonio  Ce- 

sari  p,  d.  0.,  Verona,  1819. 

Chiose  an Chiose  anonime  alla  prima  cantica  della  D.  C.  di  un 

contemporaneo  del  poeta,  pubbl.  da  F.  Selmi,  Torino,  1865. 

Costa Commento  di  P.  Costa,  Bologrna,  1819  e  1826. 

Dan LaD.  Oomm.  con  Vetposisione  di  m.  B.  DaniellOj  Vene- 
zia, 1568. 

D' Anc Le  antiche  rime  volgari  secondo  la  lesione  del  cod.  vai. 

3793,  pnbbl.  da  A.  D-  Ancona  e  D.  Comparetti,  Bologna, 
1876-88,  6  voli. 

Dautc Canzoniere,  De  monarchia,  De  vulg,  eloq,,  Epist,  Con- 
vivio, sono  citate  secondo  Pedizione  delle  Opere  minori  di 
D,  A.,  SL  cura  di  P.  Fraticelli,  Firenze,  1856-57,  tre  voli.  — 
La  Vita  Nuova  è  cit.  secondo  l'ediz.  procurata  da  T.  Ca- 
sini, Firenze,  1885. 

Del  Lango.  ,  .  ,  Dino  Compagni  e  la  sua  Cronica  per  L  Del  LungOt  Fi- 
renze, 1879-87^  tre  voli. 

Del  Lungo,  Dante ....  Dante  ite*  tempi  di  Dante,  ritratti  e  studi  di  I.  Del 
Luogo,  Bologna,  1888  (si  cita  come  voi.  1);  e  Dal  secolo  e 
dal  poema  di  Dante,  altri  ritratti  e  studi,  Bologna,  1898 
(si  cita  come  voi.  II). 

Dic^ Etymologische»   Wòrterìrnch  der  romaniscìien  Sprcushen 

von  Friedrich  Dice,  5»  edizione  con  giunte  di  A.  Scheler, 
Bonn,  1887. 

D'Ovidio Studi  sulla  Div.  Comm.,  Palermo,  1901. 

Fanf. Studi  ed  osservazioni  sopra  il  testo  delle  opere  di  Dante 

di  P.  Fanfluii,  Firenze,  1873. 

Ferrazzl .....  Manuale  dantesco  per  Vab,  Q,  I.  Ferrassi,  Bassano,  1866- 
77,  cinque  voli. 

Frat La  D.  C.  di  D,  A,  col  comento  di  P.  Fraticelli,  Firen- 
ze, 1879. 

Giom.  dant.  .  ,  Giornale  dantesco  diretto  da  Q.  L.  Passerini,  Venezia,  1898 
e  segg. 

Giul Metodo  di  comentare  la  D,  C.  di  D.  A.  di  0.  B.  Giuliani, 

Firenze,  1861,  e  vari  saggi  del  Dante  spiegato  con  Dante, 

Iacopo  di  Dante.  Chiose  alla  cantica  delV  Inferng  di  Dante  attribuite  a 
Iacopo  suo  figlio,  Firenze,  1848. 

Lana Comedia  di  D,  degli  A,  col  comm,  di  Iacopo  della  Lana 

bolognese,  pubbl.  da  L.  Scarabelli,  Bologna,  1866-67,  tre  voli. 

I4ind Commento  di  Cristoforo  Landino,  Firenze,  1481. 

Lect Lectura  Dantis  (  Letture  sui  eanti  deìVInf,  e  del  Purg, 

tenute  in  Orsanmichele  in  Firenze  negli  anni  1899-1902,  in- 
dicate nel  Bull,  Vili  89-108,  281-290,  IX  97-107). 

Lonib Commento  di  Baldassarre  Lombardi,  Roma,  1791  (si  cita 

dair  ediz.  de  La  D,  C  di  D,  A,  col  comm,  del  p,  B,  Lom- 
bardi ora  nuovamente  arricchito  di  molte  illustrazioni 
edite  ed  ined,,  Firenze,  Ciardetti,  1880-82,  sei  voli.). 

Moore Studies  in  Dante,  voi.  I,  Scripture  and  classical  authors 


ABBREVIATURE  USATE  NEL  COMMENTO  xvn 

in  Dante;  yoI.  II,  Miscélìaneous  Essays,  Oxffiicl,  1696-99 
(si  cita  a  volume  e  pagine):  e  Gli  accenni  al  iem^o  nella 
Div.  Comm.,  trad.  di  C.  Chiarini,  Firenze,  IDOO  (al  cita 
solo  a  pagine). 

Nannneci,  Vei'bi.  Analisi  critica  dei  verbi  italiani  investigati  nella  loro 
primitiva  origine^  Firenze,  1844. 

Nannaeci,  Nomi,  Teorica  dei  nomi  della  lingua  italiana,  FirenzeT  1858. 

Op,  dant Collezione  di  Opuscoli  danteschi  inediti  o  rari  diretta  dA 

6.  L.  Passerini,  Città  di  Castello,  1898  e  segg.  (sì  cita  ae- 
condo  il  n*>  del  volnmetto). 

Ott L'Ottimo  commento  della  D.  C.  testo  inedito  d^un  con- 
temporaneo di  DantCt  pubbl.  da  A.  Torri,  Pisn,  1827-29, 
tre  voli. 

Pietro  di  Dante.  Petri  Allegherii  super  Dantis  ipsius genitori s  ComoÉdiani 
commentarium,  pnbbl.  da  Y.  Nannneci,  Firenze,  1S4&, 

Poletto Dizionario  dantesco  di  quanto  si  contiene  nelh  opere  di 

D.  A.  compilato  dal  prof,  D,  Giacomo  PoìeltOt  Siena, 
1886-87,  sette  voli. 

Scart. La  D.  C.  di  D,  A.  riveduta  nel  testo  e  commentata  da 

G,  A,  Scartazeini,  Leipzig,  1874-82,  tre  voli. 

Tomm Com.  di  D.  A,  con  ragionamenti  e  note  di  N.  Tommaseo. 

Milano,  Pagnoni,  1865,  tre  voli. 

Torraca Di  un  commento  nuovo  alla  Div,  Comm.,  Bologna,  1899. 

Toselii Voci  e  passi  di  Dante  chiariti  con  documenti  a  lui  con- 
temporanei nei  Racconti  di  storia  patria  di  0,  Mazzoni 
Toselii,  voi.  Ili,  pp.  265-898,  Bologna,  1875. 

Val Poeti  del  primo  secolo  della  lingua  italiana,  a  cura  di 

L.  Valeriani,  Firenze,  1816,  due  voli. 

Tandelli La  Div.  Comm.  novamente  illustrata,  voi.  I,  Inferno^  Ph 

renze,  1902. 

Yell Commento  di  Alessandro  Vellatello,  Venezia,  1544, 

Vent Commento  di  Pompeo  Venturi,  Lucca,  1732. 

Venturi Le  similitudini  dantesche  illustrate  e  confrontate  da  L. 

Venturi,  Firenze,  1874,  (il  n»  rimanda  alla  simrlUndiiie)^ 

Zing Parole  e  forme  della  D.  C.  aliene  dal  dialetto  fiorentino 

per  N.  Zingarelli,  negli  Studi  di  filologia  romanza ,puhh], 
da  E.  Monaci,  Roma,  1884,  fase.  I. 


I 


NCIPIT  COMOEDIA  DANTIS  ALA- 
GHERII,  FLORENTINI  NATIONE, 
NON  MORIBVS     *    *    ^    *    *    * 


r,a  «wipoalzloiifì,  clibsa  o  vom  postillo  ho  scritto 
fiocùndo  oho  &  mo  miniiDO  Li^tondont'O  paru 
the  fMW  lo  intellolto  dello  aatoro. 


INFERNO 


CANTO  I 

È  1*  introduzione  generale  del  poema,  e  ne  contiene  V  allegoria  fonda- 
mentale: Dante  si  trova  smarrito  per  nna  selya  oscura,  e  tentando  di  ascen- 
dere un  colle  luminoso  ne  è  impedito  da  tre  fiere,  la  lonza,  il  leone  e  la 
lopa  ;  a  lui  appare  Virgilio,  che  gli  si  offre  come  guida  per  i  regni  del  pec- 
cato e  della  purificazione,  e  gli  dice  che  da  più  degna  creatura  sarà  tratto 
per  il  regno  della  beatitudine  [venerdì  santo,  8  aprile  1800]. 

Nel  mezzo  del  CAmmiTi  di  nostra  vita 
mi  ritrovai  per  una  selva  oscura, 


1 1.  Htlaena  eoo.  Seoondo  Dante,  Comi- 
Clio,  IT  22,  «  la  notti»  vita  prooede  ad  imagi- 
ne  d' sroo,  montando  e  diaoendendo:  il  punto 
oomno  di  questo  azoo  nelli  perfettamente  n»- 
tmsti  ò  nel  trentaoinqTiesimo  anno  »  :  ò  que- 
sto 3  mezBo  del  oono  delU  Tita.  Esaendo  il 
poeta  uAto  nel  1266  (efr.  Butt.  I,  186-189),  U 
tempo  »  eoi  e^  fifiùiaoe  la  ina  visione  saia 
il  1900;  la  qnal  data,  per  quanto  vigoroea- 
■ente  oontadetta,  è  por  aempie  la  più  oomo- 
nemente  accettata  e  fono  la  più  vera.  Anche 
lìspetto  alla  dorata  del  viaggio  variano  le  opìr 
nioni;  segoito,  salvo  aleone  modificazioni  paz^ 
xiaU,  qneUft  di  E.  Moore  (OK  aeemiU  al  tempo 
mila  D.  (7.;  Firenze,  1900),  ammettendo  ohe 
eteo  viaggio  incomincia  la  sera  del  veneidi  san^ 
to,  8  aprile  1800,  e  si  compie  in  sette  glomL 
È  degna  di  esser  canoedota,  perché  fondata 
sopra  ona  serie  di  osservazioni  astronomiche 
e  storiche  di  molto  valore,  la  condosione  coi, 
intomo  all'anno  della  visione  dantesca,  è  per- 
Tannto  di  recente  F.  Angelittl  {8uUa  dola  del 
vk^fgio  dcuUatco,  Napoli,  1897,  •  altri  scritti 
posteriori,  cfr.  Bulk  Y  81-86,  VI  129-149, 
e  BasMgna  eriL  H  198-207,  DI  214-216): 
«  La  condosione  che  11  viaggio  cominciasse 
fl  26  marzo  1801,  stile  comone,  è  la  sola  che 
risponda  pienamente  a  tatto  le  indicazioni 
srìentiflche  date  nd  poema.  Qoesta  data  ò 
l'aanivejsario,  in  anni  gioliani,  della  morto 
di  Qcisto  [cfr.  Inf,  xzi  112],  secondo  V  opi- 
nioDe  pi6  diifosa  nd  medioevo  e  riconosdnta 
daUa  Chiesa;  si  accorda  rigorosamente  od  ple- 
mfauiio  astronomico  [cfr.  Jnf,  zx  127]  e  con 
le  posizioni  dd  Sole  [cfr.  Inf.  1 88,  Fìtrg,  iv 
{Ì&8&,  iV.  I  48,  X  7,  13,  28,  xxvn  86];  e 
corrisponde  alle  indicazioid  di  Venere  mattu- 
tina [A«7.  I  19,  zzvn  94,  109],  di  Saturno 


nel  petto  dd  Leone  [Ar.  xzz  14],  di  Marte 
nel  segno  dd  Leone  [Hkt,  zvi  87].  Essa  so- 
disfa andie  ad  altxe  esigenze,  di  carattere 
estrinseco,  pid  o  meno  vaghes^te  dal  dan- 
tistL  n  26  marzo  1801  fb  sabato  di  pasdone, 
e  la  Pasqua  qoeU'anno  cadde  il  2  aprile  :  il 
viaggio  dunque  viene  spontaneamente  ad  es- 
ser collocato  ndlasettiinana  santa.  Sesta  pure 
adempiuta  la  condizione  allegorica  dd  poema, 
secondo  la  qnde  il  viaggio,  accennando  alla 
rinnovazione  dd  secdo  e  ella  rigenerazione 
morale  di  Dante,  vuole  esser  posto  al  prind- 
pio  dd  nuovo  centinaio  ».  Se  non  che  all'o- 
pinione dell' Angelitti  d  oppone  la  considera- 
zione, svolta  assai  hene  dal  Moore,  che  il 
poeta  necessariamente  idrò  a  conseguire  l'ef- 
fetto artìstico  inerente  alla  piena  e  facile  in- 
telligenza delle  sue  descrizioni  e  degli  accenni 
astronomid  e  orondogid  spani  per  il  poema, 
più  tosto  che  d  rigore  dell'osservazione  scien- 
tifica che  avrebbe  costretto  i  lettori  a  com- 
puti difficili,  per  non  dire  inaooesdbUi  ai  più  : 
per  questa  ragioiLe  Dante  d  attenne  alle  in- 
dicazioni dd  cdendario  ecdesiastlco,  anche 
quando  non  corrispondevano  alla  realtà  delle 
posizioni  astronomiche,  e  computò  il  tempo, 
rispetto  ai  fenomeni  descritti  o  accennati, 
in  modo  approssimativo,  d  da  fard  intendere 
da  coloro  che,  pur  avendo  conoscenza  dei  fe- 
nomeni astronomid  fondamentali,  non  sareb- 
bero stati  in  grado  di  cogliere  il  senso  dd  piò 
rigoroso  linguaggio  scientifico  dedotto  da  cal- 
coli minuzinri  di  gradi  e  di  minutL  Dante  in- 
somma parlò  pid  da  poeta  che  da  astronomo,  e 
segui  anche  riguardo  ai  fenomeni  celesti  l'opi- 
nione e  r  osservazione  popolare.  —  2.  selrat 
raffigura  la  vita  viziosa,  propria  dell'uomo  pec- 
catore; nd  Cono,  iv  24  la  vita  umana  ò  detta 


DIVINA  COMMEDIA. 


3        che  la  diritta  vìa  era  smarrita. 

Eh  quanto  a  dir  qual  era  è  cosa  dura 
questa  selva  selvaggia  ed  aspra  e  forte, 
6       che  nel  pensier  rinnova  la  paura  ! 
Tanto  è  amara  che  poco  è  più  morte: 
ma  per  trattar  del  ben  eh'  i'  vi  trovai, 
9       dirò  dell'altre  cose,  ch'io  v'ho  scorte. 
I'  non  so  ben  ridir  com'  io  v'  entrai  ; 
tant'era  pien  di  sonno  in  su  quel  punto, 
12        che  la  verace  via  abbandonai 

Ma  poi  che  fui  al  piò  d'un  colle  giunto, 
là  dove  terminava  quella  valle, 
15       che  m'avea  di  paura  il  cor  compunto, 
guardai  in  alto,  e  vidi  le  sue  spalle 
vestite  già  de'  raggi  del  pianeta, 
18        ohe  mena  dritto  altrui  per  ogni  calle. 
Allor  fu  la  paura  un  poco  queta, 
che  nel  lago  del  cor  m' era  durata 
21        la  notte,  di'  i'  passai  con  tanta  piòta. 
E  come  quei  che  con  lena  affannata, 
uscito  faor  del  pelago  alla  riva, 
24       si  volge  all'  acqua  perigliosa  e  guata  ; 
cosi  l'animo  mio,  che  ancor  fuggiva, 
si  volse  indietro  a  rimirar  lo  passo. 


«  gelra  erronea  ».  —  8.  diritto  ri»  t  quella 
della  Tirt6  e  della  fede.  —  6.  nel  peaiier  ! 
non  pnre  a  vedexla,  ma  solo  a  penaanri.  — 
7.  Tanto  è  aMara  eoo.  la  selva  è  tanto  dolo- 
loea,  ohe  di  poco  ò  più  dobrosa  la  morto  :  al- 
tri, meno  bene,  rìferiacono  amara  a  paura, 
JX  oonoetto  ò  biblico  (Eooliaiaetìeo  zu  1  :  «  0 
mortoi  quanto  amaia  è  la  memoria  tua  »)  ; 
cfr.  il  Frezzi,  Quadr.  m  6,  della  poTSità  per- 
sonifloato:  «  Spiacente  tanto,  eh'  appena  è  più 
morto  »,  e  11  Petraioa,  cooxxxn  22  :  «  Or  mi 
ò  '1  pianger  amaro  più  ohe  morto  ».  —  8.  per 
trattar  eoa  II  poeta  accenna  al  fine  e  al  ca- 
rattere dell'  opera  sua,  che  si  srolge  tutto 
sopra  un  fondamento  morale  e  religioso,  co- 
me intesero  rettamento  gV  interpreti  antichi  : 
perdd  il  tona  che  Danto  dice  d' aver  trovato 
nella  selva  è  il  risveglio  operato  nella  sua 
coscienza  dalla  voce  della  ragione,  la  quale 
rimovendolo  dallo  stato  peocaminoso  lo  av- 
viò alla  salvazione  dell'anima.  —  9.  dell'al- 
tre cose  ecc.  delle  fiere  e  dell'  i^parizione  di 
Virgilio.  — 11.  plen  di  somno  !  pieno  del  son- 
no del  peccato,  con  la  mento  ottenebrata  dal- 
rerrore.  —  18.  Ma  poi  eoo.  n  colle,  in  op- 
posizione alla  teka  (vita  viziosa),  rappresenta 
la  vita  virtuosa.  —  16.  la  sie  spalle:  i  fian- 
chi del  colle.  —  17.  veitlto  ecc.  illuminato 


già  dalla  luce  del  sole,  che  nel  sistema  di 
Tolomeo  è  considerato  come  un  pianata.  — 
18.  neBa  eoo.  è  duce  e  guida  de^  uomini  e 
delle  cose  nella  loro  esistonza;  cfr.  iVy.  xm 
16-21.  —  20.  nel  lago  del  oort  doè  in  quel- 
la parto,  che  nella  V.  N.  i  16  chiama  «  la 
seoretissima  camera  »  del  cuore  ;  Booc  :  «  è 
nel  cuore  una  parto  ooncava,  sempre  abbon- 
danto  di  sangue,  nella  quale,  secondo  l'opi- 
nione d' alcuni  abitano  li  spiriti  vitsli  ;...  ed 
ò  quella  parto  ricettacolo  d' ogni  nostra  pa»- 
sione  ;  e  perdo  dice  che  in  quella  gli  era  per- 
severata la  passione  della  paura  avuta  ».  Nota 
il  Torraoa  che  «  lago  del  cor  »  diao  Danto 
anche  in  una  ballata  {Cktnx.  p.  160).  —  2L 
la  Botto  ecc.  nel  tempo  dello  smanimento  do- 
loroso. —  pl^ta  !  forma  azoaioa  fnpùtà  (ofr. 
Ir^.  vn  97,  xvm  22  ecc.),  foggiata  sul  Borni- 
nativo  (cfr.  ih/.  VI  66).  —  22.  K  eoae  eoo. 
Venturi  812:  «È  una  delle  più  bello  ibniU- 
tadini  del  poema;  ed  esprime  coi  suoni  e  con 
parole  elettissime  l'aneto  ailtonoso  del  mi- 
sero che  lottò  con  la  morte,  e  ne  fb  prodigio- 
samento  scampato  ».  —  Iona  afflMBatat  è  il 
respiro  aifaTìnoso  di  ohi  è  opprowo  dalla  leti- 
ca e  dallo  spavento  del  corso  periodo.  ^  9i. 
gnata  :  guarda  attontsmente,  ooniideca  il  po- 
zioolo  al  quale  ò  sfuggito.  —  26.  lo  paiMS  qo»! 


INFERNO  -  CANTO  I 


27        che  non  lasciò  giammai  persona  viva. 
Poi  ch'èi  posato  un  poco  il  corpo  lasso, 
ripresi  via  per  la  piaggia  diserta, 
30       si  che  il  piò  fermo  sempre  era  il  più.  basso. 
Ed  ecco,  quasi  al  cominciar  dell'erta, 
una  lonza  leggiera  e  presta  molto, 
83       che  di  pel  maculato  era  coperta: 
e  non  mi  si  partfa  dinanzi  al  volto  ; 
anzi  impediva  tanto  il  mio  cammino, 
36        eh*  io  fi2i  per  ritornar  più  volte  vòlto. 
Tempo  era  dal  principio  del  mattino, 
e  il  sol  montava  su  con  quelle  stelle 
39        ch'eran  con  lui,  quando  l*amor  divino 


dalla  séhra,  die  noi  ludd  pMsar»  aloimo  che 
vUmm  ipiiitoalaieinte;  poiché  la  -vera  vita 
deU'nomD  è  quella  deOa  lagione  (cfir.  Ckmo,  tv 
7).  —28.  Pel  eV  èl  eoo.  Godi  tetti  più  au- 
toieToli;  e^  altri  portano  lezioni  yaiie.  La 
Tera  fu  xixtabilita  da  N.  Calz,  che  osservò 
(12an.MttiB». 2 ottobre  1881):  «Ohi consideri 
che  Dante  nsdra  allora  aQcóa  dalla  teka  tei- 
raggili  e  yàlgerasi  eotVwuhno  che  amor  fitffgwa 
a  liinirare  il  passo  da  coi  era  scampato,  on- 
d'egU  dorerà  ben  sentire  il  bisogno  di  potare 
un  poeo  le  membra  stanche,  ma  non  poteva 
pensare  a  prendere  riposo,  òhe  è,  come  snona 
la  paiola,  un  poeaie  prolungato  e  richiede  più 
agio  e  tranquillità,  non  potrà  ohe  preferire 
anche  per  riguardo  alla  proprietà  la  prima  le- 
tione  ».  —  èl  t  forma  arcaica  per  ebbi  (ofr. 
E.  e.  Parodi,  BuU,  m  181).  —  29.  per  la 
piaggia  dlseirtas  per  il  cammino  solingo  e 
abbandonato  ;  poiché  pochi  sono  i  seguitatori 
ddla  virtù.  —  80.  ■<  che  eoo.  Booo.:  «  Mo- 
stra r  usato  costume  di  ooloro  che  salgono, 
che  aempre  si  ferman  più  in  su  quel  piò 
die  più  basso  rimane  »  ;  il  Tomm.  crede  che 
qui  TDf^  dir  ohe  «  Tenendo  da  male  a  be- 
ne, il  deddecio  si  posa  troppo  sulla  memo- 
ria dal  passato».  — 8L  E4  eeeo  eoe  L'idea 
delle  tre  fiere  è  tolta  da  Geremia,  ▼,  6:  «  II 
lecaie  della  selva  e^  ha  pecoossi,  il  lupo  del 
respiro  gli  ha  deserti,  il  pardo  sta  in  aguato 
pieaeo  alle  lor  città».  L'Ott  cosi  dichiara  il 
significato  delle  tre  fiere  :  «  Qui  descrive  l'au- 
tore tre  impedimenti,  òhe  se  li  oppuosono, 
quando  nlia  aDo  atto  inlnminato  di  sapienza; 
H  quali  figura  in  tre  animali,  cioè  Lonza,  che 
ò  pantera.  Lupa  e  Lione;  li  quali  pone  in 
iguza  di  quelli  tre  vìa^  ohe  comunemente  più 
oecopano  l'umana  generazione.  Per  la  lonza 
s'intonde  la  latrarla,  per  la  lupa  ocorma, 
y«r  lo  leone  wuftrbia,  GHocome  la  lonza  ò  mac- 
chiata di  molti  e  diversi  piaceri,  e  molto  pre- 
sta e  leggiera  a  pigliare  li  uomini  ;  quanto  in 
»  l'autore,  qui  ed  altrove  il  di- 


chiara. Che  lo  lione  sia  superbo,  òhe  la  lupa 
sia  avara  e  cupida  e  bramosa  chiaro  appare 
assai  ».  Cosi  a  un  di  presso  tutti  i  commen- 
tatori antichi;  ma  tra  i  moderni  corsero  al- 
tre interpretazioni,  tra  le  quali  la  più  nota- 
bile ò  quella  ohe  vede  raffigurata  nella  lonza 
non  la  lussuria,  ma  l' invidia  :  sulle  contro- 
versie relative  vedasi  D' Ovidio,  pp.  802-825. 
—  82.  una  lonza  eoo.  La  1*  delle  tre  fiere 
simboleggia  la  lussuria  o  concupisoenza  della 
carne;  come  ò  provato  dal  passo  dell'In/'. 
XVI  106  e  segg.  dove  Danto  racconta  che, 
visti  i  tormenti  dei  lussuriosi  e  fatto  forte 
a  combattere  in  sé  questo  vizio,  egU  fece 
gitto  di  quella  oorio,  o  cingolo  della  castità, 
con  la  quale  s' era  già  pensato  «  prender  la 
lonza  alla  pelle  dipinta  ».  I  fiorentini  al  tem- 
po di  Dante  davano  il  nome  di  lonxa  alla 
pantera  e  al  leopardo,  animali  eh'  essi  sole- 
vano mantenere  a  spese  pubbliche,  come  an- 
che facevano  del  leone,  insegna  del  loro  Co- 
mune; e  già  nei  poeti  anteriori  a  Dante  il 
nome  della  bmxa  o  leonxa  era  steto  usato  a  si- 
gnificare genericamente  animale  feroce  e  spa- 
ventoso (Bustioo  di  Filippo,  son.  ZLvm  e  lvui). 
Quanto  all'epiteto  di  leggiéroj  ò  da  ricordare  il 
verso  di  Folgore  da  San  Gimignano,  son.  xv  : 
«  Leggero  più  ohe  lonza  o  liopardo  ».  —  86. 
eh' io  eco.  che  più  volte  mi  voltai  indietro  per 
ritornar  verso  la  selva.  —  più  volte  vòlto  :  i 
versi  e  le  locuzioni  di  più  voci  simili,  o  07UÌ- 
foei,  come  avrebbero  detto  gU  antichi,  non 
sono  infrequenti  in  Dante  (ctt.  Inf.  xm  26, 
67-72,  XXVI  66,  Puirg,  xx  1,  xxvn  182,  xxxi 
186,  xxxm  143,  Par.  m  67,  v  189,  xxi  49, 
V.  N,  vm  47  eoo.)  :  ma  ò  da  notare  che  di 
cotesto  modo  artificioso  i  suoi  contemporanei 
abusarono  largamente,  si  ohe  al  loro  confron- 
to Dante  si  mostrò,  anche  in  questo  partico- 
lare, assai  temperato  e  parco.  —  87.  dal  prin- 
cipio !  nel  principio.  —  S8.  e  il  sol  eco.  era 
nel  segno  dell' Àxioto  (cfr.  Jìir,  1  40),  cioò 
nella  stagione  primaverile,  come  quando  Dio 


DIVINA  COMMEDIA 


mosse  da  prima  quelle  cose  belle; 
si  che  a  bene  sperar  m*era  cagione, 
42       di  quella  fera  alla  gaietta  pelle, 
l'ora  del  tempo  e  la  dolce  stagione: 
ma  non  si,  che  paura  non  mi  desse 
45        la  vista,  che  mi  apparve,  d'un  leone. 
Questi  parea  che  contro  me  venesae 
con  la  test'  alta  e  con  rabbiosa  £une, 
48       si  che  parea  che  l'aer  ne  temeste: 
ed  una  lupa,  che  di  tutte  brame 
sembiava  carca  nella  sua  magrezza, 
51        e  molte  genti  fé'  già  viver  grame  ; 
questa  mi  porse  tanto  di  gravezza 
con  la  paura,  che  uscia  di  sua  vista, 
54       ch'io  perdei  la  speranza  dell'altezza. 
E  quale  è  quei,  che  volentieri  acquista, 
e  giugno  il  tempo  che  perder  lo  face, 
57        che  in  tutt'i  suoi  pensier  piange  e  s'attrista; 
tal  mi  fece  la  bestia  senza  pace, 
che,  venendomi  incontro,  a  poco  a  poco 
60       mi  ripingeva  là  dove  il  sol  tace. 
Mentre  ch'io  rovinava  in  basso  loco, 
dinanzi  agli  occhi  mi  si  fu  offerto 
63        chi  per  lungo  silenzio  parea  fioco. 
Quando  vidi  costui  nel  gran  diserto, 
€  Misererò  di  me,  gridai  a  luì, 

creò  il  mondo.  —  40.  eoie  belle  :  cosi  anche  datisi,  si  sono  smaniti  dalla  fede»  e  si  sono 

in  Inf,  xzziY  187  sono  detti  gli  astri,  come  fitti  in  molte  doglie  »  —  52.  mii  pene  eco. 

cose  delle  più  mirabili  di  tatto  il  creato.  —  mi  fa  cagione  di  si  forte  torbamento.  —  54. 

41.  A  Itene  ecc.  l'cn  mattatina  e  la  stagione  dell'altezza:  di  giongere  alla  cima  del  colle, 

di  primayera  mi  erano  cagione  di  sperare  ohe  —  55.  E  qvale  ecc.  Come  l'avaro  si  addolora 

avrei  vinto  la  lonza.  —  42.  «Ila  gaietta  pelle  :  e  si  dispera  se  perde  dò  che  ha  radunato  con 

dalla  pelle  dipinta:  oft.  Inf.  xvi  106;  gaieUa  lunghe  core,  cosi  io  mi  rattristai  perché  la 

vale  propriamente  loroziata  (0.  Nigra,  Àreh,  lupa  empia,  mtxa  poMy  che  non  dà  tregua 

gìotiol.  XV  286)  —  45.  va  leone  eoo.  La  2^  all'uomo,  mi  respinse  verso  la  selva  oscura, 

delle  tre  fiere  simboleggia  la  superbia.  —  46.  —  57.  U  tntt'  1  s«oi  pensier  ecc.  Venturi 

Teneise  :  venisse  ;  forma  d' imperfetto  con-  906  :  «  È  dolore  di  speranza  perduta,  dolore 

giuntìTO,  propria  del  linguaggio  poetico  più  che  non  si  spande  in  lacrime,  ma  contrista 

arcaico  p* Ano.  1 481).  —  49.  naa  Inpa  ecc.  l'anima  profondamente  ».  —  61.  rovlaava  : 

La  8^  ò  il  simbolo   dell'avarizia,  ohe  non  si  stava  per  ric&dore  nel  vizio.  —  62.  mI  il  fn 

deve  intendere  nel  senso  ristretto  di  eooes-  offèrto  ekl  eoo.  mi  apparve  «  con  piglio  dol- 

siva  parsimonia  ma  in  un  senso  più  largo,  di  ce  »  {Inf.  xxnr  20)  Virgilio,  il  poeta  latino 

avidità,  rapacità,  cupidigia  (cfr.  D' Ovidio,  p.  (ofr.  w.  70  e  89).  D  senso  letterale  è  molto 

814).  Si  veda  anche  Purg.  xx  10  e  segg.  dove  incerto  e  disputato;  ma  la  più  esatta  diohiara- 

ò  detta  «  antica  lupa  Che  più  che  tutte  l'altre  zione  parrebbe  esser  questa  :  «una  figura  d'uo- 

bestie  ha  preda  Per  la  tua  fame  senza  fine  mo  che  per  lunga  abitudine  di  silenzio  sem- 

cupa  >».  —  50.  sembiava  ecc.  sembrava,  nella  brava  aver  perduto  ogni  efficacia  di  parola  ». 

sua  magrezza,  piena  d'ogni  cupidigia,  e  fti  già  Per  il  senso  allegorico  ò  accettabile  la  spiega- 

cagione  di  dolore  a  molte  genti  ;  cfr.  l'apo-  zione  dello  Scart  :  «  La  voce  della  ragione  il- 

stolo  Paolo,  J  ep.  a  Timoteo  vi  10  :  «  la  radice  luminata,  rappresentata  da  Vizgilio,  ò  o  sembra 

di  tutti  i  mali  ò  l'avazizia,  alla  %uale  alcuni  al  primo  svegliarsi  del  peccatore  assai  ~ 


INFERNO  -  CANTO  I 


G6        qual  che  tu  sii,  od  ombra  od  uomo  certo  ». 
Risposemi  :  «  Non  uomo  ;  uom  già  fui, 
e  li  parenti  miei  furon  lombardi, 
69       e  mantovani  per  patria  ambedui 

Nacqui  sub  Tulio,  ancor  che  fosse  tardi, 
e  vissi  a  Boma,  sotto  il  buono  Augusto, 
72       al  tempo  degli  dèi  £ei1sì  e  bugiardi 
Poeta  fui,  e  cantai  di  quel  giusto 
figliuol  d'Andiise,  che  venne  da  Troia, 
75       poi  che  il  superbo  Ilion  fu  combusto. 
Ma  tu. perché  ritomi  a  tanta  noia? 
perché  non  sali  il  dilettoso  monte, 
78        oh'  è  principio  e  cagion  di  tutta  gioia  ?  » 
€  Or  se'  tu  quel  Virgilio,  e  quella  fonte, 
che  spande  di  parlar  si  largo  fiume?, 
81       risposi  lui  con  vergognosa  fronte. 
O  degli  altri  poeti  onore  e  lume, 
vagliami  il  lungo  studio  e  il  grande  amore, 
84        che  m'ha  fatto  cercar  lo  tuo  volume. 
Tu  se' lo  mio  maestro  e  il  mio  autore: 
tu  se' solo  colui,  da  cui  io  tolsi 


e  sommetM,  cosi  ohe  egli  iq^pena  ne  intende 
alcuni  indistinti  acoenti  ;  essa  direnta  poi  piti 
aita  e  distinta  mano  mano  ohe  Tnomo  ya  ri- 
sregìiimdnd  dal  peccaminoso  suo  sonno  ».  — 
66.  ed  oatf»ra  ecc.  o  apparenza  di  nomo  o 
oamo  reale.  —  67.  Km  vobos  VizgUioiim- 
bolaggiis  nel  poema  la  ragione  o  la  scienza 
unana,  che  secondo  gli  ammaestramenti  fllo- 
soAci  guida  l'nomo  all'esercizio  ddla  viltà  e 
al  conaegnimento  della  felicità  temporale,  sino 
al  momento  in  coi  le  snocede  la  lède  o  la 
scienza  divina  (ofr.  JVy.  xxvn  127  e  segg.). 
—  68.  •  11  parenU  eoe  e  i  miei  genitori  fti- 
nubo  entrambi  lombardi,  anzi  propriamente 
mantovani.  Mantova  è  considerata  la  patria 
di  Virgilio,  sebbene  e*  nascesse  nel  piccolo 
villaggio  di  Andes  (oggi  Fistole-Virgilio):  cfr. 
A07.  vn  18  e  zvm  88.  —  70.  sab  lalle  ecc. 
IHrgilio  nscqoe  nel  70  e  mori  nel  19  a.  0.; 
poteva  dunque  dire  d'esser  venato  al  mondo 
al  tempo  di  Oinlio  Cesare  (10O4A  a.  0.)*  seb- 
bene non  cod  presto  da  esser  considerato 
came  a  hd  contemporaneo.  —  73.  degli  dèi 
eoe.  degli  Iddìi  del  paganesimo,  falsi  e  bu- 
^ionift  ricetto  al  dio  dei  oristianL — 78.  Poeta 
eee.  La  fama  di  Virgilio  fa  grandissima  nel 
medioevo,  spedalmeote  per  il  sao  poema  àsi' 
ygntidé,  considerato  a  ragione  come  l'espres- 
ifcoae  piA  alta  della  vita  e  del  sentimento  dei 
romanL  ^  4«el  glasta  ecc.  Snea,  figlio  di 
iBchise  •  di  Venere,  te  dei  Daidani,  venuto 


in  Italia  dopo  la  rovina  di  Troia  a  compiervi 
le  imprese  cantate  da  Virgilio  ;  il  qnale  dice 
che  nessuno  ta.  pift  giusto  nò  jiA  valoroso  di 
lui;  «  quo  iustior  alter  Neo  piotate  fdit,  nec 
bello  maior  et  armis  {En,  1 644)  ».  —  76.  s«- 
perbe  IUob!  ò  un  ricordo  del  virgiliano  (.^i. 
m2):  «oedditquesuperbumllium»;  •s'ao- 
corda  con  dd  che  Dante  dice  nel  ^trg,  zn 
61  e  segg.  ponendo  Troia  ed  Ilio  come  esempi 
di  superbia  punita.  —  76.  perehtf  eoe  perché 
ritomi  ad  una  condizione  tanto  molesta,  tanto 
amara,  quale  è  lo  smarrimento  nella  selva  : 
noia  ha  qui  come  nella  F.  ^.  xn  Ó6  il  signi- 
ficato di  molestia.  —  79.  «nella  fonte:  onde 
procedettero  i  poemi  che  sono  cosi  nobile  ed 
alto  esempio  di  eccellenza  nell'arte  della  pa- 
nda. —  81.  lai:  a  lui;  gli  antichi  in  prosa 
e  poesia  usavano  quasi  sempre  nel  comple- 
mento di  tamine  questa  forma  s«iza  prepo- 
sizione :  vedine  altri  esempi  Jnf.  vn  67,  xix 
89,  zzzm  121,  iVy.  i  62,  vm  68,  xzxv  76, 
xzv  49  eoe — vergognosa:  rispettosa,  umile; 
cfr.  Inf,  m  79  «  occhi  vergognosi  ».  —  84. 
cercar  lo  tao  volume  :  ricercare,  studiare  il 
volume  delle  tue  opere.  Dante  fti  studiosissi- 
mo dell'  Eneide  (ofr.  Inf,  xz  114,  I\arg,  zxi 
54-99)  ;  conobbe  e  dtd  la  Bve^ieOf  e  potè  leg- 
gere, sebbene  sia  meno  certo,  anche  la  Qeor- 
giea  ->  86.  lo  Mio  auMStro  :  dal  quale  ap- 
pred  il  magistero  dell'arte  ;  11  bIo  autore  : 
lo  sorittozo  ohe  ha  per  me  autorità  sovr*  ogni 


8 


DIVINA  COMM£DU 


87        lo  bello  stile,  che  m*ha  ùA,to  onore. 
Vedi  la  bestia  per  coi  io  mi  volsi: 
aiutami  da  lei,  feunoso  saggio, 
90       cb'ella  mi  £&  tremiar  le  vene  e  i  polsi  >. 
cA  te  convien  tenere  altro  viaggio, 
ripose,  poi  che  lagrimar  mi  vide, 
03       se  vuoi  campar  d'esto  loco  selvaggio: 
che  questa  bestia,  per  la  qual  tu  gride, 
non  lascia  altrui  passar  per  la  sua  via, 
OG       ma  tanto  lo  impedisce  ohe  l'uccide; 
ed  ha  natura  eL  malvagia  e  ria, 
che  mai  non  empie  la  bramosa  voglia, 
90       e  dopo  il  pasto  ha  più  fÌEone  che  pria. 
Molti  son  gli  animali,  a  cui  s'ammoglia, 
e  più  saranno  ancora,  infin  ohe  il  veltro 


altro  tn  ^  antichi  poeti.  —  87.  lo  kMl« 
ttUtt  lo  itile  che  ayera  fiotto  onore  a  Dante 
prima  di  compone  la  Cbimnadio,  senza  peid 
éaxgìì  grandissima  Cuna  (ofr.  Pury.  xrv  21), 
non  pnd  essere  altro  che  quello  delle  opere 
gioyenili,  e  specialmente  delle  rime  e  della  V. 
N,t  nelle  quali  non  è  palese  alcuna  imiti- 
none Tiigiliana.  8'  intenda  qnindi  sftb,  non 
già  del  partioolar  modo  di  foggiare  e  di  ren- 
dere il  fantasma  poetico ,  ma  oome  l' in- 
tima oonispondenza  che  è  tra  la  forma  e  il 
pensiero  ;  corrispondenza  ohe  è  predpna  dote 
delle  opero  Tirsjliane  e  delle  dantesche,  por 
serbando  le  nne  e  le  altro  i  propri  caratteri 
difEaronti,  e  inerenti  al  divano  ingegno  dei 
dne  poetL  —  89.  alatami  eoo.  Secondo  i  com- 
mentatori tre  motivi  indussero  Dante  a  eleg- 
gero  il  cantore  d'Enea  oome  soa  guida:  Vlr^ 
gilio  era  considerato  nel  medioevo  oome  il 
poeta  dell'idea  imperiale  romanA  e  come  il 
prennnziatoro  della  venuta  di  Cristo  (ofr. 
i\iry.  zzn  66  e  segg.);  offriva  a  Dante  il 
pift  ecoellente  modello  dello  stile  poetico  ;  era 
il  solo  poeta,  per  Ini,  che  avesse  descrìtto 
ona  discesa  all'inferno  (cfr.  Inf,  n  18).  D'Ovi- 
vio,  p.  168:  «  Neil'  Enmde  Dante  non  trovò 
solo  il  heUo  tUUf  ti  anche  la  profonda  reli- 
giosità, la  fede  nella  vita  ftitoza  e  la  descri- 
zione del  Tartaro  e  degli  Elisii».  —  saggio  : 
d  titolo  dato  a'poeti  in  quanto  sono  maestri 
di  sapienza;  cosi  per  es.  ò  chiamato  il  Goi- 
nizeUi  nella  F.  iV.  xx  U.  —  91.  A  te  eoe 
Ta  devi  tenere  altro  cammino,  non  quel- 
lo del  monte;  devi  passare  attzaveno  l' in- 
ferno, per  aborrin  dal  peccato,  e  attraverso 
il  purgatorio,  per  esseme  purificato.  Notevole 
ò  la  conformità  di  questo  verso  oon  uno  di 
Quittone  d'Arezzo  (D'Ano.  V 17)  :  «  Or  pensa 
di  tenere  altro  viaggio  ».  —  97.  e4  ka  eoo. 
L'avaziiiA  à  di  tale  natoim  che  mai  non  si 


sazia,  poiché  il  momentaneo  appagamento  del 
desiderio  non  fa  che  accrescerne  l' ardore  : 
cfr.  Purg,  zx  12.  — 100.  Molti  ìob  ecc.  Ai- 
coni  intendono:  molti  sono  gli  uomini  vinti 
dal  vizio  dell'avarizia;  altri  invece,  e  forse 
meglio  (cfr.  V.  60)  :  molti  sono  i  vizi  che  pro- 
cedono dell'avarizia.  —  101.  U  veltro  eco. 
Nel  IStry,  xz  16,  Dante  chiude  un*  impreca- 
zione contro  la  lupa,  simbolo  deU'  avarìzia, 
domandando  :  «  (Quando  verrà  per  coi  questa 
disceda?  »,  e  accenna  senza  dubbio  al  veltro; 
e  nel  iV]7.  xxxm  48,  parla  di  un  tempo  ven- 
turo «  Nel  quale  un  cinquecento  dieoe  e  cin- 
que, Messo  da  Dio,  andderà  la  fùia  Con  quel 
gigante  che  con  lei  delinque  »;  e  anche  qui  da 
molti  interpreti  si  crede  eesero  aooennato  il 
veUro,  Ma  chi  fosse  nelfa  mente  di  Dante  que- 
sto ossero  misterìoeo  non  si  ò  potuto  aooep- 
taro  oon  sicurezza  e  le  piti  dispsrate  ipotesi 
sono  state  messe  innanzi;  delle  quali  le  più 
notevoli  e  ragionate  fOrono  le  seguenti  :  1*  n 
veltro  ò  Oangrande  I  della  6cala  (ofr.  Paar, 
xvn  76),  signore  di  Verona,  vicarìe  imperiale 
e  grande  sostenitore  della  parte  g^beUina  in 
Italia;  2^  —  ò  Uguodone  della  Faggiola,  al- 
tro capo  de'  g^bellini,  signore  di  Pisa  e  Luo- 
ca;  8^  —  ò  Benedetto  ZI,  pontefice  negli 
anni  1808-1804;  4^  —  d  Cristo  ventare  nel 
giorno  del  giudizio  universale;  6*  —  è  un 
personaggio  indeterminato  anche  nella  mente 
di  Dante,  imperatoro  o  papa  o  di  qualsivogUa 
dignità  rivestito,  che  avrebbe  ricondotto  il 
mondo  sul  cammino  della  virtó.  L'opinione 
che  nel  vèltro  tà.  abbia  a  riconoscere  simboleg^ 
giota  la  speranza  di  una  prossima  restaura- 
zione dell'autorità  civile,  come  inizio  della  ri- 
generazione morale  dell'  umanità,  per  opera 
di  un  imperatore  o  di  altro  principe  di  parte 
ghibellina,  è  stata  di  noent»  sostenuta  con 
molta  ragione  da  Y.  Clan,  autt$orm$  cMce^ 


INFERNO  -  CANTO  I 


102        verrà,  che  la  faxk  morir  con  doglia. 
Questi  non  ciberà  terra  né  peltro, 
ma  sapienaa  e  amore  e  yirtute, 
105       e  sua  nasion  sarà  tra  Feltro  e  Feltro: 
di  queir  umile  Italia  fia  salute, 
per  cui  mori  la  vergine  Camilla, 
108        Furialo  e  Turno  e  Niso  di  feruta 
Questi  la  caccerà  per  ogni  villa, 
fin  che  l'avrà  rimessa  nello  inferno, 
111        là  onde  invidia  prima  dipartilla. 

Ond'io  per  lo  tuo  me' penso  e  discemo 
che  tu  mi  segui,  ed  io  sarò  tua  guida, 
114        e  trarrotti  di  qui  per  loco  etemo, 
ove  udirai  le  disperate  strida, 
vedrai  gli  antichi  spiriti  dolenti, 
117        che  la  seconda  mòrte  ciascun  grida; 


tm,  Me»xia,  1887.  DagU  stadi  del  Obui  e  di 
altzi  mpfKTB  omud  accertato:  1*  che  Dante 
aé  ugaò  né  li  angoid  che  U  xigeneraxione 
txrìiÌB  e  Borale  dell'  onumità  avease  a  essere 
open  di  un  santo  pontefice;  2*  che  l'idea 
dollA  Tenuta  d'im  restaorstore  del  mondo 
■saldato  in  terra  da  Dio  per  la  salate  del- 
1*  umanità,  si  svolse  nelle  profezie  niedÌ09?ali 
eosae  un  concetto  easwiTfalmmìtn  i^ilbelUno 
•  laico  ;  8*  ohe  tale  concetto  è  il  solo  rispon- 
dente alle  idee  e  alFatteggiamsnto  pditioo  di 
Dante  nel  tempo  ch'egli  compose  il  sao  poema; 
4*  che  nel  simbolismo  popolare  del  medioero 
itaBano,  strettamente  collegato  con  le  flgo- 
xadoni  araldiche,  il  veltro  designò  idee  e  per- 
sone gabelline,  come  in  an  suiv^utesu  del 
1276  cìxea  ore  è  cosi  designato  Guido  di 
afontefoltro  (efr.  Inf.  zxvn  29)  inTocato  ala- 
tatele dai  g^beOìni  di  Bomagna;  6*  ohe  co- 
me le  speranze  politiche  di  Dante  si  raocol- 
Bsco  eia  sorra  an  imperatore  ora  sona  al- 
tri penooaggi  grandi  dell'  età  saa,  cosi  nel 
reltro  non  si  pad  Tederò  ona  determinata  per- 
sona, essendo  natarale  «  ohe  a  seconda  delle 
occasioni,  dei  rari  momenti  e  condizioni  del- 
l'attimo fuggente  deUa  storia,  anche  a  secon- 
da deUe  condizioni  dell'  snimo  suo,  il  Poeta 
t*  iUadesse  di  yederlo  incarnato  nell'ano  o  nel- 
Taltro  di  qoelli  che  ftirono  i  protagonisti  solla 
seena  storica  del  sao  tempo  ».  — 106.  e  saa 
aaxlem ecc.  L'interpretazione  di  questo  Terso 
dipende  natoralmente  dall'ipotesi  che  si  ao- 
ostta  sol  Teltro:  secondo  aloani,  questo  Tor- 
io designa  il  loogo  di  nascita  dell'aagarato 
psnonaggio,  Inogo  compreso  tra  Feltro  e  il 
MontBifeltro  (per  Gangrande  Verona,  per  Ugao- 
cione  la  Bomagna,  per  Benedetto  XI  Treviso); 
wnandn  altd  designa  la  oondliinne  misera  del 
iso  nMoinMnto,  ohe  sarebbe  stata  d' naile 


schiatta  e  tra  amili  panni  :  cbe  d  r  int^rpnta- 
zione  meglio  conveniente  a  dù  cho  d' indeter- 
minato resta  por  sempre  nella  flinira  dal  voltro. 
—  106.  amile  ItaUas  l' Italia  là^lalo  ;  cho  è 
quella  per  cai  combatterono  e  moTirono  ^U  «rt>L 
ricordati  dal  poeta:  l'espreadoBO  è  Ttrgiliima 
{En.  m  622),  sebbene  nel  poeta  latino  il  ri- 
ferimento geografico  sia  dive^^.  —  107,  Car 
mUIas  flfl^  del  re  dei  YoIboì,  morta  combat- 
tendo contro  i  Troiani  {En,  m  76S^L),  — 
106.  Earlalo  t  Eorialo  e  Niso,  troiani  eà  ami- 
cissimi, morirono  oombattez^dn  contro  1  Voi- 
sci  (J^.  ne  179446).  —  Tnrnoi  ro  dw  liti- 
toU,  aociso  da  Enea  {Em.  xu  010^52).  ^ 
100.  Tilla  :  città,  come  altr^vv,  Inf,  xxtH  ^5^ 
J^trg»  TV  97  ecc.,  ma  può  li^niAc&re  luu^  in 
genere,  come  nel  Bar.  zx  S9.  —  111.  iarl^ 
dia  eoe  r  invidia  di  Laciforo,  ch«  lo  mosso 
a  tentare  l' nomo.  —  112.  me'  ;  meg-Iio,  vim- 
taggio.  —  114.  per  loco  et«riin  ;  attmv^rTo 
r  inferno;  nel  quale  udirai  le  grìdji  di  àlspo- 
razione  e  vedrai  gli  spiriti  dolonti.  —  116. 
antichi  :  cosi  dice  gli  spiriti  dal  lUmuiti,  in 
quanto  Tissero  nel  mondo  uitorlarmento  a 
Dante.  —  117.  ehe  la  seeoD  Ja  <ìcc.  ciascono 
dei  quali  manifesta  con  doloroso  grìdii  lo  «tatn 
di  dannazione  in  cui  si  troTa  r  «  «icoìida  mo> 
te  ò  detta  nella  sacra  sorìttani  »»  per  testi- 
monianza di  sanf  Agostino  (£>te^.  csp.  ^2), 
la  morte  etema  dei  dannatL  Vario  ipL^ozloni 
di  questo  Terso  erano  note  a*  oommen  tatari 
antichi,  cosi  riassunto  dal  Enti  :  «  Qui  ed  du^ 
bita  quello  che  l'autore  intendosse  p^r  U  se- 
conda morte,  e  quanto  a  me  pHje  cks  1'  as- 
tore intendesse  della  dannaxions  uliàrui^  c^g 
sarà  al  giudicio  :  imperò  ch^  ^mt  invidia  tot- 
rebbon  già  ch'ella  fosse,  por  nvoro  pid  cùm- 
pagni...  Altrimenti  si  pud  Intonduro  doUn 
tmnuUaxwné,  dicendo  che  lu  ptima  murto  aia 


10  DIVINA  COMMEDIA 


e  poi  vedrai  color,  che  son  contenti 
nel  foco,  perché  speran  di  yenire, 
120        quando  che  sia,  alle  beate  gékiti: 
alle  qua*  poi  se  tu  vorrai  salire, 
anima  fia  a  ciò  di  me  più  degna, 
123       con  lei  ti  lascerò  nel  mio  partir^; 
che  quello  imperador,  che  là  su  regna, 
perch'io  fui  ribellante  alla  sua  legge, 
126       non  vuol  che  in  sua  città  per  me  si  vegna. 
In  tutte  parti  impera,  e  quivi  regge, 
quivi  è  la  sua  città  e  l'alto  seggio: 
129        0  felice  colui,  cu'  ivi  elegge  !  > 

Ed  io  a  lui  :  «  Poeta,  io  ti  rìcheggio 
per  quello  Dio,  che  tu  non  conoscesti, 
132        acciò  ch'io  fugga  questo  male  e  peggio, 
che  tu  mi  meni  là  dov'  or  dicesti, 
si  ch'io  vegga  la  porta  di  san  Pietro 
e  color  cui  tu  uà  cotanto  mesti  ». 
136    Allor  si  mosse,  ed  io  gli  tenni  dietro. 

la  damìftrione  dell'  anima,  quando  li  parte  dal  in  cielo  al  ooapetto  di  Dio.  ~  123.  eoa  IH 
corpo  :  la  seconda  morte  sarebbe,  quando  Vtf  eoe  ;  ofr.  iW)^.  zzx  49  e  segg.  —  134.  la- 
nima  fosse  annullata  ».  Secondo  altri,  gli  an-  perftdor  i  Dio,  detto  nel  Bar,  xn  40  «  lo  im- 
tichi  tpùriti  dotmU  sarebbero,  non  tatti  i  dan-  perador  che  tempre  regna  ».  —  126.  fsl  ri- 
nati, ma  soli  gli  spiriti  sospesi  d^  limbo,  i  bellaate  ecc.  Virgilio  non  avendo  oonosduta 
qoaÙ,  ylyendo  in  disio  perohó  non  ebbero  la  yera  religione  Ai  di  ooloro  ohe  (Jnf,  iv  88) 
battesimo,  «  gridano  cioè  invocano  la  seconda  «  non  adorto  debitamente  Dio  »,  perdo  egli 
morte,  desiderano  doò  di  poter  morire  una  ò  relegato  «  nell'eterno  esilio  »  {I\irg,  xxx 
seconda  Tolta  dopo  essersi  fatti  ciistiaui»  IS):  sol  quale  concetto  Dante  ritoma  pift  toI- 
(L  Dèlia  OioTanna,  Framm,  di  Hudì  datUó-  te  (cfr.  Purg.  i  78,  vn  7-8,  2&^  ecc.).  — 
seM,  Piacenza,  1886,  p.  84;  P.  V.  Pasquini,  127.  Ib  tutte  eco.  Dio  stende  il  suo  potente 
nell'^^Mari,  I,  p.  110  e  segg).  —  118.  color  dominio  su  tutto  il  creato,  ed  eserdta  la  sua 
cke  ecc.  g^  spiriti  ohe  compiono  l'opera  della  autorità  nel  paradiso  con  partlcolar  legge  d'»- 
loro  purificazione,  e  sono  contenti  delle  pene  more.  —  182.  questo  Male  ecc.  l'errore  pre- 
perchó  hanno  ferma  speranza  di  salire  al  dolo,  sente  e  la  dannazione  che  ne  sarebbe  la  con- 
—  121.  alle  qua'  ecc.  alla  sede  dd  beati  ti  seguenza.  —  134.  la  porta  eoe  la  porta  del 
accompagnerà  Beatrice.  —  122.  anlva  ecc.  Purgatorio,  che  d  apre  con  le  chiaTi  che  l'an- 
Beatrice,  la  quale  i^parirà  a  Dante  sulla  cima  gdo  custode  (viaario  di  Pittro  d  detto  in  Purg, 
del  monte  sacro  por  acoompagnario  di  ddo  zzi  64)  ebbe  da  san  Pietro  (ofr.  Purg,  tx.  127). 


CANTO  n 

£  questo  propriamente  il  canto,  col  quale  si  apre  la  prima  cantica,  e 
contiene  nei  primi  versi  la  proposizione  e  l' invocazione.  Dante  racconta 
com^egli  dubitasse  di  intraprendere  il  gran  viaggio,  non  tenendosi  degno 
di  tanta  grazia;  e  come  Virgilio  lo  confortasse,  narrandogli  da  chi  e  come 
fosse  stato  inviato  a  Ini  per  guida.  Cosi  incoraggiato.  Dante  oominoia  la 
sua  peregrinazione  [sera  dell'  8  aprile]. 


raFEENO  —  CANTO  IT 


n 


12 


15 


18 


21 


Lo  giorno  se  n'andava,  e  Patìr  bruno 
toglieva  gli  atLimai,  che  aono  in  terra, 
dalle  fatiche  loro;  ed  io  sol  uno 

m'appareccktava  a  s ottener  la  guerra 
b1  del  cammino  e  si  della  pìetata, 
che  ritrarrà  la  meut%  che  non  erra. 

0  Muse,  o  alto  ingegno,  or  m'aiutate: 
ù  mente,  che  acriveati  ciò  ch'io  vidi» 
qui  si  parrà  la  tua  nobilitate. 

Io  cominciai  ;  «  Poeta  che  mi  guidi, 
guarda  la  mia  virtù,  s'ella  è  possente, 
prima  che  all'alto  passo  tu  mi  fìdl 

Ttt  dici  che  di  Silvio  lo  parente, 
corruttibile  ancoraj  ad  iii,morÈale 
secolo  andò,  e  fu  sensibilmente. 

Però  se  rawérsario  d'ogni  male 
cortese  i  fu,  pensando  l'alto  effetto, 
che  uscir  dovea  di  lui,  e  il  chi  e  il  quale^ 

non  pare  indegno  ad  uomo  d' intelletto  : 
ch'ei  fu  del  Palma  Roma  e  di  suo  impero 
nell'empireo  ciel  per  padre  eletto  ; 


H  1.  lA  ffiorso  ecc.  È  il  proemio  *1U 
prima  «uiticis  distiJito  neUji  prapoaizioiie  del- 
I*Bj:s<^meD.to  (r.  1-6)  e  ziell' inTOcazioQO  «Ile 
ìtì£0  e  alle  Jjicoltà  mtellettoAli  (r,  7-9).  — 
M  ft^SB  Jata  «oo.  TolgQTTK  «1  Boo  t«rraijì0 1  eia 
b  40»  deli'  a  aprile.  —  «  1*  ur  braso  «se, 
•  roflCQiità  deùtUL  notte  Mpra-renioate  tosUevv^ 
tolti  Eli  eieeri  TÌTonti  alle  bro  fatiolLe:  rì- 
OKda  il  TUi^iiiMLO  (£H.  Tin  26)  :  M  Kox  «rat 
«t  tBrt««  animidiii  f«ga  por  omnm  Àlitaiimquo 
pecnlnnii^ie  ^eiìtiA  Bopor  altufi  habobatj*.  — 
2.  aalDiali  gii  easeri  aniimiti.  —  4,  ]*  itier- 
im  occ-  la  lotta  por  riacsro  Lo  difEcoItà  désllft 
■ria  «  aspriL  e  forte  »  {Pwrg.  u  «55),  «  per  eop- 
portjàni  il  doloro  doUa  vista  do'  dannati.  ^— ^  8. 
la  veaU:  la  memoria  Lo  eVss69  v&naó  ha. 
nel  T.  8-  ore  è  dji  notpjTj  che  reepresaiona 
atrwaU  licMama  un"  ìmaglno  oara  %  Doate^ 
quella  dei  «  liliro  della  tafioioria  »  (F.  i^.  1 1), 
ikito  da  lui  Itene  altrore  *  libro  delia  tooo- 
ic  m  (Qanx.  pi.  102);  c&.  H.  Zìn^axelll  in  .^u^ 
1 99-101*  —  7,  O  Mm«  ecc.  Si  aotì  cto  *1  pria- 
àpio  doli*  Inf*  Dante  n  affida  alle  Muse  e 
ìlio  propri©  fflcolti  àéy  lagogno  e  doLla  me- 
Koha,  poiché  umani  sono  i  sontiincmti  e  i 
^tti  dh^ogli  ha  a  ritratto  j  al  principio  del  Puty, 
ÌBToca  por  io  MiLse,  ma  in  porticolai  modo 
CiibfFpe^  dalla  bella  t«^,  pcuinhó  ai  acoinge 
desciiroTi^  un  regno  di  nutazKO  cenano  o  di 
iold  eperauxo,  qoAlo  è  qnoHo  della  poriflca- 
xioos*  «  fìjaalmente  al  principio  dol  Far,  ^i 
tictìom&ndA  ad  À.poilo  ateuo  ohe  Io  sorx^igga 


neU'  eleraiaì  a  rnpptosontaro  i  regrai  dfli  bea^ 
ti.  —  11.  gaardA  ecc.  oonaidera,  prima  di  &£- 
fidanni  a  tale  posso,  iO  Lo  mio  forze  ioua 
bast^Toli  poi  topipiera  fi  gran  viaggio.  Kota 
il  D"  Chridio,  p.  33^,  che  aTtìndo  Yu^jilìo  an- 
nan^to  il  Tìag^o  non  solo  attra^eno  rin- 
furilo, ma  anche  al  paradiso,  l'obbioijone  eàe 
Dante  fa  devo  esasra  adognata  all'intero  fìjik* 
^0  :  m  Gr^dj  tn  (dica  ai  moe&tro)  eh'  lo  eì4 
r  acmo  da  discender  Bottorra  ootn'  Knon  ? 
da  salir  al  clob  come  Paolo  ?»  —  13.  Tu 
di  et  eco.  Virgilio,  :En.  vt  296-900»  narra  la 
dUccaa  di  Eaoa,  padro  di  Silvio,  all'  infor- 
no montro  ora  ancora  vivo.  —  li.  Imnor- 
Ulfl  ievolo  s  la  TÌta  otema  ;  qnella  stmaa  clie 
□aLla  V.  N.  uSìè  chiamata  «  fmodo  secolo  >•. 
D'Ovidio  :  M  È  on^indicasiono  pondera tamenta 
IndotarminaU,  pembà  si  prostì  alla  doppia  ap- 
plicazione por  diM>  dìTtìraì  pensouoggi  »».  — 
16,  Pdrft  ecc.  Costmisd:  <sd  vomo  d^  mUt- 
kdù  ntm  pan  indino,  non  dove  sembrare 
contro  ragione^  sa  Vavtvraatio  d'OffM  mali,  se 
Dio,  i  fu  <soi1fl(S#,  fn  largo  di  talo  giana.  ivi 
Enoa,  pmisando  l'alto  effdio,  tUohioU  ^ua^, 
{:;[}nflidorando  gli  effetti  atraoidinaii  cioè  il 
fondatore  di  TLoma  e  rantorità  imperiala,  cM 
dofipm  usdr  di  ini,  che  dovoano  pnocodoro  iL* 
Ini,  —  17,  eerl^ce;  largo,  liberale;  Die  é 
ciuaiiuito  niella  y.  N.  xli  9  m  m^  de  la  cof- 
tQfJA>K  —  lì  a  ìm\  forma  antica,  da  *fK.  — 
21.  empireo  elei;  la  rosiìdou^a  di  Dio  e  dei 
bwrtlj  ofr.  tì&w*n4j  «Fuori  di  tutti  qnosti 


12 


DIVINA  COMMEDIA 


la  quale  e  il  quale,  a  voler  dir  lo  vero, 
fùr  stabiliti  per  lo  loco  santo, 
24       u'  siede  il  successor  del  maggior  Piero. 
Per  questa  andata,  onde  gli  dai  tu  yanto, 
intese  cose,  che  furon  cagione 
27       di  sua  vittoria  e  del  papale  ammanto. 
Andowi  poi  lo  Vas  d'elezione, 
per  recarne  conforto  a  quella  fede, 
80       cli*ò  principio  alla  via  di  salvazione. 
Ma  io  perché  venirvi?  o  chi  1  concede? 
io  non  Enea,  io  non  Paolo  sono: 
83       me  degno  a  ciò  né  io  né  altri  crede. 
Per  che,  se  del  venire  io  m'abbandono, 
temo  che  la  venuta  non  sia  folle: 
36       se'  savio,  e  intendi  me'  oh'  io  non  ragiono  >. 
E  quale  è  quei,  che  disvuol  ciò  che  volle. 


[nore  deli],  11  Gattolioi  pongono  lo  GHélo  Em- 
piieo,  che  tanto  vaol  Àie,  quanto  Cielo  di 
fiAmma  ovvero  laminoso ...  E  questo  quieto 
e  padfloo  cielo  è  lo  luogo  di  quella  Somma 
Deità  che  sé  sola  compiutamente  vede.  Questo 
dio  luogo  degli  Spiriti  Beati,  secondo  ohe  la 
Santa  Chiesa  vuole,  ohe  non  pud  dire  menzo- 
gna». —  22.  la  quale  Boma  e  11  quale  impero 
ftirono  costituiti  per  la  Chiesa,  come  residenza 
dei  pontefici  successori  dell'apostob  Pietro, 
primo  papa.  O.  Capponi,  Storia  delta  repubbl. 
di  Fir,  I  170:  «  È  Boma  ideale,  non  quella 
ond'egli  [Dante]  si  chiamò  tradito  :  l' impero 
deriva  da  essa  ed  insieme  Vammanto  papalóf 
sotto  a  cui  non  guardava  egli  per  anco  agli 
uomini  che  lo  portavano.  Questa  è  una  sorta 
di  professione  di  fede  poeta  in  principio  e  ri- 
masta  ferma  per  tutto  il  poema;  se  non  che 
essendosi  dopo  all'esilio  in  lui  destate  nuove 
passioni  che  pur  volevano  disfogarsi,  senti 
egli  avere  bisogno  di  scendere  ad  altro  lin- 
guaggio da  quello  che  avrebbe  voluto  da  pri- 
ma serbare  ».  —  24.  u':  ove;  troncamento  di 
uòt,  ricorre  firequentemente.  —  26.  Intese  ecc. 
Allude  alla  predizione  fatta  a  Enea  da  Anchlse 
{En,  VI  756  e  segg.),  ch'egli  avrebbe  stabilita 
in  Italia  la  sua  stìj^,  dalla  quale  poi  sareb- 
bero discesi  i  fondatori  di  Boma  e  dell'impero. 
--  27.  del  papale  ammanto:  in  quanto  la 
costituzione  dell'  impero  romano  ta  una  pre- 
parazione all'autorità  universale  della  Chiesa: 
cfr.  Fitrg,  xvi  106.  —  28.  ÀndOTTl  ecc.  Ac- 
cenna, come  a  fiitto  indubitabile,  al  rapimento 
deU'  apostolo  Paolo  descritto  nella  II  Epist. 
a'  CoHnxi^  zn  2-1:  «  Io  conosco  un  uomo  in 
Cristo,  il  quale,  son  già  passati  quattordici 
anni,  ta.  rapito  (se  fb  in  corpo,  o  fuor  del 
corpo,  io  noi  so.  Iddio  il  sa)  fino  al  terzo 
delo.  £  so  che  quel  tal  uomo  ta.  rapito  in 


paradiso,  e  udf  parole  inulTkWli,  le  quali  non 
ò  lecito  ad  uomo  alcuno  di  proferire  ».  Ka 
accanto  a  questo  rapimento  celeste  la  fantasia 
popolare  ne  imagind  anche  uno%ll*  infismo; 
che  si  trova  descritto  nella  leggenda  della 
Vision»  di  S.  Paob  (P.  Yillari,  AfiHeh»  Ugg. 
•  tradix,  oh»  iihutr.  la  Dir.  Oom.,  Fisa,  1865  ; 
A.  D'Ancona,  I  pnounori  di  Daniel  Firenze, 
1874):  che  Dante  accenni  a  questa  andata  di 
Paolo  all'  inforno,  non  pud  assolutamente  am- 
mettersi, dopo  il  belllMimo  studio  del  D'Ovidio, 
pp.  82&^56  ;  sebbene  il  poeta  potò  oonoaoore 
quella  leggenda,  come  altre  medioevali  intomo 
allo  stato  deUe  anime  dopo  la  morte,  e  trama 
anche  qualche  «  vaga  ispirazione  e  eerte  mos- 
se e  certi  germi,  che  insieme  gli  venivano 
pur  da  altre  parti  »  —  Tal  d'elezione  :  cosi 
è  detto  Paolo  negli  AtU  degli  apoet,  ixlb:  ctr. 
B$r,  ZZI  127.  —  29.  per  recarne  eoo.  H  ra- 
pimento di  Paolo  al  cielo  Ai  principio  della 
sua  oonversione  aUa  fede  cristiana,  raccon- 
tata nel  cit  cap.  iz  degli  MU  :  ti  che  oonfbrto 
ecc.  signifi<iherft  incitamento  a  quella  rapida  e 
fervida  conversione  che  Ai  per  Paolo  U  prin- 
dcipio  della  salute.  È  notevde  tuttavia  che 
la  Visione  di  3.  Faoh  si  chiude  coli*  appari- 
zione di  un  angelo,  che  porta  su  nel  delp 
un'anima  buona,  e  con  un  atto  di  grande  mi- 
serìcordla  divina  (la  cessarione  delle  pene  in- 
fernali nel  giorno  della  domenica);  cosi  che 
anche  da  essa  potevano  venire  eccitamenti 
ai  cristiani  a  durar  nella  fede.  —  83.  me 
degno  eoo.  cfr.  Pwrg.  zzz  74.  «  SA.  dtf  ve- 
nire lo  m'abbandono:  mi  lascio  indune  a 
inoomindar  questo  viaggio.  ~  87.  E  quale 
ecc.  Io  mi  trovai  nella  stessa  condizione  di 
ohi  disvuole  dò  che  ha  voluto  e  cambia  pro- 
ponimento, si  ohe  abbandona  l'opera  iniziata, 
tatto  distogliendosene.  Venturi  287  :  «  Dante 


r 


i^^i 


INFERNO  -  CANTO  TI 


13 


e  per  duotì  pensiar  tangia  propostai 
BO        si  die  dal  cominciar  tutto  ai  toUe; 
tal  mi  feo'io  in  quella  oscura  costa: 
pereKé,  pensando,  conaumaì  la  impresa, 
42        che  fu  nel  cominciar  cotanto  tosta- 
<  Se  io  ho  ben  la  tua  parola  intesa, 
rispose  del  magnanimo  quell'ombra, 
45        ranima  tua  è  da  vìi  tate  ofìesa; 
la  qual  molte  fiate  Tuomo  ingombra^ 
si  che  d^onrata  impresa  lo  ri  voi  ve, 
48        come  falso  veder  bestia,  quand^ombra. 
Da  questa  tema  acciò  che  tu  ti  solve, 
dirotti  perch'io  venni,  e  quel  che  intesi 
51        nel  primo  punto  che  di  te  mi  dolve. 
Io  era  tra  color  clie  son  soapesi, 
e  donna  mi  chiamò  beata  e  bellaj 
54        tal  ohe  di  comandare  io  la  richiesi* 
Lucevan  gli  occhi  suoi  pia  che  la  stella 
e  cominciommi  a  dir  eoave  e  piana, 
57        con  angelica  voce,  in  sua  favella  ; 
^  0  anima  corteee  mantovana, 
di  cui  la  fama  ancor  nel  mondo  dura, 
60        e  durerà  qu^ìto  il  mondo  lontana  j 


4abit/à  di  tkon  &t«t  fona  bost&nti  &  ooinpiof* 
fl;  viaggio  dfi'  tie  reguì  pmpovtogll  dm  Yurgi- 
jlo  M^  ^  40.  «MUTA  ettwtM  :  è  ^qaU«  dèi  nìOQte, 
dftllB  ^iiAl«t  •«g:iiitftndo  Virgilio,  Duita  li  an- 
dava aUàntiuumdo  :  enendo  già  Tiotte  non  ora 
Olmnioata  M  flolo.  —  41,  ^QiftDdt»  eoe.  noi 
mJo  petislcro  Tonno  mono  il  prciponimontot 
eii«  cosi  prontnmonto  avoro  fonuato  piùna, 
al  ■«npliee  bartto  dì  Virgilio.  —  ««aauual  t 
Xjomb,  t  «  OonmmùrAj  in  ooiiispondcn^  al 
latino  ecmsamofi,  ralo  finirà  cioè  pir/iiHDJU- 
rt  ;  ma  qtU  adopralo  il  noEtro  poota  poi  tvùrt, 
■1  Hiiao  nnkamonta  di  atssnj  di  oAAanio 
man;  ^  ^nioL  dira  <ù^  tmmò  ì  pual  co'  quaU 
tHO^rm  dìotro  a  Tìigliìoji.  ^  4B.  parolai 
la^spiriaiBonta  il  «on^^eito  tacchiiua  n«lia  p^ 
Toìa  X  coti  fipeoso  in  Dante^  In/l  xxm  76,  Furff^ 
IT  57»  j3t73.— 4S-e<HB*ùlio<Kc.Biti:  *rco- 
m^  la  boftia  sì  lirol^o  e  toma  a  diotiOi,  quando 
adombr»  por  falao  redoro,  oiod  che  U  pAi  Yfih- 
éar  qfnal  oha  con  Tode;  ooaf  l'aomo  ipoaso 
Tolt»  toma  a  dìetio  di  quello  tha  à  preso  di 
taiv,  ATóudo  pfì^TO  di  qnoUo  ehfi  n<3ii  doo  «to' 
re,  partiniloll  qoello  cho  non  è  ».  —  43.  ti 
aoìra  e  ti  difiCu>Iga,  ti  libati  dal  timore  dio  ti 
portartia.  ^  &L  piato  eoo.  momont»  in  oho 
^  proral  iiiuaaidinonto  del  tuo  orrore  :  dok* 
tcrrnm  arcale*,  p«r  daU9  (cfr.  E,  0.  P&nsdi, 
Mil.  OI  JJ&l>.-^fi2.  i*  «n  too.  Sayae&doi  dot- 


tori deUa  dhìMa  Bant»  peno  nolla  regicmn  \n- 
femalo  il  limbo  d«t  bambini  o  dol  pB4ri  :  noi 
Limbo,  ila  qoalli  cho  lon  ao<p«i,  poiché  tìtooo 
«dftxa  tfmn$  in  ooDtbitlo  desiù  do!  paradùto 
(ih/:  [T  ai  s  aegg.)?  ooUoca  YirgilJo,  —  63, 
donaa  ^oc.  Bo^tiico  rs^aute  di  bollexza  e  di 
ìjoatitudinOr  ti  eh*  lo  me  Io  olfeni  pronto  ai 
f^acii  cenni  :  ofr.  I\trg.  i  62  e  hi^.  -^  fi6.  IjV^ 
e«Tafi  eco,  Ck.  la  dworldon*  di  Beatrlco  vi- 
Tonte  (Ctafw.  p.  IIQ)  :  «  Da  ftli  occhi  doUu  mia 
donna  il  mmoTO  Un  Inm*  si  gentil,  obo  doT» 
apparo  SI  Todon  coio,  eh'  oom  non  pnù  jitn^ 
rOf  Fot  Loìo  albozza  o  pot  Iqto  esaor  nnove  w, 
—  la.  itolìa  I  Io  <t«llA  in  gouorale.  come  oolla 
V.  N  Exm  1I<G  :  «  tarb&r  lo  »aìo  od  apparir  la 
etolla  »i  a  nel  Cans.  p.  1^  i  ■  chiamai  la 
FtoU&  taloT  tofiobros»  »,  Utrì  itìtondono  la 
pioUa  di  VoDerOf  o  altii  Àuainienta  crodotto 
che  BÌa  detto  del  iole.  D  Toimca  tichisma  il 
v«tso  di  Lapo  Gianni  ;  «  E  gU  occhi  tuoi  ia- 
OQnti  corno  atoUa  ».  —  56.  «oart  a  piana  :  ag- 
gottivi la  fondoM  à'  arveibi  :  eoaromento  o 
Eoronamenxo,  corno  Beatrioe  era  aolita  faTolla- 
ra.  —  60,  e  dorerà  ow.  Vonturi  463  :  «  Altri 
log^:  ti  mótAf  ed.  è  boi  oonoottoi  ma  b  Jo^ 
^iono  U  mondo  col  lipetoro  V  idoa  do!  Tonu 
proc  i-Jonto  f6^  pia  nat tiralo  o  fom^^DCo  pld 
puotLca:  e  d'altra  parto  d  Tana  o  d  Vaìua, 
lazioue  Yen^no  a  dire  in  aostanaa  lì  j&odo- 


14  DIVINA  COMMEDU 


ramico  mio,  e  non  della  ventura, 
nella  diserta  piaggia  è  impedito 
63       si  nel  cammin,  che  vòlto  è  per  paura: 
e  temo  che  non  sia  già  si  smarrito,  ^ 
ch'io  mi  sia  tardi  al  soccorso  levata, 
GG       per  quel  eh'  io  ho  di  lui  nel  cielo  udito. 
Or  muovi,  e  con  la  tua  parola  ornata, 
e  con  ciò  eh' è  mestieri  al  suo  campare, 
CO        l'aiuta  si  ch'io  ne  sia  consolata. 
Io  son  Beatrice,  che  ti  ùlccìo  andare; 
vegno  di  loco,  ove  tornar  disio; 
72        amor  mi  mosse,  che  mi  £&  parlare. 
Quando  sarò  dinanzi  al  Signor  mio, 
di  te  mi  loderò  sovente  a  lui'. 
75        Tacette  allora,  e  poi  comincia'  io  : 
*0  donna  di  virtù,  sola  per  cui 
l'umana  specie  eccede  ogni  contento 
78        da  quel  del  che  ha  minor  li  cerchi  sui; 
tanto  m'aggrada  il  tuo  comandamento, 
che  l'ubbidir,  se  già  fosse,  m'ò  tardi: 
81        più  non  t'è  uopo  aprirmi  il  tuo  talento. 
Ma  dimmi  la  cagion,  che  non  ti  guardi 
dello  scender  qua  giuso  in  questo  centro 


Simo  ».  -  loitona:  ofr.  B»r.  zr  49.  —  61.  dirine.  —  74.  41  te  al  loderò  eoo.  ti  acqui- 
Amico  Mio  eoo.  Due  principali  ipiegazioni  li  stero  gruia  presso  il  Signore,  ricordandogli 
danno  di  questo  Terso  :  secondo  aloonif  Bea-  1  tnoi  meriti.  —  76.  0  denaa  di  Tlrttf  eoo. 
trioe  Tnol  dire  ohe  Dante  amò  lei  e  non  le  0  Beatrice,  piena  di  virtù,  per  la  qnale  g^ 
esteriori  belleae,  i  beni  estrinseci  alla  soa  nomini  vinoono  d'eccellenza  le  creatore  con- 
natora;  secondo  altri,  ohe  sembrano  pili  nel  tonate  entro  il  délo  della  lana:  secondo  il 
Teso,  Tool  dire  ohe  Duite  ta  caro  a  lei  ma  non  sistema  segafto  da  Dante  la  terra  era  al  ceti- 
alla  fortona,  che  lo  bersagliò.  —  62.  ò  Inpe-  tro  del  mondo  e  dei  noye  deli  mobili,  il  primo 
dito  ecc.  :  ctr,  il  passo  parallelo,  Inf.  1 85^.  de'  qoali  rispetto  alla  terra  era  qaello  della 
—  67.  Or  mnoTl  eco.  Corri  in  sao  soccorso,  lana;  ogni  eontmto  da  q%iel  cM  ecc.  vale  don* 
e  con  le  parole  ohe  gli  dirai  e  con  l'assistenza  qae  jogni  cosa  oontennta  al  di  qoa  del  cielo 
che  gli  porgerai,  liberalo  dall'assalto  delle  pi6  ristretto,  del  dolo  della  lana:  cfir.  lancia 
fiere:  ò  qaeUo  stesso  concetto  che  in  I^trg,  al  Buy.  i  15.  —  di  Tlrttf  :  «  rdna  delle  vir- 
xxm  180  è  espresso  dalle  parole  con  ingegno  tati  »  ò  detta  Beatrice  nella  F.  N,  x  10;  ofir. 
•  eon  arU,  con  tatti  1  mezzi  che  si  possono  anche  iVvy.xxzi  107-109.-80.  l*«bbldlreco. 
troTare  all'altrni  salate  e  con  gli  allettamenti  se  già  aresd  recato  in  atto  U  tao  comando, 
della  pania  ornata,  ~~  68.  al  sno  campare  s  mi  parrebbe  d'esser  stato  pigro  all'abbidire  ; 
cfr.  Pufrg,  I  62.  —  70.  Io  son  Beatrice.  Sto-  espressione  mirabile  ed  efficace  nella  saa  bre- 
ricamento  ò  la  donna  amata  da  Dante,  la  vita:  cfr.  Inf»  tst  87.  —  81.  aprirmi  U  tao 
qaale,  secondo  la  testimonianza  dd  Boccacdo  talento:  manifestarmi  la  taa  volontà.  —  83. 
e  di  Pietro  flgliado  dd  poeta,  ti  fiorentina  centro:  l' inferno  dd  qaale  il  limbo  ò  una 
0  figlia  di  Fdco  Fortinari:  Danto  la  vide  la  serione.  Si  cfr.  con  le  parole  di  Giordano  da 
prima  vdta  nd  1274,  se  ne  innamorò  nd  1288,  Rivalto  {Pnd,  I  147):  «  La  terra  ò  centro 
la  cdebrò  continaamento,  anche  dopo  il  ma-  dd  mondo . . .  però  che  ella  è  nd  mezzo  di 
trimonio  di  lei  con  Simone  de'  Bardi,  avrenato  tatti  i  deli  e  di  tatti  gli  dementi  :  ma  il  di- 
intomo  d  1286;  0  la  pianse  morta,  nd  gin-  ritto  centro  d  ò  appunto  qad  miluogo  della 
gno  1290  (cfr.  V,  N,  i-xzziy).  AUegorìcamento  terra  dentro,  che  ò  in  mezzo  della  terra,  come 
rappresenta  la  IMo  o  la  sdenza  delle  cose  la  granella  in  mezzo  dd  pomo.  Qadlo  4  U 


INFERNO  -  CANTO  JI 


15 


Si       dall'ampio  loco,  oye  tornar  ta  ardi  \ 
*Da  che  tu  vuoi  saper  cot^mto  addentrOp 
dirotti  brevemente,  mi  rispose, 
87        perdi'  io  non  temo  di  venir  (^ua  entro* 
Temer  si  dèe  di  sole  quelle  cose 
e' hanno  potenza  di  fare  altrui  male: 
90        dell'altre  no,  che  non  son  paurose. 
Io  son  fatta  da  Dio,  sua  mercé,  tale, 
ohe  la  vostra  miseria  non  mi  tange^ 
93       né  fiamma  d'esto  incendio  non  m^assale. 
Donna  ò  gentil  nel  del,  che  ei  compianga 
di  questo  impedimento,  ov*io  ti  mando, 
96        si  che  .duro  giudido  Ik.  bu  frange. 
Questa  chiese  Lucia  in  suo  domandOf 
e  disse:  -  Or  ha  bisogno  il  tuo  fedele 
99       di  te,  ed  io  a  te  lo  raccomando.  - 
Lucia,  nimica  di  ciascun  crudele, 
si  mosse,  e  venne  al  loco  dov*io  era, 
102        che  mi  sedea  con  l'antica  Eaohele. 
Disse:  -  Beatrice,  loda  di  Dio  vera, 


foxtto  oentrOf  ore  noi  crediamo  sìa  Tizifemo  ». 
_  84.  MBVlo  loco:  il  delo  empireo  che  «  più 
uipio  si  spazi»»  iHirg,  zxvx  68).  —  ardi: 
il  Tb.  €Brd$n  Tale  desidenie  ardentemente. 
— 86.  eataato  addestro  t  Booo.  :  «  si  profonda 
•d  oocolta  cosa  ».  —  88.  Ttmer  eoo.  Boco.: 
«  Siooome  Axistotile  nel  tono  dell'£Moa  ynole, 
il  non  temer  le  cose  ohe  poason  nnooere,  come 
Kmo  i  taani,  gli  incendi  e*  dilavi  dell'acque, 
te  nùne  de^  edifici  e  simili  a  queste,  d  atto 
41  bestiale  e  di  temerario  nomo;  e  cosi  te- 
aere  qiialle  ohe  nnooere'  non  possono,  come 
nzebbo  ohe  raomo  temesse  nna  lepre,  o  il 
rotato  d'ima  qnagUa,  ole  coma  d'nna  Inmapa, 
è  atto  di  rUissimo  nomo,  timido  e  rimesso: 
Is  qnàJà  dme  estremità  quésta  donna  tocca  di- 
wiHitamffiìtOi  dicendo  esser  da  temere  le  cose 
(±0  poesonff  nuoosse».  —  90.  pavrosei  ca- 
paci di  fax  pan»;  oosf  nella  V,  N.  m  5: 
«  ima  figura  d*nn  signore,  di  pauroso  aspetto 
a  chi  la  guaidasse  ».  ~  93.  la  Tosira  mise- 
ri* ecc.  né  la  miseria  di  toì,  che  siete  nel 
babo  senza  aloana  speranza  di  beatitudine, 
BÓ  i  toxmenti,  cui  sono  dannati  gli  spiriti  mal- 
Tsgi  nelle  altre  parti  di  questo  regno,  mi  toc- 
cano. —  94.  Donna  h  gentil  eco.  Questa 
ionns  gentile  ò  la  Vergine  A£aria,  il  nome 
aaiia.  quale  come  sacro  non  ò  mai  pronunziato 
vìPMf»;  nel  senso  allfgoxico  è  simbolo  della 
pMia  diTina:  ofr.  Bir^.  zxvi  69^.  —  si 
eomplaage:  alcuni  intendono:  piange  insie- 
aeeon  me;  altri:  si  duole,  si  rammarica  al  co- 
lpetto di  Dio.  —  96.  s{  ehe  duro  eco.  mitiga 
k  sererità  dalla  divina  giostizia,  ottenendo  il 


perdona?  b1  peocnl4ìn3«  -^  97.  Qieita  oc«.  La 
YergiDe  chiamò  Lucia  Taooomuidandole  Dmita 
suo  fedele.  Lucia  è  la  sanU  nuutlro  elrócu- 
sana,  venorata  com^  aìutatrice  di  quelli  oh« 
soffrono  mail  d«lla  Tt«ta;  alltìgt]riDatQ«iito  è  ti 
simbolo  dfllila  grada  ìUnmlniLDtfl,  Seconda  il- 
trisimbtìl<^ggift  la4ÌTiaj»gmstisi&:Qfi-.  ilboUo 
scritto  di  E.  Fomaddrif  Studia  pp.  t-^.  — 
98.  tao  fede  lei  foii«  è  wxàmintB.  ^^  ìt  fpe^ 
dale  dÌTtyzìoiie  che  Dante,  colpito  più  Tolto 
da  infónnità  *gU  occhu  potò  aver»  par  saota 
Lucia.  ~  100.  al  mica  41  «li»  a  a  erodale; 
perché  In  gta:;La  UlumiriJiiilo  rtsplplidQ  eclji- 
mente  agli  aaiini  miti.  -^  101,  «1  niOMe  ecc. 
GiuL  :  «  B04trioe  in  oldo  è  ooll^cata  accanto 
Bachfilo,  •  di  sottcì,  Iliache  h^n  dirctttunonto, 
a  Maria,  E  quindi  ella  rimanera  dalla  parto 
opposta  a  Loda,  U  quale  porciA  Ò  Terijùmile 
òhe  sì  moTTiisso  di  etto  luofo  per  p«)-lan>  con 
Beatrico  n  i  di.  Par.  nxii  7-9,  136-138.  — 
102.  Eachei  e;  c£r.  Pitrg.  xim  it>t.  ^  103. 
loda  di  I)Ì4>  rei-a^  Di  Beatrice  vigente  seri- 
TO  Danttì,  K  N.  un  2  ;  «  Tonno  in  tanta 
grazia  do  lo  genti  eh»  quando  pusara  por 
via,  le  persone  oorraano  per  Yaltì»  lei. . , 
Ed  altri  diceono  :  *  innesta  è  una  marovi- 
glia;  che  benc^tto  aU  b  S(?gnoro  ohe  xf 
mirabilomonte  lao  adoperare  I  *  »  Quanto  a|- 
l'allegeria,  icriro  il  Limd.  :  m  Motti  filoso^  e 
teologi  ^ntUì  $1  aonù  lu^gnati  d' inTostlji^ 
l'eccellonza  delta  nataiA  diTina^  ma  iwa^una 
ha  potuto  troTikT  il  vóto^  oi-me  la  toolcffia 
de*  cristiani  :  dunque  «ola  Beatrice  A  Teni  loda 
di  Dio  ;  doò,  sola  la  nostra  teologia  loda  Iddio 


16 


DIVINA  COMMEDU 


che  non  socoom  quei  die  t*amò  tanto, 

105  che  uscio  per  te  della  volgare  schiera? 
Non  odi  ta  la  pietà  del  suo  pianto» 

non  Tedi  tu  la  morte  che  il  combatte 

106  su  la  fiumana,  oto  il  mar  non  ha  vanto  ?  — 
Al  mondo  non  f&r  mai  persone  ratte 

a  &r  lor  prò,  né  a  fuggir  lor  danno, 
111        com'io,  dopo  cotai  parole  fatte, 

venni  qua  già  dal  mio  beato  scanno, 
fidandomi  del  tuo  parlare  onesto» 
114       che  onora  te  e  quei  ohe  udito  1* hanno'. 
Poscia  ohe  m'ebbe  ragionato  questo, 
gli  occhi  lucenti  lagrìmando  volse; 
117        per  che  mi  fece  del  venir  più  presto: 
e  venni  a  te  cosi,  com*ella  volse; 
dinansi  a  quella  fiera  ti  levai, 
120       che  del  bel  monte  il  corto  andar  ti  tolse. 
Dunque  che  ò?  perché,  perché  ristai? 
perché  tanta  viltà  nel  core  aUette? 
123       perché  ardire  e  franchesia  non  hai, 
poscia  ohe  tai  tre  donne  benedette 
euran  di  te  nella  corte  del  cielo» 
126       e  il  mio  parlar  tanto  ben  t' impromette?  > 
Quali  i  fioretti,  dal  notturno  gelo 


t 


a  rtn  Iodi  ».  —  lOS.  p«r  U:  eoa  gli  stadi 
•  oos  irli  scrìtti,  oad»  toU*  oelebmtl.  —  lOS. 
la  fMa  «oc  fi  pùnto  «ngoadoso,  «ilwiiMwr» 
che  opyriae  Duto.  «  107.  la  HMrto  mo. 
Blaao:  «  VedxMMO  naDa  Mori»  la  moxta  ^éii- 
taal»  •  MUa  fimmam  la  Tita  deU'noao  tam- 
puitita  daPd  pawkmi;  cmHwtarntmkmwtmlo 
Bon  Tvol  dir  già  che  il  mare  non  ha  Tasto 
Mfca  Aihwnnfii^  poidié  Acheronte  non  irtoe- 
ca  tnhotano  al  aaia,  abbono  ohe  il  mvo  non 
pad  arw  nato  nOa  inmoan,  oono  qntDo 
che  è  Bflao  baoiecioo  •  maao  pedoolooo. 
Donde  è  chiaio  ohe  la  Morln,  la  quale  Bxnno- 
àa  il  poeta,  è  nna  ooea  sola  odia  tre  fiexe,  e 
la  timmam  colla  setra  ».  —  109.  Al  Man4e 
eoe  V«Kbnid97:  «  Oaldo  •  pietoso  oonestto 
è  racchìiBO  nella  siaOitaffine;  neDa  qnele 
Taofai  lieonieie  eh»  Bwtzioe,  imagine  para  del 
pómo  iMor  del  poeta,  è  simbolo  della  sdan» 
dirima,  ohe  ia  pco  all'anima  disiosa  del  rero, 
e  ftiga  11  danno  delPstrote  ».  —  lU.  parale 
fktta:  parole  oha  Locia  ai  disse.  —  US.  •- 
daadf-ni'  eoe.  Bsne  osserra  il  Tomai,  ohe 
«  la  beOian  e  parità  deU'  ingegno  di  Yìigilio 
è  poeta  da  Dante,  qoaai  grado  dalla  8oì«nia 
HMpnffils  all'eterna  ».  —  115.  raglanate: 
detto.  —  116.  lagilsisada:  i  qnali  lagnma- 
dod  msntro  mi  pregara 


(efr.  iWy.  xzz  141).  Qnaato  al  genmdìfii 
finzione  di  paitk^  ofr.  A/l  zzzi  Ikì 
Tolae:  Beco.:  «Tsno  il  cielo;  doveèqid| 
intsttdsvaehe,  dettola  saaintoulooesl 
gilio,  si  tonò:  e  qoesto  lagrimaie  SDeoiaj 
d'aibaioM  si  diBoetca,  dimosttandiiii  aal 
nn  atto  d'acato  e  ■aialmsmiiils  di  dal 
le  qnali,  eome  hanno  piagato  d'afcsnsl 
la  qnale  desUsfino,  iaoontaneoto  lagiiai 
mostiando  in  qnaUo  il  desiderio  loro  m 
axdeatisstaao».  ~  117.  par  che  eeo.  efr.  A 
zxvn  137.  ~  118.  Talaas  ToUe;  mmumi 
qnsnto  nei  ooatemporansi  di  Diate.  (1< 
Parodi,  Bau.  miai) ^UO.qnsDa Itti 
lupa;  cfir.191  e  sagg.  —  12L  rlitaitil 
rùtarv  ne|^  aaticki  ▼ala  proprianaite  | 
«Mm,  oome  qni  e  spesoo  in  Dante.  -  121i 
letto:  U  Th.  affiffari  qii  e  naU'£^.  a 
significa  maaiiiastaaeato  oeoeyNariik  iNiM 
cuors.  — ULtreaaaae;  laYeigiM,L94 
BeatEiea.— 127. 4)aaU  I  aeretti  eoo.  Tenti 
a  qnestosqnisitiasiaM  tra  le  sfaniUtaiisidri 
sohe  paragona  i  Tsni  del  FoUfisao,  £M| 
38,  6:  «  SoigeToa  tngiadod  in  kco  itslf  j 
fior  chinati  dal  aottamo  gelo  »,  e  «wUi 
Tasao,  (Ter.  W.  IT  75,  8:  «Pamii  mi^ 
sieoM  e  bianchi  ftoii,  8e  por  gl'iniga  vi 
giadoao  nenho,  QaaiiAo  soll'ifpenrdt'l 


r 


INFERNO  —  CANTO  n 


chinati  e  chiusi,  poi  che  il  sol  gP  imbianca 
129        si  drizzan  tutti  aperti  in  loro  stelo; 
tal  mi  fec'io,  di  mia  virtude  stanca, 
e  tanto  buono  ardire  al  cor  mi  corse 
132       ch'io  cominciai  come  persona  franca: 
«  O  pietosa  colei  che  mi  soccorse, 
e  tu  cortese,  che  ubbidisti  tosto 
135        alle  vere  parole  che  ti  porse! 

Tu  m'hai  con  desiderio  il  cor  disposto 
si  al  venir,  con  le  parole  tue, 
138       ch'io  son  tornato  nel  primo  proposto. 
Or  ya,  ohe  un  sol  volere  è  d'ambedue: 
tu  duca,  tu  signore  e  tu  maestro  >. 
Cosi  gli  dissi;  e  poiché  mosso  fue, 
142    entrai  per  lo  cammino  alto  e  silvestre. 


albozi,  Spiegano  a  l'aare  lioto  il  cbiiuo  [ 
bo  ».  —  128.  ImblaacA  :  iUnmina  dalla  ehm 
bianca  hioe.  —  IdO.  Ul  mi  fselo  eoe  cod  io, 
che  mi  eia  eooxaggiato,  a*  conforti  di  Vìigìlio 
jipnà  aidixB.  —  182.  frameftt  libera  da  ogni 
timoie.  —  185.  yere  parale  :  quelle  di  Beatri- 
ce, coma  di  colei  che  «non  por^  mentile  Però 
che  Minpre  al  primo  vero  ò  preeso  (Bir.  ly 
96)  ».  —  188.  priae  propeiiot  il  primo  pro- 
ponimento, che  ta  qoello  di  segoire  Virgilio; 
cfr.  Inf,  I  180  e  aegg.  — 140.  tm  ecc.  Beco.: 


«  tu  dueai  quanto  ò  nell'andare;  U^  ii;ti«n, 
qoantc  è  alla  preeminenxa  e  al  coraandAP&; 
•  tu  fiuMstro,  quanto  d  al  dimostrare  ».  Si  t^j- 
drà  leggendo  il  poema  come  Dante  lìf  snsca 
sterno  l'ano  o  l'altro  di  questi  titoli  ti  Vir- 
gilio, secondo  il  Tarlo  officio  che  ilBp0ttty&- 
mente  egli  compie  o  di  guida  o  di  sigiiùn»  a 
di  maestro.  — 142.  per  lo  esamino  eco.  per 
la  via  difficile  e  selvaggia  dell'infetuo  :  ttt, 
Inf.  xzz  84,  doTo  è  detta  oommin  #i£reaM?, 


CANTO  in 


Dante  e  Virgilio  entrano  nell'Inferno,  e  si  trovano  nel  yestlbolo^  ove 
sono  raccolti  i  vili;  e  pervenuti  alla  riviera  d'àcheronte  osservano  il  luts- 
ssLggìo  delle  anime  sulla  barca  di  Caronte:  in  un  grande  commovi  pi  e  nto 
delle  regioni  infernali.  Dante  cade  vinto  da  nn  improvviso  baleno  e  tuos^ì 
ò  trasportato  all'  altra  riva  del  fiume  [sera  dell'  8  aprile]. 

<  Per  me  si  va  nella  città  dolente, 

per  me  si  va  nell'eterno  dolore, 

8       per  me  si  va  tra  la  perduta  gente. 

Giustizia  mosse  il  mio  alto  fattore, 

fecemi  la  divina  potestate 

6       la  somma  sapienza  e  il  primo  amore. 


m  1.  Per  JM  eoo.  Questi  primi  nove  versi 
sono  inscrìtti  sopra  la  porta  dell'inferno  per 
ammonimento  e  avvertimento  alle  anime  che 
entrano  nel  regno  del  dolore.—  città  dolente  : 
l'intieiro  inferno,  che  si  può  considerar  quale 
la  propria  sede  del  dolore;  come  il  paradiso 
è  U  città  di  Dio  (cfr.  Inf.  x  126).  Alcuni  in- 

DiJfTI 


tendono  «  la  città  che  ha  nome  Dite  {Ltf.  vtii 
68)  >»,  che  d  sola  una  parte  dell'  inf0niD<  — 
5.  fecemi  eoo.  Circoscrive  la  Trinità  nù'  sani 
attributi;  seguendo  Tommaso  d'Aquino  [Sttnk' 
ma  theol.f  p.  L  qu.  xxzix,  art.  8),  il  qcioSo 
dice  che  al  Padre  si  appropria  la  poton/u  <.p>- 
(w(a(s),  al  Figlio  la  sapienza  (mumma  sajttjfnxa) 


1 


18  DIVINA  COMMEDIA 


Dinanzi  a  me  non  far  cose  create, 
se  non  eteme,  ed  io  etemo  duro: 
9        lasciate  ogni  speranza,  voi,  ch'entrate!» 
Queste  parole  di  colore  oscuro 
vid'io  scritte  al  sommo  d'una  porta; 
12       per  eh*  io  :  <  Maestro,  il  senso  lor  m' è  duro  ». 
Ed  egli  a  me,  come  persona  accorta: 
«  Qui  si  convien  lasciare  ogni  sospetto  ; 
15        ogni  viltà  convien  che  qui  sia  morta. 
Noi  Siam  venuti  al  loco  ov'io  t*ho  detto, 
che  tu  vedrai  le  genti  dolorose, 
18       e'  hanno  perduto  il  ben  dello  intelletto  >. 
E  poi  che  la  sua  mano  alla  mia  pose, 
con  lieto  volto,  ond'io  mi  confortai, 
21       mi  mise  dentro  alle  segrete  cose. 
Quivi  sospiri,  pianti  ed  alti  guai 
risonavan  per  l'aer  senza  stelle, 
24        per  ch'io  al  cominciar  ne  lagrìmai. 
Diverse  lingue,  orribili  favelle, 
parole  di  dolore,  accenti  d'ira, 
27        voci  alte  e  fioche,  e  suon  di  man  con  elle, 
facevano  un  tumulto,  il  qual  s'aggira 
sempre  in  quell'aria  senza  tempo  tinta, 
80       come  la  rena  quando  a  turbo  spira. 
Ed  io,  ch'avea  d'orror  la  testa  cinta, 

e  allo  Spirito  Santo  la  bontà  {primo  amore),  tesca  oon  la  Tiigillana  (J^  ti  657)  :  «  Hino 

—  7.  Dinanzi  eoe  Seguendo  la  tradizione  exaodiii  gemitoa,  et  laeva  aonaie  Verbexm  : 
ey-aogelica  (Matteo  xxv  41),  dice  che  l'inferno  tom  stiidor  foni,  tractaeqne  catenae  »  ;  dove 
fti  Oleato  prima  dell'uomo:  quando  non  r'e-  meno  -viva  è  l'espieesione  del  tormento  mo- 
rano  altre  cose  create  che  le  eterne,  dod  gli  rale,  che  il  liyela  inyeoe  nell'efficace  rappre- 
angeli,  i  deli  e  la  materia  prima.— 8.  f  temo:  sentazione  di  Dante.  Venturi  67:  «  D  paia- 
etemamente;  d  il  eolito  agg.  in  fonzione  ay-  gone  del  tomolto  yario  e  oonf&so  di  quelle 
yerbiale  (ctr.  Inf,  xix  12).  —  10.  di  colore  anime  furiosamente  aggirate,  e  di  que'  suoni 
ose«r  •  :  a  neri  caratteri  ;  quaU  il  conyeniyano  disperati,  col  yortiooso  riyolgìmento  della  rena 
all'oscuro  regno  del  dolore.  —  12.  il  senso  mossa  dal  turbine,  è  tutta  cosa  di  Dante.  £ 
ter  m' è  dnres  hùd.  solamente  quello  dell'ai-  si  ponga  mente  al  yaloxe  degli  epiteti  e  alla 
timo  yerso,  ma  il  senso  di  tutta  la  terribile  stupenda  gradarione  dal  pi6  al  meno.  Prima 
iscrizione  doyeya  esser  grayoso  a  Dante;  nò  nota  1  linguaggi,  poi  le  pronunzie,  poi  le  p4^ 
gi&  solo  perché  egli  temesse  di  non  nsdr  pid  rde,  l'accento,  la  yoce,  il  snono  ».  —  24.  al 
dall'inferno,  ma  perohó  ne  traeya  come  un  eominelar:  a  sentir  la  prima  yoHa  quel  tu- 
presentimento  dei  nudi  e  dei  dolori  ohe  gli  si  multo  doloroso.  —  26.  Diverse  lingue:  se- 
saiebbero  preeentatL  —  14.  Q«l  ecc.  il  oon-  oondo  alcuni,  linguaggi  difléienti,  poiché  qui 
cotto  dantesco  risale  a  quel  &  Virgilio,  .^i.  conyengono  gli  q^tldaogni  paese;  secondo 
yx  261:  «  Nunc  aninùs  opus,  Aenea,  nuno  altri,  linguaggi  che  il  dolore  fa  disformi  dagli 
pectore  firmo  »:  cfr.  Jnf,  yn  4,  ym  104,  zvn  umanL  —  27.  ioen  di  buib  con  elle:  rumore 
81,  xziy  66,  xzxxy  20.  —  16.  t' ko  detto  :  di  mani  percosse,  che  aocompagnaya  le  strane 
cfr.  Inf,  I  114  e  segg.  —  18.  il  ben  dello  e  yarie  yoci  dei  dannati.  —  29.  tensft  tempo 
intelletto:  la  cognizione  di  Dio,  nella  quale  tinta:  eternamente  oscura.  Altri  spiegano: 
consiste  la  spirituale  beatitudine.  —  21.  mi  senza  yicenda  di  luce  e  di  tenebre;  che  toma 
mise  dentro  :  m' intiodusse  neU'  inferno,  a  poi,  in  fondo,  lo  stesso.  —  80.  quando  a 
yoder  le  cose  nascoste  agli  occhi  degli  uomini.  turbo  spira:  quando  il  yento  soffia  turbino- 

—  22.  QvÌtì  eoo.  8i  cfi:.  la  descrizione  dan-  samente.  —  81.  are*  d'orror  eoo.  ayeva  la 


INPERNO  -  CANTO  IH 


19 


dissi  :  <  Maestro,  che  ò  quel  eh'  i'  odo  ? 
83       e  ohe  gent'è,  che  par  nel  duol  si  vinta?  » 
Ed  egli  a  me:  <  Qaesto  misero  modo 
tengon  l'anime  triste  di  coloro, 
86       che  visser  senza  infamia  e  senza  lodo. 
Mischiate  sono  a  quel  cattivo  coro 
degli  angeli,  che  non  furon  ribelli, 
89       né  fClr  fedeli  a  Dio,  ma  per  sé  fóro. 
Caccianli  i  ciel  per  non  esser  men  belli: 
né  lo  profondo  inferno  gli  riceve, 
42        che  alcuna  gloria  i  rei  avrebber  d'elli  ». 
Ed  io  :  <  Maestro,  che  è  tanto  greve 
a  lor,  che  lamentar  gli  fa  si  forte?  » 
45       Rispose:  «  Dicerolti  molto  breve. 
Questi  non  hanno  speranza  di  morte, 
e  la  lor  cieca  vita  è  tanto  bassa, 
48       che  invidiosi  son  d'ogni  altra  sorte. 
Fama  di  loro  il  mondo  esser  non  lassa, 
misericordia  e  giustizia  gli  sdegna: 
51        non  ragioniam  di  lor,  ma  guarda  e  passa  ». 
Ed  io,  che  riguardai,  vidi  un'insegna, 
che  girando  correva  tanto  ratta 


tasta  itordita  per  i  pianti  e  i  guai  risonanti 
iatomo  aiiie.Bioordailyiigiliano,.^i.n  669: 
«  At  B»  tua  primom  nema  dxoamstetit  hor» 
TOT  »,  ma  ancho  l'altro  dflll'.^».  ti  669:  «  str»- 
pttonqiiie  extaaitaa  haositii;  tanto  più  che 
la  eoni^ondenza  oontinna  anche  nella  do- 
manda zirolta  alla  goida,  J^  ti  660:  «  Qoae 
■oriemm  tÈ/Amf  o  Tixgo,  efEaie;  qnihosye  Ur» 
gentor  poanitf  quia  tantoB  plangor  ad  aoras  ?  » 
(Moore,  I  193).  —  84.  Ki  agU  a  se  eoe  AUa 
dvplioe  domanda  di  Dante,  che  cosa  foaser  quei 
Imenii  •  quali  spiriti  fossero  cosi  afflitti, 
VlrglUo  risponde  oomprensivamente ,  esser 
qwéUì  ì  pianti  dei  viU.  —  86.  elis  Tlsier  eco. 
senza  arem  il  coraggio  di  operare  il  male  né 
qaeUo  di  Une  il  bene;  e  però  non  meritano 
V  ««^«ni^j  ohe  è  pena  dorata  ai  malvagi,  nò 
la  lode  o  il  bnon  nome^  ohe  ò  premio  dei  vir- 
tnceL  «  lodo  :  lode  ;  con  nsnale  cambiamento 
della  terminazione  e  del  genere  (  cfr.  £.  O. 
Parodi,  BulL  IH  119).  —  87.  eattlTO  «oro 
eoe.  la  vile  schiera  degli  angeli,  che  nella  rì- 
ì^iii^Mi  di  Lucifero  contro  Dio  non  si  dichia- 
rarono né  per  Tono  nò  per  l'altro,  rimanendo 
neutrali:  idla  tradizione  biblica  d  ignota  que- 
sta ocfaisra  di  angeli  nenttali  (cfr.  Moore,  1 80), 
che  sono  per  altro  ricordati  nella  leggenda  del 
Tiaggio  di  san  Brandano  (cfr.  D'Ancona,  IV»- 
tmnoHdllkmtéy  pp.  61-62).  —  89.  tìrot  ta- 
looo;  è  una  fonna forte,  frequente  in  Dante, 
■a  seaipre  in  rima  (cfr.  E.  0.  Parodi,  Bull, 


m  131).  —  40.  C'aeciaall  1  elei  oin^.  J  doti 
discacciano  lungi  da  sé  questi  img«1i  che  fu- 
rono codardi,  perché  didla  proson^  éì  osai 
riceverebbe  qualche  detrimento  la.  jurr^tta  bel- 
lezza del  paradiso.  —  42.  ehd  alunni  eo& 
perché  i  dannati  si  glorierebbe»}  d'avor  mm* 
pagni  di  pena  quelli  angeli  cho  ddd  pocCA^ 
rono  di  ribellione,  ma  solamente  di  viltà.  -^ 
48.  che  hi  qual  pena  ò  ecc.  —  45,  dle^roltl; 
U  io  dieerò,  te  lo  dirò:  spesso  in  Dimtid  &' in- 
contrano le  forme  primitive  del  vsrbo  dicfra. 
—  46.  Questi  eco.  non  hanno  alcuna  vp^mum 
che  il  loro  misero  stato  abbia  a  cuasAr«,  poasa 
aver  fine.  —  47.  tanto  bassa;  Booo.:  m  doA 
tanto  depressa,  avendo  riguardo  ohe  In  infor- 
no sieno  dannati  in  etemo,  e  $u  nel  nondo 
di  loro  alcuna  memoria  non  sia  ».  —  43.  d'^ 
gal  altra  sorte:  di  qualsivoglU  condifiane 
differente  dalla  loro,  anche  di  quella  dai  dan- 
nati alle  pene  più  gravL  —  4VL  Fama  oco. 
n  mondo  degli  uomini  non  concede  agli  ignavi 
alcuna  fama;  né  la  buona  che  selenita  olla 
virtuose  opere,  né  la  cattiva  ch(3  ticn  dLotro 
alle  male  operazionL  —  50.  ads  rltrordla  qì:c,* 
Sono  esclusi  egualmente  dal  p.ir;idijj<j ,  ore 
trionfa  la  misericordia  di  Dio,  o  dall'  in  renici, 
ove  si  manifesta  terribile  la  divina  gì  nitida*, 
cfr.  il  V.  63  ove  lo  stesso  concetto  ò  ribniJito 
in  forma  di  stupenda  gagliardia,  ^51.  aoB 
ragioniam  ecc.  Verso  di  mirabili]  (^ffìnncia, 
dovuta  tutta  alia  brevità  della  socoudu  partM 


20 


DIVINA  COMMEDIA 


54        che  d*ogni  posa  mi  pareva  indegna: 
e  dietro  le  venia  si  lunga  tratta 
di  gente,  ch'i'  non  avrei  mai  creduto 
67        che  morte  tanta  n'avesse  disfiE^ta. 
Poscia  ch'io  v'ehbi  alcun  riconosciuto, 
vidi  e  conobbi  l'ombra  di  colui 
60       che  fece  per  viltate  il  gran  rifiuto. 
Incontanente  intesi,  e  certo  fui, 
che  quest'era  la  sètta  dei  cattivi, 
63        a  Dio  spiacenti  ed  a' nemici  suL 
Questi  sciaurati,  che  mai  non  far  vivi, 
erano  ignudi  e  stimolati  molto 
66        da  mosconi  e  da  vespe  ch'erano  ivi 
Elle  rigavan  lor  di  sangue  il  volto, 
che,  mischiato  di  lagrime,  ai  lor  piedi 
69        da  fastidiosi  vermi  era  ricolto. 

E  poi  che  a  riguardare  oltre  mi  diedi, 
vidi  gente  alla  riva  d'un  gnu  fiume; 
72        per  eh'  io  dissi  :  €  Maestro,  or  mi  concedi 


ed  è  di  qiielli  che,  toccando  la  pecfezioiie  nel- 
l'espressioiie  di  un  pensieroi  sono  diyenati 
modi  dell'oso  cornane  e  quasi  proverbiali.  — 
54.  d*egal  fMft  ecc.  mi  pareva  esser  con- 
dannata  a  girar  etemamoite,  e  però  incUgfuit 
non  giudicata  meritevole  d'alcuna  benché  mi- 
nima pausa.  —  65.  e  dietro  ecc.  e  dietro  al- 
l'insegna  correva  una  si  lunga  schiera  di 
gente,  eh'  io  non  avrei  mai  creduto  che  tanti 
uomini  fossero  mortu  Della  pena  dice  bene 
il  Buti  :  «  Questa  pare  conveniente  pena  a  co- 
storo, che  mai  non  anno  voluto  fare  alcuna 
ooea,  che  sieno  posti  a  sempre  correre  in  giro, 
a  dò  che  non  abbino  mai  line  e  mal  non  tA. 
posino  coloro  che  sempre  si  sono  posati  e  sono 
vivuti  pur  per  mangiare  e  bere  e  dormire, 
come  le  bestie  ».  —  58.  alena:  sebbene  Dante 
ne  riconoscesse  pi6  d'uno,  non  designa  per 
nome  alcuno  di  questi  vili,  indegni  di  qua- 
lunque fama.  —  59.  eolal  ecc.  «  Chi  costui 
si  fosse,  non  si  sa  assai  certo  »,  dice  il  Bocc., 
e  veramente  gìÀ  fra  i  pi6  vecchi  commenta- 
tori d  discordia  circa  il  personaggio  cosi  oscu- 
ramente indicato  da  Dante.  Secondo  i  piò,  si 
tratta  di  Pietro  da  Morrone,  eletto  papa  col 
nome  di  Celestino  V  nel  1294;  il  quale  dopo 
cinque  mesi  abdicò,  giudicandosi  inetto  a  go- 
vernare la  Chiesa  :  cosi  fu  eletto  Bonifacio  Vm, 
che  Dante  considerava  come  prima  origine 
dei  mali  di  Firenze  e  quindi  anche  dei  suoi. 
Quest'opinione  non  pare  accettabile  a  chi 
giudica  impossibile  cho  Dante  facesse  giudi- 
zio cosi  sinistro  e  ingiusto  dì  un  uomo  di  pura 
vita  qual  fti  Celestino  V  (cfr.  Inf,  xxvn  105), 
santificato  dalla  Chiesa  poco  dopo  la  sua 


morte,  e  perché  non  si  sa  dove  e  quando  il 
poeta  possa  averlo  yeduto  nel  mondo,  si  da 
rìconoecerae  poi  l'ombra  nell'  infèrno.  Ma  gli 
studi  del  Tocco,  BibL  dantesoa,  VI,  pp.  81-88, 
e  del  D' Ovidio,  pp.  418-434,  hanno  ormai 
rimosso  ogni  difficoltà,  dimostrando  che  Dante 
potè  ignorare  la  santificazione  di  Celestino  V, 
e  che  nel  y.  59  non  ò  necessario  intendere 
espressa  l' idea  d' un  riconoscimento  perso- 
nale (cfr.  31/1  IV  122).  —  62.  eattivl:  vili , 
in  questo  senso  usò  la  stessa  parola,  e  proprio 
in  un  luogo  dove  è  ricordato  questo  di  Dante, 
anche  F.  degli  TTberti  {DUtamondo  iv,  21,  87): 
«  Tra  lor  cosi  per  cattivo  si  danna  D  misero 
Giovanni  lor  delfino.  Che  rifiutò  l'onor  di 
tanta  manna,  Come  ò  in  inferno  papa  Cel^ 
stino».  —  65.  eraao  ecc.  Giuliani:  algm*- 
di,,.,  1  pusillanimi,  perché  ninna  bontà  gli 
attrasse  né  or  frtfia  ta  loro  m«mona\  Tengono 
di  continuo  $timoiaH  da  vili  animalucci,  da 
che  non  obbedirono.al  nobile  istinto  <mde  siam 
tratti  *  a  seguir  virtute  e  conoscenza  '  (Inf. 
xzvi  120)  e  sentendosi  costretti  a  dar  loffHmó 
e  Mngu»  per  pascolo  di  vilissimi  e  sempre 
rinascenti  Termi.  Imagine  evidente  di  una 
coscienza  perennemente  lacerata  dal  senti- 
mento della  propria  viltà  e  dall'invidia  di 
qualsiasi  cUtra  torte»,  —  71.  gran  !!«■•: 
l'Acheronte,  il  primo  e  il  pi6  grande  dei  fiu- 
mi infernali,  òhe  Dante  trova  nel  suo  viaggio; 
nasce  dalle  lagrime  che  piovono  dalle  fessure 
del  gran  Teglie  di  Creta,  simbolo  del  genero 
umano  (cfr.  J&t/l  nv  116),  e  gira  tutto  intomo 
al  baratro  infernale,  flndtié  nel  quinto  cercèio 
dilaga  nella  palude  di  Stige  (cfr.  Inf.  vn  106). 


INFERNO  —  CANTO  HI 


21 


ch'io  sappia  quali  sono,  e  qaal  costume 
le  fia  di  trapassar  parer  si  pronte, 
76       com'  io  disoemo  per  lo  fioco  lume  »• 
£d  egli  a  me  :  €  Le  cose  ti  fien  conte, 
quando  noi  fermerem  li  nostri  passi 
78       su  la  trista  riviera  d'Acheronte  >. 
Allor  con  gli  occhi  vergognosi  e  bassi, 
temendo  no  1  mio  dir  gli  fiisse  grave, 
81        infino  al  fiume  di  parlar  mi  trassi. 
Ed  eooo  verso  noi  venir  per  nave 
un  vecchio  bianco  per  antico  pelo, 
84       gridando  :  €  Guai  a  voi,  anime  prave  ! 
Non  isperate  mai  veder  lo  cielo: 
i'vegno  per  menarvi  all'altra  riva, 
87       nelle  tenebre  eteme,  in  caldo  e  in  gelo; 
e  tu  che  se' costi,  anima  viva, 
partiti  da  cotesti  che  son  morti  »• 
90       Ma  poi  ch'ei  vide  ch'io  non  mi  partiva, 
disse:  <  Per  altra  via,  per  altri  porti 
verrai  a  piaggia,  non  qui,  per  passare: 
93       più  lieve  legno  convien  che  ti  porti  >. 
E  il  duca  a  lui:  «  Caron  non  ti  crucciare: 


—  78.  «MtBMt:  legge,  o,  come  altri  inten- 
dmo,  propzìetà,  modo  d'operaie:  otr.  Bar, 
xjDon  88.  —  7S.  Le  Mte  eoe.  Le  cose  ohe 
TDoi  sapete  ti  saraimo  cognite,  palesi  ecc.  Si 
■ffHWi?»^.  alla  ^iegaz&one  ohe  Vizgilio  darà, 
aenzs  che  Dante  gli  fiwoia  alcon'altia  lichieeta, 
Mi  TT.  121-129.  —  79.  ?ergogBò8Ìs  riverenti, 
e  però  Tòlti  a  taira;  perché  Dante  temeva 
che  U  eoa  cariodtà  rinaciwo  spiacevole  a 
Vin^ìlio.  —  81.  di  parlar  eoo.  mi  astenni  dal 
parlare.  —  82.  E4  ecco  eoe  Si  ofr.  colla  de- 
scrizione Tiigiliaaa,  sema  dubbio  avuta  pre- 
sente d»  Dante  (i^  vi  298):  « Portitor  has 
korrandoa  aqnae  et  flomina  servat  Terribili 
a«|aa]ore  CSiaion:  coi  plurima  mento  Oanitiee 
ixfecnlta  iaoet:  stant  lumina  fiamma:  Sordidos 
ex  humeria  nodo  d^pendet  amictus  ».  ~  88. 
■■  Teedd«  eoe  Oaionte,  figlio  deU'Erebo  e 
della  Notte,  noochiero  infernale.  Dante  oon- 
fbnaandoei  alle  credenze  medievali,  le  quali 
Movendo  da  un  passo  di  san  Paolo  (lai  Oor.f 
X  20)  ooBiidenKvano  gli  esseri  mitologici  come 
esseri  diabolici  (ofr.  Moore,  I  184),  fece  di  al- 
cuni di  essi  altrettanti  demoni  ponendoli  quasi 
Binìstxi  di  giustizia  infernale  al  governo  delle 
varie  parti  del  suo  inforno:  cosi  troveremo 
Miooe  sulla  soglia  del  seoondo  oerohio  con 
ginriadizioBe  su  tutto  V  inferno  {Jkf.  v  4-15, 
zm  94-86,  zz  86,  zzvn  124,  xxix  U9-120); 
Cctbeto  nel  terawC&i/'.  VI  18-18,  82-83),  Fiuto 


nel  quarto  {Inf,  vn  1-15),  Flegias  nel  quinto 
(Inf,  vm  18-24),  le  Erinni  e  Medusa  nel  sesto 
{inf,  a  87-54),  il  Minotauro  e  i  Centauri  nel 
primo  girone  del  settimo  (jDi/I  zn  11-27,  55- 
75),  le  Arpie  nel  seoondo  {Inf.  zm  10^15), 
Gerione  tra  il  settimo  e  l'ottavo  cerchio  (inf, 
zvn  1-15)  e  i  Giganti  intomo  al  nono  {Inf, 
zzzT  81-83).  —  84.  Claal  eoo.  Le  prime  e  più 
minaodoee  parole  di  Caronte  sono  rivolte  alle 
anime  affollate  sulla  riva  del  fiume  infernale. 
—  88.  e  te  ecc.  Queste  sono  rivolte  a  Dante, 
detto  anima  viva,  doò  congiunta  ancora  col 
corpo  e  vìvente  nella  grazia  divina.  —  89. 
morti  s  tanto  del  coipo,  dal  quale  le  loro 
anime  si  sono  già  dipartite,  quanto  dello  spi- 
rito, perché  sono  privati  d'ogni  luce  della 
grazia.  —  91.  Per  altra  via  eoe  La  via  che, 
a  gìudirio  di  Caronte,  deve  condurre  Dante 
ai  regni  etemi,  d  quella  delle  anime  buone, 
che  scendono  dopo  la  morte  alla  fooe  del  Te- 
vere e  ivi  sono  raccolte  dall'angelo  nocchiero 
e  portate  all'  isola  del  purgatorio  (cfr.  Purg, 
u  101  e  segg.).  —  per  altri  porti:  per  altri 
passi;  quello  cioè  che  intercede  tra  la  fooe 
del  Tevere,  donde  parte,  e  l'isola,  ove  ap- 
proda la  barca  dell'  angelo  che  porta  le  ani- 
me buone.  —  93.  pid  lieve  legno:  doò  il 
«vasello  snelletto  e  leggiero»  dell'angelo 
(cfr.  Purg.  n  41).  —  94.  Caron,  non  ti 
emeciare  ecc.  si  cfr.  gli  ammonimenti  si- 


22  DIVINA  COMMEDIA 


vuoisi  cosi  colà,  dove  bì  puote 
96       ciò  che  si  vuole,  e  più  non  dimandare  ». 
Quinci  fùr  quete  le  lanose  gote 
al  nocchier  della  livida  palude, 
99        che  intomo  agli  occhi  avea  di  fiamme  rote. 
Ma  quell'animci  ch'eran  lasse  e  nude, 
cangiar  colore  e  dibatterò  i  denti, 
102        ratto  che  inteser  le  parole  crude. 
Bestemmiavano  Iddio  e  i  lor  parenti, 
l'umana  specie,  il  luogo,  il  tempo  e  il  seme 
105        di  lor  semenza  e  di  lor  nascimenti. 
Poi  si  ritrasser  tutte  quante  insieme, 
forte  piangendo,  alla  riva  malvagia, 
108       che  attende  ciascun  uom  che  Dio  non  teme. 
Caron  dimenio,  con  occhi  di  bragia, 
loro  accennando  tutte  le  raccoglie; 
111        batte  col  remo  qualunque  s'adagia. 
Come  d'autunno  si  levan  le  foglie 
l'una  appresso  dell'altra,  infin  che  il  ramo 
114       rende  alla  terra  tutte  le  sue  spoglie; 
similemente  il  mal  seme  d'Adamo: 
gittansi  di  quel  lito  ad  una  ad  una, 

mill  di  '^^igilio  a  MinoMO  {Inf,  v  23)  e  a  moda  nella  barca,  oyo  le  anime  debbono  star 
Plato  {hif.  Tm  8).  —  97.  <{ninel  eoo.  Per  ritte,  perohó  ve  n'  entri  on  maggior  numero, 
queste  parole  si  quietarono  le  gote  pelose  eoo.  Molti  commentatori,  assai  meno  bene,  spie- 
Tatto  il  Terso  ricorda  quel  di  Virgilio  {Sn,  gano:  s'indogia,  ritarda  ad  entrare;  che  è 
▼I  102):  «  Ut  primom  cessit  ftiror,  et  rabida  contro  i  tt.  74  e  12Ì-126.  — 112.  Come  d'aa- 
ora  qoienmt  ».  —  96.  llTlda  palude:  il  tor-  tvnno  eco.  Cfr.  "Vigilio  {Bn.  ti  905):  «  Uno 
bido  flome,  che  Ta  a  stagnare  in  ana  palude;  omnia  tariM  ad  ripas  efllòsa  roebat;  Matrea 
anche  questo  è  un  ricordo  rirgiliano  (£H.  vi  atque  viri,  def&notaque  ooipora  ylta  Magna- 
820)  :  «  remis  rada  livida  verrunt  ».  —  99.  nimùm  hmoom,  pneri  innuptaeque  pnellae, 
ehe  Intorno  eoe.  gli  occhi  del  quale  davano  Impositique  rog^  iuvenes  anta  ora  parentnm; 
bagliori  di  ilamma,  a  significare  l' intensità  Quam  multa  in  silvis  auctumni  frigore  primo 
del  cruccio  represso  dall'ammonimento  di  Vir-  Lapsa  cadunt  folia;  ant  ad  ternun  gurgite  ab 
gilio.  Danto  dà  nuovo  e  più  eificace  atteggia-  alto  Quam  multae  glomerantur  aves,  ubi  fri- 
mento  a  un  particolaie,  che  nella  desciizione  gidus  annua  Trans  pontum  ftigat,  et  terris 
virgiliana  («  stant  lumina  fiamma  »)  ò  espresso  Immittit  aprids  ».  Venturi  ISS  :  «  Dante,  to- 
oon  molto  minor  vigoria.  — 100.  lasse  e  node:  gliendo  dal  suo  Maestro  le  due  simUitudini 
stanche  per  il  dolore  e  prive  d'ogni  difesa.  [delle  foglie  e  deg^  ucoelli],  rinnova  la  prì- 

—  102.  ratto  ehe:  subito  che;  cfr.  £•/*.  vi  ma  con  la  particolarità  del  ramo  spogliato,  che 
88  ecc.  —  108.  BestemMlavaao  ecc.  Bacco-  compie  stupendamente  l'imagine;  l'altra  ab- 
glievano  in  un  impeto  di  sdegno  impotente  bellisce  con  l' idea  del  richiamo,  tutta  propria 
le  loro  malediiioni  su  tutte  le  cause  remote  degli  uccelli,  che  mostra  l' impeto  disordinato 
e  prossime  della  lor  vita:  Dio,  i  genitori,  gli  con  cui  si  gittano  »:  cfr.  anche  Moore,  I  28- 
antenati,  l'umanità,  la  patria,  il  loro  secolo  26.  —  114.  rende  ecc.  La  variante:  «adi  aUa 
e  il  momento  della  nascita.  —  106.  Poi  si  ri-  ter»,  difesa  da  parecchi  moderni  risponde 
trasser:  si  radunarono,  si  ristrinsero  insieme,  a  quel  di  T^rgilio,  Owrg,  n  82  :  «  miraturqne 

—  108.  che  attende  eoe  An.  fior.:  «Chi  novas  frondes  et  non  sua  poma»;  ma,  oltre 
teme  Iddio  si  guarda  di  mal  fare,  chi  non  teme  che  la  sintassi  italiana  vorrebbe  che  si  dicesse 
capita  a  quella  ripa  ».  —  109.  Caron  dimo-  a  Uvra^  non  àUa  ter»,  sta  il  fatto  cho  di  più 
bIo:  si  veda  sopra  la  nota  al  v.  88,  e  si  cf^.  viva  bellezza  e  di  un  coiioetto  più  gagliarda- 
oon  Inf.  VI  82  :  «  dello  dimonio  Cerbero  ».  mente  poetico  rispl«ide  la  lesione  vulgata, 

—  111.  s'adagia:  si  mette  in  posizione  co-  che  ho  accettata  nel  testo.  —  116.  il  Mal 


INFERNO  —  CANTO  HI 


23 


117        per  cennii  come  augel  per  suo  richiamo. 
Ck>8l  sen  vanno  su  per  l'onda  bruna, 
ed  avanti  ohe  sian  di  là  discese, 
120       anche  di  qna  nuova  schiera  s'aduna. 
<  Figliuol  mio,  disse  il  maestro  cortese, 
quelli  che  muoion  nelPira  di  Dio 
123        tutti  convegnon  qui  d'ogni  paese: 
e  pronti  sono  a  trapassar  lo  rio, 
che  la  divina  giustizia  gli  sprona 
126i       si  che  la  tema  si  volge  in  disio. 
Quinci  non  passa  mai  anima  buona; 
e  però,  se  Caron  di  te  ai  lagna, 
129      .  ben  puoi  saper  omai  che  il  suo  dir  suona  ». 
Finito  questo,  la  buia  campagna 
tremò  si  forte  che  dello  spavento 
132        la  mente  di  sudore  ancor  mi  bagna. 
La  terra  lagrimosa  diede  vento, 
che  balenò  una  luce  vermiglia, 
la  qual  mi  vinse  ciascun  sentimento: 
1S6    e  caddi,  come  l'uom  cui  sonno  piglia. 


unie  eoe.  le  anime  malnate  dei  peoeatoil  — 
117.  ceflM  avgrcl  por  no  eco.  Bnti:  «Qui 
fa  la  almilitadine  dell'nocellatorB  che  richia- 
ma lo  sparviero  oon  rnòcellino,  e  lo  falcone 
eoo  l'alia  delle  penne,  e  raatoie  eoi  pollastro, 
e  daacniio  oon  qael  di  che  l'nooello  è  yago  ». 
—  12L  nglliol  Mio  eoo.  Tugilio  risponde 
ora  alla  domanda  fittaci  da  Dante  più  ad- 
dietro: Tedi  T.  72  e  segg.  —  123.  mnoioa 
■tn*  Ira  eoo.  qneDi  ohe  mnolono  nel  pecoato, 
food  deUA  grazia  ^rina.  —  125.  gli  sprona: 
per  gli  stimoli  della  coscienza,  che  costringe 
le  anime  dei  peccatori  a  desiderare  la  pena, 
deQa  quale  non  temono  più  ora  che  d  perduta 
ogni  speranza  di  salate.  —  128.  si  lagna: 
cfr.  T.  S&-8d.  —  129.  ben  pnol  eco.  Lomb.: 
«  JLocenna  che  le  ragioni  addotte  da  Caronte 
par  non  ammetter  Dante,  e  perché  fosse  egli 
ancor  Tivente,  e  perché  più  liere  legno  con- 
Tenxra  che  portamelo,  non  fossero  ohe  pre- 
tasti; e  òhe  la  reia  cagione  fosse,  perch'egli 
Ti  aaàsrtL  per  effetto  di  pentimento  deUe  sue 
colpe,  e  per  istahOirsi  in  nn  salnterole  timore 
dei  dhini  etemi  gastig^  cosa  ai  demoni  rin- 
ersscerole».  —  ISO.  U  bau  campagna: 
rosenra  regione  infernale.  —  188.  La  terra 


lagrlaoim  eco.  la  regione  del  pianto  mandd 
Aiori  OH  Tento,  dal  qnale  balenò  nna  Ince 
rosseggiante.  —  134.  balenò  ecc.  Ctt,  Poli- 
ziano, ^.  n  18:  «  Bal«id  intomo  nno  splen- 
dor Tormiglio  ».  — 186.  la  qaal  ecc.  In  que- 
sto commovimento  Dante  smarrì  i  sensi  e 
cadde  come  nomo  addormentato:  dorante 
questo  sonno  si  operò,  né  egli  éi  lascia 
intender  come  ciò  avrenisse,  U  suo  passaggio 
dal  Tostibob  al  primo  oeroido  dell'  inferno. 
L' ipotesi  più  Terosimile,  fina  quante  furono 
messe  fta,ori  a  questo  proposito  (of^.  per  la 
questione  relatlTa,  Bull  I  196),  è  ohe  Dante 
sia  stato  portato  rapidamente  al  di  U  del- 
l'Acheronte  da  un  angelo;  che  sarebbe  in 
armonia  col  passo  dell'  htf,  iz  64  e  segg.  doTo 
un  angelo  Tiene  a  toglier  di  mezzo  gli  osta- 
coli frapposti  dagli  spiriti  infernali,  e  il  suo 
venire  ò  pur  accompagnato  da  un  Tiolento 
terremoto  e  da  un  vento  impetuoso.  —  136. 
come  l'aom  eco.  Venturi  228:  «Bene  usata 
ò  la  similitudine,  oon  la  quale  oi  volle  adom- 
brare che  l'essere  caduto  in  quel  grave  e  su- 
bito assopimento  fu  per  l'apparizione  di  un 
messo  celeste  che  lo  trasportò  di  U  dal  fiume  ». 


24  DIVINA  COMMEDIA 


CANTO  IV 

Biscotendosi,  Dante  ni  trova  nel  primo  cerchio  delP  inferno  ossia  nel 
limbo  ;  ove  sono  gli  spiriti  dei  tombini  morti  avanti  di  ricevere  il  batte- 
simo, e  qnelli  degli  nomini  virtnosi  vissuti  prima  di  Cristo  o  fuori  della 
fede  :  Tirgilio  fa  conoscere  a  Dante  i  poeti  antichi,  Omero,  Orazio,  Ovidio  e 
Lncano,  che  lo  accolgono  nella  loro  compagnia;  e  dopo  avergli  mostrato 
gli  eroi  e  i  filosofi  delP  antichità  lo  condnce  verso  il  secondo  cerchio  [sera 
deU'  8  aprile]. 

Buppemi  l'alto  sonno  nella  testa 
UQ  greve  tuono  si  eli*  io  mi  riscossi, 

8  come  persona  die  per  forza  è  desta: 
e  Pocchio  riposato  intomo  mossi, 

dritto  levato,  e  fiso  riguardai 
6       per  conoscer  lo  loco  dov'io  fossL 
Vero  è  che  in  su  la  proda  mi  trovai 
della  valle  d'abisso  dolorosa, 

9  che  tuono  accoglie  d'infiniti  guaL 
Oscura,  profond'era  e  nebulosa, 

tanto  che,  per  ficcar  lo  viso  al  fondo, 
12       io  non  vi  discemeva  alcuna  cosa, 

<  Or  discendiam  qua  giù  nel  cieco  mondo  ; 

rv  1.  Bvfpeal  Paltò  ••■>•  eoo.  L'im-  fittto  sta  ohe  eoo.;  semplice  fonnnla  diohia- 

prowiflo  balenare  ddla  laoe  avera  itoidito  latiTa,  non  infteqnenta  in  Dante,  ohe  1*  ha 

Dante,  il  qnale  penò  non  vide  oome  si  ope-  in  Inf,  ee  22,  mz  112,  Purg.  m  136,  x  136, 

rasse  il  sno  passaggio  dall'una  all'altia  sponda  Par,  1 127.  —  proda  :  orlo,  limita  estxemo.  — 

dell*  Acheronte  :  avvenuto  questo  passaggio  8.  della  ralle  eoo.  perìfhisi  per  indicare  l' in- 

con  merarigliosa  rapidità,  U  poeta  fu  riscosso  forno,  dove  a'  entra  per  lamenti  feroci  {IStrg, 

e  richiamato  alla  cognizione  di  sé  da  un  vio-  zn  114)  :  ofr.  Inf,  m  22  e  segg.,  v  25  e 

lento  rumore,  ohe  valse  a  scuoterlo  dall'otto  sgg.,  vi  19,  vn  26,  vm  66  eco.  —  11.  per 

aanno,  dal  profondo  assopimento  in  coi  era  fleear  ecc.  per  quanto  ficcassi,  volgessi  flsa- 

caduto.  —  2.  BB  grevt  taonos  per  molti  mente;   simili  locuzioni  sono  frequenti  in 

commentatori  è  quello  aooennato  nel  v.  9,  Dante,  come  Inf,  zvi  98  «  per  padar  sarem- 

il  iuom  dfinfMU  guai  ohe  sale  dai  cerchi  ih-  mo  appena  uditi  »,  zxvm  8  «  per  narrar  più 

remali;  ma  contro  tale  intnpretazione  stanno  volte  »,  Purg,  zzv  16  «  Non  lasciò  per  V  an- 

i  w.  26-28  :  meglio  O,  Pncoianti,  seguito  da  dar  ohe  fosse  ratto  ».  —  lo  vlsa  :  in  prosa 

altri,  intese  questo  per  un  vero  tuono,  per  e  in  versi  Dante  e  ^  altri  antichi  usarono 

lo  schianto  del  fùlmine,  ohe  colla  luce  aveva  vùo  per  vista,  senso  del  vedere  :  se  ne  tro- 

vinto  e  stordito  il  poota  al  di  qua  dell'Aohe-  vano  esempi  in  Inf,  de  66,  74,  z  84,  zvi  123, 

ronte  (efr.,  per  la  questione,  OL  Antona  Tra-  xx  10,  zzn  11,  Purg,  ne  84,  zv  26,  zvn  41, 

versi,  H  greve  Uiono  danteeoo,  Città  di  Ca-  P»,  m  129,  z  101,  zvn  41,  zzi  20,  61,  zzn 

RtoUo,  1887,  e  E.  Pomadari,  St,  p.  26-44.  —  69,  188,  zzvn  6,  78;  F.  2^.  i  23,  zi  10,  ziv 

3.  come  persona  eoo.  :  cfr.  Frexzi,  Quadr,  tv  29,  zzzvn  37;  Oonv,  m  9  :  «  per  affaticare 

12  :  «  Subitamente  mi  percosse  un  tuono...  lo  viso  molto  a  studio  di  leggere,  intanto  do- 

E  come  quei  che  a  forza  desti  sono,  Poi  mi  bUitai  gli  spiriti  visivi  »  ecc.  —  12.  non  vi 

levai».  —  4.  e  Peeohlo  eoe  e  levatomi  in  dlscernSTa  ecc.  non  riusciva  a  distinguere 

piedi,  guardai  all'  intomo  con  gli  occhi,  ohe  nessuna  cosa  nel  fondo  ddl'  inferno.  —  18. 

avevano  ripreso  la  loro  forza  perduta  n^  mo-  deeo  mondo  :  il  regno  del  dolore  è  detto  an- 

meutaneo  stordimento.  ~  7.  Taro  è  eco.  il  che  «  cieco  carcere  »  {Inf,  z  68,  Purg,  zzn 


INFERNO  -  CiLNTO  IV 


incominciò  il  poeta  tatto  smorto: 
15       io  sarò  primOf  e  ta  sarai  secondo  >. 
Ed  io,  che  del  color  mi  fai  accorto, 
dissi:  €  Come  verrò,  se  ta  paventi, 
18       che  suoli  al  mio  dabbiare  esser  conforto?  » 
Ed  egli  a  me:  €  L'angoscia  delle  genti, 
che  son  qaa  giù,  nel  viso  mi  dipigne 
21       quella  pietà,  che  ta  per  tema  sentL 
Andiam,  che  la  via  lunga  ne  sospigne  ». 
Cosi  si  mise  e  cosi  mi  fé'  entrare 
24       nel  primo  cerchio  che  l'abisso  cigno. 
Quivi,  secondo  che  per  ascoltare, 
non  avea  pianto  ma  che  di  sospiri, 
27       che  l'aura  etema  facevan  tremar  : 
ciò  awenla  di  duol  senza  martiri, 
ch*avean  le  turbe,  ch'eran  molte  e  grandi, 
80       e  d'infanti  e  di  femmine  e  di  virL 


108)  •  «  mondo  cieco  »  (£iA  xzvn  26),  per 
le  tj&oBhte  eteme  ohe  lo  ayrolgono.  —  14. 
nMrt»  :  per  la  commoxione  deDa  pietà,  òhe 
A  Dante  sembra  inTece  effstto  di  pania.  — 
15.  !•  sarè  ecc.  io  andrò  avanti  e  ta  mi 
HBgiiiiBi  Alami  commentatori  credono  ohe 
Danto  accenni  al  Datto  ohe  Virgilio  fli  primo 
a  Jeetnirero  nna  discesa  ai  regni  etemi  (ofr. 
fai  nota  all'  Inf.  i  89).  —  16.  eht  del  eolor 
eco.  accorgendomi  del  paUoie  diifaao  sol  volto 
£  Virgilio  e  gindicandob  come 'segno  di  spa- 
vento. —  18.  4nMlart:  àMnan  o  dubitare 
élseero  gli  antichi  in  senio  di  temere,  com'  è 
4etto  in  JSitg,  xz  186  «  Non  dubbiar  men- 
tr'to  ti  gnido».  —  19.  Ii'Mgeteift  ecc.  D 
éml  mmxn  martki  deOe  anime  ohe  sono  in 
questo  cerchio,  nei.  limbo;  oppure  il  doloro 
di  tatto  le  anime  dannato  :  meglio  è  segoire 
ki  pìma  interpretazione,  poiché  qni  vera- 
Mmto  Virgilio  cominci»  a  parlare,  non  del- 
r  intono  in  generale,  ma  del  limbo  òhe  ne 
fannn  fl  primo  cerchio.  D'Ovidio,  p.  82: 
«  qaalli  del  Limbo,  ai  quali  anche  nel  Pmy. 
[vn  28  e  seg.,  xxn  100  e  ssgg.]  non  sa  ac- 
eennmre  senza  tarbamento  ».  —  21.  ta  per 
liMi  aentl x  to  giudichi  esser  paura.  —  22. 
In  Tte  langs  ecc.  il  hmgo  cammino  ohe  dob- 
biamo pecoonere  non  ci  consento  indugi.  — 
aa.  Coti  eco.  Dicendomi  questo  parole.  —  24. 
Mi  fcimo  eereklo  :  Danto  imaginando  il  lim- 
bo come  una  parte  dell'  inlìamo  ai  tenne  alle 
4irftrTT**  teologiobe  cristiane,  secondo  le  quali 
le  anime  dei  padri  e  dei  parvoli  erano  collo- 
cato in  un  solo  luogo  in  prossimità  di  quello 
MsiH,iistn  ai  dannati  ;  come  abbiamo  da  san 
Toomaso,  Smmmii,  P.  m,  sappi,  qu.  t.ttt, 
■it.  6:  «Si  oottsiderentur  [receptacula  ani- 
maniB  post  mortem]  quantum  ad  situm  lod, 


sic  probabile  est  quod  idem  loous  vel  quasi 
continuus  sit  infemus  et  limbus;  ito  tamen 
quod  quaedam  superior  pars  inferni  limbus 
petrum  dicatur.  Szistentea  enim  in  inferno 
secundum  dlversitotom  oulpae  diversam  sor- 
tiuntur  et  poenam,  et  ideo  secundum  quod 
gravioribus  peocatis  irretinntur  damnati,  se- 
cundum hoc  obeouriorem  locum  et  proftmdio- 
rem  obtinent  in  Inferno:  unde  et  sanott  pa> 
tres,  in  quibus  minimum  erat  de  ratione  oul- 
pae, supremum  et  minus  tonebrosum  locum 
habuerant  omnibus  puniendis».  Oome  i  teo- 
logi, coef  anche  Danto  non  th  alcuna  distin- 
zione tra  il  limbo  dei  padri  e  quello  dei  par- 
voli;  attenendosi  andie  per  questo  a  san 
Tommaso,  Summa,  L  oit,  art.  6  :  «  Limbus 
patmm  et  limbus  puerorum  absque  dubio  dif- 
ferunt  secundum  qualitatem  praemii  vel  po^ 
nae...,  sed  quantum  ad  situm,  probabUitor 
creditur,  utiorumque  loous  idem  ftiisse»: 
cfir.  anche  Aify.  vu  28-84.  —  26.  teeondo 
eke  ecc.  per  quanto  si  poteva  raccogliere 
ascoltando.  —  26.  aa  che:  ftioriohe;  locu- 
zione ftoquento  negli  antichi  e  anche  in  Danto 
che  l'usa  in  Ii^f,  zzi  20,  zzvm  66,  J\urg, 
zzvm  68  e  Bw.  zzn  17  :  tutto  fl  verso  signi- 
fica che  nel  limbo  non  v*  era  altm  espressione 
di  dolore  (pianto)  all'  infiori  dei  sospiri;  con- 
forme a  dò  ohe  nel  I\Mrff.  vn  26  Danto  dice 
del  limbo,  «  ove  i  lamenti  Non  suonan  oome 
guai,  ma  son  sospiri  ».  —  28.  di  duel  senza 
raartfrl.  Lomb.  :  «  da  puro  intomo  dolor 
d' animo,  senza  cagione  d' alcuno  estemo  tor- 
mento: dal  solo  rammarico  d' esser  privi  della 
beatifica  vision  di  Dio,  non  dal  ftioco  o  altro 
estoriore  tormentoso  mezzo  ».  —  80.  Influtl  : 
otr.  Pwg,  vn  81  :  «  parvoli  innocenti,  Dai 
denti  morti  della  morte,  avanto  Ohe  fossor 


26  DIVINA  COMMEDIA 


Lo  buon  maestro  a  me  :  «  Tu  non  dimandi 
che  spiriti  son  questi  che  tu  vedi? 
83       Or  Yo'  che  sappi,  inncmzi  che  più  andi, 
ch*ei  non  peccare;  e  s'elli  hanno  mercedi, 
non  basta,  perché  non  ebber  battesmo, 
86       eh* è  parte  della  fede  che  tu  credi: 
e  se  furon  dinanzi  al  cristianesmo, 
non  adorftr  debitamente  Dio; 
89        e  di  questi  cotai  son  io  medesmo. 
Per  tai  difetti,  non  per  altro  rio, 
semo  perduti;  e  sol  di  tanto  offesi, 
42        che  senza  speme  yivemo  in  disio  >. 

Gran  duol  mi  prese  al  cor  quando  lo  interi, 
però  che  gente  di  molto  valore 
4^        conobbi  che  in  quel  limbo  eran  sospesi 
€  Dimmi,  maestro  mio,  dimmi,  signore, 
comincia' io,  per  voler  esser  certo 
48       di  quella  fede  che  vince  ogni  errore, 
uscicci  mai  alcuno,  o  per  suo  merto 
o  per  altrui,  ohe  poi  fosse  beato?  » 
51        E  quei,  che  intese  il  mio  parlar  coverto, 
rispose  :  €  Io  era  nuovo  in  questo  stato, 
quando  ci  vidi  venire  un  possente 
54        con  segno  di  vittoria  incoronato. 

dell'  amana  colpa  esenti  ».  ~  fteanUaf^.  ▼!•  43.  !•  iitetl  t  intod  lai,  ViiigUIo,  dire  queste 

ri  :  le  donne  e  gli  nomini  ohe  «  le  tze  sante  parole.  —  46.  Dimmi,  Maeitro  eoe  Tomm.  : 

Viiid  non  ti  veetfro  e  senza  vizio  Conobber  «  La  compassione  dello  stato  di  Virgilio  sen^ 

V  altre  e  seguir  tutte  quante  »  (Airy.  vn  34).  tita  da  Dante  rende  ragione  di  questo  doppio 

—  88.  andit  vada;  voce  arcaica,  usata  an-  titolo,  eh' è  una  lode  delicata  e  pietosa».  — 
che  dal  Prezzi,  Quadr,  i  11  :  «  Innanti  che  48.  di  qielU  fède  t  delle  credenze  cristiane, 
il  mio  carro  più  su  andi»  :  cfr.  E.  Q-.  Parodi,  massime  di  quella  relatira  alla  disossa  di  Crì- 
BuU,  m  180.  —  84.  mercedi:  meriti,  buone  sto  al  limbo.  —  49.  iseleel  eoe  dal  limbo 
opere:  senso  che  la  parola  fn$ne<U  ha  pur  nel  usci  mai,  per  merito  suo  o  d'altri,  alcuno 
Ftir,  ZZI  62  e  zznn  112.  —  86.  ch'è  parte  spirito,  che  poi  pervenisse  alla  beatitudine^ 
ecc.  poiché  il  battesimo  è  uno  degli  articoli  passò  mai  alcuno  dal  limbo  al  paradiso?  — 
della  fede,  ò  parte  essenziale  e  necessaria  61.  parlar  eoTtrto:  parlare  indiretto,  in 
della  dottrina  cristiana;  cosi  intendono  giù-  quanto  Dante,  per  non  mostrare  di  dubltar- 
stamente  gli  antichi,  Lan.,  Bocc,  Benv.,  ne,  non  ha  chiesto  a  Virgilio  se  veramente 
Buti.  Alcuni  modemi  leggono  :  eh*  è  porta.  Cristo  scendesse  a  liberare  anime  dal  limbo, 
cioè  principio,  inizio  della  fede;  lezione  che  ma  se  di  qui  n'  usd  mai  alcuna.  —  62.  Io 
parrebbe  confermata  dal  passo  del  Par.  zxv  era  buot*  eoe  La  discesa  di  Cristo  al  limbo, 
10-12,  ma  non  ha  sufRdente  autorità  di  ma-  narrata  in  quella  parte  del  vangelo  di  moo- 
noscritti.  —  88.  non  adorir  ecc.  non  ebbero  demo  che  si  chiama  appunto  De^emuut  Cari- 
la fede  in  Cristo  venturo  (ofr.  Par,  zzzn  24).  éH  ad  inferoe  (in  Evangelia  apooryphm,  ed. 

—  89.  41  qitstl  ecc.  cfr.  Inf,  i  126-6.  —  C.  Tischendorf,  Lipsia,  1876),  si  pone  dopo 
40.  difetti:  mancanze,  deficienza  di  fede.  —  la  sua  morte,  nell' anno  88  d«  0.;  allora  Yìr' 
rio  :  reità,  colpa;  ofr.  Purg,  vn  7:  «  Io  son  gilio,  mancato  di  vita  nel  19  a.  0.,  era  nel 
Virgilio;  e  per  nuli'  altro  rio  Lo  del  perdei,  limbo  da  tempo  relativamente  breve.  —  63. 
che  per  non  aver  fé  ».  —  41.  di  tanto  :  da  que-  un  possente  con  segno  eoo.  Gesù  Cristo,  il 
sto  solo,  solamente  in  questo  che  ecc.  —  offesi  redentore  incoronato  della  palma  del  marti- 
eoe,  afflitti  da  un  continuo  desiderio  della  vi-  rio.  Si  noti  che  il  nome  di  Cristo  non  è  mai 
sione  di  Dio,  senza  speranza  di  ottenerla.  —  pronunziato  nell'  inferno,  ma  indicato  sempre 


INFERNO  -  CANTO  IV 


27 


Traaseci  l'ombra  del  primo  parente, 
d'Abel  suo  figlio,  e  quella  di  Noè, 
57       di  Moisò  legista  e  ubbidiente; 
Abraàm  patriarca  e  David  re, 
Israel  con  lo  padre  e  co*  suoi  nati, 
€0       e  con  Bacbele,  per  cui  tanto  fe', 
ed  altri  molti;  .e  fecegli  beati: 
e  vo*ohe  sappi  cbe,  dinanzi  ad  essi, 
63       spiriti  umani  non  eran  salvati  ». 

Non  lasdavam  l'andar,  perdi' ei  dicessi, 
ma  passavam  la  selva  tuttavia; 
6G       la  selva,  dico,  di  spiriti  spessi. 
Non  era  lunga  ancor  la  nostra  via 
di  qua  dal  sonno;  quando  vidi  un  foco, 
69       ch'emisperip  di  tenebre  vinda. 
Di  lungi  v'eravamo  ancora  un  poco, 
ma  non  si  ob'io  non  discemessi  in  parte 
72       cbe  onrevol  gente  possedea  quel  loco. 
€  0  tU|  ohe  onori  ogni  scienza  ed  arte, 
questi  chi  son  e' hanno  cotanta  onranza, 


di  peiUhwi  (cfr.  Inf,  xn  88,  xix 
91,  zxziT  115).  —  66.  TrsMeel  :  trine  di 
qu.  —  éel  piiM«  fumite:  di  Adamo,  detto 
nel  Bar.  zm  111  «  pzimo  padre  »,  in  confort 
■ita  deDe  aoittiize  nore,  che  eod  io  chia- 
mano (Ommi  m  22<4;  Faob,  Ai  fcmmi  ▼ 
12,  /  ipUL  tà  Carimi  xr  46  eoe).  —  66. 
AMI :Ileeooiidoll«aiiolo  di  Adamo.  —  Heè: 
a  fatzìaica,  che  con  k  laa  famiglia  scampò 
al  ditnrio  loiiremle.  —  67.  Molle  legiitA: 
Uoeò  n  gniide  leglilatore  del  popolo  ebreo 
(efr.  Bar.  zzzn  180-3).  —  68.  Abraàm:  U 
patiiacca,  ohe  sacrificò  a  Dio  il  flgliaolo  Iiao- 
cn,  per  ubbidienza;  onde  alooni  leggono: 
Uoiaè  kgiala  i  r  «ÒMd.  Abraàm  paMarea  (cfr. 
Moore,  I  67),  non  badando  che  con  la  nnora 
terzina  Dante  cambia  costrozione,  come  se 
ripetene  il  rb.  TroMaed  senza  ombra,  —  Da- 
tU:  re  d'Israele,  chiamato  dall'Alighieri 
{B^r,  XX  88)  «  il  esntor  dello  Spirito  Santo  » 
e  {Ba^.  xxT  73)  «  sommo  cantor  dei  sommo 
dnee  »,  perché  fli  Tantore  dei  Salmi  —  69. 
Urael:  CHaoobbe,  fl^  d'Isacco,  che  dopo 
la  lotta  con  l' angelo  ebbe  nome  d'Israel  ((?«- 
«•si  xxxn  28).  —  natii  figUnoli;  cosi  an- 
oike  altrove,  £itf.  x  111,  Bar.  xxn  142.  — 
60.  BadMie:  tigOtL  di  Labano,  moglie  di  Gia- 
cobbe; cfr.  Bmjf,  xxm  104.  —  per  evi  tanto 
W  i  raoconta  la  Bibbia  che  Giacobbe  per  ot- 
tenare  la  mano  di  Baehele  serri  il  padre  di 
lai  per  quattordici  anni  {Grnmi  xxnc  28  e  80). 
—  64.  dlesatli  8^  pers.;  com'  ò  d'altri  Terbi, 
in  in/:  IX  60^  Pi»rg,  xznr  186  ecc.  :  è  anche 


in  altri  antichi  :  cfr.  Parodi,  Bull,  III129.  — 
66.  iattarla:  sempre,  contìnnatunente.  — 
66.  U  selra,  dice,  di  spiriti  ecc.  la  lolla 
delle  anime  raccolte  in  quella  parte  del  limbo. 
Bnti:  «l'autore  divide  quelli  del  limbo  in 
due  specie,  ponendo  coloro  che  anno  avuto 
funa  onorevole  nel  mondo  di  per  sé  da  quelli 
che  non  l' anno  avuta  :...  dei  primi  che  sono 
stati  senza  fama  non  nomina  alcuno  ».  —  68. 
di  qaa  dal  senno  eco.  God  lessero  i  pift  an- 
tichi inteipetri,  Lana,  Beco.,  Benv.,  Anon. 
fior.,  intendendo  :  di  qua  dall'  Acheronte,  dal 
fiume  presso  il  quale  io  era  caduto  assopito 
per  il  balenare  della  folgore  (cfr.  Inf,  m  135); 
ma  già  il  Buti  lesse  di  qtia  dal  mimmo,  spie- 
gando :  di  qna  dalla  sommità,  onde  si  scende 
nel  primo  cerchio.  —  69.  di'emlsperlo  ecc. 
ohe  illuminava  mezzo  il  cerchio  tenebroso,  e 
proprio  quella  parte  che  accoglieva  i  grandi 
spiriti  dell'  antichità.  Altri  interpreti,  a  co- 
minciare dal  Buti,  prendono  vwtia  come  una 
forma  del  vb.  vifwke,  attorniare,  circondare, 
intendendo  che  il  fùooo  girasse  tutf  intomo 
al  cerchio.  ^  71.  la  parte  :  va  collegato  con 
dò  che  segue  :  che  per  ona  parte  il  luo^  era 
occupato  da  gente  ecc.  —  72.  enreTol  :  degna 
di  onore  ;  ò  anche  in  Pwrg,  xxu  143.  —  73.  0 
tv  eco.  Buti  :  «  Virgilio  onorò  la  scienza  e 
l' arte,  con  le  sue  opere  ».  Altri  passi  in  coi 
Dante  celebra  Virgilio  come  scrittore  sono  nel- 
r  Inf.  I  79,  n  60, 113,  vin  7,  Purg.  vii  17,  xviii 
83,  XXI  95,  rziv  99,  Bxr.  xv  26.  —  74.  onran- 
za s  onoranza:    come  in  Inf.  xxvi  6.    — 


28 


DIVINA  COMMEDIA 


75        che  dal  modo  degli  altri  li  diparte?  > 
£  quegli  a  me:  €  L'onrata  nominanza, 
ohe  di  lor  suona  su  nella  tua  vita, 
78        grazia  acquista  nel  ciel  che  si  gli  avanza  ». 
Intanto  voce  fa  per  me  udita: 
€  Onorate  l'altissimo  poeta! 
81       l'ombra  sua  toma,  ch'era  dipartita». 
Poi  che  la  voce  fu  restata  e  queta, 
vidi  quattro  grand* ombre  a  noi  venire; 
84        sembianza  avevan  né  trista  né  lieta. 
Lo  buon  maestro  cominciò  a  dire: 
«  Mira  colui  con  quella  spada  in  mano» 
87        che  vien  dinanzi  a' tre  si  come  sire: 
quegli  è  Omero  poeta  sovrano; 
P  altro  è  Orazio  satiro^  che  viene, 
90        Ovidio  è  il  terzo  e  l'ultimo  è  Lucano. 
Però  che  ciascun  meco  si  conviene 
nel  nomci  che  sonò  la  voce  sola, 
93        fannomi  onore,  e  di  ciò  fanno  bene  ». 


75.  dal  modo  eco.  dalla  condizione  degli  altri 
spiriti,  oàe  sono  nelle  tenebre  eteme.  —  78. 
ohe  if  gii  »Taaz«:  il  quale  li  avvantag» 
gia  oosi.  Bati  :  «  vuole  signiflcaze  che  questi 
cosi  fotti,  ohe  nel  mondo  sono  stati  famosi 
di  prodezza  di  corpo  nell'  anni  o  d'animo  nelle 
scienzie,  abbino  lame  di  là,  do4  abbino  chiara 
la  loro  ooeoienza;  chó  di  loro  non  anno  la- 
sciato malo  esemplo  alli  altri  nelle  dette  oose, 
ma  anno  lasciato  buono  e  si  fatto  che  la  loro 
fama  ancora  tace  ».  —  79.  Intanto  toco  fta 
eco.  Dante  non  dice  da  chi  partisse  l' invito 
a  onorare  Virgilio  ;  secondo  il  Lana  e  Benr. 
sarebbe  partito  dai  poeti  nominati  appresso, 
ai  yy.  88-90;  secondo  il  Buti  invece  da  Ari- 
stotele. Ha  sono  spiegazioni  erronee:  «quel- 
la uno  (cosi  il  D' Ovidio,  p.  628)  che  invita 
gli  altri  non  pud  esser  che  Omero,  il  poeta 
sovrano,  che  appunto  apre  la  marcia  ed 
ha  perfino  l' insegna  del  comando  ».  —  81. 
ch'ora  dip«rtitat  per  andare  al  soccorso  di 
Dante:  cfir.  Jnf,  n  61-130.  —  84.  lembian- 
la  ecc.  Bati  :  «  non  erano  tristi,  perché  non 
aveano  martirio;  né  lieti,  porche  non  aveano 
beatitudine  ».  —  86.  oominelò  eoo.  Note- 
vole ò  il  rlsoontro  ohe  con  questo  passo 
offrono  alcuni  versi  di  Babano  Maaro  (cfr. 
Bit.  zn  189),  ove  tono  ricordati  insieme  i 
poeti  dei  quali  Dante  formò  la  bella  acuoia  : 
«  Carmina  nempe  tua  dico  meliora  Maronia 
Carminibus,  oeUi  cantibus  Ovidii,  Odis  quae 
oecinit  Fìaoou»,  verbosus  Howwnu,  Cordaba 
quem  genuit  »  (cf.  Moore,  I  6)  ;  sebbene  la 
menzione  di  Omero  non  sia  qui  se  non  tma 
perifrasi  per  indicare  Lucano  Qì  verboso 


Omero  di  Cordova).  —  86.  colai  eco.  Omo- 
ro,  che  tiene  la  spada  in  mano  come  prin- 
cipe dei  poeti  (cfr.  Lucrezio,  m  1060  :  «  Addo 
Heliconiadum  comites,  quorum  unus  Home- 
rus Sceptra  potitos»)  o  oomo  cantore  di 
latti  eroici:  fli  molto  ammirato  da  Dante, 
il  quale,  pur  non  avendo  letto  i  suoi  poemi 
(Moore,  I  164-166),  lo  saluta  {Pmg.  zzn  101) 
come  «  quel  greco  Che  le  Muse  lattftr  più 
eh'  altro  mai  ».  —  89.  Oraslo  satiro  :  Q.  Ora- 
zio Fiacco  venosino  (65-8  a.  C),  U  pi6  grande 
dei  lirici  romani,  ta  famoso  nel  medioevo 
massime  come  aatore  dei  dae  libri  di  Satire, 
piene  di  savi  ammaestramenti  e  di  sapienza 
pratica:  Dante  fti  stadiosissìmo  delle  poesie 
di  Orazio  (Moore,  I  197-206),  che  aveva  in 
conto  di  maestro  (cfr.  De  vulg.  eloq.  u  4: 
«  magister  noster  Horatius»).  —  90.  Orldio: 
P.  Ovidio  Nasone  sulmonese  (43  a.  C.  -  17 
d.  C),  fecondo  poeta  latino,  dalle  opere  del 
quale,  o  specialmente  dalle  Ercidi  e  dalle 
Metamorfosi,  Dante  trasse  molte  delle  sue  co- 
gnizioni sali*  antichità  classica,  massime  neUa 
parte  mitologica  (Moore,  1 206-228). —Lieano: 
M.  Anneo  Lucano  di  Cordova  (89-66  d.  C), 
«ntore  della  FarsaìiOf  poema  eroico  in  dieci 
libri  sulla  lotta  tra  Cesare  e  Pompeo,  molto 
studiato  da  Dante  (Moore,  I  228-242).  —  91. 
■eco  11  eOBTleno  eoe.  sono  poeti  come  me. 
—  92.  1»  voce  sola:  secondo  alcuni,  ò  la 
voce  unanime  dei  poeti  (cfr.  Maxziale,  De 
apeclaculia,  m  11  :  «  Vox  diversa  sonat  :  po- 
pulorum  est  vox  tamen  una  »)  ;  molto  meglio 
s' intende  la  voce  di  un  solo  die  invitò  i  com- 
pagni a  onorare  Virgilio  (cfr.  sopra  la  nota 


INPERNO  -  CANTO  IV 


29 


Cosi  vidi  adunar  la  bella  scuola 
dì  quei  signor  dell'altissimo  canto, 
96        che  sopra  gli  altri  oom' aquila  vola. 
Da  ch'ebber  ragionato  insieme  alquanto, 
Yolserai  a  me  con  salutevol  cenno; 
99        per  che  il  maestro  sorrise  di  tanto: 
e  più  d'onore  ancora  assai  mi  fennO| 
ch'essi  mi  feoer  della  loro  schieray 
102       si  ch'io  fai  sesto  tra  cotanto  senno. 
Cosi  n'andammo  infino  alla  liuniera, 
parlando  cose,  che  il  tacere  è  bello, 
105       si  com'era  il  parlar  colà  dov'era. 
Venimmo  al  pie  d'un  nobile  castello, 
sette  volte  cerchiato  d'alte  murai 
108       difeso  intomo  d'un  bel  fiiunicello. 
Questo  passammo,  come  terra  dura: 
per  sette  porte  entrai  con  questi  savi; 


al  T.  79).  —  94.  Ma*!»:  oompagnU;  oome  d 
ha  dal  ▼•  148:  cfir.  anche  Pwrg.  mii  79. 
D*  Ovidio,  p.  628  :  «  &  ziscontro  alla  fUoso- 
fiea  famigUa  d'Aristotele  [y.  182]  ».  —  95.  di 
f  ad  wìgnùT  eoo.  dei  poeti  nobilisBimi,  dei 
cnltod  della  più  alta  poesia  :  oosi  lessero  e 
intesero  tatti  gli  antichi  oommentatori,  oome 
Lana,  Bocc.,  Benv.,  Bati,  An.  fior.,  eoo.  e 
parecchi  moderni.  Altri  legano  di  quel  signor 
eoe  fiferendo  questa  lode,  i  ^  ad  Omero 
«  poeta  sonano  »,  aknni  aVixgilio  «altissi- 
no  poeta  »  :  si  ofir.  F.  GoUigrosso,  Qmatùmi 
ìeUerar»,  Kapoli,  1887,  pp.  1-24  e  D'Ovidio, 
pp.  624-630  —  96.  eoa'  aqoila  vola  :  perché 
la  poesia  di  Omero,  Virgilio  eoo.  assorse  alla 
Buggiore  sablimità,  oome  l' aquila  si  leva  ai 
v«^  pl6  alti  :  bella  e  semplice  similitudine, 
che  U  Tasso  allsrgd  nella  <hr.  Ub.»  xv  14: 
aquila  suole  Tra  gli  altri  augelli  tra- 
ina, E  sorvolando  ir  tanto  iq^resso 
il  sole  Che  nulla  vista  più  la  raiflgnra».  ~ 
98.  s«l«teT«l  «enne  :  oon  cenno  di  saluto  ; 
«vendo  Virgilio  detto  a  quei  quattro  ohe  Dante 
era  anch'  esso  poeta.  —  99.  41  tante  :  pur  di 
qoesto,  che  avrebbe  potato  parere  piooiol  se- 
gno d' oDon^  ma  che  era  grandissimo,  perché 
dato  da  quelli  alti  ingegni.  —  101.  eh' essi  ad 
fÌMer  eoe  che  mi  accolsero  nella  lor  compa- 
gnia. —  102.  toì  seste  eoo.  ftii  sesto  in  quella 
sapiente  radunansa  :  si  osservi  che  nel  Pwrg. 
xxD  97-100,  tra  ^  scrittori  antichi  posti  nel 
hmbo,  ricosda  anche  Terenzio,  Cecilio,  Flauto, 
Vazxoae,  Persio  «  ed  altri  asssi  ».  Acuta  os- 
servsàone  fa  il  D*  Ovidio,  p.  631  :  «  Allo  stu- 
dio dell' Janiirfs  doveva  Dante  l'aver  diritto  a 
iperaie  d'esser  aggiunto  al  drappel  sacro  dei 
gnoaii  poeti.  •  ciò  ft  simboleggiato  dal  pre- 


sentarlo che  VirgiUo  Ha  a  quelle  grandi  ombre. 
La  migliore  sua  speranza  era  d'essere  un  gior- 
no messo  quasi  alla  pari  de'  più  celebri  poeti 
antichi,  non  ostante  che  il  suo  poema  fosse 
moderno  ed  in  lingua  volgare ,  e  di  ciò  ò  sim- 
b<do  r  essere  stato  un  momento  {fu)  come 
sesto  nella  loro  comitiva  e  d'aver  confa- 
bulato oon  essi  a  tu  per  tu  di  poesia  ».  — 
103.  lumiera:  il  luogo  luminoso  nel  mezzo 
del  quale  era  il  fuoco  accennato  sopra,  al  v.  68. 
— 104.  parlando  cose  ecc.  discorrendo  d' ar- 
gomenti letterari  e  poetici,  che  qui  è  tanto 
opportuno  intralasciare  (perché  estranei  al 
fine  morale  del  poema),  quanto  là  era  piace- 
vole il  trattarne  (cfir.  JWy.  zxn  104).  — 
106.  nobile  cMtello:  secondo  i  oommen- 
tatori antichi,  nel  castello  d  simboleggiata 
la  sapienza,  nei  sette  cerchi  di  mura  le 
sette  arti  liberali  (grammatioa,  retorica,  dia- 
lettica, aritmetica,  geometria,  musica,  astro- 
nomia), nel  flumioello  la  disposizione  dell'  in- 
telletto umano  alla  scienza;  secondo  Pietro 
di  Dante  invece  tutto  questo  d  il  simbolo 
della  filosofia  e  delle  sue  sette  parti  (fisica, 
metafisica,  etica,  politica,  economica,  mate* 
matica  e  sillogistica)  e  per  il  Land,  e  YelL 
è  simbolo  dell'  unione  tra  le  virtù  morali  (pru« 
denza,  giustizia,  fortezza  e  temperanza)  e  le 
speculative  (inteUigenza,  scienza,  sapienza). 
— 109.  come  terra  dura  s  comò  luogo  asciut- 
to, cioò  senza  difficoltà;  dir.  iìxXi*InMligmxa, 
st.  211,  di  Cesare  :  «  per  mar  si  mise  a  nòto 
ancora...  E  notò  tanto  che  fu  'n  terra  dura  ». 
—  110.  savi:  poeti,  cosi  chiamati  per  esser 
stati  in  ogni  tempo  maestri  di  sapienza  agli 
uomini;  cfr.  In/*,  i  89,  vn  3,  Pwrg,  xxm  8, 
zzzm  16,  K.  N,  xx  11,  Conv,  iv  13  eoe  — 


30 


DIVINA  COMMEDIA 


111        giugnemmo  in  prato  di  fresca  verdura, 
denti  v'eran  con  occhi  tardi  e  gravi, 
di  grande  autorità  neMor  sembianti; 
114       parlavan  rado,  con  voci  soavL 
Traemmoci  cosi  dall' un  de*  canti 
in  loco  aperto  luminoso  ed  alto, 
117       si  che  veder  poteansi  tutti  quanti, 
OolÀ  diritto^  sopra  il  verde  smalto, 
mi  fùr  mostrati  gli  spiriti  magni, 
120       che  del  vederli  in  me  stesso  n'esalto. 
Io  vidi  Elettra  con  molti  compagni, 
tra'quai  conobbi  Ettore  ed  Enea, 
123        Cesare  armato  con  gli  occhi  grifagni. 
Vidi  Camilla  e  la  Pentesilea 
dall'altra  parte,  e  vidi  il  re  Latino, 
126        che  con  Lavinia  sua  figlia  sedea. 
Vidi  quel  Bruto  che  cacciò  Tarquino, 
Lucrezia,  lulia.  Marzia  e  Comiglia, 
129        e  solo  in  parte  vidi  il  Saladino. 


1 


112.  GeiU  eco.  Bella  questa  descrizione  de- 
gli spiriti  grandi  del  limbo  ;  dei  quali  Dante 
ci  dà  i  tratti  caratteristioi  notando  il  lento  e 
grave  mnover  degli  occhi,  f  autorità  dell'  »- 
spetto,  e  il  parlar  raro  e  tranquillo  ;  segni 
tatti  di  alto  animo.  ^  117.  tvttl  qiantl: 
tatti  gli  spiriti  raccolti  nel  castello,  dei  qaaU 
nominerà  molti  nei  tt.  121-144.  Si  noti  que- 
sto esempio  caratteristioo  di  quelle  enomera- 
cioni,  che  erano  tanta  parte  dei  serventesi 
ossia  della  poesia  narratira  antica  :  Dante  se 
ne  valse  con  sobrietà,  ma  non  si  ohe  non  si 
scorga  palese  in  tutte  le  cantiche  questa  ten- 
denza propria  dell'  arte  del  suo  tempo  (cfir. 
specialmente  Inf.  v  62-69,  zn  107-112, 133- 
188,  xvn  68-78,  zz  106-128,  zzi  118-128, 
zzvn  87-64,  zziz  126-182,  zzzn  66-69,  118- 
128;  Pwrg.  vi  18-24,  vn  91-136,  zn  26-68, 
ziv  48-64,  97-128,  zz  108-117,  zzn  97-114, 
zxiv  19-88;  Par.  vi  87-96,  vm  124-182, 
IX  97-102,  X  97-138,  zn  127-146,  xvi  68-66, 
88-189,  zvm  87-61,  zxz  116-148).  — 118.  di- 
rlttot  di  rimpetto,  o,  come  dice  il  Boti,  «  in- 
contra loro  che  stavano  a  vedere  ».  —  119. 
spiriti  magai  :  sono  due  gruppi,  quello  degli 
eroi  (w.  121-129)  e  quello  degli  scienziati 
(w.  180-144).  —  120.  n'esalto:  ne  fàcdo 
allegrezza.  — 121.  Elettra  :  una  delle  Pleiadi 
figliuole  di  Atlante,  la  quale  di  Giove  generd 
Dardano  il  mitico  progenitore  dei  Troiani  :  i 
oompa^  di  lei  sono  gli  eroi  dardanidi,  tra 
i  quali  Dante  riconosce  Btbìf%  il  maggiore 
del  figli  di  Priamo,  re  di  Troia,  e  di  Eouba, 
ed  EnM,  figlio  di  Anchise  e  di  Venero,  re 
delDaidani.  —  128.  Cesarti  Gaio  Oiolio  Ce- 


sare, U  gran  generale  e  dittatore  romano,  n. 
r  anno  100  a.  0.  e  morto  V  a.  44,  considerato 
nel  medioevo  come  il  primo  degli  imperatori  : 
cfir.  Bw.  VI  66  e  sgg.  —  eoa  gU  oeehl  grl- 
fligal  I  neri  e  vivaci,  come  di  sparviero  ^ 
lagno  (cfir.  Suetonio,  Oiar.  cKp,  46).  —  124. 
CamUla:  cfr.  Inf.  i  107.  ~  PnlasUtat 
figliuola  di  Marte  e  regina  delle  Amazoni, 
morta  per  mano  d' Achille  nella  guerra  troiana 
(cfir.  Ovidio,  HmM,  zzi  118).  — 126.  Latlae  : 
figlio  di  Fauno  e  re  del  Lazio,  fii  padre  di 
Lavinia,  la  quale  fii  prima  promessa  a  Turno 
re  dei  Rutali  e  poi  data  in  isposa  ad  Enea. 
—  127.  qnel  Brate  ecc.  Ludo  Qiunio  Bruto, 
che  cacciando  il  re  Tarquinio  Superbo  in- 
stauro la  repubblica  romana,  e  fii  il  primo 
che  avesse  insieme  con  L.  Tarquinio  Oolla- 
tìno  l'officio  di  console,  l'a.  609  a.  C.  (cfir. 
Livio,  1 26-60).  — 128.  IiieresU  :  la  virtuosa 
figlia  di  8p.  Luoresio  e  moglie  di  L.  Tarqui- 
nio GoUatGìo,  violata  da  Sesto  Tarquinio  fi- 
glio del  re  Tarquinio  Superbo  (efr.  Livio,  i 
67-68).  -  lolla:  figlia  di  C.  e.  Gasare  e 
moglie  di  C^  Pompeo  il  grande,  del  quale  fii 
amantissima  —  Mania:  Manda,  figliuola  di 
Mardo  Filippo  e  moglie  prima  di  Gatone  Uti- 
cense  e  poi  À  Q.  Ortensio  fiunoso  oratore  (cfir. 
Purg,  I  79).  —  Oonilglia:  OmieUa,  fig^  di 
P.  Gomelio  Scipione  AMoano  il  maggiore  • 
moglie  di  Tiberio  Sempronio  Oiaooo,  dal  qual» 
ebbe  i  due  fimosi  figliuoli  Tiberio  e  Olio  » 
la  figlia  Sempronia:  cfr.  Par,  zv  129.  ^  129» 
il  Saladino:  Selah-eddyn,  sultano d'B^tto,^ 
nato  nel  1187,  salito  al  Irono  nel  1174  e  morta 
nel  1198;  famoso  nel  medioevo  nei  paesi  o^ 


INFERNO  -  CANTO  IV 


3] 


Poi  che  innalzai  un  poco  più  le  cigliai 
vidi  il  maestro  di  color  che  sanno, 
132        seder  tra  filosofica  famigliai 

Tutti  l*ammiran|  tutti  onor  gli  fanno: 
quivi  vid*io  e  Socrate  e  Platone, 
135        che  innanzi  agli  altri  più  presso  gli  stanno; 
DemocritO|  che  il  mondo  a  caso  pone, 
Diogenès,  Anassagora  e  Tale, 
138       Empedoclès,  Eraclito  e  Zenone; 
e  vidi  il  buono  accoglitor  del  quale, 
Dioscoride  dico;  e  vidi  Orfeo, 
141        Tullio  e  Lino  e  Seneca  morale; 
Euclide  geometra  e  Tolomeo, 


fHftntftìt  per  le  sue  gnndl  liberalità  e  mnni- 
fieenae,  per  le  quali  fti  considerato  come  il 
Ugo  ideale  del  oeTaliere  e  tignore  maomet- 
tBBO  (cfr.  K.  llBzin,  SieL  de  Saladiti  mtUan 
éTJ^gypU,  Puigi,  1768,  e.  Faiis,  La  légmd» 
AMÓdriii,  Faois,  18d8,  e  le  norélle  del  Booc, 
Dac  g.  I  8  e  g.  z  9)  :  Dante  lo  onora  d*alte 
lodi  ancbe  nel  Oom,  ir  11.  —  181.  il  mee- 
ttn  eoe.  Azktotele,  nato  a  Stagin  nel  884 
e  morto  nel  822  a.  0.,  autore  di  molte  opere 
lloBoAche,  fiaiclie,  poUtiche  per  le  qnaU  tu. 
aiutato  come  vno  dei  pi&  dotti  nomini  del- 
Faafiehità,  e  nel  medioero  tenuto  come  il 
|l&  grande  filoaofo  ohe  aveme  avuto  il  mon- 
do :  Dante  ne  ta  «tudiosiasimo  (Bloore,  I  92- 
]fi6,  e  per  le  tradazioni  delle  opere  aristote- 
liche studiate  dal  poeta,  I  d06-Ù8)  e  lo  chia- 
mò «  maestro  dei  filosofi  »  (Gmv.  iv  8),  «  mae- 
gtxD  dell*  umana  ragione  »  (ivi  rv  2),  «  mae- 
stro e  duca  dell'umana  ragione  »  ^  ir  ^, 
e  «  gliy*««ft  flioeofo  al  quale  la  natura  più 
apsEse  li  suoi  segreti»  (Ìtì  m  6);  lodi  che 
bso  si  conTongono  a  quell'altissimo  intelletto. 
—  184.  Socrate  x  filosofo  ateniese,  nato  nel 
«70  •  morto  nel  899  a.  a  —  Piatene:  filo- 
sofo ataniesB,  discepolo  di  Socrate,  nato  nel 
427  e  morto  nel  847  a.  0.  (jper  la  cognizione 
^e  Dante  ebbe  delle  dottdne  platoniche,  ofr. 
Jfooze,  I  158-164).  —  186.  Denoeriio  :  filo- 
solo  nato  in  Abdera  Terso  il  460  e  morto  nel 
861  a.  C,  seguace  delle  dottrine  atomistiche 
del  suo  maestro  Lenoippo.  —  eke  il  mondo 
a  cas«  eco.  :  dottrina,  della  quale  Dante  potò 
arer  notizia  da  Ciceróne,  De  noL  dtor,  i  24, 
tt  :  «  ex  bis  efBaotum  esse  caelum  i|tque  ter- 
rsm,  nulla  oogents  natura,  sed  concuisu  quo- 
dam  fixrtoito  ».  ^  187.  Dlogeaès  t  Diogene 
il  dnioo,  nato  a  Sinope  nel  404  e  morto  nel 
828  a^.  G.,  filosofo  Dunoso  per  il  suo  disprezzo 
dt^  agi  dèlia  Tita  e  per  le  acri  riprensioni 
dei  Tisi  umanL  ~  laassagora  :  filosofo  gre- 
eo,  nato  a  CBazomene  nel  600  e  morto  nel 
fiB  a.  C  —  Tak  t  Tàlete,  uno  dei  sette  saTi 


della  C^reda,  nato  a  Mileto  e  Tissnto  tra  fl 
689  e  U  646  a.  G.  —  188.  Empedoelès:  Em- 
pedocle, filosofo  agrigentino,  nato  Terso  il  490 
e  morto  Terso  il  480  a.  G.  —  Eraclito  t  filo- 
sofo di  Efeso,  che  fiori  Terso  il  600  a.  C.  — 
Zosoaes  Zenone  di  Elea,  che  fiori  Terso  il 
460  a.  0.  ed  ò  ricordato  da  Cicerone,  Tute 
ditpuL  n  22,  oppure  Zenone  di  (^tio,  Tissnto 
intomo  al  800  a.  C,  fondatore  deDa  scuola 
degli  stoict  —  189.  baoao  accoglitor  del 
qaale  :  Pedanio  Dioscoride,  medico  diAnazax^ 
bo  in  (Alicia  (i  sec  d.  C),  autore  di  cinque  li- 
bri di  materia  medica,  doTO  tratta  del  quale 
cioè  della  qualità  o  Tìrtd  medica  deUe  erbe, 
delle  piante  ecc.  —  140.  Orfeo  :  il  mitico  poe- 
ta tracio,  figlio  della  musa  Calliope,  del  quale 
raccontarano  gli  antichi  che  si  traesse  dietro 
col  dolcissimo  canto  le  pietre  e  gli  animali  ; 
che  Tuoi  dire,  secondo  Dante  {Cono,  n  1),  che 
«  il  saTio  uomo  coDo  strumento  della  sua  voce 
fa  mansuescere  e  umiliare  li  crudeli  cuori,  e 
Da  muoTere  alla  sua  Tolontà  coloro  ohe  non 
hanno  Tita  di  scienza  e  d' arte  ».  — 141.  Tul- 
lio: M.  Tullio  Cicerone,  oratore  e  filosofo, 
nato  in  Arpino  nel  106  e  morto  nel  43  a.  C.  ; 
delle  opere  di  lui  Dante  fti  studiosiBsimo  {Cono. 
xll,nlS,16,r?6,  8,12  eco.  ;  De  monar- 
eMa,  n  6,  8,  10  ;  De  vulg.  elog,,  n  6  :  cfr. 
Moofe,  I  258-278).  —  Lino  :  musico  e  poeta 
greco,  figlio  di  Apollo  e  di  Calliope,  consi- 
derato come  una  porsonifioazione  mitica:  è 
ricordato  insieme  con  Orfoo  da  Virgilio,  EeL 
rr  66  (cfr.  Moore,  I  192).  —  Seneca  morale  : 
L.  Anneo  Seneca  filosofo,  nato  a  Cordova 
Terso  il  principio  dell'  era  cristiana  e  morto 
nel  65  d.  C,  autore  di  molte  opere  morali 
{De  ira,  De  eonsolaHone,  De  benefieiia  ecc.), 
quasi  tutte  oonosdnte  da  Dante  {Cono,  i  8, 
n  14,  m  14,  rv  12  ;  i>8  mon.,  u  b;  De  vulg. 
eloq.,  z  17:  cfr.  Mooze,  I  288-290).  —  142. 
Euclide:  è  il  celebre  matematico  alessandrino 
Tissnto  intomo  al  800  a.  C,  autore  dei  18 
libri  degli  EltmerUi  di  geometria,  —  Tolemeoi 


32 


DIVINA  COMMEDU 


Ippocrate,  Avicenna  e  Galieno, 
144        Averrois  che  il  gran  comento  feo. 
Io  non  posso  ritrar  di  tutti  a  pieno; 
però  che  si  mi  caccia  il  lungo  tema 
147        ohe  molte  volte  al  fatto  il  dir  vien  meno. 
La  sesta  compagnia  in  due  si  scema: 
per  altra  via  mi  mena  il  savio  duca, 
150       fuor  della  qneta,  nell'aura  che  trema; 
e  vengo  in  parte,  ove  non  è  che  luca. 


dftadio  Ptolomeoi  geografo,  matematioo  • 
astronomo  egiziano,  ▼ioBoto  nel  leo.  n  d.  C, 
autore  del  eietema  astronomico  segofto  da 
Dante.  —  14S.  Ippo«ratos  nedioo  natìro  di 
Ooo,  vissuto  dal  4,70  oiica  al  866  a.  0.,  ao- 
toie  di  moltissime  opere,  tra  le  quali  tono 
notissimi  ^  AforiamL  —  ATieinuit  Ibn- 
Slnft,  fluaoBO  medico  azabo,  nato  nel  960  e 
morto  nel  1066,  autore  d*in  commento  aiir 
stotelico  noto  a  Dante  (ofr.  Cfom.  n  U,  16, 
m  14,  IT  21).:  si  Teda  Oana  de  Vanz,  ^««0011- 
Mtf,  Pazigi,  1900.  —  Clalltaot  CSandio  Galeno, 
celebre  medico,  nato  in  Pergaaio  nel  181  e 
OK>rto  nel  201  d«  C,  autore  di  molte  opere 
di  medicina,  tra  le  quali  aloone  lozono  note 
a  Dante  (cfr.  Mooro,  x  297).  —  UL  ATtr» 
rtls  s  Ibn-Boschd,  filosofo  arabo,  nato  a  Cor- 
doTa  nel  1126  e  morto  nel  1196,  antere  di 
più  opere  mediche  e  filosofiche  e  di  nn  grande 


commento  sopra  Aristotele  del  qnale  fàcera 
molta  stima  anche  Dante  (cfr.  Purg,  zzt  63, 
Cono,  17  ÌS,  De  monareh.  i  4):  si  Tedano  E. 
Benan,  AvemS§  d  l^Avtrroimne,  Parigi,  1861 
e  P.  Paganini,  Qpuso.  dmt,  n.*  6,  pp.  81-44. 
—  146.  ritrar  X  rìfexire,  render  conto.  — 
146.  il  mi  caccia  ecc.  m'incalza  l'ampia  ma- 
teria da  me  presa  a  trattare.  —  147.  al 
tHUfè  eco.  il  mio  racconto  non  può  toccare  di 
tatto  ciò  che  io  Tidi.  —  148.  la  setto  e«a- 
pagilat  la  compagnia  dei  sei  poeti  si  diTìde 
in  due:  l' nna  dei  quattro  che  rimangono  nel 
limbo,  l'altra  di  Virgilio  e  Dante  che  scen- 
dono dal  primo  nel  secondo  cerchio.  —  160. 
fker  ecc.  :  queta  dice  l' aria  del  limbo,  perché 
mossa  leggermente  dai  sospiri,  in  con^nto 
dell'  aria  eh»  trema  del  secondo  cerohio,  per^ 
che  agitata  da  un  turbine  Tiolento.  —  161. 
•?•  Btn  è  ehe  laca  :  ott,  Jnf,  t  28. 


CANTO  V 

Sair  ingresso  del  secondo  cerchio  i  due  poeti  trovano  Minos,  il  giudice 
infernale,  che  assegna  a  ciasoan*  anima  il  sno  laogo  e  la  saa  pena  ;  poi 
entrati  nel  cerohio  vedono  i  lassnriosi  rapiti  continnamente  in  giro  da  un 
vento  impetuoso  :  Francesca  da  Polenta  si  sofferma  per  raccontare  ai  poeti 
la  storia  infelice  del  suo  amore  [sera  dell' 8  aprile]. 

Cosi  discesi  del  cerchio  primaio 
giù  nel  secondo,  che  men  loco  cinghia, 
8        e  tanto  più  dolor,  che  pugne  a  guaio. 
Stawi  Minos  orribilmente  e  ringhia: 
esamina  le  colpe  nell'entrata, 


V  1.  Cosi:  cioè  con  la  oompegnia  del 
solo  Virgilio.  —  primaio:  primo.  —  2.  che 
nen  lece  eoe  che  raochiade  minore  spazio 
(poichó  1  cerchi  si  Tanno  restringendo  di  ma- 
no in  mano  che  si  scende)  e  tanto  maggior 
dolore,  che  opprime  le  anime  costringendole 
a  trar  guai  (ofr.  t.  48).  —  4.  Minos  :  secondo 
la  mitologia  era  il  saTio  re  di  Greta,  figlio 
di  QioTO  e  d'Eoropa;  aveva  fama  di  seve- 
rissimo nomo,  spedalmente  per  la  tenibile 


vendetta  della  morte  d'Androgeo,  e  perdo 
fu  dai  poeti  antichi  imaginato  come  giudico 
infernale  insieme  con  Badamanto  ed  Eaoo. 
Virgilio,  En,  vi  426  e  segg.,  lo  colloca  sa- 
bito appresso  il  luogo  dei  bambini,  come  giu- 
dice :  «  Noe  vero  hae  sine  sorte  datae,  sino 
iodico,  sedes.  Qoaesitor  Minos  umam  movet  ; 
Ule  silentum  Conciliumqae  vocat  vitasque  et 
orimina  discit  ».  —  ringhia  :  digrigna  i  denti, 
fremendo  di  sdegno.  —  6.  esamia»  eco.  Vir- 


INFERNO  —  CANTO  V 


33 


6       giudica  e  manda,  secondo  che  avvinghia. 
Dico,  che  quando  l'anima  mal  nata 
li  vien  dinanzi,  tutta  si  confessa; 
9       e  quel  conoscitor  delle  peccata 
vede  qual  loco  d'inferno  è  da  essa: 
cigneei  con  la  coda  tante  volte 
12        quantunque  gradi  vuol  che  giù  sia  messa. 
Sempre  dinanzi  a  lui  ne  stanno  molte: 
vanno  a  vicenda  ciascuna  al  giudizio; 
15       dicono  e  odono,  e  poi  son  giù  volte. 
€  0  tu,  che  vieni  al  doloroso  ospizio^ 
disse  Minos  a  me,  quando  mi  vide, 
18        lasciando  l'atto  di  cotanto  ufizio, 
guarda  com' entri,  e  di  cui  tu  ti  fide: 
non  t'inganni  l'ampiezza  dell'entrare!  » 
21        £  il  duca  mio  a  lui:  €  Perché  pur  gride? 
Non  impedir  lo  suo  fatale  andare: 
vuoisi  cosi  colà,  dove  si  puote 
24       ciò  che  si  vuole,  e  più  non  dimandare  » 
Ora  incomincian  le  dolenti  note 
a  farmisi  sentire:  or  son  venuto 
27        là  dove  molto  pianto  mi  peroote. 
Io  venni  in  loco  d'ogni  luce  muto. 


g:ìIio,  JBn,  TI  667  :  «  Gastlgatqne  «aditqne  do- 
te» sabigitqne  Dfttsri».  ^  wtrftUi  fecondo 
aldini,  è  r  atto  dell'entrare  ohe  lànno  le  ani- 
md  ;  secondo  altzi,  il  luogo  dell'entrare,  Tin- 
gieno:  «in  limine  primo»,  dice  Viiìg:ilio, 
Eti.  TI  427.  —  6.  leeondo  eke  ardaglila  : 
■eeondo  il  nomerò  •  degli  ayyolgimenti  della 
na  coda;  come  Dante  spiega  nei  Torti  che 
seguono.  —  7.  mài  nata:  soiagorata,  dan- 
nata; e  però  tale  che  sarebbe  stato  meglio 
per  lei  non  nascere  :  come  Cristo  disse  del 
soo  traditore  (Matteo  xxvi  24).  —  8.  tatta: 
Bati:  «  pienamente,  non  lasciando  alcuna 
colpa  ».  —  9.  eososeltor:  come  il  veibooo- 
Aoaesre  nel  lingnaggio  gioiidico  signiflcdpiw- 
dieaan$,  cosi  eonoteiion  volle  dir  giudiot  ;  cCr. 
Bezasoo,  iXt.  266.  —  10.  k  da  essa  :  ò  oon- 
Teaiente,  adattato  a  tale  anima.  —  11.  el- 
gnesl  ecc.  Se  ne  ha  la  riprova  nell'  Inf, 
xxvu  124  e  segg.,  dove  Qnido  di  Montofel- 
tro,  cfaa  è  nell*  ottavo  cerchio,  racconta  che 
MinoB  «  attorse  otto  volto  la  coda  al  dosso 
doro  »,  par  giudicarlo.  —  12.  qRaatanqne  : 
quanti  ;  ma  contiene  in  s6  idea  d' indetermi- 
nata quantità,  come  se  dicesse  :  quanti  mai, 
quanti  secondo  i  oasi.  —  gradi  :  cerchi  in- 
fernali. —  13.  Sempre  ecc.  Le  anime  che 
giungono  continuamente  alla  riva  d'Ache- 
ronte (cfir.  bif.  m  119  e  segg.)»  passato  il 
tona,  tÀ  aJEoUano  innanzi  a  Minosse  :  l' una 


dopo  r  altra  si  presentano  al  giudizio  ;  con- 
feesano  i  peccati  e,  data  la  sentonza,  sono  pre- 
cipitato ciascuna  nel  proprio  cerchio  dai  dia- 
voli, esecutori  della  condanna  (cfir.  Inf.  xxi 
25  e  segg.).  — 16.  doloroso  •ipùlo:  albergo 
del  dolore.  —  18.  lasciando  eoe,  sospen- 
dendo l'esercizio  del  suo  alto  ufficio  di  giu- 
dice delle  anime.  —  19.  gnarda  eoe  Minosse 
vuole  intimidir  Danto,  e  cerca  perciò  di  scuo- 
ter la  fiducia  eh'  egli  ha  nella  sua  guida.  — 
20.  Pamplezsa  ecc.  la  facilità  d'entrar  nel- 
rinfemo ;  cfr.  Virgilio,  En.  vi  126  :  «  . . .  £a- 
cilis  descensus  Averne;  Noctes  atque  dies 
patot  atri  ianua  Ditis  :  Sed  revocare  gradum, 
superasqne  evadere  ad  auras.  Hoc  opus,  hio 
labor  est  »  ;  ma  Danto  ebbe  forse  la  mento 
all'  evangelico  (Matteo  vn  13)  :  «  larga  d  la 
porta,  e  spaziosa  la  via,  che  mena  alla  per- 
dizione; e  molti  sono  coloro  che  entran  per 
essa  ».  —  21.  Perehé  pnr  gride  :  perché  con 
vane  minacce  tonti  di  distoglier  Danto  dal 
suo  viaggio,  ohe  è  voluto  da  Dio  ?  H  pur  può 
significare  aneh»  tu;  tanto  è  vero  che  Vir* 
gilio  ripeto  a  Minosse  le  parole  detto  già  a 
Caronto,  Inf,  va  96.  —  25.  dolenti  noto: 
voci  di  dolore,  l»  diaperaU  strida  già  annun- 
ziato al  poeta  da  VirgiUo  {Inf  i  116).  -  27. 
mi  pereote:  non  pnro  il  senso,  ma  anche 
l' animo.  —  28.  d' ogni  luce  mate  t  oscuro, 
privo  di  luce  ;  Venturi  66  :  «  la  voce  daate- 

3 


34 


DIVINA  COMMEDU 


che  muggliia,  come  £&  mar  per  tempesta, 
80       se  da  contrari  venti  è  combattuto. 
La  bufera  ìnfemal,  che  mai  non  resta, 
mena  gli  spirti  con  la  sua  rapina, 
83       voltando  e  percotendo  li  molesta. 
Quando  giungon  davanti  alla  mina, 
quivi  le  strida,  il  compianto  e  il  lamento, 
86       bestemmian  quivi  la  virtù  divina. 
Intesi  che  a  cosi  fatto  tormento 
ènno  dannati  i  peccator  carnali, 
89       che  la  ragion  sommettono  al  talento. 
E  come  gli  stomei  ne  portan  Pali, 
nel  freddo  tempo,  a  schiera  larga  e  piena, 
42       cosi  quél  fiato  gli  spiriti  mali' 

di  qua,  di  là,  di  giù,  di  su  gli  mena; 
nulla  speranza  gli  conforta  mai, 
45       non  che  di  posa,  ma  di  minor  pena. 


8»,  con  bel  tcaaUto,  mentre  ifaiTigorisce 
l' idea  appropriando  alla  vista  la  prirazione 
di  nn  altro  senso,  adombra  l'arcana  ooni- 
spondenza  cbe  ò  fta  i  sensi  nostri,  e  più 
specialmente  tn  la  vista  o  V  udito  ».  ~  29. 
mogghla  t  Bocc:  «  risnona  per  lo  zawolgi- 
mento  delle  strida  e  de'  pianti  >  ;  e  nota  che 
mugghiare  è  proprio  de'  bnoi,  mentre  qui  si- 
gnifica Tin  ramoreggìaie  oonftiso  e  capo.  — 
31.  La  bnfera  eoe  La  bufera,  vento  impe- 
tuoso e  forte  che  abbatte  e  trascina  tutto 
ciò  che  gli  si  para  innanzi,  è  etema,  mai 
non  reato,  come  quella  ohe  f^  ordinata  da 
Dio  come  strumento  alla  punizione  dei  lus- 
suriosi :  c£r.  la  nota  al  v.  96.  —  82.  rapina: 
rapimento  vorticoso,  determinato  dall'impeto 
del  vento.  —  84.  Qoaado  eoe  Lana,  Booc., 
fiuti  e  in  generale  gli  antichi  commentatori 
intesero  la  ruina  per  V  avvolgimento  oagio- 
nato  dalla  bufera;  come  se  Dante  dicesse: 
Quando  le  anime,  mandate  da  Minosse,  per- 
vengono in  questo  turbinio  rovinoso,  comin« 
ciano  grandissime  strìda  e  pianti  e  lamenti. 
Altri  invece  intendono  ruina  per  un  vero  e 
proprio  scoscendimento  della  roccia  (o£r.  Inf. 
su  32  e  45),  innanzi  al  quale,  per  esseni 
seduto  Minosse,  simbolo  della  coscienza  zi- 
morditrìce  delle  colpe,  i  dannati  urlino  e 
piangano  piò  disperatamente.  Altri  finalmente 
intendono  nana  per  il  luogo  d'ingresso  al 
secondo  cerchio;  nel  quale  si  forma  la  bufera 
e  dove  quindi  ^  spiriti  sono  nuovamente 
rìpred  dal  vento  ohe  li  trae  in  giro.  Si  veda- 
no Golagrosso,  QuetL  letier,,  pp.  27-46,  For- 
naciarì.  Studi,  pp.  46-68,  e  Bull,  I  67, 162. 
—  87.  Intesi:  udii  da  Virgilio.  Scart.:  «non 
già  porchó  Viigilio  0  alcun  altro  glielo  di- 


oesse,  ma  if  bene  argomentando  dal  modo 
della  pena,  oome  Btf,  m  61,  x  64  >  ;  ma  nel 
primo  luogo  Dante  inUnde  dopo  che  Viigìlio 
gli  ha  gi&  detto  che  ivi  sono  i  vili,  e  nel  se- 
condo rìoonosoe  il  Cavalcanti  dal  modo  della 
pena  e  da  certe  parole  oh'  egli  ha  dette,  ap- 
punto perché  sa  già  ohe  ò  in  cospetto  degli 
eretici:  cf.  D'Ovidio,  p.  123.  —  88.  èaao: 
forma  arcaica  per  »mo,  attestataci  dal  luogo 
del  Par.  xm  97,  dov'è  in  rima:  cC  E.  Q.  Pa- 
rodi, BuU„  m  126.  —  39.  che  la  ragloB 
ecc.  fiuti:  «fanno  la  volontà  signoreggiare 
la  ragione;  li  lussuriosi  £uino  della  volontà 
legge  ovvero  del  parere  legge,  e  della  volon- 
tà ragione  ».  Il  Tornu»  cita  opportunamente 
parecchi  riscontri  di  scrittori  medioevali  ;  tra 
gli  altri,  questi  della  Tavola  ritonda,  cap.  75: 
«  Io  non  voglio  sottomettere  la  ragione  alla 
volontà  »,  e  di  Folgore,  son.  jxx.  :  «  Chi  som- 
mette  rason  a  voloniade  ».  —  40.  E  eoaie 
gli  stomei  eoo.  E  come  gli  stornelli  volano 
durante  la  stagione  invernale  in  larga  e  fitta 
schiera,  ooii  gli  spiriti  dei  lussuriosi  :  gli 
stornelli  portati  dalle  loro  ali,  gli  spiriti  dal 
vento  turbinoso.  Lomb.  :  «  Sceglie,  al  pa- 
ragone  dell'irregolare  mossa  data  dal  vento 
a  quelli  spiriti,  il  volo  degli  stornelli,  pe- 
rocché di  fatto  è  irregolarissimo  ».  —  43. 
DI  qua,  41  là  eco.  Venturi  432  osserva  oome 
M  coi  suoni  rotti  di  questi  avverbi,  ohe  1*  un 
r  altro  s' incalzano  »  sia  ben  dipinto  l'effetto 
della  bufsra,  che  avvolge  e  aggira  misera- 
mente quelli  spiriti;  e  si  noti  anche  oome 
U  castigo  sia  bene  appropriato  all'  incostan- 
za ed  agitazione  dell'animo,  nella  quale  il 
vizio  trascina  i  lussuriosL  —  44.  nulla  spe- 
ranza eco.  non  hanno  alcuna  speranza,  i^oa 


INFERNO  -  CANTO  V 


35 


E  come  i  gru  van  cantando  lor  lai, 
£EU^endo  in  aer  di  sé  lunga  riga; 
48       cosi  vid'io  venir,  traendo  guai, 
ombre  portate  dalla  detta  briga: 
per  eh* io  dissi:  €  Maestro,  ohi  son  quelle 
51       genti,  che  Taer  nero  si  gastiga?  > 
«  La  prima  di  color,  di  cui  novelle 
tu  vuoi  saper,  mi  disse  quegli  allotta, 
64       fu  imperatrice  di  molte  favelle. 
A  vizio  di  lussuria  fu  si  rotta, 
che  libito  fé'  licito  in  sua  legge, 
67       per  tdrre  il  biasmo,  in  che  era  condotta. 
Eirè  Semiramis,  di  cui  si  legge 
che  succedette  a  Nino,  e  fu  sua  sposa: 
60       tenne  la  terra  che  il  Soldan  corregge. 
L'altra  è  colei,  che  s'ancise  amorosa, 
e  ruppe  fede  al  cener  di  Sicheo; 
63        poi  è  Cleopatràs  lussuriosa. 


por  di  posare,  ma  né  anche  di  a;?er  ima 
pena  meno  Tiolenta.  —  46.  B  Mme  1  grm 
ecc.  Mentre  la  similitiidine  tratta  dagli  ttor- 
neUi  ci  mostra  come  le  anime  fower  ttasci- 
oate  dal  Tento,  questa  delle  gra  ci  fa  ten- 
tir  le  grida  di  dolore  dei  dannati.  Venturi 
433  :  «  Si  congionge  con  la  precedeste.  Là 
d  mostnta  la  fòUa  ;  qui,  coi  lamentosi  gridi, 
la  schiera  in  Innga  fila,  si  ohe  il  poeta  discerné 
i*  ana  dall'  altra  anima,  ohe  gli  passa  dartm- 
ti».  —  lai  t  già  il  Beco,  notò  ohe  lai  nel- 
r  antico  firanoese  aignificaTa  nn  componimento 
in  Tersi  «  in  forma  di  lamentazione  »  (sul 
quale  ni  Teda  F.  Wolf,  Ueber  die  Lai»,  Se- 
q%ianxen  vnd  Leióhe,  Heidelberg,  1841);  ma 
seOa  nostra  lingna  assunse  il  significato  di 
Tooe  lamenterole,  dolorosa,  e  si  disse  spe- 
cialmente del  canto  di  certi  nooelli.  —  47. 
t^etmdm  ecc.  :  secondo  i  più  dei  oommenta- 
tori  la  htnffa  riga  è  quella  degli  uccelli  che 
Totano  l'uno  dietro  l'altro;  il  Booo.  iuTeoe, 
■ottilmente,  intende  dell'atto  proprio  di  da* 
scoaa  gru  :  «  stendono  il  oollo,  il  qusle  essi 
tìMiTift  lungo,  <««Mì*i,  e  le  gambe,  le  quali 
ùmlmente  hanno  hin^e,'  e  cosi  fumo  di  sé 
hmga  riga  ».  ~  48.  traendo  guai  :  lamen- 
tandosi ;  cf.  Inf,  xm  23.  —  49.  brigai  la  ba- 
fera  infernale.  —  61.  aer  neroi  Tento  che  sof- 
fia in  luogo  tenebroso.  —  63.  La  prima  ecc. 
Semiramide,  regina  degli  Assiri  (circa  1273  a. 
C.)  ;  della  quale  certo  Dante  lesse  (cfir.  Hoo- 
re,  I  280-281)  dò  che  soriTO  Paolo  Orosio 
(HiaL  X  4)  :  «  Huic  [Nino]  mortao  Semiiamis 
uxor  soccessit...  Haeo  libidine  ardens,  san- 
gcdnem  sitiens,  Inter  inoeesabilia  stapra  et 
liomiddia,  quum  omnes  quos  regiae  aroessi- 
toe,  meretiicis  habitu,  conoaMta  obleotassot. 


oooideret,  tandem  filio  flagitioBe  conoepto,  im- 
pie  ezposito,  inceste  cognito,  priTatam  igno- 
minìam  publioo  soelere  obtexit  Fraeoepit 
enim  ut  Inter  pazoutes  ao  filios  nolla  delata 
rererentia  natorae  de  ooningiìs  adpetendis, 
guod  euiqué  Ubiium  ssaa^  Ueiium  [Tarlante 
più  comunemente  adottata,  Uberum]  ftent  »  : 
cfr.  F.  Lenormant,  La  legènda  d»  8$miramia, 
Parigi,  1877.  Sopra  la  forma  ossitona  dei  nomi 
greci  e  barbari,  dipendonte  in  Dante  dall' os- 
serTsnza  delle  regole  de)U  grammatica  latina 
medioeTale,  si  cfir.  £.  O.  Parodi,  BulL  m 
106-107.  ~  68.  allotta:  aUora;  ofr.  Bif, 
XXI  113.  —  64.  di  molte  CsreUe:  di  molte 
nazioni,  Tarie  di  stirpe  e  di  lingoaggio.  — 
66.  f^i  si  rotta  :  si  abbandonò  ood  sfrenata- 
monte.  —  68.  di  eal  si  legge  i  nelle  storie  ; 
allusione  alle  parole  d' Orosio,  citate  da  Dante 
anche  nel  De  mon,  n  9.  —  60.  tenae  la  terra 
eco.  Alcuni  intendono:  dominò  la  città  di 
Babilonia,  saU'  Eofirate  ;  la  quale  Dante  a- 
Trebbe  scambiata  con  Babilonia  sol  Nilo, 
sede  ai  suoi  tempi  del  Soldano  d' Egitto.  Al- 
tri: dominò  la  regione  dell'Egitto,  conqui- 
stata da  Nino,  marito  di  Semiramide,  secondo 
la  testimonianTa  di  un  antico  storico  riferito 
da  Diodoro  Siculo  (n  1).  —  61.  L'altra  i 
eco.  Didone,  moglie  di  Sicheo,  fondatrice  e 
regina  di  Cartagine;  dopo  la  morte  del  mar 
rito  avoTa  fatto  TÓto  di  TedoTile  castità,  ma 
s' innamorò  di  Enea,  e  si  dòtte  a  luì  :  e,  ab- 
bandonata dall'  amante,  per  disperazione  si 
uccise  (cfir.  Virg.,  En,  i,  it)  —  s»  aaeise  : 
cfr.  Petrarca,  Tr.  della  castità,  10  :  «  Dido, 
Ch'amor  pio  del  suo  sposo  a  morte  spinse. 
Non  quel  d'  Enea  oom*  è  '1  pubblico  grido  ». 
—  63.   Cleopatràs:  regina  d'Egitto,   figlia 


36 


DIVINA  COMMEDIA 


Elena  vidi,  per  cui  tanto  reo 
tempo  si  volse,  e  vidi  il  grande  Achille, 
6G       che  con  amore  al  fine  comhatteo. 
Vidi  Paris,  Tristano  »  ;  e  più  di  mille, 
omhre  mostrommi,  e  nominoUe  a  dito, 
69        che  amor  di  nostra  vita  dipartille. 
Poscia  ch'io  ebbi  il  mio  dottore  udito 
nomar  le  donne  antiche  e  i  cavalieri, 
72       pietà  mi  giunse,  e  fai  quasi  smarrito. 
Io  cominciai  :  «  Poeta,  volentieri 
parlerei  a  quo' due,  che  insieme  vanno 
75        e  paion  si  al  vento  esser  leggieri  ». 


di  Tolomeo  Aulete,  viarata  dal  69  al  80  a. 
C.  :  tra  gli  altri  molti  ai  quali  oonceese  le 
sae  grazie  ftuono  Cesare  e  Antonio  :  dire- 
nata prigioniera  di  Ottariano,  si  uodse  per 
non  servir  d*  ornamento  al  trionfo.  —  64.  Ele- 
na: la  figlia  di  Giore  e  di  Leda,  bellissima 
delle  donne  greche;  il  ratto  della  quale,  ope- 
rato da  Paride,  ta  cagione  della  guerra  di^ 
Troia.  —  Tldl:  Kannnod,  Vèrbi  788:  «ten-' 
go  che  vidi  sia  qui  seconda  pera.  sing.  del- 
l'ind.  pree.,  e  non  prima  sing.  del  perfetto, 
e  che  Virgilio  non  mostri  solamente  a  Dante 
le  tre  ombre  ora  detta  [Sem.,  Bidone,  Qeop.] 
ma  che  prosegua  a  nominargli  anche  le  altre 
che  vengono  appresso»;  e  cita  esempi  di 
vidi  per  vedi,  come  in  Gnittone  :  «...  ora 
ti  prenda,  lÀ  me  cordoglio,  poi  morir  mi  vi- 
di».  Altri  interpreti  fanno  terminare  il  di- 
scorso di  Virgilio  ool  ▼.  68.  —  66.  Ackllle  : 
figlio  di  Peleo  e  di  Teti,  famoso  eroe  greco, 
che  vinto  dall'  amore  di  Polissena,  sorella  di 
Paride,  fu  ucciso  a  tradimento,  mentrs  cre- 
deva di  celebrare  le  none  (ofr.  Ovidio,  Me- 
iam.  xin  448).  ~  67.  Parts  s  Paride  o  Ales- 
sandro, figliuolo  di  Priamo  e  di  Ecuba.  — 
Tristaae  :  Bocc  :  «  Tristano,  secondo  i  ro- 
mani! di  Francia,  fu  figliuolo  del  re  Meliadus, 
e  nepota  del  re  Marco  di  Oomovaglia:  e  fU 
secondo  i  detti  romanzi  prò'  uomo  della  per- 
sona e  valoroso  cavaliere;  e  d'amore  man 
che  onesto  amò  la  reina  Isotta,  moglie  d^ 
re  Marco  suo  zio,  per  la  qual  cosa  fli  fedito 
dal  re  Marco  d' un  dardo  avvelenato.  Laonde 
vedendosi  morire,  ed  essendo  la  reina  andata 
a  visitarlo,  l'abbracciò,  e. con  tanta  forza  la 
strinse  al  petto,  che  a  lui  e  a  lei  scopro  il 
cuore,  e  cosi  insieme  morirono  ».  —  70.  Pe- 
seta ecc.  F.  De  Sanotìs  cosi  conclude  il  suo 
studio  sull'  episodio  di  Francesca  (Nuovi  saggi 
eritìei,  Napoli,  1879,  p.  17)  :  m  Di  questa  tra- 
gedia sviluppata  nei  suoi  lineamenti  sostan- 
ziali e  pregna  di  silenzii  e  di  misteri,  Musa 
è  la  pietà,  pura  di  ogni  altro  sentimento, 
corda  unica  e  onnipotente,  che  fa  vibrare 
r  anfana  fino  al  deliquio.  £  la  Musa  ò  Dante, 


che  dà  principio  al  Gante  già  commosso  ;  ohe 
usa  le  imagini  più  delicato,  quasi  apparoo- 
ohio  aUa  scena;  ohe  al  nome  delle  donne  an- 
tiche e  de*  cavalieri  rimane  vìnto  da  pietà  e 
quasi  smarrito;  ohe  si  sente  già  impressio- 
nato alla  sola  vista  di  quei  due  che  insieme 
vanno;  che  a  renderne  la  figura  trova  un 
paragone  cosi  delicato  e  pieno  d' imagini 
tanto  gentili;  ohe  alle  prime  parole  di  Fran- 
cesca rimane  assorto  in  una  fantasia  piena 
di  dolore  e  di  dolcezza,  e  tardi  si  riscuote 
ed  ha  le  lacrime  negli  occhi;  e  che  nella  fine 
cade  come  corpo  morto,  e  non  è  la  donna 
che  paria,  ò  l' uomo  che  piange  che  fa  su  lui 
l'ultima  impressione...  Tutta  questa  conce- 
zione è  coii  viva  e  costante  innanzi  all'  i- 
maginazione,  che  non  trovi  qui  la  più  lieve 
dissonanza  e  il  menomo  indizio  di  rafCredda- 
mmto.  Virgilio  è  di  troppo  in  questa  trilo- 
gia, e  scomparisce,  non  fa  atto  alcuno  di  pre- 
senza. Tutta  la  ocmiposizione  sembra  tirata 
di  un  flato  e  in  una  sola  Tolta;  tanta  ò  l'ar- 
monia e  la  perfezione  tecnica  ne'  più  piccoli 
particolari.  Lo  stesso  rerso  ubbidisce  alla 
possente  rolontà  e  risponde  con  la  morbi- 
dezza musicale  de'  suoni  alle  più  delicate  in- 
tenzioni àsA.  poeta  ».  —  72.  fai  f  nast  saiar- 
rtiot  molti  commentatori  intendono  questo 
smarrimento  come  efletto  di  un  timore  pro- 
vato da  Dante,  conosciutosi  colpevole  del  Ti- 
zio punito  in  questo  cerchio  ;  ma  è  più  na- 
turale intenderio  come  effetto  del  sentimento 
pietoso  suscitatd  nel  suo  animo  dalla  vista 
di  tanti  amanti  infelioL  —  74.  qae'daet 
Francesca  da  Polenta,  figlia  di  Guido  signore 
di  Bavenna,  e  Paolo  Malatesta,  di  lei  co- 
gnato (ofr.  la  nota  al  t.  97)  ;  per  la  storia 
Tedansi  la  monografia  di  L.  Tonini,  Mmwrié 
gtoriehe  intomo  a  Fr,  da  Ri/mini  (2*  ediz., 
Bimini,  1870)  e  0.  Bicci,  L'uUimo  rifitgio  di 
D.  Au  p.  128  e  segg.  —  76.  ^oa  ecc.  sem- 
brano esser  oo8(  leggermente  portati  dal  Ten- 
to; perché,  osserva  il  Tomm.,  non  avendo 
cercato  di  resistere  all'  impeto  della  passione, 
non  sono  essi  in  istato  di  opporre  alcuna  re- 


INFERNO  -  CANTO  V 


m 


Ed  egli  a  me  :  e  Yedr&i,  quando  saranno 
più  presso  a  noi;  e  tu  allor  li  prega 
78       per  quell'amor  clie  i  mena,  e  quei  verranno  ». 
Si  tosto  come  il  vento  a  noi  li  piega, 
mossi  la  voce  :  «  0  anime  affannatOi 
81        venite  a  noi  parlar,  s' altri  noi  niega  ». 
Quali  colombe  dal  disio  chiamate, 
con  Pali  alzate  e  ferme,  al  dolce  nido 
84       vengon  per  Faer  dal  voler  portate; 
cotali  uscir  della  schiera  ov*è  Dido, 
a  noi  venendo  per  l'aer  maligno, 
87        si  forte  fu  Paifettuoso  grido. 
«  0  animai  grazioso  e  benigno, 
che  visitando  vai  per  Paer  perso 
90        noi  che  tignemmo  il  mondo  di  sanguigno, 
se  fosse  amico  il  re  dell'universo, 
noi  pregheremmo  lui  por  la  tua  pace, 
98        poiché  hai  pietà  del  nostro  mal  perverso. 
Di  quel  che  udire  e  che  parlar  ti  piace 
noi  udiremo  e  parleremo  a  vui, 
96       mentre  che  il  vento,  come  fa,  si  tace. 
Siede  la  terra,  dove  nata  fui, 


fótoBZA  «II*  impeto  del  Tento.  —  78.  elit  1 
■fi  :  che  li  trascina  ;  i  per  <j  ò  anche  in 
hif.  wn  5S,  zvm  18,  Patr,  xu  16,  xxuc  8. 
>-  80.  O  ■■11»  AliMttAto  ecc.  Nelle  parole 
eon  1»  qvjJi  Danto  ai  volge  ai  doe  spiriti 
inna«M^T«ti  d  calore  e  sentimento  d'aifetto, 
dM  le  Tende  efficaci  tanto  òhe  U  primo  pen- 
serò di  Fzmnoesca  è  quello  della  preghiera 
a  Dio  per  colui  che  le  ha  rivolto  il  grido  af' 
ftUmao.  —  82.  4{aali  eoo.  «  Come  le  oolom- 
he,  dkiamate  dal  desio  del  dolce  nido,  volano 
ad  e«o  non  col  solito  remeggio  delle  ali, 
bensì  portate  dalla  voglia  intensa  di  ginn- 
gerri;  eoef  le  omhre  di  Francesca  e  Paolo 
▼siuMfo  per  l'aria  verso  di  noi,  non  già  spinto 
dalla  solita  Imfera  infernale,  bensì  per  som- 
pfiee  Cassa  del  grido  aifettooso  onde  le  avevo 
i»Ki««..»^  »;  D'Ovidio,  p.  669.  La  similitudine 
psoeede  da  quella  di  Viigilio,  JH.  v  218: 
«  Qnalis...  oolumba,  Cui  domus  et  duloee  late- 
broso in  pumioe  nidi...  mox  aere  lapsa  quieto 
Badit  iter  Uquidnm,  eeleros  neque  oommovet 
alas  »  :  cfir.  Moore,  I  184-186.  Sulla  varia 
lesione  e  punteggiatura  di  questa  terzina  si 
db.  il  eeoondo  dei  Diaoorti  dm  di  M.  Bicci, 
Ktenae,  1887,  dorè  sono  riassunto  le  rela- 
tive eoAtrovecsia.  —  dal  disfo  t  dal  deside- 
rio del  nido,  daU' amore  dei  figliuoli.  —  86. 
sehlsra  ev'  è  Mde  :  non  la  turba  dei  lussu- 
zk»,  in  genere,  sf  pid  tosto  una  schiera  for- 
■eta  di  qaelli  che  peooarono,  non  già  per 


brutale  sensualità,  ma  per  una  violenta  pw* 
sione,  di  modo  ohe  la  nobiltà  dell'  animo  loro 
non  fu  del  totto  corrotta.  L'idea  di  quwt& 
schiera  separate  fti  quasi  certamento  fiujtgo^ 
rito  dal  virgiliano,  Kn,  vi  460:  «  Inter  quju 
phoeniasa  recens  a  vulnera  Dido  Errabat  n 
(cfr.  Moore,  I  172).  —  88.  animai  :  etisora 
animato,  uomo.  —  89.  perse  t  Dant«  stesso, 
Cotryo.  IV  20  :  «  perso  è  un  colore  tiiist[>  di 
purpureo  e  di  nero,  ma  vince  il  neiro^  e  «la 
lui  si  denomina  ».  —  91.  ss  fosse  9co.  Do  ^ 
Sanctis  (p.  10)  :  «  Queste  preghiera  «indizio^ 
nata,  che  dal  fondo  dell'  infèrno  aanda  o, 
Dio  un'  anima  condannata,  ò  uno  d«'  sentì- 
menti  più  fini  e  delicati  e  gentili,  edito  dui 
vero.  Non  e'  d  la  preghiera,  ma  o'  è  l' mtcfn-^ 
zione  ;  ci  ò  terra  ed  inferno  mesooUti  ticl^ 
l'animo  di  Francesca;  una  intenzicine  pia 
con  linguaggio  ed  abitudine  di  perdona  ancor 
viva,  ma  che  non  giunge  ad  essere  proghi^ra 
perché  accompagnate  con  la  cosoioti£4  <ìoll[> 
steto  presento».  —  96.  mentre  che  eco.  IL 
vento  infernale,  che  per  legge  eterna  mai  mi» 
r6ai(ki  qui  per  divina  concessione  s' ixtterrfìmpe 
tento  che  Francesca  e  Paolo  possano  intrmtr 
tenersi  con  Danto.  — >  97.  Stede  la  itrra 
eco.  La  storia,  o  leggenda  di  FnmcMcftt  ^ 
narrate  dagli  antichi  oommentetorl,  con  pi^ 
chissime  dilTerenze;  l' An.  fior,  scrive  :  «  Kglt 
d  da  sapere  che  gran  tempo  fti  fr^^irm  tm 
messer  Guido  da  Polente  [Guido  minore,  ai- 


38 


DIVINA  COMMEDIA 


su  la  marina  dove  il  Po  discende 
99        per  aver  pace  conseguaci  suL 

Amor,  che  al  cor  gentil  ratto  s'apprende, 
prese  costui  della  bella  persona 
102        ohe  mi  fu  tolta,  e  il  modo  ancor  m'offende. 


gnoie  di  Bavenna  dal  1276]  et 
tegta  reoohio  da  Bimino  [cfir.  hif,  xrm  46]. 
Ora,  perohó  oxa  linoreeciata  all'  una  parte  et 
all'  altra,  di  comune  oonoordia  fedono  pace 
et  aedo  ohe  me^io  s*  ossexraase,  fedone  pa- 
rentado insieme  [poco  dopo  il  1276]...  Madonna 
Franoesoa,  figlinola  di  messer  Qnido,  fa  mar- 
xitata  a  Giandotto  di  messer  Malatesta;  et 
come  eh'  eg^  fosse  savio,  fti  rostioo  nomo, 
et  madonna  Francesca  bellissima,  tanto  ohe 
fa  detto  a  messer  Qnido  :  '  Voi  avete  male 
accompag:nata  qneeta  Tostia  figliola  :  ella  ò 
bella,  e  di  grande  animo  ;  ella  non  starà  con- 
tenta a  Giandotto  '.  Messer  Guido,  che  avea 
piò  caro  il  senno  che  la  bellezza,  volle  pure 
che  il  parentado  andasse  innanzi:  et  come 
eh'  elli  s' ordinasse,  aedo  che  1a  bnona  donna 
non  rifiatasse  il  marito,  fece  venire  Polo  a 
sposarla  per  Giandotto  suo  fratello  ;  et  cosi, 
credendod  avere  Polo  per  marito,  ebbe  Gian- 
dotto.  È  vero  ohe,  innanzi  oh'  ella  fosse  spo- 
sata, essendo  nn  di  Pdo  nella  corte,  nn» 
cameriera  di  madonna  Francesca  gliel  mo- 
strò et  disse  :  *  Qnegli  fia  tao  marito  '.  Ella 
il  vide  bello  :  posegli  amore,  et  oontentosse- 
ne.  Et  essendo  ita  a  marito  et  trovandosi  la 
sera  a  lato  Giandotto  et  non  Polo,  com'ella 
credea,  fa  male  contenta.  Tidde  ch'ella  era 
stata  ingannata;  non  levò  l'amore  oh' ella 
avea  posto  a  Polo,  ma  crebbe  oontinnamente  : 
onde  Pdo,  veggendod  amare  a  costd,  come 
che  prima  ripognasse,  inchinoed  agevolmente 
ad  amare  lei.  Av«Dkne  che  in  qnosto  tempo 
eh'  eglino  s' amavano  insieme,  Giandotto  an- 
dò fuori  in  signozia  [essendo  andato  in  alcuna 
terra  vicina  per  podestà;  oosf  il  Beco.],  di 
che  a  costoro  crebbe  speranza  per  la  soa  par- 
tita; et  ood  crebbe  amore  tanto  che  segre- 
tamente essendo  nella  camera,  et  leggendo 
uno  libro  di  Lancillotto,  oom'  egli  innamorò 
delia  reina  CKnevra,  et  come...  veggendola 
ridere,  prese'  sicurtà  et  basdolla;  questi  due, 
leggendo  et  venendo  a  questo  punto,  si  guar- 
darono nd  viso  et  sodororonsi  per  voglia  di 
fare  il  simigliante;  et  prima  colla  mano  et 
con  alcuno  basdo  invitando  l'uno  l'altro, 
nell'  ultimo  posoiw  in  pace  i  loro  disii.  Et 
più  vdte  in  diversi  tempi  faccende  il  simi- 
gliante, uno  famiglio  di  Giandotto  se  n'  av- 
vide :  scrisselo  a  Giandotto  ;  di  ohe,  per  que- 
sta cagione  tornato  Giandotto,  et  avuta  un 
giorno  la  posta,  gli  sopragiunse  nella  ca- 
mera che  rispondea  di  sotto  ;  et  troppo  bene 
[Polo]  si  sarebbe  partito,  se  non  che  una  ma- 
glia del  coretto  oh'  egli  avea  in  dosso,  s' ap- 


piccò a  una  punta  d'aguto  della  cateratta 
[jper  la  quale  di  quella  camera  d  scendea  in 
un'  altra  :  cosi  aggiunge  il  Beco.]  et  rimase 
cosi  appiccato.  Giandotto  gli  corse  addosso 
con  uno  spuntone  :  la  donna  entrò  nd  mez- 
zo ;  di  che,  menando,  credendo  dare  a  lui, 
diede  alla  moglie  ed  uccisela,  et  poi  uedse  ivi 
medesimamente  Polo  dove  era  appiccato».  Dd 
tragico  fatto,  ohe,  per  quanto  d  può  conget- 
turare, dovrebbe  essere  accaduto  dopo  il  1283, 
nd  quale  anno  Pado  ta  capitano  del  popolo 
in  Firenze,  e  forse  durante  la  podesteria  pe^ 
Barese  di  Giovanni  Malatesta  nd  1286,  nulla 
dicono  i  cronisti  dd  tempo  :  tra  i  commen- 
tatori, il  Bocc.  ne  fa  un  racconto  più  ampio, 
ma  conforme  nella  sostanza  a  quello  ddl'An. 
fior.  ;  Pietro  di  Dante  v'  aroenna  come  a  un 
fatto  notissimo;  Bambaglioli,  Lana,  Ott.,  Benv. 
e  Buti  lo  narrano  con  brevità,  senza  aggiun- 
gere alcun  utile  particolare.  —  la  terra  eco. 
Bavenna,  dtuata  quad  sull'Adrìatioo  (ai  tem- 
pi di  Dante  assai  più  vidno  che  oggi  non  sia 
a  quella  dttà)  e  bagnata  allora  dai  rami  in- 
feriori del  Po  (Badarono  e  Padenna):  cfr.  Bas- 
seimann,  p.  97.  —  100.  Amor  ecc.  «  DaUa 
sua  bocca  [di  Francesca]  pare  che  non  possa 
uscir  più  se  non  un'  unica  parola,  cmort, 
ch'ella  grida  tre  volte,  oon  impeto  e  fuoco 
sompre  crescente  :  amore  che  rapido  infiam- 
ma le  anime;  amore,  ineluttabile  destino; 
amore,  che  unisce  per  la  vita  e  per  la  morte  I 
Prima,  è  una  soave  tenerezza  per  l'amante, 
un  ouoir  gentiUf  cui  era  necessità  esser  preso 
d'amore  per  la  AeiZa  jwrsona,  e  pur  nelle  f^ad 
raffiruite  e  un  po'  convenzionali,  ohe  n  di- 
rebbero tolte  ad  una  canzone,  passa  come 
una  musicale  carezza,  forse  come  una  me- 
moria della  vita  dogante  e  gioiosa,  vissuta 
insieme  noDe  corti  paterne,  dove  d  leggevano 
i  romanzi  di  Tristano  e  di  Landlotto,  e  d 
cantavano  le  canzoni  d'amore  >  (E.  G.  Paro- 
di, BuJLVn  19).  —  al  ter  gentil  eco.  La 
dottrina  dd  Guinizelli  (canz.  v  1),  che  «  Al 
cor  gentil  ripara  sempre  Amore  »,  era  stata 
accolta  da  molti  rimatori  del  dugento  e  spe- 
cialmente dai  poeti  fiorentini  dello  atil  tiuouo 
(cfr.  Pwrg.  xxiv  67);  anche  Dante  la  pro- 
fessò sino  dalla  giovinezza,  come  d  ha  dalla 
F.  A".  XX  10  :  «  Amore  e  '1  cor  gentil  sono 
una  cosa...  Falli  rmtura,  quand'  ò  amorosa, 
Amor  per  pire  e  '1  cor  per  sua  magione  ». 
—  101.  bella  persona:  bellezza  oorporea; 
cosi  nella  F.  N,  xxxi  60,  e  in  Odo  delle 
Cdonne  (D'Ano.  I  70):  «la  sua  persona 
bolla  ».  —  103.  il  Modo  aneor  ■'  offende  s 


INFERNO  -  CANTO  V 


39 


Amor,  che  a  nullo  amato  amar  perdona, 
mi  prese  del  costui  piacer  si  forte, 
105        che,  come  vedi,  anc5r  non  mi  abbandona. 
Amor  condusse  noi  ad  una  morte: 
Caina  attende  chi  vita  ci  spense  ». 
108        Queste  parole  da  lor  ci  fdr  porte. 
Da  che  io  intesi  quelle  anime  ofifense, 
chinai  *1  viso,  e  tanto  il  tenni  basso, 
111        finché  il  poeta  mi  disse:  e  Che  pense?  > 
Quando  risposi,  cominciai  :  €  0  lasso, 
quanti  dolci  pensier,  quanto  disio 
114        menò  costoro  al  doloroso  passo  I  » 
Poi  mi  rivolsi  a  loro,  e  parla' io, 
e  cominciai  :  e  Francesca,  i  tuoi  martiri 
117        al  lagrimar  mi  fanno  tristo  e  pio. 
Ma  dimmi:  al  tempo  de' dolci  sospiri, 


peitlkó  1*  Tiolents  morte  la  colse  in  soli'  atto 
ési  peccato,  ai  eh'  ella  non  ebbe  tempo  a  pen- 
tiza.  Faxodi,  1.  ciL:  «l^emito  d'odio  e  di  ad»* 
gBo,  die  aobito  ai  imozza  e  li  stempra  nella 
dokasza  deàìa  memorie  e  nel  spyerchìare  del- 
l'affatto  j».  —  108.  Amor  eoo.  Bntì:  «  l'amore 
il  quale  oanstngne  sempre  ohinnqxie  d  amato 
■d  amaro»;  il  rh.ptrdonan  qni  significa  quasi 
Hitpmmn\  far  ifraesiia\  c£r.  D'Ovidio,  p.  660. 
—  104.  ail  prese  eoo.  mi  fece  innamorare  s£ 
totemente  dalla  Taghexza,  della  bellona  di 
Paolo.  Parodi,  L  oit:  e  Francesca  parla  ora 
£  b6,  e  nna  capa  fiamma  par  che  le  baleni 
ae^  occhi,  e  la  passione  prorompe  in  versi 
sonori,  xobnsti  d'accenti,  di  sillabe  tronche, 
di  consonanti  accoppiate,  versi  tra  vohittaosi 
e  aagoscioai,  i  quali  non  hanno  più  ohe  assai 
poco  del  ritegno  femmineo.  Qui  ella  senza  vole- 
re, asDza  averne  ooeciensa,  rivela  tutta  sé  stes- 
sa, lasciandoci  intravedere  una  di  quelle  veri- 
tà ^e  una  donna  non  dice  :  l'amore  forU,  in- 
dfflsiabile,  dominatore  Ai  il  suo;  essa  trasdnò 
Pack»;  essa  lo  avrinse  a  sé  con  indissolubili 
nodi  per  sen^re,  anche  nell'inferno.  — 106.  ad 
mmm  meiia:  poiché  furono  uccisi  nello  stesso 
modo  e  «^«omA  ;  il  Lana  scrive  ohe  Gianciotto 
«  prese  una  spada,  e  conficcolli  insieme  in  tal 
■wdo  che  abbracciati  ad  uno  morirono»  :  cir- 
costanza che  non  s*  accorda  col  racconto  del 
Booc  e  dell' An.  fior.  — 107.  Calne  eoe:  la 
parte  del  nono  cerchio  dell'inferno,  nella 
quale  sono  puniti  i  tiaditori  e  gli  uccisori  dei 
coasaagninei  :  cfir.  hif,  zzxn  68.  £.  Bonca- 
^a,  {Onmaea  dsl  R.  Lieeo  di  Bologna,  1876) 
asserto  a  lungo  su  questo  verso,  per  dimostra- 
re che  ai  deve  intender  come  detto  da  Paolo, 
al  qaala,  come  a  uomo  d' armi  e  di  corrucci, 
bcft  si  conviene  queste  maledizione  che  in- 
temjgpe  il  mite  e  affettuoeo  discorso  di  Fran- 


cesca: ma  per  quanto  alcune  delle  ragioni 
recato  a  sostenerla  sieno  molto  osservabili, 
queste  interruzione  turberebbe  lo  sviluppo 
dell'  episodio,  nel  quale  Francesca,  come  ben 
dice  il  De  Sanctis,  empie  di  sé  tutte  la  scena, 
e  Paolo  ò  solamente  l'espressione  mute  di 
lei  :  alla  donna  il  parlare,  all'  uomo  il  pian- 
gere, perché  come  sono  eternamente  confusi 
quasi  in  un  solo  essere  per  forza  d' affetto, 
cosi  anche  nelle  loro  manifestazioni  si  com- 
piono a  vicenda:  cfr.  anche  Parodi,  Bull.  YU 
18  e  segg.  e  D'Ovidio,  p.  661.  — 106.  da  lori 
da  Francese»,  che  parla  anche  in  nome  di 
Paolo  ;  cfir.  sopra  il  verso  96.  — 109.  oSTens?: 
dal  dolore  della  morte  e  dal  tormento  infer- 
nale :  la  forma  latineggiante  offenso  rìcorre 
altre  volte  in  rima,  Pitrg.  zxxu  12,  Far.  xvn 
62.  — 112.  0  lasso  ecc.  «  La  st^^ssa  colloca- 
tone delle  parole,  sapiente  oom'  ò  di  solito 
in  Danto,  ci  avverte  che  tutto  il  senso  e  tutto 
il  sentimento  si  appunto  nel  doloroso  passo  ; 
e  in  meno  di  una  terzina,  secondo  che  vuole 
l'energica  concentrazione  del  concepire  dan- 
tesco, noi  abbiamo  la  sintesi,  etica  e  senti- 
mentale, della  storia  dei  due  amanti,  cioè  un 
concetto  moralmento  giusto,  ma  nel  tempo 
stesso  pietoso,  dell'amore  colpevole,  che  per 
un'  ingannevole  via  di  desideri  e  d'  ebrezzo 
volge  al  suo  tragico  destino  »  (E.  Q.  Parodi, 
BulL  YU  18).  —  113.  quanti  dolci  ecc.  Oh, 
quanti  dolci  pensieri  d'amore  trassero,  ac- 
compi^^narono  costoro  al  passo  doloroso  della 
morto  e  della  dannazione.  —  117.  al  lagri* 
mar  ecc.  mi  fanno  dolente  e  pietoso  sino 
alle  lagrime.  —  118.  Ha  dimmi:  De  Sanctis 
(p.  16)  :  «  Francesca  nel  suo  primo  racconto 
lascia  un'  immensa  lacuna  :  tra  il  suo  inna- 
moramento e  la  morto  giace  tutta  una  storia, 
la  storia  doli*  amoro  e  del  peccato,  e  la  vore- 


40 


DIVINA  COMMEDIA 


a  che  e  come  concedette.  Amore, 
120        che  conosceste  i  dubbiosi  desiri  ?  » 

Ed  ella  a  me:  e  Nessun  maggior  doloi'e, 
che  ricordarsi  del  tempo  felice 
123       nella  miseria;  e  ciò  sa  il  tuo  dottore. 
Ma  se  a  conoscer  la  prima  radice 
del  nostro  amor  tu  hai  cotanto  affettOi 
12G       farò  come  colui  che  piange  e  dice. 
Noi  leggevamo  un  giorno  per  diletto 
di  Lancelotto,  come  amor  lo  strinse: 
129        soli  eravamo  e  senza  alcun  sospetto. 
Per  più  fiate  gli  occhi  ci  sospinse 
quella  lettura,  e  scolorocci  il  viso: 
182        ma  solo  un  punto  fu  quel  che  ci  vinse. 
Quando  leggemmo  il  disiato  riso 


ooiida  giovane  si  airesta  e  tace.  Ma  Dante 
china  il  capo  e  rimano  assorto,  finohó  Yiigilio 
gli  dice:  che  pense  9  né  pad  rispondere  subito, 
e  quando  paò,  risponde  come  trasognato  e  par- 
lando a  sé  stesso,  né  pud  volgere  la  parola  a 
Francesca  senza  lacrime.  A  che  cosa  pensava 
Dante?  Ma  era  tutta  questa  istoria  dell'amore 
e  del  peccato  che  egli  si  volgeva  nella  men- 
te ».  —  al  tempo  del  ecc.  nel  tempo  che 
v'  era  dato  sospirare  d' amore  e  di  speranza, 
a  quale  indizio  e  in  qual  guisa  vi  accorgeste  del 
reciproco  Affetto?  Non  ò  volgare  curiosità  che 
splugo  Dante  a  far  questa  domanda:  le  e- 
brezze  d'amore  se  sono  riuscite  a  si  tragica, 
fine  lo  fanno  meditare  tuli' origine  del  peccato  ; 
e  ogli,  il  poeta  della  liberazione  morale,  vuol 
compiere  la  propria  esperienza,  conoscere  le 
misteriose  vie  della  colpa,  e  dal  confronto 
d'un  momento  d'ebrezza  ooU'  etema  miseria 
trarre  per  tutti  una  nupva  e  purificatrice  com- 
mozione» (Parodi,  1.  cit.).  ~  120.  dnbbloil 
df  siri:  Bocc.:  «  chiamagli  dubbiosi,  i  deside- 
ri degli  amanti,  perciocché  quantunque  per 
molti  atti  appaia  che  l'uno  ami  l'altro,  e  l'al- 
tro l'uno,  tuttavia  suspicano  non  sia  cosf  corno 
lor  pare,  insino  a  tanto  che  del  tutto  discoperti 
e  oonosciuti  sono  ».  —  121.  Nesina  maargior 
ecc.  Bella  e  vera  sentenza  di  Boezio  (Phihs. 
eonaol,  u,  prosa  rv  4)  :  «  in  omnì  adversitate 
fortunae,  infelicissimum  est  genus  infortunii 
fuisse  felicem  ».  ~  123. 11  toc  dottore:  Vir- 
gilio, o  per  esperienza  propria  che,  dice  il 
Lana,  «  ricordandosi  del  suo  essere  in  lo  mon- 
do poeta  e  in  grande  stato,  e  ora  vedersi  nel 
limbo  senza  grazia  e  speranza  di  bene  non  d 
senza  dolore  e  gramezza  »,  o  perché,  nota  il 
Bocc.,  «  nel  principio  delle  narrazioni,  fatte 
da  Enea,  de'  casi  troiani  a  Didone  [En.  n  S] 
e  ancora  nel  dolore  di  Didone  nella  partita 
di  Enea  [En.  iv  657],  assai  chiaramente  il  di- 


mostra»: eh.  Moore,  I  281-282.  —  124.  Ma 
se  ecc.  cfr.  Virgilio,  En,  n  lO-lB.  —  126.  farò 
eoo.  cfr.  Jnf.  xzxm  9.  —  127.  Noi  leggeva- 
mo  ecc.  I  romanzi  d'avventura,  scritti  in 
lingua  Ihmcese,  in  verso  e  in  prosa,  erano  aa- 
sai  diffusi  Ita  noi  nella  seconda  metà  del  se- 
colo zm,  e  si  leggevano  volentieri  anche  nelle 
corti  di  Romagna  ;  e  poiché  i  primi  libri  ita^ 
liani  dove  sia  distesamente  narrato  il  fiitto 
di  Landlotto  e  di  Ginevra,  non  possono  esse- 
re anteriori  al  trecento,  ò  quasi  certo  che  il  ro- 
manzo letto  da  Paolo  e  Franceeoa  era  in  lin- 
gua francese.  —  128.  Laaeelotto  :  uno  degli 
eroi  della  tavola  rotonda,  amante  della  regina 
Ginevra.  La  fonte  di  Dante  d  il  Laneeld  du 
LaCf  romanzo  del  secolo  xn,  nel  quale  si  legge 
oome  Gallehault,  partecipe  del  segreto  dei  due 
amanti,  conducesse  Landlotto  avanti  a  Gi- 
nevra, in  un  verziere,  e  come  questa,  ai  con- 
forti di  Gallehault,  s'inducesse  a  baciare  a 
lungo  il  buon  cavaliere  ohe  stava  titubante 
innanzi  a  lei:  11  passo  relativo  del  romanzo 
firancese  fta  pubbl.  dal  Polidori  nella  Tavola 
rotonda,  Bologna,  1864,  U  260  e  sgg.  e  da 
altri:  ctr.  Chnfar.  dantesche,  H  270,  280.  -~ 
129.  soli  ecc.  De  Sanctis  (p.  16)  :  «  Chi  mai 
fa  questa  osservazione  se  non  l'amore  colpe- 
vole ?  Leggono  una  storia  d' amore  e  non  osa- 
no di  guardarsi,  e  temono  ohe  i  loro  sguardi 
tradiscano  queUo  ohe  l'uno  sa  dell'altro  e 
l'uno  nasconde  all'altro;  e  quando  in  alconi 
punti  della  lettura  veggono  un'  allusione  al 
loro  stato,  uno  stesso  pensiero  fa  violenza, 
forza,  sospinge  i  loro  sguardi,  e  gli  occhi  im- 
memori s'incontrano,  né  già  osano  di  so- 
stenerli e  li  riabbassano,  e  la  coscienza  di 
essersi  traditi  e  il  firemito  della  carne  si  ri- 
vela nel  volto  che  si  sct^ora  ».  —  183.  di- 
siato riso  :  Buti  :  «  il  desiderato  allegro  vol- 
to... o  vogliamo  intendere,  la  bocca  che  pia 


INPEKNO  -  CANTO  V 


41 


esser  baoiato  da  ootaoto  amante, 
135       questi,  che  mai  da  me  non  fia  diviso, 
la  bocca  mi  baciò  tatto  tremante: 
Galeotto  fu  il  libro  e  dii  lo  scrisse; 
138       quel  giorno  più  non  vi  leggemmo  avante  ». 
Mentre  che  l'uno  spirto  questo  disse, 
l'altro  piangeva  si  che  di  pietade 
io  venni  meno  si  oom'io  morisse, 
142    e  caddi,  come  corpo  morto  cade. 


ilfflosta  fl  riso,  che  aloon'  altra  parte  dd  Tol- 
to ».  Boco.  inreoe  :  «  la  deeideimta  lettila  la 
^  ta  alla  xeina  Ginerra  ».  I  commentatori 
poetniozi  loiio  qnad  tatti  per  1*  interpreta* 
zia&e  dal  Boti;  na  oflwrra  il  De  Sanotis, 
m  tnttani  materialmente  della  bocca,  ti 
kae  dal  riso  «che  è  respresaione,  la  poesia, 
il  aeotimeoto  della  bocca,  qualche  coaa  d'im- 
eoiporale  che  ai  Tede  errar  fhi  le  labbra  e 
eoa»  ataoeato  da  ease  e  che  ta  paoi  Todere, 
■a  non  puoi  toccare  ».  —  185.  f  ae.tl,  che 
■al  eco.  Finiaaima  d  1*  oaaenra&one  del  De 
SaactiaCp.  17):  «  Quando  Francesca  è  Tìnta, 
liando  a  peccato-^' era  già  nell'anima  ai 
firela,  nel  ponto  ateaao  del  bado,  anzi  prima 
aacoia  che  il  peccato  le  caca  di  bocca,...  tra 
ramante  e  il  peccato  ai  gitta  in  messo  l'in- 
Cano,  e  il  tempo  felice  ai  oongionge  oon  la 
BMna,  a  quel  momento  d'oblio,  il  peccato, 
MA  ai  cancella  pia,  diTiene  l' eternità  ».  — 
187.  flilaotia  eoo.  il  libro  fece  tra  noi  qaello 
■tano  oCficio  che  Oallehaalt  fé*  tra  la  regina 
ffiaerra  e  Lancilotto.  —  11  Uhro  ecc.  La  let- 
tala del  romanzo  di  Lanetiot  du  Lae^  aeoondo 
il  D' Gridio,  pp.  85  e  661,  ò  an'  inTendone 
M  poeta,  non  un  particolare  storico  o  leg- 
geadazio  eh'  egli  laocogUesse  in  Bomagna  in- 
tono  agli  amori  di  Fxanceeoa  e  Paolo  :  in- 
Teca  il  NoTati,  Omfer.  dtmietohet  n  272  ri- 


tiene il  contrario,  osserrando  ohe  del  roman- 
si  dal  dolo  bretone  «  Dante  non  fu  mai  let- 
tore cosi  appaaeionato  n6  ammiratore  tanto 
caloroso,  che  la  mente  soa  doTeaae  esser  sen- 
za stimolo  esteriore  e  possente  richiamata  a 
rammaitarae  Tool  questo  Tuoi  qoell'  ^iso- 
dio».  —  138.  fisi  giorno  ecc.  Giusti  {Senta 
funi,  p.  285):  «  Gon  questo  Terso  di  molteplice 
signiftcato  ToUe  il  p.  adombrare  d'un  Telo 
onesto  una  cosa  inonesta  in  sé,  inonestissima 
in  bocca  d' una  donna.  Quasi  ultimo  tócco, 
Tolle  riperauoCare  tutte  le  corde  sentimentali 
di  queUa  lagrimoTole  istoria  ».  —  189.  IHino 
spirto:  Francesca.  —  140.  1* altre:  Paolo; 
cfr.  la  nota  al  t.  107.  —  142.  e  caddi  ecc. 
Venturi,  809  :  «  La  acelta  delle  parole,  tutte 
di  due  sillabe,  e  T  uniforme  graTità  degli  ac- 
centi rendono  stupendo  questo  Terso  per  suono 
imitatiTo;  e  Dan  sentire  la  caduta  di  un  corpo 
con  modo  pi6  efficace  di  quel  d'Ovidio  ove 
narra  di  Aldone  :  *  Gullapsaque  oorpore  tota 
est  '  (JM.  ZI  460)  ».  Dalla  similitudine  dan- 
teaca  procedono  le  altie  aimili  del  Fetraroa 
(atm.  u  8)  «Caddi,  non  già  come  persona 
TiTa»,  del  Pnld(ifofy.  zzn264):  «Ecndde, 
come  morto  in  terza  cade»,  ,e  dell'Ariosto 
{OrL  n  55,  6)  :  «  Forza  è  chi  '1  mira  abbar- 
bagliato reato,  E  cada  come  corpo  morto  cauo». 


CANTO  VI 

Bitomato  in  sé,  Dante  si  trova  con  Virgilio  nel  terzo  cerchio,  dove  setto 
BDà  orrìbile  pioggia  sono  paniti  i  golosi  ;  domato  fìacilniente  Cerbero,  che 
è  posto  a  guardia  del  Inogo,  i  dne  poeti  si  fermano  col  fiorentino  Ciacco, 
che  parla  a  Dante  delle  dissensioni  trai  Bianchi  e  i  Neri  e  delle  loro  cagioni, 
e  poi  a*  ineamminano  verso  il  qnarto  cerchio  [sera  avanzata  dell' 8  aprile]. 

Al  tornar  della  mente,  che  si  chiuse 
dinanzi  alla  pietà  de' duo  cognati, 
8        che  di  tristizia  tutto  mi  confuse, 


TI  1.  Ài  tonar  ecc.  Quando  la  monte 
aia,  rimasta  Tìnta  nella  pietoaa  commozione 
frarata  allo  apettacolo  doloroso  di  Francesca 
e  dì  Pa^o,  ritornò  alle  sue  operazioni,  riprose 


il  conoscimento.  —  2.  pietà  :  pena,  tormento, 
che  muove  gli  animi  a  compassione.  —  8.  che 
di  trlatUia  ecc.  :  cfr.  Inf.  v  116-7,  140-2: 
tristiytia  vale  proprio  il  dolore  deli'  animo  prò- 


42 


DIVINA  COMMEDU 


nuovi  tormenti  e  nuovi  tormentati 
mi  veggio  intomo,  come  ch'io  mi  mova, 
6       e  come  oh* io  mi  volga  e  ch'io  mi  guatL 
Io  sono  al  terso  cerchio,  della  piova 
eterna,  maledetta,  fredda  e  greve: 
9       regola  e  qualità  mai  non  l'è  nuova. 
Grandine  grossa  e  acqua  tinta  e  neve 
per  l'aer  tenebroso  si  riversa: 
12       pute  la  terra  che  questo  riceve. 
Cerbero,  fiera  crudele  e  diversa, 
con  tre  gole  caninamente  latra 
15        sopra  la  gente  che  quivi  è  sommersa. 

Gli  occhi  ha  vermigli,  la  barba  unta  ed  atra, 
e  il  ventre  largo,  e  unghiate  le  mani  ; 
18        graffia  gli  spiriti,  scuoia  ed  isquatra. 
Urlar  gli  fa  la  pioggia  come  cani: 
dell' un  de' lati  fanno  all'altro  schermo; 
21        volgonsi  spesso  i  miseri  profani 

Quando  ci  scorse  Cerbero,  il  gran  verme. 


dotto  da  una  riolenta  oommoàond  (cfr.  V,  N, 
rm  6,  xzxvi  6,  ^/l  xxx  144,  Ani^.  zzn 
66  eoe).  —  4.  9M9YÌ  tomoitl  eoe.  Dante 
e  Virgilio,  oontiniiando  il  loro  viaggio,  sono 
pezrennti  nel  terzo  oerohio,  dove  sono  poniti 
i  golofli,  pensoflsi  da  una  pioggia  di  acqua, 
di  neve  e  di  grandine,  ohe  si  roveeoia  loro 
addosso  con  indictMle  tormento.  •—  5.  eoaie 
eh' Io  mi  moTA  eoo.  ovunque  io  mi  muova 
procedendo,  o  mi  voHi  e  riguardi  stando  fer- 
mo. —  7.  al  tetfo  eereUe^  della  piova: 
al  terzo  cerchio,  che  è  quello  della  pioggia. 
—  9.  regola  •  qaallftà  eco.  immutabile,  si 
nella  violenza  oon  la  quale  si  rovescia,  a£ 
nelle  sostanze  ond'ò  formata:  l'usò  della 
parola  guaìUà  a  indicare  le  condizioni,  la  na- 
tura  della  pioggia  ha  un  riscontro  in  quel 
passo  della  F.  N.  tttt  49  dove,  di  Beatrice 
morta,  dice  il  p.  :  «  no*  la  ci  tolse  qualità  di 
gelò  »,  cioè  il  mancare  del  calore  vitale.  — 
10.  aequa  tinta  :  secondo  l' interpretazione 
comune  è  acqua  sporca,  di  die  poi  si  forma 
b  «  sozza  mistura  »  accennata  nel  v.  100  ; 
secondo  alcuni  sarebbe  il  ìUviaefUo^  che  aequa 
tinta  è  detto  in  alcune  parti  di  Toscana.  — 
12.  paté  eco.  la  terra,  sulla  quale  va  a  ca- 
dere questo  miscuglio,  ne  acooglie  ed  esala 
il  fetore.  —  IB.  Cerbero:  il  cane  tricipite, 
oon  coda  e  crini  di  serpente,  figlio  di  Tifeo 
e  di  Echidna,  il  quale  sta  a  guardia  dell'  In- 
ferno. Virgilio,  En,  vi  417  :  «  Cerbems  haeo 
ingens  latratu  regna  trifaud  Personat,  ad- 
verso  recubans  immanifl  in  antro  »,  e  Ovi- 
dio, Met,  IV  448  :  «  Quo  simul  intravit,  sa- 
croque  a  corpore  pressum  Ingomuit  limcn  : 


tiia  Cerberus  extulit  ora,  Et  tres  latratua 
edidit  :  Illa  sorores  Noote  vooat  genitas,  grave 
et  implacabile  numen:  Carceiis  ante  forse 
clausas  adamante  sedebant,  Deque  suis  atros 
pectebant  oiinibus  angues  »  ecc.  —  diversa  : 
strana  orribile;  come  forse  in  B*f,  m  26,  vn 
105,  zxn  10;  cfr.  V,  N,  zxm  20:  «  m'appai^ 
vero  certi  visi  diversi  e  orriUli  a  vedere  ». 
—  14  eoa  tre  gole  eoe  :  questo  verso  d  da 
pronunziare  con  due  accenti,  scindendo  nei 
suoi  elementi  l' avverbio  eanfyM-mènU;  oome 
in  Bar.  zi  12.  —  16.  qalvl  è  iOMMersa  i 
Buti  :  «  sta  aifogata  in  questa  pioggia  >».  -^ 
16.  dll  oechl  eoe  Secondo  gli  antichi  com- 
mentatori gli  ooeki  vermiffli  significano  l' im- 
peto dell'  ira  e  del  desiderio,  la  barba  unta 
ed  atra  la  voradtà  e  golosità,  il  ventre  Uxrgo 
V  insaziabilità  e  le  wnghiate  mani  la  rapadtà. 
~  18.  ieaoia  :  leva  loro  la  pelle,  li  scortica, 
cfr.  Inf,  zxu  41  ;  ma  si  avverta  che  molti 
buoni  testi  hanno  i/ngoiOf  e  cosi  lessero  Bonv., 
Buti,  Anon.  fior,  e  altri  antichi.  —  Isqaatra  : 
squarta,  lacera,  fa  a  brani;  il  Torraca  dta 
Monte  Andrea  P' Ano.  m  274):  «  Che  tal 
colpo  si  '1  cor  de  l' omo  squatra  »,  e  il  Pa- 
rodi, BvU.  m  116  nota  che  Dante  usò  que- 
sta forma  anche  nel  Oon»,  p.  145:  «  fender 
per  mezzo  Lo  core  alla  crudele  che  '1  mio 
squatra».  —  20.  dell'an  eco.  del  lato  che 
d  stato  a  terra  gli  spiriti  fanno  schermo  a 
quello  che  è  stato  esposto  alla  pioggia,  cioè 
si  voltano  spesso  sui  fianchi,  ora  opponen- 
do l'uno,  ora  l'altro  alla  pioggia.  —  22. 
Il  gran  vermo:  vermo  chiama  qui  Cerbero  e 
in  Inf.  XXXIV  108  Lucifero,  por  indicare  il 


INFERNO  -  CANTO  VI  43 

le  boccile  aperse  e  znostrocci  le  sanne  : 
24       non  avea  membro  che  tenesse  ferma 
£  il  duca  mio  distese  le  sue  spcuine; 
prese  la  terra,  e  con  piene  le  pugna 
27        la  gittò  dollaro  alle  bramose  canne. 
Qual  è  quel  cane,  che  abbaiando  agugna 
e  si  raoqueta  poi  ohe  il  pasto  morde, 
SO        che  solo  a  divorarlo  intende  e  pugna; 
cotai  si  fòoer  quelle  facce  lorde 
dello  demonio  Cerbero,  che  introna 
83        l'anime  si  eh'  esser  vorrebber  sorde. 
Noi  passavam  su  per  l'ombre  ohe  adona 
la  greve  pioggia,  e  ponevam  le  piante 
86        sopra  lor  vanità  che  par  persona. 
Elle  giacean  per  terra  tutte  e  quante, 
fuor  ch'una  che  a  seder  si  levò,  ratto 
89        ch'ella  ci  vide  passarsi  davante. 

«  0  tu,  che  se'  per  questo  inferno  tratto, 
mi  disse,  riconoscimi,  se  sai: 
42        tu  fosti,  prima  ch'io  dis£Ektto,  fatto  >. 
Ed  io  a  lei:  €  L'angoscia  che  tu  hai 
forse  ti  tira  fuor  della  mia  mente, 
45        ai  che  non  par  ch'io  ti  vedessi  mai 

kno  wssao  e  orrìbile  aspetto;  oomeL.  Paldf  s'affatioa:  nota  il  Tomm.  ohe  i  dne  verbi 

3tory.  !▼  15,  d' una  bestia  smisurata  :  «  qua-  «  rendono  insieme  il  simile  senso  del  lat  eon- 

sto  cradei  veimo  L'offendea  troppo  col  flato  ttndan».  —  82.  introna:  stordisce  col  tri- 

e  od  caldo  »,  e  TAriosto,  Ori  xlti  78,  del  plico  latrato  (ofr.  Inf.  xvn  71).  —  84.  l'om- 

fiarolo,  «  gran  Terme  infornai  ».  —  28.  san-  bre,  che  adon»  eco.  le  ombre,  che  la  grave 

ne:  saune  o  zanne  sono  i  denti  da  presa  del  pioggia  abbatto,  fiacca  :  adonan  nel  senso  di 

case  e  del  «ringhiale  :  cfr.  Bif,  xxii  66.  —  abbattere  ò  anche  nel  Purg.  zi  19,  e  non  è 

2L  nen  ave*  ecc.  il  tremito  di  tntto  il  corpo  infrequente  negli  antichi  ;  p.  es.  é.  Villani, 

iSDda  bene  l' Jmagine  del  corrucciato  e  fame-  CV.  vi  80:  «  e  cosi  si  adonò  la  rabbia  dello 

lieo  saiinala.  —  26.   ittanne:  apanna  ò  prò-  ingrato  e  superbo  popolo  di  Firenze».  — 

pziamente  T  apertura  deUa  mano  ;  qui  signi-  86.  vanità  ecc.  sembianza  corporea,  senza 

fica  le  mani  aperto.  —  26.  •  con  piene  ecc.  reale  consistenza.  —  88.  vna:  è  l'ombra  del 

Virgilio  con  ambedue  le  mani  gitta  terra  nelle  fiorentino  Ciacco  ;  del  quale  racconta  un'av- 

gi^  di  Cerbero  per  acquetarlo  ;  manifesto  ri-  ventura  il  Bocc  Dos.,  g.  a,  n.  8,  dicendolo 

cordo  àeH*  otto  deUa  Sibilla,  gidda  di  Enea  «  uomo  ghiottissimo  quanto  alcun  altro  fosse 

aO'  inferno,  la  quale  a  Cerbero  (En,  vi  420)  giammai, ...  per  altro  assai  costumato  e  tutto 

«  Molle  sopoiatam  et  medicatis  frngibus  oB&m  pieno  di  belli  e  di  piacevoli  motti  »:  i  oom- 

Gtàdt  ».  —  28.  Qnal  è  eco.  Viig.  En,  vi  montatori  antichi  non  sanno  dir  piò  ;  le  Chiose 

421  dice  solamente  che,  gittote  l' ofEs,  «  nie  an.  dicono  eh'  ei  fti  banchiere,  mentre  altri 

fusa  zabidA  tiia  guttura  pandens  Corripit  come,  l' Ott.  e  l' Anon.  fior.,  attestano  che  fu 

otoctam,  atque  iniTnanla  targa  resolvlt  Fusus  uomo  di  corto  o  buffone  :  visse  certo  nella 

bnoù,   totoque   ingens   extonditur  antro  »  :  seconda  metà  nel  secolo  xm,  e  forse  non  ò 

Bute  invece  con  la  similitudine  del  cane  di-  dissimile  da  quel  Ciacco  dell'  Anguillaia,  del 

pDgb  fìA.  vivamente  i  successivi  atti  della  quale  ci  restano  alcune  rime  (D'Ano,  in  179). 

fisia  crudele.  Venturi  408  osserva  che  della  —  42.  tn  fosti  ecc.  tu  nascesti  prima  che  io 

■«''ìtTidinft  dantesca  si  ricordarono  l'Ariosto,  morissi  :  alcuni  pongono  la  morte  di  Ciacco 

Ori  ULJLVU  78  e  il  Tasso,  Off.  Itb.  ix  88.  —  al  1286,  quando  Danto  era  non  piir  nato,  ma 

i:   agogna,    appetisce   avidamente  il  più  che  vontenno.  —  43.  angoscia  :  cfr.  In/". 


cOio.  —  30.  inteads  e  pugna:   attoude  e      iv  19.  —  44.  ti  tira  occ.  il  doloro  altorondo 


44 


DIVINA  COMMEDIA 


Ma  dimmi  ohi  tu  se',  che  in  si  dolente 
loco  se'mesBa,  ed  a  ai  fatta  pena 
48       che,  s' altra  è  maggio,  nulla  è  si  spiacente  ». 
Ed  egli  a  me  :  «  La  tua  città,  eh*  è  piena 
d'invidia  si  che  già  trabocca  il  sacco, 
51        seco  mi  tenne  in  la  vita  serena. 
Voi  cittadini  mi  chiamaste  Ciacco  : 
per  la  dannosa  colpa  della  gola, 
54       come  tu  vedi,  alla  pioggia  mi  fiacco  ; 
ed  io  anima  trista  non  son  8olfi^ 
che  tutte  queste  a  simil  pena  stanno 
57       per  simil  colpa».  E  più  non  fé' parola. 
Io  gli  risposi  :  €  Ciacco,  il  tuo  affanno 
mi  pesa  si  che  a  lagrimar  m'invita: 
CO       ma  dimmi,  se  tu  sai,  a  che  verranno 
li  cittadin  della  città  partita; 
s' alcun  v'  è  giusto  ;  e  dimmi  la  cagione, 
G3       per  che  l' ha  tanta  discordia  assalita  ». 
Ed  egli  a  me  :  €  Dopo  lunga  tenzone 


le  tae  sembianTO  ti  allontaiui  dalla  mia  me- 
moxia,  fa  d  eh'  io  non  ti  lioonoooa. — 48.  eh«, 
8'  altra  ecc.  che  se  altre  pene  la  vincono  di 
gravità,  nessuna  è  tanto  lastidioeai  nessuna 
mortifica  tanto  ohi  ne  è  colpito.  —  maggio: 
maggiore  ;  coef  anche  in  Inf,  ttti  84,  Poar. 
VI  120,  xnr  97,  xxvi  29,  xxvm  77,  xxzm  66. 
—  49.  lift  tiu  «itftà  eoo.  Firenze,  tanto  j»0na 
d'iinmdia  cioò  di  quelle  gare  per  gli  nfflct  po- 
litici, che  ftirono  causa  principale  delle  di- 
sconUe  fiorentine  :  cfr.  D.  Compagni,  0. 1 20  : 
«  La  città,  retta  con  poca  giustizia,  cadde  in 
nuovo  pericolo,  perché  i  cittadini  si  comin- 
domo  a  dividere  per  gara  di  ufid,  abominando 
l' uno  r  altro  ».  —  61.  vita  serena  :  quella 
della  terra,  in  opposizione  alla  vita  tormen- 
tosa dell'  inferno  :  cosi  ò  detta  anche  in  Inf. 
XV  49  ;  e  vUa  beila,  in  Inf.  xv  67,  e  vita  lieta 
in  Inf,  XIX 102.  —  62.  m1  cklMnaste  Claceo: 
Buti  :  «  C^aooo  dicono  alquanti,  che  ò  nome 
di  porco  :  onde  costui  era  cosi  chiamato  per 
la  golosità  sua»;  ma  abbiamo  avvertito  che 
Ciacco  ò  proprio  nome  di  persona,  non  già 
sopranome  :  cfr.  la  nota  al  v.  38.  —  64.  mi 
flaeeo  :  spiega,  se  ce  ne  fosse  bisogno,  V adona 
del  V.  34.  —  68.  Io  gU  riiposi  ecc.  Dante 
prova  tanta  compassione  per  il  misero  suo 
concittadino  che  si  sente  trascinato  a  pian- 
gere; ma  prevale  il  desiderio  di  conoscer  le 
future  vicende  della  sua  patria,  e  però  egli 
fa  tre  domande  a  Ciacco  :  1',  che  aocadxà  di 
Firenze,  già  divisa  dalle  fazioni  ;  2*,  se  vi  sia 
alcun  cittadino  alieno  àal  parteggiare  ;  8^,  qua- 
le sia  la  cagione  delle  discordie  fiorentine.  — 
60.  le  ti  sai:  intomo  alla  cognizione  che  i 


dannati  hanno  delle  cose  del  mondo  ti  cflr. 
la  nota  all' Ji/.  x  100.  —  61.  città  partita: 
Firenze,  già  tino  dal  1216  divisa  nelle  due 
partì  dei  guelfi  e  dei  ghibellini,  sulla  fine  del 
secolo  xm  era  unita,  che  per  grandissima 
parte  la  cittadinanza  era  guelfa  :  ma  già  sino 
dal  1280  s' erano  manifestate  le  prime  inimi- 
cizie tra  le  famiglie  dei  Cerchi  e  dei  Donati, 
e  queste  inimicizie  (tuono  principio  della  nuo- 
va divisione  della  cittadinanza  nelle  partì  dei 
Bianchi  e  dei  Neri,  divisione  scoppiata  ap- 
punto nella  primavera  del  1800.  —  64.  Ed 
egli  a  me:  la  risposta  di  Ciacco  tooea  in 
forma  di  predizione  alcuni  avvenimenti  degli 
anni  1300-1302,  che  importa  ricordare  chi 
voglia  bene  intendere  il  passo  dantesco  (cfr. 
per  la  cronologia.  Del  Lungo,  II  606-611  e 
D'Ovidio,  pp.  661-663).  Già  s'  erano  manife- 
state pifi  volte  inimicizie  tra  i  Cerchi  e  i  Do- 
nati, allorché  nel  calendimaggio  del  1300,  fe- 
steggiandosi il  rinnovamento  della  primavera, 
una  brigata  di  giovini  donateschi  si  scontrò 
in  una  di  cerchieschi  e  li  assali  a  mano  ar- 
mata, e  nella  zuffa  fu  tagliato  il  naso  a  Ri- 
coverino de'  Cerchi  ;  «  il  qual  colpo  (dice  D. 
Compagni,  O.  i  22)  fta  la  distruzione  della 
nostra  città,  perché  crebbe  molto  odio  tra  i 
cittadini  ».  Divisasi  cosi  tutta  la  città,  furono 
nel  giugno  per  decreto  dei  priori,  dei  quali 
era  Dante,  confinati  i  principali  delle  due 
parti  (cfr.  Compagni,  Or,  i  21,  0.  Villani, 
Or.  vm  41,  42,  Machiavelli,  bt.  fior,  n,  18)  : 
ma  tornarono  presto  ;  e  non  passò  molto  tem- 
po ohe  i  primi  della  parte  donatesca  «  si  rau- 
norono  uno  di  (dice  il  Comp.   O.  i  23)  in 


^.  !■• 


INPEBNO  -  CANTO  VI 


45 


verranno  al  sangue,  e  la  parte  selvaggia 
66        caccerà  l'altra  con  molta  offensione. 
Poi  appresso  oonvien  ohe  qnesta  caggia 
infra  tre  soli,  e  ohe  l'altra  sormonti 
69        con  la  forza  di  tal  che  testé  piaggia» 
Alte  terrà  lungo  tempo  le  fronti, 
tenendo  l'altra  sotto  gravi  pesi, 
72       come  che  di  ciò  pianga  e  che  ne  adontL 
Giusti  son  duo,  ma  non  vi  sono  intesi  : 


SuitA  TiiikHa,  delibentidicMciAra  i  0«iQhi  ». 
Soopecta  queste  oongiaift,  che  ta.  dica  nel 
maggio  del  ISOl,  «  fmoifeo  condannati  in  grave 
pena»  akani  capi  della  Duioiie  dei  Donati,  dei 
quali  andanmo  in  bando  Cono  Donati,  Gerì 
Spini,  Farcino  dei  Paaxi,  Boeso  della  Tosa  e 
pid  altri  (Comp.,  0. 1 34,  P.  FSeii,  €¥,  p.  68). 
—  65.  Teiraana  al  uagiet  accenna  al  fé- 
liBMuto  di  Ricoverino  de'  Pazzi  ;  a  proponto 
del  quale  nn  cronigta  del  tempo  (dt.  dal  Del 
Lungo,  n  609)  racconta  che  «  fi  diceva,  Qne- 
ita  fedita  ieoonoerà  Io  itato  di  Firenze  ».  — 
Is  parte  ativagglat  la  parte  dei  Cerchi,  fa- 
miglia venuta  in  Firenze  dalla  Val  di  Sieve 
e  axriocliitaai  con  la  merostora  :  D.  Compagni, 
O.  1  ao  dice  dei  Oecchi  eh'  erano  «  nomini 
di  faaaM  stato,  ma  bncni  mercatanti  e  gran 
ricchi  »,  e  O.  Villani,  O.  vm  89  li  dipinge 
ooBs  stirpe  non  cattiva,  ma  vanitosa  e  inur- 
bana e  di  «bizzarra  salvatiohezza»  :  cfr.  Air. 
XV]  61».  —  66.  caccerà  l'altra  ecc.  t  accenna 
a^  esigli  dei  Ci^i  donatecchi  dopo  la  oongin- 
ra  di  S.  Trinità,  del  maggio  1801.  —  67.  Poi 
apprese*  ecc.  La  profezia  trapassa  alla  ca- 
duta della  parte  oerchiesca  o  dei  Bianchi,  e 
al  Bonumtaxe  deUa  parte  donatesca  o  dei 
Keci  ;  accennandosi  cosi  alla  proecrìdone  in- 
cominciata nel  gennaio  del  1900  sotto  gli  an- 
ejàei  di  Oario  di  Vaiola  dal  potestà  Canto  dd 
Galnìelli  e  oontinnata  sino  all'ottobre  del- 
Taano  stesso  dsl  soo  snccessore  Gherardino 
da  Oamtaza  (etr,  Dd  Lungo,  L'esilio  di 
DmHk,  Fizenze,  1881),  e  specialmente  alla 
condanna  dd  6  aprile  1803  che  colpi  Vieri 
de'  Cerchi  e  gli  altri  capi  di  parte  Bianca.  ~ 

68.  Infra  tre  selli  prima  che  passino  tre 
anni,  prima  die  pasd  il  tempo  che  corre  dd 
BOSBento  in  eoi  parla  Ciacco  (aprile  ISOO) 
sino  aDe  nltime  condanne  (ottobre  1902).  — 
r altra:  la  parte  donateeca  o  dd  Neri.  — 

69.  di  tal  ecc.  :  non  già,  come  intesero  l' Ott, 
Bear,  e  mdti  moderni,  di  CkAo  di  Vdois, 
cke  nella  primavera  del  1900  era  tntto  occn- 
pato  neDa  gnena  fiamminga;  d  bene  diBo- 
nliìMio  vm,  non  ancora  chiaritod  favoreggia- 
iofo  deUa  parte  donatesca,  il  qnde  (dice  con 
frase  sooltoria  fl  Comp.  (>.  n  11)  «  parole 
lasinghevole  da  nna  mano  osava,  e  da  l'dtra 

i  il  signore  sopra  noi  »,  doè  spin- 


geva addosso  alla  parte  cenhiesca  Carlo  di 
Vslois  :  questa  interpretazione,  data  già  dd 
Beco.,  dd  Bnti  e  dall' Anon.  fior.,  s' appoggia 
anche  d  significato  deUft  frase  :  oA«  todà  pù^ 
già,  cioè  che  ora  d  destreggia  tra  le  due  parti, 
sta  fra  l'nna  e  l'dtra;  dove  il  vb.  neutro 
piaggian  ha  lo  stesso  senso  figurato  che  in 
un  passo  di  Q.  Villani,  Or.  vn  69:  «Molti 
che  alla  prima  avean  tenuto  col  Cardinde, 
d  frirono  rivolti  per  gli  sdegni  che  vedeano; 
e  i  Qxandi  di  Parte  Nera,  e  simile  qndli  che 
piaggiavano  od  Cardinde  [alcuni  codid  leg- 
gono :  il  Cardinde]  d  gnemirono  d' arme  e 
di  gente  »  :  d  cfr.  Del  Lungo,  n  615-8  e 
A.  Massera,  Oiom.  doni.,  Vn  871-882.  — 
70.  Alte  terrà  eco.  Con  la  proecrìdone  dd 
Bianchi  la  signoria  della  città  rimase  d  capi 
dd  Neri,  «  dd  quali  (dice  il  Comp.  Or.  n  26) 
ninno  d  pud  scusare  che  non  fnsse  gua- 
statore ddla  dttà»:  i  vincitori  iniziarono 
un'  aspra  persecuzione  contro  i  vinti,  cercando 
d' impedire  che  fossero  accolti  nelle  vicine 
dttà,  togliendo  loro  i  castelli  che  possedevano 
nd  contado,  opponendod  vigorosamente  d 
ripetuti  tentativi  di  rientrare  in  patria,  guer- 
reggiando contro  Pistoia  serbatad  fedele  alla 
parte  bianca;  fatti  tutti  che  Dante  doveva 
avere  in  mente  scrivendo  questi  verd,  seb- 
bene non  accenni  ad  dcuno  in  particolare. 
—  72.  eeaie  che  eoe  per  quanto  i  Bianchi 
se  ne  addolorino  e  se  ne  sdegnino.  —  78.  Gin- 
stl  son  dso:  risponde  alla  2*  domanda  di 
Dante  dicendo  che  in  Firenze  due  soli  dtta- 
dini  sono  alieni  dd  parteggiare.  I  commen- 
tatori d  sono  affaticati  a  fermare  chi  fossero 
questi  due;  e  il  Del  Lungo,  n  615,  scrive  in 
proposito  :  «  Non  crederd  probabile  dò  che 
molti  hanno  detto,  essere  uno  de'  due  l'Ali- 
ghìeri  medesimo  :  certamente  poi  il  pensare, 
come  secondo,  a  Guido  Cavdcanti,  partigiano 
e  fazioso  se  altri  md,  ò  inammissibile...  Ta- 
luno fra  gfi  antichi  disse  adombrard  in  quei 
duo  due  figure  morali,  la  Giustizia  e  la  Ra- 
gione. Alcuni  fra  i  moderni  propongono,  co- 
me secondo  all'  Alighieri,  il  Compagni,  argo- 
mentando (e  dò  invero  a  buon  dritto)  la 
rettitudine  dell'  animo  suo  dalla  Oronica.  Ma 
non  mi  pare  sufficiente  ragiono;  perché  credo 
che  se  didtri  virtuosi  dttadini  possodossimo, 


46 


DIVINA  COMMEDIA 


superbia,  invidia  ed  avarizia  sono 
75       le  tre  faville  che  hanno  i  cori  accesi  ». 
Qui  pose  fine  al  lacrimabil  suono; 
ed  io  a  lui:  «Ancor  vo'che  m'insegni, 
78       e  che  di  più  parlar  mi  &oci  dono. 

Farinata  e  il  Tegghiaio,  che  far  si  degni, 
Iacopo  Eusticuccii  Arrigo  e  il  Mosca, 
81       e  gli  altri  che  a  ben  far  poser  gl'ingegni, 
dimnii  ove  sono,  e  fa  ch'io  li  conosca; 
che  gran  desio  mi  stringe  di  sapere, 
84        se  il  ciel  gli  addolcia  o  lo  inferno  gli  attosca  ». 
E  quegli  :  «  Ei  son  tra  le  anime  più  nere  ; 
diversa  colpa  giù  li  grava  al  fondo: 
87        se  tanto  scendi,  li  potrai  vedere. 
Ma  quando  tu  sarai  nel  dolce  mondo, 
pregoti  che  alla  mente  altrui  mi  rechi: 
90       più  non  ti  dico  e  più  non  ti  rispondo  ». 
Gli  diritti  occhi  torse  allora  in  biechi, 
guardommi  un  poco  e  poi  chinò  la  testa  ; 


come  di  Dino,  memorìd  della  vita  scritte  da 
loro  medesimi,  eguali  aigomenti  potremmo 
trorarvi  pei  aggiadioare  a  più  d' uno  di  essi 
uno  di  qaei  posti  d' onore. ..  Io  temo  ohe  la 
pradente  oritioa  debba  linonciare  all'inter- 
pretazione di  quel  Terso:  del  qnale,  fors'anco, 
rAlighìeri  volle  semplicemente,  e  senza  al- 
lusioni personali,  significare  che  in  sf  grande 
cittadinanza  il  numero  de'  giusti  era  piccolis- 
simo, e  quasi  nullo;  e  quei  pochissimi,  non 
ascoltati  ».  —  74.  ivperbift  ecc.  :  risponde 
alla  8^  domanda  di  Dante,  assegnando  come 
motivi  principali  delle  discordie  fiorentine  la 
superbia,  l'invidia  e  l'avarizia;  i  tre  vìzt 
che  anche  Brunetto  Latini,  Inf.  xv  68  e  G. 
Villani,  Or,  vni  68,  96,  rimproverano  ai  loro 
concittadini  :  cagioni  principali  dei  loro  dia- 
sensi  civili,  e  perciò  considerati  qui  indipen- 
dentemente dai  tre  vizt  ohe  sono  cagioni  del 
perturbamento  morale  dell'umanità,  raffiga- 
rati  neUe  tre  fiere  (cfr.  Inf,  i  81).  -~  76.  la- 
criiMbil  saono:  profezia  lacrimevole  delle 
sventure  di  Firenze.  —  79.  Farinata:  Fari- 
nata degli  liberti,  ohe  è  nel  cerchio  sesto, 
tra  gli  eretici  :  Jnf.  x  22  e  segg.  —  il  Teg- 
ghiaio: Tegghiaio  degli  Adimari,  che  è  nel 
settimo  cerchio,  tra  i  sodomiti  :  Inf.  xvi  40-2. 
~  far  9Ì  degni  :  e  d  significazione  di  reve- 
ronza,  che  egli  [Dante]  adopera  verso  mag- 
giorenti poUtioi  della  vecchia  Firenze,  di 
quella,  come  dicevano,  del  primo  popolo  ;  e 
cotesto  uso  assoluto  di  degno  per  ragguardò- 
coi0,  inaignB  applica  altrove  anche  a  cittadini 
de'  regni  spirituali  [Purg.  m  100,  xxn  126, 
TTTT  152]»;  Del  Lungo,  DanU  U  438.  — 


80.  laeopo  Baitleveel:  è,  in  compagnia  do! 
precedente,  nel  settimo  cerohio  :  Inf,  xn 
48-6.  —  Arrigo  :  secondo  l' Anon.  fior.,  dei 
Qiandonati;  secondo  Benv.,  dei  Fiùmti;  ono  di 
quelli,  ad  ogni  modo,  eh'  ebbero  parte  nell'oo- 
dsione  di  Baondelmonte  nel  1215  (cfr.  O.  Vil- 
lani, O.  V  88,  e  Machiavelli,  2s<.  n  8)  :  Dante 
non  ne  riparla pi6.  —  li  Mosca:  Mosca  Lam* 
berti,  che  è  nel  cerohio  ottavo,  tra  i  semi- 
natori  di  discordie:  hìf,  xxvin  106.  —81.  a 
ben  far  poser  gl'Ingegni:  aoomna  alle 
virt6  civili,  delle  quali  ftirono  ornati  cotesti 
suoi  concittadini;  o  male  ahmni  moderni  in- 
tendono che  Dante  parli  ixonioaments:  dò 
essondo  inammissibile,  pel  dubbio  in  ohe  Dante 
era  s' ei  fossero  in  paradiso  o  in  infamo;  dub- 
bio che  non  sarebbe  stato  possibile  se  la  lode 
d'esser  stati  sf  degni  e  d'aver  posto  a  h«n  far 
gV  ingégni  fosse  stata  ironica:  ofr.  anche  Inf, 
XVI  69.  —  84.  gli  addolcia:  li  rallegra  con 
le  sue  dolcezze,  con  la  beatitudine.  —  gU 
attdiea  :  gli  amareggia  con  gli  eterni  tormenti. 

—  66.  Ei  BOB  ecc.  Farinata,  Tegghiaio,  la-* 
copo,  Arrigo  e  Mosca  sono  tra  anime  jit.  col- 
pevoli che  non  sieno  i  golosi  di  questo  oerchio. 

—  86.  grava:  trascina  col  proprio  peso;  per- 
ché i  dannati  sono  collocati  in  un  cerohio 
tanto  più  basso  quanto  maggiore  ò  la  gravità 
della  loro  colpa.  —  88.  dolco  «ondo:  cosi 
chiama  la  terra  anche  in  Inf,  x  82  ;  ofr.  la 
nota  al  v.  61.  —  89.  pregoti  eoo.  Questo  de- 
siderio d' esser  ricordato  ai  viventi  d,  secondo 
Dante,  comune  a  quasi  tutti  i  ij^wn^ti^  ct^^ 
spesso  lo  manifestano  (e£r.  Inf,  xm  66,  zvi 
85  ecc.).  —  91.  GU  diritti  oocU  eoe.  tene 


INFERNO  -  CANTO  VI 


47 


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cadde  con  essa  &  par  degli  altri  ciechi. 

E  il  duca  disse  a  me  :  «  Più  non  si  desta 
di  qua  dal  suon  dell'angelica  tromba, 
quando  verrà  la  nimica  podestà: 

ciascun  ritroverà  la  trista  tomba, 
ripiglierà  sua  carne  e  sua  figura, 
udirà  quel  che  in  etemo  rimbomba  ». 

SI  trapassammo  per  sozza  mistura 
dell'ombre  e  della  pioggia,  a  passi  lenti, 
toccando  un  poco  la  vita  futura; 

per  eh'  io  dissi  :  «  Maestro,  esti  tormenti 
cresceranno  ei  dopo  la  gran  sentenza, 
o  fien  minori,  o  saran  si  cocenti  ?  » 

Ed  egli  a  me:  e  Eitoma  a  tua  scienza, 
che  vuol,  quanto  la  cosa  è  più  perfetta, 
più  senta  il  bene,  e  cosi  la  doglienza. 

Tutto  che  questa  gente  maledetta 
in  vera  perfezion  già  mai  non  vada, 
di  là,  più  che  di  qua,  essere  aspetta  ». 

Noi  aggirammo  a  tondo  quella  strada, 
parlando  più  assai  ch'io  non  ridico; 
venimmo  al  punto  dove  si  digrada: 

quivi  trovammo  Fiuto  il  gran  nemico. 


Cecamente  gli  occhi,  che  duo  allora  ayeyano 
goaxtlato  natoralmente.  —  98.  a  pur  degli 
altri  deefel  :  degli  altri  golosi,  ohe  essendo 
eoi  TÌ80  immezao  nel  fango,  nulla  potevano 
Tederò.  —  94.  Plk  bob  il  desta  ecc.  Non  si 
risre^ierìi  prima  del  €riadizio  uniTersale, 
qoaxkdo  al  saono  delle  trombe  angeliche  tntti 
i  morti  risorgeranno  nella  valle  di  losafat  e 
riprendenumo  le  loro  spoglie  mortali,  per  es- 
eer  divìai  in  due  schiere,  quella  dei  dannati 
e  quella  àei  beati  (oCr.  San  Tommaso,  Sum- 
«a,  P.  m,  qn.  66,  art.  2  e  qnest  69,  art.  5). 

—  96.  Bladea  podestà:  Cristo,  autorità  ni- 
mica ai  malvagi:  podestà^  invece  di  podestà^ 
non  è  raro  nogìi  antichi,  come  p.  es.  Bocc., 
ymfale  fi6$okmo,  st  183:  «  Siccome  a  quella 
e*  hai  in  tua  poddsta  ».  —  99.  qiel  che  la 
ctOfBO  ecc.  la  sentenza  di  etema  condanna. 

—  100.  trapaisawime  ;  passammo  oltre,  per 
la  sozza  mescnlanza  delle  anime  dannate  e 
d^  fango  prodotto  dalla  pioggia.  ~  102.  toc- 
caad»  «a  poco  eoo.:  le  idee  di  Dante  su 
qoeato  argomento  sono  esposte  nel  Cànv,  ii 
9.  —  108.  etti  tormenti  eco.  Dante  chiedo 
a  Virgilio  00  dopo  il  Giudizio  universale  le 
pe^  dell'  inferno  sanumo  aumentate  o  dlmi- 
suite  o  lasciate  intatte.  —  106.  ti  eoeeatl: 
dolorose  cosi  oome  sono  ora.  — 106.  Ed  egli 
a  me  eoo.  Vìigilio  rifonde  che  le  pene  sa- 


ranno maggiori,  perché  maggiore  sarà  la  di- 
sposirione  delle  anime  a  sentirie.  —  a  taa 
scienza  :  secondo  alcuni,  alla  filosofia  aristo- 
telica ;  altri,  meglio,  credono  che  Virgilio  ri- 
chiami Dante  alla  dottrina  teologica  cristiana, 
secondo  cui,  dopo  la  risuirerione,  per  esser 
r  anima  ricongiunta  al  corpo  sarebbe  venuta 
a  trovarsi  in  maggiore  perfezione  e  perciò  di- 
sposta a  sentire  la  beatitudine  o  la  pena  eter- 
na :  cfr.  Par,  xiv  48.  —  109.  Tatto  che  ecc. 
Virgilio  ha  già  dato  bastevole  risposta  a  Dan- 
te; ma  a  prevenire  ogni  dubbio  aggiunge  che 
la  perfezione  dei  dannati  non  d  mai  la  vera, 
quella  cioò  che  dispone  a  sentire  la  beatitu- 
dine, e  che  i  dannati  s' aspettano  cotesta  lor 
perferione  dopo  ilQiudirio  universale,  quando 
avranno  ripreso  i  loro  corpi  :  di  ohe  si  con- 
clude che  allora  esti  tormenti  ereso&rarmo,  — 

111.  di  là  ecc.  aspetta  d'essere  in  istato  di 
perferione  pi6  dopo  il  Giudirio,  che  prima.  — 

112.  Noi  aggirammo  ecc.  facemmo  la  via  ohe 
gira  all'  intomo  del  cerchio.  —  114.  il  di- 
grada: si  discende  dal  terzo  al  quarto  cer- 
chio. —  116.  Plato:  Flutos,  figlio  di  Demeter 
e  di  Iasione,  divinità  greca  che  personifica  la 
ricchezza;  Dante  lo  trasforma  in  un  demonio 
(cfr.  Inf,  ni  83),  che  presiede  appunto  a  quel 
cerchio,  ove  sono  puniti  coloro  ohe  ftirono 
intomperontl  noli' uso  dogli  avori. 


48 


DIVINA  COMMEDIA 


CANTO  VII 

Suir  ingresso  del  qnarto  eerchio  i  poeti  sono  accolti  con  parole  strane 
da  Plato  ;  e,  passando  oltre,  Tisitano^  il  laogo  ove  sono  poniti  gli  avari  e  i 
prodighi.  Qnindi  entrano  nel  quinto  cerchio,  dove  sono  gli  iracondi,  gli  ac- 
cidiosiy  gV  invidiosi  e  i  superbi,  e  girando  intomo  alla  palade  Stige  per- 
vengono a  piò  d' un*  alta  torre  [8  aprile,  presso  la  mezzanotte). 

€  Pape  Satan,  pape  Satan  aleppe  >, 
cominciò  Fiuto  con  la  voce  chioccia. 
3        E  quel  savio  gentil,  che  tutto  seppe, 
disse  per  confortarmi:  e  Non  ti  neccia 
la  tua  paura,  che,  poter  ch'egli  abbia, 
6        non  ti  torrà  Io  scender  questa  roccia». 
Poi  si  rivolse  a  quell'enfiata  labbia, 
e  disse  :  «  Taci,  maledetto  lupo  : 
9       consuma  dentro  te  con  la  tua  rabbia. 
Non  è  senza  cagion  l'andare  al  cupo: 
vuoisi  nell'alto  là  dove  Michele 


Vn  1.  Fape  SfttaB  eoo.  IQaeeto  è  uno  del 
versi  più  tortarati  del  poema.  Per  gli  antichi 
(Lan.,  Pietro  di  Dante,  Ott.,  Bocc.,  Benv., Ba- 
li, An.  fior.,  ecc.),  che  prendono  Hpape  come 
nna  esclamazione  ammiratiTa  e  V  cUeppe  come 
nna  esclamazione  di  dolore,  il  verso  significa  : 
M  Oh  Satana,  oh  Satana,  ahi  »;  quasi  Plato 
meravigliandosi  e  insieme  dolendosi  della  ve- 
nata dei  doe  poeti,  invocasse  l' aiuto  del  prìn- 
cipe dei  demoni.  Dei  moderni,  alcuni  consi- 
derano queste  parole  come  se  fossero  calcate 
sull'ebraico  e  le  intendono  variamente: 
«  Splendi  aspetto  di  Satana,  splendi  aspetto 
di  Satana  primaio  »  (M.  Lanci,  Dissertatone 
sui  veni  di  NembroUo  e  di  Pluto,  Boma,  1819); 
oppure  :  «  Qui  qui  Satan,  qai  qui  Satan  oo- 
manda»  (Q.  Venturi  negli  Stud^  ined,  su 
DanlSf  Firenze,  1846,  p.  86);  oppure  :  «  Bocca 
di  Satana,  booca  di  Satana,  perché  non  vo- 
miti fiamma  »  (C.  Schier,  del  et  Enfer^  Lip- 
sia, 1866).  Altri  credono  doversi  spidgare 
questo  verso  come  composto  di  parole  greche, 
cosi  :  «  Ah  ah  Satan,  ah  oh  Satan  invitto  !  » 
(Olivieri,  nella  Gaxx.  di  Milano^  1829) ,  ov- 
vero: «Como,  o  Satanasso,  come  o  Satanasso, 
principe  doli'  inrenio,  un  audace  mortale  osa 
ponotraro  qua  entro  ?  »  (G.  Puccianti  nella 
liivista  orientaUj  fase  ix,  1867),  oppure: 
«<  Oh!  ribolle,  oh!  ribolle!  ah,  vattene  via  !  » 
(Ti.  Monti,  L' interpreiaxione  del  verso  dantesco 
Pape  ecc.  Torino,  1896,  ctr.  G.  VandoUi, 
DuU,  IV  106  e  sgg.).  Altri  finalmente  ten- 
dono queste  parole  come  formate  sul  ftan- 


cese,  e  spiegano  :  «  Pace,  pace  Satana,  pace 
pace  Satana,  alla  spada  »  (V.  Bemi  nel  O'tor- 
naie  Aroadieot  fase  zm),  o  il  contrario  :  «  Non 
pace  Satana,  non  pace  Satana  alla  spada» 
(G.  Ventura,  L'ineompreso  verso  Pape  eco. 
Milano,  1868)  :  o£r.  anche  un'altra  spiegaziono 
nel  Gellini,  Vita  n  27.  Quale  sia,  delle  tante, 
la  vera  interpretazione  non  si  sa;  perohó 
Dante  forse  volle  mettere  in  bocca  a  Pluto 
parole  incomprensibili  a  noi  :  quello  che  si 
pud  raccogliere  ò  ohe  queste  parole  sono 
un'  eedamazione  di  rabbia  (v.  9),  che  tendono 
a  spaventare  i  due  viaggiatori  (v.  6-6)  e  che 
Virgilio  le  comprende,  (v.  8)  :  si  cfr.  anche  M. 
Scherillo,  Ross.  criL  1 174-184.  —  2.  ekioeda: 
rauca  ed  aspra,  per  la  rabbia;  cfr.  £nf,  xxxn 
1.  —  8.  qael  saHo:  Virgilio.  —  4.  Hon  ti 
BOeeia:  non  ti  danneggi,  vìnoendoti.  —  6. 
poter  eco.  per  quanto  potere.  —  7.  eBllata 
labbia  :  faccia  gonfia  per  lo  sdegno  :  cfr.  la 
nota  al  Purg.  zxm  47.  —  8.  lapo  :  Booo.  : 
«  il  chiama  lupo,  aodocchó  s' intenda  per  lai 
il  vizio  dell'  avarizia,  al  quale  ò  preposto  »; 
e  cosi  intesero  quasi  tutti  i  comment.  antichi. 
Lomb.  crede  invece  che  «  oosf  ft&oesse  il  poeta 
nostro  da  Virgilio  appellarsi  quel  demonio  a 
cagione  del  rauco  ed  orrendo  uriare  che  fa- 
ceva ».  —  10.  al  cupo  :  alle  profondità  del- 
l' inferno.  —  11.  tooIsI  eco.  Ripete  con  altre 
parole  ciò  che  disse  a  Caronte,  Inf,  m  96  e 
a  Minosse,  v  23.  —  nell*  alto  eoo.  nel  cielo 
dove  l'Arcangelo  Michele  vinse  la  schiera 
degli  angeli  ribelli  (J|>oeaiÌ8M  zn  7-9).  — 


INFERNO  —  CANTO  VH 


49 


12       fé'  la  Tendetta  del  superbo  strupo  >. 
Quali  dal  vento  le  gonfiate  vele 
caggiono  avvolte,  poi  ohe  l'alber  fiacca, 
15        tal  cadde  a  terra  la  fiera  crudele. 
Cosi  scendemmo  nella  quarta  lacca, 
prendendo  più  della  dolente  ripa, 
18       che  il  mal  dell'universo  tutto  insacca. 
Ahi  giustizia  di  Dio,  tante  ohi  stipa 
nuove  travaglie  e  pene,  quante  io  viddi? 
21        e  perché  nostra  colpa  si  ne  scipa? 
Come  fa  l'onda  là  sovra  Cariddi, 
che  si  frange  con  quella  in  cui  s'intoppa; 
24        cosi  convien  che  qui  la  gente  riddi. 
Qui  vid'io  gente  più  che  altrove  troppa, 
e  d'una  parte  e  d'altra,  con  grand* urli, 
27        voltando  pesi  per  forza  di  poppa: 
percotevansi  incontro,  e  poscia  pur  li 
si  rivolgea  ciascun,  voltando  a  retro, 


12.  ttrap*  :  dal  lat  barb.  iiropM,  sohiera, 
tuta;  da  altri  4  spiegato,  per  metatesi,  da 
jf^pro,  nal  senso  di  Tiolenza,  ribellione  o  simi- 
le :  q[óetf  ultima  interpretazione  ò  sostenata 
oon  molta  dottrina  filologica  dal  Parodi,  BtUL 
m  116-U6.  —  18.  invali  ecc.  Venturi  870: 
«  Vira  la  similitadine  e  calzante.  Le  vele 
gonfiato  dal  Tento  danno  idoa  dell'ira  orgo- 
gliosa di  Flato.  Se  l'albero  maestro,  coi 
sono  raooomandate,  a  un  tratto  si  fiacca, 
fasfaiìo  pA  d*  un  colpo  rawìlappate  ;  e  cosi 
Plato  «ade  a  terra  dòmo  e  qnasi  raggomito- 
bto:  foelle  rese  ormai  inntUi;  questi,  non 
jiA  tmwiiWle  »,  —  IL  llaeeai  si  spezza.  Se- 
eoodo  aleani  il  sogg.  è  vento;  senza  bisogno 
di  ezedar  qoesto  yb.  usato  in  senso  neutro: 
ma  il  ToKxaca  cita  questi  Tersi  di  France- 
sco da  firenza  (D'Ano,  n  410):  •  Vednf  d 
per  eontaatare  Al  Tento,  pendi'  &  potenza, 
Pender  l'albore  e  fSaeean  E  cader  sanza  di- 
Jeua  ■(  onde  appar  ohiaxo  che  gli  antichi 
isazoiio  questo  Tb.  anche  in  senso  intransiti- 
To;  cfr.  Parodi,  BuiL  JR  151.  — 16.  Iacea: 
loesa,  carità  che  oostitaisoe  il  quarto  cerchio. 

—  17.  ^eadeado  eoe.  procedendo  sempre 
ptt  anUa  ripa  iniémale,  che  accoglie  tatto 
la  aoaOentezie  mondane.  —  19.  Ahi  gln- 
itixla  eoe  Ahi,  dirina  giustizia,  chi,  se  non 
sei  ta,  ladona  tanti  inauditi  tormenti  e  pene? 

—  20.  traTaglie  eoo.  dolori  morali  e  mate- 
riali; cfr.  IbiH  di  Cesare,  m  6  :  €  ATOte  sof- 
isrte  per  me  molte  traTaglie  e  molte  pene  ». 
—■21.  wi  m»  sel^  :  cosi  ci  strazia.  —  23. 

>  fa  eco.  Come  le  onde  del  mare,  nello 
>  di  Messina,  incontrandosi  s' infrangono 


rumorosamente,  oosf  le  due  schiere  dei  dan- 
nati del  quarto  cerchio,  procedendo  in  una 
misera  danza.  Tengono  a  percuotersi  impe- 
tuosamente. Venturi  110  cita  a  riscontro  i 
passi  d' Omero  {Odie,  zn),  di  Virgilio  {En, 
m  420)  e  di  Ovidio  {Met,  Tn  63),  che  descrì- 
vono r  infrangersi  delle  onde  tra  Sdlla  e  Ca- 
riddi. —  24.  riddi!  rùidoredbaUar  la  ridda; 
ballo  tondo  fatto  da  molte  persone  con  ra- 
pido movimento  circolare.  —  26.  troppa: 
numerosa.  —  26.  d'una  parte  •  d'altra: 
delle  due  schiere,  quella  degli  avari  corre 
alla  sinistra  dei  due  poeti  (cfr.  v.  89),  e  quella 
dei  prodighi  alla  destra;  gli  uni  e  gli  altri 
sono  condannati  a  percorrere  eternamente  la 
metà  del  cerchio,  si  che  ai  due  punti  estremi 
del  diametro  l'una  schiera  s'incontri  nell'al- 
tra (t.  65)  ;  e  ìtì  nell'  atto  di  ritornare  in- 
dietro si  gittano  scambieTolmente  un  motto 
di  rimproToro  (t.  80):  tutti  poi  camminano 
Tolgendo  per  forza  di  petto  macigni  e  pesi 
gravissimi  (v.  29):  cfr.  anche  Inf.  zi  72.  — 
28.  par  11:  pur  U.  È  frequente  in  Dante  e 
negli  altri  poeti  antichi  il  caso  di  un  mono- 
sillabo che  perde  il  proprio  accento,  appog- 
giandosi encliticamente  alla  parola  precedente, 
per  formare  una  spedo  di  rima  composta  :  per 
OS.  Inf,  zxvm  128  0  «m  (:  chiome)  ;  zzx  87 
non  ei  ha  {i  soemota);  iVy.  zix  84  aìmen  ire 
(:  venkre)}  Par,  v  122  d<'  di'  (: annidi),  H  Pa- 
rodi, Btttf.  m  140,  ha  arvertito  che  queste 
rime  composte  «  erano  già  in  voga  presso  i 
provenzali  e  che  nei  nostri  primi  lirici  ab- 
bondano, fripri  d' ogni  discrezione,  accompa- 
gnandosi con  le  più  bizzarre  libertà  d'acoen- 


BAins 


50 


DIVINA  COMMEDIA 


80        gridando  :  e  Perché  tieni  ?  >,  e  «  Perché  burli  ?  » 
Cosi  tornavan  per  lo  cerchio  tetro, 
da  ogni  mano  all'opposito  punto, 

88  gridandosi  anche  loro  ontoso  metro: 
poi  si  Yolgea  ciascun,  quando  era  giunto 

per  lo  suo  mezzo  cerchio  all'altra  giostra. 
86        Ed  io,  che  avea  lo  cor  quasi  compunto, 
dissi:  «Maestro  mio,  or  mi  dimostra 
che  gente  è  questa,  e  se  tutti  fiìr  cherci 

89  questi  chercuti  alla  sinistra  nostra  ». 
Ed  egli  a  me:  «  Tutti  e  quanti  fiir  guerci 

si  della  mente,  in  la  vita  primaia, 
42        che  con  misura  nullo  spendio  fUrcL 
Assai  la  Toce  lor  chiaro  P  abbaia, 
quando  vengono  a' due  punti  del  cerchio, 
45        ove  colpa  contraria  li  dispaia. 

Questi  far  cherci,  che  non  han  coperchio 
piloso  al  capo,  e  papi  e  cardinali, 
48        in  cui  usa  avarizia  il  suo  soperchio  >• 
Ed  io  :  «  Maestro,  tra  questi  cotaU 
dovre'io  ben  riconoscere  alcuni, 
51        che  furo  immondi  di  cotesti  mali  >• 
Ed  egli  a  me  :  «  Vano  pensiero  aduni  : 
la  sconoscente  vita,  che  i  fé*  sozzi, 
54       ad  ogni  conoscenza  or  li  fa  bruni 
In  etemo  verranno  alli  due  cozzi; 
questi  risurgeranno  del  sepulcro 


to  >.  ~  80.  Perche  ti«Bl]  perohó  sei  aTaio? 
È  il  rimprovero  ohe  i  prodighi  £Bamo  sgiì  aya- 
ri.  —  Parektf  kwU  t  perché  sei  prodigo?  È  U 
rimproToro  degli  avari  ai  prodighi:  burlar»  va- 
le propriameate  buttar  via,  spaiger»,  oome  si 
ha  da  un  passo  della  Lettm-a  del  yrito  Imni 
(Loooa,  1867,  ed.  L.  Del  Prete)  :  «  quando  lo 
vento  dà  per  qnetti  fiumi,  burla  di  qnesta  pol- 
vere di  foori  >.  —  81.  per  le  eerehlot  i  prodi- 
^  per  il  semioerohio  destro,  gli  avari  per  il 
sinistro,  rispetto  ai  dne  poeti  che  si  sono  ool- 
locati  sovra  ano  dei  due  ponti  nei  quali  av- 
viene rincontro.  —  88.  gridandosi  eoe 
rinnovando  il  grido  delle  inginriose  parole  : 
—  86.  all'altra  giostra:  all'altro  pnnto 
d' incontro.  —  88.  eherel:  ohierid,  gente  di 
chiesa.  —  88.  eliereitl;  oherioatl,  con  la 
chierica  o  rasura  dei  capelli,  che  è  propria 
dei  sacerdotL  —  40.  Tatti  •  qwuiti  ecc. 
Tatti  gli  spiriti,  d' ambedoe  le  schiere,  Itarono 
nel  mondo  cosi  ottenebrati  dall'errore  che 
non  seppero  osare  misoratamente  delle  ric- 
chezze; gli  oni  ammassandone,  f^  altri  scia- 
lacquando. —  48.  Issai  ecc.  Lana:   e  dice 


atbaiaf  quasi  in  dispregio  di  loro  parlare, 
eh'  dnno  s£  oome  cani,  e  che  senza  misura 
fanno  loro  spendii,  ciod  che  ritennero  dove 
si  doveva  spendere,  e  dienno  là  dove  non 
bisognava  ».  —  45.  colpa  eontraria  li  di- 
spaia :  diversità  di  colpa,  per  gli  uni  di  ava- 
riria  e  per  gli  altri  di  prodigaUtà,  U  divide, 
li  disgiunge.  —  46.  non  han  eopereUe  :  non 
hanno  intera  la  «figliatura,  per  esser  tou- 
suratL  —  48.  la  eoi  osa  ecc.  nei  quali  suolo 
esser  jìLìl  vivo  il  desiderio  di  ricchezza  che 
non  sia  negli  uomini  d'altra  condizione;  poi- 
che,  come  dice  in  Luf,  xix  112,  fatto  si  hanno 
e  Dio  d' oro  e  d'argento  ».  —  61.  cIm  fkro 
ecc.  che  furono  colpevoli  per  avarizia  e  poi 
vizi  ohe  da  essa  procedono.  —  62.  «diial  : 
accogli  nella  mente.  —  68.  la  seonosoeato 
ecc.  la  vita,  priva  d' ogni  conoscenza,  onde 
si  macchiarono,  li  fis  essere  ora  oscuri  ad 
ogni  conoscenza,  li  sottrae  al  conoscimento 
altrui.  —  66.  alli  die  coezI  :  a  incontrarsi 
nei  due  punti  del  cerchio,  che  sono  il  limito 
estremo  del  loro  corso.  —  66.  questi  eoo. 
€  al  die  del  giudicio  li  avari  risorga- 


INPERNO  -  CANTO  VII 


m 


57 


CO 


C3 


66 


69 


col  pugno  chiuso,  e  questi  co'crin  mozzL 
Mal  dare  e  mal  tener  lo  mondo  palerò 

ha  tolto  loro,  e  posti  a  questa  unSk: 

qual  ella  sia,  parole  non  ci  appulcro. 
Or  puoi,  figliuol,  veder  la  corta  buffa 

de' ben,  che  son  commessi  alla  Fortuna, 

per  che  l'umana  gente  si  rabbuffa; 
che  tutto  l'oro,  eh' è  sotto  la  luna, 

o  che  già  fu,  di  queste  anime  stanche 

non  poterebbe  fiEume  posar  una  >. 
€  Maestro,  diss'io  lui,  or  mi  di'  anohe, 

questa  Fortuna,  di  che  tu  mi  tocche, 

che  è,  che  i  ben  del  mondo  ha  si  tra  branche  ?  » 
£  quegli  a  me  :  e  O  creature  sciocche, 

quanta  ignoransa  è  quella  che  vi  offendei 

or  Yo'che  tu  mia  sentenza  ne  imbooche. 
Colui,  lo  cui  sayer  tutto  trascende, 


,  coi  pugni  chinai  a  dimostrare  e*  hanno 
taanto  lo  wiperchio  ;  li  prodighi  risorgeranno 
eoa  li  erini,  doò  con  li  capelli,  mozzi,  a  mo- 
rtnre  e*  hanno  speso,  cioè  gittate  lo  sopore 
ddo  ».  —  67.  eo'erlB  mozzi  :  cfr.  Aify.  xzn 
46:  «  Qaaorti  risurgeran  coi  crini  scemi,  Per 
ìgnoniiw,  che  di  questa  pecca  Toglie  il  pen- 
ter  Threndo  e  negli  estremi  !  >  —  68.  Mal 
dm  •  mtd  iCMT  eoo.  lo  spendere  «  1*  am- 
■assare  aenza  misnra  ha  tolto  loro  il  para- 
fiso.  —  60.  parols  bob  ci  appvlero:  non 
tiid  *  ridirtelo  oon  belle  parole.  —  61.  «orU 
bvfliii:  g^  antichi  oommentatori  non  sono 
d'aeeotdo nello  spiegare  queste  parole:  buffa  ò 
per  fl  BambagL  «  Uhtsio  »,  perii  Lana  e  bontà 
•d  ^Hit^ft  »,  per  rott  €  la  bugia  »,  per  l'An. 
&or.  «  potenzia  »,  per  il  Bati  e  derisione  »,  per 
il  Booc.  e  Beny.  e  vanità  >  ;  reramente  buffa 
nxébbe  il  Tento,  il  fiato,  e  qui  in  senso  tra. 
slato  tbIo  forza  vana,  vanità;  ed  ò  detta  wria 
pesdkó  non  ci  accompagna  nell'  altro  mondo, 
dove  non  ha  alcon  valore.  Questa  splega- 
noDe  non  piace  al  Parodi,  BuU,  m  149,  per 
il  quale  buffa  qui  vale  ^Ofiino,  come  in  Mf. 
xxa  188  :  co«£  aveva  già  spiegato  il  Castel- 
veteo,  «inganno  corto  »,  ma  se  ne  penti  su- 
tetoi,  per  ragioni  evidenti  di  contesto.  L' in- 
gaano  dei  beni  comme^i  alla  fortuna  è  per- 
petao  e  universale:  brovo  e  transitorio  il 
loto  valore.  —  63.  TamaBa  gente  ecc.  Bnti: 
e  si  pezcaotono  li  uomini  del  mondo  insieme, 
iBghxdando,  scacciando,  battendo  et  noci- 
dsDdo  l'uno Taltro  ».  —  si  rabbuffa:  si  acca- 
figSa,  viene  a  contrasto;  cfr.  lacopone  da 
Tiadl,  laudi:  «Questo  mondo  ò  una  truffa 
Dofva  ogni  omo  se  rabuffo  ».  —  64.  elid  tutto 
eoe.  ed  è  colf  vana  cotesta  efficacia  che  tutto 


ecc.  Un  concetto  molto  simile  ò  osprosuo  d^ 
Boezio,  Phiha.  eonsol,  n,  poesia  u  1  :  *^i 
quantas  rapidis  flatibus  inoitus  Fmitns  T«rs&t 
aienas,  Aut  quod  stollifaris  edita  nootibiis 
Goelo  sidera  fùlgent,  Tantas  ftmdat  opos^  n^ 
retrahat  manum  Pieno  Copia  oomu;  Huma^ 
num  miseras  hand  ideo  genus  Cesect  flisre  quo^ 
relas  »  ;  passo  che  Danto  cita  nel  Conv.  iv  12, 
(cfr.  Moore,  I  286).  —  sotto  la  lana:  lu 
terra.  —  65.  di  queste  anime  ecc.  uon  avro]'»- 
be  potere  di  far  posare  pur  unn  di  qoe^ta 
anime.  —  68.  di  ehe  tv  mi  toerhe  :  dqJla 
quale  mi  hai  Catte  cenno.  —  69.  «h«  b  et^. 
che  ò  mai,  quale  potenza  ò  mai,  da  p.VDre  in 
sua  balla  i  beni  mondani?  —  70.  K  quegli  a 
me:  Dante,  nel  Oonv,  rv  11  scrivo:  »  Dito 
che  la  loro  imperfezione  [dello  rìcclie^ZQ]  pri- 
mamente si  può  notare  nella  indiscroi^iona 
del  loro  avvenimento,  nel  quale  nulla  distri- 
butiva giustizia  rìsplende,  ma  tutta  Iniq^Jlili, 
quasi  sempre;  la  quale  iniquità  è  prupio  ef- 
fetto d' imperfezione  » .  Noi  disooreo  messo  in 
bocca  a  Virgilio,  modifica  alquanto  la  sua  dot* 
trina  riferendo  la  distribuzione  del  boni  mon- 
dani alla  volontà  divina,  della  quali)  la  Fortmiia 
d  solamente  ministra.  Intorno  a  oJò  vùdiìsi  C. 
P.  Paganini,  Alcune  osservaxwni  mila  Bifhina 
di  Danto  Qn  Opuae.  dmi.  n.*  5).  —  TI.  q santa 
ecc.  L'ignoranza  che  offende  gli  nE>iuLaL  A 
quella  del  vero  oMdo  della  Fortuna,  da  assi 
tenuta  corno  signora  de'  beni  terreni,  m^ntio 
ne  ò  solamente  dispensatrice.  —  73.  «he  tu 
mia  ecc.  che  tu  accolga  il  mio  ragionofadnto 
nella  mente,  come  il  fanciallino  rlocvo  U  cibo 
nella  booca.  —  78.  Colai  ecc.  Dio,  il  qtiaie 
conosce  non  solo  le  cose  che  hanno  fm'  osin 
stonza  reale,  ma  anche  quelle  che  hanno  so- 


62 


DIVINA  COMMEDIA 


fece  li  cieli,  e  die  lor  chi  conduce, 
75       si  che  ogni  parte  ad  ogni  parte  splende, 
distribuendo  egualmente  la  luce: 
similemente  agli  splendor  mondani 
78       ordinò  general  ministra  e  duce, 
che  permutasse  a  tempo  li  ben  vani, 
di  gente  in  gente  e  d'uno  in  altro  sangue, 
81       oltre  la  difension  de' senni  umani; 

per  che  una  gente  impera,  e  l'altra  langue, 
seguendo  lo  giudizio  di  costei, 
8d       che  è  occulto,  come  in  erba  l'angue. 
Vostro  saper  non  ha  contrasto  a  lei: 
ella  provvede,  giudica  e  persegue 
87        suo  regno,  come  il  loro  gli  altri  dèL 
Le  sue  permutazion  non  hanno  triegue: 
necessità  la  £&  esser  veloce; 
90       si  spesso  vien  chi  vicenda  consegue. 
Quest'è  colei,  eh' è  tanto  posta  in  croce 


lamento  un'  esistenza  ideale  e  poofliUe.  •— 
74.  feee  11  dell  eoo.  creò  limiiltaiieaineinte 
i  deli  e  gli  angeli.  —  ehi  eondiee:  nel  Oomn, 
n  5:  «li  moyìtori  [del  deli]  tono  sustanze 
separate  da  materia,  dod  Intdligenze,  le  quali 
la  volgare  gente  chiama  angeli  ».  —  75.  gf 
che  eco.  di  guisa  che  ciascuno  dd  nove  cori 
angelid  risplende  a  ona  delle  nove  sfere  ce- 
lesti, distribuendo  la  propria  laoe  con  egoale 
proporzione:  cfr.  Par,  xxvm  78-78.  —  77. 
llmllemente  ecc.  Tatto  questo  passo  sulla 
Fortuna  ebbe  presente  il  Beco.,  Dao.  n  8  — 
splendor  mondani  :  di  ricchezze  e  d' onori. 
—  78.  ordinò  ecc.  costituì  come  intelligenza 
motrice  la  Fortuna:  cfr.  sanf Ageetino,  De 
ewiL  deiy  v  9  :  «  Noe  enim  eas  causas,  quae 
dicantar  fortaitae  (unde  etiam  fortuna  nomen 
acoepit),  non  didmus  nuUas,  »ed  latentes,  oas- 
que  tribuimos,  vd  veri  Dei,  vd  quorumlibet 
spiritaom  voluntati  >.  —  79.  fhe  peraatasse 
ecc.  Si  avverta  che  Dante,  per  tutto  questo 
discorso  sulla  fortuna,  derivò  qualche  idea  da 
Boezio  (cfr.  Moore,  I  284-286),  atteggiando 
per  altro  i  concetti  di  quell'  antico  filosofo  in 
forma  piò  artisticamente  viva:  cfr.  Philos. 
cona,  n,  prosa  n  :  «  Haeo  nostra  vis  est,  hunc 
continuum  ludum  ludimus.  Botam  volubili 
orbe  versamus,  infima  summls,  summa  infi- 
mis  mutare  gaudemus  >.  —  79.  a  tempo: 
Boco.  :  «  di  tempo  in  tompo  »  ;  o  fors'  anco  : 
al  tempo  debito;  come  in  Par,  vm  60.  —  80. 
gente...  tangne:  nazione  e  famiglia.  —  81. 
oltre  ecc.  Buti:  «per  si  fatto  modo,  che 
senno  umano  a  questa  mutazione  non  può 
leeistere,  né  riparard  >.  —  82.  per  ehe  ecc. 
per  la  qnal  pennutazione.  —  laagnex  vive 


eoggetta.  —  64.  eoaie  In  tÉk%  eoe.  Venturi 
444  ricorda  opportunamente  la  frase  virgiliana 
(Buo.  m  98)  :  <  latet  anguis  in  herba  >.  — 

86.  Teatro  saper  eoo.  B  senno  degli  uomini 
non  può  contrastare  alla  Fortuna.  —  85.  ella 
ecc.  provvede,  giudica  ed  eseguisce,  rispetto 
ai  beni  terreni  ohe  formano  il  suo  regno.  — 

87.  come  11  loro  gli  altri  dèi  :  come  le  al- 
tre intelligenze,  rispetto  alle  loro  sfere.  Lomb.: 
«  dèi  appella  le  Intelligenze  motiid  dd  deli, 
0  alludvamente  all'  appellazione  di  dèi^  ohe 
(riferisce  il  p.  nd  Corw,  u  6)  danno  allo  me- 
desime i  gentili,  ovvero  pd  nome  di  dèt^  che 
d  attribuisce  agli  angeli  in  dcun  luogo  delle 
divine  scritture  >.  —  88.  Le  ine  permataslon 
ecc.  Boezio,  n,  prosa  i  :  «  Hi  semper  eius 
mores;  haeo  natura  est.  Servavit  circa  te 
propriam  potius  in  ipsa  sui  mutabilitate  con- 
stantiam  ».  —  trlegne:  interruzioni,  sospen- 
donL  —  89.  necessità  eoe  ravviva  il  con- 
cetto d'Orazio,  Od.  1 86, 18:  «  Te  [fortonam] 
somper  anteit  saeva  Neoesdtas  ».  —  90.  i£ 
spesso  ecc.  per  il  fatto  che  tanto  rapide  sono 
le  mutazioni  della  Fortuna,  frequentemente 
avviene  ohe  un  fortunato  ottenga  la  sua  parte 
de'  benL  Propriamente  :  «  È  d  fluente  il 
caso  di  chi  ha,  viene  ad  avere,  riceve  mu- 
tazione di  sorte,  di  stato  >;  Dd  Lungo,  Dante, 
II 463;  il  quale  per  altro  preferisce  la  lezione 
oh»  vicenda  consegue  e  la  spiega  :  «  Si  spesso 
awione  che  seguano  mutazioni  nelle  ooae 
di  questo  mondo,  in  conseguenza  delle  muta- 
rioni  incessanti,  necessarie,  vdociBsime,  della 
fortuna  >.  —  91.  è  tanto  posta  In  eroee  eco. 
ò  bestemmiata  e  mdedetta  solamente  da  co- 
loro che,  essendo  abbandonati  dalla  felidtà. 


INPERNO  -  CANTO  VH 


53 


pur  da  color  che  le  doyrian  dar  lode, 
03       dandole  biaamo  a  torto  e  mala  voce. 
Ma  ella  a' è  beata,  e  ciò  non  ode: 
con  l'altre  prime  creature  lieta 
96       Tolve  sua  spera,  e  beata  si  gode. 
Or  discendiamo  omai  a  maggior  piòta: 
già  ogni  stella  cade,  ohe  saliva 
99       quando  mi  mossi,  e  il  troppo  star  si  vieta  ». 
Noi  rioidemmo  il  cerohio  all'altra  riva 
sopra  ima  fonte,  che  bolle  e  riversa 
102       per  im  fossato  che  da  lei  deriva. 

L'acqua  era  buia  assai  vie  più  che  persi»: 
e  noi,  in  compagnia  dell'onde  bigie, 
105       entrammo  giù  per  una  via  diversa. 
Una  palude  &,  che  ha  nome  Stige, 
questo  tristo  rusoel,  quando  è  disceso 


éDTiebbero  lodune  la  Fortuna  :  cfr.  Boezio, 
n,  pcoea  n.  —  9B.  Mila  tomi  infiaiiiia.  — 
96.  farlse  er«atere:  gli  angeli,  detti  nel 
Pmf,  ZI  8  « i  piìmi  effetti  di  lassti».  —  94. 
■a  tUa  eoo.  Boedo,  Phil.  ooita,  n,  poesia  i 
6:  «Hoa  Ola  mieezoe  andit,  band  oorat  fletni; 
ntroqna  gemitos  dnza  qnoe  fedt,  xidet  8io 
iSa  faadit^  sic  soas  probat  TÌzes  >.  *  96.  yol- 
Tt  taa  sptm:  govenia  il  no  regno  de'  beni 
tanoL  S  un  ziooxdo  déUe  creazioni  della 
tetasa  popolare,  cbe  amò  rafflgnzaiBi  la  For* 
tana  eome  ima  donna  bendata  volgente  ona 
nota  :  questa  ruota  era  imaginata,  al  tempo 
£  Dante,  come  diTlsa  in  otto  parti,  nelle 
foali  le  raxie  condizioni  umane  ai  segnita- 
nao  in  qnestf  ordine:  umiltà,  pazienza,  pace, 
tWxO^^jji^  soperbia,  impazienza,  gaena,  po- 
T«ià;  per  signilLoare  che  l' umiltà  dà  paóien- 
a,  la  r^«*"«*  pace,  e  cosi  via  in  nna  con* 
1iB«a  permatazione,  simboleggiata  dal  girar 
diOa  TBota.  —  97.  Or  eco.  Dante  e  "^rgilio 
mteno  nel  qtolnto  cerchio,  dorè  sono  immersi 
aefla  belletta  nera  di  Stige  gli  iracondi,  gU 
Moidìoel,  i  snpeibi  e  gL*  inTidiosi:  gU  iracondi 
yffy^^n^^Mri  e  lacerandosi  (t.  112-6)  ;  e  sotto 
ad  esd  ^  acddiosi,  sospirando  sempre  e  af- 
•■w^*<ft  la  pireeento  tristizia  con  rotte  pa- 
iole (t.  117-120);  i  snperbi,  con  una  pena  oon- 
iiaile  a  qu/eiOA  deg^*  iracondi,  ma  collocati  nn 
|oeo  pi4  imuuazi  Tesso  la  città  di  Dite  (Inf,  tui 
48-68);  e  sotto  a  questi  gì'  inTidiosi,  dei  qoaU 
Mm.  fa  wipiuiiii  ififliìTiniìO'  questa  ò  la  distri- 
bszioiie  del  peccatori  nel  quinto  cerchio,  se- 
eoado  Ftotoo  di  Dante;  mentre  gli  antichi 
,  padano  solo  di  iracondi  e  di 
Non  ostante  le  obbiezioni  mosse 
f  la  intsupxetazione  del  fi^o  di  Dante, 
la  quale  più  qui  che  altrore  pud  essere  te* 
■ttauniaziza  degli  intendimenti  patemi,  credo 
càe  essa  aia  la  più  T«ra;  sia  perché  qui^ 


Innque  altra  sede  mancherebbe  per  i  superbi 
e  gì*  inTidiosi,  sia  perché  risponde  alla  topo- 
grafia morale  dell'  inferno  delineata  nel  canto 
ZI  16-90.  n  merito  di  aTere  rinnoTata  l' in- 
terpretazione di  Pietro  di  Dante  d  di  I.  Del 
Lungo,  che  ne  trattò  nel  Diporto  danleaeo 
pubbL  nella  Nuova  Antol,,  a.  1878,  toL  YTTT, 
e  poi  nelle  Pùgin»  ldt&rari$,  Firenze,  189S, 
pp.  47-90.  Per  le  obbiezioni,  si  Tsdano  spe- 
cialmente U  D'Oiddio,  pp.  241-801,  e  U 
Moore,  n,  162-208.  —  98.  già  eoe  Le  steUe, 
che  saliTano  dall'  orionte  Terso  il  mezzo  del 
cielo  allorquando  i  due  poeti  entrarono  uel- 
r  Inferno  (cfir.  n  1),  ora  incominciano  a  discen- 
dere Terso  l'occidente:  dunque  ò  passata  la 
mezzanotte,  e  siamo  già  alla  prima  ora  del 
giorno  9  aprile  1800  (Moore,  p.  46).  ~  99. 
quando  mi  «essi  :  per  entrar  nell'  inferno 
(cfr.  1  186).  —  e  U  troppo  star  si  Tietax 
Boti  :  «  questo  dice  perché  non  era  conce- 
duto di  stare  piA  ohe  una  notte  nell' infer- 
mo»; e  cita  l'ammonimento  della  Sibilla  ad 
£nea,  nell'Ji^.  ti  689:  cNox  ruit,  Aenea; 
nos  fiondo  duoimus  horas  >.  —  100.  rieldem* 
ao  ecc.  attraTorsammo  il  cerohio  fino  all'  op- 
posta rlTa.  ~  101.  sopra  una  fonte  eco.  Que- 
sta fonte  scaturisce  da  quella  lìTa,  e  roTO- 
sda  r  acqua  per  entro  un  canale,  che  muore 
dalla  fonte  stessa.  ~  108.  era  boia  ecc.  era 
più  tosto  nera  che  persa  :  cfr.  la  nota  all'In/'. 
T  80.  —  104.  la  eeapagala  :  seguendo  il 
OGTso  di  quelle  oscure  acque.  —  106.  eatram- 
mo  gid  ecc.  discendemmo  entro  al  quinto 
cercMo,  per  una  Tia  diversay  orrida  e  mala- 
gOTole.  —  106.  Usa  palude  ecc.  Questo  corso 
di  acqua  ^orma  la  palude  Stige,  che  circonda 
tutf  aU'  intomo  la  città  di  Dite.  '^nrgiUo,  En, 
TI  823  ;  <  Cocyti  stagna  alta  Tides  Stygiamqae 
paludem  »  (cfr.  Inf,  st  116).  —  107.  triste 
mseel  t  Lomb.  :  «  tritio  denomina  quel  rosoel- 


54 


DIVINA  COMMEDIA 


108       al  piò  delle  maligne  piagge  gxige. 
Ed  io,  ohe  di  mixar  mi  stava  inteso, 
vidi  genti  flsuìgose  in  quel  pantano, 
111       ignudo  tutte  e  con  sembiante  offeso. 
Questi  si  percotean^  non  pur  con  mano, 
ma  con  la  testa,  col  petto  e  co'piedi, 
114       troncandosi  coi  denti  a  brano  a  brano. 
Lo  buon  maestro  disse  :  €  Figlio,  or  vedi 
l'anime  di  color  cui  vinse  l'ira: 
117       ed  anche  vo'che  tu  per  certo  credi 
che  sotto  l'acqua  ha  gente  che  sospira, 
e  fanno  pullular  quest'acqua  al  summo, 
120       come  l'occhio  ti  dice,  u'che  s'aggira. 
Fitti  nel  limo  dicon:  '  Tristi  fummo 
nell'aer  dolce  che  dal  sol  s'allegra, 
123       portando  dentro  accidioso  fumma: 
or  ci  attristiam  nella  belletta  negra  '. 
Quest'inno  si  gorgoglian  nella  strozza, 
126       che  dir  noi  posson  con  parola  integra  >. 
Oosi  girammo  della  lorda  pozza 
grand' arco  tra  la  ripa  secca  e  il  mézzo, 


Io,  e  rapporto  al  laogo  pien  di  tristizia,  eatro 
coi  scorre,  e  rapporto  al  fine  per  coi  scoire, 
eh'  è  d' impaludarsi  a  rattristare  e  tormentar 
anime».  —  106.  mallfBe  plmffge  grlgt: 
qaelle  delia  ripa,  onde  il  quinto  cerchio  ò  di- 
stinto dal  quarto  :  dalla  quale  esce  V  acqua 
che  poi  s*  impaluda  nello  Stìge.  —  109.  di 
mirar  mi  ftoTa  iatese  i  stavo  a  mirare  at^ 
tontamente.  —  110.  Tidl  geaU  fangose: 
sono  gì'  iracondi,  ohe,  arvolgendosl  nel  pan- 
tano, s' azzuffano  e  si  dilacerano  a  vicenda. 
—  111.  IgBQde:  Butl:  «imperò  ohe  l'iroso 
nella  vita  mondana  si  priva  d' amici,  di  pa- 
renti e  di  ricchezze  ».  —  eoa  sembÌMte  of- 
feso :  oon  r  aspetto  crucciato  ;  Buti  :  «  im- 
però che  r  iroso  à  portato  1'  animo  sdegnoso 
e  dispettoso  al  mondo  ».  — >  112.  innesti  ecc. 
Butl:  «ò  conveniente  che  nell'inferno  si 
porcotano  coloro,  ohe  nel  mondo  i'  anno  per- 
cosso, e  stracdnsi  oon  U  àeo.^  a  peno  a  pezzo, 
come  anno  stracciato  nel  mondo  lo  prossimo, 
et  ancOTa  sé  medesimi  ».  — >  117.  ed  anehd 
ecc.  e,  dtie  a  ciò,  devi  andie  atagene  che  vi 
sono  altri  peocatori  eoo.  Notevole  l'espres- 
sione dantesca;  perdhó  d  dà  la  riprova  della 
distinzione,  ohe  il  poeta  faceva,  dei  peccatori 
di  questo  cerchio  in  più  gruppi,  seoondo  le 
diverse  colpe.  —  118.  gente  ohe  sospirai 
sono  gli  accidiosi.  — 119.  •  fanno  ecc.  Bocc.  : 
«  noi  diciamo  noli'  tuoquApulUUare  quelle  gal- 
locsole  o  boUoii,  le  quali  noi  veggismo  iare 


all'  acqua,  o  per  aere  che  vi  sia  sotto  rac- 
chiusa e  esca  fUori,  o  per  acqua  che  di  sot- 
terra vi  surga».  —  120.  n*ehe  s'aggira: 
qualunque  sia  la  parte  verso  la  quale  si  vol- 
ge. —  121.  llm«:  Bocc  :  «  ò  quella  spezie  di 
terra,  la  quale  suole  lasciare  alle  rive  de'  fin- 
mi  r  acqua  torbida,  quando  il  fiume  viene 
scemando,  la  quale  noi  volgarmente  chiamia- 
mo beilMa:  e  di  questa  maniera  sono  quasi 
tutti  i  fondi  de'  paludi  ».  —  121.  Tristi  eoo. 
Per  ùitondere  l' intimo  significato  dell'  epiteto 
si  avverta  che  tri8tìx4a  e  accidia  nella  liugua 
dei  teologi  sono  sinonimi.  —  122.  neiraer 
ecc.  nel  mondo,  ohe  trae  ogni  sua  giocondità 
dal  sole.  —  123.  aeeldioso  fummo:  il  vizio 
dell'accidia,  che  ottenebra  e  intristisce  gli 
animi.  Parodi,  BulL  m  109  :  «  fummo,  che 
Dante  adopera  continuamente,  anche  fuor 
di  rima,  era  in  Toscana  assai  più  esteso  di 
fumo  ».  — 126.  (^aesf  Inao  ecc.  Proferiscono 
queste  parole  con  voce  rotta  e  impedita  dal 
fango  e  dall'  acqua,  in  che  sono  immersi.  ~ 
126.  ehi  dir  eoe  perché,  secondo  la  teologia, 
r  accidia  «  induce  nell'  uomo  la  taciturnità  e 
il  difetto  della  voce  »  (Giovanni  Damasceno). 
La  frase  dantesca  fa  ricordare  una  consimile 
del  Boccaccio,  jDm.  g.  vin,  n.  3  :  «  non  po- 
teva raccogliere  lo  spirito  a  formare  intera  la 
parola  ».  —  127.  Cosi  ecc.  percorremmo  una 
gran  parte  del  cerchio,  tra  la  ripa  asciutta 
0  la  molle  poludo  :  méxxOf  propriati.ontc,  vulo 


INFERNO  -  CANTO  VH 


56 


con  gli  occhi  volti  a  chi  del  £Euigo  ingozza: 
190    venimmo  al  pie  d'una  torre  al  da  sezzo. 


fradicio;  qui  è  pn  molle,  bagnato.  —  129.  a 
chi  eoo.  ^  peccatori.  —  IBO.  Tealmme  eoo. 
Lana:  •  Vero  è dtefaawiinhe foeseno ivi. ... . 


af  ae  ne  avidono  e  fenno  considerazione  per 
alcimi  segni  che  videro  di  quella  [torre]  ».  « 
al  da  ienot  da  nltimo,  Unalmento. 


CANTO  vm 

Dante  e  Tlrgilio  entrano  nella  barca  di  Flegias,  ralla  quale  continuano 
ad  avanzare  per  la  palude  ;  e  in  quella  parte,  ove  sono  poniti  i  superbi  e 
gì'  invidiosi,  s^  incontrano  con  Filippo  Argenti  :  finalmente  pervengono  alla 
porta  della  città  di  Dite,  chiusa  loro  in  faccia  dai  diavoli  [9  aprile,  prime 
ore  antimeridiane]. 

Io  dico  seguitando,  ch'aaaai  prima 
che  noi  foesimo  al  piò  dell'alta  torre, 
3       gli  occhi  nostri  n' andar  suso  alla  cima, 
per  due  fianmiette  ohe  i' vedemmo  porre, 
e  un'altra  da  lungi  render  cenno 
6       tanto  eh'  a  pena  il  potea  l' occhio  tórre. 
Ed  io  mi  volsi  al  mar  di  tutto  il  senno; 
dissi:  €  Questo  che  dice?  e  ohe  risponde 


vm  1.  tegaltandot  oontinnando  a  pap> 
lare  della  palude  e  dei  peccatori  del  quinto 
ovehio.  fi  noto  che  il  Beco,  e  Benv.  raocon- 
taao  d' arer  s^nto  da  Andrea  Leoni  e  da 
DìBo  Perini,  1*  nno  parente  e  V  altro  amico 
ii  Dante,  che  i  primi  setto  canti  del  poema 
«ano  stati  da  hd  compoeti  prima  dell'esilio, 
e  die  rimasti  con  altre  cose  sne  in  Firenze 
tanno  poi  a  caso  rinvenuti  e  ihtti  vedere  a 
Dino  Fraaoobaldi,  il  quale  li  mandò  all'amico 
scale  per  mezzo  del  marchese  Moroello  Ma- 
iaspìna  :  e  perciò  Danto  «  rientrato  nel  pen- 
Bsroantioo»  di  condurre  a  termine  U  poema, 
«  reassamendo  la  intralasciate  opera,  disse  in 
questo  principio  del  canto  ottevo,  Jb  dieo  «o- 
paioMdo,  alle  cose  lungamento  intralasciato  ». 
Ma  il  racconto,  come  d  presenteto,  ò  del  tutto 
favoloeo,  e  ilBooc  stesso  dichiara  non  pre- 
starvi Cede  alcuna,  notando  anzi  ohe  nel  canto 
fasto  Ciacco  florantino  predice  a  Danto  la  ro- 
vina della  parto  Bianca  e  il  trionfo  della  parto 
liera  {fiif.  vi  67-9),  fatti  dei  quaU  l'eslUo  del 
poeta  fti  una  oonsegnenza  immediata.  Nel  prin- 
dpie  di  questo  canto  non  si  deve  quindi  ve- 
der ahze  che  una  di  quelle  formule,  care  a 
meid  poeti,  per  riprendere  e  continuare  la 
••rrm^tma  da  uua  parto  ad  un'altra  delle  loro 
opara;  come  ò  in  quel  luogo  dell'Ariosto, 
OrL  XVI 1  :  «  Dico  la  bella  istoria  ripigliando  > 
eec,  dove  certo  n<m  si  tratte  di  lavoro  rì- 
inso  dopo  alcuna  interruzione.  Tuttevianon 
è  da  taoese  come  l' ipotesi  ohe  Dante,  avan- 


ti l' eeiUo,  avesse  concepito  e  oomlnolato  a 
scrivere  un  poema  sulla  vite  oltremondana, 
di  disegno  assai  pid  ristretto  che  non  fosse 
poi  quello  della  Commedia^  e  prima  in  versi 
latini  e  più  tardi  in  rima  volgare,  sia  tut- 
t' altro  (^  assurda  :  anzi  si  potrebbe  addurre 
pid  di  un  indizto  ohe  del  primitivo  disegno  e 
fors'  anco  della  prima  stesura  qualche  traoda 
sia  rimaste  nel  divino  poema.  —  8.  a'  aadAr 
8B80  eoo.  si  volsero  alla  dma  della  torre,  per- 
ché sovra  di  essa  i^>parvero  due  fiamme,  e  di 
lontano  rispose  un'àUra  fiamma  :  le  prime  due 
sono  un  avviso  mandato  alla  cittft  di  Dito  del- 
l'avvicinarsi di  Danto  e  Virgilio,  l' altn  U  se- 
gno che  l'avviso  ò  steto  inteso.  —  4.  per  die 
eoo.  L'idea  di  queeti  segnali  ò  tolte  daUe 
costumanze  militari  del  tempo,  come  risulte 
chiaro  dalle  chiose  dell'  Ott,  del  Buti,  del- 
l'An.  fior.,  di  Benv.,  del  Bocc;  il  quale 
scrive  :  e  far  si  suole  per  le  contrade,  nelle 
quali  ò  gr^erra,  che,  avvenendo  di  notte  al- 
cuna novità,  il  castello  o  il  luogo  vicino  al 
quale  la  novità  avviene,  incontanente  per  un 
fuoco  o  per  due,  secondo  che  insieme  posti 
si  sono,  il  fa  manifesto  a  tutto  le  terre  del 
paese  ».  —  1'  :  ivi,  sulla  dma  della  torre.  -« 
6.  tanto  ehe  eco.  :  locuzione  che  ricorda  quel- 
la di  Lucano  {Fara,  rv  19)  :  <  Ezplicat  bino 
tollus  campos  effusa  patontes,  Viz  oculo  pren- 
donto  modum».  —  tórre:  discemere.  —  7. 
al  mar  eoo.  a  Virgilio.  —  8.  Questo  ehe 
dieet  questo  segno  delle  due  fiammetto  ohe 


56 


DIVINA  COMMEDU 


9        queir  altro  foco  ?  e  chi  son  quei  che  il  fenno  ?  > 
Ed  egli  a  me  :  «  Su  per  le  sucide  onde 
già  puoi  scorgere  quello  che  s'aspetta, 
12       se  il  fammo  del  pantan  noi  ti  nasconde  >. 
Corda  non  pinse  mai  da  sé  saetta 
che  si  corresse  via  per  l'aere  snella, 
15       com'io  vidi  una  nave  piccioletta 
venir  per  l'acqua  verso  noi  in  quella, 
sotto  il  governo  d'un  sol  galeoto, 
18       che  gridava:  <  Or  se' giunta,  anima  fella?  » 
<  Flegiàs,  Flegiàs,  tu  gridi  a  vóto, 
disse  lo  mio  signore,  a  questa  volta: 
21        più  non  ci  avrai,  che  sol  passando  il  loto  ». 
Quale  colui,  che  grande  inganno  ascolta 
che  gli  sia  fatto,  e  poi  se  ne  rammarca, 
24       fecesi  Flegiàs  nell'ira  accolta. 
Lo  duca  mio  discese  nella  barca, 
e  poi  mi  fece  entrare  appresso  lui, 
27        e  sol  quand'io  fui  dentro,  parve  carca. 
Tosto  che  il  duca  ed  io  nel  legno  fui, 
secando  se  ne  va  l'antica  prora 


significa?  —  9.  ehe  il  fenno s  Bati:  «doò 
r  uno  e  r  altro  ftioco,  della  torre,  alla  quale 
erano  venati,  e  di  quella  della  città  ».  —  10. 
melde  onde  :  quelle  di  Stige,  sudioe  e  fan- 
gose. —  11.  quello  ehe  l'aspetta:  ciò  che 
dove  accadere,  in  seguito  ai  segnali  ;  cioè  la 
venuta  di  Flegias  nella  barca.  —  12.  fammo 
del  pantsn  :  nebbia,  che  sale  dalla  palude. 
—  18.  Cord*  ecc.  La  similitudine  dantesca 
risale  alla  virgiliana  (£H.  x  247)  :  «  Fugit  illa 
per  undafl,  Ocyor  et  iaculo  et  vontos  acquante 
sagitta  »,  ma  la  supera  di  gran  lunga  per  la 
maggiore  determinatezza  del  concetto  e  pre- 
cisione delle  parole  ;  poiché,  come  osserva 
il  Venturi  489,  «  nel  primo  verso  i  suoni 
esprimono  il  sibilar  della  freccia;  nel  secondo 
il  celere  volo  »  :  altre  similitudini  tratte  dallo 
scoccar  della  freccia  sono  in  Inf.  xvn  183, 
Par,  u  22,  v  91;  e  frequenti  sono  pure  in 
Virgilio  {Qeorg,  iv  813,  igy».  xii  863  ecc.), 
che  Dante  salutava  maestro.  —  16.  in  quella: 
mentre  Virgilio  parlava.  —  17.  nn  sol  :  il 
nocchiero  che  s' avanza  ò  Flegias,  il  figliuolo 
di  Marte  e  di  Crise,  che  aveva  vendicata 
r  onta  fatta  da  Apollo  alla  figlia  Coronide, 
incendiando  il  tempio  di  Delfi  :  Dante  lo  tra- 
sforma in  un  nocchiero,  che  passa  le  anime 
attraverso  Stige.  —  17.  galeoto  :  Bocc.  :  •ga- 
leoUi  son  chiamati  quo'  marinari,  i  quali  sor- 
vono  alle  galee  ;  ma  qui,  licenza  poetica,  no- 
mina galeotto  il  governatore  d' una  piccola 
barchetta  »  :  cosi  ò  detto  anche  l' angelo  noo- 


chiero  nel  Purg.  n  27.  —  18.  ^dArm:  cfr. 
Viig.  Bn,  VI  618  :  «  Fhlegyasque  miserrimus 
omnes  Admonet,  et  magna  teetatnr  voce  por 
umbras:  Discite  institiam  moniti,  et  non 
temnere  divos  ».  —  se'giiintn,  nnlma  fella x 
usa  il  singolare,  non  già  perché  Flegias  si 
volga  solo  a  Virgilio,  come  intese  il  Bocc, 
0  solo  a  Dante,  come  spiegò  il  Bntl;  et  bene, 
come  rettamente  interpretò  U  Lana,  quasi 
fosse  questa  una  sua  formula  abitoale,  «  lo 
dittato  eh'  agli  altri  usava  ».  —  19.  tn  ^rldi 
n  TÒto...  a  questa  volta:  per  questa  volta 
tu  gridi  vanamente.  Altri,  meno  bene,  inten- 
dono a  questa  volta,  verso  di  noi,  volgendo 
a  noi  le  tue  parole.  —  21.  pliS  eco.  non  sa- 
remo in  tuo  potere,  se  non  per  varcar  la  pa- 
lude fangosa.  —  22.  (^ale  ecc.  Venturi  307  : 
«  [Flegias]  miscredente  e  iroso,  udendo  che 
non  sono  essi  anime  dannate,  com'  uomo 
grandemente  ingannato  si  rammarica.  La  si- 
militadine  sarebbe  debole,  se  Dante  non 
avesse  aggiunto  che  quel  demonio  d  fece 
tale  mU*  ira  accolta.  Resta  cosi  compiuta 
r  idea  della  rabbia  del  disinganno  per  priva- 
zione di  cosa  malvagia  agognata,  o  della  im- 
possibilità di  trame  vendetta  ».  —  24.  ira 
accolta:  cfr.  Virgilio  En,  ix  68:  «coUecta 
fatigat  edendi  Ex  longo  rabies  ».  —  27.  parve 
earea:  perché  Dante  era  col  corpo  reale, 
mentre  Virgilio  aveva  solo  l' apparenza  cor- 
porea. —  29.  secando  se  ne  va  eco.  la  nave 
procedeva  immergendosi  pld  che  non  loleva 


INPERNO  -  CANTO  Vm 


57 


80       dell'acqua  più  che  non  suol  con  altrui 
Mentre  noi  correvam  la  morta  gora, 
dinanzi  mi  si  fece  un,  pien  di  fango, 
83        e  disse  :  «  Chi  se'  tu  ohe  vieni  anzi  ora  ?  » 
Ed  io  a  lui  :  €  S'io  vegno,  non  rimango  ; 
ma  tu  chi  se',  che  sei  si  fatto  brutto  ?  » 
36        Bispose  :  <  Vedi  che  son  un  che  piango  >. 
Ed  io  a  lui  :  <  Con  piangere  e  con  lutto, 
spirito  maledetto,  ti  rimani; 
39        eh'  io  ti  conoscoi  ancor  sia  lordo  tutto  >. 
Allora  stese  al  legno  ambo  le  mani: 
per  che  il  maestro  accorto  lo  sospinse,  % 
42        dicendo  :  <  Via  costà  con  gli  altri  cerni  >. 
Lo  collo  poi  con  le  braccia  mi  cinse, 
baciommi  il  volto  e  disse  :  €  Alma  sdegnosa, 
45        benedetta  colei  che  in  te  s'incinse! 
Quei  fu  al  mondo  persona  orgogliosa; 
bontà  non  è  sua  memoria  fregi: 
48        cosi  s'è  l'ombra  sua  qui  furiosa. 
Quanti  si  tengon  or  là  su  gran  regi, 
che  qui  staranno  come  porci  in  brago. 


quado  era  carica  di  sole  anime.  —  81.  marta 
etra:  la  palude  Btìgìa;  Booc  :  •gcra  ò  una 
P«rt»  d'aoq[iia  tratta  per  forza  del  yero  cono 
f  alam  flune,  e  menata  ad  alcun  mulino  o 
«ftzo  serrigio,  il  quale  fornito  si  ritoma  nel 
Saae  onde  era  tratta  >.  —  82.  na,  piea  di 
teget  Filippo  Argenti  degli  Adimari,  ilo- 
itttìno,  poeto  qui  per  esempio  di  vita  su* 
pste  (Pktro  di  Dante,  Lana,  Benr.).  Ott: 
«OTaUere  di  grande  Tita,  e  di  grande  bur- 
teza,  e  di  molta  spesa,  e  di  poca  yirtude 
e  Tabre  »  ;  Booc.  :  «  caraliere  ricchisBimo, 
tnto  eke  esso  alcuna  Tolta  fece  il  cavallo, 
il  loato  usava  di  cavalcare,  ferrare  d' ariento, 
•  da  questo  trasse  il  sopranome  :  ta  uomo 
fi  psfsona  grande,  bruno  e  nerboruto,  e  di 
asniTigiioea  forza,  e  più  che  alcun  altro  ira- 
eando,  eziandio  per  qualunque  menoma  ca« 
giooe  >  :  di  Filippo  Argenti  e  della  sua  pron- 
teea  agii  sdagni  parla  il  Bocc.  anche  nel  Deo. 
K.  zz,  n.  8.  —  83.  anzi  ora:  prima  del  tempo, 
«KBdo  ancor  vivo.  —  84.  S*  lo  Tegno  ecc. 
9»  sono  venuto  in  questo  regno,  non  vi  ri- 
BaznA.  —  86.  bruito  t  per  il  fango  ond'ò 
«Trotto:  cfr.  V.  83.  —  86.  Tedi  ecc.  Rispo- 
ita  ben  oanveniente  a  questo  spirito  superbo, 
cte  mostra  per  cesa  d'avere  in  disdegno  la 
d^anda  di  Dante.  —  87.  €oa  piangere  e 
(•a  latte:  col  tuo  pianto  e  col  tuo  dolore. 
-  89.  le  ti  coBOteo  t  Filippo  Argenti  era 
Mstasipozaneo  di  Dante,  come  si  ha  dal  Booc. 
X^  IX  8,  che  lo  fa  vivere  ai  tempi  di  Vieri 


de'Cerohi;  e  forse  qualche  privato  dissidio  era 
stato  Ara  i  due  concittadini,  che  nell'  inferno 
al  fanno  accoglienza  cosi  poco  lieta.  Un  Fi- 
lippo Adimari,  detto  Morsello,  fu  registrato  tra 
i  Quelfl  danneggiati  sino  al  1266,  ed  egli  stes- 
so 0  altro  dello  stesso  nome  fu  podestà  di 
Bagnacavallo  nel  1286.  —  40.  stese  al  le- 
gno ecc.  per  afferrar  Dante  e  trarlo  seco  nella 
palude.  —  42.  eoa  gli  altri  cani  :  il  Bocc  os- 
serva che  de'  cani  adirati  e  commossi  ò  usanza 
di  stracdarai  la  pelle  coi  denti,  e  l' Ott.  ri- 
chiama a  questo  proposito  un  proverbio  dei 
suoi  tempi:  «  A  cane  orgoglioso  guai  alla  sua 
pelle  ».  —  44.  Alma  sdegnosa  :  Bocc.  :  e  Vir- 
gilio fa  festa  all'  autore,  per  ciò  che  ha  avuto 
in  dispregio  lo  spìrito  fangoso  :  e  mostra  in 
questa  particella  l' autore  una  spezie  d' ira, 
la  quale  non  solamente  non  ò  peccato  ad 
averla,  ma  ò  merito  a  saperla  osare  ».  —  45. 
benedetta  ecc.  sia  benedetta  colei  che  ti  con- 
cepi,  poiché  hai  tanto  nobile  disdegno  della 
superbia;  cfr.  l'evangelico  (Luca  zi  27); 
«  Beato  U  ventre  che  ti  portò  ».  —  46.  per- 
sona orgogliosa:  dominata  da  quel  supremo 
grado  della  superbia,  che  ò  1'  orgoglio,  1*  ar- 
roganza. —  47.  bontà:  atto  di  virtù.  —  48. 
cosi  eoo.  qua  già  s' infuria  la  sua  anima  di 
superbia,  come  già  fece  nel  mondo.  —  49. 
<|uantl  eco.  Quanti  che  sono  stimati  nel 
mondo  come  grandi  e  potenti,  verranno  per 
la  loro  superbia  a  impantanarsi  in  questa 
palude  I  —  60.  come  porei  in  brago  :  Ven- 


58 


DIVINA  COMMEDU 


51        di  sé  lasciando  orribili  dispregi  !  » 
Ed  io  :  <  Maestro,  molto  sarei  vago 
di  vederlo  attoffare  in  questa  broda, 
54       prima  che  noi  uscissimo  del  lago  ». 
Ed  egli  a  me  :  €  Avanti  ohe  la  proda 
ti  si  lasci  veder,  tu  sarai  sano: 
57       di  tal  disio  converrà  che  tu  goda  ». 
Dopo  ciò  poco,  vidi  quello  strazio 
far  di  costui  alle  fangose  genti, 
60       ohe  Dio  ancor  ne  lodo  e  ne  ringcazio. 
Tutti  gridavano  :  €  A  Filippo  Argenti  »: 
e  1  fiorentino  spirito  biszarro 
63       in  sé  medesmo  si  volgea  co'dentL 

Quivi  il  lasciammo,  che  più  non  ne  narro: 
ma  negli  orecchi  mi  percosse  un  duolo, 
66       per  ch'io  avanti  intento  l'occhio  sbarra 
Lo  buon  maestro  disse  :  €  Omai,  figliuolo. 


imi  400  rioUUma,  tza  altii  riMontii,  quel 
reno  d*  Orazio,  ft  proposito  di  TTIìmo  (Episi, 
I  2,  26):  «Vizinet  ondf  immimdasT  vd 
amica  luto  bob  »  ;  il  riooxdi  dd  dia  Danto 
atoaso dioe altrore  (Bxr.  xzixl26):  ced altri 
aaoor  cho  aon  peggio  die  pord  ».  —  51.  di 
atf  UidaBdo  eoo.  Bati  :  «  non  lasciando  di 
loro,  se  non  cose  da  essere  avnto  in  onore 
et  in  dispregio  >  ;  meglio  il  Beco,  intese  : 
e  memoria  di  cose  orribili,  e  meritamente  da 
dispregiare».  —  68.  brodai  Taoqoa  della 
palude  mescolato  ool  fango.  —  66. 1»  proda: 
r  estremità  della  palude,  la  riva  oto  dorerà 
approdare  la  barca  di  Fleglas.  —  66.  sarai 
sazio  t  sarà  sodisfìitto  il  tao  desiderio.  —  67. 
di  tol  eoe  e  dd  sodisfodmento  di  cotal  de- 
siderio sono  certo  cheta  godrai,  vedendo  come 
ò  panito  U  vizio,  n  Del  Longo,  Dante  U  466 
osserva  ohe  qui  e  altrove  {Ihf,  xv  87,  xvi  115, 
Tnm  98  ecc.)  la  locazione  oonventrs  ehe^  reg- 
gento  il  oongiantivo,  «  inchiade  idea  di  ne- 
cessità, certezza,  minaoda  eoe  che  una  cosa 
sia  per  fiirsi,  checché  altro  possa  parerne,  o 
penMrd  o  contrastare  ecc.  »,  e  ne  adduce  il 
riscontro  di  parecchie  espressioni  popolari  to- 
scane dd  secolo  ziv — 59.  alle  fangose  genti: 
questo  animo,  ohe  gridando  si  scagliano  con- 
tro il  superbo  Filippo  Argenti,  facendone  stra- 
zio, mentre  egli  non  le  respinge  ma  fieramento 
superbo  e  sprezzante  sfoga  sovra  sé  stesso  il 
proprio  fluoro,  sono  quelle  d^rli  invidiosi  ;  e 
r  imaginazione  di  Dante  bene  ritrae  a  questo 
modo  lo  spettacolo  che  di  sé  danno  nd  mondo 
i  superbi  e  gli  invidiosi,  in  continuo  contra- 
sto: vedi  su  dò  il  Diporto  danteaoo  di  I.  Del 
Lungo,  dt.  in  Ihf.  vn  97.  —  60.  ehe  Dio  aneer 
eco.  Danto  d  compiace  giustamento  dello  spot- 
taodo  offerto  dai  superbi  e  dagli  invidiosi,  gli 


voi  ftitti  castigatori  degli  altri;  non  tonto  p«r 
inimicizie  poUtlohe  che  possano  esser  stoto  ti» 
lui  e  l'Algenti,  ma  ptd  tosto  perché  in  queUo 
spettacolo  egli  trova  una  novella  prova  della 
giustizia  di  Dio.  Osserva  poi  il  Lomb.  :  <  Dal 
conftonto  de'  luoghi  ove  Danto  oompasdona 
i  dannati,  ed  ove  oomplaoed  dd  loro  gastigo, 
sembra  che  possa  stebilird  ohe  compiaodMi 
egli  dd  gastigo  di  quelli  ohe  se  la  sono  presa 
immediatamento  contro  Dio  o  contro  il  pros- 
simo, e  che  tutti  gli  altri  oompassioni;  e  pesò 
oomplaoed  di  costai  qui,  di  Gapaaeo  nd 
canto  zrv  68,  di  Vanni  Food  nd  o.  xxv  4 
ecc.:  all'incontro  oompasdona  1  lussorìod 
nel  e  V  62,  i  gdod  nd  e  vi  68  eoo.  ».  Una 
finissima  e  minuziosa  analld  di  tutto  la  que- 
stione ha  flitto  il  D*  Ovidio,  pp.  80-96.  ^ 
62.  bizzarro  :  Buti  :  <  imbizamito,  o  croo- 
ciato  contro  sé  medesimo  »  ;  e  il  Boeo.  :  e  cre- 
do questo  vocabolo  bixxorro  sia  solo  de*  fio- 
rentini, e  suona  sempre  in  mala  parto;  per 
dò  che  nd  tegnamo  blzsarri  odoro  ohe  au- 
bltamento  e  per  ogni  picoola  cagione  oorrano 
in  ira,  né  md  da  quella  per  donna  dimostra- 
zione rimanere  d  possono  ».  —  63.  il  TOlg«a 
ecc.  mordendod  per  isfogo  dd  suo  sdegno 
superbo.  —  65.  un  diolo  t  un  lamento  ddo- 
roso;  cfr.  Bocc.  Teseids  n  71:  e  Di  quella 
usdron  facendo  gran  duoli  ».  —  66.  avanti 
ecc.  spalancai  gli  occhi  a  riguardare  inmm^ 
a  me.  —  67.  Ornai,  figlinolo  eco.  Questo  pa- 
role, osserva  il  Todesohini,  e  dò  ohe  segua 
dimostrano  abbastanza,  dooome  la  dttà  di 
Dito  e  dò  oh'  era  in  essa  compreso  formaTa 
un  luogo  notobilmento  distinto  da  quello,  òha 
i  poeti  vìdtoto  avevano  nell'  inferno  fino  a 
quel  punto  :  e  oome  in  oonseguenza  le  ama 
di  quella  oittà  divanivano  una  linaa  di  sepa» 


INPERNO  —  CANTO  Vni 


59 


s'appressa  la  città  che  ha  nome  Dite, 
69        co'  gravi  dttadin,  col  grande  stuolo  ». 
Ed  io  :  €  Maestro,  già  le  sne  meschite 
là  entro  certo  nella  valle  cerno, 
72        vermiglie,  come  se  di  foco  uscite 

fossero  >.  Ed  ei  mi  disse  :  €  H  foco  etemo, 
ch'entro  l'affoca,  le  dimostra  rosse, 
75        come  tu  vedi  in  questo  basso  inferno  >. 
Noi  pur  giugnemmo  dentro  all'alte  fosse, 
che  vallan  quella  terra  sconsolata: 
78        le  mura  mi  parean  che  ferro  fosse. 
Non  senza  prima  far  grande  aggirata, 
venimmo  in  parte,  dove  il  nocohier,  forte, 
81        €  Uscite,  ci  gridò,  qui  ò  l' entrata  ». 
Io  vidi  più  di  mille  in  sulle  porte 
da'ciel  piovuti,  ohe  stizzosamente 
84       dicean:  <  Chi  ò  costui,  che  senza  morte 
va  per  lo  regno  della  morta  gente?  » 
E  il  savio  mio  maestro  fece  segno 


adone  tx»  V  infarao  superiore  e  l' inferno 
pnrfbfido:  cfr.  Jnf,  xi  85.  —  68.  U  elttà 
diM  kM  aesie  Dite:  Dite  d  il  nome  ool  quale 
ante  Dente  indice  più  Tolte  (Inf,  xn  89, 
xxnr  20  eoe.)  Satana  o  Lucifero,  imperatore 
ed  doloRwo  regno;  qui  invece  ò  riferito  alla 
na  dita,  quasi  dioeese  :  la  dttà  ohe  si  de- 
BMdaa  dal  suo  prindpe.  —  69.  eoi  gravi 
dttadla  :  gli  spiriti  che  in  gran  numero  sono 
&tzibaiti  per  i  rimanenti  cerchi,  compresi 
«tzo  le  mora  di  Dite,  sono  quelli  che  peo- 
eoooo  per  malizia  e  bestialità,  doè  di  colpe 
•md  pi6  gravi  che  non  sieno  quelle  degli  spi- 
nti dell' inferno  superiore.  —  70.  mesehlte: 
Boce. :  •miMckUe chiamano  i saracinl  i  luoghi 
4oTe  vanno  ad  adorare,  fatti  ad  onore  di  Ifao- 
Bstto,  eome  noi  chiamiamo  chiose  quelle  ohe 
id  onor  di  Dio  fsodamo:  e  per  dò  che  questi 
cod  ùAA  hiog^  d  sogliono  Cue  pid  alti  e  pid 
«Biaenti  èhe  gli  ediiict  dttadini,  ò  usanxa  di 
ndsrie  pid  tosto,  uno  che  di  fuori  della  dttà 
TflDga,  che  l'idtre  cose,  e  per  dò  non  fa  l'auto- 
n  meBdoDe  deU'aHre  parli  della  dttà  dolente, 
■a  di  qaeste  eole,  chiamandole  meschite,  dc- 
cQBs  ediUet  composti  ad  onor  del  demoi^,  e 
MI  ii  Dio».  —  7L  eeit»!  chiaramente,  distin- 
tnennte.  —  72.  vtrmlglle  eoo.  rosseggianti, 
oQsnse  foeeero di  fèno  rovente.  Buti :  «puosd 
IstSBdsre  che,  perché  Dante  Ange  che  le  mura 
Ma  dttà  Dita  erano  di  ferro,  che  ancor  lo 
toni  foseone  di  ferro  e  fossono  roventate  per 
b  eoottnoo  ftaooo  ohe  dentro  v*  ò  >.  —  75. 
tasse  inlÉtaet  Flnfemo  dantssoo  ò  diviso 
li  éa»  gmndi  parti  :  l'alto  infèrno,  ohe  com- 
inaie  I  pdmi  elaque  oscdU,  dove  sono  gli 


spiriti  che  peccarono  per  incontinenza;  il  basso 
o  profondo  inferno,  che  comprende  gli  ultimi 
quattro  cerchi,  dove  sono  gli  spiriti  che  pec- 
carono per  malizia  e  per  bestialità:  oCr.  Inf. 
XI  82  e  segg.  —  76.  all'alte  fosse:  alle  pro- 
fonde fosse,  nelle  quali  l'acqua  di  Stige  d 
riversa  formando  una  difesa  intomo  alla  dttà 
di  Dite.  —  77.  vallai;  vallano,  droondano 
come  un  vallo.  —  terra:  città;  cft.  la  nota 
al  V.  190.  —  78.  le  mura  eco.  cft.  la  de- 
scrizione virgiliana  della  dttà  infernale,  JEH. 
VI  548:  «  Bespidt  Aeneas  subito,  et  sub  rupe 
sinistra  Moenia  lato  videt,  triplid  droumdata 
muro;  Quae  rapidus  fiammis  ambit  torrenti- 
bus  amnis  Tarlàreus  Phlegethon,  toiquetque 
sonantia  saxa.  Porta  adversa,  ingens,  solido- 
que  adamante  columnae.  Vis  ut  nulla  vimm, 
non  ipd  exsdndere  ferro  Coelioolae  valeant. 
Stat  ferrea  tnrris  ad  auras  ;  Tisiphoneque  so- 
dens,  palla  suodncta  cruenta,  Veetibulum  ex- 
somnis  servat  noctesque  dlesque.  Hino  exan- 
diri  gemitus,  et  saeva  sonare  Verbera  :  tnm 
strider  ferri,  tractaeqoe  catenae».  —  79.  gran- 
de aggirata  t  lungo  giro  per  le  fosse,  che  dr- 
oondano la  dttà.  —  80.  forte...  gridò:  gridò 
ad  alta  voce  ;  Buti  :  «  si  conviene  a  Flegias 
gridare  come  ad  iroso  et  ad  arrogante  t.  — 
81.  Useite  eco.  usdte  dalla  barca,  perché  qui 
ò  r  ingresso  alla  dttà.  —  82.  Io  vidi  eoe. 
Al  grido  di  Flegias,  Dante  vede  sulla  soglia 
della  porta  di  Dite  raocoglierd  idù  di  mille 
diavoli,  per  contrastare  a  lui  e  a  Virgilio  l'in- 
grosso. —88.  da*  del  plevvti  :  precipitati  giù 
dai  deli,  quando  con  Lucifero  d  ribellarono 
a  Dio.  —84.  fenBà  monti  senza  esser  morto 


f>0  DIVINA  COMMEDU 


87        di  voler  lor  parlar  segretamente. 

AUor  chiusero  un  poco  il  gran  disdegno, 
e  disser  :  €  Vien  tu  solo,  e  quei  aen  vada, 
90       che  si  ardito  entrò  per  questo  regno. 
Sol  si  ritomi  per  la  folle  strada: 
provi  se  sa;  che  tu  qui  rimarrai, 
93       che  gli  hai  scorta  8Ì  buia  contrada  ». 
Pensa,  lettor,  se  io  mi  sconfortai 
nel  suon  delle  parole  maledette; 
9G        ch'io  non  credetti  ritornarci  mai. 
€  0  caro  duca  mio,  che  più  di  sette 
volte  m'hai  sicurtà  renduta,  e  tratto 
99       d'alto  periglio  che  incontra  mi  stette, 
non  mi  lasciar,  diss'  io,  cosi  disfatto  : 
e  se  '1  passar  più  oltre  e'  ò  negato, 
102       ritroviam  l' orme  nostre  insieme  ratto  ». 
E  quel  signor,  che  li  m'avea  menato, 
mi  disse  :  €  Non  temer,  che  il  nostro  posso 
105       non  ci  può  tdrre  alcun,  da  tal  n' è  dato. 
Ma  qui  m'attendi;  e  lo  spirito  lasso 
conforta  e  ciba  di  speranza  buona, 
108       ch'io  non  ti  lascerò  nel  mondo  basso  ». 
Cosi  sen  va,  e  quivi  m'abbandona 


corpoTolmonte,  e  senza  esser  morto  alla  gta-  per  tatto  U  tempo  che  ta  ci  viveral  »,  e  g.  ti, 
zia  divina.  —  88.  Allor  ecc.  Booo.  :  e  Non  n.  4:  «  ti  ricorderai  sempre  che  ta  ci  yiverai 
dice  che  il  ponessero  ginso,  ma  alquanto,  col  del  nome  mio».  —  97.  pltf  di  lettt  eoo.  Seb- 
non  parlare  cosi  stizzosamente,  il  ridbpeisonot  bene  sieno  proprio  più  di  sette  le  Tdte  oh» 
e  qui  diadegno  A  prende  in  mala  parte,  per  finora  Viigilio  ha  liberato  Dante  da  qnalch» 
dò  che  negli  spiriti  maladetti  non  può  esser  impedimento  (dalla  lapa,  Inf,  1 49;  dallo  in- 
no ò  alcuna  ooea  che  a  virtd  aspetti  ».  »  88.  certezze,  n  180  ;  da  Caronte  m  94;  da  Mi* 
Tien  eoe  Bocc.  :  «  Vaole  in  queste  parole  nosse,  y  21  ;  da  Cerbero,  ti  22  ;  da  Plato, 
l'aatore  quello  dimostrare  che  negli  altri  oer-  tu  8;  da  Flegias  Tin  19;  da  F.  Argenti, 
ohi  di  sopra  ha  dimostrato,  cioò  ohe  per  al-  zm  41),  ò  da  ritenere  oh'  egli  abbia  usato  il 
con  de'  ministri  infernali  sempre  all'  entrar  numero  $dU  per  l' indeterminato,  come  per 
del  cerchio  sia  spaTentato;  e  cosi  qui  doren-  dire  molte  Tolte;  in  oonformità  al  modo  bi- 
do  dal  quinto  cerchio  passar  nel  sesto,  il  quale  blioo  firequentìssimo,  p.  es.  Proo,  xzit  16  : 
ò  dentro  dalla  città  di  Dite,  introdnoe  questi  de-  «  il  giusto  cade  sette  Tolte,  o  si  lileTa  »  ;  Pol- 
moni a  spaventare,  acciò  cho  del  suo  buon  mi  ccc  164  :  e  Io  ti  lodo  sette  Tolte  il  di  » 
proponimento  il  rimoTossero  ».  —  in:  Virgi-  eco.  —  99.  alto  periglio  :  il  pericolo,  in  oui 
lio.  —  quei:  Dante.  —  91.  la  foUe  strada:  Dante  s'era  troTato  nei  oasi  aooennati  nella 
la  Tia  intrapresa  con  audace  temerità;  cfir.  nota  al  t.  97.  —  100.  disfatto t  foonfortato 
Inf,  u  86.  —  92.  provi,  se  sa:  focda  espe-  e  smarrito,  perché  privato  d'ogni  guida.  — 
rionza,  so  il  suo  sapere  gli  basta  per  tornare  102.  rltroTlam  eco.  riprendiamo  subito  il  cam- 
indietro.  —  93.  gli  hai  scorta  :  gli  hai  mo-  mino  percorso,  e  ritorniamo  indietro.  — 104. 
strata.  —  95.  nel  suon  ecc.  all'  udire  U  suono  11  nostro  eoe  ninno  ci  può  impedire  di  pro- 
eoe.  — >  delle  parole:  specialmente  di  quelle  cedere  innanzi,  poich6  il  nostro  viaggio  ò  to» 
dette  a  Virgilio  :  «  tu  qui  rimarrai  ».  —  96.  luto  da  Dio.  —  106.  e  lo  spirito  eoo.  e  oon- 
ritornarci:  ritornare  in  questo  mondo:  nella  forta  l'animo  smarrito,  raffermandolo  con  la 
lingua  antica  il  ei  serviva  spesso  ad  indioara  buona  speranza.  —  108.  mondo  tesao:  l'in- 
il  luogo  ove  si  sta  abitualmente,  il  mondo;  femo,  anzi  quella  parte  del  regno  infernale 
p.  es.  Booc.  Ds0.  g;  ir,  n.  2:  «  ti  fkrò  tristo  ohe  comincia  dalla  oittà  di  Dite,  innanzi  alla 


^^ 


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INFERNO  —  CANTO  Vni 


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lo  dolce  padre,  ed  io  rimango  in  forse, 
che  1  si  e  '1  no  nel  capo  mi  tenzona. 

Udir  non  potè*  quel  eh' a  lor  si  porse: 
ma  ei  non  stette  là  con  essi  guari, 
che  dascun  dentro  a  prova  si  ricorse. 

Ghiuser  le  porte  que^  nostri  avversari 
nel  petto  al  mio  signor,  che  fuor  rimase, 
e  rìvolsesi  a  me  con  passi  rari 

Gli  occhi  alla  terra,  e  le  ciglia  avea  rase 
d' ogni  baldanza,  e  dicea  ne'  sospiri  : 
€  Chi  m' ha  negate  le  dolenti  case  ?  » 

£d  a  me  disse  :  €  Tu,  perch'  io  m' adiri, 
non  sbigottir,  ch'io  vincerò  la  prova, 
qual  ch'alia  difension  dentro  s'aggirL 

Questa  lor  tracotanza  non  ò  nuova, 
che  già  l' usare  a  men  segreta  porta, 
la  qual  senza  serrame  ancor  si  trova. 

Sovr'essa  vedeetù  la  scritta  morta: 
e  già  di  qua  da  lei  discende  l'erta, 
passando  per  li  cerchi  senza  scorta, 


filale  sono  già pwTenTttl  i  due  poeti:  ofr.  so- 
po  al  ▼.  75.  —  110.  la  fone  s  s'egli  fosse 
por  ziftonure,  o  no.  —  111.  ael  capo  mi 
tiiiMi  ;  contratte  nella  mia  mente  l' idea 
ch'egli  ritorni  con  quella  ohe  non  ritorni  piò. 
—  112.  éh'a  lor  §1  pene:  che  da  Virgilio 
fe  detto  ai  diaroLL  —  114.  a  proTat  gareg- 
giaBdo  di  vélooità;  ooat  il  Leopardi,  Oanii 
ZKTn  18:  capioTaVìan  ftior  la  lémminetto 
aoftr  dsD'aoqoa  >.  — 115.  aoftrl  aTreriarl: 
diaroU;  secondo  il  detto  di  san  Pietro,  i  Jljpùt. 
T.  8  :  «il  rostro  avversario,  il  diavolo  eoo.  »  \ 
ttr,  Purg,  xx  20  e  ziv  146.  — 117.  con  pasti 
larl  :  lentamente  ;  perché  malvolentieri  tor- 
nava a  Dante,  sensa  aver  vinto  l' opposixione 
diaboUoa.  —  118.  €01  eeeld  eoo.  Si  ofr.  la 
dssrriTinne  d'Amore  neUa  F.  J^.  n  18:  «EUi 
mi  parsa  sbigottito,  e  guardava  la  terra  »  eoo. 
—  rase  d*ogal  baldania:  prive,  senz'aloon 
ssgBO  di  bftldanta  negli  occhi;  né  baldanxa 
tigniftia  qui  alterigia,  coraggio  eoo.,  ma,  come 
piA  spesso  negli  antichi,  la  forxa  morale.  — 
lao.  Bi*]ui  negate  ecc.  mi  ha  impedito  d'en- 
tare  in  qoeste  città  del  dolore;  ed  ò  vera  e 
peopiia  domanda,  ohe  Virgilio  ftt  a  sé  stesso, 
daMtendn  per  un  momento  che  una  forza  a 
M  Ignote  gi'  impedisca,  il  passo.  Danto  pen- 
SB?a  eerto  all'  ammonimento  della  Sibilla,  in 
Vlig.  JEhk  VX  668:  «Nulli  fits  casto  scelera- 
tsm  inaittsn  limen  ».  —  122.  la  prova  :  il 
oQBtnsto,  la  lotte;  ofr.  W*  a  7.  — 128.  qsal 
A' alla  Hìfmàìtm  ientre  eco.  ohianque  sia 


che  dentro  aOa  dttà  si  adopera  per  opporsi 
a  noi  :  difmtiont  vale  qui,  non  giÀ  la  difesa 
della  città,  poiché  Dante  e  Virgilio  non  s'era- 
no preseateti  come  assalitori,  ma  pi6  tosto 
r  impedimento,  la  proibizione  :  ofr.  Ihf,  vn 
81,  e  r  oso  del  vb.  difmddn  in  Inf,  xv  27. 
—  124.  tracotanza  :  presunzione,  temerità  di 
opporti  al  volere  divino.  —  125.  già  I*  asaro 
eco.  già  tentarono  di  opporsi  a  Cristo,  ohe 
scendeva  trtonfrmto  al  limbo  (ofr.  Inf,  xv  52), 
chiudendogli  in  faoda  la  porte  dell'  inferno. 
Lomb.  :  <  Alloaivamento  alle  parole  della 
Chiesa  nel  divino  uffizio  del  sabato  santo  : 
*  Hodie  portas  mortis,  et  seras  pariter.  Sal- 
vator nostor  dimpit  '  ».  —  126.  la  qaal  ecc. 
la  quale  rimase  da  quel  momento  aperte  e 
spalancate.  —  127.  Sovr'essa  eco.  ofr.  Inf, 
m  l-U.  —  vedestd  :  vedesti  tu;  sedarv  ò  uno 
dei  verbi,  per  i  quali  gli  antichi  amarono  con- 
giungere  la  TT  pera.  sing.  del  perfetto  con  il 
pronome  personale  in  una  sola  forma  con- 
tratte ;  Danto  l' ha  più  volto,  F.  N.  zzn  79  : 
«Vedestù  pianger  lei?»,  zxm  122:  «Che 
vedestù,  ohe  tu  non  hai  valore  f  >  eoo.  — 
scritte  morte;  inscrizione  che  ricorda  alle 
anime  la  morto  etoma  ;  cosi  intese  rettamente 
il  Bocc.,  mentre  i  pi6  degli  interpreti  riferi- 
scono l'epiteto  al  colore  della  inscrizione: 
ofr.  la  note  all'^/.  m  10.  —  128.  di  qna  da 
lei  ecc.  di  qua  dalla  porte  infernale  viene 
verso  questo  basso  inferno,  senza  bisogno  di 
guida,  il  messo  coletto  che  d  aprirà  le  porto 


62 


DIVINA  COMMEDIA 


180    tal  che  per  lui  ne  fia  la  terra  aperta  >. 


'di  Dito.  —  IBO.  tal:  il  meeao,  sol  quale ofir. 
la  nota  all'In/,  ix  80.  —  terra:  dùà,  laogo 
morato,  ò  frequentatissimo  in  Dante,  obe  Io 
dice  della  città  di  Dito,  in  Inf.  vm  77,  iz 
104,  z  2;  di  Firenze,  Jhf,  zti  9;  di  Manto^ 


Inf,  ZK  98,  Fuirg.  ti  76,  80;  di  Lucca,  Inf. 
ZZI  40;  di  FoiU,  Inf  zzm  4S;  di  Bimini, 
Inf  zzvm  86;  di  Bayenna,  Inf,  y  97;  di 
Uaniglia,  Br.  ce  92  eoo. 


CANTO  IX 

Dopo  l'apparizione  delle  tre  Furie,  che  di  sulle  mora  della  città  minac- 
ciano i  doe  poeti,  viene  un  messo  celeste,  che  apre  la  porta  percotendola  con 
una  sna  verghetta:  cosi  senz*  altro  contrasto  entrano  i  poeti  nel  sesto  cerchio 
e  si  trovano  tra  le  arche  degli  eretici  [9  aprile,  prime  ore  antimeridiane]. 

Quel  color  che  viltà  di  fuor  mi  pinse, 
yeggendo  il  duca  mio  tornare  in  volta, 

8  più  tosto  dentro  il  suo  nuovo  ristrinse. 
Attento  si  fermò  com*uom  che  ascolta; 

che  l'occhio  no  '1  potea  menare  a  lunga 
6       per  l'aer  nero  e  per  la  nebbia  folta. 
€  Pure  a  noi  converrà  vincer  la  punga, 
cominciò  ei,  se  non...  Tal  ne  s'offerse! 

9  Oh  quanto  tarda  a  me  ch'altri  qui  giunga!  » 


IX  1.  (Jocl  color  ooc.  Al  tornar  di  Vir- 
gilio, Danto  diventa  pallido  per  la  pama; 
ma  la  sna  gnida,  per  dissipare  il  turbamento 
di  Ini,  snbito  si  ricompone  ad  atteggiamento 
pid  tranquillo.  Oosf  intendono  tatti  i  commen- 
tatori :  se  non  ohe  per  gli  antichi  (Lana,  Ott, 
Bocc.,  Benv.,  Buti  ecc.)  il  color  nuovo  di  Vir- 
gilio, ricacciato  dentro  dal  pallore  apparso 
sol  volto  di  Danto,  d  il  rosso  dell'  ira  con- 
cepita per  Toppo^one  diabolica  (interpre- 
tazione che  risponde  assai  bene  ai  w.  121-8 
del  precedento  e  ai  w.  7-15  di  questo  can- 
to); per  i  moderni  invece  (Lomb.,  Biag., 
Frat.,  Scart.  ecc.)  il  color  nuovo  ò  il  pallore 
apparso  sni  volto  di  Virgilio  di  recente,  per 
vergogna  o  timore  dell'  opposizione  tettagli 
dai  diavoli.  —  2.  In  Tolta:  indietro.  —  3. 
pitf  tosto  ecc.  più  presto  restrinse  dentro  il 
suo  nuovo  colore,  fece  si  che  Virgilio  ripren- 
desse il  suo  naturai  colore.  —  6.  tki  l'oe- 
cMo  ecc.  perché,  a  cagione  dell'  oscnrità  e 
della  nebbia,  la  vista  non  potova  condurre 
Virgilio  molto  lontano,  cioè  egli  non  potova 
vedere  molto  in  là.  —  a  lunga:  lo  stesso 
die  lungi,  o  come  dice  in  Inf  zzxi  28.  daUa 
htngi  (altri  esempi  dà  U  Parodi,  Bull,  m  184)  ; 
se  non  che  con  la  prep.  a  meglio  ò  resa 
l'idea  dol  termine  verso  cui  si  compie  l' azio- 

,  —  7.  Pure  ecc.  Bisogna  che  noi  vin- 
I  il  contrasto,  la  pugna,  o  punga,  come 


Danto  dioe  oon  una  forma  arcaica,  assai  usua- 
le, che  ò  anche  in  0.  Villani,  O.  vii  6  :  e  egli- 
no per  loro  grande  ardire  e  virtù  pur  vinsono 
la  punga  alla  porta  »,  luogo  dove  d  manifesta 
la  rimembranza  dantesca  (ofr.  Del  Lungo, 
Danie,  Il  465  e  Parodi,  BuU,  m  104).  —  8.  m 
nen...  Tal  ecc.  Osserva  il  Blanc  che  l'aspetta- 
to messo  del  delo  indugia  a  venire,  e  Virgilio, 
cmodato,  si  ferma  in  atto  di  asooltare,  e  apr« 
di  nuovo  in  un  soliloquio  la  sua  fiducia  :  Pun 
a  noi  ecc.;  ma  il  dubbio  l'assale:  se  twn,,, 
se  forse  non  intesi  male  la  promessa  di  Bear- 
trice,  o  se  forse  l' andare  innanzi  d  del  tutto 
impossibile...  Ma  subito  egli  rigetta  Indegnato 
un  tal  pensiero  :  Tal  ne  s'offerse,  tale  invero 
ò  chi  ci  si  offerse  ad  aiuto.  Ed  ecco  eh'  egli 
novellamento  si  acqueta,  e  manifesta  1*  im- 
paziento suo  desiderio  dell'  aiutatore  che  in- 
dugia, esclamando  :  Oh  quanto  eoe.  Secondo 
il  Bosa  Morando  {Osservax.  sopra  le  tre  can- 
tiche nell'  ed.  della  Commedia,  Venezia,  Zat- 
ta,  1757)  le  reticenze  sarebbero  tre  :  Se..,  se 
mi  fu  promesso  il  vero;  Non...  non  può  es- 
sere che  non  mi  sia  stato  promesso  il  vero  ; 
Tal  ne  s*  offerse...  ne  si  offerse  in  aiuto  im 
personaggio  cosi  verace;  ma  la  reticenza,  la 
parola  tronca  ò  una  sola,  ò  il  «s  non  aecen- 
nanto  a  un  dubbio,  ohe  poi  Virgilio  rioopxo 
con  le  parole  diverse,  col  rioordo  oiod  di  Ben^ 
tiioe,  m  ne  s'offerse!  —  9.  altri:  il 


INFERNO  —  CANTO  IX 


è8 


Io  vidi  ben  si  com'ei  ricoperse 
lo  comindar  con  l'altro  che  poi  venne, 
12       che  fùr  parole  alle  prime  diverse. 
Ma  non  di  men  paura  il  suo  dir  dienne, 
perch'io  traeva  la  parola  tronca 
15       forse  a  peggior  sentensa  ch'ei  non  tenna 
€  In  questo  fondo  della  trista  conca 
discende  mai  alcun  del  primo  grado, 
18       che  sol  per  pena  ha  la  speransa  cionca?  » 
Questa  question  fec'  io  ;  e  quei  :  «  Di  rado 
incontra,  mi  rispose,  che  di  nui 
21        faccia  il  cammino  alcun  per  quale  io  vado, 
Vero  ò  ch'altra  fiata  qua  giù  fui 
congiurato  da  quella  Eriton  cruda, 
24        che  richiamava  l'ombre  a'  corpi  sui. 
Di  poco  era  di  me  la  carne  nuda, 
ch'ella  mi  fece  entrar  dentro  a  quel  muro, 
27        per  trame  un  spirto  del  cerchio  ^  Giudo. 
Quell'ò  il  pi4  basso  loco  e  il  più  oscuro, 
e  il  più  lontan  dal  ciel  che  tutto  gira: 
80       ben  so  il  cammin;  però  ti  fa  securo. 
Questa  palude,  che  il  gran  pusso  spira, 


ealMte,  già  acceniuito  inlnf.  vm  180.  —  10. 
wUmpenè  !•  eomUelarx  roDe  naaoondere 
fl  M&ao  della  xetioenza,  espreisa  nalle  prime 
puole  M  non...  —  11.  F  altre  ehe  poi  tìb- 
■e:  quello  che  Mgai,  ciò  sono  le  paiole: 
Tal  me  9'offènél  —  Ì2.  tàr  eco.  mentre  le 
piìBe  enoio  itate  di  dubbio,  le  altre  parole 
furono  di  fiduciosa  speranza.  —  14.  la  pa- 
nia tr«Beat  il  senso  eh'  io  Bopponera  delle 
parole  «e  mm,  rimaste  in  sospeso.  —  16.  > 
prgfler  seatensa:  a  peggiore  significazione, 
ehe  aDe  sue  parole  non  aresse  dato  Virgilio  ; 
potchó  Dante  intende  e  compie  il  te  non  del 
ino  duca,  cosi:  se  por  non  saremo  vinti  e 
costretti  a  ritornare  indietro.  —  16.  la  f  ne- 
tte feade  ecc.  Dante  chiede  a  Virgilio,  per 
tassicnzarsi,  se  le  anime  del  limbo  discon- 
dano  mai  nel  basso  inferno.  —  trista  con- 
ca: r  intono,  in  generale.  —  18.  ehe  sol 
per  pena  eoe  :  oCr.  Inf.  iv  41  :  <  sol  di  tanto 
offesi.  Che  senza  speme  vivemo  in  disfo». 
—  speraaza  etoaea  :  speranza  tronca,  priva 
di  fondamento.  —  19.  qaestioa:  domanda; 
cosi  anche  in  Inf.  ny  ISS,  I^,  xxvin  84 
ecc.  —  20.  laeeatra  :  accade.  —  21.  faccia 
ecc.  aknno  di  noi  faccia  il  cammino  per  il 
tguH»  io  vado.  ~  28.  eoagiarato  ecc.  essen- 
do stato  scongiurato;  per  abbidiie  agli  scon- 
gfaui  della  maga  Eri  tono  :  della  quale  favo- 
kgl^arono  g^  antichi  ohe  avesae  ihooltà  di 
ftor  ritornare  le  anime  ai  lor  corpi,  secondo 


si  ha  da  Lucano,  Fcart.  vi  607-827  (flpbidla 
di  Sesto  Pompeo  che  richiede  alla  nukgii  ^haIq 
sarebbe  stato  l'esito  della  lottn  tm  Pumpoi^ 
padre  di  hii  e  Q.  Cesare):  oDr.  Mooie,  I  a£U- 
287.  —  26.  DI  poco  ecc.  Di  quixstiv  prima  di- 
scesa di  Virgilio  all'  inferno  pe;  trame  f^rì 
l'anima  di  un  traditore  la  prima  idoft  non 
potò  venire  a  Dante  dalle  legi^f^nde  medii»- 
evali  intorno  alla  magia  viigiliami,  porohé  La 
nessuna  di  qoelle  che  oi  rimangono  sì  parUi 
di  Eiltone  ;  sembra  pinttosto  cho  egli  diU  fia- 
sco raoconto  di  Locano,  ove  la  tjuc^  domm 
per  resendzio  delle  sne  magicho  orti  «  fa  oa- 
segnamento  sogli  oomini  illostri  o  bui  irnp^is- 
sati  da  poco  »,  abbia  preso  le  muìì6D  por  «  11  ih 
gore  on  plansibile  pretesto  ondo  la  eoa  guida 
si  trovasse  già  esperta  del  viag^o  »  :  cfr.  sa 
ciò  D.  Comparetti,  Virgilio  nel  ìntiìùìevoj  Li- 
vorno, 1872,  I  287  e  D'Ovidio,  pp.  itó-lOl.  — 
27.  del  eerckio  di  Oinda  :  doò  iol  nono  o&s- 
ohio;  nella  parte  più  bassa  del  quale  sta 
Qioda,  ond'  ò  nominata  Oiodecca  qaell'  td  li- 
ma e  pid  profonda  delle  regiuuL  tnlomali: 
ctr.  Inf,  xmv  61,  117.  Alcuni  credono  cJia 
lo  spirito  ohe  Virgilio  liberò  djil  oordiìo  dai 
traditori  fosse  qoeUo  di  Palamede,  di  cui  ogU 
nell'  En,  n  81-86  rivendicò  la  tamn  dall'  ac- 
cusa di  tradimento  ;  c£r.  Moore,  L  cit.  -*^  29. 
dal  elei  ecc.  dal  Primo  mobile,  detto  noi 
Air.  xxvm  70  il  cielo  «che  tutto  qi^i^kr 
rapo  L'altro  oniverso  seco  ».  —  31.  4jacsta 


64 


DIVINA  COMMEDIA 


cinge  d'intorno  la  città  dolente, 
33       u'  non  potemo  entrare  ornai  senz'  ira  ». 
Ed  altro  disse,  ma  non  l'ho  a  mente; 
però  ohe  l'occhio  m'avea  tutto  tratto 
3C       vèr  l'alta  torre  alla  cima  rovente, 
ove  in  un  ponto  foron  dritte  ratto 
tre  fùrie  infornai  di  sangue  tinte, 
od       che  membra  femminili  aveano  ed  atto, 
e  con  idre  verdissime  eran  cinte: 
serpentelli  e  ceraste  avean  per  crine, 
42        onde  le  fiere  tempie  eran  avvinte. 
E  quei  che  ben  conobbe  le  meschine 
della  regina  dell'eterno  pianto: 
45        €  Guarda,  mi  disse,  le  feroci  Erine. 
Questa  è  Megera  dal  sinistro  canto; 
quella,  che  piange  dal  destro,  ò  Aletto; 
48       Tesifone  ò  nel  mezzo  >  :  e  tacque  a  tanto. 
Con  l'unghie  si  fendea  dascona  il  petto, 
batteansi  a  palme,  e  gridavan  si  alto, 
51        ch'io  mi  strinsi  al  poeta  per  sospetto. 
€  Venga  Medusa  !  si  '1  farom  di  smalto, 


palBde  ecc.  Qoasi  por  assicarar  Dante  eh'  ei 
conoscerà  bene  il  luogo,  Virg:ìlio  gli  dice  che 
la  palude  Stige  cinge  tatt'  all'  intomo  la  città 
di  Dite  ;  sebbene  nel  loro  viaggio  i  due  poeti, 
por  facendo  grande  aggirata  {Inf.  ym  79), 
non  abbiano  peroono  né  por  la  quarta  parte 
della  palude  stessa.  —  83.  ■>  :  cfr.  ^f.  u  24. 

—  lenz'lra:  con  le  buone;  altri  intendo- 
no pi6  determinatamente,  senz'  ira  di  Vir- 
gilio, 0  del  messo  celeste,  o  dei  diavoli  di- 
fensori della  città.  —  85.  Pocehlo  ecc.  la 
vista  aveva  attirato  tutta  la  mia  attenzione. 

—  96.  i%rt  troncamento  della  prep.  verso, 
usuale  in  Dante  e  negli  altri  poeti  antichi. 

—  l'alto  torre  alla  cima  rovente:  ola 
torre  coi  fuochi  in  cima,  dalla  quale  s' erano 
fatti  segnali  di  risposta  alle  fiammette  awi- 
satrid  dell'  arrivo  di  Dante  e  Virgilio  (cf^. 
Inf,  vm  8-6).  —  87.  faro»  dritte  ratto: 
apparvero,  s' alzarono  rapidamente.  —  88. 
tre  farle  t  sono  le  Erinni  o  Eumenidi,  figlie 
d' Acheronte  e  della  Notte,  destinate  al  ser- 
vìgio di  Froserpina,  come  seminatrici  di  di- 
scordia e  tormentatrici  dei  dannati  (cfr.  Virg. 
Sn,  VI  670,  605,  vii  824  e  segg.,  Ovidio, 
Mei,  IV  451,  481  ecc.).  —  89.  fhe  membra 
ecc.  La  desciizione  dell'  aspetto  delle  fune 
segue  quella  di  Tesifone  in  Stazio,  Teb,  i 
108-115;  cfr.  Moore,  I  245.  —  40.  idre  ver- 
ditsimet  serpenti  di  vivo  color  verde,  che 
formavano  la  cintura  delle  ErinnL  —  41.  ser- 
peatelli  e  eeraste:  serpenti  piccoli  e  ser- 
penti grossi,  che  erano  in  luogo  dei  capelli 


difldolti  e  dei  capelli  raccolti  in  trecce.  — 
43.  neteliiae:  ancelle,  serve;  tale  ò  il  senso 
che  aU'agg.  meteMno  dà  sempre  Dante,  F. 
N.  a  88,  Jnf,  xzvn  15.  —  44.  regina  del- 
Petemo  pianto:  ò  Froserpina  figlia  di  Giova 
e  di  Cerere,  moglie  di  Plutone  e  regina  del- 
l'Inferno  (Omero,  II.  ziv  836,  Odie.  xi  218 
e  segg.,  633  ecc.):  cfr.  anche  Inf,  x  80, 
fWj7.  xrvm  50.  —  45.  ErUe  :  lat  EriimyéMi 
ma  Dante  segui  la  grafia  dei  lessicografi  m&- 
dioevali  (Giovanni  da  Genova,  Papia  ecc.), 
che  hanno:  Erinys  (cfr.  Parodi,  BulL  III 
109).  —  46.  Qnetto  ecc.  :  delle  tre  I^e,  ohe 
sono  in  sull'  alto  della  torre.  Megera  sta  dalla 
parte  sinistra,  Tesifone  nel  mezzo,  Aletto 
dalla  deetra;  oosf  sono  disposte  nei  veni  leo- 
nini cit  da  Pietro  di  Dante  :  «  Tres  agitant 
mentee  Furiae,  ratione  oarentes  :  Si  tibi  bao- 
chatur  mens,  tuno  Alecto  vocatur;  At  tuno 
Tisiphone,  jumpunt  cum  iuigia  voce  ;  At  si 
lethi  fera  despumant  ora,  Megaera  >.  ~  48.  ^ 
nel  mesco:  cfr.  Virgilio,  En,  x  761:  e  Pal- 
lida Tisiphone  media  Inter  mìllia  saevit  ».  — 
taeqae  a  tasto:  non  aggiunse  altro;  chó 
Va  tanto  vale  :  a  questo  solo,  come  il  di  tanto 
in  Inf,  rv  99  vale  :  di  questo  solo.  Altri,  ma- 
no rettamente,  spiegano:  intanto,  in  questo 
mentre;  altri  infine:  allora,  in  quel  punto, 

—  50.  a  palMe  :  con  le  palme  delle  mani. 

—  51.  io  mi  strljitl  eco.  Atto  spontaneo 
e  frequente  per  Dante  quando  ha  paura  ò 
lo  stringersi  a  Virgilio  :  cfr.  Purg.  viu  41, 

—  52.  Tenga  Hcdosal  Medusa,  secondo  là 


INFERNO  —  CANTO  DC 


65 


dlcevan  tutte  riguardando  in  giuso; 
54       mal  non  yengiammo  in  Teseo  l'assalto  ». 
€  Volgiti  indietro,  e  tien  lo  tìso  chiuso  ; 
che,  se  il  Gorgon  si  mostra  e  tu  il  vedessi, 
67        nulla  sarebbe  del  tornar  mai  suso  >. 
Cosi  disse  il  maestro;  ed  egli  stessi 
mi  volse,  e  non  si  tenne  alle  mie  mani, 
GO       che  con  le  sue  ancor  non  mi  chiudessi. 
0  voi,  ohe  avete  gl'intelletti  sani, 
mirate  la  dottrina  ohe  s'asconde 
63       sotto  il  velame  degli  versi  strani! 


■itelogia,  fu  mia  dalla  tre  Ooigoni,  figlie 
fi  Fosco  dio  maxino;  la  quale  fti  insieine  con 
le  eoxeUa  ncoisa  da  Perseo  figttnolo  di  Oiore 
e  di  Daoae  ed  ebbe  nonato  il  capo,  ohe  are- 
Tm  la  potenza  di  pietrificaze  cbionqTie  lo  mi- 
ZMM.  Oca  le  Fnxie  yolendo  impedire  il  passo 
a  Diate  inTooaiio.fl  oacpo  di  Medusa,  col 
^pMÌe  qwxano  di  trasformarìo  in  sasso  :  H  H 
fanm  ài  tmaUo,  —  68.  !■  giaio  t  Terso  Dan- 
te. —  64.  Mal  aea  eco.  mal  fti  per  noi  non 
Tsadicare  nella  persona  di  Teseo  gli  assalti 
dati  dagli  nomini  all'  inferno  ;  il  qnale  Teseo, 
ncatoci  neUe  regioni  infernali  per  rapire  Pro- 
ierpsna,  vi  ta  trattenuto  prigioniero  sino  a 
che  Ercole  discese  a  liberaiio  (c£r.  Virg.  En, 
TI  a92  e  S!egg.).  —  TcaglaMae:  Tendicam- 
■o;  qoeeta  forma  arcaica  riooire  anche  al- 
trov»,  Jnf,  XXVI  84,  Bit.  th  61.  —  65.  Tel- 
giti  eoe.  Virgilio  accorre  pronto  in  alato  a 
Date,  ammonendolo  di  Toltani  indietro  e 
fi  dkioder  gii  occhi  per  non  yedare  il  capo 
A  Medaaa.  —  66.  U  Gorgea  i  propriamente 
Gosgoa»  è  il  nome  di  risscnns  delle  tre  fl^ 
gfiaote  di  Forco,  ma  Dante  l'osa  per  indi- 
ene  il  capo  d' ona  delle  tre,  e  precisamente 
di  Medosa.  —  67.  asUs  ecc.  ta  non  potresti 
jui  piò  zìtomare  al  mondo.  —  68.  egli  stes- 
si: egli  atoeeo;  efr.  P»,  t  188.  —  69.  bob 
si  tesa*  eoo.  non  si  tenne  contento,  non  si 
Uò  delle  mie  manL  —  61.  0  toÌ  eco.  Qne- 
ita  dottziiia  nascosta  9otU>  il  velaim  degli  versi 
atrmàf  alla  quale  Dante  richiama  gV  ùUeUetti 
tomi,  è  F allegoria  di  Medusa;  allegoria  in- 
torno alla  quale  sono  molto  diversi  i  pareri 
degfi  interpreti  (cfr.  0.  Galanti,  L*aUegoria 
émlmea  del  Capo  di  Mtduaa,  leUere,  Bipa- 
*>«T*?TH^^  1882;  C.  Negroni,  L'aliegoria  danL 
éM  Capo  di  Mtd,,  Bologna,  1882;  B.  Fomacisr 
ri,  Sktdi,  pp.  69-101;  Q,  A.  Venturi,  LeoHtra, 
ff,  U-15).  Degli  antichi,  il  Lana  vede  in  Me- 
don  il  simbolo  dell'  eresia,  che  «  fa  diventare 
r  uomo  ptetra,  perohÀ  lo  eretico  vuole  più  cre- 
dale aOe  eensualitadi  che  alla  sacra  scrittu- 
a»:  l'Otta  TAnon.  fior.,  il  Buti,  facendo 
prapóa  r  Intarpretazione  del  mito  di  Medusa 
dsta  dal  aiitogrmfò  antico  Fabio  Fulgenzio,  vi 


trovano  il  simbolo  della  dimenticanxa,  «  aOa 
quale  Perseo,  cioè  l'uomo  savio,  taglia  la  testa 
quando  con  la  tenace  memoria  sempre  inten- 
de >  :  laoopo  di  Dante  vede  in  Medusa  l'o- 
perare contro  la  ragione  ;  il  Bocc,  la  Ubidine 
o  la  donna  libidinosa  ohe  rende  immemori  e 
aodeca  i^  uomini;  altri  dt  da  Benv.  l'astu- 
zia oppure  la  cupidigia  dei  beni  terreni:  fi- 
nalmente BambagL,  Pietro  di  Dante  e  Benv. 
trovano  in  Medusa  il  simbolo  del  terrore,  col 
quale  le  Furie,  simbolo  dei  rimorsi,  si  sforzano 
di  respingere  il  poeta.  Dei  moderni,  alcuni 
come  Filai.,  Blanc,  Qalanti,  ritornarono  al- 
l'idea ^'«TMia  ;  ma  i  piò,  come  Lomb.,  Costa, 
Bianchi,  Frat,  Tomm.,  Poletto,  tennero  che 
Medusa  simboleggiasse  il  diletto  sensuale  «  il 
cui  aspetto  falsamente  specioso  pud  sedurre  e 
perdere  l' uomo  »  ;  n6  se  n'  allontanò  in  so- 
stanza il  Fomadari,  sostenendo  le  Furie  es- 
sere simbolo  dell'  invidia  «  concepita  come  un 
odio  mortale  agli  uomini  »,  e  operanti  la  loro 
insìdia  mediante  l' allettamento  dei  beni  e 
piaceri  mondani  raffigurati  in  Medusa.  Me- 
glio di  tutti  lo  Scart.  dichiarava  il  simbolo  di 
Medusa  cosi  :  «  Nella  dttà  di  Dite  sono  pu- 
niti gli  eretid,  doò  i  peccatori  contro  la  vera 
fede,  n  peccatore  messosi  sulla  via  della  con- 
versione pante]  vuol  entrarvi  per  eoruidé' 
rar$  il  fine  di  coloro  {Salm,  lxxu  17),  ed  ar- 
rivare mediante  questa  considerazione  alla 
contrizione,  e  dalla  contrizione  alla  conver- 
sione. Virgilio  procura  di  persuadere  i  de- 
moni, custodi  della  dttà,  colle  buone,  doè 
con  ragioni  filosofiche,  ad  aprime  l' ingresso, 
ma  ò  respinto  con  beffe,  poichó  i  miscredenti 
hanno  sempre  argomenti  in  pronto  da  opporre 
agli  argomenti,  e  lo  scherno  ò  e  fu  sempre 
la  loro  arma  prediletta.  Alla  conversione  del 
peccatore  si  oppone  inoltre  la  nuda  oosdenza 
[le  Erinni],  e  vi  si  oppone  pure  il  dubbio, 
ohe  ha  la  virtd  di  render  l' uomo  insensibile 
come  pietra  [Medusa].  Per  drizzare  gli  vonUni 
alta  temporale  felieità  aeoondo  gli  ammaestra- 
menti  fÙoeofioi  {De  mon,  m  16),  l'autorità 
imperiale  [Virgilio]  esorta  l' uomo  di  fare  at- 
tenzione alla  mala  coscienza  (Guarda  le  fé» 


66 


DIVINA  COMMEDIA 


E  già  venia  su  per  le  torbid'onde 
un  fracasso  d'un  suon  pien  di  spavento, 
66       per  cui  tremavano  ambedue  le  sponde; 
non  altrimenti  fatto  che  d'un  vento 
impetuoso  per  gli  avversi  ardori, 
69        che  fier  la  selva,  e  senza  alcun  rattento 
li  rami  schianta,  abbatte  e  porta  fuori: 
dinanzi  polveroso  va  superbo, 
72       e  fa  fuggir  le  fiere  e  li  pastori 

Gli  occhi  mi  sciolse,  e  disse  :  €  Or  drizza  il  nerbo 
del  viso  su  per  quella  schiuma  antica, 
75       per  indi  ove  quel  fummo  è  più  acerbo  ». 
Come  le  rane  innanzi  alla  nimica 
biscia  per  l'acqua  si  dileguan  tutte, 
78       fin  che  alla  terra  ciascuna  s'abbica; 
vid'io  più  di  mille  anime  distrutte 
fuggir  cosi  dinanzi  ad  un,  che  al  passo 


noi  Erifis)f  e  di  non  volgere  lo  igoArdo  al 
dubbio  petaìflcante  {Voigiti  indietro  eco.)  ;  inol- 
tre, ftfflnohó  r  nomo  non  si  lasd  cogliere  nelle 
reti  del  dubbio  e  della  mìBoredenza,  l'auto- 
rità imperiale  gli  viene  in  soooorBO  coli*  opera 
{«gii  stiul  mi  voi»  eoo.)  dod  colle  leggi  con- 
tro gli  ereticL  Se  non  che  l'autorità  impe- 
rialo non  basta  per  sé  sola  a  guidare  V  uomo 
alla  contrizione  in  merito  a  peccati  concer- 
nenti la  fede.  Ha  l'autorità  ecclesiastica  le 
viene  in  soccorso  (Tal  ne  Sofferse)  ministrando 
la  divina  illuminazione  (il  messo  del  cielo)  che 
vince  e  le  obbiezioni  de'  miscredenti  ool  loro 
scherno  [demoni],  e  gli  ostacoli  della  mala 
coscienza  [Erinni],  e  i  pericoli  del  dubbio 
[Medusa],  ed  apre  cosi  una  via  attraverso 
tutte  le  difficoltà  >.  —  64.  E  già  venia  ecc.  Il 
turbine  rumoroso,  che  pronunzia  la  venuta  del 
messo  celeste,  ricorda  i  fenomeni  che  accom- 
pagnarono la  venuta  dell'  angelo  sulle  sponde 
dell'Acheronte:  ofi:.  J&i/'.  m  130  e  segg.  Q. 
A.  Venturi,  Leet,  p.  15  :  e  II  fragore  del  tur- 
bine ci  è  fatto  sentire  come  con  un  mira- 
bile crescendo  sinfonico  :  la  descrizione  ò  ra- 
pida, potente,  perfetta  nei  particolari,  gran- 
diosa nell'  impressione  complessiva  e  finale  ». 
~  67.  Aoa  altrintenti  ecc.  il  quale  tncosso 
non  era  diverso  da  quello  d'un  vento  ecc.  Ven- 
turi 66  :  «  L' idea  dd  vento,  ohe  si  fa  impetuo- 
so pei  calori  di  paese  opposto,  ò  pi6  precisa  e 
compiuta  del  virgiliano  :  *  Adversi  rupto  ceu 
quondam  turbine  venti  Confligunt....  stridunt 
silvae  '  (En.  u  416)  ».  —  69.  fler  ecc.  scuo- 
te, ferisce;  oti.  Virgilio,  Georg,  n  441  e  Lu- 
crezio, X  274  :  e  Rapido  perourrens  turbine, 
campot  Axboribus  magnis  stemit,  montosque 
supremus  Silviftagis  vexat  flabris  »  :  quanto 
al  /far,  che  è  per  fitre,  cfr.  Inf,  z  69,  xi  87, 


e  anche  Purg,  zzvm  8.  —  rattento  :  Blane  : 
« rattenimento,  ostacolo  che  trattiene».  — 
78.  cai  cechi  ecc.  Virgilio  mi  tolse  dagli  oc- 
chi le  mani.  —  il  nerbd  4el  rise:  la  po- 
tenza visiva.  T-  76.  per  indi  eco.  vorso 
quella  parte,  ove  ò  più  densa  la  nebbia.  — 
76.  Come  le  rane  ecc.  Venturi,  428:  e  Oion- 
gè  un  messo  celeste  per  aprire  ai  poeti  le 
porte  di  Dite;  e  al  suo  presentarsi  le  anime 
de'  dannati  si  ricacciano  dentro  la  stagnante 
palude.  La  similitudine  risponde  esattamente 
non  solo  all'atto  del  gittarsi  d'un  salto  e 
dell'  involarsi  ad  altrui,  ma  eziandio  alla  ca- 
gione di  quell'  atto  che  ò  il  timore  »  :  etr.  la 
descrizione  ovidiana  riferita  al  passo  dèll'Zn/1 
xxzn  81.  -^  78.  i*  abblf  a  :  gli  antichi  spie- 
gano il  vb.  abbieorsi  per  aggiungere,  attac- 
carsi; e  i  moderni  invece  per  ammucchiarsi 
come  il  grano  in  biche.  L'uso  figurato  che 
di  questo  vb.  fa  l'n]i)erti,  DUI.  i  6  «  Quando 
nell'uomo  un  buon  voler  s'abbica»,  parreb- 
be confermare  l'interpretazione  degli  antichL 
~  80.  ad  un  ecc.  È  il  messo  celeste,  inviato 
in  aluto  di  '^rgilio  e  di  Dante  per  aprire  le 
porte  della  città  di  Dite;  intomo  al  quale 
grande  ò  la  differenza  delle  opinionL  Degli 
antichi  commentatori,  il  Lana,  l' Ott.,  l' Anon. 
fior.,  il  Buti  e  più  altri  riconobbero  in  que- 
sto messo  un  angelo  venuto  dal  cielo,  e  quasi 
tutti  i  moderni  accolsero  questa  che  ò  la  pt4 
ragionevole  interpretazione.  Benv.  e  Pietio 
di  Dante  rioonobbero  in  questo  messo  Mercu- 
rio, per  la  rimembranza  di  un  passo  di  Sta- 
zio, Teb,  n  1-31,  ove  si  legge  che  il  figlio 
di  Qiove  e  di  Maia  iti  mandato  a  introdurre 
nella  dttà  infernale  l'ombra  di  Laio;  e  tra  i 
moderni  il  Fomaoiari,  Studtj  pp.  94-101,  e 
6.  Federzoni,  Shtdif  pp.  182-201,  sostengono 


INFERNO  -  CANTO  IX  67 

81        passava  Stìge  con  le  piante  asciutte. 
Dal  volto  rimovea  quell'aer  grasso, 
menando  la  sinistra  innanzi  spesso; 
84        e  sol  di  quell'angoscia  parea  lasso. 
Ben  m'accorsi  ch'egli  era  del  elei  messo; 
e  volsimi  al  maestro,  e  quei  fé'  segno 
87        ch'io  stessi  cheto  ed  inchinassi  ad  esso. 
Ahi  quanto  mi  parea  pien  di  disdegno! 
Giunse  alla  porta,  e  con  una  verghetta 
90        l'aperse,  che  non  ebbe  alcun  ritegno. 
€  0  cacciati  del  ciel,  gente  dispetta, 
cominciò  egli  in  su  l'orribil  soglia, 
93        ond'esta  tracotanza  in  voi  s'alletta? 
Perché  ricalcitrate  a  quella  voglia, 
a  cui  non  puote  il  fin  mai  esser  mozzo, 
96        e  che  più  volte  v'ha  cresciuta  doglia? 
Ohe  giova  nelle  fata  dar  di  cozzo? 
Cerbero  vostro,  se  ben  vi  ricorda, 
99        ne  porta  ancor  pelato  il  mento  e  il  gozzo  >. 
Poi  si  rivolse  per  la  strada  lorda, 
e  non  fé'  motto  a  noi  ;  ma  fé'  sembiante 
102        d'uomo,  cui  altra  cura  stringa  e  morda 
che  quella  di  colui  che  gli  è  da  vanto: 
e  noi  movemmo  i  piedi  in  vèr  la  terra, 
105        securi  appresso  le  parole  sante. 

Dentro  v'entrammo  senza  alcuna  guerra: 

die  Q  nflMO  divino  sìa  Gesù  disto  medesimo:  glia  eoo.  alla  volontà  divina,  alla  q^a^e  non 

la  qixBle  opinione,  sebbene  non  rimuova  ogni  può  essere  impedito  di  raggiungerà  il  Une, 

difficoltà,   non  è  senza  qualche  buon  fonda-  —  96.  pld  volte  eoe  spedalmenta  qttimdo 

■aito  di  ragionL  Meno  felice  Ai  la  congettura  Cristo  scese  al  limbo;  o£r.  Inf,  iv  52.  —  97. 

ii  IL  Oaetani,  Opuao,  danL  n.*  11,  il  quale  nelle  fiata  ecc.  opporsi  ai  decreti  àìviid.  — 

era  troppo  ingegnoso  ragionamento  si  sforzò  dS.  Cerbero  vostro,  se  eco.  Aoci^ana  alia 

di  BoetFBTB  che  il  messo  celeste  fosse  Enea,  il  favola  mitologica  della  discesa  di  Ercoio  ai 

pio  figliuolo  d'Anchise.  —  al  passo:  al  valico,  regni  infernali,  dove  vinse  T  oppcisizlooti  di 

sei  punto  ove  ai  passa.  —  82.  aer  grasso  :  la  Cerbero  incatenandolo  e  trascinandolo  fuori 

aebliia,  già  accennata  al  v.  76.  —  83.  menaa-  dell'inferno  (cfr.  Virgilio,  En,  vi  892  a  te^ì^u 

è»  eec  paaaandosi  spesso  la  mano  sinistra  di-  —  99.  il  meato  e  il  gozzo  :  le  parti,  chfj  pili 

nanzi  al  volto.  —  84.  aagoseU:  il  fastidio  gè-  furono  a  contatto  con  la  catena.  ^  100.  Tel 

MiBto  dalla  densità  dell' aria. —>  86.  m'aeeor-  il  rlTOlse  ecc.  L'angelo,  appena  compi  uto 

si:  per  il  fenomeno  ohe  l'aveva  preceduto,  l'atto  per  cui  era  venuto,  rivolo  al  oialo^  al 

•  pc4  per  il  miracolo  di  passare  sulla  palude  quale  anch'  egli,  come  già  Beatrioo  dJscoda 

«  con  le  piante  asciutte  >,  volando,  e  per  nel  limbo,  Inf,  u  71,  desiderava  di  ritoruji», 

totta  la  maestà  che  si  diflònideva  dall'aspetto  —  104.  la  terra:  la  città  di  Ditq.  —  105. 

dsQ'  angolo.  —  87.  tteiii  cheto  ed  UeM-  s«earl  ecc.  tranquilli  per  le  parole  dette  dal- 

■assi  :  due  segni  di  riverenza.  —  89.  naa  l' angelo  ai  diavolL'  —  106.  Dentro  ecc.  Ap^ 

Tcrghetta  :  è  data  ali'  angelo,  come  segno  pena  entrati  nella  città  di  Dite  i  due  poc^ti 

arisnoie  dell'  autorità  conferitagli  da  Dio.  —  si  trovano  nel  luogo,  ove  sono  puniti  ^11  Qnt- 

90.  rttega*:  impedimento,  ostacolo.  —  91.  tici;  i  quali  sono  raccolti  in  altre! Unto  iir- 

0  eacdatl  del  del  ecc.  :  cfr.  Inf.  vm  88.  che  infocate  quante  ftirono  le  eresia  profo,^ 

—  93.  trseoteacà:  cfr.  Inf.  vn  124.  —  s'al-  sato.  A  proposito  del  luogo  ocoupjìto  dngli 

frttt?  cfr.  Inf»  n  122.  —  94.  a  f  nella  ve-  eretici  scrìve  il  Del  Lungo,  Diporto  danUsoo, 


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123 


ed  io,  ch'avea  di  rigaardar  disio 
la  condÌ2Ìon  che  tal  fortezza  serra, 

com'io  fui  dentro,  l'occhio  intomo  invio; 
e  veggio  ad  ogni  man  grande  campagna 
piena  di  duolo  e  di  tormento  rio. 

Si  come  ad  Arli,  ove  il  Eodano  stagna, 
si  oom'a  Fola  presso  del  Quamaro, 
che  Italia  chiude  e  suoi  termini  hagna, 

fanno  i  sepolcri  tutto  il  loco  varo: 
cosi  faoevan  quivi  d'ogni  parte, 
salvo  che  il  modo  v'era  più  amaro; 

che  tra  gli  avelli  fiamme  erano  sparte, 
per  le  quali  eran  si  del  tutto  accesi 
che  ferro  più  non  chiede  verun'arte. 

Tutti  gli  lor  coperchi  eran  sospesi, 
e  fuor  n'uscivan  si  duri  lamenti, 
che  ben  parean  di  miseri  e  d'offesi 


già  dt.  :  «  Mi  sembra  nobilissimo  e  sottile 
concetto,  e  degno  come  di  Dante  cosi  d'es- 
seie  meglio  rilevato  e  ohiazito  che  non  siasi 
ftitto  sin  qui,  quello  d'avere  lungo  le  muxa 
della  tzìste  città,  al  di  dentro,  collocati  gli 
epicurei,  cotesti  grandi  ereaiaxchi  del  paga» 
nesimo,  e  gli  eretici  dell'  evo  cristiano.  H  loro 
spaventoso  sepolcro  rovento  incorona  la  città 
del  male,  senza  che  eglino  appartengano  né 
alla  prima  regione  che  ò  finita  appiè  dello 
mura  di  quella,  nò  alla  seconda  che  si  parte 
dall'  abisso  scavato  nel  centro  della  città  me- 
desima ;  e  cosi,  né  alla  categoria  degl'  incon- 
tinenti, terminata,  né  a  quella,  non  ancor  co- 
minciata, de'  violenti.  CosIfEaUo  rimaner  ossi 
interamente  fuori  del  sistema  penale  dantesco 
non  può  non  avere  un  perché  :  il  quale  è 
questo,  a  mio  avviso  ;  che  la  natura  del  loro 
peccato  li  sottrae  alla  comunicazione  diretta, 
non  che  con  la  Grazia,  secondo  ò  di  tutti  i 
dannati,  che  più  non  hanno  amico  il  re  del- 
P  universo,  ma  con  la  Giustizia  medesima  di 
quel  Dio  oh'  e'  disconobbero  e  negarono,  e 
perciò  li  pone  tra  le  perdute  genHj  quasi  fti6ri 
di  schiera».  —  108.  la  eoadldeB  ecc.  lo 
stato  e  la  qualità  delle  anime,  chiuse  dalle 
mura  della  città  di  Dite.  —  110.  ad  ogni 
man  ecc.  a  destra  e  a  sinistra  della  porta 
un  grande  spazio  ecc.  —  113.  Si  come  eco. 
Dante  paragona  il  suolo  sul  quale  s' ergevano 
gli  avelli  degli  eretici  oon  i  terreni  nelle  vi- 
cinanze di  Aries  e  di  Fola,  ineguali  per  le 
tombe  antiche  che  vi  sorgevano  ancora  ai 
suoi  tempi.  —  ad  Irli:  Arles,  lat.  Arelas, 
città  della  Provenza  ossia  dell'  antica  Gallia 
Narbonese,  presso  la  quale  esistono  ancora 
sepolture  dei  tempi  romani.  I  commentatori 
antichi  accolsero  una  tradizione  romanzesca, 


tratta  certo  da  qualche  poema  francese  :  cIa 
cagione  (dice  U  Buti)  perché  ad  Aili  sia- 
no tanti  sepolcri,  si  dice  che  avendo  Carlo 
Magno  combattuto  quivi  con  infedeli,  ed  es- 
sendo morta  grande  quantità  di  Oristiani,  feoe 
pnego  a  Dio  ohe  si  potessino  conosoere  dal- 
l'infedeli,  per  poterli  sotterrare:  e  fatto  lo 
prego,  r  altra  mattina  si  trovò  grande  simi- 
litudine d' avelli  et  a  tutti  li  morti  una  scritta 
in  su  la  fronte,  che  dicea  lo  nome  e  il  so- 
pranome; e  cosi  conosciuti  li  seppellirono  in 
quelli  avelli  ».  Questi  sepolcri  arelatensi  fa- 
reno  notissimi  nel  medioevo  (cfr.  Turpino, 
Oronaoa^  cap.  28,  e  Gervasio  di  Tilbury,  Otia 
imperaUa,  cap.  90),  e  ricordati  anche  dal- 
l'Uberti,  i>itf.  iv  21  :  cFuiad  ArU...  Làvidi 
tanti  avelli,  che  a  guardarli  Un  miraool  mi 
parve»,  e  dall'Ariosto,  Ori,  fur,  ziiiz  72: 
«  Ghé  presso  ad  Arli,  ove  il  Bedano  stagna, 
Piena  di  sepolture  è  la  campagna  ».  Ciò  non 
esclude  per  altro  che  Dante  possa  averli  ve- 
duti in  uno  dei  suoi  viaggi;  cfr.  A.  Bossi, 
J  viaggi  danieoehi  oUr^Sìpe,  Torino,  1893,  e  V, 
Bossi,  BuU.  I  106-108.  — 113.  a  Fola:  Fola 
ò  città  marittima  sulla  punta  meridionale  del- 
l' Istria,  che  a  oriento  ò  bagnata  dal  golfo 
Quamero,  naturale  confine  d' Italia  :  nelle  vi- 
cinanze di  Fola,  fuori  della  porta  Aurea,  era 
la  necropoli  romana,  oon  arche  di  madgmo 
rimasto  sul  luogo  sino  al  secolo  xv;  cfr.  Bas- 
sermann,  p.  461.  —  115.  11  loeo  varo:  il 
suolo  vario,  disuguale.  —  117.  II  modo  T*era 
pid  amaro:  per  la  ragioike  accennata  nella 
seguente  terzina.  —  119.  Meeil:  roventi, 
infocati.  —  120.  ékt  ferra  eco.  che  nes- 
suna arto  di  fabbro  o  di  fonditore  richiede , 
ha  bisogno  che  sia  cosi  rovento  il  ferro.  -« 
121.  eraa  sospesi:  erano  sollevati:  cfr.  Jbtf, 


INPERNO  -  CANTO  IX 


69 


Ed  io  :  €  Maestro,  quai  son  quelle  genti, 
che  seppellite  dentro  da  quell'arche 
126       si  £eui  sentir  con  gli  sospir  dolenti  ?  » 
Ed  egli  a  me:  «  Qui  son  gli  eresiarche, 
co'lor  seguaci,  d'ogni  sètta;  e  molto 
129       più  che  non  credi  son  le  tombe  carche: 
simile  qui  con  simile  ò, sepolto; 
e  i  monimenti  son  più  e  men  caldi  ». 
E  poi  ch'alia  man  destra  si  fu  volto, 
133    passammo  tra  i  martiri  e  gli  alti  spaldL 


x8.  —  126.  arelie :  qui  e  néH^Inf.  x  29  sono 
fti  srdli,  i  sepolcri;  ciMcniìo  dai  quali  con;- 
twne  il  capo  di  ima  sètta  eretica  insieme  coi 
tepucL  —  127.  ereilarolie  :  i  capi  di  ogni 
sètta  eretica  coi  loro  segnaci,  i  capi  delle 
enee  :  per  i  nomi  di  consimile  terminazione 
c£r.  Nannncó,  Nomi  284-7  e  Parodi,  Bull.  JH 
12L  —  128.  sètto:  equivale  ad  eresia,  come 
■  ba  da  Tonunaso  d'Aquino,  Summa,  P.  II 
>,  qo.  XX,  art  4:  •ncai haeresis  dicitar  ak 
efigendo,  ita  ateta  dicitar  a  sectando;  ...  et 
^m  haereais  et  seda  idem  sant  >.  —  129. 
pltf  ehc  ecc.  D'Ovidio,  p.  280:  «on  altro 
tnttD  dell'  ereda  è  che  molti  la  professano 
oocohamente,  onde  ciascona  ha  piti  segnaci 
efae  non  paia  >.  —  IBO.  sladle  qnl  eoa  si- 
■Ile  ecc.  Vuol  dire  che  in  ciascun  sepolcro 
sente  raoeoltì  i  seguaci  di  una  determinata 
tétta:  cfr.  Jnf.  x  118,  n  7.  —  131.  e  1  mo- 
■bacati  ecc.  1'  accensione  della  fiamma  in- 


tomo ai  sepolcri  è  pi6  o  meno  forte  secondo 
la  gravità  dell'  eresia.  —  132.  alla  naa  de- 
stra ecc.  Scart  :  e  Due  volte  deviano  i  poeti 
a  man  destra  :  la  prima  quando  vanno  in- 
contro agli  «reiici,  e  la  seconda  quando  van- 
no incontro  alla  frode.  In  quanto  alla  prima 
volta,  si  pud  forse  supporre  che  Dante  abhia 
voluto  accennare  i  primi  passi  sulla  via,  il 
coi  fine  è  la  miscredenza,  non  esser  per  sé 
viziosi  e  peccaminosi,  ma  derivare  dal  natu- 
rale desiderio  di  sapere.  8i  osservi  inoltre  che 
miscredenxa  e  frode  sono  appunto  i  due  vizi, 
le  cui  armi  sono  false  parote,  e  che  l' andare 
a  man  destra  si  prende  per  segno  o  simbolo 
di  dirittora,  lealtà,  sincerità,  schiettezza.  Or 
queste  sono  appunto  le  migliori  armi,  onde 
andare  incontro  alla  miscredenza  ed  alla  frau- 
dolenza >.  Cfr.  Jnf»  XIV  126  e  xvn  81.  —  138. 
tra  I  nartlrl  ecc.  tra  le  sepolture,  luoghi 
dì  pena  per  gli  ex^d,  e  le  mura  della  dttà. 


CANTO  X 

Continaando  i  dne  poeti  il  loro  cammino  tra  le  arche  degli  eretici  del 
Mslo  cerchio,  Dante  parla  lungamente  coi  suoi  concittadini  Farinata  degli 
Ubertì  e  Cavalcante  Cavalcanti  ;  dal  primo  dei  quali  si  sente  confermare  il 
tetsro  esilio  e  ascolta  qnal  sia  il  grado  di  conoscenza  dei  dannati  ;  poi 
eotnunbi  a*  incamminano  verso  il  settimo  cerchio  [9  aprile,  circa  le  due 
antimeridiane]. 

,  Ora  sen  va  per  an  secreto  calle 

tra  il  muro  della  terra  e  li  martiri 
3        lo  mio  maestro,  ed  io  dopo  le  spalle. 
€  0  virtù  somma,  che  per  gli  empì  giri 


X  1.  leereto  calle:  la  viuzza  a  destra 
deOa  porta,  tra  le  mora  e  le  tombe,  per  la 
quate  Dante  e  Virgilio,  cambiando  l'abituale 
direzknfte  del  loro  viaggio,  si  sono  messi  en- 
trando nella  città.  A  conferma  di  questa  le- 
txmè,  contro  la  var.  stretto  eaUSy  à  cita  il 
Tizpfisao,  £H.  VI  443  :  «  secreti  celant  cai' 
lei  >  ;  BA  in  difésa  d#Ua  w.  stessa  sì  po- 


trebbe ricordare  pur  V  esempio  di  Virg.,  En. 
rv  405  :  «  convectant  calle  angusto  >.  —  3. 
lo  mio  maestro  eco.  Per  l' angustia  della 
via  i  due  poeti  camminano  l' uno  dopo  l' al- 
tro, come  poi  faranno  sugli  argini  del  settimo 
cerchio  (Inf.  xrv  140,  xv  97,  xvi  91)  e  sulle 
rive  delle  bolge  dell*  ottavo  (inf.  xxm  2).  — 
4.  empi  giri:  i  cerchi  infernali  (cfir.  Inf, 


70 


DIVINA  COMMEDIA 


mi  volvi,  cominoiai,  com*a  te  piace, 
6        parlami  e  satisfammi  a*  miei  desirL 
La  gente,  che  per  li  sepolcri  giace, 
potrebbesi  veder?  già  son  levati 
9        tutti  i  coperchi,  e  nessun  guardia  face  ». 
Ed  egli  a  me:  €  Tutti  saran  serrati, 
quando  di  losafàt  qui  torneranno 
12        coi  corpi,  che  là  su  hanno  lasciati. 
Suo  cimitero  da  questa  parte  hanno 
con  Epicuro  tutti  i  suoi  seguaci, 
15        che  l*anima  col  corpo  morta  fanno. 
Però  alla  dimanda  che  mi  faci 
qTiinc*  entro  satisfatto  sarai  tosto, 
18        ed  al  disio  ancor  che  tu  mi  taci  ». 
Ed  io  :  «  Buon  duca,  non  tegno  nascosto 
a  te  mio  cor,  se  non  per  dicei;  poco; 
21        e  tu  m*  hai  non  pur  mo  a  ciò  disposto  ». 
«  O  tòsco,  che  per  la  città  del  foco 


xn  2,  xxvm  50).  —  5.  mi  toItI  :  mi  oon- 
daoi  in  TÌ«ggio  circolale.  —  com'a  te  pU- 
ce  :  aiprlme  quasi  la  meraTiglia  di  Dante  per 
arere  Virgilio  preso  il  cammino  yerso  deetra. 
—  6.  eatlifaHml:  la  forma  latineggiante  «o- 
Hafaeere  ò  preferita  da  Dante,  in  tatto  il  poe- 
ma. —  8.  lerati  :  levati  in  alto,  tollevati  ; 
cfr.  Inf,  a.  121.  —  10.  Tutu  eoe  I  sepolcri 
8i  rinchiaderanno  al  ritorno  degli  eretici  dalla 
valle  di  GioeaCat,  dopo  il  giudizio  universale: 
cfr.  Inf,  VI  96.  —  13.  Suo  :  nella  lingua  an- 
tica si  usò  anche  in  relazione  al  soggetto  di 
numero  plurale  ;  cfìr.  Inf.  xzn  144,  Purg.  xi 
10,  12,  XXVI  122  ecc.  —  cimitero  :  luogo  di 
sepoltura,  sepolcro  ;  poichó  in  ciascuna  delle 
arche  sono  gli  eretici  di  una  data  sòtta.  — 
14.  eoa  Epica  re  ecc.  Epicuro,  antico  filosofo, 
nato  nollo  vicinanze  di  Atene  nel  342  o  morto 
nel  270  a.  C,  fu  il  fondatore  della  scuola 
che  da  lui  ebbe  il  nome  di  epicurea  :  Dante, 
che  ne  conosceva  le  dottrine  da  Cicerone, 
De  ofjìc,  m  83,  U7,  Tuscul.  v  30  e  31  e  Da 
finibus  n  25,  teneva  eh'  egli  fosse  stato  il 
primo  a  considerare  la  voluttà  come  sommo 
bene  (cfr.  Conv.  rv  6,  22)  e  a  proclamare  che 
r  anima  ò  mortale  ;  mentre  primo  autore  di 
cotesto  dottrine  era  stato  Àristippo  di  Cirene 
(nato  noli'  a.  404  a.  C).  —  tatti  1  suol  se- 
guaci :  i  seguaci  d' Epicuro,  secondo  Dante, 
ponevano  che  l'anima  morisse  col  corpo; 
credenza  che  nel  medioevo  fu  professata  da 
molti,  1  quali  dai  casi  o  dalle  condizioni  par- 
ticolari della  vita  furono  allontanati  dall'orto- 
dossia cattolica:  tra  essi  dovettero  essere,  o 
esser  creduti,  nel  secolo  xin  molti  ghibellini, 
ai  quali  gravi  oolpe  appose  la  Caria  romana 


e  singolarmente  quella  di  favorire  le  eresie 
degli  Albigeei,  dei  Valdesi,  dei  Catari  eoo. 
(cfr.  F.  Toooo,  L'trtsia  n»l  mediotvo,  Firen- 
ze, 1884,  e  DanU  é  l'trma,  Bologna,  1899); 
di  modo  che  furono  designati  assai  volte, 
con  strana  confusione  d'idee  e  di  nomi,  co- 
me pai0rini  ed  «picurii  (p.  ee.  in  un'  antica 
oronaca,  in  Hart^,  QueUm  und  tbraekun- 
gm  »ur  dlUstm  Oeaohichte  dar  Stadt  Fìorenx, 
HaUe,  1880,  n,  p.  225  :  «  Dissero  1  Ouelfi  : 
appellianci  parta  di  chiesa;  e  1  Ghibellini 
s'appellarono  parte  d' imperio;  avegna  dio  che 
%  ghibellini  fossero  publici  patarini,  per  hro  fu 
proccUo  lo  inquisitore  della  resia  >  ;  in  un'  al- 
tra,  in  Tartijii,  Rer,  ital.,  II,  866  ò  detto  che 
nel  1305  gli  Spoletini  gridavano  contro  qnoi 
di  Foligno  :  <  Moriantur  PiUareni  gibeUUù  /  »  )  : 
cosi  si  spiega  perché  Dante  ponga  tra  i  se- 
guaci d'Epicuro  Farinata  degli  Ubertì,  Fe- 
derico n,  il  card.  XJbaldini  eoo.  —  17.  ««!■• 
e'  eatro  :  per  entro  questo  luogo  ;  cfr.  Inf. 
XXIX  89,  Pwrg.  xni  18.  —  18.  al  disfo  ecc.  n 
desiderio  non  manifestato  da  Dante  era  quello 
di  sapere  se  in  quel  luogo  fossero  dei  suoi 
concittadini,  o  più  particolarmente,  dice  il 
Buti,  «  se  T*  era  messer  Farinata  e  meeser 
Cavalcante,  li  quali  erano  vivati  in  si  fatta 
roda».  —  20.  cor:  desiderio,  volere;  corno 
nella  V.  N.  xm  17,  di  Beatrice  :  «  non  ò  co- 
me l' altre  donne,  che  leggeramente  si  mova 
del  suo  core  >.  —  21.  non  par  oso:  non  so- 
lamente ora;  poiché  altra  volta  Virgilio  hji 
ammonito  Dante  di  non  manifestare  tanto 
frequentemente  i  suoi  desideri:  cfr.  Inf.  ni 
76  e  segg.  —  22.  tdseo  t  toscano  ;  cosi  quasi 
sempre  in  Dante  ;  cfr.  Ipf  xxn  99,  xxm  76, 


INFERNO  —  CANTO  X 


71 


vivo  ten  vai  cosi  parlando  onesto, 
2-k       piacciati  di  ristare  in  questo  loco. 
La  tua  loquela  ti  fa  manifesto 
di  quella  nobil  patria  natio, 
27        alla  qual  forse  io  fui  troppo  molesto  ». 
Subitamente  questo  suono  uscio 
d'una  dell'arche:  però  m'accostai, 
30        temendo,  un  poco  più  al  duca  mio. 
Ed  ei  mi  disse:  €  Volgiti;  che  fai? 
vedi  là  Farinata  che  s'è  dritto: 
33'       dalla  cintola  in  su  tutto  il  vedrai  ». 
l'avea  già  il  mio  viso  nel  suo  fitto; 
ed  ei  s'ergea  col  petto  e  con  la  fronte, 


91,  zxnn  106,  zzxn  66,  A^y.  xi  68,  xit 
103,  XTX  Idi,  Far.  xxn  117.  —  28.  ^rludo 
Mirto  :  paxlatwìo  onestamente,  con  la  mode- 
stia e  riTBcenxa  dimostrata  nel  discorrere  a 
Vasaio.  —  2A.  riiUre:  ofr.  ^f,  n  121.  — 
35.  La  tmm  loqvela:  anche  altre  anime  rico- 
•oacoBo  1»  patria  di  Danto  dal  modo  dol  suo 
padaze,  come  Ugolino  della  Oherardesca,  Jhf, 
xxxm  11:  Tolendo  sottilizzare  si  potrebbero 
Btrtare  come  proprie  del  dialetto  fiorentino  nel 
diaoozao  di  Dante  le  forme  ttgnOt  dieen,  non 
pm  no;  sia  loquela  accenna  più  tosto  alle 
qualità  della  pronunzia,  alla  preferenza  spe- 
ciale. —  26.  BebU  patria:  Firenze,  detta  nel 
Cbnv.  I  8  «  bellissima  e  famosissima  figlia  di 
Bob»  ».  ~  27.  alla  «vai  forse  ecc.  De  San- 
etia,  Innovi  saggi,  p.  37  :  <  Sono  le  6f\imatare 
•  le  delicatezze  diell' anima,  cbe  balzan  faorì 
ra  modo  spontrneo  e  irrifiesso,  evocato  da 
httii  inaspettati  e  cosi  ingegnosamento  inren- 
ta&.  L' ixapTOTviso  è  espresso  fino  in  quel 
SBtito  orompeFe  delle  parole,  prima  ancor  che 
loi  sappiamo  onde  Tengano  e  da  chi.  Se  Fa- 
nuta  dicaflae:  Io  fui  molesto  alla  mia  patria, 
•Ksbbe  un  giodizio  gìA  fstto  e  vagliato  e  de-* 
taoiinato.  Ma  questo  concetto  gli  si  presenta 
m  la  piìm*  Tolta  innanzi,  còlto  all'  improT- 
▼ào  da  una  di  quelle  gagliarde  impressioni 
eie  mettono  Inanima  a  nudo,  e  sotto  la  pres- 
none  di  dolci  sentimenti  gli  esce  dalla  bocca 
^  eonfeanone  in  quella  forma  provrisoria 
dì  «n  giudizio  nuoTo  e  improvriso  che  non  si 
è  avuto  il  tempo  di  esaminare  >.  —  28.  Sn- 
MtaaeaM  :  improTTisamente;  cosf  nella  V.  N. 
m  45,  XX  29,  Tra  44,  Purg.  i  136,  u  128, 
min  88,  Par.  x  88,  zx  5  ecc.  —  29.  una 
ddTarehex  Danto  non  dice  proprio  che  fosse 
qaeQa  atasaa  dor'erano  «  con  Epicuro  tutti  l 
noi  iwgu^  »  ;  ma  che  non  si  tratti  d'altra 
sica  intendono  tutti  i  commentatori,  parlando 
£  Farinata  come  di  un  epicureo.  —  83.  Fa< 
riaata:  Manente  detto  Farinate,  figlio  di 
Impo  da^  liberti,  nacque  in  FiroQze  sui 


primi  dol  sec.  xui  e  crebbe  in  mezzo  alla  par- 
tizione della  cittadinanza  in  guelfi  e  ghibel- 
lini aTTenute  nel  1315:  capo  sino  dal  1239 
della  sua  famiglia,  la  principale  tra  quelle  che 
in  Firenze  tennero  parte  ghibellina,  ebbe  mano 
nella  cacciate  dei  guelfi  del  1248,  e,  ritornati 
questi  nel  1261  e  fattosi  più  vivo  il  contra- 
star delle  fazioni,  fu  ne]  1268  costretto  ad 
esulare  con  tutti  i  suoi  e  con  più  altre  ca- 
sato ghibelline.  Ripararono  a  Siena,  dove  Fa- 
rinate, ormai  riconosciuto  come  il  più  auto- 
revole tra  i  capi  della  parto,  preparò  la  ri- 
scossa doi  fuorusciti  fiorentini,  partecipando 
alla  battaglia  di  Monteperti  del  4  settembre 
1260:  vinti  i  guelfi.  Farinate  si  oppose  alla 
distruzione  della  patria,  proposte  e  discussa 
dai  capi  ghibellini  nell'adunanza  di  Empoli,  e 
ritornò  coi  suoi  in  Firenze,  dove  mori  nell'a- 
prile 1264.  Cfr.  le  biografie  di  lui  scritte  da 
F.  Villani  {Vite  d'uomini  illustri  fior,^  Firen- 
ze, 1826)  e  da  S.  Razzi  (Vite  di  cinque  huo- 
mini  ii/.,  Fir.,  1602),  l'anonimo  Elogio  di 
Farinata  nella  Serie  di  ritratti  d'uomini  il- 
lustri  toscani  Fir.,  1766,  voi.  I,  e  R.  Renier, 
Liriche  di  Faxio  degli  Ub.,  Firenze,  1883.  — 
33.  dalla  cintola  ecc.  De  Sanctis,  p.  34  : 
«  L*  inattesa  comparsa  di  Farinate  sulla  scena 
è  apparecchiate  in  modo,  eh'  egli  è  già  grande 
nella  nostra  imaginazione ,  e  non  l' abbiamo 
ancora  né  veduto  nò  udito.  Farinate  ò  già 
grande  per  l' importenza  che  g^  ha  date  il 
poete  e  per  l'alto  posto  che  occupa  nel  suo 
pensiero.  E  noi  non  lo  vediamo  ancora  e  giii 
ce  lo  figuriamo  colossale  dalle  parole  di  Vir- 
gilio». —  34.  viso;  cft".  Inf,  iv  11.  —  86. 
ed  el  s'ergea  ecc.  De  Sanctis,  p.  35  :  «  Fa- 
rinate ste  con  mezza  la  persona  nascoste  nel- 
l'arca; rimane  solo  di  ftiori  il  petto  e  la  Tronto; 
e  nondimeno  ogli  ci  apparisce  comò  torrog- 
gianto  sugli  oggetti  circostonti...  Quell'orgorsl 
ti  dii  il  concetto  di  una  grandezza  tanto  più 
evìdento  quanto  meno  misurabile;  è  1* ergersi, 
r  innalzarsi  dell'anima  di  Farinate  sof  ra  tuUq 


72 


DIVINA  COMMEDIA 


86       come  avesse  Io  inferno  in  gran  dispitto. 
E  Panimose  man  del  duoa  e  pronte 
mi  pinser  tra  le  sepolture  a  lai, 
89       dicendo:  cLe  parole  tne  sien  conte». 
Com*io  al  pie  della  sua  tomba  fui, 
guardommi  un  poco,  e  poi  quasi  sdegnoso 
42       mi  dimandò:  €  Chi  fdr  li  maggior  tui?  » 
Io,  ch'era  d'ubbidir  desideroso, 
non  gliel  celai,  ma  tutto  gliel'apersi; 
45       ond'ei  levò  le  ciglia  un  poco  in  soso, 
poi  disse:  €  Fieramente  f^ro  avversi 
a  me  ed  a'  miei  primi  ed  a  mia  parte, 
48       si  che  per  due  fiate  gli  dispersi  ». 

€  S' ei  fùr  cacciati,  ei  tornar  d'ogni  parte, 
lispos'io  lui,  l'una  e  l'altra  fiata; 
61       ma  i  vostri  non  appreser  ben  quell'arte  ». 
Allor  surse  alla  vista  scoperchiata 


r  inferno.  Cosi  con  un  colpo  solo  di  scalpello 
Dante  ha  abbozzata  la  statoa  dell'eroe,  e  ti 
ha  gittata  nell'anima  V  impressione  di  una 
forza  e  di  nna  grandezza  quasi  infinita  «.  —36. 
dlspltu:  dispetto,  disprezzo;  cosi  il  Petrarca, 
son.  T.rrn  S:  e  Per  isfogare  il  suo  acerbo 
despitto  >:  ott.  Parodi,  BuU,  m  96.  —  89.  le 
parele  tee  ecc.;  Buti:  <  paria  apertamen- 
te e  ordinatamente  >,  cioè  con  quella  fhui- 
cheoa  e  compostezza  che  bisognano  a  parlare 
con  gli  aTTersari;  cosi  che  il  eonie  qui  sv 
rebbe  da  eon^ta$,  H  Parodi,  BuU.  m  150, 
i^poggiandosi  ad  esempi  del  Barberino,  spie- 
gherebbe adattaUt  eonvenimU:  altri,  meno 
bwie,  intendono  eontaUf  quasi  Virgilio  ammo- 
nisse Dante  a  parlare  brevemente;  e  altri 
infine,  eogniUf  come  se  l'ammonimento  fosse 
di  parlare  senza  oscurità.  —  42.  nagglors 
maggiori,  antenati;  cosi  anche  nel  Purg.  zi 
62  e  Bw.  zvi  48.  —  44.  UiUo  gUePapersit 
non  solamente  dissi  il  nome  dei  miei  antenati, 
ma  anche  come  essi  tenessero  sempre  parte 
guelfa:  di  che  per  altro  le  storie  fiorentine 
non  danno  indizi,  se  non  nel  fatto  ohe  Bru- 
netto Alighieri,  zio  di  Dante,  fb  dei  combat- 
tenti a  Montaperti  (cft.  Fraticelli,  Storia  della 
vita  di  Dania,  Fir.,  1861,  p.  16).  —  46.  levò 
le  ciglia  ecc.  oome  per  ricordarsi  di  qualche 
cosa.  —  Ih  soso;  in  su;  pi6  fluente  ò  la 
forma  in  wso,  della  quale  cfir.  Inf.  xn  131. 
—  46.  firo  aTTSrsi  eoo.  Farinata,  avendo 
innanzi  uno  di  famìglia  guelfa,  corre  col  pen- 
siero a  tutta  la  parte  avversaria  e  ricorda 
d'averne  procurata  per  due  volte  la  cacciata 
dalla  patria;  l'una  nel  febbraio  1248  con  l'a- 
iuto di  Federigo  n  (ofr.  O.  Villani,  Or,  vi 
88),  l'altra  nel  settembre  1260,  dopo  la  bat- 
tuglia  di  Montaperti  (cfr.  Q,  Vili,  Cr,  vi  78- 


81).  —  47.  miei  prlnltmisiaLtenalL  — 4». 
d'ogni  ^rte:  da  tutti  i  luoghi,  spedalmenta 
di  Toscana,  dove  s'erano  rifugiati  gli  esuli 
guelfi.  —  60.  Pana  e  l'altra  fiata:  dopo  U 
prima  cacciata,  i  guelfi  faomsoiti  litomazono 
in  Firenze  nel  gennaio  1261,  richiamati  dal 
popolo  levatosi  contro  i  ghibellini  (cfir.  Q-. 
Vili.,  Or,  VX  42);  dopo  la  seconda  cacciata, 
ritornarono  sulla  fine  del  1266,  doè  dopo  la 
rovina  del  ghibellinismo  segnata  dalla  batta- 
glia di  Benevento  (cfir.  0.  VllL,  Or,  vn  14). 
—  61. 1  vostri  ecc.  1  ghibellini  e  specialmente 
gli  TTberti  non  appresero  bene  l'arte  di  ritor- 
nare in  patria,  poiché  dopo  la  cacciata  del 
1266  e  l'abbandono  che  tutta  la  parte  feoe 
della  patria  nella  pasqua  del  1267  {otr,  G. 
Vili.,  Or,  vn  16)  non  rimisero  pi4  piede  in 
Firenze;  e  nella  generale  padficaiioiie  tra 
guelfi  e  ghibellini  conclusa  nel  1280  non  tit" 
reno  comprese  circa  sessanta  Duniglie,  prin- 
cipalissuna  fra  queste  quella  dei  discendenti 
di  Farinata  (cfir.  G.  YUL,  O.  vn  66;  Com- 
pagni, Or,  1  8;  P.  Pieri,  O.  p.  4S).  ^  62. 
Allor  eco.  A  interrompere  il  dialogo  txm  Fa- 
rinata e  Dante  sorge  alla  bocca  dell'avello 
l'ombra  di  Cavalcante  Cavalcanti;  del  quale 
dice  il  Boco.  che  fu  «  leggiadro  e  ricco  cava- 
liere, e  segui  l'opinione  d'Epicuro,  in  non 
credere  che  l'anima  dopo  la  morte  del  corpo 
vivesse,  e  che  il  nostro  sommo  bene  fòsse 
ne'  diletti  carnali  »,  e  il  Buti  aggiunge  che 
«  fu  della  setta  di  messer  Farinata  in  eresia, 
e  però  lo  mette  seco  in  un  sepolcro  »  :  Caval- 
cante era  guelfo;  fa  podestà  di  Gubbio  nel 
1257  e  dopo  Montaperti  1  ghibellini  dettero 
il  guasto  alle  sue  case  ;  —  vista  seepereMa. 
ta:  apertura  senza  coperchio;  chó  pista  qui, 
oome  in  Purg,  x  67,  vale  apertura,  per  la 


INPERNO  -  CANTO  X 


73 


un'ombra  lungo  questa  infino  al  mento; 
54        credo  che  s'era  in  ginocchion  levata. 
D'intorno  mi  guardò,  come  talento 
avesse  di  veder  s'altri  era  meco; 
57       ma  poi  che  il  suspicar  fu  tutto  spento, 
piangendo  disse  :  <  Se  per  questo  cieco 
carcere  vai  per  altezza  d'ingegno, 
60       mio  figlio  ov'è?  e  perché  non  ò  teco?  » 
Ed  io  a  lui:  €  Da  me  stesso  non  vegno  ; 


qoito  ti  pod  Tedere.  —  68.  luift  f  iMto  eoo., 
■ooMkto  a  qiialla  di  Fuìiiata,  faoendoei  Tedeie 
ano  al  BMotD  :  kmgo  tigiiiflc»  «ppiMOO,  ao- 
cuto;  è  anche  nella  F.  N.  xn  11,  zzm  64, 
zzziT  6,  la/',  zxx  98,  Bar.  xxzn  180.  —  65. 
riaUno  Mi  ffsard^  eoo.  H  primo  atto  di 
Omlcante  risponde  al  desiderio  del  suo  cuore 
4i  Tedaxe  in  compagnia  di  Danto  il  figlio 
Guido.  —  67.  snspicars  sospettale,  dubitare, 
dr.  Pmy,  xn  129:  il  yb.  dipinge  aisai  bene 
r  iaeertesza  ohe  si  mesoolaTa  al  desiderio  di 
GsTaloante.  —  68.  Se  per  «  nesto  eoo.  8e  ti 
i  stato  ooncesao  di  visitare  l' inferno,  in  pre- 
mio del  tuo  nobile  intelletto,  perché  non  ò 
teoo  mio  figlio,  che  per  altezsa  d' ingegno  non 
è  ponto  da  meno  di  to?  —  60.  mio  figlio  t 
Godo  Caralcanti  naoqoe  circa  a  mezzo  il  se- 
cdo  xm,  probabilmento  dopo  Q  1251;  allor- 
ché nel  1ÌS7  a  garanzia  di  pace  ai  strinsero 
tanti  parentadi  tra  Cuniglie  d'opposita  fkrione, 
te  dal  padre  fidanzato  a  Beatrice  degli  Uberti, 
figlia  di  Farinata,  e  oondnsoai  il  matrimonio 
s'ebbe  parecchi  flglinoIL  Partecipò,  come 
gseifo  ^e  era,  s^^  aiEari  del  Gemane,  e  nel 
1280  fb  tra  i  malleTadori  per  roesenranza  dei 
patti  ginzati  al  cardinale  Latino  e  nel  1284 
collega  a  Bnmetto  Latini  e  a  Dino  Compagni 
Bei  consigli  della  città.  Nella  divisione  del 
laoo  aegoi  parto  bianca,  ed  ebbe  gran  parto 
Mlle  lotto  faziose  e  ai  oppose  più  volto  a 
Oocso  Donati:  confinato  nel  giogno  1900  a 
Sm^f^myttL^  se  ritornò  ammalato  e  mori  in  pa- 
tria  nell'agosto.  E  fu  grande  dannaggio^  dicono 
i  cronisti,  poiché  per  altezza  d' ingegno  pochi 
lo  pareggiavano  in  patria,  ed  era  ecrteae  è 
ordito  e  «evfMdioto  ii»  mo^  eoee,  ma  anche 
idegrwm  e  mlilaHo  »  intento  aUo  studio  ;  delle 
qaali  soe  virtfi  e  condirioni  dovette  esser 
grande  il  grido  in  Firmze,  se  la  tradizione  ne 
aopravisse  tra  T  imperversare  delle  fazioni 
mm>  al  Booc  (Dee.  vi  9)  e  al  Sacchetti  (nov. 
xxvm),  che  ne  fecer  novelle.  Fa  caltore  della 
poesia  volgare,  e  lasciò  ona  canzone  soUa 
aatnra  d'amore  assai  lodata  come  opera  dot- 
trinale, •  sonetti  e  ballate  amatorie  di  sgol- 
ata eleganza:  ctr.  P.  Ercole,  O.  Ckivale.  é  le 
mm  foméj  Livorno,  1885.  —  61.  Da  me  stes- 
se eoe.  Molto  difficile  ò  V  intorpretazione  di 
qisste  risposta  di  Dante.  Dei  commentatori 


antichi,  i  più  tannerò  che  Chiido  in  generale 
avesse  dispresBO  per  i  poeti  (Lana,  Ott,  Bati), 
aggiongendo  alcnni  che  dò  fa  peroh'  egli  era 
tatto  dato  agli  stodl  filosofici  (Booc,  Benv., 
An.  fior.,  Land.,  ecc.):  dai  moderni,  alcnni 
dettero  di  cotesto  disdegno  una  ragione  d'in- 
dole politica,  dicendo  che  il  Cavalcanti  guelfo 
non  poteva  ammirare  Virgilio,  poeto  dell'idea 
imperiale;  altri,  nna  ragione  letteraria,  aiferw 
mando  ohe  il  Omdcanti  fosse  dispreoatore 
della  Ungaa  latina  (dtano  U  passo  della  r.  a: 
XXX 16:  e  simile  intenzione  so  ch'ebbe  questo 
mio  primo  amico,  a  col  io  dò  scrivo,  dò  è 
eh'  io  li  scrivessi  solamento  in  volgare  >).  Fi- 
nalmento  F.  D' Ovidio,  Saggi  eritiei,  Napoli, 
1879,  pp.  812-829,  movendo  dal  tetto  atte- 
stato da  parecchi  scrittori  antichi  che  Onido 
fosse  irrelìgioeo  (Booc,  Deo,  vx  9  :  <  alquanto 
tenea  dell'opinione  degli  epioaii,  si  diceva  tra 
la  gento  volare  ohe  qnesto  sae  specnlarioni 
eran  solo  in  cercare  se  trovar  d  potesse  che 
Iddio  non  fosse  >,  e  Benv.  :  <  enorem  qnem 
pater  habebat  ex  Ignorantia,  ipso  oonabator 
defendere  per  sdentiam  »),  cercò  di  provaie 
che  Danto  rispondendo  al  vecchio  Cavalcanti 
intendesse  dire,  il  figlio  di  lai  non  aver  forse 
avuta  cosi  dcura  credenza  in  Dio  da  inchi- 
narsi a  Virgilio,  ohe  simboleggia  la  ragione 
illuminata  dalla  fede:  ma  poi  d  ò  ricreduto  e 
negli  StudU  mUia  din,  Oomn,^  pp.  160-201, 
temperando  la  vecchia  con  la  nuova  interpre- 
tazione, condude  che  il  disdegno  del  Caval- 
canti <  non  può  riguardare  dhe  l' Eneide^  e 
se  l'epicureismo  di  Guido  o'  entra  per  qual- 
cosa, sarà  come  antited  alla  religiodtà  dd- 
VEntidey  alle  sue  deeoririoni  della  vita  futura, 
a  quello  insomma  ohe  pd  mistico  Dante  fa 
una  delle  prlndpali  attrattive  e  ispirazioni  >  ; 
e  a  questa  condudone  il  D'Ovidio  giunse  at- 
traverso condderarioni  di  molto  valore,  tra 
le  quali  è  notevole  questa,  p.  167:  «  Spinto 
da  un  pietoso  sentimento  di  vera  generosità 
verso  ramìco  e  di  drammatica  condiscendenza 
verso  il  padre  di  lui,  che,  come  i  padri  so- 
gliono, non  ammetteva  neanche  la  posdbilità 
che  l'altezza  dell'  ingegno  di  suo  figlio  non 
fosse  pari  a  quella  del  suo  compagno,  e  com- 
mosso di  riconoscenza  vivissima  per  quel- 
r  Enmd»  che  aveva  sprigionato  le  energie 


74 


DIVINA  COMMEDIA 


colui,  che  attende  là,  per  qui  mi  mena, 
63       forse  cui  Guido  vostro  ebbe  a  disdegno  >. 
Le  sue  parole  e  il  modo  della  pena 
m'avevan  di  costui  già  letto  il  nome; 
66       però  fu  la  risposta  cosi  piena. 
Di  subito  drizzato  gridò  :  €  Come 
dicesti?  Egli  ebbe!?  non  viv'egli  ancora? 
69       non  fiere  gli  occhi  suoi  lo  dolce  lome?  » 
Quando  s'accorse  d'alcuna  dimora 
ch'io  faceva  dinanzi  alla  risposta, 
72       supin  ricadde,  e  più  non  parve  fuora. 
Ma  quell'altro  magnanimo,  a  cui  posta 
restato  m'era,  non  mutò  aspetto, 
75       né  mosse  collo,  né  piegò  sua  costa. 
€  E  se,  continuando  al  primo  detto, 
egli  han  quell'arte,  disse,  male  appresa, 
78        ciò  mi  tormenta  più  che  questo  letto. 
Ma  non  cinquanta  volte  fia  raccesa 


latenti  del  lao  spirito,  [Dante]  trasooneva 
nella  nobile  eengeiazione  di  attribuire  a  dò 
che  era  stato  stnunento  all'edacadone  del 
sno  ingegno  anche  old  che  era  merito  del- 
l' ingegno  stesso  >.  A  questa  opinione  sembra 
accedere  ora  anche  il  Del  Lungo,  Leetura, 
p.  24.  Altri  hanno  inteso  che  l'oggetto  del 
disdegno  di  Qoido  non  fosse  Virgilio,  ma  Bea- 
trice, come  persona  o  come  simbolo;  spiegan- 
do :  Virgilio  mi  guida  a  colei  che  vostro  figlio 
eoo.  Ma  molto  si  è  disputato  su  questo  passo, 
senza  conclusione  certa:  si  veda  Del  Lungo, 
DanUf  n,  pp.  8-61.  —  63.  dlsdegao:  il  vo- 
cabolo non  disconviene  alla  ritrosia  o  indiffe- 
renza di  Guido  per  VEneid»  ;  tanto  pi6  che 
nei  poeti  antichi  diadeffno  significa  il  non  voler 
amare,  si  cho  <  ben  poteva  Dante  usar  quel 
vocabolo  semplicemente  per  indicare  che  altri 
non  sentisse  per  Virgilio  il  grandt  amon  che 
sentiva  lui  >  (D*  Ovidio,  p.  179).  —  64.  Le 
sne  parole  eco.  Le  parole,  con  le  quali  avea 
chiesto  di  suo  figlio  (w.  68-60):  eh.  Jnf.  v 
37.  _  65.  letto:  manifestato ;cfr.i\ify.xzvi 
85.  —  66.  pleaa  :  sicura,  compiuta,  come  s'e- 
gli m'avesse  detto  il  nome  di  Guido.  —  67. 
DI  sabito  drliiato  gridò:  questo  secondo 
movimento  di  Cavalcanto,  che  si  leva  in  piedi 
0  grida  dolorosamente,  risponde  al  nuovo  stato 
dell'animo  suo,  al  disinganno  cagionato  dalle 
parole  di  Dante.  —  Come  dicesti  ecc.  Ca- 
valcante non  afferra,  del  discorso  di  Dante, 
altro  che  le  parole  ciie  gli  sembrano  signifi- 
care che  Guido  non  sia  più  tra  i  vivi,  e  con 
impeto  incalzante  gli  chiede  a  più  riprese  se 
il  figlio  suo  viva  ancora;  e  poiché  crede  e 
non  crede,  rompo  il  suo  discorso  in  angosciose 


domande.  —  69.  bob  Aere  ecc.  il  dolco  lume 
del  solo  non  percuoto  più,  non  risplende  più 
ai  suoi  oochi?  —  lome:  lume;  forma  che  di- 
cono dovuta  all'  influenza  dei  dialetti  setten- 
trionali, ma  è  anche  in  altri  poeti  toscani, 
per  OS.  nel  Cavalcanti,  canz.  1 17,  son.  xxxrv 
(vedasi  Parodi,  BuU,  m  96).  —  70.  Qvando 
eoo.  De  Sanctis,  p.  45:  e  A  ciascuna  do- 
manda del  padre,  Dante  rimane  in  silenzio  o 
come  assorto:  diresti  che  un  altro  pensiero 
gli  si  attraversi  pel  capo.  Pensava:  poi  cho  i 
dannati  conoscono  l'avvenire,  o  come  igno- 
rano il  presento?  come  Cavalcante  ignora  che 
Guido  è  ancor  vivo?  Ma  il  silenzio  di  Dante 
avea  per  Cavalcante  un  terrìbile  significato. 
Quel  silenzio  voleva  dire  :  tuo  figlio  è  morto  !  > . 
—  dimora:  indugio.  —  72.  sapla  ricadde 
eco.  ricadde  all'  indietro,  nel  fondo  dell'avello, 
vinto  dal  supremo  dolore.  —  73.  Ma  quel* 
1*  altro  magnanimo  eoo.  Farinata  rimano 
immobile  a  questa  scena  dolorosa,  porche, 
come  dice  bene  il  Do  Sanctis,  p.  46.,  «  egli 
non  vede  e  non  ode,  perché  lo  parole  di  Ca- 
valcante giungono  al  suo  orecchio  senza  an- 
dare sino  all'anima,  perch6  la  sua  anima  è 
tutta  in  un  pensiero  unico,  rimaselo  infisso 
come  uno  strale,  VarU  male  appnaa^  o  tutto 
quello  che  avviene  ftiori  di  sé,  ò  come  non 
avvenuto  per  lei  >.  —  a  evi  posta:  a  richie- 
sta del  quale:  cfir.  v.  24.  —  76.  E  le  eoe. 
Farinata,  riprendendo  il  dialogo  con  Dante 
interrotto  dall'apparir  di  Cavalcante,  disse  in 
risposta  alle  ultime  parole  del  poeta  eoo.  :  ott, 
V.  51.  —  77.  s'egli  haa  eco.  il  fatto  che  1 
ghibellini  non  abbiano  saputo  tornare  in  pa- 
tria ecc.  —  79.  Ma  von  tlnqnaatA  eoo.  La 


INPERNO  -  CANTO  X 


75 


la  faccia  della  donna  che  qui  regge, 
81        che  tu  saprai  quanto  quell'arte  pesa. 
E  se  tu  mai  nel  dolce  mondo  regge, 
dimmi,  perché  quel  popolo  ò  si  empio 
84       incontro  a'  miei  in  ciascuna  sua  legge  ?  » 
Ond'io  a  lui:  €  Lo  strazio  e  il  grande  scempio, 
che  fece  l'Arbia  colorata  in  rosso, 
87        tale  orazion  fa  far  nel  nostro  tempio  ». 
Poi  ch'ebbe  sospirando  il  capo  scosso, 
€  A  ciò  non  fui  io  sol,  disse,  né  certo 
90       senza  cagion  sarei  con  gli  altri  mosso: 
ma  fii'io  sol  colà,  dove  sofferto 


éoona  che  regge  neir  inferno  d  Proserpina, 
Bogfie  di  Fiutone,  identifloata  poeticamente 
OQn  la  lun»,  la  fiwda  della  quale  si  lacoende, 
eiod  si  presenta  tatta  illnmìnata,  nna  volta 
ogni  mese.  Oosi  la  terzina  significa:  Non  pas- 
samano cinquanta  mesi  (quattro  anni  e  due 
sed,  daU'a^e  1800,  al  giugno  1804)  e  anche 
tu  pioTerei  quanto  grave  e  difficile  arte  sia 
agli  esuli  quella  del  tornare  in  patria:  infatti 
DaatB,  esiliato  nel  1802,  prese  parte  ai  ten- 
datàri  della  parte  bianca  di  rientrare  in  Fi- 
renze con  la  forza;  falliti  i  quali  abbandonò 
la  esosa  dei  suoi  compagni  di  parte,  poco 
prima  deU'  impresa  della  Lastra,  nell'estate 
del  1304  (cfr.  Fttr,  zvn  65).  —  82.  se  ti  ecc. 
oasi  tu  possa  ritornare  ecc.;  poiché  il  m  ha 
qui  come  in  molti  altri  luog^  del  poema,  il 
ralore  deprecativo  del  aie  latino.  —  regge  : 
a  Blanc  crede  che  sia  un'  «  antica  forma  del 
eimg,  di  ndin  >  ;  meglio  ò  considerarla  come 
2*  pers.  cong.  pres.  di  rieduv:  ctt.  però  Pa- 
rodi, BuU.  m  180.  ~  83.  «sei  popolo  ecc.: 
il  popolo  fiorentino  guelfo,  nimicissimo  dogli 
Ubati  capi  di  parte  ghibellina,  era  tanto  in- 
d^nato  contro  quella  famiglia  che  essa  fu 
eccettuata  dalla  pace  Mta  nel  1280  tre  le  fa- 
zioal;  attesta  il  Booc  che  <  mai  della  fami- 
glia Ubarti  alcuna  cosa  si  voleva  udire,  se 
ma  in  disfiuiniento  e  distruzione  di  loro  >  e 
B^EV.  sggiunge  che  «  quando  flt  aliqua  re- 
fbrmatio  florentiae  de  ezulibus  rebanniendis 
exeiudnntor  liberti  >.  —  85.  Lo  strazio  ecc. 
Afìnenna  alla  battaglia  combattuta  a  Monta- 
perti  sul  fiume  Afbia  il  4  settembre  1260,  tre 
i  senesi  e  i  ghibellini  fuorusciti  da  una  parte 
e  i  fiorentini  guelfi  dall'altre;  battaglia  che 
fu  per  i  fiorentini  una  rovinosa  sconfitta, 
aeUa  quale  ebbe  una  gran  parte  Farinata  con 
gli  altd  Uberti  :  cfir.  B.  Aquarone,  Dante  in 
Siena^  Siena,  1865,  pp.  9-27,  e  0.  PaoU,  La 
baOc^tia  di  MontapvrU,  Siena,  1870.  ~  87. 
tale  eraslon  eoo.  Si  pud  intendere  in  due 
modi,  secondo  che  alle  parole  oraxione  e  tom- 
fio  si  attrìbuiace  significato  proprio  o  figurato: 
Bst  pifflo  esso  Tonebbe  dire:  «  tali  fa  essere 


i  nostri  sentimenti,  e  a  questi  ispire  le  pre- 
ghiere che  a  Dio  nelle  chiese  nostre  innal- 
ziamo >  ;  nel  secondo  invece  :  «  tali  decreti 
fa  prendere  nei  consigli  del  popolo  fiorentino, 
che  si  tengono  nelle  chiese  ».  Cfr.  Del  Lungo, 
I  518-20.  —  88.  Poi  ch'ebbe  ecc.  De  Sanctis, 
p.  48:  «Quando  Farinata  ha  detto:  Io  per 
dm  fiate  gh  diapereif  quel  motto  d  par  su- 
blime, perché  ci  mostre  un  grand'uomo,  che 
quasi  con  un  solo  sguardo  mette  in  foga  gli 
awersarii.  Ma  quando  Dante  gli  gitta  sul 
viso  il  sangue  dtti^o  e  gli  mostre  VArbia 
eolorala  in  roeeot  il  fiero  nomo  sospira,  egli 
che  aveva  dotto  testò  iOt  e  non  soffre  ore  di 
regger  sulle  spalle  egli  solo  il  peso  di  quel 
rimprovero,  e  va  cercando  compagni;  ma  ri- 
leva  tosto  il  capo  trovando  nella  sua  vita  la 
più  bella  delle  sue  azioni,  di  cui  la  gloria  è 
tutta  sua,  di  lui  solo:  la  scena  si  rischiara  e 
si  abbella;  al  cruento  vincitore  di  Arbia  suc- 
cede il  salvatore  di  Firenze,  ultima  imagine 
ohe  ò  la  purificazione  e  la  trasfigurazione  del 
partigiano  ».  —  88.  A  dò  ecc.  Nota  il  Del 
Lungo,  Dantey  U  436  l'uso  della  tnn  eeaere 
a  ùiòf  per  riflesso  della  latina  esse  ad  prediota, 
usata  spessissimo  nei  documenti  fiorentini 
«  parlandosi  di  convegni,  imprese,  e  piti  spo- 
dalmente  spedizioni,  assalti,  difese,  invasioni, 
tumulti,  ed  altri  atti  di  violenza  o  di  resi- 
stenza». •—  91.  ma  fu'  lo  sol  eco.  Dopo  la 
vittoria  di  Montaperti  i  ghibellini  toscani  ra- 
dunati in  Empoli  trottavano  di  toglier  via  la 
cagione  dei  loro  timori,  distruggendo  Firenze; 
del  qual  partito  ftirono  propugnatori  ardenti 
Provenzano  Salvani  {ett,  Purg,  zi  122)  e  i 
pisani:  ma  Farinata  degli  Uberti  s'oppose  vi- 
gorosamente e  ottenne  che  alla  sua  patria 
fosse  risparmiata  tanta  sciagure  ;  ofr.  G.  Vili., 
O.  VI  81,  il  quale  onestamente  osserva  che 
«  il  detto  popolo  di  Firenze  ne  fu  ingrato, 
male  conoscente  contro  il  detto  Farinata  e  sua 
progenie  e  lignaggio....  Ma  per  la  soonoscon- 
za  dello  ingreto  popolo,  nondimeno  ò  da  com- 
mendare, e  da  fare  notabile  memoria  dol  vir- 
tudioso  e  buono  dttadino,  che  foce  a  guisa 


76  DIVINA  COMMEDIA 


fa  per  ciascun  di  toglier  via  Fiorenza. 
93       colui  che  la  difesi  a  viso  aperto  >. 
€  Dell,  se  riposi  mai  vostra  semenza, 
prega' io  lui,  solvetemi  quel  nodo, 
96       che  qyd  ha  inviluppata  mia  sentenza. 
£'  par  che  voi  veggiate,  se  ben  odo, 
dinanzi  quel  che  il  tempo  seco  adduce, 
99       e  nel  presente  tenete  altro  modo  >. 

€  Noi  veggiam,  come  quei  e*  ha  mala  luce, 
le  cose,  disse,  che  ne  son  lontano; 
102       cotanto  ancor  ne  splende  il  sommo  duce: 
quando  s'appressano,  o  son,  tutto  è  vano 
nostro  intelletto;  e  s'altri  noi  ci  apporta, 
105       nulla  sapem  di  vostro  stato  umano. 
Però  comprender  puoi  che  tutta  morta 
fia  nostra  conoscenza  da  quel  punto 
108       che  del  futuro  fia  chiusa  la  porta  >. 
Allor,  come  di  mia  colpa  compunto, 
dissi  :  «  Or  direte  dunque  a  quel  caduto 
111        che  il  suo  nato  è  co'  vivi  ancor  congiunto. 
E  s'io  fui  dianzi  alla  risposta  muto, 
fate  i  saper  che  il  fei,  perché  pensava 
114        già  nell'error  che  m'avete  soluto  >. 
E  già  il  maestro  mio  mi  richiamava; 
per  ch'io  pregai  lo  spirto  più  avaccio 
117        che  mi  dicesse  chi  con  lui  si  stava. 

del  buono  antico  Gammillo  di  Boma  »,  —  92.  tuUa  preadenxa  dM'awmin  dei  datmaU  nd 

toglier  wx.  Del  Lungo,  DanU,  II 66:  «  Spa-  e.  VI  6  X  dM*hif,,  Bassano,  187i;  Poletto, 

renterole  commento  al  Terso  dantesco,  e  alla  Dix,  I  247;  L.  Arezio,  SuUa  teoria  daminoli 

nanasione  de'  cronisti,  ò  l'elenco  delle  case,  deUa  preaeianxOy  Palenno,  1896  ;  BulL  IV  45 

delle  toni,  dei  palagi,  distratti  o  sconciati  e  VI  76).  —  Tegglaai,  come  «■•!  eco.  oo- 

dai  Ghibellini  nella  città  e  nel  contado,  fira  nosdamo  il  ftitoro  e  non  il  preeente,  come 

il  i  di  settembre  del  1260  e  T  11  di  novem-  l'aomo  che  ha  cattiva  vista  vede  le  cose  lon- 

bre  del  1266  >.  —  94.  se:  cfir.  sopra  al  r.  82.  tane  e  non  le  vicine.  —  102.  eetaato  eoe 

—  iemeisat  qui  vale  propriamente  i  discen-  Bnti:  «  Idio  cotanto  di  splendore  dà  a  noi 
denti;  come  in  Par,  ix  S.  —  96.  nodo:  dab-  dannati,  che  noi  sappiamo  le  cose  fatare  per 
bio,  difficoltà  ohe  tiene  la  mente  noli'  incer-  le  loro  cagioni  >.  —  104.  s'altri  noi  et  mp- 
tozza  e  neU'  ignoranza  del  vero:  cfr.  Purg,  port»  eoo.  se  altre  anime,  venendo  dal  mondo, 
IX  126,  XXIV  55,  Par,  vn  63,  xxvm  68.  —  non  ce  ne  recano  nov^e,  nulla  sappiamo 
97.  reggiate...  dlaaizl  ^lel  ecc.  :  prevediate  della  presente  vostra  condizione.  — *  106.  iatta 
ciò  che  accadrà  nel  ftatoro.  —  se  ben  odo  :  morta  eco.  sarà  del  tatto  estinta  la  nostra 
se  bene  ho  inteso  il  valore  profético  delle  tao  conosoenxa,  dopo  il  giudizio  universale,  poi- 
parole;  cfr.  w.  79-81.  —  99.  e  nel  freseute  chó  allora  non  sarà  più  il  fatare  ma  l'eterno, 
eoe.  non  conoscete  la  condizione  dei  fatti  pre-  •—  109.  di  «la  eolpa:  quella  d'avere  cagio- 
senti;  poiché  Cavalcante  ha  mostrato  di  non  nato  un  dolore  a  Cavalcante,  indugiando  a 
sapere  che  suo  figlio  Guido  sia  ancor  vivo,  rispondergli.  — 110.  «nel  eadnto:  cfr.  v.  72. 

—  100.  Nel:  secondo  la  maggior  parte  dei  —  111.  il  sao  nato  eoo.  suo  figlio  Guido  ò 
commentatori  Farinata  intende  parlare  di  tutti  ancora  tra  i  vtvi.  —  112.  E  i*  le  fki  eoo. 
1  dannati;  secondo  alcuni  invece  parlerebbe  cfr.  v.  70.  —  113.  It  a  lui;  cfr.  Inf.  u  17. 
di  soli  quelli  del  sesto  oerohio  (cfr.  N.  Tom-  — 116.  pid  avaedo  eoe.  che  mi  dicesse,  nel 
manon,  LttUra  tuU*  igtwnmxa  del  preomtU  •  modo  pi4  q^iccio,  ohi  fosaeio  i  fooi  coni* 


INPERNO  -  CANTO  X 


77 


Dissemi:  €  Qui  con  più  di  mille  giaccio: 
qua  dentro  ò  lo  secondo  Federico, 
120        e  il  cardinale,  e  degli  altri  mi  taccio  >. 
Indi  s'ascose;  ed  io  in  vèr  l'antico 
poeta  volsi  i  passi,  ripensando' 
123       a  quel  parlar  che  mi  parca  nemico. 
Egli  si  mosse;  e  poi  cosi  andando, 
mi  disse:  €  Perché  sei  tu  si  smarrito?  » 
126       ed  io  li  satisfeci  al  suo  dimando. 
€  La  mente  tua  conservi  quel  ch'udito 
hai  centra  te,  mi  comandò  quel  saggio, 
129        ed  ora  attendi  qui  »;  e  drizzò  il  dito. 
€  Quando  sarai  dinanzi  al  dolce  raggio 
di  quella,  il  cui  bell'occhio  tutto  vede, 
132       da  lei  saprai  di  tua  vita  il  viaggio  ». 
Appresso  volse  a  man  sinistra  il  piede: 
lasciammo  il  muro,  e  gimmo  in  vèr  lo  mezzo 


pagni;  cCr.  Inf.  xiiiii  106.  — 119.  lo  Mcoido 
Fèétorlco  :  Federico  n,  imperatole  e  le  di  Na- 
poli, n.  nel  ll^iem.  nel  1260:  Dante  gli  dà  lo- 
ie attrove  di  nomo  degno  d'onore  (W*  zm  76), 

•  di  principe  umano  e  di  nobili  gpiriti(I>«  vulg, 
tkq.  I  12)  e  lo  ricorda  oome  bnon  logico  e 
dotto  {Cam.  IT  10),  por  gindioandolo  eretioo. 
Bear,  waire  di  Federico:  <  Mt  vere  epicn- 
rana;  qnoniam  intendena  potentiae  et  imperio 
per  £m  et  nefu  inaonexit  ingrate  centra 
■atrem  eocleeiam,  qnae  ipsnm  pupillnm  edn- 
earent  et  exaltayerat  ad  imperiom  ;  et  ipsam 
iTr>ftfliftin  Tarila  bellia  afBixit  per  apatÌTim 
triginta  annomm  et  ultra;  paoem  torpem 
fBdt  com  Soldano,  qnnm  poaset  totam  Ter- 
nm  aanctam  recaperare:  mnltoa  praelatos, 
c^toe  renientee  ad  conoiliam  per  mare,  inho- 
BMte  tractarit  et  in  caioeribna  maoeravit  : 
flfyy^s^«oa  indnxit  in  Italiam  :  beneficia  ecole- 
nantm  oontolit,  et  bona  eamm  naorpayit». 
Salimbene,  Oron,  p.  168:  e  Erat  enim  epicur 
reo,  et  ideo  qnidqoid  poterai  invenire  in 
diTina  acriptnia  per  se  et  per  sapientes  snoa 
qaod  liaoeret  ad  oetendendnm  qnod  non  easet 
alia  rita  post  mortem,  totam  inTeniebat  >  ; 
e  fl  troratore  Ugo  di  Sain  Ciro  aorisae  di  Fe- 
darioo  n  :  e  Nò  vita  dopo  morte  né  paradiso 
non  crede,  e  dice  che  l'uomo  è  niente  da  poi 
che  perde  il  respiro  ».  —  120.  Il  eardinale  : 
Ottaviano  degli  Ubaldini,  della  famiglia  ghi- 
bellina che  signoregipd  hingamente  il  Mugello 

•  la  Romagna  toscana  (cflr.  Purg.  xnr  106)  ; 
fti  TsecoTO  di  Bologna  dal  1240  al  1344,  ta 
eletto  cardinale  nel  1245,  e  mori  nel  1272  : 
■ebbene  combattesse  più  anni  per  il  papa 
eoatro  Federico  n,  egli  fa  d'animo  più  tosto 
ShibeQino;  e  gii  antichi  commentatori  gli  at- 
tabcdaoono  un  motto:   «  Se  anima  i,  per  li 


GhibelUni  io  1'  ho  perduta  »,  per  il  qaale 
Dante  lo  allogd  fra  gì'  increduli:  cfir.  Q,  B. 
Ubaldini,  Atoria  detta  casa  degU  Zrbaldini  è 
dnf  fatti  d'alouni  di  qusUa  fam.,  Firenxe,  1588, 
e  O.  Levi,  Registri  dei  card,  U.  d'  Ostia  e 
OUMf,  dagli  Ubaldini,  Boma,  1890.  —  degli 
altri  eoe  Del  Lungo,  Lectura,  p.  89  :  «  Con 
quell'altri  yoUe  certamente  il  poeta  che  Fari- 
nata indicasse  tutta  quella  povera  gente  che 
nei  misteri  dei  conciliaboli  paterìni,  nelle 
cerimonie  della  cosi  detta  coneolaxione ...  tra- 
viava i  sentimenti  religiosi,  in  codesta  età 
riboccanti.  Di  questi  eonaoloH  e  eoneolatef  Fi- 
renze e  altre  città  della  Toscana  ne  ebbero  in 
gran  numero;  e  i  loro  oscuri  nomi,  taciuti 
dal  Farinata  dantesco,  rimangono  nei  docu- 
menti >  :  rimangono  nei  processi  fierissimi  on- 
de fi  perseguitata  con  la  loro  persona  anche 
la  loro  memoria;  e  tra  i  condannati,  in  uno 
del  1288,  Farinata  è  segnato,  sebben  morto, 
insieme  con  i  figli  e  la  moglie  :  cf^.  F.  Tocco, 
DarUe  §  Veretia,  p.  7.  —  123.  •  «ael  parlar 
eco.  cioè  alla  proferia  di  Farinata;  ofr.  vr. 
79-81.  —  126.  gli  aatiiflMi  eoo.  dicendogU 
eh'  io  era  tutto  smarrito,  per  l'annunrio  dei 
ftiturì  mali  contenuto  nelle  parole  di  Farinata. 
—  127.  La  mente  taa  eoe.  Non  dimenticare 
ciò  che  dei  tuoi  mali  ftituri  ti  è  stato  pre- 
detto; ma  per  ora  poni  mente  alle  cose  pre- 
senti. —  129.  attendi  ecc.  fa  attenrione  a 
ciò  che  sono  per  dirti.  —  •  drlasò  11  dito: 
Buti:  «per  maggior  demostrazione  d'alcuna 
spedai  verità  ».  —  181.  di  «nella  ecc.  di 
Beatrice;  la  quale  guiderà  Dante  di  cielo  in 
cielo,  e  nella  stella  di  Marte  lo  esorterà  a 
chiedere  al  suo  antenato  Cacciaguida  quale 
sia  per  essere  il  corso  della  sua  vita  futura 
(cfr.  Par,  xvu  7-30).  —  134.  laacUauno  ecc.  : 


78  DIVINA  COMMEDU 


per  un  sentier  eh' ad  una  valle  fiede, 
136    che  in  fin  là  su  ÙLce&  splacer  suo  lezzo. 

lasciando  la  Tia  tra  le  mora  della  città  di  niut  yalle.  —  186.  eke  Ih  te  là  ■■  eoe  U 

Dite  e  le  aiohe  infooate,  Dante  e  Virgilio  qnal  valle,  cioè  il  settimo  oerohio,  mandava 

8'  inoltrano  vono  il  mezxo  del  acato  cerchio,  tino  al  cerchio  sesto  il  sao  pozzo  splaoento  ; 

camminando  per  un  sentiero,  che  riesce  ad  ott,  Inf,  xi  4-6,  10-12. 


CANTO  XI 

Prima  di  oscire  dal  sesto  cerchio  per  discendere  nel  settimo,  Virgilio 
espone  a  Dante  la  distribozione  dei  dannati  nelle  singole  parti  degli  nltimi 
tre  cerchi,  gli  spiega  per  quali  ragioni  quelli  che  peccarono  solamente  d*  in- 
continenza siamo  nei  cerchi  superiori  fìiori  della  città  di  Dite,  e  gli  dimostra 
come  P usura  sia  una  violenza  contro  Dio  [0  aprile,  ore  tre  antimeridiane]. 

In  su  l'estremità  d'un' alta  ripa, 
che  fiacevan  gran  pietre  rotte  in  cerchio, 
3        venimmo  sopra  più  crudele  stipa: 
e  quivi  per  l'orribile  soperchio 
del  puzzo,  che  il  profondo  abisso  gitta, 
^        ci  raccostammo  dietro  ad  un  coperchio 
d'un  grande  avello;  ov'io  vidi  una  scritta 
che  diceva:  «  Anastasio  papa  guardo, 
9        lo  qual  trasse  Fotin  della  via  dritta  ». 
<  Lo  nostro  scender  conviene  esser  tardo, 
si  che  s'ausi  prima  un  poco  il  senso 
12        al  tristo  fiato,  e  poi  non  fia  riguardo  ». 

XI  1.  la  sa  r  sfttre  nltà  eco.  La  ripa  cir-  macnlato  d' uno  medesimo  errore  d' eresia  con 
colare  tra  il  sesto  e  il  settimo  cerchio  era  Acazio,  dannato  per  la  Chiesa  cattolica;  et 
tutta  nna  rovina,  formata  oioò  di  grandi  massi  perché  Anastagio  volea  rioomnnicare  questo 
spaccati;  nel  modo  e  per  In  ragione  che  Dante  Acazio,  avegna  iddio  oh*  egli  non  potessi,  fa 
espone  néll'^i/l  xu  1-10,  28-45.  —  8.  pid  percosso  dal  giudizio  di  Dio;  però  che,  ee- 
endele  stipa:  ammasso  di  anime  condan-  sondo  raonnto  il  concilio,  volendo  egli  an- 
nate a  pi6  grave  pena  ;  per  la  voce  ttìtpa  cfr.  dare  a  sgravare  il  ventre  ne'  luòghi  segreti, 
la  nota  all'  Jnf,  xxnr  82.  —  i.  Porribile  so-  per  volere  et  giudioio  divino,  sedendo  et  sfor- 
ptrchio  del  passo  !  il  puzzo  eccessivamente  zandosi,  le  interiora  gli  uscirono  di  sotto  et 
orribile.  — *  7.  grande  avelie  :  conteneva  tutte  ivi  Ani  miserabilmente  sua  vita  ».  Sulla  qu^ 
le  anime  degli  Ariani,  Sabelliani  eoe.,  l' er-  stione  vedasi  il  Tocco,  DofiCs  s  Tsr.,  p.  20.  — 
rore  dei  quali  fb  conforme  a  quello  di  papa  9.  Fotias  diacono  di  Tessalonica,  vissuto  sulla 
Anastasio  II.  —  scritto  :  inscrizione  ;  cosi  fine  del  sec.  v,  trasse  veramente,  a  quel  che 
anche  in  Inf.  vm  127.  —  8.  che  diceva  ecc.  sembra,  noli'  eresia  aoaziana  (che  Cristo  fosse 
L*  inscrizione  diceva  :  Chiudo  il  papa  Anasta-  concepito  e  generato  naturalmente)  l' impe- 
sio,  che  da  Potino  fu  tratto  in  eresia.  —  Ana-  ratore  bisantino  Anastasio  I  (491-618),  oon- 
stasle  papà  :  è  Anastasio  n,  romano,  eletto  fuso  dai  cronisti  posteriori  col  pontefice  Ana- 
papa  nel  496  e  morto  nel  496;  a  proposito  stasio  II  suo  contemporaneo.  Si  noti  l'errore 
del  quale  Dante  più  tosto  che  la  storia  segui  di  molti  commentatori  che  confondono  Potino 
una  tradizione,  cosi  esposta  dall' An.  fior.:  diacono  di  Tessalonica  con  Potino  vescovo 
«  Molti  cherid  si  levorono  contro  a  lui,  perd  dì  Sirmio,  morto  nel  876  circa  e  anch'  egli 
eh'  egli  tenea  ^mi^yj*  et  singulare  fratellanza  condannato  per  dottrine  eretiche.  —  11.  s'ad- 
et  conversazione  con  Potino,  diacono  di  Tes-  al  :  si  abitui  ;  Dante  ha  questo  vb.  ausarsi 
salonica:...  e  questo  Potino  fb  famigliar»  et  anche  in  Pury.  ziz  23  e  Bar,  zvu  11.  —  12. 


INPERNO  -  CANTO  XI 


79 


Cosi  il  maestro  ;  ed  io  :  «  Alcun  compenso, 
dissi  lui,  trova,  che  il  tempo  non  passi 
15       perduto  >  :  ed  egli  :  <  Vedi  clie  a  ciò  penso  ». 
<  Figliuol  mio,  dentro  da  cotesti  sassi, 
cominciò  poi  a  dir,  son  tre  cerchietti 
18        di  grado  in  grado,  come  quei  che  lassi. 
Tutti  son  pien  di  spirti  maledetti  : 
ma  perché  poi  ti  basti  pur  la  vista, 
21        intendi  come  e  perché  son  costretti. 
D'ogni  malizia,  ch'odio  in  cielo  acqiiista, 
ingiuria  è  il  fine,  ed  ogni  fin  cotale 
24        o  con  forza  0  con  frode  altrui  contrista. 
Ma  perché  frode  è  dell' uom  proprio  male, 
più  spiace  a  Dio;  e  però  stan  di  sutto 
27        gli  frodolenti,  e  più  dolor  gli  assale. 
De' violenti  il  primo  cerchio  ò  tutto: 
ma  perché  si  fa  forza  a  ti*e  persone, 
30       in  tre  gironi  ò  distinto  e  costrutto. 
A  Dio,  a  sé,  al  prossimo  si  puòne 
far  forza;  dico  in  loro  ed  in  lor  cose. 


MB  fla  ritardo  :  non  blaogneià  più  gnar- 
tezsL  —  16.  éeatro  4Ae«(Mtl  eoo.  ViigUio 
•fiegft  a  Dante  oome  dentro  della  ripa  sas- 
KMa  tkno  tre  altri  oeiohl,  ohe  insieme  coeti- 
taiaeoDO  l' ultima  parte  dell'inferno;  e  come 
éno  digradanti,  poeti  cioè  Tono  più  in  basso 
detr  altro,  appunto  oome  i  sei  oeroht  percorsi 
iaoxa  dai  poetL  —  20.  aia  fereU  eco.  :  in- 
flitti durante  il  cammino  per  il  settimo  oer- 
«kio  Dante  non  chiede  mai  a  Virgilio  notizia 
dai  daBoati  e  delle  loro  colpe.  D' Gridio,  p. 
130:  «n  peccato  è  di  regola  formalmente 
spedfioato,  o  da  Virgilio,  richiedendolo  o  no 
Dante,  orrero  da  nn'  ombra  ;  oppure  risolta 
per  chiari  acowinl,  per  sioori  indidi,  per  fii^ 
càfiastme  argomentadonL  Via  ria  che  scende, 
r  ahmso  è  men  corrivo  a  interrogarne  il  mae- 
stro; e  negli  vltimi  tre  cerchi,  dopo  la  le- 
xkne  generica,  che  secondo  "^^igilio  farebbe 
che  d' ora  in  poi  bastasse  pur  la  viala,  non 
ha  bisogno  di  molte  parole  per  intendere, 
per  bene  argomentare,  per  contentarsi  di  ao- 
eenni  ooncreti  alle  ombre  o  deUe  ombre.  Ma, 
aahro  eccezioni  che  hanno  una  ragione  eri- 
dente, non  0*  è  mai  caso  eh'  ei  debba  tirar  a 
indorinare  e  sia  costretto  a  capire  prima  di 
lioefcie  d'un  modo  o  d'un  altro  le  debite 
infanBarionL  La  Titta  basta  assai  di  rado  pei 
peccati  singoli,  ed  è  chiaro  che  la  lezione  era 
sanità  sopratatto  per  lo  schematismo  gene- 
rico daDa  tripUoe  dirisione  in  violenza,  frode 
e  tradimento  ».  —  22.  Vogai  mallsla  eoe 
Tvtto  il  passo  è  illnstrato  da  qneste  parole 


di  Qcerone,  Di  offtmSf  i  18  ;  «  Onm  aatem 
daobos  modis,  idest  ant  vi  ant  fhtade  fiat 
ininria,  fhtns  qnasi  vnlpecnlae,  vis  leonis  vi^ 
detnr,  utnunqne  alienissimnm  ab  homine  est, 
sed  tnns  odio  digna  malore  ».  Si  avverta  che 
malixia  qni  ò  in  senso  generico,  per  indi- 
care qualunque  atto  mslvagio  di  violenza  e 
di  frode;  mentre  più  avanti  (v.  82)  è  nel 
senso  più  ristretto  di  frode.  —  26.  frode 
è  éell'aom  piroprio  Baie  s  Yent  :  «  consi- 
stendo non  (come  la  violenza)  nell' abaso 
delle  forze  che  ha  con  gli  altri  animali  co- 
muni, ma  nell'abuso  dell'intelletto  e  della 
ragione,  dote  sua  propria  ».  —  26.  staa  di 
satto  ecc.  :  i  fraudolenti  sono  in  due  oerohi 
più  bassi  di  quello  dei  violenti,  e  precisa- 
mente nell'ottavo  e  nel  nono.  —  sntto:  lat. 
mibtu»,  —  28.  il  primo  cerchio  :  cioè  il  pri- 
mo dei  tr$  oerchietti^  ultimi  dell'  inferno  ;  in 
somma  il  settimo  cerchio.  —  29.  si  fk  fona 
ecc.  :  la  violenza  si  può  usare  in  tro  modi, 
secondo  la  diversità  delle  persone  contro  le 
quali  ò  rivolta.  —  80.  la  tre  gironi  t  le  tro 
parti  minori  in  cui  si  divide  il  settimo  cer- 
chio sono  descrìtte,  la  prima  in  Inf.  xn  46- 
189,  la  seconda  in  Inf,  xm,  la  terza  in  Inf, 
zrv-xvn.  —  81.  paóne:  invece  del  semplice 
pudf  per  una  tendenza  dei  dialetti  toscani  a 
oongiungere  alle  forme  verbali  monosillabi- 
che r  enclitica  ns,  gli  antichi  dissero  p^ìònSf 
oome  diM,  èns,  fins  ecc.:  vedasi  Parodi, 
BuU,  m,  116.  —  82.  dico  la  loro  eco.  qosr 
lunque  specie  di  violenza  pud  ossero  o  con- 


80 


DIVINA  COMMEDU 


83       come  udirai  con  aperta  ragione. 
Morte  per  forza  e  ferute  dogliose 
nel  prossimo  si  danno;  e  nel  suo  avere, 
86       ruine,  incendi  e  toilette  dannose: 
onde  omicide  e  ciascim  che  mal  fiere, 
guastatori  e  pVedon,  tutti  tormenta 
89        lo  gìron  primo  per  diverse  schiere^ 
Puote  uomo  avere  in  sé  man  violenta 
e  ne' suoi  beni:  e  però  nel  secondo 
42       giron  convien  che  senza  prò  si  penta 
qualunque  priva  sé  del  vostro  mondo, 
biscazza  e  fonde  la  sua  facultade, 
45       e  piange  là  dove  esser  dèe  giocondo. 
Puossi  far  £otza  nella  deitade, 
col  cor  negando  e  bestemmiando  quella, 
48        e  spregiando  natura  e  sua  boutade: 
e  però  lo  minor  gìron  suggella 
del  segno  suo  e  Sodoma  e  Caorsa, 
51        e  chi,  spregiando  Dio,  col  cor  favella. 


tio  l0  penone  o  contro  le  cose  loro.  —  83. 
rftfloie  !  rtgioiiamento,  esposizione.  —  Si. 
Morte  eeo.  Detendna  le  colpe  cai  dà  origine 
la  Tiolensa  contro  U  proeiimo,  la  quale  è 
centro  le  peraone  (iMoisioni  e  ferimenti)  o 
contro  le  loro  ooee  (royine,  incendi,  rabene). 
—  86.  rmlae  eoe  Bnti  :  <  e'  offende  lo  pxoe- 
staio  nelle  ne  coee,  o  disfacendo  li  saoi  edi- 
fio!,  e  per5  dice  rume,  o  ardendo  li  suoi  beni, 
e  perd  dice  iiiatndi,  o  rubando  le  sae  facoltà, 
e  però  dice  U^Utk  dwmoH  »  :  la  quale  ultima 
frase  è  spiegata  daU'An.  fior,  per  «  ruberie 
con  danno  et  vergogna  del  prossimo  ».  — 
87.  0B4e  eco.  Inflitti  nel  primo  girone  del 
settimo  cerchio  Dante  trora  Alessandro,  Dio- 
nisio, Ezzelino  da  Bomano,  Obisso  n  d'Est», 
Guido  di  Montfort,  autori  d*omioidt  e  feri- 
menti, o  di  Tiolenze  di  sangue;  Attila  e  Pir- 
ro, grandi  distruttori  di  città  e  devastatori 
di  paesi;  Sesto  Pompeo,  che  corseggiò  il 
mare;  Rinieri  da  Cometo  e  Binieri  de' Pavd, 
»  che  ftorono  rubatori  alle  strade.  —  OMÌelde: 
forma  di  plursle:  attestata  dai  oasi  ove  ri- 
corre in  rima,  Inf.  ix  127,  xix  113;  vedasi 
Parodi,  BuU.  tH  121.  —  40.  Piett  eco.  De- 
termina le  colpe  di  violenza  degli  uomini 
contro  sé  stessi  (suicidio)  e  contro  le  loro 
cose  (dissipazione  degli  averi),  colpe  punite 
nel  secondo  girono,  dove  Dante  incontra  i 
suicidi,  come  Pier  della  Vigna  •  Bocce  dei 
Mozzi,  e  gli  scialacquatori,  come  Lano  da 
Siena  e  Giacomo  da  Sant'  Andrea.  —  44.  bl- 
seassa  e  fOBd«  la  ava  faealtade  :  giucca  e 
dissipa  la  sua  fortuna  ;  il  vb.  bi$eaxatar»^  de- 
rivato dal  none  biteaxxa  col  quale  si  designò 


genericamente  nel  medioevo  il  giuoco  d'as- 
zardo  (ofr.  L.  Zdekauer,  H  gkìoeo  in  SaHa 
nd  990oli  zm  s  xiv,  Fixìnize,  1886,  pp.  U, 
28,  41,  e  Ferrazzi,  V  819),  vale  giocai»,  • 
per  estensione  di  significato,  perdere  giocan- 
do. —  45.  e  plaage  ecc.  Fanf.  :  e  E  ooal 
quelle  cose  ohe  a  ciascuno  dovrebbero  eseere 
cagione  di  gioia  e  scala  al  paradiso,  oome 
la  vita  e  le  ricchezze  ben  usate,  quelle  stease 
gli  sono  cagione  di  pianto  e  di  dannazione 
usate  male  ».  —  46.  Paosfl  eoo.  Determina 
le  colpe  di  violenza  contro  Dio,  secondo  che 
sono  contro  di  lui  (em^età),  contro  la  na- 
tura umana  (sodomia),  contro  la  bontà  di- 
vina (usura).  —  47.  eoi  cer  eoe  :  l'empietà 
consiste  nel  negare  e  bestemmiare  la  divi- 
nità ;  secondo  ohe  si  legge  nella  Bibbia  {Salmi 
X  1)  :  «  L'empio  dice  nel  cuor  suo  :  Non  r*  è 
Dio  >.  —  48.  SM  bontade  :  U  bontà  divina; 
cCr.  V.  95-96.  —  49.  e  però  ecc.  nel  terzo 
girone  sono  appunto  gli  empi,  oome  Oapaneo  ; 
i  sodomiti,  come  Brunetto  Latini  eoo.  ;  e  gli 
nsursi,  come  i  Oianflgliazzi,  Beginaldo  degli 
Scrovegni  ecc.  —  50.  Sedemat  antica  città 
della  Palestina,  distrutta  dal  ftiooo  celeste 
per  il  peccato  contro  natura,  del  quale  fu- 
rono colpevoli  i  suoi  abitanti  (ofir.  Chnesi 
xvni-xix,  e  I\uy,  xxvi  40),  è  posta  qui  a 
indicare  i  sodomiti.  —  Caorsa:  Cahors,  lat. 
Cadvreum^  città  principale  dell'  sito  Quaroy 
in  Francia,  gli  abitanti  della  quale  erano  oosf 
dati  all'  usura,  che  nel  medioevo  si  dissero 
oaornni  tutti  gli  usurai,  è  posta  qui  a  indi- 
caie  appunto  gli  usurai  del  terzo  girone.  — 
51.  t  chi  ecc.  e  chi  nell' intimità  deU'i 


INPERNO  -  CANTO  XI 


81 


La  frode,  ond'ogni  cosdeDsa  è  moi-Ba, 
può  l'uomo  usare  in  colui  che  'n  lui  fida, 
54        ed  in  quei  che  fidanza  non  imborsa. 
Questo  modo  di  retro  par  che  uccida 
pur  lo  vinco  d'amor  che  fa  natura  ^ 
67        onde  nel  cerchio  secondo  s'annida 
ipocrisia,  lusinghe  e  chi  a&ttuia, 
falsità,  ladroneccio  e  simonia, 
60       ruffian,  baratti  e  simile  lordura. 
Per  l'altro  modo  quell'amor  s'obblia^ 
che  fa  natura,  e  quel  eh' è  poi  aggiunto, 
63       di  che  la  fede  speziai  si  criai 

onde  nel  cerchio  minore,  ov'è  ti  punto 
dell'universo  in  su  che  Dite  siede, 
66        qualimque  trade  in  etemo  è  consunto  ». 
Ed  io:  €  Maestro,  assai  chiaro  proceda 
la  tua  ragione,  ed  assai  ben  distìngue 
69        questo  baratro  e  il  popol  che  11  possiede. 
Ma  dimmi:  quei  della  palude  pingue, 
che  mena  il  vento  e  che  batte  la  pioggia 
72        e  che  s'incontran  con  si  aspre  lingue, 


no  bi  mitiinenti  di  disprezxo  reno  Dio  ; 
cfr.  T.  47.  —  62.  La  frode  eoo.  ContiiLiuuido 
h  stt  qiagazione,  Virgilio  dimoetn  ora  la 
fiTisloiie  dei  dalmati  per  odpe  di  frode,  nel- 
rettsro  e  nono  oerchio.  —  end' ogni  co- 
idfaa  eoo.  Tomin.  :  «  Intendi,  o  ohe  la  frode 
è  tal  Tizio  che  le  coscienze  più  dure  n'hanno 
ÒBono,  o  che  Vizgilio  roglia  rimproTerare 
i  eoofeanponoiel  di  Dante  oome  i  ^4  mao- 
dditt  di  frode».  —  68.  piò  rnono  eoo.: 
eki  iagaana  colai  die  n  fida  è  il  traditore. 
-  51.  c4  In  «nel  eoe  :  chi  inganna  colui 
ebt  non  il  fida  è  il  frandolento;  la  colpa  del 
9ule  anme  dlTeni  nomi  aecondo  le  parti- 
«hai  aianiere  tenute  nel  commettexia  e  i 
Hd  «ai  del  oolperole  :  ofr.  tt.  68-60.  —  66. 
<{a«te  se4«  41  retro  ecc.  H  aecondo  mo- 
do, doè  l'inganno  reno  chi  non  ai  fida,  in- 
taa^  i  Tinooli  natoiali  per  i  quali  V  uomo 
^«vt  amare  il  proasimo,  ed  è  punito  nel  lo- 
eoado  dei  tre  ottimi  oecoh!,  yale  a  dire  nel- 
t'ottafo  cacchio  inlÌBniale;  ofr.  Mf,  zvm- 
XXX.  —  68.  Ip««rt8<a  eoo.  :  indica  qui  aenza 
mhtn  l'oidine  inféxnale  le  odpe  di  frode 
peste  nelle  bolge  dell' ottaTo  cerchio  (ofr. 
V.  x?m  1)  :  dA  aooo  nella  1*  bolgia  la  ee- 
^Bioae  (ntf!km),  nella  2*  l'adulazione  {tutin- 
M  naik  9*  la  simonia,  nella  4*  U  dirina- 
waa  (fiki  affatkm),  nella  6*  U  baratteria 
Oonrfa),  nella  e*  l'ipociiafa,  neUa  7*  U  furto 
(Jlaànmulo\  nella  10*  la  (hlsificazione  (falsi- 


tà) ;  aoceoniinda  generit^ament»  oon  la  parole 
a  swniU  hrdura  le  colpe  d«lJ'  Sr^  conaì^U  fraa- 
dolenti,  e  ddb  9^,  acandoU  e  adfitcl  (cfx, 
D'Ovidio,  pp.  122p  133).  —  Bl.  Per  riltro 
nodo  eco.  P^r  U  triutìitiQpto,  ttìtua  l  tìdcoU 
dell'amore  untorBlfì^  f' infnuiBnno  qn«lJi  im- 
posti dall' nmiclziA.  —  (Ì3.  ftite  ipesUl  :  Bocc.  : 
«  la  singiilAr&  o  iiit«?ni  coiifldoDia  dia  l' vnka 
uomo  prendo  AvW  aJtro,  t>ot  «Ing^lorù  amicì- 
zia oong^imtO'gLi  *.  —  éi.  onde  a  al  eeTcUe 
mi  aere  ecc.  :  noi  nono  corcliio,  cb^  ft  il  piiì 
piccolo  di  tnttìj  tono  pam  ti  ì  tr&àìUnì  ;  cti. 
Jnf,  TITTI -njiy.  ---  Il  pento  deiraairtrio 
ecc.  il  cent»  del  monda,  f:hfl  è  il  punto  sol 
quale  sta  Lucir«ro;  ofr.  Inf.  xxxn  73  e  tteit 
110.  —  tó.  Dite  :  <ifr.  Inf.  ixuir  30.  —  66. 
trade  x  ofr.  Inf.  xxznt  129.  ~  69.  baratro  i 
il  basso  lufomof  dAlla  chtiL  dì  Dit^  nX  centro 
doUa  terra.  »  70.  qn«l  della  pai  ade  i>ia* 
guo!  le  snìme  degU  ìr^cosidi,  dogli  aocldiosE, 
degli  inyidlQiì,  e  dei  supeibi,  puniti  nella 
fangose  acqao  dì  Sti^:  cfr,  Inf.  vu  100^ 
130,  vm  1-63.  —  71.  che  mtna  11  Tenta  ; 
le  anime  dm  luftauriofli,  del  e  denudo  oart^hio  i 
cfr.  Inf.  V  51  a  aagg.  -^  eht  batCt  la  piog- 
gia :  le  atiitiio  dei  galoaL,  del  tomi  corchio  : 
cfr.  Inf.  n  4  e  logg.  —  72.  ehe  <*lj)<]oa« 
tran  eoe  :  Io  mnioio  do^Ii  ^v&iì  e  d^i  prodi- 
ghi, del  quarta  oerchio  :  cCr.  Inf.  vn  16-<^6 
e  ricorda  V  onta»  mttro  eoi  qualo  qojei  dan- 
nati si  rinfacciano  recìpEocaffleate  la  colpo. 


Dans 


82  DIVINA  COMMEDIA 


perché  non  dentro  dalla  città  roggia 
8on  ei  puniti,  se  Dio  gli  ha  in  ira? 
75        e  se  non  gli  ha,  perché  sono  a  tal  foggia  ?  > 
Ed  egli  a  me:  <  Perché  tanto  delira, 
disse,  lo  ingegno  tuo  da  quel  ch*ei  suole? 
78       ower  la  mente  dove  altrove  mira? 
Non  ti  rimembra  di  quelle  parole, 
con  le  quai  la  tua  Etica  pertratta 
81        le  tre  disposizion  che  il  oiel  non  vuole, 
incontinenza,  malizia  e  la  matta 
bestialitade?  e  come  incontinenza 
84       men  Dio  offende  e  men  biasimo  accatta? 
Se  tu  riguardi  ben  questa  sentenza, 
e  rechiti  alla  mente  chi  son  quelli 
87        che  su  di  fuor  sostengon  penitenza, 
tu  vedrai  ben  perché  da  questi  fèlli 
sien  dipartiti,  e  perché  men  crucciata 
90        la  divina  vendetta  gli  martelli  >. 
<  0  sol  ohe  sani  ogni  vista  turbata, 
tu  mi  contenti  si,  quando  tu  solvi, 
93       che,  non  men  che  saper,  dubbiar  m'aggrata. 
Ancora  un  poco  indietro  ti  rivolvi, 
dis8*io,  là  dove  di' che  usura  offende 

—  73.  dentro  dalla  elltà  roggia  :  nella  oittà  e  di  malizia  o  ùode  nei  cerchi  yn-ix:  quanto 
di  Dite,  rosseggiante  di  faoco:  enlla  for-  agli  eretici  si  ricordino  le  oonàderadoni  del 
ma  roggia,  da  ruÒM,  vedasi  Parodi,  Bull.  UL  Del  Lungo  riferite  in  J^f,  jx  106.  —  8S.  la- 
100.  —  75.  ptrehd  eco.  peroh6  sono  trattati  eoatineasa  mea  Dio  ofieade  eoo.  H  Tonun. 
in  tal  modo,  doò  con  minor  pena?  —  76.  ricorda  che,  secondo  Aristotele,  Tinoontinenta 
PeroM  ecc.  Perché  la  tua  mente  si  allontana  non  falsa  il  sapremo  prindpio  del  yero,  ma 
dalla  solita  rettitadine  di  giudizio?  È  forse  eccede  nel  desiderio  del  bene  ed  erra  nella 
occupata  da  altri  pensieri?  —  79.  Non  ti  ri-  scelta  dei  mezzi:  ecco  perché  1  peccati  d'in- 
■lembra  eco.  Aristotele,  nell'  Etica  Tn  1  e  continenza  meno  offendono  la  diviiùtà  e  aono 
segg.  dice  che  tre  sono  le  disposizioni  del-  paniti  con  pene  di  minor  gravità,  ohe  i  peo- 
r  animo  umano  che  devono  essere  oombattu-  cati  di  violenza  e  di  frode.  —  84.  accatta  : 
te  :  la  inoontìnenxa  (oArosia),  la  malixia  (ka-  acquista.  —  86.  ehi  ioa  quelli  eoo.  quali 
kSa)  e  la  beitialUà  {ihmàUs)  ;  la  1*  ò  di  due  specie  di  peccatori  sono  puniti  nei  cerchi  su- 
maniere,  ineontìnmxa  amnplioe  che  è  l'eccesso  periori.  —  88.  da  qaesti  fèlli  t  da  questi  dei 
nel  godimento  dei  piaceri  fondati  sopra  i  bi-  cerchi  inferiori,  che  peccarono  per  ***"r*ft 
sogni  corporali,  e  woonHnenxa  aggimta  che  —  89.  perché  meo  crmeeiata  ecc.  perché  la 
ò  r  eccesso  nel  godimento  dei  piaceri  acces-  vendetta  divina  li  tormenti  con  pene  minoii, 
Bort  desiderabili  per  sé  stessi  (come  T  amore  oon  minore  oorruocio.  ~  9L  O  sol  eco.  O 
delle  ricchezze,  l' ira  eco.)  :  la  2*  è  il  centra-  sole,  che  rischi  arando  le  tenebre  dell'  igno- 
rio  della  virtd,  la  disposizione  doò  a  vivere  ranza  illumini  ogni  mente  dubbiosa  :  bella  e 
contro  le  r^^le  del  giusto,  e  comprende  tutte  viva  circonlocuzione  per  designare  Virs^o, 
le  cattive  tendenze  che  si  esplicano  nella  fro-  la  quale  d  richiama  le  parole  entusiastiche 
de  :  la  8*  è  la  disposizione  a  sodisfare  le  del  Puirg,  zm  10-12.  —  94.  Aneora  ecc.  Ri- 
voglio che  non  sono  dilettevoli  per  sé  stasso  toma  indietro  a  un  punto  del  tuo  lagiona- 
(come  la  crudeltà,  i  peccati  contro  natura  mento,  dove  hai  detto  che  l' usura  offenda  la 
ecc.).  Ora,  movendo  da  questa  distinzione  bontà  divina  (ofr.  v.  48),  e  spiegami  la  dif- 
aristoielica,  Dante  collocò  i  colpevoli  d' in-  flcoltà.  A  Dante  pareva  che  l' usuraio  offan- 
continenza  fuori  della  dttà  di  Dite,  nei  cor-  desse  solamente  il  prossimo,  •  però  chiese  a 
ohi  n-v,  •  i  colpevoli  di  bestialità  o  violenza  Virgilio  una  pid  particolare  esplioaiiona  della 


INFERNO  —  CANTO  XI 


83 


96        la  divina  bontade,  e  il  groppo  solvi  >. 
<  Filosofia,  mi  disse,  a  ohi  la  intende, 
nota,  non  pure  in  una  sola  parte, 
99        come  natura  lo  suo  corso  prende 
dal  divino  intelletto  e  da  sua  arte: 
e,  se  tu  ben  la  tua  Fisica  note, 
102       tu  troverai,  non  dopo  molte  carte, 
che  Parte  vostra  quella,  quanto  puote, 
segue,  come  il  maestro  fa  il  discente; 
105       si  che  vostr'arte  a  Dio  quasi  è  nipote. 
Da  queste  due,  se  tu  ti  rechi  a  mente 
lo  Genesi  dal  principio,  conviene 
108       prender  sua  vita  ed  avanzar  la  gente. 
£  perché  Pusuriere  altra  via  tiene, 
per  sé  natura  e  per  la  sua  seguace 
111        dispregia,  poiché  in  altro  pon  la  spene. 
Ma  seguimi  oramai,  che  il  gir  mi  piace; 
che  i  Pesci  guizzan  su  per  l'orizzonta 


tu  wntenza.  —  97.  Flloiotft  eoo.  Azisto- 
tile  in  più  laoghi  deUe  sue  opere  llloeoflohe 
aceeona  ai  rapporti  tra  Tart»  e  la  natola; 
e  Dante  morendo  dal  oonoetto  aziatotelioo 
pone  dke  la  natoza  lo  tuo  eono  pnnd«  doò 
ffoeede  dall'  intelletto  dirino  e  dal  diyino 
opecaxe,  e  che  1*  arte  umana  procede  dall'imi- 
taziaoe  della  natoza  e  viene  ad  esser  cosi 
IgUa  di  èva  e  nipote  di  Dio  :  Parte  e  la  na- 
toxm,  egli  aésroita,  devono  donane  eeaere  fon- 
damenti d'ogni  operoiità  omana;  e  percid 
r  nonio,  che  eeoroita  la  ma  attività  all'in- 
feoii  dell'  arte  e  della  natoza,  Tìoie  ad  of- 
feadero  Dio  dal  quale  l'ona  e  l'altra  prooe- 
àoDo,  ~  101.  la  toa  Fislea:  U  Fisica  ù'X- 
rirtotele  aani  stodlato  da  Dante  ;  cosi  al  ▼. 
80  ha  detto  la  tua  Etìea,  —  103.  bob  dopo 
■elte  earte  X  qoasi  nel  prindpio  della  Fi' 
meoj  e  predeamente  nel  Ub.  n  2,  ò  la  sen* 
lenza ziehiamata  qoi  da  Dante  :  «L'arte  imita 
la  natoza,  in  qnanto  poò  >  (ofir.  Moore,  1 96). 
Qaarto  concetto  ò  anche,  applicato  alle  arti 
llgnzatfve,  in  nn'  antica  canzone  ohe  già  fa 
trihoita  a  Q,  Gavaloanti  (Valeriani,  JRmM  dtl 
primo  aae.  Il  821)  :  <  Cotanto  è  da  pregiar 
ogni  igtoa,  Qoanf  ella  mostra  in  forma  ed 
anco  in  atti  Fora  aembianza  del  ano  nato- 
lale  :  Però  che  Vart$  dee  teguir  natura  A  tua 
ponowta,  ni  che  non  disohiatti  eco.  — *  104. 
«eaie  n  ■uestre  eoo.  come  lo  soolaze  s6- 
gùta  il  maestro.  Ventori  838  ricorda  oppor- 
tonamente  le  parole  del  Cono,  ir  9  :  <  In  cia- 
aeona  arte  e  in  oiasoono  meitieie  gli  artefici 
•  li  discenti  tono  ed  esser  deono  soggetti 
al  Bàestro  >,  che  contengono  il  germe  della 
ÉBilitadine  pzesente.  —  107.  !•  (toneti  eoo. 


il  libro  del  Ornisei  ;  nel  qoale  ai  legge 
Dio  ordinasse  la  natoza  ovrero  la  prodazione 
delle  cose  seoondo  i  bisogni  deU*  nomo  e  in- 
sieme ordinasse  per  l'oomo  l'arte  osala  il  la- 
voro. Dante  si  riferisce  a  doe  passi,  ohe  sono 
in  principio  del  Om.,  n  16  :  «  H  Signore  Id- 
dio adonqoe  prese  l' nomo  e  lo  pose  nel  giar- 
dino d' Sden,  per  lavorarlo  e  per  goardarlo  >, 
e  m  19  :  «  Ta  mangerai  il  pane  col  sudore 
del  tao  volto  >.  —  109.  E  perché  eoo.  E  per- 
ché l'osaraio  tiene  via  diversa  da  qoella 
preecrìtta  da  Dio,  ponendo  egli  la  sua  spe- 
ranza nel  fhitto  del  denaro  prestato,  offende 
doppiamente  la  natora,  in  sé  stessa  in  qoanto 
non  oeroa  fhitti  natorali  e  nella  tua  MgvoM^ 
nell'  arte,  in  qoanto  non  si  aiZàtioa.  «  L' ar- 
gomento, osserva  il  Tomm.,  non  è  dei  pi6 
diretti,  ma  da  on  certo  lato  ò  profondo  :  e  il 
dispregio  che  Dante  dimostra  degli  osorai,  e 
la  compagnia  oh'  e'  dà  loro,  provano  ciò  eh'  è 
confermato  dalle  memorie  del  secolo,  il  molto 
male  che  faceva  l' osora  a  qoe'  tempi  ».  — 
IH.  ipeae:  voce  formata  sol  lat  «p0n»  e 
osata  da  Dante  solo  in  rima  ;  cfr.  Pmg,  xm 
27  e  Far,  xxiv  74.  —  112.  Ma  segnimi  ecc. 
Si  ricordi  che  i  due  poeti  s' erano  fermati 
accanto  all'arca  di  papa  Anastasio  II  por 
adusarsi  al  pozzo  ohe  saliva  dal  cerchio  sot- 
tostante ;  cCr.  V.  4  e  segg.  —  118.  chtf  1  Pe- 
se! eoo.  Dante  descrive  l' avvicinarsi  dell'aa- 
rora  del  9  aprile:  la  costellazione  dei  Pesci 
è  già  levata  soU'  ozizzonte  e  il  Gazro  di  Boote 
ossia  l'Orsa  maggiore  è  totta  solla  direzione 
del  Gore,  vento  che  spira  tra  ponente  e  tra- 
montana ;  condizione  che  risponde  all'inoiroa 
alle  ore  tre  antimeridiane  :  ofr.  Moore,  pp. 


84  DIVINA  COMMEDIA 


e  il  Carro  tutto  sovra  il  Ooro  giace, 
115    e  il  balzo  vìa  là  oltre  si  dismonta  ». 

45-46.  —  115.  e  11  balco  eoo.  e  la  ripa  di-     fine  un  lungo  oammino  a  sinistia  prima  d'Inoo- 
■oende  molto  lungi  di  qvi|  si  che  oi  conyiene     minoiaie  a  aoondtto  reno  U  wttifflo  oeroliio. 


CANTO  xn 

Entrando  nel  settimo  cerchio,  i  due  poeti  yi  trovano  a  irnardia  il  Mino- 
tanro;  placato  il  qaale,  s'avanzano  nel  primo  girone,  ove  in  nn  fiume  di 
sangue  bollente  sono  immersi  i  violenti  contro  il  prossimo,  guardati  e  saet- 
tati dai  Centauri:  uno  di  questi,  accompagnando  i  due  poeti  verso  il  secondo 
girone,  dice  loro  i  nomi  e  la  condizione  dei  principali  dannati  [9  aprile, 
circa  le  ore  tre  antimeridiane]. 

Era  lo  loco,  ove  a  scender  la  riva 
venimmo,  alpestro,  e,  per  quel  ch'ivi  er'ancoy 

8  tal  eh*  ogni  vista  ne  sarebbe  schiva. 
Qual  è  quella  ruina,  che  nel  fianco 

di  qua  da  Trento  1*  Adice  percosse 
6        o  per  tremuoto  o  per  sostegno  manco, 
che  da  cima  del  monte,  onde  si  mosse, 
al  piano  è  si  la  roccia  dìscoscesa 

9  ch'alcuna  via  darebbe  a  chi  su  fosse; 
cotal  di  quel  burrato  era  la  scesa: 

e  in  su  la  punta  della  rotta  lacca 
12        l'infamia  di  Greti  era  distesa, 

xn  1.  Era  Io  loeo  occ.  H  ponto,  dove  Bono  o  Castallo doUa  Piotra,  a  pochi  chilom»- 
noi  venimmo  per  discendere  dal  setto  al  set-  tri  a  valle  di  Trento,  e  meglio  rispondente,  se- 
timo  cerchio,  era  molto  scoeceso,  e  per  la  oondo  Ivi,  alla  desoorlzione  dantesca.  ^  6.  per 
presenza  del  Minotaoro  era  tale  da  incoter  sottegao  auBOd:  per  esser  venuto  a  mancare 
ribrezzo  a  chionqne  lo  rigoardasse.  —  4.  i^val  il  sostegno,  la  base,  per  la  oonosione  deUe 
ècco.  Gli  antichi  commentatoli,  eccetto Benv.,  acque.  —  7.  ete  da  eiaia  eoo.  dall'alto  del 
non  seppero  precisare  il  luogo  di  questa  ro-  monte,  onde  si  moMO  la  ficana,  fino  al  piano 
vina,  cui  Dante  paragona  lo  scoscendimento  sottostante  del  fiume  Adige  la  roccia  è  coef 
incontrato  fra  il  sesto  e  il  settimo  cerchio  :  dìscoscesa,  cioò  non  pid  alta  e  dritta,  ma 
sarebbe  la  gran  frana  chiamata  gli  Slavini  frantumata  e  cosparsa  di  sassi  in  linea  di- 
di  Marco,  sulla  sinistra  dell'  Adige,  tre  chi-  scendente,  da  permettere  la  discesa  a  ehi  su 
lometii  a  valle  di  Bovereto ,  tra  Verona  e  fòsa»,  —  9.  aleaaa  fia  :  qualche  via,  nn  modo 
Trento  ;  nel  qual  luogo  la  riva  del  ilume,  at-  qualunque  di  scendere,  per  quanto  malage- 
testa  Benv.,  cantequam  fleret  istud  praeci-  vele  e  difficile.  —  10.  barrata:  luogo  soo- 
pitium  maximum,  erat  ita  recta  et  repens  in  scese,  precipizio  :  ofr.  ^/l  xvi  114.  —  11.  Im 
modum  muri,  quod  nullus  potuisset  ire  a  putta  eco.  l' estremità  superiore  della  frana, 
summo  ripae  usque  ad  fondum  flumanae  in-  che  era  come  un'  apertura  nell'  alta  riva  che 
ferioris,  sed  post  ruinam  factam  posset  nuno  formava  la  cavità,  il  settimo  cerchio  :  sul  si- 
aliqualiter  iri  >  :  cfr.  sull'  argomento  il  Bas-  gniflcato  di  kuea  ofr.  £%f,  vn  16.  — 12.  l*lm* 
sermann,  pp.  419-428,  il  quale  conferma  la  fkmia  di  Cretl  :  il  Minotauro,  nato  in  Greta 
spiegazione  di  Benv.,  aggiungendo  che  Dante  dal  mostruoso  commercio  di  un  toro  con  Pa> 
osservò  forse  la  frana  dal  castello  di  Lizzana  sife,  moglie  di  Minos  :  ofr.  su  questa  leggenda 
e  che  la  trovò  già  accennata  da  Alberto  Ma-  la  nota  al  A«y.  xzvi  41.  Nota  il  Della  Gio- 
gno,  Meteor.  m  6.  Invece  E.  Lorenzi,  La  ritma  Vanna,  Okm,  don^,  8*  serie  THI  472,  ohe 
di  qua  da  TmUo,  Trento,  1896,  ha  sostenuto  il  Minotauro  e  i  Centauri  «  avendo  oomane 
trattarsi  di  un'  altra  ruina,  quella  del  Cengio  la  d(^pia  natura  o  vivendo  parimenti  di  aan- 


'?SW 


INFERNO  -  CANTO  XII 


8B 


che  fd  concetta  nella  falsa  vacca; 
e  quando  vide  noi  sé  stesso  morse, 
15       si  come  quei,  cui  l'ira  dentro  fiacca. 
Lo  savio  mio  in  vdr  lui  gridò  :  «  Forse 
tu  credi  che  qui  sia  il  duca  d'Atene, 
18       che  su  nel  mondo  la  morte  ti  porse? 
Partiti,  bestia,  che  questi  non  viene 
ammaestrato  dalla  tua  sorella, 
5^       ma  vassi  per  veder  le  vostre  pene  ». 
Qual  h  quel  toro  che  si  slaccia  in  quella 
che  ha  ricevuto  già  '1  colpo  mortale, 
24       che  gir  non  sa,  ma  qua  e  là  saltella; 
vid'io  lo  Minotauro  ùa  cotale: 
e  quegli  accorto  gridò  :  «  Corri  al  varco  ; 
27       mentre  ch'ò  in  furia,  è  buon  che  tu  ti  cale  ». 
Cosi  prendemmo  via  giù  per  lo  soarco 
di  quelle  pietre,  che  spesso  moviònsi 
80       sotto  i  miei  piedi  per  lo  nuovo  carco. 
Io  già  pensando;  e  quei  disse:  €  Tu  pensi 
forse  a  questa  rovina,  eh' è  guardata 
83       da  quell'ira  bestiai  ch'io  ora  spensi. 
Or  vo'  che  sappi  che  l'altra  fiata, 
eh'  i'  discesi  qua  giù.  nel  basso  inferno, 
86       questa  roccia  non  era  ancor  cascata. 
Ma  certo  poco  pria,  se  ben  discemo, 
che  venisse  colui  che  la  gran  preda 


^  •  a  mfimM»  rappiowntano  «la  ottea 
I  •  Véra  folk,  cioè  i  dne  prinoipaU 

k  Tioleni»  ».  «  15.  g(  MOi» 
«e.  Vaatuit  8SB:  «L'iia,  tìk&  fiaoea  dentro 
tmmot  Monaa  al  Mntfmanto  della  propria 
•  qvaado  lo  ipliig»  (oome  nel 
»)  a  Boxder  §6  iteeeo  tneoende  in 
■fctia  bntale  owìfliumte  con  la  itolteoa  ». 
-  lAw  Le  mt1«  ■!•  eoo.  Virgilio  per  oal- 
■■e  Fin  dal  Ifinotanio  gli  dioe  ohe  il  ano 
eoayifio  Tìena  eoUnente  per  Tiaitaie  Tin- 
fKm^  Boa  già  a  dargli  la  morte,  eome  Iìmo 
l^ne.  —  17.  U  daea  d'Àteaei  Teseo,  re  di 
Alae,  0  gaala  gridando  la  spediiioBe  at»- 
liHe  «he  reoara  al  Minotauro  il  tritato  di 
Mtie  gknrini  a  di  eatte  fimdnUe,  e*  innamorò 
<  Anaaaa,  eoiaUa  del  mostro,  a  oon  l'aiuto 
«Hcte^^U  filo  per  vsdre  dal  labi- 
riilQi,  lo  Qoeiaa,  Hbsnmdo  eosf  i  sooi  sudditi 
U  fWfognoso  tdbvto.  —  22.  Oaal  è  «ael 
tire  eeg  La  sJmffltndine  ricorda  la  Tirgiliana 
(Al.  B  238),  di  LaocooBte  :  «  Qualee  mogi- 
tn,  tegit  fonm  saudus  aiam,  Tauus,  et  in- 


oertam  sixoussit  oerTioe  securim  »,  e  fti  imi- 
tata dall'Ariosto,  Ori.  zi  42;  ma  osserTa  il 
Venturi,  894  ohe  «  pid  vìva  nei  particolari  > 
è  la  danteeoa.  —  si  siasela:  si  discioglie 
dai  laooi.  —  26.  eatale  :  nello  stesso  modo  ; 
pronome  usato  in  ftinzlone  avverbiale.  —  26. 
O^lt  000.  Virgilio,  visto  il  momento  pro- 
pizio, gridò  a  Dante  d' affrettarsi  all'  ingre»- 
BO,  per  varcarlo  mentre  il  Minotauro  inftuiato 
si  aggirava  qua  e  là.  —  28.  lo  seareo  di 
«■elle  pietre  i  la  fhuia  dell'  alta  ripa  ;  cosi 
detta  perché  formata  dallo  scaricarsi,  dal  oa- 
dere  al  basso  delle  pietre  e  dei  massi  spez- 
satL  —  29.  Moviènsl  :  si  movieno;  ofir.  Jhuy, 
m  69,  TTTX  69,  Piar,  zvm  79.  —  80.  lo  moto 
earee  i  è  il  peso  insolito,  per  quoi  massi  non 
ben  fermi  sul  pendio,  del  corpo  di  Dante. 
—  83.  Ira  bestiai  eoo.  bestia  adirata,  U  Mi- 
notauro; del  quale  io  smorzai  l'ira.  —  84. 
l*altra  fiata  eoe.  quando  venni  nel  basso  in- 
ferno, per  opera  di  Eritone  :  o£r.  ^f.  ix  22- 
27.  —  88.  eolal  eoo.  G.  Cristo  :  cf^.  Inf,  iv 
68.  —  la  gran  preda  ecc.  le  anime  del  lim- 
bo» òhe  Cristo  trasse  seco  alla  beatitudine 


86 


DIVINA  COMMEDIA 


89       levò  a  Dite  del  cerchio  sapemoi 
da  tutte  parti  l'alta  valle  feda 
tremò  si  eh*  io  pensai  che  l'oniTerBO 

42  sentisse  amor,  per  lo  quale  è  ohi  creda 
più.  volte  il  mondo  in  caos  converso: 

ed  in  quel  punto  questa  vecchia  roccia 
45       qui  ed  altrove  tal  fece  riverso. 

Ma  ficca  gli  occhi  a  valle;  che  s'approccia 
la  riviera  del  sangue,  in  la  qual'  holle 

43  qual  che  per  violenza  in  altrui  neccia  ». 
0  deca  cupidìgia,  o  ira  folle, 

che  si  ci  sproni  nella  vita  corta, 
51       e  nell'  etema  poi  si  mal  e'  immolle  ! 
Io  vidi  un'ampia  fossa  in  arco  torta, 
come  quella  che  tutto  il  piano  abbraccia, 
54       secondo  ch'avea  detto  la  mia  scorta: 
e,  tra  il  pie  della  ripa  ed  essa,  in  traccia 
correan  Centaxiri  armati  di  saette, 
57       come  solean  nel  mondo  andare  a  caccia. 
Vedendoci  calar  ciascun  ristette, 
e  della  schiera  tre  si  dipartirò 
60       con  archi  ed  asticciuole  prima  elette. 


^  celeste,  togliendole  al  dominio  di  Lndfero: 
ofr.  Inf.  nr  66  e  segg.  —  89.  Dite  :  ofr.  htf, 
rrrry  20.  —  41.  tremò  if  ecc.  :  accenna  al 
terremoto,  ohe  secondo  1a  leggenda  evangelica 
(Matteo  zxyn  61),  agitd  il  mondo  nel  mo- 
mento della  morte  di  Cristo  :  ofr.  Inf,  uà. 
112  e  segg.  —  lo  pensai  ehe  l*anÌTerso 
eco.  Allude  alla  dottrina  di  Empedocle  (ofr. 
Inf,  19  188),  secondo  coi  il  mondo  è  costi- 
tuito dalla  discordia  dei  vaif  elementi,  ces- 
sando la  quale  ed  essendo  gli  elementi  in 
concordia  il  mondo  si  risolre  nel  caos  dod 
in  nn  confuso  ammasso  di  materia;  ondeVir* 
gilio  Tiene  a  dire  che  a  sentir  qael  terremoto 
credette  che  l' nniyerso  umHam  amwr^  sentisse 
la  concordia  degli  elementi,  e  si  risolvesse 
in  caos.  —  45.  qnl  ed  aUrove  eco.  La  ro- 
vina prodotta  dal  terremoto  alla  morte  di 
Cristo  fa  nel  cerchio  dei  violenti  e  nella  hol- 
gU  degU  ipocriti  (cfr.  h*f,  zxi  106)  a  signi- 
flcare  ohe  la  violenza  e  l'ipocrisfa  ftirono 
principali  cagioni  del  martirio  del  Redentore. 
Secondo  alooni,  altro  luogo  rovinato  per  quel 
terremoto  sarebbe  tra  il  limbo  e  il  cerchio 
dei  lussuriosi,  sarebbe  insomma  la  mina  {Inf. 
V  84)  davanti  alla  quale  i  dannati  del  secondo 
cerchio  alzano  pid  forti  lamenti  e  bestemmie. 
»  46.  s* approccia s  s'avvicina;  si  noti  ohe 
di  questo  vb.  Dante  usa  solamente  questa 
voce  e  solo  in  rima  :  cfr.  Inf,  xzm  48,  Fwg, 
zx  9.  —  47.  la  rlTÌera  del  sangie  :  U  Fle- 


getonte,  fiume  di  sangue  bollente,  sol  quale 
efr.  iKf.  ny  116.  —  48.  qial  eoo.  1  violenti 
oontro  il  prossiao.  —  49.  0  elee»  eco.  Dante 
lamenta  che  il  mondo  sia  maonhiato  dal  due 
vizi  ohe  indnoono  l' uomo  a  violenze  contro 
il  prossimo  :  la  cupidigia,  ohe  trascina  a  Car 
violenza  alle  cose  altrui,  e  1*  ira,  ohe  trae  ad 
offender  le  persone.  «-  60.  Tita  earta  :  la 
vita  umana,  il  coreo  della  quale,  nel  iWy. 
XX  88  è  detto  «lo  oammin  oorto»  e  nel 
Cbne.  m  16  «  cammino  di  questa  brevissiina 
vita».  —  61.  mal  e* Immolle t  d  immergi 
dolorosamente  nel  fiume  di  sangue.  —  63. 
■a*  ampia  fossa  eoo.  una  laxga  fossa  oiroo- 
lare,  la  quale  circondava  tutto  il  piano,  oo» 
sUtuendo  il  primo  dei  tre  gironi  del  settimo 
cerchio.  —  64.  avea  detto  i  ofr.  Jh^.  xx  80, 
89.  —  66.  tra  il  pie  ecc.  tra  la  base  del- 
l'alta ripa  e  l'ampia  fossa  correva  uno  stretto 
sentiero,  sul  quale  erano  ^  traeoia^  oloò  in 
fila,  l' uno  dietro  l' altro,  i  Centauri.  —  66. 
Centaarit  i  (^tauri,  che  avevano  forma 
umana  dal  petto  in  su  e  forma  equina  dal 
petto  in  giù,  erano  figli  d' lesione  re  dei  La- 
piti  e  di  Nefele  e  dotati  di  gran  forza  e  ve- 
locità: ofr.  Purff.  XXIV  121.  Secondo  il  Booo. 
e  Benv.,  i  Centauri  simboleggiano  gli  uomini 
d' arme  e  i  mercenari,  ohe  sono  gli  strumenti 
delle  violenze  dei  tiranni.  —  69.  tre  t  i  tre 
Centauri,  ohe  si  fecero  incontro  a  Virgilio  e 
Dante,  furono  Nesso,  Gbirone  e  V^olo.  —  60. 


INFERNO  —  CANTO  XH 


87 


E  l'un  gridò  da  lungi:  <  A  qnal  martiro 
yenite  voi,  che  scendete  la  costa? 
63       Ditel  costinci;  se  non,  l'arco  tiro  ». 
Lo  mio  maestro  disse  :  €  La  risposta 
{arem  noi  a  Chiron  costà  di  presso: 
66       mal  fa  la  voglia  tua  sempre  si  tosta  ». 
Poi  mi  tentò  e  disse  :  €  Quegli  è  Nesso, 
che  mori  per  la  bella  Deianira, 
69        e  fé'  di  sé  la  vendetta  egli  stesso  : 
e  quel  di  mezzo,  che  al  petto  si  mira, 
ò  il  gran  Chirone,  il  qual  nudri  Achille; 
72       quell'altro  è  Folo,  che  fu  si  pien  d*ira. 
D'intorno  al  fosso  vanno  a  mille  a  mille, 
saettando  quale  anima  si  svelle 
75       del  sangue  più  che  sua  colpa  sortiUe  ». 
Noi  ci  appressammo  a  quelle  fiere  snelle: 
Chiron  prese  uno  strale,  e  con  la  cocca 
78       fece  la  barba  indietro  alle  mascelle. 
Quando  s' ebbe  scoperta  la  gran  bocca, 
disse  ai  compagni  :  €  Siete  voi  accorti 
81        che  quel  di  retro  muove  ciò  ch'ei  tocca? 
Cosi  non  soglion  fare  i  piò  de'  morti  ». 
E  il  mio  buon  duca,  che  già  gli  era  al  petto 
84        dove  le  duo  nature  son  consorti. 


CM  areki  eoe  innati  d'arco  e  di  saette  tra* 
nA»  dalla  foretra,  prima  di  mnoTersL  — 
6L  Vvm  grléò  :  il  oentanio,  che  prima  deg^ 
altri  xivoise  le  sae  minaooe  ai  poeti  ta  Nee- 
■o;  dal  qiiale  Viigflio  dice  che  con  suo  danno 
h  MB^re  impetaoeo  nei  soci  moTimenti  dV 
iDBO,  ^nq<i5wyiA  all'impeto  d' amore  ch'ebbe 
yer  Deianixa.  —  À  ^al  martiro  :  a  qnal  ge- 
Mn  fi  tomenti.  —  63.  eestlnei  t  di  costi, 
ài  laogo  ore  siete,  senza  avanzare;  cfir.  il 
pMBo  ornile  nel  PUrg,  ix  86-87.  —  65.  costà 
di  pmao  :  costà,  Ticino  a  tqI.  —  67.  mi 
tato:  mi  toccò  col  gomito,  per  richiamare 
la  Biia  attenzione;  cfr.  Inf.  zzvn  82.  — 
Itsse  :  allorquando  Ercole  ebbe  sposata  Deia- 
Bia,  Fesso  s*  offri  di  trasportarla  al  di  là  del 
fame  Ereno,  ma  ayendola  in  groppa  se  ne 
tSBaBorò  e  tentò  di  rapirla  dandovi  alla  Alga; 
ti  <SàB  aoooxgendod  Ercole  saettò  il  centauro 
oen  uà  freccia  arrelenata  e  lo  tsri  a  morte: 
w  BOB  che  NesM,  per  rendicarsi,  did  la  sua 
eaieia  a  Deianira,  perché  la  fìuesse  indos- 
■n  ad  Erode,  assicoiando  la  donna  che 
taà  eQa  anebbe  potato  conservar  sempre 
TiBiafB  del  marito  ;  Deianira  segni  il  oonsi- 
gSo,  ma  Ercole  indossando  la  camicia  intrìsa 
fi  magne  avvelenato  infuiò  e  mori  (cfr. 
Xoon,  I  210^  —  71.  ChlreM:  figlio  di  Sa- 


tomo e  di  Fillira,  enumerato  dagli  antichi 
fra  i  Gentaori,  fri  maestro  ed  educatore  di 
Achille  (cfr.  Purg.  ix  87).  —  72.  Folo  t  un 
altro  centauro,  del  quale  si  raccontano  atti 
di  violenza,  come  il  tentativo  di  forzare  le 
donne  dei  Lapiti  durante  le  nozze  di  Pirìtoo 
e  Ippodamla.  —  74.  saettando  ecc.  I  vio- 
lenti contro  il  prossimo  sono  immersi  più  o 
meno  nel  sangue,  secondo  il  grado  della  loro 
colpa  (cfr.  w.  108,  118,  121,  126);  e  chiun- 
que cerca  di  alleggerire  la  sua  pena  uscendo 
fuori  del  sangue  piti  che  non  comporti  la 
colpa,  è  colpito  dalle  frecce  dei  centauri.  — 
76.  tortine:  le  sorti,  dio  in  sorte  a  ciascu- 
na ;  sul  vb.  aortìre  cfr.  la  nota  al  jRir.  xviii 
106.  —  77.  cocca  :  è  la  parte  posteriore  dello 
strale,  quella  ov*  d  il  piccolo  solco  per  ap- 
poggiare lo  strale  alla  corda  dell'arco.  — 
78.  fece  ecc.  si  ravviò  la  barba  all'  indietro, 
perché  la  voce  potesse  più  liberamente  uscir 
dalla  bocca.  —  81.  qnel  di  retro  ecc.  quello 
tra  i  due  che  vien  dietro  all'altro,  ciod  Dante 
che  seguiva  Virgilio,  muove  le  pietre  sulle 
quali  cammina  (cfr.  w.  29-80).  —  83.  al 
petto:  Lomb. :  e  colla  sua  testa  vicino  al 
petto  di  Chirone  :  e  dò  ad  indicare  l' altezza 
di  quel  Centauro,  e  che  dal  petto  in  su  so- 
pravanzava a  Yiiigilio  >.  —  84.  dOT»  eoo. 


f  0  DIVINA  COMMEDIA 


rispose  :  €  Ben  è  vivo,  e  si  soletto 
mostrarli  mi  convien  la  valle  buia: 
87        necessità  '1  e'  induce,  e  non  diletto. 
Tal  si  parti  da  cantare  alleluia, 
che  mi  commise  quest'uccio  nuovo; 
00       non  è  ladron,  né  io  anima  fuia. 

Ma  per  quella  virtù,  per  cui  io  muovo 
li  passi  miei  per  si  selvaggia  strada, 
03       danne  un  de*  tuoi,  a  cui  noi  siamo  a  pruovo, 
che  ne  dimostri  là  ove  si  guada, 
e  che  porti  costui  in  su  la  groppa; 
03        che  non  è  spirto  che  per  l'aer  vada  ». 
Chiron  si  volse  in  sulla  destra  poppa, 
e  disse  a  Nesso  :  «  Toma,  e  si  li  guida, 
OD        e  fa  causar,  s' altra  schiera  v*  intoppa  ». 
Noi  ci  movemmo  con  la  scorta  fida 
lungo  la  proda  del  boUor  vermiglio, 
102        ove  i  bolliti  facean  alte  strida. 
Io  vidi  gente  sotto  infino  al  ciglio; 
e  il  gran  Centauro  disse  :  €  Ei  son  tiranni 
105       che  didr  nel  sangue  e  nell'aver  di  piglio. 
Quivi  si  piangon  li  spietati  danni, 
quivi  è  Alessandro  e  Dionisio  fero 

poiché  nel  petto  del  Contaaii  è  il  ponto  dove  alone  in  Inf,  xvu  81.  —  90.  e  fk  eamiAT 

8*  incontrano  le  dne  natnie  o  forme,  l'amana  eoo.  e  ae  Inoontrate  un*  altra  achleia  di  oan- 

e  r  oqoina.  —  86.  goletto:  IntendMi,  da  solo,  tauri,  Ik  ohe  eeaa  ri  laaoi  libero  il  pasao. 

8onz*  altro  alato  che  11  mio.  Aoatamente  nota  IDI.  U  proda  eoe  la  lira  del  flame  Flege- 

il  Dolla  Giovanna,  Giom,  danL  8^  aerie,  vm  tonte.  —  108.  geate  ietto  taltao  al  olyllo: 

472,  esaorvi  qoi  un*  allusione  a  dò  che  Dante  i  tinuini  (cfir.  v.  188),  i  quali  per  arer  oeoxw 

ha  detto  noi  colloquio  con  Cavalcante  {Inf,  z  citata  do^ia  violenza,  nello  peiaone  e  negli 

61-63).  —  87.  Moeasltà  eoe  :  perohé,  come  averi  altrol,  aono  Inunenì  fino  agii  occhi  n«l 

dlrjt  a  Catone,  Pufrg,  i  60  «  per  lai  campare  aangoe.  —  107.  AlooaaBdro  :  aono  diaooidi  i 

non  o'  era  altra  via  >.  —  88.  Tol  al  porti  commentatori  circa  11  tiranno  ricordato  qui 

ecc.  Qaesto  officio  di  goldarlo  mi  fa  oom-  dall'  Alighieri  (cf^.  Mooro,  I  262).  Secondo  i 

mosso  da  Beatrice,  venata  a  qaeeto  fine  dal  più,  è  Alessandro  tiranno  di  Fere  In  Tessa- 

paradiso,  ove  l  beati  cantano  le  lodi  del  Si-  glia,  Insignoritosi  del  potere  uccidendo  il  ti- 

gnoro.  —  allolvia  s  vùoò  ebraica,  che  aigni-  ranno  Pollfh>ne  nel  869  a  G.  ;  uomo  d' Inu- 

fica  :  Lodt  al  Signore,  e  si  canta  in  cielo  (cfìr.  mana  cradeltà,  delle  violenze  del  quale  Dante 

Apoeal,  xa  1).  —  89.  «flclo  oooto  :  officio  potò  aver  notizia  da  Valerio  Massimo,  xz  13 

straordinario,  diverso  dal  comuni  offici  degli  e  da  Cicerone,  De  off,  n  7, 18.  Secondo  altri 

uomini.  —  90.  non  è  ladroa  ecc.  nò  lo  né  lui  commentatori,  apedalmente  antichi,  è  Aleo- 

siamu  colpevoli  del  peccato,  ohe  è  qui  punì-  Sandro  Magno,  re  di  Macedonia  (n.  866,  m. 

to  ;  che  egli  non  è  ladrone  nò  io  sono  anima  823  a.  C),  ohe  Lucano,  Fetn,  x  90,  chi«aa 

di  ladrone.  —  fiila  s  cfr.  Ihay.  xxxm  44.  —  «  fellz  praado  >  :  ma  gli  elogi  che  Dante  ne 

91.  per  qotUo  vlrttf  :  per  la  divina  vlrtd.  fa  nel  Cono,  iv  11  e  nel  Da  mtm,  n  9  mo- 

—  93.  o  eni  eoo.  a  cui  noi  possiamo  tener  strano  ohe  queef  Interpretazione  è  emmoo. 

dietro  come  a  una  guida.  —  o  proevo  :  ò  lo-  —  Dloolalo  faro  :  Dionisio  il  vecchio,  tiranno 

caziono  d'incerta  orìgine,  ma  forse  dal  lat.  di  Siracusa  (n.  481,  m.  867  a.  C),  Il  quale 

ad  profm,  e  vale  a  presao*^  si  cfk-.  Parodi,  durante  la  sua  lunga  aignoria (dal  406  al 867 

DulL  m  184.  —  96.  per  l*aer  vada  ;  possa  a.  C.)  oommiae  molte  crudeltà,  non  aolo  in 

volare  por  aria.  —  97.  la  aalla  deatra  pop-  Siracusa,  ma  In  tutta  la  Sicilia  :  ai  veda  Vi^ 

pot  ani  dettro  lato;  ctr,  una  aimile  esprea-  Iorio  Massimo,  i  1,  iv  7,  xx  17  e  doennie, 


INPERNO  -  CANTO  XH 


89 


103       clie  fé' Cicilia  aver  dolorosi  anni; 
e  quella  fronte  e' ha  il  pel  cosi  nero 
ò  Assolino,  e  quell'altro  eh' è  biondo 
111        è  Obizzo  da  Esti,  il  qual  per  vero 
fu  spento  dal  figliastro  su  nel  mondo  ». 
Allor  mi  volsi  al  poeta,  e  quei  disse  : 
114        «  Questi  ti  sia  or  primo,  ed  io  secondo  ». 
Poco  più  oltre  il  Centauro  s'affisse 
sopra  una  gente,  che  infino  alla  gola 
117        parea  che  di  quel  bulicame  uscisse. 
Mostrocd  un'ombra  dall' un  canto  sola, 
dicendo  :  <  Colui  fésse  in  grembo  a  Dio 


.▼ai,22(cfr.A.Dobeni,  Qiom,dant. 
ni68).~108.€leilla:SiciUa;  ohe  i  nottri 
nikài  fisMiro  pi6  oomimemvnte  nel  modo 
^rteteor  cfr.  Purg.  m  Ud.  —  UO.  Assoli- 
m:  loalixio  m  da  Bomano,  nato  noi  1194 

•  BOfto  nel  1259,  tixanneggid  per  trenf  aimi 
la  Marca  TxMgiana  o  ta  principalo  losto- 
gao  i«Da  paite  imperiale  nell'Italia  superiore 
{dL  e.  B.  Yesd,  Storia  degU  Eoetmi,  Baa- 
■ao,  1779,  ToL  I,  pp.  146  e  iegg.  e  0.  Bien- 
tvi,  Buimo  da  Bom,  fiéiia  mmU»  del  popolo  $ 
ndk  poma,  Padora,  1889);  delle  sue  im- 
uai  MoUentesse  sono  pióie  le  pagine  dei 
eouMBlatari  •  cronisti  anticU,  tra  i  quali 
e.  'FlDani  sociTe  {Or,  ti  78)  :  «  Qoesto  Ax- 
aoBao  te  II  pid  orodele  e  ridottato  tizanno 
ckt  imì  fosse  fra'  cristiani,  e  signoieggid  per 
ni  texa  e  tirannia,  grande  tempo,  tatta  la 
KHtadi  Tzerigi  e  la  dttà  di  Padova  e  gran 
int»  di  Lombardia;  e'  cittadini  di  Padova 
■olta  gran  parte  consumò,  e  acceodnne  pur 
4s'BiglìorÌ  e  de*  pid  nobili  in  grande  quantità, 

•  toglieado  le  loro  possessioni  e'  mandogli 
Medicando  per  lo  mondo,  e  molti  altri  per 
firacai  martìri!  e  tormenti  fece  morire,  e  a 
sa' ora  ffiy^^^mii*^  padovani  fece  ardere:... 
0  Botto  r  ombra  di  una  rudda  e  aoellerata 
gioatizia  fece  molti  mali,  e  ta  uno  grande 
flagaOo  al  suo  tempo  »  :  cfr.  B»r,  iz  29.  — 
lU.  ObUse  da  Bstli  Obizzo  II  d' Eate,  figlio 
a  Biaaldo  e  di  Adelaide  da  Bomano,  auo- 
cama  nel  ia&4  nella  aignoria  di  Ferrara  al- 
Tsro  Alzo  Vn  e  la  tenne  alno  al  1293,  in 
coi  mori  (cfr.  Muratori,  AntìehUà  ettonrij  voi. 
n  •  De  Lev»,  SugU  Estmai  rioordoH  dal- 
rilifk,  nel  ToL  DattU  $  Fùdova,  iiudi  tUh 
riotxrOioi,  Padova,  1866,  pp.  285-261):  dia- 
Mi  aUoxs  che  Obizzo  II  foaae  iktto  atrango- 
laa  dai  dna  iìgii  maggiori.  Azze  Vm  e  Al- 
dotcaadliM)!,  per  la  preferenza  ch'egli  moatrava 
l«  il  taaiogenito  Francesco  (cfr.  Biocobaldo 
4aFecxa»  in  Mur.,  Ber,  UaL  USL  263);  e 
Tanaante  aaaai  gravi  indi^  atanno  a  ca- 
noo  di  quei  due,  e  apedalmente  di  Axzo:  (cfr. 
I«  la  queatione  storica  Del  Lungo,  Dantt, 


I,  pp.  886  e  aegg.,  e  T.  Sandonnini,  Dante 
e  gU  Betontif  Modena,  1893).  ^  per  Teros 
male  alcuni  intendono  queste  parole  come 
un  aegno  che  il  fotte  dell'uccisione  di  Obiz- 
zo n  per  mano  di  Azze  Ym  fosae  meaao  in 
dubbio  dai  contemporanei  ;  e  il  Del  Lungo, 
L  dt,  prova  con  un  documento  del  180A  che 
il  dubbio  d'alcuni  fti  ae  il  marchese  di  Fer- 
rara fosae  morto  naturalmente  o  violente- 
mente: chi  tenne  la  accenda  opinione  non 
dubitò  di  Azze.  —  112.  dal  llgllaatros  Az- 
ze Vm  (aul  quale  ai  veda  la  nota  al  Purg,  v 
77)  ta.  tenuto  come  figlio  illegittimo  di  Obiz- 
zo n;  perciò  Dante  lo  chiama  fgUaatro^  che 
qui  vorrebbe  dire  baatardo  :  altri,  non  am- 
mettendo la  nascita  illegittima  di  Azze,  in- 
tendono figliastro  per  figlio  anatuiato.  —  114. 
(posati  eoe  Le  pùole  di  Virgilio  ai  possono 
riferire  alle  coae  dette  da  Neaao,  e  allora  ai- 
gnificano  :  (3redi  pure  a  ciò  che  ti  ha  detto 
il  centauro,  aenza  aspettare  la  mia  conferma  ; 
oppure  all'  ordine  aecondo  il  quale  i  tre  cam- 
minavano, e  allora  vo^on  dire  :  Tieni  dietro 
a  Nesso,  e  io  terrò  dietro  a  ta  ;  ma  questa 
seconda  interpretazione  è  alquanto  forzata. 
—  116.  s' affisse  t  si  fermò  ;  cfr.  Purg.  xi 
186,  zm  88  eco.  —  116.  ■■»  gente,  che  in- 
Ano  alla  gola  ecc.  :  gli  omicidi.  —  117.  ba- 
lleame:  il  fiume  di  sangue  bollente,  che  in 
Inf,  ziv  79  è  paragonato  al  Bulicame,  bagno 
termale  presso  Viterbo.  —  119.  Colai  :  Guido 
di  Montfort,  che  fa  vicario  in  Toscana  per 
il  re  Cario  I  d' Angiò  e  con  lui  combatto  a 
Benevmito,  nel  1271  per  vendicare  la  morte 
di  Simone  suo  padre  già  fatto  uccidere  igno- 
miniosamente  da  Edoardo  I,  che  fti  poi  re 
d'Inghilterra,  in  una  chiesa  di  Viterbo  du- 
rante la  celebrazione  della  messa  e  alla  pre- 
senza di  Filippo  m  re  di  Francia  e  di  Cario  I 
re  di  Napoli  ucciae  di  sua  mano  Anigo  cu- 
gino di  Eduardo  e  lo  trascinò  pei  capelli  fuor 
della  chiesa:  il  corpo  del  quale  Arrigo  tn 
portato  in  Inghilterra  e  sepolto  nelle  tombe 
reali  ;  e  dice  Benv.  che  «  aupra  aepulcrom 
Henrid  posita  Mi  una  atatna  inaurata,  quae 


90 


DIVINA  COMMEDIA 


120    .  lo  cor  che  in  sul  Tamigi  ancor  si  cola  ». 
Poi  vidi  gente,  che  di  faor  del  rio 
tenea  la  testa  ed  ancor  tutto  il  casso  ; 
123       e  di  costoro  assai  riconobVio. 
Cosi  a  più  a  più  si  facea  basso 
quel  sangue  si  che  cocca  pur  li  piedi; 
126        e  quivi  fa  del  fosso  il  nostro  passo. 
€  Si  come  tu  da  questa  parte  vedi 
lo  bulicame  che  sempre  si  scema, 
129       disse  il  Centauro,  voglio  che  tu  credi 
che  da  quest'altra  a  più  a  più  giù  prema 
lo  fondo  suo,  infin  ch'ei  si  raggiunge 
192        ove  la  tirannia  conyien  che  gema. 
La  divina  giustizia  di  qua  punge 
quell'Attila  che  fii  flagello  in  terra, 
185       e  Pirro  e  Sesto:  ed  in  etemo  munge 
le  lagrime,  che  col  boiler  disserra 


In  nami  dextnt  tonot  oalioomi  ihro  onttorem 
aiueam,  in  qno  est  cor  dicti  Henxid  balsa- 
matom,  et  saprà  cor  stat  gladlns  nndoB,  te- 
Btìs  hvònB  neci8  >.  —  Miie  t  pass,  remoto  del 
Tb.  fmtden  (cfr.  hìf,  zzr  104),  tratto  qui  al- 
la Bigniflcazione  di  ferire.  —  ìm  gremito  a 
Mot  in  chiesa,  dorante  la  oelebrasione  dei 
divini  offloL  —  120.  lo  cor  eoo.  il  onore,  che 
ancora  attesta  in  Londra,  sol  flnme  Tamigi, 
il  delitto  di  Qnido  di  Montfort,  ed  è  nna  me- 
moria parlante  del  sangue  Tersato  :  non  so 
indurmi  ad  accettare  1*  interpretazione  ohe 
qoasi  tatti  i  oommentatori  danno  soriYendo 
si  eoUif  che  ssiebbe  in  vece  di  H  eolt^  nel 
senso  che  a  Londra  tatti  Tonerassero  il  cuore 
d' Enrico  («  tatti  gì'  in^^esi  che  ri  passano 
fanno  onore  a  quella  statua  >,  dice  il  Buti);  e 
prefeiisoo  d'intender  la  frase  come  un  forte  e 
bel  traslato  per  significare  che  il  cuore  dell'uo- 
ciso,  esposto  neU'  aureo  vaso  sulla  tomba  di 
lui,  Tersaya  ancora  il  sangue  agli  occhi  dei 
connazionali,  doò  tenera  vìva  in  essi  la  me- 
moria del  delitto  e  il  desiderio  della  vendetta. 
Anche  U  Parodi,  BuU,  HL 124,  nota:  <  ò  senza 
dubbio  da  colare  e  significa,  con  robusta  ima- 
gine,  gronda  aneora  di  aangw  >.  —  121.  vidi 
gente  eco.  Questi,  che  tenevano  la  testa  e 
il  petto  fuori  del  sangue,  erano  i  colpevoli 
di  ferimenti  e  di  ruberie.  —  122.  easto:  ò 
la  parte  del  busto  contenuta  dalle  costole 
(Dioz  91):  il  nome  si  ha  anche  in  Jnf.  xz 
12,  XXV  74,  Purg,  xxnr  72.  --  123.  assai 
riconobbi  eoo.  :  non  li  nomina,  ma  dovevano 
essere  in  mente  a  Dante  molti  suoi  oondt- 
tadini  ohe  nell' imperversare  delle  lotte  di 
parte  aveano  dato  di  piglio  negli  averi  o  nel 
sangue  degli  avversari.  —  124.  a  pid  a  pid 
eoo.  Buti  :  «  quanto  pi6  s' andava  in  là,  più 


si  trovava  mancare  l'altezza  del  iVDgne  neOa 
fossa,  e  meno  vi  stavano  fitti  li  peccatori  >. 

—  180.  che  da  qaest'alira  eco.  da  quest'ai- 
tra  parte  il  fondo  vada  via  via  abbssssndosi 
fino  a  raggiungere  la  masBims  profondità, 
colà  dove  sono  puniti  i  tiranni  :  ott,  v.  103. 

—  184.  Attila  :  il  famoso  condottiero  degli 
Unni,  ohe  regnò  dal  488  al  468;  del  quale 
la  storia  e  pid  la  leggenda  raccontano  opere 
inumane  di  distrazione  e  di  strage,  tali  da 
giustificare  il  tradizionale  sopranome  di  fk^- 
geUum  Dti  :  si  veda  in  proposito  A.  Thierry, 
HUt,  d'AU.  tt  dea  set  aveeeaseurs,  6*  ed.,  Pa- 
rigi, 1874,  e  A.  D'Ancona,  La  legenda  d'AtL 
negli  Studi  di  eriliea  $  atoria  fetf.,  Bologna, 
1880.  —  135.  Pirro:  i  commentatori  non 
vanno  d'accordo  sul  personaggio  accennato 
qui  da  Dante  :  secondo  molti  di  essi  si  tratta 
di  Pirro  o  Neoptolemo,  figliuolo  d'Achille  e 
di  Deidamla,  noto  specialmente  per  le  ucci- 
sioni di  troiani  raccontate  da  Virgilio,  En,  it 
626-568;  secondo  altri  invece,  sarebbe  qui 
ricordato  Pirro,  re  dell'Epiro  (cfr.  Par.  vi 
44),  che  guerreggìd  lungamente  coi  Bomani  : 
se  non  che  Dante  di  questo  Ik  altrove  ono- 
revole menzione  (D*  mon.  n  10  :  <  Pyrriìns 
Ule  tam  moribus...  quam  sanguine  genero- 
sus»),  ohe  non  s'accorderebbe  con  la  pre- 
sente condanna.  —  Sesto  t  Sesto  Pompeo,  il 
minor  figliuolo  di  Pompeo  il  grande,  che  dopo 
la  morte  del  padre  continuò  l'opposizione  a 
O.  Cesare  corseggiando  i  mari  della  Sidlìa; 
onde  Lucano,  Fort,  vi  118  scrisse  di  lui  : 
«  Sextus  erat  magno  proles  indigna  parente; 
Qui  mox  soylleis  exul  grassatos  in  andia 
PoUuit  aequoreos  Siculus  pirata  triumphos  ». 

—  ìm  eterao  eoo.  spreme  per  mezzo  del  tor- 
mento del  sangue  bollente  il  pianto  eoo.  — 


INFERNO  -  CANTO  XII 


91 


a  Binier  da  Cometo,  a  Binier  Pazzo, 
che  fecero  alle  strade  tanta  guerra  ». 
189    Poi  si  rÌYolse,  e  rìpassossi  il  goazzo. 


1S7.  Uxltr  da  Coraeto  t  àsl  fior.  :  «  Mm- 
■V  Bmkà  dft  OometD  di  Maremma  ta  gXBn- 
Haóao  rabstoie,  tanto  ohe  mentre  Tiase  te- 
aea  in  psoia  tutta  Haremma,  et  infine  in 
MQe  poftediBoma;  però  dk'elli  per  aéme- 
dadao  ftkoea  rubare  in  ralle  stradei  et  ancora 
duinnqne  Tolea  rubare  era  da  lid  rioevnto 
arile  fiutane  eoe  et  dato^  ainto  e  IkToxe  >. 
Da  F.  da  Barbexino  (cfr.  M.  Barbi,  BtUL  VI 
211)  aappiamo  che  ta  oontemporaneo  di  Ghino 
di  Taoeo  (cfr.  IStrg.  ti  14).  ->  Binier  Passo: 
An.fioE.:  «MieaaerBiniezi  de' Pazzi  di  Val- 


damo  lue  similmente  grande  mbatore  do- 
▼nnohe  potea,  maaalmamente  in  sulle  strade 
di  V)ddamoinflno  allaoittà  di  Areno  >  :  Ott. 
aggiunge  che  nel  1228  «  fa  a  mbare  li  prelati 
della  Chiesa  di  Boma  per  comandamento  di 
Federigo  n  imperatore  >,  e  il  Toiraoa  ricorda 
il  processo  fattogli  da  (Semento  IV  nel  1268 
per  «  arer  nooiao,  ferito  e  derabato  >  un  ye- 
sooYO  ed  altri  ecdesiastloi  e  laid  ohe  por  la 
Toseana  si  recavano  a  Boma  :  era  già  morto 
nel  1280.  —  189.  fiasco  i  ofr.  Inf, 
72. 


CANTO  Xlil 

He!  secondo  girone  del  settimo  cerchio  Virgilio  e  Dante  trorano  le  anime 
del  Tiolenti  contro  sé  stessi  e  contro  le  pn^rie  cose  :  prima  i  snicidi  tra- 
ifoimati  in  piante  silvestri,  pascolo  delle  Arpie*  e  tra  essi  i  poeti  ineon- 
trsno  Pietro  della  Vigna,  col  qnale  ragionano  a  lungo;  e  poi  gli  scialacqua- 
tori, persegnitati  e  lacerati  di  continuo  da  cagne  bramose  [9  aprile,  dopo 
le  tre  ore  antimeridiane,  verso  Palba]. 

Non  era  ancor  di  là  Nesso  arrivato, 
quando  noi  ci  mettemmo  per  un  bosco, 

8  che  da  nessun  sentiero  era  segnato. 
Non  frondi  verdi,  ma  di  color  fosco, 

non  rami  schietti,  ma  nodosi  e  involti, 
6       non  pomi  y'eran,  ma  stecchi  con  tòsco. 
Non  han  si  aspri  sterpi  né  si  folti 
quelle  fiere  selvagge,  che  in  odio  hanno 

9  tra  Cecina  e  Corneto  i  luoghi  cólti. 
Quivi  le  brutte  Arpie  lor  nido  fEuino, 


Xm  1.  Vea  era  eco.  Mentre  il  centanro 
Hean  zìpasaando  il  flnme  di  aangoe  ritoma 
Bei  primo  girone,  i  poeti  a'aTanzano  nel  ae- 
ooodo  tutto  oconpato  da  nn  foltissimo  boaco 
di  9gpn  •  aélratiche  pianto:  è  il  Inogo  dove 
iOBo  poniti  i  soioidi  e  gli  scialacquatori; 
A»  btf»  ZI  41-45.  —  8.  eke  da  aessui  eoe 
era  bob  era  segno  alcuno  di  sentiero,  per  il 
^ale  passare.  —  4.  Kob  frondl  eoo.  H  bosco 
4el  ascondo  girone  presentova  nn  aspetto  sel- 
vaggio •  direrso  dai  boschi  della  terra;  poi- 
ék  le  pianto  non  verdeggiavano,  ma  esano 
tiata  d'oscuro  colore,  non  avevano  i  rami 
ddtti  e  Usd,  ma  intrecciati  e  nodosi,  n6  era- 
aa  cariche  di  frutti,  ma  di  velenose  spine.  — 
fi.  ashletSl:  indica  i  rami  aensa  nodi,  levi* 
istt  e  dritti;  eona  nel  Petrarca,  ODozziu  26  : 


«  In  nn  boschetto  novo  i  rami  santi  Fiorf an 
d'nn  lauro  giovinetto  e  schietto  »,  e  cLxn  6  : 
«  schietti  arboscelli  e  verdi  Grondi  acerbe  >  : 
cfr.  Pwrg,  1 95,  —  6.  pomi  :  firatti,  in  genere; 
cosi  anche  in  Pu/rg.  xxn  182.  —  steeehl  : 
ponto  di  rami,  spine.  —  7.  Non  han  ecc.  Qli 
animali  selvatici,  che  nella  Maremma  toscana 
fuggono  i  luoghi  coltivati,  non  abitano  bosca- 
glie cosi  incolto  e  fitte.  —  9.  ira  Cecina  e 
Cometo  :  segna  i  confini  della  Maremma  to- 
scana, torminata  al  settentrione  dal  fiume  Ce- 
cina, sul  quale  sorge  la  borgate  omonima,  e 
al  mezzogiorno  dal  territorio  di  Cometo  Tar- 
quinia: cfi:.  Bassermann,  pp.  828-827.  — 
10.  Quivi  le  bratto  Arpfe  eoe  Le  favo- 
lose figlie  di  Taumanto  e  di  Elettra,  raffi- 
gurate con  volti  di  fanciulle  e  coxpi  d'  no- 


92 


DIVINA  COMlfEDU 


che  caociftr  delle  Stro&de  i  troiani 
12       con  tristo  annunzio  di  fatare  danno. 
Ale  hanno  late,  e  colli  e  visi  amani| 
piò  con  artigli,  e  pennato  il  gran  ventre; 
15       fanno  lamenti  in  su  gli  alberi  stranL 
Lo  buon  maestro  :  «  Prima  che  più  entro, 
sappi  che  se'  nel  secondo  girone, 
18       mi  cominciò  a  dire,  e  sarai  mentre 
che  tu  verrai  nell*orribil  sabbione: 
però  riguarda  bene,  e  si  vedrai 
21        cose  che  torrien  fede  al  mio  sermone  >. 
Io  sentia  da  ogni  parte  traer  guai, 
e  non  vedea  persona  che  il  facesse; 
24       per  ch'io  tutto  smarrito  m'arrestai. 
I'  credo  eh'  ei  credette  eh'  io  credesse 
che  tante  voci  uscisser  tra  que' bronchi 
27       da  gente  che  per  noi  si  nascondesse. 
Però  disse  il  maestro  :  «  Se  tu  tronchi 
qualche  fraschetta  d' una  d' oste  piante, 
80       li  pensier  e'  hai  si  faran  tutti  monchi  >. 
Allor  porsi  la  mano  un  poco  avante. 


celli,  fkuono  poite  da  Virgilio,  JRi.  m  209  e 
segg.  nelle  itole  Strofinìi,  nel  mare  Ionio,  e 
da  Dante  nel  eeoondo  g^ne,  a  guardia  e 
strazio  dei  suicidi.  — 12.  «•■  trlito  eoe.  ac- 
cenna alla  profeda  Iktta  da  Celeno,  una  delle 
Arpie,  ai  troiani,  annunziando  loro  la  Ikme 
crudele  ohe  doYeva  trava^iarli  ;  Ving.  JIH. 
m  247  :  <  Italiani  cursu  petìtis,  ventìaque  to- 
catis  Ibitia  Italiani,  portosque  intrare  licebit: 
Sed  non  ante  datam  oingetis  moenibus  urbem 
Quam  YOfl  dira  fiunea  noetraeq^oe  iniuzia  cae- 
dis  Ambesaa  subigat  malia  àbsumere  mensas  » . 
—  18.  Àie  eoo.  Questa  descrizione  è  un  ri- 
flesso della  yirgiliana,  J^  m  21S  :  «  Vixginei 
voluorum  Tultns,  foedissima  yentris  Prolu- 
▼ies,  nncaeque  manus,  et  pallida  semper  Ora 
fame  >.  —  16.  fkano  ecc.  Si  ricordino  i  da^ 
mori  delle  Arpie  virgiliane  (iEta.  m  226  :  e  ma- 
gma quatinnt  dangoribus  alas  >,  e  228 :  «Tum 
▼oz  tetmm  dira  Inter  odorem  >),  e  s' inten- 
derà  come  adrani  nella  mente  di  Dante  doree- 
sero  essere  i  lanunti  di  questi  esseri  Ikyolosi, 
•  non  gli  alberi  sui  quali  posarano,  giA  dalui 
rappresentati  come  disformi  da  quelli  dal 
mondo.  —  18.  e  sarai  eoe  e  sarai,  ti  trore- 
rai  nel  secondo  girone  finché  non  saremo 
giunti  alla  sabUosa  spianata  del  terzo  :  cfir. 
Inf.  xrr  18.  —  Mentre  ehet  cfir.  B^,  xzxm 
132.  — 19.  orribii  sabbiane  :  perché  ri  pio- 
Tono  sopra  le  fiamme;  cfr.  Jnf,  xrv  28.  — 
21.  eose  ecc.  cose  che,  se  io  te  le  raccontassi 
solamonte,  senza  che  tu  le  vedessi,  sembre- 


rebbero incredibili;  cosi  lessero  e  intesero  gii 
antichi  commentatori  Lana,  fioco.,  Benv.,  An. 
fior.,  Boti  eco.  e  molti  moderni.  Altri  invece, 
sensa  baatevoto  fondamento,  leggono  :  Oom 
eh$  dasnm  /kb  cU  m<o  amNOMS,  ciod  oonfer- 
meianno  la  narrazione  che  di  simili  cose  me- 
ravigUoee  io  UetàùnOi*  Emidi  a  proposito  di 
linea  e  di  Polidoro  (cfr.  la  nota  al  v.  88)  ;  ma 
alla  propria  nanazicme  Virgilio  allude  più 
innanzi  (cfir.  v.  46  e  segg.)  e  V  accennarla 
qui  sarebbe  inutile  aatioipiizione.  —  22.  (raer 
gaal  t  emettere  grida  lamentose  ;  è  locuzione 
frequente  e  quasi  tipica  nell'antica  poesia  per 
indicare  il  lamento  ch'esprime  dolori  morali, 
e  Dante  l'usa  piti  volte,  h^f.  v.  48,  F.  N. 
zzzm  148,  xm  87  eoe.  —  26.  P  erede  ecc. 
Sopra  l'uso  degli  «Tuiroof  si  veda  la  nota  al- 
l'ai/: x  86  e  anche  U  Federzoni,  SVudl,  pp.  2a- 
249,  avvertendo  ohe  Dante  se  ne  oomptaoe 
in  modo  partioolare  in  questo  canto,  Ibrse 
perché  Pier  della  Vigna,  ohe  ne  è  il  prota- 
gonista, fti  solenne  dettatore  in  quello  stile 
latino,  ohe  di  tali  espressioni  s'infiorava 
assai  spesso.  Del  resto  questo  eqnivooo,  ohe 
ta,  poi  riprodotto  dall' Arìoeto,  OrL  tx.  28, 
fi  suggerito  forse  dal  noto  veno  di  Psnloii 
Sta,  I  27  :  «  Scire  tuum  nihil  est,  nisi  teael- 
re  hoc  sdat  alter  >.  —  26.  brenehl  t  sterpi  o 
rami  d' alberi.  —  27.  per  neit  per  sfuggire 
al  nostro  sguardo.  —  80.  Il  pensier  eoo.  dò 
ohe  pensi  di  questi  lamenti  sarà  manohefole, 
verrà  meno,  perché  avrai  altra  spiegailoBe  di 


INFERNO  -  CANTO  XHl 


93 


e  colsi  un  ramicel  da  un  gran  pruno; 
83       e  il  tronco  suo  gridò:  «  Perché  mi  schianto?  » 
Da  che  fatto  fa  poi  di  sangue  bruno, 
ricominciò  a  gridar:  cFerchó  mi  scerpi? 
86       non  hai  tu  spirto  di  piotate  alcuno? 
Uomini  fummo,  ed  or  sem  fiEitti  sterpi; 
ben  dovrebb' esser  la  tua  man  più  pia, 
89       se  state  fossìm'  anime  di  serpi  ». 
Come  d'un  stizze  yerde,  che  arso  sia 
dall'  un  de'  capi,  che  dall'  altro  geme 
42       e  cigola  per  vento  che  va  via; 

si  della  scheggia  rotta  usciva  insieme 
parole  e  sangue:  ond'io  lasciai  la  cima 
45       cadere,  e  stetti  oome  l'uom  che  teme. 
€  S'egli  avesse  potuto  creder  prima 
rispose  il  savio  mio,  anima  lesa, 
48       ciò  e'  ha  veduto  pur  con  la  mia  rima, 
non  averebbe  in  te  la  man  distesa; 
ma  la  cosa  incredibile  mi  fidce 


«■i.  — as.  •  il  ìnmù9  MM  too.  Danto  xin- 
■tra  m  JintanA  TiigUiana:  mQ'A».  m  22 
••«0.  awonta  BMa  ooiM  nel  frindplo  daU» 
ut  pOBBgifaMskni  giiiiftiwa  nalk  Tmsitk  al 
li^èara  aniMpoUoFoUdoTOifUodlFduBO 
ift,  A«y.  zz  116>,  •  eoo*,  ttwppaado  al- 
iali tiigvlti  èhm  «tano  Intesilo  a  un  tumulo, 
ivImw  vfliv»  daUa  pianto  laMnto  della  foooe 
li  Magna;  Macnvi^iato,  zitontò  la  pzoTS,  • 
•01  onon  aentf  nn  lafiiimaroìa  aooiio,  In  Tooa 
éàmàmn  PoBdoio,  dM ai  lamantoya  oon  p»* 
Ida  non  diarimili  da  inaile  ohe  Danto  ode 
laUa  ielm  del  anlddi.  —  84.  Ite  ehe  o. 
^.Ai.m87:  «  TertU  aed  poatqnam  maio- 
m  liaiflìla  niaa  Adgradier,  genilniaqne  adrar- 
M»  ohlnctar  nienae;  (Eloqnar,  an  aUeam?) 
I  laerTmaUlit  imo  Anditar  tamnlo,  et 
rtor  ad  aurea:  *  Qoid  miaernm, 
A«ea,  laofloaf  iampazoe  aepnlto;  Faroe  piaa 

ft>  aeeryl  t  dn  eoffjMfWi  lat.  éitc$fptf$f  atnir 
lian,  leoenra.  —  dC  OeaM  eoo.  Ventali  61  : 
«La  aimilttodine  è  delle  pi6  piesiooe  del  poe- 
■a  par  Teiità  d' imagine  e  zara  penpionità 
a  fKma»  ;  e  venuaento  è  eoaf  netto  e  pre- 
«na  k  liapoodenza  dai  termini,  eie  partioo- 
ktìtk  del  tenoneno  aono  edito  e  reae  oon 
tato  aobdetà  di  paioln  «he  in  pochi  laogU 
l'aito  di  Danto  paaan  oltra  qneato  aegno; 
Oàma  foando  im  tronco  Tezdeggiante,  meaao 
alTMkie  daU'nno  dei  capi,  effonde  dall' al- 
ta» c^o  in  aaa  nmidità  In  fbann  di  gocce  e 
iaéiBa  In  Coma  di  Ti^oira  ohe  atride  nell'aaoi- 
la,  coii  9m1  nMBO  troncato  mandaya  faozi  il 
■ógae  •  le  pnzoto  inaiema.  —  41.  fame  i  il 


Tb.  gmmn  qni  aignifica  atillare,  mandar  fàoii 
gocce:  cfr.  Purg.  zxr 44  —  42.  e  dyoln ecc. 
Oaaeiva  E.  O.  Parodi,  BnU.  m  89,  che  in 
Danto  «in  rima  acatoziaoe  inaieme  ooU'eapraa- 
alone  nnofa  ed  Immortale,  e  la  vialone  dan- 
teaoa,  neDa  ana  Incredibile  intensità,  ai  fissa 
sansa  afono  apparento,  in  modo  inunediato, 
neDa  parola,  con  ftaai  di  maravigUoaa  evi- 
denza, oome  g$m»  •  cigola  ecc.  >.  —  44. 
elatt  t  la  parto  sopeiioze  del  ramoscello  stac- 
cato da  Danto  (cfr.  ▼.  82).  —  46.  e  atettl 
ecc.  La  stossa  idea  è  in  Virgilio,  Bn,  ui 
29:  «Mihl  Mgidoa  honor  Membra  qnatit, 
gelidasqve  colt  f ormldine  aangiiis  »  ;  ma,  oe- 
serra  ginstaaiento  il  Venturi  61 ,  «  Danto 
in  meno  parole  dice  pM;  perché  non  de- 
terminando dò  ohe  r  nomo  teme,  nò  deecri- 
Tendo  gli  effetti  della  paura  in  Ini,  quella 
breve  oompaiazione  comprende  nella  genera- 
lità deU'idea  infiniti  oggetti  spaventosi,  e  la- 
scia ohe  il  lettore  imagini  a  ano  talento  non 
aolo  la  coca  più  atto  ad  incuter  timore,  ma  an- 
che Taspetto  pallido,  e  la  figura  tremante,  sbi- 
gottito di  colui  ch$  (0fM>  (ofr.  Moore,  I  182). 

—  47.  il  savie:  VirgiUo;  ofr.  Inf.  iv  110. 

—  anima  lesa:  anima  ofTesa,  non  pur  dalla 
pena,  m^  anche  dall'atto  di  Danto.  — :  48.  dò 
e>  ha  vedalo  par  eoo.  il  Iktto  incredibile  di 
pianto  che  parlano  e  mandano  Ibori  sangue, 
fatto  conosciuto  da  Danto  solo  nel  versi  vir- 
giliani deU'J^lpi.  m  22  e  segg.  —  ada  rimai 
cosi  chiama  Virgilio  1  suoi  versi;  essendo 
tratto  questo  voce,  che  indica  una  partioola- 
rità  dei  Tersi  della  poesia  romanza,  a  tignifl- 
oare  U  verso  in  genere  :  cfr.  ^f,  zzzu  1  eco. 


94 


DIVINA  COMMEDIA 


51        indurlo  ad  opra,  che  a  me  stesso  pesa. 
Ma  dilli  chi  tu  fosti,  si  che,  in  vece 
d'alcuna  ammende^  tna  fama  rinfreschi 
54       nel  mondo  su,  dove  tornar  gli  lece  ». 
E  il  tronco:  €  Si  con  dolce  dir  m'adeschi 
ch'io  non  posso  tacere;  e  voi  non  gravi, 
57       perch'  io  un  poco  a  ragionar  m' inveschL 
Io  son  colui,  che  tenni  amho  le  chiavi 
del  cor  di  Federico,  e  che  le  volsi 
60       serrando  e  disserrando  si  soavi 

che  dal  segreto  suo  quasi  ogni  uom  tolsi: 
fede  portai  al  glorioso  ufizio, 
63       tanto  ch'io  ne  perdei  lo  sonno  e  i  polsi 
La  meretrice,  che  mai  dall'ospizio 
di  Cesare  non  torse  gli  occhi  putti, 
66       morte  comune  e  delle  corti  vizio, 
infiammò  centra  me  gli  animi  tutti; 


—  62.  Il  Teeé  d*  tlcMt  umMda:  quasi 
per  duti  qoalohe  riparazione  e  compenso  del- 
l'offesa eoo.  —  63.  imi  fama  rlBfresehl  : 

xbtyìyì  la  toa  nominanza.  La  promessa  di  Vir- 
gilio doveva  linseire  molto  grata  a  qnestfanl- 
ma,  come  si  ha  dai  v.  76-78.  —  64.  nel 
moado  eoo.  sa  nella  terra  dove  egli  pad  tor- 
nare, per  essere  anoor  vivo.  »  67.  n'inre- 
selil  :  mi  lasci  prendere,  mi  trattenga;  ofr. 
Bar.  zvn  S2.  —  68.  Io  son  eoo.  L' anima, 
con  la  qoale  i  poeti  si  sono  incontrati,  e  quella 
di  Pier  della  Vigna;  il  quale,  nato  in  Capua 
alla  fine  del  secolo  xn  e  fotti  in  Bologna  gli 
studi  giuiìdici,  entrò  come  notaio  nella  corte 
di  Federigo  II  e  fu  da  lui  elevato  all'  officio 
di  protonotaro  e  logoteta:  in  quest'officio 
egli  oompild  le  Costituzioni  del  1231,  riordi- 
nando tutta  la  legislazione  dello  Stato,  scrisse 
epistole  latine  e  recitò  orazioni  per  sostenere 
gli  interessi  e  i  diritti  del  suo  signore,  com- 
pose rime  volgari  di  materia  amorosa;  e  per 
tutti  questi  mooAtì  venne  in  grande  nominan- 
za e  fb  salutato  <  egregium  dictatorem  et  to- 
tius  linguae  latinae  iubar».  Nel  1248,  per 
motivo  ohe  s' ignora,  perdette  la  grazia  di 
Federigo  n,  il  quale  lo  fece  incarcerare  e 
accecare:  di  che  Pier  della  Vigna  tanto  si 
accorò  che,  avuta  l'occasione  propizia  (cfr.  la 
nota  al  v.  72),  si  dio  da  sé  la  morte  nel  1249 
(cfir.  O.  De  Blasiis  DeUa  vita  e  deiió  cpen  di 
P.  dsUa  Vigna,  NapoU,  1861,  e  Huillard-Bré- 
hoUes,  Vie  et  eorreapondenee  di  P.  de  la  Vi- 
gne, Parigi,  1866).  —  tSBui  ambo  le  chiavi 
eoe  Due  interpretazioni  si  danno  di  questa 
frase;  secondo  l'una  vuol  dire:  signoreggiai 
l'animo  dell'imperatore  si  ch'egli  concedeva  o 
negava  le  grazie  giusta  il  mio  volere  (Buti  : 
«  «ni  avea  le  due  chiavi  del  suo  onore,  cioò 


l'afllarmativa  ohe  apriva  Io  onore  e  la  negati- 
va che  lo  senava»);  secondo  l'altre  slgniflcsa: 
io  oonobbi  tutti  i  segreti  penslezi  dell'  impe- 
ratore e  seppi  tenerli  nasoosti  o  Banifestazli 
secondo  l'opportunità  (Buti:  «a  lui  erano 
note  le  ooee  segrete  e  palesi,  perohó  Timpe- 
ntore  ogni  segreto  li  oommettsa,  et  elli  le 
tenea  fedelmente,  quelle  oh'  erano  d»  teneiQ, 
e  con  onesti  modi  palesava  qud  ch'era  da  pa- 
lesare, come  diritto  e  leale  cancellieri»).  Quan- 
to alla  fonte  dell'  imagine,  piuttosto  che  Isaia 
xxn  22  (Moore,  I  77),  è  opportuno  ricordare 
col  Torraoa  le  parole  di  una  epistola  di  Nic- 
colò da  Booca  :  <  Tamquam  imperii  daviger 
daudit,  et  nemo  aperit,  aperìt  et  nomo  olaa- 
dit»,  riferite  proprio  a  Pier  della  Vigna.  — 
61.  ohe  dal  segreto  eoe  che  allontanai  dalla 
confidenza  dell'  imperatore  ogni  altro  corti- 
giano. —  62.  fede  eco.  ftii  tanto  fedele  nel- 
r  esercizio  del  mio  alto  officio,  che  sacrificai 
U  riposo  deUa  notte  e  l' attiviU  del  giorno. 
Altri  leggono  le  vene  e  i  polti  (ofr.  Inf,  1 90), 
intendendo  :  la  vita;  ma  ò  lezione  e  interpre- 
tazione evidentemente  erronea,  perché  la  fede 
serbata  non  poteva  esser  cagione  della  di- 
sgrazia di  Pier  della  Vigna.  —  64.  fia  Mere- 
trice ecc.  L'invìdia,  che  non  msncA  mai  neUa 
corte  imperiale  e  in  genere  nelle  corti  dei 
principi  eco.  :  si  ricordino  altri  sventurati  mi- 
nistri, ohe  perdettero  il  £avore  dei  loro  signo- 
ri; oome  Pier  della  Broccia  (Air^.  vi  19-21) 
caduto  in  disgrazia  iwr  as(io  e  per  inveggia,  e 
Bomeo  {Par,  vi  127-142)  per  le  parole  bieee 
degli  invidiosi.  —  66.  pvttl  :  ofr.  Purg.  u  114, 
dove  la  chiosa  del  Buti  spiega  chiaramente 
il  valore  di  questo  agg.  —  66.  Morte  eoa 
cagione  di  peccato  agli  uomini  tutti  e  vizio 
predominante  nelle  corti.  «  £7.  lAtMmò 


INFERNO  -  CANTO  Xm 


95 


e  gì'  infiammati  iTìfiamniftr  si  Augusto 
CO       che  i  lieti  onor  tomaro  in  tristi  lutti 
L'animo  mio  per  disdegnoso  gusto, 
credendo  col  morir  fuggir  diadegnOi 
72        ingiusto  fece  me  contra  me  giusto. 
Per  le  nuove  radici  d'esto  legno 
yi  giuro  che  giammai  non  ruppi  fede 
75       al  mio  signor,  che  fu  d'onor  si  degna 
E  se  di  Toi  alcun  nel  mondar  riede, 
conforti  la  memoria  mia,  che  giace 
78        ancor  del  colpo  che  invidia  le  diede  >. 
Un  poco  attese,  e  poi  :  €  Da  eh'  ei  si  tace, 
disse  il  poeta  a  me,  non  perder  l' ora; 
81        ma  parla,  e  chiedi  a  lui  se  più.  ti  piace  ». 
Ond'  io  a  lui  :  €  Dimandai  tu  ancora 
di  quel  che  credi  che  a  me  satisfaccia; 


«e.  Boti  :  «  lo  imperidon  si  fidava  tanto  di 
U,  die  qQtmk  ninn  altro  area  al  aao  segreto 
HMìglio  se  lum  Ini,  e  per  questo  li  altd  b»- 
nai  dello  impeiadore  lo  oominnlarono  a  odia- 
le et  aT«di  invidia,  et  apposonU,  mostrando 
eoa  ftlse  lettere,  oh*  eUi  zirelara  i  segreti 
Mio  impesadore  a' suoi  nimìoi,  doè  ai  papa». 
"  68.  tenare  :  si  oonyertixono  ;  lo  stesso 
nase  del  Tb.  fcmors  è  in  hif.  xzvi  186  e 
Fmg.  ziT  98.  ~  70.  1/aalMO  eoo.  Q  mio 
iiime  hfcdign^^^  per  l' nmiliaxione  sofferta, 
cndsaAo  che  la  morte  ponosse  fine  al  disprex- 
»  ia  ^e  ^  ahxi  m' srerano,  abbraodd  il 
IKtito  éA  soiddio.  —  72.  lag  leste  eoo.  oo- 
riiti^nial.  mentre  ere  innocente  delle  oolpe 
■IHMWituml^  commisi  nn'  ingiostizia  contro  me 
itsmoi.  £  opportuno  ricordare  qoi  che  intomo 
•i  paztioolaxi  dd  soiddio  di  Pier  della  Vigna 
gfiaatidU  commentatori  non  Tanno  d'accordo  ; 
flLaaaaoxiTe  ohe  «lo  imperatore  lo  lè'pren- 
tee  e  tSùo  abednare,  e  questo  ta  a  San  Mi- 
ikto  del  Tedesco;  poi  in  processo  di  tempo, 
fKsndolo  portare  a  Fisa  in  sa  ano  asino  lo 
iapezaton,  fti  per  li  somieri  tolto  giaso  e 
■esso  ad  «no  ospedale  perché  repoeasse,  e 
qossto  [Piero]  batté  tanto  lo  capo  al  moro 
che  mori  9,  e  il  Bnti  aggionge  ohe  da  8.  Mi- 
aiato  ta  portato  a  Pisa  «e  quando  ta  posato 
a  Sant'Andrea  in  Barettnlaria  domandò  07*0111 
sta,  e  dettott  ohe  ere  a  Pisa...  percosse  tanto 
b  090  al  moro  diselli  s' aodse  »  :  il  Boco.  e 
ria.  fior,  attestano  invece  ohe  Piero,  caduto 
la  'tttgff**'^  e  abbacinato^  d  recò  ad  abitare 
fibsoBSotein  Pisa,  dttà  di  parte  imperiale, 
e  che  Todendod  disprezzato  e  dall'  imperatore 
e  dd  ijtt^^"^*,  un  giorno  «  essendo  menato 
attorno  da  uno  die  '1  guidava,  et  essendo  di 
Mipdto  a  Santo  Paulo,  che  ò  a  Pisa  in  sulla 
Bva ff Amo,  disse  aodoi  che  '1  guidava  ohe  '1 
il  muro  della  chiesa;  come 


egli  l' ebbe  volto,  questi  corse  et  perooese  il 
capo  ti  muro,  onde  le  cervella  gli  caaoorona 
di  capo  et  ivi  moif  »  :  Benv.  rifiuta  questi  rac- 
conti e  afferma  ohe  Piero  s'uccise  in  carcere. 

—  73.  Per  le  avove  eco.  U  De  Sanctis  in  un 
discorso  sopra  questo  canto  (Saggi  entioi, 
Napoli,  1874,  pp.  898-409)  osserva  g^ustamen- 
ta.che  sino  a  questo  punto  Pier  della  Vigna 
parla  senza  oommuoversi,  esprimendo  i  suoi 
pensieri  in  fbrma  studiata  e  ingegnosa,  e  che 
solo  a  scagionaid  dell'  infamia  dd  tradimen- 
to appostogli  la  sua  anima  d  aocalon  e  il 
suo  linguaggio  diviene  aemplioe  ed  doquente. 

—  aaoTe  radlel  :  secondo  il  Buti,  Benv.  eoo. 
sono  ood  dette,  perché  l'anima  di  Pier  della 
Vigna,  morto  nd  12A9,  ere  sorta  in  pianta 
da  tempo  relativamente  recente;  secondo  i 
moderni  commentatori  sarebbero  ood  dette 
per  r  inaudita  e  minbile  traaformadone  di 
un'anima  in  pianta.  —75.  ehe  fa  d'oaor  ti 
degao  :  Dante,  che  pone  all'  inferno  l' imp. 
Federigo  II  come  eretico,  gli  dA  per  dtro  in 
più  luoghi  lode  di  prindpe  valente  e  di  cólto 
signore  (cfr.  ^f.  X  119);  qui  poi  la  lode  ò 
tanto  più  opportuna  in  quanto  è  messa  sulle 
labbn  dd  protonotaro,  il  quale  affenna  la 
sua  foddtà  al  signore  ohe  l' aveva  devato 
d  primi  onori.  —  77.  conforti  ecc.  rivendi- 
chi l'onore  dd  mio  nome,  che  ò  ancore  sotto 
il  peeo  obbrobrioso  dell'  accusa  di  traditore. 

—  79.  Uà  poco  attese  ecc.  Davanti  a  Pier 
della  Vigna,  che  ood  gagliardamente  aveva 
parlato  della  sua  innocenza,  1  due  poeti  re- 
stano come  titubanti  per  un  sentimento  mi- 
sto di  pietà  e  di  riverenza:  Virgilio  s' indu- 
gia prima  d'invitare  il  compagno  a  Atre  qud- 
che  dtn  domanda,  e  Danto  a  dò  invitato  se 
ne  schermisce  perché  la  commiseradone  gl'im- 
pedisce  di  parlare  a  quell'anima  lesa.  —  80. 
l'ora  s  il  tompo  opportuno,  il  momento  favo- 


96  DIVINA  COMMEDIA 


84        eli'  io  non  potrei,  tanta  pietà  m' accora  ». 
Però  ricominciò:  €  Se  l'uom  ti  faccia 
liberamente  ciò  che  il  tuo  dir  prega, 
87        spirito  incarcerato,  ancor  ti  piaccia 
di  dime  come  l'anima  si  lega 
in  questi  nocchi;  e  dinne,  se  tu  puoi, 
90       8*  alcuna  mai  da  tai  membra  si  spiega  ». 
Allor  soffiò  lo  tronco  forte,  e  poi 
si  conterti  quel  vento  in  cotal  voce: 
93       €  Brevemente  sarà  risposto  a  voL 
Quando  si  parte  l'anima  feroce 
dal  corpo  ond'ella  stessa  s'è  divelta, 
96        Minos  la  manda  alla  settima  foce. 
Cade  in  la  selva  e  non  l'è  parte  scelta, 
ma  là  dove  fortuna  la  balestra, 
99        quivi  germoglia  come  gran  di  spelta; 
surge  in  vermena  ed  in  pianta  silvestra: 
l'Arpie,  pascendo  poi  delle  sue  foglie, 
102       fEumo  dolore,  ed  al  dolor  finestra. 

Come  l'altre  verrem  per  nostre  spoglie, 

ma  non  però  ch'alcuna  sen  rivesta: 

105        ohe  non  è  giusto  aver  ciò  ch'uom  si  toglie. 

TOTole.  —  86.  Se  I'iom  eoo.  Cosi  ti  Bia  fotto  fette  e  vivaoità  nella  spiegazione  di  nn  fatto? 

ciò  che  hai  chiesto  eoo.  ;   riguardo  al  00  de-  Perché  è  nn  snloida  die  spiega  la  pena  dol 

precatiro  si  cfr.  la  nota  all'^/l  x  82,  e  quanto  suicidio,  e  narrando  la  storia  dell'anima  sai- 

alla  locazione  uom  H  fàecia  si  osservi  ohe  ha  dda  ricorda  insieme  la  sua  propria».  ~  9A. 

nn  yalore  del  tatto  impersonale,  come  pia  anlm»  feroce:  quella  del  suicida;  Bntì:  «ben 

altro  volte  nel  poema.  —  86.  liberamente  :  la  chiama  ferooe,  imperò  ohe  oome  fiera  inora- 

spontaneamente;  non  senza  però  includer  an-  delisce  contro  sé  medesimo  ».  —  96.  Minos  : 

che  l'idea  della  liberalità:  cfr.  Pctr,  zxxm  18.  M  giudice  infernale,  daranti  al  quale  le  animo 

—  90.  ti  spiega:  si  dlsviluppa,  si  libera;  dannate  vanno  a  confessare  le  loro  colpe;  cfr. 
cfr.  Purg.  XVI  64.  —  91.  Allor  tofflò  eoo.  /n/".  v  4  e  segg.  —  alla  settima  foee:  al 
Biag.  :  <  Questo  soffio,  eh'  ò  un  sospiro  di  do-  settimo  oerahio.  —  97.  la  telT»  :  quella  che 
loro,  precede  naturalmente  il  parlaro  d' ogni  ricopro  il  secondo  girone  del  settimo  cerchio, 
misero  che  si  dispone  al  racconto  di  ciò  che  —  99.  spelta:  Beco.  :  <  una  biada,  la  qoal 
gli  rammenta  la  cagione  del  suo  tormento»,  gittata  in  buona  tena  cestisce  molto,  e  por- 

—  93.  BreTemente  ecc.  Bene  osserva  il  De  dò  ad  essa  somi^  il  germogliaro  di  queste 
Sanctis  che  in  questa  seconda  parto  del  di-  misere  pianto  ».  —  100.  sorge  eoo.  soigo, 
scorso  di  Pier  della  Vigna,  che  è  la  spiega-  viene  su  in  forma  di  giunco  sottile  e  cteeco 
zione  del  mondo  fantastico  apparso  a  Danto,  via  via  a  pianta  selvatica.  —  101.  l'Arpfo 
l'anima  del  suicida  racconta  la  propria  storia  eoo.  De  Sanctis  :  «  L'anima  sepazatasl  violen- 
dal  punto  che  si  è  separata  dal  oorpo  sino  al  tomento  dal  oozpo  non  lo  riavrà  piti  mai,  o 
giudizio  universale,  e  aggiunge  :  «  Non  vi  è  riman  chiusa  in  corpo  estraneo  di  natura  in- 
pensiero, ma  azione  narrata  con  una  vigoria  feriore,  in  una  pianta,  e  la  pianta  sentila  ad 
ed  efficacia  di  stile  insolita.  Le  parole  sono  ogni  ora  la  trafittara  dia  il  suidda  si  féoe  in 
molto  oompronsive  e  risvegliano  parecchie  vita.  La  separazione  è  etema,  la  ferita  ò  etar- 
Idee  accessorie.  Nel  diwUa  d  sento  non  solo  na;  l' inferno  de'sulddi  è  il  suiddlo  ripetato 
la  separazione,  ma  la  violenza  e  lo  sforzo  con-  etemamento  In  ogni  istanto  ».  — 106.  Coma 
tro  natura;  nel  baUstra^  non  solo  U  cadere,  l*altre  eoe  Come  le  altre  anime  verremo  il 
ma  l'Impeto  e  la  rapidità  della  caduta  e  l'ani-  giorno  dd  giudizio  finale  a  cercare  1  nostri 
pio  spazio  percorso  ;  nolla  parola  finedra  d  corpi  nella  valle  di  Oiosafat  :  cfr.  hif.  vi  97-99. 
sentono  l  sospiri  ed  i  lamenti  e  il  pianto  ohe  —  106.  éké  non  è  ginsto  ecc.  Buti  :  «  Non 
esce  fuori  per  qud  varco.  £  perché  tanto  af-  ò  ragione  che  V  nomo  riabbia  qud  che  s*  à 


INFERNO  —  CANTO  XIH 


97 


Qui  le  strascineremo,  e  per  la  mesta 
selva  saranno  i  nostri  corpi  appesi, 
108        ciascuno  al  prun  dell*  ombra  sua  molesta  >. 
Noi  eravamo  ancora  al  tronco  attesi, 
credendo  ch'altro  ne  volesse  dire, 
Ili        quando  noi  fummo  d'un  romor  sorpresi, 
similemente  a  colui  che  venire 
sente  il  porco  e  la  caccia  alla  sua  posta, 
114        ch'ode  le  bestie  e  le  frasche  stormire. 
Ed  ecco  duo  dalla  sinistra  costa, 
nudi  e  graffiati,  fuggendo  si  forte 
117        che  della  selva  rompièno  ogni  rosta. 

Quel  dinanzi:  «  Ora  accorri,  accorri.  Morte!  » 
e  l' altro,  a  cui  pareva  tardar  troppo, 
120       gridava  :  <  Lano,  si  non  fdro  accorte 
le  gambe  tue  alle  giostre  del  l^oppo  »  ; 


tolto  aUi  stesw):  quoDe  coso  che  l'aomo  non 
li  pQò  daze,  non  si  dee  togliete  ;  ami  le  dee 
tBBfln  qnnnto  mol  colui  che  gliele  dà,  e  ae 
le  xiflata,  xaglone  è  che  non  le  riabbia  ».  — 
106.  Q«l  le  ttraaeinereme  ecc.  Dopo  il  gìn- 
£iio  oniveiaale  trascineremo  in  questa  trista 
wàtn  i  nostri  ooipi,  dascnno  dei  quali  sarà 
^{iocato  ali*  albero  in  coi  d  incarcerata  la 
ioa  anima.  —  108.  moleste:  infesta  e  nemip 
eaal  ewpo,  del  quale  si  spogliò  (ofir.  BulL  IH 
20  e  29).  —  lU.  fummo  eoo.  ricorda  il  tìt- 
pSaao,  Bit.  vi  658  :  «  Constitit  Aeneas,  stre- 
ittamqne  exterritos  hanslt  ».  — 112.  slmile- 
msate  ecc.  oome  saccede  al  cacciatore  appo- 
stato, il  qnale  sente  yeniz  alla  saa  Tolta  il 
craghiile  e  1  cani  che  lo  insegaono.  Si  para- 
goni  con  la  similitodine  omeiiiau  Jl.  xn,  cosi 
ima  dal  Monti,  con  ricordi  danteschi  :  «  Come 
Btrsstri  Veni  ch'odon  sol  monte  ayridnarsl 
Il  l^agor  della  caccia,  impetnosl  Fulminando 
t  taTeao,  a  sé  d'intorno  Bompon  la  selva  e 
»ehisTitano  la  rosta  ».  —  118.  la  eaeela  :  i 
cani  inseguenti  il  cinghiale.  —  115.  Ed  eeeo 
Hc  Sono  due  anime  di  violenti  contro  le  pro- 
Ideoose,  ossìa  di  scialacquatori,  Lano  da  Sie- 
Bs  •  Giaoonu)  da  Sant'Andrea,  che  corrono  la 
Mira  ìuegniti  e  lacerati  da  cagne  bramose. 
*-  117.  egal  roste  :  le  frasche  e  i  rami  della 
Ntra  intrecciati  in  modo  da  formare  ripari  e 
iapedimenti  a  ohi  correva.  —  118.  (jnel  di- 
saaai  eec  II  primo  degli  scialacquatori,  che 
^aggrado  rieece  a  sottrarsi  alle  cagne,  ò  Lano 
{4eà  Maconi?)  da  Siena  «lo  quale,  dice  il 
Boti,  per  molti  modi  fu  guastatore  e  disfaci* 
toct  di  saa  facultade  :  ma  innanzi  ch'elli 
««ase  al  tutto  distrutta,  nella  battaglia  ch'eb- 
k«o  i  Senesi  con  11  Aretini  alla  Pieve  del 
Toppo  nel  distretto  di  Arezzo,  ove  i  Sanesi 
^»ò»o  sconfitti,  Lano  fu  morto  »  :  il  Bocc. 


aggiunge  che  fti  della  brigata  spendereccia 
(o£r.  Jnf,  XXIX  ISO)  e  ohe  per  essa  «  non  spen- 
dendo, ma  gittando,  in  piccol  tempo  consumò 
ciò  oh'  egli  aveva,  e  rimase  purissimo  »  :  si 
veda  Aquarone,  Dante  in  StertOj  p.  41  e  segg. 
e  O.  Maconi,  BaeeoUa  di  documenti  etoriei^ 
Livorno,  1876,  pp.  91-114.  —  Ora  accorri 
ecc.  «  Gotta  con  amarezza  un  grido  alla  morte, 
alla  sua  terribile  dannazione,  che  con  fùria 
spietata  lo  persegue  a  fame  strazio  e  stermi- 
nio >  (O.  Federzoni,  Stuéti^  p.  2S3)  :  ò  una 
vera  invocazione,  quindi  non  ò  possibile  che 
il  vb.  OMorri  sia  di  modo  indicativo  (c£r.  ivi, 
p.  249).  —  119.  e  l'altro  eoo.  Il  secondo  è 
Giacomo  da  Sant'Andrea,  padovano,  figlio  di 
Odorioo  da  Monselice  e  di  Speronella  Dele- 
smanini  :  fti  al  seguito  di  Federigo  n  nel  1287 
e  fatto  uccidere  da  Ezzelino  da  Bomano  nel 
1289  ;  di  lui  scrive  il  Lana  che  «  dopo  la  mor- 
te del  padre  rimase  ricchissimo,  dissipò  Io  suo 
avere  in  mali  e  viziosi  modi,  fhi  i  quali  se  ne 
conta  uno,  che  li  venne  voglia  di  vedere  un 
gran  fuoco  In  una  sua  villa  eh*  era  tutta  sua, 
e  stava  dal  largo  a  vedere  ardere  le  case  >, 
ed  altre  somiglianti  pazzie  raccontano  altri 
commentatori  :  si  veda  G.  Gennari,  Inlomo  a 
Oioó.  da  Sant'Andrea  memoria^  Padova,  1831, 
e  E.  Salvagnini,   Iacopo  da  8ant Andrea  e  i 
feudatari  nel  Padovano  nel  voi.  Dante  e  Badova^ 
pp.  29-75.  —  120.  liane,  sf  non  faro:  eco. 
tu  non  sapesti  fuggir  c<^  dalla  battaglia  di 
Pieve  al  Toppo;   dove,  racconta  il  Bocc., 
e  Lano  ricordandosi  del  suo  misero  stato  e 
parendogli  gravissima  cosa  a  sostenere  la  po- 
vertà, siccome  a  colui  eh*  era  uso  d'esser  rio- 
chiBsimo,  m  mise  infira  i  nemici,  fra'quali,  co- 
m'egli per  avventura  desiderava,  fu  ucciso». 
—  121.  giostre  del  Toppo:  il  combattimento 
prosso  la  Pieve  del  Toppo,  nel  tetritorio  d'Aro»- 


98 


DIVINA  COMMEDIA 


e  poiclié  forse  gli  fallia  la  lena, 
123       di  sé  e  d'un  cespuglio  fece  groppo. 
Di  retro  a  loro  era  la  selva  piena 
di  nere  cagne  bramose  e  correnti, 
126        come  veltri  che  uscisser  dì  catena. 
In  quel  che  s'appiattò  miser  li  denti, 
e  quel  dilaceraro  a  brano  a  brano  ; 
129       poi  sen  portar  quelle  membra  dolenti 
Presemi  allor  la  mia  scorta  per  mano, 
e  menommi  al  cespuglio  che  piangea, 
132       per  le  rotture  sanguinenti,  invano. 
«  O  lacomo,  dicea,  da  Sant'Andrea, 
che  t'ò  giovato  di  me  fieure  schermo? 
135        che  colpa  ho  io  della  tua  vita  rea?  » 
Quando  il  maestro  fu  sopr'esso  fermo, 
disse  :  «  Chi  fusti,  che  per  tante  punte 
138       soffi  con  sangue  doloroso  sermo?  » 
E  quegli  a  noi  :  <  0  anime,  che  giunte 
siete  a  veder  lo  strazio  disonesto 


IO,  ove  nel  1287  |^  axetini  econflseero  i  ae- 
nesi,  ohe  si  rìtinTaiLO  soli  per  la  Tia  più 
Viere  della  vai  di  Ghia&a,  inveoe  di  battere 
quella  di  Montevaiohi  insieme  ooi  floxentini 
loro  alleati  (cfr.  Q.  Wlani,  Or.  vn  120). 
Qoanto  alla  espressione  dantesca,  il  Basser- 
mann,  p.  811,  vi  nota  nna  «  amara  ironia  », 
perch6  in  questo  scontro  «  i  senesi  avevano 
a  loro  danno  espedmenlato  che  la  goerra 
non  vuole  essere  condotta  come  nn  Mvolo 
torneo  »;  ma  potrebbe  anche  essere  stata  sn^ 
gerita  dalla  cofls  a  corpo  a  corpo,  che  do- 
vette soooedere,  per  l' improvviso  osdre  de- 
gli aretini  dall'agguato  ove  aspettavano  i  se- 
nesL  —  122.  fallfa:  mancava,  veniva  meno. 

—  128.  di  stf  ecc.  si  nascose  avvolgendosi  den- 
tro anncespogUo,  si  da  formare  con  esso  quasi 
un  nodo:  ofr.  W-  xmn  97.  ~  126.  ntre  ca- 
gane :  Buti  :  <  Queste  cagne  litteralmente  si  dee 
i  ntendere  che  flnfln«n  l'autore  che  fossono  di^ 
moni  posti  a  tormento  di  questi  peccatori  >;  e 
veramente  hanno  rispetto  agli  scialacquatori 
lo  stesso  officio  ohe  le  Arpie  rispetto  ai  suicidi. 

—  126.  eeiM  veltri  ecc.  come  i  cani  disciolti 
di  recente  dalle  catene  :  paragona  cotesto  ca- 
gne al  veltri  per  mettere  in  rilievo  la  loro 
velocità;  poiché,  come  dice  nei  Oonv.  t  12 
«  bontà  propria  nel  veltro  è  bene  correre  ». 
Da  un  sonetto  attribuito  a  Dante  il  Tonaca 
cita  il  verso;  «E  di  guinzagli  uscir  veltri  cor- 
renti». — 127.  quel  che  s'appiattò:  Giacomo 
da  Sant'Andrea,  il  quale  s' era  nascosto  nel 
oeqiuglio,  che  albergava  l'anima  di  un  suicida. 

—  131.  piangea  ecc.  inutilmente  piangeva  a 
cagione  delle  rotture,  dalle  quali  colava  il  san- 


gue;  poiché  le  cagne  nel  Due  strazio  déQ' ani- 
ma d^o  scialacquatore  non  avevano  rispar- 
miato il  cespuglio  del  suicida.  —  133.  dleea: 
chi  parla  ò  un  suicida  fiorentino.  —  134. 
schermo  I  difesa,  riparo.  —  137.  tante  pas- 
te: cime  di  ramoscelli  spezzati  dalle  cagne. 
—  188.  sofli  eco.  mandi  Itiori  gocce  di  san- 
gue e  parole  di  lamento  ;  e  usa  il  vb.  tof- 
fian  per  indicare  il  gorgogliare  del  sangue 
fktto  pi6  vivo  dall'usoire  delle  parole.  —  139. 
E  quegli  ecc.  Chi  sia  il  fiorentino  che  Dante 
incontra  fra  i  suicidi  non  seppero  con  certezza 
né  pur  gli  antichi  commentatori,  anzi  Benv. 
osserva  che  non  si  pud  congetturarlo  perché 
«  multi  fnerunt  fiorentini  qui  suspenderunt  se 
laqueo  eodem  tempore  ».  B  BambagL,  il  Lana  e 
l'An.  fior,  dicono  ohe  si  tratta  di  Lotto  degli 
Agli;  il  quale  fb  giudice  in  Bologna  nel  1266  e 
nelle  Marche  nel  67,  uno  del  mallevadori 
guelfi  nella  pace  del  card.  Latino  del  1280, 
priore  in  Firenze  nel  1286,  capitano  del  popolo 
a  Cremona  noi  77,  a  Modena  noli'  82,  podestà 
di  Trento  nell'  87,  di  Cremona  noli'  88  e  di 
Pistoia  nel  1290;  di  lui  si  nana  che  «  aven- 
do renduto  uno  consiglio  falso  et  essendo 
stato  condannato  per  questo  vituperevolmen- 
te,  se  ne  pose  tanto  dolore  a  cuore  eh'  egli 
tornato  a  casa  sua  per  disperazione  s'impiccò 
per  la  gola  »  :  inveoe  l'Ott.  il  Buti  e  altri  di- 
cono cotesto  suicida  essere  Boooo  dei  Mozzi, 
«  il  quale  poi  ch'ebbe  distrutta  la  sua  facultà 
per  dolore  e  per  disperazione  s'appicoé  per  la 
gola  in  casa  sua  ».  Che  si  tratti  di  quesfnl. 
timo  parrebbe  confermato  dai  v.  146.  —  140. 
lo  strazio  ecc.  Virgilio,  J^  vi  497,  di  Dei- 


INFERNO  -  CANTO  Xm 


99 


141        o'ha  le  mie  fronde  si  da  me  disgiunge, 
raccoglietele  al  piò  del  tristo  cesto. 
Io  fili  della  città  che  nel  Batista 
144       mutò  '1  primo  patrono  ;  ond'  ei  per  qiiesto 
sempre  con  l'arte  sua  la  farà  trista: 
e  se  non  fosse  che  in  sol  passo  d'Amo 
147       rimane  ancor  di  lui  alcuna  vista, 
quei  cittadin,  che  poi  la  rifondamo 
sopra  il  cener  che  d'Attila  rimase, 
avrebber  &tto  lavorare  indamo. 
151    Io  fei  giubetto  a  me  delle  mie  case  >. 


Cobo:  <  tt  tnmcM inhoneilo  Tnliìcre  naxm  • 
Qhon,  1179).  — 142.  trteto  Mito  I  infelice 
cetpi^lSo.  —  US.  dtlà  eoo.  Fixenie  ohe  in- 
isui  al  oristicneeiao  rieonoecevm  per  protet- 
ta» Unte,  dio  deUa  giMnaCofr.  O.  '^Hllani, 
0. 143),  ebbe  poi  per  protettole  lan  Oloran- 
li  BtfMeta.  —  145.  l'arte  leai  la  guerra  : 
aDoMBe  non  tanto  aidiaastd  militali,  qiianto 
aOe  lotte  inteme.  —  146.  t  te  nen  feaie 
tee.  Q.  volani  (Or.  1 43,  60,  n  1,  m  1,  xi  1) 
neoonta  le  rioende  di  una  itatoa  Innaliata 
4ai  iamitini  al  dio  Marte;  la  quale,  oonTer- 
tita  la  città  al  frriatJaneBimo,  tu.  ooUooata  so- 
pB  una  tocre  pieaso  l'Amo  e  nella  distm- 
xioae  della  città  per  opera  dei  barbari  Mgit- 
tata  nel  ifaiaie:  r^peecata  neU'801,  ta  posta 
la  capo  dal  Pont»  Teooblo,  e  Ti  rimaae  tino 
al  laaS,  teetiaMme  delle  diaooidie  cittadine  e 
érifueoiiiaBe  di  Buoodelinont»  (efr.  Bit,  zyi 
M6).  Boa  è  inutile  arreitire  òbe,  eeoondo  il 
Bnitebon,  (h9oh,9(mFhrmx,I  748eiegg., 
hfiuUiea  iBagine  di  Marte  farebbe  itata  una 
•trtu  trrr*****  in  onore  di  Teodoxioo  o  di  al- 
ti» re  gotoé  —  sul  pMse  i'Anet  sul  Ponte 
Teeehio;  a  poca  distania  da  questo  e  predsa- 
watB  «in  capo  del P(ate  Rubaconte [ora  alle 
etaóe]  di  là  da  Ano»  arevano  le  case  1  Mol- 
ti, xkca  e  potente  fionigliadi  grandi  di  parte 
|iel&  (O.  VUL,  Or.  m  43);  si  ohe  sembra  pid 
■staiale  in  bocca  di  Becco  de^Moad  òhe  d'ai- 
tò fl  rioeido  deUn  statua  di  Marte,  eh'ei  do- 
Tpva  aver  anruta  spesse  Innanxi  agli  occhi 
|er  la  Tietnaa»  aUe  sue  case.  — 147.  uleuua 
ilBtot  qnalelke  resto  Tliibil»|  la  .e  pietra  sce- 


ma» (Air.  xvx  146).  —  143.  «nel  elttodln 
eco.  Fra  le  leggende  italiche  di  distruzioni  fe- 
roci delle  nostre  dttà  fette  da  Attila  re  de- 
gli Unni  corse  nel  medioeTO  un  racconto  f a- 
Toloeo,  secondo  il  quale  Attila  nell'anno  450 
sarebbe  venuto  con  ventimila  uomini  a  ven- 
dicar Oatilina,  riamando  Fiesole  distratta  e 
abbattendo  Firenze  (B.  Malaspini,  St,  fior.^ 
capp.  20  e  segg.):  questa  leggenda,  nella 
quale  si  confonde  Attila  oon  Totila  re  dei  Qoti, 
che  nel  643  Ibce  assodlsr  Firenze  dai  suol 
capitani,  era  molto  diffusa  ai  tempi  di  Dante 
e  solamente  la  critica  storica  posteriore  potò 
mostrarne  la  fklsità  (si  veda  il  disoorso  di 
y.  Boighini,  Se  Pìr.  fié  api«nata  da  Attila 
eoo.  nei  suoi  Dùooni  Firenze,  1684,  e  si  cft*. 
D'Ancona,  StiMUdierU.*aloriateU,,jip,3^d' 
880).  —  pel  la  rlfoadamot  rìoostruirono 
Firenze,  ai  tempi  di  Carlomagno  (ofir.  Mala- 
spini,  8L  fkr,  cap. 45,  G.  VUlani,  Or,  mi, 
Boighini,  1.  cit).  — 150.  avrebber  eoe  :  per- 
che, come  scrive  il  Villani,  O.  in  1  <  dioesi 
che  gli  antichi  avevano  opiiiione^  che  di  rifiwla 
non  s'ebbe  podere,  se  prima  non  tn.  ritrovata 
e  tratta  d'Amo  l'imsf^  di  marmo  conseora- 
ta  per  li  primi  edificatori  pagani  per  nigro- 
manzia  a  Marte,  la  quale  era  stata  nel  fiomo 
d'Amo  dalla  distrazione  di  Firenze  infine  a 
quello  tempo  >.  — 151.  le  fel  eoo.  Io  mi  im- 
piccai neUe  mie  case  ;  poichó  giubetto^  frane. 
gibd  significa  /broa,  patibolo  (Diaz  166,  Zing. 
125);  o  è,  secondo  altri,  l'odificio  dove  in  Pa- 
rigi si  eseguivano  le  g^ostizie. 


CANTO  XIV 

Dante  e  Vlncillo  entrano  nel  terzo  girone,  costituito  da  nna  landa  de- 
•ertàt  aelU  qnale  i  violenti  contro  Dio  sono  esposti  a  nna  pioggia  di  fiamma  ; 
e  prlm»  Ineontrano  eoloro  ehe  esercitarono  la  loro  violenza  contro  r  essenza 
di  IMo,  eloè  i  dispregiatori  del  nome  divino,  tra  i  qaali  è  Capaneo,  e  mentre 
proeedoBO  Yirgflio  spiega  a  Dante  T  origine  de'  flnmi  infernali  [9  aprile,  ore 
tttiaeridiaae  Terso  l'alba]. 


100 


DIVINA  CJOMMEDIA 


Poiché  la  carità  del  natio  loco 
mi  strinse,  raunai  le  fronde  sparte, 

8  e  rende*  le  a  colui  ch'era  già  fioco. 
Indi  venimmo  al  fine,  ove  si  parte 

lo  secondo  giron  dal  terzo,  e  dove 
6       si  vede  di  giustizia  orribil  arte. 
A  ben  manifestar  le  cose  nuove, 
dico  che  arrivammo  ad  una  landa, 

9  che  dal  suo  letto  ogni  pianta  rimuove. 
La  dolorosa  selva  Vò  ghirlanda 

intomo,  come  il  fosso  tristo  ad  essa: 
12        quivi  fermammo  i  passi  a  randa  a  randa. 
Lo  spazzo  era  un'arena  arida  e  spessa, 
non  d'altra  foggia  faiìA  che  colei| 
16        che  fu  da'  pie  di  Oaton  già  soppressa. 
0  vendetta  di  Dio,  quanto  tu  dèi 
esser  temuta  da  ciascun  che  legge 
18       ciò  che  fu  manifesto  agli  occhi  miei! 
D'anime  nude  vidi  molte  gregge, 
che  piangean  tutte  assai  mìseramente, 
21       e  parea  posta  lor  diversa  legge. 


XIV  1.  Poiché  eco.  Prima  d'iucire  dalk 
Belva  dei  euiaidi  per  entrare  noli*  landa  del 
violenti  contro  Dio,  Dante,  mosso  dal  senti- 
mento ili  carità  patria  verso  il  suo  oonoitt»- 
dino  suicida' (Lotto  degli  Agli  o  Boooo  dei 
Mozzi),  racooglie,  secondo  oh'  ei  gli  aveva 
chiesto  (cfr.  Jnf,  xm  142),  le  fronde  dal  ce- 
spuglio in  coi  era  incarcerata  T  anima  di 
lai.  M.  Schierino,  Lechtra,  p.*8:  «Quanta 
tenera  tristoscza,  quanta  soave  malinconia, 
qoanta  nostalgia  in  questa  prima  terzina, 
connessa  strettamente  al  precedente,  ma  me»* 
sa  invece  qui,  in  principio  del  nuovo  can- 
to, quasi  una  di  quelle  battute  di  preludio, 
con  cui  i  grandi  musicisti  sanno,  al  comin- 
ciar d^un  nuovo  atto,  richiamar  tutto  un 
passato  e  disporci  1'  animo  a  nuova  mesti- 
zia I  >.  —  8.  era  già  fioco:  era  già  silen- 
sioso,  non  parlava  più.  —  A.  Indi  eoo.  Per- 
venimmo al  confine,  ohe  divide  il  secondo 
dal  terzo  girone,  e  vedemnvo  un  modo  orri- 
bile di  giustizia  divina,  cioè  le  fiamme  che 
piovevano  dal  cielo  sopra  i  violenti  contro 
Dio.  —  7.  cose  naOTe  :  o£r.  Inf,  vn  20  :  «  nuove 
travaglie  e  pene».  —  8.  landa:  pianura 
aperta;  ofr.  Pitrg,  zxvu  98.  —  9.  dal  sio 
letto  eco.  dal  suo  piano  rimuove  qualunque 
specie  di  alberi,  non  lascia  crescere  alcuna 
pianta.  -^  10.,  La  dolorosa  ecc.  Come  il 
fiome  di  sangue  dei  violenti  contro  il  pros- 
simo gii»  intomo  alla  selva  dei  suicidi  (Jnf, 


n  62),  cosi  la  selva  circonda,  a  guisa  di 
ghirlanda,  il  piano  dei  violenti  contro  Dio. 

—  12.  »  randa  »  randa  :  Butl  :  <  rasoits 
rasente  la  rena,  perché  in  su  la  pianura  non 
potavano  scendere,  perché  v'era  fuoco,  come 
manifèsta  ora  >:  randa  pare  certamente  deri- 
vato dal  ted.  nmd,  margine,  estremità  (Diea 
268).  —  18.  spaiso:  suolo;  Boxgh.:  «Koi 
abbiamo  tpaxio  e  apaxxo,  diversi  di  dire  o 
di  significato  ;  il  primo  importa  itUeroaUmi^ 
il  secondo  tolum  »:  cfr.  Purg.  xni  70.  — 14. 
«elei  ohe  tm  eco.  quell'  arena  ohe  fri  calcata 
dai  pedi  di  Oatone,  allorché  guidava  per  i 
deserti  della  Libia  gli  avanzi  dell'esercito 
pompeiano  per  oongiungersi  a  Giuba  re  di 
Kumidia:  ofr.  Lucano,  JTfart,  ix  882  e  segg. 

—  16.  0  vendetta  eoe  :  ofr.  Inf.  vn  19  e 
segg.  —  19.  anime  nado  :  erano  le  anime  doi 
violenti  contro  Dio,  tutti  esposti  alla  piog- 
gia di  fuoco,  ma  in  diversa  maniera;  poiché 
alcuni  giacevano  supinamente  (disprezzatoii 
di  Dio),  altri  sedevano  raccolti  (usurai)  o 
altri  camminavano  senza  posa  (sodomiti)  sotto 
la  pioggia.  Tutte  le  anime  nell'inferno  sono 
nude  (cfr.  Jnf.  ni  65,  100,  vii  111,  xm  116, 
xvm  25  9oc);  ma  della  nudità  Danto  «  non 
fa  cenno  se  non  colà  dov*  essa  può  riuscire 
a  render  meglio  sensibile  e  completo  U  tor- 
mento, dove  doò  questo  riusciamo  a  imagi- 
narcelo  più  efficace,  ricordando  ohe  pesa  ap- 
punto su  animo  nude  >  (Schoiillo,  Lei,  p.  18). 


-Tf 


INFERNO  —  CANTO  XIV 


101 


27 


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86 


89 


Supia  giaceva  in  terra  alcuna  gente, 
alcuna  si  sedea  tutta  raccolta, 
ed  altra  andava  continuamente. 

Quella  che  giva  intomo  era  più  molta^ 
e  quella  men  che  giaceva  al  tormenio, 
ma  più  al  duolo  avea  la  lingua  sciolta. 

Sopra  tutto  il  sabbion  d*un  cader  len::o 
piovenn  di  foco  dilatate  falde, 
come  di  neve  in  alpe  senza  vento. 

Quali  Alessandro  in  quelle  parti  calde 
d'India  vide  sopra  lo  suo  stuolo 
fiamme  cadere  infino  a  terra  salde; 

per  ch'ei  provvide  a  scalpitar  lo  suolo 
con  le  sue  schiere,  per  ciò  che  il  vapore 
meVsi  stingueva  mentre  ch'era  sole: 

tale  scendeva  l'eternale  ardore; 
onde  l'arena  s'accendea,  com'ésca 
sotto  focile,  a  doppiar  lo  dolore. 

Senza  riposo  mai  era  la  tresca 


—  22.  8ifla:  sapinamente;  agg.  in  fdnziane 
sTTvbiale,  come  in  Inf,  x  72,  zzm  44.  — 
fflaf«T*:  ofr.  al  r.  47  raooenno  alla  posi- 
tua  di  Capaneo.  —  23.  ti  Mdea:  cfr.  Inf. 
xm  86,  45,  69.  —  24.  aadaTft:  cfr.  Inf.  xv 
17,  37  0OC.  —  26.  er*  pltf  molte:  la  sohieia 
éà  aodonùti  era  la  più  numerosa  delle  tre, 
quella  dei  Tiolenti  contro  Dio  era  Invece  la 
jòA  goccia.  —  27.  pid  al  dvolo  ecc.  come 
oA  mondo  ebbero  1a  lingoa  pronta  a  bestem- 
Bìaie  Iddio,  oosi  nell'inferno  l'hanno  sciolta 
ai  lamenti  e  alle  imprecazioni  contro  la  pena. 

—  29.  plOTeaa  eco.  Non  ò  improbabile  che 
qui  già  una  rimembranza  biblica,  del  ftiooo 
ehe  picnrve  sopra  Sodoma  {Omiesiy  xix  24).  — 
3iX  eMse  ecc.  BeH»  e  semplice  comparazione^ 
ebe  xiooidA  le  simili  imagini  di  dne  antichi 
lÌBataxi,  F.  Ismera  (VaL  I  431):  «Veder 
toccar  1*  nere  senza  venti»,  e  G.  Cavalf 
canti,  aon.  xv  :  «  E  bianca  neve  scender  senza 
reati  ».  Note  0  Yentori  112  che  «  i  suoni 
aperti  di  qneato  rerso  eepiìmono  la  larghezza 
dei  ftocehi  lentamente  cadenti  ».  —  81.  Qoàli 
ileiaaadre  ecc.  Nella  epistola  di  Alessandro 
maguo  ad  Aristotele,  D*  sUu  India$  et  Uin»- 
nm  in  ea  tnstitaU  (Lipsia,  1888,  p.  208), 
si  xaooonto  che  dorante  la  spedizione  nel- 
r  India  cadde  una  rolta  la  nere  in  tanto  co- 
pia, che  Aleesandro  dorette  tarla  calpestare 
éai  soldati,  e  che  poco  dopo  renne  una  straor- 
iii^^Tia^  pioggia  di  facce,  contro  la  quale  egli 
ocdind  ohA  ciascuno  opponesse  le  sue  resti  : 
Dante,  di  questi  due  fatti  distinti,  fu  un  solo, 
Ione  per  arerne  amto  notizia  indirettamente, 


n(m  dall'epistola,  ma  da  qualche  rifacimento 
dei  tanti  che  corsero  ma  medioero  delle  leg- 
gende su  Alessandro  il  l'irande  (intomo  a  che 
si  consulti  G.  Farro,  Richanhea  aynr  lu  Mst, 
fabuteuges  i^Alexandre  k  grand  in  UUanges 
d'hist.  liti,,  (Hnerra,  1866,  roL  II,  e  P.  Meyer, 
Alexandre  U  grand  dant  h  liUéraiure  franfoisA 
du  moyen  age,  Parigi,  1886),  oppure,  come 
opina  il  Toynbee,  iStoóvA^  I  86,  da  un  passo 
di  Alberto  Magno,  D»  Hetéoria^  i,  4,  8,  or'  ò 
la  medesima  concisione.,  —  83.  Inflae  a  ter- 
ra salde  s  che  si  mantenerano  unite,  non 
li  oonsumarano  sino  a  ohe  erano  giunte  a 
terra.  —  84.  sealpiter  lo  snelo  ecc.  a  far 
calpestare  dai  soldati  le,  fiamme  cadute,  per- 
ché pia  facilmente  si  suegnerano  prima  che 
altre  sopragiungessero  Ctù  cielo  :  ofr.  la  nota 
al  r.  81.  —  87.  tele  eco.  Venturi  589  :  «  Gli 
accenti  grari  del  rerso  esprimono  V  inces- 
sante e  interminabile  p'ioggia  di  faooo  ».  — 
88.  eom'  dsea  ecc.  con  quella  facilità  con  la 
quale  s' accende  l' ésca  ijotto  la  pietra  focaia 
battuto  dall'  acciarino.  Ili  questo  similitudine 
si  ricordò  il  Prezzi,  Qtmidr.  i  17 :  «Si  corno 
l'esca  al  foco  del  focile^i  >.  —  89.  focile:  è 
il  nome  che  gli  antichi  (tarano  all'istrumento 
d'acciaio  o  aociarino,  c(il  quale  percoterano 
la  silice  per  trame  la  sdintilla.  —  40.  Senza 
riposo  eco.  Fanfani  :  «  Chi  spiega  tresca  per 
baUirmnlo  di  mani  mi  sembra  essere  alci«n 
poco  lontano  dal  rero,  perché  quelle  falde  di 
nere  ò  impossibile  a  scnoterle  ria  da  sé  bat- 
tendo le  mani  insieme,  e  solo  rien  ciò  fatto 
menando,  or  qua  una,  <  ir  là  un'  altra  mano^ 


lo-j 


rrrrNA  commedia 


^fWf'  mii-cre  manii  or  qxundi  or  quinci 
V        iscotomio  da  sé  r arsura  fresca. 
Io  ooiufiicitti:  «Maestro,  tu  che  vinci 
Lutt^  le  coHe,  fuor  cbe  i  demon  duri, 
lo       rh©  aU'outiar  della  porU  incontro  uscinci, 
chi  è  vjuol  grande,  ohe  non  par  che  curi 
l'ine  nai>  ♦•  giace  dispettoso  e  torto, 
JS       si  cli€  ìa  r loggia  non  par  che  il  maturi?  > 
E  que't  u.'d.^^.ao,  ohe  si  fu  accorto 
cL'io  diniMj('ava  il  mio  duca  di  lui, 
51        gi  '' '    <  Q^3,l  io  ftii  vivo,  tal  son  morto. 
o  Gì  ove  stanchi  il  suo  fabbro,  da  cui 
crti<  efato  prese  la  folgore  acuta, 
54        ondo  1"  ultiiao  di  percosso  fui, 

)  8*o£;H  stazi- }v  gli  altri  a  muta  a  muta 
in  Moi. Ribello  alla  fucina  negra, 
57        cliif*mai:*^)  :  *  Buon  Vulcano,  aiuta  aiuta', 
d  com'  ei  il  e  alla  pugna  di  Flegra, 
tì  D  e  saetti  di  tutta  sua  forca, 
CO       non  ne  pcriobbe  aver  vendetta  allegra». 


'>    'i  jH-:~.  vna  ove  ; 


U 


f  'rene 
•ivano; 
',  q  nelle 

1  V  '1  j.n.t-,  «;  •'  -;  -e'  <>  .lili^ 
li  V  v  '  /r*,*"!,  t  •  '  ^•■^Tiiiift. 
'  '  .  V  0»  'ii' .  "  ^rll'^eooiOi 
^■u'ì.  e*  F.'i-'v  re»:  K  p  *  :iipO| 
.  .  -  —  *  I*»'-'»  ira  f -dca: 
i\. .  ■,!  .iiU  re.  -  u.  fa  *reke 
t*'\^'  o^  1  <v...  .1  liii-  s^i  t rano 
t  n  «;:'  It  ^:.'  ^  ('e  -A  dttà 
■  l  ,i>  ft!i  bi*-  ^n>  r  'liu-o  del 
■  c!r.  /»i/.  \iu  oi' 0  s >.-?.,  1x76 
.  inei  frand»  "Cf,  iJ'ajaaeo, 


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fai:  ;  « 

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■  li     «>  !n:po   orni  A   co 
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0  I  .!  A  ^i  ,r  >t\  r*r(-  -i 
-  t  .te  ff  l'ia'  -«o  c«>iitr. 
•.     >    <'  ^:  M^   '•'  P  a'^,>^*t*iv     iJ 

<!'     .  r    "  '.•    i    ro    li    pif»rrq    a 

••       ol.iwa--.  »  (T.'c^   IH  'jió; 
n-   '  •   ^r'-o.-ì    (  Ti       ,1    '><:"    . 

1  *£  *•      t  t  ^  f  -'  .1  >  mo. 
,.   '     ''  janoo    *'"•  \-*e    r    .-•  r 
v'  '•'>li"    tu:''     mara  mt"'-;f\n: 

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>  T;..  itH  trasse 
o  ra^  t,r  ;^nta 
-a  (  m.»  Bpre»- 
.(lo  c."L>  effU 
jir  ìt»,  re  e 

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w.  f,  più 

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iKi'  'Vtti 

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.'  •  «so 

fi .  .età 

b.  «j;^;,rarfl  ■^  tritio  <iui 


:  ra 


alla  signiiloazione  di  domare,  flaoosiB.  —  61. 
<)ial  eoo.  Oome  M  nella  vita,  ooef  sono  ont 
dispreszatore  degli  dèi  (Stazio,  TMf,  m  608: 
«  Saperam  oontamptor  et  aeqni  impatiens  »). 

—  62.  Se  GioTO  eoo.  Se  Oiore  eoagllMae 
contro  di  me  tatto  le  saette,  che  possono 
fornirgli  Vulcano  e  i  Gldopi,  non  rinsoirebbe 
a  Tinoere  il  mio  disprezzo.  — 11  sio  fiibbros 
Volcano,  figlio  di  Qiove  e  di  Oinnono,  seoofiido 
la  mitologia  lavorava  nella  snafticinadeirfit&a 
le  saette  per  U  re  degU  dòL  —  65.  §11  «Itrt  :  i 
CSdopi  compagni  di  Vulcano.  —  »  auita  % 
mata  t  vicendevolmente,  l' ano  dopo  t' altxo. 

—  66.  HoBflbello:  nome  medioevale  del- 
l' Etna,  d'orìgine  araba.  Bassermann,  p.  280: 
«  Kel  nome  popolare  di  MongibeUo  invece  di 
Etna  risaona  ana  nota  realistica  >. — 67.  ekla- 
mando  eoo.  invocando  l' alato  di  Voloano,  oo- 
me già  fece  nella  pngna  contro  i  Giganti  oom- 
battata  in  Flegra.  —  60.  Tsaiett»  alle^rms 
osserva  il  Bati  che  «  sogliono  gli  nomini  mon- 
dani quando  fknno  vendetta  di  loro  nemici  «- 
vore  allegrezza  »  e  che  «  l'aotors  parla  seoondo 
la  condizione  ddla  persona  introdotta,  chó 
quella  di  Dio  non  ò  vendetta,  ma  giostizla  ». 
H.  Scherillo,  Lect  p.  15  :  <  Oapaneo,  porao- 
niflcazione  della  forza  materiale,  non  pensa. 
Egli  concepì  Oiove  a  somiglianza  soa,  bru- 
talmente  forte,  ma  plebeo  e  grossolano;  e  non 
potrebbe  ora  imaginare  nn  Dio  immateriale, 
senza  passioni,  impecoabilmente  ginsto  e 
ineffabilmente  misericordioso.  Nella  infinita 
iattanza  della  soa  forza,  el  fi  compiace  di  raf- 
flgurarselo  omeeiato  ancor»,  come  allora  che 


INFERNO  -  CANTO  XIV 


103 


Allora  il  duca  mio  parlò  di  forsa 
tanto  ch'io  non  l'avea  d  forte  adito: 
63        €0  Capaneo,  in  ciò  che  non  s' ammorza 
la  tua  superbia,  se'  tu  più  punito  : 
nullo  martirio,  fuor  che  la  tua  rabbia, 
66       sarebbe  al  tuo  furor  dolor  compito  ». 
Poi  si  rivolse  a  me  con  miglior  labbia, 
dicendo:  €  Quel  fu  l'un  de*  sette  regi 
69        ch'assiser  Tebe;  ed  ebbe  e  par  ch'egli  abbia 
Dio  in  disdegno,  e  poco  par  che  il  pregi: 
ma,  come  io  dissi  lui,  li  suoi  dispetti 
72       sono  al  suo  petto  assai  debiti  fregi. 

Or  mi  vien  dietro,  e  guarda  che  non  metti 
ancor  li  piedi  nell'arena  arsiccia, 
75       ma  sempre  al  bosco  li  ritieni  stretti  >. 
Tacendo  divenimmo  là  ove  spiccia 
fuor  della  selva  un  picdol  fiumicello, 
78       lo  cui  rossore  ancor  mi  raccapriccia. 
Quale  del  Bulicame  esce  il  ruscello, 
che  parton  poi  tra  lor  le  peccatrici, 
81       tal  per  l' arena  giù  sen  giva  quello. 


gfi  tooeft  d' ascoltarne  la  laciilega  sfida;  per- 
dò  anzi  lo  ifida  anooia,  lo  ingimia,  lo  bef- 
ftggìa  xkozdandQgli  impugna  di  FUgra  e  lap- 
pmeatandolo  nell'atto  ridicolo  di  racooman- 
iaxA  al  iman  Vuleamo  con  grida  di  fanciullo 
ifarentato  :  aiuita^  oMa  /  E  lo  sfiderà  e  lo 
WEBggetà  in  etamo.  Cosi,  dall'nna  parto  egli 
li  cenpiaoe  d' imaginare  e  Qìore  9  H  mto 
fàtn  e  i  Ciclopi  tatti  aitàcoendati,  trafelati, 
Éanekif  nel  fabbricar  nnove  folgori  nella  fu- 
ma negra  di  Mongibello;  dall'  altra  Ini,  Ini 
nlo,  TinTincil^,  oibe  non  gli  promette  nn'o^ 
bgn  vendétta  ».  —  61.  ÀUor»  eoo.  La  ra- 
fios»  Oman*  condanna  l' empietà,  e  però  Vir- 
gilio •*  accende  di  sdegno  al  parlare  di  Ca- 
paaeo,  e  gli  risponde  con  nn  ammonimento 
•ereiD.  —  68.  1b  elò  eoe.  nel  fatto  che  la 
tia  empietà  continua  ad  agitarti,  ta  trovi  la 
maggiore  delle  pene,  poiché  nesson' altra  sa- 
zskbe  proporzionata  al  tao  furibondo  peccato 
fsanto  fl  perdoraie  della  toa  rabbia  impo- 
tnt».  —  67.  MB  miglior  labbia:  con  aspetto 
{i6  benevolo  ;  sol  significato  del  nome  labbia 
di.  I%erg,  zzm  47.  —  68.  Quel  eoe.  I  re 
OGllflgati  per  tog^re  a  Eteoole  il  regno  di 
T^  finono  Oapaneo,  Adrasto,  Tideo,  Ippo- 
Mdcnte,  Amfiarao,  Partenopeo  e  Polinice.  — 
(9.asitscr:  assediarono;  ò  dal vb. OMuidre, 
bt  oMiarv.  —  71.  Ini  :  cfir.  la  nota  all'In/'. 
I  8L  ~  72.  aemo  ecc.  sono  gli  ornamenti 
cà»  meglio  oonTeogono  alla  saa  condirione. 
-  7&  ATCSlvat:  %ai  e  in  Inf,  znu  68. 


Pusrg,  m  46  il  Tb.  dimntire  significa  wnkn, 
giungere,  non  senza  accennare  anche  il  laogo 
onde  il  soggetto  mnove.  —  77.  flamleello  eco. 
É  Flegetonte,  ohe  dopo  aver  aggirato  intomo 
il  primo  girone  passa,  per  mezzo  al  secondo 
ossia  alla  selva  dei  soicidi,  nel  terzo  girone: 
c£r.  V.  124  e  segg.  —  78.  lo  evi  rossore  eoo. 
Tomm.  :  «  Orribile  a  vedere  qnel  sangue  tra 
il  fosco  della  selva,  il  rosso  del  ftiooo,  il  gial- 
liccio della  rena».  —79.  Quale  del  Bnlleave 
ecc.  :  paragona  n  flamleello  infernale  al  pic- 
colo corso  d' aoqoa  rossiccia  e  bollente,  che 
esce  dal  Balicame,  sorgente  termale  non 
lungi  dalla  città  di  Viterbo;  dal  quale  corso 
d' acqua  U  peoeatrid^  o  meretrici  come  spie- 
gano quasi  tutti  1  commentatori,  a  qualche 
distanza  dal  suo  principio,  solevano  deriva- 
re r  acqua  raffreddata  ai  loro  bagni  privati. 
La  cosa  doveva  essere  notissima  nel  medio- 
evo, quando  le  sorgenti  termali  di  Viterbo 
erano  molto  frequentate  (il  Bulicame  d  ricor- 
dato da  G.  Villani,  O.  i  61,  datt'Uberti, 
Dia.  ni  10,  dal  Prezzi,  Quadr,  n  16  ecc.),  ed 
ò  accertata  da  uno  statuto  viterbese  del  1469, 
ove  è  prescritto  che  e  se  vogliono  bagnarse, 
Tadino  diete  meritrioi  nel  bagno  di  Bulicame  >  : 
si  veda  in  proposito  I.  Ciampi,  Un  munioipio 
italiano  ncU'  età  di  Dante  Al,,  Boma,  1865  ; 
A.  Corradi,  Stufe  e  bagni  ealdi  nel  medioevo 
in  Rendiconti  del  R,  Mituio  lombardOt  serie  2*, 
tom.  XXn,  pp.  662-665;  B.  Murari,  KoU 
dmteeehef  II ,  Begi^o  Emilia,  1886;  t  fl 


104  DIVINA  COBIMEDIA 


Lo  fondo  suo  ed  ambo  le  pendici 
fatt'eran  pietra,  e  i  margini  da  lato: 
84        per  ch'io  m'accorsi  che  il  passo  era  liei. 
€  Tra  tutto  l'altro  ch'io  t'ho  dimostrato, 
poscia  che  noi  entrammo  per  la  porta, 
87        lo  cui  sogliare  a  nessuno  è  n^ato, 
cosa  non  fu  dagli  tuoi  occhi  scorta 
notabil  come  lo  presente  rio, 
90       che  sopra  sé  tutte  fiammelle  ammorta  >. 
Queste  parole  fdr  del  duca  mio  ; 
per  che  il  pregai  che  mi  largisse  il  pasto 
93        di  cui  largito  m'aveva  il  disio. 

€  In  mezzo  mar  siede  un  paese  guasto, 
diss'egli  allora,  che  s'appella  Creta, 
96       sotto  il  cui  rege  fa  già  il  mondo  casto. 
Una  montagna  v'ò,  che  già  fu  lieta 
d'acque  e  di  fronde,  che  si  chiamò  Ida; 
99       ora  è  diserta  come  cosa  vietcu 
Bea  la  scelse  già  per  cuna  fida 
del  suo  figliuolo  ;  e,  per  celarlo  meglio, 
102       quando  piangea,  vi  &cea  far  le  grida. 

Dentro  dal  monte  sta  dritto  un  gran  veglio, 

Bassennann,  pp.  291-294.  —  82.  Lo  fondo  «  sotto  cai  giacque  ogni  malizia  morta  »  (Bxr, 
eoe.  :  il  fondo,  le  due  sponde  e  i  margini  la-  xn  26),  oon  manifesto  ricordo  delle  parole 
torali  del  Home  Flegetonto  erano  divenuti  di  di  OioTonale,  Sat,  vi  1  :  €  Credo  pndicitianL 
pietra.  —  84.  11  passo  eco.  il  luogo  ove  pas-  Saturno  rege  moratam  In  tonis  »,  o  foxBe 
sarò  era  nei  margini  laterali,  tra  il  corso  del  anche  di  Virgilio,  EM.  vm  824  :  e  Aurea  quae 
fiume  sanguigno  e  l' arena  infocata.  —  Ilei  :  perhibent,  ilio  sub  rege  ftierunt  Saeoula  :  sic 
U,  lat.  mio  :  è  anche  in  Purg,  vn  64.-86.  placida  populee  in  pace  regebat  >.  — -  99.  ora 
la  porto  eoe.  la  porta,  della  quale  tutti  pos-  eco.  adesso  ò  abbandonata  come  sogliono  es- 
sono liberamente  varcare  la  soglia  per  entrar  sere  i  luoghi  guasti  dal  tempo.  —  100.  Bea 
nell'  inforno  :  cf^.  Inf,  m  i  e  segg.  —  87.  so-  ecc.  Bea  o  Cibele,  moglie  di  Saturno,  al  quale 
filare:  voce  raramente  usata  invece  della  partorì  Qiove,  Nettuno  e  Plutone,  per  sot- 
più  comune  forma  soglia  (Inf.  ix  92,  Purg.  trarre  Giove  al  padre  che  lo  avrebbe  divorato 
iz  104  ecc.).  —  90.  ehf  sopra  §é  ecc.  che  come  i  figli  precedenti,  lo  fece  nutrire  segre- 
spegne  per  mezzo  delle  sue  evaporazioni  (cf^.  tamente  sul  monte  Ida,  nascondendo  i  vagiti 
Inf.  zv  2-8)  tutte  le  fiamme  che  vi  piovono  e  le  grida  del  bambino  con  il  fhigoroeo  suono 
sopra  (cfr.  v.  142).  —  92.  ehe  mi  largisse  di  strumenti  che  ftwevano  i  Caroti,  al  quali 
eoo.  come  aveva  susdteto  in  me  il  desiderio  ella  lo  aveva  affidato:  cf^.  Virg.  En.  m  111  : 
di  conoscere  che  cosa  di  maravigUoso  fosse  <  Hinc  Mater  cultàx  Cybeli,  Oorybantlaquo 
in  questo  fiume,  cosi  lo  sodisfacesse.  —  94.  aera,  Idaeumque  nemus  :  bino  fida  silentia 
la  messo  nar  ecc.  La  descrizione  che  segno  sacris  Et  iuncti  currum  dominae  subiere  leo- 
dell' isola  di  Creta  e  del  Monte  Ida  ricorda  nee».  —  108.  «a  graa  veglio:  l'idea  di 
parecchi  tratti  di  Virgilio,  £H.  m  104:  «  Creta  questa  statua  del  veglio  di  Creta  può  essere 
lovis  magni  medio  iacet  insula  ponto;  Mons  stata  suggerita  a  Danto  dal  ricordo  della 
Idaous  ubi,  et  gentis  cunabula  nostra».  —  Statua  apparsa  in  sogno  a  Nabucoodonoaor 
guasto  :  disertato  e  rovinato,  por  esser  state  re  di  Babilonia,  secondo  il  racconto  biblico 
nel  volger  de'  soccli  guaste  le  cento  città  che  {Daniele^  n  81-83)  :  t  Ecco  una  grande  sta- 
anticamente  vi  sorgevano;  Virg.  En.  ni  106:  tua,  il  cui  splendore  era  eccellente,  era  in 
e  Centum  uibes  habitant  magnas,  uberrima  pid  e  il  suo  aspetto  era  spaventevole.  B  capo 
regna  ».  —  96.  sotto  il  cai  rege  ecc.  Ao-  di  questa  stetua  era  d' oro  fino  ;  il  suo  petto 
oennà  ai  tempi  di  Saturno,  primo  re  di  Creta,  b  le  sue  braccia  d' argento  ;  il  suo  ventre  • 


INFERNO  -  CANTO  XIV 


105 


105 


108 


111 


lU 


117 


che  tien  volte  le  spalle  in  vèr  Damìata, 

e  Roma  guata  si  come  suo  speglio. 
La  sua  testa  è  di  fin  oro  formata, 

e  puro  argento  son  le  braccia  e  il  petto, 

poi  è  di  rame  infino  alla  forcata; 
da  indi  in  giuso  è  tutto  ferro  eletto, 

salvo  che  il  destro  piede  è  terracotta, 

e  sta  in  su  quel,  più  che  in  su  l'altro,  eretto. 
Ciascuna  parte,  fuor  che  l'oro,  è  rotta 

d'una  fessura  ohe  lagrime  goccia, 

le  quali  accolte  fóran  quella  grotta. 
Lor  corso  in  questa  valleTsi  diroccia: 

fanno  Acheronte,  Stige  e  Flegetonta; 

poi  sen  van  giù  per  questa  stretta  doccia 
infìn  là  dove  più  non  si  dismonta: 

fanno  Oocito;  e  qual  sia  quello  stagno, 


Io  suo  cosce  di  nme;  !•  sue  gambe  di  fono,      venae  peioxii  in  aernm  Omne  nefas  :  Ihgere 
saoi  piedi,  in  paite  di  feiro  in  parte  d*ar-  .  pador,  venunqae,  fidesqne;  In  quorum  su- 


pìì^».  Intorno  al  significato  allegorico  del 
TB^io  di  Creta,  i  commentatori,  sebbene  di- 
scordi  qnanto  ai  particolari,  convengono  qnasi 
tatti  Dell*  idea  che  simboleggi  il  cono  del- 
r  aauuiità  nelle  sne  yarìe  età  e  il  progresslTO 
peggioramento  dell'uomo:  le  la^pcime,  delle 
quU  si  formano  i  fiumi  infernali,  significano 
i  Tìd  che  conducono  le  anime  alla  perdizione; 
la  Ignz»  Tolge  le  spalle  verso  l'oriente,  per 
ìidieaxe  il  corso  seguito  dall'umanità  nel 
processo  della  sua  storia,  o  il  passaggio  della 
ESfcana  autorità  dalla  monarcbia  assira  al- 
F  iopero  romano  ;  e  finalmente  i  due  piedi 
«ywifii^mnft  le  due  podestà,  quello  di  terracotta 
k  spirituale  e  quello  di  ferro  la  temporale. 
"  lOL  DaMiaU  :  città  dell'  Egitto,  sovra 
US  dsOe  foci  del  Nilo,  posta  qui  a  indicare 
rOrieate,  come  Boma  sta  a  indicare  l' ooci- 
iaito.  —  106.  spedilo:  specchio;  cfr.  Ftxr. 
nx  83.  —  106.  La  sua  tette  ecc.:  simbolo 
éàbL  prima  età,  dell'oro  ;  Ovidio.  Mei.  i  89  : 
«  Aurea  prima  sata  est  aetas,  quae  vindice 
BoDo,  Bponte  sua,  sino  lege,  fldem  rectomqne 
cdebat  »  eoe  :  cfr.  Purg.  xxn  148.  —  107. 
•  pare  argeato  ecc.  simbolo  della  seconda 
eti.  dell'  argento  ;  Ov.,  MeL  x  113  :  «  Fost- 
<taasi,  Satamo  tenebrosa  in  Tartara  misso, 
Sub  love  mondua  erat  :  subiit  argentea  pro- 
les,  Auro  deterior,  ftdvo  pretiosior  aere  >  ecc. 
—  ICS.  pel  è  41  rase  ecc.  :  simbolo  della 
tsnaetà,  del  rame;  Ov.  MeL  1 125:  e  Tertia 
post  illaa  soocessit  aenea  proles,  Saevior  in- 
ipanw,  et  ad  horrida  promptior  arma;  Neo 
sosienta  tamen  >.  —  forcata:  1* inforcatura, 
qadk  parte  ove  il  tronco  si  divide  negli 
siti  inlériorL  —  109.  da  indi  ecc.  simbolo 
della  quarta  età,  del  ferro;  Ov.,  Met,  1 127: 
«  De  duro  eat  ultima  ferro.  Protinus  irrumpit 


Mere  locum  fìraudesque  dolique  Tnsidiaeque 
et  vis  et  amor  sceleratus  habendi  >.  —  110. 
Il  destro  piede  eco.  Sul  valore  simbolico  del 
due  piedi  non  s'accordano  i  commentatori, 
ohe  pur  vi  riconoscono  l' idea  della  Chiesa  e 
dell'  Impero  ;  il  Buti  p.  es.  dice  che  «  il  piò 
ritto  ch'era  pur  di  terracotta»  significa  il 
governo  spirituale  che  «si  solea  fare  con  ' 
clemenzia  et  umanitade  »,  e  1*  altro  significa 
il  governo  temporale  che  «faoeasi  con  la 
spada  della  giustizia,  e  però  finge  che  fosse 
di  ferro  >:  invece  Benv.  dice  che  la  Chiesa  ò 
simboleggiata  nel  piede  di  terracotta,  perché 
dall'  umiltà  e  povertà  primitiva  era  passata 
agli  ornamenti  e  alle  ricchezze  dopo  la  do- 
nazione di  Costantino,  e  l'Impero  ò  simbo- 
leggiato nel  piede  su  cui  meno  si  posa  la 
statua,  perché  la  sua  autorità  andò  sempre 
diminuendo.  —  112.  f  aor  ehe  Poro  :  perché 
nell'  età  dell'  oro  il  mondo  fu  senza  vizi.  — 
114.  le  qnall  ecc.  le  quali  raccogliendosi  ai 
piedi  della  statua  perforano  la  grotta  entro 
cui  essa  sorge  :  queste  lagrime  sono  il  sim- 
bolo delle  colpe  umane,  ohe  vanno  tutte  a 
finire  nel  tristo  buco,  «  ohe  il  mal  dell'  uni- 
verso tutto  insacca  »  (Inf.  vii  18).  —  115.  si 
diroeeia  :  si  precipita  da  una  rupe  a  un'altra 
dell'  inferno.  —  116.  Acheronte  :  cfr.  Inf. 
m  71.  —  Stige  :  cfr,  Lif,  vn  106.  —  Flege- 
tonta :  è  certamente  «  la  riviera  del  sangue  > 
dove  sono  immersi  i  violenti  contro  gli  altri 
{Inf.  xn  47),  la  quale  poi  spiccia  fuor  della 
selva  dei  suicìdi  nel  girone  dei  violenti  contro 
Dio.  —  117.  doccia:  gora,  condotto;  cfr. 
Inf.  xxra  46.  —  118.  là  dove  eco.  nel  fondo 
dell'  inferno,  al  'centro  della  terra  oltre  il 
quale  non  si  scende  piti,  ma  si  passa  nel- 
r  omisforo  australe.  —  119.  fanno  Oocito  ; 


106 


DIVINA  COMMEDU 


120       tn  il  Tederai,  però  qiii  non  si  conta  >. 
Ed  io  a  lui  :  €  Se  il  presente  rigagno 
sì  deriva  cosi  dal  nostro  mondo, 
123        perché  ci  appar  pnre  a  questo  vivagno  ?  > 
Ed  egli  a  me:  €  Tu  sai  che  il  loco  è  tondo, 
e,  tutto  che  tu  sii  venuto  molto 
126        pur  a  sinistra  giù  calando  al  fondo, 
non  se'  ancor  per  tutto  il  cerchio  vòlto  ; 
per  che,  se  cosa  n'apparisce  nuova, 
129        non  dèe  addur  maraviglia  al  tuo  volto  >• 
Ed  io  ancor  :  €  Maestro,  ove  si  trova 
Flegetonte  e  Lete;  che  dell' un  taci, 
182        e  l'altro  di'  che  si  fa  d'està  piova?  ;► 
€  In  tutte  tue  question  certo  mi  piaci, 
rispose;  ma  il  hoUor  dell'acqua  rossa 
135       dovea  hen  solver  l'una  che  tu  facL 
Lete  vedLrai,  ma  fuor  di  questa  fossa, 
là  ove  vanno  l'anime  a  lavarsi, 
138        quando  la  colpa  pentuta  è  rimossa  ». 
Poi  disse  :  €  Omai  è  tempo  da  scostarsi 
.    dal  hosco  ;  fa  che  di  retro  a  me  vegne: 
li  margini  fan  via,  che  non  son  arsi, 
142    e  sopra  loro  ogni  vapor  si  spegne  >. 


cfr.  Inf,  xxDi  22  o  9»^,  —  ^i.  Ed  lo  eoo. 
Dante  che  aveva  già  visto  Acheronte  e  Stige, 
si  meravìglia  di  non  aver  visto  prima  d' ora 
ii  fiomicello  apparsogli  all'  orlo  del  terzo  gi- 
rone, che  egli  crede  diverso  da  Flegetonte, 
e  del  fatto  chiede  spiegazione  a  Virgilio.  — 
rigagno  :  rigagnolo,  piccolo  corso  d' acqoi^; 
si  ricordi  che  al  ▼.  77  l' ha  già  detto  «  on 
picciol  finmicello  »  e  al  v.  79  l'ha  paragonato 
al  <  ruscello  »  del  Bulicame.  —  123.  vlTagno  : 
cosi  dicesi  propriamente  l'estremità  o  cimosa 
dei  tessati  ;  ma  Dante  l' osa  in  senso  di 
estremità  in  genere,  riferendolo  qui  alla  selva, 
in  /«/*.  XXIII  49  alla  ripa  d'una  bolgia  e  nel 
Purg.  XXIV  127  ai  margini  della  via.  — 124. 
Ed  egli  ecc.  Virgilio  risponde  che  nel  loro 
viaggio  non  hanno  sinora  percorso  che  una 
parte  della  linea  circolare,  ch'essi  vanno  de- 
scrivendo di  mano  in  mano  che  scendono; 
porciò  non  deve  meravigliare  il  fatto  d' in- 
contrare cose  non  viste  ancora.  —  11  loco  è 
tondo  :  r  inferno  Ò  costituito  da  nove  cerchi 
concentrici,  di  ciascuno  dei  quali  i  poeti  per^ 
corrono  una  parte  volgendo  sempre  verso  si- 
nistra. —  125.  molto:  perdio  sino  a  questo 
punto  essi  hanno  percorso  circa  due  toni  del 
loro  giro  circolare.  — 126.  pvr  a  sinlitrs  ecc. 
scendendo  solamente  verso  sinistra  :  infatti 


due  sole  Tolte  nel  loro  viaggio  per  l'iatemo 
Virgilio  e  Danto  piegano  vano  deatra  (cfr. 
Inf,  IX  1S2,  xvn  81),  riprendendo  quasi  su- 
bito il  cammino  normale.  —  132.  éttA  plora: 
le  lagrime  del  veglio.  Dante,  nell'interno  del 
verso,  usa  sempre  la  forma  più  comuno  pio^ 
già;  piofxt^  che  pur  ò  di  antiche  tciittQre  to- 
scane, Ò  solo  in  rima  (Parodi,  Bull,  m  100). 
—  184.  11  boiler  eco.  il  sangue  bollente  in 
questo  fiumicello  che  tu  vedi  avrebbe  dorato 
farti  intendere  eh'  esso  Ò  il  Flegetonte,  che 
vuol  dire  appunto  il  fiume  ardente;  nozione 
che  Dante,  senza  pur  sapere  di  greco,  potova 
avere  per  il  passo  virgiliano,  En.  vi  650: 
«  Quae  rapidus  flammìs  ambit  torrentibas 
amnis  Tartareus  Phlegeton  »:  ofr.  (^oredoni, 
Osgervaxioni  orUiehó  intorno  alta  queation»  m 
DanU  aapeaae  di  grtoo^  Modena,  1860,  e  P. 
Toynbee  nella  Bomamia,  voi.  XXVI,  pp.  537- 
654.  —  136.  liete:  cf^.  Purg,  zxvm  121  e 
Begg.  ;  poiché  Dante  pone  il  flome  dell'obblio 
nel  paradiso  terrestre.  —  188.  1»  colpa  eoo. 
il  peccato  commesso  ò  tolto  via  con  la  peni- 
tenza. ~  141.  11  margini  eoo.  1  dossi  d^le 
rive,  che  non  sono  coperti  d'arena  infocata 
né  sopra  vi  cade  la  pioggia  di  fiamma,  ci  ea- 
ranno  strada  e  potremo  passarvi  sa  senz'ee* 
sere  offesi. 


INFERNO  -  CANTO  XV 


107 


CANTO  XV 


Coniiiiiuuido  il  lof#  oanmino  nel  tono  girone,  Virgilio  e  Dante  incon- 
trano Ift  Bcliiera  dei  riolenti  contro  natura,  cioè  dei  lodomiti  :  tra  essi  Dante 
riconoeee  Brunetto  Latini,  il  quale  accompagnandosi  a  lui  gli  predice  futuri 
arvenimenti  della  sua  Tita  e  gli  manifesta  la  condizione  di  alcuni  dei  suoi 
compagni,  Priaciano,  Francesco  d'Accorso  e  Andrea  de*  Koisi  [9  aprile,  ore 
antimeridiane  Terso  Talba].  ^ 

Ora  oen  porta  l'un  de'  duri  margini,  ' 
e  il  fummo  del  rusoel  di  sopra  aduggia 
3       ai  die  dal  £000  salva  l'aoqua  e  gli  argini 
Quale  i  fiaramiiìghi  tra  Guiazante  e  Bruggia, 
temendo  il  fiotto  ohe  y6r  lor  s'avventa, 
G       fumo  lo  achermo,  perché  il  mar  si  faggia; 
e  quale  i  padovan  lungo  la  Brenta, 
per  difender  lor  ville  e  lor  castelli, 
9       anzi  che  Chiarentana  il  caldo  senta: 
a  tale  imagine  eran  fatti  quelli, 


XV  1.  Ora  «ta  ptrte  «oc  Beooado  Tat- 
TwtiMento  4«to4aViigiUo»Duit0(Jii/.ziY 
lS9-ua),  I  Aw  poeti  airanzando  nel  tmo  fi- 
rn» niMihìiiitr  mi  doae  d*iino  degli  aigini 
4  TIegatoaits,  !•  cai  owÌBrtnnl  funo  ettìat- 
gwn  1»  Èmmm»  jiaymii  d  che  non  anivano 
•sB  «sini  #  al  eono  del  ftame.  —  2.  tmmmt 
'vaporo,  OBalariime  aerilòme.  —  advfglas  fa 
«Óia,  fa  oaibia,  adomtea;  ofir.  Bay,  ix  4à, 
-  4.  ^ale  eoe.  A  dar»  im'idia  de^  aigini 
di  Ptagetonte  Dante  U  paxagona,  quanto  aUa 
Ina,  alle  dighe  elie  nella  Fiaadta  eono  op- 
poete  al  aaie,  e  agli  argini  eretti  dai  pado- 
TBai  tango  il  tnme  Brenta.  —  tra  gaUsaate 
e  Brafflat  WiMaat  (jpaeae  a  poca  dUrtanta 
da  Oriaìa,  a  oooidente  della  Fiaodia,  lieexw 
dato  eoi  nane  di  Onìzzanle  anehe  da  Q.  Vil- 
hai,  Or.  zn  08)  e  Bngea  (oittà  notissima,  a 
oiisat»  deBa  Fiandra)  segnano  più  tosto  i 
eonfai  geogcaiei  della  Fiandra  che  i  tannini 
esbead  deUa  gian  diga  fiamminga  ai  tempi 
tf  Danto:  cfr.  BtOL  I  40,  UÀ.  Bl  ò  aedato 
che  Dante  possa  esseisi  qdnto  nelle  sue  pe- 
ngflnaiftoni  iino  al  lido  flaoimingo;  am  Ta 
tsanto  pseeonte  ohe  Quiszante,  scalo  assai 
frequentato  nel  medioero  dai  fiorentini  die 
4i  Ift  aalparan»  per  Flng^tena,  e  Bmggia, 
(itti  ève  I  noatxi  aivii?ano  banchi  e  tnffleo, 
teono  InogU  ben  eonoeolati  ai  suoi  tempi  : 
ai  ogni  nodo  *  da  notsre  ool  Barbi,  Bmli,  I 
106,  che  «  le  relazioni  ecali,  quando  si  possano 
smiii'laie  1  dati  oditi  eoa  qnalche  dato  nostro 
putieoiBre  ossorrato  aUrove  [qai,  gli  argini 
dsUa  Bkeota],  poaaone  sosoitare  imagini  ooai 


▼t?e  da  assomigliare  a  quelle  che  son  fratto 
della  nostea  pn^tia  osasmrasione  >.  —  6.  il 
tette  eco.  i  flotti  del  mare  eco.:  anche  G. 
Vili.,  O.  zn  64  rieotrda  le  dighe  o  «  argini 
Iktti  e  alzati  per  fona,  a  modo  del  Po,  alla 
lira  del  mare  per  ripuare  il  flotto  >.  —  6. 
Dune  le  eehennet  erigono  il  riparo  delle 
dighe.  —  al  fsfflat  si  ritiri;  reminisoenza 
virgiliana,  En.  n  627:  <  Nono  rapidoa  retro, 
atqne  aeeta  revoluta  reaorbens  Sua,  ftigit  ». 
—  7.  t  «naie  1  paierna  eoo.:  intomo  alle 
eoze  oon  le  qnali  il  oomnne  di  Padova  atten- 
deva alla  coetmzioBe  e  alla  conservazione 
degli  argini  della  Brenta  si  veda  la  dotta  me- 
moria di  G.  Dalla  Vedova,  GU  atrgini  della 
Brmia  al  tempo  di  DanU  nel  voL  DatUe  e 
Adosa,  pp.  77  e  segg.  :  qni  basti  notare  che 
il  poeta  volle  associare  alle  dighe  fiamminghe 
gli  argini  padovani  per  confermare  oon  nn 
esempio  italiano  il  eoo  concetto.  —  8.  difen- 
der s  riparare  dalle  inoadarioni  fluviali.  ~  9. 
nad  ecc.  prima  che  le  nevi  diaciogliendoBi  al 
caldo  primaverile  faodano  gonfiare  la  Brenta. 
Sopra  la  OhiantUana  sì  disputò  lungamente; 
e  si  possono  vedere  in  proposito  F.  Scolari, 
La  Chiarentana  f  lettere  quattro,  Venezia, 
1B4S-44;  F.  Lnnelli,  8uUa  voe$  Chiarentana 
di  Dante,  Padorva,  1846  e  Trento,  1864;  F. 
Land,  Del  BuUeame  e  della  Chiarentana,  Bo- 
ma,  1872;  0.  Dalla  Vedova,  op.  cit,  pp.  83-87, 
96-100;  li.  Biooi,  La  Chiarentana  di  Dante, 
Trento,  1896,  e  il  Bassermann,  pp.  428-430, 
e  668.  L'opinione  più  probabile  è  par  sempre 
quella  de'  pi6  antichi  commentatori,  dal  Barn- 


108 


DIVINA  COMMEDIA. 


tutto  che  né  si  alti  né  si  grossi, 
12        qnal  che  si  fosse,  lo  maestro  fòlli. 
Gi&  erayam  dàlia  selva  rimossi 
tanto,  ch'io  non  avrei  visto  dov'era, 
15       perch'io  iiidietro  rivòlto  mi  foetó; 

quando  incontrammo  d'anime  una  schiera, 
che  venia  lungo  l'argine;  e  ciascuna 
18       ci  riguardava,  come  suol  da  sera 
•    guardar  l'un  l'altro  sotto  nuova  luna, 
e  si  vèr  noi  aguzzavan  le  ciglia, 
21        come  vecchio  sartor  fa  nella  cruna. 
Cosi  adocchiato  da  cotal  famiglia, 
fui  conosciuto  da  un,  che  mi  prese 
24       per  lo  lemho  e  gridò:  «  Qual  maraviglia?  » 
Ed  io,  quando  il  suo  hraccio  a  me  distese, 
ficcai  gli  occhi  per  lo  cotto  aspetto 
27        si  che  il  viso  abbruciato  non  difese 
^la  conoscenza  sua  al  mio  intelletto; 
e  chinando  la  mano  alla  sua  faccia, 
80       risposi:  €  Siete  voi  qui,  ser  Brunetto?  » 


bag^I.  A  Beny.,  i  quali  per  OhAanrmiama  inte- 
sero il  territoiio  del  dacato  di  GaóiuEia,  re- 
sone che  G.  VUlani,  Or.  xn  67,  e  altri  soxìt- 
tori  di  quel  tempo  desi^iiìaiio  appunto  col 
nome  derivato  di  OhictrmUxna,  —  11.  titto 
ecc.  sebbene  il  oostrattore  U  facesse  meno 
alti  e  meno  larghi  :  dnnqne  gli  argini  del  Fle- 
getonte  solo  per  la  loro  conformazione  pote- 
Tano  esser  paragonati  alle  dighe  fiamminghe 
e  agli  argini  padoranL  —  13.  f  nftl  che  si 
fosse:  si  pnd  intendere  in  due  modi,  o  rife- 
rendo qoesfe^ressione  alla  differenza  di  al- 
tezza e  grossezza  tra  gli  argini  del  flome  in- 
fernale e  le  dighe  fiamminghe  e  gli  argini 
della  Brenta,  oppure  riferendola  al  maestro 
ohe  ooetrasse  gli  argini  qnasi  volesse  dir 
Dante:  chiunque  fosse  colui  che  li  costnus^ 
e  oosi  intendono  i  pid  dei  commentatori.  — 
Io  maestro:  e  il  costruttore  degli  argini  in- 
fernali ò  Dio  stesso,  anzi  un  sol  cenno  della 
volontà  sua  (cCr.  Itif,  xxzi  86,  Par.  zvm  19 
eco.)  :  onde  un  modo  ingenuo  e  grazioso  di 
satireggiare  Peperà  dell'uomo  in  conf^xmto 
della  potenza  divina  >;  N.  Zingarelli,  Leetura, 
p.  82.  —  14.  iOT'tra:  dove  fosse  la  selva 
dei  suiddL  — 16.  pereh'  lo  eco.  per  quanto 
mi  fossi  rivolto  indietro  a  guardare:  c£r.  Inf, 
vm  121.  — 16.  d'anlAt  uba  sehlerA:  erano 
le  anime  del  violenti  contro  natura  (oft.  Inf. 
ZI  48-60),  la  schiera  dei  quali,  oome  giÀ  ha 
detto  {Inf,  xrv  24),  «  andava  oontlnuamente  > 
ed  «  era  più  molta  »  che  le  altre  dei  violenti 
contro  Dio  e  Tarte.  —  18.  come  suol  eoo. 
In  questa  similitudine  che,  come  nota  il  Yen- 


tuxi  210,  «  esprime  Tacuto  ilsscx  de^  oocbi 
per  difetto  di  luce  >,  Dante  raccoglie  in  po- 
chi tratti  ei&caai  le  imagini  di  due  passi  vir- 
giliani, J^  VI  268:  «DMUQt  obscnri  solasub 
nocte  per  umbram...  Quale  per  inoertam  tn- 
nam  sub  luce  maligna  Est  iter  in  silvia  »,  e 
VI  462  :  €  adgnovitque  per  umbras  Obscuram, 
qualem  primo  qui  surgere  mense  Aut  videt; 
aut  vidisse  putat  per  nubUa  Innam  ».  —  21. 
cove  eco.  Ventniì  876  :  «  Nella  similitudine 
del  sartore,  che  già  vecchio  e  difettoso  di 
viMa  aguzza  le  ciglia  per  infilar  l'ago,  ogni 
parola  ò  pittura».  —  22.  fasdglla:  compa- 
gnia, riunione  di  persone;  nel  qual  senso  è 
anche  in  h^.  zxz  88,  detto  dei  falsari,  e  in 
Flar.  X  48,  detto  dei  beati  del  quarto  cielo  : 
si  che  r  ironia,  che  alcuni  trovano  in  questa 
parola,  rispetto  ai  sodonùti  nemici  della  &- 
miglia,  non  par  che  fosse  nella  mente  di 
Dante.  —  28.  ehe  ni  prese  eoo.  :  i  dannati 
sono  giù  nello  spazio  sabbioso  e  i  poeti  sul 
dosso  degli  aigini;  perd  il  peccatore,  ricono- 
scendo Dante,  non  può  prendevo  ohe  per  il 
lembo  estremo  della  veste  per  richiamare  la 
sua  attenzione.  —  24.  Qval  Meravigli»  :  la 
meravìglia  di  questo  peccatore  ò,  non  pure 
di  rioonosoere  un  concittadino,  ma  di  vederlo 
vivo  nel  regno  dei  morti.  —  26.  eotto  aspet- 
to: viso  abbrustolito  dalle  fiamme,  che  pio- 
vono dall'alto  su  questi  dannati.  —  27.  difese  : 
impedi;  cfr.  Inf.  vn  81,  vm  128.  —  29.  e 
ehlaando  la  mano  ecc.  abbassandomi  tanto 
che  le  mani  giungessero  all'altezza  del  suo 
viso.  ~  80.  ser  Braaetto:. Brunetto  Latini, 


INFERNO  -  CAiTTO  XV 


109 


£  quegli:  <0  figlimol  mio,  non  ti  dispiaccia, 
se  ]Bbrttnètto  Latini  un  poco  teco 
S8       ritoma  indietro,  e  lascia  andar  la  traccia  >. 
Io  dissi  lui:  €  Quanto  posso  yen  preco; 
e  se  yolete  ohe  con  voi  m'asseggìa, 
86       £eu:ò1,  se  piace  a  costui,  che  yo  seco  >. 
€  O  figliuol,  disse,  qual  di  questa  greggia 
s'arresta  punto,  giace  poi  cent'anni 
89       senza  arrostarsi  quando  il  foco  il  feggia. 
Però  ya  óltre;  io  ti  yerrò  a*  panni, 
e  poi  rìgiugnerò  la  mia*  masnada, 
42       che  ya  piangendo  i  suoi  etemi  danni  >• 
Io  non  osaya  scender  dèlia  strada 
per  andar  par  di  lui;  ma  il  ci^  chino 
45       tenea,  come  uom  che  reyerente  yada. 


Is^  fi  Baonaccono,  nacque  in  Fimnxe  Tar- 
lo fl  1210:  mgal  put»  goelfii  «d  esoroitd  la 
fwfwMloBO  di  botiio,  zogando  atti  d' intoreas» 
pabUiofS  par  Moaiplo  nel  12Bi  le  eonrqniioni 
tei  gneli  «Btìni  e  H  connine  di  Hienxe: 
ad  1280,  lapffBeentando  gli  nomini  di  Mon- 
tFvanU,  ebbe  parte  nel  ^lepaimtiTi  della 
geeoa  eooiio  Sena,  e  poi  andò  ambaaciatore 
Mftonniini  ad  Alfonao  X  ze  di  Oastì^Iia, 
ebtto  air  impero;  tnoando  da  qneat* amb*- 
noia  si  tiord  inndto  nelle  arelitaze  della 
fvte  guelfa,  dopo  la  battaglia  di  Hoataperti, 
«itaolòin  Fianda.  Dopo  U  battaglia  di  Be- 
Mmto  (22  fèbbcaio  1266),  zitomò  in  patria 
•  fe  eanoelBere  di  Chiido  di  Montfort  (cCr. 
6^,  xn  119),  Tieaxio  in  Toaoaoa  per  Oarlo  I 
4'Aagid,  e  poi  del  camnne  di  Firenze;  nel 
U80  Ita  dei  naBenradori  ohe  giurarono  per  la 
|Bte  goelCa  roaMrransa  del  oapltoU  della 
pwa  dBtta  del  cardinal  Latino;  dal  1282  al 
1202  paitBclpd  lazgamente  al  oonsigU  deUa 
nfobiUca,  tiattando  e  diaootendo  i  pid  fra- 
nati iateféwi,  nel  1284  Ite  nno  dei  due  lin- 
dui  dal  ooflomne  di  Fiienxe  a  strìnger  Tal- 
ItSBsa  oon.  qnel  di  Oenota  e  Loooa  contro 
Rsa,  nel  1287  Ik  del  Priori,  e  mori  in  patria 
ael  12M,  laecfando  di  sé  gran  funa:  tanto 
cbs  pid  tvdi  0,  yuiani,  O.  Tm  10,  soriyeya 
di  M-eke  «  fa  gran  flloaofo  e  Ib  sommo  mae- 
«tae  in  ntoKioa,  tanto  in  bene  sapere  dire 
^M  oQiqpene  zlne  Tolgari]  coaie  in  bene  dit- 
tile [«ioè  aerirere  epiatele  latine]  :  ^.  fti  comlnr 
òstoce  e  maestro  in  digrossare  i  fiorentini  e 
tefi  scorti  im  bene  pariare  e  in  aapere  goidare 
•  leggete  U  nostra  repnbbUea  secondo  la  poli- 
tiea  >:  fa  ineomma  il  primo  della  serie  glorioBa 
M  csMeOieri  fiorentini  ebe  all'eaereizio  della 
pD&tlea  congianBero  lo  stadio  delle  lettere, 
■rie  aeDA  quale  Firenze  ebbe  poi  tra  i  più 
gmii  (Soteodo  Sslntati  eNlooold  MachiaTeOi. 


Sopra  B.  Latini  si  veda  la  monografia  di  T. 
Svndby,  DeUa  Hta  a  tMUcpendiS,  L.,  Fi- 
renze, 1884;  intomo  ai  saoi  rapporti  con 
Dante,  la  nota  al  t.  86,  sol  sno  peccato  qneUa 
al  T.  108,  e  per  le  sue  opere  quella  al  t.  119. 
—  88.  traeelat  è  propriamente  la  fila,  pdchd 
l'uno  dopo  l'altro  doreano  camminare  questi 
dannati;  come  già  yedemmo  ikre  ai  oentanri 
(ofir.  Jh/.  zn  86)  e  Tedremo  fue  ai  seduttori 
(efr.  Inf.  XYin  79).  —  86.  M*aaseggla}  mi 
sieda;  dal  yb.  arnioo  attiiden^  assidero  (ofr. 
Parodi,  BM«.ini29).-87.qBaldiqaesta 
eoo.  i  peccatori  di  questa  schiera  non  possono 
fermarsi,  e  obi  si  Senna  un  solo  momento  deve 
poi  stare  cento  anni  senza  potarri  schermire 
in  qualunque  modo  dal  f&oco.— 88.  eent'aanit 
aeoondo  H  Moore,  I  168,  è  rimembranza  del 
virgiliano.  Eh,  ti  829:  «Oentnm  erant  an- 
noa...  haeo  littora  dream  >.  •-  89.  arrestar* 
al:  da  rosCo,  in  significato  di  impedimento, 
difesa  (ofr.  B^f.  zm  117),  U  yb.  ano§tarH 
dorrebbe  significare  difmtdtr$i,  aolkaniijrn; 
da  rosta,  in  aenso  di  yentaglio,  dorrebbe  y»- 
lere  come  §vmU>larti,  farti  vento:  ma  il  primo 
aignlfioato,  pid  generico,  pare  qui  il  più  op- 
portuno. —  feggia:  ferisca,  colpisca  ;  dal  yb. 
/tttiir*,  al  quale,  e  non  a  ftdére,  appartengono 
le  forme  dantesche  usate  in  ^f.  x  186,  zym 
76,  ISirg,  ix  26,  xxym  90,  Bir.  zxxn  40.  — 
40.  ti  yerrò  a'pannlt  ti  seguiterò  di  qua 
aotto.  —  41.  masaadat  compagnia,  oomitiya; 
ctt,  Purg,  n  180.  —  43.  non  osaya  eoe  non 
poteya  scendere,  a  cagione  del  fbooo:  si  noti 
questo  uso  del  yb.  oeors  che  per  gli  antichi 
equiyaleya  a  fMtow,  non  includendo  oiod  al- 
cuna idea  di  ardimento  o  audada  :  come  nella 
F.  J/.  zx  12:  «  E  cosi  esser  l'un  senza  l'altro 
oaa  >,  ecc.  -^  46.  eoBM  aom  ecc.  Dante  te- 
neva il  capo  chino  per  segno  di  aifettaosa 
riverenza  yexao  Brunetto  e  per  meglio  inten- 


110 


^ 


DIVINA  COMMEDU 


Ei  cominciò  :  <  Qoal  fortuna  o  destino 
ansi  Pultinio  di  qua  giù  ti  mena? 
48       e  ehi  è  questi  che  mostra  il  cammino?  » 
€  Là  8U  di  sopra  in  la  vita  serenai 
risposalo  lui,  mi  smarrì'  in  una  valle, 
61        avanti  die  l'età  mia  lòsse  piena. 
Pur  ier  mattina  le  volsi  le  spalle: 
questi  m'apparve,  tomand'io  in  quella, 
54       e  rìducemi  a  ea  per  questo  calle  ». 
Ed  egli  a  me:  €  Se  tu  segui  tua  stella, 
non  puoi  fallire  a  glorioso  porto, 
67       se  ben  m'accorsi  nella  vita  bella; 
e  s'io  non  fossi  si  per  tempo  morto, 
veggendo  il  cielo  a  te  cosi  benigno, 
60       dato  t'avrei  all'opera  conforto. 
Ma  quell'  ingrato  popolo  maligno. 


derno  le  paiole.  -^  i6.  Bl  eraUmelò  eoo.  Dm 
domande  lìrolge  U  Latini  aU'AU|^hiari:  ^ 
qiiale  alBgolaie  ftntnna  o  grada  e^  vÌMS^ 
Tiro  per  V  infoine  e  cM  aia  la  ma  foida;  • 
Dante  liiponde  inoonqplntaoMote  alle  dna  do- 
mande, aUa  pDtlma  dicendo  d'umeiii  amanfto 
in  nna  Tallo,  alla  eeoonda  obo  per  qnecte  via 
la  ma  goida  lo  lioondooora  a  oaaa:  né  Bru- 
netto più  ai  cnra  di  aapera  altro.  —  Qnal 
fortna  eco.  Bicorda  i  veni  di  Viig.  En,  n 
681  :  «  Sed  te  qni  TÌTom  caaoi,  ago  fue  yU 
dfleim,  Adtoleilnt:  pelagfaie  yenia  eRoiiboa 
actoa  An  monita  dirùm?  an  qnae  te  fortona 
fiiiigat  Ut  trtatee  aine  eole  domoa,  loca  tor- 
bida, adlna?  >  —  49.  Tito  atremi:  ofr.  Inf. 
TX  61.  —61.  STaatl  eoo.:  pxima  d'easer  gionto 
alla  metà  della  Tìta,  al  «  ponto  aommo  di 
qoesto  aroo  »  (cfr.  Inf,  1 1);  poloàé  lo  amaiw 
rimento  di  Dante  è  anteriore  al  1800,  anno 
della  Tiaione  (cfir.  Jhvff.  zxx  124-188,  zzti 
84-88).  —  62.  Pn  ter  Mattinai  la  mattina 
dell'  8  aprile  inoominda  il  Tlaggio  (ofr.  Jnf, 
I  1,  87);  alla  aera  Dante  e  Vfagilio  entrano 
neU'  infamo  (Inf,  n  1,  141),  dq^  la  mecz»- 
notte  peammo  dal  qoarto  al  qointo  cerchio 
(Jn/1  th  07)  0  Tarao  ranroca  del  9  ^ifle  mno- 
Tono  dal  acato  al  settimo  (Mf.  n  118).  —  lo 
Telai  le  apslle  i  <  il  noti  l'energia  dall'eaprea- 
aiono,  die  inchiodo  adegno  della  Tita  paaeata  »  j 
Zingaralli,  ImL,  p.  84.  —  68.  «leetl  m'np- 
parret  viigiUo,  dM  Dante  non  nomina  mai 
ai  dannati,  gli  em  appaiao  mentre  che  «  lo- 
TinaTa  in  baaao  loco  »  (cAr.  Inf,  1 61).  —  64. 
0  rldieeml  ecc.  e  per  qoeeto  cammino  mi 
riocndooe  nel  mondo  di  aopra,  donde  aaliiò 
al  pmgatorio  e  poi  al  dolo.  —  cai  oaaa;  tron- 
camento più  Ofloalo  nd  dialetti  dell'  Itidia  ao- 
perioie,  ma  non  ignoto  al  dialetti  toooani  an» 
come  dimostrano  i  nomi  di  loogo  e 


qualche  eeemplo  di  aoilttoii  (cAr.  Fazedl,  BuXL 
m  146).  -  66.  8t  ta  Msnl  tna  slellat 
Dante,  wmb  dica  «gli  afeeaao  in  Ar.  zn  112- 
128,  stanato  eaaando  ti  aole  netta  eoatsll*- 
sionaddOsmlni,  «lime  pasgno  digraaTlrtd», 
dal  qoale  egli  lieonoseera  «  tatto  il  ine  in- 
gegno >  ;  •  questa  oostelìarione,  aeoondo  W 
dottrine  astRdogidie,  predispone  l'ocaM  alla 
adensa  (cAr.  la  notn  al  Bit,  jxa  118):  psnid 
gli  antichi  oosunsntatori  intndoMle  paiole 
di  Branetto  nd  aeiwo  die  Dante,  acgneDèe 
le  indinarioni  aTote  per  iaflnmira  della  oo- 
atdladoBO  dd  Gemini,  dorem  rinsdve  glo- 
rioso per  il  i^Mie,  e  alooni  aaahe,  come  il 
Lana  e  l'An.  ftor.,  accennano  dM  di  dò  il 
Latini,  oome  amico  deU'Alighiari,  sTeaae  già 
nd  mondo  tetta  U  predislene.  Ila  eotesta  fai- 
teipKetadone  aatnlogiea  non  è  neoaaaaria,e 
già  il  Booe.  inteae  rattamente  qnesto  passo 
ssrirendo:  «potrebbsd  dire  ser  BkOMtto, 
dceome  nomo  aeooito,  arar  eompieao  in  qoe- 
sta  Tita  ^  costumi  e  gii  studi  deU'antoro 
esser  taU,  die  di  lui  d  doTsase  quello  ferace 
che  esio  gH  dice  >  :  e  TOcasMAte  ee  il  Latini 
padaaae  per  astrologia  la  limitadone  al  suo 
giudiaio,  eaprcaaa  con  le  parole  die  aegnone: 
§é  èm  m*aeoorti  ntUa  wiia  bella,  non  aTiebbe 
ragione  di  eaaeie.  —  66.  glertoB*  parla  t 
r  immortalità.  —  68.  per  tampat  troppo  pre- 
sto eia  morto  il  Latini,  per  arar  aTuto  agio 
di  conoscere  i  frutti  deU' ingegno  dlDantao 
oonfortario  a  oontinuare  l'opera  delle  sariruta: 
inCitti  nd  1294  U  gioTina  Alighieri  nsa  aTwa 
diTuIgato  ohe  una  parte  ddle  ano  rima  d'aiM- 
r«  e  appena  aTOTa  penaato  a  un  grande  poa- 
ma.  —  61.  ffoU  maligna  eoo.  B  popolo 
fiorentino,  dominato  dall'aTariaia,  dall'iuTidia 
e  dalla  superììia,  d  oondderava  come  deiiTato 
dal  popdo  flesolano  commisto  a  poche  ikuni- 


INFERNO  -  CANTO  XV 


111 


che  discese  di  Fiesole  ab  antico 
63       e  tiene  ancor  del  monte  e  del  macigno, 
ti  si  òakf  per  tao  ben  fàXy  nimico; 
ed  è  ragioni  che  tra  li  lasszi  sorbi 
66       si  disconvien  fruttare  al  dolce  fico. 
Vecchia  fama  nel  mondo  li  chiama  orbi, 
gente  ayara,  invidiosa  e  superba: 
69        da'lor  costumi  fa  che  tu  ti  forbi. 
La  tua  fortuna  tanto  onor  ti  serba, 
che  l*una  parte  e  l'altra  avranno  fame 
72       di  te;  ma  lungi  fia  dal  bécco  l'erba. 
Faccian  le  bestie  fiesolane  strame 
di  lor  medeeme,  e  non  tocchin  la  pianta, 
75        s' alcuna  surge  ancora  in  lor  letame. 


ffit  di  eoloiii  xomani;  •  le  Iflggende  loll'oii- 
gias  deDa  dttà  xBOOontano  obe,  distratta  tle- 
■ote,  fti  Ibbbrioata  ITizeiixe,  «  la  qaale  dttà 
a  èivcMu  «npien,  l'ima  metà  oomnnalmant» 
fi  gente  fteoolaiia,  e  l'altra  di  gente  romana  > 
(B.  MBlMpiiìl,  eap.  18;  O.  VUL,  Or.  i  88). 
^68.  t  tIeB»  eoe  Booo.:  tM  moni»,  in 
fMito  xiatioo  e  aalvatioo;  #  M  maoigtio,  in 
qoBte  duo  o  neii  pieglieToIe  ad  aloono  li- 
Wnle  e  «MI  <wetirme  »:  non  senza  allnsio- 
a»,  noondo  il  DaMormann,  p.  47,  alle  care 
ItMlne  di  azenaria  o  pietim  serena.  —  64.  ti 
il  Dna  eoo.  Oiè  dal  ano  eoadttadino  Oiaooo 
Dato  ha  aapvto  U  genende  procedimento  delle 
lotte  di  parte,  Im  eoi  eg^itesM)  doveva  eaeere 
iB?Qlto  (BiA  VI  64  e  iegg.X  e  da  Fbxinata  ha 
■itflo  aooeniMffa  alle  amarecze  di  che  gli 
toma  eaMT  notivo  l'eiBio  (IfiA  X  79  e  aegg.): 
«a  Branetto  gli  dice  che  delle  sne  grentore 
pofikii^  sazà  cagione  la  rettitodine  dell'ani- 
BB  •  ch'egfi  staggirà  tanto  alle  perseooiioni 
digfi  af¥eiiaaU  quanto  allo  sdegno  dei  com- 
mtà  diparte.  ~ 66.  tra  U  lanl  sorM  eco. 
«■e  non  oonriene  ohe  il  dolcissimo  albero 
ed  ieo  ftnttiflchi  tra  i  sorU  d'sspro  sapore, 
eod  a  t»  disceso  di  saagoe  romano  non  s'ad- 
fiee  il  TXTWO  in  meno  alla  dttadinania  d'ori- 
pw  iflsolsiMi.  —  67.  Teaehla  fasta  eco.  : 
ddfforsshio  antjfihtsslnio  sol  FiormikDÌti&- 
ddfumtUm  spiegailoil  danno  i  secchi  in- 
vttpéd  e  cfonisti:  secondo  O.  VUIsni,  Or. 
B 1,  segofto  da  sltri,  sarebbe  nato  daU'  in- 
pMo  di  Totila,  il  qoale  per  prendere  la  città 
wtaóò  m  diro  ai  fiorentini  che  egli  ToIeTa 
«MBS  loro  aailoo  e  ocsf  potè  entrare  in  Fi- 
na» •  dMraggsda;  secondo  H  Booo.,  Benr., 
Aa.aor.eoe.  cotesto  prorerbio  avrebbe  tratto 
«igiBa  dal  tetto  che  i  fiorentini  si  lasciarono 
ilP«i>— a  dal  pisani,  qnasdo  questi  rioopri- 
nao  di  panno  soartatto  due  guaste  colonne 
ii  potido  iiisndstD  in  dono  al  comune  di  Fi- 
imae,  oosa  prsoiSo  dell'aver  goardate  Fisa 


dorante  la  spedizione  delle  Baleari  (G.  Vili., 
Or,  rv  81).  —  68.  gente  eoo.  :  cfr.  Inf.  vi  74. 
—  69.  fa  che  ta  ecc.  cerca  di  rimanere  im- 
mune; il  vb.  fortini,  ripolirsi,  nettarsi,  qui 
è  tratto  al  significato  morale  di  mantenersi 
mondo.  —  71.  l'ina  parti  eoo.  Scart.,  rias- 
sunte l'intorpretasione  comaneoosl  tei  Blan- 
dii e  i  Ned  desidereranno  di  averti  dalla  loro, 
cercheranno  di  guadagnarti  pd  loro  partito  », 
aggiunge  die  <  forse  sono  queste  parole  di 
semplice  aognrlo  che  pd  rimase  vano;  e  f<«Be 
d  pad  dedoiie  da  queste  psrde  ohe  ambedue 
i  partiti  avessero  veramente  cercato  di  tirar 
dalla  loro  un  uomo  tale  come  Banto  ».  Ma  dò 
sarebbe  contro  la  storia  e  contro  l' intenzione 
dd  poeta,  e  l'erronea  interpretazione  è  nato 
daU'esserai  intasa  la  frase  osw  fam$  nd  senso 
di  deddeisre,  per  dir  cosi,  a  fin  di  bene,  men- 
tre esprime  molto  meglio  l' idea  dd  desiderio 
ohe  i  Neri  ebbero  die  Danto  oadeese  in  forza 
loro,  o  dello  edegno  dd  Bianchi  quando  più 
tardi  egli  d  separò  dagli  esulL  Bronettoadun- 
que  vud  dire  a  Danto:  i  tad  avversari  ti 
deddereranno  per  eseguire  le  condanne  pro- 
nnnsiato  contro  di  to,  ma  tu  li  avrai  preve- 
nuti abbandonando  la  dttà;  e  i  tod  compa- 
gni di  parto  vorranno  sfogare  il  loro  sdegno 
contro  di  te,  ma  tu  li  avrai  già  abbandonati 
riparandoti  a  Verona,  presso  gli  Scaligeri  (cfr. 
Air.  zvn  61  e  segg.,  dove  è  confermate  que- 
sto nuova  intorpretazione):  vedansi,  ora,  F. 
Odagxosso,  La  pnéUxims  di  B.  LaUmi  in 
Nuova  AfiM,,  a.  1896,  voL  LXVI,  e  L.  Axo- 
zio.  I/onoro  di  Danto,  Palermo,  1899.  —  72. 
■M  long!  eoe  ma  tu  sarai  sfuggito  all'odio 
degli  uni  e  allo  sdegno  deg^  altrL  <  Tutte  la 
finse  arieggia  un  proverbio  »;  Zingardli,  Ltet, 
p.  86.  —  78.  Faeelaa  ecc.  I  fiorentini,  derivati 
dai  fieeolaui,  d  strazino  fra  loro  e  non  too- 
ddno,  se  alcuno  ancora  ne  sorge  in  mezzo  d 
loro  vizi,  l'uomo  virtuoso  nd  qude  riviva  la 
nobile  stirpe  dd  romani,  rimasti  qui  allor- 


112 


DIVINA  COBfMEDIA 


in  cui  riviva  la  sementa  santa 
di  quei  roman,  che  vi  rimaser  quando 
73       fu  fatto  il  nido  di  malizia  tanta  >. 
«  Se  fosse  tutto  pieno  il  mio  dimando, 
risposi  lui,  voi  non  sareste  ancora 
81        dell'umana  natura  posto  in  bando; 

che  in  la  mente  m'  è  fitta,  ed  or  mi  accora, 
la  cara  e  buona  imagine  patema 
84        di  voi,  quando  nel  mondo  ad  ora  ad  ora 
m'insegnavate  come  l'uom  s'eterna; 

e  quant'io  l'abbia  in  grado,  mentre  io  vivo 
87        convien  che  nella  mia  lingua  si  scema. 
Ciò  che  narrate  di  mio  corso  scrivo, 
e  serbolo  a  chiosar  con  altro  testo 
90        a  donna  che  saprà,  se  a  lei  arrivo. 
Tanto  vogl'io  che  vi  sia  manifesto, 
pur  dbe  mia  coscienza  non  mi  garra, 
93        che  alla  fortuna,  come  vuol,  son  presto. 


quando  Firenze,  nido  di  malizia,  ta  edificata. 
—  79.  Se  folte  eoo.  8e  U  mio  desiderio  fosse 
stato  interamente  esaudito,  voi  non  sareste 
ancora  morto;  poiché  ho  sempre  innanzi  alla 
monte  la  vostra  cara  e  dolce  sembianza,  qnale 
io  la  vedeva  nel  tempo  che  voi  vivo  m'inse- 
gnavate come  Tnomo  possa  acquistare  fiuna 
immortale.  —  82.  la  la  mente  eco.  L'imagine 
fitta  nella  mente  ò  di  Virgilio,  En,  iv  4  : 
«  haerent  inflal  pectore  vnltos  verbaqne  »  ; 
cfr.  Zingarelli,  p.  85  e  Moore  I S62.  —  ed  or 
mi  aeeora:  e  ora  la  sembianza,  il  vostro 
eotto  aapttto  mi  pongo  l'animo  di  dolore.  — 
84.  ad  ora  ad  ora:  di  tempo  in  tempo;  lo- 
cuzione avverbiale  che  ricorre  anche  in  JW17. 
vm  101,  Par.  xv  14.  —  86.  m'insegnaTate 
ecc.  Da  questo  verso  alcnni  moderni  biografi 
hanno  tratto  argomento  ad  affermare  che  Bru- 
netto Latini  fu  maestro  di  Dante  nelle  lettere 
e  nelle  scienze  (oAr.  Balbo,  I  6;  Fraticelli, 
cap.  IV),  e  anche  alcuni  commentatori  inte- 
sero in  questo  modo;  cosi  il  Lana  dice:  «  sor 
Brunetto  tn.  un  tempo  maestro  di  Dante  >,  e 
Benv.  :  «  non  solum  docebat  Dantem,  led  et 
alios  iuvenes  florentinos,  unde  multos  feoit 
magnos  eloquentes  >.  Ma  altri  antichi  non  fu- 
rono cosi  espliciti  nell' affermare  ;  il  Bocc 
dice  :  «  mostra  l'autore  ohe  da  questo  sor  Bru- 
netto udisse  filosofia  >,  l'Ott:  «  l'autore  prese 
da  lui  certa  parto  di  sdensa  morale  »,  SI  Buti  : 
«  da  questo  sor  Brunetto  Danto  imparò  molto  » , 
r  An.  fior.  :  €  mostra  che  sor  Brunetto  g^  in- 
segnasse come  l'uomo  s'etoma,  doè  gli  mo- 
strasse che  per  la  scienza  ^  uomini  vivono 
lungo  tompo  per  thma  »  :  1  biografi  antichi 
nulla  affermano,  0  oolo  L.  Bruni  scrive  che 
Danto  «  oonfoztato  da'  propinqui  e  da  Bru- 


netto Latini,  valentis^mo  uomo  secondo  quel 
tompo,  non  solamento  a  letteratoxa,  ma  agli 
altri  studi  liberali  si  diede,  niente  lasciando 
a  dietro  che  appartenga  a  ftff  l'uomo  eccel- 
lente ».  Per  questo  incertezza  delle  antiche 
testimonianze  i  moderni  eruditi  indinaao  a 
negare  che  il  Latini  foese  il  maestro  dell'Ali- 
ghieri: «  Brunetto  (sodve  il  Todesdiini  1 291X 
nella  relazione  oon  Danto,  non  ta  altro  che 
un  uomo  di  età  provetta,  di  molto  sdenza  e 
di  chiara  riputazione,  il  quAle  abbracciando 
con  affetto  paterno  un  giovano  di  alto  inge- 
gno e  di  molto  aspettazione,  che  ha  frequento 
pratica  con  lui,  gli  porge  di  tratto  in  tratto 
suggerimenti  utili  a'  suoi  studi  e  non  lascia 
d' instillargli  amore  ad  ogni  nobile  e  virtuoso 
esercizio.  Questo,  e  non  altro  fu  l'ufficio  com- 
piuto da  Brunetto  Latini  verso  Danto  Ali- 
ghieri; uffido  rilevantissimo  e  più  importante 
forse  ed  efficace  che  quello  di  un  ordinario 
maestro  ».  Sulla  questione  si  vedano  T.  Sond- 
by,  op.  dt,  pp.  14  e  segg.  ;  V.  Imbriani,  B, 
LaL  non  fu  ma$abro  di  Dante,  Napoli,  187B; 
A.  BartoU,  8L  deUa  iatt.  il.  voL  V,  pp.  89  e 
segg.  —  87.  che  aelU  eoe  ohe  si  riconosca 
nelle  mie  parole.  —  88.  Ciò  ehi  aarimte  eoe. 
Serberò  nella  memoria  dò  che  m'aveto  pre- 
detto della  mia  vite  avvenire.  —  89.  0  ter- 
bolo  a  chiosar  eoo.  e  lo  serbo  perché  mi  aia 
spiegato,  insieme  con  un'altra  predizione,  da 
Beatrice.  —  altro  testo:  la  predizione  4i 
Faxinato  (cfr.  Inf,  x  79  e  segg.).  —  90.  donna 
eoo.  Beatrice;  poiché  Virgilio  ha  già  detto  a 
Danto  che  da  Id  saprà  il  corso  di  sua  vite 
(cfr.  Inf.  X  132).  —  91.  Tanto  eco.  Voglio 
solamento  che  sappiato  ohe  sono  pronto  a  so- 
stenere i  colpi  della  fortuna  (cfr.  J^.  xvu 


INPERNO  -  CANTO  XV 


113 


Non  è  nuova  agli  orecchi  miei  talo  arra: 
però  giri  fortuna  la  sua  rota, 
96       come  le  piace,  e  il  villan  la  sua  marra!  : 
Lo  mio  maestro  allora  in  su  la  gota 
destra  si  volse  indietro,  e  riguardommi; 
99        poi  disse:  <  Bene  ascolta  chi  la  nota  ». 
Né  per  tapt^  di  men  parlando  vommi 
con  ser  Brunet  o,  e  dimando  chi  sono 
102        li  suoi  compagni  più  noti  e  più  sommi. 
Ed  egli  a  me:  €  Saper  d'alcuno  è  buono: 
degli  altri  fia  laudabile  il  tacerci, 

105  che  il  tempo  saria  corto  a  tanto  suono. 
In  somma  sappi  che  tutti  fùr  cherci 

e  letterati  grandi  e  di  gran  fama, 

106  d*un  medesmo  peccato  al  mondo  lerci. 
Priscian  sen  va  con  quella  turba  grama, 


ti\  por  che  la  mia  coscienza  non  abbia  nulla 
•  rimproreraimL  —  94.  Kob  k  BoOTa  t  più 
tolto  die  alle  precedenti  predizioni  (ofr.  la 
Bota  al  T.  ti\  Dante  si  richiama  al  disoono 
di  'VlzgiZio  intorno  alla  Foitona  (cfr.  Jh/.  vn 
73  e  segg.)  —  arra  :  Batl  :  e  arra  è  la  oa- 
pana,  cìie  è  la  fermezza  del  patto  fktto  ;  ciod 
fion  m' è  nnoYO  lo  patto  ohe  è  tra  gli  nomini 
e  la  ftartona,  cioè  ohe  chi  entra  nel  mondo 
MBnene  ch'ubbidisca  alla  fortana  e  stare 
ooatento  alle  sue  mutazioni».  —  95.  però 
fili  ecc.  Buti:  <  Facda  la  fortuna  e  facciano 
{fi  Bonini,  come  piace  loro,  eh'  io  sono  per 
sostenere.  E  questo  dice  notevolmente  per 
Bastare  che  li  effetti  della  fortuna  Tengono 
fa  due  cagioni  ;  l'una  è  dai  corpi  celesti  e 
da  qneQa  sustandaf  che  Dio  à  posto  a  dispen- 
■STB  questi  beni  mondani,  l'altra  è  da  libero 
«rbitno  delU  uomini  ».  —  97.  Ja  bUo  maestro 
sec  Virgilio  si  rirolge  indietro  per  approvare 
il  discorso  di  Dante  oon  poche  parole,  nelle 
qufi  non  ripete  già,  come  alcuni  vogliono, 
■t^racoomandarione  fatta  dopo  la  profezia  di 
Faiinata  (efr.  Inf,  x  127),  ma  esprime  il  suo 
compiacimento  perché  il  suo  discepolo  si  mo- 
stra digesto  a  mettere  in  pratica  l'awerti- 
B»to  dell'  Em.  T  710  «  Quidquid  erit,  supe- 
noda  omnia  fortuna  ferendo  est».  —  100. 
M  per  taBte  ecc.  E  non  lasdal,  per  l' in- 
tarrozione  di  Virgilio,  di  parlare  oon  Brunetto. 
—  106.  11  tempo  eoo.  il  tempo  d  manche- 
isbbe  per  una  cosi  lunga  enumerazione.  — 
y^  ektrel;  ecclesiastici;  ctr,  Inf,  vm  88, 
dft,  zrm  117.  Male  alcuni  intendono  charei 
ietto  nel  seneo  del  lat.  eltriei^  uomini  di  stu- 
£o  (ÌB  opposizione  a  foM,  uomini  dati  alle 
aiti  Baanali);  poiohó,  se  Dante  did  qualche 
TiQlta  cotale  significato  alla  voce  ehmoo  (p. 
«.  Cbns.  rr  10,  di  Federigo  imp.  dice  ohe  fti 

DAlfTB 


fotoo  s  cherieo  grande)^  usò  sempre  eherco  por 
uomo  diehieaa.  Aggiungasi  l'osservazione  dello 
Bcart.  :  «  La  masnada  di  ser  Brunetto  d  com- 
posta  di  chierici  e  letterati,  uomini  di  chiesa 
e  uomini  di  scienza. . .  Brunetto  ne  nomina 
tre:  il  primo  è  eheroo  e  nello  stesso  tempo 
letterato^  il  secondo  è  etterato  ma  non  ehereo^ 
ed  il  terzo  d  chereo  ma  non  letterato.  Dunquo 
Brunetto  vuol  dire:  Tutti  i  miei  compagni 
furono  0  chierici  o  letterati  ».  —  108.  d'na 
medesmo  peccato  :  il  peccato  del  quale  furono 
lerci  i  dannati  di  questa  schiera  ò  la  sodomia 
0  violenza  contro  natura  ;  e,  per  quanto  possa 
parere  una  contradizione  oon  le  afTermazioni 
di  stima  e  di  amore  verso  Brunetto,  la  testi- 
monianza  di  Dante  ch'ei  si  fosso  macchiato 
di  tal  vizio  d  cosi  franca  ed  aperta  che  la 
cosa  non  può  esser  dubbia:  né  a  spiegare  la 
contradizione  occorre  pensare  a  particolari 
disdegni  politici  o  letterari  dell'Alighieri  verso 
il  Latini,  bastando  considerare  che  a  Dante 
dovette  sembrare  che  la  sua  gratitudine  verso 
ser  Brunetto  non  poteva  impedirgli  d'eserci- 
tare il  severo  ministero  di  giusto  giudice  ch'ei 
si  era  assunto  (cfìr.  T.  Sundby,  op.  cit.,  pp. 
16  e  segg.,  ove  è  discussa  minutamente  la 
questione  della  colpa  di  Brunetto).  —  109. 
Prlselan:  Prisoiano  da  Cesarea,  città  della 
Mauritania,  celebre  grammatico  latino  e  mae- 
stro di  grammatica  in  Costantinopoli  al  prin- 
cipio del  secolo  vi  d.  0.:  la  sua  opera  prin- 
cipale, i  diciotto  libri  delle  InsHtnUionas  graffk' 
maticae^  ebbe  per  tutto  il  medioevo  una  gran- 
de autorità  nelle  scuole.  Bonv.  dice  cho  ò 
posto  qui  «  tamquam  clericus,  quia  monachus 
fait  et  apostatavit  ut  aoquireret  sibi  maiorem 
fomam  et  gloriam  »,  ed  anche  «  tamquam  ma- 
gnus  literatus  in  genere  eloquentiae,  quia 
fuit  doctor,  rogulator  et  corroctor  grammati- 

8 


114 


DIVINA  COMMEDIA 


e  Francesco  d'Accorso  anche;  e  vedervi, 
111        s'avessi  avuto  di  tal  tigna  brama, 
colui  potei  che  dal  servo  de'  servi 
fu  trasmutato  d'Amo  in  Bacchiglione, 
114        dove  lasciò  li  mal  protesi  nervi 

Di  più  direi;  ma  il  venir  e  il  sermone 
più  lungo  esser  non  può,  però  ch'io  veggio 
117        là  surger  nuovo  fummo  dal  sabbione. 

Qente  vien,  con  la  quale  esser  non  deggio; 
sieti  raccomandato  il  mio  '  Tesoro  ', 
120        nel  quale  io  vivo  ancora;  e  più  non  oheggio  >. 
Poi  si  rivolse,  e  parve  di  coloro 
che  corrono  a  Verona  il  drappo  verde 
per  la  campagna;  e  parve  di  costoro 


cae  >  :  onde  appare  probabile  ohe  fosse  coik- 
fciso  col  Teecovo  Piiscilliano,  vìssuto  nel  ir 
secolo  e  capo  di  od*  tótta  eretioale,  cui  si 
appose  tra  altre  la  colpa  della  sodomia.  -^ 
110.  Francesco  d'Aecono:  Francesco,  figlio 
del  feunoeissimo  giurista  fiorentino  Aocorso 
da  Bagnolo  (1182-1260),  nacque  in  Bologna 
nel  1226  e  fa  in  quell'università  professore 
di  diritto  civUe:  nel  1273,  a  richiesta  del  re 
Eduardo  I  si  recò,  prsrenendo  cosi  il  bando 
die  come  ghibellino  lo  cdpi  nella  proscrizione 
dell'anno  di  poi,  in  Inc^terra,  dove  inse- 
gnando e  prestando  servigi  politici  rimase  fino 
al  1281,  che  ritornò  assai  ricco  in  Bologna  : 
mori  nel  1298,  lasciando  nome  di  grande  giu- 
reconsulto e  parecchie  opere  di  casistica  e 
d'ermeneutica  legale,  e  fìuna  di  grande  usu- 
raio: si  vedano  M.  Sarti,  i>06tom  orcfti^Tymna- 
ni  bonomM8Ì8  profMaoribuSy  Bologna,  1889, 
voi.  I,  pp.  198-206,  e.  Fantnzzi,  Nothaie  degli 
aoriUorì  bohgneti,  voL  I,  pp.  41-46,  e  G.  Goz- 
zadini,  il  paìaxxo  detto  di  AocumiOy  Bologna, 
1888.  —  111.  se  avessi  eco.  se  tu  avewi  avu- 
to desiderio  di  vedere  cotanta  sozzura  :  Ugna 
è  una  malattia  schifosa,  ma  qui  indica  sozzura 
in  genere.  —  112.  colai  ecc.  Andrea  dei 
Mozzi  fiorentino,  fatto  nel  1272  canonico  e 
nel  1287  vesoovo  della  sua  patria,  ftitramu- 
tato  nel  1296  dal  papa  Bonifazio  Vm  alla 
sede  vescovile  di  Vicenza,  ove  mori  nel 
1296  (ofr.  F.  TJghelli,  Balia  sooro,  voi.  V, 
p.  1067,  e  F.  Lampertioo  nel  voL  Dante  e 
Vieenxa,  1866,  pp.  62-67)  :  €  fa,  dice  l'An. 
fior.,  per  questo  peooato  disonestissimo  ed 
ancora  oltre  a  questo  di  poco  sonno;  ot  non 
stava  contento  di  tenere  occulto  il  suo  difetto 
et  il  suo  poco  senno,  anzi  ogni  di  volea  pre- 
dicare al  popolo,  dicendo  parole  sciocche  et 
dilavate».  —  servo  de' serri:  il  papa  si 
chiama  appunto  negli  atti  officiali  servua  sev' 
vonm  Dei.  — 118.  d*Anio  In  BaeebigUoae: 


da  Firenze,  sull'Amo,  a  Vicenza,  sul  Baccki- 
gUone.  —  114.  dorè  eoo.  ove  mori.  — 117. 
anoTO  fummo:  ò  il  polverio  sollevato  da 
un'altra  schiera  di  sodomiti.  —  118.  tienta 
ecc.  I  violenti  contro  natura  sono  divisi  in 
gruppi,  secondo  le  condizioni  ch'ebbero  nel 
mondo:  Brunetto  ò  nella  ma^n^iìtt^  degli  eo- 
desiastici  e  dei  dotti  ;  quella  che  viene  ora  ft 
la  comitiva  degli  uomini  che  esercitarono  nf- 
fid  politid.  <~  119.  11  mio  Tesoro:  delle  ano 
opere,  tra  le  quali  è  notevole  il  Teeontio, 
picodo  poema  didattico  in  lingua  volgare. 
Brunetto  raccomanda  a  Dante  la  maggiore, 
quella  cui  credeva  che  fosse  aflldata  singo- 
larmente la  sua  fama,  il  Tesoro  ossia  1  lÀvrm 
du  Tresor;  opera  da  lui  composta  tt»,  il  1352 
e  il  1266  in  lingua  francese,  che  ò  una  grande 
enddopedia  del  sapere  medioevale  compilata 
sulle  fonti  più  svariate  latino  e  francesi  :  il 
testo  originale  di  quest'opera  fu  pubb.  da  P. 
Chabaille,  Parigi,  1863  ;  la  traduzione  italiana 
di  Bono  Giamboni  fti  pubbl.  la  prima  volta 
in  Treviso,  1474,  e  più  correttamente  da  L. 
Qaiter,  Bologna,  1878-83:  sopra  di  essa  ve- 
dasi  il  Sundby,  op.  dt,  pp.  69-198.  —  121. 
0  parve  ecc.  e  s'allontanò  con  la  rapidità  dei 
vindtori  nelle  corse  del  palio  veronese.  — 
122.  che  eorroBO  ecc.  A  Verona,  come  In. 
molte  altre  dttà,  erano  in  uso  nel  medioevo 
le  corse  dd  palio,  cosi  dette  dal  dnqypo  oo. 
lorato  che  si  dava  in  premio  ai  vindtori  ;  men- 
tre l'ultimo  arrivato,  colui  eheperde^  noeveva 
per  premio  un  gallo  :  la  gara  cui  aooeima 
Dante,  giÀ  istituita  nel  1207  per  festeggiare 
una  vittoria  riportata  dalla  repubblica  contro 
i  Conti  di  San  Bonifazio  e  i  Montaodd,  al 
faceva  la  prima  domenica  di  quaresima  in  una 
pianura  presso  il  sobborgo  di  Santa  Lucia  e  fa 
regolata  negli  statuti  anteriori  al  1271  :  oCr.  G. 
Bolviglieri  néìVAlbo  dantesco  vsrone§%  Vero- 
na, 1866,  p.  168;  a.  da  Be  nella  Rivista  sri. 


INFERNO  -  CANTO  XV 


115 


124    quegli  che  vince,  non  colui  che  perde. 


lieo,  m  80-87;  e  il  Basserman,  pp.  899-400. 
—  1^  ■•■  coìnì  eco.  e  L*  espretsioiie  non 
ax-iQbbe  valore  se  a  qnella  oona  non  tosaerì 


stato  anche  U  premio  pel  perditore,  premio 
che  8Ì  liduceva  ad  umiliazione  per  lai  e  a  sol- 
lazzo dei  bnoni  veronesi  >  ;  2Ungarelli,  p.  89. 


CANTO  XVI 

Dante  e  Virgilio  continuando  il  loro  cammino  per  il  terzo  girone  incon- 
trano nn*altra  schiera  di  violenti  contro  naturai  tra  i  quali  è  il  fiorentino 
Iacopo  RusticQCCi  che  rivela  la  condizione  sua  e  d'altri  compagni  :  poi  pro- 
cedono sino  alPestremità  del  girone,  ove  il  fiume  infernale  si  precipita  nel 
cerchio  ottavo  e  ove  appare  loro  Gerione  per  trasportarli  in  Malebolge 
[9  aprile,  ore  antimeridiane  verso  l'alba]. 

Già  era  in  loco  ove  s'udia  il  rimbombo 
dell'acqua  che  cadea  nell'altro  giro, 
3        simile  a  quel  che  l'amie  fanno  rombo; 
quando  ire  ombre  insieme  si  partirò, 
correndo,  d'una  torma  che  passava 
G        sotto  la  pioggia  dell'aspro  martire. 
Venian  vèr  noi,  e  ciascuna  gridava: 
€  Sostati  tu,  che  all'abito  ne  sembri 
9        essere  alcun  di  nostra  terra  prava  >. 
Ahi  me,  che  piaghe  vidi  ne'  lor  membri, 
recenti  e  vecchie,  dalle  fiamme  incese! 
12        Ancor  men  duci,  pur  ch'io  me  ne  rimembri. 


XVI  1.  Già  era  ecc.  Danto  e  Virgilio 
proced^ado  innanzi  per  il  terzo  girone  sol 
ioeto  dell*axgine  orano  pervenne,  allorché 
Bronetto  s'allontanò,  in  Inogo  ancora  distanto 
dalla  fine  del  girone  stesso;  si  che  sentivano 
iadistintaniente  il  rumoro  del  fiume  ohe  si 
pcedpitava  nel  giro  o  cerchio  ottavo.  —  2. 
sltxa  giro:  ò  l'ottaro  cerchio;  otr,  Inf.  x  4, 
zxrm  50.  —  3.  slmile  eoo.  simile  a  qnel 
tmaSo  che  fanno  le  api  intomo  alle  amie  o 
alTeari  ove  abitano.  La  similitadine  mostra 
che  i  doe  iK>eti  erano  ancora  a  qualche  di> 
stanza  dal  luogo,  ove  il  fiome  cadeva,  tanto 
che  il  rumore  deJle  acque  cadenti  perveniva 
bto  temperato  e  indistinto  oome  ronzio  d'al- 
Tsaze  :  la  distanza  tra  questo  punto  e  queUo 
da  coi  mossero  dopo  aver  parlato  con  Iacopo 
Bastieucci  (cfir.  v.  91)  fu  da  Virgilio  e  Danto 
percorsa  mentre  le  anime  dei  peccatori  veni- 
Tioo  loro  incontro  (cfr.  w.  7, 19).  -—  4.  qvan- 
et  eoe  tre  anime  si  staccarono  a  corsa  da 
ona  schiera  che  camminava  sotto  la  pioggia 
di  looeo.  —  6.  vna  torna:  i  violenti  contro 
natura,  per  il  loro  grande  numero  (ctt.  Inf, 
zit  25),  erano  distribuiti  in  divorse  schiere, 
secondo  la  condizione  loro  nel  mondo:  cosi 


la  schiera  di  Brunetto  era  tutta  dì  ecclesia- 
stici e  dotti,  la  schiera  di  questi  tre  era  di 
uomini  che  in  vita  esercitarono  pubblici  uffici 
militari  e  civili  (cCr.  le  noto  ai  w.  34,  40, 
48,  70).  —  7.  Tenfaa  ecc.  n  corso  di  questa 
schiera  era  in  direzione  contraria  a  quella  dei 
poeti;  le  tre  anime  venivano  dunque  di  verso 
il  precipizio  e  dovevano  percorrere  un  note- 
vole spazio,  se,  quando  i  poeti  si  fermarono, 
erano  ancora  distanti  (cfr.  v.  19).  —  8.  8ò- 
ftatt  ecc.  Formati,  tu  che  alla  fo^ia  del  ve- 
stire ci  sembri  essere  nostro  concittadino. 
Questo  parole  dei  tre  fiorentini,  e  spedalmen- 
to  l'aver  indicata  Firenze  come  terra  prava, 
dovevano  conciliare  l'animo  di  Danto  a  cote- 
sti peccatori,  verso  i  quali  poi  egli  esprime 
sentimenti  di  rispetto  dopo  die  ne  ha  saputo 
i  nomi.  —  10.  piaghe  eco.  vidi  nelle  membra 
dei  peccatori  delle  piaghe  «ncass,  delle  bra- 
ciature,  recenti  a  vecohie,  alcune  ancora  aperto 
e  sanguinanti,  altre  giÀ  chiuse  e  rimarginato. 
—  11.  Ineese:  non  pud  esser  altro  che  il  part. 
del  vb.  incendere  (cfir.  Inf,  xxu  18,  xxvi  48), 
che  riferendosi  alle  piaghe  vuol  dire  ch'erano 
prodotto  dall'accensione,  dal  facce.  —  12. 
Ancor  ecc.  :  dell'  improssione  dolorosa,  che 


116 


DIVINA  COMMEDU 


Alle  lor  grìda  il  mio  dottor  s^atteee, 
volse  il  viso  vèr  me,  e:  €  Ora  aspetta, 
15       disse,  a  costor  si  vuole  esser  cortese; 
e  se  non  fosse  il  foco  che  saetta 
la  natura  del  loco,  io  dioerei 
18       che  meglio  stesse  a  te,  che  a  lor,  la  fretta  >. 
Ricominciar,  come  noi  ristemmo,  ei 
l'antico  verso;  e  quando  a  noi  fdr  giunti, 
21        fanno  una  rota  di  sé  tutti  e  trei. 

Qual  sogliono  1  campion  far  nudi  ed  unti, 
avvisando  lor  presa  e  lor  vantaggio, 
24        prima  che  sien  tra  lor  battuti  e  punti; 
cosi,  rotando,  ciascuno  il  visaggio 


Danto  soriveiido  provava  por  la  rimembranza 
dell»  pene  infernali,  sono  altri  cenni  nel  poe- 
ma, p.  es.  Inf,  xiy  78,  zzn  81  eoo.  —  18. 
l'attese:  tiUmderrl  lignifloa  qui  e  altrove 
pnstant  porgerò  atUnxùmé  e  accenna  proprio 
l'atto  nel  momento  in  coi  incomincia  (cAr. 
Fiaar,  xm  29,  xv  81).  —  16.  il  vuole:  si  deve, 
si  conviene;  ricorre  fluentemente,  ISirg. 
xni  18,  zxui  6,  Ptar,  xvi  101,  xx  83  eco.  — 
16.  e  le  ecc.  se  la  condizione  naturale  di 
questo  luogo  non  foeee  quella  del  ftiooo  che 
scende  dall'alto  con  l'impeto  della  folgore  eoo. 
—  17.  dleerel:  direi;  cfr.  Inf.  m  46.  — 19. 
cove  Bol  ristcMmo:  non  i^pena  che  noi  ci 
fanuno  fermatL  —  20.  l*antÌeo  verso:  Lomb.: 
e  il  pianto,  doò,  che  prima  f&cevano,  e  che 
solo  per  pregar  Danto  ad  arrestarsi  intormesso 
avevano;  e  però  vedendo  fermato  il  poeto, 
né  avendo  più  bisogno  di  pariare,  ritornarono 
al  pianto  >.  —  21.  fesso  uia  rota  eoo.  Non 
potondo  questi  peccatori  arrestarsi  (Inf,  xv 
87-89)  né  accompagnarsi  a  Danto  perocché 
era  poco  distanto  il  limito  dello  spazio  loro 
assegnato  (cfr.  v.  91),  i  tre  fiorentini  si  re- 
strìnsero in  cerchio  e  movendosi  in  giro  vol- 
gevano indietro  11  viso  per  guardare  il  loro 
concittadino.  —  trel:  forma  dialettale  antica 
(cfr.  Parodi,  BuU,  WL  124).  —  22.  qnàì  so- 
gllOBO  ecc.  Questo  luogo  ò  variamento  inteso. 
Secondo  molti  commentatori  la  similitudine  ò 
tratta  da  uno  degli  esercizi  ohe  i  greci  e  i 
romani  facevano  nei  loro  ginnasi  o  palestre, 
cioò  dalla  lotta  col  pugno  o  pugilaUo  (cfr. 
Livio  I  86,  Cicerone,  Tuaeul.  u  17,  Suetonio, 
Oclav.  cap.  45);  noUa  quale  i  pugili  o  lotta- 
tori erano  soliti  guardare  all'  indietro  per  te- 
ner d'occhio  i  movimenti  degU  avversari  e 
cogliere  il  momento  opportuno  per  assalire: 
ma  a  questa  intorpretazione  contrasterebbe  il 
presento  sogliono^  trattandosi  di  un  esercizio 
non  più  usato  ai  tompi  di  Danto;  nò  sarebbe 
il  caso  di  intondere  questo  presento  in  fun- 
zione d' imperfetto,  come  per  il  vb.  solere  ac- 
cade spesso  negli  antichi  (cfr.  la  nota  idVInf. 


xxvn  48),  oppure  d'accettare  la  più  comune 
lezione  toleanOf  perché  verrebbe  a  mancare  la 
correlazione  temporale  oon  il  mìm  del  v.  24. 
Mdto  meglio  inveoe  altri  pensano  ohe  la  li- 
militndine  sia  tratta  dai  campioni  dei  medio- 
evali giudizi  di  Dio  (cfr.  Bezaaoo,  D».  188: 
«  Oamptom,*.  chi  ne'  duelli;  usati  come  giu- 
dizio di  Dio,  combatteva  per  la  ragione  di  ohi 
aveva  diritto  di  aostituire  o  era  esento  dal- 
l'obbligo  di  combattere  personalmento  >,  e  Mu- 
ratori, AntiguUatea  Ilatieae,  m  644-646);  al 
quale  proposito  scrive  il  Lana  che  «  in  molto 
parti  del  mondo  quando  questione  d  che  pesi 
tra  due,  e  le  parti  non  abbiano  scritto  o  ver 
testimonianza  a  suffidensa,  elle  si  sottomet- 
tono a  volere  che  la  ragion  li  oonosca  in  bat- 
taglia mortale  >,  e,  dopo  più  altri  partioolarì 
su  cotesto  modo  di  giudizi,  dice  che  quando 
la  questione  era  di  poca  importanza  i  cam- 
pioni «  faceano  la  pugna  dentro  dallo  steo- 
cato,  nudi,  e  brancolavansi  pure  alle  braccia, 
e  quello  ohe  cadea  la  sua  parto  perdea  »  : 
né  questo  uso  dei  giudizi  di  Dio  ai  tompi  di 
Danto  era  venuto  meno,  come  farebbe  cre- 
dere rOtt  (e  dice  eolevano  però  che  in  Italia 
e  in  molto  altre  parti  l'uso  dei  campioni  ò  ito 
via  »),  poiché  il  Davidsohn,  BulL  VII  89-41, 
ha  largamento  dimostrato  come  nella  proo^ 
dura  civile  fòsse  flnequento  in  Toscana,  sino 
ai  tompi  di  Dante,  l'abitudine  di  risolvere  le 
questioni  medianto  le  lotto  di  pugilato,  e  come 
i  campioni  toscani  fossero  chiamati  qualche 
volta  a  questo  fine  anche  nelle  regioni  finitimo. 
—  23.  avvisando  ecc.  tenendo  gii  occhi  al- 
l'opportunità  di  prendere  con  vantaggio  l'av- 
verearìo.  —  24.  prima  eoe  prima  di  attoo- 
carsi  e  percuotersi.  —  26.  eoif  ecc.  coif  cia- 
scuna delle  tre  anime,  mentre  insieme  si  mo- 
vevano in  giro,  tonava  gli  occhi  rivolti  a  me, 
in  modo  che  il  collo  si  volgeva  sempre  in  di- 
rezione opposta  a  quella  dei  piedt  —  visag- 
gio: voce  arcaica  osata  anche  net  senso  di 
vólto,  ma  qui  più  tosto  in  quello  di  vista, 
comò  mostra  il  vb.  drixxare  al  quale  ò  con- 


INFERNO  -  CANTO  XVI 


117 


drlzsava  a  me,  si  ohe  in  contrario  il  collo 
27        faceva  a'  pie  continuo  viaggio. 
€  Eh,  se  miseria  d'esto  loco  sollo 
rende  in  dispetto  noi  e  nostri  preghi, 
90       cominciò  Puno,  e  il  tinto  aspetto  e  brollo, 
la  fama  nostra  il  tuo  animo  pieghi 
a  dirne  ^i  tu  se*,  che  i  vivi  piedi 
83        cosi  sicuro  per  lo  inferno  freghi. 
Questi,  l'orme  di  cui  pestar  mi  vedi, 
tutto  che  nudo  e  dipelato  vada, 
86        fu  di  grado  maggior  che  tu  non  credi: 
nepote  fa  della  buona  Gualdrada; 
Guido  Guerra  ebbe  nome,  ed  in  sua  vita 
89        fece  col  senno  assai  e  con  la  spada. 


giuta  (ofr.  Inf,  iz  78,  J^.  i  111,  iy  6S 
Mc).  ~  26.  fi  €k%  ecc.  mol  dira  oo«f  che 
gvardsTUio  di  loroTolontà  e  correruio  inreoe 
far  fom;  cfr.  (km.  i  8:  cAtto  libero  d 
fouido  una  pezaona  va  Tolentieii  ad  alenila 
parta,  eh»  si  moatra  nel  tenere  volto  lo  tìso 
ìb  faialla:  atto  aforuto  è  quando  contro  a 
ToglSa  al  T»,  ohe  ai  moatra  in  non  guardare 
nana  parte  dorè  ai  va  ».  ~  28.  Ek,  ae  mi- 
aarlaeoe.  Uno  dei  tre  apiriti  cominciò  a  dire: 
Dah,  ae  la  noatra  misera  condizione  e  il  no- 
■tiD  aspetto  fanno  d  che  ta  abbia  in  dispre- 
gio noi  e  le  noatze  preghiere,  ti  muova  almeno 
la  noetza  £una  ecc.  —  aaie  loco  ielle:  ò  il 
gfaoee  pieno  di  sabbia,  detto  pendo  aoUo,  non 
aolido,  cedevole.  —  80.  U  tiato  aapetlo  e 
bralle  :  il  volto  abbronzato,  Hnio  dalle  fiamme, 
e  hnth^  deoodato  della  pelle,  scorticato  ;  il 
Boti  dice:  €  perché  siamo  aisiooiati  e  ignndi  >; 
^.  il  T.  86,  e  per  l'agg.  òroUo  la  nota  all'/n/: 
zzziv  60.  ~  82.  1  vili  piedi:  ecc.  stropic- 
d  coai  secoiamente,  sansa  paura  d'abbru- 
ciarti, 1  tuoi  piedi  come  uomo  vivente,  nelle 
ngiooi  inliamalL  —  84.  (Questi  ecc.  Guido 
Gucoa  VI  dei  conti  Guidi  (cl^.  Par,  zvi  64), 
Igiio  di  Maroovaldo  conto  di  Dovadola  e  di 
Baatzioe  degli  Alberti,  dopo  aver  passata  la 
giovinesza  alla  corto  di  Federigo  n  tornò  in 
patria  nel  1284  e  fu  da  quel  momento  il  prin- 
cipale aoetegno  della  parto  guelfa  in  Toscana, 
tutto  elle  nel  1348  Innocenzo  IV  lo  dichiarò 
baaaaMrito  della  Chiesa:  fti  nel  1256  capo 
daS*  ceercito  fiorentino  con^  i  ghibellini 
d'Areno;  dopo  la  sconfitta  di  Montaperti,  da 
lai  preveduta,  eaulò  coi  guelfi  da  Firenze,  e 
comandando  la  schiera  dei  fuorusciti  combatto 
sotto  Carlo  I  d'Angiò  a  S.  Germano  e  a  Be- 
asvento,  e  cosi  ottenne  di  ritornare  in  patria, 
ore  nK»l  di  70  anni  nel  1272.  e  Fu  molto 
gaaUb,  aorive  F.  Villani,  apesao  capitano, 
aprazzatore  de'  periodi,  o  quasi  troppo  solle- 
cito «e*  oasi  sùbiti,  d' ingegno  o  d'animo  ma- 


raviglioao,  donde  spesso  i  Catti  quasi  perduti 
riparava  e  spesso  quasi  tolse  la  vittoria  di 
mano  a'  nemici  :  d'animo  alto  e  liberale  e  gio- 
condo molto,  dai  cavalieri  amato,  cupido  di 
gloria,  ma  per  l'opere  buone  da  lui  fittto  *  : 
si  vedano  G.  Villani,  Or,  vi  61,  78,  vn  6-9; 
F.  Villani,  VilU,  p.  64;  S.  Ammirato,  Albero 
e  istoria  della  famiglia  isf  conti  Ovidio  Firen- 
ze, 1640;  L.  Paaserini,  Guidi  di  Romagna^ 
tav.  xvm  nel  Litta,  Famiglie  celebri  italiane, 
—  36.  nade  e  dipelato:  per  la  continua  ar- 
sione delle  fiamme  questi  dannati  sono  privi 
d'ogni  pilosità;  compie  cosi  Dante  il  ritratto 
dei  aodomiti,  di  cui  ha  già  ricordato  il  volto 
abbrustolito  e  scorticato.  —  87.  nepote  tm  ecc. 
ìlarcovaldo,  padre  di  Guido  Guerra  VI,  era  il 
quarto  figlio  di  Guido  Ghierra  IV  e  della  se- 
conda moglie  di  lai  Gualdrada  doi  Bavignanl, 
figlia  di  Bellincione  (cit.  Piar,  xv  112),  spo- 
sata intomo  al  1180  :  cfir.  Ammirato,  op.  dt.; 
Passerini,  op.  cit,  tev.  m;  0.  Hartwig,  Quel- 
Im  und  Foreckungerij  voi.  Il,  p.  68.  Di  queste 
donna  le  cronache  e  legf^ende  fiorentino  par- 
lano come  di  un  tipo  di  virtù  domestica,  e 
raccontano  come  essendo  di  passaggio  por 
Firenze  Ottone  IV  imperatore  (1209-1218)  e 
celebrandosi  nella  chiesa  di  S.  Giovanni  una 
feste  in  suo  onore,  vide  e  gli  piacque  una 
bellissima  giovine  :  e  non  cognoscendola  (con- 
tinua l'An.  fior,  ampliando  ciò  che  scrivo  G. 
Villani,  Cr.  v  88)  dimandò  messer  Bellincione 
chi  oli' era;  messer  Bellincione  disse:  Costei 
è  una  ohe  io  ne  posso  fare  a  mio  senno:  dico 
alcuno  ch'egli  disse:  Questa  vi  posso  io  fare 
baciare,  quando  vi  piacessi.  La  fanciulla  ora 
si  presso  ch'olla  intose  il  padre;  disse,  arros- 
site tutte  per  vergogna:  Padre  mio,  non  prof- 
ferite cosi  di  largo  le  cose  che  non  sono  vostre  : 
voi  avete  poco  cara  l'onestà  mia;  e'  non  è  ve- 
runo  che  di  me  potesse  fare  a  suo  senno,  se 
non  colui  che  fosse  mio  marito.  Allo  'mpora- 
dore  piacque  queste  risposta,  che  fu  bella  et 


118 


DIVINA  COMMEDIA 


L'altro,  che  appresso  me  l'arena  trita, 
è  Tegghiaio  Aldobrandì,  la  cui  voce 
42        nel  mondo  su  dovria  esser  gradita. 
Ed  io,  che  posto  son  con  loro  in  oroce, 
Iacopo  Busticuoci  fui;  e  certo 
45        la  fiera  moglie  più  ch'altro  mi  nuoce  ». 
S'io  fiissi  stato  dal  foco  coarto, 
gittato  mi  sarei  tra  lor  di  sotto, 
48        e  credo  che  il  dottor  l'avria  sofferto. 
Ma  perch'io  mi  sarei  bruciato  e  cotto, 
vinse  paura  la  mia  buona  voglia, 
51        che  di  loro  abbracciar  mi  facea  ghiotto. 
Poi  cominciai  :  €  Non  dispetto,  ma  doglia 
la  vostra  condizion  dentro  mi  fìsse 
54        tanto  che  tardi  tutta  si  dispoglia, 
tosto  che  questo  mio  signor  mi  disse 
parole,  per  le  quali  io  mi  pensai        • 
57        che,  qual  voi  siete,  tal  gente  venisse. 
Di  vostra  terra  sono;  e  sempre  mai 


notabile  >.  E  sègnita  la  leggenda  ohe  l' impe- 
ratole volle  dar  marito  alla  giovine,  il  quale 
fb  Qnido  Oneira  IV  :  ohe  è  contro  U  ragione 
dei  tempi,  poiohó  il  matrimonio  ùm  i  due  era 
già  avvenuto  nel  1180  (ofr.  Davìdeohn,  (haeh. 
wn  FìormXj  voL  I).  —  40.  L'altro  ecc.  Teg- 
ghiaio Àldobrandi  degli  Adimari,  podestà 
d'Arezzo  nel  1266,  già  morto  nel  1267,  lodato 
da  Q.  Villani,  Or,  vi  78,  come  «  cavaliere 
savio  e  prode  in  armi  e  di  grande  antoritade  ». 
Booo.:  e  iti  cohii,  il  qnale  del  tutto  sconsigliò 
il  comun  di  Firense,  ohe  non  uscisse  fuori  a 
campo  ad  andare  sopra  i  sanesi;  conoscendo, 
siccome  ammaeetratissimo  in  opera  di  guerra, 
che  danno  e  vergogna  ne  seguirebbe,  se  con- 
tro al  suo  consiglio  si  facesse  ;  dal  quale  non 
creduto  né  voluto,  ne  segui  la  sconfitta  a 
Monto  Aperti  ».  —  41.  la  cui  reee  ecc.  la 
voce  del  quale,  allorché  sconsigliò  l'impresa 
contro  Siena,  avrebbe  dovuto  essere  ascoltata 
volentieri;  oppure,  e  forse  meglio,  la  ikma 
del  quale  dovrebbe  essere  celebrata  dai  fio- 
rentini, ai  quali  egli  dio  il  buon  consiglio.  — 
43.  Ed  lo  eoo.  Iacopo  Busticuoci  fb,  secondo 
rOtt.,  della  consorteria  dei  Cavalcanti,  e 
l'An.  fior,  dice  che  fu  «  uno  popolare  di  Fi- 
renze di  picciol  sangue,  cavaliere,  il  quale  fti 
valoroso  uomo  et  piacevole.  Ebbe  costui  una 
sua  moglie,  diversa  et  spiacevole  tanto  che 
costui  la  divise  et  separolla  da  sé,  et  man- 
doUa  a  casa  i  parenti  suoi  ».  Di  lui  sappiamo 
che  nd  1254  fa  con  Ugo  della  Spina  fatto 
procuratore  speciale  del  comune  di  Firenze, 
a  trattare  leghe  e  patti  con  altre  città  e  torre 
di  Toscana  (Del  Lungo  in  Sundby,  op.  dt, 


p.  204)  e  che  dopo  Montapertì  gli  fb  dai  gfai- 
bellini  distratta  la  casa  che  aveva  prossinia 
a  quella  di  Tegghiaio  Àldobrandi  (Del  Lungo, 
DanUy  n  71).  —  46.  U  flora  moglie  ecc.  :  gli 
antichi  commentatori  sono  concordi  nell'af- 
fermare  che  Iac(^  fu  tratto  a  peccare  dal 
fastidio  in  che  ebbe  la  moglie  e  per  lei,  ag- 
giunge alcuno,  tutto  le  donne.  —  46.  8*  lo 
eoo.  Se  io  svessi  potuto  coprirmi,  ripararmi 
dal  fboco,  sarei  disceso  nel  sabbione  per  ri- 
verenza e  affètto  verso  i  tre  concittadini,  i 
quali  erano  di  quelli  antichi  e  che  a  ben  far 
poser  gli  ingegni  »  {iJnf.  vi  81).  —  48.  e  erodo 
ecc.  :  cfr.  le  parole  di  Virgilio  nei  w.  15-18. 
—  62.  ITOB  dispetto  eoe  La  vostra  condi- 
zione indusse  nell'animo  mio,  non  già  il  di- 
sprezzo come  voi  tometo  (cf^.  w.  28-80),  ma 
un  sentimento  di  dolorosa  pietà  non  ancora 
dileguatosi,  subito  ohe  la  mia  guida  mi  disse 
certo  parole  per  le  quali  intesi  essere  voi  gento 
degna  d'onore.  H  D'Ovidio,  p.  85,  notando  la 
diversità  tra  i  tanti  segni  dì  reverenza  Torso 
i  tre  fiorentini  e  la  disdegnosa  indifferenza 
che  or  ora  Danto  dimostrerà  per  gli  usurai 
(cfir.  Inf,  xvi^S7  e  segg.),  osserva:  cSono 
nello  stosso  cerchio,  anzi  nello  stesso  girono, 
per  colpe  teologicamMito  affini  e  ridooibili 
in  fondo  a  una  sola  (violenza  contro  Dio), 
come  le  loro  pene  sono  due  variazionoello 
d'una  pena  medesima;  eppure,  tanto  provalo 
sul  oritorio  teologico  il  sentimmito  umano  o 
l'impressione  personale,  le  due  schiero  di 
peccatori  destano  nel  poota  commoziuni  non 
che  diverse,  opposto  ».  —  68.  Di  TOstra  eoe. 
Sono  vostro  concittadino,  e  con  oiuuie  ascoltai 


raPEBKO  -  CANTO  XVI 


119 


l'opre  di  voi  e  gli  onorati  nomi 
60        con  affezion  ritrassi  ed  ascoltai. 
Lascio  lo  fele,  e  vo  per  dolci  pomi 
promessi  a  me  per  lo  verace  duca; 

68  ma  fino  al  centro  pria  convien  eh'  i'  tomi  ». 
«  Se  lungamente  l'anima  conduca 

le  membra  tue,  rispose  quegli  allora, 
66        e  se  la  fama  tua  dopo  te  luca, 
cortesia  e  valor  di'  se  dimora 
nella  nostra  città  si  come  suole, 

69  o  se  del  tutto  se  n'è  gita  fuora; 

che  Guglielmo  Borsiere,  il  qual  si  duole 
con  noi  per  poco,  e  va  là  coi  compagni, 
72        assai  ne  cruccia  con  le  sue  parole  ». 
€  La  gente  nuova  e  i  sùbiti  guadagni 
orgoglio  e  dismisiira  han  generata, 
75        Fiorenza,  in  te,  si  che  tu  già  ten  piagni  !  » 
Cosi  gridai  con  la  faccia  levata: 
e  i  tre,  che  ciò  inteser  per  risposta, 
78       guatar  l'un  l'altro,  come  al  ver  si  guata. 


e  Btdital  sempre  le  vostre  aobili  adoni  civili 
•  i  TOftri  nomi  onorati  per  le  benemerenze 
fotttidie.  —  61.  Latele  ecc.  abbandonando 
rtmazeon  del  peccato,  cerco  la  dolcezza  della 
heatitodiiie.  —  feles  Booc:  «  Tamaritadine 
che  per  i  peocati  sègoita  a  coloro  che  del 
IMoato  wm.  ai  rimangono  ».  ~  4elei  poMi  : 
cfr.  A«y.  xxvn  116,  xzxn  74.  —  62.  prò- 
■aaai  eoe.:  cfr.  Inf,  i  116.  —  63.  al  eeatro 
eoe  al  centro  della  terra,  ove  ò  Ladfero  e 
«ve  Dante  cadrà  a  capo  in  giti;  cfr.  Jnf. 
xxsxw  76  •  aegg.:  il  vb.  toman  (cfr.  Inf.  zzxn 
KB)  «jg"!^*^  propriamente  Tatto  del  cadere 
capovolgendoai.  —  64.  Se  luigMMite,  ecc. 
Vani.  :  •  Coti  ta  viva  lungamente,  e  cosi  ri- 
■pkmda  e  aia  chiaro  il  tao  nome  ancor  dopo 
che  aarai  morto  ».  —  67.  eertetla  e  valor: 
la  virtù  civile  e  militare;  cfr.  Purg,  xvi  116. 
Kotevole  il  riaoontro,  rilevato  dal  Torraca, 
con  nn  pMBO  di  Chiaro  Davanzatl  (D'Ano,  m 
173):  «  Ove  dimora  e  posa  Oorteda  e  valo- 
re? ».  —  68.  anele:  il  aolito  prea.  in  ftinzione 
d'imperfetto;  cfr.  Inf.  zxvn  48.  —  70.  da- 
giielm«  Boralere;  Beco.:  «  Qoeati  ta  cava- 
Bar  di  «vte,  nomo  costomato  molto  e  di  lan- 
devol  maniaca  ;  ed  era  il  eoo  eaercizio  e  degli 
altri  anoi  pari  il  Ixattar  pad  tra'  grandi  e  gen- 
tili nomini,  trattar  matrimoni  e  parentadi,  e 
talora  con  piacevoli  e  oneste  novelle  recreare 
gli  anioii  de'  faticati,  e  confortargli  alle  cose 
oaoreroli;  il  che  i  Du>demi  non  fttnno,  anzi 
fuato  pU  aono  aceUerati  e  spiacevoli,  e  con 


brutte  operazioni  e  pnrole,  più  piacdono  e 
meglio  aono  provvedati  ».  Lo  stesso  Bocc. 
Dee.  g.  I,  n.  8,  mise  in  novella  on  piacevole 
e  arguto  motto  col  quale  Guglielmo  Borsiere 
punse  l'avarizia  di  Ermino  Grimaldi,  ricchis- 
simo gmtiluomo  genovese.  — 11  qaal  ai  duo- 
le ecc.  il  quale  da  poco  tempo  d  venato  a 
queato  tormento;  da  che  ai  induce  che  Gu- 
glielmo moiiaae  verso  l'a.  1800.  —  71.  va  là  eoi 
compagni  I  con  quelli  della  torma  (v.  5),  onde 
s'erano  staccati  i  tre  fiorentinL  —  72.  eon  le 
lae  parole:  rappresentandod  l' infelice  stato 
della  nostra  dttà.  —  78.  La  gente  auera  ecc. 
An.  fior.  :  e  La  dttà  di  Firenze  ha  mutata 
condizione,  però  che  i  contadini  et  altri  d'at- 
torno a  Fironze  aono  venuti  di  fuori  a  ceserò 
dttadini  ;  et  però  che  sono  nuovi  nella  dttà, 
non  hanno  tanto  amore  alla  terra  quanto  gli 
antichi  dttadini,  et  perd  hanno  generata  di- 
smisura in  Firenze  et  ancora  per  guadagni 
sùbiti  sono  montati  in  superbia,  et  sono  di- 
ventati orf^gliosi,  et  sono  cagione  d'ogni  male 
della  terra  ».  Si  veda  a  questo  proposito  lo 
scritto  d'  I.  Del  Lungo,  La  gente  nuova  in 
Firenze  in  Dante,  I,  pp.  8-182,  e  d  cfr.  le 
noto  al  Par.  xv  97-129  e  xvi  49-69.  —  76. 
già  ten  piagni:  poiché  già  a  questo  tempo 
incominciavano  a  manifestarsi  i  tristissimi 
effetti  delle  gare  dttadine.  —  77.  che  ciò  ecc. 
che  intesero  la  mia  apostrofe  come  un  modo 
di  risposta  alla  loro  domanda.  —  78.  gaatAr 
eoo.  si  guardarono  l'un  l'altro  con  l'atto  di 


120 


DIVINA  COMMEDIA 


«  Se  l'altre  volte  si  poco  ti  costa, 
risposar  tutti,  il  satisfare  altrui, 
81        felice  te,  che  si  parli  a  tua  posta! 
Però,  se  campi  d'esti  lochi  bui 
e  torni  a  riveder  le  belle  stelle, 
84        quando  ti  gioverà  dicere:  'Io  fui', 
fa  che  di  noi  alla  gente  favelle  ». 
Indi  rupper  la  rota,  ed  a  fuggirsi 
87        ale  sembiàr  le  gambe  loro  snelle. 
TJn  ^ammen'  non  saria  potuto  dirsi 
tosto  cosi,  com'ei  f^o  spariti: 
90       per  che  al  maestro  parve  di  partirsi. 
Io  lo  seguiva,  e  poco  eravam  iti, 

che  il  Buon  dell'acqua  n'era  si  vicino 
93        che,  per  parlar,  saremmo  appena  uditi. 
Come  quel  fiume,  o'  ha  proprio  cammino 


stupore  e  di  moravìglia  proprio  di  chi  sente 
oonfennats  una  grave  verità.  —  79.  Se  Pai- 
tré  volte  ecc.  Tutti  i  vecchi  commentatori 
dal  Lana  al  Yent.  intesoro  qaeste  parole  dei 
tre  fiorentini  come  una  lode  data  all'Alighieri 
per  la  compiutezza,  la  brevità  e  la  chiarezza 
della  sua  risposta  (Lana:  e  segue  mostrando 
che  in  meno  parole  non  si  poria  dire  la  sub- 
stanzia  dell'essere  vizioso  di  Firenze  e  ch'elli 
era  tale  e  si  adatto  alle  risposte  ch'era  felice 
doè  avventurato  »  ;  Vent.  :  €  Felice  te  che 
hai  questa  facilità  e  felicità  meravigliosa  di 
spiegarti  mirabilmente,  come  ti  vien  più  in 
grado  >).  Ma  il  Lomb.,  seguito  dal  Tomm., 
dal  Bianchi  e  da  altri  moderni,  le  inteso  er- 
roneamente come  un  accenno  al  danno  che  a 
Dante  cagionò  il  libero  parlare  e  spiegò  :  e  Fe- 
lice te,  che  cosi  parli  a  tuo  talento,  a  tua 
voglia,  se  il  sodisfare  con  tal  libero  parlare 
ad  altrui  altre  volte  si  poco  ti  oosta,  come 
costati  ora,  che  nessun  danno  t'arreca».  — 
83.  e  torni  ecc.  :  anticipa  quasi  il  verso  del- 
l' Inf.  xrnv  189.  —  84.  quando  ecc.  allorché 
ti  rallegrerai  del  viaggio  felicemente  compito. 
Dan.  osserva  che  ò  e  ad  imitazione  del  vir- 
giliano Enea,  dicente  ai  compagni  [En,  i  204]: 
Fbrsan  et  ha60  olim  memmisw  ìwHibU  ;  e  Se- 
neca: Quod  fuit  dwrum  pati,  numinisse  dulce 
est»,  ~  85.  fa  ecc.:  cfr.  la  nota  all'/n/.  vi 
89.  —  86.  ed  a  fnggirii  ecc.  fuggirono  cosi 
rapidamente  comò  se  avessero  avuto  le  ali. 
—  88.  Un  *  ammen  '  ecc.  Avverte  il  Venturi 
493,  a  proposito  di  questo  esempio  di  velocità 
e  degli  altri  che  sono  in  Inf,  xxiv  100  e  Par, 
XXIX  49,  che  e  la  naturalità  dei  motti  e  la 
familiarità  del  lingua^i^o  aggiungono  a  tutti 
e  tre  tanto  arguta  etiicacia,  che  par  d'udirli 
ancor  vivi  nelle  bocche  del  popolo  nostro  *, 
~  90.  per  elle  ecc.  per  la  qual  cosa,  doò  per 


essersi  allontanala  1  tre  fiorentini,  a  Virgilio 
parve  opportuno  di  riprendere  il  cammino.  — 
91.  e  poco  ecc.  e  dopo  un  breve  tratto  di 
strada  il  rumore  del  fiume  cadente  ai  fece 
cosi  intenso  che,  per  quanto  avessimo  parlato 
forte,  appena  avremmo  potuto  udirci  l'nn  l'al- 
tro. —  93.  per  parlar:  cfr.  L%f.  iv  11.  — 
94.  Come  ecc.  Gli  antichi  commentatori,  Ott, 
Bocc.,  Benv.,  Buti,  An.  fior.  ecc.  danno  di 
questo  luogo  la  pi6  giusta  interpretazione, 
accettata  ora  anche  dal  Bassermann,  p.  IBI,  e 
cosi  riassunta  dal  Lomb.  :  e  Beca  in  paragone 
della  caduta  di  Flegetonte  dal  settimo  nel- 
l'ottavo cerchio  la  romorosa  cascata  del  Mon- 
tone, fiume  di  Bomagna,  dalFApennino  aopra 
la  badia  di  8.  Benedetto;  e  oircoecrìve  esso 
fiume  dicendolo  il  primo,  ohe  dalla  sorgente 
del  Po  su  Monviso  dirigendoci  verso  levante, 
troviamo»  scendere  dalla  sinistra  costa  d'Apen- 
nino  e  andar  al  mare  con  proprio  eammmOf 
cioò  con  proprio  particolare  alveo:  ed  è  vero; 
imperocché  tutti  gli  altri  fiumi,  che  dalla  sor^ 
gente  dol  Po  fino  a  quella  del  Montone  ca- 
scano dalla  sinistra  oosta  d'Apennino,  tutti 
s'uniscono  al  Po  e  camminano  con  esso  al 
mare  ».  B  passo  adunque,  difficile  pi6  die 
altro  per  la  costruzione  molto  complessa  a 
cagione  degl'  incisi  secondari,  si  deve  ordinare 
e  intendere  cosi:  Ck>me  quel  fvtmné,  che  di 
quanti  scendono  dotta  sinistra  eoda  d'Apen- 
nino, prima  d'ogni  altro,  per  il  primo,  nel 
versante  che  si  stende  da  Montsveao  m  vir 
levante,  ha  cammino  proprio  doò  corso  suo 
proprio  sino  al  maro  (che  «imo,  il  quale  fiume 
su  nei  monti  si  chiama  Aoquacheia  ovante  che 
si  divalli  giù  nel  basso  lettor  prima  cioò  che 
scorra  a  valle  nel  piano  alveo,  ed  a  fbrU  è 
vacante  di  quel  nome^  e  verso  Forlì  non  ha 
più  il  nome  di  Aoquacheta  ma  quello  di  Mon- 


INFERNO  —  CANTO  XVI 


121 


prima  da  Monteveso  in  vèr  levante 
96        dalla  sinistra  costa  d*Apennino, 

che  si  chiama  Aoquacheta  suso,  avante 
che  si  divalli  giù  nel  basso  letto, 
99        ed  a  Forlì  di  quel  nome  è  vacante, 
rimbomba  là  sopra  San  Benedetto 
dell'Alpe,  per  cadere  ad  una  scesa, 
102        ove  dovea  per  mille  esser  ricetto; 
cosi,  giù  d'una  ripa  discoscesa, 
trovammo  risonar  quell'acqua  tinta, 
105        si  che  in  poc'ora  avria  l'orecchia  offesa. 
Io  aveva  una  corda  intorno  cinta, 
e  con  essa  pensai  alcuna  volta 


toM),  rimbcmba  là  Jovra  San  Benedetto  del- 
fÀlft»  per  eaden  ad  ma  «omo,  cioè  perohó  si 
;neipit»«lbMBo;  oolitentimmo  risonare  eoo. 
Altri  invece  alfenBano  ol&e  Montereeo  d  snlln 
liaifltn  costa  dell' Apennino  e  ohe  d*  esso, 
ad  luogo  detto  anooia  U  fonte  di  Monte  Visi 
(eft.  Butt,  TI  196),  sostoziace  quel  lamo  del 
Xatone  càe  chimnnsi  Aoqnacheta  e  per  balze 
•  munerose  cascate  raggiunge  sotto  S.  Be- 
Bfldsttoi  rami  già  riuniti  dell'Ossa  e  del  Kon- 
toaa,  perdendo  quivi  11  suo  nome  (ofr.  L.  N. 
PMd,  Onmd  geologici  ecc.  in  Dante  e  il  suo 
«Nofa,  p.  666;  e.  M.  Bertini,  Nota  eco.  negU 
Jm  della  B.  Jbxad.  delle  aeienxe  di  Torino, 
1871,  voL  T[;  P.  Nadiani,  Interpreta»,  dei 
tni  di  Dante  end  fèieme  Montone,  Milano,  1894; 
9.  UagareQi,  I/JLequaoheta  in  Nahnra  ed  arte, 
a.  yj,  1899,  Fp.  906-913).  —  96.  HoateTeao: 
Iteviso,  lat  Mone  Veauiiu,  —  99.  ^  vacante  t 
è  privo;  non  si  chiama  più  Aoqnacheta,  oo- 
Bs  Bel  tratto  piti  montano,  ma  Montone.  — 
100.  8aB  Beaedetto  dell'Alpei  ò  il  borgo 
càiaiato  San  Benedetto  di  sopra,  oosf  deno- 
BÌDato  da  nn  monastero  di  benedettiDi,  assai 
Mto  ai  tempi  di  Dante,  il  qnale  era  sor  un 
poggio  presso  il  luogo,  ove  il  torrente  Aoqoa- 
clMtosi  precipita  al  basso  andando  a  congion- 
geni  con  e^  altri  coni  d'acqua  òhe  formano 

flMnutnmo-   —  101.  «BA  SCeSft  OCC.  È  la  C»- 

testa  dei  Bomlti,  presso  San  Benedetto,  la 
fasi»  osservata  dall'  alto  presenta  un  orrido 
spsttuolo,  ben  conveniente  a  dare  un'  idea 
4ì  qosQo  die  Danto  s*  imagìnava  di  vedere 
dall'Orio  die  aovraata  all'  ottavo  cerchio;  cCr. 
Basenaann,  p.  186.  —  102.  ove  dovea  ecc. 
Hcaai  rileiiscono  questo  Terso  al  monastero 
d  8.  Benedetto  dell'Alpe,  e  intendono  che 
avrebbe  dovuto  accogliore  gran  nu- 
»  di  nonaoi,  pochi  n'  avea  i  quali  si  go- 
i  lazgamente  le  rendite  del  sacro  luogo, 
litri  invece  credono  die  sia  detto  del  villag- 
gio oBonimo  sottostante  al  convento,  del  qua- 


le villaggio,  secondo  la  testimonianza  del 
Beco.,  di  Benv.  e  dell' An.  fior.,  ovvero  in  un 
altipiano  sovrastante  aUa  cascata,  come  in- 
tende il  Nadiani,  op.  dt.,  i  conti  Guidi  signori 
del  luogo  ebbero  già  il  pensiero  di  fare  un 
forte  cestello,  che  fosse  sicuro  ricetto  a  quelle 
popolazioni:  cfr.  Bassermann,  pp.  187-190. 
Altri  inilne  riferiscono  questo  verso  olla  scesa, 
come  il  Cavemi  che  scrive  :  e  la  ragione  di 
quel  rimbombaro,  oltro  all'altezza  di  quella  ca- 
scata, reca  Dante  alla  grande  copia  dell'acque 
costrette  a  cadere  per  una  eola  dieeeea,  dove 
a  dar  loro  sfogo  òhe  non  tumultuassero  cosi 
fragorose  dovrebbero  per  mille  di  quelle  scese 
esser  rieette  >  :  si  cfir.  O.  Solitro,  Nuova  di- 
Oiiaraxione  del  v.  102,  O.  xvi  ^/l,  Trieste, 
1865.  —  104.  acqna  tinta:  quoUa  di  Flege- 
tonte,  rosseggiante  (ofr.  itf.  ziv  78).  —  106. 
le  aTeva  ecc.  Di  tutte  le  interpretazioni  date 
circa  il  valore  simbolico  della  corda  di  cui 
Dante  andava  cinto  la  migliore  ò  quella  dello 
Soart,  il  quale  dimostra  eh'  essa  non  può 
essere,  come  molti  tennero,  il  simbolo  della 
ftode  usata  ad  attirare  Gerìone  perché  tra- 
sporti i  due  poeti  dal  settimo  all'ottavo  cer- 
chio, ma  un  semplice  segno  mandato  a  quel 
mostro,  invece  delle  parole  ch'egli  non  avreb- 
be udite  o  dei  cenni  eh'  egli  non  avrebbe 
veduti;  e  osserva  che  «  l' importanza  prin- 
dpale  della  corda  consiste  in  dò  che  il  poeta 
avea  sperato  di  prender  con  essa  la  lonza  » 
e  che  «  la  corda  ò  divenuta  superflua  a  Dante 
dal  momento  che  egli  ha  lasciato  dietro  a  so 
r  ultimo  cerchio  ove  ei  puniscono  peccati  di 
lussuria  >  :  dò  posto,  la  corda  sarebbe  il  cin- 
golo della  castità,  segno  dell'ordine  firanco- 
souio,  se  non  professato  da  Dante  come  af- 
ferma a  questo  passo  il  Buti  (ofr.  Bull,  n  10), 
certo  da  lui  ammirato  per  singoiar  devozione 
al  santo  fondatore  (ctr.  Par.  ui  97  e  zi  87, 
48-117);  od  quale  cingolo,  nel  mondo,  il  poe- 
ta avea  pensato  di  poter  vincere  gli  stimoli 


122 


DIVINA  COMMEDIA 


106        prender  la  lonza  alla  pelle  dipinta. 
Poscia  che  l'ebbi  tutta  da  me  sciolta, 
si  come  il  duca  m'avea  comandato, 
111        porsila  a  Itti  aggroppata  e  ravvolta. 
Ond'ei  si  volse  in  vèr  lo  destro  lato, 
e  alquanto  di  lungi  dalla  sponda 
114        la  gittò  giuso  in  quell'alto  burrato. 
«  E  pur  convien  che  novità  risponda, 
dicea  fra  me  medesmo,  al  nuovo  cenno 
117       che  il  maestro  con  l'occhio  si  seconda  ». 
Ahi,  quanto  cauti  gli  uomini  esser  denno 
presso  a  color,  che  non  veggion  pur  l'opra, 
120       ma  per  entro  i  pensier  miran  eoi  senno! 
Ei  disse  a  me  :  «  Tosto  verrà  di  sopra 
dò  ch'io  attendo,  e  che  il  tuo  pensier  sogna 

128  tosto  convien  ch'ai  tuo  viso  si  scopra  >. 
Sempre  a  quel  ver  e' ha  faccia  di  mensogna 

dèe  l'uom  chiuder  le  labbra  fin  ch'ei  puote, 
126        però  che  senza  colpa  fa  vergogna; 
ma  qui  tacer  noi  posso:  e  per  le  note 
di  questa  commedia,  lettor,  ti  giuro, 

129  s'elle  non  sien  di  lunga  grazia  vote, 
ch'io  vidi  per  quell'aer  grosso  e  scuro 


della  cune:  ofir.  Bif,i32,-~  106.  U  loum 
aUm  peUe  4ipUU:  cfr.  ^/l  i  42  e  foia  alla 
gaietta  pelle  >.  —  109.  Poida  ecc.  Intorno 
alla  eorda,  di  cni  il  poeta  andava  cinto,  ha 
scritto  alcnne  notarti  coniiderazioni  il  D'  0- 
▼idio,  pp.  807-809:  egli  anzitatto,  por  rìpn- 
diaodo  la  tradizione  ohe  Dante  professasse 
mai  l'ordine  francescano,  ritiene  che  abbia  nn 
senso  letterale  corrispondente  alla  realtà; 
quindi  esprime  l'opinione  che  il  gettar  giù  la 
corda  fosse  e  solo  un  modo  improvrisato  e 
inaspettato  di  avvertire  il  gnardiano  [Qerio- 
ne]  ohe  li  c'era  qualcosa  d'insolito  >  e  ohe 
«  dovè  ciò  bastare  a  farlo  salir  so,  per  nata- 
xale  impeto  di  goardiano  »:  aggiunge  da  nlti* 
mo,  non  risaltare  in  nion  modo  €  che  abbia 
on  senso  simbolioo,  dod  d'ana  virtù  contrap- 
ponibile alla  frode  (la  vigilanza  e  an'onesta 
scaltrezza  o  altro  di  simile)  >.  Ma  i  versi  107- 
108,  i  quali  non  possono  non  ricollegarsi  al  sim- 
bolismo delle  tre  fiere,  mi  pare  ohe  esclndano 
r  interpretazione  del  D'Ovidio;  e  se  si  trat- 
tasse di  nn  e  espediente  >  trovato  U  per  If 
da  Vii^gilio  per  avvisare  Qerionei  senz'altra 
significazione  allegorica,  difficilmente  Dante 
v'avrebbe  speso  intomo  tante  parole.  —  113. 
e  alquuito  eco.  lanciandola  on  po'  lontano 
dalla  sponda,  la  gittò  eoe  —  Ili.  alto  bar- 
rato: profondo  precipizio;   cfi:.  Inf,  xn  10. 


-  115.  E  pur  eonvleB  ecc.  :  dall'attendone, 
con  la  qnale  Virgilio  accompagnava  il  o*der 
della  corda,  Dante  imaginò  che  a  qael  aegno 
singolare  dovesse  corrispondere  nn'appariaio- 
ne  strana.  — 118.  ÀJkì  eco.  L'nomo  noa  4eTo 
correr  troppo  fiMsUmente  a  chiedeiB  ai  m^gi 
la  ragione  dei  loro  atti;  poiché  indorinando 
gli  altrui  desideri  danno  essi  stesi  qneOa  ra- 
gione, senz'aspettar  d'esserne  liohieetL  — 
122.  e  ekt  11  tao  pensier  ecc.  e  qnello  ého 
vagamente  imagìni  che  debba  venire  or  si 
mostrerà  chiaro  al  tuoi  occhi  —  124.  8e«pra 
ecc.  L'uomo  deve,  per  quanto  'può,  eritazv 
di  narrar  fatti  veri,  ma  tanto  maravìglioai  d» 
possano  esser  tenuti  per  falsi.  L'awertiaanto 
d  di  Albertano  da  Brescia,  Trattati  monal», 
volg.  di  S.  Del  Grazia,  Firenze,  1882,  p.  6  : 
e  Tal  veritade  ddi  dire  che  ti  sia  creduta,  al- 
tramente sarebbe  reputata  per  buada».   

ver  e'  ha  faccia  di  menzegna:  cfr.  R  Qiam- 
boni.  Della  forma  di  onesta  vtto,  Venezia, 
1830  :  «  La  veritade  ha  molte  volte  faccia  di 
menzogna  >.  —  126.  però  ehe  ecc.  peiroliA  i 
fatti  meravigliosi  fanno  parer  bugiardo  ohi  n 
racconta,  anche  se  sono  veri.  —  127.  le  mmi%m  : 
le  parole,  i  versi;  cfr.  Inf.  xrx.  118,  JRir.  xix 
96.  —  128.  eonmedfa:  cfr.  la  nota  aU*j^. 
XXI  2.  —  129.  s*elle  eco.  cosi  le  mie  paoolo 
possano  lungamente  riuscir  care  ai  lattaci. 


INFERNO  -  CANTO  XVI 


123 


132 


186 


venir  nuotando  una  figura  in  suso, 
meravigliosa  ad  ogni  cor  sicuro, 

si  come  toma  colui  c)ie  va  giuso 
talora  a  solver  àncora,  ch'aggrappa 
o  scoglio  o  altro  che  nel  mare  è  chiuso, 

che  in  su  si  stende  e  da  pie  si  rattrappa. 


eont  è  T«xo  eh'  io  vidi  salìi^  Vonibile  mottro. 
—  13L  uA  flffsni:  Gociune;  cfir.  ivf.  twvl 
L  —  IMO  :  dal  lot  gusum  per  mmwm  (Di» 
312).  —  132.  aMniTlglioM  eoe.  ohe  sarebbe 
■tate  eagiozie  di  graiideiiMniTiglia  a  qnalnii- 
qaa  «obo  oozaggioao.  —  183.  gf  eome  eoe. 
eoiM  il  zaaxinaio,  diioeeo  nell'acqua  per  di- 
itzkne  l'ànoon  aggroTiglistasl  a  ano  scoglio 
o  ad  tltio  impedimento  sabaoqTieo,  toma  sa 
fistandeodo  la  parte  sapeiiore  del  corpo  e 
XHtmigendo  i  piedi  alla  fìine.  ~  134.  a  sol- 


Ttr  àaeora  eoo.  :  con  maggiore  abbondanza  e 
minor  TÌrexKa  di  rappresentaxione  Locano, 
Fan,  m  697:  cEximios  Phoceos  animam 
servare  sub  ondi»,  Scnitariqae  fketnm  si  quid 
mersiseet  arenis,  Et  nimis  afflxoe  nnd  oon« 
veliere  morsns,  Addaotom  qnoties  non  sen- 
serat  anchora  fonem  >.  —  186.  il  rattrappa: 
il  vb.  rattrappoTBi  esprime  proprio  l'atto  di 
ohi,  salendo  arrampicato  a  ona  ftrne,  ristringe 
ad  essa  i  piedi  mentre  slancia  le  braccia  per 


CANTO  xvn 


Dopo  l'apparisione  di  Gerìone,  Dante  si  allontana  an  momento  da  Vir- 
gilio per  vedere  da  vicino  gli  usurai,  tra  i  quali  incontra  alcuni  fiorentini 
e  padovani;  e  tornando  al  suo  maestro  con  Ini  s'asside,  non  senza  paura, 
ia  groppa  a  Gerìone  :  i  due  poeti  discendono  così  per  lentissimo  volo  dal 
wttimo  alPoUavo  cerchio  (9  aprile,  ore  antimeridiane  verso  Talba]. 

€  Ecco  la  fiera  con  la  coda  aguzza, 
che  passa  i  monti  e  rompe  i  muri  e  l'armi; 

8  ecco  colei  che  tutto  il  mondo  appuzza  ». 
^i  cominciò  lo  mio  duca  a  parlarmi, 

ed  accennolle  che  venisse  a  proda, 
6        vicino  al  fin  de' passeggiati  marmi; 
e  quella  sozza  imagine  di  froda 
sen  venne,  ed  arrivò  la  testa  e  il  busto, 

9  ma  in  su  la  riva  non  trasse  la  coda. 


xvn  1.  Seco  la  Aera  eoe.  Oerione,  se- 
eoBdo  la  Biitologìa,  fti  nn  re  dell'  isola  Eritea 
Mi  Bari  occideatali,  figlio  di  Orisaore  e  di 
Gifinoe,  «ooiao  da  Ercole  per  rapirgli  il  greg^ 
gs:  i  pe«ti  greci  e  latini  lo  rappresentano 
ooBs  «B  gigante  noetmoso  a  tre  teste  e  a 
tn  corpi  (efr.  p.  es.  Lacreaio,  v  23,  Yicgilio, 
Al.  vm  202,  Orazio,  Od,  n  14,  7,  Silio  Ita- 
lie», Am.  xm  201  eoe.)  ;  ma  Dante  ne  alterò 
la  fcnm,  dando  a  Gerione  l' aspetto  dei  mo- 
itri  UbOel  4el  Om.  mie  segg.  e  deU' Jpoo. 
a  7-11,  •  na  fsoe  U  simbolo  della  frode,  po- 
•nAolo  a  gnasdia  dell'ottavo  cerchio,  nel 
qisle  appsttto  sono  puniti  i  trandolenti.  — 
e.  Dan.  :  e  Fingendo  ohe  que- 


sta fiera  sia  l' imagine  della  Arando ,  dice 
eh'  ella  area  la  coda  agozza  ed  appuntata  si 
fattamente,  che  passava  i  monti,  e  rompeva 
mori  ed  armi;  perciocché  non  d  al  mondo 
cosa  si  difficile  e  dura,  che  il  malizioso  con 
la  sua  acutezza  non  passi  ».  —  8.  colei  ecc. 
la  frode  :  cfr.  Inf.  zi  52.  —  6.  vlclae  ecc.  colà 
dove  terminavano  gli  argini  impietrati  sui 
quali  avevamo  sino  allora  passeggiato.  —  7. 
froda:  in  Dante  ò  sempre  in  rima  {hif.  zzii 
82,  Purg.  ziv  Ó8),  ma  si  trova  anche  in  prosa 
(cfr.  Parodi,  BuU,  m,  117).  —  8.  arrirò  : 
trasse  sulla  riva  ;  il  vb.  arrware  è  usato  qui 
in  significato  attivo,  per  indicare  l'atto  del 
posare  sulla  riva.  Il  Torraca  cita  da  un  an- 


124 


DIVINA  COMMEDIA 


La  faccia  sua  era  faccia  d'uom  giusto, 
tanto  benigna  area  di  fuor  la  pelle; 
12        e  d'un  serpente  tutto  l'altro  fusto. 
Due  branche  avea  pilose  infin  l'ascelle; 
lo  dosso  e  il  petto  ed  ambedue  le  coste 
15       dipinte  area  di  nodi  e  di  rotelle: 
con  più  color,  sommesse  e  soprapposte 
non  fèr  mai  drappo  tartari  nò  turchi, 
18       né  fKir  tai  tele  per  Aragne  imposte. 
Come  talvolta  stanno  a  riva  i  burchi, 
che  parte  sono  in  acqua  e  parte  in  terra, 
21        e  come  là  tra  li  tedeschi  lurohi 
lo  bévero  s'assetta  a  far  sua  guerra; 
cosi  la  fiera  pessima  si  stava 
24       su  l'orlo  che,  di  pietra,  il  sabbion  serra: 
nel  vano  tutta  sua  coda  guizzava, 
torcendo  in  su  la  venenosa  forca 
27        che,  a  guisa  di  scorpion,  la  punta  armava. 


tioo  rimatore  :  <  A  questo  porto  Amor  m*hk 
uiiyato  >.  —  10.  L*  fteela  ecc.  Non  già 
porche  in  Gerione  t' abbia  a  vedere  la  tra- 
sformazione d'nn  oontemporaneo  di  Danto 
(secondo  alcani,  Oeri  Spini;  secondo  altri 
ìf  asciatto  Franxeei  o  Guglielmo  de  Perche, 
ministri  di  Carlo  di  Valois),  ma  perché  tale 
lo  rappresentano  le  leggende  mitologiche;  cfr. 
Booc,  Oemal.  deor,  i  21:  cBegnans  apad 
Baleares  insolas  Oeiion  mUi  vuUo  bUmdisque 
varbit  et  omni  comitato  consueverit  hospites 
sosoipere  et  demnm  sub  ae  benignUaU  socpi- 
tee  oocldere».  —  12.  •  d'na  lerpente  eco. 
e  il  resto  del  corpo  avea  figura  di  sexpento; 
si  cfir.  la  descrizione  dantesca  con  quella  che 
della  Prode  fa  rAriosto,  Or/,  jov  87.  —  18. 
Due  branelie  ecc.  Gerione  aveva  dne  bran- 
che laterali  ricoperte  di  pelo  sino  alle  ascelle, 
e  il  dorso,  il  petto  e  i  fianchi  tatti  cosparsi 
e  dipinti  di  groppi  e  rotelle  variegate.  —  16. 
di  nodi  •  di  rotelle:  e  Qae'  nodi  e  quelle 
rotelle  stanno  a  significare  gì'  infingimenti  e 
i  raggiri  con  coi  V  ingannatore  avviluppa  al- 
trui :  e  sono  complicati  e  svariati  senza  fine, 
tanto  ohe  pi6  intricato  non  ò  il  lavoro  dei 
fondi  e  de'  ricami  in  quei  drappi  per  cui  vanno 
famosi  gli  Orientali  >  ;  D.  Mantovani,  LeeL 
p.  6.  ~  16.  eoB  pltf  eelor  eoo.  I  turchi  e  i 
tartari,  fumosissimi  noli'  arto  del  tessere,  non 
fooero  mai  drappi  con  tanta  varietà  di  oolori, 
di  fondi  e  di  rilievi.  —  semesie  e  i «prap- 
poste:  la  wmmeaaa  ò  la  parto  del  drappo 
sulla  quale  spiccano  i  disegni,  cioò  quella  che 
dicesi  comunemento  il  fondo  e  che  può  essere 
di  vari  colori;  la  arprofposta  invece  d  la  parto 
rilevata,  a  vari  colori  e  figure:  cfr.  P.  Toyn- 


bee, in  Bommta,  XZDC  669-664,  ov«  è  an- 
che dimostrato  che  1  drappi  orientali  furono 
molto  conceciuti  in  Italia  nei  secoli  zm  e  ziv. 

—  18.  Àrftgnet  Araone,  flgtiucila  d'Idmono 
da  Colofone,  celebrata  per  la  iene  della  Li- 
dia come  valente  teesltrioe  di  dnippi,  ardi  di 
sfidare  Minerva  a  alla  prova  la  supéiò  con 
un  lavoro  che  rapproeenteva  gli  amori  di  <Ho- 
ve  :  onde  la  dea  la  converti  in  ragno  (Ovi- 
dio, Md,  VI  6-146;  cfir.  Bay.  zn4S).  —  19. 
Cave  ecc.  Venturi,  869  :  e  Salito  Gaiione  al 
sommo  del  pozzo,  in  fondo  al  quale  sta  Ha- 
lebolge,  pone  la  testa  a  il  busto  snU'eatze- 
mità  dell'  argine  petroso,  ove  itanao  I  dna 
poeti;  e  Danto  descrive  quella  postura  oon 
due  similitudini,  una  plfi  bella  dell*  altra..». 
Coi  bmrehi  dipinge  U  solo  atteggiamento  ma- 
teriale di  Gerione  :  e  ool  Mmto,  il  fina  insi- 
dioso di  cotesto  attsggiamento».  —  ^ar^hl- 

navicelli  usati  per  il  mare  e  per  i  flumi.  

21.  tra  11  ledesehl  lareld  :  nei  paesi  ger- 
manici, nelle  terre  del  tedeschi  ghiotti  e  beonL 

—  22.  lo  Mvero  eoo.  :  il  Mmto,  dal  lai.  fibtr 
(Diez  60X  d  il  castoro,  animale  ohe  s' suxso- 
moda  sulla  riva  d' un  fiume,  tenendo  la  coda 
nell'acqua,  per  prendere  i  pesci.  F.  Uberti, 
Ditt,  va  a  dioe  del  castoro  :  «  La  casa  Ca  in- 
osstellata  come  A  lui  bisogna,  e  la  testa  • 
le  branche  Tien  sopra  Tacque....  Onde  qxiA- 
lor  per  aoddento  avviene  Qie  '1  lago  oroaoa, 
per  la  casa  monta,  E  cosi  in  esso  la  aaa  coda 
tiene  >.  ~  24.  sa  Perie  eoo.  sol  lembo  mar- 
moreo, ohe  dnge  all'  intomo  il  tento  girone 
del  settimo  cerchio.  —  26.  ael  vane  eoe.  Qe. 
rione  teneva  distesa  nel  vuoto  dell'abisso 
r  intera  coda,  torcendo  in  alto  l'estramità  bi- 


INFERNO  -  CANTO  XVH 


125 


Lo  duca  disse  :  <  Or  convien  che  si  torca 
la  nostra  via  un  poco  infino  a  quella 
80       bestia  malvagia  che  colà  si  corca  >. 
Però  scendemmo  alla  destra  mammella 
e  dieci  passi  femmo  in  su  lo  stremo, 
83       per  ben  cessar  la  rena  e  la  fiammella: 
e  quando  noi  a  lei  venuti  semo, 
poco  più  oltre  veggio  in  su  la  rena 
36        gente  seder  propinqua  al  loco  scemo. 
Quivi  il  maestro  :  €  Acciò  che  tutta  piena 
esperienza  d*esto  giron  porti, 
89        mi  disse,  or  va,  e  vedi  la  lor  mena. 
Li  tuoi  ragionamenti  sian  là  corti: 
mentre  che  tomi  parlerò  con  questa, 
42        che  ne  conceda  i  suoi  omeri  forti  >• 
Cosi  ancor  su  per  la  strema  testa 
di  quel  settimo  cerchio,  tutto  solo 
45       andai,  ove  sedea  la  gente  mesta. 

Per  gli  occhi  fuori  scoppiava  lor  duolo; 
di  qua,  di  là  soocorrlen  con  le  mani, 
48        quando  a* vapori,  quando  al  caldo  suolo: 
non  altrimenti  fan  di  state  i  cani, 
or  col  cefiPo,  or  coi  piò,  quando  son  morsi 


(iicita  annata  d'monlal,  a  modo  deg^  icor- 
fkaL  Seoondo  alcuni  le  due  ponto  della  coda 
fi  Genoie  rimboleggiano  le  due  maniere  di 
izod»  dipinto  in  ifiA  s  62-54  ;  secondo  altri, 
k  im  mtaàan  laxebbero  tlmboleggiato  nelle 
taneb»  pdoM.  —  28.  Or  eosTien  ecc.  Bi- 
apaohe  utoiamo  un  po' dalla  noatra  Tia 
p«anirare  alno  a  Qeiione.  —  81.  §etm- 
<«Ba  eoe.  aoendemmo  dall' aigine,  rolgen- 
toa  daatra,  •  camminammo  per  una  die- 
ótt  di  pesai  soli'  estremo  oxlo  del  cerchio  al 
ha  d'evitale  1*  arena  e  la  pioggia  di  fiamma. 
-  alla  dtatm  MMuaiellAt  dal  lato  destro  ; 
dr.  hf.  a  152,  zn  97.  —  88.  eesaar  t  il  vb. 
tman  ha  il  senao  di  cansaie,  evitare  anche 
ÌB  Ar.  zxv  188.  —  86.  gente  ecc.  :  questo 
«aiiia  seduto  presso  all'  orlò  estremo  del  cei^ 
ckb  sono  qpeXlt  dei  Tidenti  contro  l' arto 
«aia  degli  nnizai  :  ofr.  itf,  zi  46-61,  zrv  28. 
~  38.  la  ler  mmm  :  il  continno  movimento 
daOe  Biaai,  col  quale  ^  nsorai  cercano  d' al- 
enine n  loro  tormento,  come  ai  ha  dai  vr. 
C4l  :  sol  lignifl^l^  del  nome  mmM  osserva 
il  Bofi^  che  e  la  roce  è  molto  nostra,  e  non 
Taol  diie  gaati,  ma  ffliemo  noi  lo  steto  e  la 
fvlità  koo» :  questo  aignifioato  pi6  generico, 
^  cottoB»^  condotta,  maniera,  è  coniérmato 
^  Tonaca  con  esempi  d'antichi  rimatori,  e 


ricorre  altrove  nel  poema  (cfr.  Inf.  zzrv  83); 
ma  negli  esempi  danteschi  non  par  da  esclu- 
dere dal  vocabolo  l'idea  del  movimento.  — 
42.  che  ne  ceaeeda  eoe  che  ci  presti  i  forti 
omeri,  portondod  gi6  all'ottavo  cerchio,  -~ 
48.  ancor  su  ....  andai:  continuai  da  solo 
il  cammino  sull'  orlo  estremo  del  cerchio.  — 
44.  solot  Scart.:  e  All'entrata  della  città  di 
Dito  Virgilio  va  solo  a  parlare  coi  demoni, 
cosi  che  Danto  non  poto  udire  dò  che  Vir- 
gilio lor  disse,  Inf,  vm  112.  Qui  invece  Vir- 
gilio resto  e  Danto  ò  colui  che  soletto  si  al- 
lontana. Ma  come  egli  non  udì  le  parole  dol 
maestro  ai  demoni,  cosi  e^  non  ode  neppur 
quelle,  colle  quali  Virgilio  induce  Qerione  a 
conceder  loro  i  tuoi  omeri  forti  ».  —  46.  Per 
gli  ecelli  eco.  Piangendo  amare  lagrime,  gli 
usurai  a'  aiutovano  dimenando  qua  e  là  le 
mani,  ora  per  isouotersi  di  dosso  le  fiamme, 
ora  smovendo  la  sabbia  cocento.  —  48.  va- 
peri  i  fiamme  ;  cfr.  £%f,  ziv  86,  142.  —  49. 
nta  altrimenti  eco.  Paragona  il  movimento 
continuo  di  questo  anime  a  quello  dei  cani, 
che  nelle  calde  ore  dei  giorni  estivi  ceroano 
di  liberarsi  dagl'  insetti  or  addentandosi  una 
parto  del  corpo,  or  percotondo  con  le  sampo 
un'  altra  parto,  dove  si  sentono  pungere.  La 
similitudine  dantosca,  come  noto  il  Venturi 


126 


DIVINA  COMMEDIA 


51        o  da  pulci  o  da  mosche  o  da  tafani. 
Poi  clie  nel  viso  a  certi  gli  occhi  pòrsi, 
ne'quaH  il  doloroso  foco  casca, 
54        non  ne  conobbi  alcun;  ma  io  m'accorsi 
che  dal  collo  a  ciascun  pendea  una  tasca, 
che  avea  certo  colore  e  certo  segno, 
57        e  quindi  par  che  il  loro  occhio  si  pasca. 
E  com'io  riguardando  tra  lor  vegno, 
in  una  borsa  gialla  vidi  azzurro, 
60        che  d*un  leone  avea  faccia  e  contegno. 
Poi  procedendo  di  mio  sguardo  il  curro, 
vidine  un'altra  come  sangue  rossa 
63        mostrando  un'oca  bianca  più  che  burro. 
Ed  un,  che  d'una  scrofa  azzurra  e  grossa 
segnato  avea  lo  suo  sacchetto  bianco, 
66        mi  disse:  €  Che  fai  tu  in  questa  fossa? 
Or  te  ne  va;  e  perché  se' vivo  anco. 


I 


402,  ta  imitata  daU'Anosto,  OrL  x  105.  - 

61.  0  da  palei  ecc.  Buti:  e  da  questi  tre 
animali  sono  molestati  i  cani,  come  è  mani- 
festo a  ognano,  massimamente  la  state  >.  — 

62.  Poi  ehe  nel  riso  ecc.  Qoardando  in  fac- 
cia a  parecchi  di  ooloio  sa  coi  cadeva  la  piog- 
gia di  fiamma,  non  ne  riconobbi  alcuno  ecc. 
Dante  imagina  ohe  anche  gli  nsoiai,  come 
già  gii  ayaii  e  1  prodighi,  non  possano  essere 
xiconoeciQtl  ;  pena  degna  della  vita  scono- 
scente onde  si  macchiarono:  ma  perché  si 
abbia  qualche  indizio  della  lor  condizione  ter^ 
rena  imagina  che  al  collo  di  dascnno  penda 
una  borsa  con  lo  stemma  della  sua  famiglia; 
ingegnoso  modo,  osserva  il  Tomm.,  «per  por- 
tar in  inferno  lo  scherno  della  sudicia  nobil- 
tà >  :  cfr.  F.  Tribolati,  H  blaaom  netta  DMna 
Oomm.y  Pisa,  1872,  p.  6  e  Mantorani,  Led. 
p.  9.  —  66.  vna  (atea:  cosi  anche  al  y.'73, 
mentre  per  amore  di  varietà  è  detta  boraa  nel 
V.  69  e  taecktUo  nel  t.  65  ;  ma  s' intende  che 
f^  usurai  portavano  una  di  quelle  tasche  o 
borse,  ohe  nel  medioevo  s' usava  di  tener  le- 
gate o  appese  alla  cintura.  —  66.  eerto  oo- 
lore  0  eerto  segno:  un  colore  determinato 
0  una  determinata  insegna.  —  67.  •  qvladl 
ecc.  Biag.  :  «  perché  cotai  vista  rimembra 
loro  la  misera  cagiono  dol  loro  etemo  sup- 
plizio,  il  che  è  stimolo  a  maggior  duolo  ;  sio- 
como  agli  avari  e  ai  prodighi  ò  pur  cagione 
di  pi6  gran  pena  il  sentirsi  ad  ogni  giostra 
rinfacciare  la  cagione  del  lor  tormento  ».  — 
69.  U  ana  bona  gialla  ecc.  vidi  sur  una 
borsa  un  leone  azzurro  in  campo  giallo  e 
d' oro.  È  questo  lo  stemma  della  famiglia  fio- 
rentina dei  Oianfigliazzi,  ohe  nella  divÌBÌone 
del  1215  seguirono  parte  guelfa  e  nel  1800 


tennero  parte  nera;  di  questa  famiglia  scrivo 
il  Lana  ch'erano  anche  al  suo  tempo  tonutì 
per  «  grandissimi  usurarli  »  e  l' Ott  aggiunge 
che  il  poeta  «  uno  ne  pone  per  tutti  loro  >  : 
forse  Dante  volle  colpire  tutta  la  famiglia, 
ma  pud  anche  essere  eh*  egli  alludesse,  come 
intese  il  BambagU,  a  una  determinata  per- 
sona di  quel  casato,  il  nome  della  qnalo  sfkigw 
gisse  ai  commentatori  per  essere  venuta  meno 
la  memoria  delle  sue  usuro.  —  61.  prooodoado 
ecc.  continuando  a  guardare  più  innanzi,  o, 
dice  il  Buti,  «  seguitando  lo  soonìmonto  dei 
miei  occhi  ».  —  evrro:  lat  owrrut,  il  carro, 
e,  per  estensione,  il  corso.  —  62.  va' altra 
ecc.  un'  altra  borsa  che  portava  un'  oca  bianca 
in  campo  vermiglio.  È  l'insegna  della  fami- 
glia fiorentina  degli  Obrìaohi,  e  di  antichis- 
sima nazione  e  gentili  »  e  di  parte  ghibel- 
lina, e  li  quali  similmente  (dice  il  Lana)  sono 
stati  grandissimi  usurarii  >  :  noi  1298  Lecco 
degli  Obrìaohi  fiorentino  faceva  il  prsstatoro 
di  denaro  in  Sicilia;  ma  Dante,  secondo  lo 
Chiose  an.,  accennerebbe  a  un  Ciapo  di  que- 
sta famiglia.  —  64.  Ed  an  ecc.  Quesf  altro 
usuraio,  ohe  ha  per  insegna  una  scrofa  az- 
zurra in  campo  bianco  o  d*  argento,  ò  il  p«|. 
dovano  Beginaldo  degli  Scrovegni;  del  quale 
scrìve  F.  Selvatico  nel  voi.  Dani»  e  I\id4>- 
oa,  p.  181  e  sogg.  :  e  Avea  guadagnata  f^^fk 
infame  anche  presso  le  plebi.  Era  tenuto 
come  il  più  grande  usuraio  in  un  tempo  nel 
quale  l' usura  era  lebbra  congenita  quasi  ad 
ogni  rìoco....  Beginaldo  giunse  alla  decre- 
pitezza senza  che  o  il  rimorso  o  gU  oramai 
inutili  guadagni  gli  raUentassero  l' avarizia  ; 
che  anzi  questa  pareva  farsi  taccagna  e  aoi-- 
dida  sempre  più.  Airìvata  l'ora  fatale  e  Ti- 


INFERNO  -  CANTO  XVII 


127 


sappi  ohe  il  mio  vioin  Vitaliano 
69        sederà  qui  dal  mio  sinistro  fianco: 
con  questi,  fiorentin,  son  padovano; 
spesse  fiate  m'intronan  gli  orecclii, 
72        gridando  :  *  Vegna  il  cavalier  sovrano, 
che  recherà  la  tasca  co'  ire  bécchi  '  >. 
Qui  distorse  la  bocca,  e  di  fuor  trasse 
75        la  lingua,  come  bue  che  il  naso  lecchi. 
Ed  io,  temendo  no  '1  più  star  crucciasse 
lui  che  di  poco  star  m'avea  ammonito, 
78       toma'  mi  indietro  dall' coiime  lasse. 
Trovai  lo  duca  mio  ch'era  salito 
già  su  la  groppa  del  fiero  animale, 
81        e  disse  a  me  :  <  Or  sie  forte  ed  ardito  ; 
omai  si  scende  per  si  feitte  scale: 
monta  fi  in  augi,  ch'io  voglio  esser  mezzo, 


Blo  che  gli  rimanevano  pochi  giorni  di  Tìta, 
dduBò  a  86  l'unico  figlio  suo  Enrico  per 
iocoleaigli  di  serbare  gli  illeciti  guadagni 
iatatti  quanto  più  poteva,  perché  V  oro,  al 
iir  no,  en  potensa,  forza,  Batate.  Mori  gri- 
tedo:  Datemi  le  chiavi  dello  iorigno,  per- 
iU  oeiiiimoi  trovi  il  mio  danaro  ».  —  68.  11 
■le  Vida  TltaUtto:  i  più  degU  antichi^ 
BMimeptatari,  Lana,  Ott,  Benv.,  Boti,  An. 
Ut^  aegnlti  dai  moderni,  affermano  che  l'osn- 
nb  appettato  in  inferno  da  Beginaldo  degli 
Senfvagni  è  Vitaliano  del  Dente,  padovano, 
ete  te  podestà  in  patria  nel  1807  ed  d  ricor- 
4ito  dai  ceonisti  contemporanei  eome  nomo 
■yiiniian  e  generoso.  Invece,  aecondo  nno 
tmtìban  padovano  del  Mcolo  zrv,  Oiambono 
W  Vkvafeedii,  aaiebbe  VltiJiano  di  Iacopo 
Yìà^mxd  del  qoale  egli  dice  :  «  potens  et  di- 
tìMiKBf  vitam  mirabilem  in  peocatia  dnxit, 
fBooiam  mazimna  worarins  Mt,  qnem  doo- 
te  vaigaiiB  [Dante]  damnat  ad  inferoe  per- 
wauii  >  :  cfr.  K  Morporgo,  I  prmkUori  di 
emanai  Imnpo  di  Dante  JuHIkmte  $  Padova^ 
fp.  218  e  aegg.  —  vlcU  i  da  alonni  d  preso 
Mi  meo  di  vìdno  di  casa  :  da  altri,  in  quello 
é  oaaóttadino,  che  vMno  ha  anche  in  IV]^. 
s  UOl  —  70.  e^  qatitl,  flertntln  eoo.  io, 
laiftTimi,  sono  accompagnato  a  questi,  che 
MM  ioniotini,  i  quali  aspettano  anch'  essi 
ia  gnade  usmaio  loro  concittadino.  —  72. 
Tifia  eoe  Venga  presto  il  sommo  degli 
«orai,  Biasser  Giovanni  dei  Buiamonti  cava- 
InsioraBtino,  gonfaloniere  di  giustizia  nel 
1211;  dal  quale  dice  il  Lana  che  e  fti  uno 
piaflsilm  nsuraio,  ma  insonma  fte'  il  pi6 
tri*»,  vituperoso,  cattivo,  con  ogni  scarsità 
ds  avesse  mmì  nomo  in  lo  mondo  »,  e  l'Ott. 
iRrange  che  «  fece  miseriaaima  fine  in  somma 
ISTtttade».  —  73.  eke  reeherà  ecc.  ohe 


porterà  sulla  tasca  tre  bécchi  per  insegna  : 
infletti  attesta  il  Lana  che  Oiovanni  Buio* 
monti  aveva  e  per  arme  tre  bécchi  di  nibbio 
gialli  nel  campo  azzurro  ».  La  maggiore  au- 
torità del  Lana,  oome  più  antico  e  perché  dai 
partìoolari  ohe  dà  sui  colori  e  suUa  qualità 
dei  tre  bécchi  d  lupare  meglio  infocmato  di 
cotesto  minuterìe  araldiche  (cfr.  anche  Tri- 
belati,  L  cit),  m' induce  a  porre  in  disparte 
la  testimonianza  degli  altri  commentatori  Pie- 
tro di  Dante,  Ott,  Benv.,  Bnti,  An.  fior., 
che  pazlano  di  un  campo  giallo  con  tre  beo- 
chi  o  capri  neri  sovrimposti  e  oorrenti.  — 
74.  Qnl  41itorse  eco.  Queeto  atto  villano, 
secondo  Benv.  sarebbe  stato  abituale  a  Be- 
ginaldo Sczovegni,  che  e  saepe  cum  dizerat 
alìqua  verba  cum  aliquo,  turpiter  extrahebat 
Hngnam  versus  nasum  >  ;  meglio  forse  il  Buti 
intese  che  cotesto  fosse  atto  proprio  di  questi 
dannati  che  si  leccavano  le  labbra  per  miti- 
gare il  dolore  dell*  arsura.  È  dubbio,  ad  ogni 
modo,  ohe  trattisi  di  una  rimembranza  da 
Isaia,  Lvn  4  (oft.  Moore,  I  77).  —  76.  eome 
àae  eoo.  :  imagine  còlta  e  resa  con  grande 
senso  della  realtà  in  pochi  tratti  magistrali. 
—  76.  teaendo  no  '1  ecc.  cfr.  una  simile  lo- 
cuzione in  Jnf.  ni  80.  —  77.  lai  ecc.  Virgi- 
lio, che  m' avea  ammonito  di  trattenermi  poco 
in  mezzo  agli  usurai  :  si  veda  il  v.  40.  —  82. 
ornai  ecc.  ormai  bisogna  che  tu  f  avvezzi  a 
discendere  per  opera  di  cosi  fatti  mostri  :  in- 
fatti dall'  ottavo  al  nono  cerchio  i  due  poeti 
sono  poi  calati  dal  gigante  Anteo  (cfir.  Inf. 
XXX]  130  e  segg.),  e  oltrepassano  il  centro 
della  terra  arrampicandosi  al  corpo  di  Luci- 
fero (cfr.  Inf,  XXXIV  70  e  segg.).  —  sf  fatte 
scale  :  cfr.  Jnf,  xxxiv  82.  —  83.  monta  ecc. 
sali  sulla  parte  anteriore  della  groppa  di  Go- 
rìone,  ch'io  voglio  stare  in  mozzo  fta  te  e 


128 


DIVINA  COMMEDIA 


84 


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96 


99 


si  che  la  coda  non  possa  far  male  >. 

Qual  è  colui,  e' ha  si  presso  il  riprezzo 
della  quartana,  e' ha  già  1*  unghie  smorte, 
e  trema  tutto,  pur  guardando  il  rezzo, 

tal  divenn'io  alle  parole  porte; 
ma  vergogna  mi  fé'  le  sue  minacce, 
che  innanzi  a  buon  signor  fa  servo  forte. 

Io  m'assettai  in  su  quelle  spallacce; 
si  volli  diry^ma  la  voce  non  venne 
com'  io  credetti  :  €  Fa  che  tu  m' abbracce  ». 

Ma  esso,  che  altra  volta  mi  sovvenne 
ad  altro  forse,  tosto  ch'io  montai 
con  le  braccia  m'avvinse  e  mi  sostenne; 

e  disse:  «  Gerion,  muoviti  email 
le  rote  larghe  e  lo  scender  sia  poco: 
pensa  la  nuova  soma  che  tu  hai  ». 

Come  la  navicella  esce  del  loco 
in  dietro  in  dietro,  si  quindi  si  tolse; 


la  coda,  per  impedire  che  questa  ti  possa  far 
male.  —  85.  ({vai  è  colai  ecc.  Ventali  246: 
e  II  poeta  guarda  quel  mostro,  e  inorridi- 
sce. JS(^  manireeta  il  tremito  e  la  paura  per 
mezzo  degli  effetti  che  soglion  venirne;  e 
questi  effetti  rassomiglia  a  quelli  d'on  feb- 
bricitante, il  quale  sento  il  brivido  della  quar- 
tana. Nel  qual  accesso  gli  si  scolorano  le  un- 
ghie, e  la  sola  vista  dell'ombra  lo  fa  racca- 
pricciare per  l'apprensione  del  freddo  che 
accompagna  la  febbre  >.  —  87.  rexso  :  orez- 
zo, luogo  ombroso  ove  spira  aria  fì^da  ;  cfir. 
Ihf,  zxxn  75.  —  88.  parole  perte:  parole 
dettemi  da  Virgilio  ;  cfr.  Inf.  ii  135  :  e  alle 
vere  parole  che  ti  porse  ».  —  89.  Ma  vergo- 
gna ecc.  Q.  YandeUi  :  e  Vergogna  mi  fece 
le  sue  minacce,  mi  minacciò  ;  quella  vergo- 
gna, che  oome  fa  forto  il  servo  dinanzi  al 
suo  signore,  cosf  diede  allora  animo  a  me 
eh'  oro  davanti  al  buon  signor  mio  ».  La  le- 
zione pi6 usuale,  ma  vergogna  mi  ferie  sue  mi- 
nacce^  oltre  non  essere  prevalente  nei  mano- 
scrìtti,  dà  luogo  a  molti  dubbt,  non  intondon- 
dosi  che  minacce  potesse  far  Virgilio  a  que- 
sto momento  :  i  commentatori  piti  antichi  cro- 
dettoro  che  Virgilio,  vedendo  Dante  spaven- 
Uito  dall'  invito  rivoltogli  di  salire  sul  dosso  a 
Qerione,  aggiungesse  qualche  severo  ammo- 
nimento, che  sarebbe  poeticamente  detto  mi- 
naccia :  r  Ott.,  p.  es.,  pensò  che  la  minaccia 
fosse  questa  :  <  se  tu  ti  lascerà'  cadere,  io 
non  t' aiuterò  rilevare,  o  fia  etema  caduta  >  ; 
Buti,  invece  :  «  se  tu  non  monti,  io  me  n*  an- 
drò e  lascerotti  qui  >  ;  e  Benv.  :  e  Ah  t  mi- 
sor,  infelix,  vilis,  pusillanimls,  nunquam  ha- 
bebis  honorem,  non  famam  perpotuam,  non 


glorìam  aeternam,  et  perdideris  tot  laboiim, 
tot  vis^lias*.  Ma  sono  tutte  supposizioni  pi6 
0  meno  ingegnose,  e  non  altro  :  meglio  pen- 
sava lo  Scart.  che  minacce  non  tignifloMBe 
altro  che  parole  d' eccitamento,  sebbene  poi, 
indipendentemente  dalla  lezione,  enasse  nel 
riconoscerle  in  dò  òhe  ha  detto  Virgilio  al 
w.  81-84  :  che  l'eifetto  di  queste  parole  porU 
Al  la  paura,  mentre  le  minacoe  produsaero 
la  vergogna  della  paura.  —  92.  af  Tolli 
dir  ecc.  veramente  volli  dire  :  abbracciami  ; 
ma  la  voce  non  usd,  come  io  aveva  creduto. 
La  particella  s(  ha  qui  il  valore  aflérmatÌTo, 
riferendosi  all'azione  del  volere^  non  a  quella 
del  dvre\  né  può  essere  usata,  com*  è  tante 
altre  volte,  in  luogo  di  cosi,  —  94.  clia  al- 
tra Tolta  ecc.  che  in  altra  occasione  difficile 
e  perigliosa  m'aveva  aiutato.  I  pi6  credono 
che  Dante  voglia  genericamente  parlare  di 
occasioni  in  cui  Virgilio  l'aiutò  (cfr.  J»/L  tu 
97),  ma  Benv.,  molto  acutamente,  pensa  ohe 
il  poeta  accenni  all'  aiuto  dato  da  Virgilio  a 
Dante,  quando  in  groppa  al  centauro  Nesso 
passarono  dal  primo  al  secondo  girone  dol 
settimo  cerchio  (cfr.  Inf,  xn  95,  126).  —  95. 
ad  altro  forse  :  in  altra  occasione  dabitosa, 
diffìcile  ;  né  senso  sostanzialmente  diverso  dà 
la  variante  ad  altro  fcfrte^  cioè  in  altra  diffi- 
coltà. —  98.  le  rote  ecc.  scendi  in  lax^ghe 
ruote,  descrivendo  larghi  giri,  lentamente  ; 
poiché  hai  un  carico  insolito  alle  tue  spalle  : 
insolito,  perché  portava  Dante  che  era  ancora 
vivo.  —  100.  Come  ecc.  Riprende  la  simili- 
tudine della  navicella,  già  usata  a  descrivere 
l'approdare  di  Gerione  nei  w.  19  e  sei^. 
per  mostrare  oom'  egli  ti  staccasse  dall'  orlo 


INPERNO  -  CANTO  XVII 


129 


102        e  poi  olì' al  tutto  si  senti  a  giuoco, 
là  OY*era  il  petto,  la  coda  rivolse, 
e  quella  tesa,  come  aaguilla,  mosse, 
105        e  con  le  branche  l'aria  a  sé  raccolse. 
Maggior  paura  non  credo  che  fosse 
quando  Fetòn  abbandonò  li  freni, 
108       per  che  il  ciel,  come  pare  ancor,  si  cosse, 
né  quando  Icaro  misero  le  reni 
senti  spennar  per  la  scaldata  cera, 
111        gridando  il  padre  a  lui  :  «  Mala  via  tieni  >, 
che  fu  la  mia,  quando  vidi  ch'i' era 
nell'aer  d'ogni  parte,  e  vidi  spenta 
114        ogni  veduta,  fuor  che  della  fiera. 
Ella  sen  va  nuotando  lenta  lenta; 
rota  e  discende,  ma  non  me  n'accorgo 
117        se  non  ch'ai  viso  di  sotto  mi  venta. 
Io  sentia  già  dalla  man  destra  il  gorgo 


kà  nttiBO  otRUo  ttziioiando  aU'indiotio 
fi^  ta  nel  Tvoto,  dorè  il  nrolae,  come  fa 
h  teca  tzatla  dalla  riva  in  mezzo  all'  acqua. 
"  iti  loM  ;  dalla  ziva,  golia  quale  è  stata 
tatta  in  seooo.  ~  102.  e  pel  eoo.  e  quando 
li  tmU  intatamente  libero  ti  da  poter  spa- 
mn  a  foo  agio  nel  vuoto.  —  104.  e  faella 
«o&  •  distesa  la  coda  la  dimenò  oon  nn  mo- 
Tiaento  Tibratozio,  col  gnisso  proprio  delle 
Ofvilìe.  —  106.  e  eoa  le  branche  eoo.  : 
oflM  H  nnotatoze  xaoooglie  a  sé  col  moorer 
Wb  braccia  l' acqua  in  coi  ò  immeno,  cosi 
teioae  oon  le  branche  laterali  parve  raooo- 
Sfi«e  r  aere  in  cui  doveva  disoendero  vo> 
ialo.  —  106.  Magf  lar  eco.  Dante  paragona 
i  no  pavento  a  quello  di  Fetonte,  figlio  dol 
Bob  e  di  Olimene,  del  qnale  la  mitologia  rao- 
«oiti  dM,  guidando  per  singolare  concessione 
i  onaUi  dei  padre  per  le  vie  del  dolo,  pre- 
Qfttd  miseramente  nell*  Eridano  (cfr.  Ovidio, 
Ma  n  47-824  e  JVy.  iv  72,  Jtor.  xzzi  126). 
U  pania  di  Fetonte  è  ood  descritta  da  Ov. 
iH  n  178  :  €  Ut  vero  snmmo  despezit  ab 
ii<ksra  taiTas  Infélix  Phaeton  penitos  peni- 
tm^  iaoentee,  Palloit  et  subito  gonna  in- 
tnnerB  timore,  Snntqne  oonlìs  tenebrae  per 
ttttam  Imnen  obortae  >.  —  107.  11  freni:  i 
imi  doft  cavalli  del  carro  solaro  ;  Ov.  Met, 
a  20O:  e  Mentis  inope,  gelida  formidine  lora 
nùit».  —  108.  per  che  11  del  ecc.  Ao- 
MBBa  air  opinione,  ricordata  anche  nel  Cònv, 
n  16^  cte  la  Via  lattea  sia  l'effetto  dell' ar- 
lioM  opezata  nel  cielo  dal  carro  eolaro  mal 
nUato  da  Fetonte.  —  109.  me  qaando  eco. 
Altn  paragone  oon  la  paura  del  figlinolo  di 
IMalo,  il  quale  per  ftig^  dall' isola  di  Greta 
im  a  s6  e  al  figlio  Icaro  le  ali  attaccandole 


ai  ooipi  oon  la  oen:  durante  II  volo  Icaro, 
oontro  l'espresso  divieto  del  padre,  volle  av- 
vicinarsi al  sole,  e  ood  riscaldandosi  la  cera 
le  ali  gli  caddero  ed  egli  precipitò  nel  maro. 
La  similitudine  dantesca  ò  tratta  dalla  nar^ 
razione  ovidiana,  Met,  vm  226  :  e  Bapidi  vi- 
dnia  solis  Mollit  odoratas,  pennarnm  vincula, 
ceras.  Tàbuerant  cerae  :  nudos  quatit  ille  la- 
certos,  Bemigioque  oarons  non  ullas  percipit 
auras;  Oraque  ooerulea  patrìum  clamantia 
nomen  Ezcipiontor  equa,  qnae  nomen  traxit 
ab  ilio.  At  pater  infelix,  nec  iam  pater,  *  Ica- 
ro ',  dixit,  *  Icaro  ',  dixit,  *  ubi  es  ?  qua  te 
regione  requiram  ?  '  >.  ~  118.  e  vidi  eco.  e 
non  vidi  più  nulla,  fuorché  Qerìone.  —  116. 
Ella  eoe  Mostra,  descrivendolo  con  preci- 
sione stupenda  di  linguaggio,  come  il  movi 
mento  di  Gerione  fosse  conforme  agli  avver- 
timenti di  Virgilio;  vedi  i  w.  d7-99.  Man- 
tovani, Leet.  p.  18  :  «  La  discesa  è  descrìtta 
con  cosi  perfetta  evidenza  di  particolari,  con 
tanta  esattezza  pittrice  di  espressioni,  da  pa- 
rer cosa  realmente  provata;  ed  ò  saggio  che 
basterebbe  da  solo,  ove  tanti  altri  non  ne 
ofErisse  il  poema,  a  mostrare  quanto  possa 
in  Dante  un'attitudine  spiccatissima  della 
sua  fantasia,  che  direi  l' intuizione  dell'  in^ 
verosimile  >.  —  116.  ma  non  eoo.  Scart  : 
«  Dante  indovina  ciò  che  oggigiorno  gli  areo- 
nauti  sanno,  che  doò  chi  discende  dall'  alto 
per  lo  gran  vano  dell'  aria  non  si  accorge  di 
calare,  se  non  in  quanto  l'aria  di  sotto,  che 
egli  mano  mano  vien  rompendo,  gU  soflla 
incontro  >.  —  117.  ni  venta  :  ofr.  Purg.  xvn 
68.  —  118.  il  gorgo:  il  cono  diFlegetonte 
precipitando  dal  settimo  all'  ottavo  cerchio  va 
a  cadere  in  una  fossa  profonda,  in  nn  gorgo. 


DAirrx 


130 


DIVINA  COHHEDU 


A 


far  sotto  noi  un  orrìbile  stroscio; 
120       per  che  con  gli  occhi  in  giù  la  testa  sporgo. 
Allor  fa'  io  più  timido  allo  scoscio, 
però  ch'io  vidi  fochi  e  sentii  pianti; 
123        ond'io  tremando  tutto  mi  raccoscio. 
£  vidi  poi,  che  noi  vedea  davanti, 
lo  scendere  e  il  girar  per  li  gran  mali 
126        che  s' appressavan  da  diversi  cantL 
Come  il  falcon  cL^e  stato  assai  su  l'ali, 
che  senza  veder  logoro  o  uccello 
129       fa  dire  al  falconiere  :  <  Oimè,  tu  cali  >, 
discende  lasso,  onde  si  mosse  snello, 
per  cento  rote,  e  da  lungi  si  pone 
132        dal  suo  maestro,  disdegnoso  e  fello: 
cosi  ne  pose  al  fondo  Gerione 
a  pie  a  pie  della  stagliata  ròcca, 
e,  discarcate  le  nostre  persone, 
136    si  dileguò  come  da  cotda  cocca. 


—  119.  ftrotelo  :  minoie  dell'acqua  cadente. 

—  121.  Allor  eoo.  :  il  valore  della  parola  «oo- 
sciOf  qaale  xisolta  dalle  chioae  di  Benv.  e  del 
Bati,  è  quello  d' indicale  Tatto  dello  aco- 
sdarsi,  il  morimento  che  l'uomo  fa  per  di- 
scendere dalla  groppa  d'nn  animale;  ti  che 
Danto  ayrebbe  yolnto  dire  che,  vedendo  i 
ftiochi  e  udendo  i  pianti  di  Malebolge,  egli 
ebbe  all'  idea.di  dover  dlacendere  dalle  spalle 
di  Qerione  maggior  paura  che  non  avesse 
avuto  a  quella  di  montare  sull'  orribile  mo- 
stro (cfr.  Parodi,  BuU,  m  166).  Altri  inten- 
dono lo  90090Ì0,  come  lo  scoscendimento  per 
a  quale  si  precipito  Flegetonto  ;  ma  il  senso 
male  si  legherebbe  ai  seguenti  versi  :  il  Tor- 
raoa  preferirebbe  di  leggere  àtosùiOf  col  senso 
di  colpo  o  atto  della  caduta,  ma  è  lezione 
malsicura  e  interpretazione  assai  dubbia.  — 
123.  end*  lo  eco.  ai  che  tremando  per  la  nuova 
paura  ristrinsi  le  cosce  alle  spalle  di  Gerione, 
come  se  temessi  di  cadere.  —  124.  B  vidi 
eco.  e  appressandosi  i  tormenti  e  i  pianti  del 
cerchio  sottoetanto,  distinsi  ohe  il  nostro  mo- 
vimento era  insieme  a  ruoto  e  discendento, 
poiché  da  diverse  parti  vedeva  avvicinarsi  a 
noi  le  pone  di  Malabolge.  —  127.  Come  eoo. 
Venturi  426  :  «  Qerione  porto  sul  proprio 
dosso  i  due  poeti  gid  nell'  ottovo  cerchio  di 
Malebolgo.  Mia  poiohó  quest'  uffldo  dovè  com- 
piere per  forza,  e  fu  con  suo  dispetto,  il 
poeto  rassomiglia  il  colar  di  quel  mostro  e 
gli  atti  suoi  a  quelli  del  falcone,  che  sdegnato 
del  non  trovar  preda,  senza  aspettare  il  ri- 
chiamo stanco  discende  a  larghe  ruoto  colà, 
onde  suol  partire  snello,  e  si  pone  in  disparto 


lontano  dal  falconiere».  —  128.  sessa  veder 
eoe  senza  esser  richiamato  coi  soliti  segnali 
e  senza  aver  veduto  alcun  uccello  da  predaxe. 
—  logora:  cosi  chiamavano  gli  antichi  H 
richiamo  usato  dai  fklconieri  e  formato  da 
due  ali  d'uccello  legato  insieme  a  una  Tar- 
ghetta. —  132.  disdegnosa  e  Mio  i  sdegnoso 
e  corrucciato  per  la  mancato  preda.  Alcuni, 
come  Benv.,  riferiscono  questo  circostanza 
al  falcone  ;  altri,  come  il  Buti,  al  ftdooniere  : 
migliore  senza  dubbio  è  la  prima  intoipreta- 
zione,  con  la  quale  la  corrispondenza  nei  ter- 
mini della  comparazione  ò  piò  pioia,  perchó 
dobbiamo  imaginare  Gerione  come  sdegnoso 
e  corrucciato  d'aver  dovuto  volare  senza  il 
compenso  d'alcuna  preda.  —  184.  a  pie  a 
pU  della  stagliata  ròcca:  alla  base  info- 
riero  della  roccia  tagliato  a  picco.  —  136. 
eoue  da  eorda  cocca:  con  la  velocità  della 
ftecda  scoccato  dall'  arco.  B  Mantovani,  L,ecL 
p.  18  noto  come  il  poeto  abbia  rappresentato 
per  via  di  similitadini  tatti  gli  atti  di  Oerlone 
(ctr.  w.  19-20,  21-22,  27, 100-101, 104,  12S- 
129,  186)  e  scrive  :  «  Cosi,  pel  megistoro  di 
queef  arto  animatrice,  quello  che  poteva  es- 
sere un  inerto  emblema  allegorico  diviene  un 
essere  forto  di  Vito  propria,  il  quale,  pur  raf- 
figurando morslmento  il  concetto  e  gli  atti 
della  firode,  ci  passa  innanzi  agli  occhi  stupiti 
come  un  animale  appartenento  a  un  mondo 
misterioso  ma  vero».  —  coeea:  dal  aenso 
proprio  dichiarato  in  Inf,  zn  77  è  fiacQe  il 
passaggio  al  più  esteso  significato  di  /rse- 
eia,  che  questa  voce  ha  qui  e  nel  Pur.  vi| 
105. 


INFERNO  —  CANTO  XVIII 


181 


CANTO  xvm 


Deposti  da  Gerìone  neirottavo  cerchio,  Dante  e  Virgilio  Incominciano 
a  tnTcnare  i  ponti  sovrastanti  alle  dieci  bolge,  che  lo  formano;  e  cosi  vi- 
littao  la  prima,  quella  degli  ingannatori  di  donne  distinti  in  due  schiere  e 
ifenati  di  continuo  dai  demoni,  e  la  seconda,  quella  degli  adulatori  im- 
mersi nello  sterco  [9  aprile,  presso  il  levar  del  sole]. 

Loco  è  in  inferno  detto  Malebolge, 
tutto  di  pietra  e  di  color  ferrigno, 

8  come  la  cerdiia  che  d'intorno  il  volga 
Nel  dritto  mezzo  del  campo  maligno 

vaneggia  nn  pozzo  assai  largo  e  profondo, 
6        di  cui  suo  loco  dicerò  l'ordigno. 

Quel  cinghio,  che  rimane,  adunque  è  tondo, 
tra  il  pozzo  e  il  pie  dell'alta  ripa  dura, 

9  ed  ha  distinto  in  dieci  valli  il  fondo. 
Quale,  dove  per  guardia  delle  mura 

più  e  più  fossi  cingon  li  castelli, 


xvm  1.  Mftlebolfe:  ò  nome  foggiato 
4il  poeta  per  iudicAre  l'ottaTO  cerchiu,  il 
quale  è  diviso  in  dieci  bolge  o  valli  dicchi 
eanoentnche,  tolta  della  stessa  forma,  lai* 
gteza  e  profondità,  ma  con  il  fondo  pi6  bat- 
to fi  mano  in  mano  che  al  ra  verso  il  centro 
Uà  terra  (cfir.  ^.  zxxt  87  e  segg.);  in 
ofBisa  di  qneete  è  punita  nna  maniera  di 
inàa  osata  «  in  quei  che  fidanza  non  imborsa  » 
(efr.  In/l  XI  62  e  segg.)-  co^  <^o  nella  1* 
Mgia  sono  i  sedattori,  nella  2*  gli  adulatori, 
MQa  9"  i  simoniaci,  neUa  4'  gì*  indovini,  nella 
^  ì  baiattiorì,  nella  6*  gì'  ipooiiti,  neUa  7*  i 
bili,  Beli'  8*  i  mali  consiglieri,  nella  9*  i  semi- 
caton  di  scandali  e  scismi,  nella  IO*  i  falsari 
eslddmistL  —  2.  di  color  fnrrigao:  «lei 
o^oti  grigìas^tro  oecoro  dei  minerali  di  fem^ 

-  3.  la  cerehia  ooc.  la  ripa  che  drconda 
Milebolge  ò  la  «  ròcca  stagliata  »  del  settimo 
ceichio  iBtf,  xvu  134).  —  4.  Hel  dritto  eco. 
Kel  centro  preciso  del  cerchio  otta%'o  s'apre 
^  largo  e  profondo  pozzo,  di  eoi  dirò  a  suo 
hkogo  (cfr.  Inf.  zxzi)  quale  aia  la  comlizione. 

—  6.  §■•  lo€«:  a  suo  luogo;  locuzione  av- 
v«c^.  non  rara  n^i  antichL  —  ordigno  : 
propriamente  sarebbe  lo  strumento,  il  coo^^e- 
po;  oa  qui  significa  più  tosto  la  stnitttu'a, 
la  condizione.  —  7.  Quel  cinghio  ecc.  Lo 
>P«io  che  resta  fra  la  ripa  del  settimo  oor- 
^  e  il  pozzo  dal  nono  è  circolaro,  è  il  cor* 
^  ottavo,  distinto  in  dirci  ^-nlli.  Si  ordini 
c(mI:  Aduxqué  qtiel  cinghio.  >ht  rwnane  tra  il 
P"^  «  ilpiè  eoe ,  è  tondo  ed  ha  ecc.  —  9. 4teel 
v>Qi:  Diuite  chiama  gli  scompartimenti  di 


Malebolge  per  lo  pid  col  nome  di  valli  (Tnf, 
zviu  98,  zxv  137,  znx  9,  63)  o  valtoni  {Inf. 
UT  133,  XX  7,  xxin  135,  xxxi  7),  poiché  tali 
orano  veramente  cotesto  dieci  fosse  concen- 
triche, distinte  da  alti  argini,  dall'uno  all'altro 
dei  qxiali  passavano  a  guisa  di  ponticelli  na- 
turali degli  scogli:  assai  volte  anche  li  desi- 
gna col  nome  bo^ia^  che  Benv.  attesta  essere 
«  in  vulgari  fiorentino  idem  quod  valila  con- 
cava et  capax  »  ;  si  che  l' interpretazione  dei 
mo<lorm  cìie  i  dieci  scompartimenti  siano 
detti  tolgo  per  aver  essi  la  forma  di  tasca  o 
valigia  o  perché  insaccano  le  varie  maniere 
di  frode  non  pare  abbastanza  fondata  ;  anche 
il  Lana,  1'  Ott.,  il  Buti  parlano  sempre  di 
valli,  e  primo  a  tribuire  al  nome  bolgia  il 
senso  di  tasca  fu  l'An.  fior.  — 10.  Qoale  eoe 
Quale  ò  l'aspetto  che  offrono  parecchie  fosse 
concentriche  scavate  intomo  ai  castelli  per 
difem  della  cinta  murata,  tale  era  la  vista 
delle  dieci  valli  dell'ottavo  cerchio;  e  come  l 
ponti  levatoi  mettono  in  comunicazione  la 
ripa  estema  delle  fosse  con  le  porte  dei  ca- 
stelli, cosi  gli  scogli,  quasi  ponti  natarali, 
collegavano  l'una  all'altra  le  bolge  dal  piò 
della  roccia  del  cerchio  settimo  sino  alla  grande 
apertura  del  nono.  Si  consideri  la  viva  pittura 
ohe  Dante  fa  di  Malebolge  e  la  stupenda  ù- 
militudine  tutta  medioevale  tratta  dalle  ròcche 
e  dai  castelli,  forti  arnesi  di  guerra,  che  in 
qnel  tempo  di  continui  e  feroci  contrasti  fra 
città  e  città,  fira  famiglia  e  famiglia,  s'alza- 
vano sulle  cime  dei  monti  e  alle  imboccature 
dello  vallato,  minaccia  e  difesa  contro  i  ne- 


132 


DIVINA  COMMEDIA 


12        la  parte  dov'ei  son  rende  figura; 
tale  imagine  quivi  facean  quelli: 
e  come  a  tal  fortezze  dai  lor  sogli 
15        alla  ripa  di  fuor  son  ponticelli, 
cosi  da  imo  della  roccia  scogli 
movieui  che  ricidean  gli  argini  e  i  fossi 
18        infino  al  pozzo,  che  i  tronca  e  raccògli 
In  questo  loco,  della  schiena  scossi 
di  Gerion,  trovammoci;  e  il  poeta 
21        tenne  a  sinistra,  ed  io  retro  mi  mossi 
Alla  man  destra  vidi  nuova  pietà, 
nuovi  tormenti  e  nuovi  frustatori, 
21        di  ohe  la  prima  bolgia  era  repleta. 
Nel  fondo  erano  ignudi  i  peccatori: 
dal  mezzo  in  qua  ci  venian  verso  il  volto, 
27        di  là  con  noi,  ma  con  passi  maggiori; 
come  i  roman,  per  l'esercito  molto, 
l'anno  del  giubileo,  su  per  lo  ponte 
SO        hanno  a  passar  la  gente  modo  còlto, 
che  dall'un  lato  tutti  hanno  la  fronte 
verso  il  castello  e  vanno  a  Santo  Pietro, 
83        dall'altra  sponda  vanno  verso  il  monte. 


mici. —  12.  rende  flgiir»s  presenta  aipetto  ; 
locazione  usata  anche  nel  Oonc.  ly  7  :  «  Ne- 
vato ò  si  che  tatto  cnopre  la  neve  e  rende 
nna  flgara  in  ogni  parte,  sicché  d'alcano  sen- 
tiero vestigio  non  si  vede  >.  —  14.  dal  lor 
iogli:  dalle  soglie  delle  porte  (cfr.  Parodi, 
Bull,  m  119).  —  16.  seogll  noTfem  ecc. 
Qaesti  scogli  die  oongiongono  lo  bolge  (con  in- 
terrazione  per  altro  alla  sesta,  dove  ì  ponti* 
celli  minarono  per  on  terremoto:  cfr.  Btf» 
xn  106  e  segg.)  sono  parecchi,  secondo  che 
si  ha  dall*  Inf,  xxm  133  e  segg.  ;  ma  qnantl 
siano  cotesti  ordini  di  ponti  Dante  non  dice: 
forse  ei  pensava  che  fossero  nove,  e  che  mo- 
vendo dalla  ripa  del  settimo  cerchio  andas- 
sero a  terminare  sol  vano  del  nono.  —  17. 
rleideaB:  traversavano;  oft.  inf»  vn  100. 
—  18.  che  1  tronca  e  raeedgll  :  che  li  tronca 
e  li  raccoglie;  dod  segna  la  fine  degli  ordini 
di  ponti,  che  in  esso  pozzo  vanno  a  tenninare. 
Qaanto  «11*  t  per  <i  cfr.  Inf,  v  78;  quanto  al 
raccògli  è  forma  contratta  di  raceogHeU,  af9ne 
dlVaccClo  dol  Purg.  nv  6  (cfr.  Parodi,  BulL  IR 
115).  —  22.  Alla  man  destra  eoo.  Continuando 
il  loro  cammino  verso  T  abituale  direzione  di 
sinistra  e  stando  sull'argine  estemo  della  prima 
bolgia,  i  dao  poeti  avevano  alla  destra  il  fondo 
della  bolgia  stessa,  ov* erano  i  peccatori.  —  23. 
n«OTl  tormenti  eoo.  I  dannati  di  questa  bol- 
gia sono  seduttori  di  donne,  divisi  in  due 
schiere;  Tuna  di  seduttori  per  conto  altrui  o 


ruffiani,  l'altra  di  seduttori  per  conto  proprio: 
quelli  procedono  lungo  l'argina  esterno  in 
direzione  opposta  a  quella  del  poeti;  qaesti, 
lungo  l'argine  intemo  nella  stessa  direzioiie 
dei  poeti:  tutti  poi  sono  percossi  oontinnA. 
mente  da  demoni  friutatoxi.  ~  26.  dal  inexs^ 
In  q«a:  dal  mezzo  dol  fondo  sino  airarg;ìne 
estemo.  —  27.  eoa  noi:  secondo  la  nostra 
direzione.  —  28.  eonie  eco.  A  dare  un*  isk». 
gine  esatta  del  modo  tmuto  dai  peocatoii  nel 
camminare  sul  fondo  della  prima  bolgia,  Dmo- 
te  ricorda  il  provvedimento  ohe  1  magistrati 
di  Boma  adottarono  nel  1300,  l'anno  del  ^n- 
bileo,  per  impedire  che  nascessero  disordini  e 
danni  dal  passaggio  sul  ponte  di  S.  Angelo 
dei  molti  pellegrini,  accorsi  alla  vìsita  dei 
luoghi  santi  (cft.  0.  Villani,  Or,  vm  36)  ;  il 
quale  provvedimento  fu  di  dividere  per  il 
lungo  con  un  tramezzo  il  detto  ponte,  man- 
dando dall' una  parte  quelli  che  andiavano  Verso 
S.  Pietro,  dall'altra  quelli  che  ne  ritornavano 
cfr.  A.  Monti,  Dante  o  Roma,  Boma,  18G5 
p.  17;  A.  Beumont,  Rome  in  DatiWs  Z^\ 
nel  Jakrìmeh  dar  deuieohen  Dante-OemU^cha/U 
a.  1871,  voL  m,  pp.  398  e  segg.;  N.  Zin»! 
rolli.  Dante  e  Roma,  Boma,  1895;  Bassermann. 
p.  10.  —  esercito:  ctr.  la  nota  al  Pmg^  xsxn 
17.  —  80.  haaao...  còlto:  hanno  trovato.  — 
31.  tatti  haaao  eco.  :  quelli  che  passano  0 
Tevere  per  recarsi  a  S.  Pietro  hanno  in  fao* 
eia  il  Castd  S.  Angelo.  —  83.  mane  ecc.  i 


INPERNO  -  CANTO  XVIII 


133 


Di  qua,  di  là,  su  per  lo  sasso  tetro 
vidi  demon  cornuti  con  gran  ferzo, 
86        che  li  battean  crudelmente  di  retro. 
Ahi,  come  feusean  lor  levar  le  berze 
alle  prime  percosse!  già  nessuno 
89        le  seconde  aspettava  né  le  terze. 

Mentr'io  andava,  gli  occhi  miei  in  uno 
furo  scontrati;  ed  io  si  tosto  dissi: 
42        «Di  già  veder  costui  non  son  digiuno  ». 
Per  ch'io  a  figurarlo  i  piedi  affissi: 
e  il  dolce  duca  meco  si  ristette, 
45        ed  assenti  ch'alquanto  indietro  gissi 
E  quel  frustato  celar  si  credette 
hassando  il  viso,  ma  poco  gli  valse; 
48        eh'  io  dissi  :  <  Tu  che  l'occhio  a  terra  getto, 
se  le  £&zion  che  porti  non  son  false, 
Yenedico  se'  tu  Caccianimico  ; 


^mDì  chi  iHoniaiio  daS.  Pietro  aunmiTìftno 
•no  U  wtonU,  doò,  secondo  aleimi,  vano  il 
MoBl»  Oianioolo,  e  secondo  altri,  e  maglio, 
Teao  il  Monta  Giordano,  assai  più  Tidno  al 
toBS  a  aotiasioio  ai  tempi  di  Dante  per  asservì 
laease  dei^  daini.  —  85.  fané:  la  forza  o 
ilRxa  è  nn  flagello  formato  da  tre  strisce  di 
eaoio  legate  in  cima  a  nna  Terga;  in  bolo- 
pse»  sMna,  da  cni  9curiada  (v.  66),  voce 
càs  il  Lana  adopera  appunto  a  spiegare  fona, 
—  37.  la  bcrxe  eco.  An.  fior.:  e  vocabolo 
«atko  et  Tolgase,  et  mol  dire  U  eaìeagna  >; 
pi  esattamente  V.  Boighini,  Opuao,  demi, 
&.  57-C6:  « bena  tooI  dire  quel  segno  e  li- 
Titexa  cba  riiaaned'ana  scorìata  o  forza». 
~  42.  M  già  Teder  ecc.  Hi  pare  d'avere 
•ttia  volte  veduto  oostoi.  Qnando  e  dove 
rifigldaci  avesse  occasione  di  conoecere  Ve- 
■stìeo  Gbooianemici  non  sappiamo;  ma  fU 
pntakilaente  in  Bologna,  negli  anni  giove- 
làfi  dei  poeta,  eoi  il  seduttore  richiama  alla 
■amoria  Vaicam  mno  dei  snoi  concittadini 
(efr.  V.  63).  —  48.  a  flgararle  ecc.  mi  for- 
asi par  ravvisarlo  meglio  :  a/fygere  %  piedi 
per  fmmMìii  ò  locazione  da  riavvidnare  al- 
r«o  che  Dante  ik  del  vb.  rifl.  affigg$ni  nello 
ttsmo  senso,  Inf.  zn  116,  Airy.  zi  186  eoo. 
--  46.  alfaABto  Indietro  gissi  :  Dante,  col 
>  di  Virgilio,  retrocede  nn  poco  per 
il  peccatore.  —  48.  la  fazlon  : 
i  Hsosiiiti  del  volto,  le  fattezze.  —  60.  Ta- 
■tdlaa  eoe  Mewser  Venetioo  Caccianemid 
dtfOxso,  figlio  d'Alberto  ohe  dal  1260  al 
1S7  ite  capo  della  parte  geremea  o  guelfa  di 
Bologna,  ta  nomo  di  violenta  natura,  poiché 
i^pisaM)  ohe  nel  1268  ebbe  mano  nel!'  uc- 
dàaae  di  Onido  Paltèna  suo  cugino  e  nel 
U86  fti  accusato  d'aver  dato  ricotto  a  un 


malfattore:  combatté  ool  padre  la  parte  dei 
Lambertazzi  o  ghibellini  bolognesi  e  tu.  capi- 
tano del  popolo  a  Modena  nel  1278  e  74,  pode- 
stà nel  64  a  Imola,  nel  76  a  Milano,  nell'88 
a  Pistoia  :  promosse  in  Bologna  la  parte  mar^ 
chesana,  ohe  favoriva  le  ambiziose  mire  dei 
marehesi  d'  Este  (cfr.  Airy.  v  64) ,  e  forse 
per  questo  fu  bandito  dalla  patria  nel  1289: 
cfr.  G-.  OoKzadini,  DM»  toni  gmUiUxie  di  Bo- 
ieyfia,  pp.  212*217.  Quanto  al  peccato,  per 
cui  Dante  lo  trova  in  inferno,  dice  il  Lana: 
€  Yenedico...  aveva  una  sua  sorella,  nomeOhi- 
solabella:  roffianolla  a  messor  Obizzo  marche- 
se da  Esti  di  Ferrara  >,  e  il  Bnti:  e  iti  una 
eiroochia  del  detto  messer  Venedigo  ch'ebbe 
nome  la  Ghisolabella,  la  quale  olii  condusse 
a  fltfe  la  voglia  del  marchese  Opizzo  da  Esti, 
marchese  di  Ferrara  per  danari  di'elli  n'ebbe, 
mostrando  a  lei  che  ne  li  seguiterebbe  grande 
bene  ».  Invece  l'Ott  :  €  M.  Yinedico  Caocia- 
ninutri- . .  aiTufBanò  madonna  Ghisola,  siroo- 
chia  dd  detto, . . .  per  moneta,  al  marcheso 
Azze  da  Ferrara»;  Benv.:  cVeneticas  ha- 
buit  unam  sororem  pulcerrimam,  quam  con- 
duxit  ad  serviendum  marchioni  Azoni  do  sua 
pulcra  persona,  nt  fortius  promereretur  gra- 
tiam  eius  >  ;  e  l'An.  fior.,  con  abbondanza  di 
particolari  rifioriti  tardi  sul  fatto  reale:  €  Fu 
costui  messer  Yenedico  de'  Gacdanimid  da 
Bologna;  et  fa  provi^ionato  un  tempo  del 
marchese  Azzo  da  Esti,  signore  di  Ferrara. 
Avea  messer  Yenedico  una  sua  sorella,  bel- 
lissima donna,  detta  madonna  Ghisola,  et  an- 
tonomastice,  per  eccoUenzia,  però  che  avan- 
zava in  bellezza  tutto  le  donne  bolognesi  a 
quello  tempo,  fu  chiamata  la  Ghisola  bella. 
n  marchese  Azzo,  udendo  parlare  della  bel- 
lezza di  costei,  et  avendola  alcuna  volta  ve- 


134 


DIVINA  COMMEDIA 


51        ma  cbe  ti  mena  a  si  pungenti  Salse?  > 
Ed  egli  a  me:  «Mai  volentier  Io  dico; 
ma  sforzami  la  tua  chiara  favella, 
54        che  mi  fa  sovvenir  del  mondo  antico. 
Io  fui  colui,  che  la  Ghisolabella 

condussi  a  far  la  voglia  del  Marchese, 

67  come  che  suoni  la  sconcia  novella. 
E  non  pur  io  qui  piango  bolognese; 

anzi  n'è  questo  loco  tanto  pieno 
60       ohe  tante  lingue  non  son  ora  apprese 
a  dicer  '  sipa  *  tra  Savena  e  Reno  : 
e  se  di  ciò  vuoi  fedo  o  testimonio, 

68  recati  a  mente  il  nostro  avaro  seno  >. 


data  per  Tamistà  di  messer  Yenedioo,  ulti- 
mamente, sotto  questa  fidanza,  si  parti  da 
Ferrara  sconosdato,  st  una  sera  di  notte 
picchiò  all'uscio  di  messer  Venedico  :  messer 
Venedioo  si  marayigiid,  et  disse  ohe  la  soa 
venata  non  potea  essere  senza  gran  fatto.  B 
marrthewe,  sotto  gran  fidanza  et  perché  cono- 
scea  l'animo  di  messer  Venedioo,  gli  disse 
ch'egli  Tolea  meglio  alla  saa  sirocchio,  a  ma- 
donna Qhisola,  ohe  a  tatto  il  mondo,  et  ch'egli 
sapea  oh'ell'era  in  qaella  casa:  et  per  tanto, 
dopo  molti  priegfai,  messer  Venedioo  consenti 
et  discese  aìla  volontà  del  marchese:  partissi 
della  casa,  et  lasdd  lai  dentro;  onde  il  mar- 
chese, gianto  a  costei,  doppo  aloana  contesa, 
ebbe  a  fare  di  lei  >.  B  fotte  adunque,  sebbene 
i  particolarì  fossero  dabbiosi  anche  al  tempo 
di  Dante,  è  vero:  Ghisolabella  Cacdanemid, 
moglie  del  ferrarese  Kiccold  da  Fontana, 
piacque  al  marchese  Obixzo  II  (cflr.  Inf,  xn 
111)  o  al  marchese  Azze  Vm  (cCr.  Airy.  v 
77),  e  piò  probabilmente  per  la  ragione  dei 
tempi  al  primo  ohe  al  secondo;  e  il  signore 
di  Ferrara  potò  averla  alle  sue  voglie,  per 
opera  del  fratello  di  lei  Venetìoo,  o  almeno 
lui  consenziente  :  oft.  Del  Lungo,  DanU^  I,  pp. 
2S2-a47  e  p.  417.  —  61.  ma  che  ti  mena  eoe. 
ma  qaal  colpa  ti  ha  tratto  a  pena  cosi  gra- 
vosa? È  grande  discordia  tra  gì'  interpreti 
circa  il  vocabolo  SoIm  ;  ma  l'opinione  più  pro- 
babile è  quella  degli  antichi,  Benv.,  An.  fior., 
ecc.,  che  Dante  abbia  voluto  dire  hioghi  di 
perui^  traendo  a  questo  senso  generico  il  nome 
proprio  8aia$  dato  ai  soci  tempi  in  Bologna 
a  una  valletta  a  mezzodì  ddla  città  ove  si  git- 
tavano  i  corpi  dei  giustiziati  (cfir.  Bassermann, 
pp.  209-212)  :  quest'opinione  ò  confermata  dal 
V.  53,  dove  la  chiara  faveUa  di  Dante  non 
si  pud  intendere  altrimenti  che  per  discorso 
che  dimostrasse  il  poeta  bene  informato  delle 
cose  bolognesi.  —  64.  aii  fa  sorrenlr  ecc.: 
per  il  mio  nome  e  per  il  ricordo  delle  Salse. 
—  66.  Ohliolabella:  ò  questo  il  vero  nome 
della  donna  (nel  suo  testamento  in  Del  Lungo, 


I,  p.  270,  si  ha  :  «  Ohislabella  quondam  Alberti 
de  Oaszanemids  »);  male  da  tutti  gii  editori 
spezzato  in  Qhiaola  beltà,  come  se  questo  fosse 
un  qualificativu,  e  non  parte  del  nome  proprio. 

—  67.  come  che  sasal  eoo.  Laius  Ott.,  Boti, 
Benv.,  An.  fior,  accennano  tutti  alle  varianti 
del  racconto,  par  ooiifennando  che  Venetioo 
Caccianeraid  fisvorl  le  voglie  del  marchesa. 

—  69.  ■*  è  ^aesto  eoo.  in  qaosta  bolgia  tono 
in  si  gran  numero  i  bolognefd,  che  tanti  non 
sono  gli  nomini  viventi  iu  Bologna.  Lana: 
«  Segue  lo  poema  mostrando  che  oniversal- 
mente  i  bolognesi  sono  caritatevoli  di  tali 
doni,  ciod  di  rofflanare  parenti  e  oognoeoentl, 
chi  meglio  meglio  >.  —  60.  Uste  ecc.  tanti 
uomini  non  sono  ammaestrati  a  dir  tipa,  non 
sono  tanti  uomini  che  parlino  il  dialetto  bo- 
lognese: poiché  aipa  dioevaao  i  bologned  an- 
tichi (e  aépa  dicono  l  moderni)  in  Inogo  di 
tia;  come  attestano  Lana  e  Benv.  e  le  scrit- 
ture dialettali  dt  da  ]<.  ScarabeUl,  nella  prof, 
al  commento  laneo,  voi.  I,  pp.  86  o  eegig.  : 
cf^.  F.  D' Ovidio,  Saggi  eriiieiy  p.  866.  —  61. 
ira  Savana  e  Beae  t  la  Savena  e  il  Reno 
sono  due  torrenti,  che  scendono  dall' Apon- 
nino  verso  le  pianuro  bolognesi  e  passamo 
essai  vicini  a  Bologna,  la  Savena  a  oriente  e 
il  Beno  a  occidente  della  dttà:  cfr.  F.  de^li 
liberti,  DitL  m  6  :  «  Intra  Savena  e  Ben 
dttà  si  vede.  Si  vaga  e  piena  di  tutti  i  dilet- 
ti. Che  tal  vi  va  a  oaval,  die  toma  a  piede. 
Quivi  son  donne  con  leggiadri  aspetti,  £  U 
nome  della  terra  degne  il  fatto,  Baona  nei 
studi  e  setta  d*  intelletti  >.  B  Gozzadini,  DoiU 
torri  gmUUixi»,  p.  217,  osserva  che  e  antica- 
mente la  Savona  e  il  Beno  segnavano  limiti, 
fino  ai  quali  era  ledto  «U  arrivare  ad  mia 
sorta  di  confinati  che  dioevand  gtuunatoé 
exteriarùi  lo  spade  intordaao  era  dunqae 
eminentemente  bolognese  ».  ~  63.  r àcati  a 
meste  ecc.  ricordati  doUa  nostra  avarizia. 
Benv.  :  €  nota  quod  auctor  capit  hio  avari- 
tiam  largo;  nam  bononiensis  naturaliter  et 
communiter  non  est  avarus  in  rotiueudo,  sod 


INFERNO  -  CANTO  XVIIt 


135 


Cosi  parlando  il  percosse  un  demonio 
della  sua  scuriada,  e  disse  :  <  Via, 
CG        ruffian,  qui  non  son  femmine  da  conio  ». 
Io  mi  raggiunsi  con  la  scorta  mia: 
poscia  con  pochi  passi  divenimmo 
C9        là  've  uno  scoglio  della  ripa  uscia. 
Assai  leggeramente  quel  salimmo; 
e  volti  a  destra  su  per  la  sua  scheggia, 
72        da  quelle  cerchie  eteme  ci  partimmo. 
Quando  noi  fummo  là  dov'ei  vaneggia 
di  sotto,  per  dar  passo  agli  sferzati, 
75        lo  duca  disse:  <  Attienti,  e  fa  che  foggia 
lo  viso  in  te  di  questi  altri  mal  nati, 


in  capiendo  tantam  :  illi  enim,  qni  stmt  vi- 
tios  ibi,  prodigaliter  expendnnt  ultra  yires 
iKoltatis  Tel  lucri;  ideo  fadont  torpia  Incra, 
■liqimrdn  cnm  In^  aliquando  oom  Iturtis, 
■liqnindo  com  lenodniiB,  exponentee  Alias, 
•oroxes  et  tixoree  libidini,  at  satiafadant  gn- 
lae  et  Toloptatìbus  soia  »  :  e  aggiunge  ohe 
Dante,  atando  in  Bologna,  €  lata  omnia  yi- 
darat  et  notaverat,  et  forte  emerat  ibi  ali- 
enando de  tali  merce  ab  aliqno  bononiensi, 
Bcut  taepe  acholares  faciont  ».  —  65.  aen- 
rlada:  aforzata,  il  colpo  della  touria;  ofr.  la 
nota  al  T.  36.  —  66.  rafflan  eco.  È  qneato 
uo  dei  versi  più  disputati  del  poema,  e  tntta 
k  fifBcdtà  dell'  intenderìo  sta  nel  significato 
deQa  parola  eonio.  Dei  commentatori  antichi, 
il  Lana  e  Benr.  intesero  questa  voce  nel 
Moflo  di  moneta,  come  se  Tawertimento  del 
diavolo  ioese:  Vàttone,  qui  non  sono  donne 
da  moneta,  da  vendere  altrui  traendone  de- 
nan;  invece  l'Ott,  il  Butì  e  l'An.  fior,  dot- 
toro al  nome  conio  il  valore  di  inganno,  come 
is  il  diavolo  dicesse  :  Via,  ruffiano,  qui  non 
■ano  femmine  da  ingannare  con  seduzioni  e 
bUndìzie.  Dei  commentatori  moderni,  alcuni 
itadificarono  l'interpretazione  del  Lana  e  di 
Bav.,  come  il  Lomb.  che  scrisse  :  «  coniOf 
impronta  sul  danaro,  qui  pel  danaro  medesi- 
Eo,  onde  femmine  da  conio  vale  quanto  fem- 
Bìne  che  per  danaro  vendono  la  propria  one- 
ità,  femmine  venali»;  altri  invece,  come 
Buschi,  Frat,  Andr.,  Tomm.  ecc.  l'aocetta- 
loao  aenz'  altro.  La  spiegazione  dei  tre  an- 
tichi ooBunentatori  toscani  fu  sostenuta  e 
chiarita  eon  molte  ragioni  storiche  e  filolo- 
giche da  L  del  Lungo,  Della  interpretaxion» 
^fm  teno  di  Danie  eco.  Firenze,  1876  e  poi 
ÌBD(Mri0, 1, pp. 200  e sgg.  e 257 esgg. ;  iT quale 
intese  di  mostrare  ohe  femmina  da  conio  al- 
to non  vale  che  femmina  da  ingannare,  da 
isdnn»,  da  condurre  a  fiu:  la  voglia  altrui: 
aa  G.  Bigutini,  Del  vero  senso  della  maniera 
i  «  Femmine  da  conio  »,  Firenze,  1870, 


ritornò  all'  interpretazione  piò  comune  e  con 
molti  argomenti  s' ingegnò  di  provare  che  le 
parole  del  demonio  frustatore  vogliono  dire: 
Via,  ruffiano,  qui  non  son  femmine  da  farci 
guadagno;  ofr.  anche  Q.  del  Noce,  Oiom, 
darU.  m  487  e  agg.  —  67.  mi  ragglvnai  eco. 
mi  ricongiunsi  a  Virgilio,  ritornando  a  lui  che 
a'era  fermato  ad  aspettarmi.  —  68.  divenim- 
mo: pervenimmo;  ofr.  Inf.  xr7  76.  —  69.  «no 
seoglio  ecc.  :  è  uno  di  quelli  scogli  o  ponti  na- 
turali che  dalla  ripa  del  settìmocerchio  al  pozzo 
del  nono  «ricidean  gli  argini  e  i  fossi  »  del  ce> 
Ohio  ottavo:  cfr.  i  w.  16-18.  —  70.  legge- 
rameate:  facilmente;  cosi  nella  V,  N,  xni 
16  :  «  La  donna  per  cui  Amore  ti  stringe  cosi, 
non  ò  come  l'altre  donne,  che  leggeramente 
si  mova  del  suo  core  ».  —  71.  e  volti  eco. 
e  volgendoci  e  destra,  su  per  la  pietra  dello 
scoglio,  lasciammo  di  camminare  sull'argine 
esteriore  della  prima  bol^a.  Questo  ò  il  sen- 
so; ma  ò  gran  discussione  fhi  gli  interpreti 
sulle  cerehie  eteme:  per  alcuni,  come  il  Dan., 
eteme  significa  continue,  non  interrotte,  e  le 
cerchie  sono. «quel  sasso  che  il  settimo  dal- 
l'ottavo cerchio  divide  »  ;  per  altri,  come  il 
Veli.,  lo  cerchie  sono  tutti  i  precedenti  cerchi 
0  sarebbero  dette  eterne^  perpetue,  «  porchó 
eteme  sono  ancora  le  pene»;  per  altri,  come  il 
Veni.,  le  cerchie  sono  si  i  precedenti  cerchi, 
ma  poi  sono  dette  eteme  doò  continuate,  non 
interrotte,  perché  «  di  queste  si  fatte  nun  ne 
restava  a  veder  più,  per  esser  quelle  del  pozzo, 
che  rimanevano  a  passai^i,  intermezzate  da 
ponti  »  :  meglio  di  tutti  il  Lomb.  intende  che 
le  cerchie  sieno  la  ripa  del  settimo  cerchio  e 
l'argine  estemo  della  prima  bolgia,  dette  eter- 
ne come  partì  dell'  infemo  o  sia  di  loco  eterna 
(Inf  1 114).  —•  73.  vaneggia  :  corre  sul  vuoto 
come  arcata  di  ponte.  —  75.  Attientl  ecc. 
Formati  e  procura  che  la  faccia  di  questi  al- 
tri dannati  si  volga  a  te,  procura  di  vedere 
le  loro  facce.  —  feggia  :  cfr.  Inf  xv  39.  — 
76.  qaeati  altri  ecc.  :  sono  coloro  che  sedua- 


136  DIVINA  COMMEDIA 


a'  quali  ancor  non  vedesti  la  £Bkcoia 
78       però  che  son  con  noi  insieme  andati  ». 
Del  veccliio  ponte  guardavam  la  traccia, 
che  venia  verso  noi  dall'altra  banda 
81        e  che  la  ferza  similmente  scaccia. 
Il  buon  maestro,  senza  mia  dimanda, 
mi  disse  :  €  Guarda  quel  grande  che  viene, 
84       e  per  dolor  non  par  lagrime  spanda: 
quanto  aspetto  reale  ancor  ritiene! 
Quelli  è  Gtiason,  che  per  core  e  per  senno 
87        li  (Dolchi  del  monton  privati  fène. 
Egli  passò  per  l'isola  di  Lenno, 
poi  che  le  ardite  femmine  spietate 
90       tutti  li  maschi  loro  a  morte  dienno. 
Ivi  con  segni  e  con  parole  ornate 
Isifile  ingannò,  la  giovinetta 
93       che  prima  l'altre  avea  tutte  ingannate. 
Lasciolla  quivi  gravida  soletta: 
tal  colpa  a  tal  martiro  lui  condanna; 
96        ed  anche  di  Medea  si  fa  vendetta. 

Con  lui  sen  va  chi  da  tal  parte  inganna  : 
e  questo  basti  della  prima  valle 
99       sapere,  e  di  color  che  in  sé  assanna  >. 
Già  eravam  là  Ve  lo  stretto  calle 

■ero  donne,  i  quali  procedendo  in  senso  o^  oorda  il  passo  di  Valerio  Flacoo,  Irp,  n  868  : 
posto  ai  mezzani  tenerano  la  direzione  già  €  nnias  haeret  Adloqnio,  et  blandos  paalUtiia 
seguita  da  Virgilio  e  Dante;  ctr.  1  vr.  23-27.  ooUigit  ignee,  lam  non  dora  toris,  Veneti  neo 
~  79.  la  iraeeia:  la  fila  dei  seduttori;  cfìr.  Iniqua  reversae».  Molto notOToled la varianta 
Jfc/.  zn  66.  —  81.  Ia  ferza:  cfìr.  la  nota  al  eonsennoe eon  paroU  omatéf  dìlssa dal  Ifoore, 
▼.86.-88.  Ciarda  fati  grande  eoe  :  ri-  I  228,  sia  perché  riosdrebbe  assai  signiftoa- 
eorda  l'aspetto  e  Patteggiamento  di  Capaneo,  tira  la  ripetizione  deUa  parola  Mfrno  (cfir.  ▼. 
Btf.  xrr  46-49,  sebbene  con  meno  di  fierezza  86)  che  ben  si  conviene,  secondo  lai,  all'  in- 
sdegnosa e  più  di  regale  dignità.  —  86.  Quelli  gonna,  sia  perché  sarebbe  probabile  in  questo 
è  QlMon  eoo.  Giasone,  l'eroe  tessalo  die  fa  passo  la  imitazione  di  un  verso  d'Ovidio,  Eroi- 
capo  della  spedizione  degli  Argonauti  nella  di,  vi  40:  «Detegit  ingmio  vulnera  focta 
Oolchide  per  la  conquista  del  vello  aureo  (cfr.  tuo  »  :  ma  queste  non  sembrano  ragioni  auf- 
i^.n  16)  e  approdò  all' isola  di  Lemno;  nella  fidenti  perché  sia  abbandonata  la  più  oo- 
quale  le  donne,  sdegnate  contro  i  mariti  loro  mune  lezione.  —  93.  avea  latte  ecc.  facendo 
che  le  trascuravano  per  attendere  alle  guerre,  credere  alle  compagne  d'aver  ucciso  il  padre. 
avevano  uccisi  tutti  gli  culmini,  e  nella  stra-  —  94.  Laseiolla  ecc.  La  lasdò  sola  e  derelitta 
gè  era  rimasto  vivo  solamente  il  re  Toante,  in  istato  di  gravidanza.  ~  96.  ed  aneke  di 
salvato  per  pietoso  inganno  dalla  figlia  Isifi-  Vedea  ecc.  Medea,  figlia  di  Oeta  re  della  Col- 
le,  che  aveva  poi  assunto  ella  stessa  il  go-  chide,  innamoratasi  di  Giasone  lo  aiutò  a  su- 
verno  dell'  isola  :  Giasone  nella  sua  breve  fe>  perare  le  difiScoltà  incontrate  neUa  conquista 
mata  in  Lemno  sedusse  l' incauta  giovine,  la  del  Vello  aureo  e  lo  segui  lasciando  la  patria  ; 
quale  abbandonata  da  lui  dio  poi  alla  luce  due  ma  fa  poi  da  lui  abbandonata  per  il  nuoro 
figliuoli  (ott,  Purg,  zzvi  94-96).  Dante  attinse  amore  cho  lo  prese  di  Creusa,  fig^  di  Creonto 
per  questi  fatti  ai  racconti  di  Stazio,  Tfub,  re  di  Corinto.  —  97.  da  tal  yartei  in  tal  ma. 
V.  836-462  e  di  Valerio  Fiacco,  Argonaut,  ii  niera,  per  proprio  conto.  —  99.  atsaaxa  t 
77-426.  —  87.  del  uonton:  del  Vello  d'oro,  stringe,  tiene  in  sé;  cft.  ^/.  xzx29.  — 100. 
—  fèaetofr.  £nf,  xi  31.  —  91.  Ivi  con  se-  Cllà  eravam  eoo.  Giunti  alla  fine  del  ponti- 
gli  eoe  con  atti  e  parole  lusinghevoli  ;  il-  cello,  si  trovano  i  due  poeti  sul  8eooiiido  ar- 


INFERNO  -  CANTO  XVIII  137 


con  l'argine  secondo  s'incrocicchia, 
102        e  £a  di  quello  ad  un  altr'arco  spalle. 
Quindi  sentimmo  gente,  che  si  nicchia 
nell'altra  bolgia  e  che  col  muso  sbuffa 
105        e  sé  medesma  con  le  palme  picchia. 
Le  ripe  eran  grommate  d'una  mu£Ea, 
per  l'alito  di  giù  ohe  vi  si  appasta, 
108        che  con  gli  occhi  e  col  naso  facea  zuffa. 
Lo  fondo  è  cupo  si  che  non  oi  basta 
loco  a  veder  senza  montare  al  dosso 
111        dell'arco,  ove  lo  scoglio  più  sovrasta. 
Quivi  venimmo;  e  quindi  giù  nel  fosso 
vidi  gente  attuffata  in  uno  sterco, 
114        che  dagli  uman,  privati  parea  mosso. 
E  mentre  ch'io  là  giù  con  l'occhio  cerco, 
vidi  un  col  capo  si  di  merda  lordo, 
117        che  non  parea  s'era  laico  o  cherco. 

Quei  mi  sgridò:  «  Perché  se'  tu  si  ingordo 
dì  riguardar  più  me  che  gli  altri  brutti?  » 
120        Ed  io  a  lui  :  <  Perché,  se  ben  ricordo, 
già  t'ho  veduto  coi  capelli  asciutti, 
e  sei  Alessio  Interminei  da  Lucca: 
123        però  t'adocchio  più  che  gli  altri  tutti  >. 

giM,  dio  tramezza  le  due  prime  boIgOi  e  prò-  l'attrayersara.  —  113.  Q«1tI  occ.  Venimmo 

|rio  ad  ponto  dell'  argine  ore  termina  U  al  mozzo  del  ponte,  e  di  qoi  redemmo  i  dan- 

lÓBo  ponte  e  onde  piglia  le  mosse  il  secon-  nati  immersi  nello  sterco  :    qnesti  peccatori 

4o:  s£  die  si  pud  dire  cho  l'uno  serra  d'ap-  sono  gli  adulatori,  che  sono  eternamente  at- 

poggio  all'altro.  —   lOB.  Qaladl  seatlmmo  tuffati  in  tale  sostanza  schifosa  e  puzzolente, 

«ec  Da  questo  ponto,  cioè  dal  crocicchio  for-  come  se  procedesse  dalle  latrine  osate  dagli 

nto  dair argine  e  dai  due  ponti,  Virgilio  e  uomini.  —  114.  latrati  :  cessi,  latrino.  — 

Dttts  odono  i  sommessi  lamenti  e  il  soffiare  116.  ridi  un  ecc.  Il  peccatore  riconosciuto 

•  il  dibattersi  degli  adulatori,  che  sono  pu-  da  Dante,  che  già  l'avoya  visto  nel  mondo, 

aiti  aeUa  seconda  bolgia;  ma  per  Toscurìtà  è  Alessio  degli  Interminelli  cavaliere  luccho- 

àA  ìaogo  noBa  possono  distinguere  delle  con-  se;  del  quale  nuli' altro  dicono  11  Bambagl., 

fixiam  della  bolgia,  salvo  che  le  ripe  inteme  Lana,  Ott.,  Pietro  di  Dante,  Buti,  Àn.  fior.,  so 

^  «Bsa  sono  ricoperte  di  ono  strato  assai  non  che  ta  gran  lusingatore  o  adulatore,  e 

Rhiloso  •  pozzolento.  —  al  nleclila:  il  vb.  Benv.,  forse  amplificando  di  sua  testa,  aggiun- 


intnuis.,  significa  proprio  U  lamen-  go  che  «  iste  Alexius  ex  prava  consuetudine 

tani  sommeeso,  ossia,  come  dice  Benv.,  €  si-  tantum  delectabatur  adulatione,  quod  nullum 

est  fKìt  aliquando  infirmos  in  lecto  »  :  l'uso  sermonem  sciebat  facere,  quem  non  condiret 

rifleasivo  di  questo  vb.  non  ha  altri  esempi  ;  oleo  adulationis  >  ;  fiori  nolla  seconda  metà 

fmò  alcuni  scrivono:  ai  niòcAia.  —  106.  eran  dol  sec.  xiii  e  il  suo  nome  appare  l'ultima  volta 


eoe.  erano  incrostate  d'una  so-  in  un  documento  privato  del  1295  ;  poco  dopo 

■taaia  simile  alla  muffa  che  si  va  formando  il  quale  anno  ei  dovette  morire,  lasciando  pa- 

BsOe  pareti  del  luoghi  umidi:  cflr.  Par,  xu  rocchi  figliuoli  (cfr.  C.  Minutoli,  Ooniueea  a 

lU.  — 107.  per  rallto  ài  gltf  eco.  per  Tesa-  gli  altri  lucchesi  nominati  nella  Dvo,   Comm» 

laziaae  die  salendo  aderisce  alle  rive  in  forma  in  Dants  e  il  suo  ««e.,  pp.  209  e  segg.).  ~ 

—  106.  ehe  ecc.  la  quale  muffa  star-  118.  mi  agridò  :  gridò  forte  verso  di  me,  con 


eona  oiflSendeva  la  vista  e  l'odorato.  —  109.  accento  di  rimprovero  :  cfr.  Inf.  xxzii  79.  — 

tke  non  el  bsatn  ecc.  che  da  nessun  punto  119.  gli  altri  brutti  :  i  mioi  compagni,  an- 

Waigino  ai  poteva  vedere  U  fondo  doUa  ch'essi   e  di  merda  lordi  >.  —  121.  eoi  ea- 

Mpa»  •  Insognava  aalire  sul  ponticello,  che  pelli  aadntti  :  senza  questa  lordura  sol  ca- 


138 


DIVINA  COMMEDIA 


Ed  egli  allor,  battendosi  la  zucca: 
<  Qua  giù  m' hanno  sommerso  le  lusinghe, 
126        ond'  IO  non  ebbi  mai  la  lingua  stucca  >. 
Appresso  ciò  lo  duca:  <  Fa  che  pinghe, 
mi  disse,  il  viso  un  poco  più  avante, 
129        si  che  la  fisiccia  ben  con  gli  occhi  attinghe 
di  quella  sozza  e  scapigliata  fante, 
che  là  si  graffia  con  l'unghie  merdose, 
132        ed  or  s'accoscia,  ed  ora  è  in  piede  stante. 
Taide  è,  la  puttana,  che  rispose 
al  drudo  suo,  quando  disse:  'Ho  io  grazie 
grandi  appo  te?'  -  *  Anzi,  meravigliose'. 
186    E  quinci  sìen  le  nostre  viste  sazie  >. 


pelli.  -~  124.  U  tace»!  U  capo;  osserra  TOtt 
che  Alessio  «  parla  lucchese,  ohe  chiamano 
il  capo  Miceo,  dìleggiatamente  >,  e  il  Buti: 
€  dice  xueea^  perché  comunemente  li  laochesi 
anno  la  testa  leggiere  »  :  ma  sono  chiose  det- 
tate da  risentimenti  municipali.  —  126.  st«e- 
e«:  stanca;  ma  esprime  meglio  l'idea  della 
stanchezza  per  sazietà  o  fastidio  che  s'abbia 
d' una  cosa.  —  127.  Fa  che  plaghe...  11  tìso 
eco.  spingi  un  poco  più  innanzi  g^i  occhi.  — 
129.  eoa  fU  occhi  attinghe:  tocchi  con  gli 
occhi,  veda  distintamente.  —  131.  che  là 
ecc.  :  ricorda  gli  atti  di  dolore  dì  Anna,  so- 
rella di  Didone,  di  cui  Yirg.,  En.  iv  671  : 
«  Unguibus  ora  foedans  et  pectora  pugnis, 
Per  medios  ruit  »  ;  ma  anche  TEcdesiastioo, 
IX  10:  <  Omnia  mulier  quae  est  fomicaria, 
quasi  stercus  in  Tia  oonculcabitur  >  (cfr. 
Moore,  I  22).  ~  182.  si  accoscia:  sta  sedu- 
ta, restringendo  le  cosce;  cfir.  Inf,  xvu  123. 
—  138.  Taide  ecc.  È  la  famosa  etòra  ate* 
niese,  della  quale  Terenzio  rappresentò  gli 
amori  nella  sua  commedia  V  Eunuco.  —  che 
rispose  eco.  I  commentatori  da  Pietro  di 
Dante  e  Benr.  in  poi  erodono  che  Danto  al- 
luda a  quella  scena  della  commedia  di  Teren- 
zio, dove  il  soldato  Trasone,  amanto  di  laide, 
chiede  al  ruffiano  Gnat«}ne,  per  moEco  del 
qualo  egli  area  mandato  a  regalare  aliti  «lomia 


una  giovine  schiava  sonatrice,  se  ella  si  fosse 
dimostrata  grata  del  dono  ricevuto,  e  Ona- 
tone  rispondo  che  s'era  mostrata  gratisslma: 
Magnaa  vero  agvn  gratiaa  Thai»  mi/ùf  do- 
manda Trasone;  e  Gnatone  rispondo:  /n- 
gentes  (Eun,  m  1,  1-2):  si  che  Dante  avreb- 
be scambiato  il  mezzano  con  l'etdra,  tribuendo 
a  quosta  le  parole  dette  da  quello.  Ka  C 
Beccarla  (nel  giornale  II  BorgMiUj  a.  1876| 
p.  824)  sostiene  che  l'allusione  di  Danto  sia 
al  dialogo  fhi  1  due  amanti,  quando  Trasone 
chiedondo  a  Taide  s'ella  lo  ami  o  gli  sia  grata 
per  il  dono  della  schiava:  0  7%ait  meo,  Mtum 
suavwml  quid  offitur  9  «oqmd  no§  anvu  Dt 
fidioina  wto?,  ella  risponde  subito,  con  pa- 
lese affettazione  e  lusingherla  :  Plurmmm  ma- 
rito tuo  (Eun.  m  2,  2-6).  È  assai  più  proba- 
bile che  la  terzina  dantesca  sia  da  riferirò 
al  primo  dei  due  passi  di  Tenmzio;  ma  die 
il  poeta  non  lo  leggesse  nella  commedia,  si 
invece  nel  De  anmitìa,  xxvi  98  di  Cioorone, 
ovo  ò  riferito  come  un  esempio  di  lusinga, 
in  modo  che  era  facile  prendere  Thai»  per 
un  vocativo  e  attribuire  a  lei  la  parola  tn- 
gerUeé  della  risposta  di  Onatone;  cfir.  Moore, 
I  261,  e  Parodi,  BulL  YUl  288.  —  136.  E 
«aincl  eco.  £  di  queste  lordure  abbiamo  visto 
abbastanza  t 


CANTO  XIX 


Discendendo  nella  terza  bolgia,  ove  sono  i  simoniaci  confitti  capovolti 
in  piccole  bnche  e  con  le  piante  dei  piedi  accese  di  viva  fiamma,  i  due 
poeti  si  fermano  a  parlare  con  Tanima  del  pontefice  Niccolò  111  :  poi  risa- 
lendo dall'altra  parte,  pervengono  sul  ponte  della  quarta  bolgia  [9  aprile, 
fra  le  cinque  e  le  sei  ore  antimeridiane]. 


INFERNO  -  CANTO  XIX 


139 


O  Simon  mago,  o  miseri  seguaci, 
ohe  le  cose  di  Dio,  che  di  bontate 

8  déono  essere  spose,  e  voi  rapaci 
per  oro  e  per  argento  adulterate; 

or  convien  che  per  voi  suoni  la  tromba, 
6        però  che  nella  terza  bolgia  state. 
Già  eravamo  alla  seguente  tomba 
montati,  dello  scoglio  in  quella  parte 

9  che  appunto  sopra  mezzo  il  fosso  piomba. 
0  somma  Sapienza,  quant'  è  l'arte 

che  mostri  in  cielo,  in  terra  e  nel  mal  mondo, 
12        e  quanto  giusta  tua  virtù  comparte! 
Io  vidi  per  le  coste  e  per  lo  fondo 
piena  la  pietra  livida  di  fóri 
15        d'un  largo  tutti,  e  ciascun  era  tondo. 
Non  mi  parean  meno  ampi  né  maggiori 
che  quei  che  son  nel  mio  bel  San  Giovanni 
18        fatti  per  loco  de'  battezzatòri  ; 


XIX  1.  O  81bob  mago  eco.  Rocoontasi 
Mgli  AtU  dagli  apostoli,  vm  9-20,  che  in  S»- 
■arìa  Tirerà  irn  tale  per  nome  Simone,  «che 
•eatdtara  Taxti  magiche  e  seducoTa  la  gente, 
£eeiido  lé  esser  qualche  grand'Qomo  »  :  al- 
torqoaDdo  gii  abitanti  di  qaella  città  si  oon- 
TMtiroDO  al  czistianesimo  e  gli  apostoli  Pietro 
•  Oioranni  furono  mandati  da  Gorosalemme 
a  oaBUoicar  loro  lo  Spirito  Santo,  Simone, 
^  era  già  battezzato,  «  veggendo  che  per 
r  imposizione  delle  mani  dogli  apostoli,  lo 
Spìrùo  Santo  era  dato,  proferse  loro  danari, 
dieendo:  Date  aneora  a  ni6  questa  podeaià^  eh» 
ùobd  al  quote  io  imporrò  le  fturni  riowa  lo 
Spirito  Santo,  Ifa  Pietro  gli  disse  :  Vadano  i 
tuoi  damari  teeo  in  perdixwne,  oonoiossiacMiu 
ekbi  stimato  die  H  dot»  si  acquisti  eon  dana- 
ri; Dal  mago  Simone  fa  dotta  simoi^  la 
volootà  deliberata  di  comprare  o  vendere 
eon  q»ixitaale  e  simoniaei  furono  detti  quelli 
dio  esercitarono  simile  mercato  ;  e  poiché  ai 
tSBpi  di  Dante  gli  atti  di  simonia  abbonda- 
rono (efr.  J^sr.  xxx  147),  egli  si  scagliò  giu- 
itemeate  eontro  l'ignobile  traffico  con  questa 
iarvtdTa,  Ift  quale  ò  da  paragonare  con  ciò 
dw  sexiTB  Anigo  da  Settimello,  De  dvoers, 
fsrt^  Ub.  m  (txad.  antica  pubbl.  da  C.  Mila- 
■ed,  Firenxe,  1861,  p.  826)  :  «  Quella,  capo 
dsl  mondo,  Tendereoda  corte  papale,  ella, 
espo  lagrato,  abbatte  e  inferma  tutti  gli  altri 
mabri.  Vedi  fellonia  e  Tie  pid  yitupererolo 
ooaa  nel  nostro  tempo  I  si  vende  in  mercato 
•otto  soxzft  condizione  la  santa  cresima,  i  sa- 
oi  ordÌBi,  i  sacrati  altari  e*  santi  beneficii. 
E  ancor  pia  :  Dio  stesso  vi  si  vende.  0  s»- 
ente  oompegnfe,  le  quali  maculano  le  sante 


sedie  !  o  santi  templi  colesti  i  quali  fanno  di 
sé  mercato  !  >  —  8.  e  voi  ecc.  voi  invece 
per  cupidigia  di  denaro  ecc.  —  4.  per  oro 
eco.  cfìr.  il  V.  112.  —  7.  alla  seguente  tomba 
ecc.  alla  sommità  del  terzo  ponte,  in  quella 
parte  di  esso  che  sovrasta  alla  linea  mediana 
della  bolgia.  Male  i  commentatori  intendono 
tomba  per  la  bolgia  stessa,  come  sepolcro  dei 
simoniaci  :  è  invece  la  tomba  dello  soogHoy  il 
culmine  del  ponte,  come  bene  intese  il  Buti 
spiegando  questa  parola  per  e  sommità  et  al- 
tezza *  ;  cfr.  Diez  821  e  D' Ovidio,  p.  864.  — 
11.  nel  mal  mondo:  nell'inferno.  —  12. 
q santo  ecc.  con  quanta  giustìzia  ass^^^a  a 
ciascuna  colpa  la  pena  conveniente  I  ->  14. 
di  fóri  d*an  largo  eoe.  di  fóri  circolari, 
tutti  della  medesima  grandezza.  —  16.  Non 
mi  parean  ecc.  Dante  paragona  per  la  gran- 
dezza i  fóri  della  terza  bolgia  ai  pozzetti  del 
Battistero  di  San  Giovanni  di  Fironze,  i  quali 
erano  fatti  perché  i  sacerdoti  battezzatori  v'en- 
trassero, per  immergere  poi  nella  vasca  i  bam- 
bini; e  trae  occasione  da  tale  similitudine 
per  chiarire  la  ragione  d'una  sua  particolare 
avventura,  per  la  quale  agli  occhi  d'alcuno 
avrebbe  potuto  apparire  irreverente  ai  luoghi 
sacri,  avendo  una  volta  rotto  uno  di  quei 
pozzetti  per  salvare  da  certa  morte  un  fan- 
ciullo che  v'era  caduto  dentro.  —  17.  San 
Giovanni  :  cfr.  Par.  xxv  8.  —  18.  fatti  ecc. 
Bull  :  e  dichiara  a  che  sono  fatti  quelli  tondi 
che  sono  nel  San  Giovanni  a  Pisa  et  a  Fi- 
renze, cioò  per  li  preti  che  battezzano  che 
stieno  piò  presso  all'acqua  del  battesimo  >. 
Sulle  questioni  circa  la  forma  e  l'uso  di  tali 
pozzetti  cfr.  Feri-azri  lY  838,  V  841  e  A.  Ber- 


140 


DIVINA  COMMEDIA 


Tun  delli  quali,  ancor  non  è  molt'anni, 
rupp'io  per  un  che  dentro  yì  ann^ava: 
21        e  queeto  sia  suggel  ch'ogni  uomo  sganni 
Fuor  della  bocca  a  ciascun  soperchiava 
d'un  peccator  li  piedi,  e  delle  gambe 
24       infino  al  grosso;  e  l'altro  dentro  stava. 
Le  piante  erano  a  tutti  accese  intranibe; 
per  che  si  forte  guizzavan  le  giunte 
27        che  spezzate  averian  ritorte  e  strambe. 
Qual  suole  il  fiammeggiar  delle  cose  unte 
muoversi  pur  su  per  l'esbrema  buociai 
30       tal  era  li  da'  calcagni  alle  punte. 
<  Ohi  è  colui,  maestro,  che  si  cruccia, 
guizzando  più  ohe  gli  altri  suoi  consorti, 
83        dìss'  io,  e  cui  più  rossa  fiamma  succia  ?  » 
Ed  egli  a  me  :  «  Se  tu  vuoi  eh'  io  ti  porti 
là  giù  per  quella  ripa  che  più  giace, 
36        da  lui  saprai  di  sé  e  de'  suoi  torti  >. 

Ed  io  :  €  Tanto  m' è  bel,  quanto  a  te  piace  ; 
tu  se' signore,  e  sai  ch'io  non  mi  parto 


toldi,  LeeL  pp.  18-20.  —  19.  I'm  eco.  Benr. 
rftoooate  con  molti  ptitioolaii  ohe  Dante,  es- 
tendo dei  Fiiod,  o^itò  in  S.  Oiov»nni,  ove 
molta  gonte  CBoeranewintomoa  un  poóetto 
nel  quale  era  caduto  nn  Duoiallo,  e  ohe  presa 
nna  scoro  €  manibns  propriis  percnasit  li^i- 
dem,  qui  de  marmore  erat,  et  fociliter  firegit; 
ox  qao  pner  quasi  reyÌTÌaoens  a  mortois  liber 
erasit  >  :  alooni  commentatori  danno  il  nome 
del  Ikncinllo,  Antonio  di  Baldinaooio  dei  Ca- 
Ticcioli.  —  21.  e  qvesto  eoo.  e  questa  testi- 
monianza disinganni  chi  m'avesse  giudicato 
empio  o  irreyerente  rerso  il  sacro  luogo.  — 
22.  F«or  della  boeea  eoe  In  ciascun  fóro  si 
vedeva  un  peccatore  capovolto,  rimanendo 
fuori  solamente  una  parte  delle  gambe,  le 
quali  per  il  dolore  cagionato  dall'aocensiono 
delle  fiamme  sulle  piante  dei  piedi,  si  oontor- 
oovano  oosi  violentemente  cho  avrebbero 
spezzato  ritorte  e  taaL  Sopra  gli  elementi  che 
Dante  pud  aver  derivati  da  leggende  ante- 
riori per  foggiare  la  pena  dei  simoniaci  si  ve- 
dano il  D' Ovidio,  pp.  866-897  e  il  Bertoldi, 
Leei.  pp.  16-18.  È  poi  indubitato,  anche  per 
il  riscontro  con  le  acche  degli  eretici  (Bif,  ix 
180),  che  ad  ogni  fóro  corrisponde  una  qua- 
lità di  peccatori,  e  che,  sebben  Dante  si  fermi 
a  considerare  solo  quello  dei  pontefici,  avrà 
pensato  ohe  negli  altri  fossero  i  cardinali,  i 
vescovi,  gli  abati  ecc.  e  forse  anche  i  vari  or- 
dini dei  laici,  re,  principi,  feudatari  eco.  che 
avessero  iSatto  illecito  acquisto  di  coso  sacre. 


—  26.  le  givate:  le  giunture.  —  27.  ritorte 
e  strambe  t  ftini  di  vimini  ritorti  e  Ami  di 
vimini  intrecciati  :  le  une  e  le  altre  ft^rt^Mimiì 

—  28.  Qaal  suole  eco.  Come  le  cose  onta 
bruciano  solo  superfldalmente,  cosi  i  piedi  dei 
simoniaci  bruoiavano  solamente  sulle  piaate, 
dai  calcagni  alle  punte  delle  dita.  La  simili- 
tudine è  tratta  dall'  ossorvaacione  d'un  fatto 
comune  *,  pid  tosto  che  da  altre  oompazazioni 
di  Lucrezio  n  191  e  di  Virgilio  Eh,  n  682, 
cit.  a  illustrazione  di  questo  luogo  dal  Ven- 
turi 80.  —  81.  il  eraecla  i  si  mostim  indi- 
gnato, perché  oontoroe  i  piedi  piA  ohe  non 
facciano  i  suoi  oompagnL  —  82.  eomsortl  : 
compagni,  che  partecipano  ali»  stessa  aorte. 

—  83.  e«l  pli  resaa  eco.  che  ò  riarso  da 
fiamma  più  viva  ;  e  dice  Muecia  oome  se  la 
fiamma  assorbisse  gli  umori  delle  membra  del 
paziente.  La  fiamma  è  pid  viva  sulla  bue» 
dei  papi,  perché  maggiore  fb  in  essi  la  oolpa 
che  nello  persone  appartenenti  agli  ordini  in- 
fsriori  della  gerarchia  ecclesiastica  (ofir.  .&i/'. 
IX  181).  ~  81.  U  fortt:  Virgilio  iniktti  te- 
nendo alzato  Dante  quasi  al  suo  flanoo  lo 
trasporta  gid  nel  fondo  della  terza  bolgin  e 
poi  lo  riporta  sull'argine  :  ofr.  i  w.  48-45, 
124-129.  —  86.  per  fueUa  ripa  eco.  per  la 
ripa  dell'argine  intemo  della  terza  bolgia, 
ripa  mono  difBcile  di  quella  dell'argine  eeter- 
no. —  87.  Tante  eco.  Mi  piace  quello  che 
piace  a  te.  La  frase  zioorda  quella  di  Vii^p- 
Uo  a  Boatrioe,  ^.  n  79.  —  88.  t«  se*  il- 


INPERNO  -  CANTO  XTX 


141 


99        dal  tuo  volere,  e  sai  quel  che  si  tace  >. 
AUor  yenimmo  in  su  l'argine  quarto; 
volgemmo,  e  discendemmo  a  mano  stanca 

42  là  giù  nel  fondo  foraccliiato  ed  arto: 
e  il  buon  maestro  ancor  della  sua  anca 

non  mi  dipose,  si  mi  giunse  al  rotto 
45        di  quei  che  si  piangeva  con  la  zanca. 
€  0  qual  che  se',  che  '1  di  su  tien  di  sotto, 
anima  trista,  come  pai  commessa, 

43  comincia'  io  a  dir,  se  puoi,  fa  motto  >. 
Io  stava  come  il  frate  che  confessa 

lo  perfido  assassin,  che  poi  eh' è  fitto 
61        richiama  lui,  perché  la  morte  cessa; 
ed  ei  gridò:  €  Se'  tu  già  costi  ritto, 

se'  tu  già  costi  ritto,  Bonifazio  ? 
64       di  parecchi  anni  mi  menti  lo  scritto. 


giort  eoe  :  efr.  Yiig.,  Buo.  t  4:  e  Ta  maior; 
tiki  iw  «t  aaqaum  pam»  ».  —  89.  e  lal  eoo.: 
dir.  ^.  z  18,  ZYi  118,  zzm  26  eco.  Si  noti 
che  totte  Ift  xìspotta  di  Dante  non  è  obe 
on'aisplificazione  del  verso  à»W £if,  n  140; 
poiché  egli  8Ì  dice  disposto  a  segaiie  in  tatto 
il  ino  dncs  (v.  87)  e  a  ubbidire  a  Ini  come 
a  signore  (t.  88),  e  infine  lo  lioonoeoe  come 
■aestro  (r.  89).  -~  40.  Allor  eco.  I  due  poeti 
oltr^aanno  il  ponte,  prendono  l'argine  a  si- 
■Btra  e  discendono  nello  stretto  fondo  della 
Mgia,  tutto  pieno  di  fÓii.  —  42.  arto  :  ofr. 
Ar.  zzmx  83.  —  48.  e  11  ìmom  maestro 
«oc  Virgilio  non  mi  poeo  giù  appena  fommo 
Mi  fondo  della  bolgia,  ma  mi  portò  sino  al 
ffin  in  coi  ai  dimenaTa  il  dannato  da  me  ao- 
"'"'^ftx"  ^  sol  ponte.  —  44.  sf  :  riguardo 
al  Taloie  speciale  di  questo  ti  ctt,  Inf.  tttx 
SO,  i\«y.  ZZI  12.-45.  saaea:  gamba;  cfr. 
bif,  ixiiv  79.  —  46.  0  ««al  ecc.  Chiunque 
ta  sia,  cosi  confitto  col  capo  in  giti.  D'Ori- 
i»,  p.  866  :  e  Bisogna  riconoscere  ohe  nella 
Bstura  della  pena  inflitta  al  papa  simoniaco^ 
Bìse  tutto  il  solito  accordo  specifico  con  la 
eotpa.  .»...  n  simoniaco  ebbe  l'animo  rivolto 
si  beni  della  terra  anxichó  alle  cose  celesti, 
ed  è  conficcato  nella  terra  :  in  direziono  del 
càeio  stanno  i  sucA  piedi  I...  D  simoniaco  ca- 
pOTolse  l*ufilcio  suo  traendo  vantaggi  mate- 
itali  per  l'appunto  dalle  cose  spirituali,  dan- 
do esempi  che  erano  il  preciso  opposto  di 
qoellì  eho  l'uomo  di  chiesa  avrebbe  dovuti 
daze  ;  ed  è  capovolto  I  Avrebbe  dovuto  aspi- 
xara  all'auxeola  del  santo,  e  un  nimbo  di  fno- 
eo  gli  suocÌa  i  piedi  :  un'aureola  a  rovescio  I 
Fa  abbs^^iato  dal  fulgore  dell'oro,  ed  è  messo 
in  posizione  da  non  poter  pid  veder  nulla  >. 
--  47.  nSmm  trista:  ò  l'anima  di  Giovanni 
Gaetano  Orsini  assunto  al  pontificato  col  nome 


di  Kiocold  IH  Q  25  novembre  1277  e  morto 
U  22  agosto  1280;  dice  di  lui  il  Lana:  €  Per 
acquistar  moneta  non  si  vedea  stanco  né  sa- 
zio di  vendere  e  di  alienare  le  cose  spirituali 
per  le  temporali,  commettendo  continuo  si- 
monia, in  per  quello  ohe  ogni  suo  atto  si 
drizzava  ad  avere  pecunia;  e  questo  volea 
per  far  grandi  qu^  di  casa  sua  e  sé  nel 
mondo  >,  e  l'Ott.  :  <  Questi  fu  desideroso  d'ar- 
ricchire li  suoi,  che  tutti  li  benefici  di  Santa 
Chiesa,  cho  diede  fuori,  a'  suoi  consorti  vondó 
e  prese  moneta,  conferf  grazie,  sempre  accet- 
tando quella  persona,  la  cui  borsa  gli  era  piti 
copiosa  >.  —  eome  pai  eommessa:  piantata 
gid,  come  un  palo  nel  terreno.  —  4Q,  Io  ita- 
Ta  eco.  Dante  paragona  s6  stesso  al  confes- 
sore di  un  assassino,  il  quale,  condannato 
secondo  le  leggi  medioevali  a  esser  propag- 
ginato, dopo  esser  stato  già  fitto  nella  buca 
richiaina  il  confessore  per  differire  cosi  di 
qualche  istante  la  sua  morte.  —  61.  perché 
la  morte  ecc.  perché  cosi  allontana,  ritarda 
d'un  poco  il  morire.  —  62.  ed  ei  gridò  ecc. 
Ciascuno  dei  dannati  della  bolgia  terza  sta 
con  le  piante  accese  fuori  del  proprio  buco 
sino  a  cho  venga  a  prendere  il  suo  posto,  re- 
spingendo lui  pid  in  basso,  un  altro  pecca- 
tore della  sua  stessa  condizione  :  perciò  Nic- 
colò m  aspetta  Bonifiudo  ym  cho  lo  sospin- 
ga pid  gifi  nella  buca,  come  Boniiìszio  Vili 
sarà  alla  sua  volta  sostituito  da  Clemente  Y. 
—  68.  BoBlf allo  t  Bonifazio  Vm,  papa  dal 
1294  al  1303;  cfr.  la  nota  al  Buy.  zz 86. — 
64.  di  pareeeU  ansi  ecc.  Niccolò  m,  cre- 
dendo cho  colui  che  gli  ha  parlato  sia  Boni- 
fario  vm,  pensa  che  la  previsione  della  morte 
di  questi,  11  ottobre  1803,  da  lui  letta  nel 
futuro,  sia  stata  fallace,  e  ohe  la  morte  stessa 
sia  avvenuta  più  di  tre  anni  innanzi  ai  mo- 


DIVINA  COMMEDIA 


Se'  tu  al  tosto  di  quelP  aver  sazio, 
per  lo  qual  non  temesti  tórre  a  inganno 
57        la  bella  donna,  e  di  poi  farne  strazio  ?  > 
Tal  mi  fec'io,  quai  son  color  che  stanno, 
per  non  intender  ciò  eh' è  lor  risposto, 
60        quasi  scornati,  e  risponder  non  sanno. 
AUor  Virgilio  disse  :  €  Digli  tosto  : 
'  Non  son  colui,  non  son  colui  che  credi  '  »  ; 
63        ed  io  risposi  come  a  me  fu  imposto. 
Per  che  lo  spirto  tutti  storse  i  piedi; 
poi  sospirando  e  con  voce  di  pianto, 
66        mi  disse:  €  Dunque  che  a  me  richiedi? 
Se  di  saper  chi  io  sia  ti  cai  cotanto 
che  tu  abbi  però  Ja  ripa  corsa, 
69        sappi  ch'io  fui  vestito  del  gran  manto: 
e  veramente  fui  figliuol  dell'orsa, 
cupido  si,  per  avanzar  gli  orsatti, 
72        che  su  l'avere,  e  qui  me  miai  in  borsa. 
Di  sotto  al  capo  mio  son  gli  altri  tratti 
che  precedetter  me  simoneggiando, 
76        per  le  fessure  della  pietra  piatti 
Là  giù  cascherò  io  altresì,  quando 
verrà  colui  ch'io  credea  che  tu  fossi, 

mento  proTisto.  —  66.  Se'  t«  if  ìùbUì  eco.  esemplili  Jn/.n  129, zzxi  15 ecc.— 68.  eke  t« 
Quanto  alle  simonie  di  Bonifazio  Ym  scrìve  abbi  eco.  da  avere  perciò  peioozsa  la  ripa,  di- 
il  goelfo  G-.  Villani,  che  questo  papa  (O.  vin  scendendo  in  questa  bolgia.  —  70.  f«l  flf  limol 
6)  e  pecunioso  fu  molto  per  aggrandire  la  dell'orsa  i  M  della  fiamigUa  romana  degli 
Chiesa  e'  suoi  parenti,  non  faooendo  coscionza  Orsini,  detta  nei  pid  antichi  tempi  de  fUii» 
di  guadagno,  che  tutto  dicea  gli  era  licito  Uraae  (nei  documenti  fiorentini  del  sec  xm 
quello  ch'era  deUa  Chiesa  »  e  che  (Or.  vm  citati  dal  Del  Lungo,  DanU  U  4/^9:  de  /Uus 
64)  e  magnanimo  e  largo  fti  a  gente  ohe  gli  Urti),  —  71.  per  «Tauar  gli  oriatU  :  per 
piacesse,  e  che  fossono  valorosi,  vago  molto  accrescere  la  potenza  dei  miei  nipoti.  —  72. 
della  pompa  mondana  secondo  suo  stato, ...  su  l'avere  ecc.  noi  mondo  imborsai,  raccolsi 
non  guardando  né  faccendosi  grande  nò  stret-  ricchezze,  noli'  inferno  mi  procurai  questo 
ta  coscienza  d'ogni  guadagno  per  aggrandire  fóro.  —  73.  DI  sotto  ecc.  Sotto  al  mio  capo 
la  Chiesa  e'  suol  nipoti  ».  —  56.  tórre  a  !■-  sono  trascinati  gid  li  altri  pontefici,  che  mi 
f  anso  eoe  sposare  per  via  d' inganni  la  Chie-  precedettero  nel  mondo  e  mi  precedono  in 
sa,  assumendo  il  pontificato  dopo  aver  indotto  questa  buca.  Sebbene  Niccolò  m,  come  scrive 
Celestino  Y  a  rinunziare  (eh,  Inf,  zxvn  105),  6.  Villani,  O.  vn  54,  «  fu  de'  primi  o  primo 
e  disonorandola  con  la  simonia.  ~  58.  Tal  mi  papa,  nella  cui  corto  s'usasse  palese  simonia  », 
fee'  lo  ecc.  Scart  :  e  n  poeta  finge  con  finis-  nondimeno  altri  fra  i  suoi  predecessori  mer- 
sima  arto  di  non  aver  inteso  di  qual  Bonifa-  cantegt^iarono  le  cose  sacre  ;  e  Filai,  ricorda 
zio  intendesse  parlare,  e  perciò  dice  che  ri-  opportunamonte  i  nomi  di  Innocenzo  IV 
mase  confuso  come  chi,  non  avondo  compreso  (1243-1254),  Alessandro  TV  (1254-1261),  Ur- 
la risposta  e  credendosi  scornato,  non  sa  cosa  bano  IV  (1261-1265),  e  (demento  IV  (1265- 
rispondere  ».  —  61.  AUor  eoo.  Virgilio  viene  1268).  —  75.  per  le  fessare  ecc.  nascosti, 
subito  in  aiuto  a  Danto,  suggerendogli  la  ri-  appiattati  in  una  apertura  sotterranea,  dove 
sposta  da  dare  a  quel  dannato»  —  64.  tatti  andrò  anch'  io.  —  76.  I«à  gli  eco.  Sopra 
storie  1  piedi:  contorse  interamente,  quanto  la  efficacia  imitativa  di  questo  verso,  ot- 
pid  era  possibile,  i  piedi,  por  lo  sdegno  del-  tenuta  mediante  le  spezzature  degli  acoenti, 
l'oflooTiri  inutilmente  manifestato.  DoU'agget-  sono  da  vedere  le  acute  osservazioni  dol  D'O- 
tivo  tutti  pL  in  funz.  avverbiale  sono  altri  vidio,  p.  366.  —  77.  colui  ecc.  Bonifario  Vm, 


INFERNO  -  CANTO  XIX 


143 


78        allor  ch'io  feci  il  sùbito  dimando. 

Ma  più  è  il  tempo  già  che  i  pie  mi  cossi 
e  ch'io  Bon  stato  cosi  sottosopra, 
81        ch'ei  non  starà  piantato  coi  piò  rossi; 
che  dopo  lui  verrà,  di  più  laid'opra, 
di  vèr  ponente  un  pastor  senza  legge, 
84        tal  che  convien  che  lui  e  me  ricopra. 
Nuovo  Giason  sarà,  di  cui  si  legge 
ne'  'Maccabei':  e  come  a  quel  fu  molle 
87        suo  re,  cosi  fia  a  lui  chi  Francia  regge  >. 
Io  non  80  s'io  mi  fui  qui  troppo  folle, 
ch'io  pur  risposi  lui  a  questo  metro: 


eht  k>  eroderà  tome  giunto  a  piender  il  mio 
IwgOf  anorchó  iéd  l'impTOTTin  domanda: 
Se'tBfià  eoeU  ritto,  Bomfaxito?  —  79.  Ma 
pi'  i  U  Imp»  eco.  Maggior  tempo  sono  fiato 
io  a  qvMto  tomento,  dall'agosto  1280  all*a- 
ptilt  1300,  ohe  non  vi  starà  Bonlfario  Vili, 
Ul'ottobre  ia08  aU'i^rile  1814,  quando  verrà 
CB  altro  papa  a  prendere  il  suo  loogo.  —  ehe 
i  pie  mi  cossi  ecc.  che  rimasi  al  tormento  del 
faoco,  standomi  ooef  propagginato.  —  81.  eoi 
pie  rossi  :  coi  piedi  infiammati.  —  82.  tìki 
d*po  lai  eoo.  poiché  a  sospingerlo  in  basso, 
occupando  il  fóro,  Torrà  un  papa  originario 
4à  paesi  ooddentali,  Clemente  V,  maggior 
tfammiaoo  di  loL  Bertrando  do  Qot,  arcive- 
seoTo  dì  Bordeaux  in  Guascogna,  fu  eletto 
pspa  nel  condaTO  di  Perugia  il  6  giugno  1305, 
asnose  il  nome  di  Clemente  V  e  fermò  la 
ns  dimoia  in  Frauda,  incominciando  cosi  da 
ha  il  periodo  della  cattività  babilonica  della 
Glissa  cesia  della  residenza  della  corte  pon- 
tikia  in  Avignone,  durata  sino  al  1377.  Cle- 
ante V  mori,  andando  a  prendere  il  luogo 
fi  Bonifazio  Vili,  il  20  aprile  1814;  ma  già 
b  Toee  popolare  aveva  antidpata  al  papa  la 
peaa  inflìttagli  da  Dante,  leggendosi  in  Q. 
ViUaaì,  O.  IX  58  :  €  Mori  papa  Clemente.... 
•  lasdd  i  nipoti  e  suo  lignaggio  con  grandis- 
liao  e  innumerevole  tesoro.  E  dissesi  che 
riveado  il  detto  papa,  essendo  morto  uno  suo 
sipoto  cardinale,  cui  olii  molto  amava,  co- 
itdnse  uno  grande  maestro  di  negromanzia, 
d»  sspesae  die  dell'anima  del  nepote  fosso. 
D  detto  maostro,  &tte  suo  arti,  uno  oappel- 
liao  del  papa  molto  sicuro  fece  portare  ai  di- 
■OBìa,  i  quali  il  menarono  allo  *nferno,  e 
aostriirg^  visìbilmente  uno  palazzo,  iv' entro 
ea  Ietto  di  fuoco  ardente,  nel  quale  era  l'a- 
aiaa  del  detto  suo  nipote  morto,  dicendogli 
cfas  per  la  ina  simonia  era  cosi  giudicato.  B 
vide  nella  sua  visione  flue  un  altro  palazzo 
iir  laooatro,  il  quale  gli  fu  detto  si  fàoea  per 
|spa  Qeaiente,  o  cod  rapportò  il  detto  oap- 
piQsao  al  F^^  il  quale  mai  pd  non  fti  al- 
kgn,  e  poco  vivette  appresso  ;  e  morto  lui 


e  lasciatolo  la  netto  In  una  chiesa  oon  grande 
luminara,  s'aoceee  e  arso  la  cassa  e  '1  corpo 
suo  dalla  cintola  in  giù  ».  —  83.  un  pastor 
senza  legge  :  Q.  Villani,  Or.  ix  69,  attosU 
che  Clemente  V  €  fu  uomo  molto  cupido  di 
moneta,  e  simoniaco,  che  ogni  benefido  per 
danari  s*avea  in  sua  oorte,  e  fu  lussurioso  », 
e  D.  Compagni,  O.  m  12,  a  propodto  della 
sua  elezione,  che  fu  dopo  la  morte  di  Bene- 
detto XI  ottimo  papa,  scrive  ohe  «  la  divina 
giustizia...  molte  volte  punisoe  nasoosamente, 
e  toglie  i  buoni  pastori  a'  popoli  rei  che  non 
ne  sono  degni,  e  dà  loro  quello  ohe  meritano  »: 
cAr.  le  terribili  parole  contro  Clemente  V  in 
Por,  XXX 142-148.  —  86.  Naevo  GlasoB  eoe. 
Giasone,  figlio  del  sommo  sacerdote  Simone  II 
e  firatello  del  sommo  sacerdote  Onia  IO,  ot* 
tenne  per  promesse  di  denaro  da  Antioco  re 
di  Siria  l'offldo  del  sommo  sacerdozio,  o  avu- 
tolo si  diodo  a  vita  lioonziosa  ohe  gli  procurò 
l'odio  e  il  disprezzo  di  tutti  :  tale  è  il  rac- 
conto, un  po'  parziale,  del  libro  dei  Maeeabei 
n  4,  7-27;  6,  6-10;  iv  4,  17.  Cosi  Clemen- 
te y  ottenne  il  pontificato  per  il  favore  di 
Filippo  il  Bello,  re  di  Francia,  che  voleva 
un  papa  che  distruggesse  e  riparasse  tutto 
dò  che  contro  di  lai  aveva  fatto  BoniCa- 
rio  Vili  :  sulla  parte  avuta  dal  re  di  Francia 
in  tale  elezione  si  vedano  E.  Boutario,  La 
Frwncn  totta  Philippe  lo  Bel^  lib.  v,  cap.  2,  e 
A.  Beomont,  nell'enea,  atorieo  tto/.,  a.  1860, 
nuova  serie,  voi.  XI.  —  88.  Io  non  so  ecc. 
Dante,  mettendo  in  versi  i  pensieri  che  gli 
d  affollarono  alla  mente  innanzi  allo  spetta- 
colo del  papa  simoniaco,  non  vuole  certo  ai* 
tonnare  oon  questa  dubbiosa  dichiarazione 
preliminare  la  severità  dei  suoi  giudizi  ;  però 
queste  parole  s'hanno  a  intendere  cosi  :  Non 
so  s'io  fai  troppo  stolto,  fermandomi  a  la- 
mentare i  mali  della  Chiesa  oon  chi  la  Chiosa 
aveva  macchiata  con  le  suo  simonie.  Altri 
spiegano  folle  per  audace,  temerario,  senza 
badare  che  si  avrebbe  allora  una  inutile  an- 
tìdpaziono  del  pensiero  espresso  sotto  altra 
forma  nei  w.  100-103.  —  89.  à  questo  me- 


144 


DIVINA  COMMEDU 


90       €  Deh,  or  mi  di',  quanto  tesoro  volle 
nostro  Signore  in  prima  da  san  Pietro, 
ch'ei  ponesse  le  ohiavi  in  sua  balia? 
03       certo  non  cliiese  se  non:  'viemmi  retro'. 
Né  Pier  né  gli  altri  tolsero  a  Matita 
oro  od  argento,  quando  fu  sortito 
96       al  loco  che  perde  l'anima  ria. 
Però  ti  sta,  che  tu  se'  ben  punito; 
e  guarda  ben  la  mal  tolta  moneta, 
99       ch'esser  ti  fece  centra  Carlo  ardito. 
E  se  non  fosse  che  ancor  lo  mi  vieta 
la  reverenza  delle  somme  chiavi, 
102       che  tu  tenesti  nella  vita  lieta, 
io  userei  parole  ancor  più  gravi; 
che  la  vostra  avarizia  il  mondo  attrista, 
105        calcando  i  buoni  e  su  levando  i  pravi. 
Di  voi  pastor  s'accorse  il  vangelista, 


ir*  t  con  qaesta  m&niora  di  pailare  :  ofir.  Ltf. 
vn  88.  —  92.  ck'  et  pomeii«  eoe  Bacoonta 
revangelista  Matteo,  xvi  18-19,  che  0.  Cristo 
disse  a  Pietro  :  e  Ti  dico  ohe  tu  sei  Pietro, 
e  sopra  a  qaesta  pietra  io  edl&eherd  la  mia 
chiosa,  e  io  porte  deli'  inferno  non  la  po- 
tranno vincere  ;  ed  io  ti  dard  le  chiavi  del 
regno  de*  cieli,  e  tatto  dò  che  avrai  legato 
in  terra  sarà  legato  ne'  cieli,  e  tatto  dò  cho 
avrai  sdolto  in  terra  sarà  sdolto  ne'  cieli  ». 
—  93.  mom  eUese  eoo.  Accenna  alle  parole 
con  le  quali  Cristo  chiamò  a  so  Pietro  e 
Andrea  (Matteo  nr  19,  Marco  1 18)  :  <  Venite 
dietro  a  me,  ed  lo  vi  Duo  pescatori  d'uomi- 
ni »,  oppare  all'  invito  rivolto  a  Pietro  dopo 
esser  risorto  (Giovanni  xn  19).  —  94.  Hi 
Pier  eco.  Allade  alla  narrazione  dogli  AtU 
degli  Apo&ioli  i  18-26,  quando  furono  tratte 
le  sorti  per  la  soelta  di  colai  ohe  doveva 
prendere  il  luogo  di  Giuda  Iscariotte  :  «  E 
trassero  le  sorti,  e  la  sorte  cadde  sopra  Mat- 
tia, ed  egli  fti  per  comuni  vóti  aggiunto  agli 
undid  apostoli  ».  —  96.  al  loco  eoo.  al  mi- 
nistero d'apostolo,  perduto  da  Giuda  Iscariot- 
te. —  97.  ti  sta  eco.  resta  pur  dove  sei,  chó 
tu  sei  punito  secondo  che  meritL  —  98.  e 
guarda  bea  eoo.  Gli  antld  commentatori 
Lana,  Ott.,  Bonv.,  Buti,  An.  fior,  accennano 
qui  al  disdegno  concepito  da  Niccolò  ni  con- 
tro Carlo  I  d'AngiÒ  ;  il  quale,  secondo  11 
racconto  di  G.  Villani,  Or,  vu  64,  67,  avendo 
rifiutato  parentado  col  papa  fu  da  lui  privato 
dell'oflido  di  Senatore  di  Roma  e  di  Vicario 
della  Chiesa  e  osteggiato  da  Niccolò  m  ti 
che  questi,  adescato  anche  da  una  somma  di 
denaro  recatagli  da  Giovanni  da  Prodda, 
entrò  In  una  congiura  che  avrebbe  preparata 


la  rlvduzlona  dal  Vespro  Sldllano  (ofr.  JFbr. 
vm  78).  Ma  M.  Amari,  La  gyurra  dd  Feqiro 
gieilianOf  9^  ed.  Milano,  1886,  ha  dimostrato 
r  InsuBsistenia  di  cotesta  congiura,  ohe  ap- 
partiene più  alla  leggenda  ohe  alla  storia  ddl 
Vespro;  e  però  le  allusioni  di  Dante  sono 
più  tosto  alla  wiontta  delle  dedme  eodesi»- 
stiche  mal  tolta  dal  papa,  ohe  le  vdae  in.  be- 
nefizio privato  {oh.  F.  Pipino,  Ohron,  xxixS, 
InMur.,  Ret.UaLlX,  724),  e  a  tutta  la  sui 
politica  che  fti  di  opposiiione  a  Ciarlo  I  (c£r. 
Amari,  op.  dt,  voL  I,  pp.  190  e  segg.,  voL 
m,  pp.  6-283).  —  102.  nella  tIU  UeU  s  c£r. 
Inf.  VI  61.  —  104.  la  vostra  aTarlsia  eoe: 
ofr.  Inf.  vn  48.  —  105.  ealeaade  eco.  Batt  : 
»  Ecco  la  cagiono  perché  li  pastori  simonÌAoi 
della  santa  Chiesa  fanno  tristo  il  mondo,  per 
ch'ellino  calcano  i  buoni  non  aocettaódoli 
a'  benifict,  perché  non  anno  cho  darò,  et 
inalzano  li  rei  per  danari,  accettandoli  a*  be- 
nifid  ;  e  cosi  danno  materia  a'  oherìd  d'es- 
sere tristi,  o  non  curare  se  non  d'avere  da- 
nari, sperando  per  quelli  d'avere  ogni  grazia  ». 
—  106.  DI  voi  paslor  eco.  L'evangelista 
Giovanni,  ApoeaÙsaéy  xvn  1  segg.  aocive: 
«  Uno  de'  sette  angeli,  che  aveano  le  sette 
coppe,  venne,  e. parlò  meco  dicendo:  Vieni, 
io  ti  mostrerò  la  condannazione  della  gran 
meretrice,  ohe  siede  sopra  molte  acque  ;  oon 
la  quale  han  puttaneggiato  l  re  della  terra, 
e  del  vino  della  cui  fornicazione  sono  stati 
inebbriatigU  abitanti  della  terra.  £d  egU  mi 
trasportò  In  Ispirito  In  un  deserto  ;  ed  io  vidi 
una  donna,  che  sedeva  sopra  una  bestia  di 
color  di  scarlatto,  piena  di  nomi  di  beatam- 
mla,  ed  avea  sette  toste  e  diod  corna  ».  ft 
noto  che  l'evangelista  rapprosonta  oo8£   la 


INFERNO  -  CANTO  XIX 


qnando  colei,  ohe  siede  sopra  Paoque, 
106       pnttaneggiar  ooi  regi  a  lui  fu  vista; 
quella,  othe  oon  le  sette  teste  naoqoe 
e  dalle  died  ooma  ebbe  argomento, 
111       fin  ohe  YÌrtute  al  suo  marito  piacque. 
Fatto  v'avete  Iddio  d'oro  e  d'argento: 
e  che  altro  è  da  voii  all'  idolatre, 
114       se  non  ch'egli  uno,  e  voi  n'orate  cento? 
Ahi,  Costantin,  di  quanto  mal  fu  matre, 
non  la  tua  conversion,  ma  quella  dote 
117       che  da  te  prese  il  primo  ricco  patre!  » 
£  mentre  io  gli  cantava  cotai  note, 
o  ira  0  coscienaa  che  il  mordesse, 
120       forte  spingava  con  ambo  le  piote. 
Io  credo  ben  che  al  mio  duca  piacesse, 
con  si  contenta  labbia  sempre  attese, 
128       lo  suon  delle  parole  vere  espresse. 
Però  con  ambo  le  braccia  mi  prese, 
e  poi  che  tutto  su  mi  s'ebbe  al  petto, 
126       rimontò  per  la  via  onde  discese; 
né  si  stancò  d'avermi  a  sé  distretto, 
si  mi  portò  sopra  il  colmo  dell'arco. 


145 


ì 


fioBA  del  paganesimo  ;  ma  Dante,  oon  libera 
iatecpretazione,  ne  applica  i  oolori  foschi  alla 
Roma  iMtpale:  cfr.  Fimg,  zzxn  1Ì2-160.  — 
107.  il«4t  Mpra  raoQMS  J^oe.  xvb  15: 
«L'aoqoe  che  ta  hai  vedute,  dove  siede  la 
■eretrioe,  lon  popoli,  e  moltitadlnl,  e  nazioni, 
e  fiogoe  >.  — 109.  fiatla,  die  €«■  le  sette 
tsits  eoo.  JfOò.  xm  9:  «  Le  sette  teste  son 
ntte  Boatt,  sopra  i  quali  la  donna  siede  », 
oM  i  sette  oc^  sol  quali  sorge  Boma:  ma  i 
QQOBSBtslQci  di  Dante  intendono  le  sette 
tssis  per  W  sstte  rirtft  o  per  i  sette  saor»- 
■SBtt.  — 110.  e  dalle  dieee  eon*  eoo.  Apoc, 
xfn  12,  le:  «E  le  fieci  coma,  che  ta  hai 
▼state,  aooo  diad  le,  i  quali  non  hanno  an- 
S0B  presa  11  regno  ;  ma  prenderanno  podestà, 
eome  ra,  inuno  stssso  tempo  oon  la  bestia... 
E  le  dieei  ooma,  che  tu  hai  redole  nella 
ksstfa,  soa  quelli  che  odieranno  la  meretiioe, 
•  k  xsDdacanno  deserta  e  nuda;  e  mange- 
laaao  la  soa  oami,  e  bruoaranno  lei  col  ftio- 
os>  :  B»  i  (wiitntatnrl  di  Dante  intendono 
le  diesi  eoiBa  per  i  died  oomandaaenti  del 
dseslago,  seeosdo  i  quaH  la  Chiesa  si  goremò 
»Mké  i  pontefici,  mariti  di  lei,  fkrono  Tir- 
tsod.  — 112.  Patto  T*aTeto  eoo.  È  la  parola 
kihUea  (OsaavoiA):  «Si  hanno  del  lon> 
stfSBftD  •  del  loro  oro  &tti  degl*  idoU  ».  — 
—  US.  •  «ha  altro  eoo.  «  Voi  fate  peggio,  o 
lOitiifli  sfasoirfad,  di  quanto  fuesso  il  po- 

DaiTTS 


polo  d' Israele  quando  volse  ad  idolatria,  poi- 
ch*egli  si  accontentò  di  un  idolo  d'oro  unico 
(Etodo  xzzQ  ;  Saim.  or)  mentre  voi  late  deità 
d'ogni  pesBo  d'oro  e  d'argento  >  :  cosi  V.  Ce- 
sati, Nuova  inttrpretaxion»  d*un  vmr$o  diDemU, 
VeroeUi,  1866.  ^  116.  Ahi,  CestantU  eoe 
Allude  alla  donaiione  costantiniana,  per  la 
quale  l'imperatore  Costantino  I  (306-887) 
oonyertito  tà  cristianesimo,  aTrebbe  concesso 
al  pontefice  Silrestro  I  (814-886)  U  dominio 
di  Bona;  donazione  alla  quale  Dante  crederà 
(cfr.  D$  man,  n  18,  m  10  eoo.)  e  credettero 
tutti  sino  al  secolo  xr,  quando  Lorenzo  Valla 
dimostrò  non  aTere  essa  alcun  fondamento 
stodoo:  sulle  lelasioni  fra  Costantino  I  e 
aUvestro  I  ofr.  Inf.  zxvn  94.  —  118.  eatai 
moto  s  voci  di  rimprerero  ;  cfr.  ìm/.  xyi  127. 
»  120.  fsrto  splagaTa  eoo.  traeva  calci  con 
ambedue  i  piedi  :  11  vb.  ipkigaré  e^xlme  pro- 
prio l'atte  del  dimenare,  qdngere,  e  se  n'han- 
no altri  esempi  antichi  (cfr.  Fsrodl,  BulL  HI 
147)  :  U  nome  jiioto  indica  la  pianta  del  piede 
(Dies880, 762;  Parodi,  BulL  m  U7).  — 122. 
labUas  cfr.  Àry.  zzm  47.  »  128.  lo  suob 
eoo.  il  suono  delle  Tesaci  parole  dette  da  me. 
»  124.  Però  eoo.  Virgilio,  che  aveva  tra- 
sportato Dante  al  fiondo  della  bolgia,  ora  lo 
riprende  in  braccio  e  lo  riporta  sull'argine, 
deponendolo  solamente  sul  messo  del  ponte 
ohe  sta  sulla  quarta  bolgia.  —  128.  sf  i  cfr. 

10 


146 


DIVINA  COMMEDIA 


129 


138 


che  dal  quarto  al  quinto  argine  è  tragetto. 

Quivi  soavemente  spose  il  carco, 
soave  per  lo  scoglio  sconcio  ed  erto, 
che  sarebbe  alle  capre  duro  varco: 

indi  un  altro  vallon  mi  fu  scoperto. 


sopra,  y.  44.  —  129.  trAg«ttot  passaggio, 
vaUoo  (ofir.  Parodi,  BuU.  IH  144).  —  130. 
QalTl  eco.  Quivi  depose  il  carico  aoavmnentd, 
pianamente.  —  IBL  loaTe  t  agg.  in  funzione 
ayverbiale.  Dante  vuol  diro  ohe  Virgilio  Io 


mise  giù  con  riguardo,  perohó  U  luogo  era 
pericoloso  e  diffidlo  tanto  che  sarebbe  stato 
malagevole  alle  capre  il  passare  su  quello 
scoglio  che  oongiungeva  i  due  argiuL  —  ISS. 
iB  altre  Talloa  s  la  quarta  bolgia. 


CANTO  XX 

Dal  ponte  che  soyrasta  alla  quarta  bolgria  1  dne  poeti  osserrano  gì*  in- 
dovini, i  quali  camminano  lentamente  col  viso  travolto,  verso  la  parte  poste- 
riore del  corpo:  e  Virgilio  indica  a  Dante  i  più  notevoli  fra  questi  dannati, 
fermandosi,  a  proposito  di  Manto  tebana,  a  esporre  le  origini  di  Mantova, 
che  da  lei  prese  il  nome  (9  aprile,  circa  le  sei  antimeridiane]. 

Di  nuova  pena  mi  convien  far  versi, 
e  dar  materia  al  ventesimo  canto 

8  della  prima  canzon,  eh' è  de*  sommersi 
Io  era  già  disposto  tutto  quanto 

a  riguardar  nello  scoperto  fondo, 
6        che  si  bagnava  d'angoscioso  pianto; 
e  vidi  gente  per  lo  vallon  tondo 
venir  tacendo  e  lagrimando,  al  passo 

9  che  fanno  le  letàne  in  questo  mondo. 


XX  1.  DI  BVOTa  peia  ecc.  Hi  conviene 
ora  trattare  di  una  singolarissima  pona,  che 
sarà  la  materia  del  ventesimo  canto  della 
prima  cantica,  la  quale  tratta  dei  dannatL  — 
2.  eaatot  ò  il  nome  dato  anche  in  Par,  v 
16,  189  a  ciascuna  delle  cento  parti  del  poe- 
ma :  i  commentatoli  antichi,  Bambagl.,  Lana, 
Ott,  Pietro  di  Dante,  An.  fior.,  usarono  per 
lo  più  la  denominazione  di  eapUolo  ;  ma  col 
Dooc  e  col  Buti  tornò  in  uso  il  nome  di 
conto,  voluto  dall'autore.  —  8.  prima  eaa- 
sea:  le  tre  parti  del  poema  sono  dette  ean- 
tiché  in  Purg,  xxzin  140  e  nell'  Epistola  a 
Oangrande,  8  ix;  e  con  questa  denominazione 
furono  indicate  sempre  da  tuttL  —  lommersi: 
dannati,  che  furono  precipitati  nell'  abisso; 
ofr.  Inf,  xvin  125.  —  4.  era  già  disposto 
eoo.  m'era  già  messo  attentamente  a  guar- 
dare. —  6.  angoscioso  pianto:  quello  degli 
indovini,  accennato  anche  al  v.  23.  ~  7. 
Tldl  gente:  sono  gl'indovini,  i  quali  per 


aver  voluto  guardare  innanzi  nel  ftituro  xmo 
condannati  a  tener  ora  il  viso  rivolto  all'  la- 
dietro.  —  8.  al  passo  eco.  al  passo  lento  • 
silenzioso  delle  pubbliche  processioni  religio- 
se, nelle  quali  si  cantano  le  litanie  e  lodi 
dei  Santi  (ott,  Purg,  xm  60).  An.  fior.:  e  Vuol 
dire,  al  modo  ohe  vanno  le  genti  diriotro  a'sa- 
cerdoti,  quando,  leggendo  et  orando,  vanno 
a  processione.  Et  ancora  si  può  qui  moializzaro 
questo  loro  andare  piccino,  eh'  ò  per  opposito 
del  trascorrere  eh'  eglino  fedono  collo  intel- 
letto in  giudicare  le  cose  di  lungi  et  lontane, 
et  in  questo  modo  perderono  et  non  seppero 
le  presenti».  —  9.  letàne:  lo  stesso  <die 
letaniéy  o  litanie,  ovvero  processioni  in  oui 
si  cantano  le  litanie  ;  cosi  F.  Ubertì,  Diti^ 
V  29  :  «  Come  si  va  di  qua,  e  non  più  tosto. 
Alle  litane»  :  in  un  documento  del  1092  (Mar., 
AiìL  UaL  V  222)  si  legge  :  <  quandooumque  iato-. 
niM  veniebant  ad  sanctnm  Donatum,  caoaa 
orationis,  aodiebant  missam  ad  altare  »  eoo.  ^. 


INFERNO  -  CANTO  XX 


147 


Come  il  yiso  mi  scese  in  lor  più  basso, 
mirabilmente  a{»parve  esser  travolto 
12       ciascun  tra  il  mento  e  il  principio  del  casso; 
che  dalle  reni  era  tornato  il  vòlto, 
ed  indietro  venir  gli  convenia, 
15       perché  il  veder  dinanzi  era  lor  tolto. 
Forse  per  forza  già  di  parlasia 
si  travolse  cosi  alcun  del  tutto; 
18       ma  io  noi  vidi,  né  credo  che  sia. 
Se  Dio  ti  lasci,  lettor,  prender  frutto 
di  tua  lezione,  or  pensa  per  te  stesso 
21        com'io  potea  tener  lo  viso  asciutto, 
quando  la  nostra  imagine  da  presso 
vidi  si  torta  che  il  pianto  degli  occhi 
24        le  natiche  bagnava  per  lo  fesso. 

Certo  i'piangea,  poggiato  ad  un  de' rocchi 
del  duro  scoglio,  si  che  la  mia  scorta 
27        mi  disse:  «  Ancor  se' tu  degli  altri  sciocchi? 
Qui  vive  la  pietà  quando  è  ben  morta: 
ohi  ò  più  scellerato  che  colui 


10.  Omeeoc  Bianchi  :  «Stando  Dante  in lao- 
go  elersto  e  tenendo  sempro  gli  occhi  fissi  in 
foeUa  gente,  la  quale  nel  sottoposto  vallone 
TBoira  alla  sua  Tolta,  ò  manifesto  che  gli  era 
UsogDo  di  abbassarli  a  mano  a  mano  che  quella 
srndnaTaai  a  lai;  onde  la  frase  equivale  a 
èze  :  quando  essi  furono  piò  presso,  piò  sotto 
t  SM  >.  —  11.  niraMlmeate  eoe  ciascuno 
•rera  il  ooUo,  cioè  quella  parte  oh'  è  tra  il 
■eato  e  U  principio  del  busto,  travolto  mi- 
nooksamente  si  che  il  viso  era  voltato  verso 
k  xvnL  —  12.  easio:  cfr.  Inf,  zn  122.  — 
B.  era  taraato:  era  vòlto;  il  vb.  ìamarty 
eoo»  il  Ir.  tMxnwr^  ha  spesso  nella  nostra 
liagua  antica  il  senso  di  voiiart  (Diez  822)  : 
efr.  /\ffy.  xxvm  148.  — 14.  ed  ladletro  ecc. 
^  iadovini  dovevano  camminare  all'  indie- 
tro, poiché  dalla  parte  posteriore  del  corpo 
trenno  la  vista.  —  16.  Forse  ecc.  Non  ò 
ia^onibilo  che  per  effetto  di  violenta  para- 
lià  sia  qualche  volta  accaduto  ad  alcun  uomo 
eoasmile  tzsvolgimento  del  viso  ;  ma  io  non 
lo  vidi  mai  nò  credo  ohe  sia  mai  avvenuto. 
—  parlasfa:  paralisfa,  lat.  paraiyait,  Bonv.  : 
«est  passio  nervorum,  quae  aliquando  ita 
£itorqaet,  dislocat  et  deordinat  collum  homi- 
Bis  qaod  homo  respicit  sibi  transversallter 
■cut  a  latore  super  spatulam,  sicut  vidi  in 
•M  vetala  ;  sed  nunquam  facit  quod  homo 
a  totom  respiciat  post  tergum  ».  — 19.  prei' 
itt  firatt*  eoe  racoogliere  dalla  lettura  del 
■io  poema  qualche  frutto,  divenendo  migllo- 
Mu  —  23.  U  plA«k«  eoo.  lo  lagrime  discen- 


devano sul  tergo  dei  dannati  andando  a  ba- 
gnare il  canale  delle  reni  e  l'apertura  dello 
natiche.  —  25.  rocchi:  qui  e  in  Inf.  xxvi, 
17  significa  le  grosse  sporgenze  naturali  dello 
scoglio  che  serve  di  ponte  sur  una  bolgia: 
etimologicamente  il  nome  rocchio  e  il  dorivato 
ronchianet  Inf,  mv  28,  xxvi  44,  risalgono 
al  nome  roccia  (Diez  273,  894).  —  27.  Ancor 
se' tu  ecc.  Sei  anche  tu  come  gli  altri  uomini, 
che  scioccamente  hanno  compassione  dei  mal- 
vagi? Si  ricordi  che  dei  peccatori  d'inconti- 
nenza, che  «men  Dio  offende  e  men  biasimo 
accatta»  {Inf.  xi  84),  Dante  prova  e  dimo- 
stra pietà  (cfr.  Inf,  V  72,  93,  109,  140;  vi 
8,  68)  senza  che  Virgilio  gliene  faccia  rim- 
provero ;  ma  qui  siamo  in  presenza  di  poccu- 
tori  per  malizia  e  fh)de,  i  quali  vollero  pro- 
venire il  divino  giudizio  e  dei  quali  l'uomo  ra- 
gionevole non  deve  sentire  alcuna  pietà.  — 
28.  ({al  vlTe  ecc.  In  questo  cerchio  non  si 
deve  provare  alcuna  pietà  per  i  dannati;  poi- 
ché essi  sono  scelleratissimi,  sono  gli  indovini 
che  offesero  la  divinità  prevenendo  il  divino 
giudizio  e  portandovi  le  umane  passioni.  Que- 
sta spiegazione,  tutf  altro  che  sicura,  pare 
migliore,  ad  ogni  modo,  di  un'altra  comune- 
mente seguita  :  È  viva  la  pietà  o  il  sentimonto 
religioso,  quando  è  ben  mortay  quando  ò  spenta 
del  tutto  la  pietà^  ossia  la  compassione  per  i 
dannati;  poiché  non  v'  ha  peggiore  scollora- 
tezza  che  il  portar  compassione,  l'esser  pio- 
toso,  verso  i  dannati,  che  sarebbe  come  un 
rinnegare  la  divina  giustizia  :  per  il  doppio 


148 


DIVINA  COMMEDIA 


80       ohe  al  giudicio  divin  passion  porta? 
Drizza  la  tedia,  drizza,  e  vedi  a  coi 
s'aperse  agli  occhi  de'  ieban  la  terra, 
83       per  ch'ei  gridavan  tutti:  '  Dorè  mi, 
Anfiarao?  perché  lasci  la  guerra?  ' 
e  non  restò  di  minare  a  valle 
86       fino  a  Minos,  che  dascheduno  afferra. 
Mira  che  ha  fatto  petto  delle  spidle: 
perché  volle  veder  troppo  davante, 
39       di  retro  guarda  e  fa  ritrose  calle. 
Vedi  Tiresia,  che  mutò  sembiante, 
queindo  di  maschio  femmina  divenne, 
42       cangiandosi  le  membra  tutte  quante; 
e,  prima,  poi  ribatter  gli  convenne 
li  due  serpenti  avvolti  oon  la  vwga, 
i5       che  riavesse  le  maschili  penne. 

Aronta  è  quei  che  al  ventre  gU  s'atterga, 
che  nei  monti  di  Lunl,  dove  ronca 


■eneo,  religioso  e  morale,  tiibaito  alla  parola 
ffielà^  si  cfr.  un  ocnsiinile  eqnirooo  in  Par.  !▼ 
106.  n  D*  Ovidio,  pp.  76-146,  mostrando  tatto 
qoesto  canto,  dimostra  come  in  esso  il  poeta 
intendesse  di  rappresentare  Virgilio  per  nomo 
avverso  alle  arti  magiche,  delle  qnali  le  leg- 
gende popolari  lo  avevano  fotte  maestro ,  e 
«  di  protestare  contro  il  detorpamento  del  ve- 
recondo sno  duca,  mettendo,  con  uno  de'  suoi 
soliti  trovati,  in  bocca  a  lai  stesso  la  prote- 
sta, dopo  averla  in  modo  abilissimo  provo- 
cata ».  —  31.  e  vedi  eco.  e  mira  colui,  al 
quale  s'apri  sotto  ai  piedi  la  terra  durante 
l'assedio  di  Tebe,  si  che  gli  assediati  lo  sche> 
nirono  chiedendogli  dove  precipitasse  e  perché 
abbandonasse  il  combattimento.  Aocenna  ad 
Amflarao,  figlio  di  Oicleo  e  d' Ipermnestra, 
il  quale,  esercitando  1*  arte  dell'  indovino  e 
avendo  preveduto  che  sarebbe  morto  all'as- 
sedio di  Tebe,  s'era  nascosto  per  non  pren- 
der parte  alla  guerra:  scoperto  per  il  tradi- 
mento della  moglie  Erifiie,  si  condusse  all'as- 
sedio di  quella  città;  dove,  mentr'ogli  com- 
batteva sul  suo  carro,  la  terra  gli  s'apri  sotto 
e  l'ingoiò:  cfìr.  Stazio,  Teb.  vn  690-823.  — 
83.  Dove  rvl  ecc.  Le  irrisioni  dei  tebani  ri- 
cordano le  parole  di  Platone  ad  Amfiarao, 
quando  questi  pervenne  all'  inferno  (St,  Teb.^ 
vui  84).  <  At  tibi  quos,  inquit,  Manes,  qui 
limine  praoceps  Non  licito  per  inane  rais  ?  > 

—  rnl:  rovini,  precìpiti;  cftr.  JR»r.  xxx  82. 

—  86.  fino  a  aflnas  :  anche  Stazio  {Teb.  vu 
819-823,  viu  1-83)  racconta  che  Amfiarao 
cadde  direttamente  all'  inferno,  senza  abban- 
donare le  armi  e  il  carro,  finché  ta.  giunto 
nel  luogo  ove  risiedeva  ifìnos,  giudice  infer- 


nale. -^  89.  di  ntn  foArdA  eoo.  ha  il  viso 
dalla  parte  delle  spalle  e  cammina  all'  indie- 
tro. —  40.  Tlresla:  Tiresia,  indovino  taba- 
no,  svendo  percosso  con  una  sim  verga  duo 
serpenti  amorosamente  congtnntl,  fa  tnsfoiw 
mate  subitamente  in  femmina,  e  dopo  «otte 
anni  avendo  riveduti  gli  stessi  serpenti  nel 
medesimo  atteggiamento,  li  percosse  di  nnoro 
e  cosi  riprese  il  sesso  maschile.  La  fkvola  et^ 
nota  a  Dante  per  11  racconto  ovidlaBo  (JAt 
m  824-331),  dal  quale  il  poeta  trasse  il  suo: 
e  [Thiresias]  duo  magnomm  viridi  coeuntia 
Silva  Corpora  serpentum  bacali  violaveimt 
ictu:  Deque  viro  £sctU8,  mirabile,  femina, 
septem  Egerat  antomnoe.  Octavo  ruisiiB  en». 
dem  vidit:  et,  *  Est  vestrae  si  tanta  potenti* 
plagae,  Dixit,  ut  auotoris  sortem  in  oont«a- 
ria  mutet,  Nuno  quoque  vos  feriam  *.  Par- 
cussis  anguibos  isdem  Forma  prtor  redilt,  ge- 
nitivaque.rursus  imago».  -^  43.  e,  ^rlmft, 
ecc.  e  poi  gU  convenne  ribatter  ecc.  prima 
che  riavesse  ecc.  —  44.  avvolti  t  confanti, 
attorcigliati.  ~45.natehl]i  peBMtmemlwa 
xiascoline.  —  46.  Arcata:  Arante,  celebro 
aruspice  e  indovino  etrosoo,  chiamato  a  Re- 
ma al  tempo  delle  guerre  civili  fta  Cesare 
e  Pompeo  predisse,  sebbene  con  osculo  va- 
ticinio, il  trionfo  di  Cesare;  ott,  Laeano, 
Fara,  i  584  :  >  Haec  propter  plaeait  tnsoos 
de  more  vetusto  Acdri  vatee:  quonun  qni 
maximus  aevo  Aruns  inooloit  deaerta  moenia 
Lunae,  Fulminis  edootas  motos,  venaaqn*  oa- 
lentos  Fibrarum,  et  monitua  volitantiB  in  aere 
pennas  ».  —  47.  JAnìt  cfr.  /br.  xvi  73.  — 
dove  roaea  eoo.  dove  i  carraresi  o  abitanti 
di  Carrara,  dttà  posta  netto  vioinanse  del- 


INFERNO  -  CANTO  XX 


149 


48 


lo  oftrrarese  olie  di  sotto  alberga, 
obbe  tra  i  bianohi  marmi  la  spelonca 

per  sua  dimora;  onde  a  guardar  le  stelle 

e  il  mar  non  gli  era  la  veduta  tronca. 
E  q;ttella  che  ricopre  le  mammelle, 

cbe  tn  non  Tedi,  con  le  trecce  sciolte, 

e  ba  di  là  ogni  pilosa  pelle, 
Manto  fu,  che  cercò  per  terre  molte, 

poscia  si  pose  là  dove  naoqu'io; 

onde  un  poeo  mi  piace  che  m'ascolte. 
Poscia  che  il  padre  suo  di  vita  uscio 

e  venne  serva  la  città  di  Baco, 

questa  gran  tempo  per  lo  mondo  gio. 
Suso  in  Italia  bella  giace. un  laco 

a  piò  dell'alpe,  che  serra  Lamagna 
63       sopra  Tlralli,  o'  ha  nome  Benaco. 
Per  mille  fonti,  credo,  e  più  si  bagna, 

tra  Gkurda  e  Val  Cunonica,  Apennino 

dell'acqua  ohe  nel  detto  lago  stagna. 


61 


54 


67 


no 


66 


rantka  Loni,  eoltìTano  il  t«R«iio:  U  rb. 
fmean  Tile  propriAmente  purgare  i  campi 
àOB  cattiT*  eite,  •  qui  per  estensione  di 
^nlliilii  ooittTMO.  —  49.  «n  1  hìamékì 
■■bbI  s  «floeaii»  alle  cave  «anaiwi  di  manno 
kiueoi,  già  IkiBOia  nei  tai^  remaid  (ofr. 
nwo,  A  Jf.  xjcn  7,  29).  ^^  60.  aiida  eoo. 
AhmÓmbs,  p.Si4  :  e  quéati reni  ti  animano 
6jBtt  Tila  Mcprendepte,  quando  noi  sol  po- 
rti '■adjami»  ••■•  libeiamente  •  arditamente 
isaatldLOaaara,  ^>pnnto  ìmvnHéiLmi 
Miqpiril  gUk^  antichi  Liumì  arerano  le 
Ila»  «aspa  di  marmo,  qnaai  ad  un  tratto  s'a- 
iwiimu  sulla  pianwa,  e  oome  longo  il  lem- 
Wfi  qMsto^fÉaBQr»  gli  aUtati  ti  strìngono 
db  fdde  «ai  menti  >.  —  52.  «Mila  eÌM  ri- 
«•tre  eoe.  celai,  ohe  per  il  trarolgimento 
dal  Yiao,  k»  la  maiamotte  ricoperte  dai  oa- 
fsMi*  I»  parti  pUoae  al  di  dietro,  ò  Manto, 
h  ifUft  di  Tiresia  :  la  qnale,  aroodo  abban- 
k  ]»  patria  dopo  la  aorte  del  padre  per 
»latiiaanide  di  Creonte,  si  fermò,  do- 
po afwa  vagato  per  molti  paesi,  nel  Inogo 
om  poi  aeoe  Maatora,  patria  di  Virgilio. 
Daal^M  ebbe  notisU  da  VixgUio,  Sn.  x  198, 
4a  Servio  sai  eommento  virgiliano,  da  Ori- 
tfo,  Jiit  VI  U7  a  da  Stailo  (cfr.  la  nota  al 
T.  S8):  vadi  Mosto  I  174,  190.  —  68.«Im  ta 
aea  vaAlt  9enèé  Manto  cammina,  come  gli 
rtin Indovini,  att'indietro.  —  66.  eereòt  U 
vb.  amara  aigaiflaa  speaso  in  Dante  (cf .  Inf, 
xn  121,  san  60,  Ikarg.  zzvm  1)  e  negli  al- 
ttaaticbi  <p.  es.  nel  Patraroa,  oocLxn  88: 
ì  or  qiiaala  «t  or  quell'altra  parte  >) 


peroorrore  cercando.  —  69.  a  Taane  sflrTa 

eoe  Tebe,  la  città  sacra  a  Bacco,  venne  in 
servito  di  Oreonto,  dopo  l'aocisione  di  Eteo- 
de  e  Polinice.  —  61.  Sasa  In  Italia  ecc. 
Sa  nel  mondo,  nel  dolce  pasee  d*  Italia,  giaco 
ai  piedi  di  qnella  oatana  alpina  che  sovra- 
stando al  castello  di  Tiralli  segna  il  oonfine 
oon  la  Qermaaia,  nn  lago  chiamato  Benaco. 
—  62.  alpe,  «be  serra  ooc.  fi  quel  gruppo 
di  monti  che  tra  la  Val  Camonica  e  la  Vallo 
dell'Adigo  si  distendo  in  senso  longitudinale 
dal  lago  di  Garda  alla  riva  destra  deirAdigo 
siq»eriore,  comprendendo  le  alture  deli'Ada- 
mello,  del  Tonale  e  dell'Ortles;  gruppo  di 
monti  che  ai  settentrione  va  a  torminaro  so- 
pra la  destra  dell'Adige,  al  di  là  della  quale 
preeeo  Merano  sorgeva  il  castello  di  Tiralli, 
sede  dei  conti  del  Tirolo  e  prima  terra  m)T- 
manioa.  —  68.  e*lia  aomes  il  quale  lago 
è  denominato.  —  Benaco:  lat.  Benaeus,  nome 
che  gli  antichi  davano  al  Garda  (cfr.  Plinio, 
ir.  N,  n  106).  —  64.  Per  miUe  fonti  eco. 
B  monte  Apennino  o  Pennino,  che  sorge  a 
ooddonte  del  Benaco,  tra  la  Val  Camonica 
(formata  dalle  montagne  ontro  le  quali  scorro 
rOgiio)  e  il  cafteilo  di  Garda  (posto  sulla  riva 
orientale  del  lago  omonimo)  ò  bagnato  da  più 
di  mUle  sorgenti,  le  cui  acque  si  riversano 
nel  lago.  B  Bassermann,  pp.  404-409,  ha  di- 
scusso le  varie  interpretazioni  di  questo  pas- 
so, disapprovandole  tutte,  e  ha  proposto  di 
leggere  tra  Oarda  e  vai  di  Moniga  e  di  in- 
tendere Apmmino  per  tutto  il  complesso  di 
monti  che  circondano  da  tre  parti  quel  lago  ; 


n 


150 


DIVINA  COMMEDIA 


Looo  è  nel  mezzo  là  dove  il  trentino 
pastore  e  quel  di  Brescia  e  il  veronese 
69        segnar  potriai  se  fesse  quel  cammino 
Siede  Peschiera,  bello  e  forte  arnese 
da  fronteggiar  bresciani  e  bergamaschi 
72        ove  la  riva  intorno  più  discese. 
Ivi  convien  che  tutto  quanto  caschi 
ciò  che  in  grembo  a  Benaco  star  non  può, 
75       e  lassi  fiume  giù  pei  verdi  paschi. 
Tosto  che  l'acqua  a  correr  mette  co' 
non  più  Benaco,  ma  Mincio  si  chiama 
78       fino  a  Governo,  dove  cade, in  Po. 

Non  molto  ha  corso  che  trova  una  lama, 
nella  qual  si  distende  e  la  impaluda, 
81        e  suol  di  state  talor  esser  grama. 
Quindi  passando  la  vergine  cruda 
vide  terra  n^  mezzo  del  pantano, 
84        senza  coltura  e  d'abitanti  nuda. 
Li,  per  fuggire  ogni  consorzio  umano, 
ristette  co' suoi  servi  a  fax  sue  arti, 
87        e  visse,  e  vi  lasciò  suo  corpo  vano. 


ma  tal  oongettara  non  ha  sufficiente  fonda- 
mento. —  67.  liOeo  è  ■•!  nezio  eoo.  Que- 
sto luogo,  ohe  ai  tempi  di  Dante  era  il  oon- 
fine  dei  tre  TeecoTadi  di  Tronto,  di  Broscia 
e.  di  Verona,  ha  dato  occasione  a  molte  di- 
sputo fra  grinterprotl:  tecondo  alcuni  sa- 
rebbe r  isoletta  dei  Fiati  pnsso  la  punta  di 
Manerba,  poche  miglia  a  mezzogiorno  di  Salò  ; 
secondo  altri,  lo  sbocco  del  fiume  Tignalga 
presso  Campione,  dove  sino  al  1786  tu.  il  con- 
fine delle  tre  diocesi,  avendo  giurisdizione  il 
▼esooTO  di  Tronto  alla  sinistra  di  detto  fiu- 
me, quello  di  Breida  alla  destra,  quello  di 
Verona  sul  lago:  cfr.  C  Belviglieri,  DanU 
a  Verona  neWAlbo  danteseo  veronese.  Verona, 
1866,  pp.  147-166;  C.  Gavattoni.  Dante  e  U 
Benaeo^  Verona,  1866;  P.  E.  Tiboni,  Qual 
luogo  sul  lago  di  Garda  accenna  Dante  ne* 
versi  67-69 del  O,  xx  deU'Inf.,  Broscia,  1868, 
£.  Lorenzi,  La  ruina  da  qua  da  Trento,  Tronto 
1896  e  Fenazzi  m  92,  IV  81,  889,  V  844 
n  Bassermann,  pp.  409-410,  sostiene  trattarsi 
di  un  punto  ideale,  in  mezzo  alle  acque  de. 
lago  ;  ove  «  i  tre  domini  s' incontrano,  fJquan 
to  a  nord  di  Limone  e  Navone  >  e  aggiunge 
che  se  fesse  «  non  avrebbe  propriamente  nos 
8un  senso  quando  si  trattasse  di  un  luogo 
in  cui  realmente  il  Pastore  di  ciascuna  delle 
tre  diocesi  avesse  talvolta  occasione  di  uffl- 
ziare  ».  —  69.  segnar  potr£a:  potrobbe  bo- 
nedire,  eseroitaro  la  sua  autorità  spirituale. 


—  70.  Siede  Petehlera  eoo.  Peschiera,  bello 
e  forte  castello  innalzato  dai  veronesi  a  di- 
fesa contro  Brescia  e  Bergamo,  e  e  satis  n»- 
vum,  mnnitum  multis  tnrribui  et  aicibns  quasi 
tutela  totius  oontradae  »,  dice  Benv.,  aoige 
sulla  riva  meridionale  del  lago  di  Qarda: 
cfr.  il  Bassermann,  pp.  410-418.  —  73.  ItI 
eonviea  ecc.  L'acqua  che  esce  dal  Benaoo 
presso  Peschiera  forma  il  corso  del  fiume  ICn- 
do,  il  quale  attraversa  le  vordi  campagne 
del  Veronese  e  va  a  sboccare  nel  Po  presso 
il  borgo  di  Qovemolo.  —  76.  *  eener  mette 
ce':  Licominciaa  scorrere;  sul  nome  eo'  cfir. 
Purg.  ui  128.  ~  79.  Non  molte  ecc.  Il  Jfiii. 
do,  dopo  non  lungo  cammino,  s'impaluda 
nelle  bassure  intomo  a  Mantova.  «  I  dintorni 
di  Mantova  sono  ancora  quali  Dante  li  da» 
scrive  »;  Bassermann,  p.  418.  ~  Ijuaa  :  Bargh.  : 
«  Lama  par  che  pigli  sempre  Dante,  e  oggi  è 
r  uso  comune  in  tutto  il  fiorentino,  di  chia- 
mare cod  luoghi  bassi  hmgo  i  fiumi  •  :  cfr. 
Inf.  xxzn  96,  Purg.  vu  90.  —  81.  e  laol  eoo. 
An  fior.  :  e  Assai  volte  d' estate  ]>er  gran 
parte  d  secca,  et  poro  dico  di'  ègrama  »,  doò 
insalubre.  —  82.  la  vergine  erada:  Manto, 
dotta  orudolo  por  gli  atti  sud  descrìtti  da 
Stazio,  Teb,  iv  463:  «tnno  innuba  Manto 
Exooptum  pateris  piaelibat  eanguinem,  et 
omnes  Ter  drcum  acta  pyrae,  sanoti  de  more 
parentis  Sominecee  fibras  et  adhuo  spiiantia 
roddit  Viscera  ».  —  86.  a  fer  sne  arti:  < 


INFERNO  -  CANTO  XX 


161 


Gli  uomini  poi,  che  intomo  erano  sparti, 
s'accolsero  a  quel  loco,  ch'era  forte 
90       per  lo  pantan  che  avea  da  tutte  parti. 
Fér  la  città  sopra  quell'ossa  morte; 
e  per  colei,  che  il  loco  prima  elesse, 
93       Mantua  l'appellar  senz' altra  sorte. 
Qìk  iùx  le  genti  sue  dentro  più  spesse, 
prima  che  la  mattla  di  Casalodi 
96        da  Finamente  inganno  ricevesse* 
Fero  t'assenno  che,  se  tu  mai  odi 
originar  la  mia  terra  altrimenti, 
99        la  verità  nulla  menzogna  frodi  ». 
Ed  io:  €  Maestro,  i  tuoi  ragionamenti 
mi  son  si  certi  e  prendon  si  mia  fede 
102        che  gli  altri  mi  sarian  oarhoni  spentL 
Ma  dimmi  della  gente  ohe  procede, 
se  tu  ne  vedi  alcun  degno  di  nota; 
105       che  solo  a  ciò  la  mia  mente  rifiede  >. 
AUor  mi  disse:  <  Quel,  che  dalla  gota 


citando  1*  arto  dell»  dÌTinazione.  ~  88.  Gli 
Malli  poi  eoo.  Intorno  alle  mitiche  origini 
di  JUatowM,  Danto  non  si  allontond  Tera> 
Beato  dallA  leggenda  viigiliana,  secondo  la 
quale  ooteata  città  ta  fondato  da  Cono  Bia> 
noco,  fl^o  del  flune  Tevere  e  doli*  indovina 
Hanto,  ed  ebbe  il  nome  dalla  madre  del  fonda- 
tore; cfr.  Eh.  X 196:  <  Die  etiampatiii  agmen 
det  Ooaoa  ab  oiis,  Fatidicae  Mantoa  et  Toaci 
iUiis  ojBnis  ;  Qui  mnros  matrinqcie  dedit  tibi, 
Mantua,  nomen  »  :  n6  Tappellativo  di  vergine 
onda,  dato  a  Manto  o  riferito  al  tompo  in  cui 
ella  pexrenxie  e  si  fermò  in  Italia,  esclude 
r  idea  del  ano  poetorìore  connubio,  dal  quale 
nacque  il  fondatore  della  città.  —  91.  iopra 
faeireaaa  ecc.  nel  luogo  ove  Manto  era  stoto 
sepolta.  —  93.  seaz'altra  aorte  :  senza  trarre 
alcun  augurio,  dal  quale  potessero,  secondo  il 
eostume  dei  popoli  primitivi,  dedurrò  un  nome 
diverM  alla  nuova  città.  —94.  Già  far  eoe. 
La  città  di  Mantova  ta.  assai  piò  fiorente  di  po- 
polazione prima  che  Pinamonto  dei  Bonaoolsi 
ne  ottenesse  la  signoria  Ingannando  il  conto 
Alberto  da  Casalodi  ;  il  quale,  avendo  il  pri- 
mato nella  città,  sdocoamento  accettò  il  consi- 
glio di  Pinamonto  di  bandire  i  auoi  avversari, 
si  che  al  cattivo  consigliero  fu  facile,  per  il 
malcontento  che  si  suscitò  contro  Alberto, 
d' impafdronirsi  esso  del  governo  di  Mantova  e 
di  teoacio  dapprima  come  magistrato  cittadino 
e  poi  con  titolo  di  capitano  perpetuo  e  autorità 
di  vero  signore:  la  signoria  di  Pinamonto  durò 
dall272all29I  (ctr.  UUsl,  Fbm.  celebri  ital., 
lam.  BimaeoUi  di  Manlova),  —  97.  t'asseane: 
ti  aaimonisoo.  —  se  ta  mal  ecc.  se  tu  sentissi 


mai  raccontare  altrimenti  l' origine  della  ato 
patria.  —  98.  origUar  eoe  Un'altra  leggen- 
da, del  tutto  diversa  dalla  virgiliana,  è  rife- 
rita da  Servio,  nel  commento  all*.£H.  x  196  : 
e  Alii  a  Torohone,  Tyrrheni  firatre,  condito 
dicunt:  Mantuam  autem  ideo  nominatam, 
quod  etnisca  lingua  Mantmn  Ditem  patrem 
appellant».  —  99.  la  verità  eeo.  nessuna 
menzogna  riesca  a  Ingannare  la  verità.  — 
100.  Maestro  eco.  Questo  risposto  di  Danto 
ricorda  quella  dell'  Inf.  zi  67.  — 102.  ehe  gli 
altri  eoe.  che  i  ragionamenti  altrui  su  que- 
sto matoria  non  avrebbero  alcuna  efficacia 
sulla  mia  mento,  come  i  carboni  spenti  non 
diffondono  alcuna  luce.  —  108.  geato  ehe 
procede:  1  dannati  della  quarta  bolgia,  che 
hanno  continuato  il  loro  lento  cammino,  du- 
rante il  ragionamento  di  Virgilio.  —  106. 
thè  solo  a  dò  ecc.  che  la  mia  mento  ormai 
non  ò  intonto  che  a  questo.  —  rlflede:  il 
vb.  rifiedere  può  avere  il  senso  iterativo,  in 
quanto  il  pensiero  di  Danto,  distratto  didla 
digressione  di  Virgilio  sopra  le  origini  di 
Mantova,  è  tornato  ora  a  considerare  i  dan- 
nati che  procedono  per  il  fondo  della  bolgia; 
oppure  un  semplice  significato  intensivo,  come 
se  dicesse  che  il  suo  pensioro  tutto  intonde 
solamente  a  codesta  considerazione  degli  in- 
dovini. — 106.  <^Bel,  ehe  dalla  gota  ecc.  £u- 
rìpilo,  cui  la  barba  discende  dal  viso  sulle 
brune  spallo,  ta.  augure  ai  tempi  della  spe- 
dizione greca  contro  Troia,  alla  quale  parte- 
ciparono tutti  i  maschi  giovìni  e  vecchi,  ri- 
manendo in  patria  solamente  i  fanciulli,  e 
insieme  con  Calcante  trasse  gli  auguri  sul  m<h 


152 


DIVINA  COMMEDIA 


porge  la  barba  in  su  le  spalle  brune, 
VOQ       fu,  quando  Ghrecla  fu  de*  maschi  vota 
si  che  appena  rimaser  per  le  cune, 
augure,  e  diede  il  punto  con  Calcanta 
111        in  Aulide  a  tagliar  la  prima  fune. 
Euripilo  ebbe  nome,  e  cosi  il  canta 
l'iJta  mìa  tragedia  in  alcun  loco: 
114       ben  lo  sai  tu,  che  la  sai  tutta  quanta. 
Quell'altro,  che  ne*  fianchi  è  cosi  poco, 
Michele  Scotto  fu,  che  veramente 
117        delle  magiche  frode  seppe  il  gioco. 
Vedi  Guido  Bonatti;  vedi  Asdente, 


mento  opportono  di  salpare  dal  porto  di  Aoli- 
de,  doTO  i  greci  erano  radunati.  ~  109.  if 
eke  appeia  ecc.  tanto  ohe  appena  vi  rhna- 
Boro  i  fancioUetti  da  cnlla.  —  110.  dleie  il 
pvBtor  aegnò  il  momento  ÌkyQt07<^e  a  yeleg- 
giare.  —  111.  *  togltar  eoo.  a  scioglier  le 
navi,  per  prendere  il  mare.  —  112.  eeaf  11 
CABtAt  lo  nomina  come  augose.  »  118.  r*lta 
Mia  trsgedUt  VlSneidef  poema  di  alto  e  su- 
blime stile;  poiché,  come  Dante  scrive  nel 
De  vuiff,  tioq,  n  4 ,  «  per  tragoediam  snpe- 
riorom  stUtun  indnimos,  por  comoediam  infe- 
riorem,  per  elegiam  stilam  intelUgimos  mise- 
riorem  ».  —  te  alesa  loeo:  dicono  gli  inteiv 
preti  che  si  accenna  al  luogo  dell'J&ln.  n  113 
e  segg.,  dove  il  greco  Sinone  racconta  :  <  Su- 
spensi  Eurypylum  sdtatum  oracula  Fhoebi 
Mlttimus,  isque  adytis  haec  tristla  dieta  r&- 
portat  :  *  Sanguine  placastis  yentos  et  virgi- 
ne  caeea,  Quum  primum  Iliacas  Danai  yeni- 
stis  ad  oiBS  :  Sanguine  quaerendi  reditus,  anl- 
maque  litandum  Argolica*.  Vulgi  quae  vox 
ut  yenit  ad  auies,  Obstupuere  animis  geli- 
dusque  per  ima  cucurrit  Ossa  tremor,  cui  fitta 
patent,  quem  poscat  Apollo.  Hic  IthAcus  va- 
tem  magno  Calchanta  tumultu  Protrahit  in 
medios  ;  quae  sint  ea  numina  diyftm,  Flagi- 
tat  eoo.  >  ;  cosi  ohe  la  citazione  ohe  Virgilio 
fa  dell*  opera  propria  non  ò  da  riferire  al  fiotto 
della  partenza  dei  greci  da  Aulide,  ma  sola- 
mente all'aver  egli  parlato  di  Euripilo  come 
di  un  augure  greco  :  tale,  e  non  altro,  il  senso 
della  frase  eosl  U  carda  l'atta  mia  tragedia,  — 
115.  che  BC'HaBchl  eco.  ohe  ò  cosi  esile  di 
fianchi;  Benv.,  e  quia  erat  naturaliter  talis, 
vel  quia  proptor  studium  erat  mirabiliter 
eztenuatus».  —  116.  Hieh«le  Scotto:  Mi- 
chele Scotto,  fiorito  nolla  prima  metà  del  se- 
colo xm,  ebbe  gran  fEuna  ai  suoi  tempi  come 
divinatore.  Di  lui  scrive  il  Lana:  «  Fu  indo- 
vino dell'Imperatore  Federico;  ebbe  molto 
per  mano  l'arte  magica,  si  la  parte  delle  co- 
niurazioni  come  eziandio  quella  delle  iraagi- 
ni  ;  del  quale  si  ragiona  ch'essendo  in  Bolo- 
gna e  mando  con  gentili  uomini  e  cavalieri 


e  mangiando  come  s'usa  tra  essi  in  brigala 
a  casa  l'uno  dell'altro,  quando  venia  la  volta 
a  lui  d'apparecchiare,  mai  non  fSaoova  fìare 
alcuna  cosa  di  oudna  in  casa;  ma  avea  spi- 
riti a  suo  comandamento,  oho  li  fsoeva  le- 
vare lo  lesso  della  cudna  dello  le  di  Fran- 
cia, lo  resto  di  quella  del  re  d'Inghilterra, 
le  tramosso  di  quella  del  re  di  Oidlia,  lo  pane 
d' un  luogo  e  '1  vino  d' un  altro,  confetti  e 
frutta  là  onde  li  piaoea,  e  questo  vivande 
dava  alla  sua  brigata  ».  L*An.  fior.,  oltre 
questa  novoUa,  un'  altra  ne  reca  di  viti  piene 
di  grappoli  d' uva  matura  tatto  i^parìre  sur 
una  mensa  da  Michele  Scotto,  e  altre  cose 
mirabili  di  lui  raccontavano  gli  antichi.  Scris- 
se profezie  latine,  e  Salimbene  da  Parma 
{Ohrmieaf  Parma,  1857,  p.  176)  ne  riferisce 
una  assai  lunga  sulle  future  vicende  delle 
dttà  italiane,  che  ò  ricordata  anche  da  Benv. 
e  da  e.  ViUani,  Or,  zn  19.  —  118.  Oaldo 
Boaattl:  fiunoso  astrologo  forlivese  del  se- 
colo xm,  che  fri  lungo  tempo  ai  sorvig;!  del 
conte  Guido  di  Montefeltro  (cfr.  Inf,  xxvii 
29).  Bonv.  scrive  di  lui  :  «  Isto  fnit  Guido 
Bonattus  magnus  astrologus  oomitis  Quldo- 
nis  famosi  de  Montofsltro;  et  eum  ipso  oomes 
teneret  Forlivium,  patriam  ipsius  Gnidonis 
in  Romandiola,  ubi  erat  prìnoeps  partis  ghl- 
bellinae,  utebatur  Consilio  istius  astrologi  in 
omnibus  agendis.  Et  satis  constans  opinio  mol- 
torum  fuit,  quod  ipso  obtinuerit  multas  vioto- 
rias  centra  bononienses  et  alios  adversorìos 
suos,  opera  istius  Guidonis.  Iste  Guido  quam- 
vis  reputaretur  a  vulgo  fatuus  et  phantasti- 
cus,  tamen  saepe  mirabilitor  iudicabcuit;... 
fedt  opus  pulcrum  et  magnum  in  astrologia, 
quod  ego  iddi,  in  quo  tam  dare  tradit  doctri- 
nam  de  astrologia,  quod  visus  est  volle  de- 
cere femlnas  astrologtam  ».  Si  veda  su  G. 
Bonatti  0  lo  sue  opere  astrologiche  la  mono- 
grafia di  B.  Boncompagni,  Roma,  1851.  — 
—  Aideate  :  maestro  Benvenuto,  calzolaio  di 
Parma,  conosciuto  col  sopranomo  di  Asden- 
te, senza  lasciar  1*  arte  sua  diossi  alla  divi- 
nazione,  diventando  per  ossa  fiunoaisBiiao 


INPERNO  -  CANTO  XX 


1B3 


che  avere  inteso  al  cuoio  ed  allo  spago 
120       ora  vorrebbe,  ma  tardi  si  pente. 
Vedi  le  triste  che  lasdaron  Pago, 
la  spola  e  il  foso,  e  fecersi  indovine; 
123       fecer  malie  con  erbe  e  con  imago. 

Ma  Vienne  ornai,  che  già  tiene  il  confine 
d'amendue  gli  emisperi  e  tocca  l'onda, 
12G        sotto  Sibilla,  Caino  e  le  spine; 
e  già  iemotte  fu  la  luna  tonda: 
ben  ten  dèe  ricordar,  che  non  ti  nocque 
129        alcuna  volta  per  la  selva  fonda  >. 
Si  mi  parlava,  ed  andavamo  introcque. 


((fr.  Cam,  IT  16):  fiori  nella  seconda  metà 
M  weolo  zm,  e  il  suo  concittadino  Salim- 
hm  ne  pari»  {Ckromea,  pp.  284,  801,  804), 
&en4do  «panper  homo  poros  et  simplex 
le  tìoMns  Denm,  et  coiialis,  ideet  orbanita- 
t»  babons,  et  illitterains  ^  e  attestando  che 
«  iioainatnm  valde  intellectom  habebat  in 
ta&toa  ut  intelligeret  scriptnias  illorom  qui 
de  fotoiìs  praedixeront  >.  —  121.  la  triste 
«ce.  lo  donne,  che  lasciando  gli  esercizi  fém- 
■iiili  del  eocìre,  del  tessere  e  del  filare  si 
disd«o  alla  dìTinazlone.  Dante  accenna  ge- 
MriesasBt»  le  maliarde,  che,  non  ostante  le 
tOKì  e  ferool  persecuzioni,  forono  nnmero- 
lifliBe  ai  saoi  tempi  ;  non  parendogli  che 
aletna  fosse  degna  di  particolare  menzione, 
0  Utsm  perché  nessuna  era  venata  in  gran 
tea:  e  omnia  terra  est  piena  vetolia  facien- 
tftes  tslia>,  dice  Benv.,  e  l'An.  fior.  :  «  co- 
M^ammtft  ootalì  femminelle  molte  se  ne  tro- 
▼8B0  ^e  Tanno  dirietro  a  incantamenti  et  a 
■aUe».  —  128.  eoa  er¥e  e  eoa  Uiage:  An. 
ior.:  «  Pooosi  £sre  malie  per  virtù  di  certe 
«rke  oediaati  alcone  parole,  o  per  imagine 
di  ee»  o  d'altro  fatte  in  certi  punti  et  per 
certo  modo  ehe,  tenendo  questo  imagini  al 
fam»  o  ficcando  loro  spilletti  nel  capo,  cosi 
fsis  che  senta  colui  a  cui  imagine  elle  sono 
tette,  eoBM  la  imagine  che  si  strugga  al  fìio- 
eo  >.  —  124.  già  tiene  eoo.  la  luna  è  già  al- 
i'odaonte,  che  separa  i  due  emisferi  terre- 
itn,  e  tramonta  neli'  oceano  al  di  là  della 


Spagna.  —  126.  ioUo  «bUla.*  al  di  là  di 
^viglia,  città  della  Spagna.  —  CaUe  e  le 
iplaes  la  luna;  designata  cosi  per  la  creden- 
za  popolare  accennata  in  Par,  n  60.  —  127. 
e  già  Iemotte  eoe  Allorché  i  due  poeti  en- 
trarono  nel  settimo  cerchio  erano  all'  incirca 
tre  ore  antimeridiane  del  9  aprile  (cfr.  la 
nota  ali*  Inf,  xi  118)  :  visitarono  rapidamente 
i  tre  gironi  dei  violenti  e  le  prime  quattro 
bolge  (cfir.  gli  accenni  a  rapido  cammino  in 
Inf,  xn  26,  xm  1-2,  xiv  78,  139,  xv  13-15, 
86,  XVI  91,  121,  xvn  40,  76-77,  xvi'u  20-21, 
68-72,  XIX  40-41)  e  si  trovarono  sull'argine 
che  divide  la  quarta  bolgia  dalla  quinta  al- 
lorché la  luna,  che  era  stata  piena  nolla  notte 
precedente  all'  8  aprile,  tramontava  già  al- 
l'orizzonte, ciod  era  già  lovato  il  sole  da 
un*  ora  :  e  però  erano  circa  le  sei  antimerìd. 
del  9  aprile  (cfr.  Inf,  xxi  112)  allorquando 
Dante  e  Virgilio  si  disponevano  a  passare  sul 
ponte  della  quinta  bolgia:  cfr.  Moore,  pp.  é7- 
49.  —  Iemotte  :  la  notte  procedente  all'  8  apri- 
le: cfr.  Ih/".  I  1,  XV  62,  e  Purg,  xxm  118-120. 
—  128.  non  ti  loef  ne  ecc.  pifi  d'una  volta 
ti  giovò  il  lumo  della  luna  piena,  mentre  tu 
eri  smarrito  nella  oscura  selva.  — 129.  fonda: 
profonda,  e  cosi  chiama  la  selva  perché  Dante 
v'era  caduto  dentro,  smarrendo  la  retta  via. 
-^  180.  latroeqae:  frattanto,  intanto;  voce 
arcaica,  di  quelle  che  Dante  stosso  {De  vulg, 
»hq.  I  18)  censurò  nei  dialetti  toscani  (cfr. 
Parodi,  BuU.  m  133). 


CANTO  XXI 


Peirenati  i  due  poeti  sul  ponte  della  quinta  bol^a,  ove  sotto  la  gn&rdìsi 
dei  diaToIi  sono  i  barattieri  tuffati  nella  pece  bollente,  vedono  Io  strazio 
di  «n  laecheee  arriyato  allora  all'  inferno  :  Virgilio  s'avvicina  per  Tardine 
a  Malacoda,  capo  dei  diavoli,  per  ottenere  il  passo;  e  quindi  i  due  poeti 
eoDtiniiano  il  loro  cammino  sull'argine  stesso,  preceduti  da  una  schiera  di 
éiavoU  (9  aprile,  dopo  le  ore  ael  antimeridiane]. 


154 


DIVINA  CaMMEDIA 


12 


15 


Cosi,  di  ponte  in  ponte,  altro  parlando, 
che  la  mia  commedia  cantar  non  cura, 
venimmo,  e  tenevamo  il  colmo,  quando 

ristemmo  per  veder  l'altra  fessura 
di  Malebolge  e  gli  altri  pianti  vani; 
e  vldila  mirabilmente  oscura. 

Quale  nelParzanà  de'viniziani 
bolle  l'inverno  la  tenace  pece 
a  rimpalmar  i  lor  legni  non  sani, 

che  navicar  non  ponno,  e  in  quella  vece 
chi  fìi  suo  legno  nuovo,  e  chi  ristoppa 
le  coste  a  quel  che  più  viaggi  fece, 

chi  ribatte  da  proda  e  chi  da  poppa, 
altri  ÙL  remi  ed  altri  volge  sarte, 
chi  terzeruolo  ed  artimon  rintoppa: 

tal  non  per  foco,  ma  per  divina  arte 
bollia  là  giuso  una  pegola  spessa 


XXI  1.  di  pomte  In  poate:  dal  ponte 
della  qnarta  a  quello  della  quinta  bolgia. 
—  2.  eommedfa:  nell'Epìst.  a  Cangrande, 
§  z,  il  poeta  dico  che  il  titolo  dell*  opera 
ò  IncipU  Oomoedia  Dantìa  Alagherii,  florm- 
tini  ncUioM,  non  moribw,  e  commedia  (con 
l'accento  etimologico,  come  tragedia  in  Inf, 
XX  113;  cfr.  Parodi,  BuU.  m  107),  lo  chia- 
ma qni  e  in  Inf.  XVI  128:  solo  una  Tolta 
nsa  la  denominazione  di  poema  sacro  {Par, 
XXV  1)  —  8.  il  eolmo  :  il  colmine,  il  ponto 
colminante  del  ponticello  arcuato;  cfr.  Inf. 
XIX  128.  —  4.  l'altra  fetinra  ecc.  la  quinta 
bolgia,  ove  sono  puniti  i  rei  di  baratteria, 
quelli  cioè  ohe  per  danaro  o  altro  privato  van- 
taggio vennero  meno  ai  doveri  del  loro  ufficio 
danneggiando  il  loro  comune  o  il  loro  signore  : 
Dante  parla  prima  di  quelli  che  esercitarono 
baratteria  nei  governi  a  comune  (l'anziano 
lucchese)  e  poi  di  coloro  oho  l'esercitarono 
servendo  un  governo  di  signore  (Cìampolo  di 
Navarra,  fn  Gomita,  Michele  Zanche).  —  7. 
({vale  nelP  arsanà  ecc.  Biag.:  «  Con  questa 
bella  similitudine  vuole  il  poeta  principale 
mente  por  sotto  gli  occhi  del  lettore  la  spa- 
ventosa imagine  di  quella  bollente  pece,  ove 
puniti  sono  i  barattieri  ;  e  si  distende  poi  ai 
particolari  con  ui  vivi  oolori,  che  par  proprio 
che  si  veggano  le  operazioni  diverse  e  che 
s'oda  il  tumultuoso  fracasso  di  quella  gente  ; 
e  chi  esaminerà  bene  i  cinque  ultimi  versi  vi 
scorgerà  un'  eloquenza  o  fiftoondla  mirabile, 
un'azione,  un  movimento,  un  ardore  tale,  con 
quel  fervei  opus  virgiliano,  che  maggiore  non 
si  pud  desiderare  >.  —  arzanà:  arsenale 
(dall'arabo  dài^anah  :  Diez  27)  è  il  luogo  vi- 
cino al  maro  oon  le  officine  necessarie  por  la 


fabbricazione  e  riparazione  del  navigli  :  quello 
ai  Venozia,  ftunoso  tra  gli  arsenali  del  me- 
dioevo, fa  costrutto  nel  1101  e  ampliato  gran- 
demente nel  1308  (ofr.  N.  Barozzi,  Aoomwi  a 
cose  venete  nella  D.  O,  nel  Danie  e  il  meo  se- 
colo, p.  801).  La  deaorizione  fattane  da  Dante 
dimostra  che  egli  l'aveva  visitato  :  «  egli  sco- 
pre, nota  il  Bassermann,  p.  465,  ed  esprìme 
oon  1^  sua  oomparazione  appunto  old  che 
costituisce  l'arteria  vitale,  il  onore  della  re- 
gina dell' Adrìatioo;  il  luogo  ove  e«a  si  ci«ò 
i  mezzi  della  sua  potenza  e  la  fonte  «*oii*  sua 
ricchezza  ».  —  9.  a  rlmpalMar  ecc.  per 
impalmare  novamente  di  pece  i  navigli  gnar 
sti  dalla  navigazione.  —  10.  che  MaTlear 
eco.  perché  i  veneziani  non  possono  navigar 
nell'inverno,  n  Buti  tra  gli  antichi,  e  il 
Biag.,  tra  i  moderni,  leggono  che  ntmeor  non 
ponno,  riferendolo  ai  legni  i  quali  non  sono 
pi6  adatti  alla  navigazione,  se  prima  non 
siano  racconciati.  —  e  U  quella  vece:  e  in- 
vece di  navigare.  —  11.  ristoppa  le  coate  : 
tura  con  la  stoppa  le  Cesure  nei  fianchi  de) 
navigUo.  —  13.  9kì  ribatte  eoe  ohi  ribatte 
o  rafforza  con  chiodi  la  prora  o  parto  ante- 
riore della  nave,  chi  la  poppa  o  parte  poste- 
riore. —  14.  altri  eco.  i  remai  fitbbricano  i 
remi,  i  cordai  avvolgono  canape  e  ne  fanno 
sarte  o  funi  per  le  vele.'—  15.  ehi  terze- 
molo  ecc.  altri  rappezzano  le  vele.  Butì  : 
e  la  nave  porta  tre  vele,  una  grande  ohe  si 
chiama  aritnume,  una  mezzana  la  quale  si 
chiama  la  mexatana,  et  un'  altra,  la  minare, 
ohe  si  chiama  Ur%eruoUì  ».  —  16.  moa  per 
foco  eoo.  non  per  forza  di  fnooo,  ma  per  po- 
tenza divina.  —  17.  «aa  pegola  spesaa:  mia 
pece  densa  ;  pegola  ò  la  voce  popolare,  fooa 


INFERNO  —  CANTO  XXI 


155 


18        ohe  inTÌscava  la  ripa  da  ogni  parte. 
Io  vedea  lei,  ma  non  vedeva  in  essa 
ma  che  le  bolle  che  il  boiler  levava, 
21        e  gonfiar  tutta,  e  riseder  compressa. 
Mentr'io  là  giù  fisamente  mirava, 
lo  dnoa  mio  dicendo:  «  Guarda,  guarda!  » 
24        mi  trasse  a  sé  del  loco  dov'io  stava. 
Allor  mi  volsi  come  l'uom  cui  tarda 
di  veder  quel  che  gli  convien  fuggire, 
27        e  cui  paura  sùbita  sgagliarda, 

che  per  veder  non  indugia  il  partire: 
e  vidi  dietro  a  noi  un  diavol  nero 
80       correndo  su  per  lo  scoglio  venire. 
Ahi,  quanto  egli  era  nell'aspetto  fiero! 
e  quanto  mi  parca  nell'atto  acerbo, 
C3        con  l'ale  aperte,  e  sopra  i  pie  leggiero? 
L'omero  suo,  ch'era  acuto  e  superbo, 
carcava  un  peccator  con  ambo  l'anche, 
06        e  quei  tenea  de' pie  ghermito  il  nerbo. 
Del  nostro  ponte  disse  :  «  0  Malebranche, 
ecco  un  degli  anzian  di  santa  Zita; 


Ih  Toee  di  fonnadone  dotta.  —  20.  «a  die: 
Ami  che  ;  dr.  Inf.  nr  26.  —  21.  •  gonfiar 
«e.  e  Tederà  la  pece,  che  bollendo  gonfiava 
e  liouloTa  giù  ristretta.  Bioorda  il  Tirgilia- 
Bo,  Qeorg,  n  479:  «  ...qua  vi  maria  alta  ta- 
OMcant  ObiicUnis  raptis,  roisnBqne  in  se 
^reaidant».  —  24.  del  loeo  eoe:  cfir. 
l'espreasione  eonalmile  nel  Pwrg,  ti  78.  — 
S.  AUer  eoo.  Dante,  all'  invito  di  Virgilio, 
à  Tolfle  come  nomo  ansioso  di  vedere  cosa 
pericolosa,  il  qoale  per  l' improvvisa  paura 
fosirda  e  fugge  nello  stesso  tempo.  —  27.  e 
cai  paarm  ecc.  :  rende  felicomonte  l' ovidia- 
Bo,  Snii.  zrv  132  :  e  Vires  subtrahit  ipee 
tbaor».  —  28.  eke  per  veder  eoo.  Petrarca, 
Tnom(o  d'Arni  xv  166  :  e  Che  '1  piò  va  in- 
unzi  e  r  occhio  toma  indietro  >.  —  29.  e 
tMI  dletre  eoe  Dante  voltandosi  indietro 
ride  un  diavolo  die  correva  su  per  il  ponte 
della  quinta  bolgia,  portando  un  peccatore 
•Doza  allora  precipitato  nel  cerchio  ottavo, 
dopo  il  giudizio  di  Minos,  di  cui  i  diavoli  sono 
■inistri  ed  esecutori  :  cl!r.  h^f,  v  18.  —  81. 
AU,  qiaato  eoe  Si  oecervi  questa  mirabile 
pittnza  di  un  diavolo,  del  quale  prima  Dante 
mcoo^  r  impressione  generale  accennando 
•Ha  fierezza  dell'aspetto,  poi  l'atteggiamento 
sÌBiitro  per  le  ali  aperte  che  accrescono  la 
nptdità  del  suoi  movimenti.  -~  82.  nell'atto 
•ctrte  :  crudele  e  feroce  nel  suo  atteggia- 
Bento.  —  84.  acvte  o  superbo:  «  appuntato 
Malto»,  dice  il  Buti:  infatti  neUe  antiche 


pitture  si  trovano  figurati  i  diavoli  eon  le 
spalle  sporgenti  e  angolose,  per  difetto  di 
carne.  —  85.  un  peccator  ecc.  un  peccatore 
era  caricato  a  cavalcione  sur  una  spalla  del 
demonio,  il  quale  teneva  afferrate  le  gambe 
di  lui  al  collo  dei  piedi.  —  87.  Dei  nostro 
ponte  disse:  dal  ponte,  ove  io  e  Virgilio 
eravamo,  gridò  ai  compagni.  Questo  episodio 
umoristioo  dell'anziano  luocheee  ò  stato  illu- 
strato con  opportune  notìzie  storiche  e  con 
acute  riflessioni  dal  Bossermann,  pp.  183-139. 
~  o  Maiebranehe:  Malebranche  ò  il  nome 
generico  dato  dal  poota  ai  diavoli  custodi  della 
quinta  bolgia  (cfr.  Inf,  xxii  100,  xxin  23, 
ii«m  142).  Benv.  :  €  Diaboli  habentes  malas 
branoas,  quia  habent  ungues  curvatas  ad  ra- 
piendum  ;  et  vere  sont  malae  branchae,  unde 
vae  illis  qui  perveniunt  ad  manus  eorum  ».  — 
88.  eeeo  nii  degli  anzian  eco.  Gli  anxiani 
erano  nei  comuni  italiani  magistrati  popolari, 
che  reggevano  lo  Stato  insieroo  col  Podestà  e 
col  Capitano  del  popolo,  costituendo  il  potere 
esecutìvo  :  in  Lucca  questo  magistrato,  santo 
ed  onorabUe  ufficio^  era  di  dieci  cittadini  tratti 
a  sorte  (cft.  Ó.  Tommasi,  Scmm.  delia  storia 
di  Lueea^  Firenze,  1847,  p.  145  ;  C.  Minutoli, 
Dooum,  di  storia  luoehssef  Firenze,  1847,  p. 
135  ;  Rezasco,  Dix.  87).  —  di  saaU  ZIU: 
Zita  da  Honsagratì  presso  Pontremoli,  nata 
nel  1218  e  morta  nel  1272,  visso  santamente 
in  Lucca,  dove  fu  sempre  adorata  con  vone- 
laaione  speciale  (cf^.  S.  Montreuil,  Vis  d» 


156 


DIVINA  COMMSDU 


89       mettetel  setto,  ch'io  tomo  per  anche 
a  quella  terra  ch*i  n'ho  ben  fornita: 
ogn'uom  y'ò  barattieri  fuor  che  Bonturo; 
42       del  no  per  li  denar  tì  fli  &  ita». 
Là  giù  il  buttò,  e  per  lo  scoglio  diOTO 
si  volse,  e  mai  non  fu  mastimo  sciolto 
45       con  tanta  fretta  a  seguitar  lo  furo. 
Quel  s'attuffò,  e  tornò  su  convolto; 
ma  i  demon,  che  del  ponte  «rean  coperchio, 
48       gridar:  «  Qui  non  ha  loco  il  santo  Volto, 


8akU$  ZUe,  Parigi,  1846)  ;  perdo  Dante  chU- 
ma  afi»<afti  (M  Mmto  Zito  ^  amdani  di  Lnoca, 
città  derota  di  quella  lanta.  — 89.  aattelel 
■otto  :  ohi  da  questo  peooatore  non  dioono  i 
commentatoli  ;  solamente  il  Bnti,  tradnoendo 
nna  chiosa  più  antica  (cfr.  IL  BaiM,  BiOL 
YL  214),  rifezisoe  che  alcuni  al  suo  tempo  cre- 
doTano  trattarsi  di  Martino  Bottaio,  «  il  qnalo 
mori  nel  mcoo,  l'anno  ohe  Taotor  finge  che 
avesse  questa  fantaslA  >,  «aggiunge  ohe  «  te 
costui  un  gran  cittadino  In  Lucca  al  tempo 
suo,  e  concorse  con  Bonturo  Dati  e  con  al- 
tri uomini  di  bava  mano,  òhe  reggerano  al- 
lora Lucca  ;  onde  andato  una  Tdta  amba- 
sdadoro  al  Papa  per  lo  suo  Comune,  ragio- 
nando un  di  col  papa  di  sua  condizione  disse  : 
QroUaml,  grollami,  santo  Padre,  che  mezza 
Lucca  grolleiai  ;  quasi  volesse  dire  oh'  eli! 
era  uno  do'  due  che  reggevano  Lucca,  e  Bon- 
turo Dati  era  l'altro  :  et  allora  che  mori  era 
anziano  >.  Ma  le  storie  luoofaeei  non  parlano 
di  Martino  Bottaio,  e  l'aneddoto  dell'  amba- 
Bceria  pontiflda  è  da  altri,  come  Benv.  e 
l'An.  fior.,  riferito  a  Bonturo  DatL  —  tome 
per  aneke  ecc.  tomo,  por  prendere  altri  ba- 
rattieri, a  quella  dttà,  che  io  ho  riempita  di 
oot&U  peccatori.  —  40.  ek'l'  m'ho  kea  ecc. 
Lana:  e  imperò  o* ho  bon  fornita  quella  terra 
di  tal  condizione».  La  lesione  comune  ehé 
n'è  bm  fìjtnUa  darebbe  un'  inutile  ripetizione 
dell'  idea  stessa  nella  medesima  tenina.  — 
41.  BoBiuro:  Bonturo  Dati  fti  oapo  della 
parte  popolare  in  Lucca  al  prindpio  del  se- 
colo zrv  e  fti  di  tanta  autorità  ohe  le  coso 
di  quel  comune  potò  condurre  e  maneggiare 
pi6  anni  a  sua  poeta  :  nel  18U,  trattandosi 
accordi  fra  Pisa  e  Lucca,  l' insolenza  di  Bon- 
turo, che  negò  al  pisani  la  restituzione  dol 
castello  d' Asciano  dicendo  agli  ambasdatori 
che  1  lucched  tenevano  quel  castèllo  come 
specchio  per  lo  donne  pisane,  fti  cagione  di 
un'  aspra  guerra  fra  le  duo  dttà,  guerra  riu- 
sdta  assai  dannosa  a  Lucca  :  allora  il  popdo 
costrinse  il  Dati  a  fuggire  od  egli  riparò  a 
Firenze,  ove  mori  (cfr.  Q.  YHlaBl,  O.  vn  122  ; 
A.  Mussato,  De  getti»  Hai,  in  Mur.  Rer.  UaL 
X  694;  Cfnm,  pU.  in  Mur.,  R§r.  UetL  XY 
967-8;  C.  MlnutoU,  OeiUmea  eoo.  in  Dm^ 


eil  mio  m.i  pp.  211-220).  Dante  parla  di 
Bonturo  ironicamente,  poiché  ei^  «A&  lo 
maggior  bacattiai  di  palagio,  che  fosse  o  ri 
sapida  in  quella  dttà  >»  come  attesta  il  Lana. 

—  42.  del  Bo  eco.  Lana  :  «  Aedo  ohe  paia 
ben  ohe  tutti  U  loosèesi  siano  di  tal  condì- 
zLone,  dice  die,  al  oonaigUo,  dd  no  d  &  ito 
dod  sC,  per  denari.  Usanza  è  a  Loooa  ohe  al 
consiglio  d  vae  due  bossoli  attorno,  uno  àor9 
d  mette  la  ballotta  dd  sfo,  l'altro  è  queUo 
dove  d  mette  la  ballotta  dd  fide.  S  dice  «Ili 
di'esd  sono  d  oenottl  a  danari  tórre,  che 
dovendo  Biettsfo  per  lo  ben  comune  nd  boa- 
solo  dd  ads,  ed  eUi  baratta  per  denari  enet- 
telo  in  lo  bossolo  dd  d«  »,  Efficace  pittura, 
nelle  rozze  parole  dd  commentatore  treoen- 
tiata,  dello  barattede  esefdtote  diesai. pei 
ne'pubblid  oonsi^l  Simili  espiesdenl,  del 
resto,  erano  divenute  pq^lari  e  in  un  pso- 
oeao  luoohese  dd  1840  (S.  Bongi,  A^yi» 
di  MviMjMHatoeoc.  Bologna,  1890,  pag.  20) 
d  trova:  «  Tu  diresti  dol  duo,  e  del  nod; 
tu  diresti  dd  no  ^  e  del  d  no  >.  —  44.  a 
BMl  non  Al  eoo.  e  md  masliao,  sddto  per- 
ché inseguisse  U  ladso,  fri-plù  véfeoo  eoo. 
Questa  similitBdiBe  eonitiene  in  pime  quella 
più  ampiamente  espUoata  dd  w.  67  e  segg.; 
se  non  che  noU'  una,  dd  sane  ohe  s'aweata 
fariosamonte  addosso  d  ladro,  è  aotata  4a 
drcostanza  ddla  vdodtà,  nell'alte  invece 
l'atto  stesso  deU'awentaidf  l' impeto  fririceo 
coatro  i  povereUL  —  46.  I^el  eoe  n  barat- 
tiere s'attnffò  netta  peoe  bollente  e  pd  ap- 
parve fuori  e  oon  l'aroo  della  sobieaa»,  ooae 
Dante  dice  in  iìi/:  zxo  19-24  dd  ddini,  ai 
quali  paragona  appunto  i  dsnnaiH  dsila  quinta 
bolgia.  Altri  intendono  «ONSoKOy  non  già  eeaae 
piegato  In  arco,  ma  per  involto,  eeperto  di 
peoe  da  capo  »piè;  interpretadene non  oon- 
termata  abbastanza  dagU  esempi  aatlohi  d^ 
tati  dal  Dd  Lungo,  Dmde  HdTL  —  47.  alM 
del  peate  eoe  ohe  stavano  aoMo  11  ponte. 

—  48.  U  aanle  YtHet  ehiamano  i  luoohed 
retto  AmIo  una  antichissima  imagine  di  Gesù 
Oisto,  scolpita  in  legno  e  conservata  da 
ten^  remoti  ndla  basHioa  di  B.  Martino  in 
Lueoa;  ddU  quale  imaglne  gli  abitasti  di 
quella  dttà  ftaionoasoiio  devodsBimL  B«ti  • 


INFERNO  -  CANTO  XXI 


1D7 


qui  si  nootA  altrimenti  ohe  nel  Serohio: 
però,  se  tu  non  vnoi  de' nostri  graffi, 
61       non  ùa  sopra  la  pegola  soperchio  >. 
Poi  raddentftr  con  più  di  cento  raffi; 
disser:  «  Coperto  oonrien  che  qui  balli, 
64       8Ì  che,  se  puoi,  nascosamente  accaffi  ». 
Non  altrimenti  i  cuochi  ai  lor  vassalli 
fimno  attn&re  in  mesio  la  caldaia 
67       la  carne  con  gli  undn,  perché  non  galli. 
Lo  buon  maestro  :  «  Acciò  che  non  si  paia 
ohe  tu  ci  sii,  mi  disse,  giù  t'acquatta 
60       dopo  uno  scheggio  che  alcun  schermo  t'àia; 
e  per  nulla  ofiElansion  che  mi  sia  fatta, 
non  temer  tu,  ch'io  ho  le  cose  conte, 
63       perché  altra  volta  fai  a  tal  baratta  »• 
Poscia  passò  di  là  dal  co' del  ponte, 
e  oom'ei' giunse  in  su  la  ripa  sesta. 


<S  pQft  ialeiidara  the  eohii  tonstor  n  dl- 
eMe:<Snlo  Volto,  alitMiU  '  ;  e  p««  ii« 
ipoBdMwno  ooii  li  demoni  ;  «Itiimttiitt  il  pii6 
fi»  eho.»  U  dMBont  MdMrneBdòlD  dioeMono: 
'nttt  ta  teori  por  Ttim  1»  tao  8Mto  Volto 
^  Laeea?  e  cbinlto  ponhé  f  alutt?  q:iil  no, 
■01  à  Inogo'  ;  •  per  qneito  il  ik  bèflb  l'aa- 
ton  de'tooelieii,  eie  anno  la  eonttnio  pu^ 
to*  lo  lor  Volto  8Mtto»«  8ooond#il  Bmmn 
■aan,  p.  187  Danto  aUiiderobbo  non  idlo  al- 
f  toagiae  mfraimliTffi,  ma  alla  moneto  loo- 
diw  ^  ne  xaeaTa  l'improi^  —  49.  qmì 
rinetaeoo.  Q  Serohio  è  Aamé  ohe  nasce  nei 
■«itideDa  Lnnigiaaa  e  eoone  liooo  di  fre- 
tto aoqiie  lino  al  mare  Tirreno,  penando  a 
f'>"«"«*iT>  dtotan»  dalla  oittà  di  Loooa. 
ftfi:  c&aoomaetodine  antica  òhe  per  nna 
iHti  B  canlieii  Incohesi  andavano  al  monto 
m  QBìliei  e  begnavanii  nel  Serohio,  entran- 
imì  coi  panni  e  penendo  di  là  »  ;  ma  più 
cto  a  foflsto  folto  Danto  avrà  peniato  aiba- 
pi  eke  i  laocheil  eoleano  foro  d*eitoto  nelle 
tonfa»  aeq^e  del  fbime,  Moondo  nn'nianza 
licMdato  dal  Lana,  e  dai  Bati  stono.  —  60. 
mfl:  itramenli  di  fono  uncinati,  ohe  al 
T.  0, 100  e  hif.TJU  U7  aono  detti  rafjt, 
•iT.  71o  W*  TJunnmoigHt  e  ai  tt.  67, 
^  V.  zm  60,  U9  HNoM.  —  6L  aeafkr 
«I.  non  Teoire a gdla.  —  64.  aeealll:  il  rh. 
'Bttgtn,  dice  l'An.  flor.,  e  ò  ano  vocabolo 
v«lcve  floceotiao  et  antico  >  e  significa  o/far- 
fm  (cfr«  Parodi,  Butt,  DI  148):  qui  l'osano 
i  Asvoi  psr  ammonire  un  infolioe  barattiere 
Aiitt  bsaeotto  la  pece  e  di  asoime  solo  sen- 
!*«■«  visto,  sepotrà,  eogUendo  fartìvamento 
a  ansato  fo^orevole.  —  66.  Hea  altri- 
■nttsue.  Come  i  enoohi  foono  ai  loro  aia- 
todiattafne -eoa  uncini  la  carne  ia  meno 


alla  caUato  perOhé  nel  bollire  non  galleggi 
toor  deU'aeqoa,  ood  i  diavoli  tenevano  coi 
raffi  i  barattieri  sotto  la  pece.  —  vassalli: 
servi,  fonti  (cfr.  IMez  888).  —  67.  galli  :  il 
fattore,  cho  Dento  usa  anche  in  senso  tra- 
slato in  Utrg,  x  127,  vaio  quanto  galleggia- 
re, stare  a  galla  :  cfir.  Diex  874.  —  68.  Àeeiò 
etto  nea  eoo.  Afflneh4  i  diavoli  non  ti  veg^ 
gano,  nasconditi  dietro  ona  delle  sporgenze 
dello  scoglio,  la  quale  possa  esserti  riparo. 
<  Strano  deve  sembrare  (cosi  lo  Scart.)  que- 
sto conumdo  di  Viigilio  al  suo  allievo  quando 
si  rifletto  ohe  i  due  poeti  erano  già  da  al- 
cuni momenti  sa  qaello  scoglio  senza  proca- 
ntre di  nasoondersL..  J^sognerà  però  sappor- 
re che  i  demoni  sotto  il  ponto  non  abbiano 
ancora  goardato  in  sa,  ocoopati  come  erano 
oolPanzian  di  santo  Zito,  e  che  il  diami  iMro, 
nella  saa  gran  fretto  di  tornar  ptr  ane/is  a 
Lacca,  non  abbto  guardato  attorno,  dimodo- 
ché i  dae  viandanti  non  siano  anoor  stati 
ceservati  dai  diavoli  di  questo  cerchio.  In- 
fotti  dai  V.  67  e  segg.  ne  risulto  che  i  de- 
moni non  aveano  anoor  veduto  Viigilio». 
-^  60.  leheggles  sporgenza  dello  scoglio; 
oome  weheggia  in  Inf,  zxiv  28,  zxvi  17,  e 
ÈOheggion  al  v.  89  di  questo  canto.  —  àlas 
aggia,  lat.  habnU;  fonna  arcaica,  della  quale 
cito  esempi  il  Nannucd,  Verbi  607,  e  ohe 
ricoiie  anche  in  Fùr.  xvn  140  :  e  usitatissi- 
ma  nella  lirica  anteriore,  siouleggianto  o  pro- 
venzaleggianto  »,  Parodi,  BulL  IH  100.  — 
62.  cento:  cognito,  conosciuto.  —  68.  altra 
volto:  cfr.  ifi?.  xz  22.  —  baratta:  contrasto, 
contesa;  cfr.  Parodi,  BtUL  m  149.  —  64. 
eo'  del  ponto:  capo,  principio  del  ponto  ;  cfr. 
Utrg,  m  128.  —  66.  ripa  sesta:  1*  argine 
che  divide  la  quinto  dalla  sesto  bolgia.  — 


168 


DIVINA  COMMEDIA 


66        mestier  gli  fu  d'aver  sicura  fronte. 
Con  quel  furor  e  con  quella  tempesta 
ch'escono  i  cani  addosso  al  poverello, 
69       che  di  sùbito  chiede  ove  s'arresta; 
usciron  quei  di  sotto  il  ponticello, 
e  volser  contra  lui  tutti  i  roncigli; 
72        ma  ei  gridò  :  «  Nessun  di  voi  sia  fìllio  ! 
Innanzi  che  l'uncin  vostro  mi  pigU, 
traggasi  avanti  alcun  di  voi  che  m' oda, 
75        e  poi  d'arroncigliarmi  si  consigli  ». 
Tutti  gridaron:  «  Vada  Malacoda  »; 
per  che  un  si  mosse,  e  gli  altri  stetter  fermi; 
78        e  venne  a  lui  dicendo  :  <  Che  gli  approda?  > 
<  Credi  tu,  Malacoda,  qui  vedermi 
esser  venuto,  disse  il  mio  maestro, 
81        sicuro  già  da  tutti  vostri  schermi, 
senza  voler  divino  e  fato  destro? 
Lasciami  andar,  che  nel  cielo  è  voluto 
8i        eh'  io  mostri  altrui  questo  cammin  Silvestro  ». 
Allor  gli  fu  l'orgoglio  si  caduto 
ohe  si  lasciò  cascar  l'uncino  ai  piedi; 
87        e  disse  agli  altri  :  <  Omai  non  sia  feruto  ». 
£  il  duca  mio  a  me:  «  0  tu,  che  siedi 
tra  gli  scheggion  del  ponte  quatto  quatto, 


66.  sievra  Croate:  sembiante  impertorbato, 
proprio  dell'uomo  coraggioso.  —  67.  Com  4«tl 
faror  ecc.  :  cfr.  la  nota  al  ▼.  44.  —  ten- 
peata:  impoto  fragoroso.  —  69.  ehe  di  li- 
bito eoe  che,  appena  fermato  innanzi  alle 
case  dei  rioòhi,  chiede  1*  elemosina.  —  71. 
roncigli:  uncini  piot  671):  cfr.  la  nota  al 
y.  50.  —  73.  Nissan  di  Tol  ecc.  Bati  :  e  fiUo 
è  colui  che  pensa  di  mal  faro  ad  altri  ;  e  por- 
che Virgilio  s'avvide  che  li  erano  usciti  ad- 
dosso con  mala  intenzione,  però  parlò  cosi  >. 
—  76.  arroBclgllannl  :  il  vb.  arroneigliare 
formato  dal  nome  roneigUo  significa  qui  e  in 
Inf,  xxn  35  afferrare  con  oncinL  —  76.  Ma- 
lacoda: è  il  capo  dei  diavoli  preposti  alla 
quinta  bolgia,  come  si  rileva  dal  fatto  ch'egli 
impartisce  loro  degli  ordini  che  sono  subito 
eseguiti  (cfr.  w.  87,  106,  118-126)  dai  dia- 
voli stessi,  da  lui  chiamati  questi  mi&i  (v. 
116).  —  78.  Che  gli  approda  f  Gi&  tra  gli 
antichi  commentatori  fu  discordia  circa  il 
valore  di  queste  parole:  l' Ott  spiegò  :  «  che 
ti  giova  che  io  vegna  qua  ?  questo  piccolo  ri- 
tardare d' andare  alla  pena  ti  fia  di  piccolo 
prò  »,  e  quest'  interpretazione  è  buona  salvo 
che  il  discorso  di  Malacoda  s'ha  da  inten- 
dere rivolto  ai  diavoli,  non  a  Virgilio,  come 
M  il  capo  dicesse  loro  :  Io  andrò,  come  toì 


desidorate,  ma  a  quel  peccatore  non  sarà 
d'alcun  vantaggio,  ch'io  lo  arronciglierd 
come  gli  altri.  Il  Buti  intende  invece:  e  Che 
cagione  ò  che  lo  Da  venire  a  questa  proda 
della  bolgia?»,  e  Benv.:  cquis  est  ibi  in 
ripa  oxtrema  pontis  ?»  :  ma  poi  a  questo  com- 
mentatore pare  spiegato  «  subtilius  et  me- 
lius  »  da  chi  intende:  e  ohe  gli  monta?  che 
gli  vale  perch'  io  vada?  »  :  o  questa  ò  la  spie- 
gazione data  dai  miglioriinterpreti  moderni. 

—  79.  Credi  ta  ecc.  Credi  tu  di  vedere  in 
me  uno  che  sia  venuto  qua  gid  non  temendo 
le  vostre  opposizioni,  senza  l'aiuto  del  di- 
vino volere  e  di  un  favorevole  destino? 

83.  Bel  delo  è  volato  eco.  É  il  solito  ricordo, 
col  qualo  Virgilio  vince  gì' impedimenti  in- 
fernali ;  cfr.  Inf,  m  95,  v  23,  vn  11,  xn  88. 

—  84.  eammln  iilvestro;  cfìr.  Inf,  n  142. 

—  86.  Allor  gli  fa  ecc.  Kalaooda,  al  ricordo 
della  potenza  divina,  depone  l'orgoglio  e  la 
armi  e  subito  dà  ordine  ai  diavoli  di  non  toc- 
caro  Virgilio.  —  89.  scheggion:  si  veda  la 
nota  al  V.  60.  —  quatto  «natto:  Dante  ai 
era  acquattato  (v.  69)  cioò  abbassato  per  na- 
scondersi. Nota  il  Borg.  e  che  quatto  non  si- 
gnifica propriamente  naaoosOf  ma  chinato  e 
come  spianalo  in  terra,  e  come  fa  la  gatta 
quando  uccella,  che  fi  stiaccia  in  terra  per 


INFERNO  -  CANTO  XXI 


159 


1/0        sicuramente  ornai  a  me  ti  rìedi  ». 

Per  ch'io  mi  mossi,  ed  a  luì  vemii  ratto; 
e  i  diavoli  si  fecer  tutti  avanti, 
93        si  ch'io  temetti  cVei  tenesser  patto: 
cosi  vidi  io  già  temer  li  femti 
ch'uscivan  patteggiati  di  Gaprona, 
96        veggendo  sé  tra  nimici  cotanti 
Io  m'accostai  con  tutta  la  persona 
lungo  il  mio  duca,  e  non  torceva  gli  occhi 
99        dalla  sembianza  lor  ch'era  non  buona, 

Ei  chinavan  li  raflS,  e  €  Vuoi  eh*  io  '1  tocchi, 
diceva  l'un  con  l'altro,  in  sul  groppone?» 
102        e  rìspondean:  €  Si,  fa  che  gliele  accocchi  > 
Ma  quel  demonio,  che  tenea  sermone 
col  duca  mio,  si  volse  tutto  presto 
105        e  disse:  «  Posa,  posa.  Scarmiglione  »• 

Poi  disse  a  noi  :  «  Più  oltre  andar  'per  questo 


MQ  mot  rednta,  e  lo  fo  talvolta  il  cane  >. 
-  98.  li  ék*  lo  Umtttl  ecc.  dubitai  se  ve- 
HMnte  1  diaroli  ayiebbero  serbato  1*  fode, 
0  nspetto  dontto  al  loro  capo  Malaooda,  Il 
fBile  iTera  dato  ordino  di  non  toccar  Yir- 
gifio.  —  M.  tott  eoo.  Dante  fu  presente  alla 
im  di  O^rons  nel  1289  ;  del  qnal  fatto, 
4i  hd  qoi  accennato,  scrire  il  Del  Lnngo, 
Dmk,  I  27S  (ofir.  anche  p.  171):  «  Néll'ago- 
ito  M 1289,  len»  qoasi  prender  riposo  dalla 
tittoda  eopn  Aiecso,  riportata  in  Oampal- 
4ìM,FlrsinxepagaTaallaLefl;a  gnellia,  stretta 
ciarle  anni  ipp*"«t  con  Oenora  e  Laccai 
l'oMIigo  contratto  di  travagliare,  almeno  ogni 
iBio,  la  giiibeUina  Fisa,  ohe,  sebbene  ilao- 
atft  alla  MeloriA,  sentivano  di  non  aver  de- 
nto... Anche  nell'eBtato  di  quell'anno,  per- 
taalo,  i  Imàmi  feo&ro  oaU  aopra  la  città  di 
HMooOs/brM  d^fiormHni  (e.  Villani,  vu 
i37):  quell'anno  anzi  n'era  maggiore  il  bi- 
H^ao,  per  ootntrastare  ai  felid  ardimenti  di 
Gvido  di  Mootefettro;  il  quale,  chiamato  Ca- 
pitano del  popc^  e  di  guerra  dal  Pisani  in 
nUa  catastrofe  del  conto  Ugolino,  agglun- 
tORli  poco  appreeso  l' ufficio  di  Podestà,  mee- 
i^  insoouBft  nelle  mani  U  città  intora  a 
Miei  Mate  U  politica  ghibellina  dall'  infelice 
XfgoUno  Iniebolita  e  intorbidata,  era  entrato, 
•fpoBto  a  cotesta  estato,  in  campagna,  e 
sTvra  aottomeese  e  prese  parecchie  castella, 
te  gli  atei  Caprons  a  poche  miglia  dalla  città, 
n  laequislainento  di  questa  torre,  U  quale, 
bMcà6  fomite  e  afforzata,  dopo  otto  giorni 
Ciswdto  ai  arrese  ai  Guelfl,  fu,  si  può  dire, 
&  telo  fMto  deSa  spedizione,  che  del  resto 
•IcoHamò  in  soonerle  per  le  valli  di  Calci 
•  a  Boti,  in  steri  inutili  contro  1*  terra  di 
^ikofisano,  in  palli  di  scfasmo  sotto  le  mora 


di  Pisa  Catti  correre  dai  Lucchosi  per  1*  loro 
feste  di  San  Begolo  {pyogm.  hitL  pia.  in  Bar, 
UaL  aoHpt.,  XXTV  656-667,  O.  Villani,  1. 
cit).  Ci  avevano  i  Fiorentini  duemila  pedoni 
e  quattrocento  cavalieri  di  cavallato.  Uno  di 
questi,  certamento,  Danto,  il  cui  nome  ap- 
parteneva a'  ruoli  di  quella  cittadina  milizia, 
e  che  86  descrive  presento  alla  resa  dei  fanti 
eh'  Msemm  pattaggiaU  di  Oapnna  >  :  cf^.  an- 
che O.  Sforza,  Da»Ua  a  i  ptMNH,  Pisa,  1878, 
pp.  8-7  e  il  Bassermann,  pp.  114-118.  —  96. 
patteggiati:  sicuri  della  vita,  per  1  patti 
della  resa.  —  98.  Ingo:  cfir.  Inf,  x  29.  — 
100.  Taci  efc'ie  1  taecki  ecc.  Tuoi  che  io  lo 
percuote  da  tergo  ?  Sono  le  parole  detto  dal 
diavolo  Scarmiglione  a  un  compagno.  —  102. 
•  rlspondsan  eco.  e  gli  altri  diavoli,  a  sentir 
la  proposte  di  Scarmiglione,  lo  incorag- 
giavano a  recarla  in  atto,  dicendo  :  Si,  si, 
cerca  d' assestargli  un  colpo  di  ronciglio.  — 
gliele:  forma  indeclinabile,  usate  dagli  an- 
tichi senza  distinzione  di  genere  né  di  nu- 
mero; cosi  il  Bocc  Dea,  g.  ix,  n.  5:  ce 
tutto  gliele  graffiò  (il  viso)  >,  g.  n,  n.  8  :  e  il 
conto  con  lagrime  gliele  diede  (la  figlia)  >, 
g.  n,  n.  8  :  «  presentagliele  (i  falconi)  »  ecc.  : 
Danto  1'  usa  altre  volto.  —  accocchi  :  il  vb. 
aeoooearaf  presa  l' idea  dalla  cocca  della  frec- 
cia, vale  quanto  assestare  un  colpo.  — 105. 
Posa,  posa:  ste  fermo,  deponi  i  raffi.  —  106. 
PId  oltre  andar  ecc.  Malacoda,  por  ingan- 
nare i  due  poeti,  dice  loro  che  ove  essi  sono 
è  caduto  il  ponticello  della  seste  bolgia,  e  in- 
vece camminando  avanti  sull'argino  ne  tro- 
veranno un  altro,  per  il  quale  sarà  dato  loro 
il  passo  :  che  non  ò  vero,  perché  tutti  i  ponti 
già  esistenti  sulla  seste  bolgia  erano  caduti, 
e  Danto  e  Virgilio  dovranno  oltrepassarla 


ICO 


DIVINA  COMMEDIA 


iscoglio  non  si  può,  però  ohe  giace 
108       tutfco  speusato  al  fondo  l'arco  sesto: 
e  se  l'andare  ayanti  por  vi  piace, 
andatevene  sa  per  questa  grotta; 
111       presso  è  un  altro  scoglio  che  via  £ice. 
Ter,  più  oltre  oinqn'  ore  che  qnest'  otta, 
mille  dngento  con  sessanta  sei 
114       anni  compio  ohe  qni  la  via  fd  rotta. 
Io  mando  verso  là  di  questi  miei 
a  rìgnardar  s'alcun  se  ne  sciorina: 
117  '      gite  con  lor,  ch'ei  non  saranno  rei  >. 
«  Tratti  avanti,  Alichino  e  Calcabrina, 
cominciò  egli  a  dire,  e  tu,  Oagnazzo, 
120       e  Barbariccia  guidi  la  decina. 

Libicocco  vegna  oltre,  e  DraghignaszOi 
Ciriatto  sannuto,  e  Graffiacane, 
128       e  Far£&rello,  e  Bubicante  pazzo. 
Cercate  intomo  le  boglienti  pane; 
costor  sien  salvi  inaino  all'altro  scheggio, 
126        che  tutto  intero  va  sopra  le  tane  ». 

€  0  me!  maestro,  che  è  quel  che  io  veggio? 


soendendo  prima  nel  fondo  {Inf»  zzm  4B  e 
segg.)  di  essa  e  poi  risalendo  la  sna  ripa  in- 
terna {Inf,  xziY 25  o  w^,),  — 110.  gretto! 
rooda  ohe  forma  il  sesto  argine  :  ofr.  Purg. 
m  90,  zm  46,  zxvn  87.  — 112.  ler,  pM  el- 
tre  eoo.  Malaooda,  per  ottenere  maggior  fede 
da  Virgilio,  gli  dice  in  qnale  tempo  accadesse 
la  rorina  del  pontioello,  la  quale  oome  altre 
roTine  infernali  (of^.  Inf.  xa  45),  fu  cagiona- 
ta dal  turemoto  che  agitò  il  mondo  alla  morte 
di  Cristo.  Dloe  dnnqae  ohe  iaH,  8  aprile  1800, 
tdnqu'vn  più  oUr$  ehé  guettf  otta^  doò  intomo 
al  mecxogiomo,  compirono  milledngantoses- 
santasei  anni  ohe  il  passo  sulla  sesta  bolgia 
fa  interrotto  :  dò  in  conformità  dell'opinione 
seguita  da  Dante  ohe  Gesi  Oristn  spirasse 
nella  sesta  ora  del  yenerdf  santo  dell'  anno 
trentesimo  quarto  di  sua  vita  ;  ofr.  Cbnv.  vf 
23  :  e  Ottimamente  natoxato  fue  il  nostro  Sal- 
vatore Cristo,  il  qoale  YoUe  morire  nel  tren- 
taquattresimo anno  della  sua  etado  ;  che  non 
Ma  oonveneTole  la  divinità  stare  cosi  in  di- 
cresdone,  né  da  credere  d  oh*  olii  non  vo- 
lesse dimorare  in  questa  nostra  vita  al  sommo, 
poiché  stato  o*  era  nel  basso  stato  deUa  pue- 
rizia: e  dò  ne  manifesta  Torà  del  giorno 
della  sua  morte,  ohe  volle  quella  consomi- 
gliare ooUa  vita  sua  ;  onde  dice  Luca  [xxm 
44]  ohe  era  quasi  ora  sesta  quando  morie, 
che  è  a  dire  lo  colmo  del  di  ».  Vedasi  il 
Moore,  pp.  49-66.  —  quest'otto:  il  tempo  in 
coi  Malaooda  paria  a  Virgilio  d  la  mattina, 


dnque  eie  prima  del  meczodi,oioè  txa  ìma&k 
e  le  sette  antimeridiane,  poidié  1  due  poeti 
sono  anivatl  al  ponte  della  quinta  bolgia  cir- 
ca alle  sei  antimeridiane  :  ofr.  htf,  zx  127. 
Quanto  al  nome  otta,  frequente  negli 
tiohi,  in  luogo  di  ora,  si  crede  derivato  dalla 
ìocaziaDB  quota  68i9  ifaaai  tornò  guMota  Mi? 
ofr.  Dies  887,  761.  —  116.  41  ««esU  adal 
i  diavoli  mandati  da  Malaooda  sono  dieci 
Barbariccia,  cui  ò  affidato  11  comando  della 
schiera,  Aliohino,  Caloabrina,  Oagnazzo,  Li- 
bicocco, Draghignaczo,  Oirìatto,  Orafflaouie, 
Farlkrello  e  BuMoante:  strani  e  veramenta 
diabolid  nomi,  nd  quali  Benv.,  Buti,  An, 
fior.  cercarono  significati,  che  Dante  non 
pensò  forse  neppure  di  trìbuir  loro,  e  ohe 
sono  rioavati  per  via  di  singolarissime  età- 
mologio,  tn^po  sottili  per  esser  vere.  — 116. 
8'  aleia  se  ne  seieriaa  :  se  alcuno  dei  ba- 
rattieri  cerca  d'uscir  dalla  pece.  — 122.  aaa- 
auto  1  ofr.  h^,  sxn  56.  —  124.  Cercata  im« 
terae  eoo.  Andate  in  giro  attorno  al  fosso 
della  pece  bollente  :  sul  vb.  ofroars  ai  cfr.  la 
nota  all'  Inf.  xx  66  ;  per  la  fonna  bcffHmH 
ofr.  P%irg,  xxvn  48  ;  pone  ò  forma  aroaica, 
per  JNMM,  pL  di  poma  (ofr.  Parodi,  BulL  UX 
99),  e  cosi  dice  la  pece  perché  è  sostanza 
vischiosa.  —  126.  eestor  eco.  non  toooate 
Virgilio  e  Dante  sino  a  ohe  sasanno  giunti 
all'altro  ponte  :  ironia  diabolioa,  perebé  altri 
ponti  non  sono  sulla  sesto  bd^a,  —  126. 
•ke  tatto  eoo.  ohe  attraversa  le  bolgo  daBa 


J 


INPERNO  -  CANTO  XXI 


161 


dissMo;  deb,  sema  soorta  andiamci  soli, 
129       se  ta  sai  ir,  ch'io  per  me  non  la  oheggio. 
Se  tu  sei  si  accorto  come  saoli, 
non  vedi  tu  ch'ei  digrignan  li  denti 
182       e  con  le  ciglia  ne  minaccian  duoli?  > 
£d  egli  a  me:  «  Non  to'  che  tu  paventi  : 
lasciali  digrignar  pure  a  lor  senno, 
135       eh'  ei  fumo  ciò  per  li  lessi  dolenti  >. 
Per  l'argine  sinistro  volta  dienno; 
ma  prima  avea  ciascun  la  lingua  stretta 
138       coi  denti,  verso  lor  duca  per  cenno, 
ed  egli  avea  del  cui  £Eitto  trombetta. 


posa  •!!' ultima.  ~  180.  Se  ti  eoo.  Danto, 
purtNo  dei  diaroli  olle  digiignano  i  denti  e 
Kttidno  Hiiaaocinirii  li  xaooomanda  a  Vir- 
gflb;  il  qvale  tosto  lo  zasaioara,  dicendogli 
ch0  9tà  ftnno  ciò  per  i  dannati.  —  185.  11 
Imi  dolenis  1  baiattied  messi  a  bollir  do- 
towMwnto  nella  peoe;  l*imagìne  contlnna 
fooOs  dfli  TT.  66-67  o  anticipa  quasi  Tespres- 
Bone  e  enn  già  cotti  dentro  dalla  crosta  > 
4qQ' V-  zzo  16a  Altri  leggono  e  intendono 
^ireosmente,  ma  non  pare  ohe  ▼!  sieno  ba- 
lìBroU  foodaoieiitl  per  abbandonare  la  lezione 
e  la  spiegazione  oomnne:  cfir.  0.  Negroni, 
Oitetrm  eritìeo  mi  letti  tMmU  deU*  Jbtftmo, 
Konsa,  1884.  —  186.  Tolto  dienao:  volta- 
ndo; la  locazione  dar  volta  è  cara  a  Danto, 
db  l'aia  in  Purg,  v  41,  ti  151,  vin  107, 


zxiv  140,  zzEC  11.  —  187.  aTSa  etasfia  la 
liagaa  eoo.  Circa  U  signiflcato  di  quest'atto 
dei  diayoli  non  s'accordano  né  por  gli  an- 
tiohi:  meglio  di  tatti  il  Lana  e  U  Bati  lo 
presero  per  un  atto  beffardo,  ohe  ancor  oggi 
si  osa  ;  se  non  ohe  a  lor  parve  ohe  fosse  fatto 
in  derisione  di  Barbarloda,  mentre  forse  tu 
fatto  in  beffifc  dei  duo  poetL  Beny.  dice  che 
cosi  i  diavoli  e  tenebant  lingnam  disposltam 
et  paratam  ad  trallzandam  >  doè  a  imitare 
il  loro  dace  ;  e  TAn.  fior,  che  e  quello  atto 
fa  ohi  sto  attonto  a  ferire  o  a  percaotore, 
mosso  da  ira,  da  iniquità  ot  da  sdegno  >.  — 
189.  ed  egli  ecc.  e  Barbarìocia-  li  guidava  al 
suono  di  coosf  piacevole  stormonto»,  dice 
l'An.  fior. 


CANTO  xxn 


Dante  e  Yirgìllo,  seguitando  a  camminare  snlPargine,  vedono  nel  fondo 
^dh  bolgia  altri  barattieri  ;  tra  i  quali  Ciampolo  di  Na varrà,  che  racconta 
loro  di  sé,  di  fiate  Oomita  e  di  Michele  Zanche,  e  di  più  altri  direbbe  se 
MB  foise  dai  diavoli  costretto  a  rituffarsi  nella  pece:  allora  i  due  poeti  ri- 
PKBdono  il  cammino  verso  la  sesta  bolgia  [9  aprile,  ore  otto  antimeri- 
toe  circa]. 

Io  vidi  già  cavalìer  muover  campo, 
e  cominciare  stormo,  e  fax  lor  mostra, 
8       e  talvolta  partir  per  loro  scampo  ; 


Xm  L  Io  Tldl  eoo.  Enomezando  varie 
•ytnoioBi  militari,  alle  quali  gli  uomini  d'ar- 
■)«  logliDiio  muoverti  per  segni  di  vaxl  stru- 
■«itì,  Duto  vuol  mettere  in  evidenza  la  sin- 
Cohrit4  ridicola  dei  segnale  ohe  regolava  la 
■«Ria  daQa  schiera  diaboUoa.  —  eavalitr 
■••ftr  eoe.  accenna  a  quattro  particolari 
aasoi  ailitKKi,  il  prind^  della  marcia,  l'at- 
^<eo  del  combattimento,  la  rassegna  della 

Dautb 


schiera,  il  movimento  di  ritirata.  —  campo  i 
l'accampamento  militare.  —  2.  stomo  x  que- 
sto voce,  spiegato  dal  Borgh.  per  e  alfronta- 
mento  >  ossia  per  l'atto  d'andare  a  investire 
il  nemioo,  deriva  dal  ted.  «turm,  ohe  vale 
tompesto  e  figuratamento  impeto,  attacco 
(Diez  809).  ~-  mostrai  disposizione  dei  sol- 
dati in  ordinanze,  per  rassegnarli;  dr.  Q. 
YilL,  Or,  zn  63:  «Là  fece   sua  mostra  e 


U 


162 


DIVINA  COMMEDIA 


oorridor  vidi  per  la  terra  yosiarai 

o  aretini;  e  vidi  gir  gaaldane, 

6       ferir  tomeamenti,  e  correr  giostra, 

quando  con  trombe,  e  quando  con  campane, 
con  tamburi  e  con  cenni  di  castella, 
9       e  con  cose  nostrali  e  con  istrane; 
né  già  con  si  diversa  cennamella 
cavalier  vidi  muover  né  pedoni, 
12       né  nave  a  segno  di  terra  o  di  stella. 
Noi  andavam  con  li  dieci  dimoni: 
ahi,  fiera  compagnia!  ma  nella  chiesa 
15       coi  santi  ed  in  taverna  coi  ghiottoni 
Pure  alla  pegola  era  la  mia  intesa, 
per  veder  della  bolgia  ogni  contegno 
18       e  della  gente  ch'entro  v'era  incesa. 
Come  i  delfini,  quando  fanno  segno 
ai  marinar  con  l'arco  della  schiena, 


troTossi  con  8000  baoni  cavalieri  >.  —  i. 
eorrldor  Tldi  eco.  Accenna  alle  soorreife  dei 
fiorentini  per  il  texritorio  d'Axecso  dopo  la 
battaglia  di  Campaldino  dol  1289,  alla  qoale, 
secondo  gli  antichi  suoi  biografi  (cfr.  Del 
Lungo,  DanUf  I  162  e  80gg.)i  Dante  li  sa- 
rebbe trovato  di  persona  a  combattere  tra  i 
cavalieri  (cfr.  Compagni,  Or,  i  10,  Q.  VilL, 
Or.  vn  lSl-182).  Dell'  ufficio  proprio  dei  oor- 
ridoriy  mandati  innanzi  a  far  qnaai  un  servi- 
vizio  di  esplorazione,  tratta  E.  Colonna,  Reg- 
gìm,  dei  prineipi,  m  3,  10,  citato  qni  dal 
Torraca.  —  6.  gnaldaae  :  sono,  spiega  il  Bnti, 
«  cavalcate  le  quali  si  fanno  alcuna  volta  in 
sul  terreno  de'  nemici  a  rubare  et  ardere,  e 
pigliare  prigioni  »  :  gualdana  deriva  dal  ted. 
ipoldan^  impeto  di  guorra  (Diez  878).  —  6. 
ferir  eco.  Land.  :  «  Le  precedenti  son  tutte 
cose  belliche,  e  lannosi  al  tempo  di  guerra 
tra  l' un  nimico  e  l'altro  ;  ma  tomeamenti  e 
gioire  sono  esercizi  militari,  fiotti  por  feste 
e  giuochi,  e  per  dar  diletto  a'  popolL  Tornea- 
mento  d  quando  le  squadre  vanno  l'una  con- 
tro dell'altra,  e  rappresentano  una  spezie  di 
battaglia  ;  giostra  è  quando  l' uno  va  contro 
l'altro  a  corpo  a  corpo,  e  rappresenta  la  bat- 
taglia singolare  ».  —  7.  qnamdo  eoa  trombe 
ecc.  Accenna  ai  vari  modi  di  dar  segno  di 
movimento  alla  milizia  usati  al  suo  tempo: 
le  trombe  e  i  tamburi,  le  campane  del  car- 
roccio o  delle  torri,  1  segnali  fatti  dalle  for* 
tozze,  con  le  bandiere  o  col  fumo  di  giorno 
e  con  le  fiamme  di  notte  (cf^.  Inf.  vm  4), 
e  infine  altri  strumenti  d' uso  tra  gì'  italiani 
o  importati  dalle  milizie  straniere.  — 10.  né 
già  con  ti  dlTersft  ecc.  ma  non  vidi  mai 
muovere  esercito  al  suono  di  coti  itrano 


•tromento.  —  «nuiainieiia :  Butt:  ce  uno 
istrumento  artificiale  musico  che  si  suona  con 
la  bocca  >  :  fa  cosi  detto  per  essere  formatu 
di  canne  (it.  eennameUa  o  emmella^  tt,  eha- 
temei:  Diez  864,  642),  e  si  usava  suonario  in 
gneira  innanzi  al  capitani,  come  si  ha  dalle 
parole  della  Orm,  pisana  cit  in  Inf,  zxvn 
78.  —  12.  m<  mare  eoo.  Buti  :  e  Li  marinai 
quando  navicano  seguitano  due  segni  :  l'uno 
si  è  la  terra,  quando  la  possono  vedere,  im- 
però che  vanno  al  segno  del  monte  che  veg- 
gono da  lungi;...  e  quando  sono  in  mare  che 
non  possono  vedere  la  terra,  navicano  al  se- 
gno della  tramontana».  —  14.  Ma  Bella 
ehieta  ecc.  ma  come  in  chiesa  l'uomo  trova 
la  compagnia  dei  religiosi  e  nelle  taverne 
quella  degli  scapestrati,  cosi  Dante  e  Viigi- 
lio  dovevano  stare  in  compagnia  dd  diavoIL 
La  frase  doveva  correre  proverbiale,  come  il 
Torraca  rileva  da  un  passo  della  Tavola  ri- 
tonda,  cap.  26.  —  15.  ghiottoni  :  gli  antichi 
chiamavano  gìUottoni,  lat.  ghttoni,  gli  uomini 
girovaghi,  senz'aloun'arte  o  dimora  stabile, 
che  correvano  il  mondo  esercitando  fh>di  e 
ribalderìe;  e  negU  statati  comunali  si  leg^ 
gono  severe  provvisioni  contro  i  ghiottoni. 

—  16.  Pire  alla  ecc.  La  mia  attonrione 
era  rivolta  solamente  alla  pece  bollente  nel 
fondo  dolla  bolgia  e  ai  dannati  ohe  v'erano 
immersi.  —  17.  eoategaot  condizione,  stato. 

—  19.  Come  1  delfini  ecc.  Come  i  delfini  se- 
guitando le  navi  tengono  faor  dell'acqua  l'ar^ 
co  della  schiena  per  for  segno  ai  marinai 
che  la  burrasca  s' avvicina  (credenza  diffusa 
molto  al  tempi  di  Dante  ;  ofir.  B.  Latizd,  7»- 
sorOf  volger,  da  B.  Giamboni,  nr  6),  cosi  i 
barattieii  p«r  alleggeiire  la  propria  pena  m^t- 


INPERNO  -  CANTO  XXH 


tm 


21        che  s'argomentili  di  campar  lor  legno; 
talor  cosi  ad  alleggiar  la  pena 
mostrava  alcun  dei  peccatori  il  dosso, 
2A        e  nascondeva  in  men  che  non  balena. 
E  come  all'orlo  dell'acqua  d'un  fosso 
stanno  i  ranocchi  pur  col  muso  fuori, 
27        si  che  celano  i  piedi  e  l'altro  grosso; 
si  stavan  d'ogni  parte  i  peccatori: 
ma  come  s'appressava  Barbariccia, 
80        cosi  si  ritraean  sotto  i  bollori. 

Io  vidi,  ed  anco  il  cor  me  n'accapriccia, 
uno  aspettar  cosi,  com'egli  incontra 
83        che  una  rana  rimane  ed  altra  spiccia: 
e  Grftffiacan,  che  gli  era  più  d'incontra, 
gli  arroncigliò  le  impegolate  chiome, 
86        e  trassel  su,  che  mi  parve  una  lontra. 
Io  sapea  già  di  tutti  quanti  il  nome, 
si  li  notai  quando  furono  eletti, 
89        e  poi  che  si  chiamare  attesi  come. 
€  0  Eubicante,  fa  che  tu  gli  metti 
gli  unghioni  addosso,  si  che  tu  lo  souoi  », 
42        gridavan  tutti  insieme  i  maledetti* 
Ed  io:  €  Maestro  mio,  fa,  se  tu  puoi, 
che  tu  sappi  chi  è  lo  sciagurato 
45        venuto  a  man  degli  avversari  suoi  ». 
Lo  duca  mio  gli  s'accostò  allato, 


tenn  Alari  dalla  pece  U  dosso,  ritoifandoBi 
poi  nMto  por  timore  dei  diavoli.  —  21.  s'ar- 
IVMBtta  eoo.  a*  ingegnino,  s'adoprìno  a  sai- 
^ve  la  nave  dalla  vicina  tempesta.  —  22. 
aOtfffiar!  alleviare,  alleggerire;  ofr.  Purg. 
XB  U.  —  23.  Mostrava  occ.  :  ofr.  Inf,  xzx 
^  —  2A.  U  Bea  che  nom  baleaa  :  in  un 
Aoaento;  cosi  il  Poliziano,  8t.  n  28:  cE 
Voiitrava  in  men  che  non  balena».  —  25. 
K  coste  all'orlo  eoo.  Questa  similitadine 
afille  noe,  che  ricorre  anche  in  Inf,  xzxn 
31,  dipinge  al  vivo  i  barattieri  ohe  lungo  le 
dm  sponde  della  bolgia  tenevano  il  viso  ftior 
^dla  pece,  e  via  via  si  nasoondevano  all'av- 
▼iciiiBiii  di  Barbaricda,  capo  e  guida  dei 
^rolL  —  27.  l'altro  grosso  ecc.  le  rima- 
Beati  psiti  del  corpo.  —  8U.  1  bollori:  la 
pwe  bollente.  —  81.  ed  aaeo  li  eor  ecc.  e 
3  mio  animo  a  ricordare  il  fatto  riprova  lo 
AfiMo  lentimento  di  raccapriccio  (cfr.  loca- 
zioDi  simili  in  Inf,  i  6,  xiv  78).  —  82.  in- 
<*strs  che  ma  rama  eco.  accade  ohe  una 
lua  resta  sulla  sponda  e  un'altra  salta  noi- 
l'ao^:  ofir.  i  veni  d'Ovidio  nella  nota  al- 


l' Inf.  xxxn  81.  —  86.  arroaelgliò  :  cfr.  Inf. 
xa  76.  —  86.  ohe  mil  parve  ama  lontra  t 
Venturi  417  :  «  ohi  abbia  veduto  questo  «aU 
male  conoscerà  quanto  vìva  sia  la  similltii- 
dine  tra  il  daimato  tratto  su  dalla  poco,  e  la 
lontra,  la  quale  ha  pelle  untuosa  e  calo>r 
quaai  nero,  e  che  cavata  faori  dell'acqua  coti 
le  gambe  spenzolate  e  grondanti  pivsuotik 
forme  apjpropriate  all'atto  ohe  il  poeta  dtjisciri^ 
ve>.  —  87.  Io  sapea  ecc.  Perché  il  lesttora 
non  si  meravigli  di  sentir  chiamare  qaosU 
diavoli  coi  lor  propri  nomi,  Danto  ha  cuni 
di  ricordare  che  egli  conosceva  cotesti  dodiI 
per  aver  badato  quando  Malacoda  chiazuà  ì 
dieci  dolla  schiera  {^f.  xn  118-128}  e  por 
aver  atteso  anche  al  modo  col  quale  e«sì  dl:^ 
voli  si  appellavano  fira  loro.  —  89.  aiteAi 
come  t  badai  con  quali  nomi  si  chianmTano. 

—  41.  lo  seno!  i  lo  scortichi,  gli  stracci  la 
polle,  con  gli  unghioni  -,  come  Cerbero  f^  dol 
golosi  con  le  ungkkUe  mani  :  cfr.  Inf.  ti  tS. 

—  42.  grldavam  ecc.  Questi  diavoli,  che  gri- 
dano tutti  insieme  contro  il  barattieroT  ri- 
cordano le  anime  che  gridano  contro  Filippo 


164 


DIVINA  COMMEDIA 


domandollo  ond'eì  fosse,  e  quei  rispose: 
48        €  Io  fui  del  regno  di  Navarra  nato. 
Mia  madre  a  servo  d'un  signor  mi  pose, 
ohe  m'avea  generato  d'un  ribaldo 
61        distruggitor  di  sé  e  di  sue  cose. 
Poi  fili  fEuniglio  del  buon  re  Tebaldo: 
quivi  mi  misi  a  far  barat^rla, 
54        di  che  io  rendo  ragione  in  questo  caldo  ». 
E  Ciriatto,  a  cui  di  bocca  ascia 
d'ogni  parte  una  sauna  come  a  porco, 
67       gli  fé*  sentir  come  l'nna  sdrucfa. 
Tra  male  gatte  era  venuto  il  sorco; 
ma  Barbariccia  il  chiuse  con  le  braccia, 
60       e  disse  :  «  State  in  là,  mentr*  io  lo  inforco  »  ; 
e  al  maestro  mio  volse  la  &ccia: 
«  Domanda,  disse,  ancor,  se  più  desii 


Aigentt  nella  palude  Stige  :  cfr.  Inf,  vin  61. 
~  48.  Io  foi  eoo.  Ciampolo  di  Nayarra,  del 
quale  il  Lana  scriyo  :  «  Nacque  per  madre 
d'una  gentildonna  di  Nayarra  :  vero  d  oh'elll 
steeeo  dice,  come  appar  noi  teeto,  ohe  '1  pa- 
dre ino  fa  nn  ribaldo,  il  quale  era  distrug- 
gitore di  8Ó  e  dello  sue  oose.  Come  fu  un 
poco  grandìoello  ta.  messo  per  sua  madre  a 
servire  un  signore,  in  lo  quale  offido  elli 
seppe  si  profioaro  oà*  elli  montò  a  essere  fa- 
miglio del  re  di  Navarra,  il  quale  el>be  nome 
Tebaldo  e  fu  virtuosissima  persona  e  re  da 
beno.  E  fu  lo  ditto  Ciampolo  tanto  in  grazia 
del  predetto  re  Tebaldo,  ed  ebbe  tanto  stato 
in  sua  corte,  eh'  elli  avea  possanza  di  dispen- 
sare de'  benefldi  e  grazie  in  molta  quantitede, 
li  quali,  barattando  per  pecunia,  elli  dispen- 
sava in  modo  illicito  e  inonesto  >  :  Ott,  Benv., 
Dati,  An.  fior,  e  tutti  i  posteriori  commen- 
tatori ripetono  le  stosse  cose,  senz*  aggiun- 
gere altre  notizie.  —  60.  ehet  la  quale.  ~ 
■B  ribaldo:  un  malvagio;  né  altro  signifi- 
ficato  si  pao  dare  a  quosta  parola,  come  vor- 
rebbero alcuni  moderni  (lo  Scart  py  es.  prende 
ribaldo  nel  senso  antico  di  carnefice  ;  il  Tomm. 
in  quello  pur  antico  di  uomo  fedele  a  un  si- 
gnore ecc.;  cfir.  Zingarelli,  BuU.  I  19U),  poi- 
ché nel  verso  seguente  ò  la  ragione  di  co- 
testo epiteto  che  Ciampolo  dA  al  padre  suo. 
—  61.  dlitrnggUor  ecc.  suicida  e  dissipa- 
tore ;  infatti  racconta  di  lui  Benv.  che  «  cum 
prodigalitor  dilapidassot  omnia  bona  sua,  ut 
audio,  tandem  dosperate  suspendit  se  la- 
queo  ».  —  62.  famiglio  :  famigliare  ;  cosi  les- 
sero e  intesero  gli  antichi  commentatori  Lana, 
Ott,  Buti,  Benv.,  An.  fior,  eoo.,  di  modo  cho 
par  da  rifiutare  la  variante  d'ottimi  tosti  che 
hanno  famiglia  (vorrebbe  dire,  per  sineddo- 
che, lo  stesso  che  famiglio).  —  del  baon  re 


Tebaldo  :  Tebaldo  O  re  di  Navaira  dal  1268 
al  1270,  morto  a  Tnpanl  nel  ritomo  dalla 
spedizione  oontro  Tunisi,  nella  quale  arava 
seguito  Luigi  IX  re  di  Francia  :  Benr.  ^ 
dA  lodo  di  giustizia  e  demenza,  o  il  Boti  at- 
testa e  ohe  Iti  buono,  secondo  la  Cama  ohe 
di  lui  è  ancora  ».  Si  avverta  ohe  nell'epiteto 
di  ìmono  ai  ha  forse  1*  eco  di  una  espreaalone 
tipica  nei  trovatori  por  indicare,  più  che  al- 
tre qualità  morali,  la  munificenza  doi  prin- 
cipi (cfr.  Cbnv.  rv  11  e  P.  Toynbee,  Rk&r- 
ehe^  I  76).  —  64.  dì  elio  noe  della  qual  colpa 
pago  ora  il  fio  in  questa  bollente  pece  l'e- 
spressione è,  in  parto  ovangolioa  (Laoa  zvi 
2)  :  cfr.  Moore,  I  862.  —  66.  a  eal  eoe.  eooo 
perché  Ualacoda  lu  ha  chiamato  rnmmttù  {Imf, 
XXI  122).  —  66.  caana  :  cosi  io  in/*,  yi  23  o 
8oam  in  Inf,  xxxm  86,  per  %aiima^  dento  fe- 
rino (Diez  411).  —  67.  oose  ì*uui  aéraefa: 
come  una  sola  delle  saune  bastasse  a  strac- 
ciarlo, a  souoiario.  ~  68.  Tra  Male  gatta 
ecc.  Locuzione  proverbiale,  oon  la  quale 
Danto  vuol  dire  che  Ciampolo  era  Tenuto  a 
mano  di  crudeli  nemicL  —  soree:  topo, 
sordo  ;  ò  Tooo  usata  dai  fiorentini,  secondo 
attesta  Benv.,  non  già  in  grazia  della  rima . 
cf^.  Parodi,  BM,  m  166.  ^  69.  Ma  Barba* 
riccia  ecc.  ma  il  capo  doi  diavoli  abbracciò 
Ciampolo,  per  difenderlo,  e  disse  ai  oomp»- 
gni  che  non  gli  s'avventassero  finché  c^Iì  lo 
teneva  tn.  le  braoda.  —  60.  M«atr*ie  lo 
laforoo  ;  il  vb.  infàrean  vale  propriamento 
strìngere  con  le  gambe  e  si  dico  di  <M  ca- 
valca (cfir.  Pwg.  VX  99)  ;  ma  qui  Dante  l'ha 
tratto  a  significare  lo  stesso  ohe  tMmdm  eoa 
U  hraoeia^  abbraodare.  Malo  alooni  inten- 
dono: Mentre  io  lo  prendo  con  la  ibrca; 
perché  Barbaricda,  come  risulta  dal  versi 
segg. ,  vuole  anzi  proteggete  qampolo  oon- 


INFERNO  -  CANTO  XXII 


1€6 


63        M^r  da  lui,  prima  eh*  altri  il  dis&ccia  ». 
Lo  duca  dunque  :  «  Or  di',  degli  altri  rii 
conosci  tu  alcun  che  sia  latino 
66        sotto  la  pece?  »  E  quegli:  €  Io  mi  partii 
poco  è  da  un,  che  fu  di  là  vicino; 
cosi  lÒBs'io  ancor  con  luì  coperto, 
69       ch'io  non  temerei  unghia  né  uncino  ». 
E  Libicooco:  «  Troppo  ayem  sofferto  », 
disse,  e  presegli  il  braccio  col  ronciglio, 
72        si  che,  stracciando,  ne  portò  un  lacerto. 
Draghignaszo  anche  i  volle  dar  di  piglio 
giuso  alle  gambe;  onde  il  decurio  loro 
75        si  volse  intomo  intomo  con  mal  piglio. 
Quand'olii  un  poco  rappaciati  fòro, 
a  lui,  che  ancor  mirava  sua  ferita, 
78        domandò  il  duca  mìo  senza  dimoro: 
€  Chi  fu  colui,  da  cui  mala  partita 
di'  che  fÌEu^esti  per  venire  a  proda?  » 
81        Ed  ei  rispose:  «  Fu  firate  Gk>mìta, 
quel  di  Gallura,  vasel  d^ogni  froda, 
ch'ebbe  i  nimici  di  suo  donno  in  mano, 


tnhaUift  dagli  altri  diaydi,  non  per  oom- 
fmam,  um.  pache  pona  parlare  con  Ylr- 
pSù.  —  GB.  ^limm  eh*altrl  eoe  prima  che 
1$  altri  demont  ne  facciano  strazio.  —  66. 
latlaa:  italiano  (ofr.  Inf.  zxm  SS,  rm  88, 
A)  A«y.  Ts  16,  ZI  68,  zm  92),  abitatore 
tf  Itelia,  «Brra  ìaUna  (Ih/',  xxvn  21,  xxvm 
71^  ->  67. 4a  «n,  che  eoo.  da  uno  ohe  abitò 
«  IHMe  Tidno  all'  Italia:  cfr.  1  vr.  79  e 
■^  dai  quali  ai  ha  che  Ciampolo  allade  al 
•Bis  frate  Oootita.  —  70.  B  libieoeco  ecc. 
Ika  baroli,  standd  d'aspettare,  gittano  i  loro 
uòai  oootn»  Ciampolo,  non  ostante  il  di- 
viato di  Baitaxioeia  :  libicooco  con  un  colpo 
iMWtaU)  a  un  braodo  ne  strappa  via  un 
jeno,  e  Drasiiignazzo  gli  gitta  il  ronciglio 
fm  iflhnaiìo  alla  gambe.  —  72.  laeerte: 
tea  di  esme  ;  poiché  la  parti  carnose  o  mn- 
K<lari  coMpigse  fra  la  spalla  eli  gomito  e  fra 
flfaaitoe  ilpolso,epereatQBiionedisignifi- 
«toaMàe  le  bcaoioia,  si  dicono  latinamente 
Wci.  -  78. 1:  cfr.  À/l  n  17.  — 74.  U  deen- 
TAt'.Tà  àteasHiooiòf  Barbariocia  capo  dei  died 
^óaaA.  —  76.  «B  f«M  raypaeiatl  f dro  :  Ai- 
naa  iB  pò*  acqiwtati,  calmati.  ->  78.  dÌMO- 
rsi  iadagìo  ;  più  frequente  è  il  femm.  di- 
ma,  Jh/.  z  70  eoe.  —  79. 4a  evi  mala  eco. 
ìA  foaie  dici  d'esaerti  allontanato  con  tao 
^Mae  far  nseiia  alla  riva.  —  81.  frate  6o- 
■Uix  di  qoMto  frate  Genita,  di  nazione 
Mrta,  fiecBo  i  eowimantatori  antichi  che  fa 
iteia  di  Ugolino  de'Visoonti  da  Pisa  (cfr. 


Purg,  vm  47),  il  quale  tenne  il  giudicato  di 
Gallura  dal  1276  al  1296,  e  raccontano  ch^ei 
fosae  grandissimo  barattiere  :  Dante  accenna 
a  una  di  cotoste  baratterie  di  frate  Gomita, 
cosi  narrata  dal  Lana  :  €  Avenne  che  in  un 
tempo  lo  detto  giudice  mandò  e  prese  ed  ebbe 
in  prigione  suoi  nemici  :  questo  suo  fattore 
per  moneta  li  lasdò  ;  di  ch'elli  scamponno  >  ; 
gli  altri  antichi  commentatori  non  Danno  che 
amplificare  questo  acconno.  —  82.  Oallarat 
d  la  parto  nord-est  della  Sardegna  e  costituì 
uno  dei  quattro  giudicati  in  cui  i  pisani  di- 
YÌBero  quell'isola:  nel  1206  se  ne  impos- 
sessò Lamberto  Visconti  sposando  l'unica  fi- 
glia dell'  ultimo  giudice  o  signore  indigeno, 
e  la  tenne  insieme  col  fratello  Ubaldo  I  sino 
circa  al  1219  ;  quindi  la  signoria  della  Gal- 
lura passò  a  Ubaldo  n  figliuolo  di  Lamberto 
(1219-1288)  e  poi  a  Giovanni  figlio  di  Ubal- 
do I  (1288-1276)  e  padre  di  Ugolino  o  Nino. 
Intorno  a  questa  successione  danno  erroneo 
notizie  gli  storici  sardi  e  pisani  :  cfr.  i  mioi 
Ricordi  danteschi  di  Sardegna^  Roma,  189ò. 
—  rasel  d'ogni  frodai  vaso,  ricettacolo 
d'ogni  astuzia  e  inganno  :  locuzione  calcata 
sull'osprossione  biblica  cit.  in  J^f,  n  28.  — 
88.  di  sno  donno  :  del  suo  signore  Ugolino 
ViscontL  Notarono  già  il  Buti  e  l'Ott.  che 
Ciampolo  parla  «  a  modo  sardesoo  >  e  l'An. 
fior,  che  i  Sardi  «  chiamano  doimoy  come  noi 
qui  chiamiamo  tnesten  >  :  lo  stesso  titolo  ri- 
oorxe  al  T.  88  per  un  altro  signore  di  Sar- 


166 


DIVINA  COMMEDIA 


84        e  fé' si  lor  che  cìasoun  se  ne  loda: 
denar  si  tolse,  •  lasdolli  di  piano, 
si  com'ei  dice;  e  negli  altri  ujQioi  anche 
87       barattier  iii  non  picdol,  ma  sovrano. 
Usa  con  esso  donno  Michel  Zanche 
di  Logodoro;  ed  a  dir  di  Sardigna 
90       le  lingue  lor  non  si  sentono  stanche. 
0  me!  vedete  1* altro  che  digrigna: 
io  direi  anco;  ma  io  temo  ch'elio 
93        non  s'apparecchi  a  grattarmi  la  tigna  ». 
E  il  gran  proposto,  volto  a  Farfarello 
che  stralunava  gli  occhi  per  ferire, 
96       disse:  «  Fatti  in  costà,  malvagio  uccello!  » 
€  Se  voi  volete  vedere  o  udire, 
ricominciò  lo  spaurato  appresso, 
99       tòschi  o  lombardi,  io  ne  &rò  venire; 

ma  stien  le  male  branche  un  poco  in  cesso, 
si  ch'ei  non  teman  delle  lor  vendette: 
102        ed  io,  sedendo  in  questo  loco  stesso. 


degna  e  in  Iwf,  min  28  in  boooa  d' UgoUno 
della  Gherardeeoa.  —  86.  41  plano,  si  coM'el 
dlee:  la  locazione  di  piano  (lat.  ds  plano, 
sèidodipianu)  significa  oUaoftètof  pianamente 
(Zing.  147),  e  in  bocca  di  fra  Gomita  accenna 
ch*ei  libeiò  1  piìgionieri  eenssa  processo  ;  seb- 
bene apparisca  anche  in  altri  dialetti  italiani, 
qnosta  frase  pad  essere  stata  preferita  da 
Dante  per  dar  rilievo  alla  figara  del  barat- 
tiere sardo  (cfr.  Parodi,  BuU.  m  147).  —  86. 
e  negli  altri  ■fflet  eco.  e  negli  altri  atti  del 
sao  officio.  —  87.  torrano:  sommo  ;  cfr.  Inf. 
lY  88,  xyu  72  eco.  —  88.  4onno  Michel 
Zanche  di  Logodoro  eoo.  La  parte  nord- 
orest  della  Sardegna  coetitoiva  il  gimdicato 
di  Torres  o  Logudoro,  governato  da  giadici 
indigeni  sino  al  1236,  poi  da  Adelasia  di 
Torres  che  sposò  Ubaldo  II  Visconti  e,  morto 
lai,  passò  a  seconde  nozze  nel  1289  con  Enzio 
figlio  di  Federico  IL  Occapato  nelle  gaerre 
d' Italia  e  poi  prigioniero  dei  bolognesi  nel 
1249,  Enzio  lasciò  sao  vicario  in  Logadoro 
Michele  Zanche,  il  qoale,  sciolte  le  nozze  di 
Adelasia  col  secondo  marito,  la  sposò  e  tenne 
langamente  il  dominio  del  giadlcato  :  ebbe  di 
lei  ana  figlia,  che  fa  data  in  moglie  a  Branca 
Boria  gonovese,  dal  qoale  Michele  ta  spento 
a  tradimento  intomo  al  1290  (cfr.  Inf,  xzxm 
137).  Sa  qaesti  fatti  regna  la  più  grande  in- 
certezza cosi  negli  storici  sardi  come  nei  com- 
mentatori di  Dante.  Di  Michele  Zanche  dice 
il  Lana  che  e  seppe  fare  awilappamento  por 
grande  baratteria  >  ;  e  pare  da  intendere  che 
dell'  afi9cio  di  vicario,  da  lai  esercitato  nel- 
l'AMOiiza  di  Enzio,  si  valesse  per  osoipaxe  la 


signoria.  Eironeamente  dicono  i  piti  che  la 
donna  sposata  da  Michele  fosse  la  madre  di 
Enzio.  —  89.  ed  a  dir  ecc.  e  non  si  stancano 
mai  di  parlare  tn  loro  delle  ooee  di  Sarde- 
gna. —  91.  Paltro  che  digrigna  ecc.  H  terzo 
diavolo  che  minaccia  Giampolo  ò  Farfarello; 
al  qaale  Barbaricda,  il  gran  proposto,  impone 
sabito  di  allontanarsi.  —  96.  per  flarir«:  in 
segno  di  minaccia,  minacciando  di  colpire  il 
peccatore  col  sao  ronciglio.  —  96.  malvagio 
■ceello  :  cosi  lo  chiama,  perché  questi  dìa- 
voU  sono  alati  :  cfr.  i  w.  116, 127, 144  o  (Inf. 
zxm  36.  —  98.  lo  spanrato  :  Ciampolo,  «pa- 
ventato e  atterrito  dalle  minacce  diaboliche. 
—  99.  ttftehi  o  lombardi:  si  ricordi  cho  Vìi^ 
gilio  aveva  chiesto  a  Giampolo  se  oonosoesse 
alcan  barattiere  che  fosse  latino  (v.  66)  e  che 
il  navarrese  sinora  ha  parlato  di  dae  saidi, 
che  farono  di  là  vicino  (v.  67):  ora  o^  ai 
offre  di  chiamar  qaidoano  di  Toecana  o  di 
Lombardia,  non  tanto  per  sodisfare  pid  pie- 
namente il  desiderio  dei  visitatori,  quanto 
per  allongare  ancora  quella  spedo  di  tregua 
concessa  da  Barbaricda  e  cogliere  H  momeii^ 
opportano  di  ritalTarsi  nella  pece  ■enz'oaaere 
arroncig^to.  —  100.  le  malo  brasche  t  i 
diavoli  ;  cfr.  h%f.  uà  97.  Altri  leggendo  la  Ma- 
Ubranehé  credono  oho  sia  qoi  il  nome  ooUet- 
tivo  dei  demoni  di  questa  bolgia.  —  1b  oeseo  : 
in  disparte  ;  senso  ohe  si  ricava  dal  conflato 
col  V.  116,  ove  ò  accennato  all'  allontanarai 
dei  diavoli,  e  da  altri  esempi  antichi  (cfr-.  p^ 
rodi,  Bull,  m  134).  —  lOL  if  ek'el  nom  ecc 
si  che  i  barattieri,  da  me  chiamati,  non  te- 
mano d' uscire  dalla  poco  vedendo  i  diavoli 


INFERNO  -  CANTO  XXH 


167 


per  un  ch'io  son,  ne  fiurò  venir  sette, 
qnand*io  sufolerò,  com'ò  nostr'oso 
105        di  fiure  allor  che  fdorì  alcun  si  mette  ». 
Gagnaszo  a  cotal  motto  levò  II  muso, 
crollando  il  capo,  e  disse  :  «  Odi  malizia, 
108        ch'egli  ha  pensata  per  gittarsi  giuso  ». 
Ond'ei,  ch'ayea  lacciuoli  a  gran  diTÌzia, 
rispose  :  «  Malizioso  son  io  troppo, 
111        quand'io  procuro  a' miei  maggior  tristizia  ». 
Aliohin  non  si  tenne,  e,  di  rintoppo 
agli  altri,  disse  a  lui  :  €  Se  tu  ti  cali, 
114        io  non  ti  verrò  dietro  di  galoppo, 
ma  batterò  sopra  la  pece  V  ali  : 
lascisi  il  collo,  e  sia  la  ripa  scudo 
117        a  veder  se  tu  sol  più  di  noi  vali  ». 
O  tu  che  leggi,  udirai  nuovo  ludo! 
Ciascun  dall'altra  costa  gli  occhi  volse; 


poiti  id  affBRBzli  eon  gli  vndiil.  —  104. 
t9m*k  Mttr'BM:  paiiebbe  dalle  parole  di 
Cbopob  oàe  quando  nn  barattiere  uscito 
ffOD  della  pece  Tederà  che  non  e*  era  alcun 
itmcnòo  a  guardia,  per  usanza  o  patto  òhe 
iam  tn  quei  dannati,  chiamMBe  con  un  fi- 
Kkb  i  «mpagni  perché  anch'  eesi  ueciseero 
d'ipcrto  per  alleriare  il  loro  tormento  ;  ma 
è  lottile  malizia  del  navarreee  per  ingannare 
i  isToli  e  cogliere  coei  il  deetro  di  rituffarsi. 
"  W.  Odi  Ballala  ecc.  Lana  :  «  Qui  poeti- 
«■fnte  Tuoi  mostrare  l'autore  ohe  l'anime 
■^mte  dal  corpo  vi  ritomono  in  quello  es- 
ta»  e  stato  di  àbito  spirituale,  in  ohe  erano 
lai  fonto  della  separazione  di  eese  dal  corpo  ; 
^  ^,  le  Taiiima  morlo  in  baratteria,  sempre 
^  làuae  quello  abito  ;  e  però  che  '1  detto 
Gaapoto  ta  barattiero  e  cosi  morìe,  ancora 
▼Mie  mostcaze  oh*  usara  tal  disposizione,  e 
tie§  eh'elli  pensò  sotto  spezia  di  Virgilio  e 
£  Dsste  d' frngaTiiiT  li  detti  demonii  e  dispar- 
tim  da  loro  B.  —  109.  al,  eh*aTea  lacelaoli 
«Be.  Qampolo,  ch'era  ricco  di  spedienti  e  di 
■»1ÌB9.  ~  UO.  MaUxiose  soa  lo  eco.  Bella 
■•Ozia  cbe  è  la  mia,  di  procurare  ai  miei 
ftaipigjBi  una  pena  maggiore  di  quella  che 
^nso  sotto  la  pece.  Questo  pare  il  senso  pi6 
atonie  deQe  parole  finamente  ironiche  dette 
^  Cisaipolo  al  diaTolo  accusatore  *,  ma  l'Ott. 
loto  che  €maUx4o90  Tiene  alcuna  Tolta  a 
^  «slirloeo  e  saputo,  alcuna  Tolta  Tiene  a 
^  bòtole  di  male,  però  con  questo  lao- 
óaoio  il  nararrese  inganna  il  diaTolo  >  :  in- 
■oKsa  a  Oagnazzo,  che  lo  ha  tacciato  d'esser 
Bsfinoao  e  fraudolento,  Ciampolo  risponde- 
n4èe  d'esser  ben  malTagio  pid  del  bisogno, 
^  lai  dbe  si  dispone  a  procurare  ai  oompa- 
|BÌ  SBoi  una  msggior  tristizia,  o,  come  spiega 


il  Buti,  a  procurare  lo  strazio  degli  undni  a 
barattieri  di  maggior  grado  ch'ai  non  foaso 
(ofir.  in  questo  caso  il  miti  maggior  con  il  mM 
miglior  del  Puirg.  zxti  98);  ma  le  chiose  del- 
l'Ott  e  del  Buti  sono  troppo  sottiU.  -  111. 
tristizia:  qui  significa  non  il  dolore  morale 
(cfr.  Inf,  TI  8),  ma  il  tormento,  io  strazio 
corporale.  —  112.  non  si  tenae  :  non  si  con- 
tenne dal  rispondere.  —  di  rintoppo  mglì 
altri  :  al  contrario,  in  opposizione  agli  altri 
diaToli  che  non  ToleTan  dar  retta  alle  pa- 
role di  Ciampolo  :  sulla  locuzione  di  rkUoppo 
cfr.  Inf.  zzzni  96.  —  118.  8e  ta  U  eaU  ecc. 
Lomb.  :  «  La  sentenza  ò  questa  :  lo  non  sola- 
mento  ho  piedi  come  tu  hai,  ma  ho  anche 
r  ali  ;  però  se  tu  tenterai  fuggirtene  non  ti 
correrò  giÀ  appresso  galoppando  co'  piedi,  ma 
battendo  l' ali,  Tolando  per  aria  sopra  lo  sta* 
gno  ;  onde  sicuramente  raggiungerotti  prima 
che  nella  pece  ti  attuffi  ».  —  116.  laseisl  il 
eolle  ecc.  noi  lasderemo  la  sommità  dell'ar- 
gine e  andremo  a  nasconderci  gió  per  il  pen- 
dio; oosi  si  Todrà  se  tu  sei  più  Toloce  di  noi. 
Tomm.  :  «  Imaginate  il  lago  di  pece  in  mezzo 
alla  bolgia  si  che  rimangano  due  margini  di 
qua  e  di  lA  al  passaggio  dei  diaToli  ;  imagi- 
nato  che  ai  due  lati  si  alzino  due  alti  orli  di 
pietra;  le  sommità  di  ciascun  rilioTO  chia- 
mato coUOf  il  pendio  ripa;  e  Tedreto  come  la 
ripa  nell'  opposto  pendio  ftMxda  scudo  e  na- 
sconda i  diaToli  ai  dannati,  e  i  dannati  a 
quelli  ».  È  inutile  discutere  se  si  abbia  a  leg^ 
gore  eolio  o  oolle;  poiché  in  Inf,  xxin  48  e 
53  ambedue  le  Tod  sono  adoprato  dal  poeto 
a  designar  la  stessa  cosa,  doò  il  culmine  del- 
l'argine: cfr.  Parodi,  BuU.  UL  118.  ~  118. 
■BOTO  Inde  :  uno  strano  contrasto,  una  gara 
singolare,  fra  Ciampolo  e  l  diaToli.  —  H^^. 


168 


DIVINA  COMMEDIA 


120       quei  prima,  eh' a  dò  fare  era  più  orado. 
Lo  naTarrese  ben  suo  tempo  colse, 
fermò  le  piante  a  terra,  e  in  nn  ponto 
123       saltò  e  dal  proposto  lor  ai  sciolse. 
Di  die  ciascun  di  colpa  fa  compunto, 
ma  quei  più,  die  cagion  fd  del  difetto; 
126       però  si  mosse,  e  gridò  :  «  Tu  se'  giunto  !  » 
Ma  poco  i  valse,  ohe  l'ali  al  sospetto 
non  poterò  avanzar:  quegli  andò  sotto, 
129       e  quei  drizzò,  volando  suso,  il  petto; 
non  altrimenti  l'anitra  di  botto, 

quando  il  &lcon  s'appressa,  giù  s'attuffa, 
132        ed  ei  ritorna  su  crucciato  e  rotto. 
Irato  Calcabrina  della  buffa, 


€lMe«B  eoo.  Tutti  1  discoli  ai  voltarono  in- 
dietro, Yorao  Toppoato  pendfo,  e  primo  d'ogni 
altro  fti  quello  obe  ai  moatraTa  pili  renitente 
a  ciò  fare,  —  120.  qiel  prlM»  eoo.  Ohi  aia 
tra  i  diavoli  il  primo  a  muoreral  non  appara 
chiaramente:  1  commentatori,  dal  Buti  al 
Lomb.,  dicono  Gagnazzo  perché  aveva  aoo- 
perta  la  malizia  di  Ciampolo;  ae  non  che, 
oaaerva  il  Biag.,  e  accennandoti  jMl  gió  al 
▼.  188,  che  Calcabrina,  adiratosi  della  burla, 
ai  apinae  addoaso  ad  Alichino  per  fome  aopra 
di  lui  la  vendetta,  ragion  vuole  che  dello 
steaso  Calcabrina  a' intenda  qui  parlaro, 
oh*  eaeo  fu  che  ai  moatrd  piò  duro  degli  al- 
tri al  oonsentiro  alla  proposta  del  barattierG  ». 
—  121.  Lo  navarreie  ecc.  Ciampolo  colso 
n  momento  opportuno,  fermò  i  piedi  a  terra 
per  iapiccaro  il  salto,  e  nello  atesso  momento 
salto  e  ai  Uberò  dal  propoeto  lor^  doò  da  Bar- 
barioda,  detto  al  v.  94  il  gran  proposto  dei 
diavoli,  il  quale  toneva  Ciampolo  con  le  brac- 
cia, per  difenderlo  dagli  altri  (cfìc  w.  69, 
76,  96).  ~  128.  dal  propoato  lort  ò  gran 
queetione  fira  gli  interpreti  se  ai  tratti  di  Bar- 
baricda,  come  intesero  Ott  e  Benv.  e  con 
oasi  parecchi  moderni,  e  come  consiglia  il 
riaoontro  fira  questo  e  il  v.  94;  o  ae  invece 
Dante  abbia  voluto  diro  che  Ciampolo  ai  li- 
berò dal  propotiiOf  dall'  intenzione  dei  diavoli, 
ch'era  di  atraodarlo  ooi  loro  roncigli  :  ma 
queata  interprotadone  del  Lana  e  del  Buti, 
difesa  da  molti  moderni  e  massime  dal  Lomb. 
e  dallo  Scart.,  non  ha  sufficiente  fondamento 
di  ragione  ;  poiché  l'argomento  pi6  forte  re- 
cato innanzi  per  sostenerla,  cioò  ohe  ove  si 
trattasse  di  Barbaricda  Dante  avrebbe  do- 
vuto accennare  prima  aUo  tdogliern  e  poi  al 
aaZtorv,  cade  davanti  al  fatto  che  il  poeta  de- 
scrive queste  due  azioni  come  contemporanee, 
come  avvenute  in  un  puntOj  doò  nello  stesso 
momento  di  tempo.  Barbaricda  non  ò  solv 
menta  11  capo  della  deo(na  diabolica,  ma  an- 


die  mandato  a  aoorta  e  tutela  di  Dante  e 
Virgilio:  egli  difende  quindi,  ain  ohe  può, 
contro  le  intemperanze  dei  sud  dipendenti 
il  peooatore  che  d  è  trattenuto  fuor  della 
pece  per  rispondere  alle  domanda  dei  due 
poeti;  però  egli  non  aveva  alouna  ragiono 
di  allontanard  dalla  cima  dell'argine,  come 
avevano  aocennato  di  fare,  ma  non  fktto  tot- 
ocra,  i  aud  diavoli.  — 124.  IH  «Im  ooo.  Per 
la  fuga  di  Ciampolo  ciaaouno  dd  diavoli  d 
sente  oolpevdo  d'avergliene  dato  n  momento 
opportuno;  ma,  pili  di  tutti,  Alidiino  che 
aveva  fatta  la  proposta  e  ood  veniva  ad  es- 
sere il  maggior  colpevole.  —  di  eelpa  fia 
eonpmto  :  cfir.  ^i/l  x  109.  —  126.  difetto  : 
mancanza;  in  quanto  per  la  ftiga  di  Ciam- 
polo era  venuto  a  mancare  ai  diavoli  il  pec- 
catore da  atraziare.  —  126.  Tu  se'  glaate  !  : 
ti  ho  còlto  t  Eadamadone  naturaliaaima  in 
chi  d  metto  ad  inseguire  un  altro,  con  la 
fiduoia  di  raggiungerlo.  —  127.  Ma  pece  ecc. 
Ifa  poco  valse  ad  Alichino  il  gridare,  poiché 
la  volodt&  del  suo  volo  non  avanzò  quella 
che  la  paura  dio  a  Ciampolo.  —  ieapeito: 
paura  ;  come  in  Mf,  ni  14.  —  128.  f  ae^Il 
andò  eoo.  Ciampolo  a'  attoffò  nella  pece  e 
Alichino  d  rivolse  volando  vwao  1'  argine. 
—  180.  non  attrlaieatl  eoo.  come  l'anitra  d 
nasconde  attoffandod  a  un  tratto  ndl'aoqua 
del  lago,  ae  vede  awidnaid  il  falcone,  il 
quale  riprende  a  volare  per  1'  aria  adornato 
e  stanco,  ood  Ciampolo  d  naaooae  e  Alichi- 
no tornò  aull'argine.  —  182.  erveeiate  e 
rotto:  del  falcone  dioe  altrove  Dante  (Inf, 
xvn  127  e  segg.)  che  quando  discende  senza 
preda  ò  disdegno»  e  feUo^  tna»  riapondente 
al  eruodaio  di  questo  luogo,  e  che  per  avere 
inutilmente  volato  appare  lasso  o  atanco,  ohe 
qui  dice  più  vigoroaamente  rottOf  perché  prima 
di  landard  a  ghermir  l'anitra  ha  dovuto  atare 
assai  su  l'aU.  —  188.  Irate  eoo.  Oaloatona, 
adegnato  dell'  inganno,  vdò  dietro  ad  Alichi^ 


E       ■«««  I  I 


INFERNO  -  CANTO  XXH 


169 


volando  dietro  gli  tenne^  inyaghito 
135        die  quei  campasse  per  aver  la  zuffa. 
E  come  il  barattier  fb  disparito, 
cosi  Tolse  gli  artigli  al  sno  compagno, 
188       e  fa  con  lai  sopra  il  fosso  ghermito. 
Ma  l'altro  fd  bene  sparvier  gri&gno 
ad  artigliar  ben  lui,  e  ambedue 
141        cadder  nel  messo  del  bogliente  stagno. 
Lo  caldo  sgbermitor  subito  fue: 
ma  però  di  levarsi  era  niente, 
144       si  aveano  inviscate  Pali  sue. 

Barbaricda,  con  gli  altri  suoi  dolente, 
quattro  ne  fé' volar  dall'altra  costa 
147        con  tutti  i  raffi,  ed  assai  prestamente 
di  qua,  di  là  discesero  alla  poeta: 
porser  gli  uncini  verso  gì' impaniati, 
160        ch'eran  gi&  cotti  dentro  dalla  crosta; 
e  noi  lasciammo  lor  cosi  impacciati. 


no»  eoiqiaoaidoii  quasi  ohe  CSampolo  potMM' 
■IfBBl  p«r  srer  ragione  d'annfDKBi  oòà  oom- 
ligBo.  —  kaffla:  ^  antichi  oommentstoii, 
ihg  iHgQMxào  al  Talore  di  questa  Tooe  in  Btf. 
VB  61  sono  discordi,  qni  I*  spiegano  tutti  nel 
iigyicato  d'iR^ofmo;  cfr.  Parodi,  BulL  Ul 
US.  —  188.  •  Hi  eoo.  e  lo  ghermi  serra  il 
landoOa  pece.  ->  189.  Ma  l'altre  eoo.  Ma 
AfieUno,  con  la  prontexza  doUo  spArviere 
gnA«Be,  aflarrò  oon  gli  artl^  Oaloabiina  e 
eiaiiflBceati  caddero  ambedae  nel  mezzo  della 
faes  bollente.  —  sparrler  yrlflagnot  gli  an- 
tichi Aiamaraiio  grifagni  qnelli  sparrieri,  che 
«tao  presi  adulti  e  perdo,  nna  volta  addo- 
■Mtiesti,  xinseiTano  pili  animosi  e  pronti  al- 
PioosQan.  —  142,  Le  salde  ecc.  Vnol  dire 
(he  il  caldo  della  pece  separò  saMto  i  dne 
eoatiadsoti;  poiché  mfkarmidonf  dal  yb.  agher- 
«ira  che  ha  senso  oontraiio  a  ^Aarmtra,  air 
IBftoa  oofad  che  sepoa  dne  contendenti,  doò 
ebs  B  lieno  ghermiti  o  aiferrati  insieme.  — 
U3.  ma  però  eoo.  ma  Àliohino  e  Calcabrina 


non  potevano  levarsi  sa  dalla  pece,  perché 
avevano  impeciate  le  loro  ali.  —  li4.  sae  t 
ofr.  Jbìf,  X  13.  — 146.  Barbarleeia  eoo.  Bai^ 
barioda,  ohe  insieme  al  compagni  era  dolente 
del  caso  intervenuto  ai  dne  contendenti,  man- 
dò dall'altra  parte  della  bolgia  ooi  loro  raffi 
quattro  diavoli;  e  cosi  questi  quattro  di  là  e 
gli  altri  quattro  di  qua,  ooUocandosi  sull'estre- 
mità del  fosso,  porsero  gli  uncini  verso  Ali- 
chino  e  Calcabrina,  per  alutarli  a  risalire.  — 
ì^  alla  pesta:  al  luogo  assegnato  a  da- 
souno (cfr.  In/',  zm  113).  —  149.  Impaniati: 
inviluppati  nella  pece  (cfr.  Inf,  xxi  124)  ;  il 
Torraoa  dta  il  verso  di  P.  Tedaldi,  son.  vi  : 
e  Sono  impaniato  come  tordo  in  pegola  ».  — 
150.  eh*  eran  eco.  eh'  erano  già  cotti  dentro 
la  superficie  del  Iago  bollente.  —  erosta:  la 
stessa  voce  usa  Dante,  It%f,  xxxm  109  e  xxziv 
66  per  indicare  la  superficie  ghiacciata  di  Co- 
dto.  —  161.  e  sol  ecc.  Dante  e  Virgilio  colgo- 
no il  momento  che  i  diavoli  sono  occupati  a  li- 
berare i  compagni,  per  rimettersi  in  cammino. 


CANTO  XXTII 


I  dne  poeti  procedono  sairargine,  finché  vedendo  sopragiangere  i  dia- 
voli scendono  nel  fondo  della  sesta  bolgia,  ove  sono  puniti  gV  ipocriti,  che 
f&BBo  sotto  pesanti  cappe  di  piombo  :  tra  essi  trovano  i  bolognesi  Catalano 
M  (^talani  e  Loderingo  degli  Andalò  e  poi  riprendono  il  cammino  nel  fondo 
4eUa  bolgia  [9  aprile,  verso  le  ore  nove  antimeridiane]. 


170 


DIVINA  COMMEDIA 


Taciti,  soli  e  senza  compagnia, 
n'andayam  l'un  dinanzi  e  l'altro  dopo, 

8  come  i  frati  minor  vanno  per  via. 
Tòlto  era  in  su  la  favola  d'Isopo 

lo  mio  pensier  per  la  presente  rissa, 
'  6       dov'ei  parlò  della  rana  e  del  topo; 
die  più  non  si  pareggia  '  mo  '  ed  '  issa  ' 
ohe  l' nn  con  l' altro  fa,  se  ben  e'  accoppia 

9  principio  e  fine  con  la  mente  fissa: 

e  come  l'nn  pensier  dall'altro  scoppia, 
cosi  nacque  di  quello  un  altro  poi, 
12        che  la  prima  paura  mi  fé' doppia. 
Io  pensava  cosi:  €  Questi  per  noi 
sono  scherniti,  e  con  danno  e  con  beffa 
15        si  fatta  ch'assai  credo  che  lor  noL 
Se  l' ira  sopra  il  mal  voler  s' aggueffa, 


XXm  1.  TMitl  eoo.  LaKdaado  i  dia- 
voli ocoapati  a  •occorrere  1  dae  compagni 
caduti  neUa  pece,  Dante  e  '^Higìlio  ripren- 
dono il  fiammino  nill'  ai^gine,  procedendo  in 
silenzio  l'nno  dietro  l'altro,  e  Qneeto  canto  d 
pieno  di  umorismo;  ...  tatto  ...  oostitoisce 
nna  scena  riboccante  di  umorismo  che  spicca 
maggiormente,  se  toì  la  confrontate  con  la 
scena  comica  de*  due  canti  precedenti.  Colà 
la  risata  schietta,  sonora  e  alquanto  sgua- 
iata ;  qui  il  sorriso  velato,  sarcastico  e  fine. 
A  leggere  il  canto  degl'  ipocriti  dopo  quelli 
dei  barattieri,  par  di  passare  dal  chiasso  di 
una  via  affollata  al  silenzio  di  un  chiostro 
solitario»;  L  Della  Giovanna,  LmL  p.  30. 
—  8.  come  1  frati  ecc.  Lana  :  <  Usanza  ò 
quando  li  frati  minori  vanno  da  una  cittade 
ad  un'  altra  o  da  uno  luogo  ad  un  altro, 
s*  olii  fossero  ben  cento,  vanno  in  fila  l' uno 
dietro  all'altro  ;  può  esser  forse  perché  vanno 
contemplando  oon  Dio  ».  B  cammino  silen- 
zioso era  conforme  al  consiglio  dato  ai  suoi 
fiati  da  san  Francesco  :  «  Ite  cautìssimi,  bini 
et  bini,  per  diversas  partes  orbis  ».  —  4. 
Tòlto  era  ecc.  n  mio  pensiero,  per  la  rissa 
fra  i  due  diavoli,  era  rivolto  alla  favola  eso- 
piana  della  rana  e  del  topo.  —  la  favola 
d'Iiopo:  le  favole  del  greco  Esopo,  rifatte 
latinamento  da  Fedro,  da  Aviano  e  da  al- 
tri, ebbero  una  grande  fortuna  nel  medioevo, 
non  pur  comò  piacevole  lettura,  ma  anche 
come  libro  scolastioo  ;  e  si  dissero  d' Esopo 
anche  quelle  eh'  erano  solamente  di  maniera 
esopiana,  quale  appunto  questa  della  rana 
e  del  topo.  —  6.  dor'  el  parlò  ecc.  La  fa- 
vola accennata  da  Dante  ò  la  seguente  (Fe- 
dro, FakvL  aeaopiarum,  appendice  far.  6): 
•  Mu8  tt  rana:  Mus,  quo  transire  posset 
flumen  fitdlius,  Auxilìum  ranae  petit.  Haeo 


miniB  alligai  Lino  priorem  cns  ad  poate- 
rìus  pedem.  Amnem  natantea  vìx  modiiim 
devenerant,  Cnm  rana  subito  ftmdum  fln- 
minis  petens  Se  mexgit,  muri  ut  vitam  eri- 
peret  perfide.  Qui  dum,  ne  mergeretur,  tandit 
validìus;  Praedam  conspexit  milvns  propter 
volans,  Muremque  fluctuantem  rapuit  ong^. 
bus,  Simulque  ranam  coUigatam  sustolit.  Sic 
saepe  intereunt  aliis  meditantes  necem  >  ;  ma 
forse  il  poeta  ebbe  sott'  occhio  le  redazioni, 
sostanzialmente  conformi,  che  si  leggono  nel- 
le raccolte  di  favole  esopiane,  oonosoiute  sotto 
i  nomi  di  Bomulus  e  dell' Anonimo  di  Neve- 
lete  (cfr.  E.  Mckeniie,  Damttfa  Refsrmtees  io 
Aeiopf  Boston,  1900,  pp.  6-18).  —  7.  «ké  pì4 
ecc.  poiché  il  caso  di  Alichino  e  Calcabrina 
ò  identico  a  quello  della  rana  e  del  topo,  co- 
me l'avverbio  mo  (cfr.  Inf.  zxvn  20)  è  iden- 
tico all'aw.  issa  (cfr.  Bif.  xxvn  21).  —  8.  ae 
ben  ecc.  se  con  la  mente  attenta  si  paragona 
il  principio  e  la  fine  delle  due  avrentore  : 
infatti  il  diavolo  Calcabrina  che  voleva  dan- 
neggiare il  compagno  Alichino  andò  a  finire 
anch'  egli  nella  pece,  come  la  rana  che  vo- 
leva uccidere  il  topo  suo  compagne  aiidò  a 
finire  con  luì  preda  dello  sparviero.  —  10.  • 
come  ecc.  come  un  pensiero  sboccia  o  nasce 
naturalmente  da  un  altro,  cosi  dal  pensiero 
della  somiglianza  tra  l' avventura  diabolica  e 
la  favola  esopiana  nacque  in  me  un  altro  pen- 
siero, che  raddoppiò  la  paura  avuta  aflor^ 
quando  Malacoda  d  dio  la  compagnia  dei  dia- 
voli (cfr.  hìf.  xzx  127-182).  —  18.  per  aal  : 
per  cagione  nostra;  perché  all'inganno  di 
Ciampolo  era  stato  occasione  il  desiderio  dei 
poeti  ch'egli  parlasse  (cfr.  Inf,  xzn  97  o  segg.). 
—  16.  nel  :  dia  fastidio,  dispiaccia.  — 16.  8e 
l'Ira  ecc.  Se  al  malvolere  proprio  dei  dia- 
voli s' aggiunge  lo  sdegno  déll'essar  stati  in- 


r^»^^" 


INFEBNO  -  CANTO  XXIH 


171 


ei  ne  yerranno  dietro  più  crudeli 
18        che  il  cane  a  quella  lepre  eh'  egli  acceffa  >. 
Già  mi  sentia  tutti  arricciar  li  peli 
della  paura,  e  stava  indietro  intento, 
21        quand'io  dissi:  «  Maestro,  se  non  celi 
te  e  me  tostamente,  i'ho  payento 
di  Malehranche;  noi  gli  avem  già  dietro: 
24        io  gP  imagino  si  che  già  li  sento  >. 
E  quei  :  €  S' io  fossi  di  piombato  vetro, 
Pimagine  di  fuor  tua  non  trarrei 
27        più  tosto  a  me,  che  quella  d'entro  im^tro. 
Pur  mo  venlano  i  tuoi  pensier  tra'  miei 
con  simile  atto  e  con  simile  fetccia, 
80        si  che  d'entrambi  un  sol  consiglio  fei. 
S'egli  è  che  si  la  destra  costa  giaccia, 
che  noi  possiam  nell'altra  bolgia  scendere, 
83       noi  foggirem  l' imaginata  caccia  ». 
Già  non  compiè  di  tal  consiglio  rendere, 
ch'io  li  vidi  venir  con  l'ali  tese, 
86       non  molto  lungi,  per  volerne  prendere. 


palati  por  cagion  noetn,  evi  o'imegoimmo 
«&  *  §*Bggme9^t  il  Tb.  aggmffm^  come 
tette  dalle  locazioni  rimili  dell'In/',  xra  66 
e  iWy.  ▼  112,  tignifloa  aggkmgtn,  e  doriva 
te»  dal  ted.  wébm^  teaieie  (Diei  861):  in- 
Irtti  il  Bnti  «ttoata  cho  €  aggmlfan  ò  filo  a 
fio  agginngece  >.  — 18.  «he  11  eaae  eoe  ohe 
■OH  Xaooia  il  cane  alla  lepre  abboccata  :  ao- 
mgen  è  propriamente  afferrar  col  ee/fo^  cioò 
eoa  la  bocca  e  coi  denti.  —  20.  ttoTa  Indie- 
tro lalMto  X  etaya  attento,  ascoltando  e  goar- 
iando  indietro,  ae  aknm  legno  apparisse  dei 
lisrolL  —  22.  tostameite:  sabito;  forma 
iMte  da  Dente,  V.  N.  ti  43:  <  ta  fosti  sao 
tostamente  dalla  poerizia»  o  da  Gino,  Rms 
61  :  <  Ta  ne  morrai,  s'io  posso,  tostamente  ». 
->  23.  il  Maletoanclie  :  de'  diaroli,  detti  ge- 
nsrioamonte  cosi  :  ofr.  Jb^,  xxi  87.  —  2A.  lo 
fTlaaglaa  ecc.  io  li  ho  cosi  scolpiti  nella 
ftatasia  che  già  me  li  sento  addosso.  «  Qae- 
rtoT«nodi^ngeÌlpoete>,  osserva  il  Tomm.; 
e  TBcamente  non  ri  saprebbe  maglio  rappre- 
MBtaie  la  gagliaidla  delle  impresrioni  fanto- 
itiebB,  per  le  qoali  a  Dante  pareva  presente 
é6  d&*«ca  panunenta  imaginato  :  cfr.  on  ri- 
siile eaeo  mai  IVy.  xz  82.  ~  26.  K  qasi  eoo. 
Yixgille  dice  a  Dante  :  Se  lo  fosri  ano  speo- 
cfato,  non  riilettarei  la  toa  esteriore  sembianza 
oori  pnsto  oom*io  intendo  i  tool  riposti  pen- 
^■i;  peid  svendo  conosdato  1  tool  penrieri 
easr  <wnfoT"<  ai  miei,  ri  sono  risolati  tatti 
W  «a  sola  delibsrarioMi  fnella  di  sfoggixe 


al  ternato  insegaimento,  discendendo,  appena 
potremo,  nella  sesta  bolgia.  —  di  ^embate 
Tetre  i  lo  specchio,  dice  Dante  nel  Cbne.  m  9, 
ce  vetro  terminato  con  piombo.  —  26. 
rimagine  di  fnori  l'imagine  esteriore,  cor- 
porale. —  27.  qaella  d' emtre  i  l'imaginario- 
ne  interioro,  il  penrioro  oono^ito  da  Dante. 
—  Impetre  :  il  vb.  imfwfmrs,  che  Dante  asa 
più  spesso  nel  soo  senso  proprio  di  ottenere, 
consegaire  o  in  quello  di  chiedere  (ofir.  IKurg. 
ZEZ  96,  xzx  182,  Far,  zzzn  147%  qoi  d  tratto 
al  aenso  di  ricever  dentro  a  sé,  qaindi  cono- 
scere. —  29.  eoa  siaUle  ecc.  perchó  tanto  1 
taci  quanto  1  miei  procedevano  dallo  stesso 
sentimento  di  paara  (tUmle  atto)  e  però  erano 
conformi  (simile  facoia).  —  80.  d' entrambi 
eoo.  degli  ani  e  degli  altri  feci  ana  sola  de- 
cirione.  —  81.  8'egU  è  ecc.  Se  ri  trova  on 
luogo  dove  la  destra  ripa  dell'argine  sia  in- 
clinate tanto  che  noi  possiamo  per  essa  di- 
scendere nella  seste  bolgte  eoo.  ~  giaccia  : 
anche  in  Inf,  xix  86  e  Pwg,  m  76  ò  usato 
il  vb.  gioMre  a  indicare  V  indinairi  del  ter- 
reno in  modo  da  potervi  discendere  ago- 
volmente.  —  83.  l*ÌMagiaata  eaecia:.rin- 
seguimento  dei  diavoli  imaginato  e  temuto 
dai  duo  poeti.  —  84.  Olà  non  eompiè  ecc. 
Virgilio  aveva  appena  manifestete  la  soa  deci- 
rione  al  compagno,  quando  apparvero  1  diavo- 
li che  volavano  minaooiori  :  allora  egli  afferrò 
Dante  e  con  amosevole  sollecitudine  s' abban- 
dona frettolosamente  giù  per  la  ripa  dell'ar- 


172  DIVINA  COMMEDU 


Lo  daoa  mio  di  sùbito  mi  prese, 
come  la  madre  ch'ai  romore  è  desta 
89       e  Tede  presso  a  sé  le  fiamme  accese, 

che  prende  il  figlio  e  fugge  e  non  s*  arresta, 
avendo  più  di  lui  che  di  sé  cara, 
42       tonto  che  solo  una  camicia  vesta: 
e  giù  dal  collo  della  ripa  dura 
supin  si  diede  alla  pendente  roccia, 
45       che  Tun  dei  lati  all'aliara  bolgia  tura. 
Non  corse  mai  si  tosto  acqua  per  doccia 
a  volger  rota  di  molin  terragno, 
48       quand'  ella  più.  verso  le  pale  a^^rocoia, 
come  il  maestro  mio  per  quel  vivagno, 
portandosene  me  sopra  il  suo  petto, 
51       come  suo  figlio,  non  come  compagno. 
Appena  fùr  li  pie  suoi  giunti  al  letto 
del  fondo  giù,  ch*el  furono  in  sul  colle 
54       sopr'esso  noi:  ma  non  gli  era  sospetto; 
che  l' alta  prowidensa,  che  lor  volle 
porre  ministri  della  fossa  quinta, 
57        poder  di  partirs'indi  a  tutti  tolle* 
Là  giù  trovammo  una  gente  dipinta, 

gine,  per  eritare  d*  eeeer  da  quelli  sozpreei.  En,  zi  666  :  €  dat  seee  flnrlo  ».  •—  46.  M<b 

—  37.  TiO  diea  eco.  Biag.  :  €  Maraviglioei  eone  eoo.  Venturi  606:  €  BArrira  Tatto  e 

sono  qaesti  versi  non  tolo  pei  belli  pensieri  ne  spiega  la  rapidità  oon  una  oomparacioae, 

che  linchiadono,  ma  per  aver  sapnto  il  poeta  in  oni  è  da  notare  la  laHomiglians»  della 

colle  parole,  non  meno  che  col  gfiro  deUe  me-  declività  fra  lo  soendor  di  Viigilio  per  la  ripa 

desime,  os^rimere  divinamente  il  princlpalo  pendente,  e  lo  scender  dell'acqua  per  va  oa- 

sao  intendimento,  ch*ò  di  condor  l'azione  naie».  —  4aedat  il  canale  artifloiale  per 

dal  principio  al  fine  in  modo  oà*  nna  parte  coi  si  dedoce  Tacqna  da  un  flnme  a  un  opi- 

l'altra  incalzi,  la  prema  e  le  dia  moto  e  vita,  fido.  —47.  MoUa  tonragaat  moliiiodi  terra, 

accelerando  sempre  verso  U  fine,  si  che  va-  al  qoale  l' acqna  motrice  si  trae  per  meoo 

dano  le  parole  con  la  rattezza  stessa  del  pon-  di  canali  artificiali.  —  48.  qaaad^ella  eoo. 

siero  >.  —  88.  eone  la  madre  ecc.  come  la  pid  velocemente  scorre  l' acqua  quanto  pid 

madre,  svegliandosi  al  romore  e  vedendo  di-  s' avvicina  alle  pale,  ohe  ricevendo  l' aoqoa 

vampare  Intorno  a  s4  le  fiamme,  prende  tra  cadente  imprimono  il  movimento  aDa  nota: 

le  braccia  il  figlio  e  fogge,  dominata  dal  do-  sol  vb.  apprveota  cfr.  Inf,  xn  46.  —  49.  vi* 

sidorio  di  salvarlo,  senza  por  formarsi  a  in-  vagno  i  ofr.  Inf,  xrv  123.  —  62.  al  Ietta  del 

dossare  la  camicia,  poiché  l'amore  di  madre  fendo:  alla  soperftoie  del  ftmdo,  al  piano 

vince  in  lei  il  podere  di  donna.  —  42.  taato  della  sesta  bolgia.  —  68.  et  fiireaa  eoo.  I 

eco.  Male  alcnni  intendono  che  la  madre  s'ar-  diavoli  gtnnsero  soli'  argine,  proprio  sopra  a 

resti  a  indossare  la  camicia;  perché  cosi  la  noL  —  64.  Ma  aoa  gU  era  eoo.  aa  non  v'era 

simiUtodine  si  chioderebbe  con  ona  aggionta  ragione  di  temere.  —  gli  t  paitloella  awer* 

inutile  e  contzaditoiia,  mentre  nella  comnne  blale,  col  senso  di  vi  (cfr.  Parodi,  BulL  m 

interpretazione  abbiamo  ona  efBcace  progros-  183):  è  affine  a  tf,  derivato  dal  lat  «fio  (cfr. 

sione  di  pensiero  dal  principio  alla  fine;  cfr.  Inf,  xzzrv  9,  Airy.  vm  69,  zm  7,  Par,  zxv 

Parodi,  BuU,  IX  99.  -  48.  e  gld  dal  eoi-  124).— 67.  poder  eco.  toglie  la  fkoeltà,vtoto  ai 

lo  eco.  Virgilio  dal  colmine  dell'argino  si  ab-  diavoli  di  allontanarsi  dalla  quinto  bolgia.  — 

bandonò  con  le  spallo  a  tnra  gid  per  la  66.  Là  gld  trOTaauio  eoe.  Danto  e  VirgUSo 

ripa  scoscesa,  che  formava  il  lato  esteriore  trovano  nella  sesto  bolgia  gllpooriti,  i  quali 

della  sesto  bolgia.  —  44.  si  dieiet  esprime  sono  ricoperti  da  gravissime  eappo  di  piònbo 

offlcaoemento  l'idea  dell'abbaadonarsi,  lasdan-  estscnamento  dorato  e  camminano  lentsaMnto, 

dosi  andar  gid,  come  la  locuziono  virgiliana,  piangendo  e  con  aspetto  aftitioito  •  dolente* 


INFEHNO  -  CANTO  XXni 


173 


60 


63 


60 


69 


che  giva  intorno  assai  con  lenti  passi, 
pangendo  e  nel  sembiante  stanca  e  vinta. 

EUì  ayean  cappe  con  cappucci  bassi 
dinanzi  agli  occhi,  £fttte  della  taglia 
che  per  li  monaci  in  CJologna  fEissi. 

Di  fuor  dorate  son  si  ch'egli  abbaglia; 
ma  dentro  tutte  piombo,  e  gravi  tanto 
che  Federico  le  mettea  di  paglia. 

O  in, etemo  flatiooso  manto I 
Noi  ci  volgemmo  ancor  pure  a  man  manca 
con  loro  insieme,  intenti  al  tristo  pianto; 


—  «SA  gttto  ilptato:  raol  dize  che  gl'ipo- 
exiti  con  la  purenza  esteriore  ricoprono  la 
matragHà  dell'animo;  oftr.  U  rangtio  di  Mat- 
teo -«""^  27  :  €  Guai  a  Yak,  Scribi  e  Farisei 
ipooftil  perdocdhó  toì  siete  simili  a*  sepolcri 
sfiiantttf,  1  quali  di  faoA  appaiono  belli,  ma 
dsntio  aon  p&soi  d' cesami  di  morti  e  d'ogni 
bmtUua.  Ooei  ancora  Toi  apparite  giusti  di 
fmad  a^  nomini  ;  ma  dentro  siete  pieni  d'ipo- 
crisia e  d' iniquità  >.  —  68.  aMal  eon  lenU 
pBfgl:  con  passi  assai  lenti,  lentissimamente. 
»  60.  stane»  e  Tinta  i  gl'ipocriti  apparivano 
stanchi  per  il  peeo  deDe  ceppe,  e  abbattati 
per  l' angoeda  della  pena.  -^  61.  con  eap- 
^■cet  teasl  eoe  coi  cappocd  abbassati  sogli 
oodiL  —  62.  Aeim  taglia  eco.  alla  foggia 
aita  dai  monaci  di  Cdogna.  Qol  è  grande 
digerita  fra  gl'interpreti  dioa  al  monastero, 
al  qoale  Dante  ha  potato  aUndere.  Oli  antichi 
■ono  d'accordo  nel  riooncenere  In  Oologna  il 
nomo  dflOe  dttà  di  Colonia  In  Germania;  e. 
il  Lana  soriTe  :  €  È  da  sapere  ohe  olii  d  ano 
ocdine  di  monaci,  li  qoall  hanno  lo  capo  in 
CelogBa,  che  è  In  Alemagna,  ed  è  molto  rio- 
^fa«im^  e  nobilissiBa  badia  quella;  il  quale 
abbate,  già  pU  tsupo,  sentendosi  esser  si- 
gnor di  tanto  ordine  ed  arere,  oreecó  per  ar- 
toganzia  In  tanta  audacia  ohe  elli  andò  rìc- 
f^t^^mamMBÈ0i  ft  corto  di  messoT  lo  pqpa  e  a 
toi  i|^rTff^«<iA  ébs  U  piacesse  di  darli  parola 
^  fiffiifc«M»ft  fare  scrirere  in  canone  che  l'ab- 
bate del  detto  luogo  potesse  arere  la  cappa 
di  r^ii«tto  e  '1  cappuccio,  [e]  ancora  che  le 
■aeiibsette  delle  sue  cinture  fossero  d'argento 
aovndorste.  Udito  lo  papa  cosi  inonesta  do- 
Banda,  procedette  Terso  lui  che  eUi  e  li  suoi 
frati  Bco  potessotto  arere  cappe  se  non  nem 
e  di  panno  non  follato,  e  aTessero  quelle 
oi^pe  dSnaBsi  e  di  drieto  tanto  lunghe  eh'  elli 
iiiuBaMimn  coda  per  derisione  di  loro;  ancora, 
che  ti  eappuod  delle  predette  cappe  fosseno 
si  gnadi  di'elli  tenessero  una  nùsura  di  for- 
oMBto,  dM  è  tanto  quanto  ò  uno  staro;  e  per 
qnén'anogaazia  del  detto  abbate,  che  voiera 
fS^  aB0  cintare  guamimento  d'argento  e 
d'  ««,  «be  non  potesM  avere  nò  elli  né  li 


suoi  frati,  ovvero  monaci,  altro  guamimento 
ad  essa  se  non  di  legno  :  e  da  quel  tempo  in 
qua  hanno  quelli  monaci  e  '1  suo  abbate  tenuto 
e  usato  tale  àbito  »  :  il  Buti  e  l'An.  fior,  ri- 
petono questa  storiella;  el'Ott,  Benv.,  Land, 
ecc.  e  quasi  tutti  i  posteriori  interpreti  dicono 
che  Dante  accenni  alle  cappe  usate  dal  mo- 
naci di  Colonia.  Ha  il  Witte  adottò  nel  suo 
testo  la  lesione  :  Oh»  in  Olugniper  U  monaci 
foni,  secondo  la  quale  si  alluderebbe  a  un'u- 
sanza dei  monaci  della  famosa  abbazia  bene- 
dettina di  Olngny,  nella  Borgogna  ;  e  lo  Zam- 
boni, OH  ExxeUni,  Dante  egUgehiavi,  8*  ed. 
Firenze,  1897,  pp.  178  e  segg.  sostenne  che 
qui  si  accennasse  al  borgo  di  Cologna,  nel 
territorio  veronese,  ove  ai  tempi  di  Dante  fio- 
riva l'industria  dei  tessuti  di  lana,  per  fame 
cappe  fratesche:  cfir.  Cardo,  Storia  doeumm- 
iota  di  Oologna  twisto,  Venezia,  1896,  p.  812. 
»  64.  Di  ftaor  ecc.  H  Della  Giovanna,  Leet, 
p.  19,  ha  notato  che  nel  lessico  di  Ugucdone 
da  Pisa  Dante  potò  leggere  l' etimologia  di 
ypoorUa  e  ab  ypM*,  quod  est  super,  et  erisÌM 
quod  est  aumm,  quasi  superanratus,  quia 
in  superficie  et  extrìnsecus  videtur  bonus, 
oum  interine  sit  malus  »;  etimologia  che  spie- 
ga l'origine  dell'  indoratura  delle  cai^  sotto 
cui  gemono  gl'ipooritL  —  ch'egli  abba- 
glia: che  la  loro  doratura  abbaglia  la  vi- 
sta. —  66.  che  Federico  eco.  che  le  cappe 
di  piombo  usate  da  Federico  II  per  tormenta 
dei  rei  di  lesa  maestà  sarebbero,  al  ^X9r 
gene,  sembrate  leggerissime.  Buti:  cE  da 
siqpere  che  lo  imperadore  Federigo  secondo, 
coloro  ch'egli  condannava  a  morte  per  lo 
peccato  dell'  offesa  maestà,  li  fooea  spogliare 
ignudi  e  vestire  d'una  veste  di  piombo  grossa 
un  dito,  e  faoeali  mettere  in  una  caldaia  so- 
pra il  fuoco,  e  Cacca  fare  grande  ftioco  tanto 
die  si  struggea  lo  piombo  addosso  al  misero 
condannato,  e  cosi  miseramente  e  dolorosar- 
mente  li  faoea  morire  »  :  Il  Catto  è  confe> 
mate  dagli  antichi  interpetri  Lana,  Ott, 
Benv.,  An.  fior.  eoo.  :  si  che  s'ha  a  tenere  per 
vero ,  0  almeno  per  universalmente  creduto 
ai  tompi  di  Dante.  —  69.  Intenti  al  tristo 


174  DIVINA  COMMEDIA 


ma  per  lo  peso  quella  gente  stanca 
venia  si  pian  die  noi  erayam  nuovi 
72       di  compagnia  ad  ogni  muover  d'anca. 
Per  di'  io  al  duca  mio  :  «  Fa  die  tu  trovi 
alcun  eh'  al  £Eitto  o  al  nome  si  conosca, 
75        e  gli  occhi,  si  andando,  intomo  muovi  ». 
Ed  un  che  intese  la  parola  tósca, 
di  retro  a  noi  gridò  :  €  Tenete  i  piedi, 
78       voi  che  correte  si  per  l'aura  fosca: 

forse  eh'  avrai  da  me  quel  che  tu  chiedi  ». 
Onde  il  duca  si  volse,  e  disse  :  €  Aspetta, 
81        e  poi  secondo  il  suo  passo  procedi  >. 
Ristetti,  e  vidi  due  mostrar  gran  fretta 
dell'animo,  col  viso,  d'esser  meco; 
84        ma  tardavagli  il  carco  e  la  via  stretta. 
Quando  fDr  giunti,  assai  con  l'occhio  bioco 
mi  rimiraron  senza  far  parola; 
87       poi  si  volsero  in  sé,  e  dicean  seco: 
€  Costui  par  vivo  all'  atto  della  gola  ; 
e  s'ei  son  morti,  per  qual  privilegio 
90        vanno  scoperti  della  grave  stola?» 
Poi  disser  me:  «  0  tòsco,  ch'ai  collegio 
degl'ipocriti  tristi  se' venuto, 
93        dir  chi  tu  sei  non  avere  in  dispregio  ». 
Ed  io  a  loro:  €  Io  fui  nato  e  cresciuto 
sopra  il  bel  fiume  d'Amo  alla  gran  villa, 

plftBto:  considorando  gli  ipocriti,  che  pian-  gnaiiju  ohe  fiumo  i  doe  spiriti  con  occhio 
gevano  tristamente.  —  71.  noi  eraramo  eco.  bieco  il  poeta,  acoorgendod  eli'  egli  è  yìto; 
eravamo  accanto  a  nnovi  poocatorì,  ad  o^rni  quel  silenzio  d'ogni  atto,  quel  rivolgeni  pd 
nostro  passo.  —  74.  al  fatto  o  al  nome  :  1'  on  Terso  1*  altro,  d' ammirazione  pieni  • 
per  le  sue  opere  o  per  il  sno  nome.  —  75.  sf  dind  :  eoatvi  par  vko  eco.  ».  —  88.  all'atto 
andando  :  mentre  noi  camminiamo  ;  cfr.  una  della  yolas  cCr.  Pitrg,  n  67  :  <  L'anime  che 
simile  locuzione  in  Inf,  xxvir  129.  —  78.  toI  far  di  me  accorte.  Per  lo  spirar,  oh'  io  era 
ehe  correte  s  ecc.  Biag.:  e  Tanto  quella  ancora  tìto».  —  91.  eolleglo!  compagnia, 
gente  andava  piano,  che  pareva  loro  che  Vir-  riunione  ;  Dante  lo  dice  più  spesso  della  corn- 
eo e  Dante  corressero  ;  circostanza  che  pagnfa  dei  beati  :  ofir.  I^trg,  rm  129.  ~  92. 
forse  ad  altri  sarebbe  sftiggita,  per  la  quale  ipocriti  tristi  t  è  V  evangeUoo  (Matteo  vi 
ci  ricorda  il  poeta  l' enorme  peso  delle  cappe,  16)  :  e  non  siate  mesti  di  aspetto,  eomo  gli 
dal  quale  sono  quelle  anime  aiEaticate  e  rat-  ipocriti  (vulgata:  hypoerikt$  tridéé)  ».  DeUa 
tenute  >.  —  79.  forse  ecc.  può  essere  che  io  Giovanna,  LeeL  p.  20:  e  reepreesione,  ohe  in 
sappia  sodisfazo  il  tuo  desiderio,  che  ò  di  co-  bocca  al  Bedentore  sonò  infàmia  agl'ipocriti, 
noscere  alcuno  di  noi.  —  82.  dno  mostrar  qui  invece,  ripetuta  dagl'  ipocriti  che  plango- 
ecc.  due  peccatori,  i  quali  con  l'atteggiamento  no,  vuol  essere  grido  di  commiseraziono  ».  — 
del  volto  mostravano  grande  sollecitudine  di  96.  non  avere  la  dispregio  :  non  avere  in 
raggiungermi,  sebbene  il  peso  della  cappa  e  disprezzo,  non  disdegnare.  —  94.  Io  ftol  aato 
l'angustia  della  via  impedissero  loro  di  prò-  ecc.  :  cosi  nel  Omo.  i  8 1  e  nel  dolcissimo 
cedere  lestamente.  —  85.  (Quando  far  giunti  seno  di  Fiorenza  fui  nato  e  nndrito  fino  al 
eoo.  Biag.  :  <  Sempre  ha  in  vista  il  poeta  sin-  colmo  della  mia  vita  »,  e  i>0  tvtg,  dog,  i  6  : 
golaimente  la  natura,  e  nulla  delle  ombro  sue  e  qnamvis...  in  tenia  amoenior  loooo  qnam 
pM  sottili  gli  può  sfuggire.   Bello  si  ò  quel  Florentia  non  existat».  —  95.  alla  graa 


INPERNO  —  CANTO  XXin 


175 


96       e  Bon  col  corpo  oli'  i'  ho  sempre  avuto. 
Ma  Yoi  chi  siete,  a  otti  tanto  distilla, 
qaant*io  veggio,  dolor  giù  per  le  guance? 
99        e  che  pena  è  in  voi  che  si  s&villa?  » 
E  l' un  rispose  a  me  :  €  Le  cappe  rance 
son  di  piombo,  si  grosse  ohe  li  pesi 
102       &n  cosi  cigolar  le  lor  bilance. 
Frati  godenti  fummo,  e  bolognesi; 
io  Catalano  e  questi  Loderingo 
105        nomati,  e  da  tua  terra  insieme  presi. 


rflU:  Rrenzo;  efr.  Jiif.  1 100.  —  97.  a  e«l 
tuW  eoo.  ai  qoah  il  dolore  spreme  dagli  occhi 
tante  lagiime  eoo.  :  oCr.  una  locuzione  oon- 
Hanne  in  Af>  zn  1B6,  e  il  Potrarea,  ly  8: 
«Conren  eh'  il  dnol  per  ^  occhi  il  distille 
Dal  cor  »,  e  cczli  10:  <  Lagrime, ...  che  '1 
dolor  distiUft  Per  li  occhi  mei,  del  vostro 
itato  rio».  ~  99.  i(  afaiillns  Bnti:  «si 
nostra  per  s^  occhi  sfaTillanti  e  per  le  facce 
rosse  ».  —  100.  Le  eftppt  eoe  Le  cappe, 
dorate  al  di  ftiozi,  sono  di  piomho  all'in- 
terno e  tanto  grosse  che  il  loro  peso  d  fa 
piangere,  come  il  carico  ecoessiTO  fa  cigo- 
lar le  hilanoe.  —  nmwi  il  rancio  è  colore 
giaUo  aurato,  come  d' aiando  :  cfr.  ISurg,  n 
9.  —  lOB.  Frati  ge4MU  fiamme  s  nel  1261 
fe  oostitQito  in  Bologna  e  xioonoeoiato  dal 
^im^^aif^  Urbano  IV  un  ordine  oonTentoale 
e  militare  insieme,  che  ta  detto  dei  eava- 
lierì  di  Karia  Vergine  g^riosa  e  aveva  il 
noMlisBimo  fine  di  pfomnovere  la  pace  fra 
le  parti  ohe  affliggevano  le  città  italiane, 
ai  toglier  di  meno  i  dissidi  fra  le  fiunigUe 
potenti,  di  aintare  i  deboli  oontre  le  violenxe 
dei  grandi  :  favorito  dalle  repnbbllche  e  dai 
pontefld,  qiiesto  ordine  si  allÀigò  da  Bologna 
amottaattxeoittàdeU'Italla  centrale  e  set- 
tentrionale ;  ma  ben  presto  degenerò  e  tnvid 
dai  primitivi  intendimenti,  tanto  che  il  po- 
pob  a  sdhemo  dei  cavalieri  di  Maria  inco- 
Bindd  a  chiamarli  fraUgaudmUi  e  anche  oop- 
pofi<  di  Oritto:  ofr.  D.  H.  Federid,  ùtoria 
deTtmaUmiffatidmét,  Veneiia,  1787;  Q,  eoi- 
ladini,  Cronaca  di  Bonaumo  s  nmnorié  di  Uh 
étrii^  d^  Andato  firate  gtmdtnU^  Bologna, 
186L  —  104.  !•  Gatalaaos  Catalano  dei  Ca- 
talani (famiglia  goelfa  derivata  da  quella  dei 
Malavolti  e  denominata  anche  di  Onido  di 
■■•^"Tmft  Ostia)  nacque  in  Bologna  intorno  al 
1210:  eeeratò  V niBdo  di  podestà  in  Milano 
Bd  1243,  in  Parma  nd  1360,  in  Piacenza  nel 
1900  e  in  pi6  altre  dttà:  nd  1249  ebbe  U 
comando  d*  una  parte  dd  fanti  bologned  con- 
tro il  re  Enzio,  alla  battaglia  di  Fossalta  :  fa 
noo  dd  fondatori  dell'ordine  dd  cavaUerì  di 
Maria;  e  insieme  con  Loderingo  degli  Andalò 
tesse  nd  1266  e  nd  1267  il  governo  di  Bo- 
logna e  nd  1266  qndlo  di  Firenze  :  dopo  i 


qnali  nffld  egli  d  ritirò  a  vivere  prtaso  Bo- 
logna nd  convento  dd  frati  gaudenti  a  Bon- 
zano,  ove  mori  e  fu  sepolto  nd  1286:  ofr. 
a.  Qozzadini,  op.  dt,  e  DeUé  toni  gmUIM» 
di  Botogna,  pp.  202-207.  —  •  qnesll  Lode- 
ringe:  Loderingo  degli  Anddò,  di  famiglia 
bolognese  di  parte  ghibellina,  nacque  in  Bo- 
logna intomo  d  1210  ed  eserdtò  con  grande 
onore  molte  podesterie,  come  qudla  di  Mo- 
dena nd  1261  e  di  parecchie  dtre  dttà  ddla 
Toscana  e  dell'  Emilia  negli  anni  di  poi  :  in 
patria  fu  dato  sodo  d  podestà  Iacopo  Taver- 
nieri nd  1268,  temendo  il  comune  il  malgo- 
verno di  costui  ;  nd  1266  a  lui  e  a  Cata- 
lano dd  Catalani  affidarono  i  bologned  il  go- 
verno della  dttà  travagliata  dalle  parti,  ed 
esd  la  ressero  con  giustizia  componendo  molte 
discordie  e  inimicizie  :  nd  1266  fu  chiamato 
col  compagno  d  governo  di  Firenze  e  nel  1267 
di  nuovo  a  quello  di  Bologna.  Fu  il  7ero 
fondatore  dell'ordine  dei  gaudenti  e  propaga- 
tore indefesso  della  nuova  milizia,  per  la  qude 
visse  gli  ultimi  suoi  anni  nd  convento  di  Bon- 
zano,  ove  mori  e  fu  sepdto  nd  1296  :  cfr. 
O.  Oozzadini,  Or.  di  Eor»,  cit.,  e  Delle  torri 
gentilixùt  pp.  77-81.  — 105.  e  da  tua  terra 
eco.  e  fcunmo  chiamati  a  Firenze  por  conser- 
var la  pace  doò  per  governare  rettamente, 
con  l'autorità  di  podestà  che  suol  essere  data 
a  xm  uomo  solo  :  infatti,  sdvo  rarissimi  casi, 
i  nostri  comuni  ebbero  sempre  un  solo  pode- 
stà (Bezasco,  Di»,  811).  Quanto  all'  ufficio 
tenuto  in  Firenze  da  Catalano  e  da  Lode- 
ringo, racconta  O.  Villani,  Or,  vu  18,  che 
quando  pervenne  in  Toscana  la  novella  della 
battaglia  di  Benevento  (cfr.  fWy.  m  128)  i 
ghibellini  incominciarono  a  invilire  e  i  guelfi 
inveoe  a  prender  cuore  e  ardire,  e  ohe  per 
evitare  disordini  e  contentare  il  popdo  furono 
eletti  e  due  cavalieri  frati  godenti  di  Bdogna 
per  podestati  di  Firenze,  che  l'uno  ebbe  no- 
me messer  Catalano  de'  Malavdti  e  l' altto 
messer  Loderingo  degli  Anddò,  e  l' uno  en 
tenuto  di  parte  guelfa,  dò  era  messer  Cata- 
lano, e  1'  dtro  di  parte  ghibellina  ».  I  due 
frati  bolognesi  d  diorono  a  riformare  il  go- 
verno, senza  predilezione  alcuna  pd  guelfi  o 
pd  ghibellini,  oon  intendimento  di  condlian 


176 


DIVINA  COIMEDIA 


come  suole  esser  tolto  un  uom  solingo 
per  conservar  sua  pace,  e  fdmmo  tali, 
108        eh'  ancor  si  pare  intomo  dal  Gardingo  >. 
Io  cominciai  :  €  0  frati,  i  vostri  mali.-.  >, 
ma  più  non  dissi;  che  ali* occhio  mi  corse 
111        nn,  crocifisso  in  terra  con  tre  pali 
Quando  mi  vide,  tutto  si  distorse, 
soffiando  nella  barba  coi  sospiri; 
114       e  il  frate  Catalan,  eh' a  ciò  s'accorse, 
mi  disse:  €  Quel  confitto,  che  tu  miri, 
consigliò  i  fSaxisei,  che  cònvenia 
117        porre  un  uom  per  lo  popolo  a*  martiri. 
Attraversato  e  nudo  è  nella  via, 
come  tu  vedi,  ed  è  mestier  ch'ei  senta 
120        qualunque  passa  com'ei  pesa  pria: 
ed  a  tal  modo  il  suocero  si  stenta, 
in  questa  fossa,  e  gli  altri  del  concilio, 
1C3        che  fu  per  li  giudei  mala  sementa  ». 
Allor  vid'io  maravigliar  Virgilio 
sopra  colui  ch'era  disteso  in  croce 


le  dne  Dazioni,  e  institairono  il  magistrato  o 
consiglio  dei  trentasei  Imeni  nomini  :  ma  firat- 
tanto,  per  le  insinuazioni  del  pontefice  Cle- 
mente IV,  &yorivano  sotto  mano  la  parte 
gnelik  ;  la  quale,  presa  l'occasione  dalle  intem- 
peranze dei  ghibellini,  si  lord  a  mmore  e  li 
caodd  dalla  città  abbattendone  le  loro  case, 
e  specialmente  quelle  de^  Ubarti  che  sorge- 
yajLo  nel  (hurdingo  presso  S.  Fiero  Scharag- 
gio  (ofr.  Q,  Carbone,  Della  eotMiuÀone  topo- 
gràfica di  Firenxé  nelaco,  di  DanU  in  Dante 
eU  9U0  ne^  p.  499,  e  il  Davidsohn,  Oeaeh, 
von.  Flormx^  voi.  I,  pp.  68  e  segg.,  667  e 
segg.).  Allora  Catalano  e  Loderingo,  ohe  già 
aveyano  chiesto  d'  esser  esonerati  dall'  uffi- 
cio, abbandonarono  Firenze,  lasciando  nei  più 
degli  accesi  cittadini  il  sospetto,  raccolto  più 
tardi  da  Danto  e  poi  da  O.  Villani,  L  cit, 
ohe  «  sotto  coverta  di  falsa  ipocrisia  furono 
in  concordia  più  al  guadagno  loro  proprio 
ohe  al  bene  comune  >.  Si  vedano  il  Torraca, 
Giom,  dant.,  YTH  481  e  segg.  e  il  Salve- 
mini, Magnati  e  popolani  in  Firmxé,  Fir., 
1898,  pp.  266  e  seg.  ->  106.  Intono  dal 
flardlage:  nelle  vicinanze  del  Oardingo  o 
Guardingo  (cosi  O.  Vili.,  Or,  i  88),  vicino 
al  luogo  dove  poi  sorse  il  palazzo  della  Si- 
gnoria, erano  le  case  degli  Uberti,  atterrate 
dai  guelfi  durante  il  governo  di  Catalano  e 
di  Loderingo.  — 109.  0  ftati,  i  voiiri  mali  : 
Dante  ha  già  dato  giadido  dei  due  gaudenti 
bolognesi  oon  le  parole  messe  in  bocca  a  Ca- 
talano ;  però  qui  accenna  soltanto  al  pensiero 
balenatogli  alla  mente  di  aggiunger  e  parche 


ancor  più  gravi  >  ;  in  conferma  esplicita  del 
suo  giudizio  ;  dall'  eqnimere  il  quale  lo  di- 
stolse la  vista  di  un  altro  peccatore,  orool- 
fisso  nel  fondo  della  bolgia.  —  112.  tatto  ai 
dislorst  eoo.:  le  contorsioni  e  il  soffiare  che 
fa  questo  dannato  sono  V  espressione  d^  sqo 
sdegno  d'esser  veduto  da  un  vivente  in  cotale 
ringolarissima  oondìdone.  —  115.  Qvel  eem- 
fitto  ecc.  È  Caifias  U  sommo  sacerdote,  che 
nel  concilio  dei  Sacerdoti  e  dei  Farisei  diede 
il  consiglio  ohe  Cristo  fosse  messo  a  morte, 
dicendo  ((Hovanni  xi  47-68)  :  e  Voi  non  avete 
alcun  oonosdmento  e  non  considerate  oh'  egli 
ci  giova  che  un  uomo  muoia  per  lo  popolo  ». 
— 117.  porre  eco.  Dante  stesso,  Canx,  p.  165  : 
«  un  uom  conveniva  esser  disfatto,  Perch'ai- 
tri  fosse  di  pericol  tratto  ».  —  118.  A.ttr»- 
venato  o  nido  eoo.  È  posto  ignudo  a  tr»- 
veiBO  la  via,  affinché  tutti  gli  ipocriti  gli  pas- 
sino sopra  calpestandolo.  —  121.  ed  a  tal 
nodo  ecc.  :  la  stessa  pena  di  Caifas  è  data 
al  sommo  sacerdote  Anna,  suocero  di  luì  (cfr. 
Giovanni  xvm  18),  e  ai  Sacerdoti  o  Farisei 
che  peserò  parte  al  condUo,  onde  usci  la  ro- 
vina del  popolo  giudaico.  —  124.  ■aravi- 
gliar  Tlrgiliot  la  ragione  di  questa  meravi- 
glia di  Virgilio  non  è  chiara  ;  secondo  alcuni 
sarebbe  la  vista  di  questo  nuovo  tormento 
nella  bolgia  sesta,  il  quale  ei  non  aveva  ve- 
duto l'altra  volta  che  discese  all'inferno  (cft. 
Inf,  XX  22);  secondo  altri,  la  conformità  tra 
il  consiglio  di  Caifas  e  le  parole  dell'  En.  v 
816  :  «  Unum  prò  multis  dabitnr  caput  >  ;  so- 
condo  altri  infine,  la  vista  dei  tristissimi  of- 


INPERNO  -  CANTO  XXIH  177 

12G        tanto  vilmente  nell'eterno  esilio. 
Poscia  drizzò  al  frate  cotal  voce: 
€  Non  vi  dispiaccia,  se  vi  lece,  dirci 
129        se  alla  man  destra  giace  alcuna  foce, 
onde  noi  ambedue  possiamo  uscirci 
senza  costringer  degli  angeli  neri, 
132        che  vegnan  d'esto  fondo  a  dipartirci  ». 
Rispose  adunque  :  €  Più  che  tu  non  speri 
s'appressa  un  sasso,  che  dalla  gran  cerchia 
135        si  muove,  e  varca  tutti  i  vallon  feri, 

salvo  eh'  a  questo  è  rotto,  e  no  1  coperchia  : 
montar  potrete  su  per  la  ruina, 
138        che  giace  in  costa  e  nel  fondo  soperchia  ». 
Lo  duca  stette  un  poco  a  testa  china, 
poi  disse  :  €  Mal  contava  la  bisogna 
141        colui  che  i  peccator  di  là  uncina  ». 
E  il  frate:  «  Io  udì'  già  dire  a  Bologna 
del  diavol  vizi  assai,  tra  i  quali  udì' 
144        eh'  egli  è  bugiardo  e  padre  di  menzogna  ». 
Appresso,  il  duca  a  gran  passi  sen  gi, 
turbato  un  poco  d'ira  nel  sembiante; 
ond'io  dagl' incarcati  mi  parti' 
148    dietro  alle  poste  delle  care  piante. 

few  deU' ipocriiia.  —  129.  m  alUaaa  «••  oeservs  il  Paxodi,  BuiL  IX  99,  pexché  in re- 
itrt  «oc  le  uéÙA  ripa  detti»  di  qoMta  bolgia  rìtà  non  c'era  bisogno  di  Care  studi  teologici 
lia  tkmn  tbUoo  per  paMan  nella  eettima.  —  per  acquistare  oogniaonl  cosi  comuni  ».  — 
13L  ngeli  Beri:  diavoli;  cfr.  Inf.  zzm  143.  mii*i  d,  come  nel  Terso  precedente,  fog- 
liai—ISA.  «BsaiM  eco.  uno  degli  scogli,  che  ma  di  1*  persona,  non  rara  nell'interno  del 
dsDa  oerohift  eslenia  di  Ifalébolge  (ofr.  Inf,  periodo  (ofir.  Inf,  zzvi  91);  ma  il  medesimo 
xrm  8)  r^TT"*^^  Bolle  died  Ibase  fonnano  troncamento  mantenuto  anche  in  rima  con 
mt  orfini  di  ponti  (ofr.  ^.  znn  16-18).  ^,  forma  di  8*  pere.,  d  piuttosto  insolito  :  off. 
-  181  Mlv«  eoo.:  donane  tatti  gU  ordini  Parodi,  BuU.  ini28.  —  U4.  ek'egU  è  Wn- 
a  poatt  sono  rotti  sopra  la  sesta  bolgia.  —  giarda  eco.  Del  diavolo  si  legge  nel  vangelo 
1S7.  1a  rvlaa  cke  giace  eoe  la  rovina  del  (Giovanni  vm  44)  che  e  quando  profariaoe  la 
ponte^  i  satsil  del  quale  si  stendono  sulla  ripa  menzogna,  parla  del  suo  proprio,  perdoochó 
itttsna  e  iomano  un  rialzo  nel  fondo  della  egli  è  mendace,  e  il  padre  della  menzogna», 
bolgia.  —  Ito.  Mal  eeatava  eoe.  MaUooda,  —  146.  t«rl»ato  ecc.  un  poco  sdegnato  per 
dtosidomi  die  avremmo  trovato  presto  «m  al-  avere  scoperto  l'inganno  di  Malacoda.  — 147. 
Irò  teogUù  dks  sia  fao$  {Inf,  zzi  111)  mi  ha  Inr arcati  :  cosi  chiama  gli  ipocriti,  che  vanno 
isgaanato,  mal  provvedendo  al  nostro  biso-  sotto  il  eoroo  delle  cappe  di  piombo.  —  148. 
gBo.  —  142.  a  B«legnas  non  è  sdo  um  rip  alle  pMte  eco.  alle  orme  dei  piedi  del  caro 
ootdo  dsDa  città  natale,  ma  più  tosto  dello  d»ua  mio  (Inf,  iz  97)  :  le  poste  sono  1  segni 
Stailo  botogneee,  ove  fiorivano  anche  le  souo-  impressi  dal  piede  sul  terreno,  le  <  pedate  » 
b  di  teologia.  «  L' allosioiie  riesce  comica,  come  spiega  il  Bati. 


CANTO  XXIV 

Rtialeiido  con  molta  difficoltà  la  ripa  interna  della  sesta  bolgia,  Dante 
6  Tir^lio  pervengono  sopra  un  altro  ordine  di  scogli  che  attraversa  le  ri- 
nutnenti  bolge  ;  e  nel  fondo  della  settima  vedono  i  ladri  paniti   dalle  tra- 

DA.TM  12 


178  DIVINA  COMMEDIA 


fltture  di  orribili  serpenti,  per  le  quali  sono  inceneriti  e  riprendono  poi 
subito  Tumana  figura  :  tra  essi  si  manifesta  loro  il  pistoiese  Vanni  Pucci 
[9  aprile,  verso  le  ore  undici  antimeridiane]. 

In  quella  parte  del  gioTÌnetto  anno, 
che  il  sole  i  crin  sotto  l'Aquario  tempra 
8        e  già  le  notti  al  mezzo  di  sen  vanno, 
quando  la  brina  in  su  la  terra  assempra 
Pimagine  di  sua  sorella  bianca, 
G        ma  poco  dura  alla  sua  penna  tempra, 
lo  villanello,  a  cui  la  roba  manca, 
si  leva  e  guarda,  e  vede  la  calnpagna 
0        biancheggiar  tutta,  ond'ei  si  batte  Tanca; 
ritoma  in  casa,  e  qua  e  là  si  lagi^ 
come  il  tapin  che  non  sa  che  si  ùuccìs^ 
12        poi  riede  e  la  speranza  ringavagna, 
veggendo  il  mondo  aver  cangiata  faccia 
in  poco  d'ora,  e  prende  suo  vincastro, 
15        e  fuor  le  pecorelle  a  pascer  caccia: 
cosi  mi  fece  sbigottir  lo  mastro 
quand'io  gii  vidi  si  turbar  la  fronte, 
18        e  cosi  tosto  al  mal  giunse  l'empiastro; 

XXrV  1.  !■  «lellA  purto  eco.  BiAg.  :  libello  >,  e  nel  CavalTaati,  oanz.  n:  <  Oanzon, 
€  Vago  è  il  principio  di  queeto  canto,  e  di  ta  ni  che  do'  libri  d'amore  Io  faaeempxai  ». 
gran  beDoaa  questa  nnoY»  similitndiiie,  tolta  —  6.  ■ap^eoeoo.latempratoradellApenna, 
dalla  ita«a  natora  ;  e  lambra  qoaato  vno  di  onde  ritrae  la  neve,  dura  poco,  doò  la  brina 
quei  looghi  ore  il  poeta  vuol  mostrarsi  quale  si  dissolye  presto.  Dante  atteggia  noTsmente, 
egli  ò,  doè  ad  ogni  altro  soperiofe.  Il  prin-  in  conformità  deU'  idea  del  ritrarre,  il  pon- 
dpale  sno  intendimento  si  è  di  ritrarre  qnan-  siero  espresso  da  Lucano,  .Fbrt.  iy  62:  «  IJr»- 
to  ta  grande  il  sno  sbigottimento,  benché  di  bant  montana  nives  camposqne  iacentos  Kon 
poca  dorata,  in  veder  Virgilio  si  turbato  »  :  doiatorae  oonspecto  sole  proinae  ».  —  7.  la 
il  Tomm.  invece  giudica  questa  similitudine  rolM  s  l'erba,  il  foraggio  per  le  sue  pecore, 
e  troppo  erudita  »,  e  direbbesi  più  tosto,  trop-  —  8.  la  eampagna  ecc.  :  ricorda  l'oraiiano, 
pò  minuziosa;  sebbene  neUa  abbondanza  dei  Od,  i  4,  4  e  Piata  oanis  albicant  pruinis  ». 
particolari  si  manifesti  pur  sempre  la  stupenda  —  9.  si  katte  Paaea:  si  rammarica  credon- 
arte  di  Dante,  che  dovendo  rappresentare  il  do  che  sia  caduta  la  neve.  —  U.  eeme  il 
mutamento  d*  animo  del  contadino  sa  cosi  ta^  eco.  come  il  misero,  incerto  di  ciò  che 
efficacemente  compenetzarlo  alla  descrizione  deve  ft^e;  oompaiaziono  inclusa  nella  pnn- 
del  mutamento  degli  aspetti  naturali  che  di  dpale  per  mettere  in  rilievo  gli  effètti  morali 
quello  è  il  motivo.  —  gtovUetto  anso  :  la  di  un  fenomeno  ilaioo.  —  12.  la  speraasa 
primavera,  quando,  come  dice  il  Petrarca,  rlngavagaa  :  ò  frase  consimile  a  quella  del- 
usa 14,  <  ringiovenisce  l'anno».  —  2.  li  V  Ltf.  zi  64  e  fidanza  imborsa»  e  significa; 
sole  1  cria  ecc.  il  sole  rinvigorisce  i  suoi  accede  di  nuovo  nell'animo  la  speranza; 
raggi,  quando  appare  nella  costellazione  del-  poiché,  come  notò  l'An.  fior.,  *ga9agn»  sono 
l'Aquario,  dal  21  gennaio  al  21  febbraio,  e  certi  costoni  che  fumo  i  villani,  si  oho  wt- 
s'avVicina  il  tempo  in  cui  la  notte  e  il  di  gavagnar»  non  vuole  dire  altro  che  incestare, 
s'agguagliano.  —  4.  quando  eco.  allorché  la  doè  insaccare  speranziC,  avere  maggiore  spe- 
brina  sparsa  nei  campi  rende  imagine  della  ranza  che  prima  »:  cfr.  Parodi,  BulL  m,  139. 
neve  :  il  vb.  OMmnprar»  deriva  da  nempiare  —  14.  vincastro!  il  ramo  di  cui  il  pastore 
(cosi  flwswipro  da  éxemphim)  e  significa  tra-  si  servo  come  di  bastone  ;  è  detto  oos(  an- 
sorivere,  ritrarre,  rendere  imagine  ecc. :  cosi  che  dal  Poliziano ^  SL  i  Idi  e  Poi  quando 
nel  proemio  della  V,N.:  <  le  parole,  le  quali  move  lor  col  suo  vincastro  ».  —  17.  rf  tar- 
é  mio  intendimento  d'assempraro  in  questo  bar  ecc.  :  cfr.  Inf,  xxm  146.  ~  18.  e  cosi  oco. 


INFERNO  -  CANTO  XXIV  179 

che,  come  noi  yenimmo  al  guasto  ponte, 
lo  duca  a  me  si  volse  con  quel  piglio 
21        dolce,  ch'io  vidi  prima  a  piò  del  monte. 
Le  braccia  aperse,  dopo  alcun  consiglio 
eletto  seco,  riguardando  prima 
2tl        ben  la  ruina,  e  diedemi  di  piglio. 
E  come  quei  che  adopera  ed  estima, 
che  sempre  par  che  innanzi  si  provveggia, 
27        cosi,  levando  me  su  vèr  la  cima 

d'un  ronchion,  avvisava  un'altra  scheggia, 
dicendo:  «  Sopra  quella  poi  t'aggrappa; 
80       ma  tenta  pria  s' è  tal  ch'ella  ti  reggia  ». 
Non  era  via  da  vestito  di  cappa, 
che  noi  a  pena,  ei  lieve  ed  io  sospinto, 
83        potevam  su  montar  di  chiappa  in  chiappa. 
E  se  non  fosse  che  da  quel  precinto, 
più  che  dall'altro,  era  la  costa  corta, 
8G        non  so  di  lui,  ma  io  sarei  ben  vinto; 
ma  perché  Malebolge  in  vèr  la  porta 
del  bassissimo  pozzo  tutta  pende, 
30        lo  sito  di  ciascuna  valle  porta 

che  i'una  costa  surge  e  l'altra  scende: 

OQoe  il  mutato  aspetto  della  campagna  con-  roccia  in  rocda.  Si  noti  Tantliesl  tra  il  noi 

torta  subito  il  contadino,  cosi  il  dolce  piglio  e  il  vestito  di  cappa  ;  che  vorrà  dire  dunque 

M  aio  duca  fa  rimedio  al  mio  sbigottimento,  ricoporto  dalla  cappa,  come  gì*  ipocriti,  non 

—  oiplaatre  ;  nel  senso  generico  di  rime-  già,  come  spiegò  il  Lomb.,  veste  larga  e  ta- 

fio  r  osò  anche  il  Petrarca,  Trionfo  delta  lare,  —  88.  chiappa  i  vale  lo  stesso  che  roe- 

ff/sa  n  129  :  «  all'  italiche  doglie  fioro  em-  chio  e  ronóhione^  ossia  masso  sporgente.  — 

pastio  >.  •—  lo.  eoi  qiel  piglio  ecc.  con  34.  B  se  non  fosse  eoe.  Dante  vuol  dire  ohe 

!»&'stteggiamento  bonigno,  cho  per  la  pri-  delle  dne  sponde  oostitaenti  la  bolgia  sesta 

Bft  Toha  io  aveva  veduto  quando  Virgilio  quella  dalla  parto  intema  (verso  la  bolgia 

m  apparve  per  liberarmi  dall'  impedimento  settima)  per  la  quale  salivano  era  meno  alta 

Mie  tre  fiere  (cCr.  Inf,  i  61  e  segg.).  —  22.  di  quella  dalla  parte  estema  (vorso  la  bolgia 

I<t  braccia  eoo.  Virgilio,  considerando  bene  quinta)  per  la  quale  erano  discesi  {Inf.  xzui 

li  raìna  por  vedere  s'era  tale  da  potervi  43  e  segg.)  :  come  dd  possa  essere,  ò  spiegato 

mBzb,  dopo  aver  abbracciato  il  partito  che  noi  versi  cho  seguono.  —  86.  aon  so  eco.  di 

gii  parve  migliore  d'ogni  altro,  prese  Dante  Virgilio  non  so,  ma  io  non  avrei  potuto  re< 

Qoa  Is  sue  braccia  e  incominciò  a  sospin-  sistere  alla  fatica  della  salita.  —  87.  Male- 

S<rio  su  per  r  erta.  —  26.  come  quei  che  bolge  la  vSr  ecc.  Malebolge  d  tutto  inclinato 

>^P«ra  ei  eitiaia  eco.  come  colui  che  ao-  verso  l'apertura  del  pozzo  dei  giganti;  perciò 


\  all'opera  il  consiglio,  agli  atti  cor-  la  condizione  di  ciascuna  bolgia  porta  oome 

paoli  quelli  della  riflessione,  avendo  sem-  necessaria  conseguenza  che  delle  due  sponde 

pre  la  mente  a  quel  che  farà  poi.  — >  28.  roa-  di  dascun  argine  I'una  sale  e  l'altra  scende, 

^Uoi:  masso  sporgonte,  scheggia;  cfr.  Inf.  cioò  l' interna  è  in  salita  e  l'esterna  è  in 

Q 25.  ->  avriiaTa :  cf^.  Lnf.  xvi 23.  —  80.  ma  discesa  per  chi  cammini  verso  il  contro  dol- 

tota  pria  eoe  ma  prima  prova  con  la  mano  l' inferno  :  e  quella  ohe  sale  ò  mono  alta  di 

»  è  cosi  salda  da  reggerti.  —  81.  Non  era  quolla  che  scendo,  perché,  avendo  tutte  le 

▼fi  eco.  Quella  non  era  via  per  la  qualo  bolge  la  medesima  profondità,  il  piano  di 


>  potuto  salire  alcuno  degl'  ipocriti,  ri-  ciascuna  dove  essere  pi6  basso  di  quello  dell» 

cx^ttti  dalle  pesanti  cappe  ;  che  appena  Vir-  precedente  e  più  alto  di  quello  delia  seguente  ; 

gitio,  pura  ombra,  e  Dante,  sospinto  dalla  sua  e  la  diiFerenza  d'altezza  fra  il  lato  esterno  e 

S^ida,  potevano  montare  aggrappandod  di  l' intemo  delle  bolge  essere  uguale  al  disli- 


180  DIVINA  COMMEDIA 


noi  pur  yeniinino  alfine  in  su  la  punta 
4*2        onde  P  ultima  pietra  si  scoscende. 
La  lena  m'era  del  polmon  si  munta, 
quand'io  fui  su,  ch'io  non  potea  più  oltre; 
45        anzi  mi  assisi  nella  prima  giunta. 
€  Omai  convien  che  tu  cosi  ti  spoltre, 
disse  il  maestro,  che,  seggendo  in  piuma, 
dS        in  £ama  non  si  vien,  né  sotto  coltre; 
senza  la  qual  chi  sua  vita  consuma, 
cotal  vestigio  in  terra  di  sé  lascia, 
51        qual  fummo  in  aere  ed  in  acqua  la  schiuma: 
e  però  leva  su,  vinci  l'ambascia 
con  l'animo  che  vince  ogni  battaglia, 
51        se  col  suo  grave  corpo  non  s'accascia. 
Più  lunga  scala  convien  che  si  saglia; 
non  basta  da  costoro  esser  partito: 
57        se  tu  m' intendi,  or  fe  si  che  ti  vaglia  >. 
Leva'mi  allor,  mostrandomi  fornito 
meglio  di  lena  ch'io  non  mi  sentia; 
60        e  dissi  :  «  Va,  eh'  io  son  forte  ed  ardito  ». 
Su  per  lo  scoglio  prendemmo  la  via, 
ch'era  ronchioso,  stretto  e  malagevole, 
63        ed  erto  più  assai  che  quel  di  pria. 


vello  fhi  una  bolgia  e  l'altra.  —  41.  In  fa  xxxvi  20,  Lxm  8,  Sap.  v  15).  •—  52.  e  però 

la  poaU  ecc.  sulla  cima  dell'argino,  dalla  eco.  leyati  e  vinci  la  stanchezza  con  la  forz& 

quale  sporge  T  ultimo  dei  massi  per  i  quali  della  volontà,  che  trionfa  d'ogni  difficoltà  pur 

noi  eravamo  salitL  —  43.  La  Iena  eoe.  Qoan-  che  non  s'abbandoni  insieme  ool  ooipo.  Bia^.: 

do  M  giunto  alla  cima,  la  ImOf  il  respiro  «  Il  sentimento  di  questa  sentenza,  die  Dante 

mi  era  stato  cosi  munto  dai  polmoni,  cioè  mi  solo  poteva  con  si  gran  forza  e  semplicità 

si  eia  esaurito  nello  sforzo  del  salire,  ch'io  dimostrare,  ò  veramente  degno  che  lo  fermi 

non  potevo  camminare  più  oltro,  e  però  ap-  ben  chiuso  nella  memoria  chiunque  di  bella 

pena  arrivato  mi  posi  a  sedere.  È  spiegazione  fama  ò  vago  9.-58.  eoi  PaBlmo  ecc.  ofir. 

acuta  del  Tonaca,  che  richiama  il  passo  del  Puyg,  xvi  75-78.  —  55.  PU  tuga  leala  eoo. 

Piar,  zxi  87.  ~  46.  Omai  eonTieB  ecc.  Vir-  La  più  lunga  salita  accennata  da  Virgilio  è 

gilio,  vedendo  Dante  vinto  dalla  stanchezza,  quella  del  monte  del  Purgatorio  (cfìr.  JWy. 

lo  ammonisce  che  ootali  fatiche  deve  soato-  m  46-51,  zi  40,  xni  1,  xvn  65,  77,  xxx  21, 

nere  l'uomo  desideroso  d'acquistare  la  gloria,  xzn  18,  xxv  8,  zzvn  124).  —  56.  ■•■  basta 

dicendogli  :  Ormai  bisogna  che  tu  sia  operoso,  ecc.  non  basta  avere  orrore  dal  vizio,  ma  bl- 

perché  vivendo  nell'ozio  e  dormendo  non  si  sogna  puriftcarai  d'ogni  colpa,  per  esser  degno 

acquista  la  fama,  e  chi  muore  senza  averla  della  beatitudine.  —  57.  se  tv  m'inteadl  eoe: 

conseguita  non  lascia  di  sé  alcuna  durevole  si  cfir.  questo  ool  passo  parallelo  del  I\trg, 

memoria.  L'ammonimento  di  Virgilio  riohia-  vi  46-51.  —  60.  bob  forte  ed  ardito  :  cfr» 

ma  al  pensiero  le  parole  d' Orazio,  Epist.  n  Inf.  zvu  81  ;  Biag.  :  «  formola  che  oompren-^ 

3,  412  :  «  Qui  studet  optatam  cursu  contin-  de  e  la  forza  del  corpo  e  la  franchezza  del* 

gore  metam  Multa  tulit  fedtque  puer,  sndavit  l'animo  >.  —  61.  Si  per  eoe   I  due  pooti 

et  alsit9.  —  tn  «osi  ti  spoltre s  tu  ti  spol-  s'incamminarono  sullo  scoglio,  ohe  formava^ 

trìsca  con  simili  esercizi  faticosi.  —  51.  qual  un  altro  ordine  di  ponticelli  sulle  bolge  ed 

fummo  ecc.  :  similitudine  che  ricorda  la  Vir-  era  più  difficile  di  quello  su  cui  avevano  var- 

giliana,   En,  v  740,  doU'ombra  "d'Anchise  :  cato  le  bolge  anteriori.  —  62.  reaeàioso  eoo^ 

e  Tenues  fugit,  oeu  fumus,  in  auras»,  e  ri-  pieno  di  sassi,  stretto,  difficile  e  faticoso: 

sale  forse  a  consimili  imagini  bibliche  (Salmi  ronehio»  vuol  dire  pieno  di  rocchi  o  roiw 


INFERNO  -  CANTO  XXIV  ISl 

Parlando  andava  per  non  parer  fievole, 
onde  una  voce  uscio  dell'altro  fosso, 
66        a  parole  formar  disconvenevole. 

Non  so  che  disse,  ancor  die  sopra  il  dosso 
tossi  dell'arco  già  che  varca  quivi; 
69        ma  chi  parlava  ad  ira  parca  mosso. 
Io  era  volto  in  giù,  ma  gli  occhi  vivi 
non  potean  ire  al  fondo  per  l'oscuro; 
72        per  eh'  io  :  €  Maestro,  fa  che  tu  arrivi 
dall'altro  cinghio,  e  dismontiam  lo  muro; 
chó  com'i'  odo  quinci  e  non  intendo, 
75        cosi  giù  veg^o  e  niente  affiguro  ». 
«  Altra  risposta,  disse,  non  ti  rendo, 
se  non  lo  £Eur;  chó  la  domanda  onesta 
78        si  dèe  seguir  con  l'opera  tacendo  ». 
Noi  discendemmo  il  ponte  dalla  testa, 
dove  s'aggiunge  con  l'ottava  ripa; 
81        e  poi  mi  fii  la  bolgia  manifesta: 
e  vidivi  entro  terribile  stipa 
di  serpenti,  e  di  si  diversa  mena, 
84        che  la  memoria  il  sangue  ancor  mi  scipa. 
Più  non  si  vanti  Libia  con  sua  rena; 

chtoni  (cfr.  hif.  xx  26).  —  64.  Parlftido  ecc.  caore  e  nella  mente,  ha  ben  da  dolersi  assai 
Ventre  Dante  camminaya  parlando,  per  mo-  della  natura».  —  78.  seguir:  se^itare,  ac- 
iteie  a  Virs^ilio  che  ei  non  era  stanco,  dal  compagnore.  —  79.  11  ponte  dalla  tetta  occ. 
fondo  della  settima  bolgia  s'alzò  una  voce  da  quella  estremità  del  ponte  che  va  a  ter- 
ii^istìnta.  —  66.  dUeoBTeiieTOle:  bene  spie-  minare  sali' ottavo  argine.  —  80.  s'Bgglaige: 
ga  il  Bati:  «  non  conveniente  a  formar  pa-  si  congiunge;  cfr.  Inf.  xxxj  56.  —  81.  mi  fu 
iole  dio  si  potessono  intendere  >.  Altri  spie-  la  bolgia  ecc.  È  la  settima  bolgia,  ove  sono 
faao  come  fossero  fischi  e  sibili  ;  ma  il  passo  puniti  i  ladri  ;  i  quali  continuamente  assaliti 
lucia  comprendere  che  era  proprio  voce  di  pa-  dai  serpenti  sono  ridotti  in  cenere  e  poi  ri- 
rote, che  a  Dante  arrivavano  indistinte  per  prendono  la  figura  primitiva,  si  che  la  loro 
la  lontananza.  —  67.  Il  dosso  eco.il  culmine  pena  si  potrebbe  dire  un  eterno  annionta- 
tó  ponticello.  —69.  ehi  psrlaTa  ecc.  Dante  mento  dell'essere.  —  82.  itipa:  l'An.  fior, 
non  dice  chi  fosse  il  peccatore  che  parlava  attesta  che  «  alvpa  è  detta  ogni  cosa  eh'  ò 
sdegnosamente  ;  ma  può  ben  essere  ch'egli  calcata  e  ristretta  insieme  >  ;  cosi  qui  o  in 
intendesse  d'accennare  al  pistoiese  Vanni  Inf.  xi  3  sijcnifica  ammasso  confuso.  —  83. 
lattei,  che  sarà  fra  poco  rappresentato  come  di  %i  diversa  mena  ecc.  di  cosi  strane  specie 
malito  dai  serpenti.  —  70.  gli  oeehi  tItI  che  il  ricordo  di  essi  mi  guasta  il  sangue  : 
«e  gli  occhi  non  potevano  distintamente  ve-  il  nome  mena  qui  non  può  avere  altro  valoro 
iere  il  fondo  della  bolgia  por  l'oscuritA  :  sul  che  quello  di  condizione,  qualità  (cfr.  Inf. 
valore  deirespressione  occfc»  rm  cfr. /n/".  xxrx  xvii  89).  —  84.  sclpa:  cfr.  Inf.  vii  21.  — 
M.  ->  72.  fft  che  tn  Arrivi  ecc.  discendendo  85.  Pld  lon  si  Tanti  occ.  Lucano,  in  una 
dal  ponte  {lo  muro),  andiamo  sull'argine  che  parte  del  suo  poema  alla  quale  Dante  accen- 
tiride  la  settima  dall'ottava  bolgia  :  cfr.  Inf.  na  in  Inf.  xxv  94,  descrìve  ed  enumera  i 
xxTi  13.  —  74.  ehd  eom'  i*  odo  ecc.  perché  serpenti  cho  infestano  gli  aronosi  desorti 
(K  sol  ponte,  come  non  intendo  le  parole  che  delia  Libia  cosi  {Fara,  ix  708)  :  «  At  non 
sento  pronunziare  nel  fondo  della  bolgia,  cosi  stare  suum  miseris  possura  cruorem,  Squami- 
noli discemo  ciò  eh'  io  vedo.  —  76.  Altrt  feros  ingens  Haemorrhois  explicat  orbes  ; 
rlipestm  ecc.  Biag.  :  e  Piene  di  grazia  sono  Natus  et  ambic^uae  colerot  qui  Syrtidos  arva 
le  parole  di  Virgilio  a  Dante,  vaga  si  è  la  Chersydros,  traciique  via  fumante  Chcbjdri  ; 
«cntonia  cho  in  esse  si  racchiude,  e  chi  alla  Et  sanjy^  recto  lapsunts  limite  Cenchris  ;  Flu- 
pinalottan  non  le  dà  grazioso   luogo  noi  ri  bus   iile  notis    varìatam  pingitur  alvmn, 


1S2 


DIVINA  COMMEDIA 


,   elle,  se  chelìdri,  iaculi  e  farèe 
87        produce  e  ceneri  con  amfìsibenai 
né  tante  pestilenze  né  si  ree 
mostrò  giammai  con  tutta  l'Etiopia, 
90       né  con  ciò  che  di  sopra  il  mar  Bosso  èe. 
Tra  questa  cruda  e  tristissima  copia 
correvan  genti  nude  e  spaventate, 
93       senza  sperar  pertugio  o  elitropia. 
Con  serpi  le  man  dietro  avean  legate; 
quelle  ficcavan  per  le  ren  la  coda 
96        e  il  capo,  ed  eran  dinanzi  aggroppate. 
Ed  ecco  ad  un,  di'  era  da  nostra  proda, 
s'avventò  un  serpente,  che  il  trafisse 
99        là  dove  il  collo  alle  spalle  s'annoda. 
Né  o  si  tosto  mai  né  i  si  scrìsse, 
com'ei  s'accese  ed  arse,  e  cener  tutto 
102       convenne  che  cascando  divenisse; 
e  poi  che  fu  a  terra  si  distrutto, 
la  polver  si  raccolse  per  sé  stessa 


Qnam  pairls  ttnotos  nutcolia  thebanos  Ophi- 
tea  ;  Concolor  exuftb,  atqae  indiscratas  are- 
ni8  Hammodytes  ;  tpinaqne  yagi  torqnente 
CerastM  ;  Et  Scytale  ipaxaiB  etlam  nono  aola 
proinii  ExiiYias  positoia  anas;  et  torrida 
Dipaaa  ;  Et  gravi»  in  gemimim  surgmi  eaptU 
Amphiibama  :  Et  Natriz  violator  aquae,  Jo- 
euUqua  vokuen»;  Et  eont&iUm  iter  eauda  «u/- 
care  Phareas  ».  I  nomi  dei  lerpenti  ricordati 
da  Dante  sono  tratti  evidentemente  da  que- 
sto passo  di  Locano  (cfr.  Moore,  I  288); 
e  come  egli  ha  tralasciato  altre  specie  ser- 
pentine, cosi  non  ha  nominati  1  ehereidri^  dei 
quali  alconi  rogliono  introdurre  il  ricordo 
leggendo  :  Gterei,  ehelidri,  iaeuU,  farée  Pro- 
dueer  ceneri  eon  amfieibena;  lezione  che  non 
ha  sufficiente  autorità  di  codici.  —  88.  né 
tante  eco.  i  deserti  della  Libia,  dell'  Etiopia 
e  dell'Arabia  non  produssero  mai  nulla  di 
cosi  pestifero  e  velenoso:  anche  questo  ò 
manifesto  ricordo  di  Lucano,  Fare,  ix  805  : 
«  Sed  malora  parant  Libycae  spectacula  pò- 
ftos  »:  cAr.  Moore,  I  962.  —  90.  ciò  cke  di 
sopra  ecc.  il  deserto  dell'Arabia,  che  ò  al  di 
sopra  del  mar  Bosso,  rispetto  all'  Egitto.  — 
èe:  d;  Dante  l'usa  solamonto  in  rima  {Purg. 
xrxn  10,  Par.  zxym  123),  ma  altri  antichi 
l'hanno  anche  tnoi  di  rima  o  in  prosa  (Nan- 
nacci,  Verbi  4S5).  — >  91.  Tra  qnesta  ecc.  In 
mezzo  al  gran  numero  dei  serpenti  correvano  i 
peccatori  ignudi  e  spaventati,  senza  speranza 
di  trovare  un  buco  per  il  quale  potessero  sfup^- 
gire  o  un  talismano  che  li  proteggesse.  —  93. 
eutropia:  pietra  preziosa,  alla  quale  gli  an- 


tichi tribnivano  miracolose  virtd,  massime  di 
guarire  le  morsicature  dei  serpenti  e  di  ren- 
dere invisibile  chi  l'avesse  addosso.  —  04. 
Cen  serpi  ecc.  Questo  aggropparsi  dei  ser^ 
penti  intomo  ai  lodn  fu  ImagJnato  da  Dante 
per  ritrarre  con  vivi  e  forti  colori  l'astuzia  e 
la  malizia  con  la  quale  s' intromettono  a  ru- 
bare nei  luoghi  chiusi  e  il  loro  aggirarsi  nn- 
scostamento  a  togliere  l'altruL  —  97.  Ed  ceco 
ecc.  Mentre  Dante  e  Virgilio  guardavano  noi 
fondo  della  bolgia,  un  serpente  s'avventi) 
d' improvviso  a  un  peccatore  che  stava  presso 
la  riva  dal  lato  intemo,  trafiggendolo  alla 
gola  :  r  infelice  s'acccfse  riducendosi  in  cenere, 
che  subito  si  raccolse  di  por  sé  e  ripreso  no- 
vamente  le  sembianze  corporali  di  prima.  Il 
peccatore,  del  quale  i  due  poeti  osservano  la 
rapida  tramntazione,  è  Vanni  Pucci  :  ctr.  v. 
118  e  segg.  L' idea  di  questo  incenerimento 
per  la  trafittura  del  serpente  d  tratta  senza 
dubbio  dal  caso  di  Sabello,  di  cut  vedasi  la 
nota  all'  Inf,  xxv  94  :  cfr.  A.  Debelli,  BuU, 
IV  17.  —  100.  Né  e  i£  (osto  eoo.  Similitu- 
dine tanto  pi6  vigorosa  e  scolpita,  quanto  ò 
più  comune  il  fatto  da  cui  ò  tolta;  perché 
appunto  l'arte  vera  non  ha  bisogno  dì  cercaro 
fuori  della  realtA  la  materia  delle  sue  crea- 
zioni :  nulla,  nel  caso  particolare,  poteva  riu- 
scire più  proprio  a  indicare  l' istantanei  t\ 
dell'aziono,  che  il  paragone  con  un  atto  di 
brevissima  durata  quale  ò  Io  scrìvere  Ietterò 
d'un  solo  tratto  di  penna.  —  103.  e  poi  ecc.: 
si  paragoni  con  ciò  che  Virgilio  scrive  di 
Proteo,  Georg,  iv  439  :  e  Ille  suae  contia  im- 


INFERNO  -  CANTO  XXIV 


183 


105        e  in  quel  medesmo  ritornò  di  butto: 
cosi  per  lì  gran  savi  si  confessa, 
che  la  fenice  more  e  poi  rinasce, 
108        quando  al  cinquecentesìmo  anno  appressa; 
erba,  né  biada  in  sua  vita  non  pasce, 
ma  sol  d'incenso  lagrime  ed  amomo, 
111        e  nardo  e  mirra  son  l'ultime  iàace. 
E  qual  è  quei  che  cade,  e  non  sa  comò, 
per  forza  di  demon  eh'  a  terra  il  tira, 
114        0  d'altra  oppilazion  che  lega  l'uomo, 
quando  si  leva,  che  intomo  si  mira 
tutto  smarrito  della  grande  angoscia 
117        ch'egli  ha  sofferta,  e  guardando  sospira; 
tal  era  il  peccator  levato  poscia: 
o  potenza  di  Dio,  quanto  se' vera! 
120        ^hé  cotai  colpi  per  vendetta  croscia. 
Lo  duca  il  domandò  poi  chi  egli  era; 
per  eh*  ei  rispose:  €  Io  piovvi  di  Toscana, 
123        poco  tempo  è,  in  questa  gola  fera. 
Vita  bestiai  mi  piacque,  e  non  umana. 


■enor  artis.  Omnia  trucfoniutt  lese  in  mi- 
zaaùk  renim,  Ignemque,  horribUraiqae  foram, 
floTimqQo  liqnentem.  Yerom,  ubi  nnlia  fa- 
sm  repcrit  peBada,  Tiotat  In  sese  redit, 
a^t»  haminis  tandem  ore  locntoB  :  —  105. 
A  Htte:  d'un  colpo,  aobltamente  :  è  anolie 
n  Avf .  xm  40,  e  nella  fonna  pi6  oomone 
«  kOo  in  W.  m  IBO.  —  106.  fti  per  U 
ma  taTl  ecc.  Dante  accenna  a  quello  ohe 
ftTolaggiarano  della  fenice  1  poeti  e  i  dotti 
^•ntickità  •  del  medioevo  (p.  ee.  Plinio, 
H.  NI  X  2,  dandiano,  MI,  zlu;  rimatori 
italiani  in  D*Anc.  I  115,  510,  516  e  Val.  I 
137,  390,  297,  II  24,  210,  510;  B.  Latini, 
rwro  TI  26  ecc.),  ma  nella  soa  descrizione 
(«fi  legne  massimamente  Gridio,  i».  XV  892  : 
<  Una  est,  quae  reparet  aeqoe  ipea  reeeminet, 
ilet:  Astyrii  pboràica voeant.  Nonfirugene- 
^ktrbiM,  8éd  turù  ìaormi*  §t  tueeo  vivU 
''lomLBato  «M  q%ÈÌnqu$  tutu  eompÌ0vU  aoa- 
ttfa  ffiCa*,  Bicet  in  ramia  tremulaeqoe  cacn- 
maa  palmae  Ungoibos  et  poro  nidom  albi 
eoBatndt  ore.  Qao  aimnl  ao  oaaiaa  tt  nardi 
ifait  orMoa  Qiiaaaa^tia  cum  fuioa  ntbttropU 
rmmna  wtjfrrha»  Sé  tt^ptr  imponiti  ftnitqne 
ia  odoiUraa  aemm  ».  —  lU.  •  nardo  ecc.  e 
l'aTTolge  |irima  di  morire,  nel  nardo  e  nella 
vina,  aoctanze  odoroae.  —  112.  B  tutl  eoo. 
U  amardmento  del  peccatore  risorto  daUe 
na  eeneti  richiama  alla  mente  di  Dante  la 
eoadizione  deQ'aomo  caduto  a  terra  per  forza 
4i  «agfa  o  per  nn  insalto  epilettioo,  U  quale 
rialTindod  goaida  all'  intomo  tatto  «manito 


per  il  dolore  aofferto.  —  e  non  sa  cerno  : 
aenza  aapere  in  qoal  modo  ;  perché  roaseaao 
e  l'epilettico  non  a'aoooiigono  del  cadere.  Sai- 
la  forma  corno  cfir.  Huy.  xxm  86.  —  118. 
fona  di  damon  eoo.  la  potenza  diabolica, 
che  operando  angli  osaeoai  toglie  loro  gli  spi- 
riti e  li  fi»  cadere  a  terra.  —  114.  oppUaalon  : 
epilessia,  ohe  rinchindendo  i  meati  del  corpo 
interrompe  le  fOnzioni  fisiologiche.  —  116. 
angoiela:  dolore  fisico  e  morale.  —  119.  0 
potensa  ecc.  0  potenza  divina,  quanto  sei 
giusta  nel  dispensare  le  pone  i  poiché  a  ven- 
dicare degnamente  le  offese,  che  ti  sono  fatte, 
infliggi  ai  peccatori  colpi  cosi  violentL  Questi 
versi  oftiono  una  difficoltà,  poiché  troppo  ra- 
pido pare  il  cambiamento  dal  diaoorao  diretto 
all'  indiretto  :  perciò  altri  leggono,  non  senza 
fondamento,  qtumio  è  ««cera/,  che  certo  ò  in 
corrispondenza  più  eaatta  col  vb.  erotoia,  — 
122.  Io  piOTTi  ecc.  n  peccatore,  che  cosi  ri- 
sponde, ò  Vanni  figliuolo  bastardo  di  messer 
Fucd  dei  Lazzari  di  Pistoia;  del  quale  rac- 
conta l'autore  delle  Istorie  pisloUsif  pp.  6-7, 
che  ebbe  parte  nelle  diaoordie  della  cittadi- 
nanza pistoiese  incominciate  nel  1286  coll'in- 
sulto  del  taglio  della  mano  fatto  a  Dorè  Can- 
cellieri e  che  aegui  la  parte  nera,  conunet- 
tendo  violenze  e  rapine  a  danno  degli  avver- 
sari: nel  1292  eia  ai  servizi  di  Firenze,  noUa 
guerra  guelfa  contro  Pisa  ;  eaulò  dalla  patria 
poco  dopo,  forse  a  cagione  del  Airto  accennato 
al  V.  137 ,  e  nel  febbraio  1295  tu.  condannato 
in  contumacia  per  ruberie  e  oipiddl  cpmmussi 


184 


DIVINA  COMMEDIA 


si  come  mul  eh.* io  fui:  son  Vanni  Fucd 
126        bestia,  e  Pistoia  mi  fu  degna  tana  >. 
Ed  io  al  duca:  «  Digli  che  non  mucci, 
e  domanda  che  colpa  qua  giù  il  pinse; 
129       eh*  io  il  vidi  uomo  di  sangue  e  di  crucci  ». 
E  il  peccator,  che  intese,  non  s'infinse, 
ma  drizzò  verso  me  Panimo  e  U  volto 
132        e  di  trista  vergogna  si  dipinse; 

poi  disse  :  €  Più  mi  duol  che  tu  m' hai  còlto 
nella  miseria  dove  tu  mi  vedi, 
135        che  quando  fili  dell'altra  7ita  tolto. 
Io  non  posso  negar  quel  che  tu  chiedi: 
in  giù  son  messo  tanto,  perch'io  fui 


nel  territoiìo  di  Pistoia  (cfr.  BuU.  H  168, 
IV  207,  VI,  210).  —  126.  •(  eone  mil  ecc. 
ai  come  bastardo  oh'  io  fili.  —  TaBsi  F«eei 
bestia  !  attesta  l'An.  fior,  olie  <  perché  egli 
era  bestiale  fa  chiamato  Vanni  bestia  >.  — 
126.  Pistoia  mi  fa  ecc.  Pistoia,  patria  di 
malvagi  cittadini,  mi  tu.  degna  dimora  :  cfr. 
la  nota  all'  Inf.  xsv  10.  —  127.  aom  rane- 
ci  t  non  ftigga  via  ;  0  valore  del  vb.  «mie- 
eiare,  ftiggire,  ò  attestato  dalle  chiose  del 
Bnti  e  di  Benv.  ;  il  qnale  nltimo  aggiunge 
essere  voce  di  parecchi  dialetti  lombardi  :  cfir. 
Parodi,  BuU.  HL  163.  -  129.  io  il  vidi  ecc. 
io  lo  conobbi  nel  mondo  come  nomo  violento 
e  iracondo  (Bati:  e  nomo  di  brighe  e  d'omi- 
cidi >).  Dante  doveva  ricordare  di  Vanni  Fno- 
d  specialmente  la  parte  presa  nelle  discordie 
pistoiesi,  che  furono  poi,  com'  ò  noto,  occa- 
sione alla  divisione  dei  guelfi  fiorentini  in 
Bianchi  e  Neri;  personalmente  potè  cono- 
scerìo  in  Firenze  dorante  la  guerra  pisana. 
—  180.  non  s' inflase  t  non  cercò  di  sottrarsi 
alla  mia  domanda.  ~  132.  trista  vergogna: 
non  d  la  verecondia,  che  acquista  all'  uomo 
il  perdono  {Purg,  v  21),  ma  la  vergogna  della 
colpa  disonorevole.  —  183.  Pltf  ni  dio!  eoo. 
Qui  ò  l'uomo  di  parte  che  si  duole  d' esser 
còlto  nella  miseria  da  un  awersazio  :  Vanni 
Pucci,  seguace  dei  Neri,  trovandosi  sorpreso 
dall' Alighiori,  che  fu  di  parte  Bianca,  nel 
luogo  dove  sono  puniti  i  ladri,  sente  orrore 
di  tale  umiliazione  e  se  ne  duole  pi6  che  della 
perdita  della  vita;  perciò  dopo  aver  confes- 
sata sua  colpa  predice  oscuramente  ai  suo  av- 
versario avvenimenti  rovinósi  per  i  Bianchi: 
cfr.  D'Ovidio,  p.  44.  —  137.  lo  fui  ladro  eoe 
Lana,  Benv.,  Buti,  An.  fior..  Land,  raooon- 
tane  oon  molti  particolari  l'audace  tentativo 
di  furto  alla  cappella  di  san  Iacopo  nel  Duomo 
di  Pistoia,  operato  da  Vanni  Pucci;  l'An.  fior., 
più  breve  degli  altri,  lo  narrra  cosf  :  «  Av- 
venne per  caso  che  sor  Vanni  [della  Nonna], 
volendo  bene  ad  una  donna  di  Pistoia,  andò 
una  notte  a  fare  una  mattinata,  et  con  lui  an- 


dò questo  Vanni  Fucd.  Sonando  et  cantando 
costoro  a  oasa  alla  donna,  questo  Vanni  [Faod] 
oon  alcuno  suo  compagno  si  parti  da  loro  et 
sudò  alla  chiesa  di  Santo  Iacopo  in  Pistoia,  et 
per  forza  et  per  ingegno  rompendo  i  serrami, 
entrò  nella  sagrestia  di  Santo  Iacopo  et  nella 
cappella,  eh'  è  meglio  fornita  et  d'oro  et  d'a- 
riento  et  sltri  arnesi  che  altra  di  Toscana; 
et  entrato  dentro  la  rubò  et  venne  con  queste 
cose  ch'egli  avea  imbolate  a  oasa  ser  Vanni, 
et  dissegU  il  fatto.  Ser  Vanni,  ch'era  buon 
uomo,  gli  disse  vìUanfa  et  ch'egli  «vBa  fatto 
male  et  ch'egli  non  volea  zitenare.  Oostni 
scongiurandolo,  dicendo  :  Voi  disfarete  me  et 
i  miei  et  vituperrete.  Ser  Vanni,  V0gg«ndo 
ch'egli  dioea  il  vero,  per  non  vituperare  né 
parenti  suoi  né  lui,  gii  ritenne.  La  mattina, 
trovandosi  Tuscia  rotte  et  rubata  la  ssgxestia, 
il  podestà  cercando  di  questo  fatto  et  perohó 
la  oosa  era  grande,  tutti  quelli  ohe  per  ye- 
runo  modo  si  potò  pensare  ohe  fatto  PaTes- 
sono  ftuono  presi  et  richiesti  et  tormantati  : 
fra'  quali  fti  preso  uno  Bampino  figliuolo  di 
meeser  Francesco  Vwgelleei  [Foresi,  secondo 
Lana,  Benv.,  Buti,  Land.]  et  tanto  ta  tor- 
mentato che  questo  disse  dò  che  il  rettore 
volle  udiro.  Fugli  assegnati  tre  di  ad  avere 
accond  i  fatti  sud:  la  novella  si  spande,  et 
questo  viene  agli  oieocld  di  Vanni  Fuod.  ▲ 
Vanni  inorobbe  di  questo  giovane,  ch'era  suo 
amico  :  mandò  per  meeser  Francesco,  che  gli 
volea  pailaro  per  scampo  del  figliuolo.  Ito 
messer  Francesco  a  Vanni  dove  egli  era, 
fuori  di  Pistoia,  Vanni  gli  disse  ohe  gli  volea 
campare  il  figliuolo  et  volea  innanzi  avere 
vergogna  ch'egli  morisse;  et  pd  gli  disse 
come  avea  tolte  quelle  cose  et  messe  in  oasa 
di  ser  Vanni.  Questi  [Fzanoesoo]  tomo  lieto 
a  Pistoia;  et  detto  il  fatto  al  podestà,  mandò 
et  trovò  ch'egli  era  vero,  et  rìebbonsi  le  ooae  ; 
et  il  Rampino  fti  libero,  et  i  odpevoli  otm- 
dennati  ».  Secondo  le  ricerche  di  8.  Ciampi 
{Noti%i6  inediU  cMla  sagrestia  pisM^»  iW  bòUi 
taredi  ecc.,  Firenze,  1810,  ^.  68  e  segg^.), 


INPERNO  -  CANTO  XXIV 


185 


138       ladro  alla  sacrestia  de*  belli  arredi  ; 
e  £Edsamente  già  fu  apposto  altrui. 
Ma  perché  di  tal  vista  tu  non  godi, 
141        se  mai  sarai  di  fuor  da*  lochi  bui, 

apri  gli  orecchi  al  mio  annunzio,  e  odi: 
Pistoia  in  pria  di  Neri  si  dimagra, 
144       poi  Fiorenza  rinnova  gente  e  modi. 
Traggo  Marte  vapor  di  Val  di  Magra 
oh' è  di  torbidi  nuvoli  involuto, 
147        e  con  tempesta  impetuosa  ed  agra 
sopra  Campo  Picen  fia  combattuto; 


di  P.  Bacd  (Danto  e  Fornii  Fuooi,  Pistoia, 
1892,  •  Du»  docttm,  m  F.  F,,  Pift  1896)  e 
di  altri,  il  Catto  sarebbe  stato  un  po'  diyerso  : 
pare  die  nei  pxìmi  gioini  del  129(3  ignoti  la- 
dri rompendo  le  porte  della  chiesa  di  San 
Zenone  tentassero  di  mbare  gli  oggetti  pre- 
nosi  della  cappella  di  san  Iacopo  e  specialmen- 
te le  dae  tavole  d*argento  con  le  imagini  della 
Valgine  e  degli  Apostoli  già  coUocateri  nel 
1287;  che  del  fVirto  non  consomato,  ma  so- 
baente  tentato,  non  si  scoprissero  gli  autori 
le  non  nel  1294  essendo  podestà  di  Pistoia 
Giano  della  Bella  ;  che  il  delitto  fosse  rivelato 
da  uno  dei  ladri,  Vanni  della  Monna  (della 
Hoona,  dicono  i  commentatori,  alterando  nomi 
e  cose),  il  qnale  nominò  come  snoi  compagni 
Vanni  Facci  e  Vanni  Mironne;  e  che  tra  co- 
loro, coi  inginstamente  s*  appose  il  delitto, 
fosse  Bampino  figlio  di  Bannocio  Foresi,  li- 
beiato  solo  nel  mano  del  1296,  quando  tu.- 
noo  condannati  1  veri  colpevoli.  Ma  i  par- 
ticolari del  fatto  non  sono  noti  con  certezza  ; 
efr.  D*Oridio,  pp.  44-47.  —  188.  alla  sa- 
crestia de*  kf  IH  eoe.  :  nel  Dnomo  di  Pistoia 
la  cappella  di  san  Iacopo  ha  ancora  l' altare 
con  lastre  e  Agore  d' argento,  che  possono 
dare  nn'  idea  dell'antica  ricchezza  d*ori  e  d'ar- 
genti, per  la  qnale  era  dettali  iuoro  di  tan 
bujpo  :  cfir.  Bassermann,  p.  149.  —  141.  lo- 
chi bai:  regioni  infernali;  cfr.  Jn/l  vm 93, 
xu  86,  zvi  82.  —  14S.  Pistola  in  pria  ecc. 
Preralendo  in  I^stoia,  con  1'  alato  del  fio- 
rentini e  specialmente  dei  Cerchi,  la  parte 
M  Bianchi,  il  podestà  Andrea  Qherardini 
nel  BSggio  dol  1801  cacciò  la  parte  dei  Neri, 
che  d  rìfaggirono  in  Valdinievole  preparan- 
dosi alla  riscossa  (cfir.  Compagni  Or,  i  26; 
Mark  piatole$i,  pp.  10-U);  poi  in  Firenze 
tra  a  1301  e  il  1802  la  venata  di  Carlo  di 
Valob  e  la  proscrizione  dei  Bianchi  cam- 
biarono gmU  é  modi  di  governo,  perché  la 
città  rimase  in  balia  dei  Neri  (cfr.  Inf.  vi 
67-69).  L'antitesi  à  tra  la  cacciata  dei  Neri 
da  Pistoia  e  la  cacciata  dei  Bianchi  da  Fi- 
renze; però  errano  i  commentatori,  l  qoali, 
attenendosi  al  racconto  inesatto  di  0.  Villani, 
Or.  rm  38|  credooo  c)ie  Pente  allada  a  ona 


so^Msta  venuta  dei  Neri  pistoiesi  a  Firenze 
a  rinforzare  i  Neri  fiorentini  alatandoli  a 
trionfiare  della  parte  avversa.  —  146.  Tragga 
Marte  ecc.  I  Neri  pistoiesi,  cacciati  della  loro 
città  nel  maggio  del  1301,  s'onirono  smbito  ai 
fiorentini  e  ai  locohesi,  eoi  qoali  l' anno  se- 
goente  sotto  il  comando  dol  marchese  Mo- 
roello  Malaspina  (figlio  di  Manfredi  I  marchese 
di  Qiovagallo,  soccesse  al  padre  nel  1282e  mo- 
ri verso  U  1816  :  ebbe  in  moglie  Alagia  dei 
Fieschi,  solla  qnale  cfr.  JWy.  xix  142)  posero 
l'assedio  al  castello  di  Serravalle,  posto  tra  la 
Val  di  Nievole  e  Pistoia,  che  poi  si  arreso 
dopo  accanita  resistenza  nel  settembre  dol 
1802  (cfr.  Compsgni,  O.  i  27  ;  G.  VUlani, 
•  Or.  vm  62;  lat.  pittai,  pp.  19-24).  •  146. 
eh*  è  di  torkldi  noTell  eoe:  il  modo  ima- 
ginoso,  col  qoale  Dante  rappresenta  l'appari- 
zione e  le  vittorie  dol  Malaspina,  sopors  o 
fulmine  di  gnerxa,  fa  forse  soggerito  al  poeta 
dal  ricordo  della  cometa  del  settembre  1801, 
della  qoale  O.  '>^llani,  Or,  vm  48,  scrive  : 
«  apparve  in  cielo  ona  stella  cornata  con  gran- 
di raggi  di  fommo  dietro,  i^»parendo  la  sera 
di  verso  il  ponente,  e  dorò  infino  al  gennido 
[1802]  ;  della  quale  i  savi  astrologi  dissono 
grandi  significazioni  di  fbtari  pericoli  e  danni 
alla  provincia  d' Italia  e  alla  città  di  Firenze, 
e  massimamente  perché  la  pianeta  di  Saturno 
e  quella  di  Marti  in  quello  anno  s'erano  con- 
giunte due  volte  insieme  : . .  singolarmente 
si  disse  che  la  detta  cornata  significò  l'avven- 
to di  messer  Carlo  di  Valos  ».  —  148.  sopra 
Caspe  ecc.  Dopo  la  caduta  di  Serravalle  e 
di  altri  casteUi  pistoiesi  U  difesa  dei  Bianchi 
si  restrinse  entro  la  città  di  Pistoia;  alla 
quale  i  Neri  alleati  posoro  assedio,  durato  più 
mesi,  sotto  il  comando  del  Malaspina,  fino  a 
che  nell'aprile  1806  la  città  dovette  arrendersi 
per  fame  e  i  Bianchi  perdettero  l'ultimo  loro 
baluardo.  Al  duro  e  vigoroso  assedio  (tempe- 
sto ecc.)  da  parte  dei  Neri  sembra  ohe  si  al- 
lada sulla  fine  delia  profezia;  nella  quale  le 
parole  Campo  Piceno  designano  genericamente 
il  territorio  ove  sorge  la  città  di  Pistoia,  non 
un  luogo  determinato  che  fosse  cosi  denomi- 
nato :  e  tale  desì^nazioi^e  oooorre  in  antichi 


186 


DIVINA  COMMEDIA 


151 


ond'ei  repente  spezzerà  la  nebbia, 

si  ch'ogni  Bianco  ne  sarà  feruto: 

e  detto  l' ho,  perché  doler  ti  debbia  ». 


cronisti  (cfir.  nel  De  orig.  eU/U,  in  Haitwig, 
Quetian  dt  I  60;  in  G.  Villani,  vm  52),  è 
esplicita  in  Iacopo  di  Dante  («  Campo  Piemo^ 
il  quale  sito  Pii>toia  s*  intende  >)  e  procedette 
senza  dubbio  dalla  falsa  interpietaslDiie  di  nn 
passo  di  Sallostio,  CaHUn,  cap.  67,  ove  par- 
landò  delle  Dazioni  di  Catilina  nel  pistoiese  ri- 
corda anche  le  legioni  che  Q.  Metello  Celere 


arerà  alloam  <  in  agro  Piceno  >.  Solla  que- 
stione si  Teda  il  Biuwermanii,  pp.  165-168, 
616-619,  che  ne  ha  dato  la  migliore  solozione. 
—  161.  e  detto  eco.  e  questi  fistti  io  ti  ho  vo- 
luto annunziare,  perché  ta  ne  senta  dolore, 
come  di  cosa  contraria  agli  interessi  della  tua 
parte  :  cos(  Vanni  Food  riassome  e  compie  ▼!- 
goroeamente  ciò  che  ha  detto  nei  yt.  li()-142. 


CANTO  XXV 


stando  siili  *argine  i  poeti  osserrano  altri  dannati  della  settima  boi  ci  a, 
tra  1  quali  il  gigante  Caco,  e  assistono  alle  tramutazioni  meravigliose  di 
uomini  in  serpenti  e  di  serpenti  in  nomini,  riconoscendo  i  fiorentini  Agnello 
Bmnelleschi,  Bnoso  Abati,  Puccio  Oaligai,  Cianfs  Donati  e  Francesco  CaTal- 
canti  [9  aprile,  Terso  l^ora  del  mezzogiorno]. 

Al  fine  delle  sue  parole  il  ladro 
le  mani  alzò  con  ambedue  le  fiche, 
3        gridando  :  «  Togli,  Dio,  eh*  a  te  le  squadro  >. 
Da  indi  in  qua  mi  fùr  le  serpi  amiche, 
perch'  una  gli  s'avvolse  allora  al  collo, 
6        come  dicesse  :  €  Io  non  vo'  che  più  diche  »  ] 
ed  un'altra  alle  braccia,  e  rilegollo 
ribadendo  sé  stessa  si  dinanzi 
9        che  non  potea  con  esse  dare  un  crollo. 
Ahi,  Pistoia,  Pistoia,  che  non  stanzi 


XXV  1.  Al  flne  ecc.  Vanni  Facci,  per 
dare  più  compiato  sfogo  a  quella  passione  rab* 
biosa  che  gli  aveva  posto  in  booca  la  predi- 
zione rÌTolta  a  Dante  con  iraconde  parole  (Inf, 
XXIV  183-161),  fo  seguitare  al  suo  discorso 
un  atto  empio  di  irriverenza  verso  Dio,  che 
Io  aveva  colpito  con  severa  giustizia.  —  2. 
le  mAni  alxò  ecc.  levò  Io  mani  al  cielo  fa* 
ccndo  con  esse  le  fiche,  che  ò  atto  derisorio 
consistente  nel  porre  il  dito  pollice  tra  T  in- 
dice e  il  medio  e  volger  cosi  la  mano  verso 
alcuno.  Sull'origine  di  questo  atto  disprogia- 
tivo  si  cfr.  Nannucci,  Verbi  134;  e  si  noti 
che  doveva  esser  proprio  dei  pistoiesi,  se  nella 
loro  rocca  di  Carmignano,  presa  nel  1228  dai 
fiorentini  e  disfatta,  era  e  una  torre  alta  sot- 
tanta braccia,  e  ivi  su  due  braccia  di  marmo, 
che  faceano  con  le  mani  le  fiche  a  Firenze  », 
secondo  che  narra  G.  Villani,  O.  vi  6.  — 
8.  Togli  ecc.  :  si  ossorvi  che  questa  voce  iogliy 
con  valore  quasi  d'  esclamazione ,  d  usuale 
nella  lingua  antica,  mas.  ime  quando  il  discor- 


so si  accompagna  a  on  atto  di  scherno  o  di 
violenza;  cosi  nel  Dee.  g.  ix,  n.  4,  i  Saro- 
cini  gittando  in  mare  1*  uccisa  amante  di  Ger- 
bino gli  dicono:  e  Togli,  noi  la  ti  diamo  qnmX 
noi  possiamo».  —  4.  Da  lodi  eco.  Le  serpi 
fecero  subito  la  mia  vendetta  e  quella  di  Dio, 
poiché  una  s'avvolse  alla  gola  del  peccatore 
come  per  impedirgli  di  continuare  il  sacril^o 
discorso  e  un'  altra  gli  avvinse  le  braccia 
perché  egli  non  potesse  ripetere  l'atto  di 
scherno.  —  8.  rlbadeado  stf  stessa  eoe  ri- 
congiungendo si  fortemente  il  capo  e  la  coda, 
che  il  peccatore  cosi  rilegato  non  poteva  piò 
fare  alcun  movimento.-;- 10.  Ahi,  Pistoia  ecc. 
Questa  invettiva  contro  Pistoia  e  la  sua  por- 
versa  cittadinanza,  suggerita  a  Dante  dalla 
vista  di  Vanni  Fucd,  è  l'espressiono  di  on 
sentimento  comune  nei  fiorentini  antichi,  i 
quali  credendo  che  quella  città  fosse  stata 
edificata  dai  superstiti  dell'esercito  di  Cati- 
lina  giudicavano  anche  che  non  fosse  da  me- 
ravigliare (cosi  Q,  Villani,  Or,  i  32)  <  se  i  pi- 


INFERNO  -  CANTO  XXV 


187 


d' incenerarti  si  che  più  non  duri, 
12       poi  che  in  mal  fare  il  seme  tuo  avanzi? 
Per  tutti  i  cerchi  dell'inferno  oscuri 
non  vidi  spirto  in  Dio  tanto  superbo; 
15       non  quel  che  cadde  a  Tebe  giù  da' muri. 
Ei  si  fuggi,  che  non  parlò  più  verbo  ; 
ed  io  vidi  un  centauro  pien  di  rabbia 
18        venir  chiamando:  «Ov'è,  ov'è  l'acerbo?» 
Maremma  non  cred'io  che  tante  n'abbia, 
quante  bisce  egli  avea  su  per  la  groppa, 
21        infìn  ove  comincia  nostra  labbia. 
Sopra  le  spalle,  dietro  dalla  coppa, 
con  l'ale  aperte  gli  giacea  un  draco; 
24        e  quello  affoca  qualunque  s'intoppa. 
Lo  mio  maestro  disse:  €  Questi  è  Caco, 
che  sotto  il  sasso  di  monte  Aventino 
27        di  sangue  fece  spesse  volte  laco. 

Non  va  co' suoi  fratei  per  un  canmiino, 
per  lo  furto  che  Redolente  fece 
80       del  grande  armento,  ch'egli  ebbe  a  vicino; 


•toleei  80II0  Itati  e  sono  g«nte  di  gnam  fleil 
•  emdeli  intn  loro  e  oon  altrai  >.  F«r  questo 
gli  antichi  commentatori,  Bnti,  An.  fior., 
Liad.  eoo.  intendono  1*  ultimo  Tene  della 
terzina  oome  se  Dante  aTssse  Tolnto  diie  ohe 
i  pistoieei  del  soo  tempo  snperayano  di  mal- 
ngità  i  pistoiesi  antichi  «stratti del  sangue 
A  Oatemna  ».  —  ehd  nea  stanai  eoo.  perché 
non  deliberi  di  distruggerti  da  te  stessa,  ri- 
iuoendoti  in  cenere  ocnne  il  tuo  Vanni  Fuod? 
—  ia.9el  che  in  auil  flure  eco.  ayanzi,  su- 
psri  non*  operaie  il  male  i  tool  stessi  fon- 
datori, che  ftirono  uomini  iniquissimi.  — 
li.  noB  TÌàì  ecc.  non  incontrai  alonno  spi- 
nto cosi  superbo  oontio  Dio  come  Vanni 
fnod;  n6  pure  Capaneo:  cfr.  Jbtf,  xiy46  e 
■egg.  —  16.  «he  bob  eco.  senza  dir  più  una 
ptiola.  —  17.  un  eentaare  ecc.  Costai  che 
insegne  Vanni  Fucoi  è  Caco,  famoso  ladrone 
figliuolo  di  Vulcano,  nppresentato  dagli  an- 
tichi poeti  oome  uomo  bestiale  e  detto  da  Vii^ 
gilk)  neczo  uomo  e  mezzo  animale  {En,  vm 
Idi,  267)  :  Dante  perdo  ne  Hs  un  centauro* 
tlM  è  separato  dai  suoi  compagni  del  settimo 
eereUo  (Btf.  zn  66  e  segg.),  per  il  ftirto  com- 
■eew  a  danno  di  Ercole.  •— 18  ot'  è  l*a«er- 
bel  doT»  è  floggito  l'indomito  e  superbo 
Vaimi  Fuccit  —  19.  Mareama  eco.  La  Ma- 
ramaa  toaoana,  piena  di  bocchi  e  di  paludi 
(efr.  Inf,  xxn  9),  era  assai  abbondevole  di 
ittpi,  tanto  che  il  Buti  racconta  che  «  a  Vada 
^  QUO  monaaterio  bellissimo,  lo  quale  per  le 
Nrpi  si  dice  essere  disabitato  »  :  cosi  Caco, 


riisuto  tra  i  boschi  e  le  caveme  del  monte 
Aventino,  era  tutto  ricoperto  di  bisce.  —  21. 
InllB  ecc.  iino  a  quella  parte  ove  cominciava 
la  Agora  umana  (cfr.  Jbtf.  xi  81-82)  :  sul  nome 
labbia  oSr,  Purg.  zxra  47.  ~  22.  dietro  dalla 
eepfa:  nella  parte  posteriore  del  capo:  la 
oon»,  dice  TAn.  fior.,  è  «  quello  concavo  che 
fanno  le  spalle  di  rietro,  sotto  il  nodo  del 
coUo  .  ;  cfr.  Parodi,  Butf .  HI  160.  —  28.  nn 
draeos  Virgilio  dice  che  Caoo  vomitava  flamr 
me  dalle  «sud  (Eiu  vra  261  e  segg.);  e  Dante 
trasforma  cotesto  particolare  oon  maggior  con- 
formità alle  credenze  medioevali  imaginando 
un  dragone,  che  addossato  alle  spalle  di  Caco 
abbrucia  qualunque  persona  o  cosa  s' imbatta 
in  lui  :  cfr.  Moore,  1 176.  —  25.  <{nestl  h  Caco 
ecc.  Virgilio  racconta  che  Caco  viveva  in  una 
grotta  del  monta  Aventino,  nella  quale  erano 
sempre  segni  palesi  di  stmgrl  recenti  ;  cfr.  Bn. 
vxn  198  :  «  Hio  spelunca  foit,  vasto  submotiw 
rooessu  ;  Semihominia  Cad  fades  quam  dira 
tenebat,  Solis  inaocossam  radila  :  eemperquo 
recenti  Caode  iopebat  humus  ;  foribusque  af- 
fisa superWa  Ora  vlrùm  tristi  pendebant  pai- 
Uda  tabe  ».  —  27.  él  saagae  ecc.:  cfr.  univ 
simile  eeprossiono  In  Pvrg.  v  84.  —  29.  p^^ 
lo  farto  eoe.  Caco  rubò  con  frode,  polcs^è  a 
toglierò  gr  Indizi  dol  ratto  fece  canunii^'l 
»U'  indietro,  traendoU  sinoaìla  sua  «p^v^^ 
i  tori  o  lo.  grlovenohe  sottratte  a  ^Et^^  ^1 
qnale  venendo  ^^  Spagna  con  gU  arm^       ^  U 
1  re  Gerione  (cftr.  Inf.  rvn  1)  s'era  f^rW 
tn  lungi  daU'  Aventino  (cfr.  Yirg.,  ^^^^^ 


188 


DIVINA  COMMEDIA 


onde  oessàr  le  sue  opere  biece 
sotto  la  mazza  d'Ercole,  che  forse 
83        gli  ne  die  cento,  e  non  senti  le  diecc  ». 
Mentre  che  si  parlava,  ed  ei  trascorse; 
e  tre  spiriti  venner  sotto  noi, 
3G        de'quai  né  io  né  il  duca  mio  s'accorse, 
se  non  quando  gridar:  €  Chi  siete  voi  ?  » 
per  che  nostra  novella  si  ristette, 
09       ed  intendemmo  pure  ad  essi  poi. 
Io  non  li  conoBcea;  ma  ei  seguette, 
come  suol  seguitar  per  alcun  caso, 
42       che  Pun  nomare  un  altro  convenette, 
dicendo  :  €  Cianfa  dove  fìa  rimase  ?  > 
per  ch'io,  acciò  che  il  duca  stesse  attento, 
45        mi  posi  il  dito  su  dal  mento  al  naso. 
Se  tu  sei  or,  lettore,  a  creder  lento 
ciò  ch'io  dirò,  non  sarà  maraviglia, 
48       ohe  io,  che  il  vidi,  appena  il  mi  consento. 
Com'io  tenea  levate  in  lor  le  ciglia. 


206  e  segg.).  —  31.  ep^re  bleee:  azioni  scel- 
lerato e  ree;  sulla  forma  bieee  c£r.  Par.  ti 
186.  —  83.  ■•Ito  la  nassa  eco.  Ercole,  ac- 
cortosi del  Airtoi  assali  Caco  nella  sua  grotta 
e  lo  accise  strostandolo  (ofr.  Virg.,  Wn.  vm 
266  e  segg.):  Danto  imagina  inreoe  che  l'eroe 
facesse  oso  della  dava,  percotendo  Caco  di 
moltissimi  colpi,  sebbene  ei  fosse  gii  morto 
ai  primi.  —  84.  Untitt  ecc.  Si  noti  il  n^ido 
passaggio  dalla  ooetrozione  subordinata  alla 
coordinata  (menir$  ck§  $i  portava,.,  e  tn  tpi' 
rUi  vmiMr  ecc.X  assai  frequentemento  usato 
dagli  antichi  per  esprimere  la  contempora- 
neità delle  adonL  —  88.  nostra  BOTsUa  ecc. 
il  racconto  che  Virgilio  mi  iéceva  della  leg- 
genda di  Caco  fti  intorrotto  e  noi  attendemmo 
solo  al  nuovi  venuti.  —  40.  Io  nei  11  eo- 
■oseea  ecc.  Qui  incomincia  il  mirabile  rac- 
conto drammaticamento  grandioso  delle  tra- 
mutazioni dei  ladri  fiorentini  :  all'  intelligenza 
piena  del  quale  è  utile  notare  sin  d'ora  che 
i  tre  venuti  sono  Agnello  dei  Brunelleschi, 
Buoso  degli  Abati  e  Puccio  dei  Galigai  (w. 
40-48,  68,  140,  148-160);  poi  viene  in  figura 
di  serpente  a  sei  piedi  CianfìEi  dei  Donati  e  si 
incorpora  con  Agnello  dei  Brunelleschi  (w. 
4d-78)  ;  finalmente  viene  in  figura  di  piccolo 
serpente  Francesco  dei  Cavalcanti  e  si  tra- 
muta di  natura  con  Buoso  degli  Abati  (w. 
79-141).  —  ei  segaette  ecc.  accadde,  corno 
suole  avvenire  casualmente,  che  uno  dei  tre 
disse  il  nome  d' un  compagno  :  un  caso  non 
dissimile  succederà  a  Dante  nell'  Antenora  ; 
cfr.  Inf.  mn  106.  —  43.  Ciaafls  dove  ecc. 
Dove  sarà  mai  rimasto  Cianfa,  nostro  com- 


pagno? Cianfa  Donati,  vivente  nel  1282,  f^ 
cavaliere  e  della  nobile  ùuniglia  gueli^  cho 
capitanò  poi  la'  fasione  dei  Neri  ed  ebbe  dal 
popolo  il  motto  di  casata  di  MaUfàmi  (e.  Vili., 
Or.  vm  89):  «mirabile  ladro  »  lo  chiama  il 
Lana,  ma  né  egli  né  gli  altri  commentatori 
antichi  sanno  aggiungere  notizie  certo  di  lui. 
—  44.  por  eh'  lo  eco.  Dal  nome  del  suo  con- 
cittadino d^  Donati,  ch'ei  sento  pronunziare 
a  uno  dei  tre  spiriti,  Danto  axgomenta  cho 
essi  Siene  fiorentini;  e  desideroso  d'averne 
pi6  sicuri  indizi  raccomanda  a  Virgilio  il  si- 
lenzio con  un  atto  naturalissimo,  ponendosi 
il  dito  sulle  labbra.  «  È  bello,  osserva  il  Biag., 
questo  linguaggio  della  natura,  ed  opportuno 
assai  in  questo  luogo,  perché  se  avesse  Danto 
parlato,  quegli  spiriti,  inteso  il  parlar  toscano 
sarebbersi  dileguati  >.  —  46.  8e  ts  sei  eoe 
Qui  comincia  la  soena  della  oompenetraziono 
di  due  figure  In  una  sola  ;  un  uomo  ed  un 
serpento.  Agnello  e  Cianfa,  confondendosi  in- 
aieme,  diventano  «  membra  ohe  non  fftr  mai 
visto  »  :  però  Danto  prepara  il  lettore  alla 
gran  meravi^^  e,  sotto  colore  di  scusare  la 
sua  renitenza  a  prestar  fede  al  singolarissimo 
racconto,  lo  predispone  a  crederlo,  con  l'af- 
fermazione d' aver  visto  esso  il  fatto  descrìt- 
to. —  49.  GoM'lo  eoo.  Si  osservi  la  finicyinia 
arto  di  questa  descrizione  notando  come  Danto 
distingua  1  tre  momenti  principali  del  fatto  : 
il  rìawidnamento  delle  due  figure,  che  si 
stringono  come  l'edera  all'albero  (w.  60-60); 
la  compenetrazione  dell'una  nell'altra,  che  si 
compie  lentamente,  come  il  graduale  avan- 
zare del  nero  sul  bianco  nel  papiro  acceso 


INFERNO  -  CANTO  XXV 


189 


ed  un  serpente  con  sei  piò  si  lancia 
61        dinanzi  all'uno,  e  tutto  a  lui  s'appiglia. 
Coi  piò  di  mezzo  gli  avvinse  la  pancia 
e  con  gli  anterìor  le  braccia  prese; 
54        poi  gli  addentò  e  l'una  e  l'altra  guancia. 
Gli  deretani  alle  cosce  distese, 
e  misegli  la  coda  tra  ambedue, 
57        e  dietro  per  le  ren  su  la  ritese. 
Ellera  abbarbicata  mai  non  fue 
ad  arbor  si,  come  l'orribil  fiera 
60       per  l'altrui  membra  avviticchiò  le  sue. 
Poi  s'appicc&r,  come  di  calda  cera 
fossero  stati,  e  mischiar  lor  colore; 
63        né  l'un  né  l'altro  già  parca  quel  ch'era, 
come  procede  innanzi  dall'ardore 
per  lo  papiro  suso  un  color  bruno, 
66       che  non  ò  nero  ancora,  e  il  bianco  more. 
Gli  altri  due  riguardavano,  e  ciascuno 
gridava:  €0  me,  Agnòl,  come  ti  muti! 


(tt.  61-70);  e  finalmente  U  nnoro  aspetto  ri- 
•oHante  dalla  fosione  delle  flgwe  primitive, 
per  il  quale  fl  poeta  non  può  troTaxe  ona 
ifflagine  adagnata  nel  mondo  deUa  realtà,  poi- 
ché era  di  membra  non  mai  yifte  (tt.  71-78). 
A.  Dobelli,  Butt.  TV  17,  nota  acntamente  ohe 
•oche  (Mdio,  MeL  nr  860>-882,  deecriTendo  la 
formanone  di  Ermafrodito,  procede  per  qne- 
ite  tre  gradazioni  medesime:  l'aTrincond 
della  ninfa  all'amato  giorinetto;  la  conrti- 
done  dei  due  corpi  ;  l'apparire  di  nna  figura 
anoTa  e  composita.  —  66.  deretani:  piedi 
postoiioTì.  —  68.  EUera  abbarbicata  eco. 
Comparazione  stupenda,  che  può  credersi 
suggerita  da  nn'imagine  di  Gridio  {MeL  it 
365),  più  tosto  che  derirata,  comò  dicono 
i  commentatori,  dai  versi  d'Onudo,  Epod, 
XT  5  :  «  Arctins  atque  hedera  prooera  ad- 
ttringitnr  ilex.  Lentia  adhaerens  brachiis  >  : 
fa  imitata  dall'Ariosto,  Ori.  vn  29  :  €  Non 
cosf  strettamente  edera  preme  Pianta  ore  in- 
tomo abbarbicata  s' abbia,  Come  si  stringon 
li  dne  amanti  insieme  >.  —  61.  come  di  ealda 
cera  ecc.  L' idea  £  questa  comparazione  se- 
condaria, che  rende  cosi  bene  l'immedesi- 
aaxai  dei  due  corpi,  procede  da  Lucano  (cfìr. 
T.  94),  là  doTO  parla  della  morto  di  Sabello, 
Fhn,  IX  781  :  «  Colla  oaputque  fiunnt  ;  ca- 
lido  non  ocjus  austro  Nix  resoluta  cadit,  neo 
tiolem  cera  sequetur».  —  68.  mi  Vum  né 
Taltro  ecc.  il  colore  dell'uomo  e  il  colore 
dM  serpente,  per  il  compenetrarsi  dei  dne 
corpi,  aTorano  perduto  l'aspetto  prìmitiTo  e 
dato  origine  a  un  terzo  colore  indeciso  ;  come 
^wÀeohr  urtino  che  jmwsdf  tmiafu^  alla  fiam- 


ma ptr  h  papko  tu$Ot  il  quale  color  bruno 
non  d  ancora  nero  ma  non  d  pi6  bianco.  — 
66.  lo  paplres  antica  è  la  divergenza  d'opi- 
nioni circa  questa  parola,  poiché  B«ìt.  dice 
che  si  pud  intendere  del  lucignolo  della  can^ 
dola  0  della  carta  bambadna  bianca  :  «  utia- 
que  enim  est  eadem  compazatio,  et  pap  jma 
habet  ista  diversa  significata».  Sono  per  la  pri- 
ma interpretazione,  d^  lucignolo  formato  con 
U  midolla  del  giunco,  Ott,  Buti,  Land.,  Veli., 
Lomb.,  confermandola  i  moderni  con  la  te- 
stimonianza di  Pietro  Crescenzio,  Trattato 
di  agrieolturaf  ed.  B.  Serio,  Verona,  1861,  il 
quale  (vi  96)  scrive  che  «il  papiro  ti  dice 
quasi  nutrimento  del  fàooo  imperò  che  sec- 
cato è  molto  acconcio  a  nutrimento  del  Aio- 
co  nelle  lucerne  e  nelle  lampane  »  :  sono  in- 
vece per  r  altra,  della  carta  bambadna  già 
in  uso  ai  tempi  di  Dante,  Lana,  An.  fior., 
Vent,  Ces.,  Blanc;  il  quale  osserva  che  nella 
carta  il  color  bruno  procede  in  su  avanti  alla 
fiamma,  mentre  nel  lucignolo  accade  il  con- 
trario; ma  non  d  argomento  sufilciente  per 
escludere  la  prima  interpretarione  che  pare 
essere  più  naturale  :  tanto  più  che  per  ìopa^ 
piro  eueo  non  significa  altro  9he  nella  parte 
superiore  del  lucignolo,  in  quella  parte  ohe  d 
scoperta  e  dà  fiamma.  —  68. 0  me  eco.  :  escla- 
mazione, che  nella  sua  semplicità  esprìme 
bene  la  forte  impressione  che  sui  dannati  fa 
la  tramutazione  del  loro  compagno.  —  Agaels 
gli  antichi  commentatori  Lana,  Benv.,  Buti, 
Pietro  di  Dante,  An.  fior.  ecc.  dicono  sola- 
mente che  questo  peccatore  fa  Agnello  o 
Agnolo  dei  Brunelleschi,  fami^^  di  grandi  di 


190 


DIVINA  COMMEDIA 


69 


78 


81 


vedi  clie  già  non  sei  né  due  né  uno  ». 

Già  eran  li  due  capi  un  divenuti, 
quando  n'apparver  due  figure  miste 
in  una  faccia,  ov'eran  due  perduti. 

Fèrsi  le  braccia  due  di  quattro  liste; 
le  cosce  con  le  gambe,  il  ventre  e  il  casso 
divenner  membra  che  non  fOx  mai  viste. 

Ogni  primaio  aspetto  ivi  era  casso: 
due  e  nessun  Pimagine  perversa 
parea,  e  tal  sen  già  con  lento  passo. 

Come  il  remiarro,  sotto  la  gran  farsa 
de*  di  canicular  cangiando  siepe, 
folgore  par,  se  la  via  attraversa  ; 

si  pareva,  venendo  verso  l'epe 


parte  ghibeUina  che  nelle  divisioni  del  1800 
furono  coi  Bianchi  e  poi  passaiono  ai  Neri; 
lo  CfMoae  an,  dicono  di  Ini:  <  Questo  Agnello 
ta  de'  Bronelleechi  di  Firenze  ;  e  infine  pic- 
ciolo rotava  la  boita  al  padre  e  a  la  madre, 
poi  votava  la  cassetta  e  la  bottega  e  imbo- 
lava :  poi  da  grande  entrava  per  le  case  al- 
tnd  e  vestfasi  a  modo  di  povero  e  Cadasi  la 
barba  di  vecchio,  e  però  il  fia  Dante  cosi  tra- 
sformare per  li  morsi  di  quello  serpente  oomo 
fece  per  furare  >.  —  69.  vedi  ecc.  Questo 
verso  e  un  altro  pi6  sotto  (v.  77)  ricordano 
il  luogo  di  Ovidio,  ov*  è  descritta  la  forma- 
zione di  Ermafrodito  (Met,  iv  878):  «Neo 
duo  sunt  et  forma  duplex,  neo  femina  dici 
Nec  puor  ut  poesint;  neutrumque  et  ntrum- 
que  videntur»  :  ofr.  Moore  1 213.  —  71.  due 
flgnrt  ecc.  due  sembianze  confuse  in  un  solo 
volto,  noi  quale  s'erano  perduti  e  quasi  di- 
leguati i  due  primitivi  aspetti  dell'  uomo  e 
del  serpente.  Anche  qui  sembra  continuare 
la  reminiscenza  ovìdiana  (IM.  nr  878)  :  «  Nam 
mista  duorum  Corpora  iunguntur,  faciesque 
inducitur  illis  Una  ».  —  78.  Fdrsl  le  braccia 
eoe.  delle  quattro  tìtts,  arti  anteriori,  cioè 
delle  due  braccia  dell'uomo  e  dei  due  piedi 
d'avanti  del  serpente,  si  formarono  le  due 
braccia  del  nuovo  essere.  Male  il  Buti  intendo 
le  quattro  UsU  come  quattro  colori  delle  nuo- 
ve braccia,  ciascuna  deUe  quali  fosse  listata 
di  colore  serpentino  e  di  umano  ;  poiché  i 
colorì  resterebbero  sempre  due  soli.  -^  74. 
casso  :  cfr.  Inf.  xn  122.  —  75.  dircnner  ecc. 
A  questo  punto  Dante  non  poteva  trovare 
alcuna  similitudine  adeguata,  perché  il  corpo 
che  risultò  dalla  compenetrazione  dell'  uomo 
con  il  serpente  doveva  essere  al  tutto  ftiori 
della  natura:  però  si  limitò  a  notare  che  le 
singole  membra  erano  quali  nessuno  vide  mai, 
avevano  perduto  ogni  forma  primitiva,  e  ave- 
vano formato  una  figura  tra  d' uomo  e  di 
serpente,  ma  senza  i  caratteri  doli'  uno  o  dol- 


l'altro.  —  79.  Come  eco.  Passa  Dante  a  de- 
scrivere un'  altra  mirabile  scena,  il  tramo- 
tarsi  vicendevole  di  Francesco  Cavalcanti, 
ch'era  seipente,  in  uomo  e  di  Buooo  degli 
Abati,  ch'era  uomo,  in  serpente  :  azione  molto 
complessa  nel  suo  rapido  svolgimento,  della 
quale  il  poeta,  cogliendone  e  rendendo  con 
tóochi  efflcaoi  i  momenti  più  salienti,  fa  una 
rappresentazione  cosi  viva  e  grandiosa  che 
passa  i  termini  soliti  dell'arto  umana.  Anche 
questa  soona  ha  tao  momenti  ben  distinti  : 
V  incontrarsi  dal  due  esseri,  che  devono  tra- 
mutarsi, e  i  primi  effetti  generali  della  tra- 
fittura che  il  serpente  fa  all'uomo  (w.  79-98); 
la  vera  liamntazione,  per  la  quale  lo  mem- 
bra di  ciascuno  vanno  a  poco  a  poco  assu- 
mendo la  forma  di  quelle  del  compagno  (w. 
10B-1S6);  l'effetto  finale,  per  cui  l'uomo  di- 
venuto serpente  e  il  serpente  divenuto  uomo 
tanno  dimostrazione  della  nuova  natura  as- 
sunta da  dascuAO  di  essi  (w.  186-141).  Fra 
il  primo  e  il  secondo  momento  il  poeta  con 
un  felice  richiamo  di  metamorfosi  descritte 
da'  poeti  dassid  prepara  il  lettore  alla  no- 
vissima deoaidone  della  duplice  tramutazione 
di  membra,  che  ò  il  punto  culminante  di  tutta 
la  scena  (w.  94-102).  —  Il  ramarro  occ 
La  comparazione  del  ramarro,  specie  di  la- 
certola,  che  nei  caldi  giorni  d'estate  traversa 
la  via  da  siepe  a  siepe  con  fulminea  rapidità, 
ò  già  in  germe  in  questi  vervi  d'Orazio,  Od. 
in  27,  6:  «Bumpat  et  serpens  iter  institu- 
tum  Si  per  obliquum  similis  sagittae  Terruit 
mannos  ».  —  forsa  :  «  calura  »  sinegano  Lana 
e  Benv.,  ma  meglio  il  Buti,  seguito  da  quasi 
tutti  i  moderni,  intendo  ohe  sia  pw  ftrxa 
(Inf.  zvm  85,  81)  con  senso  traslato  che  an- 
cora ò  dell'uso  per  indicare  la  violenza  doi 
raggi  solari:  cfr.  Parodi,  BuU,  m  lOL  —  80. 
di  eaaleular:  i  giorni  della  Oanioola,  dal  21 
luglio  al  21  agosto,  quando  il  sole  ò  nella  co- 
stei laziono  del  Cane  maggioro.  —  82.  terso 


INFERNO  —  CANTO  XXV 


lÒl 


degli  altri  due,  un  serpentello  acceso, 
84        livido  e  nero  come  gran  di  pepe. 
£  quella  parte,  onde  prima  è  preso 
nostro  alimento,  all'un  di  lor  trafisse; 
87        poi  cadde  giuso  innanzi  lui  disteso. 
Lo  trafitto  il  mirò,  ma  nulla  disse; 
anzi  coi  piò  fermati  sbadigliava, 
90        pur  come  sonno  o  febbre  l'assalisse. 
Egli  il  serpente,  e  quei  lui  liguardava: 
Pun  per  la  piaga,  e  l'altro  per  la  bocca 
93        fummavan  forte,  e  il  fummo  si  scontrava. 
Taccia  Lucano  omai,  là  dove  tocca 
del  misero  Sabello  e  di  Nassidio, 
9G        ed  attenda  ad  udir  quel  ch'or  si  scocca. 
Taccia  di  Cadmo  e  d'Aretusa  Ovidio; 
cbé,  se  quello  in  serpente  e  quella  in  fonte 
'  99        converte  poetando,  io  non  lo  invidio: 
che  due  nature  mai  a  fronte  a  fronte 
non  trasmutò,  si  ch'ambedue  le  forme 
102        a  cambiar  lor  materia  fosser  pronte. 
Insieme  si  risposero  a  tai  norme, 


Peyt  eoe.  reno  Baoso  degli  Abati  e  Pacdo 
M  Oaligai,  che  averano  flgont  unum».  — 
•pc:  cfr.  Inf.  XXX  102.  —  dS.  «b  eirpeB- 
MDe  eoo.  vn  lexpente  aooeeo  d' ira,  Fran- 
eMoo  dei  OaralcantL  —  86.  «Bella  parte 
eoe.  rombeUioo,  donde  raomo  nel  periodo 
deOa  geatazione  aeeorlìe  l'alimento  ;  ò  dotto 
il  oonfòmità  alle  dottrine  antiche,  abban- 
èonat»  o  nodificate  dai  moderni.  —  86.  al- 
Pn:  a  Biioao  degU  Abati.  —  88.  Lo  trafitto 
tee.  n  ■iìft»**'*  e  lo  sbadigliare  di  Booso  sono 
i  natomi  eh'  eg^  era  per  perdere  la  eoa  na- 
tala umana,  come  il  cadòe  del  serpente  è 
Mgio  eh'  e|^  è  per  perdere  la  mobilità  della 
na  natola.  —  92.  KgU  U  aerpeata  eoo.  L'ao- 
Bo  e  il  serpente,  guardandosi  l' nn  l' altro, 
BsadaTaao  fuori  l'ano  dalla  piaga  e  l'altro 
Ula  booea  un  fama  intenso;  mediante  il 
qnsle  dna  nature  diverse  si  tramutayano: 
ialatti,  quando  la  metamorfosi  d  oompinta, 
il  testo  cessa.  —  94.  Taeela  LaeaBO  eoe. 
Laoano  nella  Fara,  a  784  e  segg.  deecrive 
h  morti  dolorose  di  parecchi  soldati  romani 
iaa'eseraito  di  Catone,  i  qnali  furono  morsi 
dsi  lecpenti  del  deserto  libico  ;  tia  ooteste 
KQcti,  t<rgrti^T4  sono  quelle  di  Sabello  e  di 
KamiAo:  il  primo  dei  qnali  essendo  stato 
Boao  dal  serpente  ssps  incomineid  a  dissol- 
Tersi  in  modo  ohe  in  brevissimo  tempo  tatto 
il  no  corpo  si  ridusse  in  un  pugno  di  cenere, 
eone  se  fosse  stato  bruciato  sul  rogo  {Fatrs, 
a  761-788)  ;  e  il  secondo,  ferito  dal  serpente 


che  chiamano  pnaUr,  inoomindò  a  dilatarsi 
e  ad  enfiarsi,  tanto  ohe  scoppiò  la  lorica  e 
il  sno  oorpo  perduta  ogni  umana  sembianza 
si  ridusse  in  una  gran  massa  informe  {Fatrs. 
iz  789-804).  —  96.  ed  attenda  ecc.  e  ascolti 
la  meravigliosa  trs sformazione,  ch'io  sono 
per  descrivere.  —  si  scocca  s  ott.  Puirg,  xxv 
17.  —  97.  Taeela  41  Cadmo  eco.  Ovidio, 
ÌÙL  IV  668-604,  deecrive  la  trasformazione 
di  Gadmo,  il  mitico  fondatore  di  Tebe,  in  un 
serpente,  oon  certi  particolari,  dei  quali  si 
valse  Dante  (cfir.  w.  184,  137);  e  lo  stesso 
poeta,  MeL  v  673-671,  racconta  come  Are- 
tusa,  una  delle  Nereidi  seguaci  di  Diana,  in- 
seguita da  Alfeo,  fosse  dalla  dea  convertita 
in  una  fontana.  —  9U.  le  bob  lo  Invidio  ecc. 
non  invidio  l'arte  sua,  poiché  Ovidio  nel  suo 
poema  delle  ìùtcmorfoai  non  tentò  mai  la 
descrizione  di  un  fatto  cod  straordinario  quale 
è  il  tramutarsi  oontemporaneamente  di  due 
nature  diverse  :  tìti.  per  altro  le  note  ai  w. 
69  e  71.  —  101.  ambedue  le  forme  ecc.  le 
due  nature,  l' umana  e  la  serpentina,  fossero 
pronte  a  cambiare  ciascuna  la  propria  parte 
materiale  in  quella  doli'  altra.  — 103.  Insieme 
si  rlspesero  ecc.  La  tramutazione  delle  mem- 
bra dei  due  dannati  incominciò,  per  mutua 
influenza  delle  due  nature,  con  tale  regola 
che  prima  il  serpente  divise  la  coda  in  dae 
parti  e  l' uomo  ristrinse  insieme  i  piedi,  le 
gambe  e  le  cosce  in  modo  ohe  non  rimase 
più  alcun  segno  manifesto  della  linea  di  con- 


192  DIVINA  COMMEPTA 


che  il  serpente  la  coda  in  forca  fòsse, 
105        e  il  feruto  ristrinse  insieme  Porrne. 
Le  gambe  con  le  cosce  seco  stesse 
s'appiccftr  si  che  in  poco  la  giuntura 
108       non  fieicea  segno  alcun  che  si  paresse. 
Togliea  la  coda  fessa  la  figura, 
che  si  perdeva  là,  e  la  sua  pelle 
111        si  facea  molle,  e  quella  di  là  dura. 
Io  vidi  entrar  le  braccia  per  P  ascelle, 
e  i  due  piò  della  fiera,  ch'eran  corti, 
114        tanto  allungar  quanto  accordavan  quelle. 
Poscia  li  piò  di  retro,  insieme  attorti, 
diventaron  lo  membro  che  Puom  cela, 
117        e  il  misero  del  suo  n'avea  due  pdrtL 
Mentre  che  il  fummo  Puno  e  l'altro  vela 
di  color  nuoYO,  e  genera  il  pel  suso 
120       per  P  una  parte,  e  dall'altra  il  dipela, 
Pun  si  levò,  e  P  altro  cadde  giuso, 
non  torcendo  però  le  lucerne  empie, 
123        sotto  le  quai  ciascun  cambiava  muso. 
Quel  ch'era  dritto  il  trasse  vèr  le  tempie, 
e  di  troppa  materia,  che  in  là  venne, 
126       uscir  gli  orecchi  delle  gote  scempie; 
ciò  che  non  corse  in  dietro  e  si  ritenne 
di  quel  soverchio,  fé' naso  alla  faccia, 
129        e  le  labbra  ingrossò  quanto  convenne. 

ginnzione.  —  104.  ftftMS  cf^.  bif,  xn  119.  trunntazione  dog^  aiti  inferiozi  •  laperìori 

—  105.  ormt:  piedi;  per  una  fàcile  evolo-  fra  le  due  figure,  il  fumo,  maailbstazloiie 
rione  logica  del  senso  proprio  {Inf,  ym  102,  delle  doe  diverse  nature,  dà  a  quel  che  eia 
PMtrg,  V  2  ecc.).  —  109.  T«gliea  la  t%ém  serpente  il  colore  umano  e  a  quel  ohe  ei« 
ecc.  ,La  coda  del  serpente,  divisa  in  dae  nomo  il  colore  secpentino,  e  sul  primo  &  ore- 
parti,  assumeva  a  poco  a  poco  la  Agora  delle  scere  i  peli  mentre  li  fa  sparire  dal  secondo  : 
gambe  nmane,  che  veniva  meno  nell'uomo;  allora  l'uno  ti  alza  sai  piedi,  perdhó  d  pi6 
e  la  pelle  del  serpente  diventava  molle  e  li-  nomo  che  serpente,  e  l' altro  cade  disteso  % 
scia  come  l'amana,  mentre  qnella  dell'  nomo  terra,  perahA  è  "pA.  serpente  che  uomo;  ma 
diveniva  dora  e  scagliosa  come  la  serpenti-  non  cessano  di  goardarsi  fisamente,  pérohó 
na.  —  112.  Io  vidi  eco.  Le  braccia  rientra-  la  tnunatarione  non  ò  ancora  finita,  dovendo 
rono  per  le  ascelle  nel  corpo  dell'  nomo  che  tra  le  dae  figure  avvenire  lo  scarnino  dei 
diventava  serpente,  e  i  due  piedi  anteriori  vólti.  —  128.  setle  le  qnal  eco.  :  oft.  il  ▼. 
del  serpente  eh'  erano  corti  e'  allongarono  91.  —  124.  Qnel  di'  era  eoo.  H  serpente,  di- 
sino ad  avere  la  misora  di  braccia  nmane.  ventato  nomo,  ritrasse  il  moto  verso  le  tam- 

—  116.  Posela  li  pie  ecc.  I  piedi  posteriori  pie  per  aoeoroiario  e  appianarlo,  ridacendolo 
del  serpente  s' attorcigliarono  insieme  a  for-  a  viso  ornano  ;  e  della  soverchia  materia  che 
mare  il  membro  virile^  della  noova  figora  si  ritirò  indietro  si  formarono  gli  orecchi  galle 
umana,  e  il  membro  dell'uomo  si  divise  a  gote  che  prima  n'  erano  prive,  e  di  una  parte 
formare  i  piedi  posteriori  della  noova  Agora  di  quella  soverchia  materia  fermatasi  a  mezzo 
serpentina.  —  117.  due  pftrtl  :  due  piedi  di-  il  volto  si  formò  il  naso  e  s'ingrossarono  lo 
stesi,  come  convenivano  a  corpo  di  serpente:  labbra  qoanto  conveniva  a  Agora  omana.  — 
fòrti  è  dal  vb.  pcrgtre  nel  senso  di  sporgere,  127.  ciò  che  ecc.  Si  costruisca  :  ciò  che  di 
stendere.  —  118.  Mentre  ecc.  Compiata  la  qoel  soverchio   non  corse  indietro  eco.  ^- 


INPERNO  —  CANTO  XXV 


193 


Quel  ohe  gìacea  il  muso  innanzi  caccia, 
e  gli  oreccH  ritira  per  la  testa, 
1S2        come  face  le  coma  la  lumaccia; 
e  la  lingua,  che  avea  unita  e  presta 
prima  a  parlar,  si  fende,  e  la  forcuta 
185        nell'altro  si  richiude,  e  il  fummo  resta. 
L'anima,  ch'era  fiera  divenuta, 
sufolando  si  fugge  per  la  valle, 
138       e  l'altro  dietro  a  lui  parlando  sputa. 
Poscia  gli  volse  le  novelle  spalle, 
e  disse  all'altro:  cl'yo'che  Buoso  corra, 
141        com'  ho  fatt'  io,  carpon  per  questo  calle  ». 
Cosi  vid'io  la  settima  zavorra 
mutare  e  trasmutare;  e  qui  mi  scusi 
144       la  novità,  se  fior  la  penna  abhorra. 


130.  Qo«l  éh9  ffUM*  Mo.  L'uomo,  direnuto 
tnpent»,  aUimgd  il  miuo,  d  che  preodeese 
ignm  aecpentina  e  ritrasse  dentro  al  capo 
gli  oceedd.  —  182.  e«me  fftee  eoe.  come  la 
huBsca  ritira  le  corna,  qnando  ò  toccata.  Si 
noti  come  dall'  osserrnione  dei  più  semplici 
htd  natorali  Danto  sappia  trarre  materia 
d'imaginl  rivissime  ed  eflScaoi.  —  188.  •  la 
Unyaa  ecc.  finalmente  la  tranratadone  si 
ooaipie,  quando  la  lingua  di  colai  ch'era  già 
lomo  al  scinde  direntando  biforcuta,  come 
gii  antichi  credeyano  essere  quella  dei  ser- 
penti, e  quando  la  lingua  di  colui  che  prima 
era  sapente  richiudendosi  diviene  umana: 
sUora  oeasa  il  ftuno.  —  134.  si  fendei  cfr. 
Or.,  M0t.  !▼  685,  di  Oadmo  :  «  Die  quidem 
Talt  phuna  loqui  ;  sed  lingua  repente  la  par- 
tes  est  fissa  duas  ».  —  186.  L'aalma  eoo. 
L'anima  di  Buoeo  assunta  la  sembianza  ser- 
pentina fugge  fischiando,  come  è  proprio  dei 
ssrpenti;  e  qu^la  del  Oaralcanti,  che  ha 
preso  flgon  umana,  sputa  dietro  si  compa- 
gno, mentre  parlando  dimostra  la  sua  nuova 
natora.  —  187.  8«f«lando  oco.  Ov.«  Md,  iv 
686  :  «  nec  verba  volenti  Sufflciunt,  quoties- 
qne  aliquoe  parat  edere  questus  Sibilat  :  hanc 
iUi  vocem  natura  reliquit».  —  1S8.  sputa  s 
il  Torraca  molto  acutamente  spiega  l'atto 
dello  ^lutan,  che  il  Cavalcanti  U  dietro  a 
fiooso  divenuto  serpente,  come  una  specie  di 
■congiuro,  dipendente  dalla  superstiziono  che 
lo  sputo  dall'  uomo  avesse  efficacia  di  veleno 
sopra  i  serpenti:  cosi  s'intendono  assai  me- 
gdo  anche  le  paiole  da  lui  soggiunte,  rvo*  eh$ 
Bmw  ecc.,  che  accennerebbero  all'  effetto 
4aQo  scongiuro.  —  189.  Poseia  gli  volse 
see.  n  Cavalcanti,  ripresa  figura  umana,  volse 
k  tMstts  spaile,  quelle  che  recentemente  s'e- 
nao  formate  sovra  il  suo  dosso,  al  compagno 
cbe  teggiva  par  la  valle.  —  140.  Baoso  t  se- 

JUàjm 


oondo  la  testimonianza  autorevole  del  Lana 
e  di  Pietro  di  Dante,  fu  degli  Abati,  fami- 
glia di  grandi  di  parte  ghibellina,  ma  altri 
antichi,  Ott.,  Benv.,  Buti,  An.  fior,  dicono 
ch'ei  fosse  dei  Donati;  e  veramente  Buoso 
dei  Donati,  ricordato  nell'  estimo  fiorentino 
del  1268  e  nella  pace  d^  card.  Latino  del 
1280,  d  personaggio  dantesco,  perché  di  lui 
finse  il  corpo  e  la  voce  Gianni  Schicchi  dei 
Cavalcanti  Iklsandone  il  testamento  (cfr.  Bif. 
zxx  82)  :  ma  era  facile  la  confusione  tra  due 
Buod,  l'Abati  che  si  tramuta  col  Cavalcanti 
nella  bolgia  dei  ladri,  e  il  Donati  che  da  un 
altro  Cavalcanti  fu  falsato  ;  nò  sarebbe  na- 
turale che  Dante  introducesse  qui  due  della 
stessa  famiglia  (dei  Donata  ò  Cianfa,  cfr. 
V.  48).  L' An.  fior,  aggiunga  (he  Buoso  «  et 
in  ufficio  et  altrove,  avendo  fatto  dell'  altrui 
suo,  non  possendo  pili  adoperare,  e  forse  com- 
piuto l' ufficio,  mlsse  in  suo  luogo  (non  però 
che  coli'  animo  non  fosse  sempre  bene  dispo- 
sto, ma  come  d  detto  non  toccando  più  a  lui) 
misse  in  suo  hiogo  messer  Francesco  chi»* 
mate  Guercio  de'  Cavalcanti  >.  —  all'  al- 
tro :  a  Pucdo  Sciancato  (v.  148).  ~  141.  ear- 
poB  ecc.  strisciando  come  serpente;  Bambagl.: 
<  earpone  in  fiorentina  lingua  importat  quan- 
tum est  dicere  ire  brancolone,  idest  cum  ma- 
nibus  et  pedibua  per  terram  sioot  pergunt 
bestiae  >:  cfr.  Inf,  zzn  68-69.  —  142.  la 
setUma  savorra  eco.  i  dannati  della  set> 
tima  bolgia,  i  quali  si  mutavano,  come  Vanni 
Faod  e  Agnello  e  Cianfa,  o  si  trasmutavano, 
come  l'Abati  e  il  (Cavalcanti  :  xasorra,  cha 
è  propriamente  l' arena,  la  ghiaia  o  altra  ma- 
teria messa  nel  fondo  della  nave  per  rego* 
lame  l'immersione,  è  tratta  qui  a  significare, 
dice  il  Lomb.,  <  la  genia  o  feccia  d' uomini 
posta  in  fondo  della  settima  bolgia  >.  —  144. 
se  fior  la  penna  abbonai  è  luogo  varia- 
la 


194 


DIVINA  COMMEDIA 


1 


147 


151 


Ed  avvegna  che  gli  occhi  miei  confusi 
fossero  alquanto  e  Tanimo  smagato, 
non  poter  quei  fuggirsi  tanto  chiusi 

ch'io  non  scorgessi  ben  Puccio  Sciancato; 
ed  era  quel  che  sol,  dei  tre  compagni 
che  venner  prima,  non  era  mutato: 

l'altro  era  quel  che  tu,  Gaville,  piagni 


mente  spiegato,  sol  quale  molto  disputarono 
gì' interpetri.  Oli  antichi  intesero  tatti  ohe 
Dante  volesse  scasarsi  di  non  arer  saputo 
adegaatamente  descrivere  la  novissima  tra- 
mutazione  :  infatti  il  Lana  spiega  il  vb.  ab- 
bona per  «  aciabatta  >  ;  Benv.  chiosa  :  «  si 
stilos  oberrat  in  aliquo  modico  »  ;  Buti  :  e  se 
alquanto  lo  scrìver  rolo  e  il  modo  del  dire 
acdabatta  e  non  dice  cosi  ordinato  come  al- 
trove né  cosi  a  punto  »  ;  e  T  An.  fior.:  «  se 
io  non  ho  detto  il  fatto  pienamente  et  non 
ho  i'  effetto  vestito  bene  ooUe  parole  come  si 
conviene  ».  I  moderni  invece  videro  in  que- 
ste parole  una  scusa  della  prolissità  delle  de- 
scrizioni,  essendosi  Dante  fermato  sulle  mi- 
nuzie  ;  e  presero  il  vb.  abborrare  o  in  signi- 
ficato di  trrare,  traviare  come  Yent.,  Lomb., 
Biag.,  Blano.  ecc.,  oppure  in  quello  di  mot- 
t&r  bórrOf  metter  superflue  parole,  ecc.,  come 
lo  Scart.  :  ma  la  testimonianza  degli  antichi, 
in  questione  di  parole,  pare  di  maggior  peso, 
tanto  più  che  in  oMorrore,  da  òorra,  il  senso 
di  abborracciare,  acciabattare  ecc.  ò  confer- 
mato dall'  analogia  con  altre  lingue  (cfr.  bour- 
rw,  spagn.  barrar:  cft.  Dioz  60)  e  Dante  si 
vuole  qui  scusare,  non  tanto  della  minutezza 
della  descrizione,  quanto  dell'aver  dovuto 
per  necossità  della  materia  usare  modi  e  co- 
strutti non  eleganti  o  chiaii,  né  sempre  con- 
formi a  retorica.  «  Questa  spiegazione  è  la 
■ola  che  ci  dia  pienamente  ragione  del  verbo 
dantesco  e  del  suo  significato,  •  che  non  ci 
costringa  a  ricorrere  a  pazze  etimologie  »  ; 
Parodi,  Bull,  m  140.  —  fior:  alquanto;  aw. 
di  quantità,  sul  quale  cfr.  JVy.  m  136.  — 
146.  e  raaimo  sMagatot  e  l'animo  tmanìto, 
»  :  il  vb.  mnagare  (ft.  Mmoifr,  prov. 


emtagar:  ofir.  Diez  296)  significa  propriir 
mente  disanimarsi,  perder  le  forze  dell'animo, 
e  Dante  l'usa  non  di  rado  a  esprimer  l'idea 
di  una  condizione  d' animo  divena  dalla  nor- 
male (cfr.  Purg,  z  106,  zzvn  104,  Par,  m 
86,  V,  N,  xn  86,  zziu  188  eoe).  —  147.  mon 
potei  eco.  i  duo  ch'erano  rimasti  non  fug» 
girono  occultandosi  cosi  eoo.  —  148.  Pseelo 
Selaneaio  :  questo  fiorentino,  che  dei  tre  com- 
pagni venuti  prima  (cfr.  v.  86)  era  il  solo 
che  non  fosse  andato  soggetto  ad  aloana  me- 
tamorfosi, tu  Puccio  dei  Oaligai,  famiglia  di 
grandi  di  parte  ghibellina,  che  forse  era  ■<>- 
prannominato  b  toianeato  per  difetto  fisico  : 
di  lui  e  dei  suoi  atti  nulla  ci  dicono  i  com- 
mentatori antichi  ;  ma  sappiamo  che  nel  1268 
tu  bandito  coi  figli  e  nell'  80  giurò  la  pace 
coi  guelfi  (DelixU  degli  muL  YJR  218,  IX 
92).  —  161.  raltro  ecc.  QueUo  che  di  sexw 
pente  era  divenuto  uomo  iti  meeser  Franoe- 
sco  dei  Cavalcanti  :  del  quale  dioe  l'An.  fior. 
«  che  fti  morto  da  certi  uomini  da  Gaville, 
ch'ò  una  villa  nel  Val  d'Amo  di  sopra  nel 
contado  di  Firenze  ;  per  la  qual  morte  i  oon- 
sorti  di  messer  Francesco  molti  di  quelli  da 
Oaville  uccisone  e  disfeciono  ;  et  però  dice 
r  autore  che  per  lui  quella  villa  ancor  ne 
piagne  et  per  le  accuse  et  testimonianze  et 
oondennagioni  et  uccisioni  di  loro,  che  per 
quella  cagione  ne  seguitarono,  ohe  bene  pian- 
gono ancora  la  morte  di  meeser  Francesco  ». 
—  Clavllle  t  piccolo  castello  nel  Val  d'Amo 
superiore,  non  lungi  da  Fif^e  {Par,  zvx  60X 
stato  sino  dal  secolo  zn  della  ft^"ì%^^«^  liber- 
tini, la  quale  ai  tempi  di  Dante  volgeva  a 
rovina,  essendo  stata  trascinata  nelle  lotte 
tra  i  Bianchi  e  i  Neri  (Bepetti,  H  418  e  segg.). 


CANTO  XXVI 


Risalendo  i  dne  poeti  dair argine  al  ponte,  pervengono  sali*  ottava  bol- 
gia e  nel  fondo  di  essa  vedono  infinite  fiammelle,  ciascuna  delle  quali  av- 
volge e  nasconde  l'anima  di  un  consigliere  fraudolento  :  tra  questi  dannati 
sono,  chiusi  dentro  alla  stessa  fiamma,  Diomede  e  Ulisse,  che  racconta  il 
viaggio  nei  quale  mori  [9  aprile,  circa  il  mezzodì]. 


INPERNO  -  CANTO  XXVI 


19B 


Godi,  Fiorenza,  poi  ohe  se*  si  grande 
ohe  per  mare  e  per  terra  batti  Pali 

8  e  per  lo  inferno  tuo  nome  si  spande! 
Tra  li  ladron  trovai  cinque  cotali 

tuoi  cittadini,  onde  mi  vien  vergogna, 
6        e  tu  in  grande  onranza  non  ne  sali. 
Ma  se  presso  al  mattin  del  ver  si  sogna, 
tu  sentirai  di  qua  da  piociol  tempo 

9  di  quel  che  Prato,  non  ch'altri,  t'agogna. 
£  se  già  fosse,  non  saria  per  tempo; 

cosi  foss'ei  da  che  pare  esser  dèe! 
12        che  più  mi  graverà,  com'  più  m' attempo. 


XXVI  1.  €l«41y  Fiorensft  eoe.  Come  U 
vista  di  Yanoi  Food  hA  ispirato  a  Danto  la 
ftttto  inTettiva  oontio  Pistoia  (^/.  xzv  10- 
U),  cod  l'incontro  ooi  cinque  snol  oondt- 
talini  ^  trae  aolla  bocca  parole  di  amari»- 
nma  ironia  contro  Firenze,  e  il  canto  inco- 
■incia  con  una  mossa  lirica,  che  trova  poi 
no  compimento  nella  funosa  apostrofe  del 
iVf.  'VI  127-161.  È  degno  di  nota  ohe  nn 
Mcolo  di  poi  i  fiorentini  Tittoriosi  per  l' ac- 
qfsisto  di  nsa  ricantassero  a  loro  ^oria  i 
Titapail  di  Danto  :  «  Oodi,  Firenze,  po'  che 
ss'  si  grande  Che  batti  l' ale  per  terr*  e  per 
■sr»  Facendo  ogni  toscan  di  to  tremare  !  »  : 
cfr.  O.  C^axdnoci,  Studi  leUtrarif  livomo, 
1874,  p.  446.  —  4.  elnqiM  eotall  ecc.  cinque 
iorentini  di  ood  grandi  casato;  cfr,  ^f,  zxv 
40.  —  5.  emde  mi  rien  ecc.  :  cfr.  Con»,  tv 
37:  €  Oh  misera,  misera  patria  mia  I  quanto 
pietà  mi  strigne  per  to,  qnal  Tolto  leggo, 
fasi  ToHa  acrìTO  cosa  che  a  reggimento  ci- 
▼ile  abbia  rispetto  1  »  :  ma  il  grido  dell'esule 
grandissimo  muovo  nel  poema  dal  pensiero 
dalla  oorrozione  morale,  prima  favilla  deUa 
«otruzione  politica  dei  suoi  concittadini.  — 
7.  Xa  se  presse  ecc.  Eia  credenza  degli  an- 
ttèU  die  1  sogni  fatti  nelle  ore  pi6  vldne  al 
Slattino  fossero  pid  veritieri;  cosi  Ovidio, 
tr,  zxz  195  dice  :  «  Namque  sub  auroram 
lam  doxmitanto  lucerna  Somnia  quo  cerni 
tempore  vera  solent  >  (cfr.  Moore,  I  217),  e 
Onsio,  8aL  1 10,  88  :  e  post  mediam  noctom 
vbos  com  somnia  vera  »  :  Danto  stosso  noi 
ISmg.  IX  16  dice  che  al  mattino  «  la  mento 
■ostia  peregrina  Più  dalla  carne  e  men  dai 
pensior  presa  Alle  sue  vision  quasi  ò  divì- 
sa». ~  8.  tv  sentirai  ecc.  proverai  presto 
i  trttitfimi  effetti  della  immoralità  dei  tuoi 
cittadini,  cagione  prima  delle  tue  discordie  o 
del  dlsonìine  politico,  sperimenterai  quei  mali 
che  i  tuoi  nraùd  ti  augurano.  —  9.  Prato  : 
k  menzione  di  Prato,  più  tosto  che  d' alcu* 
a'  sltia  delle  città  toscane  nemiche  a  Firenze, 
li  può  spiegare  (cfr.  Bassermann,  p.  610) 
sol  ricordo  del  rardinale  Hiooolò  da  Prato, 


ohe,  mandato  nel  1904  dal  pontefice  a  pacifi- 
care i  fiorentini  e  non  essendo  riuscito  a 
conseguire  l' intonto,  abbandonò  sdegnato  la 
città,  dicendo  (O. '^IL,  Or.  vni  69):  «Da 
poi  che  voleto  essere  in  guerra  e  in  maladi- 
zione  e  non  voleto  udire  né  ubbidire  il  messo 
del  Vicario  di  Dio,  né  avere  riposo  né  paco 
tra  voi,  rimaneto  colla  maledizione  di  Dio  e 
con  quella  di  Santo  Chiesa».  Altri  spiegano 
altrimenti  :  cosi  POtt.  :  €  Favella  qui  l'autore 
secondo  un  motto,  ohe  dice  che  l'uno  vicino 
vorrebbe  vedere  cieco  l'altro:  quelli  della 
terra  di  Prato,  che  sono  presso  alla  città  di 
Firenze  dieci  miglia,  per  volere  essere  più 
ringhiosi  che  non  ò  la  loro  forza,  hanno  più 
volto  avuto  della  forza  de'  fiorentini,  siccome 
dai  maggiori  e  più  poderosi  si  hanno  le  vi- 
cine oittadi  >  :  Benv.  e  An.  fior,  credono  che 
si  alluda  invece  alla  cacciato  dei  Bianchi,  al- 
l'incendio  della  città  nel  giugno  nel  1904  e 
a  simili  altri  fatti  dolorosi  per  i  fiorentini. 
—  10.  E  so  già  fosse  ecc.  :  se  questo  sven- 
ture f  avessero  già  colpita,  non  sarebbero 
venuto  troppo  presto  :  cfr.  ^.  n  80.  —  11. 
cosi  foss'  et  eco.  :  glustamento  noto  il  Land, 
che  «  mostrasi  l' autore  desideroso  di  questo 
male,  non  per  mina  della  patria,  la  quale 
gli  era  carissima,  ma  per  punizion  dei  cattivi 
cittadini  che  iniquamento  l'amministravano; 
e  però  desidera  che  sia  presto,  acciò  che 
siano  puniti  quelli  che  hanno  errato  ».  — 12. 
che  pid  mi  ecc.  Forte  d  la  questione  che 
s' agito  su  questo  verso,  poiché  esso  si  presto 
a  due  intorpretazioni  del  totto  opposto;  il 
Torelli  chiede  :  «  Che  vuol  dire  ?  che  quanto 
più  invecchio,  tanto  più  mi  saranno  gravi  Io 
disgrazie  di  Firenze  ?  oppure  che  quanto  più 
invecchio,  tanto  mi  graverà  più  che  cotali 
disgrazie  non  accadano?».  Oli  antichi  ton- 
nero  più  tosto  per  la  seconda  intorpretozione, 
parìando  di  vendetto  che  l'esule  invocava 
contro  la  patria  (Lana,  Benv.,  Buti)  oppure 
di  desiderio  d'esser  esiliato  prima  d'invec- 
chiare (Ott.,  An.  fior.):  i  moderni  inclinano 
invece  ad  un'  altra  spiegazione  cosi  riassunta 


196 


DIVINA  COMMEDIA 


Noi  ci  partimmo,  e  su  per  le  scalee, 
che  n'avean  fatte  i  borni  a  scender  pria, 
15        rimontò  il  duca  mio,  e  trasse  mée; 
e  proseguendo  la  solinga  via 
tra  le  schegge  e  tra*  rocchi  dello  scoglio, 
18        lo  pie  senza  la  man  non  si  spedia. 
Allor  mi  dolsi,  ed  ora  mi  ridoglio, 
quand'io  drizzo  la  mente  a  ciò  ch'io  vidi; 
21        e  più  lo  ingegno  afifreno  ch'io  non  soglio, 
perché  non  corra,  che  virtù  no  '1  guidi, 
si  che  se  stella  buona  o  miglior  cosa 
24        m'ha  dato  il  ben,  ch'i'  stesso  no  '1  m'invidi. 
Quante  il  villan,  ch'ai  poggio  si  riposa, 


dal  Bianchi  :  «  Essendo  fatale  che  queetii  mali 
della  mia  patria  accadano,  fossero  por  essi 
accaduti  già  ;  perciocché,  se  ritardano,  io  ne 
avrò  alfannc^  tanto  più  grave,  quanto  pili  sarò 
presso  alla  vecchiezza,  a  cui  le  disavventure 
sono  assai  più  lamentabili  ed  angosciose  ». 
—  13.  Noi  el  partlmMO  eco.  Si  ricordi  ohe 
Dante  e  Virgilio  per  veder  meglio  nel  fondo 
della  settima  bolgia  erano  discesi  dal  ponte 
suU'  argine  (^i/l  zziv  78,  79)  :  ora  risalgono 
por  quelle  scalee  naturali  che  avevano  pre- 
sentate loro  al  discendere  1  massi  sporgenti 
dello  scoglio  (ponticello).  —  14.  borni  :  il 
nome  òomto,  del  quale  altri  esempi  non  si 
trovano  negli  antichi,  pare  da  riawicinaro 
al  fr.  bomSj  piotra  sporgente  agli  angoli  d*un 
edificio  (Diez  628),  e  non  può  significare  altro 
che  le  schegge  e  i  roeeht  dello  scoglio  (cft*. 
V.  17).  I  commentatori  antichi,  incontrando 
ootesta  parola  ignota,  si  sbizzarrirono  a  dar 
le  più  strane  spì^^ioni  ;  quasi  tuttì  tennero 
i  borni  o  ibortU  per  un  aggettivo  (Lana  : 
«  fteddi  e  stanchi  >  ;  Benv.  :  e  ablucinatos  »  ; 
An.  fior.  :  <  gombi  e  chinati,  come  chi  va  a 
tentone»)  riferendolo  ai  due  poeti,  e  l'Ott 
spiegò  i  borni  per  i  ladri,  a  cagione  dei  qnaU 
Dante  e  Virgilio  erano  discesi  :  cfr.  P.  Vlani, 
Lettere  fUoìogiehe  e  oritiohef  Bologna,  1874, 
pp.  312-880.  — 16.  miti  me;  ò  l'epìtesi  pro- 
pria dei  dialetti  toscani,  di  cui  Dante,  per 
necessità  delia  rima,  si  valse  anche  con  altri 
monosillabi;  cb,  Parodi,  BuU,  JH  116.  — 
18.  lo  pie  ecc.  :  cfr.  Purg.  rv  88.  —  19.  Al- 
lor mi  dolsi  ecc.  Prima  di  descrìvere  la  oon- 
dizione  doi  peccatori  della  bolgia  ottava,  che 
è  quella  dei  consiglieri  firaudolenti,  manifesta 
il  dolore  eh*  egli  ebbe  pensando  che  tali  uo- 
mini posero  nel  mal  fare  quella  perspicacia  del- 
l'ingegno  che  avrebbero  dovuto  rivolgere  a 
nobili  fini,  e  rinnova  il  proponimento  di  fre- 
nare più  efficacemente  il  proprio  ingoio,  si 
che  non  esplichi  la  sua  potenza  all'  infuori 


della  virtù.  U  D*  Ovidio,  p.  89,  nota  acuta- 
mente che  il  poeta  ebbe  una  ragione  perso- 
nale di  far  questa  dichiarazione:  <  Dante 
nell'esilio  diventò  un  uomo  di  corte,  un  ne- 
goziatore politico  ;  e  il  consigliar  ttxìàì  e  or- 
dire inganni  sarebbe  potuto  divenire  per  Ini 
un  peccato  professionale,  un  vizio  del  me- 
stiere. Gli  premeva  quindi,  per  ooeoienza  e 
por  un  fine  pratico,  di  dichiarar  solenne- 
mente a  sé  e  agli  altri  che  egli,  pur  procu- 
rando d' esser  destro,  si  sarebbe  ben  guar- 
dato dal  tal  che  la  sua  destrezza  degenerasse 
mai  in  astuzia  maliziosa  ».  —  21.  ek'  lo  non 
soglio  ;  eh'  io  non  fossi  solito  di  fare  per  l'ad- 
dietro;  cfr.  Inf,  xxvn  48.  •  22.  tht  rlvté 
no  '1  gnidi  :  senza  la  guida  della  virtù,  faorì 
della  via  della  rettitudine.  —  28.  stella  bwoaa 
o  migli nr  cosa:  la  favorevole  influenza  de- 
gli astri  (cfr.  Inf.  zv  66,  Par,  zni  113)  o 
la  grazia  di  Dio.  —  24.  eh'  1*  stesso  eoo. 
non  me  lo  tolga  io  stesso,  non  me  ne  priTi 
io  stesso  col  miei  trascorsi  :  il  Moore,  I  82 
richiama  qui  il  passo  dell'  EeoleeiastieOf  xrw 
6:  <  Qui  sibi  invidet  nihil  est  eo  nequlos  ». 
Si  noti  anche  la  ripetizione  del  che  {si  ehsy 
te  ....,  eh*  i'  stesso  ecc.),  lenente  nella  sin- 
tassi antica,  quando  s'interponga  una  pro- 
posirione  subordinata.  —  26.  (^ante  eoe 
Quante  sono  le  lucciole  che  durante  le  notti 
estive  il  contadino  dall'  alto  della  ooUina,  ovb 
ha  il  suo  abituro,  vede  giù  nel  piano,  in  coi 
ha  i  campi  arati  e  le  vigne;  altrettante  erano 
le  fiamme  sparse  per  il  fondo  delT  ottava  bol- 
gia. —  ch'ai  poggio  si  riposa:  Dante  no- 
tando questo  particolare,  oltre  a  indicare  la 
casa  del  contadino  che  per  lo  più  sorge  in 
luogo  elevato  per  dominare  tutto  il  podere, 
la  mette  in  rapporto  con  la  vallea  o  terreno 
piano  ove  gli  agricoltori  lavorano  yendem- 
miando  e  arando  :  si  che  ne  viene  un  Iwove 
e  fedele  quadretto  campestre,  nel  quale  dal* 
r  una  porte  vediamo  la  casa  o  il  riposo  della 


INFERNO  —  CANTO  XXVI 


197 


nel  tempo  che  colui  che  il  mondo  schiara 
27        la  faccia  sua  a  noi  tien  meno  ascosa, 
come  la  mosca  cede  alla  zanzara, 
vede  lucciole  giù  per  la  vallea, 
80       forse  colà  dove  vendemmia  ed  ara; 
di  tante  fiamme  tutta  risplendea 
Tettava  bolgia,  si  compio  m'accorsi, 
83       tosto  che  fui  là  've  il  fondo  parca. 
E  qual  colui  che  si  vengiò  con  gli  orsi 
vide  il  carro  d'Elia  al  dipartire, 
86        quando  i  cavalli  al  cielo  erti  levdrsi, 
che  no  '1  potea  si  con  gli  occhi  seguire 
ch'ei  vedesse  altro  che  la  fiamma  sola, 
89        si  come  nuvoletta,  in  su  salire; 
tal  si  movea  ciascuna  per  la  gola 
del  fosso,  chó  nessuna  mostra  il  furto, 
42        ed  ogni  fiamma  un  peccatore  invola. 
Io  stava  sopra  il  ponte  a  veder  surto, 
si  che,  s'io  non  avessi  un  ronchion  preso, 
45       caduto  sarei  giù  senza  esser  urto; 
e  il  duca,  che  mi  vide  tanto  atteso, 
disse  :  €  Dentro  dai  fochi  son  gli  spirti  ; 


■otte,  dall*  altra  il  campo  e  V  operosità  del 
gùuiio.  —  26.  mei  tempo  ecc.  nell'ettate, 
qoaado  i  giorni  soyerchiano  le  notti.  —  28. 
ttmè  la  moaea  eoe  allorché  alle  moeche  rac- 
cedoQo  le  zanzare,  ciod  alla  sera.  —  81.  41 
tnic  fa»a«  ecc.  Virgilio,  En,  zi  207,  delle 
pile  risplendenti  nel  campo  latino .  €  Oaete- 
n,  oonftuaeqne  ingentem  caedla  acermm, 
Neo  numero  nec  honore  cremant;  tono  im- 
liqae  Tasti  Certatim  crebria  oonlncent  igni- 
bas  agri  ».  —  88.  là  *Te  U  fondo  ecc.  là 
ore  apparivB  il  fondo  della  bolgia,  doò  sul 
colmine  del  ponte  onde  la  bolgia  si  vedeva 
in  tutta  1»  sua  larghezza.  —  84.  E  qnal  co- 
lai eoe  Raccontano  i  libri  biblici  {IV  Ré' 
n  11-12,  23-24)  che,  mentre  il  profeta  Ella 
e  il  soo  discepolo  Eliseo  camminavano  por 
«aa  via,  apparve  on  carro  di  faooo  trasci- 
nato da  igniei  cavalli,  sol  quale  Elia  fa  ra- 
pto  al  cielo,  rimanendo  il  discepolo  estatico 
a  goatdare  la  massa  di  faoco  che  saliva  senza 
poter  distingiiere  il  maestro  ;  e  ohe  poi  es- 
Beado  stato  Eliseo  beffeggiato  da  una  torba 
a  fandoUi  e^  li  maledisse  e  due  orsi  sba- 
oado  da  im  bosco  vidno  sbranarono  qoa- 
xaatadoe  dei  malcapitati  :  Dante  donqae  dice 
che  le  fiamme  dell*  ottava  bolgia  nasconde- 
vaao  ai  suoi  occhi  i  peccatori,  come  il  carro 
di  foooo  già  impedi  ad  Eliseo  la  vista  di 
Elia  rapito  al  cielo.  —  si  veMgiò  con  gU 
erti  :  fa  vendicato  con  la  strago  che  gli  orsi 


fecero  dei  Cuicinlli  insolenti  :  sol  vb.  vtngiart 
cfr.  Par.  vn  6L  —  87.  che  bo  »1  petea  ecc. 
JEUcorda  la  visione  della  V.  N,  xaa  86  :  «  Io 
imaginava  di  guardare  verso  io  cielo,  e  pa- 
reami  vedere  moltitadine  d'angeli,  li  quali 
tornassero  in  anso,  ed  aveano  dinanri  da  loro 
una  neboletta  bianchissima  >  e  168  :  <  Le- 
vava gli  occhi  miei  bagnati  in  pianti  E  ve- 
dea  (che  parean  pioggia  di  manna)  Li  angeli 
che  tomavan  snso  in  cielo  Ed  una  navoletta 
avean  davanti  eco.  ».  —  40.  tal  si  movea 
ecc.  cosi  si  movevano  nello  stretto  spazio 
della  bolgia  le  fiamme,  ciascuna  delle  quali 
nascondeva  alla  nostra  vista  l' anima  di  un 
peccatore.  —  41.  il  ftirto  :  l' anima  rapita, 
sottratta  allo  sguardo  altrui  dalla  fiamma,  dal 
foco  furo  ilnf,  xxvu  127).  —  43.  Io  stara 
ecc.  Dante  non  camminava  più  carpone  (v.  18), 
ma  s' era  fermato  sul  punto  culminante  dello 
scoglio  protendendosi  tanto  in  fuori  a  guar- 
dare nella  bolgia,  che  se  non  si  fosso  affer- 
rato a  un  sasso  sporgente  avrebbe  corso  pe- 
ricolo di  precipitar  giù  senz'  essere  sospinto  . 
da  alcun  urto,  ma  solamente  per  la  grande 
curiosità.  —  45.  urto  ;  urtato  ;  agg.  verbale 
del  vb.  urtare  (cfr.  Parodi,  BulL  m  132).  — 
47.  Dentro  dai  fochi  ecc.  Dante  aveva  già 
imaginato  ciò  che  Virgilio  gli  conferma  con 
autorevole  parola:  e  non  o'ò  veramente  ri- 
petizione di  pensiero,  perché  il  discepolo  non 
poteva  ossero  certo  del  fatto  prima  che  il 


198 


DIVINA  COMMEDIA 


48        ciascun  si  fascia  di  quel  ch'egli  è  iaceso 
€  Maesti'O  mio,  rispos*  io,  per  udirti 
son  io  più  certo;  ma  già  m*era  ayyido 
61        clie  cosi  fosse,  e  già  voleva  dirti: 
*  Chi  è  in  quel  foco,  che  vien  si  diviso 
di  sopra,  che  par  surger  della  pira, 
54        dov'Eteòcle  col  fratel  fu  miso?  •  > 
Eisposemi  :  €  Là  entro  si  martira 
Ulisse  e  Diomede,  e  cosi  insieme 
57     \alla  vendetta  vapno  com*  all' ira; 
e  dentro  dalla  lor  fiamma  si  geme 
l' aguato  del  cavai»  che  fé'  la  porta 
60        ond'usci  de' romani  il  gentil  seme: 
piangevisi  entro  l'arte,  per  che  morta 
Deidamia  ancor  si  duol  d'Achille, 
G3       e  del  Palladio  pena  vi  si  porta  >. 
€  S' ei  posson  dentro  da  quelle  faville 
parlar,  diss'io,  maestro,  assai  ten  prego, 
66        e  riprego  che  il  prego  vaglia  mille, 
che  non  mi  facci  dell'attender  niego, 
fin  che  la  fiamma  cornuta  qua  vegna: 


maestro  glielo  avesse  manifestato.  —  52.  Chi 
è  In  Quel  foeo  eco.  Tatto  le  fiamme,  na- 
scondendo  un  solo  peccatore,  gaizzavano  in 
alto  andando  a  finire  in  un'unica  punta  (cfir. 
Inf.  xxvn  6)  :  una  sola  appariva  divisa  al- 
l' estremità  superiore  in  due  punto  di  diffe- 
rente grandezza  (ctt,  v.  86);  e  perd  Danto, 
curioso  di  oonoscore  la  ragione  di  cotale  sin- 
golarità, aveva  già  pensato  di  chiedere  a  Vir- 
gilio chi  fosse  dentro  a  quella  fiamma.  — 
53.  che  par  sorger  ecc.  Stazio,  TAefr.  xn 
420  e  sogg.,  racconta  che  allorquando  Eteo- 
cle  e  Polinice,  la  doppia  tristixia  di  Gtooor 
»ta  (Purg.  xxu  56),  dopo  essersi  uccisi  l'un 
V  altro,  furono  posti  a  bruciare  sul  medesimo 
rogo,  la  fiamma  che  ne  sorse,  quasi  a  dimo- 
strazione dell'  odio  fraterno,  si  divise  in  due  : 
e  Ecce  iterum  fratres  :  primos  ut  contìgit  ar- 
tus  Ignis  edax,  tremuere  rogi,  et  novus  ad- 
vona  bustis  Pellitur  *,'exundant  diviso  vertice 
flammao,  Altemosque  apices  abrupta  luce  co- 
ruscant  ».  Prima  di  Dante  aveva  tratto  da 
•quosto  particolare  una  comparazione,  parlando 
del  fuoco  di  Vesta,  Lucano,  Fara,  i  651  : 
<  Scinditur  in  paries,  geminoque  cacumine 
surgit,  Thebanos  imitata  r(^s  ».  —  56.  Ulisse 
e  Diomede:  i  due  notissimi  eroi  dei  poemi 
omerici,  l'uno  astutissimo  e  l'altro  fortissi- 
mo, si  trovarono  uniti  durante  la  guerra 
troiana  in  parecchie  impreso,  noUo  quali  con- 
giunsero la  violenza  alla  frode,  come  noli' ag- 


guato e  uoddone  di  Beoo  (Virg.,  JRi.  i  469 
e  segg.)  e  nel  rapimento  del  Palladio  (Yixsr., 
£!n.  n  162  e  sogg.)  :  perdo  Dante  imagina 
di  trovarli  avvolti  dalla  medesima  ftim*^,! 

—  lisleme  eco.  sono  congiunti  nell'  etaxno 
tormento  come  furono  uniti  nel  fare  il  male. 

—  58.  e  demtro  eco.  Enumera  gli  atti  fìraa- 
dolenti  per  i  quali  Ulisse  e  Diomede  sono 
puniti  in  questa  bolgia;  e  prima  ricorda  l'in- 
sidia del  cavallo  di  I^no  per  mezzo  del  qoaie 
i  greci  entrarono  nella  città  di  Troia  (Virg^., 
JS>».  u  18  e  segg.).  —  59.  ft'  la  porta  eoe 
aprì  ai  greci  quell'  adito ,  donde  poi  osci 
Enea,  progenitore  dei  romani.  —  61.  plam. 
gevisi  entro  eco.  Altra  fh>de  di  Ulisse  e 
Diomede  fU  quella  d' aver  indótto  con  le  loro 
ragioni  Achille  a  prender  parto  alla  guerra 
contro  Troia,  abbandonando  la  moglie  Doì- 
damfa,  la  quale  ne  mori  di  dolore  (cJV.  Sta- 
zio, AchiU,  I  587  e  segg.).  —  83.  e  del  P»!. 
ladlo  ecc.  Allude  al  rapimento  compiuto  con 
inganno  da  Ulisse  e  Diomede  del  Palladio  di 
Troia,  statua  di  Pallade,  della  quale  aveva 
predetto  l' oracolo  che  portandola  f^ri  della 
città  ne  sarebbe  venuto  grave  nocumento  ai 
troiani  (cfr.  la  nota  al  v.  56).  —  65.  assai 
ten  prego  occ  te  ne  fhcoio  cosi  calda  pie- 
ghiera  che  valga  por  mille  :  cAr.  la  nota  al- 
l' Inf,  I  86.  —  67.  ohe  noi  mi  eoo.  che  tu 
non  mi  neghi  d'aspettar  tanto  ohe  quella 
fiamma  dallo  due  punte  sia  giunta  sotto  di 


INFERNO  -  CANTO  XXVI 


199 


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84 


vedi  che  del  desio  ydr  lei  mi  piego  ». 

Ed  egli  a  me:  €  La  tua  preghiera  è  degna 
di  molta  loda,  ed  io  però  l'accetto; 
ma  fa  che  la  tua  lingua  si  sostegna. 

Lascia  parlare  a  me,  eh*  io  ho  concetto 
ciò  che  tu  vuoi;  ch*ei  sarebbero  schivi, 
perché  fui  greci,  forse  del  tuo  detto  >. 

Poi  ohe  la  £i^mma  fu  venuta  quivi, 
dove  parve  al  mio  duca  tempo  e  loco, 
in  questa  forma  lui  parlare  audivi: 

€  O  voi,  che  siete  due  dentro  ad  un  foco, 
s'io  meritai  di  voi  mentre  ch'io  vissi, 
s'io  meritai  di  voi  assai  o  poco, 

quando  nel  mondo  gli  alti  versi  scrissi, 
non  vi  movete;  ma  l'un  di  voi  dica 
dove  per  lui  perduto  a  morir  gissi  >. 

Lo  maggior  corno  della  fiamma  antica 
cominciò  a  crollarsi  mormorando, 


noi,  —  69.  T«il  eoo.  :  ctr,  la  nota  al  ▼.  48. 

—  70.  Iji  taa  preghltra  eco.  Yiigìlio  ri- 
pete con  altre  parole  dò  che  ha  detto  a 
Dute  sol  pont»  deUa  bolgia  precedente  {^f, 
zznr  76  e  sagg.).  —  72.  ma  fa  eoo.  :  ta  sa- 
ni compiaointo,  ma  oonriene  ohe  ti  astenga 
dal  pailue.  —  78.  lo  àa  eaneetta  eco.  io 
ho  gìA  imocinato  ciò  che  ta  vuoi  sapere  :  cfr. 
itf,  zxm  26  e  legg.  —  74.  el  sarebbera 
eoo.  poiché  ftirono  dei  principali  eroi  della 
Oieda  antica,  sarebbero  forse  alieni  dal  con- 
rmtMXB  con  te,  che  sei  nomo  d'altra  civiltà 
e  a  loro  ignoto.  Perohé  poi  Ulisse  e  Diomede 
dovessero  essere  aehki  del  detto  di  Dante  non 
tatti  intendono  a  un  modo  :  meglio  di  tatti 
gì'  interpreti,  il  Lana  chiosa  :  «  Elli  Girono 
pSEsome  di  grande  stato  nel  mondo  ;  forse  che 
dispreggerebbono  te,  però  che  mai  non  eb- 
bono  ragiona  alcuna  di  esserti  domestici  ;  ma 
io  ohe  Sdissi  nel  mio  volarne  di  loro,  meritai 
per  anello  soa  amistade».  H  Bati  invece 
dios  che  «  qaesto  finge  l' autore  per  far  ve- 
niifflile  lo  sao  poema,  ohe  a  quelle  persone 
^  non  sono  state  di  suo  tempo  sempre  finge 
che  per  altrui  che  per  lui  si  parli  »  ;  e  Ott., 
Benv.,  An,  fior.,  Dan.,  Veli,  accennano  che 
Virgilio  conoscendo  la  lingua  greca  era  me- 
glio di  Dante  in  grado  di  parlare  ai  due  eroi. 

—  76.  fn  veavta  ecc.  fa  pervenuta  cosi  vi- 
cina al  ponte  ohe  a  Virgilio  parve  tempo  e 
laogo  opportuno  per  parlare.  —  79.  0  voi 
•ce:  cfr.  ▼.  66.  —  80.  s'io  meritai  ecc. 
so  io  mi  acquistai  vivendo  qualche  merito 
pfesM  di  Tol,  dei  quali  scrissi  nel  mio  poema. 
Dsnte  allarga  il  rirgiliano,  Eh.  iv  817  :  e  Si 
bene  qaid  de  te  menù,  fUit  aat  tibi  qaid- 


quam  Duloe  meum  >.  ~  82.  gli  alti  versi: 
queUi  déù*  Eneide^  che  neU'/n/:  zz  113  Vir- 
gilio chiama  l'alto  tragedia,  —  83.  Fun  di 
voi  eco.  Ulisse  mi  dica  dove  andò  a  finire 
la  vita.  Nel  poema  omerico  dell'  Odietea  non 
si  racconta  quale  fosse  la  fine  dell'  eroe  ;  ma 
una  tradizione,  raccolta  giÀ  da  Plinio  e  da 
Solino,  racconta  ohe  egli  con  alcuni  audaci 
compagni  tentò  un  viaggio  per  l'Oceano  Atlan- 
tico e  dopo  aver  fondata  Lisbona  {Uly stipo) 
navigò  lungo  le  coste  dell'  Aftica  occidentale, 
presso  le  quali  peri  per  una  tempesta.  Dante 
modifica  alquanto  questa  tradizione,  imogi- 
nando  che  Ulisse,  varcato  lo  strotto  di  Gi- 
bilterra ed  entrato  nell'  Atlantico  proseguisse 
in  cerca  del  mondo  aenxa  genie  (v.  117)  verso 
sud-ovest  (VT.  124-126)  e  dopo  cinque  mesi 
di  viaggio  oltrepassasse  la  linea  equinoziale 
(TV.  127-129),  al  di  là  deUa  qn&lo  scoprf 
un'  sitissima  montagna  e  poi  fa  sommerso 
coi  compagni  per  un'  improvvisa  burrasca  (  w. 
180  e  segg.).  Sogli  elementi  tradizionali,  don- 
de Dante  attinse  l' idea  di  questa  naviga/ ione 
oceanica,  cfr.  A.  ClùAppeUi,  Lect.  pp.  17-2i 
e  D*  Ovidio,  p.  86.-85.  Lo  BUtggior  occ. 
Delle  due  punte  che  guizzavano  alla  ostromitÀ 
superiore  della  fiamma  (cfr.  w.  62-68),  la  mag- 
giore corrispondo  all'anima  di  Ulisse,  come 
più  famoso  e  aotorevole  che  il  suo  compagno 
Diomede  ;  col  qnalo  da  tanti  socoli  era  chiuso 
dentro  alla  fiamma  antica.  —  8G.  eomlnriò 
ecc.  :  la  punta  dolla  fiamma,  messa  in  movi- 
mento dalla  voce  intoma  (cfr.  Inf.  xxvii  IS- 
IS), incominciò  ad  agiUirsi  o  a  cropitaro,  co- 
me se  fosso  spinta  qua  o  \h  dnl  vento;  o  il 
moto  dolla  x^mta  rondova  imagino  di  una  lio- 


200 


DIVINA  COMMEDIA 


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96 


9D 


102 


106 


pur  come  quella  cui  vento  afifatica. 

Indi  la  cima  qua  e  là  menando, 
come  fosse  la  lingua  che  parlasse, 
gittò  voce  di  fuori  e  disse:  «  Quando 

mi  diparti'  da  Circe,  che  sottrasse 
me  più  d*un  anno  là  presso  a  Gaeta, 
prima  clie  si  Enea  la  nomasse, 

né  dolcezza  di  figlio  né  la  pietà 
del  vecchio  padre  né  il  debito  amore, 
lo  qual  dovea  Penelope  far  lieta, 

vincer  poterò  dentro  a  me  l'ardore 
ch'i' ebbi  a  divenir  del  mondo  esperto 
e  degli  vizi  umani  e  del  valore; 

ma  misi  me  per  l'alto  mare  aperto 
sol  con  un  legno  e  con  quella  compagna 
picciola,  dalla  qual  non  fui  diserto. 

L'un  lito  e  l'altro  vidi  infin  la  Spagna, 
fin  nel  Morrocco,  e  l'isola  de' sardi, 
e  l'altre  ohe  quel  mare  intomo  bagna. 

Io  e  i  compagni  eravam  vecchi  e  tardi, 
quando  venimmo  a  quella  foce  stretta, 


gQ»  umilia  eh«  pazlane.  —  00.  i^iMido  mi 
eco.  Quando  mi  allontanai  da  Circe  (cfr.  J^t^, 
xa.  22),  la  famosa  maga  che  nel  mio  ritorno 
da  Troia  ad  Itaca  mi  aveva  trattenuto  oltre 
on  anno  preeeo  di  sé  nel  monte  Giroello  (Omo- 
io,  Od.  X  210  e  eegg.),  intrapresi  nuovi  viaggi 
ooi  pochi  compagni  rimastimi  fedeli.  Danto 
attinse  ad  Ovidio,  Mst,  xiv  808  (ofr.  Moore, 
1 216):  <  annua  noa  illio  tenuit  mora  >.  —  92. 
là  presso  a  Claata  ecc.  :  il  monte  Ciroello, 
residenza  di  Circe,  sorge  non  lungi  dal  luogo, 
al  quale  Enea  per  ricordanza  della  sua  nu- 
trice pose  poi  il  nome  di  Gaeta  :  cfr.  Virg., 
En,  vn  1:  «Tu  quoque  litorìbus  nostris, 
Aeneia  nutrìx,  Aetemam  moriens  fiunam, 
Caieta,  dedisti».  —  94.  mi  dolcezsa  ecc. 
non  valsero  a  trattenermi  l'amore  per  il  figlio 
Telemaco,  n6  la  pietà  reverente  verso  il  pa- 
dre Laerte,  né  T  affetto  che  avrebbe  dovuto 
rallegrare  la  moglie  Penelope.  Questi  sono 
i  tre  grandi  sentimenti  domestici  che  gli  uo- 
mini dediti  alle  avventure  dei  viaggi  calpe- 
stano e  trascurano  ;  ed  d  degno  di  nota  che 
Ulisse  li  ricorda  nello  stesso  ordine  che  tiene 
Enea  in  Virg.,  J£H.  n  666  <  Ascanium,  pa- 
tieroque  meum  iuxtaque  Creusam  eoo.  »  :  tut- 
tavia è  da  avvertire  la  manifesta  rimembranza 
di  un  passo  di  Cicerone,  De  o/fle,  m  26,  ove 
di  Ulisse  ò  detto  :  «  Non  honestum  consiUum 
at  utile...  regnare  et  Ithacae  vivere  otiose 
cum  parentibus,  cum  uxore,  oum  Alio  >:  cfr. 
Mooro,  I  182.  —  97.  V  ardere  eco.  Q  desi- 
derio ardente  di  conoscere  il  mondo  e  le  virt6 


0  i  vìzi  degli  uomini.  Omero  comincia  V  Odi»- 
$ea  dicendo  appunto  del  suo  eroe  oh'ei  co- 
nobbe ci  costumi  e  le  dttà  di  molti  popoli  » 
(cfr.  Orazio,  AH,  pod,  142).  H  Moore,  I  264 
ha  giustamente  additato  un  passo  di  Cice- 
rone {De  1Mb,  V.  18,  49),  dal  quale  Dante 
pud  avere  attinto  questa  idea  dell'  ardente 
cupidità  di  sapere  per  cui  Ulisse  si  awes- 
turft  ai  viaggi  lungM  e  difficili.  —  99.  va- 
lore: virtù,  e  come  dice  nel  Oom,  iv  2  <  po- 
tenzia di  natura  ovvero  bontà  da  quella  da- 
ta >.  —  100.  alto  mare  aperte  :  il  Mediter- 
ranco,  come  manifestamente  appare  dal  v.  105. 
Lomb.  invece  crede  «  che  intenda  dell'Oceano, 
di  quel  mare  in  cui  esso  il  primo  si  mise  e 
vi  peri  ;  e  che  aperto  lo  dica  per  contrappo- 
sizione a  Mediterraneo,  che  significa  «arroto 
intomo  dalla  terra  ;  e  che  finalmente  il  vìa^ 
gio  che  premette  fatto  nel  Mediterraneo,  non 
ad  altro  fine  premetta,  che  per  dire  il  come 
giunse  al  detto  apèrto  mors,  all'  Oceano  ».  — 
101.  eompagaa:  compagnia;  ofr.  Pmg,  xxm 
127.  —  102.  non  ftil  diserto  i  non  ftii  ab- 
bandonato: ò  anche,  detto  pur  di  persono, 
in  Far,  XV  120.  —  108.  L»mn  lite  ecc.  Vi- 
sitai i  paesi  occidentali  bagnati  dal  Mediter- 
raneo, doò  quelli  della  costa  europea  sino 
alla  Spagna,  quelli  della  costa  africana  sino 
al  Marocco,  e  le  isole  di  Sardegna,  Corsica, 
Sicilia,  Baleari  ecc.  —  104.  Morreeeet  cfr. 
Pwg.  IV  189.  —  106.  tardi  :  lenti  negU  atti, 
non  più  cosi  pronti  alle  fatiche  della  navi- 
gazione  come  nella  gioventù.  ~  107.  qnella 


INPERNO  -  CANTO  XXVI 


201 


lOS        doY*  Ercole  segnò  li  suoi  riguardi, 
acciò  che  l'uom  più  oltre  non  si  metta; 
dalla  man  destra  mi  lasciai  Sibilia, 
111        dall'altra  già  m*ayea  lasciata  Setta. 
<  0  frati,  dissi,  ohe  per  cento  milia 
perigli  siete  giunti  all'occidente^ 
114        a  questa  tanto  picciola  Tigilia 
de' vostri  sensi,  eh*  è  del  rimanente, 
non  vogliate  negar  l'esperienza, 
117        di  retro  al  sol,  del  mondo  senza  gente. 
Considerate  la  vostra  semenza: 
fatti  non  foste  a  viver  come  bruti, 
120       ma  per  seguir  virtute  e  conoscenza  '• 
Li  miei  compagni  fec'io  si  acuti, 
con  questa  orazion  picciola,  al  cammino, 
128        che  a  pena  poscia  li  averci  tenuti; 
e,  volta  nostra  poppa  nel  mattino, 
de' remi  feu^mmo  ali  al  folle  volo, 
126        sempre  acquistando  dal  lato  mancino. 


fMe  eoo.  :  lo  stretto  di  OibUtem,  detto  da- 
g^  anticlii  il  freto  Oaditaoo,  fonnftto  dalle 
doe  aonti«iio  di  Abile  in  Africa  •  di  Ctlpe 
in  Soropa,  le  quali  eono  detto  le  Colonne 
d'Sroole,  favoleggiandosi  nella  mitologìa  che 
Pine  le  ponesse  in  quel  luogo  quasi  dae 
tannini  o  segni  ai  naTÌganti  di  non  prooe- 
dece  più  oltre.  —  110.  «alla  man  destra 
eoe  oltrepassando  lo  stretto  di  Qibiltena,  i 
nsrigatori  trovano  alla  loro  destra  Siviglia, 
dtti  della  Spegna  (cfir.  Inf,  zz  126X  e  alla 
sinistra  Ceats,  lat  Sapto,  dttà  dell'Africa; 
qneUa  pi6  a  oooidento  di  questa.  —  112.  0 
firati  eoo.  0  compagni,  che  m*  avete  seguito 
àn  qui  per  tanti  pericoli,  seguitemi  ancora 
Terso  oooidento  sino  all'  altro  emisfero.  Biag. 
osserva  :  <  In  questa  breve  orazione  di  Ulisse 
ai  ooaipagni  sentesi  quel  franco  e  maestoso 
andar  virgiliano  ohe  al  verso  suo  sa  cod  bene 
a  proposito  imprimere  1*  epico  latino.  Volle 
U  poeta  nostro  in  questo  luogo,  imitando  il 
miwstio  suo  nell'  onoione  ohe  pone  in  bocca 
ad  Enea  {Su,  i  196  e  segg.]>  0  tomi  neque 
mm  ignari  tumiu  ante  maiommf  0  pasti 
fnwjora  ecc.,  dimostrarsi  non  già  imitatore, 
Ba  degno  suo  rivale  ed  emulo  ;  e  lo  vinse 
BMoa  dubbio,  se  non  in  altro,  nella  nobiltà 
dei  sentimanti  >.  —  118.  aU' oecldeaie  s  è 
ditto  con  duplice  senso,  oioò  quanto  al  viag- 
po  di  Ulisse  e  dei  compagni  verso  le  parti 
flÉM^iiffft^ii,  e  quanto  alla  vita  loro  che  già 
Tolgera  al  termine,  essendo  veeeki  e  tardi, 
-  114.  a  4«esta  tanto  eco.  non  vogliate 
segare  a  voi  stessi,  che  dovete  vivere  ancor 
cosi  poco  tempo,  la  soddisfazione  di  visitare, 


continuando  il  viaggio  verso  ooddento,  l'end 
sfero  disabitato  opposto  al  nostro.  —  ^leelela 
vigilia  4e' vostri  sensi  s  un  piccolo  tratto 
della  vite  umana,  che  ha  il  suo  fondamento 
nelle  Caooltà  sensitive  (cfr.  Cam.  m  2)  ;  dette 
vigilia  perché  transitoria  e  di  breve  durate 
ò  la  vite  dell'  uomo  al  confronto  dell'  eter- 
nità. —  116.  ek'à  del  rimanente  t  ohe  vi 
rimane,  lat  quae  de  r$liquo  t§L  —  117.  41 
reire  al  sol  t  seguendo  il  corso  del  sole, 
dall'  oriento  verso  occidente  :  cfr.  Bw.  vi  2. 
—  del  Biendo  senia  gente t  l'emisfero  in- 
feriore, che  secondo  gli  antichi  era  solamente 
acqua  e  perdo  disabiteto.  —  118.  Conside- 
rale eoe  L'uomo  oonsiderando  la  dignite 
della  propria  natura  deve  riconoscere  d'es- 
sere steto  orsato,  non  già  come  gli  altri  ani- 
mali che  non  hanno  altra  vite  all'  infuori  di 
quella  dei  sensi,  ma  per  praticare  la  virtù  e 
per  apprendere  la  scienza,  che  ò  tf  ultima  per- 
fuÀom  dtUa  w>ttra  anima  {Oorw,  1 1).  —  121. 
aoati  eco.  pieni  di  acuto  desiderio,  accesi  e 
desiderosi  di  continuare  il  viaggio  :  cfr.  Purg, 
zziv  110.  —  124.  e,  volta  nostra  ecc.  e 
volgendo  la  poppa  della  nave  verso  l'oriento, 
al  mondo  conosciuto,  procedemmo  rapida- 
mente verso  occidente,  piegando  sempre  nel- 
r  avanzare  alla  nostra  sinistra,  doò  diriz- 
zando la  nostra  nave  verso  sud-ovest.  — 
125.  de'  remi  eco.  :  la  frase  ricorda  il  vir- 
giliano, En,  m  520  :  €  Tentamusqae  viam  et 
velorum  pandimus  alas ».  —  al  felle  volo: 
all'ardite  navigazione  per  mari  ignoti,  al 
vareo  folU  (Par.  xxvii  82)  da  noi  corcato  por 
l'Atlantico.  —  126.  atqalstando:  il  vb.  oo- 


202 


DIVINA  COMMEDIA 


Tutte  le  stelle  già  dell'altro  polo 
vedea  la  notte,  e  il  nostro  tanto  basso, 
129        che  non  surgeva  fuor  del  marin  suolo. 
Cinque  volte  racceso  e  tante  casso 
lo  lume  era  di  sotto  dalla  luna, 
132       poi  ch'entrati  eravam  nell'alto  passo, 
quando  n*  apparve  una  montagna,  bruna 
per  la  distanza,  e  parvenu  alta  tanto, 
135        quanto  veduta  non  n'avea  alcuna. 

Noi  ci  allegrammo,  e  tosto  tornò  in  pianto; 
che  della  nuova  terra  un  turbo  nacque 
138       e  percosse  del  legno  il  primo  canto: 
tre  volte  il  fé'  girar  con  tutte  l'acque, 
alla  quarta  levar  la  poppa  in  suso 
e  la  prora  ire  in  giù,  com' altrui  piacque, 
142    infin  che  il  mar  fu  sopra  noi  richiuso  ». 


quiatar»  hA  ipesso  in  Dante  il  sonso  di  avan- 
zare nel  cammino  :  ofr.  Pitrg,  i7  88.  —  127. 
Tatte  le  tielle  eco.  Nella  notte  ci  apparivano 
già  le  stelle  del  polo  antartioo,  •  la  nostra 
stella  polare  non  si  mostrava  per  essere  il 
polo  artioo  sotto  l' orizzonte  e  nasoosto  dalla 
snperfide  del  mare;  ciod  eravamo  già  per* 
venuti  al  di  là  dell'  Equatore.  —  128.  vede» 
la  BOtle  :  Dan.  :  «  dice  poeticamente  che  la 
notte  vedea  le  stelle,  come  anche  disse  il 
Petrarca  [sest.  ccxxxvn  2]  :  NS  là  tu  aopra 
U  eerchio  de  la  bma  Vide  mai  tanié  ateUe  al» 
cuna  noUs  »,  —  130.  Ctn^ne  volti  eoo.: 
Lomb.  :  e  cinque  volte  si  era  illuminato  ed 
altrettante  volte  oscurato  T  emisfero  della 
luna  pi6  basso,  che  d  quello  vòlto  alla  terra 
e  che  noi  dalla  terra  vediamo  ;  oh'  è  poi  in 
sostanza  come  a  dire  ch'erano  scorsi  già 
cinque  pleniluni,  cinque  mesi,  da  che  erano 
entrati  in  quel  vasto  mare».  —  raeeeao: 
cfr.  Inf.  X  70.  —  138.  ^naido  l'apparrt  eoe 
Dopo  cinque  mesi  di  navigazione  nell'Atlan- 
tico Ulisse  e  i  compagni  videro  sorgere  a 
gran  distanza  nella  distesa  delle  acque  un'al- 
tissima montagna;  nella  quale  quasi  tutti 
gì'  interpreti  da  Benv.  al  Lomb.  riconoscono 
quella  del  Purgatorio,  che  sorgeva  seoondo 
Dante  agli  antipodi  di  Gerusalemme  (ctr, 
Purg,  II  1-8)  ed  era  tanto  alta  ene  vmeaa  la 
vista  {Purg,  rv  40).  —  brama  eoo.  oscura, 
indistinta  per  la  grande  lontananza:  ofr. 
Virgilio,  En.  ni  206  :  €  Quarto  terra  die  pri- 
mum  se  attollere  tandem  Visa,  aperire  pro- 
cul  montes,  ao  volvere  ftunum».  —  136.  e 
tosto  ecc.  ma  subito  la  nostra  gioia  si  con- 
verti in  dolore:  cfr.  Jnf.  xni  69.  ~  187. 
della  nnova  terra  ecc.  dalla  terra  nova- 
mente  apparsa  si  mosse  un  vento  turbinoso. 


che  investi  la  prora  della  nave  e  Gioendola 
girare  intomo  con  le  acque  circostanti  pro- 
dusse un  vortice,  nel  quale  sprofondammo. 
La  descririone  dantesca  procede  dalla  viigi- 
liana  dell' EH.  i  118:  <Unam,  quae  Lycioa 
fidumque  vehebat  Oronten,  Iptius  ante  ocu- 
los  Ingens  a  vertice  pontus  In  puppim  ferit: 
ezcutitur,  pronusque  magister  Yolvitur  In 
caput  :  ast  illam  ter  fluctos  ibidem  Torqaet 
agens  oiroum,  et  rapidus  vorat  aequore  vor- 
tex  ».  A.  Chiappelli,  LaoL  p.  28  :  <  La  sini- 
bolica  montaffna  bruna  diviene  ad  un  tratto 
nel  verso  dantesco  la  nuova  terra^  come  un 
abito  di  nuovi  tempi,  e  vi  si  pronunzia,  se 
anche  in  forma  di  vago  presentimento,  quello 
spirito  d'esplorazione,  onde  colla  scoperta  del 
nuovo  mondo  s'apriranno  nuove  vie  alla  ci- 
viltà ».  —  188.  il  primo  eanto  x  la  parte  an- 
teriore della  nave,  la  prora.  —  140.  levar 
ecc.  la  nave  si  capovolse  sprofondando  nel- 
r  abisso.  —  141.  erai'altrai  plae^at  :  come 
piacque  a  Dio,  che  non  permise  mai  ad  al- 
cun uomo  vivente  d'andare  al  purgatorio,  a 
quel  lido  cche  mai  ^  non  vide  navicar  sue 
acque  Uomo,  che  di  tornar  sia  poscia  esper- 
to »  (ISirg.  I  181).  —  142.  infln  eoe  Sopra 
il  visggio  e  la  Une  di  Ulisse  si  cf^.  G.  Della 
Valle,  n  aanao  jfeografieo-aatr<momioo  dei  kuh 
ghi  della  D,  C,  Faenza,  1868,  pp.  16-20,  « 
Supplemento  al  Kbro  II  aenao  geog.  aabr.  Faen- 
za, 1870,  pp.  28-84;  O.  Finidi,  Qptiao.  dant, 
n.*  28;  B.  Fomaciari,  Sludi  ^  pp.  103-119: 
il  quale  ultimo  ritiene  che  in  Ulisse  sia  sim- 
boleggiato l'umano  ingegno  che  si  sforma  di 
conoscere  i  segreti  divini,  mentre  questi  non 
possono  manifestarsi  all'  uomo  fuor  della  fedo 
e  delia  grazia. 


INFERNO  -  CANTO  XXVn 


203 


CANTO  XXVII 


Allontanatasi  la  ilamma  di  Diomede  e  Ulisse,  nn'altra  8*avvicina  nella 
qnale  ò  chiosa  Tanima  del  conte  Gnido  di  Montefeltro:  a  lui  Dante  espone 
la  presente  condizione  della  Bomagna  e  n'  ha  in  ricambio  la  narrazione  del 
peccato  per  coi  venne  a  finire  all'inferno;  poi  1  due  poeti  procedono  verso 
la  nona  bolgia  [9  aprile,  circa  al  mezzodì]. 

Olà  era  dritta  in  su  la  fiamma  e  cheta, 
per  non  dir  più,  e  già  da  noi  aen  già 
3       con  la  licenza  del  dolce  poeta, 

quando  un'altra,  ohe  dietro  a  lei  venia, 
ne  fece  volger  gli  occhi  alla  sua  cima 
6        per  un  confuso  suon  che  fuor  n'uscfa. 
Come  il  bue  cicilian,  che  mugghiò  prima 
col  pianto  di  colui  (e  ciò  fu  dritto) 
9        che  l'avea  temperato  con  sua  lima, 
mugghiava  con  la  voce  dell'aMtto, 
si  che,  con  tutto  cV  e*  fosse  di  rame, 
12       pure  e*  pareva  dal  dolor  trafitto; 
cosi,  per  non  aver  via  né  forame 
dal  principio  nel  foco,  in  suo  linguaggio 


XXVn  1.  6U  era  eoo.  La  punta  mag- 
giore della  fiamma,  ohe  era  andata  menando 
or  qua  or  U  la  sua  oima  mentre  TTliise  par- 
kra  {iMf,  xxTx  86  e  aegg.),  ora  oh*egli  taoeva 
t'era  già  drlnata  in  alto  e  fermata.  —  3.  per 
Ma  dir  pMi  perohó  IJlisee  avara  finito  di 
partale.  —  8.  lieessas  oommiato,  congedo; 
efr.  T.  21.  —  4.  «s'altrai  qneat'altra  fiam- 
■a,  olle  t'avanza  mormorando,  è  qoeUa  che 
irrolge  l'anima  del  oonte  Guido  di  Monte- 
liBltro.  —  6.  se  feee  eoo.  :  cfr.  una  locazione 
■buie  in  hif.  vm  8.  —  6.  per  «a  eoaflito 
•oe.  Seait.  :  <  la  voce  omana  degli  spiriti  rin* 
ehiui  neUe  fiamme  rassomiglia  snUe  prime 
aUa  voce  del  ftioco,  doò  ai  mormorio  delle 
fianme  agitate  dai  vento:  poi,  quando  le  pa- 
rola dolio  spirito  ai  hanno  Catto  vìa  ed  hanno 
oonnmicato  il  moto  della  lingua  omana  alla 
yoata  della  fiamma,  quel  mormorio  si  con- 
Tsrte  in  parole  >.  —  7.  Cerne  11  hae  ecc. 
Ferino,  artefice  ateniese,  offri  a  Falarìde  tl- 
nnno  d'Agrigento  xin  toro  di  rame,  oostratto 
ia  modo  che  le  grida  degli  infelici  posti  a 
bndsre  dentro  lo  strano  congegno  si  trasfor- 
iMisoro  ttsoondo  in  mnggiti  hovinii  il  tiranno 
looettA  raflbrta  e  per  Cune  la  prova  comandò 
■ll'srtefloe  d'entrar  nella  maoohina,  donde 
ascizono  1  più  dolorosi  lamenti;  il  iktto  ò  de- 
Kritto  da  Gridio,  Trid.  m  11,  il-5i  e  da 
aita  antichi  (cfr.  Mooie,  I  215,  296).  — 


■laffghlò  eco.  :  prima  accenna  al  caso  sin« 
gelare  di  Perillo;  poi  dicendo  mugghiala  con 
la  vooò  ddW  afflitto^  all'  oso  continaato  oho 
Falarlde  fece  del  toro  di  rame,  come  stra> 
mento  di  tortora.  —  8.  e  ciò  fa  dritto: 
più  tosto  che  di  passi  biblici  (  Pno,  xxvi 
27,  Eeel.  x  8,  xxvu  29,  Salmi  vn  15-lG, 
xeni  23),  ò  qoesto  on  ricordo  dolio  parole  di 
Ovidio,  il  qoale  accennando  al  fatto  di  Po- 
rillo  e  a  on  altro  caso  consimile  soggionse 
(Ara  amai,  i  665):  «  lostos  oterqoe  foit:  no- 
qoe  enim  lox  aeqoior  olla,  Qoam  necis  arti- 
ficee  arte  perire  soa  ».  —  10.  magghlara 
eco.  :  cfr.  dò  che  dice  Perillo  a  Falarìde,  in 
Ov.  Trial,  m  11,  47  :  <  Protinos  inclosom 
lentìa  oarbonibos  ore:  Mogiet,  ot  veri  vox 
erit  illa  bovis  »  :  —  13.  eosf,  per  non  arer 
ecc.  Si  costmisoa  e  s' intenda:  Cosi  leparoU 
grama  dei  conte  Ooido,  eioZpnnc^,  nel  pri- 
mo momento  del  soo  parlare,  per  non  atw 
nel  foco  via  né  forami^  porche  non  trovavano 
nell'  involucro  di  fiamma  alcona  apertola  on- 
de oscire,  8i  eonverHvan  in  suo  linguaggio^  in 
qoel  mormorio  che  ò  come  il  linguaggio  del 
fuoco.  —  14.  dal  principio  :  da  principio,  da 
prima:  che  qoi  sia  espresso  un  rapporto  tem- 
porale si  ha  dal  V.  16,  maposoia  ch'ebb&r  eco. 
Altri,  leggendo  dal  principio  del  foco^  devono 
di  necessità  ammettere  ohe  vi  sia  espressa 
una  inutilo  circostanza  di  spario,  corno  so 


204 


DIVINA  COMMEDIA 


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24 


27 


si  conyertivan  le  parole  grame. 

Ma  poscia  ch'ebber  còlto  lor  viaggio 
8U  per  la  punta,  dandole  quel  guizzo 
che  dato  avea  la  lingua  in  lor  passaggio, 

udimmo  dire:  <  0  tu,  a  cui  io  drizzo 
la  voce,  e  che  parlavi  mo  lombardo, 
dicendo:  'Issa  ten  va,  più  non  t*aizzo'; 

perch'io  sia  giunto  forse  alquanto  tardo, 
non  t* incresca  restare  a  parlar  meco: 
vedi  che  non  incresce  a  me,  ed  ardo. 

Se  tu  pur  mo  in  questo  mondo  cieco 
caduto  sei  di  quella  dolce  terra 
latina,  ond'io  mia  colpa  tutta  reco, 

dimmi  se  i  romagnoli  han  pace  o  guerra; 
ch'io  fui  de' monti  là  intra  Urbino 


Dante  ripetesse  l' idea  ohe  la  Tooe  tisoiva 
dalla  cima  o  punta  della  fiamma  (ofr.  r.  6-6). 
—  16.  Ma  poMla  ecc.  ma  quando  poi  le  pa- 
role ebbero  trorato  il  loro  cammino  attraverso 
la  ponta  della  fiamma,  imprimendo  ad  «sa 
quel  movimento  vibratorio  ohe  la  lingua  del 
conte  Qnido  aveva  avnto  pronondando  le  pa- 
role stesse  ecc.  — 18.  che  dato  avea:  la  lo- 
cuzione dar»  un  gvixM  equivale  ai  verbo 
guixxaref  cioò  «vere  nn  movimento  vibrato- 
rio :  cfr.  Inf,  xxvi  86-90  e  1  w.  68-60  di 
qneeto  canto.  —  19.  0  t«  eoe  II  conte  Onido 
si  volge  a  Virgilio,  del  qoale  aveva  sentito 
le  parole  di  congedo  dette  ad  Ulisse  (cfr.  w. 
2-3);  parole  che  a  lai  sono  parse  di  linguag- 
gio di  Lombardia  (cioè  dell'  Italia  superiora, 
secondo  il  largo  significato  che  nel  medioevo 
si  dava  a  cotesta  designazione  geografica).  — 
20.  mo:  ora;  avverbio  di  tempo,  derivato  dal 
lat  modo  (Diex  885)  e  usato  spesso  da  Dante, 
0  solo  {bif.  xxm  7,  xzvn  109,  Purg.  xxm 
66,  111,  Par.  IV  82,  vn  94,  XIX  67,  xxn  11, 
73,  XXXI  48  ecc.)  o  nell'espressione  pur  mo, 
solamente  ora,  proprio  ora  (Inf,  x  21,  xxm 
28,  min  186,  Purg.  viu  28,  xxi  68):  in  Inf, 
xxm  7  Dante  dice  che  mo  si  pareggia  con 
isso,  cioò  ha  lo  stesso  significato  di  questa 
voce,  che  ricorre  nel  verso  seguente.  —  21. 
Issa  toi  fa  eoe  Ora  vattene,  poiché  io  non 
ti  stimolo  più  oltre  a  parlare.  Questo  d  il 
senso  delle  parole  dette  da  Virgilio  ad  Ulisse 
per  congedarlo;  nelle  quali  gli  antichi,  come 
Lana,  Ott.,  Benv.,  Buti,  An.  fior.,  non  tro- 
varono alcuna  difficoltà  parendo  loro  tutto  di 
buon  conio  italico  e,  aggiungerei,  pronunziate 
dal  mantovano  con  proferenza  lombarda:  ma 
molto  ci  fimtasticarono  sopra  gì'  interpreti 
moderni,  dei  quali  chi  volle  che  fossero  pa- 
role greche,  chi  sostenne  che  s'avesse  a  leg- 
gere :  Irfrà  /  ton  t«,  più  non  t'adixxo  (Via  I 
vattene,   più  non  ti  eccito),  chi  altro  (ciY. 


Zing.  161-166).  Quanto  all*aw.  <sm,  ohe 
Dante  usa  più  volte  (A/*,  xxm  7,  PUrg,  xxiv 
66),  d  manifesta  la  sua  derivazione  da  ^psa 
(Aom):  cf^.  Dies  129.  —  24.  Tedi  ecc.  consi- 
dera che  a  ma  non  incresce,  sebbene  io  sia 
avvolto  in  questa  fiamma  che  mi  arde.  —  26. 
par  no:  c£r.  la  nota  al  v.  20.  —  atoado 
eleeo:  l'inferno;  ofr.  Bif,  iv  13.  —  26.  ea- 
dato  sei  :  dice  cosi  perché  crede  ohe  Virgilio 
sia  un'anima  dannata,  precipitata  in  Male- 
bolge  dopo  il  giudizio  di  Minos.  ~  dolee  ter- 
ra latlaa:  1*  Italia,  ooef  detta  per  il  Lazio, 
la  più  nobile  delle  regioni  italiche:  ofr.  Mf, 
xxvm  71.  —  28.  se  1  romagsoU  eoo.  se  il 
paese  di  Romagna  è  in  pace  o  in  guerra.  — 
29.  io  fai  de'  monti  ecc.  nacqui  nel  Mon- 
tefeltro,  regione  posta  tra  Urbino  e  il  monte 
Coronare,  onde  scaturisce  il  Tevere.  U  conte 
Quido  I  di  Montefeltro,  ohe  ebbe  fiuna  d'es- 
sere <  U  più  sagace  e  sottile  uomo  die  a  quei 
tempi  fosse  in  Italia  >  (O.  Tillani,  Or.  vu  80), 
nacque  intomo  ai  1220:  signore  della  contea 
di  Montefeltro  e  ardente  ghibellino,  lù  vica- 
rio in  Boma  di  re  Corradino  nel  1268,  poi  resse 
con  forte  mano  e  con  titolo  di  Capitano  gene- 
rale la  città  di  Forif  ;  e  fletto  capo  dei  fuorusciti 
di  Bologna  diede  memorabili  sconfitte  all'esor. 
cito  guelfo  bolognese  comandato  da  Malatesta 
da  Vorrucchìo  (cfr.  v.  46),  ai  Ponte  di  S. 
Prooolo  nel  giugno  1276  e  a  Beversano  nel 
settembre  dello  stesso  anno  :  nel  1282  liberò 
Forlì  dall'assedio  posto  a  questa  città  da  Gio- 
vanni d'Appia  (ctt.  V.  43),  suscitando  cosi  gli 
sdegni  della  curia  pontificia,  ma  poco  di  poi 
foco  atto  di  sommissione  al  papa  e  Ai  confi- 
nato in  Asti:  nel  1289  ruppe  il  confine  e  andò 
a  Pisa,  chiamato  podestà  e  capitano  di  guer- 
ra dopo  la  catastrofe  d'  Ugolino  della  Qhe- 
rardesca,  e  vi  raiforzò  la  parte  ghibellina: 
nel  1292  s' insignori  di  Urbino,  cho  tenne  e 
difese  contro  Malateetino  podestà  di  ( 


INFERNO  -  CANTO  XXVII 


205 


SO 


33 


42 


45 


e  il  giogo  di  ohe  Tever  si  disserra  ». 

Io  era  in  giuso  ancora  attento  e  ohino, 
quando  il  mio  duca  mi  tentò  di  costs^ 
dicendo:  €  Parla  tu,  questi  è  latino  ». 

Ed  io  ch'ayea  già  pronta  la  risposta, 
sensa  indugio  a  parlare  incominciai: 
€  0  anima,  che  se'  là  giù  nascosta, 

Romagna  tua  non  è,  e  non  fu  mai, 
senza  guerra  ne' cor  de' suoi  tiranni; 
ma  palese  nessuna  or  vi  lasciai. 

Ravenna  sta,  come  stata  ò  molti  anni: 
l'aquila  da  Polenta  la  si  cóva, 
si  che  Cervia  ricopre  co'  suoi  vanni 

La  terra,  che  fé'  già  la  lunga  prova 
e  di  franceschi  sanguinoso  mucchio, 
sotto  le  branche  verdi  si  ritrova. 


nel  1296,  lioondliatod  già  oob  U  OhiMa,  Mi- 
trò iMll'oidtai»  friDoesoMio;  •  mosf  mI  1298 
(Qfr.  e.  VlUani,  O.  vn  44,  48,  80,  81,  108, 
12B,  Tin  2, 28;  AfmaU$  foroHv.  In  Mnr.,  Btr, 
U.  XXn  laS  e  tegg.,  149  e  togg.,  168, 162; 
Ohm.  piatma  in  Mot.,  lUr,  ìL  XV  980-968, 
t  B.  BoBdoni,  làtorU  jp<mnm,  Fiiense,  1844, 
Kb.  xn;  Mmaìm  tattmaHt  in  Uva,,  lUr.  iL 
XIV  1104-1114;  SatimbMie  da  Puinn,  Okr, 
p^  188,  268,  279,  288;  F.  Ugolini,  ^Storia 
ùftotdi  •  AmM  4^  Urtrino,  Firenz»,  1869; 
F.  Tornea,  LteL  pp.  12-16).  —  82.  mi  len- 
te 41  «••la:  mi  toood  nel  iUmoo  (cfr.  Inf, 
zn  67  );  locmione  oIm  liooida  1*  oraziana 
{Sol  n  6,  42):  e  *  Nonne  rides,  '  aliqnis  cu- 
bito itantem  prope  tangte  Inqniot  >.  »  88. 
latinat  italiano;  efr.  ^.  zzn  66.  —  84. 
•rea  già  praata  eco.:  non  già  olie  Dante 
ayeew  pierodoto  di  dorar  parlar  egli,  ma 
perché  la  domanda  rivolta  da  Qnido  a  Vir- 
gilio rarera  fatto  ripensare  alle  presenti  oon- 
dixioni  della  Romagna.  ^  87.  Bomagna  taa 
eoe.  I  dgnori  che  tiranneggiano  il  tno  paese 
non  ftizono  mai  e  non  sono  neppnr  ora  senza 
forti  odii  nei  cnoii;  ma  in  questo  momento, 
nprìle  1900,  non  Ve  in  Bomsgna  alcnna 
goflcra  manilésta.  Inflitti  dalla  fine  dell'anno 
1299,  quando  con  la  cessione  del  castello  di 
Bsmno  ai  bolognesi,  per  sentenza  di  Boni- 
lìmle  vm,  ta  flette  la  pace  fra  il  oomonedi 
Bologna  dall'una  parte  e  il  marchese  Azzo  Vm 
4'  Este  e  i  signori  romagnoli  dall'altra,  non 
Adqbo  più  gnene  in  Romagna  per  qualche 
tempo;  sebbene  fossero  sempre  tItì  gli  odii 
tra  le  città  e  signorie  di  parte  guellk  e  quelle 
di  parte  gfaibeiliaa.  —  40.  BaTenna  eoe  Ra- 
Tsnna,  già  signoreggiata  dal  Traversari  (cCr. 
Hirg.  zxv  107),  era  passate  nel  1270  in  do- 
■inio  della  famiglia  da  Polenta,  e  nel  1800 


no  arerà  il  goremo  Ovido  Minore  o  Vecchio, 
die  mori  nel  1810.  —  41.  l*aqnlla  ecc.:  lo 
stemma  di  quelli  da  Polente  è,  secondo  il 
Lana,  e  una  aquila  yermiglia  nel  campo  gial- 
lo >  ;  ma  BeuT.  inreoe  dice  che  essi  «  portant 
prò  insignio  aquilsm,  cuius  medietas  est  alba 
in  oampo  azzurro  et  alia  medietas  est  rubea 
in  campo  aureo  ».  ^  la  si  eoTa  eoe  ee  la 
cova,  ee  la  tiene  sotto  la  sua  protezione,' 
estendendo  la  signoria  anche  sopra  OerTia, 
piccola  dttà  a  meoogiomo  di  Ravenna,  sulla 
coste  dell' Adriatico,  assai  importante  nel 
medioevo  per  la  produzione  del  sale.  —  48. 
lA  terra  ecc.  La  dttà  di  Forti  è  sotto  U 
dominio  degli  Ordelaffl,  liamiglia  ghibellina, 
impadronitasi  doUa  signoria  pooo  innanzi  ai 
1800.  —  che  ft'glà  eoe  Kd  1282  U  ponte- 
fice Martino  IV  mandò  in  Romagna  contro  i 
ghibellini  un  eserdto  di  franced  e  italiani 
comandati  da  Giovanni  d'Appia,  il  quale,  pre- 
sa Faenza,  mosse  contro  Forlf,  tenute  e  di- 
fesa da  Guido  di  Montefeltro:  ma  questi,  rac- 
colto prontamente  le  milizie  dttadine,  usd 
ftiori  della  dttà  e  sconfisse  il  grosso  dell'e- 
serdto  nemico,  poi  raggiunse  i  cavalieri, 
quad  tutti  franced,  che  erano  già  entrati  in 
Forti,  e  li  sterminò  (ofr.  F.  Torraoa,  Ifuow 
rossfl^fM,  Livorno,  1896,  pp.  896  e  ssgg.): 
«  et  do,  dice  Benv.,  magna  sagadtate  oomitìs 
Ouidonis,  pulora  et  magna  gens  gallica  tuit 
destruote  ».  ~  44.  flraneesehl  :  cfr.  Inf,  zzxu 
115.  —  46.  sotto  le  braneiia  eco.  OU  Orde- 
laffl, signori  di  Forlì,  avevano,  secondo  il 
Lana,  e  le  branche  verdi  d'un  lione  nel  campo 
giallo  per  arme  »  ;  invece  secondo  Benv.  por- 
tevano  per  insegna  «  leonem  viridem  a  medio 
supra  in  campo  aureo,  cum  quibusdam  listia 
a  medio  infra,  quarum  tres  sunt  virìdes  et 
tresanreae»:  dunque  it  òronoàs,  ood  in  Dante 


206 


DIVINA  COMMEDIA 


n 


Il  Mastin  vecchio  e  il  nuovo  da  Verrucchio, 
ohe  fecer  di  Montagna  il  mal  governo, 
48       là  dove  soglion  fan  de'  denti  succhio. 
Le  città  di  Lamone  e  di  Santemo 
conduce  il  leoncel  dal  nido  biancoi 
51        che  muta  parte  dalla  state  al  verno; 
e  quella,  cui  il  Savio  bagna  il  fi.mco. 


come  nel  Lana,  designano  tutta  la  parta  an- 
teriore del  corpo  del  leone.  —  46.  U  MattU 
Teccklo  eoe.  Malatesta  e  Malateatino  dei  Ma- 
latesta  esercitano  la  loro  tirannide  In  Rimini, 
come  (jMeyano  qnando  ta  eri  rivo:  iniktti  nel 
dioombro  1295,  cacciati  g^  ayrorsari  ghibel- 
lini, Malatesta  da  Vemcchio  fa  fitto  signore 
di  Rimini  e  tenne  la  signoria  sino  al  1S12,  in 
cui  mori  e  gli  saocosse  Malatestino  (cfr.  B%f, 
xxviu  85),  ohe  gi&  innanzi  arerà  arato  oc- 
casione di  manifestarsi  acerrimo  contro  gli 
arrersarì,  sf  che  «non  rolera  nò  adire 
nò  rodere  nessuno  ghibellino  e  molto  li 
penegaira  »  {Oroniea  riminem  in  Mar.,  R«r, 
it.  XV  896).  —  47.  «he  fseer  «i  Moatagu 
ecc.:  racconta  l'aatore  della  Oron,  rtm.  in 
Mar.,  Ser,  ft.  XV  893  e  segg.,  che  aUor- 
qnando  nel  1295  messor  Parcitade,  capo  dei 
ghibellini  in  Rimini,  rodendoci  senza  effioad 
aiati  contro  i  Malatesta  abbandonò  la  città, 
«  Airono  morti  e  presi  assai  di  casa  saa  e  de' 
saoi  amici,  tn  i  qaali  ta  preso  Montagna  di 
Paroitade,  e  messo  in  prigione  e  U  fti  morto  »  ; 
e  Benr.  con  maggiori  particolari  racconta 
che  Malatesta  U  recchlo  die  a  castodire  Mon- 
tagna al  figlio  Malatestino  :  «  postea  petlrit 
ab  eo,  quid  faotam  esset  de  Montagna;  cai 
ille  respondit:  .*  Domine,  est  snb  fida  custo- 
dia; ita  qaod  si  rellot  se  snifocare  non  pos- 
set,  qaamris  sit  ioxta  mare  '.  Et  dam  iterom 
et,  iterom  peteret  et  replicarot,  dixit  :  *  Certe 
dubito,  qnod  nesdes  ipsum  castodire  '.  Ma- 
latestinos,  notato  rerbo,  fecit  Montagnam 
mactarì  cam  qoibasdam  allis  »  :  cfr.  L.  To- 
nini, Storia  di  Rmini,  Ul  174  e  234.  —48. 
dOTe  iogUon:  dorè  iolerano  già  per  l'ad- 
dietro.  Le  rocl  del  presente  del  rb.  9ohn 
furono  spesso  osate  dagli  antichi  col  senso 
dell'imperfetto  :  cosi  Pier  della  Vigna  (D*  Anc. 
I  309)  dioe  di  ona  donna  morta:  «qoella 
ch*io  amare  e  serrir  soglio  »;  Pacino  Anglo- 
lierì  (D'Anc.  Il  877)  dopo  la  morte  della  soa 
donna  esclama:  «  Lasso!  che  spessamente  il 
giorno  miro  Al  looo  ore  madonna  sool  parere, 
Ma  no'  la  regio  si  come  già  so^io  »  ;  il  Pe- 
trarca comincia  il  son.  cccxni.  «  Morto  ha 
spento  qoel  sol  ch'abbagliar  soolmi  »  :  cfr.  hif. 
mi  80,  xn  68  ecc.  —  fsB  de*  desti  ■■celiio  : 
adoperano  i  denti  come  socchiello  a  perforare 
e  dilaniare  altroi:  è  frase  bene  appropriata 
ai  doe  Malatesta  chiamati  già  wvuUrd  per  la 
loro  crudeltà.  —  49.  ìs  elttà  ecc.  Faenza, 
posta  sol  fiume  Lamone,   e  Imola,   aitoata 


presso  il  Santemo,  sono  rette  da  MsgtJnardo 
Pagani  da  Susinana  ;  del  quale  scrìre  0.  Vil- 
lani, O.  rn  149:  «  Fu  uno  grande  •  sario 
tiranno,  e  della  contrada  tra  Casentino  e  Ro- 
nUJgna  grande  castellano  e  con  molti  fedeli  ; 
lario  ta  di  guerra  e  bene  arrenturoeo  in  più 
battaglie,  e  al  suo  tempo  foce  grandi  coee. 
OkiboUino  era  di  soa  naxUme  e  in  soe  opere, 
ma  co'  fiorentini  era  guelfo  e  nimioo  di  tatti 
i  loro  nimid,  o  guelfi  o  ghiboUini  che  foe- 
sono;  e  In  ogni  oste  e  battaglia  oh'  e'  fioren- 
tini Cacessono,  mentre  ta  in  rita,  fu  oon  sua 
gente  a  loro  serrigio  e  ontano  ».  Arerà  ben 
ragione  d'esser  grato  al  fiorontini,  ai  quali  il 
padre  suo  Piero  Pagani  l'arerà  raoooman- 
dato  morendo;  ed  essi  «otto  la  loro  tutela  lo 
allerarono  e  ^  difesero  il  suo  patiimoaio 
oontro  i  Guidi,  gli  Ubaldini  e  altri  signori  di 
Romagna:  nella  sua  glorentfi  sposò  una  fio- 
rentina, Edmengarda  de*  Todnghi,  e  nel  1289 
fu  in  aiuto  al  comune  in  Campaldino;  nel 
1801  accompagnò  Cario  di  Vaiola  in  Firenze 
e  ri  rimase  più  mesi  :  mori  nell'agosto  del 
1802,  lasciando  molti  possessi  feudali  ohe  aa- 
datono  dirisi  tra  le  figliuole  (cfr.  Afiy<  zir 
118-120).  -  60.  11  le^neel  ecc.  Maghinardo 
di  Bnsinana,  dice  il  Lana,  e  arerà  per  anse 
un  lione  nel  campo  bianco  ».  -*  61.  che  nata 
eco.  Dante  rollo  dire  poeticamente  che  Ma- 
ghinardo si  trcrarm  nella  oondisione  singo- 
lare d'esser  ghibellino  in  Romagna  e  guelfo 
in  Toscana:  cod  piegano  oonoordemente  gli 
antichi  ;  salro  ohe  alcuni,  come  Lana  e  Benr^ 
intondono  la  fraae  dotta  §tat$  al  vmno  in  senso 
geografico,  doè  dalla  Toscana,  ohe  è  più 
rerso  il  mozsogiomo  e  ridna  alle  regioni 
calde,  alla  Romagna  che  è  più  al  settentrione 
reno  i  paed  freddi  (cfr.  Dd  Lungo,  II  695 
e  segg.),  e  altri,  come  Boti  e  An.  fior.,  l'in- 
tendono in  senso  temporale,  doè  ohe  Ma> 
ghinardo  cambiasse  spesso  di  parte,  da  una 
stagione  all'  altra  ;  F.  Torraca,  LtcL  p.  24  : 
<  Riassume  in  una  iperbole  ironica  i  frequenti 
e  rapidi  personaggi  di  Maghinardo  da  una  ad 
un'altra  dello  fazioni  di  Faenza  e  di  tutta 
Romagna.  Le  storie  romagnole  attestano 
eh'  egli  ta  quando  farorerole,  quando  ribel- 
le ai  rettori  pontifid  ;  nemico  a  rioenda  ed 
amico  dei  Manfi^  de'CalboU,  de'Malato- 
su  guelfi  ;  ora  capo  de'  ghibellini,  ora  com- 
battente in  campo  contro  di  esd  ;  benedetto, 
scomunicato,  ribenedetto  dalla  Chiesa  ».  — 
62.  e  fuella  eoo.  Cesena,  bagnata  dal  fiume 


INFERNO  -  CANTO  XXVH 


207 


54 


67 


60 


(* 


I 
C6 


09 


72 


cosi  com'ella  sie*  tra  il  piano  e  il  montei 
tra  tirannia  si  vive  e  stato  franco. 

Ora  chi  se'  ti  priego  ohe  ne  conte: 
non  esser  duro  più  ch'altri  sia  stato, 
se  il  nome  tuo  nel  mondo  tegna  fronte  ». 

Poscia  che  il  foco  alquanto  ebbe  rugghiato 
al  modo  suo,  l'aguta  punta  mosse 
di  qua,  di  là,  e  poi  die  cotal  fiato: 

€  S' io  credessi  che  mia  risposta  fosse 
a  persona  che  mai  tornasse  al  mondo, 
questa  fiamma  starla  senza  più  scosse; 

ma  per  ciò  che  giammai  di  questo  fondo 
non  tornò  vivo  alcun,  s*  i'  odo  il  vero,  ' 
senza  tema  d'infieunia  ti  l'ispondo. 

Io  fui  uom  d'arme,  e  poi  fui  cordigliero, 
credendomi,  si  cinto,  fare  ammenda; 
e  certo  il  creder  mio  veniva  intero, 

se  non  fosse  il  gran  prete,  a  cui  mal  prenda! 
che  mi  rimise  nelle  prime  colpe: 
e  come  e  quare  voglio  che  m'intenda. 

Mentre  ch'io  torma  fui  d'ossa  e  di  polpe. 


Savio,  Odino  è  fitoat»  parte  nel  piano  o 
parta  ani  monte,  ooei  tìto  fra  tinumida  e 
Mbettà;  intetti  qneata  città  nei  1800  si  reg- 
geva in  fonoA  di  libero  conrane,  e  tì  pre- 
FOBdeniTano  il  podestà  Ciapettino  degli  TJber- 
tini  e  i  capitani  Ugnocione  doUa  Faggiola 
e  Pederigo  di  Montefeltro;  i  quali  poi  fti- 
«^0  cacciati  da  Cesena  nel  maggio  del- 
V  anno  aognente  {Aimahs  ea«»enat98  in  Mar., 
Sor.  U,  XIV  1121).  —  58.  sie>t  siede;  yb. 
propriaaente  nsato  da  Dante  a  indicare  la 
giacitora  dei  Inogld,  anche  in  ^f.  v  97 , 
XIV  94,  zx  70,  Jhirg,  ▼  69  ecc.  —  66.  Ora 
cài  M*  eoo.  Dante  ha  finito  di  rispondere 
alla  domanda  del  conto  Qnido  (r.  28)  e  perciò 
lo  piega  a  manifestarsi,  come  già  hanno  fatto 
altri  giriti  neU*  inferno.  —  68.  ebbe  rag- 
ghiato eoe  ebbe  fatto  quel  moimoxio  suo 
proprio,  segno  della  Toce  che  doroTa  nsoire: 
cfr.  i  TT.  IB-IB.  —  sa  e  poi  «Ib  ecc.:  ri- 
eorda  Poridiano,  Jfirf.  ix  684:  cUnguaque 
▼iz  talee  loto  dedit  aere  voces  >.  —  61.  S'Io 
•rsdfsal  eoo.  I  dannati  delle  altre  parti  d' in- 
tene  rieonoeooBO  snblto  ohe  Dante  è  vivo 
(eft.  ili/:  TX  40, 88,  Tm  88,  z  68,  zy24,  46, 
zn  31,  zrn  67,  zzm  88);  ma  quelli  dell'ot- 
tava bolgia  sono  ayyoltl  dalla  fiamma  si  ohe 
i  tolto  loro  il  Tederò:  peroid  il  conte  Qnido 
otte  a  parlare  con  anime  di  peccatori  re- 
moti a  scontare  la  propria  pena.  —  68.  «ve- 
tta tanta  eoe  doò  io  non  paileieL  —  66. 
ttua  tema  eoo.  senxa  paora  ohe  le  mie  colpe, 


delle  qoali  sono  per  confessarmi  a  te,  sieno 
liUaiite  nel  mondo  e  mi  procaccino  infamia. 

—  67.  Io  ftil  noM  d' arae  ecc.  :  Qnido  di 
Montefeltro  ebbe  gran  fiima  ai  snoi  tempi 
come  nomo  di  goerra:  Salimbene  da  Parma 
(Okr.  p.  188)  dice  che  «  foit  yir  bellator  et 
peritiam  haboit  artis  pngnae»,  F.  Pipino 
(Chr.  zzz  16  in  Mnr.,  Rtr,  U,  IK  144)  lo 
chiama  e  vimm  bellandi  solertem  >,  e  molti 
altri  antichi  gli  dettero  lode  per  il  valore  e 
per  la  pratica  delle  cose  militari  (cfr.  Ugolini, 
op.  dt.,  I  44).  *—  e  poi  fui  cordigliero  :  e 
nolla  vecchiezza  fai  ^te  dell'ordine  dei  mi- 
noxi  0  francescani;  che  i  firancosi  chiamarono 
wrdeliers  dalla  corda,  end' erano  cinti  (cfr.  il 
T.  92).  —  69.  e  eeru>  ecc.  e  per  certo  il  mio 
pensiero  sarebbe  stato  interamente  attaato. 

—  70. 11  gran  prete:  il  papa  Bonifazio  Vm. 

—  72.  e  come  ecc.:  rispetto  ai  rapporti  fta 
Ghiido  di  Montefeltro  o  Bonifazio  Vili  sono 
da  vedere  L.  Tosti,  Storia  di  BonifoMo  ¥111, 
Monte  Cassino,  1846,  voL  II,  pp.  268-281, 
e  il  D*  Ovidio,  pp.  53-66.  —  78.  Mentre  occ. 
Mentre  vìssi  nel  mondo,  allorchó  io  infor- 
mava di  me  il  corpo  generato  da  mia  ma- 
dre, le  mie  opere  non  furono  tanto  di  nomo 
forte,  qoanto  di  nomo  astato.  Quasi  tutti 
gli  antichi  cronisti  coogiongono  alle  lodi 
date  al  conto  Ooido  corno  nomo  di  guerra  il 
ricordo  delle  sae  singolari  astuzie:  basti  ri- 
cordare le  parole  dell'anonimo  astigiano  (Chr, 

in  Mar.,  iZcr.  ie.  XI 188)  ohe  lo  dice 


208 


DIVINA  COMMEDIA 


clie  la  madre  mi  die,  l'opere  mie 
75       non  fiiron  leonine,  ma  di  volpe. 
Gli  accorgimenti  e  le  coperte  vie 
io  seppi  tutte,  e  si  menai  lor  arte 
78       ch*al  fine  della  terra  il  suono  uscfe. 
Quand'io  mi  vidi  giunto  in  quella  parte 
di  mia  etade,  oye  ciascun  dovrebbe 
81        calar  le  vele  e  raccoglier  le  sarte, 
ciò  cbe  pria  mi  piacea,  allor  m' increbbe, 
e  pentuto  e  confesso  mi  rendei; 
84       ahi  miser  lasso!  e  giovato  sarebbe. 
Lo  principe  de' nuovi  farisei, 
avendo  guerra  presso  a  Laterano, 
87        e  non  con  saracin  né  con  giudei, 
che  ciascun  suo  nimico  era  cristiano, 
e  nessuno  era  stato  a  vincer  Acri, 
90       né  mercatante  in  terra  di  Soldano; 
né  sommo  ufficio  né  ordini  sacri 
guardò  in  sé,  né  in  me  quel  capestro 


<  upientlMlmTU  viroram,  fortis  et  largai,  et 
oallidiMlmns  in  bellando  »  e  l'anonimo  pisano 
iOrcn,  pisana  in  Mar.,  Ber,  iL  XV  965)  che 
raooonta:  e  Quando  U  detto  Conte  vadya 
Aure  di  Fiaa  oon  U  gente,  tonandoli  innanzi 
ona  cennamella,  li  fiorentini  fÉgglano  e  di- 
ceano:  eoeo  la  votp$l  ».  »  76.  €01  Meergi- 
menti  ecc.  Io  conobbi  tatto  le  maniere  di 
frode  e  d' inganno  e  seppi  cod  bene  eserd- 
tade  ohe  la  fama  se  ne  spaine  per  tatto  il 
mondo.  ~  78.  eh*  Al  tae  ecc.  :  bel  riscontro 
a  questo  yerso  formano  le  parole  del  Oom- 
pagni,  O.  n  88  :  e  del  baono  conte  Qoido  da 
Montefeltro,  di  coi  graziosa  fama  volò  per 
tatto  il  mondo  »,  e  anche,  rilera  il  Toiraca, 
IML  p.  27,  quelle  di  ona  lettera  del  ponte- 
fice Martino  IV  :  e  iam''  fere  terrarum  finse 
orbisque  anguli,  praecuirentibus  fsmae  reU- 
tibus,  agnoyerunt  »,  a  proposito  appunto  del 
Montefeltrano  :  del  resto  la  locuzione  dan- 
tesca d  tolta  di  peso  dalla  Bibbia  (AOm.  xnn 
4).  —  79.  Quando  eoo.  Quando  ftii  giunto 
all'età  senile,  nella  qaale  gli  uomini  devono 
prepararsi  a  ben  morire,  m' increbbero  le  fro- 
di di  cui  m'era  sino  iJlora  compiaduto,  e 
pentito  delle  mie  colpe  e  confessati  i  miei 
peccati,  mi  fed  monaco.  ~  80.  ere  elasean 
ecc.  :  efr.  Oonv.  iv  28  dove  Dante  esprime 
con  la  stessa  imagine  lo  stesso  concetto: 
«  oome  il  buono  marinaro  che,  come  esso  ap- 
propinqua al  porto,  cala  le  sue  vele  e  so*- 
▼emente  con  debile  oondadmento  entra  in 
quello  ;  cosi  nd  deremo  calare  le  relè  delle 
nostre  mondane  operazioni  e  tornare  a  Dio 
eon  tutto  nostro  intendimento  e  cuore  »  :  poi 


ricorda  alcuni  nobili  uomini,  1  quali  e  ealanm 
le  velo  delle  mondane  operaùoni,  ohe  nella 
loro  lunga  età  a  religione  d  renderò,  ogni 
mondano  diletto  e  opera  diponendo  »  e  tra 
esd  appunto  anche  il  conte  Guido  di  Mònt^ 
fdtro.  ^  88.  ■!  reftdelt  il  vb.  ttndtni (co- 
me il  proT.  u  rmàrt  e  il  fr.  ant.  mÀ  rmMì 
d  disse  assolutamente  nel  senso  di  Ihrd  tnim 
0  monaca;  oome  d  ha  dal  passo  del  Com. 
dt  nella  nota  al  t.  80  (un  antico  rimatore 
in  D'Ano.  L  402  dice  «  Ve*  oh'  io  m*nrendo 
e  fitcdo  altra Tita  »,  nd  senso  di:  Vedi  ch'io 
mi  fiwdo  monaca  ecc.).  —  86.  1.9  prlmdpe 
eoo.  Bonifiudo  Vm  pi^,  capo  degli  eode- 
siastid,  atendo  nd  1297  grande  oo&traeto 
oon  la  fiuniglia  O>lonnn,  che  ayera  le  sue 
case  In  Roma  presso  San  Giovanni  in  Lata- 
rano,  fece  porre  l'assedio  al  eastello  oolon- 
nese  di  Falestrina,  e  non  riuscendo  ad  otte- 
nerlo oon  la  fona  ricorso  agli  inganni:  ofìr. 
la  nota  al  r.  102.  —  87.  e  ■•■  een  saraela 
eoo.  •  non  od  nemid  della  religione  cristiana, 
ma  od  Cdonna,  ch'erano  cristiani  oome  tutti 
i  nemid  di  Bonifado  Vm  ;  nessuno  dd  quali 
era  dèi  earaceni  conquistatori  di  Acri  né  dd 
giudd  meroanteggianti  nd  paed  d*  Oriento. 
~  89.  a  Tineer  Aerlt  allude  alla  presa  di 
Acri,  ultimo  posooseo  dd  cristiani  in  Terra- 
santa,  caduto  in  mano  d  saraceni  nd  1291. 
~  91.  ■<  somali*  uffide  eoo.  non  ebbe  ri- 
guardo alla  dignità  del  suo  dto  uffldo,  né 
alla  sua  qualità  di  ministro  della  religione, 
nò  all'orbe  firancescano  da  me  professato. 
—  92.  capestr*  ecc.  :  è  e  l'umile  capestro  > 
della  religione  fhuiooscaaa  (Av.  zi  87),  cbe 


INFERNO  -  CANTO  XXVH 


209 


93        che  solea  fax  li  suoi  cinti  più  macrL 
Ma  come  Costantin  chiese  Silvestro 
dentro  Siratti  a  guarir  della  lebbre, 
96       cosi  mi  chiese  questi  per  maestro 
a  guarir  della  sua  superba  febbre: 
domandommi  consiglio,  ed  io  tacetti, 
99       perché  le  sue  parole  parver  ebbre. 
E  poi  mi  disse:  'Tuo  cor  non  sospe^; 
finor  t'assolvo,  e  tu  m'insegna  ùae 
102       si  come  Penestrino  in  terra  gettL 
Lo  ciel  posa' io  serrare  e  disserrare, 
come  tu  sai;  però  son  due  le  chiavi, 
105       che  il  mio  antecessor  non  ebbe  care  '• 
Allor  mi  pinser  gli  argomenti  gravi 
là  "ve  il  tacer  mi  fu  avviso  il  peggio. 


mei  primi  tsinpi  di  qii06t*ordin6  eiE  stato  yoxo 
■imbolo  dall'amoro  alla  poreità  (efr.  I^tr,  xa 
132).  —  94.  ■fteomeCoftaatimMo.  La  leg- 
genda della  oonreniono  dell'  impexatore  Co- 
itutìno  per  opera  di  papa  SilTestro  I,  dìffoia 
■oìtiiirimo  nel  medioevo  (efr.  A.  Qraf,  Berna 
mdU  mtmoris  §  neOa  immaginaxioni  del  m»- 
AoNo,  Torizu),  1882-83,  ToL  n,  pp.  81  e  segar.), 
h  octi  riaasanta  dall'An.  fior.:  cOostantlno 
imperatore,  infennato  della  lébbra,  et  détto- 
gjQ  i  medio!  di'e^  fMiease  luo  bagno  di  san- 
goe  di  fandiilli  et  iri  si  larasse,  et  presi 
Bdti  fimciiilli  le  madri  loro  gridando  et  pia- 
gnendo, fti  dimandato  per  Goetantino  della 
agione,  et  sapnto  eh*ogli  l'ebbe,  non  volle 
per  pietà  ehe  questo  si  fìioesse,  dicendo:  *  Io 
voglio  innanzi  morire  '.  Fa  aooetta  a  Dio  la 
soa  pietà:  la  notte  di  poi  g^  apparve  san 
Pietro  et  san  Paolo  et  dissongli  ob'egli  man- 
dssse  a  Biratti,  oh'eia  nna  montagna  presso 
a  Boma,  per  «anto  Silvestro  papa,  et  oh'egli 
il  gnarrsibbe.  Santo  Silvestro  In  qneUa  mon- 
tagna in  Boma  era  nascoso  per  panra  della 
persecoziQne,  òhe  si  ftosa  contro  a*  cristiani  : 
onde  finalmente  Oostantino  ebbe  santo  Sil- 
vestro, et  elli  il  battezzò  ;  et  subito  goaii 
deDa  lebbra  et  credette  in  Cristo  >.  —  96. 
Slrattl:  Monte  Soratte,  oggi  Sant'Oreste, 
nella  Sabina,  non  molto  Inngi  da  Boma.  — 
96.  Maestre s  medico;  che  in  tatti  i  nostri 
sotidd  ai  medici  si  trova  dato  il  titolo  di 
nuMstro.  —  97.  svyerl^a  febtee:  desiderio 
d'abbassare  i  nemici:  si  ricordi  dò  ohe  il 
gneUò  e.  Villani,  Or,  vm  64,  disse  di  Boni- 
liu&o  vm  :  e  molto  ta  altiero  e  snperbo  e 
sodale  contro  a'  saoi  nlmid  e  avversari  >. 
—  99.  ebbre  X  scoaveaionti  alla  soa  dignità, 
p«oh6  moase  da  un'ebbrezza,  da  una  brama 
nperba.  —  108.  Penestrlnet  Palestrina, 
Outntm  I^ramutHmimf  luogo  dei  Golonna, 
sorgeva  nel  territorio  dell'antica  PratnMte, 

Piirra 


e.  TiUani,  CV.  vm  28  racconta  nel  1298, 
«  essendo  trattato  d'accordo  da  pi^  Bonifa- 
zio a'  Odonnesi,  i  detti  Oolonnesi  chnioi  e 
laici  vennero  a  Bieti  ov'era  la  corte,  e  git- 
tftrsi  a  piò  del  detto  papa  alla  misericordia, 
il  qoale  perdonò  loro  e  assolvettog^  della 
scomunicazione,  e  volle  gli  rendessono  la  città 
di  Pilostrino,  e  cosi  fedono,  promettendo  loro 
di  rìstituirgli  in  loro  stato  e  dignità;  la  qual 
cosa  non  attenne  loro,  ma  fece  didìue  la 
detta  città  di  Pilesttino  del  poggio  e  fortena 
ov'era,  e  fèoene  rifSue  una  terra  al  piano, 
alla  quale  puoee  nomo  Civita  Papale:  e  tutto 
questo  trattato  falso  e  frodolente  fece  il  pi^ 
per  consiglio  del  conte  da  Montefeltro,  allora 
finte  minore,  ove  gli  disse  la  mala  parola  : 
hmgapnmBaaa  wiWaUmdtr  corto  >  :  a  raccon- 
to dantesco,  seguito  dal  Villani,  è  confiarmato 
da  altri  cronisti  contemporanei,  come  F.  Pi- 
pino, OAr.  zzz  41  in  Mur.,  B»r,iLU,  741, 
e  F.  Ftorreti,  HisL  rerum  in  SaKa  geoL  ivi, 
EC  969-971.  n  D*  Ovidio,  pp.  66-66,  68-75, 
685-646,  ha  sostenuto  che  U  fletto  ta  inven- 
tato da  Dante  e  ohe  non  solo  non  aocaddo, 
ma  neppur  ne  corse  la  voce  al  tempo  dol 
poeta;  ma  i  suoi  argomenti  non  sono  abba- 
stanza vaUdi,  cfir.  BulL  IX  68-68.  —  108. 
Lo  dal  ecc.  :  of^.  Inf,  zs  92.  »  105.  ehe 
U  mio  ecc.:  si  noti  l'accenno  delicato  e  ri- 
spettoso a  Celestino  V,  predecessore  di  Bo- 
nifario  VHI;  indirio  ohe  Dante,  pur  rico- 
noscendone la  debdesa,  giudicasse  favore- 
volmente di  quel  santo  uomo,  ohe  aveva  tro- 
vato tra  gli  oeiauraU  ehe  mai  non  fUr  vM  del 
vestibolo  infernale  (cfir.  la  nota  ali*  Jn^  nx 
59).  Altri  credono  che  queste  parole  conten- 
gano una  «  feroce  ironia  »,  ohe  sulle  labbra 
di  Bonifario  Vm  sarebbe  fuor  d'  ogni  pro- 
posito in  questo  segreto  cdloquio  con  Guido. 
— 106.  Allor  mi  pinser  eco.  Le  ragioni  del 
pi^  mi  trassero  all'  idea  che  fosse  peggio  di- 

14 


210 


DIVINA  COMMEDIA 


108        e  dissi:  'Padre,  da  ohe  tu  mi  lavi 
di  quel  peccato,  ov'io  mo  cader  deggio, 
lunga  promessa  con  l'attender  corto 
111       ti  &rà  trionfar  nell'alto  seggio  '. 

Francesco  venne  poi|  com'io  fui  morto, 
per  me,  ma  un  de' neri  cherubini 
114        gli  disse:  'No'l  portar,  non  mi  far  torto; 
venir  sen  dèe  là  giù  tra'  miei  meschini, 
perché  diede  il  consiglio  frodolente, 
117        dal  quale  in  qua  stato  gli  sono  a' crini: 
ch'assolver  non  si  può,  chi  non  si  pente, 
né  pentére  e  volere  insieme  puossi, 
120       per  la  contradizion  che  no  '1  consente  '. 
0  me  dolente!  come  mi  riscossi, 
quando  mi  prese,  dicendomi  :  '  Forse 
123        tu  non  pensavi  ch'io  loico  fossi'. 
A  Minos  mi  portò;  e  quegli  attorse 
otto  volte  la  coda  al  dosso  duro, 
126        e,  poi  che  per  gran  rabbia  la  si  morse. 


•oliMdir  Ini  ohe  dare  un  mal  consiglio.  — 
110.  liBga  prontiM  ecc.  promottondo  molto 
e  mantenendo  poco,  trionferai  dei  taoi  nemid. 
F.  Pipino,  L  dt,  riferisce  il  consiglio  in 
svesta  forma:  cFloiima  eis  [ai  Golonna] 
poUicemini,  panca  òbeerrate  »,  ohe  sembra 
esser  più  proesimo  al  modo  riferito  dalla  voce 
pubblica;  mentre  in  Dante  il  consiglio  assn- 
me  nna  forma  stodiatamente  sentenxiosa. 
•^  112.  Fraaeeieo  Tenne  poi  ecc.  n  conte 
Onido  trapassa  dalla  confessione  del  peccato 
in  onl  lo  trasse  il  papa  alla  descrizione  del 
contrasto,  che  per  il  possesso  dell'anima  soa 
intervenne  dopo  la  morte  di  Ini  tra  san  Fran- 
ceeoo  e  nn  diavolo.  L' idea  di  questo  contra- 
sto e  dell'altro  fra  un  angelo  e  nn  diavolo 
per  l'anima  di  Bnonconte  di  Montefeltro  (Iharff, 
V  88-129)  venne  certamente  a  Dante  dalle 
imaginaeioni  medioevali  svoltesi  popolaimen- 
te  intomo  al  dualismo  fra  il  prindpio  del 
bene  e  quello  del  male;  dualismo  a  cui  la 
fantasia  dd  volghi  cristiani  d  piacque  di  dare 
forme  concrete  inventiuido  battaglie,  disputa- 
doni,  prooesd  tra  angeli  e  diavoli,  divenuti 
presto  e  rimasti  lungamente  una  delle  mate- 
rie predilette  nella  letteratura  popol^oe.  Dan- 
te^ con  flnisdmo  sentimento  dell'arte  sua  ve- 
ramente umana  e  medioevale,  non  disdegnò 
cotesto  imaginazioni  delle  plebi,  ma  le  ridusse 
e  contenne  entro  lìmiti  ben  ristretti,  appena 
accennando  ai  contrasti  che  nella  letteratura 
dd  popolo  avevano  già  avuto  ai  suoi  tempi 
cod  ampio  svolgimento  (cfir.  su  questa  materia 
il  bel  lavoro  di  F.  Roediger,  Chntrasti  anti- 


eH  OKdo  «  Satana,  Firenze,  1887).  —  US. 
■eri  clienMils  i  diavoli  sono  rappresontati 
in  figura  d'uomini  dal  corpo  nero  nelle  pid 
antidke  leggende  cristiane,  e  Giacomino  da 
Verona  nd  poemetto  D»  BabUoma  cwitaU 
infernali  (pubbL  da  A.  Mussafla,  MomumUi 
di  anUehi  dialdU  ikU,,  Vienna,  1864)  U  ima- 
gina  cento  volte  più  neri  dd  carbone  :  ofir. 
Jnf,  rsm  181.  —  116.  aiesdilBli  servi; 
cfr.  ih/,  iz  48.  — 118.  Miolver  ecc.  non  può 
essere  assolto  chi  non  ò  pentito;  e  non  pud 
essere  nello  stesso  tempo  il  pentimento,  doò 
volontà  di  non  peccare,  e  la  volontà  di  pec- 
care, che  sono  due  termini  contiaditfcoriL  Si 
noti  questo  particolare  dd  disvdo  «dona- 
tore, il  quale  poi  più  innanzi  (v.  128)  d  dà 
vanto  di  buon  krìeOf  ohe  è  flintada  conforme 
a  quelle  delle  leggende  popolari:  invece  nd 
Oonv,  m  18,  condderando  la  questione  secon- 
do intendimenti  sdentifid.  Dante  afferma  ohe 
e  le  Intelligenze  che  sono  in  esilio  della  su- 
perna pace»,  doè  i  diavoli,  e  filosofare  non 
possono  perd  che  amore  è  in  loro  dd  tutto 
spento,  e  a  filosofare  è  necessario  amore  ». 
—  128.  loieo  !  logico,  capace  di  ragionare  se- 
condo filosofia  una  qualdad  questione.  — 
124.  ▲  Minoi  eoo.  :  il  giudice  infernale  desi- 
gna il  cerchio  cui  vud  mandare  ogni  anima 
dngondod  più  volte  con  la  coda  ;  per  il  oonte 
Guido  indicò  il  cerchio  di  Hdebdge  avvol- 
gendola otto  volte  intomo  al  doeso  duro,  e 
poi  gli  assegnò  come  proprio  luogo  la  bolgia 
ottava  con  le  parole  oh'  d  disse  :  Questo  è 
uno  dd  condannati  a  esser  rivestiti  di  vivi^ 


INFERNO  —  CANTO  XXVII 


211 


disse:  < Questi  è  de* rei  del  foco  furo*: 
per  ch'io  là  dove  vedi  son  perduto, 
129       e  si  vestito  andando  mi  ranouro  ». 

Quand'egli  ebbe  il  suo  dir  cosi  compiuto, 

la  fiainma  dolorando  si  partiO| 

132       torcendo  e  dibattendo  il  corno  acuto. 

Noi  passammo  oltre,  ed  io  e  il  duca  mio, 

su  per  lo  scoglio  infino  in  su  Paltr'arco 

ohe  copre  il  fosso,  in  che  si  paga  il  fio 

136    a  quei  che  scommettendo  acquistan  carco. 


—  127.  fo«o  ftarot  cfr.  tnf.  xxvi 
4L  —  129.  e  9Ì  T«ttlt«  eoo.  lofEro  Q  tor- 
Moto  di  cftmmmare  inyolto  in  qaesto  ftiooo. 
—  al  rasevre:  Chiaro  Daranzati,  dt  dal 
Tonaca  :  e  Di  ciò  pensando,  temo  e  mi  r&n- 
coro  ».  —  182.  11  eorae  aeato:  la  ponto 
deUa  fiamma  (cfr.  ]m(.  zxn  86,  88).  —  ISA. 


■a  per  le  leogllt  eoe  en  por  lo  scoglio,  lln- 
ohó  d  trorammo  sol  ponto  ohe  attrsTersa  la 
bolgto  nona.  —  136.  qvel  ehe  eoo.  coloro  ohe 
peccano  promovendo  discordie  dvili  e  reli- 
giose. —  seommettendo:  il  rb.  toommstUre 
significa  dividere,  separare,  il  contrario  doò 
di  oommUtn^  oongiungere,  nnire. 


CANTO  xxvm 


Dal  ponte  della  nona  bolgia  Dante  e  Virgilio  osservano  lo  strazio  dei 
promotori  di  discordie  civili  e  religiose,  i  quali  sono  continuamente  feriti 
di  spada  da  un  demonio:  poi  si  manifestano  loro  alcuni  dannati,  Maometto, 
Pietro  da  Medicina,  Mosca  Lamberti  e  Bertrando  de  Born,  che  parlano  di 
•è  e  d'altri  compagni  (9  aprile,  a  un'ora  pomeridiana,  circa]. 

Chi  porla  mai  pur  con  parole  sciolte 
dicer  del  sangue  e  delle  piaghe  appieno, 
3        ch'i' ora  vidi,  per  narrar  più  volte? 
Ogni  lingua  per  certo  verrla  meno 
per  lo  nostro  sermone  e  per  la  mente, 
G        e' hanno  a  tanto  comprender  poco  seno. 
S'ei  s'adunasse  ancor  tutta  la  gente, 

xxvm  1.  Chi  porfa  ecc.  Accingendosi 
a  descrivere  lo  spettacolo  che  gli  apparve 
nel  fondo  della  nona  bolgia,  Danto  non  dis- 
liarala  la  difSooltà  dell'  argomento,  tratton* 
doò  di  lappreeentare  lo  strazio  orribile  che 
delle  membra  dd  promotori  di  discordie  fii 
on  diavolo  a  dò  depntoto  ;  e  con  opportnne 
Tiaembranse  virgiliane  s'apre  la  via  a  di- 
eUsnue  che  nessuna  strage  torrena  potrebbe 
render  imagine  di  qnella  che  gli  d  ofErf  allo 
agiiardo  in  questo  parto  di  Malebolge.  Su 
9«sto  passo  e  sa  quello  dell'In/',  xxxu  1  e 
MOfg,  sono  da  vedere  aloone  oondderazioni 
e  xisoontri  di  G.  Galvani,  Ltxitmi  aecadtmi' 
e^  Modena,  1840,  voi.  H,  pp.  8  e  segg.  ~ 
cea  parole  sciolte  s  con  una  descrizione  in 
prosa,  le  coi  parole  sono  libere  dalle  leggi 
della  poeda,   sono  <  vexba  solato  modis  > 


(Ovidio,  Trist,  nr  10,  24).  —  2.  dieer  ecc.  : 
cfr.  Virgilio,  E>n,  n  861  :  «  Qois  dadem  il- 
lios  noctis,  qois  Itinera  fando  Explioet,  ant 
possit  lacrymis  acquare  labores?  ».  —  8.  per 
narrar  pltf  volto:  per  quanto  tontasse  più 
volto  lo  stesso  argomento,  rifacendo  la  pro- 
pria narrazione  e  migliorandola  con  ripetuto 
prove  di  vincer  la  difficoltà  della  matoria.  ~ 
4.  Ogni  lingua  ecc.  :  cfr.  Virgilio,  JSH.  vi 
625  :  <  Non,  mihi  si  linguae  centom  dnt,  ora- 
que  contnm,  Ferrea  vox,  omnis  soelomm  com- 
prendore  formas,  Omnia  poenarum  percurrere 
nomina  possim  ».  —  verrfa  meno:  sarebbe 
inferiore  al  bisogno,  perché  le  lingue  e  gli 
intelletti  umani  non  hanno  capadtà  suffldento 
alla  rappresentazione  di  uno  spettacolo  cosi 
singolare.  —  7.  8'el  s'adunasse  eoo.  Se 
tntti  gli  uomini  caduti  nelle  pugne  combat- 


212 


DIVINA  COMMEDIA 


12 


16 


18 


che  già  in  su  la  fortunata  terra 

di  Puglia  fu  del  suo  sangue  dolente, 

per  li  troiani  e  per  la  lunga  guerra 
ohe  dell'  anella  fé'  si  alte  spoglie, 
oome  Livio  scrìve  che  non  erra, 

con  quella  che  senti  di  colpi  doglie, 
per  contrastare  a  Boberto  Guiscardo, 
e  l'altra,  il  cui  ossame  ancor  s'accoglie 

a  Ceperan,  là  dove  fu  bugiardo 
ciascun  pugliese,  e  là  da  Tagliacoazo, 
dove  senz'arme  vinse  il  vecchio  Alardo; 

e  qual  forato  suo  membro,  e  qual  mozzo 
mostrasse,  da  equar  sarebbe  nulla 


tate  neU'  Italia  meridionalo  dal  tempi  delle 
(piene  sannitiohe  e  cartagineil  a  quei  della 
gaerre  nonnanne  •  angioine  foeaero  iniiemo 
raccolti  a  far  mostra  doUe  loro  ferite,  non 
darebbero  nn'  idea  adegnata  della  strage  Te- 
data  nella  nona  bdgìa.  —  8.  fortunata  t  ofr. 
Inf,  TTTT  116.  —  9.  Pnglla  :  non  d  indicata 
la  provincia  romana  tra  l'Adriatioo  e  l'Apen- 
nino,  ma  tatto  il  reame  di  Napoli,  come  in 
Pwrg,  yn  126.  —  fk  del  ino  taagie  ecc. 
seno  il  d(dore  delle  ferite  riportate  combat* 
tendo  le  gaerre  sannitiche  (343-290  a.  C.)» 
per  le  qoali  i  romani,  discesi  dai  troiani  Te- 
nati  in  Italia  con  Enea,  esteeero  la  loro  si- 
gnoria soli'  Italia  meridionale  (cf^.  Livio,  x 
9  e  aegg.),  e  le  gaerre  cartaginesi  (264-146 
a.  0.),  nella  seconda  delle  qnali  accadde  la 
battaglia  di  (?anne,  ove  perirono  molte  mi- 
glila di  soldati  romani  (cf^.  livio,  zxn  26). 
Yedansi  Hoore,  1 275  e  P.  Toynbee,  Rie.  1 18. 
^  U.  che  deU'  anella  eoo.  allnde  al  fatto 
narrato  da  livio,  zxm  7, 12  e  ricordato  anche 
nel  Ceno,  ir  6,  ohe  delle  anella  d' oro  tratte 
dalle  dita  dei  romani  cadati  a  Canne  Anni- 
baie  Cftcesse  nn  carnaio  di  parecchio  moggia. 

—  18.  «iella  ehe  senti  eco.  i  saraceni  ca- 
dati nelle  gaerre  sostenate  contro  Boberto 
(hiisoardo  daoa  di  Paglia  e  di  Calabria  (1069- 
1084),  ehe  li  cacdd  dall'  Italia  meridionale  : 
cfr.  Poar,  xvm  48.  n  D'Ovidio,  p.  883,  pre- 
ferisce di  credere  che  Dante  accenni  «  a  tatto 
insieme  le  gaerre  che  il  (3aiscardo  ebbe  a 
combattere  per  insignorirsi  della  Paglia». 

—  16.  e  raltra  ecc.  gl'italiani,  i  fhuicesi  e 
i  tedeschi  morti  nelle  gaerre  angioine,  le 
qoali  cominciarono  noi  gennaio  del  1266,  qnan- 
do  Carlo  I  d-  Angiò  invase  il  regno  di  Napoli 
avendo  avoto  libero  il  passo  di  Coprano,  eb- 
bero il  pnnto  oolminante  nella  battaglia  di 
Benevento  (cfr.  Pu>rg.  m  118),  e  finirono  con 
la  battaglia  di  Tagliacozzo  del  23  agosto  1268, 
per  la  qnale,  sconfitto  Corradino  nltimo  della 
casa  sveva,  il  regno  rimase  alla  casa  an- 


gioina. —  16.  a  Gepem  eoo.  A  Oepnno^ 
sol  flome  litri,  d  il  ponte  dw  nel  medioevo 
era  tonato  oome  la  porta  del  regno  di  Na- 
poli: dicesi  ohe  i  baioni  poglieei,  ohe  T'o- 
rano alla  goardia  contro  Cado  I  d'Angìd, 
e  spedalmente  i  conti  d' Aquino,  sd^^natz 
contro  Manfredi  par  private  cagioni,  lasciaa- 
sero  libero  il  passo  ai  nemici  ;  i  qnali  oos£ 
invasero  il  regno  e  s'impossessarono  di  Bocca 
d'Arce,  di  San  (fermano  e  di  Ce^na  costrin- 
gendo Manfredi  a  ritirani  sn  Benevento;  ove 
poi  lo  sconfissero  poco  dopo  (cfr.  Saba  Mala- 
spina,  m  1  in  Mar.,  Rtr.  iL  YID;  Tolomeo 
da  Lacca,  Aimales  in  Mar.,  Bar,  iL  XI 1284  ; 
Cr.  Villani,  O.  vn  6  e  segg.  ;  Salimbeno  da 
Parma,  Chr.  pp.  246  e  segg.  eoe).  Si  Teda 
il  Bassermann,  pp.  264,  680  e  si  aggiunga 
che  Dante  dovette  pensate  anche  ai  morti 
nella  battaglia  di  Benevento,  che  Airone  mol- 
tissimi (cfr.  Ihirg.  in  118),  mentre  il  passo 
di  Coprano  fti  dagli  Angioini  oocnpato  aenza 
spargimento  di  sangne.  —  17.  là  da  Ta- 
f  llaeoszo  eoe  :  la  battaglia  di  Tagliaoozzo, 
che  segnò  l' ultima  rovina  degli  Svevi,  par- 
ve da  principio  fovoievole  a  Corradino  ;  se 
non  che  ai  ghibellini,  disperai  per  il  oampo 
noli'  esultanza  della  vittoria,  piombò  addosso 
d'improvviso  ona  schiera  angioina,  taanta 
in  riserva  per  saggMimento  di  Alardo  di  Va- 
léry, ginnto  da  poco  all'  esercito  di  Cario  I, 
la  qnale  li  mise  in  rotta  e  mntò  le  sorti  della 
giornata  (cfr.  Saba  Malaspina,  iv  8  e  togg. 
in  Mar.,  Ber,  iL  Vm  ;  G.  Villani,  Or,  vn 
20  e  segg.  ;  Salimbene,  Chr.  pp.  24S  e  segg.). 
Per  il  laogo  della  battaglia,  si  veda  il  Bas- 
sermann, pp.  265-266,  il  qnale  crede  che  là 
da  Tagl.  significhi  al  di  là  di  Tagl.^  cioè  il 
pnnto  onde  sbnoò  la  riserva  angioina,  tona- 
tasi nascosta  dietro  il  Monte  San  Felice. 
~  19.  e  qnal  forato  oco.  e  parte  mostras- 
sero le  membra  ferite  oon  oolpi  di  punta, 
parte  le  membra  ferite  con  oolpi  di  taglio. 
—  20.  da  eqnar  ecc.  non  sarebbe  noUa  da 


INPERNO  -  CANTO  XXVHI 


213 


21       il  modo  della  nona  bolgia  soeso. 
Già  yeggia,  per  meszul  perdere  o  luUa, 
com'io  yidi  un,  cosi  non  si  pertugia, 
24       rotto  dal  mento  infin  dove  ai  trulla: 
tra  le  gambe  pendeyan  le  minugia; 
la  corata  pareva  e  il  insto  sacco 
27        che  merda  fa  di  quel  che  si  trangugia. 
Mentre  che  tutto  in  lui  veder  m'attacco, 
guardommi  e  con  le  man  s'aperse  il  petto, 
80       dicendo  :  €  Or  vedi  come  io  mi  dilacco, 
vedi  come  storpiato  ò  Maometto; 
dinanzi  a  me  sen  va  piangendo  AH, 
83       fesso  nel  volto  dal  mento  al  ciuffetto: 
e  tutti  gli  altri,  che  tu  vedi  qui, 
seminator  di  scandalo  e  di  scisma 
SG       fCUr  vivi,  e  però  son  fessi  cosi 

Un  diavolo  è  qua  dietro  che  n'acclama 
si  crudelmente,  al  taglio  della  spada 
80        limettondo  ciascun  di  questa  risma, 
quando  avem  volta  la  dolente  strada; 


fmggbra  lA  tinge,  non  Mrébbe  d*  pai»- 
sonar*  alla  strage  orribile  che  ai  rodeva 
Bada  nona  bolgia  :  il  vb.  equar»  fa  certo  eng- 
fntto  a  Dante  dai  Tersi  di  Virgilio  dt.  nella 
Mta  al  T.  2.  —  22.  Ctlà  Teggla  eoo.  Inoo- 
■ÌBciaiido  a  deeorirere  gli  atrazSati  della  nona 
Mgia  il  poeta  dice  d*  averne  vedato  uno, 
spaeeato  por  il  hmgo  dal  mento  sino  all'ano 
«  aperto  più  che  non  aia  una  botte  alla  qnale 
na  flato  tolta  nna  parte  del  fondo.  La  simi- 
litsdine,  nota  O  Venturi  888,  è  «  intralciata 
mOa  costrozioDe,  e  nn  po'  oacnra  nelle  pa- 
role ftiane  »  :  ma  intesa  a  dovere  rende  bene 
l'iaagine  di  quello  stradato,  con  tratti  di 
•fflcaoe  realtà.  —  teggla:  botte;  voce  ar* 
eiioa  rimasta  viva  in  qualche  dialetto  del- 
^  Italia  soperiore,  ma  delia  quale  si  hanno 
aaehe  esempi  toscanL  —  aezzvl...  Ivlla  : 
Una:  e  è  da  sapere  che  li  fondi  delle  botti 
xmo  di  tre  petzi  :  quello  di  mexzo  è  detto 
"Msnib,  e  li  estremi  hanno  nome  Mte  ».  — 
^.  deve  11  traila:  cfr.  la  chiosa  di  Benv. 
aU'in/;  ZZI  187.  —  25.  le  Mtaagia:  le  bu- 
^  Tadte  per  la  ferita,  lat  mirmtia  (Dies 
886X  »  26.  la  cerata  eco.  si  vedeva  la  co- 
iati, doè  il  cuore,  il  fegato  e  la  milza,  e  il 
«oeo  dello  stomaco  e  dell'  intestino,  ove  ha 
hiogo  la  trasformazione  degli  alimenti  in  e- 
KrensntL  —  28.  ai'attaeeex  m'affisso,  mi 
^  ooB  molta  attenzione  di  sguardo.  —  90. 
■i  dilaeeos  sono  squarciato,  spaccato.  — 
31-  TtA  eoe.  Io  cosi  straziato  sono  Hao- 
■Kto  :  è  il  fondatore  deQ'  Islamismo,  nato 
«Uà  leeoa  nel  660  •  morto  a  Medina  nel 


688  d.  0.,  il  quale  con  le  sue  dottrine  pro- 
mosse una  nuova  divisione  religiosa  tra  i 
popoH  della  terra.  —  82.  Ali:  Ali  Ebn  Ahi 
Talib,  parente  e  seguace  di  Maometto,  nato 
nel  697  e  morto  nel  660,  discordando  in  al- 
cuno dottrine  dal  maestro  fondò  una  nuova 
setta  religiosa  e  seminò  oosf  germi  di  dissen- 
sione fra  i  maomettani.  —  88.  fesso  ael  vette 
ecc.  spaccato  nella  focda  dal  mento  alla  fron- 
te. —  84.  e  tatti  eco.  tutti  i  nostri  compa- 
gni frirono  nel  mondo  promotori  di  discordie 
civili  (aeandato)  o  di  dissensioni  religiose  (aet- 
sma)]  però  sono  cosi  spaccati  e  divisi.  — 
87.  Un  diavolo  ecc.  Qua  dietro  a  noi  è  un 
diavolo,  cho  ci  concia  a  questo  modo  tutte 
lo  volto  che,  compiuto  un  giro  per  il  fondo 
della  bolgia,  ripassiamo  dinanzi  a  lui.  —  qaa 
dietro  :  in  un  punto  della  bolgia,  ohe  a  ca- 
gione del  corso  circolare  di  essa  Dante  e  Vir- 
gilio non  potevano  vedere.  —  acelsaia:  in 
quale  significato  sia  usato  qui  il  vb.  aeoi- 
wmare  non  è  ben  chiaro  :  il  Lana  lo  spiega 
nel  senso  di  piagare  e  11  Buti  in  quello  di 
dividere  o  tagliare;  Benv.  invece  lo  intende 
detto  per  adomare  («  exomat  et  polit  noe  >), 
avvicinandosi  cosf  all'  opinione  dei  moderni, 
i  quali  ricollegano  Vaeeimnare  dantesco  al 
prov.  axeamar  e  al  fr.  ant.  aeemury  nel  senso 
di  adomare,  azzimare  (Ci.  Galvani,  Lexioni 
accademiche^  voi.  U,  pp.  86  o  segg.)  o  in 
quello  di  acconciare,  accomodare .(  cfr.  Nan- 
nucd,  V9rbi  81,  Diez  128,  724  e  Parodi,  BuU. 
m  96).  ^  88.  rliMtteaia  eoo.  sottoponendo 
di  nuovo  ciascuno  di  noi  al  taglio  della  spa> 


214 


DIVINA  COMMEDIA 


però  che  le  ferite  son  ricliiuse 
42        prima  ch'altri  dinanzi  gli  rivada. 
Ma  tu  chi  se*  che  in  su  lo  scoglio  muse, 

forse  per  indugiar  d*ire  alla  pena, 
45       oh*  è  giudicata  in  su  le  tue  accuse?  > 

<  Né  morte  il  giunse  ancor,  né  colpa  il  mena, 
rispose  il  mio  maestro,  a  tormentarlo; 

48       ma  per  dar  lui  esperiensa  piena, 
a  me,  che  morto  son,  convien  menarlo 
per  lo  inferno  qua  giù  di  giro  in  giro: 
51        e  questo  è  ver  cosi  com'  io  ti  parlo  ». 
Più  fCLr  di  cento  che,  quando  l'udirò, 
s'arrestaron  nel  fosso  a  riguardarmi, 
54        per  marayiglia  obbliando  il  martiro. 

<  Or  di'  a  fra  Dolcin  dunque  che  s'armi, 
tu  che  forse  vedrai  il  sole  in  breve, 

57        s'egli  non  vuol  qui  tosto  seguitarmi, 
si  di  vivanda  che  stretta  di  neve 
non  rechi  la  vittoria  al  noarese, 


d*,  ogni  ToUa  ohe  abbU  oompinto  il  giro 
dicoUre  della  bolgia.  —  41.  però  eco.  poi- 
ché dorante  questo  giro  le  nostre  ferite  si 
rimarginano.  —  43.  Ma  (a  eki  eoo.  Maometto 
non  ■'  accorge,  come  altri  dannati,  che  Dante 
sia  FÌTO  (ofr.  JH/l  xxvn  61)  e  lo  crede  on'a- 
nima  indngiatan  sol  ponte  della  bolgia  per 
isfoggire  ancora  per  un  poco  alla  pena  asse- 
gnatale da  Hinos.  —  mese:  il  vb.  musare 
esprime  V  atto  proprio  di  chi  goarda  tenendo 
il  muso  verso  una  data  cosa  o  persona  ;  tolta 
l'imagine  da  certi  animali,  come  le  rane  che 
guardano  sporgendo  in  fuori  il  muso  (cfr.  Pa- 
rodi, BuU.  lU  153).  —  d6.  eh' è  glodlcaU 
ecc.  :  li  ricordi  ohe  Minos  pronunzia  le  sue 
sentenze  dopo  ohe  i  poocatorì  si  sono  confes- 
sati delle  loro  peccata  ;  cfr.  Inf,  v  7-15.  — 
46.  Ké  morte  ecc.  Virgilio  interviene  a  di- 
singannare Maometto  sul  conto  di  Dante,  di- 
cendogli eh'  egli  d  ancora  viro  e  che  nessuna 
colpa  lo  porta  ai  tormenti  ecc.  :  cfr.  Inf»  xn 
85  e  segg.  ~  50.  di  giro  la  gire:  di  cer- 
chio in  cerchio  :  cft".  Inf.  x  4,  xvi  2.  —  52. 
Pii  tkt  di  e«Bto  ecc.  :  si  paragoni  la  mera- 
viglia dì  questi  dannati  con  quella  delle  ani- 
me del  pargatorio  {Pufrg,  n  67-75).  —  54.  per 
maraTiglia  ecc.  Questi  dannati  li  fermano 
dimentichi  della  pena  inflitta  loro;  le  anime 
penitenti  si  fermano  e  quasi  obbliando  d'ire 
a  farsi  beUe  >  {Pwrg,  n  75).  —  55.  Or  df'  a 
fra  Dolela  ecc.  Tu,  che  presto  tornerai  su 
nel  mondo,  fa  sapere  a  fra  Dolcino  che,  s'e- 
gli non  vuol  venir  presto  a  raggiungermi,  si 
provveda  tanto  largamente  di  vettovsglie  che 


una  grande  nevicata  non  dia  ai  novaresi 
quella  vittoria  che  altrimenti  sarebbe  difficile 
a  ottenere.  —  fra  Doleia  t  Dolcino  da  Ro- 
msgnano  novaroee,  discepolo  4ol  parmigiano 
Gherardo  Segalelli  fondatore  della  sotta  reli- 
giosa degli  Apostoli  0  fratelli  i^ostolici,  al- 
lorché il  maestro  fu  arso  vivo  nel  1296,  si 
mise  alla  testa  di  questa  setta  e  predicando 
la  carità  e  la  comunanza  dei  beni  e  delle 
donne  raccolse  molti  proseliti  nel  Trentino  e 
nei  territori  di  Brescia,  Bergamo  e  Como: 
contro  Dolcino  fu  bandita  una  crociata,  ed 
egli  dopo  aver  resistito  per  pid  di  due  anni 
nella  Valsosia  con  l' aiuto  dei  eonti  di  Bian- 
drate,  nel  1306  si  ridusse  con  cinquemila  se- 
guaci sopra  il  Monte  Zebello  nel  biellese,  vi 
si  fortiflcò  ed  oppose  ancora  una  vigorosa 
resistenza  sulle  forti  posizioni  occupate  ;  ma 
per  la  mancanza  di  vettovaglie  e  per  la  ca- 
duta grande  di  neve  fti  costretto  ad  arren- 
dersi il  26  marzo  1807,  e  pochi  mesi  dopo  fu 
giustiziato  insieme  coi  capi  della  setta  (cfr. 
Hiataria  Duloini  haeregiarehaé  in  Mur.,  Bar, 
U.  IX  429-460;  C.  Morbio,  PnpMta  di  mi 
nuonssimo  commmUo  per  eia  eh$  riguorda  la 
storia  novarese,  Vigevano,  1883,  pp.  9-20; 
C.  Baggiolini,  Doleino  e  %  PtUamU^  Novara, 
1888;  F.  Eroner,  Fra  DoMno  und  die  Ai- 
tarener^  Lipsia,  1844;  Q,  S.  Ferrari,  Fra  DfÀ' 
omo  n^  Rwiata  eurcpea,  a.  1879,  voi.  XVI  ; 
F.  Toooo,  Oli  ApostoU  e  fra  Doleino  nellUreft. 
etor.  i<.,  serie  G^  voi.  XIX;  A.  Segarizzi, 
Oontributo  alla  storia  di  fra  Dok,,  Trento, 
1900;  e  0.  Begani,  Fra  DOokio  netta  kadi- 


INFERNO  -  CANTO  XXVHI 


215 


60       eh*  altrimenti  acquistar  non  saria  lieve  >. 
Poi  che  Pan  piò  per  girsene  sospese, 
Maometto  mi  disse  està  parola, 
63       indi  a  partirsi  in  terra  lo  distesOi 
Un  altro,  che  forata  ayea  la  gola 
e  tronco  il  naso  Infin  sotto  le  ciglia, 
6C       e  non  avea  ma  che  un*  orecchia  sola, 
restato  a  riguardar  per  maraviglia 
con  gli  altri,  innanzi  agli  altri  apri  la  canna, 
69        ch'era  di  fuor  d'ogni  parte  vermiglia; 
e  disse  :  <  0  tu,  cui  colpa  noB  condanna, 
e  cui  io  vidi  su  in  terra  latina, 
72        se  troppa  simigliania  non  m'inganna, 
rimembriti  di  Pier  da  Medicina, 
80  mai  tomi  a  veder  lo  dolce  piano, 
75        ohe  da  Yercelli  a  Marcabò  dichina. 


tìùm  §  ntOa  Mkria,  Milano,  1901).  —  60. 
«k'iltrlaeBtl  ooo.:  in&tti  si  legge  neDa 
cit  EitL  DuloM  in  Mar.,  Ber.  U.  IX  482, 
eh*  1  wgaaei  di  fra  Doldno  «  a  nomine  ez- 
pognaii  potarant,  neo  aliqnem  hominem  ti- 
nébant,  dommodo  tamen  liaberent  Tlcto»- 
fia>.  —  61.  Pel  thè  eoe.  Maometto  mi  feoe 
fMito  disoono  dopo  aver  già  alzato  uno  dei 
fMi  per  rimetterei  in  cammino,  e,  appena 
ebbe  Unito,  compio  il  primo  paaeo:  ynol  dire 
Q  poeta  che  O  suo  intozlooatore  parlò  rapi- 
damente, come  se  la  fretta  lo  aoepingeaie  ol- 
trt.  —  62.  efta  parola:  cfr.  ^i/l  n  48.  — 
^  Vm  altro  eoe  :  la  deeorizione  dantesca 
ricordala  Tiri^Hana  dell'io  TI  494:  «  At- 
qoehio  Priamiden  i^^nUtaim  ooipore  toto  Dei- 
phoboffl  Tidit,  laoerom  enideliter  ora.  Ora 
aanwiae  ambaa,  popnlataqne  tempora  raptie 
Anzlbos,  et  tnmcas  inhonesto  minore  na- 
wi».  —  68.  MA  ohe:  cfr.  ^f.  iv 26.  —  67. 
retiate  eoe  :  oontinna  la  rimembranza  tÌt- 
pHana,  En,  ti  487  :  <  Noe  vidisse  semel  sa- 
^  est  :  turat  aeqae  morari,  Et  oonferre  gra- 
dua et  Teniondi  disoere  canasas  ».  —  68.  con 
tU  altri:  con  gli  altri  più  di  conto,  che 
s'erano  formati  a  guardar  Dante.  —  apri 
U  caaia  eco.  apri  a  parlare  la  canna  della 
gola,  nngoinante  per  le  ferite.  —  70.  e  dia* 
h:  questi  che  parla  è  Pietro  da  Medicina, 
di  uà  funiglia  ohe  col  titolo  di  cattani  eh- 
V«o  nel  secolo  zm  la  signoria  di  Medicina, 
intu  tona  matildica  nel  piano  tra  Bologna 
e  la  bsssa  Bomagna  :  non  pecò  quel  Pietro 
daMs^ksina,  ohe  è  ricordato  in  atti  pubblici 
bolognasl  del  1219-20,  fri  giudice  generale 
BeOa  Marca  anoonitMiA  per  0  rettore  ponti- 
tdo  nel  1286  ed  è  menzionato  anche  nel  46 
coae  testimonio  a  un  atto  a  Bologna;  po- 


trebbe più  tosto  essere  un  suo  figlio  e  omo- 
nimo quello  che  nel  1260  andò  pretore  a  Ca- 
stelfldardo  e  iti  spogliato  degli  ayeri  da  un  mi- 
nistro di  Pdderioo  II  ohe  rtrendicara  all'  im- 
pero lo  terre  occupato  dai  legati  pontLOd  : 
forse  fri  oompreso  nel  bando  da  Bologna  dio 
colpi  tutu  i  suoi  0  che  fri  oonflennato  nel 
1287,  e  allora  potè  aggirarsi  por  le  piccolo 
corti  romagnole  a  sominarrl  discordie,  come 
già  aroTa  fatto  tra  i  suol  concittadini  (ofr. 
G.  Gozzadini,  Ditk  toni  gmUUhcie,  pp.  874  e 
^Eg- 1  ^'  Brognoligo ,  Un  fmofpo  doommnUt 
pok,  volffon  del  dugmUo,  Fermo  1901).  Bonr., 
al  quale  dobbiamo  lo  |id  ampio  notizie  sullo 
cose  romagnole,  raooonta  ohe  Pietro  da  Medi- 
cina si  arricchì  con  V  arte  di  spargere  dissen- 
sioni, spedalmento  tra  Guido  da  Polenta  si- 
gnore di  Barenna  e  Malatesta  da  Verrucchio 
signore  di  Bimini  (ofr.  Inf.  xxvn  40,  46),  a 
ciascuno  dei  quali  raooomandaya  di  guardarsi 
dall'  altro  ;  e  cosi  «  utorquo  deoeptns  mitte- 
bat  Potrò  equos,  iocalia,  mnnera  magna,  et 
uterque  habebat  ipsum  in  amioum  ».  —  71. 
e  evi  lo  Tldi  eco.  Ben^.  attesta  che  a  Me- 
dicina, alla  piccola  corte  feudale  dei  cattani 
di  quella  terra.  Dante  si  reod  una  yolta  e 
Ti  fu  accolto  con  onore  :  «  et  interrogatus 
quid  sibi  Tideretur  do  curia  Illa,  respondit 
80  non  ridisse  polcriorem  in  Romandiola,  si 
ibi  osset  modicum  ordinis  »  :  bella  dunque  la 
terra,  per  la  forte  rocca  che  arerà  e  per  le 
fertili  campagne,  ma  disordinato  il  goremo 
del  suoi  turbolenti  signori.  ~  terra  lattnat 
cfr.  £%f,  xxm  26.  —  74.  lo  dolco  plano 
eco.  la  bella  pianura  dall'Italia  superiore, 
che  si  stende  da  Voroelli  in  Piemonte  al  co- 
stello di  Marcabd,  costruito  dai  renesiani  alJa 
foce  del  Po  di  Primaro  e  distrutto  dai  signori 


216 


DIVINA  COMMEDU 


E  £a  saper  ai  due  miglior  di  Fano, 
a  messer  Guido  ed  anoo  ad  Angiolelloi 
78       che,  se  l'antiveder  qui  non  ò  vano^ 
gittati  saranfuor  di  lor  vasello, 
e  mazzerati  presso  alla  Cattolico, 
81        per  tradimento  d'un  tiranno  fèllo. 
Tra  l'isola  di  Cipri  e  di  Maiolica 
non  vide  mai  si  gran  ìSelIIo  Nettuno, 
84       non  da  pirati,  non  da  gente  argoUca. 
Quel  traditor,  che  vede  pur  con  l'uno 
e  tien  la  terra,  che  tal  è  qui  meco, 
87        vorrebbe  di  veder  esser  digiuno, 
£arà  venirli  a  parlamento  seco; 
poi  £Etrà  si  che  al  vento  di  Focara 
90       non  iaxk  lor  mestier  vóto  né  prece  ». 
Ed  io  a  lui:  <  Dimostrami  e  dichiara, 
se  vuoi  ch'io  porti  su  di  te  novella, 
93       chi  è  colui  dalla  veduta  amara  »• 
Allor  pose  la  mano  alla  mascella 


dA  Fblanta  n«l  1800.  —  76.  I  fa  i 
Lana  :  e  predico  lo  predetto  Fiero  a  Dante 
la  morte  di  mesMr  Guido  [dal  Gasiero]  e  di 
Angiolello  [da  Carignano]  nobili  di  Fano,  li 
^Qali  ftiron  ri<^esti  da  Malatoetino  de*  Ma- 
latéati  da  AriMino  di  paxlamentaie  insieme 
per  prorredere  al  buono  stalo  della  oontai»- 
da;  et  ordlnonno  lo  parlamento  alla  Oatto- 
lioa,  per  luogo  oomnnole  :  seppe  si  ordinare 
lo  detto  Malatestino,  oh'eUi  U  fece  noddere, 
e  caodò  faori  di  Fano  tatta  eoa  parte  »  :  il 
taJtto  accadde  poco  dopo  il  1813,  quando  Ma- 
latestino Al  SQOoedato  al  padre  nella  signoria 
riminese  (cfr.  L.  Tonini,  Sult  atmo  in  oui 
prvtfo  alta  CaUolioa  fu  Vagta$rimo  di'  faneri 
«fMSMT  Ouido  dal  Oasaoro  •  Angioletto  da  Oor 
rignamo^  wHÌ*  BooUammUo^  a.  1858,  pp.  681* 
686  e  Del  Lnngo,  Damté^  I  426).  —  78.  se 
l'antlTeder  eoo.  :  efr.  Virgilio,  Ai.  i  892  : 
e  Ni  firastra  angoiìam  yani  docoece  paren- 
tis  >.  —  79.  ghtitl  eoo.  Benv.  :  e  qni,  oom 
yenirent  per  mare  in  nari  et  pervenissent 
ad  plagiam  inxta  montem  qui  Tocstor  Fo- 
caria,  fùenint  praeoi^tati  in  mare  et  soiTo- 
cati  ab  iis  qui  ecant  in  nayi,  siont  praeordi- 
natom  erat  per  dictom  Halatestinam  ».  ~ 
Tasello:  ofr.  Pmg,  n  41.  ~  80.  suneratl: 
il  Tb.  fiuwMrar»,  attesta  il  Bnti,  significa 
e  glttsro  l'aomo  in  mare  in  nno  sacco  legato 
con  ona  pietra  grande,  o  legate  le  mani  ot 
i  piedi  et  nno  grande  sacco  al  collo  ».  — 
Catlelleat  piccola  terra  sol  mare  Adriatico, 
quasi  a  messa  strada  fra  Bimini  e  Pesaro,  sul 
confine  tra  la  Bcmagna  e  le  Marche.  —  81. 
tlnuuMt  cfr.  T.  86.  ~  82.  Tra  Hiola  di 


Cipri  eoo.  n  dio  del  mare  non  TÌd»  Bai 
oommettsre  nel  Mediterraneo,  dall'isola  di 
Cipro  a  quella  di  Maiorca,  un  delitto  cosi 
grande  per  mano  dei  pirati  o  dù  gxed  che 
anticamente  corseggiarono  quelle  aoque.  — 
86.  <|nel  traditor  ecc.  Malatestino  dei  Ma- 
latesti,  che  era  chiamato  Malatestino  doifoo- 
gMo  «  perché  era  manco  di  un  occhio  »  sin 
dalla  nascita,  successe  al  padre  nella  signo- 
ria di  Bimini  nel  1812  e  mor£  nel  1817  :  cera 
tanto  amato  che  non  si  porrla  contare  »,  dioe 
Tanonimo  autore  della  Oron,  riwimsa  (Mnr., 
J20r.  ìL  XV  886),  ma  i  suoi  atti  furono  di 
eflérato  tiranno  (cfr.  Inf,  zxrn  47).  —  86. 
tien  la  terra  eoo.  signoreggia  la  dttà  di 
Bimini,  che  un  mio  compagno  di  pena  Tor^ 
rebbe  non  arer  mai  lista:  ofr.  ▼▼.  91-102. 
—  89.  farà  si  eoe  Lana  :  «  Focara  è  uno 
luogo  sopra  mare  nella  Marca,  tra  Pesaro  e 
la  Cattolica,  in  lo  qual  luogo  è  spesso  di 
gran  fortune  ;  e  usano  molto  li  marinari,  ohe 
si  trovano  in  quello  luogo  al  tempo  della  lop- 
tona,  di  pregare  Dio  e  li  santi  e  di  fare  molti 
T6ti:  si  ohe  prelude  alli  predetti  che  non  li 
farà  mestieri  né  vétare  né  fare  preghiera  per 
loro  scampo  >  :  cfr.  F.  Vatielli,  Focara^  Pe- 
saro, 1898,  e  Bassermann,  ^.  287-289.  — 
91.  Dimostrami  t  dichiara  eco.  Dante  chiede 
a  Pietro  ohe  gli  indichi  e  gli  dica  chi  è  quel 
suo  compagno  die  mal  rido  la  tena  di  Bi- 
mini: e  Hotro  lo  compiace  tosto,  ponendo 
la  mano  alla  bocca  di  Curio  per  indicarlo  a 
Dante  (tv.  94-96)  e  dicendo  chi  egli  fu  nel 
mondo  (tt.  97-99).  —  98.  dalla  Tedata  ama- 
ra: che  vorrétbe  tamr  digiuno  di  veder»  Bimini 


INFERNO  —  CANTO  XXVIH 


217 


d*an  Bao  compagno,  e  la  bocca  gli  aperse 
96       gridando:  «  Questi  è  esso,  e  non  favella; 
questi,  scacciato,  il  dubitar  sommerse 
in  Cesare,  a£Eermando  ohe  il  fornito 
99       sempre  con  danno  P attender  sofferse». 
0  quanto  mi  pareva  sbigottito 
con  la  lingua  tagliata  nella  strossza, 
102       Curio,  ch'a  dire  fu  cosi  ardito! 

Ed  un,  di'avea  l'una  e  l'altra  man  mozza, 
levando  i  moncberin  per  l'aura  fosca, 

105  si  che  il  sangue  &cea  la  faccia  sozza, 
gridò  :  <  Eicordera'  ti  ancbe  del  Mosca, 

che  dissi,  lasso  !  '  Capo  ha  cosa  fatta  ', 

106  ohe  fu  il  mal  seme  per  la  gente  tósca  »: 

ed  io  gli  aggiunsi:  €  E  morte  di  tua  schiatta  »  ; 

per  ch'egli,  accumulando  duol  con  duolo, 
111        sen  gio  come  persona  trista  e  matta. 
Ma  io  rimasi  a  riguardar  lo  stuolo, 

e  vidi  cosa  ch'io  avrei  paura. 


(t.  87).  »  96.  Qa«itl  è  mio  eoo.  :  questi  è 
il  oompegno,  di  coi  t' ho  detto  ;  e  non  pad 
pezlaie  perohó  ha  e  la  lingoa  tagliata  nella 
itzoaBa»  (t.  102).  —  97.  tvettt,  aeaeelat* 
eoe.  C.  OÒzione,  tribuno  della  plebe,  x^  fio- 
Mu^  tbgiiM,  QMda»  (Velleio  Pateroolo  n 
46),  esUato  da  Boma  perohó  troppo  i^^erta- 
■onte  fivoiiya  la  parta  di  Cesare,  si  rooò 
praao  di  lai  eaoiìandolo,  secondo  Laoaao 
Ars.i280  (cit.daDanteneU'epi8t.  vn  4),a 
pssnreil  Bobioone,  oon  queste  parole  :  «Dam 
trspidant  nullo  ilxniatae  robore  partes  ToUe 
notas  :  semper  nocait  diffuTe  paratis  »  (cfir. 
Mooce,  I  228  ):  perdo  Dante  dioe  oh'  ei  spen- 
se in  Cesare  ogni  dubbio,  ricordandogli  che 
ehi  è  pfonto  a  on'  impresa  non  deve  in- 
dngiare  a  porvi  mano.  —  99.  l'attender: 
r  indagiaie,  il  differire.  — 102.  a  dire  fa  eos£ 
ardite  :  cfr.  Lucano,  J^br*.  i  269  :  «  Audax 
Teaali  comitatur  Curio  lingua  >.  —  106.  Ed 
■■9  ch'afe*  eoe  Questo  dannato,  ohe  legava 
tristamente  i  monoheiini  per  l'aria  oscura 
déQe  regioni  infernali,  era  uno  di  quei  fio- 
rentini àA  buon  tempo  antico,  ohe  I^nte  de- 
lidecaTa  di  rodere  (cfr.  Jn/l  n  80),  Mosoa 
dei  Lamberti  :  il  qùkle  nella  rannata  dei  pa- 
renti degli  Amidei  per  deliberare  circa  l'in- 
gioiia  ftittB  a  quella  Duniglia  da  Buondel- 
iMntB  (efr.  Far,  xn  186  e  segg.),  détte  il 
ooesi^  di  uoddere  a  dirittura  il  giovine 
etnlisre  ohe  aveva  mancato  alla  promessa 
tt  sposare  una  donaalla  degli  AmideL  Mori 
poi  i  Begsk),  ov'eca  podestà,  nel  1243.  — 107. 
che  diasi  eoo.  Baooontano  i  cronirti  floren- 
ttai  che  discutendosi  in  queir  adunanza  se 


la  vendetta  da  prendere  di  Buondelmoate  do- 
vesse essere  <  di  batterlo  0  di  fedirlo  >,  Mo- 
sca Lamberti  pronunziò  le  parole  :  Gbes  /otta 
ùoufo  hOy  consigliando  cosi  che  rawecsarìo 
fosse  ucciso  ;  oooie  di  fatti  segui  (G.  'dilani, 
O.  V  88;  D.  Compagni,  Or,  i  2;  P.  IHerì, 
Or,  p.  16  ;  e  altre  cronache  in  Hartwig,  Quel- 
\m  %knì  JTbrsoAciri^wi,  cit,  voi.  II,  pp.  228, 
278).  —  Cosa  fatta  capo  ha  :  droa  queste 
parole,  ohe  sono  riferite  cosi  anche  dai  cro- 
nisti dt.,  non  s'accordano  gì'  interpreti  ;  me- 
gUo  di  tutti  le  ha  spiegate  il  Del  Lungo,  II 
15  :  <  Cosa  latta  non  può  disfarsi  ;  liesce  ad 
un  capo,  ad  un  fine,  a  un  effetto  :  e  perciò 
si  uccida  addirittura  Buondelmonte,  senza 
pensar  troppo  oom'  andrà  a  finire  ;  basta 
eh'  e'  muoia  ».  —  108.  che  t^  U  mal  ecc. 
che  f^  principio  alia  divisione  della  cittadi- 
nanza fiorentina  in  guelfi  e  ghibellini,  da 
Firenze  propagatasi  alle  altre  terre  di  To- 
scana. —  109.  I  morte  di  tua  schiatta: 
perché  i  Lamberti  Girono  esiliati  oon  gli  al- 
tri ghibellini  nel  1268  (0.  Vili.,  Or,  vi  65), 
e  da  quel  momento  scompaiono  qoasi  del 
tutto  dalla  storia  fiorentina.  La  fiera  rampo- 
gna di  Dante  al  Lamberti  ricorda  nella  pron- 
tezza della  mossa  le  parole  dette  dal  poeta 
a  Farinata,  Inf,  z  49.  »  110.  dnol  con  doe- 
lo  t  il  dolore  della  pena  ool  dolore  cagionato 
dal  sisero  ohe  la  sua  stirpe  fosse  rovinata. 
—  111.  eeme  persona  ecc.  come  fja  l'uomo 
che  per  l'eccesso  del  dolore  è  fuori  del  sen- 
no. —  112.  lo  stuoie  :  la  schiera  dei  semi- 
natori di  discordie.  —  118.  t  vidi  cesa  eoo. 
e  vidi  uno  spettacolo  cosi  straordinario,  che 


218 


MVnTA  COMMEDIA 


114       senza  più  prova,  di  contarla  solo; 
se  non  che  coscienza  mi  assicura, 
la  buona  compagnia  che  Puom  francheggia 
117       sotto  Tosbergo  del  sentirsi  pura. 

Io  vidi  certo,  ed  ancor  par  eh*  io  '1  veggia, 
un  busto  senza  capo  andar,  si  come 
120       andavan  gli  altri  della  trista  greggia; 
e  il  capo  tronco  tenea  per  le  chiome, 
pésol  con  mano  a  guisa  di  lanterna, 
123       e  quei  mirava  noi,  e  dicea  :  <  0  me  !  » 
Di  sé  faceva  a  sé  stesso  lucerna, 
ed  eran  due  in  uno,  ed  uno  in  due: 
126        com' esser  può,  quei  sa  che  si  governa. 
Quando  diritto  al  pie  del  ponte  fue, 
levò  il  braccio  alto  con  tutta  la  testa 
129       per  appressarne  le  parole  sue, 

che  fCLro  :  <  Or  vedi  la  pena  molesta 
tu  che,  spirando,  vai  veggendo  i  morti; 
132       vedi  s' alcuna  ò  gprande  come  questa. 
E  perché  tu  di  me  novelle  porti, 
Eappi  ch'io  Bon  Bertram  dal  Bornio,  quelli 


dubiterei  a  daKsiiyerlo  sens' altra  testimo- 
nianza ohe  lo  oonfennasse,  se  non  foesi  aa- 
sieon^  dalla  ooedenza  ohe  ho  di  dire  il 
yero.  Dante  sa  ohe  le  rerità  ohe  hanno  /bo- 
eia  di  munobogna  fknno  parer  bugiardo  ohi  le 
dioe  (cfr.  bif,  ziy  124-126)  ;  peroid,  come 
prima  di  desoriyere  il  volo  e  la  Agora  di 
Gerione  credette  neoossarìa  nna  diohiaraadone 
esplicita  di  Teridioità  (Jnf.  rx9  127-129),  cosi 
ora  ch'egli  dere  narrare  di  nn  nomo  deca- 
pitato il  quale  portava  in  mano  la  testa  a 
guisa  di  lanterna  per  illuminare  il  cammino, 
dice  ohe  temerebbe  di  non  esser  creduto  se 
non  fosse  sicuro  di  raccontar  cose  reramente 
vedute.  Dante  pud  aver  tratta  l'idea  dalla 
leggenda  di  san  Miniato,  che  decapitato  prese 
la  testa  in  mano  e  tornò  alla  sua  sedo  (cfr. 
BuìL  VI  42).  —  114.  sensa  pltf  prora:  sen- 
z' altra  conferma  ohe  le  mie  parole.  Quei  com- 
mentatori che  intesero  :  e  senza  fune  altro 
esperimento,  senza  riveder  prima  la  cosa 
eh* io  narro»,  dimentioarono  il  v.  118;  ove 
la  certezza  del  Catto  è  affermata  cosi  esplici- 
tamente. —  116.  la  bnoma  eempagafa  eco. 
la  coscienza  di  dire  la  verità  ohe  assicura 
l'uomo  con  la  difesa  efficace  ohe  Cs  il  sen- 
timento d' essere  immune  da  colpa  di  men- 
daci parole.  Sono  da  ricordare  accanto  alla 
sentenza  dantesca  quelle  d'Ovidio,  BUd.  i 
485  :  «  Consoia  mens  ut  cuique  sua  est,  ita 
oondpit  intra  Pectora  prò  facto  spemque  me- 
tumque  suo  >   e  di  Orazio,   Epitt,  i  1,  60  : 


«  Hio  murus  aeneua  osto,  Nil  consclro  slbl, 
nulla  palleeoere  culpa  ».  »  120.  della  trlsu 
greggia!  dello  stuolo  del  seminatori  di  di- 
scordie. —  122.  pisoli  pendolo,  sospeeo.  — 
a  galsa  di  lanterna  s  a  quel  modo  che  Tuo- 
mo  camminando  nell'oscurità  tiene  innanzi 
a  s6  la  lanterna  per  illuminare  la  via.  — 
128.  0  meli  ofr.  Inf,  vn  28.  —  126.  ai 
eran  eoo.  e  le  due  parti  (busto  e  oapo)  erano 
del  medesimo  corpo,  il  quale  pur  cosi  diviso 
in  due  conservava  l'unità  dei  movimenti: 
cosa  mirabile  che  solamente  Iddio  sa  come 
possa  avvenire.  —  127.  diritto  :  aw.,  pre- 
cisamente, appunto  :  ofr.  Inf.  zvtn  4.  ~  128. 
con  tutta  la  testa:  Udta  non  è  proprio  un 
riempitivo,  come  dicono  i  commentatori,  ma 
serve  a  rilevar  meglio  l'identità  del  movi- 
mento delle  due  parti  (braccio  e  tasta);  co- 
me nd  Booc,  D00.  g.  X,  n.  9  :  <  il  letto  con 
tutto  messer  Torello  f^  tolto  via».  —  181. 
spirando:  le  anime  si  accorgono  plA  volte 
ohe  Dante  è  vivo  dal  suo  respirare  (ofr.  bif. 
rsm  88,  P^,  v  81,  xm  182).  —  182.  Tedi 
ecc.  :  è  una  rimembranza  del  pensilo  di  Ge- 
remia I  12,  cosi  parafìrasato  da  Dante  nella 
F.  iV:  vn  14:  < 0  voi,  che  per  la  via  d'A- 
mor passate.  Attendete  e  guardate  8' egli  è 
dolore  alcun,  quanto  '1  mio  grave  ».  —  184. 
Bertram  dal  Bornie  t  Bertrando  de  Bom, 
signore  del  castello  di  Hautefort  (ofr.  Inf, 
xzEC  29),  vissuto  nella  seconda  metà  del  se- 
colo zn,  fu  uno  dei  pid  grandi  poeti  oho 


INFERNO  -  CANTO  XXVm 


219 


135        olle  diedi  al  re  giovane  i  ma*  conforti. 
Io  feci  il  padre  e  il  figlio  in  sé  ribelli: 
AoHitofel  non  fé*  più  d'Absalone 
138       e  di  David  co*  malvagi  pungelli 
Perch*io  partii  cosi  giunte  persone, 
partito  porto  il  mio  cerebro,  lasso! 
dal  suo  principio,  ch*ò  in  questo  troncone: 
142    cosi  s'osserva  in  me  lo  contrapasso  ». 


»  in  lingua  prorenzale  ai  tnoi  tem- 
pi; e  Danto  lo  zioorda  oon  onoro  nel  Dt 
wJff,  9hq,  n  a,  oome  ooUore  deUa  Urica  eroi- 
ca: raccontano  i  suoi  biografi  ohe  seminò 
diaoordia  tra  Enrico  II  re  d'Inghilterra  116i- 
1189)  ed  il  figlio  ano  primogenito  pur  di  nome 
Enrioo,  dìiamato  dai  troratorl  e  dai  cronisti 
contemporanei  il  n  ^ìomnm;  e  ohe,  morto 
qoeaf  ultimo  nel  1183  e  eooppiato  un  oon- 
taeto  fra  Bertrando  e  Biocardo  Ooordileone 
seoondogenito  dol  re  d'InghUterim  Enrico  K, 
inaiti  e  perdo  ohe  Tolera  male  a  Bertrando 
p«dié  era  amioo  e  consigliere  del  re  gio- 
Taae,  ino  figlio,  il  quale  arerà  aruta  guerra 
con  lui  e  crederà  ohe  Bertrando  n'  eresse 
tutta  la  colpa,  prece  ad  aiutare  il  secondo- 
genito conto  Biccardo  e  fecero  grande  osto 
e  assediarono  Hautefort  e  finalmento  proaero 
il  castoUo  e  Bertrando  >  :  al  quale  poi  lo  ri- 
lasciarono, per  amore  del  morto  Enrico,  del 
quale  Bertrando  ricordò  la  lunga  amicizia 
(ofr.  le  biografie  antiche  riferito  da  A.  Stim- 
ning,  Bertrtm  d$  Barn,  min  Lébm  und  §&ìm 
Wtrke,  Halle,  1879,  pp.  110,  che  è  il  miglior 
laroro  su  (jnésto  trovatore  :  sul  quale  si  pos- 
sono rodere  anche  F.  Dies,  Lebm  und  Werké 
der  Tnmbadoun,  2»  ed.,  Lipsia,  1882,  pp.  148- 
192;  L.  aedat,  Du  rdU  Mstorique  de  B«r- 
trm  d»  Bom,  U76'1200,  Parigi,  1878;  M. 
Schermo,  BeUram  dal  Bornio  nella  Nuova 
Àrdoloffiaj  &.  1897).  —  136.  ebe  diedi  eco. 
Leggono  molti  testi  :  che  diedi  al  re  Oiovaimi 
wiai  eonfartit  lesione  acoettoto  comunemento 
contro  la  ragione  storica,  porche  presento  un 
reno  di  costituzione  pid  regolare  :  ma  nella 
poesia  antica  T  endecasillabo  era  molto  più 
Tarlato  d'accenti  e  di  cesure  che  non  sia 
nella  moderna  ;  ed  era  ammeeso  anche  quello 
oon  gli  acconti  principali  sulle  sillabe  quarto 
e  ottora  seguito  da  cesura;  come  p.  es.  nella 
r.  N.  xxm  20:  e  Che  fia  li  miei  spirili  gir 
parlando  >.  —  al  re  gleTane  eco.  H  princi- 
pe, al  quale  si  dicera  ohe  Bertrando  arosse 
dato  i  tnof  confòrti,  suggerendogli  di  ribel- 
larsi al  padre,  fu  cortamente  Enrico,  che  era 


il  primogenito  del  re  Enrico  II  ed  era  chia- 
mato U  re  giovane  (pror.  Jo^fet  reie)  non  so- 
lamente in  Francia,  ma  anche  in  Italia  (cfr. 
Q.  Biagl,  Le  novelte  anUehe  ecc.,  Firenxe, 
1860,  p.  178,  180  ecc.;  G.  Villani,  O.  r  4: 
e  Questo  re  Oiorane  fu  il  pid  cortese  signore 
del  mondo  e  ebbe  guerra  col  padre  per  in- 
dótto d'alcuno  suo  barone»):  a  ^^  certa- 
mento  roOe  alludere  Danto,  non  ali*  ultimo 
dei  figli  di  Enrico  II,  Qioranni  Swizatarra, 
col  quale  Bertrando  de  Bom  non  ebbe  rap- 
porto alcuno;  sicché  la  les.  <As  diedi  al  re 
OiovoneU,  sebbene  dato  da  molti  autoreroU 
testi,  è  da  ripudiare  oome  erroifea  (cfr.  Q, 
OalTÌstti,  Oeeerv,  p.  468  ;  F.  Dies,  Làbm  und 
Werke  cit,  p.  157;  F.  Oerroti,  Discorso  sto- 
rieo  nel  quale  «i  avvera  la  lex,  del  r.  186, 
0.  zxnn  deWInf.  di  Dante,  Boma,  1866; 
H.  0.  Barlov,  The  Yomg  King  and  Bertrand 
de  Bom,  Londra,  1882;  Bull  1, 119,  VI  160). 

—  186.  Io  fed  ecc.  :  in  una  delle  antiche 
biografie  di  Bertrando  (Stimming,  op.  dt., 
p.  104)  si  legge  che  e  seppe  trattare  male  e 
bene  ed  era  signore  tutto  fiato  che  rolera 
del  re  Enrico  dlnghilterra  e  del  figlio  di  lui: 
ma  sempre  rolera  eh*  essi  aressero  guerra 
insieme,  il  padre  e  il  figlio >  ;  e  in  un'altra 
(p.  106),  che  e  arerà  tal  usanza  che  sempre 
Cacera  sorger  guerra  tra  i  baroni  e  fece  az- 
zufbre  il  padre  e  il  figlio  dlnghilterra  >.  — 
187.  AeliitcfiBl  eoe  Acbitofel,  consigliere  di 
Deride  re  d*Israole,  eccitò  Absalone  a  ribel- 
larsi al  padre  Darid  e  ad  uodderìo  (II  Re 
xr  12  e  segg.,  xn  16  e  segg.,  xm  1  sogg.). 

—  188.  malragl  piogelUi  eccitamenti  al 
malo.  —  189.  Perch'Io  ecc.  Perché  seminai 
la  discordia  fra  uomini  ood  strettamente  con- 
giunti, sono  condannato  a  portare  il  cerrello, 
eh*  è  nel  mio  capo,  disgiunto  dal  auo  prinei^ 
pio,  dalla  midolla  spinale,  che  è  nel  mio  bu- 
sto. —  142.  cesf  eco.  cosi  appare  oesorrata 
in  me  la  loirge  del  taglione,  por  la  quale  la 
maniera  della  pena  deve  corrispondere  alla  i 
natura  della  colpa. 


220 


DIVINA  COMMEDIA 


CANTO  XXIX 

Parlando  di  Q%tì  del  Bello,  parente  di  Dante,  punito  fra  I  dannati  della 
nona  bolgia,  i  due  poeti  pervengono  sul  ponte  della  decima  e  di  qui  per 
veder  meglio  vanno  sairultimo  argine,  che  divide  Malebolge  dal  pozso  dei 
giganti:  Ivi  si  manifestano  loro  Grlifolino  d*Arezio  e  Capocchio  da  Siena, 
due  dei  falsari  paniti  con  la  lebbra  nella  decima  bolgia  [9  aprllCi  tra  Pana 
e  le  due  ore  pomeridiane]. 

La  molta  gente  e  le  diverse  piaghe 
ayean  le  luci  mìe  si  inebriate, 

8  che  dello  stare  a  piangere  eran  vaghe; 
ma  Virgilio  mi  disse:  <  Ohe  pur  guato? 

perché  la  vista  tua  pur  si  soffblge 
6       là  giù  tra  l'ombre  triste  smozzicate? 
Tu  non  hai  fiitto  si  all*altre  bolge; 
pensa,  se  tu  annoverar  le  credi, 

9  ohe  miglia  ventidue  la  valle  volge, 
e  già  la  luna  è  sotto  i  nostri  piedi: 

lo  tempo  è  poco  ornai  ohe  n'è  concesso, 
12       ed  altro  è  da  veder,  che  tu  non  vedi  ». 


TYnC  1.  lA  atlU  gente  eoe.  H  nomeio 
gonade  dei  eeminatoxi  di  disDoxdia  e  la  diver- 
sità dal)p  ferite  ond'eruìo  straiUti  m'averaiio 
cosi  riempito  di  lagrime  gli  oochi  che  essi 
erano  desiderosi  di  effondere  ^angendo  il  mio 
doloro.  — >  2.  laelbrlate:  pregne  di  lagrime; 
bel  traelato  ohe  ricorda  il  biblico  (Isaia  xvi 
9):  e  Ti  Inebrierd  delle  mie  lagrime  >.  —  6. 
pereM  eoe.  perché  la  tua  vista  si  ferma  sa 
qoolle  anime  ecc.  :  il  vb.  aoffoigtn  o  toffokon 
(i\r.  zzm  IdO)  risale  al  lat.  tuffvMn^  so- 
stenere, e  qni  pare  che  detto  dogli  occhi  si- 
gniflchi  appunto  sostenersi,  trattenersi,  far- 
marsi  in  on  obbietto;  lonso  che  è  confermato 
dai  w.  18-10:  si  cfr.  per  altro  Parodi,  BuìL 
m  108,  166.  —  6.  ombre  triste  eoo.  le  ani- 
me dei  seminatori  di  discordia,  i  quali  sono 
dolorosamente  tagliati  a  pexzi  ecc.  :  cfr.  I%f. 
xznn  19, 108.  —  7.  all'altre  belge:  di  fotti 
Dante  si  ò  sempre  allontanato  da  ogni  bolgia 
senza  dimostrare  rincrosoimento  di  partirsene 
(cfr.  Inf,  xvm  67,  186,  xix  124,  xr  130,  aaoi 
151,  xnn  147,  xxn  18,  xxvn  188).  —  &  se 
ta  annOTtrar  eoo.  so  ta  credi  di  poter  oe- 
sorvare  tatto  le  anime  di  questa  bolgia.  — 
9.  che  miglia  Teatldae  ecc.  che  ha  un  cir- 
cuito di  ventidue  miglia  ;  però  è  grandissimo 
il  numero  doi  dannati  che  vi  sono  compresi. 
—  10.  e  già  la  luna  ecc.  Quando  i  poeti  si 
formarono  a  parlare  con  Malacoda  erano  cinque 


ore  innanii  ai  mesaodf  {h%f,  zzi  112):  pre- 
sero a  camminare  in  compagnia  del  diaToli 
sull'argine  ohe  separa  la  quinta  dalla  sesta 
bolgia  {Inf»  zzi  186),  oonvarsarono  con  Ciam- 
polo  di  Kavanm,  più  tosto  a  lungo  {Jb^.  zzn 
81-106X  e  Tidero  il  mnvo  Judo  tra  lui  e  i  dia- 
voU  {hif,  zzn  106-160);  poi  s'aArettarono  a 
scendere  nel  ftmdo  deUa  sesta  bolgia  {Inf, 
zzm  87  e  segg.),  oto  conversarono  con  Ga> 
talano  dei  Catalani  {Inf,  zzm  76  e  segg.)  e 
donde  risalirono  al  ponticello  deUa  bolgia 
settima  {Inf.  zziv  32  e  segg.):  quindi  disce- 
sero sull'aigine  intormedio  Iht  la  settima  e 
Tottaya  bolgia  {Inf,  zziv  78  e  segg.),  assi- 
stendo alle  trasformazioni  dei  ladri,  e  ripre- 
sero la  yia  per  i  ponticelli  fermandosi  su 
quelli  della  bolgia  ottava  e  nona  (  Ji/l  zzn 
43,  188)  a  conversare  con  pareochi  dei  dan- 
nati di  ciascheduna:  tutto  questo  li  tenne 
occupati  per  più  ore,  dalle  sette  antimeridiane 
sin  oltre  all'una  pomeridiana  all'indroa,  che 
Viigilio  volge  a  Dante  parole  d'eccitamento  ad 
affrettare  il  oammino.  —  la  lana  eco.  la  luna, 
che  ieri  notte  fu  nel  plenilunio  {Inf,  zz  127), 
trovasi  ora  sotto  ai  nostri  piedi;  vale  a  dive 
è  passata  un'ora  dopo  il  mezzodì:  cft.  DeUa 
Valle,  il  santo  gtogr,  astmn,  dt.,  p.  20-21  e 
Moore,  p.  66.  — 11.  lo  tempe  eoo.  :  dovendo 
i  due  poeti  percorrere  i  nove  cerchi  in  un 
solo  giorno,  non  restavano  loto  più  che  dn- 


INFERNO  -  CANTO  XXIX 


221 


<  Se  tu  ayeasi,  rispos'  io  appresso, 
atteso  alla  cagion  per  ch'io  guardava, 
15       forse  m'avresti  ancor  lo  star  dimesso  ». 
Parte  sen  già,  ed  io  retro  gli  andava, 
lo  duca,  già  facendo  la  risposta, 
18       e  soggiungendo:  e  Dentro  a  quella  cava, 
dov'io  teneva  or  gli  ocdii  si  a  posta, 
credo  òhe  un  spirto  del  mio  sangue  pianga 
21        la  colpa  che  là  giù  cotanto  costa  ». 
AUor  disse  il  maestro:  <  Non  si  franga 
lo  tuo  pensier  da  qui  innansi  sopr'ello; 
24       attendi  ad  altro,  ed  ei  là  si  rimanga: 
ch'io  vidi  lui  a  pie  del  ponticello 
mostrarti,  e  minacciar  forte  col  dito, 
27       ed  udi'  '1  nominar  G^i  del  Bello. 
Tu  eri  allor  si  del  tutto  impedito 
sopra  colui  òhe  già  tenne  Altaforte, 


qw  ore  eim  per  visitare  l'oHlma  bolgia  e  il 
nono  corchio  (ofr.  Ifi/'.  zxziv  68).  —  18.  8« 
ta  ATeid  eec.  Dante  ai  aoosa  a  Virgilio  del 
no  indogiare  afUsnaando  ohe  per  oneeta  oft- 
gìone  egli  s'ecm  trettemito  a  guardare  nel 
fondo  dell'ottava  bolgia,  gerendo  di  vedere 
nn  too  oonginnto  ohe  doveva  eaaervL  — 15. 
ikaeaaet  oonoeaao,  penioaao;  nel  aenao  del 
lat  dtmitttn.  —  16.  Parte  tea  f<a  eoo.  8i 
ooitniiioa:  Birff  io  dtua  t&ngta»  faemudo  già 
m  fitpotttB,  td  io  qH  fliMOM  Tttto  toggwinQ9ii 
éù  eoo.  oioè:  Mentre  ohe  (ofr.  IStrg,  xn  19) 
Virgilio  ae  n'andava  in  atto  di  aprir  la  boooa 
a  rispondermi,  io  lo  segoiva  aggiungendo  alle 
atee  Biie  parole  eoo.  Riguardo  al  oamUamen- 
to  della  eoetrosioBe,  ohe  di  snbordinata  si  fa 
'^'***Hinata  per  e^riser  meglio  la  oontempo- 
naafttà  delle  azioni  ofr.  in/:  zxv  84.  —  18. 
Bsntre  a  snella  eoo.  Sntro  alla  valle,  coi  io 
ttneva  oosi  fisamente  rivolti  gli  ooohi,  deve 
essere  nn  mio  oonsangalnoo  a  pianger  la 
00^  d'avere  promosso  discordie.  —  22.  Al- 
ter disse  eoe  Mentre  Dante  era  sol  ponte 
della  nona  bolgia,  tatto  intento  alla  Agora 
epaveatoaa  di  Bertrando  de  B(an,  l'anima  di 
un  suo  parente  aveva  appontato  oontro  di  Ini 
Q  ditD  per  segno  di  minaoda;  ma  e'  non  se 
l'era  accorto,  e  Virgilio,  che  aveva  notato 
qasU'atlo  e  aveva  sentito  prononziaM  agli 
altri  peooatori  il  nome  di  qnel  dannato,  ora 
ne  iafoma  Dante  eoeitandolo  ad  allontanare 
dalla  mente  il  pensioro  di  quel  suo  parente. 
—  Hea  al  ftranga  eoo.  È  chiaro  ohe  Virgilio 
sedia  Dante  a  non  pensar  pi6  al  sno  oon- 
langoineo;  ma  la  frase  «i  franga  lo  tuo  pm^ 
ém  oopr'tUo  ha  dato  molto  da  ftue  agli  in- 
terpreti: aloui  dei  qaaU  intendono  U  frm^ 


gmi  per  intonerirsi,  oommnoveni;  altri,  per 
intSRompeiti,  distrarsi;  altri  infine  per  ri- 
flettersi, ripiegarsi,  volgersi  :  è,  ad  ogni  modo, 
on  bel  trsslato  assai  atto  a  signifloare  la  vio- 
lensa  ohe  il  sentimento  dell'uomo  medioevale, 
consorte  dell'onta  Invendicata,  ftM)eva  sull'a- 
nimo dell' Alighiori,  costringendolo  a  ripen- 
sare al  dovere  di  compiere  la  vendetta.  — 
27.  6erl  del  Bello:  6eri  figlio  di  messer 
Bello  di  Alaghiero  (ofr.  Fw.  zv  91)  fu  cu- 
gino carnale  del  padre  di  Dante,  e  fiori  in- 
tomo alla  metà  del  secolo  xm,  poiohó  nel 
1269  è  nominato  nell'estimo  dei  danni  Catti 
dai  ghibellini  dopo  Montaperti  (FratioeUi,  cap. 
m;  L.  Passerini,  DeUa  faimUgìia  di  Dante  nel 
I>iwifo  •  i<  suo  seoo<o,pp.  60  e  segg.;  M.  Barbi, 
BuiL  n  65-70).  Scrive  UDel  Lungo,  Dani$, 
n,  p.  108:  e  La  storia  di  Qeri  del  Bello  è 
variamente  narrata  dagli  antichi  commenta- 
tori: brutta  ad  ogni  modo.  Uccisore  a  tradi- 
mento, e  dopo  avere  con  una  menzogna  fSatto 
poaar  l'arme  al  suo  avversario,  egli  stesso  ò 
poi  uodso  in  Fuoecohio  da  un  parente  di 
questo:  che  iìamiglia  fossero,  non  è  ben  chia- 
ro. E  notisi  t  Qeri  aveva  ucciso,  dicendo  al- 
l'altro, *  Messere,  ecco  la  famiglia  dol  Potestà, 
riponete  l'armo  '  :  e  ruccìBore  suo  fa  la  ven- 
detta, essendo  davvero  ufficiale  di  Potestà  e 
mostrando  di  cercargli  arme  addosso.  Nel  ohe 
par  di  vedere  un'osservanza  di  forme  feroce, 
la  dottrina  del  eontrapasao  applicata  (n6  dò 
d  senza  riscontri)  con  pedanteria  «*"gninosa  ». 
La  flamiglia  deirucciso  da  Qeri  e  del  suo  uc- 
cisore fu  quella  dei  Qerini  o  Qeremei,  secondo 
Lana,  Buti,  An.  fior.;  ta  quella  dei  Sacchetti, 
secondo  Ott.,  Benv.,  Land.  —  29.  lepra  co- 
lai ecc.  Bertrando  de  Bom,  signore  del  ca- 


222 


DIVINA  COMMEDIA 


che  non  guardasti  in  là,  si  fu  partito  ». 

<  0  duca  mio,  la  violenta  morte 
che  non  gli  ò  vendicata  ancor,  diss'io, 
per  alcun  che  dell'onta  sia  consorte, 

fece  lui  disdegnoso;  ond'ei  sen  gio 
senza  parlarmi,  si  com'io  estimo: 
ed  in  ciò  m' ha  e*  &tto  a  sé  più  pio  ». 

Cosi  parlammo  infino  al  loco  primo 
che  dello  scoglio  Taltra  valle  mostra, 
se  più  lume  vi  fosse,  tutto  ad  imo. 

Quando  noi  fummo  in  su  Tultima  chiostra 
di  Malebolge,  si  che  i  suoi  conversi 
potean  parere  alla  veduta  nostra, 

lamenti  saettaron  me  diversi, 
che  di  pietà  ferrati  avean  gli  strali; 
ond*  io  gli  orecchi  con  le  man  copersL 

Qual  dolor  fora,  se  de^Ii  spedali 


86 


89 


42 


45 


«tello  di  Haniefort:  ofr.  hif,  xxnn  ISi.  — 
80.  li  tm  pMTkltoi  sino  a  oh«  egli  ai  fa  al- 
lontanato: qaecto  #1  per  tino  a  thAy  già  in- 
contrato in  Inf.  XIX  4i,  128  è  àbbaitania 
finente  nei  nostri  antioU.  —  81.  0  daea 
■le  eoe.  Dell'nociiione  di  Geri  del  Bello  nee- 
inna  rendetta  presero  i  snoi  oonsangninei, 
oome  attestano  Ott,  Bnti,  An.  fior,  ecc.:  so- 
lamente Bony.  nana  ohe  la  vendetta  fu  fatta 
trent'  anni  dopo  la  soa  morte  dai  nipoti  di 
Qerl,  e  il  Land,  conferma  il  racconto  aggion- 
gendo  ohe  e  on  figlinolo  di  messor  Olone  [di 
Alaghlero]  uccise  uno  de'  Sacchetti  sa  la 
porta  della  casa  sua  >.  Ad  ogni  modo,  pe^ 
Dante,  quell'onta  era  rimasta  invendicata,  e 
perdo  fi  oraocio  di  Gezl  sosdtd  in  lai  nn 
sentimento  di  pietà  dolorosa,  rincrescendogli 
ohe  la  vendetta  non  fosse  ancor  fatta:  in 
questo  Dante  si  mostra  uomo  del  suo  tempo, 
allorché  dei  fiorentini  poteva  scrivere  l'Ott 
che  e  mai  non  dimenticano  la  ingiuria  né  per- 
donano senxa  vendetta  l'offesa»  (ofr.  Del 
Lungo,  DanU,  II,  pp.  106-128,  e  P.  Santini, 
AppunH  9uUa  vmdtUa  privata ,  nell'  Areh, 
dor,  «.,  4*  serie,  voL  XVm,  pp.  162  e  segg.). 

—  86.  ed  la  ciò  eoe  e  cosi  mi  ha  contristato 
per  la  pena  ohe  egli  softre  e  più  per  avere, 
con  la  sua  fierezza  sdegnosa  (cfr.  BulL  Vin 
85),  rinfrescato  in  me  il  dolore  ohe  l'onta  fhtta 
a  lai  sia  rimasta  invendicata:  cfr.  la  firase 
m' ha  fatto  piA  pio  con  le  parole  dette  a  Fran- 
cesca, Inf,  V  116-7.  —  87.  Cosi  parlammo 
eoe  Cosi  andammo  parlando  insino  al  kco 
primo  dello  teogUo^  al  principio  del  ]>ontioello, 
donde,  se  vi  fosse  stato  maggior  lame,  sa- 
lebbesi  veduto  il  fondo  della  decima  bolgia. 

—  40.  eUeitra:  luogo  chiuso,  valle  o  bolgia 
chiusa  tra  gli  argini  (  cfr.  Petrarca,  sonetto 


Gxcn  8:  e  Per  questa  di  bei  colli  ombrosa 
chiostra»):  nel  Purg.  vn  21  designa  generi- 
camente una  parte  dell'  infamo.  —  41.  eoB- 
versli  avendo  indicata  la  bolgia  col  nome  dì 
càioi^a,  che  significa  anche  monastero  (Air. 
in  107),  chiama  eonverH,  dò  sarebbe  firati 
laid,  uomini  claustrali,  i  dannati  che  vi  sono 
raccolti  a  penare,  oome  nei  conventi  i  reli- 
giod  a  far  penitenza.  —  48.  laaeatl  satt- 
taren  eoe  stranissimi  lamenti,  che  erano 
l'espressione  di  gravi  dolori,  mi  oolplrono  sf 
eh'  io  mi  turai  gli  orecchi  per  non  sentirli  : 
giustamente  osserva  il  Biag.  che  e  bellissimi 
d'espressione,  da  gran  forza  vibrati  sono  i 
primi  due  versi,  e  quali  nel  solo  Dante  s'am- 
mirano, e  che  già  preparano  il  lettore  agl'In- 
finiti mali  che  s'appressano  ».  —  44.  ehe  di 
pietà  ecc.  come  la  punta  fonata  è  propria 
degli  strali,  cosi  la  pietà,  il  dolore  cagionato 
dai  tormenti,  era  espresso  da  cotesti  lamenti  : 
panni  da  intendere  cosf,  perché  l'effetto  dei 
lamenti  è  accennato  nel  verso  seguente,  e 
qui  Dante  vuol  dire  solamente  che  osd  erano 
l'espressione  di  grandi  dolori;  of^.  Petrarca, 
sonetto  ooxLi  6:  «  [Amor]  per  avanzar  sua 
impresa  Tina  saetta  di  piotate  ha  presa  ;  £ 
quind  e  quindi  il  cor  punge  et  assale  ».  — 
46.  Qual  dolor  fbra  ecc.  U  dolore  raccolto 
nella  decima  bolgia  ora  tale  quale  sarebbe  se 
d  riunissero  tutti  insieme  in  un  solo  luogo  i 
morbi  che  nell'estate  infestano  i  paed  paln- 
dod  della  Val  di  Chiana,  della  Maremma  e 
della  Sardegna  ;  e  il  puzzo  che  ne  usdva  pa- 
reggiava il  fetore  delle  membra  mardte.  Il 
Torraca  dta  questi  verd  di  Onesto  da  Bolo- 
gna :  e  Se  li  tormenti  e'  dolor  eh*  omo  ha 
conti  Fossero  indeme  tutti  in  uno  loco  ».  — 
degli  spedali  di  Tal  di  QUaaax  ai  tempo 


INPERNO  -  CANTO  XXIX 


223 


di  Val  dì  Chiana  tra  il  luglio  e  il  settembre, 
48       e  di  Maremma  e  di  Sardigna  i  mali 
fossero  in  una  fossa  tutti  insembre; 
tal  era  quivi,  e  tal  puzBo  n'usciva, 
51       qual  suol  venir  delle  marcite  membre. 
Noi  discendemmo  in  su  l'ultima  riva 
del  lungo  scoglio,  pur  da  man  sinistra, 
54       ed  allor  fu  la  mia  vista  più  viva 
giù  vèr  lo  fonde,  là  Ve  la  ministra 
dell'alto  Sire,  infeaiibil  giustizia, 
57       punisce  i  fÌEdsator  che  qui  registra^ 
Non  credo  ohe  a  veder  maggior  tristizia 
fosse  in  Egìna  il  popol  tutto  infermo, 
00       quando  fii  l'aer  si  pien  di  malizia 
che  gli  anJTnali  infino  al  piccaci  verme 
cascaron  tutti,  e  poi  le  genti  antiche, 
63       secondo  che  i  poeti  hanno  per  fermo, 
si  ristorar  di  seme  di  formiche; 


a  Danto  BtlU  Val  di  CAiana,  paeae  aUora 
palodoio  per-  lo  atagnan  delle  aeque  deUe 
Chiane  tra  Axeso,  Cortona,  Chinai  e  Honto- 
pokiano,  torgérano  oapiit,  dipendenti  dalla 
eiaa  dd  frati  ospedalieri  d'Altopasdo,  nei 
^nali  oepizt,  oltre  i  peliegiini  ohe  andayano 
a  Boma  o  ne  litomaTano,  a'aoooglioTano  nel- 
l'aitato  i  malati  di  febbri  o  d'altri  morbi  pro- 
dotti daU'  inaalubrità  deU'  aria.  8i  roda  il 
TWMaennwnn,  pp.  296-801.  —  48.  di  Hareai- 
BU  e  di  SairìUgaa:  la  Maremma  toscana 
(cfr.  Inf,  zm  7-0,  zzr  19)  e  la  Sardegna 
erano  nel  medioero  oos(  spopolato  e  paladose, 
che  grandi  malori  tì  si  srUapparano  speoial- 
mento  nei  caldi  mesi  estiri.  —  i9.  latembrei 
insieme,  Tooe  arcaica,  derivata  come  lo  spagn. 
«uMtòro  e  fl  ftr.  mmmbU  dal  lat  inrimul 
(Diaz  ISA):  si  trora  osata  anche  fatai  di  ri- 
ma, p.  ea.  da  QaUo  da  Fisa  (VaL  I  444): 
«  Viriamo  insembre  senza  partimento  >.  -- 
62.  lei  dlfeendemat  eoo.  Perché  dal  pon- 
ticello non  si  pnò,  per  l'osooiita  grande,  di- 
ttingaer  bene  il  fondo  della  bolgia,  i  dae 
poeti  scendono  all'estremita  di  esso  snll'nlti- 
Bo  degli  argini  di  Malabolge,  qnello  ohe  se- 
pera  l'ottaTo  dal  nono  cerchio,  tonendo  sem- 
pre il  cammino  verso  sinistra.  —  64.  fa  la 
mU  Tlsta  ptd  tItu  la  mia  vista  potò  me- 
^  distingoere;  poiché  per  la  maggior  vici- 
aan»  dell'obbietto  U  senso  del  vedere  acqni- 
Ma  qnaai  maggiore  capacità  di  vedere:  cosi 
naQ'  Bif.  znv  70  Danto  dice  gU  ooehi  Wrt\ 
par  esprimere  l'idea  che  si  sfollavano,  sob- 
bana  inntilmento,  di  penetrare  sino  al  fondo 
UOm  aettima  bolgia.  —  66.  dell'alto  «rsx 
4iDio;  efr.  iWy.  zv  112.  —  67.  che  qsl 
figifltrs:  ohe  essa  divina  ginstiria  registra, 


qui  nd  mondo,  nel  gran  libro  dei  peccatori  ; 
espressione  conforme  a  molto  della  Bibbia 
(Daniele  vn  10,  Apoeal»  xx  2  eoo.)  e  alle  par 
role  del  Diei  trae  :  e  Liber  soriptns  profere- 
tnr  Di  qno  totom  continetor,  Unde  mnndos 
iadioetor  >.  —  68.  Hon  eredo  eoo.  Non  oredo 
che  la  triaUxiaf  il  doloroso  spettacolo,  che 
apparve  noli'  iaola  di  Egina  allorquando  fu 
devastata  dalla  pesto  mandata  da  Qionone, 
fosse  più  grave  a  vedere  di  qaello  offerto  dai 
dannati  nel  fondo  della  decima  bolgia,  e  II 
lungo  giro  del  periodo,  osserva  il  Diag.,  la 
similitadine  della  pestilenza  di  Egina,  con  le 
circostanze  ohe  la  fanno  pid  spaventosa  an- 
cora, empiono  l'anima  di  tanta  tristesza  e  ri- 
brezzo, éìB  rifogge  quasi  dall'orrenda  vista  di 
quegli  spiriti  ammucchiati  e  languenti,  come 
con  ai  forti  e  diversi  colori  da  Danto  solo  si 
potova  ritrarre  >  ;  da  Danto,  il  quale  per  altro 
ebbe  l'occhio  alla  deecririone  die  della  pesto 
di  Egina  si  legge  in  Ovidio,  M«L  vn  628-660, 
e  ne  ooLbo,  ravvivandoli,  i  tretti  più  effloacL 
—  60.  l'aer  sf  pien  di  auillzlat  l'atmoafara 
piena  di  germi  di  corrurione  peatilenziale  ; 
ofr.  Ov.,  Met.  vn  682  :  «  Letiferis  calidi  spi- 
rarunt  flatibus  Austri  ».  —  61.  eÌM  gli  ani- 
mali eoo.  Ov.  Met,  vn  686:  e  Strage  canum 
prima  volacmmque,  oviumque,  boumque,  In- 
que  feris  subiti  deprensa  potontia  morbi  ».  — 
62.  e  poi  le  geati  aatlclie  eoe.  e  gli  abita- 
tori primitivi  di  £^;ina  si  rinnovarono  dalla 
razza  delle  formiche;  poiché  Eaco,  re  del- 
l' isola  sopraviBSuto  alla  strage ,  chiese  a 
Giove  che  a  ripopolare  il  paese  convertisse 
in  uomini  tutto  le  formiche  dal  luogo,  e  oos( 
ebbe  origine  il  popolo  del  Mirmidoni.  —  63. 
1  peett  :  gli  antichi  poeti  ohe  raccontarono  il 


224 


DIVINA  COMMEDIA 


cVera  a  veder  per  quella  oscura  valle 
66        langmr  gli  spirti  per  diverse  biche. 
Qual  sopra  il  venire,  qual  sopra  le  spalle 
Pan  delPaltro  giacea,  e  qual  carpone 
69       si  trasmutava  per  lo  tristo  calle. 
Passo  passo  andavam  senza  sermone, 
guardando  ed  ascoltando  gli  ammalati, 
72       che  non  potean  levar  le  lor  persone. 
Io  vidi  due  sedere  a  sé  poggiati, 
come  a  scaldar  si  poggia  tegghia  a  tegghia, 
75       dal  capo  al  piò  di  sohianze  maculati* 
e  non  vidi  giammai  menare  stregghia 
da  ragazzo  aspettato  dal  signorso, 
78       né  da  colui  ohe  mal  volentier  vegghia, 
come  ciascun  menava  spesso  il  morso 
dell'unghie  sopra  sé  per  la  gran  rabbia 
81        del  pizzicor,  che  non  ha  più  soccorso; 
e  si  traevan  giù  l'unghie  la  scabbia, 
come  coltel  di  scardova  le  scaglie 
84        0  d*altro  pesce  che  più  larghe  l'abbia. 


fatto  furono  paieochi,  ma  Dante  accenna  in 
partioolar  modo  ad  Gridio  (MeL  vn  662  e 
segg.)-  —  66.  ek'era  a  Teder  ooo.  Or.,  Mei, 
wa  647:  e  Omnia  langoor  habet:  silvisque, 
agriaqno,  ylisqne  Coipoia  foeda  iaoent»,  e 
ib.  684  :  e  Qoo  se  oumqne  adee  ocnlorom  fle- 
zerat,  illio  Vnlgna  erat  stratom;  velati  oom 
patria  motis  Poma  oadont  lamis,  agitataqne 
ilice  glandee*.  —  66.  Mebe:  lo  bieh»  tono 
propriamente  i  macchi  dei  covoni  di  grano  o 
della  paglia,  che  si  fanno  presso  le  case  dei 
contadini  (Dies  867),  e  qai,  in  senso  traslato, 
i  macchi  dei  dannati  ;  cosi  almeno  intendono 
i  commentatori  moderni  :  ma  gli  antichi  in- 
tesero più  tosto  diverm  biehe  per  le  diverse 
maniere  dei  morbi  ond'erano  oppressi;  e  ve- 
ramente non  di  tatti  i  falsari  si  paò  dire  cho 
sono  addossati  gli  ani  agli  altri,  ohe  anzi  ana 

^parte  ne  va  carpone  p$r  io  irido  ocUU  (v.  69). 

*.  67.  Qaal  sopra  11  Tentre  eco.  I  dannati, 
che  primi  si  offrono  allo  sgaardo  di  Dante, 
sono  i  falsari  ohe  esercitarono  raloMmia  a 
fini  fraadolenti:  essi  sono  tatti  lebbrosi  o 
scabbiosi  o  paralitici,  e  se  ne  stanno  distosi 
col  ventre  a  terra  o  addossati  l'ano  alle  spalle 
doU'altro  0  vanno  camminando  a  stento  con 
le  mani  e  coi  piedi.  —  69.  si  trasHatara  : 
si  trasferiva  da  an  laogo  all'altro.  —  70. 
Passe  fasto  ecc.  Noi  andavamo  adagio  sa 
per  l'argine,  guardando  ed  ascoltando  i  pec- 
catori che  non  potevano  tenersi  dritti  salla 
persona,  essendo  oppressi  da  tanti  morbi.  — 
78.  Io  ridi  d«e  ecc.  Questi  due  dannati  che 
stanno  sedati  l'uno  contro  le  spalle  dell'altro, 


grattandosi  i  corpi  lebbrosi  e  pieni  di  orosts 
sono  Qriffolino  d'Arezzo  (v.  109)  e  Capocchio 
da  Siena  (v.  124),  due  alchimisti  dei  tempi 
di  Dante.  —  74.  eOMt  a  scaldar  eco.  come 
sol  fornello  della  caoina  s'accostano  Tona  al- 
l'altra dae  teglie,  perché  si  sostengano  col 
vicendevole  appog^o.  —  76.  tchlaase  :  sono 
le  macchie  della  scabbia,  o,  come  altri  inten- 
dono, le  croste  delle  piag^  disseccate.  —  76. 
e  nea  Tldl  eoo.  non  vidi  mai  garzone,  ohe 
fosse  aspettato  dal  soo  padrone  o  soqùnto  dal 
desiderio  d'andare  a  dormire,  menar  la  strì- 
glia addosso  al  cavallo  con  impeto  tanto  af- 
frettato qaanto  era  nel  grattarsi  di  questi 
due  fislsarL  —  77.  ilgaorso  :  signore  soo  ; 
forma  di  composizione  frequente  nella  lin- 
gua antica  (es.  fràtelmo,  mòglietOy  pàtreto  eco.) 
0  rimasta  viva  in  qaalche  dialetto  moder- 
no, specialmente  dell'  Italia  meridionale  (cf^. 
Parodi,  BulL  UL  123).  —  79.  11  morso  del- 
l' iBghle  :  le  onghie  che  stracciavano,  mor- 
devano quasi  la  pelle.  —  80.  per  la  graa 
rabbU  ecc.  per  l'acutiasimo  e  pungente  pru- 
rito della  scabbia,  che  non  trova  altzo  sol- 
lievo. —  83.  e  sf  traSTaa  ecc.  o  le  unghie 
traevano  giù  le  sohianze  della  scabbia,  come 
il  coltello  del  cuoco  leva  via  raschiando  le 
sqaame  della  scardova  o  di  altro  peeoe  ohe 
le  abbia  più  larghe  della  scardova.  —  8S. 
leardovat  è  on  pesce  d'acqua  ddoe  («f|iiv 
futf  latus  di  Linneo),  ohe  ha  squame  molto 
grandi  e  spesse,  a  levar  le  quali  biaogna 
lavorar  forte  di  coltello.  Si  noti  come  daK 
l'osservazione  dei  fatti  pia  comuni  della  vit» 


INFERNO  -  CANTO  XXIX  225 

«  0  tu  olle  con  le  dita  ti  dismaglie, 
commciò  il  duca  mio  a  un  di  loro, 
87       e  che  ÙA  d'esse  talvolta  tanaglie, 
dinne  s'aloun  latino  è  tra  costoro 

che  son  quinc'entrO|  se  l'unghia  ti  basti 
90       etemalmente  a  cotesto  lavoro  ». 
<  Latin  sem  noi,  che  tu  vedi  si  guasti 
qui  ambedue,  rispose  l'un  piangendo; 
93        ma  tu  chi  se',  che  di  noi  domandasti?  » 
E  il  duca  disse:  «  Io  son  un  che  discendo 
con  questo  vivo  giù  di  balzo  in  balzo, 
96        e  di  mostrar  lo  inferno  a  lui  intendo  ». 
Allor  si  ruppe  lo  comun  rincalzo; 
e  tremando  ciascuno  a  me  si  volse 
90       con  altri  che  l'udiron  di  rimbalzo. 
Lo  buon  maestro  a  me  tutto  s'accolse, 
dicendo:  <  DI'  a  lor  ciò  che  tu  vuoli  »; 
102       ed  io  incominciai,  poscia  ch'ei  volse: 
e  Se  la  vostra  memoria  non  s' imboli 
nel  primo  mondo  dall'umane  menti, 

105  ma  s'ella  viva  sotto  molti  soli, 
ditemi  chi  voi  siete  e  di  che  genti; 

la  vostra  sconcia  e  fi»tidiosa  pena 

106  di  palesarvi  a  me  non  vi  spaventi  ». 
€  Io  fui  d'Arezzo,  ed  Alberò  da  Siena, 

Dtnte  nppiA  tnixe  imagini  di  potente  eflS-  yisitetoii  ò  ancora  rivento  (ofr.  Inf,  zzimi 

ead*  zafpreeentetiTa  :  le  oompanuioni  déUe  62  e  iogg.)  ai  aoocterono  oiaacimo  dalle  apalle 

teg^e  (t.  74)i  del  mono  di  atella  (t.  76)  e  dell'altro,  al  che  <i  rupp$^  renne  meno,  h 

dalle  wqpMOB  dal  peaoe  aono  ooai  vive  e  in-  oomun  rkieatxo,  il  yloendevole  appoggio;  e 

dalTe  ehe  mal  al  aaprebi»  cenanzaxe  il  poete  tremando  di  paora  al  volaero  veno  Dante  in- 

d'aver  tolti  i  ano!  colori  de  tanto  umile  ta-  aieme  con  altri  oompagnL  —  99.  di  rliMbal- 

▼olosa.  — 86.  Il  dlaBUifflle!tÌ8Qroati,atao-  io:  indirettamente;  perohó  Virgilio  areva 

cando  con  le  im|^  le  achianie  aoTxappoato  rivolto  eoe  parole  ado  a  Qriffolino.  —  102. 

runa  all'altre  come  le  mafl^  di  un'aimatora.  relae;  ofr.  Inf,  n  VB.  — 106.  Se  le  Toaftre 

—87.  t  ehe  fai  d^eaae  eoo.  t  ohe  le  adoperi,  ecc.  Coai  noi  mondo  la  memoria  di  voi  non 

come  ae  foaMro  tenace,  afBarxando  e  traen-  a'  involi,  non  fogge  daUe  monti  degli  nomini, 

doti  di  doeao  le  croate.  —  88.  4UBe  ae  al-  ma  dori  per  molti  anni.  — 106.  41  che  genti: 


:  è  la  ataaaa  domanda  fiatto  già  a  di  quali  cittadinanze,  fra  le  molto  d' Italia, 
Olampolo  di  Navaira;  ofr.  3iA  zzn  66  ^  Toifoate.  — 107.  la  Ttatraaeenela eoe  Danto 
"  89.  «vlne'eBlrot  efr.  Mf,  z  17.  —  te  forae  ricordava  i  tre  fiorentini  aodomiti  ohe 
l'nghla  eco.  Oaaerva  il  Loml>.  ohe  e  non  per  la  miaera  lor  condizione  temevano  d'ee- 
potondo  quo*  dennati  ^eiaze  altro  aocoorao  seng^  m  ditpeUo  (Inf,  zvi  28  e  aegg.):  pen- 
ali' ineoffribUe  pnizito,  che  qnello  dello  nn-  sando  che  tanto  maggior  ragione  d'avere  un 
g)ÙB,  non  poteva  oertamento  ae  non  grato  simile  timore  c'era  pei  duo  alchimiati,  quanto 
riasair  loro  preghiera  cotale  >  :  ato  bene;  ma  più  edhifoaa  e  vergognoaa  era  la  loro  pena, 
la  depreceaione  angualo  di  '^nrgilio  non  è  egli  li  incoraggiò  a  manifaatarai  affidandoli 
tea»  odUve  di  lepido  e  arguto  motteggio.  —  oon  corteei  parolo.  —  109.  le  fai  d'irezse  i 
91.  Iiatlmaea  nel  eco.  Italiani  aiamo  noi  dne,  il  Lana  dice:  cQaeato  aretino  fu  nnaaorit- 
che  vedi  eoe!  lovinati  daUa  aoabbia;  ma  ta  tnmto  peraona,  aottile  e  aagace,  ed  ebbe  nome 
ehiaei?  —  9A.  It  aea  aa  eoo.:  tstr,  Inf.  maaetro  Oriffolino;  aapea e adópezava  quella 
zma  46-61.  —  97.  Aller  il  rnppe  eco.  I  due  parto  d'elohfmia  che  ò  appellato  aoft«tloa,  ma 
filaari  meravi^iatl  al  aantìre  ohe  l'ano  dei  ftceelo  al  aeoretamento  ohe  non  era  aapato 

DAim  16 


226 


DIVINA  COMMEDIA 


rispose  l'un,  mi  fé'  mettere  al  foco; 
111        ma  quel  per  ch'io  mori'  qui  non  mi  mena. 
Ver  è  eh'  io  dissi  a  lui,  parlando  a  gioco, 
*Io  mi  saprei  levar  per  l'aere  a  volo'j 
114        e  quei,  ohe  avea  vaghezza  e  senno  poco, 
volle  ch'io  gli  mostrassi  l'arte,  e  solo 
perch'  io  no  '1  feci  Dedalo,  mi  fdce 
117        ardere  a  tal,  che  l'avea  per  figliuolo. 
Ma  nell'ultima  bolgia  delle  diece 
me  per  l'alchimia,  che  nel  mondo  usai, 
120       dannò  Minos,  a  cui  fallar  non  lece  ». 
Ed  io  dissi  al  poeta:  <  Or  fu  giammai 
gente  si  vana  come  la  sanese? 
123       certo  non  la  francesca  si  d'assai  ». 
Onde  l'altro  lebbroso  che  m'intese 


per  alcona  penona.  Or  qoesto  maestro  avea 
contezza  con  un  Albero,  figlinolo  secreto  del 
yescoTO  di  Siena,  e  questo  Albero  era  per- 
sona raga  e  semplioe  ;  ed  essendo  nn  die  a 
pariamento  eolio  detto  maestro  GxiiSolino,  e 
per  modo  di  troppo  lo  ditto  maestro  disse  : 
*  8'  io  Tolessi,  io  anderei  volando  per  aire 
come  Dumo  U  ncoelli  e  di  die  e  di  notte  ', 
soggiungendo  a  eoa  novella  :  <  E*  si  potrebbe 
andar  per  tntta  la  taira  e  in  li  segreti  luoghi 
senza  dubbio  di  signoria  o  di  persona  che  of- 
fendesse *.  Questo  Albero  si  idse  le  parole  al 
cuore,  e  credettelo  ;  infine  strinse  lo  detto 
maestro  ch'olii  li  insegnasse  volare.  Lo  mae- 
stro pur  li  dioea  di  no,  oome  persona  che  non 
sapea  flue  niente.  Costui  li  prese  tanto  odio 
addosso,  che  1  padre  predetto  dee  il  vescovo 
li  informò  una  inquisizione  adesso  e  fèllo 
ardere  per  patazino  >•  Oli  altri  antichi  com- 
mentatori, Ott,  Pietro  di  Dante,  Benv.,  Buti, 
Land,  eoe  ripetono  press'  a  poco  questo  rac- 
conto :  gli  eruditi  senesi  tengono  che  il  fiotto 
succedesse  a  tempo  del  vescovo  Bonflglio, 
che  resse  la  chiesa  di  Siena  dal  1216  al  1262 
e  fti  gagliardo  persecutore  d'eresie,  ma  a  dò 
si  oppone  ohe  maestro  Griffolino  viveva  an- 
cora nel  1268,  ascritto  alla  sodetà  de'  Toschi 
in  Sdegna.  Di  Albero,  figliuolo  o  semplice- 
mente protetto  del  vescovo  (da  alcuni  tenuto 
una  stessa  persona  con  quell'Alberto  da  Siena 
di  cui  novellò  F.  Sacchetti,  nov.  n-xiv),  si 
hanno  notizie  dal  1288  al  1294,  si  che  il  fatto 
dovrebbe  essere  accaduto  neUa  sua  prima 
gioventd  (cfir.  B.  Aquarone,  Dante  in  SwWj 
pp.  69-61).  —  111.  ma  quel  ecc.  non  sono 
qui  per  1*  inganno  fatto  ad  Albero,  inganno 
che  mi  costò  la  vita,  ma  come  alchimista  (cfr. 
V.  119).  —  112.  a  gloeo:  proprio  come  dice 
il  Lana  <  per  modo  di  troppo  >.  —  116.  De- 
dalo: àtr,  Inf,  zvn  109.  —  117.  a  tal  ecc. 
al  vescovo  di  Siena.  ^  119.  aldifaia  :  dd- 


l'oleMmia  (voce  derivata  dall'azalx)  o^-HeOS  : 
Diez  11)  gli  antichi  distinguevano  una  parte 
ledta  consistente  ndla  ricerca  e  neQ'eetm- 
zione  dd  metalli  nobili,  oro  e  argento,  dxd 
minerali,  e  una  parte  illedta  o  mfitHoOt  quan- 
do nella  purificazione  dei  metalli  si  prooo- 
deva  con  inganno  :  e  d  die  ofaiaro  appare 
(dice  U  Lana)  ohe  nell'aite  d'alchimia  pud 
essere  fkllanzla,  sf  oome  puote  in  dascnna 
altra  arte,  e  questa  è  illidta  e  vietata,  e  dil 
la  usa  d  sottomette  a  vizio  di  fteudolenzia  ». 
—  121.  Or  fa  giaanial  eoo.  Il  rioordo  ddla 
f atoitik  di  Albero  da  Siena  suggerisce  a  Dante 
questo  giudizio  sopra  la  vanità  dd  senesi,  il 
quale  rispecdiia  dò  che  di  qudla  dttadinanxa 
pensarono  i  contemporanei  (cfr.  Airy.  xm 
161):  al  qud  propodto  scrive  A.  D'Ancona, 
Studi  dierit,  $Mt.  idi,,  p.  192,  die  cfl  gio- 
dido  comune,  compendiato,  esageranddo,  in 
qud  dettato  che  dice  tutti  matti  i  seneei,  ce 
li  rappresenta  dotati  fi  vivido  e  balzano  in- 
gegno, di  animo  pronto  e  lieto,  fortemente 
inclinati  d  più  nobili  piaceri  dd  senso,  agli 
spettacoli,  d  sollazzi,  alle  giocondità  ddla 
vita:  facilmente  mutabili  e  disposti  a  correre 
da  un  estremo  ddle  cose  alTaltro  >;  e  il  Bae- 
sermann,  p.  906  :  e  L' amore  eccessivo  aUa 
bella  apparenza  e  la  soonsiderata  fiduda  nella 
propria  forza,  sono  i  due  tratti  oaratteristìd 
che  Dante  prende  di  ndra  nd  sened»;  e  nota 
che  a  tali  qualità  d  oollegano  i  rioosdi  deOa 
brigata  spendereoda  e  dd  volo  Idia  ded- 
derato  da  Albero,  tioorrentl  in  questo  can- 
to. —  123.  eerte  non  eco.  la  gente  /HMssaea 
(cfir.  Inf,  xxm  115),  die  pur  ò  vairiiwhna,  è 
meno  fktua  della  seneee.  B  gludido  ddla  vani- 
tà francese  ò  antico  quanto  qud  popde:  «un- 
de  multum  ndror  (scriveva  già  Benv.)  et  indi- 
gnor  animo  quando  video  italioos  et  praedpue 
noblles,  qui  oonantor  imitari  vestigia  eoram  ». 
^  124.  l'altro  lebbroseeeo.  È Ot^eeohio  da 


INPERNO  —  CANTO  XXIX 


227 


rispose  al  detto  mio  :  <  Tràmmene  Stricca, 
126       che  seppe  £ur  le  temperate  spese^ 
e  Niccolò,  che  la  costuma  ricca 
del  garofano  prima  discoperse 
129       nell'orto,  dove  tal  seme  s'appicca; 
e  tranne  la  brigata,  in  che  disperse 
Oaceia  d'Asdan  la  vigna  e  la  gran  fronda, 
132        e  l'Abbagliato  suo  senno  proferse. 


Smba,  seeosdo  Lana,  Dati,  Land,  ecc.,  o  da 
FlKMizB,  seooodo  Ott,  Fiotro  di  Dante,  Denr., 
Ck.an.eoc.;Uqaale,dieerOtt,  clnaottllis- 
UBO  aldUndata,  e  però  ohe  operando  in  Siena 
coarta  «li^iifair»*^  Ali  azso,  ti  laoatra  eoo  odio 
ooBCim  i  laaeal  >  :  il  eappIUo  di  Gapooohio 
te  Mirasoeto  del  1288  (D.  Aq^oarone,  op.  dt, 
f.  CBV  —  126.  rlifoie  eoo.  Oapoodiio  a  oon- 
fnaare  il  gtsdiiio  di  Dante  segue  dicendo 
iroolBaiBente  ohe  dal  norero  dei  seneai  vani 
s*  hanno  a  to^ieiie  i  dna  fratelli  Stiloca  e 
Kicoolò  è^  SaliabeBi  e  gli  altri  tatti  della 
iridala  ifmdtnooia:  eboa  la  quale  è  da  la- 
pere  die  salla  aeooiida  metà  dd  seoolo  xm 
■i  temo  in  Siena  iotto  cotale  dmiomlnailone 
nn^  lìtnaftagM^  di  dodid  giovani  liodiianini, 
coolacendo  daaoano  nna  forte  somma  di  de- 
mro,  per  Tirerà  lietamente  in  oonyiti  e  feste: 
di  tde  compagnia  corsero  subito  diTOcse  no- 
TeOe,  per  coi  le  yioende  di  essa  perrennero 
a  ad  rifiorita  di  SMlti  partiodari  iinitasticl, 
ia  mecBO  ai  quali  è  difficile  determinare  la 
T«dtà;  ma  doUa  cosa  e  della  mlseraliile  fine 
di  ooteata  Vogata,  dd  nomi  dd  principali  soct 
e  d'altri  miaori  pazticolari  non  pam  ohe  sia 
te  dnbitai«:  cfr.  B.  Aquarone,  op.  dt,  pp. 
15-66;  G.  Bondoni,  Tradizioni  popolari  e  leg- 
gmid§  di  un  commt  medioevak  {Simui  6  Van- 
ti» amtado  9cmm\  Firenie,  1886,  pp.  44  e 
SQgg.;  A.  D'Ancona,  op.  oit,  pp.  296  e  segg. 
—  Strleea,  elM  seppe  eoe  :  gli  antichi  non 
d  dioono  di  die  fkiilglia  iòsse  :  il  Lana  at- 
testa ch'ai  «  fu  uno  riooo  giorana  da  Siena, 
il  quale  Ceoe  afolgorato  ^ese,  e  appeUayad 
la  tua  InifBta,  spender^ecia  >  ;  pare  molto 
prohabUe  eh' d  fosse  Strioca  di  Gioranni 
«e*  i^imiwmt,  stato  podestà  di  Bologna  nel 
1286,  non  già  Stzioca  dei  Tolomd  ohe  vivera 
in  patdA,  frate  gaudente,  nd  1294  (cfr.  B. 
Aquame,  op.  ctt.,  p.  66).  ~  127.  e  Hleeeld  : 
Niccolò  de*  SaUmbeni,  figlio  anoh'egli  di  Gio- 
mni  oona  lo  Strioca,  fri  uno  dd  promo- 
tori deQa  brigata  spendereccia,  alla  rorina 
defla  qoala  aopraTiase  tanto  ohe  nd  1811  era 
ia  Loinbardia  fra  i  grandi  signori  ohe  fooe- 
Tiao  eoronn  all^  inventore  Arrigo  VII  (cfr. 
Del  Lavo,  H  69fr-604  e  F.  Flamini,  BuU.  I 
31):  «  fri,  dice  U  Lana,  largo  e  spendersodo, 
e  to,  deDa  brigata,  e  fri  lo  pdmo  die  trorò 
nettare,  in  fiìgiani  e  psnid  arrosto,  garofop- 
ni  ».  —  la  iiislaMa  rlaea  eoo.  la  signorile 


usanza  di  mettere  nelle  rlvande  e  special- 
mente nella  cacdagione  arrostita  i  g&rofiuii  o 
altre  spezie.  Alcuni  commentatori,  come  il 
Buti,  Land.  eoo.  riforisoono  la  roce  che  il 
cuoco  dd  SaUmbeni  facesse  e  il  libro  delle 
Tirando  >  trovate  da  qud  ddla  brigata;  che 
potrebbe  essere  il  FrtmmmUo  di  un  libro 
di  eueénOf  pubbL  da  0.  Guerrini,  Bologna, 
1887,  ove  sono  mdte  ricette  apidane  per 
dodici  ghiotti,  proprio  Q  numero  dd  compa- 
gnoni spenderecd,  o  speciali  arrertimenti 
drca  l'uso  dd  garofoni.  —  129.  melI'ortOy 
fiOTt  eoo.  Benissimo  il  Lana  spiegò:  e  mise 
tale  uso  tra  li  ghiotti  e  golod  >  ;  iuTece  Ott. 
e  Bear,  intesero  l'orto  per  la  dita  di  Siena, 
nella  qude  €  cotaU  costumi  s'impiccano  bene 
per  gola  e  ghiottomia  »,  e  il  Buti  tenne  ohe 
fosse  detto  tanto  della  brigata  quanto  della 
città.  — 180.  e  tranae  eoe  :  e  per  ^aodard, 
dice  U  Buti,  li  conta  tutu  indeme  »  ;  poiché 
lungo  sarebbe  stato  enumerare  i  dodid  com- 
pagnoni e  Dante  d  limita  a  ricordare  pure  l 
maggiori  :  la  brigata  dd  resto  aveva  avuto  i 
suoi  poeti,  prima  che  nd  fiorentino,  in  Fol- 
goro da  San  Gimignano  e  in  Gene  dalla  Chi- 
tarra aretino  ;  11  primo  dd  quali  cantò  in  una 
sorìe  di  sonetti  le  giocondità  deUa  «  brigata 
nobile  e  cortese  >  distinte  per  ogni  mese  dd- 
Tanno,  e  il  secondo,  parodiando,  ne  rappre- 
sentò le  nde  e  i  fostidl  della  miseria  che 
seguitarono  alla  lieta  vita  (cfr.  le  ^irns  d<  F. 
da  S,  Oomignano  é  di  O,  do  la  OkUarrOj  ed. 
da  G.  Navone,  Bologna,  1880).  B  D'Ancona, 
op.  dt.,  p.  206,  ricostruirebbe  il  catalogo  dei 
compagnoni  cod:  1.  Leno  (cfr.  Jbif,  zm  118), 
2.  Nlooolò  SaUmbeni,  8.  lo  Strioca,  4.  Caccia 
d' Asdano,  5.  l'AbbagUato  ;  ricordati  daDante  : 
6.  Tingoccio,  7.  lOno  di  Tingo,  8.  Ancaiano, 
9.  Bartolo,  10.  Hugavero,  11.  Fainotto,  e  12. 
Folgore  da  S.  Gimignano,  ohe  ricorda  neUe 
sue  rime  i  sd  precedenti.  —  181.  Caeela 
d'Asdan:  Caccia  degU  Sdalenghl,  del  ramo 
di  questa  fomigUa  che  fri  detto  dd  Caccia- 
conti  (ofr.  Bepettl  VI  64-67),  possedeva  vi- 
gneti e  boschi  presso  il  casteUo  d'Asolano, 
nd  territorio  senese,  e  consumò  tutto  il  suo 
avere  neUe  paxze  spese  della  brigata:  forse 
non  è  persona  diversa  qud  Caoda  da  Siena 
che  nd  seoolo  xm  scrisse  canzoni  d'amore. 
—  182.  l'AbbagUato:  Bartolommeo  dd  Fol- 
caochieri  detto  l'Abbagliato  fri  mdte  volte  dd 


^ 


228 


DIVINA  COÌOfEDIA 


135 


139 


Ma  perché  sappi  chi  si  ti  seconda 
centra  i  sanesi,  aguzza  vdr  me  l'occhio, 
si  che  la  fisuscia  mia  ben  ti  risponda; 

si  vedrai  ch'io  son  l'ombra  di  Capocchio, 
che  falsai  li  metalli  con  alchimia, 
e  ti  dèi  ricordar,  se  ben  t'adocchio, 

oom'  io  fai  di  natura  buona  scinda  >. 


contiglieli  del  oomime  di  Siena  del  1277  al 
1900|  oancolHere  nel  1279,  gonfaloniere  d'eeoi» 
cito  nel  1278  e  1280,  rettore  di  Campagnatico 
nel  1288,  podestà  di  Montereggioni  nel  1290 
e  di  Montegoidi  nel  1800,  e  capitano  degU  etl- 
pondlari  del  oomnne  in  Maremma  dal  1289  al 
1292  :  ai  qoall  offici  forse  ti  volae  dopo  la 
lieta  vita  della  gioyinetza,  durante  la  quale 
ta,  nel  1278,  multato  perché  troTato  a  bere 
in  nna  taverna  (c£r.  G.  Ifazd,  Foleaeehiaro 
Fbloaoehitri  rimatore  mnete  del  mo.  ZI2I,  Fi^ 
renze,  1878,  pp.  9-10,  21-26)  —  ISS.  si  U 
seconda:  s'accorda  cosi  bene  con  te  nel  de- 
riderò la  fatuità  senese.  —  185.  sf  eke  la 
facrla  ecc.  si  che  il  mio  volto,  da  te  ricono- 


sciuto, risponda  per  me  alla  tua  domanda. 
Tutti  gli  antiehi  commentatori  affermano  ohe 
Dante  fu  amico  di  questo  Oapocchio  ;  l'An. 
fior.,  più  partitodatmente,  dice  che  <  fu  od> 
nosoente  dell'autore,  et  insieme  studiarono  ; 
et  [Capocchio]  fu  uno  ohe,  a  modo  d'uno  uomo 
di  corte,  seppe  oontimfÌEize  ogni  uomo  ohe 
▼olea  et  ogni  oosa,  tanto  di'egliparea  proprìe- 
mente  la  cosa  o  l'uomo  ch'egli  oontrafiaoea 
in  ciascuno  atto:  diessi  nell'ultimo  a  coatca- 
fsze  i  metalli,  come  egli  fuea  gli  uomini  ». 
—  188.  se  hen  t*ade«ehle  :  se  non  mi  aono 
ingannato  guardandoti,  se  tu  sei  veramente 
Dante.  —  188.  di  natva  baeaa  aelslnt 
valente  oontcaCattore  di  nomini  e  di  ocee. 


CANTO  XXX 


I  dae  poeti  yedono  tra  i  folslflcator!  di  persone,  che  corrono  ria  per 
la  bolgia  rabbiosamente,  Gianni  Schicchi  e  Mirra  ;  tra  i  falsari  di  moneta, 
gravati  dal  morbo  dell* idropisia.  Adamo  da  Brescia;  tra  i  bufiriardi,  op- 
pressi da  ardentissima  febbre,  la  moglie  di  Pntifarre  e  il  greco  Sinone;  e 
poi  assistono  a  nn  singolare  contrasto  fra  Adamo  e  Sinone  [9  aprile,  tra  le 
(lue  e  le  tre  ore  pomeridiane]. 

Nel  tempo  che  Giunone  era  crucciata 
per  Semole  centra  il  sangue  tebano, 
8       come  mostrò  ima  ed  altra  fiata, 


Trxx  1.  Hel  tempo  eec  La  seconda  spe- 
cie dei  Oalsaii,  cioò  quelli  che  contrafeoero 
in  sé  le  altrui  persone,  sono  condannati  a 
correre  nel  fondo  della  bolgia  dominati  da 
una  furia  fsroce  e  addentando  rabbiosamente 
gli  altri:  Dante  a  dare  un'idea  adeguata 
della  loro  insania  ricorre  col  pensiero  ai  fu- 
rori di  Atamante  e  di  Ecuba,  deducendo  da 
Ovidio  una  narrarione  bella  e  vigorosa,  ma 
forse  alcun  poco  sproporzionata  al  caso,  e  Ma- 
gnifico, nou  il  Biag.,  fa  il  principio  del  canto 
questo  lungo  periodo  e  il  seguente,  non  tanto 
per  l'andamento  dòl  verso,  grave  e  soete- 
nuto,  quanto  per  le  forti  imagini  che  vi  si 
ritraggono,  tenendo  11  lettore  per  lungo  tratto 
sospeso,  attento  e  desideroso  ;  nei  quali  sen- 
timenti sino  al  fine  ò  forzato  di  sostenersi 


con  diletto  >  :  ma  tuttavia  l'erudirione  ml- 
tologlca  pare  a  noi  lettori  moderni  troppo 
prolungata,  si  che  vien  meno  quella  armonica 
proporzione  ohe  siamo  soliti  di  ammirare  nello 
comparazioni  dantesche.  —  Glaaone  era  erse- 
elata  eoo.  (Hunone,  sdegnata  ohe  Qiove  avease 
amato  Semole,  iigUa  di  Cadmo  re  di  Tebe  e 
madre  di  Bacco,  oltre  alla  vendetta  che  si 
prese  facendo  si  che  la  sua  rivale  rimanesse 
incenerita  Iza  gli  splendori  del  divino  amante 
(cf^.  Pùt.  XXI  6),  infiori  contro  tutta  la  stixpe 
tebana:  cfr.  Ovidio,  Mei,  m  268-815.  —  8. 
naa  ed  altra  Hata:  più  volte;  i^iohó  Giu- 
none ta.  causa  che  Atteone  nipotcf  di  Cadmo 
fosse  sbranato  dai  suoi  cani,  che  Agave  so- 
rella di  Semole  uccidesse  il  iiglio^enteo,  e 
die  Ino  altra  eerella  di  lei  si  gettasse  in  maro 


INFERNO  -  CANTO  XXX 


229 


Atamante  dìyezme  tanto  insano 
che,  veggendo  la  moglie  con  due  figli 
G       andar  oarcata  da  ciascona  mano, 
gridò:  <  Tendiam  le  reti,  si  ch'io  pigli 
la  leonessa  e  i  leoncini  al  varco  », 
9       e  poi  distese  i  dispietati  artigli, 
prendendo  l'un  che  avea  nome  Learco, 
e  roteilo,  e  percosselo  ad  un  sasso; 
12       e  quella  s'annegò  con  l'altro  carco. 
E  quando  la  fortuna  volse  in  basso 
l'altezza  de'troian  che  tutto  ardiva, 
15       si  che  insieme  col  regno  il  re  fu  casso, 
Ecuba  trista,  misera  e  cattiva, 
poscia  che  vide  Polissena  morta, 
18        e  del  suo  Polidoro  in  su  la  riva 
del  mar  si  fu  la  dolorosa  accorta, 
forsennata  latrò  si  come  cane, 
21        tanto  il  dolor  le  fé'  la  mente  torta. 
Ma  né  di  Tebe  furie  né  troiane 
si  vìder  mai  in  alcun  tanto  crude, 
24        non  punger  bestie,  non  che  membra  umane, 
quant'io  vidi  due  ombre  smorte  e  nude, 
che  mordendo  correvan  di  quel  modo 
27        che  il  porco  quando  del  porcil  si  schiude. 
L'una  giunse  a  Capocchio,  ed  in  sul  nodo 


•ec  —  4.  ÀUnaate  ecc.  Atamante  ro  di  Tebe, 
iaftnÌAto  per  rolere  di  Ginncme,  incontrò  la 
moi^  Ino  ohe  portsTa  in  collo  i  Agnolotti 
Lesroo  e  HeUcexta  e  facendo  tendere  le  reti 
per  prenderli  come  foesoro  la  leonessa  e  i 
leoncini,  preee  e  sbatto  a  nn  sasso  il  figlio 
Leaico:  allora  Ino,  disperata,  si  gettò  con 
Mélìcerta  nel  mare  ricino.  La  narrazione  dan- 
tesca segue  molto  da  Ticino  quella  di  Orìdio, 
ìitL  tv  512-6S0.  —  7.  TeaAlan  le  reti  ecc. 
Or.,  Ud.  vn  618  :  e  Clamat  :  '  Io,  oomites, 
bis  reti*  tendite  bìItìs  !  Hic  modo  oom  ge- 
iirfi>*  Tisa  est  mibi  prole  leaena  '  >.  ~  9.  di* 
rteae  eoe.  afTerrò  con  le  mani  spietate  il  pio- 
colo  Learco  e  girandolo  per  aria  lo  percosse 
a  un  sasso  :  Or.,  Mei,  vn  516  :  «  Deque  sinu 
Bstrìs  ridentem  et  parv»  Learchnm  Brachia 
tendendem  rapit  et  bis  terqne  per  auras  More 
Totat  fundse,  rìgidoque  infìuitia  saxo  Discntìt 
ora  ferox  >.  —  12.  e  osella  eoo.  Ino,  con  il 
figlinolo  Hèlioerta,  si  gotto  da  uno  scoglio 
nel  mar».  —  18.  E  qvaido  ecc.  Quando 
Troi»  fu  distrutta,  Eouba  moglie  del  re  Pria- 
mo tratta  in  serritA  dal  greci,  por  il  dolore 
d'arer  veduta  l'uccisione  di  sua  figlia  Polis- 
sena sulla  tomba  di  Achille  e  d' aver  trovato 
Q  cadareie  di  suo  figlio  Polidoro  (cf^.  ih/. 


zm  88)  sulle  rive  della  Tracia,  usci  fuori  di 
sé  in  bestiaU  ululati:  ofr.  Ovidio,  M«L  zm 
899-675.  —  14.  l'allessa  eoe  la  potenza  dei 
troiani,  ohe  osarono  di  compiere  le  imprese 
piti  scellerate  (spergiuro  di  Laomedonte,  rapi- 
mento di  Elena  eoe).  —  16.  lasleae  cai  re- 
gno eoo.  con  la  caduta  di  Troia  fini  il  regno 
e  la  vita  di  Priamo  :  ofr.  Ov.,  Md.  zm  404  : 
e  Troia  simul  Priamusque  cadunt».  —  16. 
trista,  sdsera  e  eattiva  :  trista  per  la  morte 
dei  suoi,  misera  per  la  rovina  di  Troia  e 
della  sua  stirpe,  e  eaOivat  perché  condotta 
via  dal  greci  come  schiava.  —  20.  fonen« 
nata  eoe.  Ov..  Mei.  zm  669  e  latravit,  ce- 
nata loquL..  Ululavit  moeeta  per  agros  >.  — 
22.  Ha  né  eoe.  Ma  nessun  l^irore  né  in  Ata- 
mante né  in  Ecuba  né  in  uomo  o  in  bèlva 
alcuna  fu  mai  cosi  crudele  come  quello  ohe 
agitava  due  anime  della  dedma  bolgia.  — 
25.  qiaat'  lo  vidi  :  sottintendi,  pungere^  agi- 
tare. —  due  ombre  :  quella  di  Gianni  Schio- 
chi  (V.  32)  e  qaeUa  di  Mirra  (v.  87).  —  26. 
mordende  ecc.  correvano  addentando  a  caso 
gli  altri  dannati,  come  il  maiale,  al  quale  sia 
aperto  il  porcile,  corre  per  la  campagna  af- 
ferrando disordinatamente  coi  denti  dò  che 
gli  vione  innanzi.  ~  28.  L^iaa  ecc.  Gianni 


230 


DIVINA  COMMEDIA 


del  collo  Paasaniiò  si  che  tirando 
80       grattar  gli  fece  il  yentre  al  fondo  sodo; 
e  Taretin,  che  rimase  tremando, 
mi  disse  :  «  Quel  folletto  è  Gianni  Schicchi, 
83       .e  va  rahbioso  altrui  cosi  conciando  ». 
<  0,  diss'io  lai,  se  l'altro  non  ti  fiochi 
li  denti  ajddosso,  non  ti  sia  fatica 
86        a  dir  chi  è,  pria  che  di  qui  si  spicchi  ». 
£d  egli  a  me:  <  Quell'ò  l'anima  antica 
di  Mirra  scellerata,  che  divenne 
89        al  padre,  facr  del  dritto  amore,  amica. 
Questa  a  peccar  con  esso  cosi  venne. 


Sohioehi  afferrò  ooi  denti  Cf^ooohio  al  nodo 
del  collo  e  lo  trascinò  via  col  Tentre  fol  doro 
fondo  della  bolgia.  —  im  nU  aedo  eco.  nelle 
vertebre  oerrioali,  per  le  quali  il  capo  ri  oon- 
ginnge  al  btisto.  —  29.  astauò  :  da  tarma 
(Inf.  xjn  66)  il  yb.  auaiman  ha  qoi  il  senso 
prc^o  di  addentare  (cfr.  Iti/,  xvm  99,  J\srg. 
ziT  69).  —  81.  Paratia  ecc.  Oriffolino  d'A- 
rezzo, ohe  temeva  d'essere  addentato  dall' al- 
tro spirito.  —  82.  Glaanl  SeUeeU:  Oianni 
Schicchi  dei  Cavalcanti  fiorentino,  del  quale 
tatti  gli  antichi  commentatori  raccontano  la 
falrità  oh'  el  fece  fingendo  di  essere  Booso 
dei  Donati  (cCr.  Inf,  xzv  140)  già  morto; 
l'An.  fior,  la  racconta  cosi  :  «  Essendo  mes- 
ser  Baoso  Donati  aggravato  d'nna  infermità 
mortale,  volea  fare  testamento,  però  che  egli 
parca  avere  a  rendere  assai  dell'  altnii  :  Si- 
mone suo  figlinolo  [i  docomenti  dt.  dal  Del 
Lungo,  DanUf  U  72-78,  dicono  invece  die  i 
duo  Donati  fossero  firatelli  e  figli  di  Forese 
il  vecchio]  il  tenea  a  parole,  per  ch'egli  noi 
facesse  ;  e  tanto  il  tenne  a  parole  eh'  elli 
morì.  Morto  ohe  fa,  Simone  il  tenea  celato 
et  avea  paura  eh'  elli  non  avesri  Cutto  testa- 
mento mentre  eh'  egli  era  sano  ;  ot  ogni  vi- 
cino dicea  oh'  egli  Tavea  fatto  :  Simone,  non 
sappiendo  pigliare  consiglio,  si  dolse  con 
Gianni  Sticchi  et  chiesegU  consiglio.  Sape* 
Gianni  contra£are  ogni  nomo  et  colla  voce 
et  cogli  atti,  et  massimamente  messer  Bnoso 
eh'  era  oso  con  lai  ;  disse  a  Simone  :  '  Fa 
venire  ano  notaio  et  di'  che  messer  Baoso 
voglia  fare  testamento  :  io  entarrò  nel  letto 
suo,  et  cacceremo  Ini  dirietro,  et  lo  mi  fa- 
scerò bene,  ot  metterommi  la  ci^pellina  saa 
in  capo,  et  farò  il  testamento  come  ta  vor- 
rai ;  è  vero  che  io  ne  vo^o  guadagnare  '. 
Gianni  entra  nel  letto  et  mostrari  appenato, 
et  oontrafà  la  voce  di  messer  Buoso  che  pa- 
rea  tutto  lui,  et  oominda  a  testare  et  dire  : 
*  Io  lasdo  soldi  xx  all'  opera  di  santa  Bepa- 
rata,  et  lire  cinque  a'  Frati  minori,  et  cinque 
a'  Predicatori  ',  et  cosi  viene  distribuendo 
per  Dio,  ma  pochissimi  danari  :  a  Simone 


giovava  dd  fktto.  *  Et  lasdo,  soggiunse,  cin- 
quecento fiorini  a  Gianni  Sticchi  '.  Dice  Si- 
mone a  messer  Booao  :  *  Questo  non  bisogna 
mettere  in  testamento  :  io  glid  darò  ooine 
voi  lascerete  '.  *  Simone,  lascerai  lare  del 
mio  a  mio  senno  :  io  ti  lasdo  tf  bene,  ohe 
tu  dèi  essere  contento  '.  Simone  per  pam 
d  stava  cheto.  Questi  segue  :  *  Et  lasdo  a 
Gianni  Sticchi  la  mula  mia  '  ;  ch6  avea  mes- 
ser Buoso  la  migUore  mula  di  Toscana.  *  Oh, 
messer  Buoso,  dicea  Simone,  di  ootosta  mula 
ri  cura  egli  poco  et  pooo  Tavea  caia  *.  '  Io 
80  dò  ohe  Gianni  Stiochi  vude,  meglio  di 
te  '.  Simene  ri  oominda  adirare  et  a  oonsa- 
marri  ;  ma  per  paura  ri  stava.  Gianni  Stio- 
chi segue  :  *  Et  lasdo  a  Gianni  Sticohi  fio- 
rini cento,  che  io  debbo  avere  da  tale  mio 
vicino:  et  nel  rimanente  lasdo  Simone  min 
reda  universale  ',  eon  questa  daiisda  di'  e- 
g^  dovesse  mettere  ad  esecuzione  ogni  lasdo 
fra  quindid  di,  se  non,  che  tutto  U  reditag- 
gio  venisse  a*  frati  minori  dd  convento  di 
Santa  Croce  ;  et  fatto  il  testamento  ogni  no- 
mo ri  parti  :  Gianni  esce  dd  letto  et  rimet- 
tonvi  messer  Buoso,  et  lievano  il  pianto  et 
dicono  ch'egli  è  morto».  Secondo  il  Tona- 
ca, non  Simone,  che  ta  fratello  di  Buoso,  ma 
il  figlinolo  di  quest'ultimo,  per  nome  Tad- 
deo, ta  V  orditor  dell'  inganno  ;  tanto  ohe, 
più  tardi,  nd  testamento  proprio  dispose  per- 
ché fossero  psgati  tutti  i  legati  fatti  da  Buoso 
suo  padre.  —  8A.  m  l'altro  ecc.  cori  l'al- 
tro folletto  non  vonga  ad  addentarti  come 
Gianni  ha  fatto  con  Capocchio.  —  86.  si 
spieeU  :  ri  allontani  ;  vb.  assai  appropriato 
ad  esprimere  gl'improwiri  e  sùbiti  movi- 
menti di  questi  dannati.  —  87.  inveir  è  Pa- 
nica eoe  Mirra,  figlia  di  Ciniia  re  di  Ci- 
pro, presa  di  violento  amore  per  il  padre 
suo,  ottexme  di  sodiifue  le  sue  voglie  in- 
cestuoso con  l'aiuto  della  sua  nutrice  che 
la  condusse  a  lui,  facendogli  credere  che  fosse 
un'  altra  giovinetta  :  dopo  il  fstto,  il  padre 
acoortori  dell'inganno  voleva  ucciderla,  ma 
ella  riusd  a  fuggire  in  Arabia,  dove  Sa  oca- 


INFERNO  -  CANTO  XXX 


231 


£Ed8Ìficando  sé  in  altrui  forma, 
42       come  l'altro,  che  là  sen  va,  sostenne, 
per  guadagnar  la  donna  della  torma, 
fÌEdsifioare  in  sé  Buoso  Donati, 
45       testando  e  dando  al  testamento  norma  ». 
E  poi  che  i  due  rabbiosi  far  passati, 
sopra  cui  io  avea  1*  occhio  tenuto, 
48        rivolsilo  a  guardar  gli  altri  mal  nati. 
Io  vidi  un,  fatto  a  guisa  di  leùto, 
pur  ch'egli  avesse  avuta  l'anguinaia 
51        tronca  dal  lato,  che  l'uomo  ha  forcuto. 
La  grave  idropisia,  che  si  dispaia 
le  membra  con  l'umor  che  mal  converte 
51       che  il  viso  non  risponde  alla  ventraia, 
faceva  a  lui  tener  le  labbra  aperte, 
come  l'etico  fisb,  che  per  la  sete 
57        l'un  verso  il  mento  e  l'altro  in  su  rinverte. 
<  0  voi,  che  senza  alcuna  pena  siete, 


Twtita  ìb  un»  pianta  (Ovidio,  Mtt.  x  298- 
602).  —  41.  flUaMeMio  eoe.  prendendo  le 
■^«^""^  d'àltia  donna:  Or.  JIU.489*  cNo 
■In»  aantitD  veroa  eiqponit  amoxea  >.  —  42 
mm%  Paltro  eoo.  come  Gianni  Sohioohi  aa- 
aoaae  fiakamente  le  sembianze  e  la  vooe  di 
Booao  Donati,  dettando  il  testamento  seoondo 
tatt»  le  forme  deU'  oso  e  della  legge.  —  48. 
per  9a»4a«aar  eoo.  per  guadagnare  la  mnla 
di  Bnoeo,  la  migHon  di  Totoana,  dioe  l*An. 
fior.,  e  perciò  la  doima^  la  xegiaa  di  tatto  le 
mole.  —  45.  4mi4o  al  teitaneato  aozma  : 
accenna  all'  avere  Gianni  Sohioobi  saputo  far 
oasi  nataralmente  la  parte  di  Bnoso  ohe  il 
notaio  ne  fu  Ingannato  e  rogò  il  testamento 
come  se  fosae  stato  l'espressione  della  yo- 
knxtà  del  nuoente,  eon  tatti  i  particolari  e 
formule  conaoete  e  legali.  —  48.  gli  altri 
■Mi  maM.  t  sono  i  falsari  di  moneta,  la  terza 
specie  di  dannati  di  qnesta  bolgia,  paniti  dai 
morbo  deU'  idropisia.  —  i9.  Tidl  in  eco.  È 
maestro  Adamo  da  Brescia  ;  del  quale  scrive 
V  An.  fior.  :  <  Fu  tirato  in  Casentino  nel  ca- 
stello di  Bomena,  al  tempo  che  i  conti  [Oaidì] 
di  qoello  lato  (ofir.  v.  77)  stavano  male  col 
eomime  di  Firenze.  Erano  allora  signori  di 
Bomena  et  d'attorno  in  qoello  paese  tre  fra- 
telli, il  conte  i^hinolfo,  il  conte  Goido  et  il 
conte  Alessandro  :  il  maestro  Adamo  ridot- 
tosi con.  loco,  costoro  il  mlsono  in  sol  salto 
et  fòdongli  battere  fiorini  sotto  il  oonio  dol 
ooBone  di  Firenze,  ch'erono  baoni  di  peso 
ma  non  di  lega...  Di  questi  fiorini  se  ne  spe- 
sone assai;  ora  nel  fine  venendo  an  di  il 
maestro  Adamo  a  Firenze,  pendendo  di  que- 
sti fiorini,  ftaiono  ooiioscliiti  esser  falsati  :  fu 


presd  et  ivi  fu  arso  >  :  il  fiitto  aooadde  nel 
1281.  —  Catte  a  fvisa  ecc.  od  ventre  ri- 
gonfiato cosi  che,  se  gli  fosse  stato  troncato 
l'inguine  dalla  parte  delle  cosce,  saiobbe 
parso  un  Unto  ;  poiché  il  capo,  il  collo  e  il 
petto  scarni  avrebbero  resa  l'idea  del  ma- 
nico, e  U  ventre  rigonfio  della  cassa.  —  62. 
lia  grave  Idropisia  ecc.  L'idropisfa  gravosa, 
la  quale,  con  l'umore  mal  convertito  cioè 
con  la  linfa  non  elaborata,  disforma  le  mem- 
bra in  tal  modo  ohe  il  volto  per  l'eccessiva 
magrezza  non  ft  piò  proporzionato  al  ventre 
tumido  e  gonfio.  ~  dispaia  :  rende  disuguali 
dal  loro  primo  essere,  fa  esser  differonti  le 
nuove  membra  da  quelle  di  prima  :  cfr.  Inf, 
vu  i5.  —  68.  eoa  l'umor  ecc.  cfr.  fì-a  Gior- 
dano da  Bivalto,  predica  lix  :  e  L'idropico, 
quanto  piò  mangia  e  bee,  quelli  omeri  si 
corrompono  tutti  e  oonvertonsi  in  mali  omeri 
flemmatici».  —  56.  teme  l'etico  ecc.  Venturi 
2J3:  e  La  similitudino  mostra  Tatto  che,  per 
ragioni  morbose  differenti,  apparisco  lo  stesso 
nell'  etico  e  noli'  idropico  ;  e  rapidamente  Io 
lumeggia  in  quel  rovesciar  eh'  essi  fanno  in 
senso  opposto  le  labbra,  per  tenero  più  aperta 
la  bocca  ».  —  67.  Pan  ecc.  rivolge  l'un  lab- 
bro in  giù  e  l'altro  in  su,  si  sforza  di  tener 
aperta  la  bocca.  —  68. 0  toI  ecc.  Maestro  Ada- 
mo non  ha  sentito  le  parole  detto  da  Virgilio  a 
Griffolino  (Inf,  xnx  91),  altrimenti  saprebbo 
già  per  qual  ragione,  cioò  per  essere  ancora 
vivo,  l'uno  dei  visitatori  non  sia  oppresso 
da  alcuna  pena;  e  forse  la  frase  virgiliana 
«  e  sf  mostrar  l' inferno  a  lui  intendo  >  gli 
avrebbe  fatto  capire  che  il  viaggio  era  per 
volere  divino:  ma  vedendo  i  due  non  o^ 


232 


DIVINA  COMMEDU 


e  non  so  io  perché,  nel  mondo  gramo, 
60       diss'egli  a  noi,  guardate  ed  attendete 
alla  miseria  del  maestro  Adamo: 
io  ebbi,  vivo,  assai  di  quel  ch'io  volli, 
63        ed  ora,  lasso!  un  goccici  d'acqua  bramo. 
Li  ruscelletti,  che  de' verdi  colli 
del  Casentin  dìscendon  giuso  in  Amo, 
66       facendo  i  lor  canali  freddi  e  molli, 

sempre  mi  stanno  innanzi,  e  non  indamo; 
che  l'imagine  lor  vie  pi4  m'asciuga 
69        che  il  male,  end' io  nel  volto  mi  discarno. 
La  rigida  giustizia,  che  mi  fruga, 
traggo  cagion  del  loco  ov'io  peccai 
72       a  metter  più  li  miei  sospiri  in  fuga. 
Ivi  è  Romena,  là  dov'io  £&lsai 
la  lega  suggellata  del  Batista, 
75        per  ch'io  il  corpo  su  arso  lasciai. 
Ma  s'io  vedessi  qui  l'anima  trista 
di  Guido  0  d'Alessandro  o  di  lor  frate, 


pieosi  dall'  idropisl»  se  m  mersTlglis  e  du- 
bita ohe  dò  sia  per  qualche  alta  cagione.  — 
59.  Mondo  gramo:  mondo  del  doloro,  l'in- 
ferno. —  60.  guardate  ed  attendete:  cfìr. 
la  nota  all'£»/;  xxnn  132.  —  82.  le  ebbi, 
tIto,  atial  eoo.  nel  mondo  io  èbbi  in  ab- 
bondanza dò  eh'io  desiderai,  ed  ora  tono 
condannato  a  desiderare  inutilmente  un  sorso 
d'acqna.  È  un  ricordo  del  vangelo,  dove  si 
legge  ohe  essendo  il  ricco  nell'inferno  (Lnoa 
XVI  24)  e  gridando  disse  :  Padre  Abrahamo, 
abbi  pietà  di  me,  e  manda  Lazaro,  aedo  che 
intinga  la  punta  del  dito  noli'  aoqna,  e  mi 
rinl^esohi  la  lingua;  per  dò  che  io  son  tor- 
mentato in  questa  fiamma».  —  64.  U  m- 
ieelletti  ecc.  n  peccatoro,  oppresso  nella 
valle  infernale  da  orudeUsslma  sete,  ricorre 
naturalmente  col  pensiero  alla  frescura  delle 
sdve  del  Casentino,  nelle  quali  oserdtò  la 
sua  falsità;  e  ripensa  con  accrescimento  del 
dolore  flsioo  e  morale  al  ruscelletti  che  di- 
scendono nell'Amo  rioohi  di  fresche  acque. 
Il  Bassermann,  p.  106,  osserva  che  i  rusoolli 
del  Casentino  sono  adesso  petrosi  e  riarsi  op- 
pure rigonfi  per  piogge  dirótte;  ma  là  ove  i 
boschi  secolari  ftirono  rispettati  e  il  snolo  è 
oosparso  di  fertile  terricdo  e  di  feld  e  anemo- 
ni e  viole  alpestri,  e  da  ogni  Iato  le  acque 
mormorano  e  stillano  giù  per  le  pietre  musco- 
se ».  —  66.  eaiall  freddi  e  molli:  cfr.  'Vl> 
giL,  Bue,  z  42  :  e  Hic  gelidi  fontos.  hio  molila 
prata,  Lycori  ».  —  68.  rimagine  ecc.  la  loro 
vista  mi  accresce  la  sete  più  cho  non  f&ccia 
r idropisia  che  mi  dimagra  il  volto:  «  et  sic, 
nota  Benv.,  verificatur  illud  dictnm  :  Nessun 


maggior  dolore  Ohe  rioordarti  del  tempo  feUee 
NeUa  miseria  [Inf,  v  121]  ».  0.  Baod,  Led, 
p.  21,  dta  questi  versi  di  Torino  da  Oastal 
fiorentino  :  «  Che  maggior  pena  non  n  pò  are- 
re  Che  veder  l' acque  delle  chiare  fonti,  S 
aver  sete  e  non  poterne  bere  ».  —  70.  Ia  rl« 
glda  ecc.  Coef  la  giustisia  di  Dio  trae  oa- 
glone  a  fiumi  pensare  di  più  per  i)  ricordo 
del  luogo  ove  lo  peooaL  —  fraga:  cfr.  A»y. 
m  8.  —  78.  Ivi  4  RMiena  eoe  H  castello 
di  Romena  nel  Oasentino,  possesso  di  quel 
ramo  dd  conti  0uidi  del  quale  fu  c^o  Aghi- 
nolfo  I,  figliuolo  di  0uido  Ouecra  IV  (eft. 
Inf.  zvi  87),  fu  il  luogo  dove  i  nipoti  di  Ini 
Ouido  n,  Alessandro  e  Aghinolfo  II  (efr.  t. 
77),  trassero  11  maestro  Adamo  a  Cslsifloare 
l  fiorini  d'oro  della  repubblica  fiorentina' 
cfr.  Bassermann,  p.  86.  ~  74.  la  lega  eoe 
la  lega  del  fiorino;  moneta  fiorentina  inoo- 
roindata  a  batterei  nel  12B3  (Q,  Villani, 
Or,  VI  68),  la  quale  aveva  dall'una  parte  il 
giglio  e  dall'altre  l'imagine  dd  santo  pro- 
tettore di  Firenze.  —  76.  Ha  i'ie  Tedia- 
si eoo.  Ma  se  vedesd  qui  meco  al  tormen- 
to l  tre  fratelli,  che  m'indussero  al  peccato, 
sard  lietissimo  e  non  dard  qndla  vista  per 
la  piti  ricca  ddle  fontane.  —  77.  Gaido  eoo.  : 
sono  questi  1  tre  fratelli  Guido  II,  Ales- 
sandro e  Aghinolfo  K  dd  conti  Guidi,  si- 
gnori del  castello  di  Bomeaa  e  figliuoli  tutti 
di  Guido  I  d' Aghinolfo  I,  dd  quali  poohe 
e  confrise  notizie  registrano  i  genealogisti 
della  loro  casata  (cfr.  le  op.  dt.  in  Btf,  xvi 
84):  certo  due  di  esd  erano  ancore  vivi 
nd  ISOO,  al  tempo  della  visione  dantoica, 


INPERNO  -  CANTO  XXX 


233 


73       per  Fonte  Branda  non  darei  la  vista. 
Dentro  e* è  Fona  già,  se  l'arrabbiate 
ombre  che  vanno  intomo  dioon  vero: 
81       ma  che  mi  vai,  c'bo  le  membra  legate? 
S'io  fossi  pur  di  tanto  ancor  leggiero 
ch'io  potessi  in  cent'anni  andare  un'oncia, 
84        io  sarei  messo  già  per  lo  sentiero 
cercando  lui  tra  questa  gente  sconcia, 
con  tutto  ch'ella  volge  undici  miglia, 
87        e  men  d'un  mezzo  di  traverso  non  oi  ha. 
Io  son  per  lor  tra  si  fatta  fiuniglia: 
ei  m'indussero  a  battere  i  fiorini, 
90       che  avean  ben  tre  carati  di  mondiglia  ». 
Ed  io  a  lui:  «  Chi  son  li  due  tapini, 
che  fuman  come  man  bagnate  il  verno, 
93       giacendo  stretti  a' tuoi  destri  ^nfini?  » 
€  Qui  li  trovai,  e  poi  volta  non  diemo, 
rispose,  quand'io  piovvi  in  questo  greppo, 
96        e  non  credo  che  dieno  in  sempiterno. 
L'una  è  la  &lsa  che  accusò  Giuseppe 


e  ri  ha  daDe  parole  del  poeta,  ma  non  ò 
bene  accertato  quale  dei  tre  fratelli  foese 
morto  innanzi  qnell'  anno  :  l' Ott  dice  Gui- 
do II  :  Benv.  e  An.  fior.,  Alessandro,  ohe 
iarece  altri  documenti  direbbero  yìfo  nel 
1316  (ci:  Del  Longo,  H  688).  —  78.  per 
Feate  Bnada:  eoo.  Tatti  gli  antichi  com- 
mentatori, Ott,  Benr.,  Bnti,  An.  fior.  eoo. 
oedettero  accennata  qui  Fonte  Branda,  la  tur 
Basa  fontana  senese  assai  abbondevole  di 
aoqna;  ma  essendo  attestata  da  antichi  do- 
comenti  resistenza  di  nna  fontana  di  tal 
nome  presso  il  castello  di  Romena  pad  ben 
eosre  che  maestro  Adamo  alladeese  alla  fonte 
ossentinoso  e  non  alla  senese,  la  cai  fama 
pad  arar  tratto  in  inganno  i  commentatori 
(ofr.  Bassermann,  p.  91  e  Beni,  ChUda  del 
Oaamtù»,  Firenze,  1889,  p.  207).  —  79.  Den- 
tro eoo.  Dentro  a  qoesta  bolgia,  se  le  om- 
bre dei  falHJflcstori  di  persone  che  corrono 
intorno  rabbiosamente  mi  hanno  detto  il  ve- 
ro, è  già  piombata  I*  anima  d' ano  di  qaei 
conti  (ofir.  ▼.  77);  ma  dò  non  mi  reca  aloon 
•oUisTO,  perché  non  posso  ire  a  vederla.  ~ 
82.  8*  io  fossi  eoo.  Se  io  avessi  ancora  tanto 
di  ^editezza  che  potesri  in  on  secolo  per- 
QQrrsre  un  brevissimo  cammino,  mi  sarei  già 
neseo  in  via  per  rintracciare  quell'anima  tra 
i  dannati.  —  di  taalot  cfir.  Inf.  r?  99.  ~ 
88.  nm'OBeU:  è  la  dodicesima  parte  del 
lisde,  ndsora  di  fainghezza,  e  corrispondeva, 
leoondo  Benv.,  alla  larghezza  del  pollice  : 
^  è  detto  figoratamente  per  indicare  ano 
ipazio  cortissimo.  —  86.  c«m  tittt  ebe  eoo. 


sebbene  la  circonferenza  della  deoima  bolgia 
sia  di  ondici  vaif^  (la  metà  di  qaeUa  della 
nona:  cfr.  Jta/1  xziz  9)  e  non  abbia  in  alcan 
ponto  la  larghezza  minore  d' on  meno  mi- 
glio. —  87.  BOB  «1  iM  :  ofr.  ^.  vn  28.  — 
88.  faalgUai  cfr.  Inf,  xv  22.  •.-  90.  tre 
carati  eco.  :  il  earaio  è  la  ventiqoattresima 
parte  della  qualità  più  para  d'on'onda  d'o- 
ro: i  fiorini  fiorentini  erano  di  ventiqoattro 
carati,  quelli  Crisati  dai  conti  di  BooMna 
erano  di  soli  ventano  e  avevano  tre  carati 
di  mondiglia  cioè  di  rame  mesodlato  all'oro. 

—  91.  Chi  SOB  11  dae  ecc.  Questi  altri  dan- 
nati appartengono  alla  quarta  classe  dei  lU- 
sari,  queDl  ohe  finsero  discorsi  non  corri- 
spondenti alla  verità,  insomma  1  bugiardi 
fraudolenti,  e  sono  puniti  con  un'ardentis- 
sima  febjl>re.  —  92.  eoMS  nan  eoo.  come 
dalle  mani  bagnate,  al  contatto  dell'aria 
fredda,  sale  il  vapore  in  cui  si  risolve  l'ac- 
qua per  il  calore  naturale.  —  93.  a'  laol  de- 
stri eoBflnl:  alla  tua  destra,  vicino  a  te.  — 
94.  Qb)  U  trovai  ecc.  Quando  M  precipi- 
tato in  questa  bolgia,  U  trovai  qui  e  sono 
passati  quasi  vent'anni  senza  ch'esri  si  siano 
mosri,  e  credo  che  non  ri  moveranno  mai. 

—  95.  greppo:  dice  TOtt  che  ^gnppo  è  uno 
vaso  rotto  dalle  latora,  e  perdio  ò  tolto  da- 
gli altri  uri  della  casa  vi  ri  dà  entro  bere  o 
mangiare  a  gaUine  o  simili  cose  »  ;  ri  ohe  qui 
vorrebbe  dire  vile  luogo  :  ri  pud  perd  inten- 
dere anche  secondo  il  senso  moderno  di  luogo 
soosoeso,  perché  la  bolgia  ha  il  fondo  e  1 
lati  di  madgno  dirupati  ed  erti.  —  97.  L'uba 


234 


DIVINA  COMMEDIA 


l'altro  è  il  faX&o  l^non  greco  da  Troia: 
09       per  febbre  acuta  gittan  tanto  leppo  >. 
£  1*  un  di  lor,  che  si  recò  a  noia 
forse  d'esser  nomato  si  oscuro, 
102        col  pugno  gli  percosse  l'epa  croia; 
quella  sonò,  come  fosse  un  tamburo: 
e  mastro  Adamo  gli  percosse  il  volto 
105        col  braccio  suo  che  non  parve  men  duro, 
dicendo  a  lui  :  «  Ancor  che  mi  sia  tolto 
lo  muover,  per  le  membra  che  son  gravi, 
108       ho  io  il  braccio  a  tal  mestiere  sciolto  ». 
Ond'ei  rispose:  €  Quando  tu  andavi 
al  foco,  non  l'avéi  tu  cosi  presto; 
Ili        ma  si  e  più  l'avéi  quando  coniavi  ». 
E  l'idropico:  <  Tu  di'  ver  di  questo; 
ma  tu  non  fosti  si  ver  testimonio, 
114        là  've  del  ver  fosti  a  Troia  richesto  ». 
€  S'io  dissi  falso,  e  tu  falsasti  il  conio, 
disse  Sinone,  e  son  qui  per  un  £ftllo, 
117        e  tu  per  più  che  alcun  altro  demonio  >. 
<  Ricorditi,  spergiuro,  del  cavallo. 


eoo.  L'un*  è  Ia  moglio  di  Fatifàixe,  che  ao- 
cuBò  fidiamente  Qioaeppe  d'arexle  fatta  vio- 
leiìB^  Bontra  invece  egli  eia  itiggito  da  lei 
ohe  Tdera  eedozlo  (cfr.  Om.  »nn  6-23). 
.  —  98.  l'Altro  eco.  l'altro  ò  il  greco  Sinone, 
ohe  con  false  parole  perauase  i  troiani  a  ri- 
oevwe  dentro  le  mora  della  loro  città  il  ca- 
Tallo  di  legno  (Virgilio,  Sn.  n  67-194):  cfr. 
in/,  zxvx  69.  —  99.  leypo  :  Bati  :  e  leppo  ò 
pozza  d*ai80  unto,  come  quando  lo  ftioco 
8*  affiglia  alla  pentola  o  alla  padella  ;  e  cosi 
dice  che  patìrano  costoro,  come  pntono  al- 
cana  volta  ooloro  che  sostengono  si  fatta 
pa88Ì<NDe>,  doò  sofErono  la  febhre  acuta.  — 

100.  B  !*«■  di  lar  ecc.  Qui  inoominoia  un 
tmovo  ludo  tra  dne  dannati,  poiché  Sinone 
adegnato  che  Adamo  abbia  rivelato  il  sno 
nome  gli  dà  un  pngno  sul  ventre  e  l'altro 
gli  aMOsta  un  ceffone  con  tutto  il  braccio: 
poi  il  contrasto  continua  a  parole,  eccitando 
la  curiosità  di  Dante  ohe  sta  ad  ascoltare  il 
piato,  flnchó  Virgilio  non  lo  richiama.  — 

101.  si  OMaro:  si  oscuramente,  con  vergo- 
gna del  suo  nome,  al  quale  maestro  Adamo 
aveva  congiunto  l'epiteto  di  fcUn,  —  102. 
l'epa  eraia:  la  pancia  dura,  per  tensione 
della  pelle  irrigidita  :  il  nome  epot  che  d  an- 
che al  V.  119  e  Mf,  zxv  82,  è  dal  lat  hepar 
e  significa  proprio  la  rotondità  del  ventre 
(Diez  S69)  ;  l'agg.  oroto,  d'incerta  etimologia 
(Diez  366,  767)  ha  vari  significati  nella  lin- 
gua antica  (ofr.  Nannucd,  Verbi  373-4)  ;  ma 


quello  che  meglio  conviene  a  questo  luogo 
ò  il  senso  originario  di  duro,  o  €  non  arron^ 
devole»,  come  spiegò  l'An.  fior.:  cfr.  P». 
rodi,  BuU.  m  161.  —  106.  Ae  ■•■  pmrw 
ecc.  ohe  non  sembrò  a  percuotere  meno  forte 
del  pugno  del  compagno.  — 107.  le  «levibra 
ecc.  :  cfr.  1  w.  62-68,  8L  —  108.  a  tal  w 
attere  sciolto:  idoneo  a  tal  bisogno,  agile 
a  percuotere.  —  109.  Oad'ol  ecc.  Sinone, 
maliziosamente,  ricorda  a  maestro  Adamo  il 
dolore  dell'  estremo  supplizio,  quando  con  le 
braccia  legate  ta  condotto  al  rogo,  o  la  pron* 
tozza  di  mano  ch'avea  avuta  nel  mondo  a 
falsare  1  fiorini.  —  112.  B  l'Idropleo  eoe 
Adamo,  non  volendo  rimanere  al  di  sotto, 
rinfaccia  a  Sinone  l'inganno  ch'ei  fece  a 
Priamo,  quando  il  vecchio  re  gli  chiedeva  la 
verità  intomo  al  cavallo  di  legno  (cfr.  Vir- 
gilio, Ehi,  n  160).  —  115.  S'Io  dissi  eoe. 
Questo  incalzare  di  Sinone,  che  a  scusa  dei 
suoi  fallì  adduce  i  falli  del  compagno,  ricorda 
nella  mossa  la  risposta  di  Cecco  Angiolieri 
a  un  sonetto  perduto  dell'Alighieri  (cfr.  O, 
Carducci,  Studi  letterari,  dt,  p.  163)  :  e  8'  io 
pranzo  con  altrui,  e  tu  vi  ceni  ;  S' io  mordo 
il  grasso,  e  tu  no  succhi  il  lardo  ».  ~  116. 
e  son  qui  eco.  e  io  sono  qui  per  un  solo 
inganno,  quello  del  cavallo,  ma  tu  ci  sei  per 
tanti  falli  quanti  non  ne  ha  alcun  altro  dei 
dannati.  Buti  :  «  questo  finge  Sinone,  accre- 
scendo la  infamia  al  maestro  Adamo,  oomo 
è  usanza  de'  bugiardi  >.  —  118.  tptrgiart  : 


INPERNO  -  CANTO  XXX  236 

rispose  quel  ch'ayea  enfiata  l'epa; 

120       e  sieti  reo  che  tutto  il  mondo  sallo  >. 

«  A  te  sia  rea  la  sete  onde  ti  crepa, 

disse  il  greco,  la  lingua,  e  l'acqua  marcia 

123        che  il  ventre  innanzi  gli  occhi  si  t'assiepa  ». 

Allora  il  monetier:  <  Cosi  ai  squarcia 

la  bocca  tua  per  mal  dir  come  suole; 

126        che  s*i'ho  sete  ed  umor  mi  rinfarcia, 

tu  hai  l'arsura  e  il  capo  che  ti  duole, 

e  per  leccar  lo  specchio  di  Narcisso, 

129        non  vorresti  a  invitar  molte  parole  >. 

Ad  ascoltarli  er'io  del  tutto  fisso, 

quando  il  maestro  mi  disse:  «  Or  pur  mira! 

182       che  per  poco  è  che  teco  non  mi  risso  >. 

Quand'io  senti'  a  me  parlar  con  ira, 

volsimi  verso  lui  con  tal  vergogna 

185        eh' ancor  per  la  memoria  mi  si  gira: 

e  quale  è  quei  che  suo  dannaggio  sogna, 

che  sognando  desidera  sognare, 

133        si  che  quel  eh' è,  come  non  fosse,  agogna; 

tal  mi  fec'io,  non  potendo  parlare, 

che  desiava  scusarmi,  e  scusava 

141        me  tuttavia,  e  no  '1  mi  credea  fare. 

<  Maggior  difetto  men  vergogna  lava, 

disse  il  maestro,  che  il  tuo  non  ò  stato; 

144       però  d'ogni  tristizia  ti  disgrava: 

ti  rioOTdi  il  ginraiiento  éì  Sinon»  in  Viigi-  ò  lo  ^eoohio  nel  qnale  Narciso  ride  la  sua 

lio,  JH.  n  164:  «  Yoe,  aetenii  ignei,  et  non  imagine  (ofr.  Gridio,  JM.  m  407  e  legg.)» 

YidaUleTeetnim  Tester  nnmen,  alt,  T0B,arae,  non  avreeti  bisogno  di  un  invito  di  molte 

Msesqn*  neluidif  Qnos  fngi,  Tittae^e  dedn,  parole.  —  181.  Or  par  ■ira  I  eco.  Parole 

qvas  hoetia  gessi  ••  —  119.  fati  eh'  afea  di  leggiero  rimprovero,  quasi  "VlrgUio  dioeese 

eeo.  :  maestro  Adamo  (cfr.  r.  48  e  segg.).  a  Dante  :  Sta  por  If,  intento  solamente  a  oo- 

—  120.  e  alati  ree  t  e  ti  sia  amaro  U  sapere  testo  volgare  contrasto  ;  poco  d  manca  ch'io 
dio  tatto  il  mondo  conosce  il  tao  inganno,  non  m'adiri  teoo  per  qaesto  toa  attenzione 

—  12L  ▲  te  sia  rea  eoo.  A  te  invece  sia  verso  cosa  che  non  merito  ecc.  ~  184.  eea 
cagione  di  tormento  la  sete,  che  ti  screpola  tal  vergogaa  eoo.  con  tale  veigogna,  che 
la  lingna,  e  la  linfa  guasto  (cfr.  v.  68),  che  r  impressione  di  qn^e  parole  di  rimprovero 
ti  Cs  figoollare  il  ventre  sino  qoad  ad  fanpe-  non  s*  ò  ancora  cancellato  dalla  mia  memo- 
dlrtf  la  vista.  —  124.  Oesf  si  sqnarela  ecc.  ria.  —  186.  e  ^lale  è  «nel  ecc.  mi  trovai 
Cosi  si  spalanca  la  toa  lingna  per  la  maldi-  nella  stessa  oondiiione  di  ohi  sognando  qaal- 
oenza,  aÓa  quale  essa  fa  osa  nel  mondo;  e  che  dannoso  avvenimento  desidera  in  sogno 
se  io  ho  sete  e  rigonflamento  d'amori,  ta  di  sognare,  e  cosi  desidera  quello  ohe  ò  in 
hai  l' arsura  e  lo  stordimento  della  febbre  e  fatto  come  so  non  fosso.  —  danaaggle  : 
grandissimo  desiderio  di  bere.  —  126.  come  danno  ;  voce  arcaica  che  Danto  osò  sola- 
siele  X  come  soleva  (ofr.  Iti/',  zzvn  48)  nel  mento  in  qaesto  luogo.  —  140.  che  desiava 
mondo,  quando  tu  sparlavi  dei  tool  gred  eco.  die  desideravo  di  scasarmi  a  Virgilio, 
(cfr.  Virgilio,  Su.  n  162  e  segg.).  —  126.  e  senz*  accorgermene  mi  scasavo  tacendo.  — 
rinfhrela  :  il  vb.  rinfbnlar$,  dice  l'An.  fior.,  142.  Haggier  difetto  ecc.  Minor  vergogna 
signiilca  insaccare,  doè  riempire  disordina-  della  tua  ò  bastevole  a  scusare  una  colpa 
tBBSDte,  e  sarà  un  frequentotlvo  composto  maggiore  che  non  sia  stoto  quella  di  fer- 
del  vb.  infanim  ;  ma  ora  ò  disusato.  —  128.  marti  ad  ascoltare  il  contrasto  dei  due  dan- 
e  per  leccar  eoe  e  per  bere  l' acqua,  che  nati.  —  144.  trlstisla  :  ofr.  Inf.  vi  3.  — 


236 


DIVINA  COMMEDIA 


e  fa  ragion  ch'io  ti  sia  sempre  allato, 
se  più  ayyien  che  fortuna  t'accoglìa, 
ove  sia  gente  in  simigliante  piato; 
148    che  voler  ciò  udire  è  bassa  voglia  >• 


145.  •  fft  rAgl«B  eoo.  e  H  conto  eh*  io  ti 
sia  sempre  Ticino,  se  mtà  ti  accada  por  av- 
ventora  di  troTarti  a  timili  oontrastL  —  147. 
piato  I  d  propriamente  la  lite  agitata  innanzi 
ai  giadid,  lat.  plaeUntm  ;  ma  qui  è  esteso  a 
indicare  un  contrasto  in  genere,  e  massime 
di  paiole  ing»^r*^yfffi  —  148.  «à<  TOler  eoe 


Biag.  :  e  Questo  si  è  1*  insegnamento,  al  qoale 
ci  ha  menati  per  la  via  che  gli  ò  parsa  mi- 
gliore, perché  pi6  naturale  nella  presento  sl- 
toadone  ;  insegnamento  ntUlssimo,  e  ohe  però 
espone  il  poeta  in  un  verso  tale  che,  chi  por 
una  volta  lo  legge,  non  se  lo  sdimentica  pi6 
per  ismemorato  ohe  egli  sia  »• 


CANTO  XXXI 


I  dae  poeti  attraversando  Taltimo  argine,  tra  l'ottavo  eli  nono  cerchio, 
si  trovano  sopra  on  pozzo  intomo  al  quale  sono  collocati  del  giganti:  tra 
essi  incontrano  Nembrotte,  che  dice  loro  oscure  parole,  Fialte  che  è  inca- 
tenato fortemente,  e  Anteo  che  depone  1  visitatori  sulla  ghiaccia  dell'ultimo 
cerchio  [9  aprile,  tra  le  ore  tre  e  le  quattro  pomeridiane]. 

Una  medesma  lingua  pria  mi  morse, 
si  che  mi  tinse  l'una  e  l'altra  guancia, 

8  e  poi  la  medicina  mi  ripòrse. 
Cosi  od'  io  ohe  soleva  la  lancia 

d'Achille  e  del  suo  padre  esser  cagione 
6        prima  di  trista  e  poi  di  buona  mancia. 
Noi  demmo  il  dosso  al  misero  vallone, 
su  per  la  ripa  che  il  cìnge  d'intorno 

9  attraversando  senza  alcun  sermone. 
Quivi  era  men  che  notte  e  men  che  giorno, 

si  che  il  viso  m'andava  innanzi  poco; 


XXXI 1.  Una  medesma  eco.  La  stessa 
lingua,  qneUa  di  "y^igìlio,  prima  mi  pansé  oon 
le  parole  di  rimprovero  (Inf,  xzx  181-1S2)  si 
che  divenni  tatto  rosso  per  la  vergogna,  e 
poi  mi  racconsolò  oon  le  cortesi  parole  di 
conforto  e  d'amorevole  ammaestramento  (Inf, 
zxx  142-148).  —  4.  Ces(  od' lo  eoo.  Allade 
alla  lancia  di  Feleo  e  di  Achille  sao  figlio, 
della  qaale  Csvoleggiarono  gli  antichi  (cfr. 
Ovidio,  Mèi.  xm  171,  Trid.  v  3,  15,  Bem. 
amar,  47)  che  al  primo  colpo  feriva  e  oon  on 
altro  risanava  la  ferita,  onde  i  poeti  del  tempo 
di  Dante  volentieri  paragonarono  il  bacio  o 
lo  sguardo  della  donna  alla  landa  di  Peleo 
(c£r.  BuU,  VI  62);  p.  es.  Chiaro  Davanzali 
(D'Ano.  IV  289):  «  Cosi  m'aven  com  Feleus 
sua  lanza,  Ca  del  suo  colpo  non  potea  om 
guerire,  Ifontre  ch'un  altro  a  simile  sembian- 
za Altra  fiata  non  ù  Cnciea  feiìre  »  ;  Giovanni 


dall'Orto  (VaL  II  101)  :  «  Peleo  oon  sua  lan- 
cia attossicata  Ferondo,  l'uomo  non  potea 
guarire  Se  non  lo  'nde  ferisse  altra  fiata  », 
eco.  Si  veda  anche  il  Moore,  I  802-308.  — 
6.  prima  ecc.:  cosi  Ovidio,  lùm.  am,  44: 
«  Una  manus  vobis  vulnus  opemque  ferrot  ». 
—  mancia:  dono,  regalo,  e  qui  per  esten- 
sione di  significato  indica  in  genere  tatto 
ciò  che  d  dato  (cfr.  Bar.  v  66).  —  7.  Kel 
demmo  eoe  I  dne  poeti,  voltando  le  spalle 
alla  decima  bolgia,  si  accingono  ad  abbando- 
nare l'ottavo  cerchio  attraversando  il  largo 
ar^e  ond'esso  è  separato  dal  nono,  che  va- 
neggia nel  centro  di  Malebolgo  :  cfr.  .Bt/l  xvm 
4-6.  —  10.  <{aÌTl  era  ecc.  H  luogo  era  oscoio, 
com'  d  il  mondo  nel  crepuscolo  della  sera, 
allorchó  il  giorno  chiaro  è  finito  e  non  è  an- 
cora la  notte  profonda  ;  di  guisa  che  la  mia 
vista  non  ardvava  a  distinguere  molto  in  là  : 


INFERNO  -  CANTO  XXXI 


237 


12       ma  io  senti'  sonare  un  alto  comO| 
tanto  ch'ayrebbe  ogni  tuon  fatto  fioco, 
che,  contra  sé  la  sua  via  seguitando, 
15        dirizzò  gli  occhi  miei  tutti  ad  un  loco: 
dopo  la  dolorosa  rotta,  quando 
Carlo  Magno  perde  la  santa  gesta, 
18       non  sonò  si  terribilmente  Orlando. 
Poco  portai  in  là  volta  la  testa, 
che  mi  parve  veder  molte  alte  torri; 
21        ond'io:  €  Maestro,  di',  che  terra  è  questa?  > 
Ed  egli  a  me:  «  Però  che  tu  trascorri 
per  le  tenebre  troppo  dalla  lungi, 
24        awien  che  poi  nel  maginar  abborrL 
Tu  vedrai  ben,  se  tu  là  ti  congiungi, 
quanto  il  senso  s'inganna  di  lontano; 


efr.  Hoore,  I  84.  —  12.  m»  lo  Muti'  eoo. 
au  la  mìa  attenzione  fu  attirata  da  on  mono 
fi  corno  cosi  «Ito  che  aviebbe  laperaco  qna- 
ianqoe  più  romoroso  tuono.  —  ■■  alte  eerao: 
comò  die  arerà  enono  alto,  forte;  al  coi  pa- 
ngme  il  toono  sarebbe  pano  di  fioca  Tooe. 
—  14.  ehe  eoatra  wé  ecc.  il  quale  enono  fece 
Tolgere  a  un  sol  pnnto  tutta  l'attenzione  del 
Biei  occhi,  ohe  segoitayano  la  direzione  oon- 
traria  a  quella  del  suono.  —  seffaltandot  il 
gerundio  nel  senso  del  participio  ò  assai  1^ 
quante  in  Dante  (es.  F.  N.  m  49,  Pmg.  ix 
88,  X  66,  Par,  zym  46)  e  negli  altri  scrittori 
sntichi;  cosi  il  Petrarca,  oanz.  oxzn  16: 
«  Ch'  amor  qoesf  occhi  lagiimando  chiuda  », 
e  canx.  caos  17  :  e  Pian  di  raghecza  giove- 
nfle  ardendo  »  ;  il  Boccaoeio,  ijéo.  g.  m  n.  8: 
«  k>  Teglio  della  montagna  quando  alcun  yo- 
kra  domoìdo  mandare  nel  suo  paradiso  »  ; 
rAiiosto,  OrL  ZI  68:  e  che  lalaaoiò  neU'isoIa 
domendo»,  eoe  —  16.  éopo  la  doloresa 
ece.  Nella  Ohammm  d»  JZo&mì,  H  più  antico 
e  il  più  beDo  dei  poemi  medioeyali  francesi 
sulle  leggende  caiolinge,  si  racconta  lunga- 
mente come  Oliando  sorpreso  con  la  retro- 
guardia fianca  da  un  numero  sorerdhlante  di 
laiaoeni  nel  passe  di  Bondsralle  aiErontasse 
arditamente  1  namlol,  e  dopo  arere  egli  e  1 
suoi  compagni  combattuto  con  grandissimo 
rakffe  e  Tedutf  al  suolo  la  maggior  parte  dei 
suoi  A  decidesse  a  chiamare  in  soooorso  Carlo- 
magno,  ohe  era  già  molto  lungi  con  il  grosso 
dell' eeerdto;  allora  recandosi  alla  bocca  il 
corno  che  eoleya  portare,  tÌ  die  dentro  a 
gran  flato  :  «  Rolando  ha  messo  il  corno  alle 
sue  labhn,-egii  l' imbocca  bene  e  lo  suona  di 
potente  flato  :  1  poggi  sono  alti  e  il  suono  Ta 
ten  lontano,  reco  lo  r^erouoteatrenta  leghe, 
e  Cado  e  tutto  l'esercito  l'hanno  inteso  »  {Oh, 
itBoL^  ed.  dlL.Gaatier,yT.1768e8egg.): 


ma  Orlando  si  vede  cadere  intomo  a  uno  a 
uno  tutti  i  compagni  e  muore  prima  che  ar- 
ririno  sul  campo  i  franchi  accorsi  in  aiuto. 
—  17.  la  santa  gesta:  i  paladini  che  mori- 
rono combattendo  coatro  i nemici  della  fède; 
questo  è  il  senso  che  gli  antichi  commenta- 
tori. Lana,  Ott,  Beor.,  Buti,  An.  flor.,  eoe 
rilevarono  nell'espressione  dantesca,  ed  è 
conforme  al  «ignifloato  che  nei  poemi  e  ro- 
manzi carallereechi  ebbero  V  it  ^asto,  e  il  fr. 
ffeal»,  cioè  fkunigUa  o  stirpe  eroica  (Dies  161)  : 
cfr.  L.  Gautier,  Let  fipapif  fintifoiutf  Pa- 
rigi, 1878,  ToL  I,  pp.  899-409  e  Del  Lungo, 
DarUa,  H  487-611.  -  19.  Pece  portai  eoo. 
Dopo  poco  tempo  eh'  io  tenera  la  testa  Terso 
la  parte  ond'era  yenuto  il  suono,  mi  parve  di 
vedere  delle  alte  toni  eco.  —  21.  che  terra 
ecc.  che  città  d  queeta?  A  Dante,  nell'oscu- 
rità del  luogo,  ò  parso  di  vedere  delle  torri 
intomo  all'argine,  ma  sono  invece  giganti  : 
pur  è  naturalissima  la  domanda  ch'egli  rivol- 
ge a  Virgilio,  rioordandoei  d'un'altra  città 
munita  di  torri  da  lui  veduta  in  infamo  (cf^. 
Jnf,  vm  67  e  segg.).  —  22.  Però  ecc.  Vo- 
lendo guardare  troppo  innanzi  in  quest'aria 
tenebrosa  ti  accade  di  fhre  giudizio  erroneo 
deUe  cose  che  tu  vedL  —  28.  dalla  Inagt  i 
da  lontano  ;  ctt,  V.  N,  zziv  66  «  da  lunga 
parte».  —  24.  maginar:  imaginare:  esteeo 
qui  a  indicare  la  facoltà  di  disoemere,  giu- 
dicare. —  abborris  confondi  nella  tua  mente 
cose  disparate,  e  cosi  ti  allontani  dal  vero  : 
ò  il  vb.  stesso  che  abbiamo  trovato  in  Iitf, 
XXV 144  oon  un  senso  die  gli  era  usuale,  come 
dimostra  il  Parodi,  Bull,  IH  140  con  l'esem- 
pio di  F.  degU  Uberti,  DiU,  n  81  :  e  ìfara- 
vìglia  sarà  se  riguardando  La  mente  in  tante 
cose,  non  abborri  ».  -^  26.  Tu  vedrai  ecc. 
Quando  tu  sarai  giunto  colà  ove  sorgono 
quelli  che  ti  sembrano  torri,  conoscorai  bone 


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però  alquanto  più  te  stesso  pungi  >. 

Poi  caramente  mi  prese  per  mano 
e  disse:  «  Pria  che  noi  siam  più  avanti, 
acciò  che  il  fatto  men  ti  paia  strano, 

sappi  che  non  son  torri,  ma  giganti, 
#e  son  nel  pozzo  intomo  dalla  ripa 
dall'umbilico  in  giuso  tutti  quanti  >. 

Come,  quando  la  nebbia  si  dissipa, 
lo  sguardo  a  poco  a  poco  rafiSgura 
ciò  che  cela  il  yapor  òhe  l'aere  stipa; 

cosi  forando  l'aura  grossa  e  scura, 
più  e  più  appressando  y6r  la  sponda, 
fuggiemi  errore,  e  cresoemmi  paura: 

però  che,  come  in  su  la  cerchia  tonda 
Montereggion  di  torri  si  corona, 
cosi  la  proda  ohe  il  pozzo  circonda 

torreggiayan  di  mezza  1^  persona 
gli  orribili  giganti,  cui  minaoffla 


quanto  il  moio  délU  Tista  ■*  inganni  nal  fax 
giadizio  delle  ooae  lontanew  —  27.  ^rò  eoo. 
perciò  affrettati  alcun  pooo.  —  28.  Poi  eai»- 
meate  eoo.  Virgilio  con  atto  affsttooao  prende 
Dante  per  mano  e  oon  opportune  parole  lo 
predispone  a  vedere  i  giganti  ti  ch'egli  non 
abbia  poi  a  temerne,  e  Oon  qneef  atto,  dice  il 
Biag.,  di  prendflrio  Virgilio  per  mano,  Tiiol 
mostrale  il  poeta  quale  esser  debbo  l'uomo 
veiBO  ohi  errò,  •  lavò  poi  il  suo  difetto  >  : 
ma  forse  Danto  non  ebbe  idtra  intonsdoneftior 
che  di  rappresentare  la  condizione  di  chi  vuole 
predisporre  altri  a  uno  spettacolo  stnoio,  che 
accompagna  le  sue  parole  con  atti  oàreaMYoli 
e  amorosi.  —  81.  giganti:  questi  esseri  mo- 
struosi, ohe  abusarono  della  loro  foxsa  prodi- 
giosa IcTHìdosi  in  Tazio  modo  contro  la  divi- 
nità, sono  collocati  da  Danto  intomo  aUe  pa- 
reli del  posso  infernale,  sulla  linea  di  sepa- 
razione fira  ìfalebolge  e  Oocito,  Ara  l'ottaTo 
cerchio  ore  sono  puniti  i  fraudolenti  e  il  nono 
ove  sono  raccolti  i  traditori  :  quanti  fossero 
questi  giganti  del  pozzo  U  poeta  non  dice, 
nominando  per  altro  Nembrotto,  Briareo, 
Eaalte,  Tizio,  Tifeo  e  Anteo;  ma  forse  orano 
nove  e  ciascuno  aveva  il  suo  luogo  in  eom- 
spondenza  ad  uno  de^  ordini  di  ponti  attzar 
versanti  ìlaiebolge  (ofr.  Inf,  xvm  16).  Se- 
condo il  Moore,  I  178,  r  idea  di  collocare  i 
giganti  nel  fondo  dell'  inferno  fu  suggerito  a 
Danto  dai  versi  di  Virg.  J^  VI  680-581. — 83. 
e  sea  nel  fosso  eoo.  dall'ombelico  in  su  essi 
sovrastano  all'argine  che  cinge  intomo  il  poz- 
zo, dall'ombelico  in  gid  sono  dentro  al  pozzo 
erroneamente  il  Butt  intese  ohe  da 
I  il  ooipo  i  giganti  fossero  confitti  nella 


ghiaccia,  mentre  invece  posavano  sovr'easa 
i  piedi  (cfr.  i  w.  143  e  segg.).  —  SA.  Covm, 
qvande  eoo.  Cobm  avviene  al  dissipanii  della 
nébbia,  che  la  visto  va  diaoemendo  via  via 
pl6  nettamento  i  contorni  dalle  oose,  prima 
nascosto  dal  vapore  diltaso  nell'aria.  —  87. 
forando  l'avrà  eco.  penetrando  meglio  oon 
lo  sguardo  per  l'aria  fittamaato  oscura,  di 
mano  in  mano  eh'  io  procedeva  vene  la  spon- 
da del  peno.  —  89.  fkgfi«d  errore  ecc.  ai 
dileguava  l'eoonea  opinione  che  quelle  fos- 
sero torri,  e  la  visto  delle  gigantesche  figure 
accrebbe  la  paura  già  suscitata  in  me  dallo 
parole  di  Virgilio.  —  40.  oome  Usala  oer^ 
ehla  eco.  Montaveggioni  {eadntm  ìùmtU  ra-  ' 
giomià)  ò  un  castello  senese  in  Val  d' Elsa, 
innalzato  nel  1218  a  difesa  dei  confini  contro 
Firenze  e  rimasto  in  piedi,  come  forto  arnese 
di  guerra,  sino  alla  caduto  della  libortà  senese 
nel  secolo  xvi:  la  sua  cinto  circolare  di  oltre 
un  meszo  chilometro  em  coronato  di  quat- 
tordici grosse  torri,  ora  pareggiato  quasi  tutto 
alle  mura  alto  dna  venti  metri;  e  sulla  cima 
del  colle  isolato  doveva  nel  suo  stato  pri- 
miero oflHre  ai  passeggeri  un  singolare  spet- 
tacolo e  agli  esecciii  nemici  una  forto  resi- 
stensa  (cfr.  Bepetti  m  601  ;  Aqaaione,  DanU 
in  8<0na,  pp.  78-78;  Bassecmann,  p.  818). 
—  42.  eosi  la  Koia  ecc.  cosi  gli  orribiU 
giganti,  cui  Giove  fk  ancora  sentire  fe  sua 
minacce  nel  tuono,  sorgevano  a  guisa  di 
torri  con  la  metà  dei  loro  corpi  sulla  sponda 
che  droonda  il  pozzo.  —  48.  terreggiafiM  : 
del  vb.  tonaggian  dice  l' Ott  che  «  è  formato 
da  questo  torri  che  faoeano  a  questo  poszo  li 
giganti  »  ;  e  Benv.  lo  spiega  nd  senso  di  eizw 


INFERNO  -  CANTO  XXXI 


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Giove  del  cielo  ancora,  quando  tuona; 
ed  io  scorgeva  già  d'alcun  la  fìtccìa, 

le  spalle  e  il  petto,  e  del  ventre  gran  parte, 

e  per  le  coste  giù  ambo  le  braccia. 
Natura  certo,  quando  lasciò  l*arte 

di  si  fatti  ammali,  assai  fe'  bene, 

per  tórre  tali  esecutori  a  Marte; 
e  s*ella  d*ele£emti  e  di  balene 

non  si  pente,  chi  guarda  sottilmente 

più  giusta  e  più  discreta  la  ne  tiene: 
che  dove  l'argomento  della  mente 

s'aggiunge  al  mal  volere  ed  alla  possa, 

nessun  riparo  vi  può  £bt  la  gente. 
La  fietccia  sua  mi  parca  lunga  e  grossa, 

come  la  pina  di  San  Pietro  a  Roma; 

ed  a  sua  proporzione  eran  l'altr'ossa: 
si  che  la  ripa,  ch'era  perizoma 

dal  mezzo  in  giù,  ne  mostrava  ben  tanto 

di  sopra  che  di  giungere  alla  chioma 
tre  frison  s'averlan  dato  mal  vanto; 


oaaiin  a  modo  di  toni,  il  BnA  meno  bene  in 
^wOo  di  apparire  oome  tocre,  aoigere.  —  46. 
«•Tt  eee.  Si  rioordi  la  battaglia  di  Flagra, 
liudo  fl  le  degH  del  ftilmind  i  figU  della  terra 
Imtiii  contro  di  lai  (ofr.  Inf,  ziv  56).  —  48. 
•  per  le  eotte  eoo.  e  le  braooia  Inoperoee, 
adenti  gii  lungo  i  fianchL  —  49.  Natira 
certe  eec  Bene  prorride  la  natura  qnando 
cesfò  di  piodiure  ooe(  tetti  oeseri  animati,  i 
Tisnti,  to^iendo  in  tal  modo  tali  esecutori 
di  ICirte,  doè  combattenti  cosi  podorod  ohe 
snebberò  oppreeeo  gfi  nomini.  —  52.  e  f *ella 
«ce.  e  se  la  natora  non  ha  cessato  di  pro- 
darre  grsndi  mostri,  come  sono  g^  elefanti  e 
le  Mene,  ohi  ben  oonsideri  la  giudicherà 
giusta  e  saTla,  poioh6  essi  non  sono  fomiti 
di  ngione  e  però  non  poesono  arrecare  gran 
«ale.  —  65.  éké  iere  ecc.  mentre  invece 
quando  farma  del  ladoeinio  si  oongionge  al- 
l' intenzione  di  ftre  il  male  e  alla  forza  di 
attuilo,  gfi  nealni  non  poesono  opporre  al- 
con»  efficace  resistenza.  Sopra  il  sigTiiflcato 
di  mfornuUu  cfr.  Moore,  I  101.  —  56.  t*  aff- 
finge  ecc.  :  cfr.  Inf,  xxm  16  e  Pyrg,  v  112. 
-88.  ia  fieela  na  eco.  La  faccia  di  Nem- 
<>nitte,  U  primo  gigante  rodato  da  Dante  (▼. 
^  en  grande  come  la  pina  di  bronzo,  oonser- 
ntn  a  Boma  ed  alta  olrca  quattro  metri  (ai 
tanpi  di  Dante  era  rotta  e  malconcia;  il  6a- 
HM  It  dice  alta  elBqoe  braccia,  tioè  metrt 
3^;  ora  ò  m.  4,28).  —  69.  la  plaa  41  San 
'Ittre  eec  La  Iknoaa  pina  di  braizo,  ohe 
^Btoanente  orasra  seeoiido  alevnt  il  nuraso- 


leo  di  Adriano  e  secondo  altri  il  Pantheon, 
era  stata  collocata  ai  tempi  del  ponteioe  Sin^- 
maoo  (496-6U)  innanzi  all'antica  basilica  Ta- 
ticana,  snUa  piana  di  a  Pietro;  e  Ti  rimase 
ancora  per  molto  tempo  dopo  Dante,  poioh4 
solo  nel  secolo  xvi  fa  trasportata  presso  il 
palazzo  di  Belvedere  e  pi6  tsrdi  eolia  scala 
del  Bramante,  ove  adesso  si  trova  (ofr.  S.  Q. 
Visconti,  ifiifeo  F6o  ChmmUno,  voL  VII,  p. 
75;  A.  Monti,  Dani»  e  Amia,  pp.  18  e  segg.) 
—  60.  e4  a  saa  ecc.  e  le  altre  membra  erano 
in  proporzione  alla  facda.  Molto  si  aflktica- 
rono  gì*  interpreti  a  determinare  qnale  foese, 
neUa  mente  di  Danto,  Taltesza  preoiB»dÌ 
Nembrotto;  ma  i  calcoli  riosdrono  a  oondn- 
sioni  troppo  disparate:  tuttavia,  se  la  fMoia 
era  oome  la  pina  e  tre  fHsoni  posti  l'nno  sul- 
l'altro male  avrebbero  potato  awiolnarsi  alla 
cima  di  qaolla  parte  die  torreggiava  sopra 
l'argino,  si  jmò  appsoesimatIvaoMnte  indicare 
un'altezza  di  circa  venti  metri,  dalla  tasta  ai 
piedi.  —  61.  ti  ék»  la  ripa  eco.  in  modo  ohe 
la  ripc^  die  ricopriva  da  meszo  in  gid  i  gi- 
ganti, lasciava  veder  tanta  parte  del  corpo 
di  Nembrotte,  che  era  più  alta  di  tre  altìs- 
simi uomini  messi  l'uno  sull'altro.  —  peri- 
zoma: voce  greca,  ohe  significa  la  veste  ohe 
ricopre  la  parte  inferiore  del  corpo;  ò  osata 
qui  a  indicare  che  l'argine  nascondeva  i  gi- 
ganti dal  mezzo  in  gid:  più  tosto  ohe  dal 
groco,  Dante  potò  togliere  questa  voce  dalla 
vulgata  {Ootm,  m  7),  ove  indica  la  vesta 
d'Adamo  e  d'Eva  fatta  di  foglio.  —  64.  frlsent 


240 


DIVINA  COMMEDIA 


però  ch'io  ne  yedea  trenta  gran  palmi 
66        dal  loco  in  giù,  dov'uom  s'affibbia  il  manto. 
«  Bafel  mai  amech  isàbi  almi  >, 
cominciò  a  gridar  la  fiera  bocca, 
69       coi  non  si  conyenian  più  dolci  salmL 
£  il  duca  mio  ydr  lui:  €  Anima  sciocca, 
tienti  col  corno,  e  con  qnel  ti  disfoga, 
72       quand'  ira  o  altra  passion  ti  tocca: 
cercati  al  collo,  e  troverai  la  soga 
cbe  il  tien  legato,  o  anima  confusa, 
75       e  Tedi  lui  che  il  gran  petto  ti  doga  ». 
Poi  disse  a  me:  «  Egli  stesso  s'accusa; 
questi  ò  Nembrotto,  per  lo  cui  mal  coto 
78       pure  un  linguaggio  nel  mondo  non  s'usa. 
Lasciamlo  stare,  e  non  parliamo  a  vóto: 
che  cosi  è  a  lui  ciascun  linguaggio, 


i  friioiii  o  abitanti  della  Fiìsia,  nella  Qenna- 
nia,  erano  dagli  antichi  tenuti  per  1  più  alti 
tra  8^  noBdni.  —  66.  lo  ne  fedea  eoo.  io 
vedea  del  ooxpo  di  Nembrotte,  oltre  la  teita, 
tatto  il  tonato  dalla  gola  all'ombelloo,  per  la 
Innghena  di  oltre  trenta  palmi  :  il  palmo, 
antica  mianra  lineare,  era  prÌBn*a  poco  diren- 
tiqnattro  centimetri,  ■(  ohe  trenta  palmi  sa- 
laimo  all'indroa  tette  metri,  ai  qnali  agginn- 
gando  i  tre  deUa  tetta  ti  ha  die  Nembrotte 
misoTava  nna  diecina  di  metri  dall' omboUoo 
in  ta  (ofr.  la  nota  air.  60).  ^  67.  Bafel  mai 
eco.  Tatti  gli  antichi  commentatori  (Bambtgi., 
Luìa,  OtL,  Beny.,  Boti,  An.  fior.,  Land.,  Veli, 
ecc.)  aflérmaxono  ohe  qaette  pvole  non  tono 
tìgidicatiye,  ma  potte  per  dare  on'idea  della 
conAiaione  babelica  del  lingoaggi;  tottaria  i 
moderni,  come  già  per  le  parole  di  Flato  ( W* 
vn  IX  ti  afBuinazono  a  ricercarne  U  tento, 
mettendosi  coti  in  manifiMta  oontradisione 
col  poeta  il  qdale  &  affnmare  a  Virgilio  ohe 
il  lingnaggio  di  Nembrotte  a  mOh  èfutair, 
81).  n  prhno  (oltre  i  trecentltti  deriti  daBeny.) 
a  tentare  la  spiegazione  di  qnette  parole  fa 
a.  Ventai!  (cfr.  StiM  intdUi  tu  Danto,  iV 
lenie,  1845,  p.  87),  tecondo  il  qaale  ette  ta- 
lebbero  yool  dei  yail  dialetti  ebraici  e  yar- 
robbero:  «  Per  Dio  !  o  poter  di  Dici  perché 
io  in  qnetto  profondo?  Toma  indietro,  na- 
sconditi >  ;  poi  M.  Land,  DitmHaaiom  éuì 
mrti  di  Nmfò.  e  Pt.,  Boma,  1819,  le  tenne 
per  yod  arabe:  e  Esalta  lo  tplendor  mio  nd- 
Tabiato,  ticoome  lìfolgorò  per  lo  mondo  >  ; 
pd  ahri  altro  ftntaatioaiono,  ma  certo  par- 
larono a  yooto  (ofr.  Ferrani,  11806,  IV 162- 
167,  V  76,  e  Butt.  Vna68).  Acute  conside- 
razioni fa  ta  qaetto  yerto  il  B'  Ovidio,  pp. 
496-498,  in  relazione  alle  idee  di  Dante  talla 
natora  dd  lingnaggio.  —  69.  plif  dolel  tal- 


mi:  pardo  più  ddd,  pid  amane.  —  71. 
tienti  eoi  eomo  ecc.  te  ynoi  sfogare  le  tao 
patdoni,  toona  il  tao  corno,  né  parlare  ▼»- 
namente,  poiché  lo  tao  parole  non  poaeono 
ettere  inteee  da  alcuno.  —  78.  togai  Bnti: 
e  la  coreggia,  dd  coatto  piena,  come  d  Ik 
a*  moli  che  portano  le  some  »  ;  e  non  Tadl 
dire  fune,  come  tpiegano  donni,  ti  nn  groato 
legacdo  di  cado  (Diei  297).  —  75.  e  vedi 
ecc.  e  yedi  il  corno  che  ti  segna  d'nna  stri- 
sda  sai  petto:  il  yb.  dogan  deriyato  da  doga 
(ofir.  Airy.  zn  106)  yale  listare,  segnar  d'nna 
strisda.  —  76.  Egli  stésso  eoe  Le  sne  pa- 
role inintelligibili  manifestano  chi  egli  ma. 

—  77.  onesti  k  Hemkroltot  Nembrot  perso- 
naggio biblico  (G^  z  8,  ZI  1-9),  capo  dd  él- 
toendenti  di  Oam  e  primo  re  di  Babilonia,  fd, 
secondo  la  tradizione  patiistioa  (cfr.  Mooro,  I 
78X  il  promotore  della  oostnuione  della  gran 
torre  di  Babde,  onde  nacque  la  oonftisìone 
dd  linguaggi  (ofir.  Pmf,  zu  84).  Dante,  D9 
viiìg,  tloq^  I  7:  cPtaesumpsit  in  corde  ano 
incarahilis  homo  sub  persuasione  Gigantia, 
arte  sna  non  solnm  superare  Natorsm,  sed  et 
ipsom  Natursntem,  qui  Deus  est;  et  ooepit 
aediilcare  torria  in  Sennaar,  quae  poetea 
dieta  est  Babd  > .  —  far  lo  eil  mal  firn  ecc. . 
per  il  cuimal  pensiero  d'edificsze  qudla  torre,  * 
non  s'usò  più  nd  mondo  un  sdo  linguaggio; 
cfr.  Dante,  D$  vulg,  tloq»  1 7:  < oaditus  tanta 
confDsione  percasd  sunt,  ut  qui  omnes  una 
eademque  loquela  deserviebaat  ad  opua,  ab 
opere  multls  diyersiflcati  loqadis  desinerent  ». 

—  eotei  pensiero;  yooe  usata  anche  in  Air. 
m  26:  sulla  sua  origine  cfr.  V.  Nannuod, 
Sopra  la  parola  coto  usato  da  IkmU,  Firenze, 
1889,  Dies  103  e  Parodi,  Bua.  misi.  ^79. 
a  yòte:  inutilmente;  cfr.  Nf,  ym  19.  ^  80. 
chtf  cosi  è  eoe  poiché  come  ogni  umano  Un- 


INFERNO  -  CANTO  XXXI 


241 


81        come  il  suo  ad  altrui,  ch'a  nullo  è  noto  ». 
Facemmo  adunque  più  lungo  viaggio 
volti  a  sinistra;  ed  al  trar  d*un  balestro 
84       trovammo  l'altro  assai  più  fiero  e  maggio. 
A  cinger  lui,  qnal  che  fosse  il  maestro, 
non  so  io  dir,,  ma  ei  tenea  succinto 
87       dinanzi  l'altro,  e  dietro  il  braccio  destro 
d*una  catena,  che  il  teneva  avvinto 
dal  collo  in  giù,  si  che  in  su  lo  scoperto 
90       si  rawolgea  infino  al  giro  quinto. 
«  Questo  superbo  voU'esser  esperto 
di  sua  potenza  centra  il  sommo  GKove, 
93       disse  il  mio  duca,  ond'egli  ha  cotal  morto. 
Fialte  ha  nome;  e  fece  le  gran  prove, 
quando  i  giganti  fèr  paura  a'  dèi: 
96        le  braccia,  ch'ei  menò,  giammai  non  muove  >. 
Ed  io  a  lui:  «  S'esser  puote,  io  vorrei 
che  dello  ismisurato  Briareo 
99       esperienza  avesser  gli  occhi  miei  >. 
Ond'ei  rispose:  €  Tu  vedrai  Anteo 


ffuggio  non  ò  intaso  d»  Ini,  ooi(  il  suo  a 
tatti  ignoto  non  ò  intaso  dogli  «ItiL  Se  Nem- 
hrotte  non  oapiaoe  alonn  lingaagglo,  pnd  pa- 
rere ftnno  cha  Virgilio  gli  abbia  parlato  (tt. 
70-76)  ;  ma  li  dere  intenderò  che  le  eoe  pa- 
nda dano  dette  in  modo  ohe  dalla  oondta- 
lione,  e  non  dal  aenao,  Nembrotte  comprenda 
ohe  Virgilio  ^  impone  fi  tacere  :  mentre  poi 
in  lealtà  le  parole  TirgUiane  sono  piuttosto 
una  ^tegaaione  Oittta  a  Dante.  —  82.  Fa- 
eemme  eoe  Virgilio  e  Dante,  non  volendo 
fermaial  con  Nembrotte,  passarono  oltre  sol-* 
l'argine  rolgendo  a  sinistra  (si  ricordi  ohe 
prima  lo  pemuierano  in  senso  trasrersale  : 
cfir.  T.  0)  •  *  n<A  mcdta  distanza  trovarono 
on  altro  gigante.  —  88.  al  Irar  d*an  bale- 
stre: a  un  tiro  di  balestra.  —  84.  l'altre: 
il  secondo  gigante  autd  pìA  fiero  e  maggio 
(efr.  Inf,  VX  48)  di  Nembrotte,  òSflalte,  figlio 
di  Nettano  e  di  Tflmedfa,  il  quale  insieme  col 
ùateUo  Oto  Ai  dei  piA  ieri  e  aodaoi  nella 
battaglia  contro  Giove;  onde  Orado,  Od,  m 
4,  48:  «  Hsgnnm  iDa  teirorem  intoleret  levi 
Fidens  inventos  horrida  braohiis,  Fratresqoe 
teadentes  opaco  Pelion  imposniase  Olympo  »  : 
Dante  potè  conoscerio  dal  commento  di  Servio 
«U*  Ak  VI  776.  —  86.  ▲  eingar  eco.  Non  so 
cU  foese  il  maestro  che  lo  incatenò;  ma  egli 
teneva  legato  il  bracdo  sinistro  svi  petto  e  il 
destro  al  tergo  ctm  mia  catena  che  lo  avvol- 
gerà più  vcdte  dal  collo  in  gid.  —  ^val  che 
«Mae  ecc.:  efir.  ^/.  XV  14.  —  89.  s£  Aa In 
sa  le  seeperte  ecc.  si  che  in  qnoUa  parto 

DA2m 


del  corpo,  che  rimaneva  foori  d^  pone,  i^ 
perivano  dnqne  giri  di  catena.  —  91.  volle 
essere  ecc.  osò  di  far  prova  della  sua  tank 
contro  Qiove.  —  92.  semme  Gieve  :  con  que- 
sta eepressione  nel  Pm§,  vi  118  ò  indicato  il 
Dio  cristiano,  mentre  il  re  de^^  dei  pagani  ò 
designato  per  lo  pid  col  solo  nome  {Inf,  ziv 
62,  Putrg,  xxa.  120,  xzzn  112,  P»,  tv  62  e 
in  questo  canto  si  v.  46);  qui  Denta  accenna 
certamente  al  dio  pagano  contro  il  quale  E- 
flalte  combatté,  considerandolo  come  la  per- 
soniflcasione  del  concetto  della  suprema  di- 
vinità; perdo  eg^  <"*g*"*  puniti  in  inferno 
coloro  che  ai  levarono  contro  Giove.  »  04. 
e  face  le  gran  prore  eoo.  Efialte  e  Oto  fo^ 
reno  quelli  che  sovrapposero  il  monte  Ossa 
al  Polio  per  raggiungere  il  cielo  (cfr.  Igino, 
Fabul,  xxvm);  che  fti  la  prima  delle  grandi 
prove  contro  gli  dei.  —  97.  lo  vorrei  eco. 
vorrei  ohe  i  miei  occhi  vedessero  la  smisu- 
nta  figure  di  Briareo.  —  98.  Briareo:  figlio 
di  Dreno  e  della  Terra,  fu  uno  dei  tre  giganti 
oentimani,  chiamato  da  Stazio,  Th,  n  696 
«  immensns  Briareus  ».  Virgilio,  En,  x  664 
cosi  lo  descrive:  e  Aegaeon  quaJJs,  oentum 
cui  brachia  dicunt,  Gentenasque  manus,  quin- 
quaginta  oribus  ignem  Fectoribusque  arsisse, 
lovis  quum  fblmina  contre  Totparibns  stre- 
peret  dypeis,  tot  stringeret  enses  ».  —  100. 
▲ateet  figlio  di  Nettuno  e  della  Terra  fu 
anoh'egli  gigante  ismisureto,  alto  sessanta 
braccia;  non  pot6  partadparo  alla  guerra  con- 
tro Giove,  perché  venne  al  mondo  dopo  la 

16 


242  DIVINA  COMMEDIA 


presso  di  qui,  che  parla  ed  è  disoiolto, 
102       che  ne  porrà  nel  fondo  d*ogni  reo. 
Quel  che  tu  vuoi  veder  più  là  è  molto, 
ed  è  legato  e  fìbtto  come  questo, 
105        salvo  che  più  feroce  par  nel  volto  >. 
Non  fii  tremuoto  già  tanto  rubesto, 
che  scotesse  una  torre  cosi  forte, 
108       come  Flalte  a  scotersi  fu  presto: 
allor  temett'io  più  che  mai  la  morte, 
e  non  v*era  mestier  più  che  la  dotta, 
111        8*  io  non  avessi  viste  le  ritorte. 
Noi  procedemmo  più  avanti  allotta, 
e  venimmo  ad  Anteo,  che  ben  cinqu'alle, 
114        senza  la  testa,  uscia  fuor  della  grotta. 
«  O  tu,  che  nella  fortunata  valle, 
che  fece  Scipion  di  gloria  reda 
117        quand'Annibal  co' suoi  diede  le  spalle, 
recasti  già  mille  leon  per  preda, 
e  che,  se  fossi  stato  all'alta  guerra 
120        de'  tuoi  fratelli,  ancor  par  eh'  e'  si  creda 
^he  avrebber  vinto  i  figli  della  terra; 
mettine  giù,  e  non  ten  vegna  schifo, 


bftttagliA  di  Flegns  xiooonta  di  Ini  Locano,  ■aie1>b«ro  dunque  poco  pl6  di  setta  metri.  ~ 
Faf^.  IT  690  e  segg.,  oh'  egli  arerà  la  laa  lU.  gretta:  la  rooda  che  forma  l'aigine  tra 
spelonca  nella  valle  del  Bagrada  presso  Zama,  TottaTO  e  il  nono  cerchio;  cfr.  Jn/.  zxi  110. 
ove  pasoevasi  di  leonL  —  101.  ehe  parla:  —  115.  0  ta  eoo.  Anteo,  come  s'd  detto, 
che  parla  on  Ungnaggio  umano,  che  pad  es-  aveva  la  sua  spelonca  nella  fortuntUa  vaiU  dal 
sere  inteso  da  noL  —  lOB.  Qvel  ecc.  Briareo,  Bagrada  presso  Zama,  dove  P.  Cornelio  Boi- 
che  ta  vorxeeti  vedere,  ò  molto  più  lontano  ;  pione  si  rese  glorioso  riportando  sopra  Anni- 
egli  è  Catto  oome  Bflalte  e  legato  come  lai,  baie  la  grande,  vittoria  ohe  pose  fine  alla  se- 
salvo  che  il  soo  aspetto  è  più  feroce:  ofir.  oonda gaerra  panica.  —  foriaaate:  ooif  ohla- 
Laoano,  FàrM.  tv  G96  «  Briareos  férox  >.  »  ma  il  paese  dove  Scipione  riasci  vincitore, 
106.  Kea  fa  ecc.  Nesson  terremoto  fa  mai  oome  già  Jhf,  xzvm  8  ha  detto  la  fortunata 
che  cosi  violentemente  scotesse  i  pid  forti  Una  di  Faglia,  per  aooennaie  agii  stzaordi- 
edifici,  oome  Eflalte  si  scosse  a  sentir  le  pa-  nari  avvenimenti  di  cai  fii  teatro.  —  116. 
role  di  Virgilio  (v.  106)  ;  perché  egli  voleva  reda  :  erede  ;  ctr,  la  nota  al  Purg,  vn  118.— 
avere  sovra  tatti  i  giganti  il  vanto  della  fé-  118.  reeasti eco.  Lacano,  Ì7brt.iv601:  «  Haeo 
roola.  —  HO.  •  bob  v'  era  ecc.  e  s' io  non  ilU  spelanoa  domas;  lataisse  sab  alta  Bope 
svessi  veduto  le  catene,  die  tenevano  avvinto  ferant,  epnlas  raptos  habaisse  leonas  ».  — 
il  gigante,  solamente  il  sno  soaotersi  sarebbe  119.  •  che,  se  fossi  eoo.  :  anche  qaesta  lode 
•bastato  a  farmi  morire  di  paura.  —  la  dotta:  che  Virgilio  dà  al  gigante,  qaasi  per  conci- 
la paoza;  dotto,  oome  doUanxa  ò  dal  vb.  dot-  liarai  la  sua  benevolenza,  ò  un  ricordo  di  La- 
tore, dubitare,  temere.  —  111.  ritorte  :  ca-  cane,  il  quale  parlando  della  Terra,  madra  di 
tane;  sul  senso  proprio  di  questa  voce  cfr.  Anteo,  dice  (flirt,  tv  696):  «ooeloque  pe- 
Ji^,  za  27.  — 112.  aUoCla  :  allora;  cfir.  Jnf.  pendt,  Qaod  non  Fhlegraeis  Antaeom  sustulit 
V  68.  —  118.  elle  I^b  eoo.  ohe  usciva  dal  arvis».  —  120.  ancor  par  diV  si  «rcdax 
poBo  per  pid  di  cinque  alle,  senza  contar  la  ò  ancora  opinione  d'alcuno;  ofr.  locuzioni  si- 
misura  del  capo  :  Valla  (frane.  halU;  oflr.  Diez  mili  in  Inf.  zn  42,  zvn  108.  — 122.  aMttlBe 
609),  dice  l'An.  fior.,  e  è  una  misura  in  Fian-  ecc.  calaci  sul  fondo  di  Codto,  e  non  avere 
dra,  come  nd  didùno  qui  eannat  eh'  è  in-  a  sdegno  di  rendere  questo  servigio  a  noi  ohe 
tono  di  bnoda  due  e  mezzo  >  ;  dnqae  alle  siamo  cosi  pioooli  al  paragone  delle  tue  biao. 


INFERNO  -  CANTO  XXXI 


243 


123        doTe  Oocito  la  ù-eddura  serra. 
Non  ci  far  ire  a  Tìzio  né  a  Tifo: 
questi  può  dar  di  quel  che  qui  si  brama; 
126       però  ti  china,  e  non  torcer  lo  grifo. 
Ancor  ti  può  nel  mondo  render  &ma, 
ch'ei  vive  e  lunga  vita  ancor  aspetta, 
129        se  innansi  tempo  grazia  a  sé  no  '1  chiama  ». 
Cosi  disse  il  maestro;  e  quegli  in  fretta 
le  man  distese  e  prese  il  duca  mio, 
132        ond*  Ercole  senti  già  grande  stretta. 
Virgilio,  quando  prender  si  sentio, 
disse  a  me  :  «  Fatti  in  qua,  si  eh'  lo  ti 
135        poi  fece  si  che  un  fascio  er*egli  ed  io. 
Qual  pare  a  riguardar  la  Carisenda 
sotto  il  chinato,  quando  un  nuvol  vada 
188        sopr'essa  si  che  ella  incontro  penda; 
tal  parve  Anteo  a  me,  che  stava  a  bada 
di  vederlo  chinare,  e  fu  tal  ora 


prenda 


da.  —  123.  CadM:  cfr.  Inf,  tttt  22  e  segg. 
—  12A.  HOB  el  fkre  eoo.  Non  roleie  ohe  uu 
diano  a  xichiedere  di  tale  aeryigio  aloano 
degli  altri  giganti  ohe  etanno  intorno  al  pozzo. 
^  I1k̫:  uno  del  giganti  ohe  moesero  gaena 
a  Qiore,  morto  folgorato  da  Apollo  per  ayer 
tentato  Latona.  cft.  Virgilio,  .BH.  vi  694  e 
ngg.;  Gridio,  Met,  iv  467  e  segg.;  Laoano, 
Ars.  IT  696.  —  Tifo:  Tifeo,  gigante fQlmi- 
Dito  da  Oiore  e  sepolto  nell'  Etna  (cfr.  Pur. 
fm  70).  —  126.  «sesti  piò  dar  eoo.  il  mio 
esondo  ancora  tìto,  pud  xinfre- 
I  nel  mondo  la  fama  dei  dannati,  ohe  di 
dò  hanno  gran  deddeiio  (ofr.  Inf.  n  89,  xni 
76,  XT  119,  zn  82,  zxnn  106  eoo.).  ^  126. 
le  grlfe:  il  muso.  Bene  osservò  lo  Scart. 
die  il  poeta  pare  voglia  f&rd  intendere  ohe 
€  il  fiero  gigante  torcesse  veramente  il  grifo 
•n'adire  le  parole  di  Virgilio,  e  che  tale  atto 
di  dispregio  indncesse  qoesf  ultimo  prima 
a  rinfacciargli  la  bestiale  sua  superbia,  poi 
a  ripetere  di  nnovo  e  pid  estesamente  la  la- 
dnga  die  Dante  vivo  gli  darebbe  fama  su 
nel  mondo  >.  —  128.  e  liaga  vita  eoo.  es- 
sendo pervenuto  al  «  mezzo  del  cammin  di 
nostra  vita  »,  egli  ha  speranza  di  vivere  an- 
cora lungamente,  se  la  grazia  divina  non  lo 
chiami  a  eé  prima  del  termine  naturale  del- 
Teeistenza  amena.  —  182.  oad'Kreele  ecc. 
con  quelle  mani,  dalle  quali  Ercole  si  senti 
fòrtemente  afferrare  qaando  lottò  con  Anteo  ; 
cfr.  Locano,  .Fbrt.  iv  617:  e  Conseruere  ma* 
nos,  et  molto  bnohia  nera»;  ivi  688:  cCon- 
stitìt  Alddee  stopeteetns  robore  tanto  ».  — 
136.  pei  flsee  eco.  poi  mi  abbracciò  si  che  era- 
vamo come  legati  insieme  in  un  solo  fascio.  — 
186.  <{oa]  pare  eoe  L' inchinarsi  dtAnteo  per 


deporre  i  dae  poeti  sulla  ghiaccia  di  Oocito 
richiama  al  pensiero  di  Dante  un  fktto  da  lai 
osservato  in  Bologna,  sulla  piazza  di  porta 
Bavegnana,  dove  sorgono  le  due  torri  dei 
Qarisendi  e  degli  Asinelli,  la  prinm  delle  quali 
per  la  forte  inclinazione  che  ha  verso  oriente 
pare  cadere  addosso  a  chi  la  guardi  di  sotto 
dalla  parte  ov'ella  pende,  allorohé  dall'altra 
parte  trascorrono  per  il  dolo  le  navolo  :  e  da 
questo  fatto  singolare  trae  una  similitudine 
di  grando  efficacia,  specialmente  per  chi, 
avendo  esperienza  della  cosa,  ne  vede  ravvi- 
vata ai  saoi  occhi  l' imagine  per  le  scultorie 
parole  del  poeta.  —  la  Carisenda  :  ò  la  fa- 
mosa torre  elevata  nel  1110  da  Filippo  e  Oddo 
dei  Oarisendi  e  rimasta  in  possesso  dei  loro 
discendenti  sino  al  1418  :  ai  tempi  di  Dante 
era  già  isolata  nel  mezzo  della  piazza  di  porta 
Bavegnana,  essendo  state  abbattute  a  spese 
pnbbliche  nel  1286  molte  case  che  la  circon- 
davano; ma  era  molto  più  alta,  poiché  solo 
nella  seconda  metà  del  sec.  ziv  fu  fatta  moz- 
zare da  Giovanni  d'Oleggio  signore  della  città. 
Ora  è  alta  metri  47,61  ed  ha  verso  levante 
uno  strapiombo  di  metri  2,37,  derivato  da  un 
abbassamento  del  terreno  (cf^.  Qi.  Qozzadini, 
DM6  torri  gentUixU,  pp.  271-2W).  —  137. 
qoaodo  oo  anvol  ecc.  Bassermann,  p.  213  : 
«  La  descrizione  ò  cosf  chiara,  e  ad  ontadolla 
sua  grandiosità  e  arditezza  per  so  stossa  tanto 
evidente,  che  non  ha  bisogno  nò  di  ossero 
verificata  nel  fktto  né  di  essere  commentata  » . 
Tuttavia  ò  da  notare  la  frase  $Ua  incontro 
penda^  doò  la  torre  abbia  la  sua  pendenza  nel 
senso  opposto  al  cammino  della  nuvola. — 139. 
stara  a  badax  badava,  guardava  attentamen- 
te. —  140.  e  fk  tal  era  eoe.  e  fu  on  momento 


244 


DIVINA  COMMEDIA 


141 


145 


ch'io  avrei  volut'ir  per  altra  strada: 
ma  lievemente  al  fondo,  che  divora 

Lucifero  con  Q-iuda,  ci  sposò; 

né  si  chinato  li  fece  dimora, 
e  come  albero  in  nave  si  levò. 


O06f  pauroso  che  io  avrei  voluto  essere  per 
un  altro  cammino.  — 142.  al  fondo  eoo.  sopra 
la  ghiaccia  di  Codto,  nella  qnale  sono  con- 
Ulti  i  traditori  e  Lucifero.  —  143.  sposò  :  11 
vb.  sponv,  lat.  «xponere,  nel  senso  di  deporre, 
posare  ò  anche  in  Inf.  zec  180,  usato  per  un 
atto  simile  a  questo.  —  146.  o  eome  eoe  si 
levò  sn  con  la  gravezza  di  movimento  onde 


si  drizza  un  albero  sopra  la  nave.  Venturi 
868:  e  La  similitudine  dipinge  Fatto;  e  i 
suoni  del  verso,  aperti  sul  primo  e  vibrati 
sull'ultimo,  per  mostrare  e  ran^iem  dell'ar- 
co descritto  dal  eoxpo  di  Anteo  nel  soQevaxsi, 
e  la  fermezza  in  cui  questi  tomd  iqppena  A& 
diritto,  aggiungono  all'arte  quel  dio  SI  ] 
nello  non  pud  ». 


CANTO  xxxn 

Nel  primo  giro  del  nono  cerchio,  la  Caina,  Dante  e  Virgilio  trovano 
tm  i  traditori  dei  parenti  Camiclone  del  Pazzi,  e  nel  secondOi  PAntenora, 
fra  i  traditori  politici,  Bocca  degli  Abati  ;  dai  quali  hanno  notizia  de!  ri- 
spettivi compagni  :  da  ultimo  incontrano  Ugolino  della  Gherardesca  e  Rag- 
gieri  degli  Ubaldini  [9  aprile,  tra  le  ore  quattro  e  le  sei  pomeridiane]. 

S'io  avessi  le  rime  aspre  e  chiocce, 
come  si  converrebbe  al  tristo  buco, 
8        sopra  il  qual  pontan  tutte  l'altre  rocce, 
io  premerei  di  mio  concetto  il  suco 
più  pienamente  ;  ma  percli'  io  non  l' abbo, 
6       non  senza  tema  a  dicer  mi  conduco: 
che  non  è  impresa  da  pigliare  a  gabbo 
descriver  fondo  a  tutto  l'universo, 


xxxn  1.  S'io  avessi  poc  Dovendo  il 
poeta  descrivere  l'ultimo  dei  cerchi  infernali, 
il  pid  orribile  e  profondo  di  tutti,  e  rappre- 
sentare la  condizione  del  centro  dell'universo, 
manifesta  il  dubbio  che  la  sua  lìngua  non 
possa  prestargli  le  parole  e  i  suoni  conve- 
nienti  alla  materia  (cfr.  Inf.  xxvui  1);  ma  la 
sua  titubanza  accresce  nell'animo  del  lettore 
l'ammirazione  per  l'arte  meravigliosa  e  vera- 
monte  divina,  onde  Dante,  vincendo  tutto  le 
difficoltà  o  signoreggiando  con  la  parola  una 
delle  pid  fantastiche  fira  le  sue  imaginazioni 
infernali,  riosoe  a  dipingere  con  efficacia  stu- 
penda la  paurosa  sede  del  traditori  e  di  Ln- 
ciforo.  ~  le  rime  aspre  e  ehloecot  le  pa- 
role di  aspro  e  oscoro  snono,  aoconce  a  rap- 
presentare r  orridezza  del  luogo  :  nel  Con». 
IV  2,  commentando  i  versi  d'una  sua  canzone: 
e  Diporrò  giù  lo  mio  soave  stile,  Ch'io  ho  tenu- 
to nel  trattar  d'Amore,  E  dirò  del  valore  Per  lo 
qual  veramente  ò  1'  nom  gentile,  Oon  runa 
aspra  $  sottile  >,  Dante  osserva  d'aver  detto 


aspra  «quanto  al  suono  del  dettato  ohe  a 
tanta  materia  non  conviene  essere  lene»,  cioè 
soave  e  di  dolci  rime.  —  eUooee:  detto 
delle  parole,  come  già  della  voce  di  Fiuto, 
JhA  vn  2,  significa  stridenti,  rauche  (Dies  97). 
—  2.  al  tristo  baoo  eco.  al  centro  dell'  In- 
famo, sopra  il  quale  gravitano  appoggiandosi 
tutti  i  cachi  infernali  e  tutto  l' universo  (ofr. 
Bit.  xxex  56).  —  4.  Io  pronerei  eoo.  io  espri- 
merei pid  compiutamente  la  sostanza  del  mio 
fìsntastico  concepimento  :  il  vb.  j^wnar»,  co- 
me il  suo  composto  esprmnsrs  (Bar,  iv  112), 
qui  ha  il  significato  di  esprimere,  dire  a  pa- 
role. ~  7.  ehtf  non  k  eco.  poiohó  non  è  Ik- 
cile  impresa  il  descrivere  il  oentro  dell'uni- 
verso. —  8.  fondo  ecc.  il  luogo  che  ò  oentro 
ecc.  ctt.  Con»,  m  6:  «questa  terra  ò  fissa  e 
non  si  gira,  e. . .  essa  col  mare  ò  centro  del 
cielo  »  ;  dunque  il  punto  su  shs  DiU  sisds 
{Inf.  ZI  65)  è  anche  centro  di  tutto  il  sistema 
cosmico.  Nota  il  D'Ovidio,  p.  614,  che  questo 
verso  «  come  reminiscenza  passata  in  provBr* 


INFERNO  -  CANTO  XXXH 


245 


9       né  da  lingua  che  chiami  mamma  e  babbo. 
Ma  quelle  donne  aiutino  il  mio  yersOi 
ch'aiutare  Anfion  a  chiuder  Tebe, 
12       si  ohe  dal  fatto  il  dir  non  sia  diverso. 
O  sopra  tutte  mal  creata  plebe, 
che  stai  nel  loco,  onde  parlar  è  duro, 
15       me'£o8te  state  qui  pecore  o  sebe! 
Come  noi  fummo  giù  nel  pozso  scuro 
sotto  i  piò  del  gigante,  assai  più  bas3i| 
18       ed  io  mirava  ancora  all'  alto  muro, 
dicere  udimmi:  «Guarda  come  passi; 
fa  si  che  tu  non  calchi  con  U  piante 
21        le  teste  de'  fìratei  miseri  lassi  »  ; 


Uo,  è  Twvto  ad  tmanen  un  senso  diffé- 
xsBte  da  qoel  che  ha  doI  testo,  il  senso  dod 
di  desoiyer  da  dna  a  fondo  o  in  Inngo  e  in 
largo  tuUo  V  nniveno  »  ;  erronea  interpreta- 
lidoe,  aiutata  dall'  insolita  espressione  fondo 
e  tetto  per  dire  tf /buio  d»  tetto  eoo.  —  9.  ■< 
da  UifBft  eoe.  (Somonemente  si  spiega:  nò 
trio  da  poter  essere  pienamente  compita  con 
la  lingua  daU'nso  oomnne  nella  qoale  soriyo 
il  mio  poema  ;  efir.  Epistola  a  Gangrande  {  z  : 
<  Si  ad  Bodom  loq[aendi  [re^idamus],  remie- 
sQt  est  Bodos  et  hnmiUs,  qnia  loqnntlo  mi- 
gans,  in  qna  et  mnliercolae  oommnnicant». 
Ma  il  D*  Gridio,  pp.  516-519,  ha  dimostrato 
«he  si  dere  intendere:  «questa  descrizione 
BOB  è  impresa  da  bambino  >  e  ohe  qneeta  ri- 
dondanza ornamentale  è  stata  per  Dante  una 
Bsoseùtà  dipendente  dalla  rima.  —  maa- 
■a  e  hahbo  x  chi  crede  che  Dante  abbia  vo- 
lato aooennare  alla  lingua  dell'  nso  comune 
ricorda  che  egli  nel  JM  vulg.  etoq,  u,  7  eedade 
dall'  alto  stile  le  parole  puerili  «  propter  sai 
timpliàtatem,  ut  mamma  et  babbo  >  ecc.  Assai 
fA  opportunamente  il  D' Ovidio  richiama  in- 
Tsce  i  passi  del  Purg.  zi  105,  zzm  111,  Par, 
zzzm  106-106,  il  quale  ultimo  «  è  la  pi6  ac- 
oonoia  iUustracione  al  passo  che  dice  arduo 
U  dmento  di  deaorivere  l'ultimo  fondo  deU'  in- 
tano >.  — 10.  Ma  fucile  denueeoc  Alle  Ma- 
ss, già  iuTOoate  in  prindpio  di  questa  cantica 
Uàf,  n  7),  d  raeoomanda  il  poeta,  perché  gli 
Tingano  in  aiuto  si  che  il  suo  canto  risponda 
lUa  natura  del  luogo  ch'egli  ha  a  descrivere. 
~  U.  ch'alitare  eoo.  Amfione  figlio  di  An- 
tiope, nella  edifloazione  di  Tebe,  traeva  gid 
dal  Citerone  al  suono  della  lira  i  macigni  per 
la  costruzione  delle  mura;  cfr.  Orazio,  Arg 
poi(.8M:  «Dictus  et  Amphion,  Thebanae 
ooaditor  arda,  Saza  movere  sono  testudinis, 
et  pceoe  blanda  Ducere  quo  vellet  >.  —  13. 
e  sopra  tutle  eoo.  0  infelidssimi  tra  i  dan- 
nati, ohe  siete  confitti  noli'  ultimo  cerchio  I 
■c^  per  voi,  so  nd  mondo  foste  stati  bestie. 


—  14.  eade  parlar  eco.  dd  quale  ò  diffidle 
desocivece  pienamente  la  tristissima  condi- 
done.  — 15.  labe:  capre  (cfr.  Dies  317, 752); 
Lana:  «  %a6s  sono  li  capretti  sdtanti,  et  sono 
detti  xsb«j  perché  vanno  zebellando,  doè  sd- 
tando  ».  —  16.  Ceae  nei  faame  ecc.  Nd 
centro  dd  baratro  infemde  d  apre  un  pozzo 
non  mdto  profondo,  intomo  alle  pareti  dd 
qude  sono  dicesti  i  giganti  che  torreggiano 
sulla  ripa  superiore  dd  pozzo  stesso  :  nel  fondo 
di  ceso  è  un  lago  ghiacciato,  di  drca  due  miglia 
di  diametro,  distinto  in  quattro  gironi  conoen- 
trid,  ciascuno  dd  quali  ha  un  nome  partico- 
lare e  accoglie  una  speciale  qualità  di  tradi- 
tori :  la  superflde  ghiacciata  è  fortemente  in* 
dinata  ddla  periferia  verso  il  centro,  nd 
quale  ò  confitto  il  re  ddl'inlèmo.  — 17.  as« 
sai  pid  tossi:  Dante  e  Virgilio,  essendo 
stati  deposti  da  Anteo  a  una  certa  distanza 
dalla  parete  dd  pozzo,  venivano  a  trovard, 
per  l'inclinadone  ddla  superficie  ghiacciata, 
più  in  basso  dd  piedi  dd  gigante;  ma  tutta- 
via nd  primo  e  maggiore  dd  quattro  gironi, 
doè  ndla  Caina  (cfr.  v.  58),  ove  sono  i  tra- 
ditori de'  congiunti  confitti  ndla  ghiaccia  in 
modo  che  fuori  i^parlscono  solamente  le  te- 
ste chinate  sulla  superflde  gelata.  —  19.  dl- 
eere  udlaml  eoo.  Dante,  tutto  intento  a  guar- 
dare l'dto  muro  dd  pozzo  in  cui  egli  e  Vlrw 
gilio  erano  stati  calati  da  Anteo,  non  s'  ac- 
corge subito  delle  teste  dd  traditori  porgenti 
dalla  ghiaccia:  però  imagina  molto  naturd- 
mente,  che  uno  dd  dannati  richiami  la  sua 
attenzione  ammonendolo  a  non  odpestare  né 
lui  né  il  ftatello  d  qude  era  strettamente 
congiunto.  ~  21.  de'  fratti  :  di  noi  doe  che 
noi  mondo  fOmmo  fratelli  (v.  55).  Mde  dcuni 
interpreti  credono  che  siano  cosi  indicati  tatti 
i  traditori,  quasi  fratelli  o  compagni  di  pena  : 
chó  colai  che  parla  non  ha  Tintenzione  di 
raccomandare  gli  altri,  d  bene  sé  stesso,  e  d 
nomina  col  fratello  solo  perché  sono  en- 
trambi cosi  strotti  insieme  che  Dante  non  pò- 


246 


DIVINA  COMMEDIA 


24 


27 


33 


per  ch'io  mi  volsi  e  yidimi  davaate 
e  sotto  i  piedi  un  lago,  che  per  gelo 
ayea  di  Tetro,  e  non  d'acqua,  sembiante. 

Non  fece  al  corso  suo  si  grosso  velo 
di  Temo  la  Danoia  in  Osterlic, 
né  Tana!  là  sotto  il  freddo  delo, 

com'era  quivi;  che,  se  Tambemic 
vi  fosse  su  caduto  o  Pietrapana, 
non  avrìa  pur  dall'  orlo  fìbtto  cric. 

E  come  a  gracidar  si  sta  la  rana 
col  muso  fuor  dell'acqua,  quando  sogna 
di  spigolar  sovente  la  villana; 

livide,  sin  là  dove  appar  vergogna, 
eran  l'ombre  dolenti  nella  ghiaccia, 


irebbe  calpestar  1*  uno  leiua  oalpealar  l'altro 
(cfr.  V.  41-42).  —  22.  per  eh'  lo  mi  T^lsl 
eoe  Dante,  al  suono  di  queste  parole,  si  volta 
e  Tede  innanzi  a  sé  la  distesa  g^daodata  di 
Oocito,  il  lago  Ibxmato  dalle  acque  dei  llnmi 
infernali  (ofr.  ìnf,  m  11^.120).  —  24.  «tm 
di  ?etr«  eoe  ofr.  Dante  stesso  nel  Ostw. 
p.  177:  «La  teiia  &  nn  sad  ohe  par  di 
smalto,  E  raoqoA  morta  si  conyerte  in  vetro 
Per  la  freddura  die  di  ftior  la  serra  ».  •»  25. 
Hon  feee  eoo.  H  g^iiaodo  di  Codto  era  più 
grosso  di  stuello  ohe  si  forma  nell'inverno  sol 
Danubio  e  sul  Don;  tanto  ohe  se  vi  fosse  ca- 
duta sopra  un'altissima  montagna  non  avrebbe 
fotto  alcun  segno  di  screpolature,  nemmeno 
all'  orlo  esteriore  ove  era  meno  grosso.  La 
comparazione  non  ò  certamente  déUe  più  belle, 
sia  per  i  troppi  nomi  geografld,  sia  andie  per 
la  singolarità  strana  di  alcune  terminazioni 
delle  vod:  ma  ò  pur  dantesca  nd  tratto  finale, 
ove  un  iMto  fidoo  difBoOe  a  spiegarsi  od  di- 
scorso libero  ò  reso  con  meravigliosa  evidenza 
e  predsione  in  poche  parole.  ^  26.  Danela: 
nome  medioevale,  lat  DatmmiiMy  del  fiume 
Danubio.  —  Osterlie  :  nome  dato  dagli  ita- 
liani nd  medioevo  all'Austria  (cfr.  Gh.  Villani, 
Or,  vn  27, 29, 42),  e  foggiato  sul  ted.  Osstoru 
reidi,  cfr.  Parodi BvXL,  m  113.  —  27.  Taaaf  t 
Don,  lat  TVmaif,  noto  fiume  della  Bussia, 
paese  di  freddissimo  dima;  nd  medioevo 
gì'  italiani  lo  chiamarono  la  Tama^  e  anche 
il  fiumB  Tcmai  (la  forma  oesitona  è  attestata 
da  un  luogo  della  Sfarà  di  L.  Dati,  ed.  di 
a.  G.  Galletti,  Firenze,  1869;  poemetto  geo- 
grafico ohe  termina  :  «  e  finisce  qui  L'Asia 
maggiore  al  fiume  Tanai  >).  —  28.  Tamlber- 
■ie  :  è  incerto  di  quale  alta  montagna  l'Ali- 
ghieri abbia  vduto  parlare  :  secondo  gli  an- 
tichi e  i  più  dd  moderni  commentatori  è  ac- 
cennata qui  una  montagna  ddla  Schiavonia 
(la  Fmska  Ocra  presso  Tovamik);  secondo 
altri  invece,  U  monte  Javomik  nella  Camio- 


la,  preno  ad  Addsberg  :  quesf  ultima  opinio- 
ne è  stata  difosa  oon  molto  calore  dal  Bas- 
sermann,  pp.  4M-471  (ofr.  BuìL  V  88).  — 
29.  Pietrapana:  la  Pania  o  Alpe  Apuana 
(lat.  FlBtra  Apuana)  gruppo  d' alte  montagne 
iadate  dalla  catena  appenninica,  tra  il  Sei^ 
chic  e  la  Magra  (cfr.  Bepetti  1 69-72  •  Bas- 
sermann,  p.  876).  —  80.  erles  voce  onoma- 
topeica, da  coi  deriva  11  vb.  9arÌooMoìar9,  • 
opportuoa  a  rendere  l'idea  di  qud  suono 
secco  e  continuato  che  fa  una  superfide  gliiao- 
data  su  cui  cada  un  gran  peeo.  —  81.  B 
eome  a  grmddar  ecc.  Questa  simiUtudine 
ddle  rane,  come  le  altre  due  dell' ^.  oc 
76  0  zzn  26,  ricorda  la  descrizione  ovidiana, 
Md,  VI  870:  cluvat  tese  sub  undas;  Et  modo 
tota  cava  submergere  membra  palude,  Nvne 
proforre  caput,  summo  modo  gurgite  nave; 
Saepe  super  ripam  stagni  oonsidere,  saepe  In 
gelidot  resUire  laons...  Vox  quoque  lam  raaoa 
est,  infllataque  colla  tumescunt:  Ipsaqne  dila- 
tant  patulos  convioia  rictus.  Terga  caput  taa- 
gunt;  colla  interoeptavidentur:  Spina  vfa«t. 
venter,  pars  maxima  oorporis,  dbet;  Limoao- 
que  novae  saliunt  in  gurgite  ranae  >.  —  82. 
quando  sogna  eoe  nd  prindpio  dall'estate, 
allorché  per  essere  il  tempo  dalla  mietìtm»  le 
donne  di  villa  sognano  spesso  di  spigolale. 
Biag.  cPer  questa  perifrad  droosorive  in 
nuova  forma  il  tempo  della  mietitura  nella 
state,  e  d  ammaestra  ad  un  tempo  essere  i 
sogni  sovente  un  apparizione  ddle  Idee  rao- 
colte  e  collegate  nella  vigilia  ».  —  84.  livide, 
sin  là  ecc.  le  ombre  dolenti  dd  traditori,  livide 
per  la  fireddura,  erano  confitte  nella  ^liaoda 
sino  a  quella  parte  su  cui  appare  il  rossore 
della  vergogna,  doè  fino  alla  flaoda  die  era 
la  sola  ohe  rimanesse  friort  Questa  èia  retta 
maniera  d'intendere,  come  è  provato  daUa  d- 
militndine  che  precede,  nella  qude  il  tenutale 
prindpale  ti  gta  la  rana  eoi  nrnao  fiÈor  àA- 
l*aeqva  richiede  come  logica  corrispondenza 


DIFEBNO  -  CANTO  XXXII 


247 


86       mettendo  i  denti  in  nota  di  cicogna. 
Ognuna  in  giù  tenea  volta  la  &ccia: 
da  bocca  il  freddo  e  dagli  ocelli  il  cor  tristo 
39       tra  lor  testimonianza  si  procaccia» 
Quand'io  ebbi  d'intorno  alquanto  TÌstOi 
volsimi  appiedi,  e  vidi  due  si  stretti 
42       òhe  il  pel  del  capo  avieno  insieme  misto. 
«  Ditemi  voi,  che  si  stringete  i  petti, 
diss*io,  chi  siete?  »  E  quei  piegare  i  colli; 
45       e  poi  eh'  ebber  li  visi  a  me  eretti, 

gli  occhi  lor,  eh'  eran  pria  pur  dentro  molli, 
gocci&r  su  per  le  labbra,  e  il  gelo  strinse 
48       le  lagrime  tra  essi,  e  riserrolli: 

con  legno  legno  spranga  mai  non  6insa 
forte  cosi;  end'  ei,  come  due  bécchi, 
51        coEsaro  insieme,  tanta  ira  li  vinse. 
Ed  un,  ch'avea  perduti  ambo  gli  orecchi 
per  la  freddura,  pur  col  viso  in  giùe 
64       disse:  «  Perché  cotanto  in  noi  ti  specchi? 
Se  vuoi  saper  chi  son  cotesti  due, 


rUea  di  ombn  ntUa  ghiacoia  intin  là  dove 
yeyMO,  cioè  tino  alla  f«ccia.  Altri 
no  :  Le  ombre,  dolenti  nella  ghiaccia, 
«ano  liride  sino  là  dorè  eoo.  ;  nò  sono  poi 
tatti  d'accordo  dica  la  parte  oto  appare  la 
THgogna:  che  alcuni  tengono  essere  la  fàc- 
cia; altzi,  le  parti  Tezgognose,  ohe  si  vede- 
Tsao  perdio  le  ombre  traapanan  oom*  fetiuea 
m  9dn  ilmf.  xzzit  12).  —  86.  metUado  eco. 
bstteado  i  denti  per  il  freddo,  con  il  snono 
B6000  die  Ca  la  dcogna  quando  batte  insieme 
le  due  parti  dd  sno  bécco;  cfr.  Gridio,  Met, 
▼I  97:  «  Ipea  stbi  plandat  crepitante  doonia 
rostro».  —  87.  OfBima  la  gld  eco.  I  tradi- 
tori, non  «rendo  alcon  dedderio  d'essere  ri- 
cordati nd  mondo,  cercano  anche  di  non  ee- 
nr  conoednti:  però  tengono  il  Tolto  abbas- 
sato, e  Dante  è  costretto  a  serrìrd  dd  mezzi 
pì6  Tiolenti  per  indolii  a  parlare  (cfr.  y.  07 
e  segg.).  —  88.  da  becca  eoo.  il  froddo  dd 
laogo  d  manifesta  per  il  battere  dd  denti  e 
il  ddore  dd  dannati  appare  nel  pianto  ch'esce 
loco  dag^  ocohL  —  40.  Qaaad'io  ecc.  Dopo 
aver  dato  uno  ignaido  generale  alla  snperil- 
c&e  i^iiaodata  di  Oodto,  Dante  volge  gli  oo- 
chi  d  sod  piedi,  a  qnella  parte  ond'era  mossa 
U  Tooe  ammonitrioe  (cfr.  r.  19-21)  e  vede 
4m  dannati  cod  strettamente  onlti  che  le 
loro  ohiomA  erano  Insieme  confuse.  —  48.  IM- 
t«Bd  Tel  ecc.  Alla  domanda  del  poeta  dio 
TQol  tmfen  i  kr  nomi,  i  dne  dannati  ripie* 
gando  all*indi0tro  U  odio  drizzano  i  Tid  Terso 
di  fad;  e  il  pianto,  che  alla  vista  di  Dante 
•oorrs  loro  d«gU  occhi,  d  congela  sabitamente 


d  contatto  della  fredda  aria,  d  che  per  la 
rabbia  qnd  due,  inTOce  di  rispondere  d  yid- 
tatQrs^  cozzano  Tlolentemente  l'ano  contro 
l'dtro.  —48.  eh'tran  pria  9W  dentri  aellit 
che  innand  allo  staocard  dd  due  capi  erano 
molli  solamente  dentro,  erano  doè  pregni  di 
pianto  che  wxi  qnando  ebbero  Tolto  g^  occhi 
a  Dante.  —  47.  le  labbra:  Lomb.  intende  le 
labbra  degli  stead  occhi,  doè  ddle  pdpotee; 
ma  osserra  ginstamente  il  Bianchi  che  non 
c'è  bisogno  di  forar  cod  la  lingua  indncendo 
un  modo  insdito  e  arditissimo,  poiché  d  pad 
imaginar  benissimo  che  le  lagrime  scorressero 
nel  loro  erompere  dagli  occhi  dno  alla  bocca: 
anzi  d  pnd  agginngere  che  in  caso  contrario 
sarebbe  stato  inatile  che  il  poeta  rinhinmassn 
poi  l'idea  degli  occhi  dicendo  tra  «sai.  —  e  U 
gelo  eoo.  il  gdo  strinse,  assodò  le  lagrime 
dentro  a^  occhi  e  riserrò,  chiuse  di  nnoro 
gli  occhi  stesd  eh'  erano  aperti  a  gnardare. 
—  49.  con  legno  legno  eoe  nna  spranga  di 
ferro  non  tenne  md  stretti  insieme  dne  pezd 
di  legno  cod  fortemente  come  il  ghlacdo  to- 
nerà ohind  gli  occhi.  —  60.  come  dae  bèo- 
chi:  come  due  montoni;  cfr.  Virgilio  Owr.  n 
526  :  e  Inter  se  adversis  lactantor  comibns 
haedi  ».  —  52.  Ed  nn  ecc.  Un  dtro  traditore 
interviene  a  sodisfare  egli  il  dedderio  di 
Dante,  dicendogli  chi  siano  qnd  doe  ed  enn- 
merando  dtri  dannati  della  Caina,  e  in  fine 
manifestando  s6  stesso  (cfr.  t.  67-69).  —  68. 
par  eoi  tIso  ecc.  senza  alzare  il  volto,  pei^ 
che  il  freddo  gl'impediva  di  muoversi.  —  55. 
8«   vaol  ecc.  Cotesti  dne  furono  i  fratolli 


248 


DIVINA  COMMEDIA 


la  valle  onde  Bisenzio  si  diclilna 
57       del  padre  loro  Alberto  e  di  lor  fiie. 
D'un  corpo  uscirò;  e  tutta  la  Caina 
potrai  cercare  e  non  troyerai  ombra 
60       degna  più  d'esser  fitta  in  gelatina: 

non  quelli,  a  cui  fii  rotto  il  petto  e  1'  ombra 
con  esso  un  colpo  per  la  man  d'Artù; 
Cd       non  Focaccia;  non  questf|  che  m'ingombra 
col  capo  si  ch'io  non  veggio  oltre  più, 
e  fu  nomato  Sassol  Mascheroni: 


Alessandro  e  Napoleone  figU  del  conte  Al- 
berto di  Mangona  o  della  oontessa  Otialdxa- 
da,  e  signori  dei  castelli  di  Vetnio  e  di  Oe> 
baia  in  Val  di  Bisenzio  e  di  Uaogona  in  Val 
di  Siero  (BepettlVI  26^);  i  qoali  si  «coi- 
sero  l'on  l'altro  per  odi  primati  e  politid.  — 
57.  éfl  padre  eoo.  :  il  conte  Alberto,  ancora 
minorenne  nel  1209,  ebbe  dalla  contessa  Gnal^ 
drada  tre  figlinoli;  nno  di  essi,  Napoleone, fa 
seguace  di  parte  ghibellina,  invece  Guglielmo 
e  Alessandro  ftirono  segaad  di  parte  gael&; 
questi  firatelli  ebbero  contrasti  per  ragioni 
politiche  e  pi&  poi  per  interessi  privati,  al- 
lorché il  padre  loro  nel  testamento  fatto  nel 
1250  lasciò  a  Napoleone  scia  una  decima  parte 
del  patrimonio.  Giurarono  tutti  e  tre  la  pace 
àéL  cardinale  Latino  nel  1282,  ma  poco  dopo 
accadde  la  tragedia  domestica,  cui  accenna 
Dante,  della  quale  1  fij^uoli  di  Napoleone  e 
di  Alessandro  si  padflcarono  nel  1286  (cfr. 
K.  Barbi,  BmO.  VI  20A);  e  la  tradizione  rima- 
stane Tira  a  lungo  in  Firenze  ò  riferita  dal- 
l'An.  fior.,  il  quale  dei  due  fratelli  scriye  che 
e  fkxrono  di  si  perverso  animo  che  per  tdire 
l'uno  all'altro  le  fortezze  che  avevano  in  vai 
di  Bisenzio,  vennono  a  tanta  ira  et  a  tanta 
malvagità  d'animo  che  l'uno  uccise  l'altro,  et 
cosi  insieme  morirono  ».  —  58.  Calna  :  il  pri- 
mo girone  dell'  ultimo  cerchio,  destinato  ai 
traditori  dei  congiunti,  ò  cosi  denominato  da 
Caino  uccisore  del  fratello  Abele.  —  60.  In 
gelatia»:  Benv.  spiega  semplicemente  e  in 
istam  glodem  gelatam»,  ma  U  Buti  amplifica 
parlando  di  «  anime  fitte  nella  ghiaccia,  come 
li  polli  nella  gelatina»:  onde  forse  alcuni 
commentatori  moderni  trassero  l'Idea  che  la 
ghiaccia  infernale  sia  detta  in  tal  modo  per 
ischerzo  ;  ma  lo  scherzo,  per  quanto  non  inop- 
portuno in  bocca  al  loquace  e  petulante  che 
parla,  suonerebbe  troppo  scipito.  Del  resto  a 
gelatina^  luogo  gelato,  è  utile  riawicinaro  cal- 
dina, luogo  caldo,  usato  da  Pietro  Alighieri, 
DoUrinaU,  zxv  56.  —  61.  bob  «utili  ecc. 
Accenna  a  Hordròc,  nipote  o,  secondo  altre 
versioni,  figlinolo  del  re  Artà,  uno  degli  eroi 
del  romanri  di  Brettagna;  al  quale  Hordrèo, 
perché  aveva  tentato  di  togliergli  a  tradimento 
la  vita  e  il  regno,  11  re  Artfi  dio  un  colpo  di 


lancia  nel  petto  trapassandolo  da  parte  a  parte, 
in  modo  che  (dice  VHisiorta  di  LcmoOhtio  del 
Lago,  lib.  m,  cap.  162)  «  dietro  l' apertura 
della  lancia  passò  per  mezzo  la  plaga  un  ca^ 
giodisole>.~63.  B«B  Fecaeelas  Focaccia 
de'  OanceUieri  Bianchi  di  Pistoia  ò  rappreeen- 
tato  nelle  latori»  pialoUai,  pp.  4-9,  come  uno 
dei  più  turbolenti  •  Huiosl  di  quella  parto,  e 
di  lui  racconta  l' anonimo  cronista  che  e  era 
prode  e  gagliardo  molto  di  sua  persona,  del 
quale  forte  temevano  quelli  della  parte  Nera 
per  la  sua  perversità,  perché  non  attendea  ad 
altro  che  ad  uccisioni  e  ferite  >  :  iniieitti  neg^ 
anni  che  corsero  dal  1286,  quando  fu  tagliata 
la  mano  a  Doro  del  Cancellieri,  sino  al  1285, 
che  fri  la  intera  divisione  della  cittadinanza 
pistoiese,  egli  compiè  parecchi  misfktti,  accen- 
nati nelle  Id,  pisi.,  e  tra  gli  altri  uooiee  a 
tradimento  in  una  bottega  di  Pistoia  Detto 
dei  Cancellieri  e  nel  castello  di  Montemnrlo 
il  suo  concittadino  Dottorino  dei  Bossi,  della 
consorteria  de'CancellieriNeri:  i  pi6  dei  com- 
mentatori antichi  gU  attribuiscono  l'ucdaione 
di  uno  zio,  per  la  quale  sarebbe  qui  punito; 
solamente  Pietro  di  Dante  attesta  ch'egli  uc- 
cidesse il  padre,  ciò  sarebbe  Bertacca  d^  Can- 
cellieri frate  gaudente,  che  sappiamo  invece 
esser  morto  per  mano  di  Predi  Cancellieri 
(ctt,  Ist,  pisi,  p.  6),  e  Benv.  lo  fa  autore  del 
taglio  della  mano  di  Dore  OanceUieri,  die  fu 
opera  invece  d'un  suo  parente.  Si  veda  L. 
Zdekauer,  Siwn  pisMaai,  I,  Siena,  1889.  — 
65.  Sassol  MascheroBÌ:  An.flor.:  e  Sassolo 
Mascheroni  fti  de'  Toschi  da  Firenze  ;  et  aven- 
do uno  suo  zio  vecchio,  ricco  uomo,  che  non 
avea  altro  che  uno  ftmciullo,  pensò,  se  io  uc- 
cido questo  fanciullo,  lo  rimarrò  roda  di  questo 
mio  zio.  Stette  più  tempo  di  fuori  :  poi  un  di 
cautamente  si  mosse  con  alcuno  compagno  ;  et 
fatto  lusingare  il  fanciullo,  fl  menò  fuori  dolla 
terra  et  ivi  l'uocise,  et  sconosciuto  si  parti: 
non  si  sapea  chi  morto  l'avesse.  Tornò  Sas- 
solo d' ivi  a  uno  tempo  a  Firenze;  giugne  a 
casa,  fa  lo  scarpore  grande  di  questo  suo  cu- 
gino, et  prese  il  reditaggio  del  zio  ch'era  già 
morto.  Infine  il  fatto  al  scoperse;  fa  preeo 
costui  et  confessato  il  malefirio,  fu  messo  in 
una  botte  d'aguti,  et  fri  strascinato  rotolando 


INFERNO  -  CANTO  XXXH 


249 


66        86  tòsco  se',  ben  sai  ornai  olii  fu. 
E  perché  non  mi  metti  in  più  sermoni, 
sappi  eh'  io  fai  il  Camioion  de'  Pazsi, 
69       ed  aspetto  Garlin  che  mi  scagioni  >. 
Poscia  yid'io  mille  visi,  cagnazzi 
fatti  per  freddo;  onde  mi  vien  riprezzo, 
72       e  verrà  sempre, ''de' gelati  guazzi. 

E  mentre  che  andavamo  in  vèr  lo  mezzo, 
al  quale  ogni  gravezza  si  rauna, 
75        ed  io  tremava  nell'  eterno  rezzo, 
se  voler  fd  o  destino  o  fortuna, 
non  so;  ma  passeggiando  tra  le  teste, 
78       forte  percossi  il  piò  nel  viso  ad  una. 
Piangendo  mi  sgridò:  «  Perché  mi  peste? 


U  botte  per  U  teira,  et  poi  gli  fti  mozzo  il 
etpo.  Fa  queit»  noTelia  al  pelose,  che  per 
tutta  ToeoaiiA  ee  ne  perid  >•  —  68.  U  Gaal- 
el«a  é^Paxslt  Alberto  Camioioiie  dei  Pazzi 
;  gliibelliiim  del  Val  d'Amo  anperioro, 
i  aach'egli  un  oongivnto;  l'An.  fior,  rao- 
;  «Andando  un  di  a  diletto  messerUber- 
tino  de'Faoxifiiooaginoet  egli,  però  che  aye- 
TODO  certa  fortezze  eomimi  come  consorti, 
Guniscione  pensa  di  pigliarle  per  sé,  morto  mee* 
ter  Ubertino:  ooei  caTaloando  gli  corse  addosso 
con  uno  coltello,  et  diegli  più  colpi  et  final- 
mente roodae»  :  e^  altri  commentatori,  Lana, 
Ott,  e  Benv.  dicono  ohe  Ubertino  eia  parente 
di  Camioione,  senza  speoifloare  il  grado  di  pa- 
mtala,  e  forse  da  dò  si  potrebbe  indarre  che 
Poociso  foese  non  già  dei  Pazzi,  ma  degli 
Ubertini  di  Val  d'Amo  loro  consorti  e  con- 
giunti  di  sangae  e  di  fazione  (cfr.  Del  Lango 
n  29).  —  69.  e4  aspette  eco.  e  attendo  che 
Carlino  de'  Pazzi,  commettendo  an  tradimento 
peggioire  del  mio,  faccia  parere  meno  grave  la 
mia  onta.  Allade  al  tradimento  di  Carlino 
da'  Food,  il  qoale,  essendo  per  la  parte  dei 
»*^w*iii  Bel  castello  di  Fiantrarigne  con  molti 
ceTalieri  e  pedoni,  il  16  loglio  del  1802  lo  dio 
in  mono  ai  fiorentini  Keii,  ohe  l'assediaTano 
da  OH  mese,  e  ottenne  cosi  di  essere  riam- 
measo  in  patria  {DeUx,  IX  101):  <  Alla  fine 
(cosi  G.  Villani,  O.  ym  58)  per  tradimento 
dal  sopcadetto  Carlino,  per  moneta  ohe  n'ebbe, 
i  fiorentini  ebbono  il  castello  :  essendo  il  detto 
Carlino  di  taaA,  fece  a'snoi  fedeli  dare  l'en- 
trata del  castello,  onde  molti  vi  farono  morti 
e  pitie! ,  pare  del  migliori  asciti  di  Firenze  >  : 
efr.  D.  Oompagni,  C^.  n  28.  —  70.  Pesda 
Tl4*le  eoo.  Procedendo  Terso  il  centro,  Dante 
perrìene  nel  sec(mdo  girone,  doò  nelI'Ante- 
Bora  (c£r.  r.  88),  ove  sono  paniti  i  traditóri 
della  patria  e  della  parte,  i  colperoli  ciod  di 
tradimento  politico  ;  i  qoali  por  son  confitti 
•ella  ghiaccia,  dal  capo  in  gid,  tenendo  dritti 


i  volti.  ~  eagMisl  fatti  per  fireUes  di- 

vtnatl  lividi  per  il  freddo;  cosi  spiega  il 
Boti,  rifinendosi  manifestamente  al  v.  84: 
ma  Benv.  spiega  eagnaxxi  per  canini,  doò 
forse  raggrinzati  come  la  pelle  del  cane,  e 
molti  moderni  intendono  che  i  visi  fossero, 
per  il  maggior  fireddo  che  è  verso  il  centro, 
divenati  paonazzL  — 71.  rlprcsze:  in  senso 
traslato,  orrore,  spavento  (cfr.  Inf,  xvn  86, 
ov'ò  in  senso  proprio).  —  72.  gelati  gaassl: 
le  acqae  dei  fiomi  infernali,  stagnanti  e  ghiao* 
date  in  Codto.  —  74.  al  f  oale  eoo.  cfr. 
Mf,  laxrr  ìlU  —  76.  Beli' eterne  rene: 
nell'eterno  gdo  infernale  ;  il  nome  rssxo  (cfr. 
Jn/1  xvn  87)  ò  ano  dd  tanti  derivati  di  aura, 
ristrettod  al  concetto  di  fireddo  (Dies  81).  ~ 
76.  se  reler  Ai  ecc.  Dante  non  sa  perché  ac- 
cadde eh'  egli  inciampasse  in  ona  di  qaelle 
teste  :  dice  donqae  che,  qaal  ne  fosse  la  ca- 
gione, o  la  volontà  divina  o  il  destino  o  an 
caso  fortaito,  il  flttto  ta  eco.  Gli  antichi  com- 
mentatori. Lana,  Ott,  Dati  eoo.  interpretano 
an  po'  diversamente,  dicendo  (cod  l'nltimo): 
<  qai  tocca  tre  cagioni,  da  ohe  procedono  tatti 
li  nostri  affetti;  doò  da  vdontà  di  proprio 
arbitrio,  o  da  giadizio  aniversale  delle  oostel- 
ladoni  che  d  chiama  destino,  o  da  giadioio 
particolare  di  aloana  costelladone  che  d  chia- 
ma fortona  >  :  ma  se  Dante  accennasse  al  sao 
wkr$f  non  potrebbe  poi  dabitame,  ed  egli 
non  poteva  sapere  che  qaella  testa  foese  d'an 
fiorentino  traditore.  —  79.  Plaagende  ecc. 
L'ombra  di  Bocca  degli  Abati  rivolgendod 
con  aspre  parole  a  Dante  gli  chiede  s'ei  venga 
ad  aocresoere  la  pena  che  essa  ha  per  il  tra- 
dimento di  Montaperti;  ove  Bocca,  al  prìn- 
dpio  dd  combattimento  dd  fiorentini  coi  se- 
ned  (cfr.  In^.  X  85),  combattendo  dalla  parte 
dd  gaelfl  accanto  a  Iacopo  de'  Pazzi  che  por- 
tava l'insegna  dd  cavalieri  fiorentini  lo  feri 
di  spada  e  gli  tagliò  la  mano  con  la  qaale 
reggeva  l'insegna  stcesa;  «  dò  fatto  (racconta 


250  DIVINA  COMMEDIA 


86  tu  non  Tieni  a  crescer  la  vendetta 
81        di  Montaperti,  perché  mi  moleste?» 
Ed  io  :  <  Maestro  mio,  or  qui  m' aspetta, 
si  ch'io  ésca  d'un  dubbio  per  costui; 
84       poi  mi  &rai,  quantunque  vorrai,  fretta  ». 
Lo  duca  stette;  ed  io  dissi  a^  colui, 
ohe  bestemmiava  duramente  ancora: 
87       <  Qual  se'  tu,  che  cosi  rampogni  altrui?  > 
€  Or  tu  chi  se',  che  vai  per  l'Antenora 
percotendo,  rispose,  altrui  le  gote 
90       si  che,  se  fossi  vivo,  troppo  fora?  » 
€  Vivo  son  io,  e  caro  esser  ti  puote, 
fu  mia  risposta,  se  dimandi  fama, 
93       oh'  io  metta  il  nome  tuo  tra  l' altre  note  ». 
Ed  egli  a  me:  «  Del  contrario  ho  io  brama; 
levati  quinci,  e  non  mi  dar  più  lagna, 
96       che  mal  sai  lusingar  per  questa  lama  ». 
Allor  lo  presi  per  la  cuticagna, 
e  dissi  :  <  E'  converrà  che  tu  ti  nomi, 
99        o  che  capei  qui  su  non  ti  rìmagna  ». 
Ond'egli  a  me:  <  Perché  tu  mi  dischiomi, 
né  ti  dirò  ch'io  sia,  né  mostrerolti, 
102        se  mille  fiate  in  sul  capo  mi  tomi  ». 

Q.  Villani,  Or,  vn  79),  la  caralleria  e  popolo  interprgtaaton»,  rimanendo  nella  tua  riraaità 
reggondo  abbattuta  V  insegna,  e  oo«£  traditi  l'antiteei  tta  il  diacono  del  poeta  e  qnello  del 
da'  loro,  e  da'tedeeohi  ai  forte  assaliti,  in  poco  peooatore,  qualunque  senso  s'attribuisca  alle 
d'ora  si  misono  in  iaconiltta»  ;  perdo  Booca  paiole  di  quest'ultimo.  —  98.  attes  parole  e 
é  punito  nell'Antenora,  come  traditore  della  versi,  ond'ò  intessuto  il  raooonto  del  viaggio 
parte  guéUk  fiorentina.  —  mi  sgridò  ofr.  dantesco  (ofr.  j&i/.  xvx  127).  —  94.  Del  fm- 
Inf,  xvm  118.  —  88.  «■  dubbio  eoo.  un  dnb-  trarlo  eoe  Si  è  già  accennato  ohe  questi 
bio  ohe  mi  è  sorto  per  le  paiole  dette  da  oo-  traditori  non  hanno  desiderio  d'essere  rioor- 
stui.  —  84.  f  lABtviqae  s  cfr.  Inf,  v  12.  —  dati  nel  mondo,  per  il  timore  doU'inlìunia  ohe 
86.  eht  bestemmlara  eco.  che  imprecava  an-  pers^guiteiebbe  la  loro  memoria,  e  perdo  non 
Cora  con  irose  parole  contro  di  me.  —  88.  In-  vorrebbero  essere  riconoeduti:  solamente  Ot^ 
tenera:  il  secondo  girone  dei  traditori  è  cosi  midone  dd  Pazzi  per  loquadtà  naturale  si 
detto  da  Antenore,  prindpe  troiano,  ohe  nei  mette  a  dire  dd  compagni  e  di  sé  stesso; 
poemi  omeiid  h  rapprssentato  come  uomo  sa-  mentre  Bocca  per  vendicaid  di  un  compagno 
piente  ed  doquente  e  come  autore  della  prò-  che  l'ha  nominato  livderà  a  Dante  il  n<»ne 
posta  di  reetitniro  Elena'ai  gred  e  di  fu  la  suo  e  di  altri,  e  Ugolino  della  Qhermrdeeca 
pace  (cfr.  IHad»  m  148  e  segg.,  vn  860  e  racconterà  la  sua  pietosa  istoria  per  aocre- 
sogg.)  :  da  che  venne  forse  la  posteriore  leg-  soere  infamia  all'arcivescovo  suo  nsoioo  (Jnf. 
genda  eh'  egU  fosse  traditore  della  patria  e  xxzm  7).  ~  96.  lagna  i  molestia,  angoada 
consegnasse  ai  nemid  il  Palladio  (Servio,  ad  die  dà  motivo  a  lamentL  —  96.  lama:  cfr. 
Am,  I  242).  —  90.  se  fossi  viro  ecc.  :  due  Btf,  zx  79,  Pmg.  vn  90.  —  97.  eutleagKa: 
interpretazioni  d  possono  dare  di  questo  verso;  Buti  :<  la  chioma  dei  capelli,  che  è  nella  col- 
se fo99Ì  è  1*  pars.,  significherà  :  se  io  fosd  lottda  >.  —  100.  Perché  tn  eoo.  Pttr  quanto 
vivo  non  sopporterd  l'ingiuria  che  mi  fd  cai-  tu  mi  strappi  i  capelU  non  ti  dirò  ohi  io  mi 
pestandomi;  se  invece  6  2*  pera.,  vorrà  dire  :  sia,  né  te  lo  tuo  vedere  mostrando  il  viso  se 
se  tu  fosd  vivo,  non  potresti  percuotermi  di  anche  tu  mi  salti  mille  volte  sul  c^to.  — 
colpi  ood  forti.  Le  parole  che  seguono,  dette  102.  toni  ;  il  vb.  iomant  oihe  indica  l' atto 
da  Dante  in  risposta  a  Bocca,  non  danno  ra^  del  cadere  capovolgendosi  (cfr.  hif,  xvx  63), 
gione  a  preferire  l'una  piti  tosto  che  1'  altra  qui  è  tratto  a  dgnificare  più  tosto  l'atto  del 


INFERNO  —  CANTO  XXXH 


2B1 


Io  ayea  già  i  capelli  in  mano  avvolti, 
e  tratti  gli  n'avea  più  d'una  ciocca, 
105        latrando  lui  con  gli  occhi  in  gi4  raccolti; 
quando  un  altro  gridò:  «Che  hai  tu,  Bocca? 
Non  ti  basta  sonar  con  le  mascelle, 
103        se  tu  non  latri?  qual  diavol  ti  tocca?  > 
«  Ornai,  diss'  io,  non  vo'  che  tu  favelle, 
malvagio  traditor,  che  alla  tua  onta 
111       io  porterò  di  te  vere  novelle  >• 

«  Ya  via,  rispose,  e  ciò  che  tu  vuoi,  conta; 
ma  non  tacer,  se  tu  di  qua  entr*  esohi, 
114        d^  quel  ch'ebbe  or  cosi  la  lingua  pronta. 
Ei  piange  qui  l'argento  de'franceschi: 
'  Io  vidi,  potrai  dir,  quel  da  Duera 
117        là  dove  i  peccatori  stanno  freschi  '• 
Se  fossi  domandato  altri  chi  v'era, 
tu  hai  da  lato  quel  di  Beccheria, 
120       di  cui  segò  Fiorenza  la  gorgiera. 
Gianni  de'  Soldanier  credo  che  sia 


olpettar»  foaleb»  cosa  con  liolena,  qnaai 
laadaadoei  «ndar»  ool  paio  d«l  oorpo  torra  di 
MH.  —  105.  Utrudo  eoo.  m«ntro  egli  con- 
tinsft?»  A  gridare  ixoeamente,  tenendo  gli  oo- 
eU  in  basso  per  non  essere  rioonoschtto.  — 
106.  «■  altr»  gridò  eco.  Quest'altro  traditore, 
d»  ssntsndo  le  grida  di  Boeoa  si  Tolge  a 
ehiedergli  ohe  ooea  %^  abbia  e  ooei  dioe  in- 
Tolontariamente  il  nome  del  compagno  (ecoo 
u  esso  analogo  a  quello  per  coi  Dante  capi 
che  slconi  spiriti  della  bolgia  settima  erano 
noi  eondttadini  :  cfr.  bif.  zxr  40»4S),  ò 
Bnoso  da  Dorerà,  che  insieme  al  marchese 
Uberto  FaUaTieini  tenne  lungamente  la  si- 
gnoria di  Cremona,  onde  fti  soacdato  nel 
1267,  n6  pi6  potè  riaverla  non  ostante  i  molti 
t«tatiTi  ch'el  fece  sino  al  1283  (cfr.  Sslimbene 
A  Puma,  Oh,  pp.  218-60,  280):  è  posto  nel- 
TAntenora  eome  traditore  della  parto  ghibel- 
lina, perché  nel  1266  arendo  rioemto  dal  re 
Manfredi  motti  denari  per  assoldare  milizie 
4t  oppone  in  Lombardia  all'esercito  di  Carlo  I 
4*  Aagiò,  tenne  per  s6  la  moneta  e  altra  n'ebbe 
dai  banoeai,  ch'el  lasciò  liberamente  passare 
(cfr.  F.  Pipino,  Ohr»  xxvm  40,  in  Moratori, 
&r.  dai.  IX  709).  —  UO.  alla  taa  onta:  a  toa 
falÌMiia  e  dispetto.  —  116.  El  piange  eoo. 
Baoso  è  qoi  punito,  per  essersi  lasciato  oom- 
poxe  daU'appiNto  o  denaro  (ofr.  Far,  xvn  84) 
dai  franoesL  —  franeesehls  Danto,  come 
tatti  i  toscani  del  ano  tempo,  disse  sempre 
frmnmoo  {Mf,  zxm  44,  sax  128,  Pwrg,  xvi 
126)  a  indicare  nomini  e  cose  di  Francia,  set- 
Woe  già  allora  si  dioesse  anche  francese,  — 
llfi.  Baerà:  Deverà,  lat  Ihivaria.  —  119. 


f  nel  di  Beealieria  eoo.  Tesanro  dei  Beccaria 
pavese,  abate  di  Yallombrosa  e  legato  ponti- 
ficio in  Toscana,  per  sospetto  d'avere  trattato 
per  il  ritomo  dei  ghibellini  in  Firense,  dopo 
la  cacciata  del  1258,  fti  proso  e  decapitato  : 
€  quello  per  martfro  (dice  Q,  Villani,  Or.  vi 
66)  gli  fedono  oonfeesare,  e  soelleratamento 
nella  piaxza  di  santo  Apollinare  gli  feoiono  a 
grido  di  popolo  tagliare  il  capo,  non  guar- 
dando a  sua  dignità,  né  a  ordine  saoro;  per 
la  qual  cosa  il  comune  di  Firenze  e' fiorentini 
dal  papa  furono  scomunicati,  e  dal  comune  di 
Pavia,  ond'era  Q  detto  abate,  e  da'  suoi  pa- 
renti i  fiorentini  ohe  passavano  per  Lombar- 
dia ricevevano  molto  danno  e  molestia:  e  di 
vero  si  disse  che  '1  religioso  uomo  nulla  colpa 
avea,  con  tatto  ohe  di  suo  legnaggio  fosse 
grande  ghibellino  >.  —  120.  la  gorgiera  :  in 
senso  traalato,  la  gola,  il  collo.  — 121.  Gianni 
de'  Soldanier  :  fiorentino  di  parto  ghibellina, 
il  quale,  allorché  nel  1266  il  popolo  dopo  il 
governo  dei  due  frati  gaudenti  (cfr.  Inf.  xxin 
106)  si  levò  a  tumulto,  «  si  fece  (cosi  O.  Vil- 
lani, Or,  vn  14)  capo  del  popolo  per  montare 
in  istato,  non  guardando  al  fine,  ohe  doveva 
riuscire  a  sconcio  di  parto  ghibellina»:  Gianni 
viveva  ancora  nel  1285,  in  cui  ebbe  una  forte 
qoistione  ool  comune  di  Prato  (cfr.  Dei  Lungo 
in  Sundby  op.  cit.,  p.  217  e  segg.).  Danto  lo 
pone  noIi'Antonora  come  traditore  della  parto 
ghibellina,  ma  il  guelfo  0,  Villani  giunto 
quasi  alla  fine  della  sua  Orùmea  (xn  44)  lo 
ricorda  insieme  con  esso  Danto,  con  Qiano 
della  Bella,  con  Viori  dei  Cerchi  tra  i  «  cari 
cittadini  e  guelfi,  odorali  e  sostenitori  di 


252 


DIVINA  COMMEDIA 


più  là  con  Qaaellone  e  Tebaldello, 
123        eh'  sapri  Faeiusa  quando  si  dormia  >. 
Noi  erayam  partiti  già  da  elio, 
ch'io  vidi  due  ghiacciati  in  una  buca 
126        si  che  l'un  capo  all'altro  era  cappello; 
e  come  il  pan  per  £Eune  si  manduca, 
cosi  il  Bopran  li  denti  all'altro  pose 
129       là  Ve  il  cervel  s'aggiugne  con  la  nuca. 
Non  altrimenti  Tideo  si  róse 


questo  popolo  >,  oonM  qv6|^  ohe,  a  mo  gin 
dizio,  eia  stato  <  oapo  alla  difénsione  del  po- 
polo oontxm  al  conte  Guido  Novello  e  agli  al- 
tri ^libellini».  — 122.  «aaeltoMS  Oaao  (fr. 
antico  Ovsnet,  lai  Oando)  appara  già  nella 
Ohanmn  de  Botand  oome  a  tipo  del  traditore; 
perohé  mandato  ambaaoiatore  dai  ftanohi  ai 
saiaoeni  preparò  la  strage  della  retrogoaidia 
comandata  da  Qdando  (efr.  Btf.  xzzi  16)  e 
allorquando  si  senti  suonare  il  corno  dell'eroe 
egli  distolse  V  imperatore  dal  pensiero  di  n- 
tornare  indietro  per  soccorrerlo;  di  ohe  fu  poi 
punito  dai  suoi  con  aspra  morte  :  nei  poemi 
postMioii  ta  considerato  oome  figlio  di  Doon 
de  Mayence  e  introdotto  cosi  nella  gesta  di 
Magonza  o  dei  traditori  (cfr.  L.  Qantier,  Spop, 
fnmf.,  Tol.  n,  pp.  660  esegg.,  620  e  segg.). 
-—  Tebaldelle:  Tebaldello  Zambnsi  esentino, 
per  una  beffi»  fattagli  da  alcuni  bolognesi  di 
parte  Lambertazxa  o  ghibellina,  riAigiati  in 
Faenza  dopo  la  lor  cacciata  dalla  patria  nel 
1274,  si  sdegnò  tanto  contro  di  essi  che  s'ao- 
oordò  coi  Oeremei  o  guelfi  di  Bologna  di  dar 
loro  nelle  mani  la  città:  accostatosi  però 
reeeroito  bolognese,  Tebaldello  sull'alba  del 
18  norembre  1280  introdusse  in  Faenza  i  ne- 
mici della  sua  patria,  i  quali,  dice  un  cronista 
contemporaneo,  <  tamquam  leones  avidi  et 
intenti  ad  praedam,  ipeam  dvitatem  irruen- 
tes,  quotquot  potuerunt  gladio  ocdderunt, 
alios  Yulnerantes,  alios  caroeribus  reduoen- 
tes  »,  e  spogliarono  degli  arredi  sacri  le  chieee 
e  altri  mali  infiniti  commisero,  massime  contro 
i  ftaorusciti  di  parte  ghibellina  (cfr.  0.  H.  Val- 
gimigli,  TtboMeiio  Zambnui^  Faenza,  1868): 
del  fstto  corse  lungamente  la  lama,  special- 
mente in  Bomagna,  e  ftirono  narrati  i  parti- 
colari in  un  poemetto  volgare,  anteriore  cer- 
tamente ai  tempo  che  Dante  scrìveva  (pubbl. 
neUe  Rime  dei  podi  botoffneri  del  eeo,  XUl 
Bologna,  1881  e  poi  da  F.  Pellegrini,  Bologna, 
ISfri).  —  124.  Nel  eravaai  ecc.  Qui  incomin- 
r  a  uno  del  piti  famosi  episodi  del  poema, 
qu^o  doò  del  conte  Ugolino  della  Qherax^ 
desca,  che  attendo  a  rodere  il  capo  del  suo 
avversario,  Taroivoscovo  Buggieri  degli  XTbal- 
dini  :  episodio  diviso  in  tre  parti,  rincontro 
e  la  richiesta  di  Dsnte  (w.  12Ì-189X  la  nar- 
razione del  misero  conte  i^,  xxxiu  1-75)  e 


l'invettiva  del  poeta  oontio  la  dttà  di  Fisa 
(Inf,  TTTin  79-90).  Varie  sono  le  opinioni  d»- 
gll  interpreti  droa  il  luogo  occupato  dai  dne 
dannati  neDa  ^Uaooia  di  OoGito;  la  pM  oo- 
mune  e  probsbile  è  dk'essi  sieno  confitti  en- 
trambi in  una  stessa  buca,  nell'  Antsnora,  • 
tutti  e  dna  pertrsdimento  politico(ofr.  le  noto 
all'Jn/:  zzxm  18,  14,  86).  — 126.  l^n  «apa 
ecc.  il  c^^  d'Ugofino  stava  sopre  a  quello  di 
Boggiert  —  127.  e  eome  U  pan  ecc.  con 
queUa  stessa  avidità  con  la  quale  l'affamato 
addenta  il  pane,  Ugolino  pose  i  denti  nel 
capo  di  Buggieri,  rodendolo  rabbiosamente, 
n  De  Sanctis,  NwH  eaggi  erMòi,  pp.  61  • 
segg.  analiszando  con  finissima  critica  l'epi- 
sodio dantesco,  osserva  giustamente:  <  Ugo- 
lino non  è  il  traditore,  ma  il  tradito.  Certo, 
anche  il  conte  Ugolino  è  traditore  e  perciò  ai 
trova  qui;  ma  per  una  ingegnosissima  oombi- 
narione,  come  Paolo  si  trova  legato  in  eterno 
a  Francesca,  Ugolino  si  trova  legato  in  etemo 
a  Buggiero,  che  lo  indi,  legato  non  dall'amo- 
re, ma  dall'odio.  In  Ugolino  non  paria  il  tra- 
ditore, ma  il  tradito,  V  uomo  ofléso  in  s6  e 
ne' suoi  figU.  Al  suo  delitto  ntm  fk  la  pid  lon- 
tana allusione;  non  è  questione  del  suo  de- 
litto: attaoeato  al  teschio  del  suo  nemico, 
istrumento  dell'eterna  giustizia,  egU  ò  là,  ri- 
cordo vivente  e  appassionato  del  delitto  del- 
l'aroivBSCovo  Vba^a^ero,  D  traditore  o'  è,  ma 
non  à  Ugolino;  e  quella  testa  ohe  gli  sta 
sotto  a'  denti,  che  non  dà  un  crollo,  che  non 
mette  un  grido,  dove  ogni  espressione  di  vita 
è  cancellata,  l'ideale  più  perfetto  deU'  nomo 
petrifioato.  Ugolino  è  il  tradito  che  la  divina 
giustizia  ha  attaccato  a  quel  cranio;  e  non  ò 
edo  il  carnefice,  esecutore  di  comandi,  a  cui 
la  sua  anima  rimanga  estranea;  ma  è  insieme 
l'uomo  oireeo  ohe  vi  aggiunge  di  suo  l'odio  e 
la  vendetta,  n  concetto  della  pena  ò  la  legge 
dd  taglione  o  il  contrappasso,  come  direbbe 
Dante:  Buggiero  diviene  il  fiero  poeto  di  un 
uomo  per  open  sua  morto  di  feme,  lui  e  i 
figli  ».  —  raandieas  il  vb.  mamdiueare  e^cime 
proprio  l'idea  dd  mangiare  avidamente;  ett. 
Dante,  Oanx.t  p.  144:  <  ogni  senso  O»  li 
denti  d'amor  già  mi  manduca  ».  —  128.  se- 
praa  :  quello  che  sta  di  sopra.  —  130.  Hea 
altrimenti  ecc.  Bacconta  Stazio  Theo,  vin 


INFERNO  —  CANTO  XXXU 


253 


le  tempie  a  Menalippo  per  disdegno, 
132       die  quei  £Btoeya  il  tesobio  e  l'altre  cose. 
<  0  tu  che  mostri  per  si  bestiai  segno 
odio  sopra  colai  che  tu  ti  mangi, 
185       dimmi  il  perché,  diss'io,  per  tal  convegno 
che,  se  tu  a  ragion  di  lai  ti  piangi, 
sapplendo  chi  voi  siete  e  la  sua  pecca, 
nel  mondo  suso  ancor  io  te  ne  cangi, 
139    se  quella,  con  eh'  io  parlo,  non  si  secca  ». 


no  •  togg.,  oh«  Tideo  (ofr.  Inf.  znr  68)  fé* 
Dto  a  aorte  dal  teteao  Menalippo  liosol  ad 
Bodderio  alla  tua  rdlta  e  pregò  i  compagni  a 
portar]^  il  oapo  del  no  nemioo,  •  ooii  mo- 
lent»  oooe  ei^  en  Inoomindd  a  roderlo  con 
tanto  odio  che  nm  tu.  poetibile  diatoglierlo 
daU'orxniile paltò.  —  182.  e  l'altM  OMetU 
eerwUo  •  le  parti  camoee  del  capo.  —  188. 
0  ta  eke  BMtri  eoo.  Bene  oeserva  il  De 
SancCia:  <  Ugolino  qui  non  ò  il  peccatore  e 
•  nco  è  neppure  un  eeecatore 


della  legge  divina  se  non  inoonido.  Una  sola 
coea  egli  sa,  di  aver  eotto  a'  denti  il  teschio 
del  tno  nemico  e  di  sfogare  in  quello  il  sao 
odio.  Dante  stesso  non  ò  colpito  se  non  da 
dò  ^he  in  quel  iiiitto  d  personale,  sfogo  d'odio 
d'oomo  ofléeo».  —  135.  per  tei  eonTegno: 
a  questo  patto;  negli  antichi,  in  questo  senso, 
si  ha  per  lo  pid  il  femm.  eonoegna,  —  187. 
pece»  :  cfr.  À/l  xzxiv  16.  — 139.  se  f  nella 
ecc.  se  non  sarò  impedito  dalla  morte,  la 
quale  Tenga  a  togliermi  V  uso  della  parola. 


CANTO  xxxm 

U  eonte  Ugolino  della  Qherardetea  raeeonta  la  storia  pietosa  della  sua 
morte;  poi  i  due  poeti  passando  nella  Tolomea,  il  terzo  giro  del  cerchio, 
destinato  a  coloro  che  uccisero  proditoriamente  i  commensali,  vi  trovano 
Alberigo  dei  ICanfredi  e  Branca  d' Oria  [9  aprile,  alle  ore  sei  pomeridiane, 
drea]. 

La  bocca  sollevò  dal  fiero  pasto 
quel  peccator,  forbendola  ai  capelli 
8       del  capo,  ch'egli  avea  di  retro  guasto. 
Poi  cominciò  :  «  Tu  vuoi  eh'  io  rinnovelli 
disperato  dolor  che  il  cor  mi  preme, 
6       già  pur  pensando,  pria  che  io  ne  favelli 


XXXIU  1.  La  heeea  solleTÒ  eoo.  De 
Sanetia:  e  Dante  dominato  dall'onore  del 
fatto  e  con  in  o^o  già  àbboxwta  e  fervente 
^  imagìne  di  UgoUno  non  si  arresta  alle  oer- 
reUa  ed  al  sangue,  ohe  entnmo  come  ima- 
gini  ooaftaee  nella  sua  Tisione;  egli  dice:  il 
tasdio  e  l0  altre  ocee:  e  quando  Ugolino 
soQera  la  testa  e  d  scopre  quel  teschio  da 
lui  guasto.  Dante  non  guarda  già  il  teschio, 
■a  Ugolino,  e  gittando  in  messo  \*  imagine 
feroce  del  pesto  e  ftMendogli  foxhire  la  bocca 
usando  de'  capelli  di  quel  capo  a  modo  di  to- 
TsgUudo,  sparenta  tanto  l' imaginasione , 
che  la  tiene  oolà  e  le  toglie  il  distrani  nel 
rimanente  ddlo  ^ettaeolo  >.  F.Bomani,  LkA, 
p.  16:  <  Kel  momento  ohe  quella  testa  si  sol- 


leva, noi  vediamo  disegnata  al  vivo  solo  la 
bocca,  rossa  di  sangue,  e  una  doppia  fila  di 
denti  che  hanno  assorbito  in  sé  la  forza  di 
tutto  il  corpo.  S  il  poeta  non  ci  dice  che 
quel  peccatore  sollevò  la  testa,  ma  la  ìfooca, 
S  questa  parola  ohe  d  la  prima  del  canto  ed 
ha  un  forte  accento  su  di  sé,  fk  lampeggiare 
alla  nostra  fantasia  una  vera  bocca  di  belva». 
—  4.  Tu  vuoi  eoo.  Bicorda  le  parole  di  Enea 
a Didone,  J^  n  8 :  «Infandum,  regina,  iubes 
renovare  dolorem  >  ;  ma  più  compiuta  ò  nel 
nostro  poeta  l'espressione  della  dolorosa  ri- 
membranza: in  Virgilio  l'eroe  ohe  parla  inco- 
mincia con  dignitosa  compostezsa  e  direi  quasi 
con  epica  serenità  ;  i  versi  di  Dante  invece  ci 
rivelano  subito  ai  primi  detti  un'anima  etra- 


254 


DIVIKA  COMMEDIA 


12 


Ma  se  le  mie  parole  esser  dèn  seme, 
che  frutti  infamia  al  traditor  ch'io  rodo, 
parlare  e  lagrimar  vedrai  insieme. 

Io  non  so  chi  tu  se*,  né  per  che  modo 
venuto  se'  qua  giù;  ma  fiorentino 
mi  sembri  veramente,  quand'io  t'odo. 

Tu  dèi  saper  ch'io  fili  conte  Ugolino, 


siata  dalla  disperazione  e  insodìsflitta  della 
vendetta  ohe  pur  le  d  oonoessa,  e  il  sentimento 
di  quell'anima  si  riperoaote  in  paiole  di  tragica 
efficacia.  —  7.  Ha  se  le  mie  eoo.  Dante  s'era 
offèrto  al  misero  oonte,  non  gì&  di  linfteflcare 
nel  mondo  la  sua  fiuna,  ma  di  ricompensarlo 
Cucendo  conoscere  agli  uomini  lajMOM  del  sno 
avversarlo;  e  Ugolino,  desideroso  d'accresce- 
rò infamia  all'arcivescovo  Boggieri,  s' indaco 
facilmente  a  manifestarsi  e  a  raccontare  la 
propria  storia  pietosa.  —  9.  parlare  e  lagri- 
mar eoo.  fi  lo  stesso  pensiero  espresso  da 
Francesca  {Inf,  r  126);  ma  nelle  dne  situa- 
zioni è  qualche  cosa  di  diverso,  perché,  os- 
serva il  Do  Sanctis,  <  per  Francesca  ò  un 
passato  volnttaoso  e  felice  congiunto  con  la 
miseria  presente,  e  la  sna  anima  innamorata 
ingontilisoe  il  pianto  ed  abbeUa  il  dolore  », 
invece  <  per  Ugolino  passato  e  presente  sono 
d'ano  stesso  colore,  sono  ano  strazio  solo  che 
sveglia  sentimenti  feroci  e  ravviva  la  rabbia  ; 
attraverso  le  lae  lacrime  vedi  brillare  la  capa 
fiamma  dell'  odio  ».  ~  10.  Io  aoa  io  ecc. 
Ugolino  non  cara  di  sapere  chi  sia  il  visita- 
tore dell'  infìBmo  :  ei  l' ha  riconosciuto  per 
fiorentino  al  parlare,  e  gli  basta;  perché  ima- 
gina  d'aver  dinanzi  un  guelfo,  che  volentieri 
ripeterà  nel  mondo  la  sua  narrazione  a  ìntar 
mia  dol  ghibellino  arcivescovo.  — 11.  ma  ile- 
reatino  ecc.  Come  già  Farinata  (Inf.  x  25), 
Ugolino  riconosce  Dante  come  fiorentino  dal 
modo  del  parlaro,  dalla  loqrula,  che  s' ha  a 
intendere  piti  della  pronunzia  che  della  forma 
delle  parole  :  poiché  le  voci  notate  da  alcuni 
come  fiorentine  nel  breve  discorso  del  poeta 
{Inf.  xzxm  188-189:  eonvegno,  sofpiendo,  pw- 
ea,  auao)  erano  di  tatti  i  dialetti  di  Toscana, 
tra  i  quali  ai  tempi  di  Dante  le  più  sostanziali 
dilFerenze  erano  di  pronunzia.  —  18.  eonte 
Ugeliae  :  il  conte  Ugolino  della  Oherardesca, 
di  nobilissima  fiuniglia  d'origine  longobarda 
oh'  ebbe  lunga  signoria  soyza  molti  castelli 
dellA  }K»Ttkmmm.  e  doUa  pianura  pisana,  nacque 
nella  prima  metà  del  secolo  xm,  figliuolo  al 
conte  Guelfo  I  morto  intorno  al  1274:  ebbe 
da  Margherita  dei  Pannoochiesohi  molti  fi- 
gUuoU,  auelfo  n,  Lotto,  Matteo,  Oaddo,  Uguo- 
cione,  Emilia,  Gherardeeoa  eoe.  ;  il  primo  dei 
quali,  Guelfo  n,  sposò  Elena  figlia  naturale 
del  re  Enzo  e  n'ebbe  Li^,  Enrico,  Nino  e 
Anselmuodo  ohe  ereditarono  i  diritti  materni 
flulla  Sardegna  e  su  altri  paesi.  D  oonte  Ugo- 


lino, che  era  curatore  dei  nipoti  e  in  Sardegna 
aveva  domini  fbudaU  e  governo  di  giudicati 
ottenuti  dalla  repubblica  pisana  insieme  con 
le  famiglie  dei  Visconti  e  dei  conti  di  Oa- 
praia  (olir,  la  nota  all'  lH/1  zzn  82),  s*aooordé 
col  genero  Giovanni  Ylsoonti  per  tramutare 
a  guelfo  il  reggimento  ghibellino  di  Pisa  : 
scoperto  il  trattato  Ugolino  e  gli  altri  parte- 
cipi fiutino  banditi,  ma  essi  presero  le  armi  e 
con  l'aiuto  di  Firenze  e  degli  altri  comuni 
guelfi  di  Toscana  ottennero  nel  1276  di  rien- 
trare in  patria  e  riebbero  le  loro  signorie 
sarde.  Allora  Ugolino  incominoid  a  primeg- 
giare nella  repubblica,  tanto  che  a  lui  fb  af- 
fidato il  supremo  comando  della  fiotta  armata 
a  difesa  contro  Genova:  rotti  i  pisani  alla 
battaglia  della  Meloria  (6  agosto  1284),  ohe  ta 
un  grande  disastro  militare  ma  non  frutto  di 
sognati  tradimenti,  Ugolino  ritomd  in  Pisa, 
e  mentre  i  comuni  di  Genova,  di  Firenze  e 
di  Lucca  stringevano  una  lega  ai  danni  della 
città  ghibellina  (18  ottobre  1284),  assunse  nel 
pericolo  della  patria  U  governo  dello  Stato 
con  titolo  di  podestà  (18  ottobre  1284).  Fu 
allora  ohe  Ugolino,  per  dividere  i  nemici  e 
salvar  Pisa  da  certa  rovina,  cedette  le  ca- 
stella di  Bientina,  lUpaftatta  e  Viareggio  ai 
lucchesi  e  quelle  di  S.  Maria  in  Monte,  Fu- 
oecchio,  Owtelfranoo,  8.  (2roce  e  Montecal- 
voli  ai  fiorentini  e  feoe  loro  intendere  d'es- 
sere disposto  a  tramutare  a  parte  guelfia  il 
reggimonto  di  Pisa:  cosi  mentre  rlasdva  ad 
allontanare  i  pericoli  dalla  patria,  si  valeva 
di  cotesti  destroggiamenti  per  assicurarsene  il 
dominio,  che  egli  prese  nel  1286  insieme  col 
nipote  Ugolino  Visconti  (cfr.  Inf,  xxii  81, 
Purg,  viu  47),  raccogliendo  in  sé  sotto  diversi 
titoli  la  somma  autorità  e  ordinando  poi  con 
gli  statuti  del  1286  la  nuova  tirannide  in 
modo  da  conservare  una  parvenza  di  libero 
reggimento.  Ma  al  Gherardesca  non  piaceva 
la  compagnia  dol  Visconti:  però  incominciò 
a  osteggiarlo  in  più  modi,  e  in  mezzo  a  queste 
loro  gelosie,  fatta  la  pace  con  (Hnova  e  ri- 
tornati in  patria  i  prigionieri  della  Meloria 
(aprile  e  maggio  1288),  la  parte  ghibellina 
incominciò  a  rialzare  il  capo  guidata  da  Rug- 
gieri degli  Ubaldini  arcivescovo  della  città  e 
dalle  fsmiglie  dei  Gualandi,  dei  Sismondi  o 
dei  Lanfranchi  (cfr.  v.  82)  ;  e  in  breve  i  ghi- 
bellini riuscirono  a  togliere  Ù  governo  al  OMite 
(giugno  1288),  chiusero  lui  con  due  figliuoli 


INFERNO  —  CANTO  XXXTH 


255 


15 


18 


21 


e  questi  è  l'arcivescovo  Ruggieri; 

or  ti  dirò  perché  i  son  tal  vicino. 
Che  per  l'effetto  de'  suoi  ma'  pensieri, 

fidandomi  di  lui,  io  fossi  preso 

e  poscia  morto,  dir  non  è  mestieri; 
però  quel  che  non  puoi  avere  inteso, 

ciò  è  come  la  morte  mia  fu  cruda, 

udirai,  e  saprai  se  m' ha  offeso. 
Breve  pertugio  dentro  dalla  muda, 

la  qual  per  me  ha  il  titol  della  fìtme 


e  dae  nipoti  in  una  torre  oro  poi  ftirono  ]*- 
•ciati  morire  di  fune,  •  l'anno  segnante  òhia- 
aarono  a  reggere  la  dttà  tornata  a  parte 
^libellìna  H  conte  Guido  di  Montsfoltro  (ofr. 
Inf.  xxm  29):  ai  rodano  B.  Bonoioni,  JmUxtì» 
pùam»,  lib.  z-xi;  F.  Dal  Borgo,  Diuertaxioni 
aopn  ri9loriapi$am,  Pisa,  1761-68;  Q.  Sfor- 
xa,  DmU»  •  %  Piami,  pp.  90-118.  —  U.  f  ve- 
sti è  l'arelTOseoTO  eco.  Boggierl  degli  Ul»al- 
dini  di  Mogello,  nipote  del  cardinale  Ottaviano 
litf,  X  120),  tìsm  nella  soa  gioventù  in  Bo- 
logna ooll'offido  di  anddiaoQno  della  curia 
vescovile  e  nel  1270  ebbe  nn  contrasto  coi 
■aestii  e  scolari  déUo  Stadio,  per  qnistioni 
di  gxnriadizione  ;  nel  1271  ta,  chiamato  arci- 
vescovo  di  Bavenna  dai  gbibollini  di  quella 
dttà,  mentre  i  goelfl  nominavano  nn  altro, 
ma,  dopo  a^re  contese,  il  papa  esdose  am- 
bedae  gli  eletti  dall'oiBdo.  Nel  1278fofitto 
aidvesoovo  di  Fisa,  ove,  allorquando  inoo- 
Bindarono  le  gdode  tra  Ugolino  della  Ohe- 
lardeeca  e  Ugolino  Visconti,  egU  s' intromise 
■die  eoee  pobUiche  oarcando  di  rialzare  la 
depressa  parte  ghiboUiìia:  flngendod  amico 
dell'ano  contro  l'altro,  rinsd  a  disfàrd  d'en- 
tEsmU,  e  in  salla  catastrofe  del  conte  da  lai 
procorata  assunse  con  titolo  di  podestà  il  go- 
verno ddla  dttà  (ìxigMo  1288)  e  lo  tonno  pa- 
ncdd  med  mostrandod  impotente  a  sostenere 
la  gttsrra  contro  gli  esali  capitanati  da  Ugo- 
lino Visconti,  si  che  dovette  lasdare  l'affido, 
d  qoale  fa  chiamato  Goaltieri  di  Branforte 
(dicembre  1288)  e  poi  Gaido  di  Hontefeltro 
(maggio  1289).  B  malvagio  procedere  dell'ar- 
dveseovx)  Rogf^eri  contro  i  gaolfi  sasdtò  lo 
sdegno  del  ponte&ce  Niccolò  IV,  che  lo  am- 
moni severamente  con  ana  bolla  lanciatagli 
contro  il  giovedì  santo  dd  1289  e  poi  fece 
ironanadare  contro  di  lai  ona  condanna  di 
carcere  perpetao  :  ma  la  morte  dd  papa  sot- 
trasBO  aJla  tempesta  il  tristo  arcivescovo, 
il  qoale  rimase  tranquillo  nella  sua  diooed 
tao  d  1296,  in  coi  mori  a  Viterbo  dove  erasi 
recato  da  poco  tempo:  d  vedano  Q.  B.  Ubd- 
dd,  Istoria  dàUa  eaaa  degli  Ubaldinit  dt  ; 
6.  Qozzadini,  Delle  torri  gerUilixió^  pp.  606  e 
ssgg.;  O.  Sforza,  Dante  $  i  jnaam^  pp.  106- 
122;  ▲.  F.  Kattei,  Eoeleeiae  pisanae  hietoriat 


Lacca,  1768-1772,  voi.  II.  —  15.  or  ti  dirò 
ecc.  ora  che  ti  ho  detto  chi  siamo,  ti  dirò 
perché  io  gli  da  cod  infesto  vicino,  porche 
io  gli  roda  il  cranio.  De  Sanctis:  <  Vioino 
risveglia  idea  benigna  d'amidzia  e  dimesti- 
chezza di  nomini  che  vivono  ed  osano  indeme; 
ma  in  bocca  ad  Ugolino  è  ana  ironia  amara  ». 
—  Is  cfr.  3t/:  n  17.  — 16. Cke  per  l'effèlto 
ecc.  Non  è  necessario  che  io  dica  come  per 
tristìsdma  opera  ddl'ardvesoovo,  del  qado 
io  mi  fidava,  fosd  preso  dd  ghibellini  e  latto 
morire;  perché  la  liuna  dell'avvenimento 
sparsad  per  tutta  Toscana  deve  essere  per- 
venuta a  te  ohe  sd  fiorentino.  -  19.  però 
qeel  eoe  Sulla  narradone  che  Ugolino  inco- 
mincia a  fare  ddla  sua  misera  fine  osserva  il 
De  Sanctis:  «Gli  antecedenti  del  racconto 
sono  condensati  in  rapidissimi  tratti,  che  ti 
risvegliano  tutta  la  vita  dd  prigioniero,  d 
quale  i  med  e  gli  anni  che  per  gli  uomini 
distratti  nelle  faccende  volano  come  ore,  sono 
secoli  contati  minuto  per  minuto.  Ugolino  è 
chiuso  in  un  carcere,  a  cui  vieno  scarsa  luce 
da  un  breve  f6ro,  d  qnde  sta  affisso;  ed  il 
suo  ordogio  è  la  luna  dalla  qude  egli  conta 
i  med  della  prigionia,  (^dl'angustia  di  car- 
cere paragonato  ad  una  muda,  qud  piccolo 
pertugio,  e  le  ore  contate  sono  tutto  il  romanzo 
dd  prigioniero  nelle  sue  forme  vidbili.  Né 
con  meno  sicuri  técchi  è  rappresentato  l'ani- 
mo. Due  sono  1  sentimenti  ohe  nutrono  l'a- 
nima solitaria  di  Ugolino,  l' incertezza  dd  suo 
destino  e  l'accanimento  de'  sud  nemicL  Ciò 
che  pi6  strazia  il  prigioniero,  è  il  dubbio,  è 
il  che  torà  di  me?  la  fantasia  esagitata  dd 
patimenti  e  dalla  solitudine  d  abbandona  die 
speranze  e  a'  timori.  Ugolino  ignora  la  sua 
sorte,  e  teme  e  spera:  l' idea  della  morte  non 
può  cacciarla  da  sé.  E  rimane  in  qudl'an- 
detà,  quando  viene  il  mal  sonno  che  gli  squarcia 
il  velams  del  futuro,  B  poeta  di  tatta  questa 
storia  intima  non  esprime  che  l'ultima  frase, 
la  qude  ad  un  lettore  anche  di  mediocre  ima- 
ginadone  fa  indovinare  il  resto,  ma  in  qaol 
modo  vago  e  madcde  che  è  il  maggior  in- 
canto della  poesia  ».  —  21.  se  ai*ha  oreso: 
cfìr.  Ihf,  xxxn  186.  —  22.  Brere  pertaglo 
ecc.  Nel  giogno  1288  il  conte  Ugolino  fa  proi>o 


266 


DIVIKA  COMMEDIA 


24        e  in  che  convìen  ancor  ch'altri  si  chiuda, 
m'ayea  mostrato  per  lo  suo  forame 
più  lune  gi2s  qnand'io  feci  il  mal  sonno, 
27       che  del  futuro  mi  squarciò  il  velame. 
Questi  pareva  a  me  maestro  e  donno, 
cacciando  il  lupo  e  i  lupicini  al  monte, 
80       per  ohe  i  pisan  veder  Lucca  non  ponno, 
con  cagne  magre,  studiose  e  conte: 
Gualandi  con  Sismondi  e  con  Lanfranchi 
83       s'avea  messi  dinanzi  dalla  fronte. 
In  picciol  corso  mi  pareano  stanchi 


insieme  coi  figUaoli  Qaddo  (r.  68)  e  Ugrno- 
done  (V.  89)  e  coi  nipoti  IHno  detto  il  Bri- 
gata (y.  89)  e  Anselmacoio  (r.  60);  gnardati 
per  oltre  venti  giorni  nel  palazxo  del  Popolo, 
ftuono  poi  trasferiti  nel  luglio  nella  torre  dei 
Gualandi,  ove  morirono  nel  maggio  del  1289: 
oosf  racconta  un  cronista  pisano  {F)ragm,  hùL 
pi»,  in  Mar.  Bar.  «.  XXIV  662-666),  il  quale 
attesta  ohe  giungendo  in  Pisa  il  oonte  Ghiido 
di  Hontefeltro  (18  maggio  1289)  e  già  erano 
morti  lo  oonte  Oaddo  e  Ugoooione  di  fome, 
e  gli  antri  tre  morinno  quella  medeaima  septi- 
mana,  anco  per  distretta  di  fiame,  perché  non 
pagonno  >  ;  doò  perchó  era  loro  mancato  il 
denaro  a  pagare  lo  impoeirioni  graviadme, 
con  le  qnali  sino  allora  avevano  ottennio  via 
via  il  vivere.  —  dalla  mnda  eoo.  :  la  torre 
già  dei  (Halandi  e  allora  del  Comune,  che 
sorgeva  sull'odierna  piazza  dei  Cavalieri,  fa. 
poi  chiamata  la  tont  della  fams  dopo  la  morte 
d' Ugolino  e  dei  suoi  (cfr.  J^Vio^m.  hisL  pìs. 
in  Mot.,  Ber.  U.  XXIV  666;  B.  Grand,  De 
proeUie  Tueoiae  in  Hnr.,  Ber.  «.  XI 299;  G. 
Villani,  Or.  vn  128),  e  oontinnò  a  serTlre  di 
carcere  sino  al  1818  (cfr.  G.  Sforza,  Dante  e 
%  pisanif  p.  112).  Quanto  al  nome  di  muda 
datole  da  Dante  osserva  il  Buti:  •muda  é 
laogo  chiuso  ove  si  tengono  li  uccelli  a  mu- 
dare: muda  chiama  Tautore  quella  torre,  o 
forse  perché  cosi  era  chiamata  perché  vi  si 
tenessono  Taquile  del  Comune  a  mudare,  o 
per  transunzione  [intendi,  per  traslato]  che 
vi  ta  rinchiuso  il  conte  e  li  figliuoli,  come  li 
uccelli  nella  muda  >.  —  24.  e  in  che  eomvien 
ecc.  Ugolino,  quasi  a  proprio  conforto,  ima- 
gina  che  nell'avvenire  altri  dttadini  di  Pisa, 
e  forse  in  cuor  suo  pensava  alle  casate  che 
pi6  fieramente  avevano  avversato  la  sua  si- 
gnoria, dehbano  esser  chiusi  nella  torre  della 
fame,  per  effetto  di  vicende  politiche  non  dis- 
simili dalle  sue.  —  26.  m'avea  Mostrato  ecc. 
m'avea  lasciato  vedere  più  volte  il  ritomo 
della  nuova  luna;  doè  era  già  prigione  da 
più  med,  quando  vidi  in  sogno  quale  doveva 
essere  la  mia  pietosa  morte.  —  28.  i^fstl 
parerà  ecc.  D  sogno  d' Ugolino  rappresenta 
alla  fantasia  dd  misero  padre  in  una  visione 


oontassuta  dei  ricordi  di  un  recente  passato 
l'odio  de'  sud  avversari  di  parte  guidati  dal- 
rardvetoovo,  odio  dio  gli  Ca  avere  un'  idea 
indetorminata  della  morte  vicina:  insomma 
la  rimembranza  della  feroce  perseoudone  dol 
^bellini  &  pensare  al  guelfo  oonte  che  i 
suoi  nemid  non  s'arresteranno  ndla  vendetta 
con  la  semplioe  prigionia,  ma  làxanno  morir 
lui  e  i  figlioli  di  mala  morte,  vietando  loro  il 
dbo.  È  una  rapprosen tallone  vivissima  doIUt 
crudele  realtà  trasftamata  nd  sogno,  di  qn^la 
realtà  che  l'antico  cronista  pisano  espreeee 
non  meno  efBoacemente  con  rozza  parola 
(JPh^m.  Md.  pis.  in  Mur.,  Ber.  itoL  XXIV 
666):  «  e  fu  diete  al  oonte  Ugolino  oho  se  non 
pagasse  u  pagasse,  era  diete  che  doveaeeno 
morire  >.  —  pareva  a  me  eoe.  appariva  a  mo 
nd  sogno  come  guida  e  signore  di  molta 
gente,  in  atto  di  cacciare  con  mdte  cagne  (i 
ghibellini  pisani)  il  lupo  e  i  lupidni  (me  •  i 
figliuoli)  verso  il  Monte  di  S.  Giuliano.  — 
maestre  e  douies  maestro  della  caoda,  guida 
e  capo  dd  oaodatorl,  e  dofMo,  signore  (cfr. 
Inf.  zzn  88)  di  tutta  la  brigata.  —  29.  al 
monte  eco.  :  il  Monte  di  8.  Giuliano  apparte- 
nente alla  giogaia  dei  monti  pisani,  tnt  la 
valle  dd  Serchio  e  quella  dell'Ano,  segnò 
l'antico  confine  tn  ì  territori  di  Lucca  •  di 
Pisa;  le  quali  sono  cosi  poste  ohe  se  non 
fosse  quel  monto  dall'una  dttà  d  vedrebbe 
l'altra.  Bassermann,  p.  129:  «  La  determina- 
zione del  luogo  mostra  nuovamente  quella 
semplice  e  inddva  diiarezza  alla  qude  Dante 
d  ha  avvezzati,  e  che  nondimeno  d  reca  ogni 
volta  nuova  meraviglia  >.  ~  81.  magre,  ata- 
diose  e  eeate  :  famdidie,  soUedte  e  ammae- 
strate  a  simile  caccia;  ood  spiegano  i  più  dd 
commentatori,  ma  é  da  rìcordaro  col  Buti  cho 
le  cagne  simboleggiano  la  plebe  pisana,  e  il 
popolo  minuto  »,  che  segue  le  novità  per  desi- 
derio di  arricchire,  è  curioso  e  vago  dd  muta- 
menti e  presta  d  novatori  il  suo  duto.  —  82. 
Oualandl  eoe  sono  queste  le  tre  grandi  case 
di  Pisa  di  parte  ghibellina,  le  quali  l'ardveaoo- 
vo  Ruggieri  animò  contro  Ugolino  facendose- 
ne strumento  da  abbattore  la  potenza  dd  suo 
nemico.  —  81.  In  p ledei  eorit  eoo.  Dopo 


INFERNO  -  CANTO  XXXHI 


257 


lo  padre  e  i  figli,  e  con  Pacate  scane 
86        mi  parea  lor  veder  fender  li  fianchi. 
Quando  fui  desto  innanzi  la  dimane, 
pianger  senti'  fra  il  sonno  i  miei  figliuoli, 
89       ch'eran  con  meco,  e  domandar  del  pane. 
Ben  se'crudel,  se  tu  già  non  ti  duoli, 
pensando  ciò  ch'ai  mio  cor  s'annunziava; 
42        e  se  non  piangi,  di  che  pianger  suoli? 
Già  eran  desti,  e  l'ora  s'appressava 
che  il  cibo  ne  soleva  essere  addotto, 
éb       e  per  suo  sogno  ciascun  dubitava; 
ed  io  sentii  chiavar  l'uscio  di  sotto 
all'orribile  torre:  ond'io  guardai 
48       nel  viso  a' miei  figliuoi  senza  far  motto. 
Io  non  piangeva,  si  dentro  impietrai; 
piangevan  elli,  ed  Anselmuocio  mio 
51        disse:  '  Tu  guardi  si,  padre,  che  hai?  ' 


brere  insegoimento  0  lupo  •  i  Inpidni  cadeva- 
Do  lotto  i  denti  delle  cagne  :  ecco  il  preeenti- 
manto  della  morta  vicina.  ^36.  aeate  Marne  : 
Bnti:  «  team  aono  li  denti  pungenti  del  cane 
eh'eUi  à  da  ogni  lato,  coi  qnali  elli  aiferra»: 
cfr.  Jrt/*.  zQi  56.-87.  i^ando  fai  ecc.  Al  pre- 
sentimento sognato  snooede  la  realtà  terribile 
espressa  oon  arte  meravigliosa:  «  È  (ooal  il 
De  Sanctis)  un  capolavoro  della  maniera  dttn- 
tesca,  che  d  la  grande  poesia,  quel  dipingere 
a  lai;^  e  rapidi  tóocM,  lasciando  grandi  om- 
l»re  illaminate  da  qualche  vivo  frazzo  di  Inoe. 
Tatto  d  al  di  fuori,  tatto  è  narrato,  anziché 
descritto  o  n^resentato,  ma  narrato  in  modo 
che  l'imaginazione,  fatta  attiva  e  veloce, 
riempie  le  lacune  e  indovina  il  di  dentro.  Non 
è  on  quadro,  ma  uno  schizzo,  tale  però  ohe 
il  lettore  ti  fa  immediatamente  11  quadro. . . 
La  grandezza  dell'  ingegno  non  ò  in  quello 
che  sa  dire,  ma  in  quello  che  &  indovinare  >. 
—  ÌM  diaiaae  :  la  mattina;  ett,  Parodi,  BulL 
m  151.  —  88.  alai  flgUatll:  gran  discutere 
fumo  gì'  interpreti  se  Dante  abbia  o  no  tal- 
stta  la  storia  chiamando  figliuoli  i  compagni 
d*  Ugolino,  mentre  due  soli  erano  tali  e  gli 
altri  erano  nipoti;  ma  flffHuoH  nel  parlare 
donreetico  e  aifettooso  si  possono  ben  ohia- 
Btaie  anche  i  figli  dei  figli,  come  erano  per  il 
conte  Nino  e  Anaelmucoio,  e  in  questo  senso 
eertsmente  un  antioo  cronista  pisano  scrisse 
(Or.  pU,  in  Mur.,  B«r,  U.  XV  979)  che  Ugo- 
Uno  <  mori  oon  quattro  figliuoli  di  fame  >.  — 
40.  Ben  sé'  crndel  ecc.  Osserva  il  De  Sanctis 
che  <  Ugolino  nel  sogno  suo  e  dei  figli  vede 
già  tutta  la  sua  storia,  e  quando  alzando  gli 
ocdd  a  Dante,  non  vede  in  quel  volto  più 
eoiiaso  che  commosso  le  stesse  sue  impres- 
sUrni,  gli  par  quasi  che  colui  non  abbia  anima 

Djlutb 


d'uomo,  e  se  ne  sdegna,  e  gliene  fa  improv- 
viso e  brusco  rimprovero.  Fieri  accenti,  che 
usciti  dalla  sincerità  di  un  dolore  impaziente 
e  sdegnoso  non  movono  collera  in  Dante, 
anzi  accrescono  la  sua  commiserazione  e  gli 
tirano  per  forza  lacrime  non  ancora  mature  ». 
Al  Bomani,  p.  80,  piace  invece  <  d' imagi- 
nare  il  poeta,  se  non  con  la  faccia  lacrimosa, 
certo  commosso  e  meditabondo  >  e  che  <  la 
fiera  anima  del  conte  pronunzi  quelle  parole 
solo  per  scusare  il  suo  proprio  pianto,  die  gli 
sgorga  largamente  al  rlnnovéUarsi  del  dispe- 
rato dolore  ».  —  48.  Già  erma  desti  eoo.  An- 
che i  quattro  giovini  avendo  nella  notte  so- 
gnato la  prossima  fine  si  svegliano  col  presen- 
timento della  morte,  e  temono  che  da  quel  mo- 
mento abbia  ad  incominciare  il  terrìbile  digiu- 
no. ^  46.  «4  lo  sentf!  ecc.  Questo  è  il  punto 
in  cui  i  rinchiusi  ricevono  la  conferma  dei  loro 
presentimenti  ;  quando  sentono  inchiodare  la 
porta  della  torre  si  dilegua  ogni  speranza  e  il 
dubbio  si  cambia  in  dolorosa  certezza.  — 
chiavar:  inchiodare,  assicurare  coi  ehiauMlU 
0  chiodi  (cfr.  ISirg,  vin  188),  <  ut  ampline 
non  aperiretur»,  come  dice  Benv.:  Q.  Vil- 
lani, Or,  vn  128  dice  che  i  pisani  «  fedone 
chiavare  la  porta  della  detta  torre  e  le  chiavi 
gettare  in  Amo  »,  ma  dev'essere  una  leggen- 
da nata  da  falsa  interpretazione  della  parola 
dantesca.  —  60.  ABselmaeelO!  il  primo  doi 
compagni  d' Ugolinoj  che  il  poeta  mette  sulla 
scena,  era  anche  U  piti  giovinetto,  essendo  il 
minor  figliuolo  di  Guelfo  n  della  Gherardo- 
sca  e  di  Elena  figlia  di  Enzo:  inietti  egli  non 
ò  nominato  coi  tnioVii  in  un  atto  del  1272 
relativo  all'eredità  dei  diritti  materni  sulla 
Sardegna  (cfir.  F.  Dal  Borgo,  RaoeoUa  di  aoeUi 
diplomi  piaanij  Pisa,  1765,  p.  15).  —  51.  Tu 

17 


258  DIVINA  COMMEDIA 


Però  non  lagrimai,  né  rispos'io 
tutto  quel  giorno  né  la  notte  appresso, 
54       1  Tifili  che  Paltro  sol  nel  mondo  uscio. 
Come  un  poco  dì  raggio  si  fu  messo 
nel  doloroso  carcere,  ed  io  scòrsi 
57       per  quattro  visi  il  mio  aspetto  stesso, 
ambo  le  mani  per  dolor  mi  morsi; 
ed  ei,  pensando  ch'io  il  fessi  per  voglia 
60        di  manicar,  di  subito  levdrsi, 

e  disser:  *  Padre,  assai  ci  fìa  men  doglist, 
se  tu  mangi  di  noi:  tu  ne  vestisti 
63        queste  misere  carni,  e  tu  le  spoglia  '• 
Queta'mi  allor  per  non  farli  più  tristi; 
quel  di  e  l'altro  stemmo  tutti  muti: 
66        ahi,  dura  terra,  perché  non  t'apristi? 
Poscia  che  fummo  al  quarto  di  venuti, 
Gkkddo  mi  si  gittò  disteso  a'  piedi, 
69        dicendo  :  *  Padre  mio,  che  non  m'aiuti?  ' 
Quivi  mori;  e  come  tu  mi  vedi, 
vid'io  cascar  li  tre  ad  uno  ad  uno 
72        tra  il  quinto  di  e  il  sesto:  ond'io  mi  diedi 
già  cieco  a  brancolar  sopra  ciascuno, 
e  due  di  li  chiamai  poi  che  fftr  morti; 
75       poscia,  più  che  il  dolor,  potè  il  digiuno  ». 

gaardl  if  :  ta  ^aardi  con  tanto  terrore  e  di-  sentito  inchiodare  la  porta  della  torre  sino 
gperazione  ne^  occhi  I  —  64.  Inflm  eoo.  fino  alla  morte  di  Gaddo  erano  passati  tre  interi 
all'alba  del  giorno  seguente.  —  66.  G^me  vm  giorni,  quello  della  domanda  d'Anselmnocio 
foeo  eoo.  De  Sanotis  :  <  In  quella  notte  di  (tv.  46-54),  qnello  dell'offerta  dei  figli  (yy, 
silenzio  la  fame  avea  lavorato  e  trasformato  66-66),  e  qudlo  in  cui  tutti  stettero  muti 
il  tìso  del  padre  e  de'  figli,  e  quando.  Catta  (r.  65);  nel  quarto  moif  Qaddo  (tv.  67-70), 
un  po'  di  luce,  quella  vista  lo  coglie  impre-  nel  quinto  e  nel  sesto  gli  altri  tre  (tv.  70-72) 
parato,  in  un  momento  naturale  d'oblio  l'uomo  e  nell'ottavo  U  conte  (w.  78-74).  Romani, 
si  manifesta  e  prorompe  in  un  atto  di  rabbia  p.  81  :  e  È  maraviglioso  come  Dante  con  mozzi 
tanto  più  feroce  e  bestiale,  quanto  ia  com-  cosi  semplici  sia  riuscito  ad  ottenere  un  effetto 
pressione  fu  più  violenta,  e  più  inaspettata  e  cosi  potente.  La  catastrofe  si  compie  in  otto 
più  viva  è  r  impressione  di  quella  vista  ».  —  giorni.  Oli  avvenimenti  esteriori  sono  brevi 
60.  maaleare:  11  vb.  numioare  e  numuoore  e  pochi:  in  tutto  il  resto  del  tempo  regna  il 
usarono  volentieri  i  fiorentini  antichi  invece  silenzio  e  l' immobilità  >.  —  68.  Oaddo:  uno 
della  forma  comune,  come  d  attesta  Dante  dei  figliuoli  di  Ugolino,  uomo  maturo  che 
stesso  che  riprova  quest'uso  {De  ffuig.  doq,  i  avea  già  assunto  il  titolo  di  conte,  Ai  il 
18).  —  61.  e  difser  eoo.  Belle  osservazioni  primo  a  morire,  anche  a  testimonianza  del- 
Ca  su  questi  versi  il  De  Sanctis,  notando  la  l'antico  cronista  dt.  nella  nota  al  v.  22.  È 
naturalezza  dell'offèrta  fatta  dai  figli  al  ve-  probabile  che  nel  rappresentare  la  morte  di 
dorè  l'atto  disperato  del  padre  e  come  le  loro  Gaddo  Dante  avesse  la  mente  a  quella  di  Po- 
parole  abbiano  virtù  di  arrestare  il  misero  lite  che  cade  trafitto  innanzi  a  Priamo,  in 
Ugolino  e  di  rendergli  il  dominio  su  sé  stesso,  Virgilio,  Eiu  n  612  e  segg.  —  71.  11  tre  i 
tanto  che  egli  si  quieta  per  non  aocresoere  i  tre  rimanenti,  Ugucdone,  Brigata  e  Ansel- 
il  loro  dolore.  —  66.  ahi,  d«ra  ecc.  :  ofr.  muodo.  —  78.  già  eleeo  eco.  :  cfir.  Ovidio, 
YixgUio,  .ffpk  z  678 :  «Et nunc palantes,  vi-  di  Niobe  {MtL  vi  274):  < Gorporibus  gelidis 
dee,  gemitnmquecadentnmAodplo.  Quid  ago?  inoumbit,  et  ordine  nullo  Oscula  dispensai 
aot  quae  iam  satis  ima  dehiscat  Terra  mihi?  ».  natos  suprema  per  omnes  ».  —  75.  posela  ecc. 
—  67.  al  quarto  di:  dal  momento  che  s'era  poi  U  digiuno  mi  ucdse,  facendo  quello  che 


INFERNO  -  CANTO  XXXHI 


259 


Quand'ebbe  detto  ciò,  con  gli  occhi  torti 
riprese  il  teschio  misero  coi  denti, 
78       che  furo  all'osso,  come  d'un  can,  forti. 
Ahi  Pisa,  vituperio  delle  genti 
del  bel  paese  là  dove  il  '  si  '  suona, 
81        poi  che  i  vicini  a  te  punir  son  lenti, 
muovansi  la  Caprara  e  la  Gk>rgona, 
e  fjEu^cian  siepe  ad  Amo  in  su  la  foce, 
84        si  ch'egli  anneghi  in  te  ogni  persona; 
che,  se  il  conte  Ugolino  avea  voce 
d'aver  tradita  te  delle  castella, 
87        non  dovei  tu  i  figliuoi  porre  a  tal  croce: 
innocenti  £EUìea  l'età  novella, 
novella  Tebe,  Uguccione  e  il  Brigata, 


non  BTOT»  potato  taxe  il  dolore.  Goti  inten- 
dono quasi  tatti  gli  antichi  commentatoli,  Q 
pensiero  dei  qaali  ò  cosi  riaseonto  da  Benr.: 
<  qoaai  dicat  qaod  famee  prostravit  eom, 
qnem  tanto*  dolor  non  potaerat  yinoere  et 
istnfioere  >  :  ma  moderni  interpreti  hanno  in- 
▼eeo  liantasticato  ohe  Ugolino  finisae  oiban- 
4osi  della  carne  dei  flgliaoli,  ohe  è  contro  la 
ngione  deUa  natura  e  della  storia  (cfr.,  per 
r  inutile  oontroTersia,  0.  Sfona,  Danto  »  i 
pÌMMi,  pp.  75-82)  ;  poiché  le  parole  dell'an- 
tica cronaca  fiorentina  pubblicata  dal  Villari, 
I  primi  due  teooUdeUattoHa  di  Fir,,  0  261: 
«  e  qoi  si  trord  che  Tono  mangiò  de  lo  carni 
dell'altro  >  sembrano  piuttosto  l' eco  di  una 
leggenda,  tanto  più  che  seguono  a  queste  al- 
tre: «  E  cosi  morirono  d' inopia  fame  tutU  0 
cmqué  »:  cfir.  ly  Gridio,  pp.  671-673.  —  76. 
eoa  gli  oeehl  tord:  con  gli  occhi  biechi,  con 
quello  sgoaido  che  esprime  il  rancore  (cfr. 
hf,  VI  91).  Nota  U  Moore  I  260  U  riscontro 
con  r  espressione  di  Stazio,  Theb.  vm  Ihl  : 
r  hunina  toxra  >.  —  77.  riprese  :  cfr.  tt.  1-8. 
—  78.  che  fire  eoe  che  furono  nel  rosio- 
clììare  quel  cranio  forti  come  i  denti  d' on 
cane.  —  79.  Àkl  Pisa  eoo.  Questa  impreoa- 
ziono,  che  apre  la  serie  delle  invettive  fio- 
rentine contro  la  città  che  ta  in  Toscana  il 
centro  del  ghibellinismo,  invettive  durate 
hmgamente  nella  letteratura  popolare  anche 
dopo  la  caduta  della  repubblica  di  Pisa,  muove 
in  Dante  da  un  sentimento  di  giustizia  che  Io 
fpingeva  a  protestare  contro  gli  abusi  che  le 
làzioni  facevano  della  legge  a  sodisfadmento 
degli  odìi  privati,  condannando  sotto  colore 
di  delitto  politico  gli  avversari  caduti  :  Dante 
non  è  qui  un  uomo  di  parte,  ma  il  poeta  della 
na  gente  che  esercita  un  alto  officio  di  mo- 
ralità civile,  riprovando  gli  eccessi  a  cui  le 
puiioni  politiche  traevano  gU  animi  dei  suoi 
contemporanei.  —  80.  del  bel  paese  eoe.  del 
bel  paeie  italico,  ove  suona  la  dolce  lingua 


che  aiferma  col  H  (cfr.  De  vu!g,  eìoq.  1  8).  — 
82.  la  €aprara  e  la  eorgoaa:  le  isole  di 
Capraia  e  di  Gorgona  nel  mare  Tirreno,  l'una 
a  nord-ovest  dell'Elba  e  l'altra  a  sud-ovest 
di  Livorno,  erano  al  tempo  di  Dante  sotto 
il  dominio  del  comune  di  Pisa  (  Bepetti  II 
681,  601):  dai  monti  sovrastanti  a  Pisa  si 
vedono  nella  direzione  della  foce  dell'Amo 
(cfr.  Bassermann,  p.  120).  —  88.  ad  Amo: 
il  fiume  Arno  traversa  la  città  di  Fisa  poco 
prima  di  versarsi  nel  mare  (cfir.  Purg.  xiv  63). 
—  86.  se  il  conte  ecc.  Queste  parole  mo- 
strano che  Dante  collocò  Ugolino  neU'An- 
tonora,  non  già  per  la  cessione  dei  castelli 
ai  lucchesi  e  ai  fiorentini  con  la  quale,  anzi 
che  tradire,  salvò  la  patria  da  certa  ruina; 
ma  per  altra  cagione,  che  è  da  cercare  forse 
nella  condotta  del  conte  rispetto  al  nipote 
Ugolino  Visconti  nel  tempo  della  comune  si- 
gnoria (cfir.  ia  nota  al  v.  18):  a  Dante,  che 
per  il  Visconti  nutriva  un  vero  culto  (cfr. 
Purg,  vm  47),  dovette  parere  assai  grave  )% 
colpa  del  Gherardesca,  che  aveva  cercato  di 
sbarazzarsi  del  nipote,  toltigli  alcuni  castelli 
di  Sardegna,  soccorsi  i  suoi  avversari  nel  ca- 
stello di  Buti;  e  perciò  lo  pose  nell'Anteno- 
ra,  ove  è  punito  U  tradimento  politico.  —  88. 
Inneetntl  faeea  ecc.  l'età  giovenile  doveva 
scusare  ai  tuoi  occhi,  o  Tebe  novella,  i  figli 
e  nepoti  del  conte.  —  età  norella:  ò  la  gio- 
vinezza, che  secondo  le  teoriche  del  Oofw.  iv 
24  dura  dai  26  ai  46  anni;  sebbene  poi  noi 
caso  presento  la  designazione  di  età  novella 
comprenda  tutto  il  tempo  della  vita  anteriore 
alla  virilità:  infatti  Anselmucdo  non  poteva 
avere  piti  di  quindici  anni  (cfr.  la  nota  al  v. 
60).  —  89.  norella  Tebe:  cosi  chiama  Pisa, 
perché  funestata  da  uccisioni  e  stragi  citta- 
dine, come  già  fu  Tebe  (cfr.  Jnf,  xxvi  63, 
XXX  4  ecc.).  —  Ugueeione:  figliuolo  del 
conte  Ugolino,  anch'  egli  assai  giovine  nel 
1288,  quando  successe  la  catastrofe  del  padre. 


260  DIVINA  COMBfEDTA 


90       e  gli  altri  due  che  il  canto  suso  appella. 
Noi  passamm' oltre  là  Ve  la  gelata 
ruyidamente  nn'altra  gente  &8cia, 
93        non  volta  in  giù,  ma  tutta  riversata. 
Lo  pianto  stesso  li  pianger  non  lascia, 
e  il  duol,  che  trova  in  su  gli  occhi  rintoppo, 
96        si  volve  in  entro  a  fax  crescer  l'ambascia; 
che  le  lacrime  prime  fumo  groppo, 
e  si  come  visiere  di  cristallo 
99       riempion  sotto  il  ciglio  tutto  il  coppo. 
Ed  awegna  che,  si  come  d'un  callo, 
per  la  freddura  ciascun  sentimento 
102        cessato  avesse  del  mio  viso  stallo, 
già  mi  parca  sentire  alquanto  vento; 
per  ch'io:  «  Maestro  mio,  questo  chi  move? 
105       non  è  qua  giù  ogni  vapore  spento?  > 
Ond'egli  a  me:  <  Avaccio  sarai  dove 
di  ciò  ti  farà  l'occhio  la  risposta, 
1G8        veggendo  la  cagion  che  il  fiato  piove  >. 
Ed  un  de'  tristi  della  fredda  crosta 
gridò  a  noi:  e  0  anime  crudeli 
Ili        tanto  che  data  v'ò  l'ultima  posta, 

~  e  il  Brigata:  Ugolino  o  Nino  figlio  di  eoo.  I  più  anticlii  oommeatitori  non  danno 

Guelfo  n  della  Gherardeeca  era  lopranomi-  apiegazione  di  questo  paMo:  ma  Benr^  Lan., 

nato  il  Brigata;  appare  il  suo  nome  nell'anno  Veli.,  Dan.  e  molti  altri  di  poi  intendono 

1272,  e  doveva  essere  glA  maturo  d'età  nel  vision  per  occhiali,  e  altri  ancora  spiegano 

1288,  poichó  i  ghibellini  volevano  associarlo  visisra  per  ia  parte  anteriore  dell'elmo,  come 

al  conte  nel  governo  della  città  (ofr.  F^ragm,  se  Danto  avesse  volato  accennale  a  grossi 

hist  pia.  in  Mar.,  Ber,  it,  XXIV  661).  —  90.  strati  di  lagrime  ghiacciate  ohe  ricoprisseso  i 

e  gli  altri  dae  ecc.  Gaddo,  figlio  del  conte,  soli  occhi  dei  dannati:  meglio,  ò  da  ritenere 

già  ricordato  al  v.  68,  e  Anselmacoio,  suo  ni-  che  Htitn  in  senso  traslato  non  altro  valga 

potè,  ricordato  al  v.  60.  —  91.  Nel  passsm-  qoi  se  non  veli  o  bende  di  cristallo,  come  si 

m'oltre  ecc.  Dante  e  Virgilio  passano  nel  ha  dal  v.  112.  ~  99.  eoppe:  cavità  dell'oo- 

terzo  dei  gironi,  nella  Tolomea  (v.  124),  nella  chiaia;  il  nome  coppo,  cho  indica  ona  specie 

quale  coloro  che  a  mensa  tradirono  i  loro  di  vaso  da  acqua,  à  tratto  qui  a  significale 

parenti  sono  confitti  nella  ghiacciaia,  distesi  on'apertaxa  concava  in  genere:  cfir.  Parodi, 

supinamente  e  col  volto  in  modo  da  guardare  Bull,  m  119.  —  100.  avvegna  ehe  ecc.  aeb- 

in  alto.  —  92.  ravldamtnte:  aspramente,  in  bene  per  il  freddo  il  mio  volto  avesse  perduto 

modo  tormentoso.  —  94.  Lo  pianto  stesso  ogni  sensibilità,  come  se  fosse  stato  una  parte 

ecc.  Il  pianto  stesso  è  per  questi  dannati  Lm*  callosa  ecc.  —  102.  eeasftto  eoo.  avene  abban- 

pedimonto  a  piangere  (cf^.  w.  97-99),  si  che  donato  la  stanza  del  mio  viso,  si  fosse  allon^ 

ò  tolto  loro  questo  mezzo  di  sfogare  il  dolore;  tanato  dal  mio  volto.  ^  stalltt  cflr.  Airy. 

anri  questo,  non  avendo  sfogo,  li  agita  inter-  vi  89.  —  104.  f  vesto  ekl  novel  chi  muovo 

namente  accrescendo  l'ambascia.  —  96.  trova  questo  vento  ?  come  mai  qua  giù  pad  spirare 

in  s«  gli  oeekl  rlstoppos  fimtoppo  vale  prò-  il  vento,  se  non  v'  ò  sole  che  dilatando  l'aria 

priamente  urto  in  contrario,  onde  di  rintoppo  lo  produca  ?  — 106.  Àvaeelo  i  aw.  d*  incerta 

(7n/l  xxn  112)  significa  in  opposizione,  in  origine  (cf.  Dles  868,  696,  763),  ohe  significa: 

contrasto  ;  qui  ò  tratto  al  senso  di  opposirione,  presto,  fira  poco  (cf^.  Jm/I  x  116,  Par,  xvi  70). 

impedimento  materiale,  formato  dalle  lagrime  —  106.  voggeado  ecc.  :   cfr.  hif,  xixiv  48- 

ghiaodate  che  non  lasciano  uscire  le  nuove.  62.  ~  100.  Ed  bb  eco.  lientre  Dante  e  Vir- 

—  97.  le  lacrime  eccje  lagrime,  uscite  prima,  gilio  attraversano  la  Tolomea,  uno  dei  dan- 

oongelandosi  s'aggroppano  e  riempiono  tutta  nati,  scambiandoli  per  traditori  die  vadano 

U  cavità  dell'occhio.  —  98.  if  come  Tlilere  al  luogo  loro  assegnato  nell'altima  jwste,  oioò 


INFERNO  -  CANTO  XXXIH 


261 


levatemi  dal  viso  i  duri  veli, 
si  oh' io  sfoghi  il  dolor  che  il  cor  m'impregna, 
114        un  poco,  pria  che  il  pianto  si  raggeli  ». 
Per  ch'io  a  Ini:  «  Se  vuoi  ch'io  ti  sowegna, 
dimmi  chi  sei;  e,  s'io  non  ti  dishrlgo, 
117        al  fondo  della  ghiaccia  ir  mi  convegna  ». 
Bispose  adunque  :  <  Io  son  frate  Alberigo, 
io  son  quel  delle  frutte  del  mal  orto, 
120       che  qui  riprendo  dattero  per  figo  >. 
<  O,  diss'  io  lui,  or  sei  tu  ancor  morto  ?  » 
Ed  egli  a  me:  «  Come  il  mio  corpo  stea 
123       nel  mondo  su  nulla  scienza  porto. 
Cotal  vantaggio  ha  questa  Tolomea, 
che  spesse  volte  l'anima  ci  cade 
126       innanzi  ch'Atropòs  mossa  le  dea. 


BflDa  Gindsooa,  lirolge  loro  1a  preghiera  di 
togUare  dai  snoi  oodd  lo  strato  di  g^ìiaodo. 

—  erotta:  cfr.  htf.  xmv  76.  — 112.  1  dar! 
fdi  :  le  lagrime  ghiacciate  (cfr.  tv.  96  e  128). 

—  US.  i(  «k'  lo  afoghl  eoe.  al  ohe  prima 
efae  il  ^anto  >i  congeli  noramente  sogli  occhi 
io  possa  sfogare  alquanto  il  doloro  ohe  mi 
liflopie  l'animo.  —  115.  Se  noi  ecc.  Danto 
promette  a  questo  traditore  di  sodisfiuo  il 
ISO  desiderio,  por  ch'egli  manifesti  il  sno 
nome,  e  aggiunge  a  conferma  della  promessa 
panie  che  al  dannato  devono  sembrare  quasi 
na  gimaBento,  sebbene  altro  non  significhino 
w  non  die  il  poeta  deve  pervenire  sino  a 
f<»do  della  c^*'*^^«,  al  centro  doro  sta  Ln- 
ciliaro:  ma  la  promessa  di  Dante  non  ò  poi 
msBtsasta  (ofr.  tt.  149-160).  — 118.  le  loa 
frate  Alkeriget  Alberigo  dei  Manfredi  iìMn- 
tino,  frate  gaudente  sino  dal  1267,  e  uno  dei 
espi  di  parte  goeUs  nella  sna  città,  per  gare 
^  signoria  ebbe  oonteae  coi  suoi  parenti  Man- 
fredo e  Alberghetto  por  dei  Manfredi  e  per 
vsndicsrsi  deOe  oOsee  rioerote,  fingendo  di 
totani  padficaie  con  essi,  li  convitò  nella 
soa  TiUa  di  Cesate  il  2  maggio  1286,  con  l' in- 
tendimeato  di  fttrli  ncddere  ;  infatti,  alla  fine 
^  desinare,  quando  Alberigo  die  ad  alta  voce 
l'ordine  ohe  fossero  portato  in  tavola  le  frutta, 
i  noi  servi  e  parenti  assalirono  Manfredo  e 
AlWrghetto  e  li  tnuàdarono:  da  questo  fiitto, 
ittitta  il  Lana,  venne  la  firase  e  frutta  di 
frate  Alberigo  >,  nel  senso  di  uooisioni  o  per- 
eoM  dal»  a  tradimento  (per  la  storia  parti- 
eoUiegglata  del  fatto  cfr.  F.  Torraoa,  FaUH 

•  aoràtf  4i  U.  Bwixola^  Berna,  1898,  pp.  10 

•  27).  —  119.  fratto  del  Bai  orto:  frutta, 
à»  Anoao  U  sognsìe  del  tradimento,  e  perdo 
«uè  cneduto  neU'  orto  del  male.  Benv. 
isTsee  <  appellat  Faventiam  malum  hortum, 
qoae  prodnsdt  aliquando  tam  malos  finotiiB 


in  nobUibos  suis:  unde  auotor  posuit  duos  no- 
biles  pioditores  de  Faventia  in  ista  giade, 
sdlioet  Thebaldellum  [bif,  tttti  122]  de  par- 
to ghibellina,  qui  prodidit  patriam  et  partem, 
et  Albericum  de  parto  guelpha,  qui  prodidit 
oonsangninitatem  ad  mensam  >  ;  e  riferisce 
anche  una  tradizione,  secondo  la  quale  il  do- 
sinare  del  2  maggio  1286  sarebbe  stato  fatto 
nell'orto  della  villa  dei  ManfredL  — 120.  ehe 
qui  riprende  ecc.  che  ricevo  qui  la  pena  dol 
mio  tradimento.  ^  121.  0,  disi*  le  Ini  ecc. 
Danto,  sapendo  che  Alberigo  dei  Manfredi 
era  ancora  al  mondo  nell'  aprile  del  1800,  d 
meraviglia  di  trovar  l'anima  sua  noli'  inferno, 
e  gli  chiede  se  egli  sia  proprio  morto.  —  122. 
Ed  egli  a  me  eco.  Alberigo  risponde  subito 
in  modo  da  chiarire  il  dubbio  di  Danto,  seb- 
bene egli  non  abbia  oonosoenxa  della  condi- 
zione attuale  del  suo  corpo.  ~  124.  Getal 
Tantagglo  eoo.  Questo  terzo  girone  di  Codto 
ha  il  privilegio  che  le  anime  spesso  d  cadono 
prima  che  ceed  la  lor  vita  corporea,  pren- 
dendo il  luogo  di  dasouna  e  il  governo  del 
corpo  suo  un  diavolo:  ardita  fuitasia,  che 
rinnovando  più  antiche  e  grottesche  imagi- 
nazioni popolari,  permetto  a  Danto  di  segnar 
noto  d' infunia  su  uomini  viventi  ancora  nel 
1900,  senza  ricorrere  sempre  alla  forma  delle 
predizioni  (cfr.  A/",  xvu  68,  xnc  79-87,  xxvni 
66-60,  76-90)  o  deUe  improcazioni  (cfr.  Inf. 
xvn  72,  XIX  62-57,  xxx  76-78,  xxxii  69)  fatte 
dai  dannati  rispetto  ai  vivi.  —  Tolomea: 
cosi  ò  denominato  il  terzo  girone,  da  qud  To- 
lomeo, governatore  della  pianura  di  Gerico, 
il  quale  avendo  chiamato  a  un  convivio  il 
suocero  Simone  Maccabeo,  sommo  sacerdote, 
e  i  suoi  figli  Matatia  e  Giuda,  alla  fine  dd 
pranzo  11  fece  miseramente  truddare  (Mao- 
eabd  1 16, 11-16).  —  126.  Atropòs  :  una  delle 
tre  Pardie,  quella  ohe  ha  roffldo  di  reddere 


262  DIVINA  COMMEDIA 


£  perché  tu  più  yolentier  mi  rade 
le  invetriate  lagrime  dal  volto, 
129        sappi  che  tosto  che  l'anima  trade, 
come  fec'io,  il  corpo  suo  l'è  tolto 
da  nn  demonio,  che  poscia  il  governa 
182       mentre  che  il  tempo  suo  tutto  eia  volta 
Ella  mina  in  si  fatta  cisterna; 
e  forse  pare  ancor  lo  corpo  suso 
185       dell'ombra  che  di  qua  dietro  mi  verna. 
Tu  il  dèi  saper,  se  tu  vien  pur  mo  giuso: 
egli  è  ser  Branca  d'Oria,  e  son  più  anni 
188       poscia  passati  ch'ei  fu  si  racchiuso  ». 
«  Io  credo,  diss'io  lui,  che  tu  m'inganni; 
che  Branca  d'Oria  non  mori  unquanche, 
141        e  mangia  e  bee  e  dorme  e  veste  panni  ». 
<  Nel  fosso  su,  diss'ei,  di  Malebranche, 
là  dove  bolle  la  tenace  pece, 
144       non  era  giunto  ancora  Michel  Zanche, 
che  questi  lasciò  il  diavolo  in  sua  vece 
nel  corpo  suo,  e  d'un  suo  prossimano 
147        che  il  tradimento  insieme  con  lui  fece. 
Ma  distendi  oramai  in  qua  la  mano, 

lo  stame  della  yita.  —  127.  mi  rade  eoo.  mi  tutta  sua  oon^a^nia  >  :  sulla  nanaslone  le^ 

tolga  le  lagrime  ghiacciate;  ofr.  r.  96-112.  gondaiia  della  vendetta,  ohe  Bnmoa  e  i  saoi 

—  129.  trade:  tradisce;  qui  e  in  Inf,  xi  66  si  sarehbero  presa  contro  Dante  per  la  oon- 
Dante  osa  ima  forma  delrb.  iradar§\  invece  danna  da  lai  inflitta  al  traditore  genovese, 
al  V.  86,  tradita  ò  dal  vb.  tradire,  — 181.  eke  ofr.  Q.  Papanti,  Dante  eeeondo  le  tradix,  e  % 
poscia  ecc.  Biag.:  <  Mirabile  dottrina  si  na-  novelL^  Livorno,  1878,  pp.  161  e  sogg.  —  pld 
scende  sotto  queste  parole,  essendo  intendi-  aani  :  oioò  dal  tempo  del  delitto  al  1800.  *— 
mento  del  poeta  di  daioi  una  lezione  di  grande  140.  nta  mori  eco.  non  è  anoora  morto;  e 
importanza  pel  riposo  dello  fiuniglie  e  di  tatta  veramente  Branca  d*  Oria  visse  molto  tempo 
la  società.  Questa  si  è  che  l'uomo,  ohe  s*  ò  oltre  il  ISOO,  dimorando  quasi  sempre  nei 
una  volta  insozzato  e  tinto  di  tradimento,  non  suoi  possessi  doUa  Nurra  in  Sardegna  ;  e  si 
è  più  uomo,  e  perdo  pronto  ad  ogni  oocasione  sa  ohe  nel  1807  fu  dei  promotori  dell'  impresa 
a  qualsivoglia  scelleratezza  >.  — 182.  mentre  del  re  d'Aragona  contro  1  Pisani,  e  nel  1326 
ehe  eoe  finché  sia  trascorso  il  tempo,  che  fu  solennemente  bandito  da  Sassari  insieme 
quel  corpo  deve  vivere.  Dante,  come  gli  altri  coi  fi^.  —  141.  e  maagla  eoo.  :  tutte  opera- 
antichi,  usa  spesso  mttUre  che  a  esprimere  il  doni  della  vita  corporea,  perché  invece  dei- 
rapporto  temporale  terminativo  (cfir.  Inf.  xm  l'anima  era  entrato  in  Bianca  d'Oria  un  dia- 
18,  Purg.  u  26,  xxvn  186,  Pitr.  zzv  122  ecc.).  volo.  — 142.  Nel  fosse  eoo.  L'anima  di  Michele 

—  183.  in  ti  fatta  elstema:  in  questo  pozzo  Zanche  non  era  anoora  giunta  nella  quinta 
infernale.  —  134.  forse  ecc.  forse  su  nel  bolgia  (cAr.  Inf,  xn  16  e  segg.),  ohe  già  le 
mondo  appare  ancora  tra  i  viventi  il  corpo  anime  di  Branca  d'Oria  e  di  un  suo  parente, 
di  quell'anima  ohe  sta  ghiacciata  qui  dietro  che  l'aveva  aiutato  a  compiere  il  misfatto,  la- 
a  me  ;  e  tu  ohe  vieni  dal  mondo  devi  saperlo,  sciando  in  lor  luogo  dei  diavoli  vennero  in  que- 

—  186.  par  mo:  cfr.  Inf.  xzvn  20.  —  187.  sto  pozzo.— Valebranehetcfr. In/I xzi 87.— 
Branca  d*  Orla  :  Branca  d' Oria,  o  Doria,  gè-  146.  «■  suo  prosslmamo  :  questo  congiunto  dì 
novese,  era  genero  di  Michele  Zanche,  signore  Branca  d'Oria  fu  un  suo  nipote,  secondo  Benv. 
di  Logudoro  (cfr.  Inf.  xxn  88)  :  verso  il  1290  e  An.  fior.,  o  un  suo  cugino,  secondo  l'Ott.: 
egli  <  avendo  jiirìtto  l'occhio  (cosi  l'An.  fior.)  gli  altri  commentatori  dicono  genericamente, 
alla  signoria  di  Logodoro,  invitò  a  mangiare  parente  e  consorte.  —  148.  Ha  distendi  eoa 
seco  a  un  suo  castello  questo  suo  suocero,  et  Alberigo,  che  ha  largamente  sodisfistto  alle 
ivi  finalmente  il  fé'  tagliare  per  pezzi  lui  et  domande  di  Dante,  gli  chiede  oca  11  mante- 


INFERNO  -  CANTO  XXXIII  263 


aprimi  gli  occhi  >  ;  ed  io  non  gliele  apersi, 
150       e  cortesia  fu  in  lui  esser  villano. 
Ahi,  genovesi,  uomini  diversi 
d'ogni  costume,  e  pien  d'ogni  magagna, 
153       perché  non  siete  voi  del  mondo  spersi? 
che  col  peggiore  spirto  di  Romagna 
trovai  di  voi  un  tal,  che  per  sua  opra 
in  anima  in  Oocito  già  si  bagna 
157    ed  in  corpo  par  vivo  ancor  di  sopra. 

nimento  della  pxomessa  ;  ma  Dante  non  lo  tadinanza,  alla  quale  volentieri  rimpzoveia- 

contenta,  xicordandoii  ohe  nell'inferno  <  vive  vano  d'essere  operosa  (dice  il  Bntì)  <  in  m- 

la  pietà  quando  è  ben  morta  >  {hif.  zx  28).  baie  et  in  arrecare  roba  a  oasaetin  saperbia» 

—  149.  gliele  :  ofr.  hif.  xn  102.  —  160.  eor-  e  la  tacciavano  (dice  il  Lana)  <  d'ogni  vizio, 

tetla  ecc.  fa  atto  di  cortesia  l'esser  vUlano  malizia  e  magagna  >.  —  diversi  d'ogai  eoo. 

contro  di  Ini,  mancando  alla  f&tta  promessa;  alieni  da  ogni  onesto  ooetome  :  il  giudizio  di 

e  s' intenda  atto  di  cortesia,  o  di  conoscenza  Dante  trova  riscontro  nelle  parole  di  Iacopo 

e  gratitadine  verso  Dio  :  non  già  verso  quel  d' Oria,  ohe  delle  condizioni  di  Genova  alla 

peccatore,  come  intesero  erroneamente  alcuni  fine  del  secolo  zin  scriveva  {AnnàU»  gmuentet 

moderai,  fSsntasticando  di  accrssdmento  di  in  Mnr.,  B0r.  «.  VI  606)  :  <  bis  temporibus... 

pena  che  Dante  avrebbe  procurato  ad  Albe-  in  dvitate  et  extra  homiddae,  malefM^tores 

rigo  aprendogli  la  vista  si  eh'  ei  conoscesse  et  institiae  contemtores  moltiplicare  ooepe- 

d'aver  innanzi  nn  vìvo  ohe  avrebbe  nel  mon-  ront: . . .  malefoctores  qnamplorimi  gladiis  et 

do  aocrosdiita  la  sna  infamia  parlando  di  Ini  :  iacolis  ad  invioem  die  noctnqae  peroatiebant 

tatti  i  migliori  interpreti,  da  Benv.  e  dall'Ott  ao  etiam  perimebant  v.  ~  162.  plen  d'ogal 

al  Lomb.,  intesero  nel  primo  modo.  —  161.  eoo.  :  cosi  Q,  Villani,  Or,  vm  92:  «  Noifo  Dei, 

ÀU  ecc.  Qaesta  invettiva  contro  i  genovesi,  nostro  fiorentino  pieno  d'ogni  magagna  ».  — 

inspirata  a  Dante  dal  tradimento  di  Branca  163.  perché  ecc.  :  cfr.  dò  che  Danto  dice  di 

d'Oria,  raccoglie  qnoUo  che  la  tradizione  clas-  Pistoia  in  Inf.  xxv  10-12.  —  164.  spirto  di 

sica  imputava  alle  popolazioni  liguri  (cfr.  Vir-  Bomagaa:  Alberigo  d^i  Manfiredi  faentino  (cfr. 

gilio,  En,  XI  700-717)  e  il  giudizio  che  gli  Pi*rg.  xv  44).  — 166.  41  toI  «a  tal  x  un  gè* 

aomìni  del  medioevo  fiftcevano  di  quella  oit-  novese  cosi  reo,  Branca  d'Oria. 


CANTO  XXXIV 

I  dae  poeti  entrano  nella  Giadecca,  quarto  e  nltimo  dei  giri  di  Cocito, 
ove  coloro  che  tradirono  i  benefattori  sono  confitti  sotto  la  ghiaccia:  nel 
mezzo  di  essa  sta  Lacifero,  re  dell*  inferno,  che  tiene  nelle  sne  tre  bocche 
Giada,  Bruto  e  Cassio  [9  aprile,  tra  le  ore  sei  e  le  sette  pomeridiane].  Poi 
Dante  e  Virgilio,  oltrepassato  il  centro  della  terra,  s*  avviano  sa  per  uno 
stretto  passo  e  riescono  alPaperto  a  rivedere  le  stelle  [9  aprile,  dalle  sette  e 
mezzo  pomeridiane,  in  poi]. 

€  VexiUa  regis  prodeunt  inferni 
verso  di  noi;  però  dinanzi  mira, 
8        disse  il  maestro  mio,  se  tu  il  discemi  >. 

XXXTV  1.  VexUla  regls  ecc.  Entrando  nanzio  Fortunato  alla  croce,  che  comincia  : 

i  due  poeti  nell'ultimo  giro  di  Cocito,  Vìrgl-  «  Vexilla  regis  prodeunt,  Fulget  crucis  myste- 

lio  avverte  Dante  che  or  gli  si  presenterà  la  rìum  ».  I  vessilli  del  re  dell'  inferno,  che  si 

figara  di  Ludfero;  e  glielo  dice  adattando  al  mostrano  a  chi  entra  nella  Giudecca  (v.  117), 

caso  suo  il  principio  dell'inno  fiunoso  di  Ve-  sono  le  sei  ali  di  Lucifero  (w.  46-48),  le  quali 


264 


DIVINA  COMMEDIA 


12 


15 


18 


Ck)me|  quando  una  grossa  nebbia  spira 
o  quando  l'emisperio  nostro  annotta, 
par  di  lungi  un  molin  che  il  vento  gira; 

veder  mi  parve  un  tal  dificio  allotta: 
poi  per  lo  vento  mi  ristrinsi  retro 
al  duca  mio,  che  non  gli  era  altra  grotta. 

Già  era,  e  con  paura  il  metto  in  metro, 
là  dove  V  ombre  eran  tutte  coperte 
e  trasparean  come  festuca  in  vetro: 

altre  sono  a  giacere,  altre  stanno  erte, 
quella  col  capo  e  quella  con  le  piante; 
altra,  com'  arco,  il  volto  a'  piedi  inverte. 

Quando  noi  fummo  fatti  tanto  avante 
ch'ai  mio  maestro  piacque  di  mostrarmi 
la  creatura  eh'  ebbe  il  bel  sembiante, 

dinanzi  mi  si  tolse,  e  fé'  restarmi, 
€  Ecco  Dite,  dicendo,  ed  ecco  il  loco, 


21        ove  convien  che  di  fortezza  t' armi  ». 
Com'io  divenni  allor  gelato  e  fioco. 


trolazzando  muovono  il  vento  di  che  Oocito 
8*aggela  (w.  49-62).  —  4.  Comey  quAndo  eco. 
Come  8i  vede  muovere  un  molino  a  vento 
allorclió  l'aria  ò  offoscata  da  fitta  nebbia  o 
dall'oscurità  della  sera,  cosi  io  vidi  muovere 
le  sue  ali  Lucifero.  La  similitudine,  tratta  dal- 
l'osservazione di  un  fatto  comunissimo,  rende 
mirabilmente  il  concotto  dell'indeterminatezza 
di  contorni,  con  la  quale  appariva  a  Dante, 
nell'  oscurità  infernale,  la  mostruosa  figura 
di  Lucifero  agitante  le  immense  ali.  —  7.  di- 
fiele:  ordigno,  macchina;  voce  che  gli  antichi 
usarono  spesso  a  indicare  genericamente  i 
mangani,  i  trabucchi,  le  toni  di  legno  e  le 
altre  macchine  di  guerra  in  uso  nel  medioevo. 

—  AllotU  :  allora;  cfr.  Inf,  xn  112.  —  9. 
■OM  gli  eoo.  non  vi  era  ecc.  ;  cfr.  la  nota  al- 
VInf,xxm  64.  —  grotta  t  riparo,  difesa.  — 
10.  •  con  paura  ecc.  :  ricorda  il  virgiliano,  En, 
II 204  :  e  horresco  referens  *  ;  cfr.  Inf,  xxn  31. 

—  11.  là  dOTe  l'ombre  ecc.  :  nella  Qiudecca, 
ultimo  dei  giri  di  Oocito,  sono  puniti  coloro 
che  tradirono  i  loro  benefattori;  e  sono  con- 
fitti interamente  sotto  la  ghiaccia,  per  la  quale 
traspariscono  come  le  pagliuzze  poste  sotto  a 
un  vetro  :  di  questi  peccatori  Dante  non  no- 
mina alcuno,  fuorché  1  tre  massimi  traditori 
ai  quali  dà  una  pena  maggiore  e  singolare, 
ponendoli  in  booca  a  Lucifero  (w.  66^7). 
8ul  nome  OùtdeeoOf  ohe  nel  medioevo  fu  usato 
anche  in  Italia  a  designare  il  Ghetto  o  quar- 
tiere degli  ebrei,  si  vedano  le  rioerohe  di 
0.  Salvioni,  Bull,  VH  259;  cfir.  ivi,  VHISS. 

—  IS.  altre  fome  eco.  Buti  :  e  quattro  diffe- 
reniie  pone,  perché  quattro  sono  lo  differenzie 


di  questi  traditori  :  imperò  che  altri  sono  cho 
usano  tradimento  alli  benefattori  suoi  pari,  e 
questi  finge  che  stiano  parimente  a  giacere  ; 
et  altri  sono  che  l' usano  contra  li  maggiori 
benefattori,  tanto  come  sono  1  signori  e*  mag- 
giori e'  maestri  e  qualunque  altro  grado  di 
maggioria,  e  questi  stanno  col  capo  in  giù  e 
co'  piedi  in  su;  et  altri  sono  che  l'usano  con- 
tra li  minori  che  sono  loro  benefi&ttori,  come 
li  signori  contra  gli  sudditi,  e  questi  stanno 
col  capo  in  su  e  co'  piedi  in  giù;  et  altri  sono 
che  l'usano  contro  li  minori  e  centra  li  mag- 
giori parimente,  e  questi  stanno  inarcocchiati 
col  capo  e  coi  piedi  parimente  in  giù  nella 
ghiaccia  ».  —  16.  altra,  eom'areo  ecc.  An. 
fior.  :  e  Come  fa  uno  arco,  che  l'una  cima  si 
piega  verso  l'altra,  ooa£  il  capo  d'uno  pecca- 
tore si  piegava  et  tornava  sotto  i  piedi,  £ac- 
cendo  arco  di  sé  ».  —  18.  la  ereatara  ecc.  : 
cu-.  Purg,  xn  26-27,  Piar,  zix  46-48.  —  20. 
Eeeo  Dite:  Dite  ò  U  nome  che  Dante,  se- 
guendo Virgilio  {En.  vi  127,  269,  897,  vn 
668,  zìi  199  ecc.),  dà  per  lo  più  al  re  dell'in- 
ferno, SiììHmperadcr  del  doloroso  regno,  da  lui 
chiamato  anche  coi  nomi  di  Lucifero,  Satana, 
Belzebù  :  egli  Ai  il  capo  degli  angeli  ribelli  a 
Dio,  e  precipitò  dal  cielo  noi  centro  della 
terra,  divenendo  principe  dei  diavoli  e  prin- 
cipio di  ogni  male.  —  21.  ore  coMTien  ecc. 
ove  ti  bisogna  più  che  altrove  la  fortezza  del- 
l' animo  per  sostenere  la  vista  di  Lucifero, 
perché,  nota  il  Buti,  «  convenla  che  di  lui 
faoessono  scala,  se  voleano  discendere  al  cen- 
tro et  uscire  dell'  inferno  ».  —  22.  gtlato  e 
Ateo  t  accenna  all'oiftotto  fisico  e  morale  dello 


INPERNO  -  CANTO  XXXIV  265 

no  '1  domandar,  lettor,  eli'  io  non  lo  scrivo, 
24       però  che  ogni  parlar  sarebbe  poco. 
Io  non  morii,  e  non  rimasi  vivo; 
pensa  omai  per  te,  s'iiai  fìor  d'ingegno, 
27        qual  io  divenni,  d'uno  e  d'altro  privo. 
Lo  imperador  del  doloroso  regno 
da  mezzo  il  petto  uscia  fuor  della  ghiaccia; 
80       e  più  con  un  gigante  io  mi  convegno 
che  i  giganti  non  fan  con  le  sue  braccia: 
vedi  oggimai  quant' esser  dóe  quel  tutto 
83        che  a  cosi  fatta  parte  si  con£ftccia. 
S' ei  fu  si  bel  com'  egli  è  ora  brutto 
e  centra  il  suo  fattore  alzò  le  ciglia, 
86        ben  dóe  da  lui  procedere  ogni  lutto. 
0  quanto  parve  a  me  gran  meraviglia, 
quand'io  vidi  tre  fac3e  alla  sua  testa! 
89        l'una  dinanzi,  e  quella  era  vermiglia; 
l'altre  eran  due,  che  s' aggiugnieno  a  questa 
sopr'esso  il  mezzo  di  ciascuna  spalla,  * 
42        e  sé  giungieno  al  loco  della  cresta: 
e  la  destra  parca  tra  bianca  e  gialla; 
la  sinistra  a  vedere  era  tal,  quali 
45        vegnon  di  là  onde  il  Nilo  s'avvalla. 

ipimito,  per  il  qTule  senti  raggelarsi  le  nude.  —  88.  «oaad'lo  Tidl  tre  feeee  eco. 
■emlnra  e  yenir  meno  il  eocaggio.  —  24.  Dante,  tenendosi  alle  credenze  cristiane,  se- 
f«rè  èh«  ogal  farlsr  eoo.  perché  qnalimqae  condo  le  quali  Lucifero  ò  l'antitesi  della  Tri- 
disootiso  non  vairebbe  a  esprimere  la  oondi-  nità  divina,  e  alle  tradizioni  dell'arte  medio- 
siooe  in  coi  mi  trovai  :  ofr.  locazioni  simili  evale  che  gì&  l'aveva  flgorato  oon  tre  volti  in 
in  J«/.  rv  147,  zxvm  4.  —  26.  Io  bob  morii  molte  pittare  e  scoltore,  rappresenta  il  re 
eoe  Si  noti  U  brevità  efficace  dell'  espres-  dell'inferno  con  tre  facoe;  in  coi  certamente 
sione  che  dico  mirabilmente  tatta  la  difficile  sono  simboleggiati  gli  attributi  contrari  a 
ftTmdÌTi^Ty»  di  Dante,  il  oontsasto  ch'egli  sen-  quelli  della  Trinità  (ofr.  Inf,  ni  6),  vale  a 
tiva  in  b6  stesso  fra  il  mancare  degli  spiriti  dire  l'impotenza,  l'ignoranza,  l'odio  :  cosi  in- 
vitali •  la  coscienza  della  vitalità,  e  l'incer-  tesero  lettamente  Ott,  Benv.,  Pietro  di  Dante 
tazza  dell'esistenza  sotto  l' impressione  dello  e  altri  antichi  ;  mentre  i  moderni  cercarono 
spettacolo  spaventoso  offerto  dalla  figura  di  nelle  tre  facoe  di  Lucifero  significazioni  mo- 
Locifero.  —  26.  fler  :  cfr.  Pwrg,  in  136.  —  rali  o  politiche  le  quali  sarebbero  ftior  d'ogni 
80.  e  plU  ecc.  ò  minore  sproporzione  di  gran-  proposito  ;  poiché  Vimp&rador  del  doloroso  re- 
dezza  tra  mo,  nomo  comune,  e  un  gigante,  di  gno,  come  ò  l'antitesi  di  quòU*  imperador  eh» 
^piella  che  d  tra  i  giganti  e  le  braccia  di  Lu-  là  su  rtgna^  cosi  deve  avere  caratteri  e  at- 
dfeio.  —  82.  vedi  oggimai  eco.  La  deter-  tributi  opposti  a  quelli  della  trìade  divina, 
minazione  della  misura  di  Lucifero  ha  affati-  —  89.  V  una  dlaansl  ecc.  :  la  fàccia  ante- 
eato  inatilmente  gì'  interpreti  dal  Land,  in  riore  ò  vermiglia,  simbolo  dell'odio;  la  destra 
poi;  e  il  problema  d  stato  variamente  riso-  ò  di  colore  gialliooio,  simbolo  dell'impotenza; 
lato,  ma  sempre  per  via  di  calodi  fondati  su  la  sinistra  ò  nera,  simbolo  dell'ignoranza.  — 
dati  i^pzossimatlvi  :  secondo  l'Antonelli  la  40.  t'agglngnfeBO  eco.  le  due  Docce  laterali 
hmghezza  delle  braccia  di  Lucifero  sarebbe  s'ergevano  ciascuna  sovra  una  delle  spalle  e 
di  410  metri,  e  la  sua  altezza  di  1280  metri.  tutte  tre  si  congiungevano  nelle  parti  poste- 
—  84.  S'ttl  fa  ii  bel  eoo.  Se  Lucifero  fu  riori  in  modo  da  formare  un  sol  tutto.  —  42. 
cod  bello  come  ora  ò  brutto  e  osò  ribellarsi  al  loco  della  eretta:  nella  parte  posteriore 
al  suo  creatore,  che  lo  aveva  fatto  belliasimo  del  capo,  ove  certi  animali  hanno  la  cresta, 
tra  gli  angeli,  ben  ò  degno  oh'  egli  per  la  sua  —  44.  era  tal,  qaall  vegnon  ecc.  era  nera, 
l^[H^o^rwT^^  sia  divenuto  il  principio  d'  ogni  oomo  sono  gli  uomini  doli'  Etiopia,  onde  il 


266 


DIVINA  COMMEDIA 


Sotto  ciascuna  tiscivan  due  grandi  ali, 
quanto  si  convenia  a  tanto  uccello; 
48       vele  di  mar  non  vid'io  mai  ootali, 
Non  avean  penne,  ma  di  vipistrello 
era  lor  modo;  e  quelle  svolazzava, 
61        si  che  tre  venti  si  movean  da  elio. 
Quindi  Oocito  tutto  s'aggelava: 
con  sei  occhi  piangeva,  e  per  tre  menti 
54       gocciava  il  pianto  e  sanguinosa  bava. 
Da  ogni  bocca  dirompea  condenti 
un  peccatore,  a  guisa  di  maciulla, 
57        si  che  tre  ne  &cea  cosi  dolenti. 
A  quel  dinanzi  il  mordere  era  nulla 
verso  il  graffiar,  che  talvolta  la  schiena 
60       rimanea  della  pelle  tutta  brulla. 

Quell'anima  là  su  che  ha  maggior  pena, 
disse  il  maestro,  è  Giuda  Scariotto, 
63       che  il  capo  ha  dentro,  e  fuor  le  gambe  mena. 
Degli  altri  due  e' hanno  il  capo  di  sotto, 


Nilo  Mende  nelle  Talli  egiziane.  —  46.  Setto 
elasemnft  ecc.  Ad  ognima  delle  tre  iacee  cor- 
risponderano  due  grandi  ali,  proporzionate 
all'immane  corpo  di  Lucifero  e  perdo  più 
ampie  die  le  vele  delie  navL  —  49,  Hon 
ATeia  ecc.  Le  arti  figarative  rappresenta- 
rono spesso,  anche  prima  di  Dante,  i  dia- 
voli con  ali  di  pipistrello  e  gli  angeli  con 
ali  pennato  ;  e  il  poeta  segai  pare  in  qoesto 
particolare  la  tradizione  artistica  del  sno  tem- 
pa.  —  61.  tre  venti  :  tre  divene  correnti 
aeree,  per  effetto  delle  qaali  Codto  era  tatto 
gelato.  —  63.  eoa  lei  ocelli  eoo.  H  pianto 
osdva  dagli  ooohi  dello  tre  facce  colando  giù 
pei  volti  e  mescolandosi  alla  sangainosa  bava 
ch'asoiva  dalla  bocca.  Alcuni  tratti  di  questa 
descrizione  rioordano  i  versi  virgiliani,  Otorg, 
m  202  :  e  Hio  vel  ad  Elei  metas  et  maxima 
campi  Sadabit  spatia,  et  spamas  aget  ore 
craentas  »,  e  m  616  :  e  Ecce  aatem  doro  fu- 
mana sab  vomere  taoros  Conddit,  et  mìxtam 
spomisvomit  ore  oruorem».  —  66.  a  galla 
di  madvlla  :  Lana  :  «  maeiuUa  ò  ano  edifl- 
do  di  tritare  lino,  il  qaale  volgarmente  ha 
nome  gramola,  si  che  si  dice  al  lino,  quando 
il  fasto  ò  ben  trito,  gramolato  ».  La  compara- 
zione dantesca  ò  tra  la  violenza  con  la  qoale 
la  gramola,  forte  stramento  di  legno,  infiange 
le  deboli  canne  della  canapa  e  del  lino,  e 
qaella  onde  i  denti  di  Ladfero  dirompevano 
i  tre  peccatorL  —  67.  sf  che  tre  ecc.  Qaesti 
tre  peccatori  condannati  a  pena  singolarissi- 
ma e  poeti  in  bocca  a  Ladfero,  per  segno  che 
la  loro  colpa  fa  più  grave  delle  colpe  deg^ 
altri  aomini,  sono  i  traditori  dello  dae  auto- 


rità, che  Dante  poneva  come  volate  da  Dio 
per  la  direzione  spirituale  e  dvile  dell'ama- 
nita (of^.  £h  monarcMa  m  16):  Oiuda,  tradi- 
tore di  disto  e  della  somma  potestà  religiosa: 
Brato  e  Casdo,  traditori  di  Ceoaio  e  della 
suprema  potestà  politica.  —  68.  A  4|«el  él- 
■aasi  eco.  Per  Qiuda,  che  stava  nella  bocoa 
della  fkoda  anteriore,  il  mordere  dd  denti  di 
Lucifero  era  nulla  al  confronto  del  graffiato 
delle  mani,  ond'era  tatto  lacerato  :  al  tradi- 
tore della  roligione  d  conviene  una  pena  tan- 
to più  gravo,  quanto  Cristo  ta  maggioro  di 
Cesare.  —  69.  vene  :  in  oonftonto  dd  graf- 
fiare; nello  steAso  senso  Dante  aia  verm  tU 
in  ^trg.  m  61,  vi  142,  zxvm  80.  —  60. 
bniUa:  l'agg.  brutto  e  brÌMOf  che  dioed  pro- 
priamente dd  terreno  privo  d'ogni  vegeta- 
zione, significa  qui  e  in  Inf,  xvi  80  scorticato, 
denudato  della  pelle,  oomo  in  I\»y.  nv  91 
vde  privo,  spoeto  di  virtù  (per  V  incerta 
etimologia  cf^.  Diez  860,  766).  —  62.  QlaAa 
Scariotto  :  Giuda  Iscariotte,  uno  dd  dodid 
apostoli,  che  tradì  Qeeù  patteggiando  eoi  sa- 
cerdoti di  dario  loro  nelle  mani  per  denari 
(Matteo  zxvi  14-16,  Uaroo  ziv  10-11,  Luca 
zu  8-6),  diventò  per  i  cristiani  il  tipo  dd 
traditori  della  religione.  —  68.  che  n  capo 
eco.  :  d  noti  la  conformità  tra  la  podtuia  di 
Giuda  e  quella  dd  simoniad  (cfr.  Inf.  nx  22 
e  segg.),  che  anch'  esd  mercanteggiarono  le 
coso  dolla  religione.  —  64.  Degli  altri  dao 
eco.  Bruto  e  Casdo  hanno  il  capo  ohe  spen- 
zola f^ori  d'una  bocca  di  Ludfero,  il  primo 
dalla  bocca  dell'  ignoranza,  U  secondo  da 
quella  dell'impotonsa  ;  o  la  loro  condiziono  at- 


INPEENO  -  CANTO  XXXIV 


267 


quei  che  pende  dal  nero  oeffò  è  Bruto; 
66        Tedi  come  si  torce,  e  non  fa  motto: 
e  V  altro  è  Cassio,  che  par  si  membruto. 
Ma  la  notte  rìsurge;  ed  oramai 
69        è  da  partir,  che  tutto  avem  veduto  ». 
Ck>m'a  lui  piacque,  il  collo  gli  avvinghiai; 
ed  ei  prese  di  tempo  e  loco  poste, 
72        e,  quando  l'ali  ftlro  aperte  assai, 
appigliò  sé  alle  vellute  coste: 
di  vello  in  vello  giù  discese  poscia 
75       tra  il  folto  pelo  e  le  gelate  croste. 
Quando  noi  fummo  là  dove  la  coscia 
si  volge  appunto  in  sul  grosso  del  Panche, 
78       lo  duca  con  fatica  e  con  angoscia 
volse  la  testa  ov'egli  avea  le  zanche, 
ed  aggrappossi  al  pel  come  uom  che  sale, 
81        si  che  in  inferno  io  credea  tornar  anche. 


tetta  in  etemo  la  gravità  della  colpa  di  co- 
loro che  tradirono  l'antoxità  dell'impero  (ofr. 
Far,  TI  74).  —  66.  BrnUt  M.  Oinnio  Brato, 
UBO  dei  congiaxatl  che  ii  levarono  contro 
OinUo  Ceeare  e  l' aodsero,  tentando  inatti- 
Beote  di  reetanran  Tantioa  repubblica:  mori 
combattendo  a  Filippi  contro  Ottariano,  e  la 
foa  testa  epiocata  dal  bneto  fa  mandata  a 
Boma  e  poeta,  qoasi  segno  di  oompiata  ven- 
detta, innanzi  alla  statua  di  Cesaro.  —  67. 
Casata:  C.  Cassio  Longino,  on  altro  dei  prin- 
dpali  oonginrati  contro  Cesare,  anch' egli 
morto  nella  battaglia  di  Filippi  :  Dante,  ima- 
ginandolo  mentbruiOt  lo  confase  oon  L.  Cassio 
accennato  come  tale  da  Cicerone  nella  terza 
CatUmoHa  tu  7,  16  :  mentre  del  oongiorato 
caooonta  Ftataroo,  Vita  di  Cto.,  62,  che  era 
pallido  e  scarno:  cfir.  licore  I  266.  —  die 
par  ecc.  :  cft.  Purg,  vn  112.  —  68.  Ma  la 
Botte  ecc.  Allorché  i  dae  poeti  abbandona- 
rono il  ponte  deUa  nona  bolgia  era  d' on'  ora 
passato  il  mezzodf  del  9  aprile  (ofir.  Inf,  tttt 
10):  visitando  la  decima  bolgia  e  passando 
sol  largo  argine  che  divide  Malabolge  dal 
pocro  di  Coàto  oceaparono  qualche  ora,  e 
qnakhe  altra  nel  percorrere  quasi  l'intero 
raggio  del  nono  cerchio:  ora  che  sono  giunti 
al  centro  risurge  la  notUt  vale  a  dire  inco- 
mincia la  notte;  da  ohe  si  deduce  come  Vir- 
gilio  e  Dante  a  percorrere  i  nove  cerchi  in- 
tesali abbiano  impiegato  rentlquattro  ore, 
dalla  sera  dell'  8  aprile  quando  «  lo  giorno 
w  n'andava  »  (Ji/l  u  1)  a  quella  del  9  aprile 
hi  cui  e  risorge  la  notte  >.  —  70.  Gem'a  lai 
plaei|ue  ecc.  Dorendo  i  due  poeti  oltrepa»- 
laze  il  centio  della  terra.  Dante  s' avvinghia 
al  collo  di  Virgilio,  e  questi  appigliandosi  al 


corpo  di  Lucifero  discende  giù  sino  a  mezzo 
di  esso  ;  e  in  corrispondenza  del  centro  deUa 
terra  si  capovolge,  passando  nell'  emisfero  su- 
peziore,  e  incomincia  a  salire  sino  al  piedi  di 
Ludliero,  dai  quali  depone  Dante  sulla  roc- 
cia. —  71.  di  tempo  e  loco  peste:  le  op- 
portune condizioni  di  tempo  e  di  luogo;  di 
tempo,  aspettando  il  momento  ohe  le  ali  di 
Lucifero  fossero  bene  aperte,  e  di  luogo, 
guardando  d' appigliarsi  a  una  parte  pelosa, 
che  gli  desse  agevole  modo  di  scendrae.  — 
74.  di  vello  ÌM.  vello:  da  un  gruppo  di  pélo 
a  un  altro.  —  76.  tra  11  folto  ecc.  tra  i  pe- 
losi fianchi  di  Lucifero  e  la  ghiaccia,  nella 
quale  egli  era  immerso  da  mezzo  il  petto  in 
giù  (ofir.  y.  29).  Le  gOaU  on§U  (cfr.  Inf, 
limi  109)  sono  le  incrostature  del  ghiaccio 
che  rivestlTa  l' intemo  della  cavità.  —  76. 
Quando  noi  ecc.  Pervenuti  che  ftunmo  sopra 
la  prominenza  cho  fanno  le  anche,  in  quella 
parte  del  oozpo  dove  la  coscia  si  ripiega  per 
attaccarsi  al  fianco,  Virgilio  faticosamente  e 
afEumoeamente  si  capovolse  e  incomindd  a 
salire.  —  78.  eoa  fatica  e  con  angoscia: 
aooenna  allo  sforzo  fatto  da  Virgilio  per  ca- 
povolgersi e  all'effetto  dello  sforzo,  che  fa  la 
difficoltà  del  respirare:  moralmente  vuol  diro 
che  l'uomo  molto  si  deve  aflàtioare  per  avere 
orrore  del  peccato  e  volgergli  le  spalle.  — 
79.  le  zanche:  le  gambe;  il  nome  xanea 
{Inf,  ZEc  46),  forse  di  origine  germanica  (Diez 
346),  indica  propriamente  la  parte  inferiore 
della  gamba,  quella  ohe  suole  essere  calzata. 
—  80.  eome  uom  che  sale  :  in  atto  di  salire, 
dod  spingendo  innanzi  le  mani,  non  più  i 
piedi  oome  avea  fatto  nel  discendere  sino  al 
contro.  —  81.  si  eke  in  inferno  ecc.  sf  cho 


268 


DIVINA  COMMEDIA 


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«  Attienti  ben,  che  per  cotali  scale, 
disse  il  maestro  ansando  com'nom  lasso, 
conviensi  dipartir  da  tanto  male  >. 

Poi  usci  faor  per  lo  fóro  d' un  sasso, 
e  pose  me  in  sa  l'orlo  a  sedere; 
appresso  pòrse  a  me  l'accorto  passo. 

Io  levai  gli  occhi,  e  credetti  vedere 
Lucifero  com'io  l'avea  lasciato, 
e  vidili  le  gambe  in  su  tenere; 

e  s'io  divenni  allora  travagliato, 
la  gente  grossa  il  pensi,  che  non  vede 
qual  è  quel  punto  eh'  io  avea  passato. 

€  Levati  su,  disse  il  maestro,  in  piede  : 
la  via  è  lunga  e  il  canmiino  ò  malvagio, 
e  già  il  sole  a  mezsa  terza  riede  ». 

Non  era  caminata  di  palagio 
là  'v'  eravam,  ma  naturai  burella. 


lo  mi  crederà  di  avere  a  risalire  per  i  cerohì 
infernali,  per  ludre  all'  aria  i^eirta.  —  Sd. 
Àttleatl  htm  eoo.  Virgilio,  aooorgendoai  del 
dubitare  di  Dante,  gli  riToIge  paiole  di  ay- 
vertimento,  nelle  quali  ò  oome  l'eoo  di  quelle 
dell' .^1.  VI  126  :  «  Facilia  deeoensuf  Avwno 
eet;  NoctesatquediespatetatrilanuaDitis: 
Sed  reyooare  giadum,  superasque  evadere  ad 
auras,  Eoo  opus,  hio  labor  est.  Fauci,  quos 
aequus  amavit  luppiter,  aut  aidens  evezit  ad 
aethera  Tirtus,  Diis  geniti  potaere».  —  leale  : 
ò  usata  questa  Tooe  in  senso  traslato  per  si- 
gniflcaie  qualunque  mezzo  per  salire  o  scen- 
dere anche  in  Jkf.  xvn  82,  a  proposito  della 
discesa  sulle  spalle  di  Oerione  •  in  ih/*,  xxrv 
66,  della  salita  al  monte  del  purgatorio.  — 
86.  Poi  nsef  eoo.  Giunti  ove  i  piedi  di  Lu- 
cifero toccavano  il  fondo  della  oavema,  in  cui 
egli  d  confitto,  i  due  poeti  passano  per  un 
piccolo  fóro,  e  Virgilio  depone  Dante  sull'orto 
di  quell'apertura  e  poi  lo  raggiunge  spiccando 
un  breve  salto.  —  87.  pòrse  a  me  eco.  con 
un  passo  avvedutamente  latto  lasoid  il  oorpo 
di  Lucifero  e  venne  anch'  egli  sull'orlo  del- 
l' apertura.  —  8S.  Io  levai  eco.  Dante,  che 
non  aveva  ben  capito  la  ragione  di  quei  mo- 
vimenti (of!r.  w.  81,  100  e  segg.),  rimase 
molto  meravigliato  quando  vide  Ludfero  ca- 
povolto rispetto  alla  positura  in  cui  l'aveva 
lasciato  prima  d'  oltrepassare  il  centro  della 
terra.  —  91.  travagliate  :  incerto  e  sgomi- 
nato, non  sapendo  spiegare  il  fatto.  —  92. 
ehe  BOB  vede  ecc.  ohe  non  intende  come  io, 
avendo  oltrepassato  il  centro  della  terra,  do- 
vessi continuare  avanzando  in  salita  e  non 
già  in  discesa.  —  94.  Lavati  »m  ecc.  La 
mossa  di  quesf  avvertimento  ricorda  nelle 
parole  quello  dell'/n/.  xnv  62  e  nel  oonoetto 


quello  dell'iSH.  vi  628  :  «  Sed  iam  ago,  cupe 
viam,  et  susoeptom  perfioe  munus:  Adoelere- 
mus,  ait  >.  —  96.  la  via  eoo.  la  via  è  lunga 
e  il  cammino  ò  difficile,  dovendosi  risalire  dal 
centro  alla  supeifloie  della  tana,  per  uno 
stretto  e  oscuro  calle  sassoso  o  ineguale.  — 
96.  e  già  11  s«le  eoo.  I  due  poeti,  avendo 
oltrepassato  il  oentro,  sono  già  nell'eanisfeso 
inferiore;  quindi  mentre  rispetto  all'emisfero 
superiore  progredisce  la  notte,  già  cominciata 
quando  essi  giungono  innansi  a  hwcìSéTo  (cfir. 
V.  68X  rispetto  all'  altro  avaasa  il  gioòno, 
ed  ò  già  mextM  tBnsa,  doà  il  meoo  del  tempo 
tra  il  levarsi  del  sole  e  la  ter»  ora  del  giorno  ; 
sono  dunque  all'  inoiroa  le  sette  e  messo  daUa 
mattina  :  ofir.  Moore,  pp.  66-58.  —  a  messa 
tersai  nel  Oom,  m  6  Dante  spiega  «^  se- 
condo un  modo  di  computare  le  ore  gli  astro- 
logi «  del  di  e  della  notte  fanno  ventiquat- 
tr*  ore,  dod  dodid  del  di  e  dodid  della  notte, 
quanto  dte  '1  di  sia  grande  o  piooolo,  e  que- 
ste ore  d  Dumo  piodoleo  grandi  nel  di  e  nella 
notte,  secondo  ohe  '1  di  e  la  notte  cresce  e 
scema:  e  queste  ore  usa  la  Chiesa,  quando 
dice  Prima,  Tersa,  Sesta  e  Nona;  e  ohia- 
mand  cod  ore  temporali  »  :  nd  Cbnv.  xv  23 
spiega  pd  il  valore  ddle  ore  tempoimli  di- 
cendo ohe  mtKota  ttrxa  vud  dire  l'ora  prece- 
dente il  suono  che  d  fia  per  gli  uffid  reUgiod 
della  tersa,  oiod  delle  tre  ore  di  sde.  — •  97. 
eamlBate41paIagle:Buti:  «sala  di  palazzo: 
i  signori  usano  di  chiamare  le  loro  sale  eo- 
minaUf  massimamente  in  Lombardia  :  e  questo 
dice  perché  le  ssle- de' palagi  de' signori  so- 
gliono essere  ben  piane  e  ben  luminose,  e 
quivi  era  lo  spasso  disuguale  et  aspro,  et 
oravi  grande  oeonrìtà».  —  98.  aateral  hm- 
rtllas  luogo  stretto  ed  oscuro  natuxmlnents 


INPERNO  -  CANTO  XXXIV 


269 


99        ch'avea  mal  suolo  e  di  lume  disagio. 
«Prima  ch'io  dell'abisso  mi  divella, 
maestro  mio,  diss'io  quando  fui  dritto, 
102        a  trarmi  d'erro  un  poco  mi  favella. 
Ov'ò  la  ghiaccia?  e  questi  com'è  fìtto 
si  sottosopra?  e  come  in  si  poc'ora 

105  da  sera  a  mane  ha  fatto  il  sol  tragitto?  » 
Ed  egli  a  me  :  «  Tu  imagini  ancora 

d'esser  di  là  dal  centro,  ov'io  m'appresi 

106  al  pel  del  vermo  reo,  che  il  mondo  fora. 
Di  là  fosti  cotanto,  quant'io  scesi; 

quand'io  mi  volsi,  tu  passasti  il  punto 
111       al  qoal  si  traggon  d'ogni  parte  i  pesi: 
e  se' or  sotto  l'emisperio  giunto, 
ch'ò  contrapposto  a  quel  che  la  gran  secca 
114        coperchia,  e  sotto  il  cui  colmo  consimto 
fu  l' uom  che  nacque  e  visse  senza  pecca; 
tu  hai  i  piedi  in  su  picciola  spera, 
117        che  l'altra  faccia  £&  della  Giudecca. 
Qui  ò  da  man,  quando  di  là  è  sera: 
e  questi,  che  ne  fé' scala  col  pelo, 
120       fitto  ò  ancora,  si  come  prim'era. 
Da  questa  parte  cadde  giù  dal  cielo: 


(cfr.  Diez  74)  :  in  Firenze  si  darà  il  nome  di 
BmtttatSlB  Anguste  cuoeri  ricavate  dalle  celle 
dair  antico  aniiteatro;  ma  presto  il  nome 
•flqoistft  irfgn«<''<«*^  generico  (cfir.  P.  Toynbee, 
nel  Giom.  dar.  deUa  tett.  U.  yoL  XXXYIH, 
pp.  71-77).  —  100.  den'Sbifse  ecc.  mi  di- 
parta dall'infèrno,  detto  oMmo  andie  in  Inf. 
if  8,  24,  ZI  6,  Pitrg,  i  46.  — 102.  a  trarmi 
eoe.  pariami  per  toglier  l'errore,  nel  quale  io 
tono:  la  toma  trro  (lat.  irror\  ancor  viva 
neU*  uso  popolare  toaoano,  non  d  rara  negli 
antiolii  scrittori.  — 108.  Of'è  ecc.  Tre  ponti 
osoari  tenerano  dabbioso  Dante:  ore  fosse 
la  gbiacda;  pexobó  Lndfeio  fosse  capoyolto; 
come  dalla  sera  fosssr  passati  cosi  presto  al 
mattino.  Virgilio  |^  chiarisce  ogni  dabUo  si 
rispetto  a  Lndtoo  e  alla  gftiacnia,  si  rispetto 
aU'oia.  —  107.  Al  là  dal  eeatras  neU'emi- 
«fero  soperiors,  ore  eravamo  quando  io  mi 
appigliai  al  corpo  di  Lucifero.  —  106.  Terme 
ne  ecc.  Lucifero  ohe  passa  da  una  parte  al- 
l' altra  déDa  tetra,  avendo  il  suo  mezzo  nel 
centro  di  essa:  sul  nome  fermo  ofr.  Zn/l  vi  22. 
— 110.  Il  fusU  ecc.  il  centro  della  terra,  ohe 
è  anche  fl  centro  di  tutto  il  sistema  cosmico, 
U  peso  del  quale  gravita  tutto  su  quel  punto 
(efir.  inf.  zzzn  78)  :  è  traduzione  di  un  passo 
di  Aristotele,  Deeoeio  n  14.  — 112.  e  se*er 
•oc  e  ora  sei  nell'  intesno  della  terra,  ma 


nell'  emisfero  inferiore  diametralmente  oppo- 
sto all'emisfero  superiore,  ohe  è  ricoperto  diUla 
superficie  teeea  e  ha  per  centro  Gerusalemme. 
— 114.  sette  11  cui  colme  ecc.:  il  meridiano 
teirostre  nell'emisfero  superiore  sta  sepia 
e  col  suo  piA  alto  punto  »  alla  dttà  di  Gerusa- 
lemme (ofr.  I\Hrff,  n  1  e  segg.),  ove  Cristo 
ebbe  la  passione.  — 116.  l'nom  ecc.  :  cfr.  Inf, 
IV  58.  —  116.  ta  hai  ecc.  tu  sei  sopra  un  pio- 
colo  spazzo  droolare  ohe  corrisponde  a  quello 
che  nell'altro  emisfero  forma  la  Giudecca,l' ul- 
timo e  più  piccolo  dei  giri  di  Codto.  Questa  ò 
la  risposta  alla  prima  domanda  di  Dante:  ove 
fosse  la  ghiacda  (cfr.  v.  103).  —  118.  Qui  è 
da  man  ecc.  Questa  ò  risposta  alla  terza  do- 
manda di  Dante  (ofr.  v.  104-105)  :  si  veda  la 
nota  al  Par.  i,  43.  —  119.  e  questi  ecc.  : 
risponde  alla  seconda  domanda  (cfr.  w.  103- 
104),  mostrandogli  che  Lucifero  ò  ancora  con- 
fitto come  quando  cadde  dal  cielo  e  come  essi 
l'avevano  veduto. — 121.Da  questa  parte  ecc. 
Lucifero,  folgorato  da  Dio,  precipitò  dal  cielo 
verso  la  terra  (Isaia  ziv  12,  15,  Luca  x  18, 
ApoeaL  xu  9  ecc.)  dalla  parte  dell'  emisfero 
inferiore  ;  e  la  terra,  che  prima  occupava  que- 
sto emisfero,  si  abbassò  per  paura  di  lui  che 
cadeva  e  si  ritrasse  figgendo  sotto  le  acque 
verso  l'eniisfero  superiore:  poi  trovandosi  a 
contatto  di  Lucifero  nel  centro,  quella  parte 


270 


DIVINA  COMMEDIA 


e  la  terra,  che  pria  di  qua  si  sporse, 
123       per  paura  di  lui  fé'  del  mar  velo, 
e  Yenne  all'erniq^io  nostro;  e  forse 
per  fuggir  lui  lasciò  qui  il  loco  vóto 
126        quella  che  appar  di  qua,  e  su  ricorse  ». 
Loco  è  là  giù,  da  Belzebù  rimoto 
tanto  quanto  la  tomba  ai  distende, 
129       che  non  per  vista,  ma  per  suono  ò  noto 
d'un  ruscelletto,  che  quivi  discende 
per  la  buca  d'un  sasso,  ch'egli  ha  róso, 
132       col  corso  ch'egli  avvolge,  e  poco  pende. 
Lo  duca  ed  io  per  quel  cammino  ascoso 
entrammo,  a  ritornar  nel  chiaro  mondo; 
135        e  senza  cura  aver  d'alcun  riposo 
salimmo  su,  ei  primo  ed  io  secondo, 
tanto  ch'io  vidi  delle  cose  belle 
che  porta  il  del,  per  un  pertugio  tondo: 
139    e  quindi  uscimmo  a  riveder  le  stelle. 


che  noi  di  qua  vediamo  sorgere  nell'ampiezza 
dell'oceano  nell'emisfero  inferiore  abbandonò 
il  ino  luogo,  formando  il  ynoto  ed  elevandoai 
in  forma  di  montagna,  la  montagna  del  poz^ 
gatorio.  —  124.  e  fona  eoo.  Si  oosfanisca  o 
si  spieghi  :  quMa  Una  ehs  appar  di  qua,  che 
si  sporge  fuori  del  mare  in  forma  di  monta* 
gna,  laaoiò  fon» qtdilioco  vóto,  lasciò  qneeta 
cavità  in  coi  siamo,  per  fuggir  ìiui,  per  evi- 
tare il  contatto  di  Lndfero,  •  Hoone  in  «u, 
tornò  oon  impeto  verso  la  saperfide  dell'emi- 
sfero inferiore,  formando  la  montagna.  — 127. 
liOeo  è  là  gl<  eco.  Nell'interno  della  terra, 
dalla  parte  dell'emisfero  inferiore,  ò  una  ca- 
vità ohe  si  distende  tanto  dal  centro  ov*  ò 
Lucifero  quanto  si  distendo  nella  parte  del- 
l'emisfero superiore  la  cavità  infernale;  e  l'e- 
sistenza di  qnella  cavità  ò  attestata  dal  ramo- 
rio  di  nn  macelletto  che  discende  per  essa, 
non  già  dalla  vista,  poiché  ò  tanto  stretta 
che  dal  fondo  non  si  vede  il  principio.  —  180. 
«■  raseellettoi  questo  piccolo  corso  di  acqua, 
che  scende  al  centro  della  terra  dalla  mon- 
tagna del  purgatorio,  è  il  fiume  Lete  (cfir. 
Purg,  xxvm  180  e  segg.)  che  porta  nell'  in- 
ferno le  macchie  del  peccato,  delle  quali  lo 
anime  si  mondano  nel  purgatorio,  od  ò  ima- 
ginato  in  opposizione  ai  fiumi  infernali,  che 
recano  dalla  terra  le  oolpe  degli  uomini  dan- 
nati eternamente.  —  188.  IjO  dnea  ecc.  Vir- 
gilio e  Dante  prendono  via  per  quell'oscuro 


cammino  per  use'  dalle  viscere  della  terra, 
e  senza  darsi  alcun  riposo  salgono  l'uno  die- 
tro all'  altro  sino  al  principio  deUa  cavità 
tanto  da  rivedere  il  cielo  e  le  stelle  attm- 
verso  il  buco.  ~  187.  eoM  bèlle:  ofr.  Inf.  i 
40.  —  189.  0  quindi  eoe  e  per  cotesto  Inioo 
uscimmo  alla  superficie  della  terra.  La  dorata 
del  viaggio  dei  due  poeti  dal  centro  della 
terra  all'  isola  del  purgatorio  ò  di  ventona 
ore,  dalla  mattina  dol  10  aprile  (cfr.  v.  96) 
all'alba  del  giorno  seguente;  oon  l'avvertenza 
che  anche  questo  è  10  strile,  a  cagione  del- 
l'avvenuto  cambiamento  di  emisfero  (cft. 
Fwrg,  I  19)  :  eet»!  impiegano  dunque  a  risadire 
dal  centro  quasi  lo  stesso  tempo  ch'era  biso- 
gnato a  discendere  ;  vedasi  Hoore,  pp.  58-68. 
—  stelle:  tutte  e  tre  le  cantiche  finisoono 
oon  questa  parola  per  indicare  che  il  fine  di 
tutto  il  poema  e  di  ciascuna  parte  ò  il  me- 
desimo, «  rimuovere  i  viventi  in  questa  vita 
dallo  stato  della  miseria  e  guidarli  allo  stato 
della  felicità  »  (Epis.  a  Cangrande,  %  xv)  : 
perciò  Ylnfemo  finisce  quando  Dante  eeoo 
ftiori  dalle  viscere  della  terra  a  HuMàer  k 
atelie,  il  Purgatorio  quando,  compiuta  la  sua 
purificazione,  si  senta  puro  •  disposto  a  salire 
atte  stsUó  {Purg,  xxzm  145),  e  il  Fiuradiso 
quando  sente  la  sua  volontà  e  il  suo  deside- 
rio conformi  a  quelle  di  Dio,  ohe  muove  il  sole 
e  l'altre  etelle  {Par,  zxxm  145). 


PURGATORIO 


CANTO  I 


Dante  e  Vir^rilìo,  ascendo  ali*  aperto,  si  trovano  nellMsoIetta  sa  cni  si 
eleva  il  monte  del  purgatorio  :  a  guardia  di  essa  sta  Catone  Uticense,  che, 
conosciuta  la  ragione  del  loro  yiaggio,  concede  ai  dne  poeti  di  continuare 
il  cammino  e  ammonisce  Tirgilio  di  rlcinger  Dante  con  il  giunco  delP  u- 
mi  Ita  e  di  layargli  il  viso  [alba  del  10  aprile]. 

Per  correr  miglior  acqua  alza  le  vele 
ornai  la  navicella  del  mio  ingegno, 
3       che  lascia  retro  a  sé  mar  si  crudele; 
e  canterò  di  quel  secondo  regno, 
dove  l'umano  spirito  si  purga 
6        e  di  salire  al  ciel  diventa  degno. 
Ma  qui  la  morta  possi  risurga, 
o  sante  Muse,  poiché  vostro  sono, 
9        e  qui  Calliope  alquanto  surga, 


I  1.  Per  Mrrcr  eco.  Anche  U  Mconda 
cantica  comincia  con  la  propodadone  dell' ar- 
gomento e  r  inTocadone  delle  lime  ;  e  sabito 
dalle  prime  parole  si  diffonde  un'intonazione 
pi6  serena  e  tranquilla  che  fis  presentire  il 
regno  deQe  dolci  mitesce,  della  speranxa  e 
deOa  parificazione,  nel  quale  Dante  sta  per 
entrare.  ~  2.  la  naTleella  eoo.  il  mio  inge- 
gno, ohe  ha  compiuto  la  descrizione  dell'in- 
ferno, si  prepara  a  trattare  un  argomento 
meno  doloroso;  cfr.  Cbm.  ni:  «  lo  tempo 
chiama  la  mia  nave  usdre  di  porto;  per  ohe 
dirizBito  l'artimone  della  ragione  all'Ora  del 
mio  desiderio,  entro  in  pelago  con  {speranza 
di  dolce  cammino  e  di  saloterole  porto  ecc.  ». 
—  8.  BAT  si  endele  s  materia  si  aspra  e 
eroda,  quale  ò  quella  deOa  prima  cantica.  — 
1  teeoade  regie  ecc.  D  purgatorio,  imagi- 
nato  dai  padri  della  chiesa  come  una  parte 
delle  regioni  infeme,  quasi  come  una  sezione 
dell'infèrno  (cfr.  Tomm.  d'Aquino,  Smnma, 
P.  m,  suppL,  qu.  Lziz,  art  6),  Al  concepito 
dall'Alighieri  assai  più  poetioamente;  poiché 
egli  lo  odllooò  in  una  regione  aperta  e  lumi- 
nota,  néll'  ampiezza  dell'  oceano,  sopra  un'iso- 
lettaaf^  antipodi  di  Gerusalemme:  il  secondo 
regno  è  diviso  anch'esso  in  nove  parti,  ohe 
tono  r  antipurgatorio  {Pmg.  n-a),  i  sette  oei^ 


oh!  del  purgatorio  {Purg.  x-xxm)  e  U  para- 
diso terrestre  il\arg,  xxvm-zxxm).  —  5.  si 
parga:  si  purifica,  si  emenda  doi  peccati  mor- 
tali; lo  stesso  senso  del  vb.  purgarti  d  al  v.  66 
e  in  I\Ky.  zm  83,  zxvi  92  ecc.  —  7.  Ma 
qui  la  marta  ecc.  Ma  qui  la  poesia,  che  si- 
nora ha  cantato  la  gente  morta  alla  grazia 
divina,  risorga  più  serena  e  luminosa  ;  e  fra 
tutte  le  Muse  m'inspiri  Calliope,  accompa- 
gnando il  mio  canto  oon  le  sue  dolcissime  ar- 
monie. —  moria  s  Lana  :  «  per  quello  oh' ella 
ha  trattato  pure  deUe  morte  genti  >  ;  inter- 
pretazione felice,  che  fri  accettata  da  tutti 
quasi  i  commentatori  modend.  Benv.  e  Buti 
intendono  invece  che  Dante  accenni  allo  stato 
della  poesia  ai  suoi  tempi,  come  se  fosse  stata 
negletta  e  trascurata  ;  che  ò  contro  la  storia. 
—  poesi  :  poesia  ;  voce  arcaica,  usata  anche 
nella  prosa  (cfr.  Nannucd,  Nomi  44-46).  — 
8.  0  sante  Mase;  l'invocazione  delle  Muse 
in  generale  si  ripete  poi  verso  la  fine  di  que- 
sta cantica  (Purg.  znz  87  e  segg.)  ~  polche 
vostro  SOBO  :  poiché  Dante,  come  poeta,  era 
devoto  delle  Muse,  per  le  quali  Bottri  fami, 
freddi  e  vSgiHt  {Pmg,  xzee  87);  cfr.  Orazio, 
(M.  MI  4,  21  «  Voster,  Oamaenae,  vester  in 
arduos  Tollor  Sabinos  eoo.  ».  ~  9.  Calliope: 
una  delle  nove  Muse,  spedale  protettrice  della 


272 


DIVINA  COMMEDIA 


seguitando  il  mio  canto  con  quel  suono, 
di  cui  le  Piclie  misere  sentirò 
12       lo  colpo  tal  che  disper&r  perdono. 
Dolce  color  d'orientai  zaflSro, 
che  s'accoglieva  nel  sereno  aspetto 
15        dell' aer,  puro  infine  al  primo  giro, 
agli  occhi  miei  ricominciò  diletto, 
tosto  ch'i' uscii  fuor  dell'aura  morta, 
18       che  m'avea  contristati  gli  occhi  e  il  petto. 
Lo  bel  pianeta  che  ad  amar  conforta 
fìkceva  tutto  rider  l'oriente, 
21        velando  i  Pesci  ch'erano  in  sua  scorta. 
Io  mi  volsi  a  man  destra,  e  posi  mente 


poesia  epica,  d  qui  invocata  a  inspirare  se- 
renità e  armonia  al  canto  ;  come  già  in  Vir- 
gilio, En,  IX  625  :  «  Vos,  o  Calliope,  precor, 
adspirate  canenti».  La  forma  oesitona  ri- 
sponde alle  regole  date  per  i  nomi  gred  nel 
leesioo  di  Giovanni  da  Genova  (cfr.  Parodi, 
Bull,  m  106).  —  alquanto  inrga  t  si  elevi 
nobilitando  la  mia  poesia  ;  ofr.  Ovidio,  HM. 
V  888  :  e  Sorgit,  et  immiasos  hedera  oollecta 
capillos  Calliope  quemlaa  praetentat  pollice 
chordas  Atqae  haec  percossis  sabinnglt  car- 
mina nervis  >.  —  11.  di  eoi  le  Plelie  eco. 
Accenna  alla  favola  mitologica  delle  figlie 
di  Pierio,  re  di  Tessaglia,  le  quali,  avendo 
osato  di  sfidare  al  canto  le  Hose,  furono 
vinte  da  Calliope  e  trasformate  in  piche  (ofr. 
Ov.  Met,  V  802  e  sogg.).  — 12.  che  diiverir 
eoo.  :  poiohó  le  ninfe,  chiamata  a  giudicare 
la  tenaono,  ebbero  sontenziato  in  fisvore  delle 
Muse,  le  flfl^e  di  Pieiio  non  volevano  rico- 
noscere la  loro  inferiorità,  sebbene  noli*  in- 
temo dell'animo  loro  sentiisero  di  quanto  il 
loro  canto  fosse  inferiore  a  quello  delle  di- 
vine sorelle  :  ecco  perché  esse  disperarono 
di  ottenere  perdonanza.  —  18.  Dolee  oolor 
eco.  Passando  dall'  inferno  al  purgatorio. 
Dante  esce  dalle  tenebre  alla  luce,  dal  re- 
gno dell'oscurità  profonda  e  incresdosa  a 
quello  degli  splendori  puri  e  lieti,  e  la  prima 
impressione  è  quella  dell'uomo  die,  liberato 
dall'  oppressione  d' eeser  chiuso  in  luogo  buio, 
alza  gli  occhi  al  dolo  e  s'innebria  della  luco 
che  lo  drconda.  Dice  dunque  che  il  colore 
dolcemente  azzurrino  che  appariva  nell'axia 
purissima  fino  ali*  estremo  orizzonte  fece  pro- 
vare nuovamente  ai  suoi  occhi  un  diletto,  al 
quale  non  erano  più  avvezzi  fino  da  quando 
egli  era  entrato  neU'  inUsmo.  —  orieatal  zaf- 
firo: Buti:  e  questa  ò  una  pietra  preziosa 
di  colore  biadetto,  ovvero  celeste  et  azzurro, 
molto  dilettevole  a  vedere  ; ...  e  sono  due 
spedo  di  zaffiri  :  l'una  si  chiama  l'orientale, 
perché  si  trova  in  Media  ch'ò  nell'oriente, 
e  questa  ò  melliore  che  l'altra  e  non  trslu- 


ce  ;  r  altra  si  chiama  per  divord  nomi,  oo- 
m'ò  di  diversi  luoghi  ».  —  14.  cke  i'ace»- 
gllOTA  eoo.  Lomb.  :  «  esprime,  credo,  la  ca- 
gione dell' i^parenza  di  ootal  colore,  dall'am- 
mucchiamento dell'aria,  quad  dica  die  pei 
molti  strati  dell'aria  veniva  ad  adunarsi  eoo.  » 

—  15.  primo  giro  t  il  primo  tn  i  oeroht  della 
sfera,  l'orizzonte,  dcoome  quello  che  solo 
è  parvente  e  serve  alla  determinazione  di 
tutti  gli  altri  ;  cosi  spiega  giustamente  l'An- 
toneUi  (ofr.  F.  Angditti,  Le  rtgimH  déWaria 
nella  Div,  Cbimn.,  Palermo,  1899).  Ma  i  vec- 
chi commentatori  dal  Lana  al  Vent  credet- 
tero aooennato  il  dolo  della  luna  (ofr.  If^. 
n  76),  e  il  Lomb.,  il  primo  e  più  alto  giro 
delle  stelle  doò  il  primo  mobile.  —  17.  del- 
l' asm  morta  t  dell'  aria  osonra  dell*  inferno. 

—  18.  m*ftTea  eco.  :  accenna  aU'eflétto  fidoo 
e  morale  del  viaggio  per  le  regioni  infamali, 
increscioso  ai  send  e  all'animo.  —  19.  Le 
bel  piaaeta  ecc.  Il  momento,  che  i  due  poeti 
uscirono  all'aperto  sull'isdetta  dd  purgato- 
rio, fti  tra  le  4  e  le  5  antimeridiane  del  giorno 
di  Pasqua,  10  aprile  1800  ;  momento  dte  Dante 
designa  dicendo  ohe  il  pianeta  di  Venere  (cfr. 
f^.  xxvn  95)  risplendeva  dalla  parte  di 
oriente  velando  con  la  sua  luce  quella  della 
coetellarione  dd  Fesd:  ohe  risponde  al- 
l'indrca  a  duo  ore  innanzi  al  sorgere  dd 
sole.  Per  le  quistloni  astronomiche  su  questi 
verd  cfr.  Ferrazd  V  67-69  ;  Moore,  pp.  68- 
71;  e  P.  Angelittt,  BulL  Vm  216-217.  — 
ad  uua  eonfortai  cfr.  Ptur,  vm  1-6.  —'21. 
velando  eco.  ofr.  Oonv,  u  14:  e  {Mercurio] 
più  va  velata  de'  raggi  dd  sole  che  null'd- 
tra  stoUa».  —  ek' erano  !■  ama  scorta: 
oh'  erano  in  congiunzione  con  la  stalla  di  Ve- 
nere. —  22.  Io  ■!  Tolsi  ecc.  Dante  volgen- 
dod  alla  destra,  doò  verso  il  pdo  antartico, 
vede  quattro  stelle;  ddle  quali  gli  antichi 
commentatori.  Lana,  Ott.,  Benv.,  Buti^  In. 
fior,  eoe,  seguiti  dd  moderni,  oonoordemonte 
affermano  che  hanno  un  significato  simbolico, 
rappresentando  le  quattro  virtù  cardinali  (pru- 


PUEGATORIO  -  CANTO  I 


273 


all'altro  polo,  e  vidi  quattro  stelle 
24        non  viste  mai  fuor  clie  alla  prima  gente. 
Goder  pareva  il  ciel  di  lor  fiammelle: 
o  settentrional  vedovo  sito, 
^        poiché  privato  sei  di  mirar  quelle! 
Com'io  dal  loro  sguardo  fui  partito, 
un  poco  me  volgendo  all'altro  polo 
30        là  onde  il  Carro  già  era  sparito, 
vidi  presso  di  me  un  veglio  solo. 


denza,  giustìzia,  forteoa,  temperanzaX  a  qnol 
modo  che  le  tre  ttalle  ohe  vedrà  più  tardi 
(Purg,  vm  89-98)  aimbdeggiano  le  tre  virtù 
teoIegaU  (fede,  speranza,  carità)  :  di  dd  non 
à  può  dubitare  perché  le  quattro  virtù  ear- 
dioali  nel  paradiso  terrestre  appariscono  poi 
penonificate  in  quattro  belle  flanciiille,  che 
cantano  (i^.  zxzx  106):  «Noi  sem  qui 
ninfe  e  nel  del  seme  stelle  ».  Ma  la  questione 
fetta  dai  moderni  ò  se  Dante  imagfnawwe  egli 
resistettxa  dì  cotesto  quattro  stelle,  sol»- 
aente  per  attribuii  loro  un  signifioato  sim- 
bolioo,  o  se  invece  conoscesse  la  esistenza 
deU»  quattro  beUissinie  stelle  della  costella- 
zione del  Centauro,  le  quali  formano  la  cosi 
detta  Oro»  del  sud,  non  lungi  dal  polo  an- 
tartico: le  oonclosioni  delle  molte  ricerche 
fette  a  questo  proposito  sono  die  Dante  po- 
teva conoscere  resistenza  della  Once  dal  tud^ 
o  almeno  averne  avuto  una  vaga  idea  da  al- 
cuno due  avesse  viaggiato  in  Oriente;  ma 
per  il  sflenzio  dd  commentatori  antichi  d 
deve  credere  die  egli  imaginasse  poetioa- 
mento  ooteste  quattro  steUe,  per  feme  il  sim- 
bolo delle  virtù  cardinaU  (cfr.  gii  scritti  in- 
djaiti  dal  Fertazd  H  688,  IV  14S,  146-146). 
—  24.  alla  prlsia  gente  :  tre  interpretazioni 
d  danno  i  commentatori  antidii  di  questa 
genie  che  vide  le  quattro  stelle:  il  Lana  dice 
esser  gli  uomini  dell'  età  di  Saturno  o  del- 
l'oro (cfr.  Inf.  ziv  106);  Benv.,  gli  antichi 
romani  die  praticarono  le  virtù  (dta  sanfA- 
gostino.  De  em.  Dei  zv  :  «  ostendit  Deus  in 
opulentissimo  regno  romanorom  quantum  d- 
viles  Tiitotes  valeant  etiam  sino  vera  rdi- 
gione  »)  ;  e  il  Bnti,  Adamo  ed  Sva  i  quali 
dimorando  nel  paradiso  terrestre  (cfr.  Pi^g, 
zxvm  91-94)  potevano  vedere  le  stelle  dd 
pdo  antartico:  quest'ultima  interpretazione 
è  aoosttata  da  tatti  i  moderni,  sebbene  quella 
a  Benv.  convenga  meglio  al  valore  pura- 
mente simbolico  delle  stelle.  —  26.  Goder 
pareva  eoo.  n  ddo  che  sovrasta  al  regno 
della  poriflcadone  appariva  rallegrato  dalla 
luce  deQe  virtù  cardinali  ;  la  qude  non  ri- 
iplende  più  al  mondo  degli  uomini,  che  quelle 
virtù  abbandonarono  per  seguire  il  vizio.  — 
28.  €oai*io  eoo.  Yolgendod  verso  sinistra, 
doè  verso  il  polo  artico,  Dante  vede  la  dir 

DAMm 


gnitosa  figura  di  un  vegliardo  che  gì' inspira 
un  sentimento  di  profendo  rispetto,  non  solo 
per  la  nobiltà  dd  sembiante,  ma  spedd- 
mente  perché  appare  fregiato  dalla  luce  delle 
virtù  dvOL  —  80.  là  onde  U  Carro  ecc. 
dalla  quale  parte  a  noi,  ohe  eravamo  nell'e- 
misfero inferiore,  non  appariva  più  la  costd- 
lazione  dd  Oexto  di  Boote  o  dell'  Orsa  mag^ 
giore,  che  appare  invece  a  chi  è  ndl'  emi- 
sfero superiore  (cfr.  Bar.  zm  7).  ~  81.  un 
veglie  :  ò  M.  Foroio  Catone  Uticense,  nato 
nel  96  e  morto  nd  46  a.  0.,  il  qude  per 
tutta  la  vita  fe  ardente  difensore  della  libertà 
romana  :  da  giovine  aveva  concepito  il  pen- 
siero di  liberare  Boma  dalla  tirannide  di 
Siila,  uoddendolo,  e  combatto  con  onore  nelle 
guerre  di  Spartaco  e  di  Macedonia;  fetto  tri- 
buno dd  popdo,  d  condlid  l'affetto  di  tutti 
i  dttadini,  e  con  Cicerone  fu  dd  più  fieri 
peivecutori  di  Catilina:  d  oppose  inutilmente 
al  primo  triumvirato,  e  poi  d  fece  seguace 
di  Pompeo,  nel  qude  vedeva  il  sdo  capace 
di  serbare  gli  ordini  repubblicani;  ma,  trion« 
fendo  da  ogni  parte  (Hulio  (tesare.  Catone 
d  ritirò  in  litica,  ove  per  non  sopravivere 
alla  rovina  della  libertà  d  uccise  di  propria 
mano.  Oli  antichi  ne  fecero  come  il  tipo  del- 
l'uomo amante  ddla  patria  e  delle  virtù  ci- 
vili; e  il  suo  nome,  droondato  da  questa 
gloria,  passò  attraverso  il  medioevo  sino  a 
Dante,  il  qude  in  più  luoghi  delle  sue  opere 
ne  fe  dtìsdme  lodi  {Cfono.  iv  6,  27,  26,  De 
man.  u  6).  Non  deve  quindi  parere  strano 
che  l'Alighieri,  con  quella  libera  elezione 
che  d  concede  d  poeti,  di  questo  pagano  e 
sddda  feoesse  11  custode  dd  purgatorio:  già 
l'idea  prima  può  essergli  venuta  da  "Virgilio, 
il  qude  Imaginò  raflSgurato  (datone  ndlo  scudo 
di  Vulcano  come  capo  e  guida  degli  uomini 
virtuod  {Eit.  vm  670  :  e  Secretosque  pios  : 
bis  dantem  iura  Catonem  >);  e  in  quesf  idea 
l'avrà  confermato  il  giudido  ch'd  feoeva 
dd  sacrifido  di  CJatone,  die  mori  per  accen- 
dere negli  uomini  l'amore  della  libertà  {De 
moti.  1.  dt  :  e  Accedit  et  Ulud  inenarrabile  sa- 
crìfldum  severissimi  libertatìs  anctoris  Hard 
Catods,  . . .  [qui]  ut  mundo  Ubertatis  amo- 
rom  acoenderet,  quanti  libertas  esset  osten- 
dit, dum  e  vita  liber  decedere  mduit,  quam 

18 


274 


.     DIVINA  COMMEDIA 


degno  di  tanta  riverenza  in  vista, 
33        che  più  non  dèe  a  padre  alcun  figliuolo. 
Lunga  la  barba  e  di  pel  bianco  mista 
portava,  a' suoi  capegli  simigliante, 
86        de*quai  cadeva  al  petto  doppia  lista. 
Li  raggi  delle  quattro  luci  sante 
fregiavan  si  la  sua  faccia  di  lume, 
39        eli'  io  '1  vedea  come  il  sol  fosse  davante. 
€  Chi  siete  voi,  che  contro  al  cieco  fiume 
fuggito  avete  la  prigione  etema? 
42        diss'ei,  movendo  quell'oneste  piume. 
Chi  v'ha  guidati?  o  chi  vi  fu  lucerna, 
uscendo  fuor  della  profonda  notte, 
45        che  sempre  nera  fa  la  valle  infema? 
Son  le  leggi  d'abisso  cosi  rotte? 
o  è  mutato  in  ciel  nuovo  consìglio, 
48        che  dannati  venite  alle  mie  grotte?» 
Lo  duca  mio  allor  mi  die  di  piglio, 
e  con  parole  e  con  mano  e  con  cenni, 
61        riverenti  mi  fé' le  gambe  e  il  ciglio. 


gine  Ubertate  renumore  in  Illa  »  :  cfir.  Cioe- 
rone,  i>«  off",  i  81),  e  però  appAiìra  ben  de- 
gno di  essere,  egli  Tiglio  difensore  della  lir 
bextà  dvlle,  U  onstode  del  secondo  regno, 
oYe  le  anime  procedono  all'acquisto  della  li- 
bertà morale,  che  di  quella  ò  il  primo  e  11 
più  saldo  fondamento.  Intorno  al  Catone  dan- 
tesco si  cfr.  G.  Wolf,  Caio  dttr  jùngen  bei 
Danlt  nel  Jahrbueh  dtr  d&uitohm  DarU^-Od- 
telltehaft,  a.  1870,  toL  II,  pp.  225  e  segg.; 
a.  P.  aezìoi,  Studi  vaH  nUla  Dw.  Oomm,, 
Città  di  Castello,  1888,  pp.  1-40;  JL  Bartoli, 
St.  delia  leu.  ÌL,  toL  VI,  parte  i,  pp.  198- 
206;  G.  Grescimanno,  Fiifure  dantesche^  Ve- 
nezia, 1893;  Moore  1 170  e  231  ;  BuU.  H  74, 
VI  149,  Vm  76.  —  82.  in  Tlstox  alla  tìsU, 
all'aspetto;  locuzione  frequente  in  Dante; 
cfr.  y.  79  e  Purg.  x  81,  xzzn  147,  Far,  ix  68 
epe.  —  88.  che  pid  bob  d4e  eco.  Dante,  De 
mon,  m  8:  «  illa  reverentLa  ftotus,  quam  plus 
filiuB  debet  patri,  quam  plus  filios  matri  eoo.  »: 
ma  l'idea  di  paragonare  il  rispetto  doTuto  a 
Catone  con  quello  dovuto  al  padre  fu  forse 
suggerito  al  poeta  da  Lucano,  il  quale  dice  di 
Catone  {Fare*  ce  601)  :  «  Ecce  pareus  verus 
patrìae,  dignissimus  ads,  Boma,  tuia  ».  —  34. 
Lmnga  la  barba  ecc.  La  descrizione  ricorda 
i  Tersi  di  Lucano,  J^lirs.  u  878,  di  Catone  : 
«  Ut  primum  tolli  feralia  Tlderat  arma  In- 
tonsos  rigidam  in  fh>ntem  descendere  canoa 
Passus  eiat,  moestamque  genia  incresoere  bar- 
bam  ».  —  86.  doppia  lista:  due  lunghe  cioo- 
che  di  bianchi  capelli  cadenti  sul  petto.  — 


87.  LI  raggi  ecc.  :  vuol  dire  ohe  nel  Tolto 
di  Catone  risplendoTano  le  ylrtd  cardinali, 
come  se  fosse  stato  illuminato  dalla  luce  della 
grazia  diTina.  —  40.  CU  sleift  Tol  ecc.  Ca- 
tone, ignorando  ohi  siano  i  due  Tisitatori,  e 
credendoli  due  dannati  fbggiti  dall'inferno, 
prorompe  in  parole  misto  di  meraviglia  e  di 
sdegno,  alle  quali  Virgilio  si  albetta  a  rispon- 
dere mianifestando  la  condizione  sua  e  del 
compagno.  —  contro  al  cltM  flvae:  risa- 
lendo il  corso  del  fiumicello,  ohe  metto  in 
comunicazione  il  centro  della  terra  con  l'iso- 
letta  del  purgatorio.  ~  42.  omeste  piarne  *. 
barba  Toneranda  ;  cosi  Orazio,  Od,  it  10,  2 . 
«  Insperata  tuae  cum  Teniet  piuma  superùae, 
Et,  quae  nunc  humexls  inTolitant,  dedderint 
comae  ».  —  48.  chi  t1  fa  ecc.  chi  Ti  ha  il- 
luminato l'oscuro  cammino?  —  46.  Sob  le 
leggi  ecc.  Avete  voi  Tiolato  le  leggi  infor- 
nali, che  proibiscono  ai  dannati  d'uscire  dal 
luogo  ove  sono  confinati,  oppure  In  cielo  ai 
ò  fatta  una  nuova  legge,  che  permetto  ad 
alcun  dannato  di  uscire  dall'  inferno  ?  —  48. 
alle  mie  grotte:  ai  luoghi  sottoposti  alla 
mia  vigilanza,  ai  cerchi  del  monto  sacro  (cfir. 
Inf,  ZZI  110).  —  49.  Lo  duca  ecc.  Virs^, 
desideroso  di  rispondere  subito  a  Catone,  non 
può  rivolgere  un  lungo  discorso  al  suo  com- 
pagno; però  alle  poche  parole,  con  le  quali 
gli  accenna  11  grande  personaggio,  accompa- 
gna atti  opportuni  perché  Danto  s' inginoochi 
e  abbassi  gli  occhi  per  segno  di  riverenza. 
->  mi  die  di  pigilo  :  mi  afferrò  ;  ò  la  stessa 


PURGATORIO  -  CANTO  I  276 


Poscia  risposa  lui  :  <  Da  me  non  venni  ; 
donna  scese  del  ciel,  per  li  cui  preghi 
54        della  mia  compagnia  costui  sovvenni. 
Ma  da  eh' è  tao  voler  che  più  si  spieghi 
di  nostra  condizion  com'ella  è  vera, 
57        esser  non  paote  il  mio  ohe  a  te  si  neghi. 
Questi  non  vide  mai  l'ultima  sera, 
ma  per  la  sua  follia  le  fu  si  presso, 
60       che  molto  poco  tempo  a  volger  era. 
Si  come  io  dissi,  fui  mandato  ad  esso 
per  lui  campare,  e  non  v'era  altra  via 
63        che  questa  per  la  quale  io  mi  son  messo. 
Mostrato  ho  lui  tutta  la  gente  ria; 
ed  ora  intendo  mostrar  quelli  spirti, 
66        che  purgan  sé  sotto  la  tua  balia. 

Come  io  l'ho  tratto,  saria  lungo  a  dirti: 
dell'alto  scende  virtù  che  m'aiuta 
69       conducerlo  a  vederti  ed  a  udirti 
Or  ti  piaccia  gradir  la  sua  venuta; 
libertà  va  cercando,  che  è  si  caray 
72        come  sa  chi  per  lei  vita  rifiuta. 

Tu  il  sai,  che  non  ti  fu  per  lei  amara 
in  litica  la  morte,  ove  lasciasti 
75       la  vesta  che  al  gran  di  sar&  si  chiara. 
Non  Bon  gli  editti  eterni  per  noi  guasti; 

>  dàSTAf.  zzrr  24.  —  62.  Da  me  femo.  —  66.  «oelll  ipirtl:  le  anime  del  por- 
Ma  naaì  eoo.  Non  Tenni  ipontaneamente  gatoilo.  —  69.  a  Tedtrtl  ed  a  «dirti  t  a 
a  foerto  viaggio,  ma  per  imito  di  una  donna  viaitare  il  tao  regno  e  a  sapere  da  te  in  qoal 
«iMte,  Beatrioe  (cfr.  ih/,  n  62-76).  —  66.  modo  egli  possa  peroonere  le  regioni  del  por- 
eke  pli  ti  spleg hi  eoo.  die  meglio  si  di-  gatorio.  —  71.  libertà  eoo.  egli  la  questo 
ddaà  qnai  ai*  veramente  la  nostra  oondi-  viaggio  per  liberarsi  dal  vislo,  per  aoqaistace 
dona.  —  60.  vera  :  agg.  in  AmiAone  awer-  a  sé  qoeUa  libertà  morale  oh*  è  si  caia  agli 
Uile;  oosi  nel  C<mx.,  p.  liO  :  <  La  nemica  animi  nobili,  oome  sanno  ooloio  ohe  eleggono 
figua...  Vaga  di  sé  medesma  andar  mi  lane  di  morire  liberi  più  tosto  die  vivere  nella 
Colà  dov*  ella  è  vera  ».  —  68.  4}nestl  non  servita.  La  libertà  ooroata  da  Dante  ò  quella 
vide  ecc.  Il  mio  compagno  ò  ancora  vivo,  dello  spirito  (cfr.  Purg,  xov  141,  zxvu  116, 
Màbene  per  san  follia  si  sia  trovato  smarrito  JPar,  xxxi  86),  la  quale  ò  U  fondamento  della 
ia  una  selva  e  vicinissimo  alla  morte.  Alle-  libertà  civile,  cui  Catone  sacriflcò  già  la  vita, 
gorioamente  a'  intenda  che  Dante  non  aveva  —  78.  Tn  11  sai  ecc.  Tu,  che  per  non  so- 
mai  perduto  U  grazia  divina,  ma  fu  assai  vi-  pravivere  alla  rovina  della  libertà  romana 
«ano  a  perderia,  quando  allontanandosi  dal-  ti  togliesti  la  vita  in  Utioa,  sai  per  esperienza 
Taso  dèlia  ragione  si  trovò  in  balia  dei  vizi  ;  propria  quanto  amore  gli  animi  nobili  pon- 
ftaàà  le  parole  di  Virgilio  non  sono  altro  gano  alla  libertà.  —  76.  la  veata  eoe  la 
ehe  la  siniaei  dell' allegorìa  fondamentale  con-  veste  corporea,  che  nel  giorno  della  resur- 
,  neU*^.  z.  —  60.  molto  poeo  eco.  rezione  e  del  giudizio  finale,  apparirà  ciioon- 


•  tempo  sarebbe  passato  e  poi  egli  fusa  dello  splendore  della  sua  gloria  puris- 

iBtbbe  stato  perduto,  se  non  avesse  avuto  sima  (oCr.  Pur.  sv  43  e  aegg.).  —  76.  Non 

Faiato  dalla  ragione  e  della  fède.  —  61.  fisi  son  gU  editti  ecc.  Vedi  dunque  che  noi  non 

;  cfr.  Mf.  n  68-69.  —  62.  e  abbiamo  violato  alcuna  delle  leggi  infernali; 


■sa  ¥*««  eee.  :  ofr.  ^.  i  91  e  segg.,  112-      poiché  il  mio  compagno  è  ancora  vivo,  e  io 
lae.  —  6A.  la  geate  riai  i  dannati  doli'  iik-      non  sono  fi»  i  dannati  soggetti  a  Hlnos,  il 


276 


DIVINA  COMMEDU 


elle  questi  vive  e  Miuos  me  non  lega, 
78       ma  son  del  oercMo  ove  son  gli  occhi  casti 
di  Marzia  tua,  die  in  vista  ancor  ti  prega, 
0  santo  petto,  che  per  tua  la  tegni: 
81       per  lo  suo  amore  adunque  a  noi  ti  piega. 
Lasciane  andar  per  li  tuoi  sette  regni: 
grazie  riporterò  di  te  a  lei, 
84       se  d'esser  mentovato  là  giù  degni  »• 
«Marzia  piacque  tanto  agli  occhi  miei, 
mentre  ch'io  fui  di  là,  diss'egli  allora, 
87       che  quante  grazie  volle  da  me,  fei. 
Or  che  di  là  dal  mal  fiume  dimora, 
più  mover  non  mi  può  per  quella  legge 
90       che  £atta  fu  quando  me  n'uscii  fuora. 
Ma  se  donna  del  ciel  ti  move  e  regge, 
come  tu  di',  non  c'è  mestier  lusinghe; 
93       bastiti  ben  che  per  lei  mi  richegge. 
Va  dunque,  e  fa  ohe  tu  costai  ricinghe 
d'un  giunco  schietto,  e  ohe  gli  lavi  il  viso 
96       si  che  ogni  suoidune  quindi  stìnghe; 


giudico  dell'inferno,  ma  nna  delle  anime  del 
limbo.  —  77.  Mlmei  eco.  Mino*  non  mi  ha 
in  soa  balla  ;  infatti  la  giozisdizione  del  gin- 
dioe  infernale  inoominda  al  eeoondo  oerchio 
(ofr.  Inf,  ▼  4  e  eegg.).  —  78.  dal  cerchio 
eoo.  del  primo  oerchiOi  ore  risplendono  gli 
ooohi  delia  toa  Marzia,  la  qnale  ti  serba  an- 
cora fèdeliasimo  il  cuore  e  per  la  qnale  io  ti 
prego  a  concedord  rolentieri  il  permeeao  di 
yìsitare  il  porgatoiio.  —  79.  Manda:  cfr. 
Inf,  IT  128.  —  80.  0  tanto  pdtox  cfr.  Oowo. 
IT  5  :  e  0  noratissimo  petto  di  Oatone,  ohi 
presumerà  di  te  parlare?  »  ~  82.  tvol  sotto 
regni:  1  sette  cerchi  del  pnigatoxio,  già  da 
Oatone  chiamati  «  nde  grotto  »  (v.  48),  pei> 
chó  alla  sna  TigUanza  sono  affidati  g^  spi- 
riti del  secondo  regno  (y.  66).  —  86.  Marzia 
eco.  Catone,  senza  rinnegare  i  dolci  Tincoli 
d'alletto  ohe  già  l'aTOTano  legato  alla  sna 
donna,  Tnol  pnre  mostrarsi  Indifferento  alle 
lusinghe  di  lei  ;  poiché  il  suo  officio  presento 
non  gli  permetto  d' ascoltare  sltre  Toci,  fuori 
di  quelle  che  vengono  dal  cielo.  —  88.  dllà 
dal  mal  flnino  :  al  di  là  dell'  Acheronto  (cfr. 
Inf,  m  78),  oltre  il  quale  chi  entra  nell'  in- 
ferno trova  il  primo  cerchio,  or*  ò  Marzia. 
—  89.  pi<  moTOr  ecc.  non  può  piti  indurmi 
a  fare  alcuna  grazia,  perché  le  leggi  divine 
separano  in  modo  assoluto  le  anime  dell'  in- 
forno da  quelle  del  purgatorio.  —  90.  cke 
fstta  eoo.  Scart:  «Catone  mori  46  anni 
avanti  la  nascita  di  Cristo,  dunque  circa  80 
anni  prima  doUa  morto  del  Salvatore.  Prima 
di  quest*  ultimo  punto,  oioò  prima  doliu  di« 


scen  diOristo  agli  inferi,  sptrifo'  umcmi  wm 
eron  aafcott  (Jbkf.  iv  68).  Oonvenà  dunque 
suppone  ohe  anche  Catone  si  ritzovasso  nel 
limbo  dalla  sua  morto  sino  alla  venuta  del 
pottmUé  {finf,  IV  68)  e  che  eg^  fosse  uno  di 
qusiM  ottH  moUi  {Inf.  iv  61),  che  fl  posaniik 
trasse  dal  limbo  s  ftùtgìi  beaH  >  :  da  questo 
considerazioni  segue  ohe  la  legge,  cui  accenna 
Catone,  ta.  Catta  quand*  egli  usci  Itaori  dal  lim- 
bo ,  non  già  quando  egli  morf  o  usci  dal  meik- 
do,  oome  erroneamente  spiegano  molti  com- 
mentatori antichi  e  moderni.  —  91.  donna  del 
eiol:  Beatrioe  (ofi:.  v. 62).  —  94.  Ta  dnafoo 
eoe.  Catone  nell'atto  di  eonoedere  ai  poeti 
il  permesso  di  visitare  il  purgatorio  aounao- 
stra  Viigilio  di  lidngere  Danto  oon  un  ramo 
di  giunco  e  di  togliergli  dal  viso  fl  nero  velo 
depositatovi  sopra  dall'aria  infiamale,  cioè  di 
predisporre  l'animo  del  discepolo  all'  nmUtà, 
e  di  allontanarne  ogni  rimembranza  dell'in- 
ferno. —  96.  flnnoo  schietto  t  questo  giunco 
mondo  e  levigato  (cfr.  Jbif,  xui  6%  ohe  cnsoe 
nella  parto  più  bassa  dell' isoletta  lungo  la 
riva  del  mare  (w.  100-102),  simboleggia  l'u- 
miltà del  cuore,  oome  spiegano  dal  Lana  in 
poi  quasi  tutti  i  oommentatori;  se  non  che 
devesi  avvertire  ohe  vmiUà  o  ttmiliià  per 
Danto  e  per  g^  altri  antichi  fti,  non  puro  la 
viltà  contraria  alla  superbia,  sf  in  generale 
lo  stato  dell'  animo  non  perturbato  dalla  pas- 
sione, la  serenità  dello  spirito  ohe  è  Awri 
del  male  e  però  disposto  a  operare  il  bene. 
—  96.  si  die  ogni  eoo.  s£  che  dal  volto  di  faii 
tu  espurghi  o  zimovm  ogni  bnittua  (nmdmm 


PURaATORIO  -  CANTO  I 


277 


chó  non  si  converria  1*  occhio  sorpriso 
d'alcuna  nebbia  andar  davanti  al  primo 
99        ministro,  oh' ò  di  quei  di  paradiso. 
Questa  isoletta  intomo  ad  imo  ad  imo, 
là  giù,  colà  dove  la  batte  l'onda, 
102       porta  de' giunchi  sopra  il  molle  limo. 
Nuli' altra  pianta,  che  facesse  fronda 
0  indurasse,  yi  puote  aver  vita, 
105       però  che  alle  percosse  non  seconda. 
Poscia  non  sia  di  qua  vostra  redita; 
lo  sol  vi  mostrerà,  che  surge  omai, 
108       prender  lo  monte  a  più  lieve  salita  >. 
Cosi  spari;  ed  io  su  mi  levai 
senza  parlare,  e  tutto  mi  ritrassi 
111        al  duca  mio,  e  gli  occhi  a  lui  drizzai. 
Ei  cominciò  :  e  Figliuol,  segui  i  miei  passi  : 
volgiamci  indietro,  che  di  qua  dichina 
114       questa  pianura  a'  suoi  termini  bassi  ». 
L'alba  vinceva  l'ora  mattutina 


eome  moids,  {I»f.  ym  10)  :  ttkigh»  è  Tooe  del 
Tb.  Mugen  (ofr.  Fazodi,  BuXL  m  108).  ~ 
97.  eW  BOB  il  eoe  perché  non  sarebbe  con- 
TAniento  andaxe,  con  roocbio  sorpreso,  offa- 
sesto  da  qualche  nebbia,  innanzi  al  primo 
angelo,  al  primo  celeste  ministro  che  vi  ap- 
psnzft  nel  purgatorio.  —  96.  primo  Mini- 
stre eco.  Sebbene  fl  primo  angelo  veduto 
dai  due  poeti  sia  quello  che  accompagna  dalla 
foce  del  Tonreie  adi'  isola  della  parificazione 
le  «Dime  elette  (cfr.  P^irg,  n  29),  è  da  rìte- 
nsie  con  Bewr.  che  Oatone  aocenni  invece 
a  qaeOo  che  siede  a  goardia  del  purgatorio 
hutanzi  all'entrata  (ofr.  I\i^,  ix  78  e  segg.)  : 
poiché  Timo  non  esercita  alcun  officio  ri- 
cetto a  Dante  e  casnale  ò  l'imbattersi  dei 
pseti  al  sao  arrivo,  mentre  l'altro  ò  posto  in 
feisdone  diretta  e  necessaria  coi  due  visita- 
toli^ si  idie  anche  Gadone  poteva  sapere  che 
essi  rsnebbero  Incontrato  alla  porta  cho 
nette  ai  totehL  — 100.  i^esia  Isoletta  ecc. 
n  gionco  del  qoale  ta  xidngerai  il  compagno 
enaoe  nel  ponto  più  basso  dell'  isola,  longo 
la  spiaggia,  ove  è  il  molle  e  fengoso  terreno 
propizio  »  questa  pianta.  —  103.  NolPaltra 
«ce  :  il  Lana  intende  rettamente  il  senso  di 
q[iusti  versi  scrivendo  ohe  Dante  t  osdnde 
ogni  atto  Atari  che  nmilità  essere  princìpio 
di  pnrgadone  »  ;  e  Benv.  compie  rinterpre- 
tazione  aggiungendo  che  le  altre  piante  sono 
shre  vìrt6,  oome  la  giustizia,  la  magnani- 
sita,  la  fiortezza,  le  qìoali  non  si  piegano  in- 
nanzi ai  colpi  delle  avversità,  e  però  non 
possono  emere  il  principio  della  pnrificazione. 
—  pianta  eoo.  :  cfr.  in  nna  canz.  già  trìbolta 


a  a.  Cavalcanti  (Val.  II  812):  «Quando con 
vento  0  con  fiume  contonde.  Assai  più  si  di- 
fende La  sottil  canna,  che  ben  piega  e  colln. 
Che  dura  quercia  che  non  si  dirende  >.  •— 
106.  non  seconda:  non  cede,  piegandosi,  ai 
colpi  delle  onde,  che  battono  la  spiaggia  (v. 
101).  —  106.  rediU:  ritorno.  —  107.  lo  sol 
ecc.  il  sole,  che  ormai  soige  (cfir.  la  nota  al 
V.  19),  vi  mostrerà  0  cammino,  per  il  quale 
dovete  accedere  al  monte,  senza  ripassare  da 
questa  parte.  —  109.  Cosf  spari  :  detto  que- 
sto, scomparve;  porche  l'officio  di  Catone, 
rispetto  ai  due  visitatori,  già  era  compiuto. 
—  B«  mi  ISTait  Dante  si  era  inginocchiato 
per  segno  di  rispetto  a  Oatone  (v.  49  e  segg.), 
ed  era  rimasto  in  tale  atteggiamento  durante 
il  colloquio,  dimostrandosi  cosi  ben  disposto 
ad  accogliere  l' avvertimento  di  Catone  circa 
l'umiltà.  —  118.  volgiamci  ecc.  Danto  e  Vir- 
gilio, usciti  dalla  via  sotterranea,  si  volsero 
od  oriente  (w.  19  e  segg.),  poi  successiva- 
mente alla  parte  meridionale  (v.  22)  :  in  quo- 
sf  ultima  situazione  videro  Catone  (v.  29-31) 
e  parlarono  con  lui;  quindi,  se  finito  il  col- 
loquio si  voltarono  indietro  prendendo  via 
verso  la  marina,  ò  manifesto  che  v'  arriva- 
rono in  direzione  della  parte  meridionale.  Si 
noti  questa  particolare  condidone,  perché  n'  ò 
agevolata  la  piena  intelligenza  dei  versi  so- 
guenti.  —  dlchlna:  declina,  discendo;  ò 
detto  anche  in  Inf,  xxvm  75,  del  piano  di 
Lombardia.  —  114.  termini  bassi:  la  spiag- 
gia, che  è  il  limite  deli' isoletta  ed  ò  anche 
il  punto  più  basso,  ad  imo  ad  imo^  di  quellA 
pianura.  —  115.  L'alba*  Tlneeva  ecc.  Varie 


278 


DIVINA  COMMEDIA 


cHe  fuggfa  innanzi,  si  che  di  lontano 
117        conobbi*  il  tremolar  della  marina. 
Noi  andavam  per  lo  solingo  piano, 
com*uom  cbe  toma  alla  smarrita  strada, 
120        che  infino  ad  essa  gli  par  ire  in  vano. 
Quando  noi  fummo  dove  la  rugiada 
pugna  col  sole,  e,  per  essere  in  pai*te 
123        ove  adorezza,  poco  si  dirada, 

ambo  le  mani  in  su  1* erbetta  sparte 
soavemente  il  mio  maestro  pose: 
126        ond'io  che  fui  accorto  di  sua  arto, 
pòrsi  Ter  lui  le  guance  lagrimose: 
quivi  mi  fece  tutto  discoperto 
129        quel  color  che  l'inferno  mi  nascose. 
Venimmo  poi  in  sul  lito  diserto, 
che  mai  non  vide  navicar  sue  acque 
132        uomo  che  di  tornar  sia  poscia  esperto. 
Quivi  nù  cinse  si  come  altrui  piacque: 
o  maravigliai  che  qual  egli  scelse 
l'umile  pianta,  cotal  si  rinacque 
136    subitamente  là  onde  la  svelse. 


intorprotAzioni  si  dAnno  di  questo  luogo. 
Quella  degli  antichi,  esposta  dal  Butl  cosi  : 
«  Ualba,  cioè  la  bianchezza  ohe  imparo  nel- 
r  Oliente  quando  incomincia  a  venlxe  lo  <{(, 
vinetva  Vara  matMìma,  dod  Torà  del  mattino, 
ohe  ò  r  ultima  parte  de  la  notte,  eh»  fiiggia 
imumxi,  cioè  a  l'alba»,  è  difesa  dal  Blanc, 
ohe  xlgnardo  alla  peisonificazione  delle  oro 
richiama  i  luoghi  del  Purg,  xn  84  e  xzn  118. 
Dei  moderni,  alcuni  prendono  Óra  per  aura 
e  spiegano  ool  Ces.  :  «  L' alba  caodava  da- 
vanti a  sé  quel  venterello,  ohe  suol  muoversi 
innanzi  al  sole,  e  che  increspando  la  marina, 
la  facea  tremolare»,  citando  poi  a  oonferma 
i  versi  del  Purg,  xziv  146-147;  altri  pren- 
dono Sra  per  ombra  e  intendono  :  «  L'ombra 
mattutina,  ossia  dell'  ultima  parte  delia  notte, 
fuggiva  davanti  all'alba  che  vittoriosa  l'in- 
calzava >  :  cfr.  Hoore,  p.  71.  —  117.  il  tre- 
■olar  della  nariaa  :  è  il  movimento  leg- 
giero delle  onde  del  mare,  che  ^pare  per  i 
riflessi  del  sole  nascente  a  chi  guardi  la  su- 
perficie delle  acque,  non  tenendo  g^  occhi 
verso  oriento,  ma  verso  l' una  delle  parti  la- 
terali *  tale  appunto  era  la  situazione  doi  due 
poeti,  che  camminando  verso  la  parte  meri- 
dionale avevano  l'oriente  alla  destra  (cfr.  la 
nota  al  v.  lld).  —  120.  Inflno  ad  essa  ecc. 
finché  non  sia  giunto  sulla  buona  via,  gli  par 
di  fare  un  cammino  inutile.  —  121.  dOTe  la 
rugiada  eco.  Lana:   «in  luogo,  dove  per 


fteddura  e  bassezza  di  luogo  -lo  raggio  del 
sole  non  avea  anoor  resoluto  la  rugiada,  quasi 
a  dire:  all'ultimo  termine  di  quell'isola». 
—  128.  ad^ressai  spira  il  rscso  (ofr.  Jn/*. 
xm  87).  —  126.  lesTentite  :  efr.  Ji/:  xix 
180.  —  126.  di  ina  arte:  del  fine  di  quel- 
l'atto, di  dò  che  Virgilio  intendeva  Une.  — 
127.  le  gaanee  lagrlmos*:  le  guance  che 
portavano  ancora  i  segni  deOe  lagrime  Tei>> 
sate  neU' infamo.  —  128.  falri  ai  ftee  eoo. 
cosi  lavandomi  con  le  mani  il  volto,  'Vigilio 
liberò  il  naturale  odore  dalle  sovrappodzioni 
caliginose,  ohe  vi  si  erano  fermate  sopra  du- 
rante il  viaggio  per  l' inferno.  —  181«  elie 
mal  eoo.  il  qual  lido  non  vide  mai  appro- 
dare, navigando  per  le  acque,  uomo  alcuno 
che  pd  riuscisse  a  tornare  indietro  (cfr.  Inf, 
XXVI  141).  —  188.  QnlTl  eco.  Sulla  riva  dd 
mare  Virgilio  mi  cinse  con  unpuneo  sdUstfo, 
seguendo  gli  ammonimenti  di  Oatone  (tt.  94 
e  segg.).  —  184.  fctise:  colse  Boe^iendda 
di  mezzo  agli  altri  giuncht  —  186.  l'vMlle 
pianta  eoo.  Dante  applica  al  giunco,  simbdo 
ddl'umiltà,  dò  che  Virgilio  dice  dd  xmmo- 
soelli  d'oro  staccati  da  Enea  (Eh,  vi  148): 
«  Primo  avulso,  non  defidt  alter  Aurens;  et 
simili  frondesdt  virga  metallo  »  ;  non  senza 
un  significato  allegorico  per  ricordare  ohe  la 
grazia  divina,  09de  procede  all'  uomo  l'umiltà 
dd  cuore,  è  inesauribile. 


PURGATORIO  -  CANTO  II 


279 


CANTO  n 


I  dne  poeti  itando  sulla  spiaggia  dell'  isola  vedono  arrivare  una  navi- 
eclla  gnidata  da  an  angelo,  dalla  qnale  discendono  molte  animo  giunto  per 
tal  modo  al  purgatorio:  tra  esse  Dante  riconosce  quella  del  suo  amico  Ca- 
sella, che  intnona  un  dolce  canto  d'amore,  interrotto  da  Catone  venuto  a 
rimproverare  le  anime  dell'  inutile  dimora  [10  aprile,  verso  le  6  antimerid.]. 

Già  erft  il  aole  all'orizzonte  giunto, 
lo  cui  meridian  cerchio  coperchia 

8  Gterusalem  col  suo  più  alto  punto, 
e  la  notte  che  opposita  a  lui  cerchia 

uscia  di  Gange  fuor  con  le  bilance, 
6        che  le  caggion  di  man  quando  soperchia; 
si  che  le  bianche  e  le  vermiglie  guance, 
là  dove  io  era,  della  bella  Aurora 

9  per  troppa  etate  divenivan  rance. 
Noi  eravam  lunghesso  il  mare  ancora, 

come  gente  che  pensa  suo  cammino, 
12        che  va  col  core,  e  col  corpo  dimora; 


II  I.  tìià  erft  eoo.  Dante  e  Viigilio  sono 
usciti  airaperto  giungendo  nell*  isolettft  tra 
lo  4  0  le  5  antimeridiane,  doò  qnalohe  tempo 
prima  del  sotgeie  del  iole  (ofr.  Pmg,  1 19): 
noi  colloquio  con  Catone  e  nell'andare  alla 
■piaggia  hanno  oonsnmato  un  pò*  di  tempo, 
ad  ora  siamo  Toreo  le  sei  del  mattino,  essendo 
già  il  sole  sall'orizEonto:  ofr.  Moore,  p.  76.  H 
poeta,  al  solito,  determina  il  tempo  in  modo 
imaginoeo,  dicendo  che  il  sole  già  era  spun- 
tato sull'orizzonte  del  purgatorio,  il  qnale 
essendo  anche  orizzonte  di  Qenisalemme  ha 
nn  dxoolo  meridiano  il  coi  zenit  o  puntopiu 
aUo  sta  sopra  a  qoeeta  città:  da  dò  segue  ohe, 
essendo  Toiizzonte  del  purgatorio  comune  a 
Gerusalemme,  i  due  luoghi  sono  antipodi  (ofir. 
Pivy,  IT  67  e  seg.).  —  4.  e  la  motte  ecc.  La 
determinazione  astronomica  contenuta  in  que- 
sti Tersi  è  fondata  sopra  un'opinione  erronea, 
che  Dante  professaTa  (cfir.  Purg.  xzm  1  e 
segg.)i  dod  ohe  Gerusalemme  fosse,  quanto 
sUa  longitudine,  equidistante  dalle  sorgenti 
deU'  £bro  e  dalle  foci  del  Gange  e  ohe  tra 
questi  due  punti  della  terra  fosse  una  distanza 
di  180  gradi;  oosf  ohe,  secondo  Dante»  l'oriz- 
zonta orientale  di  Gerusalemme  era  una  stessa 
cosa  con  il  meridiano  delle  fod  del  Gange, 
dò  posto,  egli  pezsoniflca  la  notte,  imaginan- 
do  eh'tila  giri  diametralmente  opposta  al  sole, 
opposUa  a  lui  e^rcAis,  e  passi  sucoessiTamente 
per  tutti  i  punti  della  volta  celeste  sebbene 
diffonda  la  sua  oscurità  su  tutto  l'emisfero 


superiore;  e  determina  il  tempo  dicendo  che 
allora  essa  iuoia  di  Cfange^  cioè  appnriTa  al- 
l'orienta di  Gerusalemme,  oon  le  bilanoe  doò 
nd  segno  della  libra  (nel  quale  la  notte  ò 
quando  il  sole  ò  in  Aiieta,  nell'equinozio  di 
primaTora),  dal  qual  segno  osco,  cadendole  di 
mano  le  bilance,  quando  soperchia^  quando 
essa  ò  più  lunga  del  giorno,  doò  dopo  l'equi- 
nozio di  autunno,  perché  allora  il  sole  entra 
nella  Libra  e  questa  costellarione  non  ò  più 
nell'ambito  della  notte.  —  cerehia  :  cfr.  Pwrg, 
xiT  1.  —  7.  sf  eÌM  le  bianche  eco.  Accenna 
poeticamente  ai  tre  colori  che  appariscono 
nd  dolo  al  mattino  :  il  bianco  dell'alba,  il 
vermiglio  dell'aurora,  e  il  giallo  aurato  che 
accompagna  l'apparire  del  sole.  G.  Albini, 
Ltot,  p.  16:  «  NotoTolissimo  ò  come  a  Dante, 
oosl  adoperando  Io  figure  mitologicho  con 
ardimento  quad  eccedente  la  consuetudine 
di  esd  gli  antichi,  succeda  di  dare  alle  ima- 
glni  un  senso  di  vita  per  cui  egli,  pid  che 
personificare,  umanizza  ».  —  9.  per  trop- 
pa ecc.  perché  essendo  passato  qnalohe  tem- 
po inoomindava  ad  apparire  il  sole:  cfr. 
Boco.  Dee  g.  m,  introd.  :  «  L'aurora  già  di 
Tenniglia  cominciaTa,  appressandod  il  sole, 
a  dlTenir  randa  »  :  sull'agg.  raneio  cfr.  Inf, 
xzm  100.  —  11.  eome  gente  eco.  nell'  incer- 
tezza di  chi  non  sapendo  qual  Tia  d  pren- 
dere desidera  andare  o  intanto  sta  formo; 
cfir.  L.  Puld,  Mcrg,  xxvui  81  :  «  E  come  pe- 
regrin  rimaso  in  Tia,  Che  Ta  pur  sempre  44 


280 


DIVINA  COMlfEDIA 


ed  ecco,  qtial  sul  presso  del  mattino 
per  li  grossi  vapor  Marte  rosseggia 
15       giù  nel  ponente  sopra  il  suol  marino, 
cotal  m'apparve,  s'io  ancor  lo  veggia!, 
tin  lume  per  lo  mar  venir  si  ratto 
18       che  il  mover  suo  nessun  volar  pareggia: 
dal  qual  com'io  un  poco  ebbi  ritratto 
l'occbio,  per  domandar  lo  duca  mio, 
21        rividil  più  lucente  e  maggior  fatto. 
Poi  d'ogni  lato  ad  esso  m'appario 
un  non  sapeva  die  bianco,  e  di  sotto 
24       a  poco  a  poco  un  altro  a  lui  uscio. 
Lo  mio  maestro  ancor  non  fece  motto 
mentre  che  i  primi  bianchi  apparser  ali; 
27       allor  che  ben  conobbe  il  galeotto, 
gridò:  €  Fa,  fa  che  le  ginocchia  cali; 
ecco  l'angel  di  Dio,  piega  le  mani: 


nio  cammin  diritto  Col  pensier  >,  e  la  nota 
al  T.  183.  — 18.  ed  «eeo  eoo.  e  snMtamente 
m*appar7e  uno  iplendoze  ImidiioBO,  come 
quello  dol  pianeta  Marte,  aUoiohó  all'aTrid- 
nanl  del  mattino,  nell'aurora,  appare  roeeog- 
giante  veno  occidente  por  i  vapori  densi  dai 
quali  ò  circondato.  Questo  ò  il  senso  chiaris- 
simo della  comparazione  ;  ma  non  ngoalmente 
sicnra  è  la  lezione  :  poiché  inrece  di  sul  presso 
dèi  mattino  (cosf  lessero  Benr.,  Bnti  e  i  più 
dei  moderni)  altri  leggono  sorpreso  dal  mot" 
Uno  (doò  sopraggionto  dalla  Inoe  dinma  sol- 
1*  orizzonte),  altri  suol  presso  del  mattino  (e 
intendono  poi  al  t.  14  rosseggia  come  nn 
infinito,  por  rosseggiare)]  ma  la  lezione  più 
comnne  e  più  semplice  d  in  questo  caso  la 
migliore.  A  questo  modo,  osserra  il  Blnnc, 
sono  secondo  l'uso  di  Dante  accennate  tatto 
le  circostanze:  perché  Marte  rosseggia  più 
del  solito  al  mattino,  quando  s'alzano  le  neb- 
bie; quando  egli  sta  verso  occidente,  poiché 
in  oriente  il  sole  lo  renderebbe  invisibile; 
quand'egli  si  trova  prossimo  alla  superfido 
del  mare,  ove  più  densi  sono  i  vapori.  — 14. 
per  11  grossi  vapor  eoo.  Dante  stesso  nel 
Oonv.  n  14  scrive:  <  Marte  dissecca  e  arde  le 
cose,  perché  il  suo  calore  d  simile  a  quello  del 
faoco,  e  questo  ò  quello  per  che  esso  appare 
affocato  di  colore,  quando  più  e  quando  meno, 
secondo  la  spessezza  e  rarità  delli  vapori  che 
il  seguono,  li  quali  per  loro  medesimi  molte 
volte  s'accendono,  siccome  nel  primo  della 
Meteora  è  determinato  *  :  cfr.  Par,  zrv  87.  — 
15.  gli  Bel  ponente:  nelle  parti  ocddentali; 
c£r.  0.  Villani,  Or.  i  7:  «  Atalante  abitò  in 
Africa  giù  nel  ponente,  quasi  di  contro  alla 
Spagna».  — 16.  s'io  aneor  lo  vegglat  cos£ 
lo  possa  rivedere  quel  lume  I  Dante  augura  a 


sé  stesso  la  salute  deU'  anima;  perché  non 
avrebbe  veduto  un'altra  volta  l'angelo  noo- 
oldsro,  se  non  andando  al  purgatorio,  che  è 
luogo  di  salvazione.  — 17.  «■  lane  eoe  Que- 
sto lume,  ohe  si  mostra  a  Dante  nell'  immen- 
sità del  mare  e  avanza  cosi  rigidamente  che 
nessun  vdo  può  uguagliare  la  sua  celerità, 
d  la  prima  apparizione,  ancora  indistinta  per 
la  grande  lontananza,  dell'angelo  nocchiero,  la 
coi  figura  si  va  via  via  determinando  man 
mano  ch'ei  s'awidna  alla  spiaggia,  finché 
appare  in  tutto  il  divino  s^endore  del  suo 
aspetto  che  Dante  non  può  sostenne.  —  18. 
ehe  U  mover  ecc.:  ofr.  dò  che  dice  dèlia 
barca  di  Flegias,  JH/.  vm  18  e  segg.  —  21. 
rividil  ecc.  lo  rividi  di'era  già  divenuto  più 
luminoso  e  più  grande,  perché  s'era  awid- 
nato  alla  spiaggia.  —  22.  Pei  d'ogni  ecc. 
Alla  destra  e  aUa  sinistra  del  lume  Danto 
incomincia  a  distinguere  una  massa  bi^^Tlfn^ 
quella  delle  ali,  e  poi  a  poco  a  poco  un'altra 
massa  bianca,  quella  delle  vesti,  nella  parte 
inferiore.  —  26.  Lo  mio  Maestro  eco.  Vir- 
gilio non  pariò  sino  a  tanto  ohe  ebbe  rìoo- 
noeduto  sicuramente  la  natura  di  qoeU'ap- 
paririone;  ma  quando  t  primi  bianchi  ovvero 
le  masse  bianche  apparse  già  ai  lati  del  lume, 
doè  della  faccia  angelica,  si  dimostrarono  i^er- 
tamente  per  ali,  egli  riconobbe  qudla  figura 
per  un  angelo  e  gridò  a  Dante  d'inginoc- 
chiarsi in  atto  di  preghiera.  —  27.  galeeite: 
cft.  Inf.  vni  17.  —  28.  Fa,  f!s  eke  le  glnee> 
ehla  eco.  Come  davanti  al  messo  oeleste,  ve- 
nuto ad  aprire  la  porta  della  dttà  di  Dite 
{Inf.  IX  87),  e  innanzi  a  Oatone  custode  del 
purgatorio  {Putg.  i  61),  Virgilio  fa  inginoc- 
chiar Dante  all'apparire  dell'angelo  nocchie- 
ro; aggiungendo  di  piegare  le  mani,  in  atto 


PURGATORIO  -  CANTO  H 


281 


GO       ornai  vedrai  di  si  fatti  ufficiali. 

Vedi  che  sdegna  gli  argomenti  umani, 
si  che  remo  non  yuol  né  altro  velo 

88  che  l'ale  sue  tra  liti  si  lontani. 
Vedi  come  l'ha  dritte  verso  il  cielo, 

trattando  l'aere  con  l'eterne  penno, 
86       che  non  si  mutan  come  mortai  pelo  >. 
Poi  come  più  e  più  verso  noi  venne 
l'uccel  divino,  più  chiaro  appariva; 

89  per  che  l'occhio  da  presso  no'l  sostenne, 
ma  chinai '1  giuso;  e  quei  sen  venne  a  riva 

con  un  vasello  snelletto  e  leggiero, 
42        tanto  che  l'acqua  nulla  ne  inghiottiva. 
Da  poppa  stava  il  celestial  nocchiero, 
tal  che  farla  heato  pur  descritto; 
45       e  più  di  cento  spirti  entro  sediòro. 
€  In  exitu  Israel  de  Egitto  », 
oantavan  tutti  insieme  ad  una  voce, 
48        con  quanto  di  quel  salmo  è  poscia  scritto. 
Poi  fece  il  segno  lor  di  santa  croce; 


di  progUera,  per  dimoetiazione  deDft  xlveien- 
a  dovuta  ài  divino  mioiftro.  — >  80.  ornai 
?«drai  eoo.  d'aia  innanzi  Tediai  freqnente- 
aeote  di  ootali  ministri  di  Dio;  inCrtti  nel 
raglio  deiree^axione  i  dne  poeti  vedranno  i 
dB0  eagéU  dalle  verdi  vesti  disossi  dal  dolo 
ecmtro  il  serp«ita  tentatoce  a  difesa  delle 
soine  deU'antipiiigatorio  (Aify.  vm  26-42, 
M-106),  l'angelo  che  sta  dia  porta  del  pnr- 
fstoiio  {IStrg.  xz  78  e  segg.,  106  e  segg.)*  i 
•ette  angeli  dascono  a  gnaidia  di  ano  dei 
■ette  oerohl  (f^.  ni  79-99;  xv  28-86;  xvi 
144;  zvn  44-57, 67-69;  zxx  40-48;  zxn  1-6; 
xsv  183-164;  zzvn  6-18)  e  quello  ohe  sta 
fra  l'ultimo  cerchio  e  il  paradiso  terrestre 
{Purg.  xxvn  66-98).  —  81.  sdegna  gli  argo- 
venti  eoo.  non  fo  nso  di  quelli  stnunenti, 
di  coi  gli  nomini  si  servono  per  navigare  ;  si 
che  in  nn  viaggio  cosi  lungo  egli  non  adopera 
«hri  remi  o  altre  vele  ohe  le  sue  ali.  —  88. 
tra  mi  tf  IraUnix  dalla  foce  del  Tevere 
all'  isola  del  purgatorio:  ofr.  t.  100  e  segg. 
—  86.  trattABde  eoo.  agitando  l'aria  con  le 
penne  eterno,  non  soggette  ai  cambiamenti 
come  quelle  de^  uecelli  della  terra.  —  88. 
rseeel  élvlne:  l'angelo  di  Dio,  cosi  detto 
perché  aveva  le  afi:  con  la  stessa  immagine. 
Stazio  diiama  il  dio  Morourio  (7V&.  i  292) 
inpiger  alta  e  (SUv.  i  2,  18)  votue&r  TBgtaH- 
«M.  ~  89.  l'oechlo  eoe  1  miei  occhi,  che 
trevano  potuto  guardailo  mentre  era  lontano, 
Don  sostennero  la  vista  della  facda  luminosa 
delTangdo  aflorohé  ta  vicino.  —  41.  vaselle 
flec  :  è  il  iJNxs  Ugno  o  vwoello  (ofir.  Inf,  xzvm 


79)  già  aooennato  a  Dante  da  Oaronte  (efr. 
Inf,  m  98),  chiamato  aneUtUo  per  la  sveltezza 
della  forma  e  l'agUità  dei  movimenti,  e  leg^ 
gierOf  perché  correva  a  fior  d'acqua  sebbene 
fosse  carico  di  anime.  —42.  tante  eke  l'aeqea 
eco.  cosi  che  non  s' immergeva  nello  aoque, 
ma  i^pena  le  sfiorava;  proprio  fl  contrario 
dell'  ontioa  prora  di  Fleglas  (fitf,  vm  29  e 
segg.).  —  48.  n  eelestial  neecUerei  que- 
st'angelo ohe  ha  per  ufficio  di  trasportar  le 
anime  al  regno  della  purifloasione,  è  l'anti- 
tesi di  O9mDt»,nnoeehi0rdeUaUHdap(andé, 
che  porta  le  anime  nd  regno  dell'eterna  dan- 
nazione (ofr.  Inf,  m  82-111).  —  44.  tal  clie 
farfa  eoo.  tale,  doè  con  aspetto  e  atti  di  cosi 
divina  maestà,  che  solamente  descritto,  sen- 
z'esser veduto,  fkiebbe  beato  ogni  uomo.  La 
lezione  di  questo  verso  non  é  ben  sicura  ; 
che  altri  leggono:  Tal  eh$  pafda  beato  per 
iaeritiOj  interpretando  :  tale  che  pareva  avoro 
scritta  in  viso  la  beatitudine.  —  46.  sedière  : 
sedevano  (Benr.  :  <  tederò  prò  atdebant  >);  in- 
atti ha  dimostrato  il  Parodi,  BulL  m  127, 
IX 108,  òhe  eedUro  è  nna  forma  d' imperfetto, 
come  Mcttmo.  —  46.  In  eziti  ecc.  È  il  prin- 
cipio del  Salmo  czrv,  assai  opportunamente 
messo  in  bocca  alle  anime  che  venivano  al- 
l'opera della  loro  puiiflcadone  per  rendersi 
degne  di  salire  al  dolo;  perché,  neU'usdta 
del  popolo  d' Israele  daU'  Egitto,  dice  Dante 
(Cbnv.  n  1)  che  e  spiritualmente  s*  intende 
che,  ndl'usdta  dell'anima  del  peccato,  si  ò 
fatta  santa  e  libera  in  sua  podeetade  ».  —  49. 
Poi  fece  ecc.  Appena  la  navicella  ò  giunta 


282 


DIVINA  COMMEDIA 


ond'ei  si  gittàr  tatti  in  su  la  piaggia, 
51        ed  ei  sen  gì,  come  venne,  veloce. 
La  turba  che  rimase  li  selvaggia 
parca  del  loco,  rimirando  intomo 
54        come  colui  che  nuove  cose  assaggia. 
Da  tutte  parti  saettava  il  giorno 
lo  sol,  ch'avea  con  le  saette  conte 
57       di  mezzo  il  ciel  cacciato  il  Capricorno, 
quando  la  nuova  gente  alzò  la  fronte 
vèr  noi,  dicendo  a  noi  :  €  Se  voi  sapete, 
60       mostratene  la  via  di  gire  al  monte  >. 
E  Virgilio  rispose  :  «  Voi  credete 
forse  che  siamo  esperti  d'esto  loco; 
63        ma  noi  siam  peregrin,  come  voi  siete. 
Dianzi  venimmo,  innanzi  a  voi  un  poco, 
per  altra  via,  che  fu  si  aspra  e  forte 
66       che  lo  salire  omai  ne  parrà  gioco  ». 
L'anime,  che  si  f^  di  me  accorte, 
per  lo  spirare,  ch'io  era  ancor  vivo, 
69       maravigliando  diventare  smorte; 
e  come  a  messagger  che  porti  olivo 


alla  rìra,  le  anime  intaonano  il  oantioo  della 
liberazione  e  l'angelo  impartisoe  loro  la  be- 
nedizione: poi  eaee  scendono  prestamente 
folla  spiaggia  e  il  divino  nocchiero  riparte 
con  la  velocità  stossa  con  eoi  d  venato.  ~ 
60.  si  glttAr  eoo.  :  cfir.  Inf,  m  116  :  «  glttansi 
di  quel  lito  ».  »61.  ed  el  len  gi  ecc.:  os- 
serva U  BartoU,  Si,  deUa  letL  U.,  voL  V,  p. 
182,  che  «  nel  numero  del  verso  o'  ò  tatta  la 
rapidità  del  volo  >  ;  a  qnel  modo,  aggiungasi, 
ohe  nel  silenzio  e  negli  atti  dell'angelo  è 
tutta  la  maestà  della  soa  natora  e  del  sno 
officio  divino.  —  62.  La  tarba  eoo.  La  mol- 
titodine  degli  spiriti,  por  allora  giunti  al  pur- 
gatorio, pareva  non  avere  alcuna  conoscenza 
del  luogo  e  dò  dimostrava  col  riguardare  al- 
l' intomo  in  cerca  della  via,  come  fa  chi  si 
trova  innanzi  alle  novità.  —  selvaggia:  Ven- 
turi 294:  «  Ardita  estensione  del  senso  pro- 
prio; ma  efficace  e  giusta,  in  quanto  l'idea 
che  si  unisce  alla  voce  tdoaggi»  va  congiunta 
con  quella  d' ignoranza  ».  H  Torraca  cita  op- 
portunamente questo  posso  di  Gino  da  Pistoia: 
«  Selvaggia...  doò  strana  D'ogni  pietà  di  cui 
siete  lontana  ».  —  66.  Da  tutte  parti  ecc.  Il 
sole,  che  coi  suoi  raggt  luminosi  avea  sospinto 
oltre  il  meridiano  tutto  il  segno  del  Capri- 
corno, essondo  salito  di  nove  gradi  sull'oriz- 
zonte diffondeva  la  sua  luce  su  tutte  le  parti 
dell'emisfero  australe:  era,  secondo  i  cal- 
coli astronomici,  poco  pi6  di  mezz'ora  che  il 
sole  era  sorto,  oioò  le  soi  e  mezzo  antim.  (cfir. 


Della  Valle,  B  sento  geogr,  osfcnm.,  p.  96,  e 
Moore,  p.  77).  —  66.  saette  eoate:  rag^t 
luminosi,  chiari.  — -  67.  di  mezzo  U  elei  ecc. 
Essendo  il  sole  nel  segno  dell'Ariete  aveva 
innanzi  a  sé  il  segno  del  Oaprioomo,  U  quale, 
oltrepassato  il  meridiano,  andava  desinando 
di  mano  in  mano  che  il  sole  asooideva.  — 
68.  la  naeva  gente!  gli  spiriti  arrivati  al- 
lora. —  62.  esperti:  conoscenti,  pratici  del 
purgatorio.  —  63.  ma  ■•!  slam  eoo.  Dante, 
V.  N.  XL  80,  dice  che  in  largo  senso  e  ò  pe- 
regrino chiunque  d  fbori  de  la  sua  patria  »; 
definizione  ohe  bene  s'accorda  col  senso  di 
straniero  dato  a  tal  voce  qui  o  in  l\0y,  xm 
96,  Bar,  vi  186.  —  66.  per  altra  via  ecc. 
per  un  altro  cammino  tanto  malagevole  e  dif- 
ficile (cfr.  Inf,  n  142),  che  ormai  d  parrà  fa- 
cile  e  piacevole  la  salita  del  monte.  —  68. 
per  le  spirare:  per  U  respirar,  per  Vailo  della 
gola  (cfr.  Inf,  xzui  88),  le  anime  riconoscono 
che  Dante  ò  ancora  vivo  e  impallidiscono  per 
la  meraviglia  mista  al  timore.  —  69.  marar 
vigllaade  ecc.  Albini,  p.  26  :  «  Verso  n^ 
presentativo  stupendo  che  tornerà  a  mente, 
come  il  resto  del  passo,  a  un  passo  del  canto 
quinto  »,  cioè  al  Purg.  v  4-9,  26-27.  —  70. 
come  a  messagger  eoe  La  comparazione  è 
tratta  non  tanto  dal  ricordo  dei  luoghi  classici, 
ove  ò  accennato  questo  uso  antichissimo  di 
portare  l'olivo  per  segno  di  pace  (Virgilio,  En, 
vm  116,  XI  100,  Stazio,  Teb,  n  889),  quanto 
dalla  consuetudine  dei  tempi  di  Dante,  nei 


PUBGATOBIO  -  CANTO  H 


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traggo  la  gente  per  udir  novelle, 
e  di  calcar  nessun  si  mostra  Bchivo, 

cosi  al  viso  mio  s'affissar  quelle 
anime  fortunate  tutte  quante, 
quasi  obbliando  d'ire  a  iaxBÌ  belle. 

Io  ridi  una  di  lor  trarsi  davanie 
per  abbracciarmi,  con  si  grande  affetto 
cbe  mosse  me  a  far  lo  simigliante. 

O  ombre  vane,  faor  cbe  nell'aspetto  1 
tre  volte  retro  a  lei  le  mani  avvinsi, 
e  tante  mi  tomai  con  esse  al  petto. 

Di  Qiaraviglia,  credo,  mi  dipinsi; 
per  che  l'ombra  sorrise  e  si  ritrasse, 
ed  io,  seguendo  lei,  oltre  mi  pinsL 

Soavemente  disse  cb'io  posasse; 
allor  conobbi  chi  era  e  pregid 
ohe  per  parlarmi  un  poco  s'arrestasse. 

Bisposemi:  «  Cosi  com'io  t'amai 


foaU] 


Tottro  «m  Mgiio  in  guMn  di  Itoto  no- 
moftia  U  Boti!  «al  BtMO  oh» 
Ttené  00*  FiiUto  ognuno  li  li  tpp^)Minu^  por 
wtftt  noréOo,».  •  dico  «^  foris «Nw,  oome 
è  US»  foiindo  lignifloa  oom  d'aUegioBEa, 
ooBO  vittori»,  poco  ot  aoqoifto  di  tene  e  d- 
bIU  0000  >.  Nei  cnniirti  medioeTili  l'nianza 
è  ■oiionnete  ipeMo;  p.  ee.  O.  Villani,  Or,  xn 
106:  «  Xeiidonno  lettere  e  meeil  oon  olivo  al 
noetzoCoBiineeeqneUodiPenigi»»;  Agno- 
lo a  Tu»,  Or, Mi».in Mnr., Ber.  IT.  IX 128: 
<  Seneei  si  iérmazo  e  QaeroU  groesa...  e  poi 
Intmo  in  Siena  con  gli  nliri  oon  grande 
onow»;  B.  della  Pngliola,  Or.boLin  Mor., 
Bit.  ìL  XVni463:  <  Venne  in  Bologna  nn 
nmwn  da  JlreDie  ooU'nliro  in  mano  e  disse 
ohe  Voltarra  era  data  al  oomnne  di  Flrenxe  ». 
^  75.  f  nasi  eoo.  Questo  reno,  lodato  dal 
Ventali  272,  oome  e  nn  gioiello  di  semplicità 
dolce  e  serena  »,  rloorda  qnel  deQ'  Inf,  xxviu 
64,-76.  «nn  di  lor  eoo.  L'anima,  ohe  stao- 
fffffAìri  dalla  oompagnfa  delle  altre  muove 
per  àbIiraoGiar  Dante,  d  quella  di  Casella,  del 
qoale  dioe  TAn.  fior.  :  «  Fne  Casella  da  Pi- 
gtoin  grandinimo  mnsioo  et  massimamente 
nell'arte  dfèDo  'ntonare;  et  fb  molto  dime- 
stioo  deU'antore,  però  che  in  sna  giovinezza 
fece  Dante  motte  canzone  et  ballate  che  que- 
sti intonò;  et  a  Dante  dilettò  forte  l'udirle 
da  lui  et  massimamente  al  tempo  ch'era  in- 
nanozato  di  Beatrice  o  di  Fugoletta  [cfr. 
Avy.  -»"f"  60]  o  di  quella  altra  di  Casentino  >: 
y.^^^  e  Ott  nulla  dicono  della  patria  di  Ca- 
tella; Benv.,  Case.,  Land,  e  quasi  tutti  i  mo- 
derni lo  ftumo  iorentino:  in  Siena  viveva 
nel  1282  nn  OamBa  homo  euHoif  che  d  detto 
iMhe  OommUa  d$  FkfrmUia  ;  forse  V  amico 


di  Dante,  vissuto  nella  seconda  metà  del 
secolo  zm  e  venuto  a  morte  parecchio  tempo 
(cfir.  V.  9A)  innanzi  al  1800.  —  79.  0  ombre 
vane  ecc.  Quanto  alla  natura  del  ooipo  tri- 
buito  dal  poeta  alle  animo  cfir.  la  spiega- 
zione messa  in  bocca  a  Stazio  nel  Purg. 
zxv  79-108;  qui  basti  avvertire  che  in  più 
luoghi  Dante  mostra  d'avere  imaglnato  que- 
sto corpo  oome  fittizio  (cfir.  Inf,  vi  86,  Purg, 
XXX  182,  XXVI  18  eoo.)  e  ohe  descrivendo 
gli  abbracciamenti  suoi  con  Casella  si  ò  ri- 
cordato di  Virgilio,  En,  vi  700  :  e  Ter  oo- 
natus  Ibi  collo  dare  biaohia  droum;  Ter  fru- 
stra oomprensa  manus  effugit  imago,  Par  lè- 
vibus  ventis,  voluorique  similllma  somno  >. 
Albini,  p.  26:  <  Bsempio  di  quel  che  sia  l'imi- 
tazione nei  sommL  Un  poeta  minore,  lascia- 
tosi sopraiEare  alla  compiacenza  dell'arte,  un 
poeta  che  nella  sincera  e  calda  invenzione 
non  avvolgesse  temperandoli  e  sommettendoli 
ai  nuovi  gli  elementi  rinnovati,  diflSdlmente 
qui  intralasciava  di  compiere  la  ripresa  del 
motivo  epico,  di  un'  ombra  non  potuta  ab- 
bracciare, oon  le  imagini  omeriche  e  virgi- 
liane del  soffio  e  del  sogno  ...  Dante  prendo 
dal  primo  verso  tr$  volU  ecc.  ma  poi,  perché 
qui  bisognava  succinta  vivezza  e  non  poetico 
ornamento,  seguita  e  chiude  di  suo,  e  tante 
nd  tomai  eoo.  ». — 82.  Di  Baravlglia  eco.  Nel 
mio  volto  e  nei  miei  atti  dovettero  apparir  se- 
gni di  meraviglia;  per  la  qual  cosa  Casella 
sorrise  del  mio  errore.  —  88.  si  ritrasse:  si 
tirò  indietro,  allontanandoei  un  po'  da  me.  — 
8A.  mi  plnsi:  mi  avanzai,  accostandomi  a  lei. 
—  88.  Cosi  som*  io  ecc.  Come  io  t'amai  noi 
mondo,  cosi  t'amo  ora  che  sono  sciolta  dai  le- 
gami corporei:  affettuose  parole  che  bene  ri- 


284 


DIVINA  COMMEDIA 


nel  mortai  corpo,  cosi  t*amo  sciolta; 
90       però  m'arresto:  ma  tu  perché  vai?  > 
€  Casella  mio,  per  tornare  altra  volta 
là  dove  son,  fo  io  questo  viaggio, 
93       diss'io;  ma  a  te  com'è  tanta  ora  tolta?  » 
Ed  egli  a  me:  €  Nessun  m*è  fatto  oltraggio, 
.se  quei,  che  leva  e  quando  e  cui  gli  piace, 
96       più  volte  m*ha  negato  esto  passaggio; 
che  di  giusto  voler  lo  suo  si  face: 
veramente  da  tre  mesi  egli  ha  tolto 
99       chi  ha  voluto  entrar,  con  tutta  pace; 
ond'io  ohe  era  ora  alla  marina  volto, 
dove  l'acqua  di  Tevere  s'insala, 
102        benignamente  fui  da  lui  ricolto. 
A  quella  foce  ha  egli  or  dritta  l'ala; 
però  che  sempre  quivi  si  raccoglie 
105       qual  verso  d'Acheronte  non  si  cala  >. 


gpeoohiano  V  afléttaosa  memoria  che  Dante 
BOibava  di  Casella,  dal  quale  nel  mondo  do- 
veva essere  stato  ricambiato  di  calda  e  vera 
amicizia.  —  91.  Catella  mio  eoo.  Amico  mio, 
lisccio  qnesto  viaggio  per  i  regni  eterni  per 
poter  poi  tornar  qni,  in  loogo  di  salate,  quan- 
do sarò  morto.  —  per  tornare  eco.  Dante 
accenna  più  volte  apertamente  che  il  Une  del 
suo  viaggio  d  di  acquistare  la  salute  del]*a- 
nima  imparando  a  vivere  virtuosamente  (cfr. 
Jnf,  xxvm  48,  Purg,  v  61,  xxvi  68,  txx  136 
eoe).  —  93.  a  te  eom'  è  tanU  ora  tolta  f 
oome  mai,  essendo  tu  morto  da  qualche  tompo, 
sei  pervenuto  solamente  ora  al  purgatorio? 
perché  ti  ò  stato  tolto  un  tempo  prezioso  per 
Tospiazione  dei  tuoi  peccati?  Questa  è  Tin- 
terpretazione  data  dai  più  autorevoli  commen- 
tatori antichi,  Lana,  Ott,  Pietro  di  Dante, 
Benv.,  Buti  ecc.,  e  moderni,  Biag.,  Costa, 
Tomm.,  Bianchi,  Scart  eco.  La  lez.  ifa  a  (« 
eom'srts  tanta  terra  tottaf  ohe  vorrebbe  dire: 
Come  mai  ti  era  impedita,  sino  a  poco  fti, 
questa  terra  meravigliosa  del  purgatorio?,  già 
nota  ai  commentatori  antichi  e  difesa,  tra  i 
moderni,  dal  Lomb.,  d  oggi  abbandonata  dai 
pid.  —  94.  KessBB  B*  è  fktto  ecc.  Dante  ima- 
gina  che  quelli  che  muoiono  riconciliati  con 
Dio  si  raccolgano  alla  fooe  del  Tevere  per 
passare  al  purgatorio  e  òhe  l*angelo  nocchiero 
trascelga,  secondo  i  meriti  di  ciascuno,  quelli 
che  vuole  accogliere  nella  sua  navicella  nei 
singoli  passaggi.  Casella,  morto  qualche  tempo 
innanzi  al  1800  (An.  fior,  dice:  e  crono  pas- 
sati pl6  mesi  ch'egli  era  morto  »),  non  fu  ac- 
colto subito  dall'angelo,  il  quale  anzi  pi6 
volte  gli  negò  il  passaggio;  finché  nel  tempo 
dol  Giubileo,  avendo  l' angelo  trasportato 


quanti  vollero  entran  nella  baraa,  anoho  Ca- 
sella potè  passare  al  purgatorio.  —  96.  f«el, 
che  leva  ecc.:  cftr.  VbgiBo,  Bfm,  vi  815: 
e  Navita  sed  tristis  nuno  hos,  nono  aeoipit 
Olos  ».  —  96.  pli  volto  eoo.  L'Idea  di  qna^ 
ritardo  pud  essere  stata  soggedta  a  Dante 
dalla  finzione  mitologica  delle  animo  tratto- 
nute  pid  o  meno  lungamente  all'una  riva  di 
Stige  prima  di  eesere  trasportato  all'altra; 
finrione  accennata  da  Virgilio,  Em,  vi  818  o 
segg.  —  97.  A4  41  giasto  eoo.  penAé  la 
volontà  dell'angelo  procedo  daBa  giusta  vo- 
lontà divina.  —  98.  da  tre  Mesi  eoo.:  dal 
giorno  di  natale  del  1299,  in  cui  era  comin- 
ciato il  giubileo  di  Bonifazio  Vm  (cfr.  Imf. 
zvm  28),  al  10  aprile  1300,  giorno  in  cai 
Casella  arrivava  al  purgatorio,  erano  appunto 
passati  poco  pid  che  tre  mesi  (ma  non  ancom 
quattro),  durante  i  quali  Tangelo  sonsa  ta/ro 
alcuna  scelta  aveva  accolto  nella  sua  nave  le 
anime  ohe  volevano  passare,  pokSàé  tutte  par- 
tecipando alle  indulgenze  giubilari  erano  de- 
gne del  passaggio.  —  lui  tolto...  eoa  tatta 
pace:  ha  accolto  senza  opporre  alcuna  diffi- 
coltà. —  100.  era  ora  eco.  era  giunto  già 
alla  spiaggia,  presso  la  quale  0  ftome  Tevere 
entra  nel  mare.  Benv.  osserva:  e  per  quod 
intelligit  quod  erat  oonvorsus  ad  obedientiam 
romanae  ecdesiae».  —  102.  fai...  riooRo: 
ftii  preso  dentro  alla  barca.  Si  noti  il  parti- 
colaie  uso  che  gli  antichi  flacevano  dol  vb. 
rioogliere  a  denotare  Tatto  del  prendore  su 
una  cosa,  sollevandola  da  terra  (c£r.  Inf,  m 
69).  —  ice.  À  quella  fooe  eco.  I^  si  ò  in- 
dirizzato ora  con  rapido  volo  alla  foco  del 
Tevere.  —  104.  sempre  qairl  eoe.  quivi  con- 
vengono da  ogni  pule  del  mondo  lo 


PURGATORIO  —  CANTO  U 


2So 


Ed  io:  €  Se  nuova  legge  non  ti  toglie 
memoria  o  uso  all'amoroso  canto, 
108       ohe  mi  solea  quetar  tutte  mie  voglie, 
di  ciò  ti  piaccia  consolare  alquanto 
l'anima  mia,  che,  con  la  sua  persona 
IH        venendo  qui,  è  a£Eannata  tanto  ». 
€  Amor  ohe  nella  mente  mi  ragiona  », 
cominciò  egli  allor  si  dolcemente 
114        che  la  dolcezza  ancor  dentro  mi  suona. 
Lo  mio  maestro  ed  io  e  quella  gente 
oh'eran  con  lui  parevan  si  contenti, 
117        come  a  nessun  toccasse  altro  la  mente. 
Noi  eravam  tutti  fìssi  ed  attenti 
alle  sue  note;  ed  ecco  il  veglio  onesto, 
120        gridando  :  €  Che  è  ciò,  spiriti  lenti  ? 
Qual  negligenza,  quale  stare  ò  questo? 
Correte  al  monte  a  spogliarvi  lo  scoglio, 
123       ch'esser  non  lascia  a  voi  Dio  manifesto  ». 
Come  quando,  cogliendo  hiada  o  loglio, 
li  colombi  adunati  alla  pastura, 
126       quoti  senza  mostrar  l'usato  orgoglio. 


teHnato  «1  poigstoiio,  oone  soUe  rive  d' A- 
cÉeraato  le  aniae  dannata  (ofr.  £*f,  m.  121- 
128).  — 106.  nvoT»  legge:  prescrizione  ino- 
roflto  aUft  nuora  condizione  di  Casella  e  delle 
altre  anioM  yennte  nel  purgatorio.  ^  108. 
che  ■!  selen  eoo.  Dante,  Obnv.  n  14  scrive 
che  la  « miiaica  trae  asé  gli  spiriti nomni,  che 
sono  qoasi  principalmente  vapori  del  onore, 
■f  ohe  qnad  cessano  da  ogni  operazione,  sf 
è  l'aninin  intera  qnando  l'ode,  e  la  virtà  di 
tatti  [gU  spiriti]  qnaai  corre  allo  spirito  sen- 
sibile che  riceve  il  soono  ».  Il  Boccaccio, 
Vita  di  DcmU,  |  8,  racconta:  «  Sommamenl^ 
si  dilettò  in  suoni  e  in  canti  nella  saa  gio- 
vinezza, e  a  dascimo  che  a  qne'  tempi  era 
ottimo  cantatore  o  sonatore  ta  amico  e  ebbe 
soa  nsanzn;  e  assai  cose,  da  questo  diletto 
tirato,  oonpoa»,  le  quali  di  piacevole  e  mae- 
itievole  nota  a  qioeatleotalillMea  rivestire». 
—  111-  fUiwii  4«lt  percorrendo  l' inferno 
per  gimngere  al  purgatorio.  ^  112.  ÀMor 
dM  Bella  MWti  ecc.  È  questo  il  principio 
di  UM  cassone  di  Dasle,  la  quale  il  poeta 
iwi>n.^itA  nei  Obne.  m  2-10,  cercando  di  pro- 
fare  dM  le  lodi  deQa  donna  in  essa  conte- 
■sto  sono  le  lodi  déUa  Ulosofla  e  conchiu- 
4sado  eon  calda  panda  di  eccitamento  agli 
wamàai  afflndié  vogliano  onorare  i  fllosofl  e 
■tguima  gl'insagnaniantL  Fu  composta  non 
■Dito  4opo  il  1294,  e  Mmoto,  come  allora 
iieovasi,  o  maslcats  da  Casella,  secondo  dko 
,  ^  cagtklii.  Lana,  Ott,  Benv^  • 


perold  da  lui  cantata  nel  purgatorio  più  toeto 
ohe  qualunque  altra  delle  canzoni  dantesche. 
— 114.  che  la  delcezsa  eoe  :  cfr.  Piar,  xxm 
128:  e  cantando  si  dolce  Che  mai  da  mo  non 
d  parti  U  diletto».  -  U7.  aeae  a  aessaa 
ecc.  come  se  noi  non  avessimo  altra  cura  oho 
rattendere  a  quel  canto.  —  119.  ed  ceco  11 
veglie  eoo.  quando  d' improvviso  apparve 
Catone,  ronorando  vagUardo,  a  rimproverarci 
del  nostro  indugiate. —12L  ^aal  negligenza 
eoe:  cfr.  Virgilio,  J^  vi  872:  «  Festinato, 
viri,  nam  quae  tam  sera  moratur  Segnities?  ». 
—  122.  le  seeglios  Lana:  «  lo  peccato  ohe 
oscura  si  ogni  cogniziono  d'anima,  che  la 
somma  felicità  per  essa  non  pud  essere  co- 
gnosduta  »  :  il  nome  soogUo^  che  vale  pro- 
priamente scaglia,  scorza,  integumento  (cfr. 
P.  Crescenzio,  Agricoltura  v  8  :  e  le  avellano 
manifestano  la  loro  matnritade,  quando  dai 
loro  scogli  si  partono  »)  e  qui  ò  usato  a  indi- 
care il  peccato  che  avvolge  come  rigida  scorza 
le  anime,  era  già  oscuro  agli  antichi;  tanto 
che  Benv.  l'interpreta  per  e  saxnm  et  onus 
vitiorum,  quod  pergravat  animam  ad  ima  »  : 
ma  nei  poeti  del  seo.  xm  è  usato  abbastanza 
frequentemente  anche  in  senso  figurato  ana- 
logo al  dantesco  (cfr.  Parodi,  Bull,  m  166).  — 
124.  Coma  quando  eoe  Come  i  colombi,  quan- 
do, raccolti  per  il  pasto,  si  stanno,  senza  il 
mormorio  e  la  vivacità  abituale,  beccando  gra- 
nelli di  biada  o  loglio,  se  appare  cosa  alcuna 
ohali^avanti  abbandonano  d'improvviso  il 


286 


DIVINA  COMMEDIA 


129 


138 


se  cosa  appare  ond*elli  abbian  paura, 
subitamente  lasciano  star  Fésca 
perché  assaliti  son  da  maggior  cura; 

cosi  vid'io  quella  masnada  fresca 
lasciar  lo  canto,  e  gire  in  vèr  la  costa, 
come  uom  che  va,  né  sa  dove  riesca: 

né  la  nostra  partita  fu  men  tosta. 


dbo,  aoallti  dal  pensiero  di  metterai  in  salvo 
eoo.  — 180.  fieli*  ■>■■><>  eoo.  ^ella  oom- 
pagnfa  di  leoente  arriyata:  il  nome  momaiei, 
ohe  signifloò  in  origine  la  famiglia  di  un  nKMwo 
o  podere  oonoesso  da  un  signore,  assonse  pre- 
sto nella  nostra  lingoa  il  senso  generico  di 
oomitiva  o  compagnia,  ohe  ha  qoi  e  in  Inf, 
X7  41.  —  freseat  giunta  di  fresco,  di  recente 
(cfr.  1x(,  xiY  42).  —  182.  OMM  aoa  eoo.  : 
cfr.  Dante,  F.  ^.  zm  19:  e  mi  faoea  stare 
qoasl  come  colni,  ohe  non  sa  per  qoal  via 
pigli  il  suo  cammino,  e  ohe  ynole  andare  • 
non  sa  onde  se  ne  Tsda»;  Petrarca,  son.  znn 
7:  €  Vommene,  in  guisa  d'orbo,  senta  looe. 


Che  non  sa  ore  si  Tada  e  por  si 

Frezzi,  QiMuirJr.  i  8:   e  Come  ohi  va  né  sa 

dorè  cammina  >.  —  188.  b4  te  B«str*  eoo. 

né  io  e  Virgilio  indugiammo  a  partirci.  Oa- 
BOTTa  il  GiuL  ohe  nei  limproreri  di  Catane 
alle  anime,  rimaste  inopportanamente  e  troppo 
a  lungo  intente  al  canto  di  Casella,  DsAte 
Tuoi  porre  innansi  al  pensiero  del  lettore  ohe 
reoceaslTo  e  inten^estlTo  amore  del  diletti 
terreni,  per  quanto  pori  e  innocenti,  può  di- 
stogliere 0  impedire  l'uomo  taH  cammino  ohe 
deve  percorrere  seguitando  t^iiMU  • 
(^.  zxviiaO). 


CANTO  in 

Volgendo  i  loro  passi  verso  il  monte,  i  dne  poeti  ancora  Incerti  suite 
via  da  segaire  vedono  venire  nna  compagnia  di  anime,  con  le  quali  si  oni- 
scono  procedendo  verso  il  calle  per  salire  al  purgatorio  :  intanto  nna  di 
qaeste  anime  si  manifesta  per  quella  del  re  Manfredi  e  parte  di  sé  e  delte 
tua  condizione  [10  aprile,  ore  sei  e  mezso  antimeridiane]. 

Awegna  che  la  subitana  fuga 
dispergesse  color  per  la  campagna, 
8       rivolti  al  monte,  ove  ragion  ne  fruga, 
io  mi  ristrinsi  alla  fida  compagna; 
e  come  sare'io  senza  lui  corso? 
6        chi  m' avrla  tratto  su  per  la  montagna? 
Ei  mi  parca  da  sé  stesso  rimorso: 

m  1.  ATTegia  che  ecc.  Sebbene  la  foga 
improvvisa  per  i  rimproTexi  di  Catone  {Puirg, 
u  190-182)  disperdesse  per  la  campagna  o 
pianura  dell'  isola  la  oomitiTa  delle  anime 
fermatesi  ad  ascoltare  il  dolce  canto  di  Ca- 
sella, le  quali  corsero  tutte  verso  il  monte 
del  purgatorio,  io  nondimeno  non  fuggii,  ma 
mi  avvicinai  di  pid  a  Virgilio  per  averne 
consiglio.  —  8.  ove  ragion  ecc.  ove  la  giu- 
stizia divina  d  punisce  e  con  la  pena  ci  pu- 
rifica; cosi  intesero  1  più  dei  commentatori 
dal  Lana  e  da  Benv.  al  Lomb.  e  al  Tomm.  : 
ma  il  Bati,  seguito  da  molti  moderni,  come 
Biag.,  Bianchi,  GiuU,  intende:  la  ragione 
unuuia,  che  sollecita  e  stimola  le  anime  al- 
Topera  della  purtflcailone. — ftraga  t  il  vb.  /hi- 


gam  noli'  Inf,  xzz  70  è  detto  deUa  e  rigida 
giustizia  »  divina,  e  certo  nel  sento  di  punire; 
e  qui  secondo  la  varia  intarpretasione  dello 
parole  precedenti  è  spiogato  nel  signifloato  di 
punire  o  in  quello  di  eooltsre,  ttiatolare.  ~ 
i.  mi  rlstrUsl  ecc.  mi  tonni  vicino  a  Vlr» 
gilio,  mia  fedele  compagnia  :  si  noti  l'oso  del 
nome  vmipagpM  o  compagnia  (ofr.  Fmg,  zzm 
127)  per  indicare  la  persona  ohe  &  compagnia; 
che  trova  riscontro  nell'uso  ohe  Danto  fa  del 
nome  teorin  {Inf,  xn  64,  xx  26)  per  designare 
Virgilio.  —  7.  Bi  na  pare*  eoe.  :  Vizg^  di- 
mostrava d' essere  pentito  dell'  indugio  seb* 
bene  i  rimproveri  di  Catone  fossero  stati  ri- 
volti alle  anime,  non  a  lui  ;  e  questo  fktto 
trae  sulle  labbia  di  Danto  una  »»^*— ««^f  asa- 


PUEOATORIO  -  CANTO  HI 


287 


o  dignitosa  coscienza  e  netta, 
9       come  t'è  picciol  fallo  amato  morso! 
Qaando  li  piedi  suoi  lasciar  la  fretta, 
che  l'onestade  ad  ogni  atto  dismaga, 
12        la  mente  mìa,  che  prima  era  ristretta, 
lo  intento  rallargò,  si  come  vaga; 
e  diedi  il  viso  mio  incontro  al  poggio, 
15        che  inverso  il  ciel  più  alto  si  dislaga. 
Lo  sol,  che  retro  fianmieggiava  roggio, 
rotto  m'era  dinanzi,  alla  figura 
18       eh'  aveva  in  me  de'  suoi  raggi  l' appoggio. 
Io  mi  volsi  da  lato  con  paura 
d'esser  abbandonato,  quando  io  vidi 
21        solo  dinanzi  a  me  la  terra  oscura; 
e  il  mio  conforto:  €  Perché  pur  diffidi? 
a  dir  mi  cominciò  tutto  rivolto; 
24       non  credi  tu  me  teco,  e  ch'io  ti  guidi? 
Yespero  è  già  colà,  dov'  è  sepolto 


tam,  ndla  quale  ò  con  nofyità  attoggUto  un 
po'  direnamenta  il  penaiero  di  Gioranale, 
8aL  un  140:  «Omiia animi  yitiam  tanto  con* 
ipMtiiis  in  w  Oriman  habet,  quanto  maior 
qoi  peocat  habetor  ».  —  8.  •  Algnltoia  eoo. 
0  anima  noUle  e  pua,  quanto  amaro  ximoiso 
ta  aoiti  aaohe  dei  pioooU&Ui!  Sizioordila 
TBKgognA  di  Dania  per  easeni  tmttennto  ad 
aaoolttfe  il  contrasto  fra  due  dannati  della 
decima  bolgia  e  le  parole  ohe  Virgilio  gli  dioe 
ia  qodl'oooaa&one  (Inf,  xzz  133  e  segg.).  ~ 
K).  Qvuéo  11  fledi  eoo.  Qaando  Virgilio  in- 
eomìnoiò  a  rallentare  il  passo,  lasciando  qoella 
fretta  che  to^  decoro  ad  ogni  atto  del- 
l'amo eco.  Bart  da  San  Conoordio,  Amf 
mtmtr. dtj^ mMoM, td  1  :  «Nel  morimento 
e  nell'andare  e  na^  atti  ai  debbo  tenere  one- 
itlL  n  soperbo  si  dUstta  dello  sraziato  andare; 
roomo  disonesto  nell'andare  si  mostra».  — 11. 
dlnuigAt  il  Tb.  éumagam  (efr.  Inf,  xxr  146 
e  I\rg.  to.  20)  Tale  in  questo  luogo  :  toglie- 
rà, tu  Tenix  meno.  — >  12.  la  BMnte  eoo.  la 
mU  mente,  die  prima  era  tutta  raccolta  in  un 
•do  pensiero  (quello  dell'amico  Casella  e  dei 
limpiuTeri  di  Oatone),  allargò  di  nuore  l'in- 
tento, ritornò  a  pensare  al  viaggio  e  al  luogo, 
oome  quella  ch'era  desiderosa  di  redere  e  co- 
noscere nuore  cose:  intnUo  qui  e  altroye 
(F.  N.  zix  90,  Aify.  zvn  48)  significa  il  pen- 
Bflto  in  quanto  ò  rivolto  a  un  determinato 
obUetto,  che  in  questo  caso  era  il  viaggio; 
oQsf  bene  intesero  e  spiegarono  gli  antichi 
eoflosentatoii  (Lana:  €  la  mento  s'allargò  nel 
pdmo  proposito  e  cominciò  a  rendersi  attenta 
aloammino»;  Bali:  «  rallargò  s6  a  lo  intento, 
flioè  a  la  natoiia  intesa,  dee  ritornò  alla  ma- 
tsna  presa  a  tiatt»»»  eoe).  — 14.  diedi  U 


viso  :  rivolsi  gli  oochl  verso  il  monto.  — 15. 
che  Uverso  eoo.  :  il  purgatorio  ò  detto  in 
Piar,  xxYi  139  il  «  monto  che  si  leva  pid 
dall'  onda  >  ;  il  quale  riscontro  mostra  ohe  il 
verbo  di$lagani  significa  innalzarsi  in  messo 
al  lago,  alla  distesa  delle  acque  che  droon- 
dano  la  montagna  del  purgatorio  (ofr.  anche 
Inf.  zxvi  188).  —  16.  Lo  sol  eoe  H  sole, 
che  dietro  a  noi  fiammeggiava  rosso,  come 
suole  al  suo  primo  levarsi  sull'orizzonto,  da- 
vanti a  me,  oioò  sul  suolo,  era  interrotto  per 
l'ombra  coxrispondento  al  mio  corpo,  sul  quale 
i  raggi  si  posavano  :  modo  imaginoso  di  dire 
che  r  ombra,  che  si  stendeva  iniiansi  sul 
snolo,  aveva  la  Agora  del  corpo  die  la  proiet- 
tava, e  interrompeva  la  luce  ohe  illuminava 
il  suolo  stesso.  —  16.  roggio  t  ofr.  Btf,  xi  78, 
Ar.xivd?.  — 17.  alla  flgira  eoe  secondo  la 
iigora  dd  mio  corpo  eco. —19.  Io  mi  volsi  ecc. 
Allorohó  vidi  la  terra  oscura  sdo  dinanzi  a  me, 
to  mi  veld  dalla  parto  ove  prima  solca  esser 
Virgilio,  temendo  di  essere  rimasto  sdo.  Dan- 
to, non  vedendo  ombra  corrispondento  alla 
figura  ddla  sua  guida,  e  non  pensando  che 
Virgilio  era  puro  spirito,  non  poteva  credere 
altrimenti;  e  cedendo  all'  impulso  del  timore 
d  vdto  a  guardare  paurosamente  se  egli 
Pavesse  abbandonato.  —  22.  il  mie  conforto  : 
Virgilio,  cod  ohiamato  anche  in  I^trg.  ix  43. 
—  24.  me  teso  :  che  io  sia  ancora  teco.  — 
26.  Tesporo  è  già  ecc.  H  corpo,  oho  awol- 
gevami  facendo  ombra,  è  rimasto  nell'Italia 
meridlonde,  ove  adesso  è  già  U  vespero, 
cioè  dopo  le  tre  pomeridiane  (ofr.  Moore,  p, 
77):  infatti,  se  al  purgatorto  sono  le  sd  e 
mezzo  antim.  e  per  conseguenza  a  Qerosalem- 
me  le  id  e  masso  pomeiid^  a  Napoli,  dttà 


288 


DIVINA  COMMEDU 


lo  corpo,  dentro  al  quale  io  £stcea  ombra: 
27        Napoli  l'ha,  e  da  Brandizio  ò  tolto. 
Ora,  se  innanzi  a  me  nulla  s'adombra, 
non  ti  maravigliar  più  che  de' cieli, 
80       che  l'uno  all'altro  raggio  non  ingombra. 
A  sofferìr  tormenti,  caldi  e  geli 
simili  corpi  la  virtù  dispone, 
33       ohe,  come  fa,  non  vuol  che  a  noi  si  sveli. 
Matto  è  chi  spera  che  nostra  ragione 
possa  trascorrer  la  infinita  via, 
86        che  tiene  una  sustanzia  in  tre  persone. 
State  contenti,  umana  gente,  al  quiaf 
che,  se  potuto  aveste  veder  tutto, 
89        mestier  non  era  partorir  Maria; 
e  disiar  vedeste  senza  frutto 
tai,  ohe  sarebbe  lor  disio  quotato, 
42       eh' etemalmente  è  dato  lor  per  lutto: 
io  dico  d'Aristotele  e  di  Plato 
e  di  molti  altri  »  :  e  qui  chinò  la  fronte  ; 


oooidaBtalo  lispetto  a  Oonualemme,  stianno 
leoiedelTMpeio:  dcfr.  andieAMy.xvG.— > 
27.  H*poll  l'In  eoo.  Baooontano  Donato  e 
Srvtoiiio  nelle  loro  biografie  di  Virgilio,  ohe 
il  oorpo  del  poeta  morto  a  Brindisi  ta  ta^ 
sportato  a  Napoli  per  ordine  di  Angusto  (cfr. 
iWy.  TU  6)  e  sepolto  in  nn  tamnlo  onorato 
snUa  via  di  Ponaoli  (ofr.  Oomparstd,  Virg. 
nd  tmdùmot  n  46  e  segg.  e  Feignot,  Beohtr- 
ehmmtrÌBkm^becmdóVwfiU,  Bigione,  1840). 

—  Brmnilxlet  xidnsUme  medloenJe  (cfr.  .fii- 
UUigmuMf  121,  Q.  Villani,  O.  i  12,  ti  46 
eoo.)  del  lat.  Brundutium^  none  della  dita 
ore  mori  Virgilio.  ^  28.  Ora,  se  lanansl  eoo. 
Però,  se  ta  non  vedi  aloona  ombra  stendersi 
ianansi  a  me,  non  devi  meravigliarti,  come 
non  ti  mermrigli  dei  cieli,  ohe  essendo  dia- 
fani non  ii^edisoono  il  passaggio  dei  raggi 
InadnosL  <—  SI.  À  seYlsrlr  eoo.  L'onnipo- 
tenia  difina  dispone  tkiUH  corpif  doò  le  for- 
me ooxpoiee  simfli  alla  mia,  a  sofldre  i  tor- 
menti, il  caldo  e  il  freddo,  come  se  fosssro 
corpi  sensibili.  —  88.  ehe^  eome  fl^  ecc.  la 
qnide  non  vnole  ohe  sia  manifesto  agli  no- 
mini il  modo  del  sno  opersre.  —  84«  Matto 
è  eoo.  Oolni  ohe  spera  di  poter  pervenire  con 
la  rsgione  a  conoscere  V  impenetrabile  opera 
della  divinità,  nna  nella  saa  essensa  e  trina 
nelle  persone,  è  motto,  doò  fbori  di  rsgione. 

—  86.  ehi  tlMe  eoo.  ofr.  Cono,  n  6  :  <  la 
Maestà  divina  è  in  tre  persone  ohe  hanno 
una  sostanza  >.  —  87.  Slate  eonlenti  eoo. 
Oli  nomini  si  contentino  di  sapere  ohe  le  cose 
sono,  sema  voler  investigare  il  perohó  delle 
cose  stasse;  quando  seno  tali  che  non  si  possa 


assegnar  loto  nna  rsgione  o  esosa  certa,  bi- 
sogna confessare  ohe  sono  sopranatonli  e 
ohe  non  se  ne  pnd  aver  notizia  se  non  psc 
la  fede.  —  88.  eh^  se  petalo  eoo.  perohó, 
se  gli  nomini  avessero  potato  oonosoere  chia- 
lamento  tatto  le  cose,  se  Dio  avesse  voluto 
die  le  conoscessero,  non  avrebbe  proibito  al 
primo  uomo  di  gustare  il  frutto  dell'  albero 
della  eden»  e  cosi  non  sarebbe  stato  neoee- 
sarlo  che  nascesse  Cristo  per  rsdinMie  l' ama- 
nita dal  peccato  originale.  Altri  intendMio: 
Se  gli  uomini  avessero  potato  oonosoere  tatto 
con  la  rsgione  naturala,  non.  sarebbe  biso- 
gnato che  Cristo  venisse  al  mando  por  dare 
loro  la  fode;  ma  osserva  Bsnv.  :  «  credo  quod 
prima  expositio  slt  magis  de  intantione  poetae, 
quia  Thomas  de  Aquino,  quem  ipso  satis  se- 
qnitnr  in  divinis,  tenet  quod  si  Adam  non 
pecoasset  non  oportebat  Chiìstum  nasd,  nam 
ubi  non  est  plaga,  non  est  opus  medicina; 
sed  unusquisque  suo  ingenio  teneat  quam  qpi- 
nionem  vult».  —40.  e  disiar  eco.  Virgilio, 
a  maggior  conferma  delle  sue  parole,  dta 
r  esempio  dei  filosoil  dell'antiohità,  dioendo  : 
Voi  vedesto  desiderare  inntilmento  di  oono- 
soere la  ragione  delle  cose  tali  uomini,  fllo- 
soA  d' ingegno  oasi  grande  e  profondo,  che, 
se  fosse  stato  possibile  alla  mento  umana  rag^ 
giungere  questa  cognizione,  avrebbero  sodi- 
sfatto il  loro  desiderio  ;  U  quale  invece  è  dato 
loro  etomaimtnto  per  pena,  poich6  wMxa  sps- 
fiM  vivono  in  4ÌM>(Jfi/l  IV42).  —48.  d'Ari- 
stotele e  di  PUlot  ofr.  Mf.  IV  181,  134.  — 
44.  e  di  Moltl  altri  t  accenna  agii  altri  savi, 
ohe  frano  corona  ad  Aristotele  nel  limbo 


PURGATORIO  —  CANTO  111 


289 


45        e  più  non  disse,  e  rimase  turbato. 

Noi  divenimmo  intanto  al  pie  del  monte: 
quivi  trovammo  la  roccia  si  erta 
48        che  indamo  vi  sarien  le  gambe  pronte. 
Tra  Lerici  e  Turbia,  la  più  diserta, 
la  più  romita  via  è  una  scala, 
51        verso  di  quella,  agevole  ed  aperta. 
«  Or  chi  sa  da  qual  man  la  costa  cala, 
disse  il  maestro  mio  fermando  il  passo, 
51        si  che  possa  salir  chi  va  senz'ala?  » 
E  mentre  ch'ei  teneva  il  viso  basso 
esaminando  del  cammin  la  mente, 
57        ed  io  mirava  suso  intomo  al  sasso, 
da  man  sinistra  m'appari  una  gente 
d'anime,  che  movieno  i  pie  vèr  noi, 
CO        e  non  parevan  si  venivan  lente. 

«  Leva,  diss'  io,  maestro,  gli  occhi  tuoi  : 
ecco  di  qua  chi  ne  darà  consiglio, 
GB       se  tu  da  te  medesmo  aver  no  '1  puoi  ». 
Guardommi  allora,  e  con  libero  piglio 
rispose  :  €  Andiamo  in  là,  eh'  ei  veguon  piano  ; 


(MA  IT  ldO-144).  —  45.  rlmMo  tubato  :  U 
toiUmeato  di  Virgilio  procede  dal  pensiero 
d' essere  anch'  egli  ano  dei  savi  escloai  per 
tempre  dalla  dttà  santa..—  46.  dlTeAlmmo: 
cfr.  htf,  ziT  76.  —  48.  indarno  ecc.  inatàl- 
mmte  s'avrebbe  aynta  prontezza  di  gambe  a 
Eslira;  perché  l'erta  era  ti  rapida  ohe  sarebbe 
Insognato  volare  (cfr.  v.  64).  —  49.  Tra  Le- 
rlei  ecc.  Lerici,  antico  castello  sol  golfo  della 
Spezia,  e  Tnrbia,  borgata  del  territorio  niz- 
zudo,  segnavano  e  s^Tiano  ancora,  Tono  a 
oriente  e  V  altra  a  occidente,  i  confini  della 
lignzia  marittima  :  ai  tempi  di  Dante  le  strade 
OQirentì  tra  i  monti  scoscesi  delle  dne  lUviere 
gBooresi  dovevano  essere  molto  difflcili  e  fa- 
ticose (cfr.  Any.  XV  25)  ;  però  egli  ne  trae 
u'  opportuna  comparazione  a  dare  un'  idea 
della  salita  del  poigatorlo,  dicendo  che  la  piò 
ripida  e  aspra  via  della  Ligoria  ò  agevolo  e 
piana  al  paragone  di  quella  del  monte  sacro  ; 
cfr.  Bassermann,  pp.  846  e  881.  —  51.  verso 
di:  cfr.  Inf.  zmv  59.  —  52.  da  q«al  man 
eoe.  da  quale  parte,  se  a  destra  o  a  sinistra, 
la  costa  del  monte  discende  meno  erto,  si 
de  ri  possiamo  salir  noi?  —  54.  ehi  ta 
Mu'àla  :  cfr.  Purg.  iv  27.  —  56.  E  mentre 
«e  Mentre  Virgilio  teneva  gli  occhi  volti  a 
iena,  pensando  intomo  alla  Via  che  dovo- 
Ta&o  prendere,  e  io  guardava  in  alto  intomo 
■loonte  oeroando  quasi  di  scoprire  una  sa- 
lita agevole^  dalla  nostra  sinistra  apparve  una 
Miieia  di  anime  ohe  procedevano  lentissi- 

Damtb 


mamente.  Dante,  descrivendo  l'apparizione  di 
questa  schiera,  vello  accennare  in  quale  at- 
teggiamento fossero  egli  e  Virgilio,  per  gin- 
stificaro  l'invito  rivolto  al  maestro  (w.  61-68)  : 
perciò  pormi  che  la  vera  ledono  sia  quella 
dol  testo,  perché  con  essa  ò  espressa  Tanti- 
tosi  tra  le  situazioni  rispettive  doi  due  viag- 
giatori ;  mentre  ciò  non  si  avrebbe  più  con 
la  vulgata:  Emmtre  ehe,  tmmdo  il  viso  basso, 
Esaminava  del  cammin  la  mentef  Ed  io  mi- 
rava ecc.,  con  la  quale  anche  si  rende  più 
difficile  l'interpretaziono  del  verso  56.  —  56. 
esaminando  ecc.  essendo  la  sua  mente  oc- 
cupata a  considerare  la  difficoltà  del  cammino. 
Su  questo  verso  variamente  interpretato,  si 
cfr.  la  Corrispondmxa  letiararia  inedita  di 
G.  Ooxati,  O,  Omnari  è  O.  Fiatriarchi  intomo 
un  passo  delia  Die.  Gotnm.,  Padova,  1863. 
—  58.  una  gente:  la  prima  sóhlora  incontrata 
dai  due  pooti  nell'antipurgatorio  ò  quella  di 
coloro  che  essondo  morti  pentiti  e  riconciliati 
con  Dio,  ma  fuori  della  grazia  della  Chiesa, 
devono  orraro  fuori  del  purgatorio  per  un 
tempo  trenta  volto  maggiore  di  quol  che  vis- 
sero scomunicati.  —  GO.  e  non  pareTsn  occ 
0  non  sembravano  nò  pure  in  movimento, 
tanta  era  la  lentezza  del  loro  cammino.  •— 
63.  se  tn  ecc.  se  non  riosci  da  te  medesimo 
a  trovare  il  modo  di  salire.  —  64.  con  libero 
pigilo:  con  sembìanto  franco  e  lieto,  come 
di  colui  che  non  s'olTendo  degli  avvertimenti 
onesti  e  si  rallegra  di  ossor  aiutato  da  altri 

l'J 


290 


DIVINA  COMMEDIA 


G6        e  tu  ferma  la  speme,  dolce  figlio  ». 
Ancora  era  quel  popol  di  lontano, 
dico  dopo  li  nostri  mille  passi, 
G9        quanto  un  buon  gittator  trarrla  con  mano, 
quando  si  strinser  tutti  ai  duri  massi 
dell*  alta  ripa,  e  stetter  fermi  e  stretti, 
72        come  a  guardar,  chi  va  dubbiando,  stassi. 
€  0  ben  finiti,  o  già  spiriti  eletti, 
Virgilio  incominciò,  per  quella  pace 
75        ch'io  credo  che  per  voi  tutti  si  aspetti, 
ditene  dove  la  montagna  giace, 
si  che  possibil  sia  l'andare  in  suso; 
78        che  perder  tempo  a  chi  più  sa  più  spiace  ». 
Come  le  pecorelle  escon  del  chiuso 
ad  una,  a  due,  a  tre,  e  l'altre  stanno 
81        timidette  atterrando  l'occhio  e  il  muso; 
e  ciò  che  fo  la  piima,  o  l'altre  fanno, 
addossandosi  a  lei  s'ella  s'arresta, 
84        semplici  e  quete,  e  lo  'mperché  non  sanno  : 
si  vid'io  movere  a  venir  la  testa 
di  quella  mandria  fortunata  allotta. 


noi  suoi  dabbt.  •—  66.  ferna  1»  ip«me:  laf- 
fonna  la  tna  speranza  d'aver  consiglio  da  que- 
ste anime  riguardo  alla  via.  —  67.  Ancora 
eoo.  Dopo  che  noi  ayemmo  fktto  nn  miglialo 
di  passi,  qnelle  anime  erano  ancor  Ivngi  da 
noi  un  baon  tiro  di  sasso,  allorché  si  raccol- 
sero insieme  presso  ai  macigni  del  monte  e  si 
fermarono  le  une  accanto  alle  altre,  come  so- 
gliono fermarsi  a  guardare  i  passeggìeri  im- 
pauriti. Meravìglia  e  timore  cagionarono  Tatto 
di  questo  anime  :  meraviglia  di  vedere  i  due 
poeti  che  movevano  in  direzione  contraria  a 
quella  che  ò  usuale  nel  regno  della  purifica- 
zione, dove  si  procede  sempre  da  pìnistra 
verso  destra  ;  timore,  vedendo  ohe  essi  corre- 
vano fhinchi  e  sicuri  verso  di  loro  e  igno- 
rando quali  fossero  le  intenzioni  dei  due  sco- 
nosciuti. —  69.  m  bion  gittator  :  nn  uomo 
valente  a  lanciar  sassL  —  7S.  0  ben  flnlil 
eoo.  Virgilio  per  rinftanoar  subito  quelli  spi- 
riti dice  parole  per  le  quali  essi  possano  ri- 
conoscere che  i  due  viaggiatori  sono  spinti 
a  muover  loro  incontro  da  buone  intenzioni  : 
e  li  chiama  ben  finiHy  perché  morti  nella 
grazia  di  Dio,  ed  eMt»,  perché  fatti  degni 
dell'  etoma  beatitudine.  —  74.  per  qvella 
pAce  ecc.  :  ofir.  Purg.  v  61.  —  76.  giace  : 
cfr.  la  nota  all'In/',  xxra  81.  —  78.  perder 
tempo  ecc.  Bella  e  vera  sentenza,  nella  qnale 
si  raccoglie  tutto  ciò  che  Dante  dice  qua  o 
là  per  il  suo  poema  intomo  alla  cura  che 
l'uomo  deve  avere  del  tempo  (ofr.  Inf,  n  IS- 


IS, Airi;,  ni  84,  xvn  88-90,  zvm  lOB-105, 
XIX  129-181,  xxni  6-6,  xxiv  91-93,  Far,  xxvi 
4-6)  ;  e  ben  conveniva  questa  sentenza  in  bocca 
a  Virgilio,  che  aveva  scritto  (En.  x  467)  : 
e  Stat  sua  cuique  dios;  breve  et  irreparabile 
tempus,  Omnibus  est  vitae  ;  sed  fkunam  exten- 
dere  Cetctis,  Hoo  virtutis  opus  ».  —  79.  Goaie 
le  pecorelle  ecc.  É  questa  una  delle  più  cele- 
brate comparazioni  dantosohe,  si  ò  viva  la 
pittura  che  il  poeta  con  cura  scrupolosa  dei 
piti  minuti  particolari  seppe  ùao  di  nn  fktto 
comune,  ma  per  sé  stesso  singolare  e  difficile 
a  rappresentare  con  misurata  parola.  H  gorme 
della  comparazione  è  già  nel  Con»,  i  11: 
«  Questi  sono  da  chiamare  pecore,  e  non  no- 
mini :  che  se  una  pecora  si  gitiasse  da  una 
ripa  di  millo  passi,  tutte  l'altre  V  andrebbono 
dietro  ;  e  se  una  pecora  per  alcuna  cagione 
al  passare  d'  una  strada  salta,  tutte  l' altre 
saltano,  eziandio  nulla  veggendo  da  saltare  : 
e  i'  ne  vidi  già  molte  in  uno  pozzo  saltare, 
per  una  che  dentro  vi  saltò,  forse  credendo 
saltare  uno  muro,  non  ostante  che  il  pastore, 
piangendo  e  gridando,  colle  braccia  e  col 
potto  dinanzi  si  parava  ».  —  81.  atterrando 
tonendo  gli  occhi  e  il  muso  verso  la  terra. 

—  86.  teita  :  la  prima  linea  di  una  schiera. 

—  86.  mandria  :  cosi  chiama  la  compagnia  di 
quelle  anime,  non  tanto  per  rimembianza  bi- 
blica (Geremia  xm  17,  Luca  xn  82,  Gio- 
vanni X  1-18,  AUi  degli  Jp.  xx  28X  quanto 
per  aver  paragonato  il  loro  avanzare  al  cam- 


S7 


93 


C3 


OG 


09 


102 


106 


PURGATORIO  -  CAirro  in 

pudica  in  faccia,  e  nell*  andare  onesta. 

Come  color  dinanzi  yider  rotta 
la  lace  in  terra  dal  mio  destro  canto, 
si  che  l'ombra  era  da  me  alla  grotta, 

restaro,  e  trasser  sé  indietro  alquanto, 
e  tutti  gli  altri  che  venleno  appresso, 
non  sapendo  il  perché,  fanno  altrettanto. 

€  Senza  vostra  domanda  io  vi  confesso, 
che  questo  è  corpo  uman  che  voi  vedete, 
per  che  il  lume  del  sole  in  terra  è  fesso. 

Non  vi  maravigliate;  ma  credete 
che,  non  senza  virtù  che  dal  ciel  vegna, 
cerchi  di  soperchiar  questa  parete  ». 

Cosi  il  maestro;  e  quella  gente  degna: 
«  Tornate,  disse,  intrate  innanzi  d'iuquo  », 
coi  dossi  delle  man  fìtcendo  insegna. 

Ed  un  di  loro  incominciò:  €  Chiunque 
tu  se',  cosi  andando  volgi  il  viso  ; 
pon  mente,  se  di  là  mi  vedesti  unque  ». 

Io  mi  volsi  vèr  lui,  e  guardai  '1  fiso  : 


291 


niBar  delle  pecore,  —  Allotta  i  ofir.  Inf,  xzi 
112.  —  88.  Oe»e  «olor  eco.  Le  anime  della 
pràu  fila  Tedendo  die  la  fignia  di  Dante  get- 
tava ombi»  ani  asolo  a'  acconezo  ch*egli  era 
Tiro,  e  per  la  grande  merariglia  ai  f enna- 
roBo  e  ai  ritraaaero  nn  po'  indietro  imitate  an- 
Uto  da  quelle  delle  rimanenti  file  che  igno- 
nrano  la  ragione  di  quell'atto.  —  retta:  cfr. 
i  TT.  15-18.  —  89.  dal  mio  deatro  «ante  : 
i  due  poeti  avevano  alla  deatza  il  monte  e 
•Ha  ainiatra  il  aole  ;  però  1'  ombra  di  Dante 
B  atandeva  Terso  deatra,  da  lai  alla  monta- 
gna. —  94.  Bensa  Toatra  eoo.  Virgilio,  a  to- 
glier ogni  ragione  di  timore  o  di  meraviglia 
in  quello  anime,  dice  loro  ohe  il  ano  com- 
pagno è  vivo  e  ohe  a'aooinge  a  aaliro  al  por- 
gatorioperconoeaaione  divina.  — 96.  èftai^x 
è  interrotto.  —  99.  di  aepereklar  ecc.  di 
superare  qneato  monte,  erto  oome  una  pare- 
te. —  101.  Tarmate  eoo.  Voltatevi  indietro  e 
procedete  «^"«"»<»^"^  innami  a  noL  — 109. 
cel  deaal  eco.  accennando,  col  rivolgere  a 
■ci  \  dosai  delle  mani,  che  dovevamo  cammi- 
nara  nella  loro  staaaa  direnone,  oioò  girando 
intorno  al  monta  dalla  parto  deetra.  —  102. 
laatgaa:  aegno,  cenno;  aenao  generico  che 
spesso  gfi  antichi  tziboivano  a  qneata  vooe 
(cfir.  Pmg,  zzn  124).  —  108.  Kd  «a  di  loro 
eoe.  Uno  di  qnelli  apiriti  invita  Danto  a  goar- 
daxk),  ponendo  mento  ae  mai  l'aveese  veduto 
nel  mondo;  ma  il  poeta  dopo  averlo  bene 
osservato  gli  dice  di  non  averlo  mai  cono- 
schito,  e  aUoaa  Taltio  ai  rivela  per  Manfredi. 


figlinolo  naturale  di  Federigo  II  e  di  Bianca 
Lancia,  lianfredi  nato  intomo  al  1232,  allor- 
quando mod  ano  padre  tonno  con  forto  mano 
il  regno  finché  fa  venato  dalla  Germania  ad 
aaanmome  11  governo  il  fratollo  Corrado  IV  ; 
alla  morto  del  quale,  ai  fece  incoronare  re  di 
NapoU  e  SidUa  e  rease  lo  Stoto  dal  1258  ni 
1266;  ma  non  riusd  a  placare  la  Corto  ro- 
mana, la  quale  spinse  contro  di  lui  Carlo 
d' Angiò  (ofir.  Purg,  vu  113),  inveatito  di  quel 
regno  da  demento  IV  U  25  febbraio  del  1265: 
Carlo  entrò  nel  territorio  napoletano  e  il 
26  febbraio  1266,  aconfiBae  a  Benevento  Teser- 
dto  di  Ifanfiredi,  ohe  mori  valoroaamonto  sai 
oampo  (cf^.  O.  Di  Ceaare,  Storia  di  Manfredi 
n  di  SieiUaédi  PugUa,  NapoU  1887).  G.  Vil- 
lani, Or.  VI  46,  ne  fa  questo  ritratto  :  e  Man- 
fredi. . .  fb  bello  di  corpo,  e,  come  il  padro 
e  più,  diaaoluto  in  ogni  lossoria  :  aonatore  e 
oautotore  era,  volentieri  si  vedea  intorno 
giooolari  e  uomini  di  corto  e  belle  concubino, 
e  aempro  veatio  di  drappi  verdi  ;  molto  Tu 
largo  e  cortese  di  buon  aire,  ai  che  egli  era 
molto  amato  o  grazioso  ;  ma  tutto  aua  vita 
fu  epicuria,  non  curando  quaai  Iddio  nò  aanti, 
se  non  a  diletto  del  corpo.  Nimico  fu  di 
santo  Chiesa  e  de'  oherid  e  de'  religiod,  oc- 
cupando le  chieae  corno  il  auo  padre,  e  piò 
ricco  signore  fu,  ai  del  teeoro  ohe  gli  rimase 
dello  'mperadore  e  del  re  Currado  ano  l^tollo, 
si  per  lo  auo  regno,  che  era  largo  e  fruttaoso  : 
e  e^,  mentre  che  rivetto,  con  tutto  le  guerre 
eh'  ebbe  colla  Chiosa,  il  tenne  in  buono  aUto, 


292 


DIVINA  COMMEDIA 


biondo  erft  e  bello  e  di  gentile  aspetto; 
JJJ        ma  l'un  doccigli  un  colpo  avea  diviso. 
Quando  io  mi  fui  umilmente  disdetto 
d' averlo  visto  mai,  ei  disse  :  €  Or  vedi  », 
1 1 1        e  mostrommi  una  piaga  a  sommo  il  petto. 
Poi  sorridendo  disse:  €  Io  son  Manfredi, 
nipote  di  Costanza  imperadrice; 
Hi        ond'io  ti  prego  cbe,  quando  tu  riedi, 
vadi  a  mia  bella  figlia,  genitrice 
dell' onor  di  Cicilia  e  d'Aragona, 


8(  che  'I  montò  molto  di  ricchezze  e  in  podere 
por  mare  o  per  terra  ».  —  107.  Mondo  ecc.  : 
uos£  Saba  Halaapina,  Hiai.  rer.  sto.  in  Mar., 
Jìer.  U.  Vm  880,  deeorìve  Manfredi  :  e  Homo 
aavos,  amoena  Hicie,  aspeota  pladbilis,  in 
maxillis  mbeos,  ocolis  sidereia,  per  totom 
niveos,  statara  mediooris  ».  — 108.  mm  l'vm 
oco.  ma*4a  bellezza  del  ano  volto  era  detar- 
pata da  ana  ferita  al  ciglio  d'an  occhio  (cfr. 
▼.  118).  —  109.  mi  fui  disdetto  eoo.  ebbi 
affermato  di  non  averlo  mai  rodato  :  il  yb. 
disdire  nel  senso  di  negare  è  anche  nel  Cbnv. 
IT  8:  <  io,  che  in  questo  caso  allo  imperlo 
rererenzia  avere  non  debbo,  se  la  disdico, 
irriverente  non  sono.  —  112.  lorridendo  : 
Lomb.  :  «  H  parer  mio  sarebbe  che  sorridesse 
Manfi^di  per  sappor  Danto  persoaso,  colla 
cornane  degli  aomlni,  die  non  potess'  egli  ee- 
ser  salvo  ;  e  peroiò  viene  sabito  a  diohiarar- 
gli  come  ottenne  da  Dio  perdono  delle  sae 
colpe  »  ;  e  già  Benv.  aveva  inteso  ohe  Man- 
fredi sorridesse  «  qoia  salvas  erat,  qaod  Dan- 
tos  non  patabat  ».  — 118.  nipote  eco.  nipote 
di  Costanza,  moglie  di  Arrigo  VI  e  madre  di 
Federico  II  (efr.  Ar.  m  118  e  sogg.).  Se- 
condo alcani  commentatori  imagìna  Danto 
ohe  Manfredi  non  ricordi  il  padre,  perché  ciò 
avrebbe  richiamato  alla  mento  degli  altri  l'il- 
legittima saa  nascita.  — 116.  mia  beUa  figlia 
ecc.  la  figlia  di  Manfredi,  anch'essa  nominata 
Costanza,  andò  sposa  a  Pietro  m  re  d'Ara- 
gona, al  qaale  partori  tre  figliaoli,  Alfonso, 
Giacomo  e  Federico  (cfr.  Aify.  vn  112  o  segg.). 
Scrive  di  lei  M.  Amari,  Laguerra  dèi  vespro 
tioil»,  voi.  n,  p.  824  :  «  Tra  qaestl  e  qaantl 
altri,  o  saddlti  o  principi,  fturon  grandi  ne' 
fatti  nostri  di  qael  tempo,  sospinti  da  ambi- 
zione a  vizi  non  senza  gloria,  spicca  la  can- 
didissima fama  della  regina  Costenza,  avve- 
nente della  persona,  bellissima  d' animo,  per 
le  care  virtù  di  donna  e  madre,  e  credente 
nel  vangelo.  La  fine  di  Manfredi  avvelenò  il 
fior  degli  anni  saoi  ;  poi,  s'ella  vide  ponito  lo 
stermlnator  del  sangae  avevo  e  libera  la  Si- 
cilia, ebbe  a  tremape  ad  ogni  istante  pe'  saoi 
più  cari  ;  pianger  la  morto  di  dae  figliaoli,  la 
nimistà  d' altri  dae  ;  né  troppo  la  poteano 
far  lieta  le  nozze  della  figlia  neU'  abbonita 


casa  d'Angiò.  Naoqae  e  Ai  educata  in  Pm- 
termo  :  tornata  ta  SioilU  per  ti  rare  vicende, 
la  governò  dòloemente  dopo  la  partenza  di 
Pietro  :  dettò  alcuna  legge  ohe  non  è  per- 
venata  a  noi  ;  fb  amorevole  coi  sodditL  .  . 
Non  ebbe  ambisiooo,  lasciando  prima  a  Pietro, 
poi  a'  figlinoli,  la  corona  di  Sicilia,  oh'  em 
soa  se  si  potea  rivendicare  per  diritto  :  n6  tal 
moderazione  naoqne  da  pochena  d'animo  in 
costei,  che  ben  seppe  in  perioolodnlmi  tempi 
provvedere  alla  difesa  della  Sldlia,  e  dna 
volte  oon  molta  destrezza  salvar  Ifedezigo 
da'partigiani  di  Oiaoomo.  Qnetata  la  ooadanzn 
oon  la  benedizione  papale,  poeate  poco  ap- 
presso le  tempeste  di  Sicilia,  l' anno  mede- 
simo 1802,  finf  i  saoi  giorni  in  BaroeUona,  ove 
attendeva  a  frkbbricar  monasteri  e  ad  altre 
opere  che  cristiana  piota  la  saggeriva  nella 
vecchiezza  ».  — 116.  delPener  eco.  ;  Gli  an- 
tichi commentatori  concordemente  intesero 
che  qoi  fossero  accennati  i  dae  figli  di  Co- 
stanza viventi  nel  1800,  Oiaoomo  n  re  d'An^ 
gona  e  Federigo  n  re  di  Sidlia  (cfr.  Purg, 
vn  119>;  ma  alcani  moderni,  considerando 
che  Danto  noi  Oon,  rr  6  enei  De  mdg.  eHoq, 
I  12  biasimò  Federico,  e  tatti  e  dne  i  fratelli 
censarò  aspramente  nel  Pw,  zxx  130-188  co- 
me cattivi  principi,  giadicarono  che  fosso  ac- 
cennato il  primogenito  Alfonso  m  (cfr.  Pmg, 
vn  116).  Ma  si  consideri  ohe  qneeto  parole 
sono  poste  da  Dante  in  bocca  a  Manftodi,  il 
quale  parla  di  dae  nipoti,  meritevoli  della  saa 
lode  perché  entrambi  tennero  la  Siollia  contro 
gli  angtoùìi,  e  s'intenderà  ohe  la  sola  inter- 
pretazione giosta  ò  qaella  degli  antichi.  Si 
noti  ancora  il  riscontro,  certo  casaale,  tm  il 
verso  dantesco  e  il  verso  di  nn'  iscrizione 
metrica  agrigentina  del  1298,  ove  la  madre 
di  Giacomo  II  e  di  Federico  II  è  ohiamata  * 
Fulgidior  mAé  gemina  OonatanOa  prole  (cfr.. 
F.  Testa,  De  vUa  ei  rebus  gesHs  F^tdmioi  H 
SicUias  regis,  Palermo,  1776,  p.  286).  8.  Fer- 
rari, Led,  p.  28:  «In  qaesto  determinare  Co- 
stanza come  madre  di  dae  re,  pad  darsi  ohe 
ohe  vi  sta  ana  periftasi  che  in  qaei  tempi 
era  di  colore  storico,  dacché,  a  qoanto  aiCer- 
ma  G.  Villani  nella  Or,  vn  77,  il  marito,  por 
di  Costanza,  si  era  fktto  intitolare  jmt  i^ 


PURGATORIO  -  CANTO  III 


293 


117        e  dìchi  il  vero  a  lei,  s*  altro  si  dice. 
Poscia  chT  ebbi  rotta  la  persona 
di  due  punte  mortali,  io  mi  rendei 
120       piangendo  a  quei  che  volentier  perdona. 
Orribil  furon  li  peccati  miei; 
ma  la  bontà  infinita  ba  si  gran  braccia 
123       che  prende  ciò,  che  si  rivolge  a  lei 
Se  il  pastor  di  Cosenza,  che  alla  caccia 
di  me  fu  messo  per  Clemente,  allora 
126        avesse  in  Dio  ben  letta  questa  faccia, 
l'ossa  del  corpo  mio  sarieno  ancora 
in  co*  del  ponte  presso  a  Benevento, 
129        sotto  la  guardia  della  grave  mora. 
Or  le  bagna  la  pioggia  e  move  il  vento 


giadrìa,  Pietro  éPAragona  eaioatten  epadn  di 
ém  n  é  tignon  dsl  nnmdo  ».  —  Clelll»: 
cfr.  W-  zn  106.  —  117.  s'altro  il  dlee: 
••  nel  mondo  oozxe  di  me  altra  funa,  cioò 
che  MiBiìdo  morto  loomiinioato  non  possa 
e»ere  in  luogo  di  salvazione.  Oorse  però  ao- 
ch0  la  Tooe  che  Man&edi  morisse  pentito  di- 
offlìdo  la  Dunose  paròle:  Dmu,  prcpitiua  osto 
mOd  peeeatorif  e  sa  dò  fti  intessnta  una  leg^ 
genda  che  Danto  fórse  non  ignord  :  ofr.  F. 
Norwti,  Indagmi  eposUUe  doniesehSy  Bologna, 
1899,  pp.  117  e  segg.  e  D' Ovidio,  pp.  67-68. 

—  118.  tbèi  rotta  eoo.  ebbi  ferito  il  corpo 
di  due  oolpi  mortsli.  Tono  al  volto  (cf^. 
T.  106),  raltro  a  sommo  il  petto  (efr.  v.  Ili)  : 
i  cronisti  ohe  piil  minatamente  raccontano  le 
Tioende  della  battaglia  di  Benevento,  come 
G.  Villani,  Or,  vn  7-9,  non  accennano  alle 
ferito  riportato  da  Manfredi,  raccogliendo  solo 
la  voce  allora  corsa  oh*ei  fosse  ucciso  da  ano 
floodiero  fjranocse.  —  121.  Orrlbll  turon 
eco.  :  cf^.  le  parole  del  Villani  riferito  al  v.  103. 
— 123.  éhe  preade  ecc.  che  volentieri  acco- 
glie tatti  coloro  che  si  rivolgono  pentiti  a  lei. 

—  124.  Se  11  pastor  ecc.  Bacconta  Q,  Vil- 
lani, Or,  vn  9,  che  pregando  i  baroni  fran- 
eeei  il  loro  re  di  dare  onorata  sopoltora  a  Man- 
fredi, €  imperò  eh*  era  scomonicato  non  volle 
Il  re  Carlo  che  fosse  recato  in  luogo  sacro; 
ma  a  pie  del  ponto  di  Benivento  ta.  seppel- 
lito, e  sopra  la  saa  fossa  per  ciasoono  del- 
l'osto gittate  ona  pietra,  onde  si  fece  grande 
Biora  di  eas^:  ma  per  alcuni  si  disse  che  poi 
per  mandato  del  papa  il  vescovo  di  Cosonza 
il  trasse  di  quella  sepaltara  e  mandoUo  fuori 
del  Begno,  ch'era  terra  di  Chiesa,  e  fti  se- 
polto hmgo  il  fiume  del  Verde  a'  confini  del 
Begno  e  di  Campagna  :  questo  però  non  affer* 
■liamo.  Danto  adunque  raccogliendo  queste 
•voce  fia  dire  a  Manfredi  :  Se  il  pastore  di 
Cosenza,  che  U  pi^  Clemente  IV  spinse  a 


perseguitarmi  oltre  la  tomba,  avesse  cono- 
sciuto quella  pagina  delle  sacre  scritturo  ove 
si  legge  ohe  Dio  accoglie  i  pentiti  che  si  ri- 
volgono a  lui,  non  avrebbe  fatto  disottorraro 
il  mio  corpo.  —  pastor  di  Gosensa  :  Barto- 
lommeo  Fignatolli,  cardinale  e  arcivescovo  di 
Cosenza  dal  1264  al  1266  (ofr.  Ughelli,  BaUa 
sacrciy  IX  215);  secondo  altri  fu  invece  il  suo 
suooessoie  (cfr.  BuU.  U  61,  163).  —  126. 
Clemente:  il  pontefice  Clemente  IV  (1266- 
1268).  —  126.  tacita  fisccla:  quella  pa- 
gina del  vangelo,  che  4ice  ((Giovanni  vi  ^  : 
«  Tutto  quello  che  il  Padre  mi  dA  verrà  a 
me,  ed  io  non  caccerò  fuori  colui  che  viene 
a  me  ».  Altri  intondono  :  questo  aspetto  di 
Dio,  doò  la  misericordia  grande  verso  chi 
muore  pentito.  —  127.  l'ossa  ecc.  :  del  sep- 
pellimento di  Manfredi  scrive  Mauro  da  Pog- 
gibonsi,  0  chiunque  sia  l'antico  versificatore 
del  Tesoro  :  «  E  per  ciò  oh*  egli  era  scomoni- 
cato Non  fu  sepulto  in  sagrato  :  A  capo  del 
ponte  a  Benevento  Fu  sotterrato  e  messo 
bene  adrento,  £  fa  fatto  di  ronohioni  in  me- 
moria Altura  Orando  acervo  sopra  la  sua  so- 
poltora». —  128.  in  eo'del  ponte  ecc.  ò 
spiegato  dalle  parole  di  G.  Villani,  a  piò  del 
ponte  di  BeniverUo  :  H  eo'  del  ponte  (cfr.  Inf. 
XXI  64)  è  la  teste  o  l'estremità  del  ponto,  es- 
sendo eo'  uno  de'  riflessi  del  lat.  caputa  che 
Danto  usa  nel  senso  della  forma  più  comune 
eapOf  in  più  luoghi  (cf .  Inf,  xx  76,  Piar,  m 
96).  Questo  ponto  è  quello  della  Maorella  sol 
Calore  ;  cfr.  Bassermann,  p.  267.  — 129.  mora  : 
ammasso  di  piotro  (cfr.  Diez  217);  noteva 
su  queste  voce  il  Borgh.  :  e  è  in  uso  ancora 
de'  nostri  lavoratori  che  una  massa  di  fra- 
sconi chiamano  mora^  e  di  qui  è  morioeiaf 
che  vale  quo'  monti  di  sassi  che  da'  lavora- 
toli si  fanno  per  nettare  i  campi  d' intomo, 
o  in  una  parto  più  comoda  »,  e  all'  esempio 
di  G.  Villani,  Or,  vu  9,  qoest'altro  oggiun- 


294 


DIVINA  COMMEDIA 


di  fuor  del  regno,  quasi  lungo  il  Verde, 
dovrei  le  trasmutò  a  lume  spento. 

Per  lor  maledizion  si  non  si  perde 
che  non  possa  tornar  l'eterno  amore, 
mentre  che  la  speranza  ha  fior  del  verde. 

Ver  è  che  quale  in  contumacia  muore 
di  santa  Chiesa,  ancor  ohe  al  fin  si  penta, 
star  gli  oonyien  da  questa  ripa  in  fuoro 

per  ogni  tempo,  ch'egli  è  stato,  trenta. 


132 


135 


133 


141 


145 


in  sua  presunzion,  se  tal  decreto 

più  corto  per  buon  preghi  non  divento. 

Vedi  oramai  se  tu  mi  puoi  fax  lieto, 
rivelando  alla  mia  buona  Costanza 
come  m' hai  visto,  ed  anco  osto  divieto  ; 

che  qui  per  quei  di  là  molto  s*  avanza  ». 


gora  di  M.  Villani,  O.  m  8  :  <  bene  dna 
braccia  si  alzò  la  mora  delle  pietre  sopra  il 
corpo  morto  del  loro  senatore  >.  —  181.  qvatl 
Imago  il  Verde  :  ò  antica  la  divergenza  de- 
gli interpreti  a  questo  passo  :  il  Lana,  corto 
leggendo  qtuui  hmgo  il  v&rd6f  spiega:  «lo 
fé'  tórre  e  gittarlo  fuori  del  regno  alla  ma- 
rina dove  le  onde  yerdi  dell'acqua  bagnano 
la  terra  >  ;  Pietro  di  Dante  ed  il  Buti  dicono 
il  Verde  essere  un  affluente  del  Tronto,  fiume 
che  segna  il  confine  del  regno  di  Napoli  con 
le  Marche,  e  furono  seguiti  da  molti  moderni, 
Vent,  Lomb.,  Biag.,  Tomm.;  Benr.  invoco 
dice  essere  il  fiume  Liri  nella  Campania,  e 
la  sua  opinione  fu  difesa  dal  Blano,  mentre  il 
Bassermann,  pp.  269-272,  ha  sostenuto,  con 
buone  ragioni,  trattarsi  precisamente  del  Ca- 
stellano o  Suino,  affluente  del  Tronto  (cfr. 
Par.  vm  63).  —  132.  a  lame  ipeoto:  An. 
fior.  :  «  doò  come  si  fa  quando  alcuno  si  sco- 
munica, che  si  suonano  le  campane  et  spen- 
gonsi  i  lumi  >.  —  183.  Per  lor  ecc.  Per  le 
scomuniche  ecclesiastiche  l'uomo  non  perde 
tanto  che  non  possa  litomare  a  lui  la  grazia 
del  Signore  (cfr.  Purg,  xi  7-9),  finché  essendo 
vivo  ha  ancora  un  filo  di  speranza.  —  135. 


■«■tre  che  la  iperaua  ha  fior  del  verde: 

finché  la  speranza  ha  alcun  poco  di  vigore, 
verdeggia  ancora  un  poco:  fior  è  qui,  oomo 
in  Inf.  XXV  144  e  xxxrv  26,  un  avverbio  di 
quantità  ftequentemente  usato  dai  nostri  an- 
tichi in  senso  di  pwUOj  poeo^  alquanto  ecc.  — 
136.  quale  ecc.  chiunque  muore  fbori  della 
comunione  della  Chiesa  deve  stare  fuori  del 
purgatorio,  ritardare  doò  il  oomlndamento 
della  sua  purificazione,  per  un  tempo  trenta 
volta  maggiore  di  quello  eh'  eg^  ò  stato  in 
presuKxione  della  Chiesa,  doò  scomunicato. 
—  138.  star  ecc.  :  anche  qui  risuona  l'eco  doì 
versi  di  Virgilio,  En,  vi  827  :  <  Neo  ripas 
datur  horrendas,  nec  rauca  fiuenta  Transpoi^ 
tare  prius,  quam  sedibus  ossa  quiemnt.  Cen- 
tum  errant  annos,  volitantque  haec  lltora 
circum:  Tnm  demum  admissi  stagna  exoptata 
rovisunt  >.  —  141.  buon  preghi  :  cfr.  IStry. 
IV  184.  —  148.  Costanza  :  la  figlia  di  Mau- 
f^-edi  vissuta,  si  ricordi,  sino  al  1802  (vedi 
V.  116).  — 144.  osto  dlTlete:  la  proibizione 
di  entrare  nel  purgatorio  ;  per  toglier  la  qua- 
le, prima  del  tempo  proscrittomi,  ho  bisogno 
dei  suffragi  dei  vivi.  —  145.  ehé  qui  ecc.  cfr. 
Purg.  IV  183,  vi  26  e  sgg.,  xi  31-86  occ 


CANTO  rv 


Salendo  per  una  stretta  via  loro  additata  dalle  anime,  i  due  poeti  per- 
vengono non  senza  difficoltà  sopra  un  ripiano,  ove  Virgilio  spiega  a  Dante 
la  posizione  del  purgatorio  rispetto  al  sole  :  poi  ali*  ombra  di  un  masso 
trovano  una  schiera  di  anime,  che  furono  negligenti  a  pentirsi^  e  tra  esse 
Dante  rìeonoRce  quella  del  suo  concittadino  Belacqua  [10  aprile,  dalle  nove 
antim.  al  mezzogiorno]. 


PURGATORIO  —  CANTO  IV 


29l 


12 


15 


18 


21 


Quando  per  dilettanze  oyyer  per  doglie, 
che  alcuna  virtù  nostra  comprenda, 
l'anima  bene  ad  essa  si  raccoglie, 

par  che  a  nulla  potenza  più  intenda; 
e  questo  è  centra  quello  error,  che  crede 
che  un'anima  sopr' altra  in  noi  s'accenda. 

E  però,  quando  s'ode  cosa  o  vede 
ohe  tenga  forte  a  sé  l'anima  volta, 
vassene  il  tempo,  e  l'uom  non  se  n'avvede; 

ch'altra  potenza  è  quella  ohe  l'ascolta, 
ed  altra  quella  che  ha  l'anima  intera: 
questa  è  quasi  legata,  e  quella  è  sciolta. 

Di  ciò  ebb'io  esperienza  vera, 
udendo  quello  spirto  ed  ammirando; 
che  ben  cinquanta  gradi  salito  era 

lo  sole,  ed  io  non  m'era  accorto,  quando 
venimmo  dove  quell'anime  ad  una 
gridare  a  noi  :  <  Qui  è  vostro  domando  >. 

Maggiore  aperta  molte  volte  impruna, 
con  una  forcatella  di  sue  spine, 
l'uom  della  villa,  quando  l'uva  imbruna, 


IV  1.  Qmaate  eoo.  Quando  por  Impre»- 
lioni  gagliardo  di  dolore  o  di  piacerò,  le  quali 
operino  lopra  una  delle  facoltà  dell'  anima, 
l'Anima  itessa  ai  raccoglie  tatta  in  questa  fa- 
coltà, pare  che  non  intenda  più  ad  alcnn'altra. 

—  2.  eoMprenda:  rìoeya  in  aó  le  impreaaioni 
che  operano  sovra  di  oaaa.  —  6.  e  qaeato 
eco.  e  qnaato  fiitto  sta  contro  l'erronea  dot- 
trina professata  dai  platonici  e  dai  manichei, 
che  ammettono  la  ploralità  delle  anime,  la 
Tegetativa,  la  aensitiya  o  l' intellettiva}  men- 
tre l'aomo  ha  un'alma  sola  (Purg,  zzv  74). 

—  7.  però  eoo.  perciò,  quando  si  ascolta  o  si 
vede  cosa  che  fortemente  attiri  a  sé  l'atten- 
zione dell'  anima,  passa  il  tempo  senza  che 
l'uomo  se  n'accorga,  perohó  l'anima  ò  tutta 
concentrata  nell'  esercizio  delle  facoltà  sen- 
sitive e  inoperosa  nella  feodtà  intellettiva. 

—  10.  altra  poteasa  eoo.  altre  ò  la  facoltà 
che  ascolta  o  vede,  altre  ò  quella  che  l'anima 
serba  Mfra  doò  inoperosa,  non  toccata  dal- 
l'impressione;  e  la  prima  è  impedita  e  la 
seconda  è  lihera.  — 18.  Di  old  ecc.  Di  questo 
btto  io  ebU  vere  esperienza,  ascoltando  Man- 
fredi (cfr.  ISurg,  m  112-146)  e  moreviglian- 
domi  di  dò  eh'  egli  mi  dicova  di  sé  e  dei 
compagni  ;  poiché  non  m' accorsi  che  erano 
paante  altre  due  ore.  — 15.  ben  cinquanta 
soc  il  sole,  che  percorre  quindici  gradi  al- 
l'ora,  ere  aalito  di  oltre  cinquanta  gradi, 
doè  erano  ormai  passate  tre  ora  e  venti  mi- 


nuti dal  suo  levarsi  sull'  orizzonte:  al  mo- 
mento che  Dante  aveva  temuto  d' essere  stato 
abbandonato  da  Virgilio  ere  un'  ore  di  sole 
(cfir.  Purg,  m  25);  due  altre  ore,  adunque, 
erano  passate  noli'  andare  dei  poeti  verso  la 
montagna  {ISurg,  m  46  e  segg.),  nella  ricerca 
di  una  via  più  agevole  a  salire  (Airy.  m  61 
e  segg.X  noli'  incontro  con  la  schiere  delle 
anime  (IStrg,  m  64  e  segg.)  e  nel  conversare 
con  ICanfredi  (Aify.  in  103  e  segg.);  ofr. 
Moore,  p.  84.  —  17.  ad  «nat  insieme,  ad 
una  voce  ;  cosi  anche  in  Purg.  xzi  85.  ~  18. 
Qui  à  vostro  donando  :  qui  ò  il  luogo  <  dove 
la  montagna  giace  si  che  possibil  sia  l' an- 
dare in  suso  >,  oome  VirgUio  aveva  chiesto 
alle  anime  {Purg,  m  76).  —  19.  Maggiore 
aperta  ecc.  Il  contadino,  nel  tempo  che  le 
uve  maturano,  spesso  con  una  piccola  for- 
cata di  ^ine  riserre  nelle  siepi  che  circon- 
dano il  suo  campo  un'apertun  più  larga  che 
non  fosse  il  sentiero  per  cui  imprendemmo  a 
salire.  —  20.  di  sue  spine  :  osserva  il  Ven- 
turi 528:  clmagine  forse  aoelta  avvisata- 
mente, in  quanto  colà  stanno  le  anime  che 
aspettano  d' ire  a  purgarsi,  avendo  differita 
per  pigrizia  la  conversione  all'estremo  di  lor 
vita  >:  infatti  ò  sentenza  biblica  {Prov,  zv  19) 
che  <  la  via  del  pigro  ò  come  una  siepe  di 
spine».  —  21.  qaando  l'ara  imbruna:  al 
tempo  in  cui  maggiore  dev'  essere  la  vigi- 
lanza del  pentadi  no  e  la  cure  di  chiuder  bene 


29G 


DIVINA  COMMEDIA 


che  non  era  la  calla,  onde  saline 
lo  duca  mio  ed  io  appresso,  soli, 
21        come  da  noi  la  schiera  si  partine. 
Vassi  in  San  Leo,  e  discendesi  in  Noli; 
montasi  su  Bismantova  in  caciune 
27        con  esso  i  pie:  ma  qui  convien  ch'uom  voli; 
dico  con  l*ali  snelle  e  con  le  piume 
del  gran  disio,  di  retro  a  quel  condotto, 
CO       che  speranza  mi  dava  e  facea  lume. 
Noi  saliyam  per  entro  il  sasso  rotto. 


i  btiohi  aperti  nelle  siepi  dai  ladri.  —  22. 
calla:  ò  lo  stesso  ohe  oalUf  sentiero,  e  ac- 
cenna come  qnesto  per  cni  saliyano  Dante  e 
Virgilio  fosse  stretto  e  difficile,  perché  inca- 
rato  nel  macigno  e  molto  erto  (cfr.  yt.  81- 
84).  —  ialUe:  cfr.  Bif.  xi  81.  —  24.  cerne 
occ  appena  le  anime  si  furono  allontanate 
da  noi.  —  il  partine  x  se  ne  partL  ^  26. 
Tassi  ecc.  Dante  paragona  la  difficile  yìa  del 
purgatorio  alle  più  malagevoli  che  fossero  ai 
snoi  tempi  in  Italia,  ricordando  il  sentiero 
intagliato  nella  roccia  sa  coi  sorge  il  castello 
di  San  Leo,  gli  scaglioni  per  coi  si  discende 
dai  monti  circostanti  alla  dttà  di  Noli,  e  i 
gradini  onde  si  monta  alla  pietra  di  Bisman- 
tora.  —  San  lieo:  piccola  città  del  territorio 
d' Urbino  verso  la  Romagna,  sitoata  sopra 
un'  erta  montagna  alla  destra  del  Home  Ma- 
rocchia;  Benv.  cosi  la  descrive:  «  iam  satls 
deserta  tempore  nostri  pootae,  et  hodie  plus  ; 
in  altissimo  monto  sita,  montibos  altissimis 
aggregatis  circomcincta,  ita  quod  coUigit  in- 
tra fortilitiam  fractns  et  omnia  necessaria 
ad  victom  et  snbstentationem  homanae  vitao, 
sicnt  Samorinom,  castmm  natorali  sita  ma- 
nitisstmam  ot  optimum,  distans  a  Sancto 
Leone  por  qoataor  milliaria  >  :  cfr.  6asse> 
mann,  pp.  195-197.  ~  HoU:  piccola  città 
nolla  riviera  ligure  di  ponente,  tra  Savona  e 
Albenga,  in  fondo  a  un  golfo  circondato  da 
monti  che  al  tompi  di  Dante  rendevano  diffl- 
dlissimo  r  accedervi  ;  poiché  si  doveva  di- 
scendere por  gli  scaglioid  intagliati  nei  monti 
ertissimi,  spocìalmonte  il  Capo  Noli  e  11  Mon- 
te Castello,  che  circondano  Noli  come  se 
fosse  il  centro  di  un  anfiteatro  :  cfr.  Basser- 
mann,  pp.  200-202.  —  26.  BlsmantOfa:  la 
pietra  di  Bismantova  ò  una  montagna  di  dif- 
ficile accesso,  por  le  pendici  tagliato  a  picco, 
la  quale  sorge  neH'Àpennino  nel  territorio 
di  Roggio  noli'  Emilia  :  <  Tota  saxoa  viva 
(dico  Bonv.)  altissima,  ita  quod  superat  om- 
nes  colles  'vicinos  et  habot  unam  solam  viam 
in  circuitu,  qoam  paud  defenderent  a  tote 
mando;  in  ooios  summitate  est  planitìes, 
quae  colitur  quando  est  opportanum,  ot  loca 
circumvicina  sunt  sylvestria  et  aspora,  onde 
habitantes  in  plano   inferìus  refugiunt  ad 


iitom  looum  tatisslmum  tempore  belU. .  •  In 
ista  iommitato  est  una  pars  in  extxemo  «mi- 
neni  et  altior  ;  modo  viilt  dioore  autor  qood 
non  solum  ab  homlne  potest  iri  ad  tammi- 
tatem  huius  mentis,  sed  etiam  ad  ipsnm  caca- 
men  particolare  ».  -  la  eaevMe  :  sino  alla 
parte  eminente  sulla  cima  di  Bismantova, 
notata  da  Benv.,  dod  a  quel  punto  più  alto 
ohe  si  aderge  nella  parte  sud-ovest  della  vetta 
formata  da  una  specie  di  ripiano,  come  ha 
osservato  sul  luogo  il  Bassermann,  p.  199. 
Altri  leggono  •  in  Caeume  e  credono  che  vi 
sia  accennato  il  Monte  Cacume,  non  lungi 
da  Fresinone  (cfr.  V.  Bossi,  BulL  V,  41-44, 
112),  ma  il  Bassermann,  pp.  621-626,  ha  di* 
dimostrato  l' erroneità  di  questa  interpreta- 
rione.  —  27.  eoa  esso  1  pU  ;  solamente  coi 
piedi,  senz'altro  aiuto:  cfr.  Pwy.  zxiv  98. 
—  qal  coarlea  ecc.  qui  bisognava  volare, 
tanto  diffidlo  era  la  salita.  Biag..  <  È  inten- 
zione del  poeta  di  mostrarci,  per  la  difficoltà 
e  fatica  di  questa  lunga  salita,  più  assai  delle 
altro  ripida  e  malagovole,  la  pena  che  ha 
r  uomo,  neir  uscir  del  vizio,  d' entrare  por 
la  porta  della  penitenza,  il  cui  sentiero  non 
potrebbe  snperare,  se  dal  desiderio  della  fo- 
lidtà  e  dal  lume  dolla  ragione  assistito  non 
fosso»  U  concetto  di  Dante  risponde  al- 
l'avvertimento  evangelico  (Matteo  vn  14): 
«Quanto  ò  stretta  la  porta  od  angusta  la 
via  che  mena  alla  vita  l  e  pochi  son  coloro 
che  la  trovano  ».  —  28.  dice  occ  bisognava 
volare  con  le  ali  agili  della  fede  e  con  le 
piume  della  carità,  come  volava  io  dietro  a 
Virgilio,  cho  mi  infondeva  la  speranza  e  il- 
luminava la  mia  ragione.  —  29.  eoadotto: 
guida,  scorta;  cosi  spiegano  Bonv.,  Buti,  An. 
fior..  Land.,  YelL,  Dan.  e  quasi  tutti  i  mo- 
domi,  alcuni  derivando  la  parola  da  oo)ufue(tM, 
agg.  sostantivato,  e  altri  da  eonduetor.  In- 
vece Biag.,  Bianchi,  Blanc  e  altri  costrui- 
scono :  eondoUo  di  retro  a  quel  eh»  mi  doMi 
ecc.,  tratto  dietro  a  Virgilio,  che  eoe  ;  ma 
ò  una  spiegazione  da  dubitarne.  —  81.  Hol 
■allfam  ecc.  I  due  poeti  salivano  dal  piede 
del  monto  verso  il  primo  balzo  per  un  sen- 
tioro  incavato  nella  roccia,  stretto  sf  cho  cam- 
minando toccavano  le  sponde  laterali  e  tanto 


PURGATORIO  -  CANTO  IV 


297 


e  d'ogni  lato  ne  stringea  lo  stremo, 
33       e  piedi  e  man  voleva  il  suol  di  sotto. 
Poi  ohe  noi  fdmmo  in  sa  Torlo  sapremo 
dell'alta  ripa,  alla  scoperta  piaggia: 
36        «Maestro  mio,  diss'io,  ohe  via  £ivremo?  > 
£d  egli  a  me  :  «  Nessun  tuo  passo  caggia  ; 
pur  su  al  monte  retro  a  me  acquista, 
80        fin  che  n'  appaia  alcuna  scorta  saggia  ». 
Lo  sommo  er'alto  che  vincea  la  vista, 
e  la  costa  superba  più  assai 
42        che  da  mezzo  quadrante  a  centro  lista. 
Io  era  lasso,  quando  cominciai: 
€  0  dolce  padre,  volgiti  e  rimira 
45        com'  io  rimango  sol,  se  non  ristai  ». 
«  Figliuol  mio,  disse,  infin  quivi  ti  tira  », 
additandomi  un  balzo  poco  in  sde, 
48        che  da  quel  lato  il  poggio  tutto  gira. 
Si  mi  spronaron  le  parole  sue, 
ch'io  mi  sforzai,  carpando  appresso  lui, 
61        tanto  che  il  cinghio  sotto  i  pie  mi  fue. 
A  seder  ci  ponemmo  ivi  ambedui 
vòlti  a  levante,  ond'eravam  saliti, 
54        ohe  suole  a  riguardar  giovare  altruL 


ttto  eha  UsognftTft  aintani  con  le  mani  a  sa- 
lite.  G.  Picdola,  LuL  p.  18:  «Il  laoconto 
deU'aaoeniione  d  d'una  drammaticità  eriden- 
ta,  rapida,  perfetta  »:  al  può  raffrontarlo  con 
qaeUo  dell'in^,  zxiy  25  e  legsr.  —  8i.  Poi 
elM  Mi  eoo.  Quando  ftammo  pervenuti  al 
tonnine  di  quella  via  incavata,  sopra  il  ri- 
piano superiore  dell'  alta  ripa  ohe  ooetituiBOO 
la  base  del  monte,  ripiano  ohe  si  stende  al- 
l' ^erto  eoo.  L' aUa  tipa  ò  la  base  del  mon- 
to; la  quale  nella  parte  superiore  si  syUuppa 
oon  un  <]TÌo  o  ripiano,  che  forma  una  aoopeirta 
viaggia^  uno  spario  ove  texmina  la  via  inoa- 
Tito.  —  87.  HesSBB  tao  eoo.  Dante  aveva 
chiesto  da  qual  mano  avrebbero  preso  sull'orto 
«MprwNO  della  ripa,  e  Virgilio  risponde  ammo- 
nsndolo  di  non  volgersi  né  a  destra  nò  a  si- 
nistn  (Benv.  «  maggia  idett  dedinet  in  dexte- 
nuD  vd  sintotrsm  >),  ma  di  continuare  a  sa- 
lire su  verso  il  monte.  —  88.  aefuista:  pro- 
cedi, avanza  ;  cfir.  Inf,  xxvi  186.  —  89.  al- 
ena Morto  saggia:  qualcuno  ohe  sappia 
gnidarci  al  purgatorio.  —  40.  Le  sommo 
•T'aito  eoe  La  cima  del  monte  era  tanto 
alto  ohe  la  vista  non  la  disoemeva:  ofr. 
▼t.  86-87.  —  4L  0  la  OMto  eco.  e  il  fianco 
^  monte  aveva  un'inclinazione  maggiore 
di  46  gradi  :  il  qmàranU  i  il  quarto  del  cir- 


colo e  gli  corrisponde  1*  angolo  retto  ;  alla 
metà  del  quadrante  corrisponde  quindi  l'an- 
golo di  46  gradL  ~  44.  dolce  padre  :  uno 
dei  più  affettuosi  modi  coi  quali  Dante  desi- 
gna Virgilio  ò  questo  di  dolce  padn  (ofr.  Inf. 
vm  110,  Puirg,  xv  25, 124,  xvn  82,  xvra  IS, 
rxm  18,  xzv  17,  xzvn  62),  usato  di  prefe- 
renza neUa  seconda  cantica.  —  46.  io  ri- 
mango eoo.  io  resterò  addietro,  se  tu  non 
ti  fermi  ad  aspettarmi.  —  46.  inda  qaivi 
eco.  sfòizati  di  pervenire  sino  a  cotesto  balzo. 
—  47.  nn  balzo  ecc.  uno  spoigimento  del 
terreno,  che  girava  intomo  al  monte  da  quella 
parte  ove  erano  i  poeti.  —  60.  earpaado  ecc. 
arrampicandomi,  andando  carpone  dietro  a 
Virgilio.  —  61.  tanto  ecc.  finché  mi  trovai 
sopra  il  cinghio  o  balzo,  che  da  quel  lato 
sporgeva  dal  monte.  —  63.  vòlti  a  levante 
eoo.  volgendoci  verso  oriente,  a  quella  parte 
dalla  quale  eravamo  saliti.  —  64.  chtf  suole 
eco.  perché  il  riguardare  dall'  alto  la  strada 
percorsa  suole  rinfrancare  e  rallegrare  chi  ò 
stanco  della  lunga  salita:  cfr.  con  le  paix)Ie 
di  Geremia  vi  16  :  <  Il  Signore  avea  detto 
cosi  :  Fermatevi  in  BuUe  vie,  e  riguardate:  e 
domandate  dei  sentieri  antichi,  per  saper 
quale  d  la  buona  strada,  e  camminate  per 
essa  ;  e  voi  troverete  riposo  all'  anima  vo- 


298 


DIVINA  COMMEDIA 


Gli  occhi  prima  drizzai  a* bassi  liti; 
poscia  gli  alzai  al  sole,  ed  ammirava 

67  che  da  sinistra  n'eravam  feriti. 
Ben  s'avvide  il  poeta  che  io  stava 

stupido  tatto  al  carro  della  luce, 
60        dove  tra  noi  ed  Aquilone  intrava. 
Ond'  egli  a  me  :  «  Se  Castore  e  Polluce 
fossero  in  compagnia  di  quello  specchio, 

68  che  su  e  giù  del  suo  lume  conduce, 
tu  vederesti  il  Zodiaco  ruhecchio 

ancora  all'Orse  più  stretto  rotare, 
66        se  non  uscisse  fuor  del  cammin  vecchio. 
Come  ciò  sia,  se  il  vuoi  poter  pensare, 
dentro  raccolto,  imagìna  Sion 

69  con  questo  monte  in  su  la  terra  stare, 
si  che  ambedue  hanno  un  solo  oriiszon 

e  diversi  emisperi;  onde  la  strada, 
72        che  mal  non  seppe  carreggiar  Feton, 


8tra>.  —  66.  Gli  occhi  priva  eoe  Danto, 
volgendo  gli  occhi  alla  marina,  doè  verso 
oriento,  e  al  sole,  si  meraviglia  vedendo  ohe 
il  iole  gira  dalla  sua  sinistra:  e  ViigiUo  gU 
espone  minatamente  la  ragione  di  tale  feno- 
meno, che  doveva  parere  strano  a  chi  nel 
mondo,  guardando  verso  oriente,  aveva  sem- 
pre veduto  il  sole  girare  dalla  destra.  La 
meraviglia  di  Dante  ricorda  quella  dogli  Arabi, 
venuti  in  aiuto  di  Pompeo,  seoondo  Lucano, 
Fan.  m  247  :  «  Ignotum  vobis  Arabes  ve- 
nistis  in  orbem,  Umbras  mirati  nemorum  non 
ire  sinistias»:  ofr.  Omo,  m  6  e  anche  il 
Moore,  I  289.  —  69.  al  carro  della  Uee: 
al  sole;  ofir.  v.  72.  —  60.  dove  ira  sol  ecc.: 
il  sole  nasceva  ù«  noi  e  V  aquilone,  vento 
settentrionale  ;  al  contrario  di  dò  ohe  suc- 
cede nel  nostro  emisfero,  ove  il  sole  nasce 
tra  noi  e  l' austxo,  vento  meridionale.  Si  cfir. 
anche  qui  Lucano,  Far»,  ix  688  :  «  At  tibi, 
qnaecumque  es  Libyco  gens  igne  diremta, 
In  Noton  umbra  cadit,  quae  nobis  ozit  in 
Aroton  >.  —  61.  8e  €aatere  •  Pellvce  eoe 
Se  il  sole,  che  illumina  vicendevolmente 
r  emisfero  boreale  e  l' australe,  fosse  nella 
costellazione  dei  Gemini  (Castore  e  Polluce, 
i  Diosouri  figli  di  Giovo  e  di  Leda),  tu  ve- 
dresti la  parte  rosseggiante  dello  zodiaco, 
ov'  ò  il  sole,  ruotare  più  da  presso  alle  Orse, 
cioè  al  polo  artico,  perché  la  ooeteUaxione 
dei  Gemini  è  più  settentrionale  di  quella  del- 
l'Ariete,  in  cui  ò  ora  il  sole  (ofr.  Della  ViOle, 
U  $mao  geogr,  adnn.  ecc.  p.  46).  ~  64.  Zo- 
diaco mbeeehle  :  quella  parte  roseggiante 
dello  todiaoo,  nella  quale  4  il  sole  :  nf^teoMo 
é  agg.  da  rvbtu»  (mMoulMs),  appropriato  allo 


sodiaco  per  ricordo  virgiliano,  Otorg,  i  234: 
«  Quinque  tenent  coelum  lonae,  quanun  una 
corusco  Sompor  sole  rubens,  et  torrida  sem- 
per  ab  igni  > ;  cosi  intesero  Benv.,  Buti,  Land., 
VolL,  Dan.  e  tutti  quasi  1  moderni  oommen- 
tatorL  Invece  parecchi  hanno  voluto  risoaoi- 
tare  l' interpretazione  di  Pietro  di  Dante  e 
del  Oass.  che  spiegarono  ruòsocAio  come  <  rota 
dentata  mdendini  >,  cosi  che  %oèktoo  rubto- 
chto  significherebbe  ruota  zodiacale.  ~  66.  m 
BOB  «sflliM  eco.  pur  ohe  non  nsdsso  dal- 
l' eolittica,  suo  corso  abituale.  ~  67.  C«hm 
old  ala  ecc.  Dante,  volendo  spiegare  perché 
al  purgatorio  il  sole  si  veda  dalla  parte  set- 
tentrionale mentre  a  Gerusalemme  si  vede  dalla 
meridionale,  dice  i  due  luoghi  essere  antipodi 
avendo  lo  stesso  orizzonto  e  appartenendo  a 
due  emisferi  (ofr.  IStitg,  n  1  e  segg.X  e  suppone 
che  il  lettore  sappia  che  come  Gerusalammo 
ò  al  di  qua  del  Tropico  del  Oancro,  cosi  il 
purgatorio  ò  al  di  là  del  Tropico  del  de- 
corno: in  queste  oondirioni  s' intonde  bene 
ohe  i  fenomeni  solari  al  purgatorio  saranno 
tutto  il  contrario  di  ciò  che  sono  a  Gerusa- 
lemme, perché  l' eclitlica,  la  atroda  che  mal 
no»  Beppe  eaneggiar  .FWon,  a  Gerusalemme 
corre  da  sinistra  a  destra,  quindi  il  sole  ò  a 
destra,  e  al  purgatorio  ooize  da  destra  a  si- 
nistra, quindi  il  sole  ò  a  sinistra  (ofr.  Della 
VaUe,  pp.  40  e  segg.).  —  68.  deaftr*  fa«eelte 
ecc.  zaooogliendo  il  tuo  pensiero  alla  medi- 
tazione, considera  che  il  monte  Sion  e  il 
monte  del  purgatorio  sono  collocati  solla 
terra  in  modo  da  avere  ecc.  ~  72.  Feten: 
ofr.  B%f,  xvn  106;  per  la  forma  ossitona  pro- 
pria del  nominativo,  secondo  le  regole  della 


PURGATOEIO  -  CANTO  IV 


299 


vedrai  come  a  costui  conyien  che  vada 
dall'uni  quando  a  colui  dall'altro  fianco, 
75       se  l'intelletto  tuo  ben  chiaro  bada  >. 
«  Certo,  maestro  mio,  dìss'io,  unquanco 
non  vidi  chiaro  si  com'io  discemo, 
78        là  dove  mio  ingegno  parea  manco, 
che  il  mezzo  cerchio  del  moto  superno, 
che  si  chiama  Equatore  in  alcun' arte 
81        e  che  sempre  riman  tra  il  sole  e  il  verno, 
per  la  ragion  che  di'  quinci  si  parte 
verso  settentrion,  quanto  gli  Ebrei 
84        vedevan  lui  verso  la  calda  parte. 
Ma  se  a  te  piace,  volentier  saprei 

quanto  avemo  ad  andar,  che  il  poggio  sale 
87        più  che  salir  non  posson  gli  occhi  miei  ». 
Ed  egli  a  me:  <  Questa  montagna  è  tale, 
ohe  sempre  al  cominciar  di  sotto  è  grave, 
90        e  quanto  uom  più  va  su,  e  men  fa  male. 
Però  quand'olia  ti  parrà  soave 
tanto  che  il  su  andar  ti  fia  leggiero, 
93        come  a  seconda  giuso  andar  per  nave, 
allor  sarai  al  fin  d'esto  sentiero: 
quivi  di  riposar  l'affanno  aspetta; 
96        più  non  rispondo,  e  questo  so  per  vero  ». 


gnumnatioa  medioeirale,  ofr.  Parodi,  BuU.  JU 
105  e  120.  —  78.  a  eoitvl  :  rispetto  «1  monte 
del  pupitorio.  —  74.  a  eolvl:  rispetto  al 
monte  Sion  ossia  a  Genisalemme.  —  76.  iib- 
«imm:  ancora  mai,  o,  meglio,  mai  sino  a 
questo  momento  ;  cfir.  Inf.  zxxm  140,  JRir.  i 
48,  e  Parodi,  BuU.  m  138.  —  77.  ■•■  ridi 
ddaro  eoe  io  non  intesi  oosi  chiaramente 
cosa  die  prima  fosse  inesplicabile  alla  mia 
mente,  come  ora  per  la  ragione  o  spiegazione 
«rata  da  te  intendo  ohe  V  Equatore  d  tanto 
distante  dal  purgatorio  quanto  ò  da  Oemsa- 
lemme.  —  79. 11  messo  eercUe  eoo.  il  droolo 
di  mezzo  del  cielo  cristallino  (il  moto  «upemo 
cioè  il  più  alto  dei  cieli  che  girano),  circolo 
che  in  astronomia  ò  detto  Equatore  e  che 
resta  sempre  tra  U  toh  «  U  vento  (perché 
qoando  il  sole  ò  nd  Tropico  del  Gaprioomo 
Pinyemo  d  nell'  emisfero  boreale,  quando  il 
•ole  è  nel  Tropico  del  Cancro  rinyemo  è  nel- 
l'emisfero austeale  :  onde  l'Equatore  ò  sempre 
tit  il  sole  e  r  inremo),  i  lontano  dal  monte 
del  purgatorio  Torso  settentrione  tanto,  quanto 
è  lontano  da  Gerusalemme,  la  città  santa  do- 
^  Ebrei,  verso  mezzogiorno,  -r-  88.  gli  Ebrei 
Tcdtram  eoe.  pdma  della  dispenione  del  po- 
polo ebraico,  quando  esso  ora  raccolto  nella 
t^rrasanta;  perché  adesso,  essendo  sparsi  gli 


Ebrei  per  tutto  il  mondo,  non  si  potrobbo 
più  ricordare  quel  popolo  per  indicare  il  luogo 
ove  sorge  Qemsalomme.  Questa  lozione  e  l'in- 
terpretazione data  già  dal  BuU  furono  poi 
abbandonate  dai  posteriori  commentatori,  leg- 
gendo: quando  gli  Bbm  ecc.,  che  darebbe 
un  senso  meno  chiaro  e  meno  esatto.  —  86. 
thè  U  poggio  ecc.  :  cf^.  v.  dO.  —  88.  innesta 
montagna  ecc.  La  natura  di  questa  montagna 
ò  tale  che  a  chi  inoominda  a  salire  presenta 
gravi  difficoltà,  che  poi  diminuiscono  renden* 
dod  agevole  il  cammino  a  chi  va  con  sicu- 
rezza e  costanza  {Purg.  ix  132,  x  6-6)  ;  sinché 
la  strada  diventa  soave  e  dilettevole  (ofr. 
Purg,  VI  50,  xxvn  74-75).  È  quasi  inutile  av- 
vertire che  Dante  vuol  significare  che  il  cam- 
mino della  virtù  ò  da  principio  faticoso  e  dif- 
cile,  ma  poi  con  l'abito  delle  buone  operazioni 
si  perviene  al  conseguimento  dell'innocenza, 
che  ò  la  vera  felicità  e  libertà  (cfìr.  Purg.  xxvii 
140-142).  —  92.  leggiero:  facile  e  piano; 
ofr.  Pìirg.  vui  21,  xvii  7.  •—  98.  oome  ecc. 
come  è  agevole  il  corso  della  nave,  che  di- 
scende a  seconda  della  corrente  (cft.  jRir. 
xvn  42)  ;  ricorda  le  parole  del  Ootw,  xv  5  : 
e  la  nave  dell'umana  compagnia  direttamente 
per  dolce  cammino  a  debito  porto  correa  >. 
—  96.  pli  non  rispondo  eco.  :  cfir.  Purg, 


300  DIVINA  COMMEDIA 


E,  com'egli  ebbe  sua  parola  detta, 
una  voce  di  presso  sonò  :  €  Forse 
99        che  di  sedere  in  prima  avrai  distretta  ». 
Al  auon  di  lei  ciascun  di  noi  si  torse, 
e  Tedemmo  a  mancina  un  gran  petrone, 
102        del  qual  né  io  né  ei  prima  s'accorse. 
Là  ci  traemmo;  ed  iyi  eran  persone 
cbe  si  stavano  all'ombra  dietro  al  sasso, 
105        com'uom  per  negligenza  a  star  si  pone; 
ed  un  di  lor,  che  mi  sembrava  lasso, 
sedeva  ed  abbracciava  le  gitioochia, 
108       tenendo  il  viso  giù  tra  esse  basso. 
«  0  dolce  signor  mio,  dìss'io,  adocchia 
colui  che  mostra  sé  pid  negligente 
111        che  se  pigrizia  fosse  sua  sirocchia  ». 
Allor  ^  volse  a  noi,  e  pose  mente, 
movendo  il  viso  pur  su  per  la  coscia, 
114        e  disse  :  «  Or  va  su  tu,  che  se'  valente  ». 
Conobbi  allor  chi  era,  e  quell'angoscia, 
che  m'avacciava  un  poco  ancor  la  lena, 
117        non  m' impedi  l'andare  a  lui;  e  poscia 
che  a  lui  fui  giunto,  alzò  la  testa  appena, 
dicendo  :  €  Hai  ben  veduto  come  il  sole 
120        dall'omero  sinistro  il  carro  mena?  » 
Oli  atti  suoi  pigri  e  le  corte  parole 
mosson  le  labbra  mie  un  poco  a  riso; 

zxvn  127-129,  che  spiegano  qoetta  parole  di  dalla  bocca  del  popolo  cho  n'  ha  consorrato 

Vlzgilio,  il  quale  non  poteva  diacecnere  più  ancora  qualcuno  analogo.  ~-  IH.  slroerhU: 

oltre,  perché  dalla  dma  del  purgatorio  in  sa  forma  arcaica  (dal  lat.  tonrmta)  rimasta  rìTa 

Dante  doTora  esser  goidato  da  Beatrice,  opra  nella  lingua  sino  al  dnqaeconto.  —  US.  «•• 

di  fede  {Purg,  xvm  48).  —  97.  farcia:  cfir.  Tendo  ecc.  rolgendo  appena  gli  occhi  sa 

Inf,  n  48.  —  98.  ana  roee  eoe  La  voce  ohe  Inngo  la  coscia,  quasi  gli  fosse  grave  1*  al- 

risaona  improvvisa  ad  ammonire  i  dae  viag-  zare  O  capo.  —  114.  Or  va  eco.  Dante  aveva 

giatori  che  prima  d'arrivare  alla  dma  àsà  ad  alta  vooe  additato  qaesto  spirito  a  Virgilio, 

purgatorio  avrebbero  forse  sentito  il  bisogno  come  quello  che  appariva  il  più  pigro  fra 

di  riposarsi,  muove  di  dietro  a  un  gran  masso  ;  tutti  ;  od  egli  con  sottile  ironfa  rispondo  rim- 

presso  il  quale  erano  distese  e  sedute  anime  beccandolo.  —  115.  ConobM  eoe  Riconobbi 

di  negligenti  e  pigri  a  pentirsi.  —  99.  di-  alla  voce  chi  era  quello  spirito,  e  la  stan- 

stretta:  necessità,  bisogno  che  stringe  l'oomo.  chezza,   che  m'affrettava  ancora  un  pò*  il 

—  100.  Ài  saon  di  lei  ecc.  Al  suono  di  quo-  respiro,  non  m*  impedi  d' awidnarmi'a  lui. 

sta  voce  io  e  Virgilio  ci  voltammo  e  vedemmo  —  aagoselat  stanchezza  prodotta  dalla  fa- 

alla  nostra  sinistra  un  gran  masso,  del  quale  tlcosa  salita  {ott,  w.  81  e  segig.).  —  116. 

prima  non  c'eravamo  aooortL  — 106.  eom'aom  avaceiava  :  afbrettava,  accelerava  :  il  vb.  ofo»- 

ecc.  distesi  o  sodati  in  quell'  abbandono  che  dare  deriva  da  avawio  (cfr.  B^.  xxxm  106) 

suole  essere  atteggiamento  proprio  degli  nomi-  e  si  ha  anche  in  Pwy,  vi  27.  —  119.  Hai 

ni  pigri.  — 106.  tenendo  ecc.  tenendo  il  volto  ben  ecc.  Continua  lo  spirito  a  parlare  ironi- 

chino  a  terra  fra  i  ginocchi.  —  109.  adoeebla  camente,  derìdendo  Dante  di  non  aver  capito 

ecc.  guarda  quello  spirito  che  par  più  pigro  che  da  sé  ciò  che  Virgilio  ha  dovuto  spiegargli 

se  fosse  fratello  della  pigrizia.  Si  noti  il  vivo  a  lungo,  vale  a  dire  la  ragione  per  cui  il 

ed  efficace  modo  usato  dal  poeta  per  dipin-  sole  apparisse  alla  sinistra  di  ohi  guardava 

gerci  questo  spirito,  modo  còlto  certamente  verso  oriente  (cf^.  w.  66-84).  -*  121.  atti 


PURGATORIO  -  CANTO  IV 


801 


123        poi  cominciai  :  €  Belacqua,  a  me  non  duole 
di  te  omai;  ma  dimmi,  perché  assiso 
qniritta  se'?  attendi  tu  iscorta, 
126        0  pur  lo  modo  usato  t'hai  ripriso?» 
Ed  ei:  €  Frate,  l'andare  in  su  che  porta? 
che  non  mi  lascerebbe  ire  ai  martiri 
129        l'uccel  di  Dio  che  siede  in  su  la  porta. 
Prima  convien  che  tanto  il  ciel  m'aggiri 
di  fuor  da  essa,  quanto  fece  in  vita, 
132       perch'io  indugiai  al  fine  i  buon  sospiri, 
se  orazion  in  prima  non  m'aita, 
che  surga  su  di  cor  ohe  in  grazia  viva: 
135        l'altra  che  vai,  che  in  ciel  non  è  udita?  » 
E  già  il  poeta  innanzi  mi  saliva, 
e  diceit:  «  Vienne  omai,  vedi  eh' è  tócco 
meridian  dal  sole,  e  dalla  riva 
139    copre  la  notte  già  col  pie  Morrocco  ». 


iMft  qaém  aooeimAti  nei  tv.  118  o  118.  — 
123.  BdMfVA  s  ^  ^^  flortntino  •  oontsm- 
ponueo  di  Dante,  ma  nulla  di  Ini  d  dioono 
i  più  antichi  commentatori,  Lana,  Ott,  Bntl, 
FtotxD  di  Dante  eoo.;  leoondo  Benv.,  Be- 
Uoqna  <  ftwiebflt  oithana  el  alia  instramenta 
Basica,  nnde  com  magna  cura  eoolpebat  et 
inddebat  colla  et  capita  dtharanun,  et  ali- 
quando  etiam  pnisabat:  ideo  Dentea  Dunilia- 
rìter  noTerat  enm,  qoia  ddeotatna  eet  in 
lono  >  :  r  An.  fior.,  raooo^endo  nna  tradì- 
nn"o  Tira  nella  dttà,  dice:  «Qneeto  Bo- 
lacqua  fa  nno  dttadino  da  Firenze,  artefice, 
et  Iacea  cotai  colli  di  Unti  e  di  chitarre,  et 
era  il  più  jAgn  nomo  che  fosse  mai  ;  et  si 
dice  di  Ini  ch'egli  Tenia  la  mattina  a  bottega, 
et  ponevasi  a  sedere,  et  mai  non  si  levava 
■e  non  quando  voleva  ire  a  desinare  et  a 
dormire.  Ora  Tantore  fa  forte  suo  dimestico; 
molto  il  riprendea  di  questa  sna  negligenzia; 
onde  nn  di,  riprendendolo,  Belaoqoa  rispose 
colle  parole  di  Aristotile  :  SMimdo  0<  ^uiMomdo 
swisM  •fJtcUyr  taptmt;  di  che  l' autore  gli 
rispose  :  *  Per  certo,  se  per  sedere  si  di- 
venta savio,  ninno  tu.  mai  più  savio  di  te  '  >. 
—  124.  eauil  :  perché  ti  vedo  in  Inogo  di 
nlvaxione.  Questo  compiacersi  di  trovar  Be- 
iMqoa  in  purgatorio  d  segno  certo  che  Dante 
fa  sao  amico  (cfr.  Airy.  vm  68-64),  come  ap- 
pare dal  racconto  aneddotico  dell' An.  fior.  ~ 
125.  qnlrltU:  qui  appunto  (cfir.  Purg.  xvn 
86).  -.  126.  ]•  mede  usato  f  la  pigriria  solita 
che  avevi  al  mondo.  ~  t*lui  eco.  hai  tu  rìas- 
fonto  quelle  abitudini  di  pigrizia  eoe  — 127. 
Frate  eoe  Fratello  mio,  l'andare  in  su  non  mi 
niebbe  d' alcun  giovamento,  poiché  l' angolo 
guardiano  della  porta  del  purgatorio  non  mi 


lascorebbo  oatrare.  Si  noti  che  la  voce  fraUf 
per  indicare  genericamente  una  persona  cara, 
assai  più  spesso  che  nelle  altre  si  trova  nella 
seconda  cantica;;  ove  Dante  trova  per  le  ani- 
me le  più  affettuose  espressioni  (cfir.  I\trg, 
XI  82,  zm  M,  XXI  18, 181,  xxm  97,  xxiv  66, 
XXVI 146,  XXIX 16  ecc.).  —  129.  ueeel  di  Dlox 
angelo  ;  come  uoeel  divino  ò  detto  l' angelo 
nocchiero  (Purg.  n  88).  Altri  leggono  angel 
di  Dio;  lezione  che  sarebbe  conformata  dal 
verso  dol  Purg.  ix  104.  —  tlede  in  sa  la  por- 
ta i  cf^.  PU97.  ix  76  e  segg.  — 180.  Prima  eon- 
viea  ecc.  Le  anime  di  coloro  che  per  negli- 
genza tardarono  a  pentirsi  all'ultimo  momento 
della  vita  devono  rimanere  nell'antipurgatorio 
tanto  tempo  quanto  vissero  nel  mondo,  se  non 
sono  aiutato  dallo  preghiere  dei  viventi  (cfr. 
ISurg,  XI  127-182).  —  che  il  eie!  ecc.  che  il 
dolo  giri  intomo  a  me  nell'  antipurgatorio 
tanto  tempo  quanto  mi  girò  intomo  nella 
mia  prima  vita.  —  182.  i  bioa  sospiri; 
quelli  del  pentimento.  —  133.  se  orazion 
ecc.  Secondo  i  dogmi  cristiani,  le  preghiere 
dd  viventi,  che  sieno  nolla  grazia  dd  Si- 
gnore, giovano  alle  anime  dd  poigatorio 
abbreviando  l'espiazione  e  diminuendo  la 
pena  (cfr.  Tommaso  d' Aquino,  Summa^  lu, 
suppl.,  quest.  Lxxi,  art.  2,  6)  :  a  dd  Dante 
accenna  più  volte,  estendendo  l'efficacia  dei 
suffragi  anche  alle  anime  dell'antipurgatorio 
(cfr.  Purg,  in  140-141,  146  ;  vi  2G  e  segg.  ; 
XI  130;  xxni  85-90  ecc.).  —  187.  è  tòcco  ecc. 
già  è  r  ora  del  mezzogiorno,  poiché  il  sole  è 
già  sul  meridiano  e  la  notte  d  distende  dalla 
riva  del  Qange  al  Marocco,  doò  su  tutto 
r  emisfero  boroalo  (cfir.  Airy.  n  4)  :  Moore, 
p.  86.  —  139.  eopre  ecc.  Dan.  cita  l'ori* 


302  DIVINA  COMMEDU 


diano,  Md.  ii  142:  cDtun  loqadr,  Hesperio  antidii  nosial  chiAmAzono  (ofr.  anche  Inf. 
positas  in  littore  metas  Hamlda  nox  tetigit»;  xxvi  104)  la  regione  africana  della  Maurita- 
inacCr.  Moore,  I  226.—  Morr«eee:  ooaigU      nia,  oggi  denominata  Maioooo. 


CANTO  V 

Allontanandosi  dai  negligenti,  i  dae  poeti  ineontrano  la  schien.  di  co- 
loro che  morirono  di  morte  violenta  e  si  pentirono  all^estremo  della  vita  : 
tra  gli  altri  parlano,  raccontando  o  accennando  a  Dante  la  propria  morte»  Il 
fanese  Iacopo  del  Cassare,  Baonconte  di  Hontefeltro  e  la  senese  Pia  [10  aprile, 
dal  mezzogiorno  sin  verso  le  tre  pomeridiane]. 

Io  ero  già  da  quell^  ombre  partito, 

e  seguitava  l'orme  del  mio  duca, 

3        quando  di  retro  a  me  drizzando  il  dito, 

una  gridò  :  «  Ve'  die  non  par  ohe  luca 

lo  raggio  da  sinistra  a  quei  di  sotto, 

6       e  come  vivo  par  ohe  si  conduca  >• 

Gli  occhi  rivolsi  al  suon  di  questo  motto, 

e  vidile  guardar  per  maraviglia 

9       pur  me,  pur  me,  e  il  lume  ch'era  rotto. 

€  Perché  l'animo  tuo  tanto  s'impiglia, 

disse  il  maestro,  ohe  l'andare  allenti? 

12        che  ti  &  ciò  che  quivi  si  pispiglia? 

Y  1.  le  ere  eoe  Danto  e  Tirgilio,  allon-  {Purg*  ni  88)  e  sarà  fra  poco  nella  acUera 
tanandoà  da  Belacqna  e  dai  compagni,  li-  dei  morti  per  forxa  (vy.  25-86).  —  9.  par  me 
prendono  la  salita  del  monte  (cfr.  Utrg,  iv  eoo.  solamente  me,  e  non  Vligilio  :  e  la  ri- 
136),  andando  al  solito  il  maestro  innanzi  o  petizione ,  insistendo  snll'  idea,  ci  fa  vedero 
il  discepolo  dietro  a  lai  :  quando  ona  dello  meglio  oome  l' obbietto  della  cniloeità  delle 
anime,  accorgendosi  che  la  figura  di  Danto  anime  fosse  il  solo  Dante.  La  ripetizione  poi 
gettava  ombra,  si  Tolge  oon  parole  di  mera-  deirespressione  limitatiya  ò  analoga  a  quella 
viglia  alle  altre,  additando  loro  il  novissimo  della  F.  N,  xxm  188:  <  Por  morràti,  mor- 
fatto;  e  allora  tatto  quanta  si  pongono  a  rati  »,  doò  tu  solamente,  e  non  altri,  mor^ 
mirar  Dante  e  l' ombra  oh'  ei  lasdava  di  so  rai.  —  11  lame  ecc.  :  cfr.  Purg,  m  88-89.  — 
sul  terreno.  ->  8.  «vaado  eco.  Seguito  la  10.  Perché  T anime  eoe.  Virgilio,  aooor- 
comune  punteggiatura;  sebbene  non  senza  gendosi  che  Dante  distratto  dal  discorso  di 
qualche  ragione  il  Lomb.  preferisoa:  quando  quell'anima,  rallentaya  il  cammino,  gli  rì- 
di  rdro,  a  ma  drixxcmdo  il  dito:  che  quanto  volse  subito  parole  di  eccitamento,  miste  al 
al  senso  starebbe  meglio,  ma  anohe  sarebbe  solito  di  severità  e  di  soUecitudino.  Alle 
verso  cattivo  per  la  pausa  dopo  la  quinta  quali  parole  osserva  Benv.  :  e  Isti  merito  mi- 
sillaba.  —  4.  non  par  ecc.  Salendo  oon  le  rabantur  de  Dante,  qui  orat  vivus  Inter  tot 
spalle  volto  ad  oriente  i  due  poeti  avevano  mortuos,  quia  ante  tempus  mortìs  venerat 
il  sole  alla  destra  (cfr.  Purg,  iv  68  e  segg.);  ad  purgatorium  ad  emendandaa  vitam  vitio- 
perciò  l'ombra  di  Dante,  che  seguiva  Yir-  sam;  mirabantur  etiam  quod  erat  sapiens 
gilio  ed  era  più  in  basso  rispetto  a  lui,  do-  Inter  tot  ignorantes. . .  et  solus  fadebat  tam 
veva  cadere  verso  la  sua  parte  sinistra.  —  sanctum  opus,  per  quod  inVitabat  vivente» 
6.  e  come  tìto  eco.  Lomb.  :  <  par  che  si  adhac  in  mondo  ut  exemplo  sui  venirent  mi 
inaovn  in  modo  come  se  vivo  Tosse  ;  dando,  conversionem  dum  tempos  haberent  Ipee  au- 
a  cagion  d' esempio,  segno  di  gravezza  col  tem,  audiens  voces  istorum,  quae  sonabaot 
rumoro  ohe  nel  camminare  facevano  i  piedi  laudes  eius,  gloriabatur  audiro  eos  et  libenter 
percotendo  il  suolo  diversamente  da  quello  che  audiebat  dici  quod  ipso  solus  erat  vir  singu- 
faoessero  1'  ombre  »  —  7.  Oli  occhi  :  cfr.  laiis  exoellentiae . . .  Yirgilius,  perpendens 
Purg,  IV  100.  —  8.  per  maraviglia  :  la  stessa  quod  ipso  inflammabatur  vanis  laudibus  istius 
meraviglia  di  questi  negligenti  era  stata  prò-  moltitudinis  imperitae,  increpuit  rigide  eum  >. 
dotta  dal  medesimo  fatto  negli  scomunicati  —  12.  si  pls^ilgUa  :  si  bisbiglia,  si  parla  som- 


PURGATORIO  —  CANTO  V 


'ÒJ'Ò 


Vien  retro  a  me,  e  lascia  dir  le  genti; 
sta  come  torre  ferma,  che  non  crolla 
15        giammai  la  cima  per  soffiar  de'yentl: 
che  sempre  l'uomo,  in  cui  pensier  ramp/ila 
sopra  pensier,  da  sé  dilunga  il  segno, 
^Q       perché  la  foga  l' un  dell'  altro  insella  ». 
Che  poteva  io  ridir  ?  se  non  :  €  Io  vegno  »  ; 
dissilo,  alquanto  del  color  consperso 
CI        che  &  l'uom  di  pardon  talvolta  degno. 
E  intanto  per  la  costa  da  traverso 
venivan  genti  innanzi  a  noi  un  pocO| 
21        cantando  Afiserere  a  verso  a  verso. 
Quando  s'accorser  ch'io  non  dava  loco, 
per  lo  mio  corpo,  al  trapassar  de'  raggi, 
27       mutar  lor  canto  in  un  *  oh  '  lungo  e  roco  ; 


Mtsamente,  <  tacito  mannaie  >  dioe  fieny.: 
efr.  IStrg.  zi  111.  —  18.  iMcla  eoo.  lascia 
par  che  ti  goardino  e  parlino  di  te  le  genti  ; 
tu  non  devi  oompiaoerti  dell'ammirazione  ohe 
folciti  passando  in  meno  agli  aomini.  Beny.: 
€  Qnotiena  potas  hoo  noci  disse  nostro  poetao 
doffl  transiiet  per  terras  Italiae,  qaod  ocali 
oaniom  otmyertebantor  in  eiun  et  ora  om- 
nium loqaebantor  do  eo,  et  ipso  in  animo 
oomplacobat  sibi!  ».  —  U.  sta  eome  torre 
eoe  :  cfr.  Viig.,  JEH.  z  696,  di  Hezenzio  : 
«Ole,  yelat  n^es,  yastom  qaae  prodit  in 
aeqaor,  Obria  ventonun  ftiriis,  ezpostaque 
ponto,  Vim  oanotam  atqoe  minas  perfert  coe- 
Uqoe  marìaqae,  Ipea  immota  manens  »  eoo.  ; 
ma  il  oonoetto  di  Dante  maoye  più  tosto 
dalle  parole  di  Seneca,  De  oohbI.  m  :  <  Qaem- 
«ijinpiinm  pn^ecti  in  sltam  soopoli  mare  fran- 
grmt,  ita  sapientis  animos  solidos  est  ». 
—  16.  l*a«ni*  eco.  l'oomo,  nella  mante  del 
qoale  nuovi  pensieri  si  soyrapongono  ognora 
ai  altri,  alk>ptB"f^  da  s6  il  fine  propostosi  ; 
perché  il  pensiero  soprayeniente  indebolisce 
la  Ama  dell'  altro.  —  18.  perelitf  ecc.  Seb- 
b«e  Bon  ci  possa  esser  dubbio  quanto  al 
ooBostto  espresso  da  Dante,  si  danno  di  quo- 
ifa>  yerso  dae  inteipretaxioni  differenti;  il 
Bati  coatruisoe:  l^un  intoUa  in  foga  deU'aUro 
e  spiega  :  «  1'  uno  pensiero  soprayenlmte 
noéè  yuDO  lo  solUcito  esordrio  del  primo  »; 
Ben?,  invece  ordina  e  spiega:  <  la  fog<h  id^ 
pnsBQza,  deU'aUro  sdlicet,  oogitaminis  secun- 
dado  advenientis,  iitBoUa  i'tN»,  idest  pxirat 
Tal  deUlitat  piimum  >  :  ma  l' idea  resta  poi 
MBprs  la  stsssa.  —  Insalla:  da  aoUOf  ce- 
diTole,  deboU  (efr.  Inf,  xn  28),  il  yb.  iti- 
«flsra  significa  rendere  sello,  indebolire,  come 
■piagano  Boti,  Beny.,  An.  fior.,  contro  i  qoali 
poso  vale  il  ragionamento  per  cui  il  Borgh. 
VBoibbe  dai»  a  questo  yb.  il  senso  di  solie- 


yare,  spiegando:  e  il  nuovo  pen^ioro  elio  so- 
praviene,  come  sottentrando  e  sollevando 
r  altro,  se  lo  leva  come  dire  in  capo  e  facil- 
mente lo  oaoda  via »:  del  resto  un  altro  esem- 
pio antico  del  vb.  iruoUare,  nel  senso  certis- 
simo di  attonuaro,  indebolire,  ha  citato  il 
Parodi,  BtUL  JH 152  dal  Reggimento  dei  fVm- 
dpi,  p.  807:  e  somigliante  cose  che  inaoUino 
pid  il  colpo  della  pietra  ».  —  20.  alquanto 
del  eelor  eoe  arrossendo  un  po'  di  quella  ver- 
gogna, che  suole  render  l'uomo  degno  di 
perdono;  ofr.  Conv,  iv  19:  <  Buono  e  ottimo 
segno  di  nobiltà  è  nelli  pargoli  e  imperfetti 
d'etade  quando  dopo  il  fallo  nel  viso  loro  ver- 
gogna si  dipigne  ».  ~  22.  per  la  eosta  ecc. 
per  la  costa  del  monte,  intorno  al  quale  le 
anime  giravano  ;  dunque  in  direzione  trasver- 
sale a  quella  dei  due  poeti  ohe  salivano.  — 
23.  fanti  :  questa  nuova  schiera  di  anime  ò  di 
coloro  che  morirono  di  morte  violenta,  <  tutti 
per  forza  morti  >  e  <  peccatori  infine  ali'  ul- 
tim'  ora  »,  nella  quale  poi  si  pentirono  (cfr. 
w.  62-64)  :  sono  anch'  esse  destinate  a  ri- 
manere nell'antipurgatorio  per  un  certo  tempo 
che  Danto  non  dice,  ma  in  sua  mento  doveva 
essere  uguale  la  leggo  di  questi  e  dei  negli- 
genti giÀ  incontrati  ;  onde  anche  questi  nuovi 
spiriti  si  raccomanderanno  a  Danto  per  otte- 
nere suffragi  che  valgano  ad  abbreviare  la 
loro  dimora  in  questo  luogo  di  sospensione 
(cfr.  yy.  70-72,  87  e  Purg,  vi  26-27).  —  24. 
cantando  Miserare  eoe.  cantando  il  salmo  u, 
a  versetti  altomati,  cioò  l' una  parto  delle 
anime  il  primo  versetto,  l' altra  il  secondo, 
0  poi  la  prima  il  terzo  e  via  via  ;  <  come 
cantano  li  chierici  in  coro»,  aggiunge  il 
ButL  —  25.  eh*  Ì0  non  dava  ecc.  che  io  in- 
terrompeva col  mio  corpo  i  raggi  solari,  fa- 
cendo ombra.  —  27.  in  an  *  oh  '  ecc.  in  una 
esclamazione  di  meraviglia,  che  proruppe  in 


304  DIVINA  COMMEDIA 


e  due  di  loro,  in  forma  di  messaggi, 
corsero  incoiiti*o  a  noi  e  domandarne: 

50  €  Di  vostra  condizion  fatene  saggi  ». 
£  il  mio  maestro  :  «  Voi  potete  andarne, 

0  ritrarre  a  color  che  vi  mandaro, 
83        che  il  corpo  di  costui  è  vera  carne. 
Se  per  veder  la  sua  ombra  restaro, 
com'io  avviso,  assai  è  lor  risposto: 
86        faccianli  onore  ed  esser  può  lor  caro  ». 
Vapori  accesi  non  vid'io  si  tosto 
di  prima  notte  mai  fender  sereno, 
8)        né,  sol  calando,  nuvole  d'agosto, 
che  color  non  tomasser  suso  in  meno  ; 
e,  giunti  là,  con  gli  altri  a  noi  diér  volta, 
42        come  schiera  che  corre  senza  freno. 

<  Questa  gente,  che  preme  a  noi,  è  molta, 
e  vengonti  a  pregar,  disse  il  poeta; 

45        però  pur  va,  ed  in  andando  ascolta  ». 

<  0  anima,  che  vai  per  esser  lieta 

con  quelle  membra,  con  le  quai  nascesti, 
4S        venian  gridando,  un  poco  il  passo  quota: 
guarda  se  alcun  di  noi  unque  vedesti, 
si  che  di  lui  di  là  novelle  porti; 

51  deh,  perché  vai?  deh,  perché  non  t'arresti? 

un  saono  oontinaato  e  alterato  per  la  sor-  verso  di  noi.  —  42.  eome  schlAr»  eco.  Ven- 
presa.  —  28.  In  forma  di  messaggi  :  a  modo  tori  478  :  <  Qnesta  seconda  similitodine,  che 
di  messaggierì  ;  cosi  in  Purg,  xxii  78  chiama  accenna  al  ritomo,  offre  idea  di  celerità  soni- 
gli apostoli  e  l  messaggi  dell'eterno  regno  >.  mamente  minore  di  quella  che  desoriro  il  par- 
—  32.  ritrarre:  alt,  Inf,  iv  146.  —  34.  Se  tirsi:  pur  tuttavia  ben  mostra  l'impetnosa 
per  veder  eco.  Se,  come  io  penso,  si  sono  corsa  di  nna  moltitudine  ».  —  43.  preaie  a 
formati  per  aver  veduta  la  sua  ombra,  basti  lol  :  s*  aAretta  verso  di  noi  ;  Bnti  spiega  n 
loro  il  sapere  eh*  egli  è  vivo.  —  36.  ed  esser  vb.  premo  per  «  discende  gioso  »,  e  Benv.  per 
può  lor  earo:  per^é  Dante  tornato  nel  e  cum pressura venit  >.  H  Del Lango,Amten 
mondo  potrà  procurar  loro  suffragi  e  ricordarli  447,  richiamando  a  confh>nto  nn  passo  del 
con  onore  ai  viventi.  —  37.  Vapori  aeeeil  Diario  dei  (3ompi  («  molta  gente  premè  loro 
ecc.  Paragona  la  velocità  dei  due  mossag-  addosso  >),  spiega  :  <  fa  pressa,  oaioa,  addosso 
Rieri  nel  ritornare  verso  la  schiera  delle  ani-  »  noi,  oi  si  accalca  dintorno  »:  pinttosto  che 
me  a  quella  dei  vapofri  accesi  o  stelle  cadenti,  l'adone  del  venire  verso  i  due  poeti,  sarebbe 
che  traversano  per  il  cielo  sereno  al  prin-  dunque  descrìtta  quella  posteriore  àU'airivr 
ci  piar  della  notte  (cfr.  Par.  xv  13  e  segg.),  di  codesta  gente;  ma  il  tmgmUi  a  pregar  lo 
e  a  quella  dei  baleni  che  al  tramontare  del  esclude.  —  45.  jjmi  va  eoe  non  ti  fermare, 
sole  fendono  le  nuvole  nella  calda  stagione;  e  ascoltali  camminando.  —  46.  0  abIma  ecc. 
e  la  velocità  ò  bene  osprossa  nell'incalzante  Questi  spiriti  si  volgono  a  Dante,  oh'  ei  sanno 
succederai  dolio  parolo,  pregio  che  manca  al-  essere  ancora  in  prima  vita,  pregandolo  a  fer- 
r  imitazione  che  di  questa  similitudine  fece  marsi  e  a  guardare  se  egli  riconosca  alcuno 
il  Prezzi,  Quadr.  iv  14:  <  Vapore  acceso  nel  fra  essi  :  ma  Dante  non  s'arresta,  e  seguendo 
nioso  d'agosto  Mai  non  trascorre  fl  del  tanto  il  consiglio  della  sua  guida  ascolta  senza  in- 
vclooo  >,  che  Ò  comparazione  pid  compren-  terrompere  il  cammino  e  promettendo  si  li- 
siva,  ma  fredda  e  scolorita.  Sulla  relarione  bora  finalmente  da  queste  animo  (oir.  Pyrg, 
di  questa  terzina  con  h\  dottrina  aristotelica,  vi  26).  —  per  esser  lieiA:  per  acquistare  la 
cfr.  Moore,  I  132.  —  41.  eoa  gli  altri  eco.  beatitudine,  che  ò  il  fine  del  viaggio  di  Dante. 
rituruarono  iudiuu-u  con  gli  ului,  volandosi  —  61.  deh,  perché  ecc.  Qoeito  raooomandi^ 


puBGATORio  -  Canto  v 


306 


Noi  fummo  già  tutti  per  forza  morti, 
e  peccatori  infine  all' ultim' ora: 
54        quivi  lume  del  oiel  ne  fece  accorti 
si  che,  pentendo  e  perdonando,  fiiora 
di  vita  uscimmo  a  Dio  pacificati, 
57        che  del  desio  di  sé  veder  n'  accora  >. 
£d  io  :  <  Perché  ne*  vostri  visi  guati, 
non  riconosco  alcun:  ma,  se  a  voi  piace 
60        cosa  ch'io  possa,  spiriti  ben  nati, 
voi  dite;  ed  io  farò  per  quella  pace, 
che,  retro  ai  piedi  di  si  fatta  guida, 
63       di  mondo  in  mondo  cercar  mi  si  feuse  ». 
£d  uno  incominciò  :  «  Ciascun  si  fida 
del  beneficio  tuo  senza  giurarlo. 


lumi  delle  anime  sono  opportnnaimmte  inter- 
calate al  loro  diacono  per  mostrare  qoanto 
Tiro  fosse  in  esse  il  desiderio  ohe  Dante  fér- 
naflse  il  passo,  per  ascoltare  più  riposata- 
Mute  le  loco  preghiere.  —  62.  per  fona 
■erti  :  uccisi  in  modo  violento,  o  in  goerra 
(Boonconte  di  Uontefeltro,  (hiodo  dei  Tar« 
lati,  Federico  NotcUo)  o  per  inimicizie  (!»- 
•opo  del  Gassare,  Benincasa  da  Laterina, 
Farinata  Scomigiani,  Pier  della  Broccia  ecc.) 
0  per  opera  dai  loro  parenti  (Ra  senese,  Orso 
della  Cerbaia).  —  64.  ««Irl  laaa  occ  al 
Bomsnto  della  morte  la  grazia  del  Signore 
d  iUominò,  si  che  uscimmo  di  rita  jientiti  o 
psdflcati  con  Dio,  che  tien  yìto  nell'animo 
nostro  il  desiderio  di  vederlo.  —  60.  bea 
aatl:  perché  destinati  alla  gloria  del  para- 
diso; efr.  Bar,  m  87,  ▼  116.  —  61.  per  ««ella 
pace  ecc.  La  jnus  ohe  Dante  cercava  ò  quella 
itssn  per  eoi  sospirano  le  anime  del  porga- 
totio  (ofic  Fwg,  m  74,  ZI  7,  xvx  17  eoe), 
eioè  la  beatitudine  del  paradiso  (cfr.  Fuitg, 
xzno  9B)  ohe  4  <  vita  intera  d' amore  e  di 
pace  >  (fbr.  zzx  103).  —  64.  Ed  «ne  eoe 
Lo  spirito  ohe  volge  a  Dante  U  discorso  ò 
quello  del  faneeo  Iacopo  del  Cassare  :  figlio 
di  Ugoooione,  capo  di  una  nobilissima  Dami- 
glia  che  aveva  avuto  parecchi  crociati,  e  ni- 
pote di  Martino,  fismoeo  gioreconsolto,  con- 
giottie  le  virtà  militari  al  senno  civile  ;  noi 
1288  fo  tra  i  goelfl  delle  Marche  venati  in 
aiuto  ai  Horentini  nella  prima  levata  d'armi 
oootro  Areno  ghibellina  (a.  Villani,  Or,  vu 
120),  e  nel  1296  fa  «gitano  di  gaerra  e  po- 
destà a  Bologna,  mentre  fervevano  le  osti- 
lità fka  quel  comone  gaelfo  e  i  vicini  mar- 
ebaai  di  Ferrara,  che  da  tempo  tentavano 
Inaili— «to  di  allargalo  la-  signoria  sopra 
la  dotta  e  ricca  città  e  r*  avevano  soscitata 
ima  forte  ihfione  di  loro  partigiani  (cfr.  hif, 
zrm  60).  Iacopo  oombatt6  vigorosamente  le 
BBbizioni  estensi;  ma,  dice  il  Lana,  cnon 

Danti 


li  bastava  costai  fiare  de'  fatti  centra  gli  amici 
del  marchese,  ma  olii  contìnuo  usava  villa- 
nie volgari  centra  di  lai,  ch'elli  giacque  con 
sua  matrigna,  e  oh'elU  era  disceso  d'ona  1»- 
vandara  di  panni,  e  ch'elli  era  cattivo  e  co- 
dardo, e  mai  la  soa  lingua  saziavasi  di  vil- 
laneggiare di  lui  ;  per  li  quaU  fatti  e  detti 
l' odio  crebbe  sf  al  marchese  ch'elli  li  tcattd. 
morte  >;  e  Benv.  aggiunge  ohe  Iacopo  spar- 
lando del  marchese  lo  chiamava  qmi  tradii 
tor»  da  EsU  a  diceva  che  aveva  favorito  in 
Bomagna  i  ghibellini,  onde  il  marohose  sde- 
gnatosi ona  volta  giurò  ohe  questo  asinaio 
della  Marca  sarebbe  stato  punito  della  sua 
asinina  impnidenxa.  Intanto,  finito  l' officio, 
Iacopo  ebbe  facoltà  di  partire  sansa  sottosta- 
re al  sindacato,  essendosi  saputo  ohe  gli  amici 
dell'  Estense  tramavano  qualche  cosa  ai  suoi 
danni  ;  e  cosi  tornò  a  Fano,  ove  negli  ultimi 
mesi  del  1297  ebbe  contese  faziose  con  Tero- 
sino  e  Quido  da  Oarignano.  Nei  1298,  chiamato 
podestà  a  Milano,  parti  per  mare  recandosi 
a  Venezia  e  di  li  per  la  via  di  Padova  s' av- 
viava in  Lombardia;  ma,  sorpreso  non  lungi 
da  Oriago,  castello  sulle  rive  della  Brenta, 
dai  sicari  del  marchese  di  Ferrara  e  impi- 
gliatosi fuggendo  nei  cannotì  del  luqgo,  fu 
ucciso  :  il  suo  corpo  fu  portato  a  Fano  e  se-, 
polto  nella  chiesa  di  San  Domenico,  ove 
anche  oggi  una  lunga  e  retorica  inscrizione 
metrica  zicorda  il  podestà  eternato  nei  versi 
di  Dante  :  qSt,  C.  Masettì,  lUustraxwne  sioriah 
fiiologioa  della  epigrafe  eepohraU  di  Mariino  e 
Jacopo  del  Casaaro  neU*  Omaggio  a  Dante  Aligh, 
offerta  dai  Cattolioi  ìtaL^  Roma  1866,  pp.  671- 
689;  P.  M.  Amiani,  Memorie  ietorÌQhe  della 
città  di  Fano,  Fano  1761,  parte  I,  pp.  231  e 
segg.  ;  Del  Lungo,  DanUi  I  pp.  423  e  segg.; 
A.  Bosohini,  Alcuni  docum.  intomo  a  Iacopo 
del  Cau,,  Pesaro,  1898.  —  66,  del  beaeflcio 
tao  eoe.  del  beneficio  di  sufEragi,  che  tu  pro- 
curerai ad  ognuno  di  noL  —  senza  giurarlo  t 

20 


306 


DIVINA  COMMEDIA 


66       pur  ohe  il  voler  nonpossa  non  rìcida. 
Ond'iOi  ohe  solo  innanzi  agli  altri  parlo, 
ti  prego,  se  mai  vedi  quel  paese 
69  .     ohe  siede  tra  Eomagna  e  quel  di  Carlo, 
che  tu  mi  sie  de'  tuoi  preghi  cortese 
in  Fano  si  che  ben  per  me  s'adori, 
72       perch'io  possa  purgar  le  gravi  offese. 
Quindi  fii'  io  ;  ma  li  profondi  fóri, 
onde  usci  il  sangue  in  sul  qual  io  sedea, 
75       fatti  mi  fiiro  in  grembo  agli  antenori, 
là  dov'io  più  sicuro  esser  credea: 
quel  da  Esti  il  fé'  feur,  che  m' avea  in  ira 
78        assai  più  là  che  dritto  non  volea. 
Ma  s'io  fossi  fuggito  in  vèr  la  Mira, 
quando  fui  sopragiunto  ad  Oriago, 
81        ancor  sarei  di  là  dove  si  spira. 

Corsi  al  palude,  e  le  cannucce  e  il  brago 
m'impigliar  si  ch'io  caddi,  e  li  vid'io 


Mnxa  Uaogno  ohe  ta  givi  di  nuuitoner  la 
promessa.  —  66.  v«r  ehe  U  T«ler  «oc  por 
ohe  V  impotenze  (nonpotMi  i  nome  composto 
come  MOfMiirofMEa  ecc.)  o  le  mancete  occa- 
sione non  tronchi  e  renda  inutile  il  tao  pro- 
ponimento. —  68.  «eel  paese  ecc.  la  Marca 
anconitanai  posta  tra  la  Bomagna  e  il  regno 
di  NapoU,  del  quale  nel  IdOO  ayera  il  governo 
Carlo  n  d*Angid  (cfr.  ftar.  yi  106):  Basser- 
mann,  p.  286.  —  72.  possa  ecc.  possa  entrare 
nel  porgatorio  a  incominciare  1*  espiazione 
dei  miei  peocatL  —  78.  i^mìméì  eoe  Kaoqoi 
in  Fano  e  ftai  ncdso  nel  territorio  di  Pa- 
doTa,  k%  grembo  agU  and&wrì  ossia  ai  pado- 
vani, discendenti  del  troiano  Antenore  (cfir. 
Livio  I  1):  Bassermann,  p.  448.  —  74.  onde 
eseC  ecc.  dai  qnali  nsd  il  sangoe,  in  coi  io, 
anima  di  Iacopo  del  Cassero,  avevo  la  mia 
sode;  oppore,  nel  qnale  il  mio  corpo  si  trovò 
immerso:  cftr.  Bua.  Vni  84.  — 76.  làdOT*lo 
ecc.  in  Inogo  ove  mi  teneva  sicuro,  essendo 
long!  dal  territorio  dd  mio  principale  ne- 
mico. —  77.  «nel  da  EsU  :  Azze  Vm,  già 
ricordato  in  Inf,  zn  112  come  parricida,  e 
accennato  anche  in  Pmrg,  xx  80  fa  figlio  di 
Obizzo  n  (cfr.  Inf.  zn  111)  e  di  nna  donna 
ignota,  e  tenne  la  signoria  di  Ferrara  dal 
1293  al  1808,  dominando  anche  su  Modena  e 
Seggio  e  tentando  inutilmente  di  aggiongere 
ai  suoi  possessi  Bologna  e  Parma,  che  ^  si 
opposero  gagliardamente.  O.  Villani,  Or,  vm 
88  raccontando  la  sua  morte  dice  cho  «  era 
stato  il  pid  leggiadro  e  ridottato  e  possente 
tiranno  ohe  fosse  in  Lombardia  >,  e  Dante, 
De  vulg,  tloq.  i  12,  n  6  accenna  doe  volte  a 
Ini,  r  nna  con  parolo  di  vitaperio,  V  altra 
con  motti  di  pungente  ironia.  —  78.  assai 


pld  ecc.  8e  fossero  veri  i  racconti  del  Lana 
e  di  Benv.  (cfr.  v.  64),  Azze  Vm  non  era 
senza  ragione  di  sdegno  oontro  Iacopo  del 
Cassaro,  che  usava  vituperarlo  e  schernirlo 
oittd  pài  (&  che  non  consentisse  la  lotti  d' in- 
tereesi  politici  in  coi  il  marcheee  veniva  a 
trovarsi  di  fronte  al  podestà:  ma  raflérma- 
zione  è  in  bocca  doli*  cffeeo,  il  quale  na- 
turalmeojte  non  d  portato  a  confoesare  d'ee- 
sere  stato  il  primo  ad  aver  torto.  Secondo 
una  testimonianza  abbastanza  antica  (cfr.  0. 
Mazzoni,  BulL  VI  81)  l'assassinio  di  Iacopo 
sarebbe  stato  opera  di  Francesco  d'Bste,  fra- 
tello di  Azze  vm.  —  ehe  dritte  eoo.  Soba- 
bra  accennato  il  diritto  medioevale  di  rappr^ 
saglia,  che  non  poteva  applicarsi  al  caso  di 
Iacopo,  perché  questo  era  stato  ostile  al  mar- 
chese d' Este  por  dovero  di  officio.  —  79.  •*!• 
fessi  ecc.  se  quando  frii  sorpreso  ad  Oriago 
fossi  friggito  per  la  via  Saetta  verso  la  Mira, 
borgo  tra  Padova  e  Oriago  sulle  rive  d'  un 
canale  che  eece  dalla  Brenta,  avrei  potato 
fodlmente  sfuggire  ai  sicari  ;  ma  invece,  la- 
sciata la  strada  battuta,  corsi  verso  il  pedule, 
e  mi  impiotai  tra  i  canneti  e  il  Ciuigo  si 
oh'  io  caddi  e  fui  sopragiunto  ed  ncoiao.  — 
82.  le  eannneee  ecc.  Preeso  Oriago,  come  si 
ha  da  un  documento  del  1282,  era  an  eeteso 
canneto  di  proprietà  pubblica;  particolarità 
che  mostra  la  grande  precisione  di  Dante  nel 
rilevare  anche  le  minuzie  del  fatti  e  dei  luoghi 
(cfr.  K.  Barozsi,  Aeemni  a  eom  «enete  eco. 
nel  DanU  9  H  mio  aeoolo,  p.  796).  U  Beaeer- 
mann  invece,  p.  468,  ricerca  U  luogo  ove 
caddo  Iacopo  in  una  «piaggia  paladoea  e 
ricca  di  canne  quasi  altrettanto  lontana  da 
Oriago,  quanto  ò  Mira  dalla  banda  opposta  >: 


PUEGATORIO  -  CANTO  V 


307 


84       delle  mie  vene  farsi  in  terra  lago  ». 
Poi  disse  un  altro:  <  Deh,  se  quel  disio 
si  compia  che  ti  tragge  all'alto  monte, 
87       con  buona  pietate  aiuta  il  mio. 

Io  fui  di  MontefeltrOi  io  son  Buonconte: 
Giovanna  o  altri  non  ha  di  me  cura, 
90       per  ch'io  yo  tra  costor  con  bassa  fronte  ». 
Ed  io  a  lui:  €  Qual  forza  o  qual  ventura 
ti  traviò  si  fiior  di  Campaldino 
93       che  non  si  seppe  mai  tua  sepoltura?  > 
€  Oh,  rispos'egli,  a  piò  del  Casentino 
traversa  un'acqua  che  ha  nome  l'Archiano, 
96        che  sopra  l'Ermo  nasce  in  Apennino. 


oa  eoni  al  pahide  è  locazione  che  aooezma 
pinttotto  »  luogo  anai  profliimo.  Secondo  nn 
wtìoo  chiosatore  del  FUogtOf  xomanao  del 
secolo  znr,  il  hiogo  del  delitto  fa  la  Volta  di 
Marcane,  a  nna  sroltata  dd  canale  di  Brenta 
tn  le  Porte  della  Mira  e  la  Malcontenta  (cfr. 
Aifi.  VISI).  —  85.  u  altroi  d  Boonoonte 
flgiiodi  Gnido  di  Monteléttro  (oflr.  W-  xzvn 
2S):  di  lai  sappiamo  che  nel  1287  fa  dei  prind* 
p^  aintatori  alla  caodata  dei  gaelfl  d'Azeszo 
(e.  Villani,  Or.  vn  116),  nel  1288  comandò 
gli  aretini  alla  battaglia  della  Fiere  del  Toppo 
contro  i  senesi  (cfr.  Inf,  zm  121),  e  nel  1289 
Al  dd  primi  a^taoi  dei  Ghibellini  nella 
gurra  tra  Arezzo  e  Firenze:  nella  battaglia 
di  Ounpaldino,  V  U  giogno  1288,  egli  rimase 
ucciso  sol  campo  (G.  VUl.,  Cfr,  vn  IBI,  D. 
Compagni,  Or.  i  10),  n6  si  rinvenne  il  sao 
csdsraie.  Beny.  racconta:  cBoncontee,  laye- 
m,  strenniasimaB  azmoram, ...  in  confllcta 
uetfnonim  apod  Bibenam,  missos  a  Gailliel- 
nino  episcc^  aretino  ad  oonsiderandam  sta- 
tnm  hoatiam,  retolit  qood  noUo  modo  erat 
pognandnm.  Tono  episonpos,  yelat  n^mi^nin 
aaiffloeae,  dizit:  *  Ta  namqoam  ftdsti  de 
domo  ma';  coi  Bancontes  respondit:  *8i 
▼enecitis  quo  ego,  nonqoam  rerertemini  '  ; 
•t  sic  foit  de  facito,  qoia  aterqae  probiter 
pognans  xenumsit  in  campo  >  :  la  memoria 
tndizioDale  della  morte  di  Baonoonte  era 
Tira  ancorm  ai  tempi  del  Sacchetti,  che  no- 
vellò di  una  figlinola  di  lai  e  di  una  del 
eoate  Ugolino,  maritate  noi  Guidi,  pangen- 
&i  Tona  e  l'altra  con  motti  relativi  alla 
tdstiannia  fine  dei  loro  padri  (nov.  cr.Tnr). 
—  87.  eoM  kaoaa  eoe  con  preghiere  e  altre 
opere  di  carità  cristiana  aiuta  il  mio  deei- 
dsrio  d' entrare  al  purgatorio.  —  89.  filo- 
Tsnaa  eoo.  poiché  non  hanno  più  alcun  pen- 
serò per  me  la  mia  vedova,  Giovanna,  e  gli 
altri  miei  parenti  ;  quali  erano  la  figlia  Ma- 
neotsasa,  maritata  in  casa  dei  conti  Guidi, 
e  il  fratello  Federico,  che  nel  1800  era  po- 
destà di  Arezzo  C^inmìm  arrtU  in  Mar.  lUr, 


U.  XXIV  862).  —  91.  Qiai  forza  •  «oal  rea- 
tara  ecc.  Dsjite,  se  si  trovò  a  Campaldino 
(cfr.  Inf,  xzii  i),  potò  ben  conoscere  questo 
particolare  della  battaglia,  che  non  fosse  cioò 
rinvenuto  il  cadavere  di  Buonconte,  che  pur 
era  caduto  combattendo:  imaginò  quindi  ohe 
pn  l'anima  di  Buonconte  insieme  contrastas- 
sero un  angelo  e  un  diavolo,  come  già  per 
quella  del  padre  suo  aveano  disputato  san 
Francesco  e  uno  dei  neri  cherubini  (cfr.  Inf, 
xxvn  112  e  segg.),  e  che  il  diavolo,  sfaggi- 
tagli  di  mano  l'anima  per  il  pentimento  del- 
l'ultima  ora,  si  sfogasse  contro  il  corpo,  tra- 
scinandolo per  mezzo  d'un  temporale  nei  gor- 
ghi dell'Amo.  —  92.  Campaldlao  :  il  laogo 
ove  accadde  la  battaglia  dell'  11  giogno  1289 
ò  nel  piano  tra  Poppi  e  Bibbiena  nel  Val 
d' Amo  oasentinese  ed  ò  designato  dagli  sto- 
rici col  nome  di  Campaldino  o  di  Certomondo, 
ohe  ò  veramente  il  nome  d'un  monastero 
francoscano  fondato  in  quella  contrada  dai 
conti  Guidi  nel  1262  (cfr.  BepotU,  I  671  e 
Bassermann,  pp.  75-79,  98-100).  ~  94.  Ca- 
sentlaa  :  cfr.  Purg,  znr  43.  —  95.  trarersa 
QB*  aeqaa  eoe  n  torrente  Arohiano,  che  si 
forma  da  due  rivi  sopra  il  monastero  di  Ca- 
maldoli,  scende  a  valle  accogliendo  le  scarse 
acque  degli  altri  torrentelli  di  Carlese  e  di 
Gressa  e  si  versa  nell'  Amo  a  piò  del  pogj^o 
settentrionale  di  Bibbiena  (Bepetti,  I  103). 
Bassermann,  p.  102:  «Nessuna  pid  adatta 
ospressione  poteva  trovarsi  per  il  corso  in- 
feriore dell'  Arohiano  che  la  voce  traversa. 
Poiché  nel  luogo  in  coi  l'Archiano  sbocca 
nell'Amo,  questo  scorre  interamente  noi  lato 
desteo  della  valle,  mentre  quello  scende  dal 
pendio  a  sinistra,  e  deve  perciò  attraversare 
la  vallata  in  tutta  la  sua  larghezza,  prima 
di  raggiungere  l'Amo.  Queste  sono  finezze 
dell'espressione  che  si  possono  solamente  ap- 
prezzare sul  luogo,  e  che  il  poeta  stesso  non 
poteva  se  non  sul  luogo  imaginare  >.  —  96. 
rKnaox  il  famoso  Eremo  di  Camaldoli,  fon- 
dato sopra  un  monte  presso  il  giogo  della  Fai- 


308 


DIVINA  COMMEDIA 


Dove  il  vocabol  suo  diventa  vano 
arrivalo  forato  nella  gola, 
99        fuggendo  a  piede  e  sanguinando  il  piano. 
Quivi  perdei  la  vista,  e  la  parola 
nel  nome  di  Maria  finii  ;  e  quivi 
102        caddi,  e  rimase  la  mia  carne  sola. 
Io  dirò  il  vero,  e  tu  il  ridi'  tra  i  vivi; 
l'angel  di  Dio  mi  prese,  e  quel  d'inferno 
105        gridava:  '  O  tu  del  elei,  peroHé  mi  privi? 
Tu  te  ne  porti  di  costui  l'eterno 
per  una  lagrimetta  che  il  mi  toglie; 
108        ma  io  farò  dell'  altro  altro  governo  *• 
Ben  sai  come  nell'aere  si  raccoglie 
quell'umido  vapor,  che  in  acqua  riede 
111        tosto  che  sale  dove  il  freddo  il  coglie. 

Giunse  quel  mal  voler,  che  pur  mal  chiede, 


teron*  da  san  Bomnaldo  {Par,  xxn  49)  al 
principio  del  seoolo  xi,  in  mezzo  a  ona  folta 
selva  di  grandi  abeti,  che  separa  quasi  il 
laogo  da  ogni  mondano  rumore  e  ne  fa  nn 
asilo  di  pace  e  di  tranqoUUtà  (Bepetti,  I 
402-404,  Bassermann,  p.  104)..—  97.  Doft 
eco.  Dove  vien  meno  il  nome  di  Arohiano, 
perché  le  sne  acque  entrano  noi  fiume  Amo. 

—  100.  <2bÌt1  perdei  ecc.  Quivi  smanù  i 
sensi,  e  finii  il  mio  parlare,  dod  dissi  le  ul- 
time mie  parole,  invocando  la  Vergine  Maria; 
e  quivi  caddi  ed  esalai  la  mia  anima.  Molti 
commentatori,  Benv.,  Land.,  Dan.,  Yent, 
Tomm.  eco.  punteggiando  un  po'  diversa- 
mente: Quivi  pordei  ia  rida  §  laparola/Nel 
nomi  di  Maria  finii,  e  qviH  Caddi  ecc.,  spie- 
gano: Quivi  perdetti  i  sensi  e  la  favella, 
morii  invocando  Maria  eoo.:  ma  (sebbene 
questo  modo  d' intendere  sia  oonfermato  da 
un  riscontro  del  Bocc.,  i>w.,  g.  iv,  n.  7: 
e  non  istette  guari  che  egli  perde  la  vista  o 
la  parola,  ed  in  breve  egli  si  mori  >)  sarebbe 
strano  che  Dante  avesse  distinto  il  perdere 
la  favella  dal  dire  l' ultima  parola,  che  non 
sono  due  azioni  diverse,  si  una  sola;  e  d'altra 
parte  la  morte  è  accennata  nel  v.  103  e  sa- 
rebbe inutile  ripetizione  del  finii  del  t.  101. 

—  104.  Paagel  ecc.  Per  questi  contrasti  cfr. 
Inf.  XXVII  112  ;  e  nota  ohe  una  tenzone  per 
il  corpo  di  un  uomo  ò  già  acoennata  nella 
bibbia  {E^nst.  di  san  Giuda  9)  :  <  Là  dove 
r  arcangelo  Micael,  quando  contendendo  col 
diavolo  disputava  intorno  al  corpo  di  Moisò, 
non  ardi  lanciar  contro  a  lui  sentenza  di 
maldicenza  >  :  nelle  leggende  cristiane  del 
medioevo  questi  contrasti  si  svolsero  per  lo 
più  intorno  al  possesso  dell'  anima.  —  107. 
per  ana  lagrimetta:  in  molte  leggende  me- 
dioevali si  trova  svolto  questo  ponsiero,  che 


una  lagrima  e  una  raccomandazione  a  Dio  o 
alla  Vergine  sul  finir  della  vita  basti  a  pro- 
curare la  salute  dell'  anima  (ofir.  F.  Boedigor, 
OonirasH  ontieM^  dt,  p.  96);  e  Dante  r'ao- 
oenna  pifi  d' una  volta  (p.  es.  JWy.  in  US), 
'-  108.  ma  io  fare  ecc.  ma  io,  per  compenso, 
strazierò  a  modo  mio  il  corpo.  —  109.  B«b 
■al  eoe.  Descrive  la  formazione  della  pioggia, 
con  precisione  di  concetto  edentifioo  o  con 
movenza  di  parola  poetica;  non  senza  un  zi- 
oordo  virgiliano,  oèorg,  i  S22:  <  Saepe  etiam 
immensum  ooelo  venit  agoien  aquanun,  £t 
foedam  glomerant  tempestatem  imbribus  atris 
Conlectae  ex  alto  nubes».  Nota  il  Moore, 
I,  183,  come  le  parole  Ben  sai  ecc.  conten- 
gano un  tadto  richiamo  alla  dottrina  drtla 
formazione  della  pioggia  esposta  da  Aristotale, 
Md.  n  4  e  I  9.  —  112.  Glaass  «ael  eco. 
Lomb.  :  <  Quel^  colui  (gutl  d'inferno  suddetto) 
ooW  intelletto  giunee^  aggiunse,  accoppiò  mal 
voler,  la  cattiva  volontà,  ehe  pur  fnal  chiedi^ 
la  quale  solamente  il  male  desidera  e  corca, 
e  per  la  virtdf  ohe  ma  natura  dwdé,  per  dù' 
dègUf  mosse^  ecdtò  il  ftimo,  l' evaporaxioni 
umide,  e  *l  vento,  altro  requisito  per  susdtar 
temporale  ».  Questa  interpretazione,  la  piA 
semplice  ed  esatta  di  tutte,  ò  confermata  dai 
luoghi  dell'  Inf,  xxm  16,  e  xxzi  66,  ove  mal 
voUr  significa  la  disposizione  a  Due  il  male, 
nel  primo  congiunta  all'  ira  dd  diavoli  e  nd 
secondo  all' oypomètitoifeito  manto  e  alla  yosso; 
ed  d  già  vagamente  accennata  dal  Lana  che 
spiega:  €  lo  mai  volere  dd  demonio  oon  la 
sua  intelligenzia  e  le  naturali  cose  che  li 
obbediscono»  ecc.  Oli  altri  commentatori, 
BeuT.,  Buti  e  tutti  qnad  i  modami  spiegano: 
qìul  fìial  valor,  il  diavolo,  che  oon  l' intelletto 
cerca,  studia  solamente  il  male,  ffiunoe,  ar- 
rivò, e  mosse  ecc.  ;  ma  il  diavolo  eia  già  sul 


PURGATORIO  -  CANTO  V 


309 


con  l'intelletto,  e  mosse  il  fummo  e  il  vento 
114       per  la  yirtù|  che  sua  natura  diede. 
Indi  la  vallOi  come  il  di  fii  spento, 
da  Pratomagno  al  gran  giogo  coperse 
117        di  nebbia,  e  il  ciel  di  sopra  fece  intento 
si  che  il  pregno  aere  in  acqua  si  oonverse: 
la  pioggia  cadde,  ed  ai  fossati  venne 
120       di  lei  ciò  che  la  terra  non  sofferse; 
e  come  a*  rivi  grandi  si  convenne, 
vèr  lo  fiume  real  tanto  veloce 
123        si  minò,  che  nulla  la  ritenne. 
Lo  corpo  mio  gelato  in  su  la  foce 
trovò  l'Archian  rubesto;  e  quel  sospinse 
126       nell'Amo,  e  sciolse  al  mio  petto  la  croce, 


luogo  e  non  s*  intende  dorè  e  come  doreese 
ghugere.  Piuttoeto,  ohi  non  rogUa  accettare 
la  ipiegaxione  del  Lomb.  poò  intendere  :  qtul 
malvoler,  Q  diarolo,  ohe  con  Tintelletto  ecc. 
fiMiM  •  Mom,  oongionee  e  mise  in  moto,  il 
/IwwM,  la  nebbia,  •  U  «mto,  eoo.;  oppure, 
eoi  Tooaca:  gkmm  il  fimwm  «  moMf  ti  «Mito, 
ndnnò  il  Tepore  aoqneo  ecc.,  se  a  ciò  non 
ostasse  la  diffleoltà  di  spiogaie  il  vb.  giui^ 
fen  nel  senso  di  raoeogiiere.  —  114.  per  la 
lìità  eoo.  Dice  Tommaso  d'Aqnino,  Smnma, 
p.  I,  qn.  LxiT,  art  1,  ohe  la  cognizione  della 
Terità  è  triplice:  una  che  si  ha  per  natura,  e 
doe,  Tona  specolatiTa  e Taltra  affettiTa,  che 
A  hanno  per  graada;  e  seguita  :  e  Hamm  an- 
tem  tzinm  oognitionnm  prima  in  daemonibns 
neo  est  ablata  neo  diminnta;  conseqnitor 
eoim  ipeam  natoram  angeli,  qui  secondom 
•oam  natoram  est  quidam  intelleotos  rei 
mens:  propter  simplidtatem  antem  snae  snb- 
•tantiae  a  natura  eios  aliqnid  sabtrahi  non 
poteet,  nt  sio  per  snbtractionem  natoraliom  ' 
poniatnr...  Seconda  antem  oognitio  qnae  est 
per  gcatiam,  in  specnlatlone  oonsistens,  non 
tst  eia  totaliter  ablata,  sed  diminata...  Ter- 
tia  rero  cognitione  snnt  totaliter  privati  ». 
—  115.  Ia41  la  falle  eoo.  Poi,  come  il  di  fu 
wfmào  doò  appena  si  fo,  fatto  notte,  ricoperse 
dì  nebbia  la  ralle  da  Pratomagno  al  gran  già- 
fo,  tatto  il  Val  d' Amo  casentinese  ohe  si 
iténde  tra  i  monti  di  Pratomagno  alla  dostra 
e  il  pwi  giogo  cioè  la  Giogana  di  Oamaldoli' 
alla  sinistra.  Bassermann,  p.  102:  e  La  effi- 
csee  descrizione  del  temporale  sembra  a  me 
MUTO  qoaloosa  di  più  che  il  solo  prodotto 
daUa  fr*^H«i«-  Dante  stesso  Tide  certo  alla 
ma  della  battaglia  il  temporale  distendersi 
4a  Pratomagno  alla  Qiogana,  il  gran  giogo, 
Is  doe  msnen  di  monti  che  spponto  entro  sé 
rsoehiodono  la  pianata  di  Campaldino.  Egli 
ride  le  nabi  sciogliersi  in  aoqoa,  e  le  ondo 
4sIl*Amo,  fatte  turgide  dagli  affluenti,  por- 


tar seco  1  cadareri  dei  caduti  ;  e  può  l' im- 
pressione profonda  di  quella  giornata  averlo 
condotto  a  vedere  nel  temporale  mugghiente 
e  nell'  ira  indomita  dei  flutti,  V  opera  di  un 
demonio  malefico  ».  —  116.  Pratomafaei  è 
come,  bene  intesero  Benr.  e  Butl,  il  contraf- 
forte altissimo  che  separa  il  Val  d'Amo  ca- 
sentineee  dal  Val  d*  Amo  superiore,  all'  occi- 
dente dell'uno  e  all'oriente  dell'altro;  non 
giA,  come  erroneamente  ripeterono  dopo  il 
Vent.  alcuni  moderni,  il  borgo  di  Pratovec- 
chio  nell'alto  Casentino.  —  117.  lateato; 
coperto,  offuscato  di  vapori  ;  la  loouzione  dan- 
tesca ricorda  quelle  d' Orazio,  EpodL  zm  1  : 
e  Horrida  tempestas  ooelum  contrazit  >  e  di 
Virgilio,  Owrg,  i  248  :  e  obtenta  densentur 
nocte  tenebrae  ».  —  120.  di  lei  ecc.  quolla 
parte  doli'  acqua  caduta  che  non  fu  assorbita 
dalla  terra.  —  121.  e  eosie  eoo.  e  l' acqua 
raccoltasi  nei  rivi  grandi  ossia  nei  torrenti 
del  Casentino  (la  Staggia,  U  FiumiceUo,  U 
Solano,  la  Seva,  il  CorMlone,  l' Arohiano  eco.) 
si  precipitò  verso  l'Amo  tanto  velocemente 
che  nessun  impedimento  potò  rattenerla.  Tutti 
i  commentatori  antichi  e  moderni  tengono  che 
il  fiium  noi  sia  l' Arno,  detto  appunto  e  rea- 
le »  da  0.  Villani,  O.  I  48  e  e  imperiale  > 
da  D.  Compagni,  Or,  i  1,  come  quello  che 
porta  direttamente  le  acque  al  mare:  solo 
Benv.  prende  il  fiume  real  per  l' Archiano,  e 
Io  Scart  si  sforza  ingegnosamente  di  soste- 
nere questa  interpretazione.  Baste  osservare, 
in  contrario,  che  nei  versi  119-128  ò  descritto 
il  fenomeno  della  pioggia  e  dei  suoi  effetti, 
in  generale,  in  quanto  si  riversò  su  tutto  il 
Casentino  e  ne  gonfiò  i  torrenti;  cosi  ohe 
non  c'è  ripetizione  in  quel  che  Dante  sog- 
giunge dell' Archiano,  in  particolare,  in  quanto 
trascinò  seco  il  corpo  di  Buonoonte,  caduto 
appunto  alla  foce  di  quel  torrente.  —  125. 
rabeste  :  violento,  impetuoso  (cfìr.  Inf,  xxn 
106).  —  126.  e  seiolse  ecc.  Lana  :  e  qaando 


310 


DIVINA  COMMEDIA 


129 


132 


eh* io  fei  di  me  quando  il  dolor  mi  vinse: 
Yoltommi  per  le  ripe  e  per  lo  fondo, 
poi  di  sua  preda  mi  coperse  e  cinse  ». 

€  Deh,  quando  tu  sarai  tornato  al  mondo, 
e  riposato  della  lunga  vìa, 
seguitò  il  terzo  spirito  al  secondo, 

ricorditi  di  me,  che  son  la  Pia: 
Siena  mi  fé',  disfecemi  Marenmia; 
salsi  colui  che  inanellata  pria 


si  senti  che  *1  moria  elli  s'inorooiò  le  brao- 
cia;  poi  quando  ta  nToItato  dall'acqua;  la 
crooe  delle  bxaoda  il  disfece  >.  »  128.  toI- 
tomnil  eoo.  e  la  corrente  m' a^rgirò  per  le  rive 
e  per  il  fondo  dell'Amo  sin  che  m*ebbe  ri- 
coperto  di  sopra  e  d'intorno  con  i  sassi  e 
l'arena,  ohe  trasdnaTa  con  sé.  — 180.  Deh, 
f  vaade  ecc.  A  Baonoonte  ségoita  con  breve 
e  afléttaoso  pailare  un'  altra  anima,  la  senese 
Pia  ohe  raccomanda  al  poeta  di  ricordarsi  di 
lei  qoando  sarà  tornato  nel  mondo.  Alonni 
commentatori  antichi,  Lana,  Ott,  Case.,  Bnti, 
furono  concordi  neU'  aflérmare,  sena'  accenno 
alcuno  al  casato  di  lei,  ohe  la  donna  ricordata 
daU'  Ali^iieri  fosse  la  mos^e  di  NeUo  delU 
Pietra,  osna  di  Nello  d'Inghiramo  dei  Pan- 
noochiesohi,  signore  del  castello  della  Pietra 
in  Maremma,  podestà  di  Volterra  nel  1277  e 
di  Lacca  nel  1818,  capitano  della  taglia  guelfa 
di  Toscana  nel  1264,  e  capitano  del  popolo 
in  Modena  nel  1810,  vissuto  sino  al  1322,  in 
cui  fece  testamento  nel  castello  di  Oavorrano 
(cfir.  Bepetti,  VI  74;  Aqnarone,  Dante  in 
Siena  ecc.,  pp.  79  e  segg.  ;  Q,  IDlaneei,  noi 
Oiomale  ttoHeo  degli  archivi  toseanif  a.  1859, 
ToL  m,  p.  40).  Invece  secondo  Pietro  dì 
Dante,  Bràv.,  An.  fior.,  e  altri  chiosatori  an- 
tichi (cfir.  M.  Barbi,  ButL  1 61-68X  la  moglie 
di  Nello  ta  nna  Tolomei  di  Siena  :  •  nobilis 
domina  senensis  de  stirpe  Ptolomaeonim  », 
dice  Benv.,  e  l'An.  fior,  e  nna  gentil  donna 
della  famiglia  de'  Tolomei  di  Siena  >  :  cho 
gli  eroditi  senesi  spiegarono  poi  essere  nna 
Pia  Gnastelloni,  moglie  in  prime  nozze  di 
Baldo  de'  Tolomei,  rimasti  vedova  di  lui  noi 
1290,  e  poi  passata  a  seconde  nozze  con  Nello 
Pannocchieschi  e  da  Ini  ncdsa  nel  1295  (cfr. 
Aqnarone,  L  dt;  Q,  Tommasi,  Eistoria  di 
Siena,  Vennia,  1626,  parte  n,  p.  188;  G.  Qi- 
gU,  Diario  «anate,  Lucca,  1723,  voL  I,  p.  883). 
Ma  i  documenti  trovati  da  L.  Banchi  (cfr.  F. 
Donati  nella  Riv.  crii,  delia  letL  itaL,  a.  1886, 
n.  6,  e  A.  Lisini,  Nuovo  documento  della  Pia 
da'  ToL  figlia  di  Buonineontro  Quaetelloni, 
Siena  1893)  provano  che  la  Pia  Gnastelloni, 
vedova  di  Baldo  Tolomei,  era  sempre  viva  e 
vedova  nel  1818.  Quindi  la  donna  che  parla 
si  dolcemente  a  Dante  non  pud  essere  costei, 
si  invoce  una  Pia  nata  della  famiglia  Tolomei, 


sposata  in  prime  nozze  da  Nello  deDa  Pletzm 
•  da  lui  fatta  uccidere,  non  già  per  aloan 
iUlo  da  lei  commesso  (Lana,  Ott ,  BotQ  n6 
per  semplice  sospetto  (Benv.,  An.  fior.),  ma, 
come  altri  raccolse  dalla  tradizione  ed  è  confer- 
mato indirettamente  da  documenti,  per  desi- 
derio di  sposare  la  contessa  Margherita  degli 
Aldobrandesohi  già  vedora  di  Guido  di  Miont- 
fiort  (fitt.  Inf,  zn  119)  e  di  Orso  Orsini,  poi 
data  nel  1296  da  Bonifioio  Vili  al  nipote 
Loffredo  (}aetani  con  un  matrimonio  ohe  fti 
sciolto  due  anni  dopo.  Da  ohe  si  ritnarebbe 
che  la  morte  violenta  della  Pia  kam  acca- 
duta nel  1297,  quando  per  Io  sdogUmento 
del  terso  matrimonio  di  Marg^ksiita,  NeUo 
potò  concepire  il  pensiero  di  sposaila,  oodm 
ibce  realmente  (cfir.  specialmente  il  Baner- 
mann,  pp.  882-348).  —  184.  SleM  ad  fé* 
eco.  :  nacqui  in  Siena  e  venni  a  morte  in  Ma- 
remma. Quanto  alla  morte  di  Pia,  eecondo 
Lana,  Ott  e  Buti,  fu  a(  pelatamente  che  nm 
si  seppe  per  alcuno  né  la  cosa  né  il  modo  ; 
secondo  Benv.  e  An.  fior.,  e  essendo  ella  alle 
finestre  d' uno  suo  palagio  sopra  a  una  valle 
in  Maremma,  messer  NeUo  mandò  uno  suo 
fante  che  la  prese  pei  piedi  di  rietro  et  oao- 
dolla  a  terra  delle  finestre  in  quella  valle 
profondissima,  che  mai  di  lei  non  si  se^w 
novelle  >.  n  luogo  della  uccisione  è,  secondo 
la  tradizione  comune,  il  Salto  della  Omtassa, 
presso  il  castello  della  Pietra,  nella  Maremma 
massetana,  alla  destra  del  torrente  Brana. 

—  185.  salsi  colai  eco.  bene  oonoece  la  mia 
storia  Nello,  della  quale  io  era  legittima  mo- 
glie; poiché  egli,  dichiarando  di  ooaaentize 
al  matrimonio  {diapomxndo\  m' avea  tolta  per 
sua  donna  mettendomi  in  dito  la  sua  gamma, 
cioè  con  tutte  le  formalità  usate  nelle  oeri- 
monte  nuziali:  cfir.  Del  Lungo,  Dcmàe  II  441- 
448.  Un  antico  chioeatore  dice  coM  eoo.  e^ 
sere  il  fkmiglio,  Magliata  da  Piombino,  che 
uccise  la  Pia  per  ordine  di  Nello,  dopo  es- 
sere stato  procuratore  di  lui  a  dada  l'anello. 

—  che  iaaaeilBta  eco.  Le  ultime  pende  della 
Pia  sembrarono  oscure  ad  alonni  oooimenta- 
tori  ;  i  quaU,  non  pensando  ai  due  atti  ma* 
trimoniali  simultanei  che  vi  sono  accennati, 
quello  dello  tpooan  o  dichiarare  di  toglieie 
in  moglie,  e  quello  del  imméOan  o  dar  l'a- 


PURGATORIO  -  CANTO  V 


811 


136    disposando  m*  avea  con  la  saa  gemma  ». 


BeDo  nuziale  eloè  oelébiar»  A  matrimonio  se- 
eondo  il  rito  della  Chiesa,  o  credendo  erro- 
neemente  che  Nello  della  Pietra  sposasse  Pia 
già  redora,  dod  pria  JnofMUato  da  altro  no- 
Bo,  prererizono  la  lezione  dùpoaata  m'aem  e 
coitrairono  eon  la  mu  gmnma  «ma  Htpoèoia 


me,  ohe  glàpKs  era  stata  {fUMaOMa  dal  primo 
marito  :  inteipretasione  non  por  oontradetta 
dalla  storia,  ma  dal  senso  generale,  poiché 
nn'  aiféttaosissima  erocazlone  di  intime  gioie 
domestiche  si  xidvrsbbe  a  un  giochetto  d^ 
parole. 


CANTO  VI 

Sieonoseliite  altire  anime  di  morti  pejr  fona,  Dante  e  Virgilio  continuano 
il  loro  cammino  finché  s' Incontrano  co!  mantorano  Sordello  :  la  lieta  acco- 
glienza dei  dne  concittadini  offre  a  Dante  occasione  a  nna  nobilissima  In* 
rettlTa  contro  i  mail  d'Italia  in  generale  e  di  Firenze  In  particolare  [10 
aprile,  ore  tre  pomeridiane  eirea]. 

Quando  si  parte  il  giuoco  della  zara, 
colui  che  perde  si  riman  dolente, 

8  ripetendo  le  volte,  e  tristo  impara. 
Con  l'altro  se  ne  va  tutta  la  gente: 

qual  va  dinanzi,  e  qual  di  retro  il  prende, 
6       e  qual  da  lato  gli  si  reca  a  mente. 

Ei  non  s'arresta,  e  questo  e  quello  intende; . 
a  cui  porge  la  man  più  non  fa  pressa; 

9  e  cosi  dalla  calca  si  difende. 
Tal  era  io  in  quella  turba  spessa: 

volgendo  a  loro  e  qua  e  là  la  faccia, 


VI  1.  4{aaado  eco.  Dante  dzoondato  dalle 
anhne  dei  morti  per  forza,  che  gli  si  racco- 
mandano riramente  perché  ottenga  loro  dei 
tolbagi  nel  mondo,  paragona  s6  stesso  al  vin- 
citore del  ginoco  della  zara,  che  ò  incalzato 
dai  sollecitatori  di  doni  e  di  mance  e  se  ne 
libera  promettendo  a  tatti:  la  scena  eh'  ei  di- 
pinge, cogliendo  dal  vero  un  fatto  che  doveva 
ai  snoi  tempi  accadere  frequentemente  nelle 
vìe  e  sulle  piazze,  è  piena  di  vita  e  di  eflS- 
cacia  descrittiva.  —  si  parte  :  si  finisce,  se- 
parandosi i  giocatori  ;  cfr.  Puty.  zxvi  37.  » 
li  givoeo  della  cara:  fa  questo  nel  medioevo 
il  tipo  dei  molti  giuochi  fatti  coi  dadi  (sozo, 
mnrbiola,  allesso,  gherminella,  coderone,  ma- 
rcile, boCEa  ecc.)»  e  dagli  statati  manidpali 
risalta  ch'esso  si  faceva  con  tre  dadi,  perle 
più  senza  il  tavoliere,  sopra  nn  banco  o  altro 
piano  qualunque,  e  che  durante  il  giuoco, 
secondo  determinate  combinazioni,  la  parola 
tara  (lat.  «arum,  ìt,  xaro  e  tara,  dall'arabo 
xM^,  dado  :  cfr.  Diez  33)  era  dotta  da  uno 
dei  giuocatorL  Queste  combinazioni,  secondo 
U  Lana,  erano  le  meno  probabili,  cioè  quelle 
dei  numeri  più  bassi  (8  e  4)  e  dei  piò  alti 
(17  e  18),  che  non  avevano  altro  valore  che 


di  %airi  e  e  non  sono  computati  nel  gtooeo  >  ; 
erano  computati  invece  quelli  intermedi,  dal 
5  al  16,  e  per  vincere  bisognava  fiue  il  ponto 
dichiarato  o  dtiamato  innanzi;  e  tutta  l'abi- 
lità consisteva  nel  chiamare,  dice  il  Lana, 
e  cotal  numero  che  è  ragionevole  a  dovere 
venire  >,  dod  il  10  e  r  11,  i  più  probabiU  a 
formarsi  in  nna  combinadone  di  tre  dadi  : 
cfr.  L.  Zdekauer,  il  giuon  in  Bàlia  mi  •»- 
eofi  xui  e  ziv,  cit.,  pp.  7-9,  e  N.  Tamassia, 
Odo/redo,  Bologna  1894,  p.  178.  —  8.  rlpetea- 
do  if  volte  ecc.  esercitandosi  a  gittare  i  dadi^ 
a  ripetere  le  tratte  ;  e  cosi  impara  per  un'aU 
tra  oooasione  :  se  ha  perduto  coli'  undici,  os- 
serva il  Lana  e  elli  impara  di  non  ohiamare 
un'altra  fiata  xi».  —  4.  Cea  Peltro  ecc. 
Lana  :  e  con  quello  che  ha  vinto  a  giuoco» 
tutta  la  brigata  va  :  quale  li  domanda  parte  ; 
quale  domanda  provigione,  perché  tenea  le  ra- 
gioni al  giuoco  ;  quale  domanda  di  vincita  >• 
—  8.  a  evi  porge  eco.  colui,  al  quale  il  vin- 
citore allunga  la  mano  con  la  mancia  e  il  dono^ 
più  non  r  incalza  o  preme  (cfr.  Airy.  v  43), 
ma  va  per  altra  parte  essendo  già  sodisfktto.  — 
10.  Tal  era  eco.  :  in  mezzo  a  quelle  anime  io 
era  come  il  vincitore  del  giuoco  in  mezzo  ai 


2fl2 


DIVINA  COMMEDU 


12       e  promettendo,  mi  sciogliea  da  essa. 
Quivi  era  Paretin,  che  dalle  braccia 

fiere  di  Gliiii  di  Tacco  ebbe  la  morte^ 
15        e  1*  altro  che  annegò  correndo  in  caccia. 
>     <  Quiyi  pregava  con  le  mani  sporte 

Federico  Novello,  e  quel  da  Pisa 
18       clie.fe' parer  lo  buon  Marzucco  forte. 


sollecitatori,  e  mi  liberavo  da  eese  px>inetten- 
do  di  raocomandarle  alle  preghiere  dei  viventi. 
— 18. 1'«retlB  :  Beninoasa  di^  Laterioa,  terra 
del  Val  d' Arno  superiore,  ta  ginreoonsulto 
valente  del  secolo  zm,  e,  secondo  Benv.,  pzo- 
festò  leggi  nello  stadio  bolognese  :  raccontano 
gU  antichi  commentatori  che,  essendo  sssea- 
soie  o  Radice  del  podestà  di  Siena,  condannò 
a  morte  nn  fratello  (Tarino,  secondo  Pietro 
di  Dante,  Bati,  An.  fior.,  Land.,  YelL;  Cer- 
vo, secondo  Lana;  Tacco,  secondo  Ott.,  Dan.) 
e  ano  do  (Tacco,  secondo  Lana,  Bati,  Land., 
Veli.)  di  Ghino  di  Tacco,  peiohó  essendo, 
dice  il  Bati,  crabatori  et  omini  violenti, 
aveano  tolto  al  comone  di  Siena  ano  castello 
che  era  in  Maremma,  •  qoive  stavano  e  ra- 
bavano  chianqae  passava  per  la  strada  >  :  il 
castello  asaipato  paze  ohe  fosse  qaello  di 
Torrita  nella  Val  di  Chiana  (Bepetti  V  550). 
Ghino  di  Tacco,  per  vendicare  la  morte  dei 
congionti,  aspettò  l'occasione  l&vorevole,  ed 
essendo  Benincasa  passato  ad  esercitare  il 
sao  ofBoio  da  Siena  a  Roma,  andò  a  sorpren- 
derlo nel  tiibanale  e  lo  accise,  dice  il  Lana, 
e  solla  sala  dove  si  tiene  la  ragione  >.  — 14. 
CAln  di  Taeeot  gentilaomo  senese  dei  signori 
della  Fratta,  vìssuto  nella  seconda  metà  del 
secolo  xm  nel  castello  di  BadicoDuii  e  dive- 
nato e  per  la  sua  fleressa  e  per  le  sue  robe- 
rie  nomo  assai  famoso  >  (Booc,  Dea*  g.  x, 
a.  2,  ov'è  messa  in  novella  la  presura  ch'ei 
fece  dell'abate  di  Clugny):  negli  ultimi  anni 
della  sua  vita  par  oh'  entrasse  nelle  grazie 
del  pontefice  Boniftaio  Vm,  il  quale,  dicono, 
lo  beneficò  largamente  e  lo  padfiod  col  co- 
mune di  Siena  ^si  veda  D.  H.  Manni,  Istoria 
del  Deoammmé^  Firenze,  1742,  pp.  543-661  ; 
3.  Aqoarone,  Danto  in  SienOy  pp.  98-101). 
—  16.  l'Altro  eco.  Oucdo  del  Tarlati,  signori 
della  rocca  di  Pietramala  nel  territorio  are- 
tino e  capi  della  parte  ghibellina  d'Arezzo, 
fiori  nella  seconda  metà  del  secolo  zm  e  fu 
zio  di  Ouido  vescovo  di  Arezzo  :  mentre  i 
suoi  avevano  guerra  oon  1  Bostoli,  guelfi  fuo- 
rusciti d' Arezzo  e  rifugiati  in  Castel  di  Bon- 
.dine,  perseguitando  una  volta  i  nemici,  tra- 
sportato dal  cavallo  nel  fiume  Arno,  vi  an- 
negò. Cosi  racconta  Benv.;  ma  Lana,  Ott., 
Buti  accennano  invece  che  Gucdo  trovasse 
la  morte,  inseguito  dai  nemici  dopo  la  batta- 
glia di  (Tampaldino  o  di  Bibbiena,  del  1289 
(cfr.  Purg.  V  92).  ~  17.  Federiee  Novello: 


figlio  di  Guido  Novello  dei  conti  Guidi,  uc- 
ciso presso  Bibbiena  da  uno  dd  Bostoli  fuo- 
rusciti d'Arezzo,  essendo  in  alato  ai  Tarlati 
di  Pietramala.  —  e  «ael  da  Plia  eco.  D  pi> 
sano  Boti  racconta:  cQoesti  ta.  Farinata, 
fiUiuolo  di  Bussar  ICarzucco  de  li  Soornigiani 
da  Pisa  ;  lo  quale  messer  Marzucco  fti  caval- 
Uere  e  dottore  di  legge,  et  essendo  Ho  in 
Maremma,  cavalcando  da  Saveieto  a  Sdher- 
lino,  ne  la  via  si  fermò  lo  cavallo  per  ano 
ismisurato  serpente,  che  correndo  attraverso 
la  strada  ;  del  quale  lo  detto  messer  Marzaooo 
ebbe  grandissima  paura,  et  awotossi  di  fiusi 
fhtte  minore,  e  cosi  fece  poi  die  campato  fti 
del  peiioulo...  Fatto  Arate  Io  detto  meeser 
Marzucco,  avvenne  caso  che  Farinata  eopra- 
detto,  suo  fiUiuolo,  fti  morto  da  uno  cittadino 
di  Pisa  [Becdo  da  Gaprona,  secondo  Fietio 
di  Dante  e  An.  fior.]  ;  unde  lo  detto  measer 
Marzucco  colli  altri  fhttl  di  santo  Fimnoseoo 
andati  per  lo  corpo  del  detto  suo  fiUiaolo, 
come  ussnsa  d,  fisce  la  predica  nel  capitolo 
a  tutti  consorti,  mostrando  oon  bellissiffie  an- 
toritadi  e  verissime  ragioni  ohe  nel  caso  av- 
venuto non  era  nessuno  miUiore  remedio  che 
pacificarsi  col  nimico  loro;  e  cosi  ordinò  poi 
che  si  fece  la  pace,  et  elli  volse  badara  quella 
mano  che  avea  morto  lo  suo  fiUiuolo  ».  Cos( 
il  Buti;  il  racconto  del  quale  ò  conforme  a 
quelli  di  Pietro  di  Dante  e  dell'  An.  fior.,  ed 
ò  in  alcuni  particolari  confermato  dai  docu- 
menti ;  poiché  Marzocco  Soornigiani  (fattora 
di  Mariano  giudice  d'Arborea  nel  1266,  uno 
dei  rappresentanti  di  Pisa  nella  pace  del  1276 
oon  liienze,  ambasciatore  dei  pisani  ai  fuo- 
rusciti nel  1278,  amico  di  fin  Guittone  d'A- 
rezzo) nel  1287  entrò  come  novizio  nell'ordine 
fi«ncescano  restituendo  alla  moglie  la  dote  e 
il  corredo  (cfr.  G.  Sforza,  Dante  §  i  pisani, 
dt.  pp.  129-182, 166-169).  Magli  antichi  com- 
mentatori raccolsero  altre  versioni  del  fatto 
in  cui  Manucco  mostrò  la  sua  fortezza:  Tana, 
accennata  dal  Lana  e  dall' Ott,  secondo  coi 
Marzucco  avrebbe  ucciso  un  condttadino  di 
nome  Federico,  il  quale  aveva  alla  sua  volta 
ucciso  Vanne  degli  Soornigiani  figlio  di  lui  ; 
V  altra,  raccontata  da  G.  Boccaccio  a  Benv. 
e  riferita  da  questo  e  dall' An.  fior,  cosi: 
e  Questo  Farinata  per  uno  trattato  gli  ta 
mozzo  il  capo  in  Pisa  al  tempo  che  di  Pisa 
era  signore  il  conte  Ugolino,  et  lasciato  stare 
.più  di  cosi  smozzicato  in  sulla  piazza;  onde 


PURGATORIO  —  CANTO  VI 


313 


Vidi  coni' Orso,  e  ranima  divisa 
dal  corpo  suo  per  astio  e  per  inveggia, 
21       come  dicea,  non  per  colpa  conunisa; 
Pier  della  Broccia  dico:  e  qui  provveggìa, 
mentr*è  di  qua,  la  donna  di  Brabante, 
24       si  clie  però  non  sia  di  peggior  greggia. 
Come  libero  fui  da  tutte  quante 
quell'ombre,  che  pregar  pur  ch'altri  preghi, 
27        si  che  s'avacci  il  lor  divenir  sante, 
io  cominciai  :  €  E'  par  che  tu  mi  neghi, 
0  luce  mia,  espresso  in  alcun  testo, 
80       che  decreto  del  cielo  orazion  pieghi; 
e  questa  gente  prega  pur  di  questo: 
sarebbe  dunque  loro  speme  vana? 
83       o  non  m'è  il  detto  tuo  ben  manifesto?  > 
Ed  egli  a  me:  €  La  mia  scrittura  è  piana, 


■Mier  Xaxzacco  ano  padre,  trasfigniatoai  ot 
•oonoednto,  andò  un  di  al  conte  Ugolino  di- 
eendo  :  *  Signore,  piacciavi  che  qoello  sven- 
tazato  eh'  è  in  sólla  piazza  sia  sotteirato,  ao- 
dò  die  '1  poso  che  già  ne  Tiene  di  lai  non 
fMda  noi»  alla  Tidnanza  '.  H  conte  Ugolino 
gaaidd  oostoi  et  zioonobbelo;  diasegU  :  *  La 
tua  fellema  ha  Tinto  la  mia  pertinacia  et  la 
sia  dnreiza  :  Ta  et  ftame  qneQo  che  tn  to- 
^  ■  >.  ^  19.  coni*  Orto  :  Orso  degU  Alberti 
deOa  Oerbaia,  figlio  del  conte  Napoleone  nno 
dai  fratricidi  della  Caina  (cfr.  Irf,  zzzn  66), 
gioTÒ  col  padre  e  od  fratelU  Alberto  e  Guido 
la  pace  del  cardinale  Latino  (  ivi,  67  )  e  fa 
nodso  nd  1286  dal  cogino  Alberto  figlio  dd 
conto  Alessandro  ;  il  qoale  Alberto  ToUe  forse 
Tendicare  ood  la  morte  dd  padre  e  fti  poi 
egli  stesso  aodso  nd  1826  da  Spinello  sao 
nipote,  bastardo:  cosi  la  tragedia  domestica 
continnò  per  alcune  generazioni,  finché,  spenti 
g^  Alberti,  il  cornane  di  Firenze  prese  il  pos- 
■esso  di  qod  loro  fèndi  di  Vd  di  Bisenzio 
per  i  qoali  s'erano  commessi  tanti  fratricidi 
(cfr.  a.  Villani,  O.  a  818  e  Bepetti,  VI  80). 
—  raalaift  eco.  l'anima  di  Pietro  della  Broc- 
cia, che  fti  aodBO,  com'  egli  dioera,  per  odio 
e  per  invidia,  non  per  dcona  colpa  che  avesse 
oommess».  —  20.  Inveggia  i  voce  arcaica, 
formata  sol  prov.  mceja  (ctt.  Parodi,  BuU. 
m  100).  —  22.  Pier  deUa  Broecia  :  Pietro  de 
la  Broese,  sebbene  di  amili  natali  e  dato 
all'esercizio  ddla  chirnigia,  acquistò  gran 
fkvoze  presso  Filippo  m  (cfr.  Purg,  vn  108) 
re  di  Frauda,  che  Io  innalzò  alle  prime  ca- 
iv»iu>  di  corte  :  essendo  morto  nd  1276  Lai- 
gi,  il  primogenito  dd  re,  pare  che  Pietro 
aeeosaase  Haiia  di  Brabante,  seconda  mo- 
1^  di  Filippo  m,  di  avere  fiitto  awelonare 
il  figliastro  per  asdcaiare  la  saccessione  al 
figlio  Filippo  II  BeUo  (efir.  Purg.  vu  109), 


e  per  dò  incomindò  ad  ossero  odiato  dd  fon- 
tori  della  regina:  scoppiata  la  gaerra  tra 
Filippo  m  e  Alfonso  X  re  di  CastigUa  (cCr. 
Par,  XIX  126),  Pietro  fa  dd  nemid  acca- 
sato di  tradimento  e  il  re  lo  léce  impicca- 
re, non  senza  influenza  della  regina  e  dei 
partigiani  di  lei  ;  anzi  gli  antichi  commenta- 
tori aggiangono  che  Pietro  ta  fatto  ncddere 
a  istanza  di  Maria  di  Brabante,  che  lo  avrebbe 
accasato  presso  il  re  d'avere  tentato  la  sna 
castità.  —  e  qal  provreggla  ecc.  e  in  que- 
sto mondo,  Uaria  di  Brabante  provveda  fin 
che  è  Tiva  ad  espiare  il  sao  peccato,  se  non 
vuole  andare  a  finire  in  nna  ptggior  grtggia^ 
ndla  schiera  dod  dei  fdd  accasatori  che 
sono  in  Mdebolge.  —  28.  la  deus  41  Bra- 
bante: Maria,  figlia  di  Enrico  VI  daca  di 
Brabante  e  moglie  in  seconde  nozze  di  Fi- 
lippo m,  morta  nel  1821.  —  26.  Come  Ubero 
eoe  Liberatod  dalle  ombre,  che  gli  d  racco- 
mandavano cddamente  per  ottenere  saibagt 
nel  mondo,  Dante  espone  on  sao  dubbio  a 
ViigUio,  perché  l'efficacia  ddle  preghiere 
affermata  da  queste  anime  gli  sembra  essere 
contradetta  da  un  passo  dell'  EneùU,  vi  876, 
dove  la  Sibilla  dice  a  Palinuro  :  e  Deaine  fata 
defim  flecti  sperare  precando  >  :  e  Virgilio  gli 
dà  subito  una  spiegazione  ddl'  imparento  oon- 
tradizione.  —  26.  pregar  par  ecc.  pregarono 
solamente  affinché  altri  pregasse  per  loro,  ad 
aflltettare  l'opera  della  purificazione.  -->  27. 
8*avaeel:  s'aifretti  (cfir.  Purg,  iv  116).  ^ 
28.  tn  mi  neghi  ecc.  tu  affermi  esplidta- 
mente  in  qudche  luogo  dd  tuo  poema  che 
le  preghiere  non  valgono  a  mutare  i  decreti 
divini,  e  queste  anime  chiedono  solamente 
che  le  preghiere  affrettino  la  loro  salita  al 
purgatorio  :  or  dunque,  ò  fallace  la  speranza 
di  queste  anime,  o  io  non  ho  ben  capito  le 
tue  parole  ?  —  84.  La  mia  leriltara  eoe 


814 


DIVINA  COMMEDIA 


e  la  speranza  di  costor  non  fialla, 
36       se  ben  si  guarda  con  la  mente  sana; 
che  cima  di  giudizio  non  s'ayyalla, 
perché  foco  d'amor  compia  in  un  punto 
89       ciò  che  dèe  satisfar  chi  qui  s' astalla: 
e  là  doy'io  fermai  cotesto  punto, 
non  si  ammendava,  per  pregar,  difetto, 
42       perché  il  prego  da  Dio  era  disgiunto. 
Veramente  a  cosi  alto  sospetto 
non  ti  fermar,  se  quella  no  '1  ti  dice, 
45       che  lume  fia  tra  il  vero  e  l'intelletto. 
Non  so  se  intendi;  io  dico  di  Beatrice: 
tu  la  vedrai  di  sopra,  in  su  la  vetta 
48       di  questo  monte,  ridente  e  felice  >. 

Ed  io  :  <  Signore,  andiamo  a  maggior  fìretta; 
che  già  non  m'affatico  come  dianzi, 
61        e  vedi  omai  che  il  poggio  l'ombra  getta  >. 
€  Noi  anderem  con  questo  giorno  innanzi, 
rispose,  quanto  più  potremo  omai: 
54       ma  il  fatto  è  d'altra  forma  che  non  stanzi 
Prima  che  sii  là  su,  tornar  vedrai 


Né  l'vna  ooea  né  l'altra,  rispondo  Virgilio: 
tu  hai  inteso  le  mie  parole,  •  1*  speranza  di 
queste  anime  non  è  fallaoe;  e  tn  i  dne  ter^ 
mini  non  e'  d,  ohi  bene  consideri,  alcona  con- 
tradixione.  *—  87.  th4  tìwuk  eoo.  perché  cima 
di  gktdixiOt  V  altezza  del  giudizio  divino,  non 
B*awaUaj  non  si  abbassa,  perché  fooo  d'amor^ 
per  il  fatto  ohe  V  ardore  di  carità  delle  anime 
buone,  preganti  per  queste  dell'antipurgato- 
rio, compia  in  vnpmiioy  in  un  momento  solo, 
ciò  ehó  dèe  tatiafar  chi  qui  c'asiaUa,  quell'e- 
spiazione che  ò  dovuta  dalle  anime,  ohe  senza 
l'aiuto  delle  altmi  preghiere  la  compirebbero 
stando  qui  più  lungo  tempo.  —89.  s'Mtalla: 
il  rb.  astaltarCf  derivato  dal  nome  atollo  che 
nel  senso  di  dimora  s' incontra  in  Inf.  xzxm 
102,  significa  aver  dimora,  dimorare,  tratto- 
nersi  in  un  luogo  per  un  lungo  tempo.  — 
40.  •  là  dOT*lo  eoo.  e  nel  caso,  nel  quale 
dissi  che  le  preghiere  non  valevano  a  piegare 
il  divino  vdere,  non  poteva  certo  la  colpa 
essere  espiata  con  preghiere,  poiché  chi  pre- 
gava era  ftiori  della  grazia  del  Signore,  e  per- 
ciò le  sue  parole  non  potevano  avere  alcuna 
efficacia  presso  Dio  (cfr.  Purg,  rv  133-185). 
—  48.  TerAmente  ecc.  Ma  tu  non  fermare 
la  mente  a  questioni  cosi  profonde,  se  non 
ti  richiama  a  ciò  quella  donna  che  al  tuo  in- 
telletto rischiarerà  con  la  luce  della  scienza  di- 
vina la  verità.  Virgilio,  simbolo  della  ragione, 
non  pud  sciogliere  1  dubbi  di  natura  teolo- 
gica, per  i  quali  ò  necessario  l'intervento  di 


Beatrice,  simbolo  della  fede  (cfr.  ih/l  n  70). 
—  46.  ehe  lume  eco.  ohe  tra  la  verità  e  ik 
tua  mente  farà  come  il  lume,  che  rischiarando 
le  cose  le  rende  visibili  al  senso.  —  46.  Kob 
so  eoo.  o£r.  Inf,  xziv  67.  —  47.  tv  la  ve- 
drai ecc.  Beatrice  sorridente  di  etema  feli- 
cità apparirà  al  suo  fedole  sulla  cima  del 
monte  sacro,  nel  paradiso  terrestre  (ofir.  Py/rg, 
XXX  28  e  segg.).  —  49.  Signore  eoe  Tomm.: 
e  Al  nome  di  Beatrice  il  poeta  si  sente  rin- 
vigorito dal  desiderio  e  già  ascende  coli'  »- 
nima  le  altezze  del  monte  ;  perché  il  desido» 
rio  di  vedere  lei  si  confonde  col  bisogno  di 
conoscere  la  verità  >.  —  61.  e  vedi  eoo.  Era 
mezzogiorno  quando  1  due  poeti  s'allontana- 
rono da  Belaoqua  (Purg.  iv  187),  e  molto 
tempo  avevano  perduto  nei  colloqui  oon  le 
anime  dei  negligenti  :  si  che  in  questo  mo- 
mento il  sole  era  già  occultato  dal  monte  che 
gittava  la  sua  ombra  sul  luogo  ov*  erano  i 
due  poeti,  essendo  circa  le  tre  ore  pomeri- 
diane :  cfr.  Moore,  tav.  vi  :  e  prime  ore  dopo 
il  mezzogiorno  >.  —  62.  Noi  anderem  ecc.  Con- 
tinueremo a  salire  finché  durerà  il  giorno;  ma 
il  fatto  è  ben  diverso  da  quello  che  tu  imagi- 
ni:  la  salita  ò  lunga  o  difficile  e  a  compierla 
bisognerà  più  tempo  che  tu  non  pensL  —  65. 
Prima  ehe  sii  ecc.  Prima  di  giungere  sulla 
cima  del  monte  vedrai  fìA  volte  rinascere  il 
sole,  che  ora  si  nasconde  dietro  il  monte  si 
che  tu  non  gitti  più  ombra.  Dante  e  Virgilio, 
usciti  all'  aperto  sull'  isoletta  la  mattina  del 


PUBGATORIO  -  CANTO  VI 


816 


colui  olle  già  si  copre  della  costa, 
si  clie  i  suoi  raggi  ta  romper  non  iaL 

Ma  vedi  là  un'anima,  clie,  posta 
sola  soletta,  verso  noi  riguarda^ 
quella  ne  insegnerà  la  via  più  tosta  >. 

Venimmo  a  lei.  O  anima  lombarda, 
come  ti  stavi  altera  e  disdegnosa, 
e  nel  mover  degli  ocdii  onesta  e  tarda! 

Ella  non  ci  diceva  alcuna  cosa; 
ma  lasciavano  gir,  solo  sguardando 
a  guisa  di  leon  quando  si  posa. 

Pur  Virgilio  si  trasse  a  lei,  pregando 
clie  ne  mostrasse  la  miglior  salita, 
e  quella  non  rispose  al  suo  domando; 

ma  di  nostro  paese  e  della  vita 
c'inchiese.  £  il  dolce  duca  incominciava: 
<  Mantova...  »,  e  l'ombra,  tutta  in  sé  romita, 


67 


60 


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66 


72 


surse  vèr  lui  del  loco  ove  pria  stava, 
dicendo  :  €  O  mantovano,  io  son  Sordello 


10  aprile,  entrano  nel  vero  purgatorio  nella 
mattina  deQ'  U  (efr.  Purg,  vl  44),  la  mattina 
del  12  salgono  al  quinto  cerchio  (cfr.  Purg, 
zxx  87)  ;  pd  Dante  solo  entra  nel  paradiso 
teiieatie  la  mattina  del,  18  aprile  (cflr.  Berg, 
xxm  109  e  segg.,  xxrm  1  e  segg.).  —  68. 
festa  Mia  eoe  separata  del  tatto  dalle  altro 
anime.  Bnti  e  molti  con  Ini  intendono  potta 
per  sedata,  posta  a  sedere  ;  e  veramente,  se 
poi  si  allò,  «Urss  del  ìooo  ove  pria  ttava^  Sor- 
dello doveva  essere  sedato.  —  61.  O  aalma 
lombarda  !  Dante  scrivendo  ha  ancora  in- 
nanzi agli  occhi  Tatt^ggiamento  di  Sordello, 
che  gli  era  sabito  apparso  come  aomo  d'alto 
e  nobile  animo  e  di  grande  saviezza  e  gra- 
vità; e  nella  forma  esclamativa  fit  sentire  il 
perdarare  dell*  impressione  riportata  di  quella 
singolare  flgoia.  —  62.  àttera  e  disdegsosa: 
Land.  :  «  In  nostra  lingna  diciamo  altero  e 
disdegnoeo  colai  che  per  eccellenza  d'animo 
non  riguarda  né  con  pensiero  a  cose  vili,  nò 
qaeUe  degna;  si  che  dimostra  ona  corta 
gfliifff^^^  generosa  e  senza  vìrio»;  e  dta 
^esempio  del  Petrarca,  canz.  cv  8  :  e  £d  in 
donna  amorosa  anoor  m'aggrada  Che  'n  vista 
vada  altera  e  disdegnosa.  Non  saperba  e  ri- 
trom  >.  —  66.  sgaardande  :  il  vb.  eguardare 
bene  esprime  l' idea  di  on'  adone  continaata 
e  calma.  —  66.  a  galea  eco.  Ventari  892  : 
e  Molte  sindlitadini  del  leone  sono  in  Omero, 
e  alcune  in  Virgilio  e  nei  poeti  latini  :  ma 
siano  lo  ritrasse  in  qaeet'  atto  dantesco,  che 
mostra  la  Aera  maestà  dello  sgoardo  e  la  di- 
gnità dei  ripoeo  >.  ~  67.  Par  Tirgille  eoo. 
ViigiUo  i' avvicina  a  Sordello,  chiedendogli 


qaale  sia  la  strada  pid  agevole  per  salire  ; 
ma  egli  invece  di  rispondere  alla  domanda 
chiede  alla  sua  volta  ohi  siano  i  dae  visita- 
tori, e  appena  Virgilio  ha  pronanziato  il  no- 
mo della  pàtria,  con  on  impeto  grande  d'a- 
more si  leva  e  abbraccia  l'ignoto  visitatore, 
manifestandosi  per  sno  concittadino.  —  72. 
totta  la  sd  romita  :  prima  raccolta  tatta  in 
sé  stessa,  poeta  eola  eoletta,  —  74.  le  son  Sar- 
delle eoo.  Sordello  nacqae  a  Goito,  nel  terri- 
torio di  Bfantova,  sai  principio  del  secolo  xm, 
e  fti  di  ana  ùtmiglia  di  nobiltà  campagnaola  : 
entrò  giovine  nella  oorte  del  conte  Biocardo 
di  San  Bonifisrio,  signore  di  Verona,  e  inva- 
ghitosi della  moglie  di  lai,  Ca^zza  da  Ro- 
mano (cfir.  iV.  iz  82),  la  rapi  intomo  al  1224 
d'accordo  col  fratello  di  lei  Ezzelino  m  (cfr. 
Inf,  TU  110)  e  si  recò  con  essa  nella  Marca 
Trivigiana  :  dopo  avor  peregrinato  pid  anni 
per  qael  paese,  abbandonò  l'Italia  intomo 
al  1229,  e  visitò  le  corti  dei  oonti  di  Pro- 
venza, di  Tolosa,  di  Boassillon  e  forse  anche 
qaella  di  Castiglia  e  qualche  paese  di  Poitoa. 
Allorquando  Carlo  I  d'Angiò  ebbe  la  contea 
di  Provenza,  Sordello  si  mise  ai  soci  servigi, 
come  cavaliere  e  come  poeta,  e  certamente 
fa  tonato  in  gran  conto  da  qoel  principe, 
poiché  il  sao  nome  appare  insienie  con  quelli 
dei  maggiori  cortigiani  in  parecchi  trattati  e 
documenti  angioini  dal  1262  al  1266.  SordeUo 
segui  Carlo  nella  spedizione  d' Italia,  ma  pare 
oh'  ei  rimanesse  prigioniero  dei  ghibeUini  pri- 
ma di  giungere  nel  regno  di  Napoli  :  certo, 
nel  settembre  del  1266  era  in  prigione  a  No- 
vara, e  il  papa  Clemente  IV  eccitava  il  re 


816 


DIVINA  COMMEDIA 


75        della  tua  terra»;  e  l'iin  1* altro  abbracciava. 
'  Ahi  serva  Italia,  di  dolore  ostello, 

nave  senza  nocchiero  in  gran  tempesta, 
78       non  donna  di  provincie,  ma  bordello! 
.    Quell'anima  gentil  fu  cosi  presta, 

sol  per  lo  dolce  suon  della  sua  terra, 
81        di  £Eu:e  al  cittadin  suo  quivi  festa; 
ed  ora  in  te  non  stanno  senza  guerra 
li  vivi  tuoi,  e  l*un  l'altro  si  rode 
84       di  quei  che  un  muro  ed  una  fossa  serra. 
Cerca,  misera,  intomo  dalle  prode 
le  tue  marine,  e  poi  ti  guarda  in  seno, 
87       se  alcuna  parte  in  te  di  pace  gode. 


angioino  a  liscaftaro  11  sao  fedele  ;  e  liberato 
dal  carcere,  ottenne  nel  1269,  come  ricom- 
pensa dei  sarrigi  prestati,  dnque  castelli, 
nell'Abrono,  presso  A  fiume  Pescara,  ma 
poco  dopo  mort  Fu,  a  giudizio  degli  antichi 
biografi  0  commentatori,  di  bella  persona  e 
▼iraoe  amatore  ed  ebbe  tatto  le  parti  di  on 
perfetto  cortigiano  :  tra  gli  italiani  che  scris- 
sero poesie  in  provenzale  ta  senza  dnbbio  il 
maggiore,  tanto  por  ricchezza  e  yarietà  di 
intenzioni,  qnanto  per  il  aicoro  nso  della 
lingua  e  dello  stile  troTadorìco;  delle  poesie 
avanzateci  di  SordeUo  (circa  quaranta),  parto 
deUe  quali  sono  d' argomento  amoroso,  alcune 
sono  reramento  notoToli;  più  d'ogni  altra, 
la  canzone  di  compianto  per  la  morto  di  Bla- 
catz  nobile  signore  prorenzale,  anteriore  al 
1287  (cfr.  F.  Diaz,  Lebm  mdé  Work»,  dt 
pp.  275-888;  0.  Schnlts,  DU  LOenavarhàtt' 
Hit»  der  iUU,  TVobadora  in  ZeUaokrift  fùr  r(h 
mtm.  Philohgie,  a.  1888,  voi.  VII,  pp.  202- 
218;  gU  studi  di  C.  De  LoUis,  di  P.  E. 
Ouamerio,  di  F.  Torraoa  e  di  V.  Creeoini 
riassunti  dal  Parodi,  BulL  IV  186-197;  D^O- 
Tidio,  pp.  1-18,  668-670).  Sopra  il  motivo 
per  cui  Danto  potò  dar  luogo  cosi  onore- 
vole nel  poema  al  trovatore  mantovano  cfr. 
la  nota  al  Airy.  vn  46.  ^  76.  Ahi  serra 
Itslia  eco.  Lo  spontaneo  movimento  d'af- 
fetto, per  cui  Sordello  si  gittò  al  collo  del 
concittadino,  senza  pur  aspettare  che  questi 
si  rivelasse,  richiama  al  pensiero  di  Danto 
le  fiere  discordie  che  dilaceravano  ai  suoi 
tempi  l'Italia  ed  erano  precipua  cagione  dei 
mali  della  patria;  •  lo  trasse  a  questa  invet- 
tiva vtolento  contro  tutti  coloro  che  con  i 
loro  atti  concorrevano  a  mantenere  cotesto 
condizioni  tristissime  :  ma  anche  nell'impeto 
della  concitazione  lirica,  procedento  dallo 
sdegno  e  insieme  dall'amore,  Danto  seppe 
da  gran  poeto  contenere  il  suo  pensiero  en- 
tro i  termini  dell'  arte,  sfuggendo  al  pericolo 
di  lasciarsi  andare  a  una  verbosa  e  vuota 
declamazione.  La  sua  invettiva  d  un  quadro 


storico,  in  cui  per  efEotto  di  un'analisi  pro- 
fonda, rivive  in  tutti  i  suoi  aspetti  la  con- 
dizione politica  deU'ItaUa  nel  1800:  U  pa- 
pato usurpatore  del  potere  civile,  l'impero 
ormai  noncunuito  della  sua  parto  plfi  beDa, 
le  cittadinanze  divise  dalle  fazioni,  la  no- 
biltà feudale  e  ghibellina  dedinanto  rapida- 
mento  a  rovina,  la  democrazia  comunalo  e 
guelfa  procacdanto  per  la  conquisto  del  go- 
verno, campeggiano  vlvamento  tratteggiato; 
e  in  fondo,  quasi  specchio  della  rimanonto 
Italia,  Firenze,  percossa  dal  suo  fiero  citta- 
dino e  poeto  con  ironia  cosi  efllcaoe  e  con 
parola  cosi  potonto  che  il  lettore  trascinato 
e  vinto  non  ha  agio  di  discutere  giudizi  ed 
espressioni,  ma  si  sento  commosso  ed  ammira. 

—  serra:  cosi  chiama  l'Italia,  perché  stra- 
ziato dalle  tirannie  feudali  e  dai  governi  po- 
polari, mentre  il  poeto  la  va^eg^va  ordi- 
nato sotto  l'autorità  dell'imperatore;  cfr. 
Ds  tnon,  i  12  :  e  humanum  genus  existens 
sub  monarcha  est  potissime  liberum  ».  —  4i 
dolore  ostello:  albergo  d'ogni  male  civile. 

—  77.  aare  eco.  sbattuto  dalle  agitazioni 
politiche,  senza  la  direzione  dell*  imperatore. 

—  78.  non  donna  ecc.  non  più  signora  delle 
altre  provinde,  ma  bordeiioj  luogo  di  corru- 
zione e  di  vizL  —  79.  ij^ell*  anima  ecc. 
Quasi  per  dar  ragione  del^  sua  invettiva, 
Danto  metto  In  rilievo  il  contrasto  fht  la 
carità  dttadina  dimostrato  da  Sordello  nel 
purgatorio,  ove  le  anime  sono  stretto  in 
una  comunanza  piti  ampia  (cfr.  I\trf,  zm  94), 
e  gli  odi  che  dilacerano  i  viventi  nelle  terre 
d'Italia.  —  88.  l»nn  Paltro  ecc.  gli  uomini 
nati  e  cresduti  entro  la  medesima  cinto  di 
mura  e  di  fossa  si  straziano  vicendevolmento 
per  odio  di  parto  :  infitti  nd  1800  tutto  quasi 
le  dttà  che  si  reggevano  a  comune  erano 
divise  in  due  fazioni,  che  avevano  vari  nomi 
secondo  i  luoghi  e  continuavano  fienunenfo 
la  piti  antica  discordia  di  guelfi  e  di  ghibel- 
lini. —  85.  Cerea  misera  eco.  Considera  lo 
tue  regioni  marìttiffie  lungo  il  Tirreno  e  l'A- 


PURGATORIO  -  CANTO  VI 


817 


Che  vai,  perché  ti  racconciasse  il  freno 
Giustiniano,  se  la  sella  è  vota? 
90       senz*esso  fora  la  vergogna  meno. 
Ahi  gente,  che  dovresti  esser  devota 
e  lasciar  seder  Cesar  nella  sella, 
93       se  bene  intendi  ciò  che  Dio  ti  nota,  * 
guarda  com'esta  fiera  è  fatta  fella, 
per  non  esser  corretta  dagli  sproni, 
96        poi  che  ponesti  mano  alla  predella. 
O  Alberto  tedesco,  che  abbandoni 
costei  eh' è  fatta  indomita  e  selvaggia, 
99        e  dovresti  inforcar  li  suoi  arcioni, 
giusto  giudizio  dalle  stelle  caggia 
sopra  il  tuo  sangue,  e  sia  nuovo  ed  aperto, 
102        tal  che  il  tuo  successor  temenza  n'aggia; 
che  avete  tu  e  il  tuo  padre  sofferto, 
per  cupidigia  di  costà  distretti, 
105       che  il  giardin  dell'imperio  sia  diserto. 
Vieni  a  veder  Montecchi  e  Cappelletti, 


driatiM>  e  !•  regioni  interne,  e  vedrai  che 
nesfona  è  in  paco.  —  88.  Che  Ttl  ecc.  A 
nulla  8:ìotò  l'ordinamento  delle  leggi  impe- 
riali latto  da  Giustiniano  (cfr.  Par.  vi  12), 
perckó  r  imperatore  non  ha  piti  alcuna  anto* 
lità  «all'Italia.  »  89..  it  la  sella  eco.  se 
non  vi  è  aloono  che  fàccia  rispettare  le  leggi 
imperiali  (cRr.  Purg.  zvi  97).  Dante,  Oonv, 
IT  9  scrive  :  e  dire  si  pad  dello  imperatore, 
volendo  il  sao  officio  flgnrare  con  una  ima- 
gine,  che  elli  sia  il  cavalcatore  della  nmana 
Tolontà,  lo  qaal  cavallo  corno  vada  sanza  il 
cavalcatore  per  lo  campo  assai  d  maniresto, 
e  spezialmente  nella  misera  Italia  ohe  sanza 
mezzo  alcnno  alla  sua  governazione  ò  rimar 
la  >.  —  90.  seax'  esso  ecc.  minore  sarebbe 
la  vergogrna,  sm»'  «sm>  /Vmo,  se  non  vi  fosse, 
il  corpo  delle  leggi  giustinianee,  fondamento 
del  diritto  imperlale,  o  smx'taao  OiustiniaftOf 
cioè  se  qaell'  imperatore  non  avesse  dato  or- 
dine alle  leggi.  —  91.  Ahi  gente  ecc.  Si 
volge  alla  gente  di  chiesa,  al  papa  e  ai  sa- 
cerdoti, che  invece  di  attendere  alle  cose  re- 
Ugioee  n  adoperavano  ad  osnrpare  il  potere 
civile,  dimenticando  il  precetto  evangelico 
(Uatteo  zxn  21):  e  Rendete  dnnqne  a  Cesare 
le  cose  ohe  appartengono  a  dosare,  ed  a  Dio 
le  cose  che  appartengono  a  Dio  >  :  cfir.  Purg, 
XVI  94-112.  —  92.  lasciar  eco.  lasciare  al- 
l'imperatore  l'esercizio  dell' autorità  civile. 
—  94.  gaarda  ecc.  Guardate,  o  ecclesiastici, 
come  l'Italia  è  divenuta  ribeUe  ad  ogni  po- 
testà, essendo  mancato  ogni  autorevole  ed 
elBcaoe  governo  da  poi  che  presumeste  voi 
di  reggerla  a  vostro  talento.  ~  96.  poi  che 


poaestl  eco.  Sebbene  il  concetto  del  poeta 
sìa  manifesto,  gran  discordia  ò  tra  gl'inter- 
preti nel  determinare  U  valore  del  nome  prv- 
della:  il  quale  indica  propriamente  quella 
parte  della  briglia,  che  va  sUa  guancia  del 
cavallo  sopra  il  morso,  e  qui  è  usato  a 
indicare  il  f^no  in  genere.  —  97.  O  Al- 
berto tedesco  ecc.  Alberto  I  d'Austria,  figlio 
dell'  imperatore  Rodolfo  (cfr.  Purg,  vn  94),  ta 
eletto  imperatore  nel  1296  e  fu  ucciso  da 
Giovanni  duca  di  Svevia,  nel  1908  :  egli  non 
venne  mai  in  Italia,  ove  l' impero  fa  oonsi- 
derato  come  vacante  dalla  morte  di  Federi- 
co n  sino  all'eledone  di  Arrigo  VH;  e  per- 
ciò Dante  si  scaglia  contro  di  lui,  minaccian- 
dolo di  quella  vendetta  divina,  che  quando 
il  poeta  scriveva  era  già  compinta.  —  96.  In- 
domita e  selvaggia  :  ribelle  e  disubbidiente 
all'  impero.  —  101.  nvovo  ed  aperte  :  inso- 
lito e  manifesto.  —  102.  Il  tao  snecessor: 
Arrigo  vn  :  cflr.  Par,  xxx  186.  —  108.  avete 
tu  ecc.  tu  e  Rodolfo  tuo  padre  avete  lasciato 
rovinare  l'Italia  dalle  fazioni,  trattenuti  in 
Germania  dal  desiderio  di  assicurare  e  accre- 
scere i  vostri  domini  tedeschi.  G.  Villani,  Or. 
vn  146  dice  di  Rodolfo  :  e  sempre  intese  a 
crescere  suo  stato  e  si^orfa  in  Alamagna, 
lasciando  le  'mprese  d' Italia  per  accrescere 
terra  e  podere  a'  figliuoli,  ohe  per  suo  pro- 
caccio e  valore  di  piccolo  oonte  divenne  kn- 
peradore  e  acquistò  in  proprio  il  ducato  d'O- 
sterich  e  gran  parte  di  quello  di  Soavia  >. 
—  106.  Tieni  a  veder  ecc.  È  questo  uno  dei 
passi  storici  di  maggior  difficoltà  cho  siano 
nel  poema  dantesco,  e  intorno  ad  osso  tea- 


318 


DIVINA  COHICEDU 


Monaldi  e  Filippeschi,  aom  senza  cura: 
108       color  già  tristi,  e  costor  con  sospetti. 
Vien  crudel,  vieni,  e  vedi  la  pressura 
de'  tuoi  gentili,  e  cura  lor  magagne, 
IH        e  vedrai  Santafior  com'è  sicura. 

Vieni  a  veder  la  tua  Roma  che  piagne, 
vedova  e  sola,  e  di  e  notte  chiama: 
114        <  Cesare  mio,  perché  non  m'accompagne?  » 
Vieni  a  veder  la  gente  quanto  s' ama; 
e  se  nulla  di  noi  pietà  ti  move, 
117        a  vergognar  ti  vien  della  tua  fama. 
£  se  licito  m'ò,  o  sommo  Giove 


gono  il  campo  due  interpietazioiìi  prindpaU. 
L'ana  d  quella  del  Todeeohini  (eepotta  e  so- 
fteiMita  in  due  Iettare  pabbL  dietro  la  Xattar» 
ttoriehe  diL,da  Porto^  Fiienxe,  1867,  pp.  861- 
429),  il  quale,  ritenendo  che  la  quattro  ùuni- 
glie  ricordate  da  Dante  fossero  ghibelline  e  di 
quattro  diverse  citt&,  spiegò  il  passo  oosf: 
e  Vieni  a  vedere  a  qual  partito  siano  ridotti 
in  molti  luoghi  d'Italia  1  sostenitori  deU*  im- 
peziale  autorità  :  osserva  i  Monteochi  di  Ve- 
rona, ed  i  Cappelletti  di  Cremona,  osserva  1 
Monaldi  di  Perugia,  e  i  FiUppesohi  di  Or- 
vieto:  colorò  son  già  sconfitti  ed  oppressi: 
questi  altri  non  si  sostengono  se  non  in  mezzo 
alle  inquietudini  del  pericolo  ».  L'altra  d 
quella  della  maggior  parte  dei  commentatori, 
i  quali,  discordando  nei  particolari,  conven- 
gono nel  ritenere  che  Duite  abbia  voluto  ri- 
cordare due  coppie  di  Cuniglie  che  in  due 
diverse  città  fossero  rispettivamente  a  capo, 
runa  di  una  fazione  e  l'altra  della  farione 
contraria  :  i  Monteochi  a  i  Cappellotti,  due 
famiglie  veronesi  di  parte  ^dbellina,  ma  ni- 
wicissime  per  il  triste  caso  di  Giulietta  e 
Bomeo;  1  Monaldi  o  Monaldeschl  e  i  Filip- 
peschi,  due  famiglie  orvietane,  la  prima  di 
parte  gueliìa  a  la  seconda  di  parte  ghibellina 
e  in  grandi  contrasti  al  tempo  della  passata 
di  Arzigo  Vn  (cfr.  O.  Villani,  Or,  iz  40). 
Delle  due  interpretazioni  ò  molto  più  attraente 
quella  del  Todeschini,  ma  non  si  pud  accet- 
tare, essendo  certo  che  i  Cappelletti,  comò 
ai  ha  da  Salimbene  da  Parma  {Ckr.  p.  186), 
aut(»0vole  testimonio,  erano  in  Cremona  capi 
della  parte  di  Chiesa,  non  già  della  parte  d' Im- 
pero. Sulla  questione  si  cfr.  F.  Soolari,  Sa 
la  pietosa  morte  di  OùtUa  CappelletH  e  Romeo 
MonlMohi,  UU$r$  oriikhe,  Livorno,  1831  e  Q. 
Brognoligo,  Moniteoki  §  CofpeU.  nella  Div, 
Conmi,,  nel  Prcpugnaton^  N.  S.,  VI,  parte  I, 
pp#  262-290  ;  il  quale  ultimo  ritiene  che  Dante 
abbia  voluto  riprovare  le  fazioni  cittadine, 
ricordandone  alcune  senza  distinzione  di  parte 
rispetto  a  una  medesima  dttà,  ma  pi4  tosto 
distinguendo  le  fazioni  già  spente  nel  se- 
colo xni  (come  i  Montecchi  ghibellini  di  Ve- 


rona abbattati  dai  San  Bonifacio  e  i  Ciqtpel- 
letti  guelfi  di  Cremona  vinti  dai  Pelavicini) 
da  quelle  tuttora  operanti  al  principio  del  xnr 
(Monaldo  e  Illippesohi  di  Orvieto):  «  questo 
porre  di  fronte,  egli  conclude,  discordie  pas- 
sate e  discordia  presenti  poteva  servire,  nella 
mente  del  poeta,  a  mostrare  come  esse  foe- 
sero  male  antico  e  profondamente  radicato 
d' Italia  >.  — 100.  la  pressvra  eoe  Toppree- 
done  dei  signori  feudali;  i  domini  dei  quali 
vennero  mancando  o  restringendosi  nel  se- 
colo xm  per  l'espansione  del  governi  comu- 
nali a  danno  della  feudalità  del  contado. 
L'espressione  dantesca  ricorda  la  e  pressura 
gentium  >  del  vangelo  di  Luca,  xzi  25  (cfr. 
Moore,  I  49).  —  110.  tao!  geatlU  i  i  mar- 
chesi, i  conti,  i  cattani,  tutti  insomma  i  si- 
gnori che  tenevano  torre  per  concessione 
imperiale.  —  111.  a  vedrai  Santaflar  eoo. 
Cita  per  esempio  della  decadenza  delle  signo- 
rìe ghibelline  e  feudali  la  contea  di  Santa- 
fiora,  nel  Montamiata:  questo  dominio  feu- 
dale della  famiglia  Aldobrandeschi  (cfr.  Pitrg, 
ZI  68  e  segg.),  che  l'aveva  posseduto  insieme 
con  la  contea  di  Soana  sina  dal  secolo  iz, 
toccò  nella  divisione  dol  1274  al  conte  Dde- 
brandino  di  Bonifioio  e  ta,  costituito  coi  ca- 
stelli di  Santafiora,  Aiddosso,  Selvena,  Oam- 
pagnatioo,  Boccastrada  a  OtfÓglione  d'Orda: 
Bonifario  e  Omberto,  figli  d' Ddebrandino,  fu- 
rono in  grandi  contrasti  col  comune  di  Sena, 
massime  negli  ultimi  anni  del  secolo,  finché 
nel  1800  s' accordarono  coi  senesi  cedendo 
loro  alcune  tene  e  castelli  (cfr.  D.  Berlin- 
ghieri,  Natiieie  degli  Aìdobrandeedd,  Siena, 
1846  ;  B.  Aquarone,  Dante  in  Siena^  pp.  108 
e  segg.  ;  Bepetti,  V  148  a  segg.,  VI  66-68; 
Bassermann,  pp.  829-881).  —  112.  tua  Roma 
ecc.  Boma,  la  dttà  dell'impero,  derelitta  e 
abbandonata  dall'  imperatore,  che  essa  vana- 
mente invoca  da  tanto  tempo.  <—  115.  la 
gente  eco.  le  dttadinanze  discordi  e  agitato 
dalle  fiere  passioni  partigiane.  —  117.  a  ver- 
gognar eco.  vieni  a  riconoscere  quanto  vile 
e  spregevole  sia  ormai  agli  occhi  degli  ita- 
liani l'autorità  imperiale.  —  118.  loainia 


PURGATORIO  -  CANTO  VI 


319 


che  fosti  in  terra  per  noi  crocifisso, 
120       son  li  giusti  occhi  tuoi  rivolti  altrove? 
o  ò  preparasion,  che  nell'abisso 
del  tuo  consiglio  fai,  per  alcun  bene 
123       in  tutto  dall* accorger  nostro  scisso? 
che  le  terre  d'Italia  tutte  piene 
son  di  tiranni,  ed  un  Marcel  diventa 
126        ogni  villan  che  parteggiando  viene. 
Fiorenza  mia,  ben  puoi  esser  contenta 
di  questa  digression  che  non  ti  tocca, 
129        mercé  del  popol  tuo  che  s'argomenta. 
Molti  han  giustizia  in  cor,  ma  tardi  scocca, 
per  non  venir  senza  consiglio  all'arco; 
182       ma  il  popol  tuo  l'ha  in  sommo  della  bocca. 
Molti  rifiutan  lo  comune  incarco; 
ma  il  popol  tuo  sollecito  risponde 
135        senza  chiamare,  e  grida:  <  Io  mi  sobbarco  ». 
Or  ti  fa  lieta,  che  tu  hai  ben  onde: 
tu  ricca,  tu  con  pace,  tu  con  senno, 
138        s'io  dico  '1  ver,  l'effetto  no  '1  nasconde. 


fflOTe:  cfr.  hif.  xzxi  92.  —  120.  toa  U  flw 
ttl  ecc.  hai  fone  liyolti  gli  occhi  altroye, 
9«aii  per  onroie  delle  nostre  malragità?  hai 
kftm  TolQto  abbandonare  ritaUa?  —  121.  o 
i  pirtparaslM  eoo.  o  coi  mali  presenti  pr»- 
pid  nel  tao  imperBcmtablle  consiglio  qualche 
bene  remoto,  che  noi  non  possiamo  oonce- 
pize?  o  la  presente  rovina  è  forse  la  pre- 
psiaiione  necessaria  di  nn  miglioramento  ar- 
Tenirs?  —  122.  kene  In  tatto  eco.  bene 
anohitamente  seitso,  separato,  lontano  dal 
lostro  accorger^  dal  nostro  intendere.  —  124. 
le  terre  d'Italia  ooc.  le  dttà  italiane  sono 
piene  di  tiranni,  e  noli*  affannarsi  della  plebe 
al  goTsmo  ogni  peggior  cittadino,  oho  se- 
gna la  parte  popolare,  diriene  nn  flerissimo 
oppognatore  del  diritti  e  dell' sntorità  del- 
l'impero. —  126.  Mareel:  qnad  tatti  i  com- 
aentatori  antichi  e  moderni  credono  che, 
qoasi  tipo  degli  oppositori  all'  impero,  ria  ri- 
eoidato  C.  Clandio  Marcello,  console  nel  60 
a.  C,  e  flerissimo  avrersario  di  Cesare  (o£r. 
Saetonio,  Cast.  cap.  zxix);  e  nota  acuta- 
Biente  il  Koore,  I  281,  ohe  Dante  si  riferi 
assai  probabilmente  al  «  Maroellns  loqnax  > 
di  Locano,  .Fbrs.  i  818.  Altri  invece  inten- 
dono di  M.  Clandio  Karoello,  il  vincitoro 
di  Siracusa,  ohe  sarebbe  ricordato  qni  come 
gnode  dttsdino  e  capitano,  malamente  emn- 
lato  dai  partigiani  dà  oomnni  medioerali.  — 
127.  Floreaia  eco.  Dante,  che  in  più  laoghi 
del  SBO  poema  ha  già  rimproverato  amara- 
mente  i  viit,  le  discordie,  le  ambizioni  dei 
saoi  concittadini  (cfr.  Inf.  w  49-60,  68-76, 


XV  61-78,  XVI  73-76,  xxvi  1-12  ecc.),  ohinde 
la  sua  invettiva  contro  i  mali  d' Italia  con 
un'apostrofe  d'amara  e  tagliente  ironia  a 
Firenze;  e  alla  patria  rinfaccia spedalmente 
la  rapida  e  violenta  evoluzione  del  reggi- 
mento democratico,  ohe  a  lui,  uomo  di  spiriti 
aristocratici  e  di  politica  moderata,  appariva 
come  un  dissolvimento  morale  e  civile.  — • 
129.  aieretf  ecc.  in  grazia  del  tuo  popolo,  ohe 
s'ingegna,  si  adopera  a  non  meritare  tali 
rimproveri.  Quasi  tutti  i  moderni  leggono  : 
ehè  ti  argomenta  e  spiegano  :  che  ragiona  e 
conchiude  cosi  come  ragiono  io;  oppure: 
opera  cosi  rettamente  che  questa  digressione 
non  può  toccarlo.  »  ISO.  Molti  haa  eco. 
Molti  cittadini  d'altre  terre  italiane  hanno 
nell'  animo  il  sentimento  della  rettitudine  po- 
litica, ma  tardi  lo  manifestano  per  non  par^ 
lare  sconsideratamente;  invoce  i  fiorentini 
l'hanno  di  continuo  sulle  labbra,  non  parlan- 
do che  di  giustizia  e  di  onestà,  senza  poi  pra- 
ticarle neUa  vita  pubblica.  —  183.  Meitt  rl- 
flataa  ecc.  Molti  nelle  altre  città  rifiutano  1 
pubblici  offici  ;  ma  i  fiorentini  si  dichiarano 
pronti  a  sostenerne  il  peso,  senza  pur  essere 
chiamati.  —  136.  Or  ti  fa  lieta  eco.  :  cfr. 
Inf.  XXVI  1.  ~  137.  ta  ricca  eco.  :  ironica- 
mente rimprovera  ai  fiorentini  le  ricchezze 
male  acquistate  col  traffico,  col  giuoco,  con 
l'usura;  le  discordie  inteme,  cagione  di  tur- 
bamento continno  alla  città;  e  la  mancanza 
di  assennata  moderazione  in  ogni  cosa  del 
governo.  —  188.  l'effetto:  i  mutamenti  ra- 
pidi e  violenti,  accennati  noi  versi  seguenti 


320 


DIVINA  COMMEDU 


Atene  e  Lacedemone,  che  fenno 
l'antiche  leggi  e  faron  si  civilif 
141        fecero  al  yiver  bene  un  picciol  cenno 
verso  di  te,  che  fai  tanto  sottili 
provvedimenti  che  a  mezzo  novembre 
144        non  giunge  quel  che  tu  d'ottobre  fili. 
Quante  volte  del  tempo  che  rimembi^i 
legge,  moneta  e  ufficio  e  costume 
147       hai  tu  mutato,  e  rinnovato  membrel 
E  se  ben  ti  ricordi  e  vedi  lume, 
vedrai  te  simigliante  a  quella  inferma, 
che  non  può  trovar  posa  in  su  le  piume, 
151    ma  con  dar  volta  suo  dolore  scherma. 


erano,  secondo  Dante,  gli  effetti  di  ooteite 
trìstiasime  passioni  della  cittadinanza  fioren- 
tina. ~  189.  Atene  e  Ijaeedemone  eco.  Atene 
e  Sparta,  le  doe  città  greche  rette  con  oi^ 
dini  sapienti  di  goTemo,  con  le  oostitozloni 
di  Solone  e  di  Ucnrgo,  dettero  nn  esempio 
imperfetto  di  libero  reggimento  al  oooftonto 
di  Firenze.  — 142.  Terse  di  te:  al  paragone 
di  te  ;  ofr.  Inf.  xzxiv  69.  —  che  fai  tante 
ecc.  Tutti  i  commentatori  erodono  che  Diuite 
accenni  genericamente  alla  mutabilità  degli 
ordinamenti  politici  di  Firenze  ;  né  altro  senso 
che  generico  danno  a  questi  rersi  0.  Villani, 
che  due  rolte  li  dta  in  biasimo  della  patria 
nella  sna  O.  zn  19  e  97,  e  D.  Qiannotti, 
che  nel  suo  trattato  DeUa  repubbLfiormLt  n 
18,  li  riaTTidna  al  motto  popolare  :  legffé  fio- 
rentina, faUa  la  $era  e  guatta  la  mattina.  •  ICa 
perché  Dante  (cosi  il  Del  Lungo,  II 620)  fra 
i  dodici  mesi  dell'  anno  soegliesse  appunto, 
nel  significare  il  proprio  concetto,  i  due  mesi 
dell'  ottobre  e  del  novembre,  questo  nessuno 
cercò;  nessuno  pensò  che  appunto  fra  l'ot- 
tobre e  il  novembre  del  1801,  toccò  a  Fi- 
renze una  di  quelle  mutazioni  e  rinnovazioni 
di  membro,  ddle  quali  parla  il  poeta,  ma  per 
lui  la  piti  memorabile  e  dolorosa,  perché  in 
conseguenza  di  essa  l'ambasciatore  del  Co- 
mune al  Pontefice  diventò  esule  senza  ritor- 
no >  :  il  mutamento  adunque,  che  avrebbe 
suggerito  a  Dante  le  sue  parole,  sarebbe 
quello  dell'  autunno  1801,  quando  ai  priori 
di  parte  bianca  entrati  in  ofSdo  il  16  ottobre 
furono  per  legge  straordinaria  surrogati  l'S 
novembre,  prima  doò  del  termine  legale  della 
loro  signorùi,  l  priori  di  parte  nera,  per  il 
tradimento  di  Carlo  di  Valois  (cfr.  D.  Com- 
pagni, Cr,  u  19).  ~  1 15.  Quante  Tolte  ecc. 


I  piindpaU  mutamenti  politid  di  Firenze  nel 
tempo  di  Dante,  e  almeno  quelli  cui  egli  do- 
veva avere  il  pensiero  mentre  scriveva  que- 
sti veni,  ftirono  i  seguenti  :  giugno  1282, 
istituzione  dei  Priori  delle  Arti;  gennaio- 
aprile  1298,  istituzione  del  Oonftdoniere  di 
Giustizia  e  promulgazione  degli  Ordinamenti 
di  Giustizia  ;  1296,  esilio  e  condanna  di  Giano 
della  Bella  ;  maggio  1800,  divisione  dei  guelfi  ; 
giugno-agosto  1800,  esilio  dei  capi  delle  due 
fazioni;  aprìle-^ugno  1801,  congiura  dei  Neri 
in  S.  Trinità  e  prevalenza  dei  Bianchi  ;  no- 
vembre 1801,  venuta  di  Carlo  di  Vaiola,  oe*- 
sazione  della  signoria  bianca,  prindpio  déDa 
signoria  nera,  morte  dvile  della  parte  bian- 
ca; 1802-1804,  tentativi  dei  Bianchi  di  ri- 
tornare in  patria;  1908-1806,  discordie  fra  i 
Neri  sino  alla  morte  di  Corso  DonatL  —  147. 
■lenbre:  dttadinanza;  perché  al  prevalere 
dell'una  fazione  l'altra  era  caodata  e  cosi 
la  dttà  era  in  una  continua  permutazione 
degli  abitanti.  Quanto  alla  forma,  mmnbn 
(anche  in  Inf,  xxel  61)  ò  nn  plurale  neutro 
con  terminazione  non  insolita  (Acry.  zn  21, 
zxzzn  108,  PO/r.  xxxi  81):  cfir.  Parodi,  BuU.  TU 
122.  —  148.  E  se  bea  ti  ricordi  eoe  e  Fi- 
renze non  si  muove,  se  tutta  non  si  duole  », 
dicevano  per  proverbio  i  contemporanei  di 
Dante  (cfr.  G.  Villani,  Or,  zn  16);  ma  il  poeU 
del  motto  popolare  fece  una  similitudine  di 
stupenda  efficacia,  paragonando  la  patria  agi- 
tata dalle  dvili  perturbazioni  all'inférma,  che 
non  trova  requie  sul  letto  del  dolore  e  cerca 
difesa  e  sollievo  contro  i  suoi  mali  volgendosi 
ora  sur  un  lato,  ora  sur  un  altro,  ma  sempre 
infelice  e  dolento.  —  161.  ackeniftt  dk. 
Pwrg.  XV  26. 


PUEGATOBIO  -  CANTO  Vn  3?^ 


CANTO  VII 

Aeeompagrnati  da  Sordello,  Dante  e  Virgilio  visitano  nna  Talletta  nei 
fianchi  del  monte,  nella  qnale  sono  raccolte  le  anime  di  grandi  principi  e 
signori  :  tra  essi  riconoscono  Rodolfo  imperatore,  i  re  Ottocaro  II  di  Boemia, 
Filippo  III  di  Francia,  Enrico  I  di  Nararra,  Pietro  ITI  e  Alfonso  III  d'Ara- 
gona, Carlo  I  d*Angiò,  Arrigo  III  d'Inghilterra,  e  il  marchese  Gnglielmo  VII 
di  Monferrato  [10  aprile,  dalle  ore  tre  circa  alle  sette  pomeridiane]. 

Poscia  che  raccoglienBe  oneste  e  liete 
furo  iterate  tre  e  quattro  volte, 

8  Sordel  si  trasse  e  disse:  €  Voi  chi  siete?  > 
€  Prima  che  a  questo  monte  fosser  volte 

l'anime  degne  di  salire  a  Dio, 
6       fiir  l'ossa  mie  per  Ottavian  sepolte: 
io  son  Virgilio;  e  per  nuli' altro  rio 
lo  ciel  perdei,  che  per  non  aver  {&  ». 

9  Cosi  rispose  allora  il  duca  mio. 
Qual  è  colui  che  cosa  innanzi  sé 

sùbita  vede,  ond'ei  si  maraviglia, 
12        che  crede  e  no  dicendo  :  €  Eli'  è,  non  è  »; 
tal  parve  quegli,  e  poi  chinò  le  ciglia, 
ed  umilmento  ritornò  vèr  lui, 
15        ed  abbracciollo  ove  il  minor  s'appiglia. 
€  O  gloria  de'  latin,  disse,  per  cui 

vn  I.  P«Mlm  eoo.  Bordello,  dopo  avere      la  moeia  della  frase.  —  8.  ptr  ■•■  ater 
più  Tolte  abbiaoolato  il  rao  eonoittadino,  do-      ftf  :  per  non  aver  oonoidnto  la  vera  religione 


a  Vizgilio  ehi  egli  ria;  e  l'antioo  (cfr.  ^f,  x  126,  vr  88).  —  la  Qaal  è  ecc. 
poeta  ai  Bumifesta,  aggiungendo  alcnni  par-  Come  rn(»Bo  che,  Tedeado  d'imprpTviio  in- 
tioolaii  intorno  aUa  propria  oondliione.  —  2.  nansi  a  sé  nna  ooea  neraTiglioea,  resta  in- 
Ifterste  eoo.  ripetute  più  Tolte;  Htné  gwoflro  certo  tra  il  crederla  o  no  e  non  sa  e*  cesa  ila 
fott»  indica  in  genera  nn  numero  ripetuto  di  Torsmente  dò  die  gU  pare,  cosi  rimase  Sor^ 
Tolte  (cfr.  Inf.  Tm  97),  secondo  Taso  Tiigl-  dello  dubitando  se  proprio  fosse  Virgilio  co- 
UsBO  delF  J^  I  M:  e  0  tarque  quaterque  lui  che  s' era  manifestato  per  tale.  —  18.  e 
heali  >,  IT  688  :  «  Terque  quatraque  manu  poi  chinò  eoe  Ma  V  incertesxa  tn  di  breve 
psolaspersnssadeoorum»eec.  — 8.8itrasse:  durata,  e  preralendo  subito  il  sentimento 
■i  zittio  alquanto  indietro,  e  come  donno  ùm  della  rìTerensa  dovuta  al  suo  grande  oondt- 
(oUoaa  il  Butl)  le  saTie  persone,  che  non  tadlno,  Bordello  gli  si  accostò  di  nuovo  con 
demio  stara  oon  Tolto  a  Tolto  >.  —  4.  Prima  atto  xispettoso  e  si  chinò  ad  abbracdarìo  ai 
eoo.  FrìmA  della  passione  di  Cristo,  nel  tempo  glnocchL  —  16.  ove  11  minor  eco.  :  si  rl- 
cèe  le  anime  dei  giusti  andavano  dopo  la  cordi  il  luogo  del  i\iry.  xxi  180,  oto  è  detto 
morte  del  corpo  al  limbo,  lo  morii  e  il  mio  che  Stazio  e  si  chlnaTa  ad  abbracciar  U  pie- 
cape  fu  sspdto  per  ordine  di  OttaTlano  Au-  di  >  a  Virgilio  ;  e  s' Intenderà  che  la  parte 
gusto  Imperatora  (cfr.  Inf,  i  70,  Acry.  m  27).  ora  il  minor  $*  appiglia  ò  quella  delle  gambe, 
~  7.  ries  cfr.  A/.  irdO.  D  Parodi,  BulL  m  dai  ginocchi  In  giù,  ove  può  arrivare  ad  ap- 
135  lUostia  questo  uso  dell'aggettivo  adope-  pigliarai  il  fandnUino.  —  16.  O  gloria  ecc. 
rate  nome  sostantivo,  oon  l' esempio  ddla  Ad  alcuni  sembra  ohe  nella  figura  di  Soi^ 
ToftolA  fiUmda^  126  :  e  Non  ftae  per  altro  rio  dello  sia  un  difetto  di  costruzione  morale, 
né  per  altro  affare  >,  ove  è  dantesca  anche  come  se  nell'  espAndeisi  in  una  tenera  ed 

DAirri  21 


Sia  DIVINA  COMMEDIA 


mostrò  ciò  che  potea  la  lingua  nostra, 
18       0  pregio  etemo  del  loco  ond'io  foif 
qual  merito  o  qual  grazia  mi  ti  mostra? 
S*io  Bon  d'udir  le  tue  parole  degno, 
21        dimmi  se  yien  d'inferno,  e  di  qual  cliiostra  ». 
€  Per  tutti  i  cerchi  del  dolente  regno, 
rispose  lui,  son  io  di  qua  venuto: 
24       virtù  del  ciel  mi  mosse,  e  con  lei  vegno. 
Non  per  far,  ma  per  non  ùa  lio  perduto 
di  veder  l'alto  sol  che  tu  disiri 
27        e  che  fu  tardi  da  me  conosciuto. 
Loco  è  là  giù  non  tristo  da  martiri, 
ma  di  tenebre  solo,  ove  i  lamenti 
30       non  suonim  come  gval,  ma  son  sospiri. 
Quivi  sto  io  coi  parvoli  innocenti, 
dai  denti  morsi  della  morte  avante 
83       che  fosser  dell'  umana  colpa  esenti* 
Quivi  sto  io  con  quei  che  le  tre  sante 
virtù  non  si  vestirò,  e  senza  vizio 
86       conobber  l'altre  e  seguir  tutte  quante. 
Ma  se  tu  sai  e  puoi,  alcuno  indizio 
dà  noi,  perché  venir  possiam  più  tosto 
89        là  dove  purgatorio  ha  dritto  inizio  >. 
Rispose:  «Loco  certo  non  c'ò  posto: 

umile  unaiiracioiie  per  Virgilio  egli  dieoen-  eoe  con  le  anime  dei  bambini,  1  qoali  mo- 
done  dalla  sna  rablimità;  ma  il  Manonl,  BulL  rirono  prima  di  rioerere  il  batterimo,  e  per- 
vi, 85-86,  e  il  D*  Gridio,  pp.  11-13,  hanno  dò  prima  d' essere  pnrillcati  della  macchia 
dimostrato  la  perfetta  ooerenxa  di  tatti  gli  del  peccato  originale  :  cfr.  Inf.  it  80.  —  84. 
elementi  del  Bordello  dantesco.  »  per  eii  een  f«el  eoe  con  le  anime  dei  grandi  eroi 
eoo.  nelle  opere  del  qnale  la  lingoa  latina  die  e  sapienti  dell*  antichità,  die  non  oonobbero 
r  esemplo  più  eccellente  delle  sue  attltodini  né  praticarono  le  tre  virtd  tedogali,  fede, 
artistiche.  ~  18.  del  lece  eco.  di  Mantova,  speranza  e  carità,  pur  oonoscMido  e  pntt- 
mia  patria.  —  19.  ^al  merito  ecc.  qnale  oando  le  altre  Tirt6,  dTili  e  natorali  :  ctr. 
mio  merito  o  qoalo  grazia  diTina  mi  ha  ser-  Jhf,  it  8i  e  segg.  —  87.  se  tv  sai  e  p«el: 
bato  ali*  onore  di  vederti  ?  —  21.  st  vlea  se  tn  oonosd  la  via  e  se  non  ti  è  impedito 
d'Infermo  ecc.  se  ta  vieni  dall'inferno  e  da  di  venire  ad  additarla  a  noL  —  88.  aois  a 
qnale  parte  di  esso.  —  ehiostr*  :  cfr.  Inf,  noi  ;  cosi  anche  in  Acry.  zzzi  188.  —  88. 
zxDC  40.  —  22.  Per  tnttl  eco.  Io  sono  ve-  là  dove  ecc.  al  Inogo  ove  veramente  inco- 
nnto  in  purgatorio  passando  por  tatti  i  ceroht  minda  il  purgatorio.  —  40.  Loco  eerU  eco. 
infernali,  mosse  da  ona  virtd  celeste  che  mi  Da  queste  parole  di  Bordello  si  ritrae  die 
accompsgna  in  questo  viaggio  :  cfìr.  Inf.  n  allo  anime  dell*  antipurgatorio  non  è  asse- 
62-75,  Airy.  1 62-69.  —  26.  Nei  per  far  eco.  guato  an  posto  detanninato,  ma  che  esse  a 
Ho  perduto  di  vedere  quel  Dio,  al  quale  tu  lor  piacere  possono  camminare  Intorno  in- 
dodderi  di  salire,  non  per  alcuna  mia  colpa,  tomo  al  monte  e  verso  la  porta  dd  purga- 
ma  per  non  aver  conceduta  la  vera  fede  :  torio.  Alcuni  credono  ohe  Bordello,  piuttosto 
cfr.  1  w.  7-8.  —26.  l'alte  sei:  Dio;  cfr.  Bar.  che  alla  schiera  dd  morti  per  fona,  appara 


oc  8,  X  68,  xvm  106,  xzv  64,  zxz  126.  —  27.  tenga  al  gruppo  dei  grandi 

tm  tardi  eoe  Virgilio  conobbe  il  vero  Dio  odti  nella  valletta  (cfr.  la  nota  al  v.  46);  ma 

.  solamente  quando  Cristo  discese  al  Umbo  questa  terrina  dimostra  oome  egli,  aooompa- 

(cfr.  Inf.  IV  62).  —  28.  T«eee  è  là  gld  ecc.  gnando  colà  i  due  vidtatori,  d  allontanava 

Questa  desoririone  dd  Umbo  d  cfr.  con  qudla  dalla  propria  sede  abituale  (cfr.  Bmtt.  IX  61). 

ddl'  Inf.  IV  26  e  segg.  ~  81.  eoi  parroll  Dd  res&,  nd  partioolarii  abbiamo  qui  qual> 


PURGATORIO  -  CANTO  VU 


323 


licito  m'ò  andar  suso  ed  intorno; 

42  per  quanto  ir  posso,  a  guida  mi  t'accosto. 
Ma  vedi  già  come  dicliina  il  giorno, 

ed  andar  su  di  notte  non  si  puote; 
45        però  ò  buon  pensar  di  bel  soggiorno. 
Anime  sono  a  destra  qua  rimote; 
se  *1  mi  consenti,  io  ti  merrò  ad  esse, 

43  e  non  senza  diletto  ti  fien  note  >. 

«  Com'  è  ciò?  fu  risposto  :  chi  volesse 
salir  di  notte,  fora  egli  impedito 
51        d'altrui?  o  non  sarrla  che  non  potesse?  » 
E  il  buon  Sordello  in  terra  fregò  il  dito, 
dicendo:  €  Vedi,  sola  questa  riga 


die  derirazione  dai  Toni  di  ^>nrgìllo,  En.  vi 
673  e  igg.  (ofr.  Mooie,  I  169).  —  42.  per 
fmto  eoe.  io  mi  aooompagno  a  te  per  ee- 
•erti  guida  sili  là  d<nre  mi  è  lecito  di  per- 
Teoize.  —  4S.  Ma  Tedi  eoo.  I  due  poeti  ave- 
Tiao  iDOontrato  Sordello  aU'inciroa  aUe  tre 
poBflcidlaiie  del  10  ^rile  (ofr.  Purg,  yi  61); 
ÈJitno  il  Mie  Tolgew  all'  oooaso,  ma  non 
era  ancora  1*  aera,  ohe  sorprenderà  i  yisi- 
tMori  nellA  valletta  dei  principi  (ofr.  i\iry. 
vm  48).  ~  44.  andar  mi  di  notte  eoo.  Ge- 
ne aana  la  Inoe  deila  divina  graiia  l' animo 
QBMoo  non  può  procedere  nella  via  della 
parificazione,  cosi  nella  notte  la  aalita  del 
Boote  laoro  è  impedita  dall' ceomità  (ofr. 
la  nota  al  v.  68):  perdo  Dante  imagina 
di  panare  la  notte  del  10  i^le  dormendo 
oaUa  valletta  dei  principi  (Acry.  iz  10-12), 
quella  dell'  11  nel  quarto  cerchio  del  purga- 
torio (JWy.  zvm  76  e  aegg.)  e  qneUa  del 
12  aoÙa  icala  che  dall'  ultimo  cerchio  sale 
al  paradiso  terrestre  (i\iry.  zzvn  61-98).  — 
46.  peniar  di  bel  eco.  pensare  a  un  luogo 
ove  poesiamo  passare  la  notte.  —  46.  Ànlate 
ecc.  Bordello  propone  a  Virg^ilio  di  aooomp»> 
gnatlo  aUa  valletta  dei  prinoipi  (w.  7&^)f 
dei  quali  il  trovatore  dice  dalla  sponda  i 
aomiegU  atti  ai  due  visitatori  (w.  86-186)  ;' 
poi  li  conduce  nel  fondo  della  valletta  a  con- 
vemie  con  qu^e  anime  (Airy.  vm  48  e 
•egg.).  Molto  e  gran  disputare  a'  è  fatto  tra 
gì'  interpreti  dica  la  ragione,  per  la  quale 
Dante  volle  eleggere  Sordello  a  cosi  singo- 
lare offido  :  ma  la  più  ragionevole  opinione 
è  questa  :  Sordello,  tra  molte  altre  poede  in 
lingua  provenzale  (ofr.  Acry.  vi  74),  scrisse 
quella  assai  eetobrata,  per  compiangere  la 
morte  di  Blaoats,  gentiluomo  valoroso  e  vir- 
tuoso: ora  in  questa  poesia  il  trovatore  af- 
fermando che  con  la  morte  di  Blacatz  era 
vennta  meno  ogni  virtù,  augurava  che  del 
eooce  di  lui  d  dbassero  i  prindpi  d  ohe  dai 
loro  animi  fosse  scacciata  viltà,  e  di  questa 


fantasia  d  servi  per  giudicare  e  oensorare 
i  più  alti  signori  del  suo  tempo.  Federico  II 
imp.,  il  re  Luigi  IX  di  Franda,  Anigo  m 
d'Inghilterra  (ofr.  v.  180X  Ferdinando  m  di 
Gastiglia,  Giacomo  I  d' Aragona,  Tebaldo  I 
di  Navarra,  il  conte  Baimondo  di  Tolosa  e 
il  conte  di  Provenza  Baimondo  Berlingierl  IV 
(ofr.  Par.  VI  184).  Dante,  dovendo  enumerare 
e  giudicare  i  prindpi  dd  suo  tempo,  imaginò 
quindi  assd  opportunamoite  d' essere  accom- 
pagnato da  Sordello  alla  valle  ove  esd  sono 
raccolti  e  fece  liberamente  giudicare  qud 
prindpi  a. chi  liberamente  aveva  giudicato  i 
loro  avi  e  alcuno  di  esd  in  una  poesia  che 
d  prindpio  dol  secolo  xiv  non  poteva  esser 
caduta  in  dimenticanza.  Il  compLuito  di  Sor- 
dello d  può  leggere  nd  Baynouard,  Ohom, 
voL  IV,  p.  67,  nd  Mahn,  Wèrke  d&r  TVtm- 
badofwr»,  voL  II,  p.  248,  nd  Bartsoh,  Chtt- 
tUmaihù  prvm^,^  4'  ed.,  p.  206;  e,  tradotto 
e  illustrato  con  note  storiche,  nella  Fkfnlok 
di  Uriehé  pnmnxaU  di  U.  A.  Candlo,  Bdo- 
gna,  1881,  pp.  69-61, 164-161.  —  47.  Morrò: 
contradone  di  mmurò  (ofr.  Kannucd,  Verbi 
241).  —49.  fa  risposto:  da  YirgiUo  (ofr.  61); 
il  qude  chiede  a  Sordello:  ohi  volesse  salire 
sarebbe  impedito  da  qudche  forza  superiore? 
oppure  non  salirebbe  per  mancanza  di  forza 
in  s6?  la  causa  dell'impedimento  a  salire 
potrebbe  trovaid  in  altri  o  in  lui  stesso?  — 
61.  sarrfa  :  salirla,  salirebbe  ;  per  la  forma 
verbde  contratta,  ofr.  Nannuod,  Verbi  246. 
—  52.  in  terra  eoo.  :  Sordello  che  segna 
questa  linea  sul  terreno  ricorda  Cristo  ohe 
per  due  volte  d  chinò  a  scrivere  sul  suolo, 
quando  i  Farisd  gli  presentarono  la  dcnna 
adultera  (ofr.  Giovanni,  vm  6-8).  —  68.  Tedi 
eco.  Questa  legge  dd  purgatorio  ò  conforme 
all'  ammaestramento  evangelioo  (Giovanni  zn 
35):  e  Gesù  adunque  disse  loro,  Ancora  un 
poco  di  tempo  la  luce  ò  fra  voi  :  ^M'mTninat» 
mentre  avete  la  luce:  ohe  le  tenebre  non  vi 
colgano,  perdocché  chi  cammina  nello  tene* 


324  DIVINA  COMMEDIA 


51        non  varcheresti  dopo  il  sol  partito: 
non  però  che  altra  cosa  desse  briga, 
che  la  notturna  tenebra,  ad  ir  snso; 
67        quella  col  non  poter  la  voglia  intriga. 
Ben  si  poria  con  lei  tornare  in  giuso 
e  passeggiar  la  costa  intomo  errando, 
60        mentre  che  l'orizzonte  il  di  tien  chiuso  >. 
Allora  il  mio  signor,  quasi  ammirando: 
«  Menane  dunque,  disse,  là  ove  dici 
63        che  aver  si  può  diletto  dimorando  ». 
Poco  allungati  c'eravam  di  liei, 
quand'io  m'accorsi  che  il  monte  era  scemo, 
66        a  guisa  che  i  valloni  sceman  quicL 
«Colà,  disse  quell'ombra,  n'anderemo 
dove  la  costa  face  di  sé  grembo, 
69        e  quivi  il  nuovo  giorno  attenderemo  ». 
Tra  erto  e  piano  era  un  sentiero  sghembo, 
che  ne  condusse  in  fianco  della  lacca, 
73        là  dove  più.  che  a  mezzo  muore  il  lembo. 
Oro  ed  argento  fino  e  cocco  e  biacca, 
indico,  legno  lucido  e  sereno, 
75        fresco  smeraldo  in  l'ora  che  si  fiacca, 
dall'  erba  o  dalli  fior  dentro  a  quel  seno 
posti,  ciascun  saria  di  color  vinto, 
78        come  dal  suo  maggiore  è  vinto  il  meno. 

1)re  non  sa  dove  si  vada  >  :  cfr.  anche  Gio-  chó  il  l«mbo  o  II  maigino  dalla  Tallstta  è 

vanni  X3  8-10.  —  66.  bob  però  eco.  non  peiv  pi&  Imsso  della  metà  die  non  ala  nelle  altre 

che  a  salirò  fosse  d' impedimento  alcuna  altra  parti  e  finisce  ore  raTraHameiito  inoonlB- 

coea  che  V  oscurità  della  notte  :  ohe  proprio  da  (efir.  i\ffy.  Tm  46).  —  -78.  Or«  té  ar- 

qaesta  generando  V  impotenxa  impedisce  la  gtmtiè  ecc.  Nella  valle  dei  piriwdpi  Dante 

volontà.  —  68.  coB  lei  :  con  l' oscorìtà,  fin-  nota  foni  tatto  i  yiradsaiDi  odori  ieà  fleti, 

chó  dnra  la  notte  e  il  sole  non  risplende  sol-  dicendo  che  restexebbe  intelore  al  ftngmtn 

V  orizzonte,  si  può  ben  tornare  in  gid  (rìoa-  qnalnnqtte  pid  bello  e  TiTao»  odoro:  il  giallo 

dere  nel  peccato)  o  camminare  intomo  al  dell'  oro,  il  bianco  splendente  dell'  argento 

monte  (non  procedere  nella  parificazione).  —  pid  poro,  il  roseo  della  grana,  H  Waaoo  della 

6t.  fnasl  ammiraBdo:  si  ricordi  ohe  Vir-  biacca,  1*  azznrro  dell' indaco,  il  brano  dd 

gilio  ignora  le  leggi  del  purgatorio.  —  68.  legno  levigato  e  polito,  O  verde  ddlo  ame- 

ehe  aver  eoo.  :  ofr.  v.  48.  —  64.  Ilei  :  cfr.  raldo  nel  momento  che  d  ipeaiu  »  74.  1b- 

Inf.  XIV  84.  —  66.  11  monte  ecc.  il  monto  dico  eoe  :  parto  dd  commentatori  oredomo 

aveva  nna  insenatora  perché  la  ooeta  fiaoeva  che  qni  sia  indicato  nn  solo  cokm,  «indie  di 

di  sé  grembo,  d  modo  die  s' aprono  1  rd-  nn  legno  die  cresce  nell'India,  seooado  alcnni 

loncelli  nei  fianchi  delle  montagne  della  ter^  V  ebano  (ofir.  Vìtg.  Oeory,  n  116  :  €  aola  In- 

ra.  —  66.  qnld  :  qni,  qna  giù  (cflr.  Purg,  vm  dia  nigrom  Fert  hebannm  »X  secondo  dtri 

121,  xn  180).  —  70.  Tra  erto  e  plano  eco.  dtro  :  parto  invece  credono  indicati  qd  dne 

In  quel  luogo  correva  nn  sentiero  tortnoso,  colori,  l' azsnrro  ddl'  indico  o  indaco,  e  il 

ora  inclinato  e  ora  piano  ;  il  qude  d  portò  brano  del  legno,  spedalmento  daOa  qnerda. 

di  fianco  a  quella  cavità,  ove  Tawallamento  —  76.  fireseo  mBeraMe  eoo.  lo  oneraldo, 

è  mono  profondo.  —  71.  Iacea  :  fossa,  ca-  pietra  di  odor  verde  ohe  d  contatto  dell'aria 

vita  (cfì'.  Inf,  vn  16),  6  qui  usato  a  indicare  perde  ddla  eoa  vivacità  ;  la  qnde  i^iparo  in- 

la  valletta.  —  72.  là  dove  ecc.  Verso  difii-  vece  allo  specsard  deUa  pietra.  —  76.  4b1- 

Cile  a  intendere,   ma  per  lo  pid  spiegato  :  1*  erba  ecc.  sarebbero  vinti  dd  colori  della 

ove  1*  avvallamento  è  meno  profondo,  per-  fiorita  ed  erbosa  valletta,  come  la  fiantità 


PURGATORIO  -  CANTO  Vn 


825 


Non  avea  pur  natura  ivi  dipintO| 

ma  di  soavità  di  mille  odori 

81        vi  facea  un  incognito  e  indistinto. 

Salve,  Regina,  in  sul  verde  e  in  sui  fiori 
quivi  seder  cantando  anime  vidi, 
84       che  per  la  valle  non  parean  di  fuori. 
<  Prima  clie  il  poco  sole  omai  s' annidi, 
cominciò  il  mantovan  che  ci  avea  vòlti, 
87       tra  color  non  vogliate  ch'io  vi  guidi 
Da  questo  balzo  meglio  gli  atti  e  i  volti 
conoscerete  voi  di  tutti  quanti, 
90       che  nella  lama  giù  tra  essi  accolti. 
Colui,  che  più  sied'alto  e  £»  sembianti 
d'aver  negletto  ciò  che  far  dovea, 
93       e  che  non  move  bocca  agli  altrui  canti, 
Ridolfo  imperador  fu,  che  potea 
sanar  le  piaghe  e' hanno  Italia  morta, 
96        si  che' tardi  per  altri  si  ricrea. 
L'altro,  che  nella  vista  lui  conforta, 
resse  la  terra  dove  l'acqua  nasce, 
90        che  Molta  in  Albia  *ed  Albia  in  mar  ne  porta: 
Otàcchero  ebbe  nome,  e  nelle  fasce 


rainore  è  snpenta  dalla  maggiore.  —  79.  Hoa 
area  ecc.  Né  la  natoia  avoYa  sparso  in  qnella 
A-allotta  solamente  i  colori  bellissimi  dei  fiori, 
ma  T*  avea  sparsa  una  fragranza  insolita  e 
moltoplioe,  resoltanta  da  mille  soavissimi 
odorL  "  82.  SAlre»  Be^ÌMa  eoo.  È  la  nota 
preghiera  cristiana  alla  Vergine,  ohe  snoie 
recitarsi  dopo  i  re^ri  per  inrocare  1*  aiuto 
ddla  madre  dirina  in  questa  valle  di  lagrime 
e  per  chiederle  ohe  d  faccia  degni  di  veder 
Qmù.  Cristo.  —  83.  quivi  eoo.  cfr.  Virg.  En. 
VI  666:  «  Dextra  laevaque  per  herbam  Ve- 
soentea,  laetumque  choro  paeana  canentes  >. 
—  84.  eht  per  la  valle  eoe  le  quali  anime 
non  ci  erano  apparse  prima,  per  essere  eo- 
dute  sul  basso  suolo  della  valletta.  —  85. 
11  p«eo  sole  ecc.  Dante  e  Virgilio  avevano 
incontrato  Sordello  nel  pomerìggio,  dopo  le 
ore  tre  (cfr.  PUrg,  vi  61);  parlando  con  lui  e 
camminando  verso  la  valletta  avevano  occu- 
pato qualche  ora,  al  che  in  questo  momento  il 
sole  era  por  tramontare  :  Moore,  p.  86.  —  86. 
el  atea  vòlti:  ci  aveva  indirizzati  a  quel  luo- 
go. —  90.  che  sella  lama  eco.  che  giù  nella 
valletta,  accolti  e  mischiati  fra  ossi:  sul 
nome  lama  cfr.  ^f,  zx  79.  —  91.  Colui  ecc. 
Quello  che,  per  segno  di  maggior  dignità, 
siede  più  in  alto  e  dimostra  nel  suo  atteg- 
giamento d'aver  traeouiato  i  propri  doveri  o 
non  il  accompagna  agli  altri  nel  canto  della 
Salvai  Begina,  fu  l' imperatore  Rodolfo.  —  94. 


Bldolfo:  Rodolfo  d'Asburgo,  nato  nel  1218, 
coronato  imperatore  ad  Aquisgrana  nel  1273 
e  morto  nel  1291,  fti,  secondo  G.  Villani,  Or. 
vn  55,  «  di  grande  afGore  e  magnanimo  e 
prò'  in  arme  e  bene  avventuroso  in  batta- 
glie, molto  ridottato  dagli  alamanni  e  dagli 
italiani  ;  e  se  avesse  voluto  passare  in  Italia, 
senza  contrasto  n'era  signore».  —  che  po- 
tea ecc.  :  cfr.  Purg.  vi  103.  —  96.  sf  che 
tardi  ecc.:  allusione  ai  tentativi  di  Arrigo  VTL 
imperatore  di  restaurare  in  Italia  l' autorità 
dell'impero,  i  quali  riuscirono  vani  (cfr.  Par. 
XXX  137).  —  97.  li'  altro  ecc.  L' altro  prin- 
cipe, che  mostra  di  confortare  Rodolfo,  go- 
vernò con  titolo  di  re  la  Boeniia.  Si  noti  che 
Danto  accoppiò  a  due  a  due  questi  prìncipi, 
imaginando  che  quelli  ch'erano  stati  nemici 
nel  mondo,  sedessero  insieme  a  ragionare  e 
a  confortarsi  l' un  l' altro  nel  regno  della 
purificazione  e  del  perdono.  —  98.  la  terra 
ecc.  la  Boemia  regione  dove  nascono  le  acque, 
che  raccogliendosi  nella  Moldava  (lat.  Moìda) 
entrano  nell'  Elba  (lat.  AU>Ì8\  che  le  porta 
nel  maro  Germanico.  —  100.  Otàcchero  ecc. 
Premislao  Ottocaro  II,  succeduto  nel  trono 
di  Boemia  al  padro  suo  Vencoslao  m  nel 
12Ó3  e  morto  nel  1278,  fu  valente  in  guerra 
0  tiranno  nel  governo  :  fioro  avversario  di 
Rodolfo  d'  Asburgo,  protostò  contro  la  sua 
elezione  all'  impero  e  combatto  per  più  anni 
contro   di  lui.  Gli  antichi  commentatori  lo 


326 


DIVINA  COMMEDIA 


fu  meglio  assai  che  Yincislao  suo  figlio 
102        barbuto,  cui  lussuria  ed  ozio  pasce. 
E  quel  nasetto,  che  stretto  a  consiglio 
par  con  colui  e' ha  si  benigno  aspetto, 
105        mori  fuggendo  e  disfiorando  il  giglio: 
guardate  là  come  si  batte  il  petto; 
l'altro  vedete  e' ha  fatto  alla  guancia 
108        della  sua 'palma,  sospirando,  letto. 

Padre  e  suocero  son  del  mal  di  Francia: 
sanno  la  vita  sua  viziata  e  lorda, 
111        e  quindi  viene  il  duol  che  si  li  lancia. 
Quel  che  par  si  membruto,  e  che  s'accorda 
cantando  con  colui  dal  maschio  naso, 


lodano  di  Tilore  e  di  llboxmlità,  e  per  questi 
pregt  Dante  l' avrà  xiooidato  onorevolmente 
senza  tener  conto  della  voce  ohe  attriboira 
a  qnesto  re  il  oonaiglio  dato  a  Carlo  I  d'An- 
giò  di  acddere  Corradino  (cf^.  Purg,  xx  68). 

—  e  selle  f atee  ecc.  e  sino  dalla  sua  prima 
età  Ottooaro  n  fa  molto  pili  raloroso  e  vir^ 
tnoso  ohe  non  fosse  poi  anche  nell'età  virile 
il  figlinolo  di  lui  Venceslao  IV.  »  101.  Vln- 
dslaos  Venoeslao  IV,  nato  nel  1270,  salito 
al  trono  di  Boemia  nel  1278  e  a  qoello  di 
Polonia  nel  1300,  e  morto  nel  1306,  fu  prin- 
cipe dappoco  e  nomo  vinosissimo,  e  che  mai 
valor  non  conobbe  nò  volle  >  (Far,  xiz  125). 

—  103.  E  qael  nasetto  eco.  Filippo  m  detto 
l'Ardito,  secondo  figlinolo  di  Lnigi  IX  re  di 
Francia  e  padre  di  Filippo  il  Bello  e  di  Carlo 
di  ValoLs,  nacque  nel  1246,  successe  al  padre 
nel  1270  e  mori  nel  1286,  fuggendo  e  disfio- 
rondo  il  giglio  oioò  ritirandon  dai  paosi  oo> 
capati  nella  guerra  contro  Pietro  IH  d'Ara- 
gona dopo  che  Buggero  di  Lauria  ebbe  di- 
strutta la  flotta  francese,  e  vituperando  cosi 
r  onore  delia  casa  di  Francia,  che  aveva  per 
insegna  i  tre  gigli  d' oro  in  campo  azzurro. 
Dante  lo  chiama  noMtto,  perché,  come  mo- 
strano i  monumenti  iconografici  e  attestano 
i  commentatori  antichi,  Filippo  m  ebbe  un 
piccolissimo  naso.  —  104.  eolol  e*  ha  ecc. 
£nrico  I  re  di  Navazra  succeduto  nel  trono 
al  fratello  Tebaldo  II  (cfr.  Inf.  xxm  52)  nel 
1270  e  morto  nel  1274,  ta  padre  di  Giovanna  I 
che,  lui  morto,  ebbe  essa  il  regno  e  fu  poi 
moglie  di  Filippo  il  Bello;  ed  ò  certo  il 
principe  accennato  qui  da  Dante;  sebbene 
gli  antichi  commentatori  credano  che  questo 
sia  invece  Guglielmo,  figlio  di  Tebaldo  U.  -- 
106.  €«ardate  ecc.  Filippo  UE  si  batte  il 
petto,  Enrico  I  sospira;  l'uno  e  l'altro  addo- 
lorati per  le  malvage  opere  di  Filippo  il  Bello, 
del  quale  il  primo  era  padre  e  il  secondo  era 
suocero.  —  109.  mal  di  Francia:  su  Fi- 
lippo il  Bello  e  i  giudizi  che  ne  faceva  Dante 
cfr.  Purg,  rz  86-98.  —  111.  quindi  ecc.  da 


tale  cognizione  procedo  il  dolore  che  li  tor^ 
menta.  — 112.  Q«el  eke  par  ecc.  Piotro  m 
d'Aragona  detto  il  grande,  nato  nel  1236  e 
succeduto  nel  trono  d'Aragona  a  Giacomo  I 
nel  1276,  avendo  sino  dal  1262  sposata  Co- 
stanza figlU  di  Manfiredi  (olir.  iVry.  m  114), 
ta  dopo  la  rivoluzione  del  Vespro  (cfr.  Bar, 
m  116)  chiamato  re  di  Sicilia,  e  mori  nel 
1286.  G.  Villani,  O.  vn  103  lo  loda  come 
<  valente  signore  e  prò'  in  arme,  e  bene  av- 
venturoso e  savio  e  rìdottato  da'  cristiani  e 
da*  saracini  altrettanto  o  pid,  come  nuUo  ra 
che  regnasse  al  suo  tempo  »  :  e  il  Lana  at- 
testa che  «  ta  nomo  molto  bello  e  membruto 
di  sua  persona,  e  probissimo  e  virtndicMo  >. 
—  118.  colui  dal  maschio  naso  :  Carlo  I 
d'  Angiò  figlio  di  Luigi  Vm  re  di  Francia 
e  fratello  di  Luigi  IX,  nacque  nel  1220,  sposò 
Beatrice  figlia  dell'ultimo  conto  di  Provenza 
(cfr.  Par,  VI  134)  e  cosi  ebbe  quel  dominio 
(cfr.  Rtrg,  zz  61),  e  nel  1266,  chiamato  dal 
papa  a  riconquistare  alla  Chiesa  il  regno  di 
llanft^di,  venne  in  Italia,  tu  incoronato  in 
Roma  re  di  Napoli,  e  con  le  vittorie  di  Bo- 
nevento  (cfr.  Purg,  m  118)  e  di  Tagliacozzo 
(cfr.  Inf,  zxvu  17;  ottenne  il  possesso  di  quel 
reame:  mori  nel  1285,  l'anno  stosso  della 
morte  di  Pietro  m  d' Aragona,  col  qualo 
ebbe  guerra  per  cagiono  della  Sidlia.  G.  Vil- 
lani, O.  vn  1  ne  fa  questo  ritiatto  :  «  Carlo 
fu  savio,  di  sano  consiglio  e  prode  in  arme 
e  aspro  e^molto  temuto  e  rìdottato  da  tatti 
i  re  del  mondo,  magnanimo  e  d'alti  intendi- 
menti, in  &re  ogni  grande  impresa  sicuro, 
in  ogni  avversità  fermo,  e  veritiere  d*  ogni 
sua  promessa,  poco  parlante  e  molto  adopo- 
rante,  e  quasi  non  ridea  se  non  poco;  onesto 
com*  uomo  religioso  e  cattolico,  aspro  in  giu- 
stizia; e  di  feroce  riguardo,  grande  di  per- 
sona e  nerboruto,  di  colore  ulivigno  e  con 
grande  naso,  e  parea  bene  maestà  reale  più 
ch'altro  dgnore;  molto  vegghiava  e  poco 
dormiva,  e  usava  di  dire  che  dormendo  tanto 
tempo  si  perdoa  ;  largo  fu  a'  caralìorì  d' ar^ 


Tf  * 


PURGATORIO  -  CANTO  VII 


327 


114        d'ogni  valor  portò  cinta  la  corda. 
E  86  re  dopo  lui  fosse  rimaso 
lo  giovinetto  che  retro  a  lui  siede, 
117        bene  andava  il  valor  di  vaso  in  vaso; 
che  non  si  puote  dir  dell*  altre  rede: 
Giacomo  e  Federico  hanno  i  reami; 
120       del  retaggio  miglior  nessun  possiede. 
Kade  volte  risurge  per  li  rami 
l'umana  probitate:  e  questo  vuole 

128  quei  che  la  dà,  perché  da  lui  si  chiami. 
Anco  al  nasuto  vanno  mie  parole, 

non  men  eh' all' altro,  Pier  che  con  lui  canta, 
12G        onde  Puglia  e  Provenza  già  si  duole: 
tant'è  del  seme  suo  minor  la  pianta, 
quanto,  più  che  Beatrice  e  Margherita, 

129  Costanza  di  marito  ancor  si  vanta. 


ne,  ma  coridioto  d'Aoqiilttera  ten»  e  tigno-  . 
ria  e  moneta  d' onde  li  reniae  ».  Dante  air 
trore  giudicò  jSA  leTexamente  i  snoi  atti 
(  A»y.  zx  68),  e  a  8110  governo  {Par,  vm  TSy. 
efr.  le  belle  pagine  sa  Caiio  scritte  da  M. 
Amari,  La  gu&rra  «M  vespro^  cit.,  toL  I, 
pp.  107  e  segg.  —  114.  d'ogni  ralor  eoe 
Pietro  m  Iti  dotato  d*  ogni  rirtù,  dvile  e 
militale:  efr.  il  ritratto  delineato  dall'Amari, 
op.,eit.,  ToL  n,  pp.  166-9.  —  115.  B  se  re 
eoel  Pietro  m  lasciò  morendo  tre  figlinoli: 
Alfbneo  m,  il  primogenito,  ohe  gli  snooe- 
dette  nel  trono  d'  Aragona  e  mori,  gioTine 
di  Tentisette  anni,  nel  1291;  Giacomo  II,  ohe 
alla  morte  del  padre  fa  coronato  re  di  Sici- 
lia, e  alla  morte  del  fratello  maggiore  ta  pro- 
damato  re  d' Aragona  e  di  SioUia,  e  mori 
poi  nel  1887  ;  o  Federigo  H,  che  alla  par- 
tenza di  OiaooBU)  n  dalla  Sicilia  nel  1291  fb 
i«^r4*»i^  Inogotenente  noli*  isola,  e,  procla- 
mato re  di  Sicilia  dal  generale  parlamento  di 
Catania  nel  1296,  aoetenne  contro  gli  an- 
gioini e  contro  il  fratello  ana  longa  guerra 
sino  alla  pace  di  Caltabellotta  del  ia02,  che 
lo  riconobbe  legittimo  signore  dell'  isola,  e 
flMnl  nel  1337.  Alfonso  HI,  lo  giovinetto  che 
sederà  accanto  al  padre  nella  valletta  del- 
Pantipargatorio,  ta  ottimo  principe,  e,  a  gio- 
disio  di  Dante,  ereditò  tatto  le  virtù  paterne: 
de^  altri  doe  invece,  ohe  nel  1900  tenevano 
i  reami  patemi,  Giacomo  II  l'Aragona  e  Fe- 
derigo n  la  Kcilia,  Danto  recò  gindizio  se- 
voco  non  por  qoi,  ma  anche  nel  Far,  xxr 
130-138.  —  117.  di  vaso  la  vaso  :  di  padre 
in  figlio;  ofr.  Geremia  xlvui  11,  secondo  la 
Tolgsta:  «  transfrisos  est  de  vaso  in  vas  >. 
—  118.  re4e:  eredi;  la  forma  arcaica  reda 
è  preterito  da  Dante,  che  l'osa  in  Jnf,  xxxi 
116,  f^iry.  XIV  90,  xvin  186,  xxxm  37,  Pur. 


zn  66.  —  120.  del  retaggio  eco.  nessono 
dei  dae  possiede  nnlla  della  migliore  ere- 
dità, doò  delle  virtù  del  padre  e  del  fra- 
tello. — 121.  Bade  Tolto  eco.  Baramento  la 
virtù  dei  padri  trapassa  e  perdura  nei  figli  ; 
cosi  vuole  il  signore,  afl&nohó  l' nomo  rìco- 
noeca  da  lai,  e  non  dalla  nasdta,  la  propria 
virtù  :  cfr.  Par,  vui  86  e  segg.  »  124.  An- 
ce eco.  Le  mie  parole  sono  da  riferire,  non 
pare  a  Pietro  m  d'Aragona  e  ai  snoi  figliaoll, 
ma  anche  al  nasuto^  a  Carlo  I  d'Angiò  (cfr. 
V.  112)  e  ai  snoi  discendenti,  per  il  malgo- 
verno ch'essi  fumo  del  loro  stoti  di  Paglia 
e  di  Provenza  (cfr.  ì^trg.  xx  80,  Par,  vui 
76  e  segg.,  zix  127  e  segg.).  »  127.  toat'è 
ecc.  tanto  la  piemia  doò  Carlo  n  d' Angiò, 
sucoeesore  del  padre  nel  regno  di  Napoli  e 
nella  contea  di  Provenza,  è  miiiion  d$l  trnns 
doò  di  Carlo  I,  quanto  questi  ta  inferiore  di 
virtù  a  Pietro  m  d' Aragona,  o  come  dice 
Danto,  qoanto  Costanza  moglie  di  Pietro  ni 
(cfr.  Piàrg,  m  115)  ha  maggior  ragione  di 
vantarsi  del  marito  che  non  avessero  del 
proprio  Beatrice  e  Margherita,  mogli  che  fu- 
rono di  Carlo  l  d'  Angiò  :  Beatrice,  figlia  di 
Raimondo  Berlinghieri  conto  di  Provenza,  fa 
la  prima  moglie  di  Carlo  e  mori  nel  1267  : 
Margherita,  figlia  di  Eude  duca  di  Borgogna, 
fri  la  seconda  moglie,  sposato  nd  1268.  Que- 
sta spiegazione,  data  primamento  da  F.  Mer- 
curi nel  OiomaU  areadioo^  a.  1842,  voi.  XCm, 
pp.  209-216,  è  la  sola  che  s' accordi  con  la 
storia;  quella  degli  antichi  commentatori  che 
credettero  paragonato  la  moglie  di  Pietro  m 
con  quelle  dd  figliuoli,  contradioe  alla  sto- 
ria; perché  la  moglie  di  (Hacomo  II  fri  Bian- 
ca figlia  di  Carlo  n  d' Angiò  sposato  nd 
1296,  e  qaoUa  di  Federico  n  fu  Eleonora, 
altra  figlia  di  Carlo  II,  sposato  nd  1803.  » 


328 


DIVIITA  COMMEDIA 


Vedete  il  re  della  semplice  vita 
seder  là  solo,  Arrigo  d'Inghilterra: 
132        questi  ha  ne'  rami  suoi  migliore  uscita. 
Quel  che  più.  basso  tra  costor  s'atterra, 
guardando  in  suso,  è  Guglielmo  marchese, 
per  cui  ed  Alessandria  e  la  sua  guerra 
136    fa  pianger  Mon^nrato  e  Canavese  ». 


190.  Tedeft«  ecc.  Anigo  m,  nato  nel  1206,  ano- 
cedette  nel  trono  d'In^^dUena  al  padre  Oio- 
ranni  Sensatema  nel  1216  e  moti  nel  1272  ; 
fu  principe  inetto  e  debole,  «  ma  (dioe  0. 
Villani,  O.  Y  4)  fti  semplice  nomo  e  di  bnona 
fó  »  :  SordeUo  nella  pceeia  dt  al  ▼.  46,  lo 
chiamò  vU$  9V  oooitaTa  a  mangiar  bene  del 
cote  di  Blacata  per  afforsarsi  e  rioonqniatare 
i  territori  tolti  dai  firanoed  a  Giovanni  8en- 
zatotra.  —  1B2.  f  ««iti  eco.  Allude  a  Edoar* 
do  I,  nato  nel  1240,  enocednto  al  padre  Ar- 
rigo m  nel  1272  e  morto  nel  1807,  ohe  ta. 
chiamato  il  Oiostlniano  inglese  per  ayere 
ordinate  le  leggi  del  suo  regno  e  fu  lodato 
da  Q.  Villani,  O.  vm  90  come  <  nno  de'  più 
Taloroei  signori  e  savio  de*  cristiani  al  suo 
tempo,  e  bene  avrentoroso  in  ogni  sua  im- 
presa, di  là  da  mare  centra  i  Saraceni,  e  in 
tao  paese  contra  gli  Scotti,  e  in  Gnasoogna  , 
centra  1  Franceeohi  >.  —  138.  Quel  eoo.  Co- 
lai che  sta  sedato  a  terra  più  In  basso  degli 
altri,  perché  fu  principe  di  minor  grado  e  po- 
tenza, è  Guglielmo  VII  Spadalonga,  marchese 
di  Monferrato  dal  1264  al  1292  :  erede  dei 


domini  di  nna  della  maggiori  fkmlglie  fen- 
dali d^*  Italia  sopeziore,  Guglielmo  Vn  ac- 
crebbe il  sno  potine  deetregglandod  tra  la 
parte  gaeUk  e  la  ghibellina,  impazeotandoci 
per  matrimoni  con  re  e  impersAorl,  •  vigo- 
maamente  combattendo  i  oomoni  gaelA  di 
Lombardia  :  nel  1290  Aleaaandria  gli  al  ri- 
bellò a  iatigarione  del  comnne  di  Aiti  ed 
egli  accorse  a  sedare  il  romore,  ma  il  popolo 
gli  si  levò  contro  più  fleramente:  pieao  e 
messo  in  ona  gabbia  di  ferro,  vi  ta  tanato 
alno  alla  morte  aooadata  nel  1292.  Suo  figlio 
Giovanni  I  per  vendicarne  la  morte  moeae 
gaerra  al  oomane  di  Aleaaandria,  con  eaito 
infelice,  tanto  che  lungamente  Ù  ano  mar- 
chesato pianse  i  danni  di  quella  lotta.  »  186. 
Honferrato  •  Canaveat:  sono  le  dna  re- 
gioni che  coatituivano  il  marchesato  di  Gu- 
glielmo vn  :  il  Monfarrsto  ò  propriamente  Q 
territorio  che  ai  atende  dalla  riva  deatrm  del 
Po  all'Appennino  ligure;  il  Oanaveae,  quello 
che  ai  atende  dalle  falde  delle  Alpi  Grate  e 
Pennino  alla  riva  ainiatra  del  Po. 


CANTO  vm 


Aecompagnati  da  Sordello,  i  due  Tisitatori  scendono  nella  valletta  dei 
prìncipi,  ore  incontrano  Ugolino  de*  Visconti  pisano,  e,  osservata  la  cacciata 
del  serpente  tentatore  per  opera  degli  angeli,  parlano  col  marchese  Corrado 
Malaspina,  che  predice  a  Dante  il  futuro  esilio  [10  aprile,  circa  le  sette  e 
mezso  pomeridiane]. 

Era  già  l*ora  che  volge  il  disfo 
ai  naviganti,  e  intenerisce  il  core 

vm  1.  Ira  già  Pera  ecc.  Era  già  l'ora 
della  aera  ;  quell'ora  che  richiama  il  deaiderio 
dei  naviganti  alla  patria  e  riempie  loro  di 
tenerezza  il  cuore  nel  giorno  ch'eeai  partendo 
si  aono  congedati  dagli  amici;  quell'ora  che 
suscita  affettuoso  desiderio  della  patria  nel- 
l'uomo avventuratosi  per  la  prima  volta  a  un 
lungo  viaggio,  se  ode  risuonare  da  lungi  una 
campana,  che  sembri  piangere  il  giorno  mo- 
rente. Nota  il  Biag.  e  queet'  arte  nuova  che 
ha  Dante  d'associare  alle  più  semplici  circo- 


o  di  tempo  o  di  luogo  o  d'altro,  ora 
una  dottrina  che  t' ammaestra,  ora  un  pre- 
cetto morale  che  ti  seduce,  ora  una  verità 
che  ti  colpisce  e  f  innamora,  ed  ora  una  di 
quelle  soavi  sensazioni,  le  quali,  se  ftiron 
anche  mille  volte  da  te  sentite,  ti  rinnovano 
l'impressione  medesima  per  la  novità  de'  co- 
lori ond'  è  rivestita-,  e  se  per  la  prima  fiata 
le  senti,  f  intenerisoono  il  cuore  come  se  tu 
fossi  in  atto  :  tanto  naturale  e  possoite  e 
a  tempo  è  il  mezzo  che  Danto  sa  ben  oppor- 


PURGATORIO  -  CANTO  VIH 


n29 


12 


15 


18 


lo  di  o'han  detto  ai  dolci  amici  addio, 

e  che  lo  novo  peregrin  d'amore 
punge,  se  ode  squilla  di  lontano, 
che  paia  il  giorno  pianger  che  ai  more; 

quand'io  incominciai  a  render  vano 
l'udire,  ed  a  mirare  una  dell'alme 
surta,  ohe  l' ascoltar  chiedea  con  mano. 

Ella  giunse  e  levò  ambo  le  palme, 
ficcando  gli  occhi  verso  l' oriente, 
come  dicesse  a  Dio  :  €  D' altro  non  calme  ». 

Te  luci»  ante  si  devotamente 
le  usci  di  bocca,  e  con  si  dolci  note 
che  fece  me  a  me  uscir  di  mente; 

e  l' altre  poi  dolcemente  e  devote 
seguitar  lei  per  tutto  l'inno  intero, 
avendo  gli  occhi  alle  superne  rote. 

Aguzza  qui,  lettor,  ben  gli  occhi  al  vero, 


taoamaiitB  adoperare9.  »  8.  Io  df  :  in  quel 
gjorno,  tifo  éU\  ctt.  V,  N.  v  6:  €  U  mio  m- 
gxeto  non  ez»  oomnnicato,  il  giorno,  altrui 
per  mia  rista  «.  —4.  !•  noTO  eoo.  il  pellegrino 
(cfr.  I\ey.  B  68)  non  abituato  ancora  alla 
lontananza  dalla  patria,  perché  meesosi  in 
cammino  quel  giorno.  —  d'amore  punge: 
tocca,  oolpisoe  con  un' impreesione  di  tene- 
recza.  —  6.  eke  pala  eoe  Secondo  la  mag- 
gior parte  dei  commentatori,  al  tratta  del 
goono  dèlTavemarìa;  ma  poiché  questa  usan- 
za ta  introdotta  in  Italia  lolamente  nel  1818, 
è  meglio  intendere  con  Lana,  Ott  e  Cass. 
del  suono  deUa  campana  di  compiìta  (ultima 
déOe  ore  canoniche  dell*  ufBdo),  al  quale  la 
GUaea  accompagna  appunto  il  canto  dell'in- 
no di  oompiòto  Ti  Iuoìb  ohìó  eco.  (cfr.  Terso 
18):  si  Teda  F.  Norati,  Indagini  cit  —  7. 
fiaad*  lo  ecc.  quand'  io  incominciai  a  non 
udir  più  alcuna  Toce,  né  quella  di  Bordello 
die  areTa  oessato  di  parlare  né  quella  delle 
MtimA  che  aTorano  finito  U  canto  della  Salw 
Strina  ;  e  inTece  inoominciai  a  guardare  una 
delle  aijme  ohe  acoennaTa  alle  altre  di  ascol- 
tare. —  9.  sarta  s  si  ricordi  che  i  principi 
sederano  sull'erba  della  ralletta  fiorita  (cfr. 
A«7.  TU  88).  »  ehe  l'aieoltar  ecc.:  ofr. 
Virgilio,  IDn,  zn  692:  e  Significatqne  manu, 
et  magno  simul  incipit  ore  >;  Oridio,  Md,  i 
206:  <  Qui  postquam  Tooe  manuque  Murmura 
cumpioueit,  tenuere  silentia  cunoti  »  ;  e  Atti 
dtgU  Apoti,  zm  16  :  €  Allora  Paolo,  rizzatosi, 
e  fitto  cenno  con  la  mano,  disse.  Uomini  israe- 
liti e  Toi  ohe  temete  Iddio  ascoltate  >.  —  10. 
glanae  ecc.  congiunse  e  lerò  al  delo  le  mani; 
atto  proprio  di  chi  prega.  —  11.  flceando  ecc. 
Bati  :  «  come  de*  fare  1'  omo  quando  adora 
Iddio,  che  si  de'  Tolgere  all'  oriente  :  e  però 


tutte  le  chiese  antiche  &nno  Tolto  li  altari  a 
r  oriente  ;  ma  ora,  quando  non  si  può  oom- 
modamente  fare,  non  t'  ò  cura,  imperò  che 
Iddio  ò  in  ogni  luogo  >.  —  12.  D'altre  eco. 
Non  ho  altra  cura  ohe  quella  di  pregar  te. 
—  18.  Te  laels  aate  ecc.  £  il  principio  del- 
l' inno  di  sant'Ambrogio,  che  si  canta  secondo 
la  liturgia  cristiana  nell'  ultima  parte  del- 
l' ufficio,  per  implorare  la  difesa  diTina  con- 
tro le  tentazioni  della  notte;  eccolo  per  in- 
tero :  <  Te  lucia  ante  terminum,  Berum  Crea- 
tor, posdmus,  Ut  tua  prò  olementia,  Sis  prae- 
sul  et  custodia.  Procul  recedant  somnia  Et 
noctium  phantasmata:  Hostemque  nostrum 
comprime.  Ne  pollnantur  corpora.  Praesta, 
Pater  piiùime,  Patrique  compar  Unloe,  Cum 
Bpiritu  Paradito  Begnans  per  omne  saecu- 
lum  ».  —  16.  eke  léce  ecc.  che  tutto  mi  rapi 
a  sé,  distraendomi  da  ogni  altro  pensiero; 
cfir.  Airy.  zzxn  68.  --  18.  areado  ecc.  te- 
nendo gli  occhi  allp  sfere  celesti.  Si  noti  che 
nel  regno  della  purificazione  le  anime  non 
Tolgono  mai  gli  occhi  al  cielo,  anzi  si  stu- 
diano quasi  di  guardare  in  basso  per  segno 
d' umiltà  (ott.  Purg.  iii  89,  it  121,  t  90,  xi 
64,  XIX  72).  —  19.  Ago  zza  ecc.  Gli  antichi 
commentatori,  dal  Lana  al  Land.,  dettero  di 
questo  passo  la  piti  semplice  interpretazione, 
cosi  esposta  dal  Blanc  :  «  Aguzzate  la  Tostra 
Tista,  o  lettori,  poiché  il  Telo  che  copre  il 
senso  nascosto,  l' allegorfa  di  quanto  segue, 
ò  cosi  sottile  e  trasparente,  die  non  Ti  co- 
sterà fatica  il  penetrarlo,  ed  intendere  il  pid 
profondo  senso  dell'  allegoria  ».  B  Veli.,  se- 
gofto  da  parecchi  moderni,  oppose  l'inutilità 
dell'  arrertimento,  se  si  fosse  trattato  di  al- 
legoria facile  a  raccogliere  dalle  parole  del 
poeta,  e  spiegò  inTece  :   «  B  senso  letterale 


330 


DIVINA  COMMEDIA 


che  il  velo  è  ora  ben  tanto  sottile, 
21        certo  che  il  trapassar  dentro  è  leggiero. 
Io  vidi  quello  esercito  gentile 
tacito  poscia  riguardare  in  sue, 
24        quasi  aspettando  pallido  ed  umile  ; 
e  vidi  uscir  dell'alto  e  scender  gide 
due  angeli  con  due  spade  affocate, 
27       tronche  e  private  delle  punte  sue. 
Verdi,  come  foglietta  pur  mo  nate, 
erano  in  veste,  che  da  verdi  penne 
80       percosse  traean  dietro  e  ventilate; 
1*  un  poco  sopra  noi  a  star  si  venne 
e  P  altro  scese  in  Popposita  sponda, 
38       si  che  la  gente  in  mezzo  si  contenne: 
ben  discemeva  in  lor  la  testa  bionda; 
ma  nelle  &cce  l'occhio  si  smarria, 
86        come  virtù  che  al  troppo  si  confonda. 
<  Ambo  vegnon  del  grembo  di  Maria, 


ò  ori  tanto  ditncilo  t  potorio  allogoricaiuente 
iuterpetrare,  che  il  trapanario  sema  trame 
osso  yero  sentimento  è  legger  cosa  >.  Ma  a 
questa  interpretazione  contrasta  il  trapassar 
dentro  che  significa  solo  :  passare  dentro  at- 
traverso Il  velo,  penetrare  nel  senso  allogo- 
rioo  sotto  il  yelo  del  senso  letterale  ;  e  poi 
r  allegoria  d  molto  fàcilmente  intesa,  perché 
il  serpente,  che  ora  Terrà,  simboleggia  mani- 
fostamonte  la  tentazione  (▼▼.  97-102)  e  gli 
angeli,  che  scendono  a  difesa  delle  anime 
(▼▼.  25-89,  108-106),  significano  il  presidio 
che  contro  la  tentazione  il  cristiano  trova 
nella  sna  fedo.  Torraca:  «  Appanto  perché 
il  velo  ò  leggerissimo  e  1*  occhio  pad  sabito 
e  facilmente  cogliere  sotto  di  esso  la  yerìtà, 
a  qaesta  goardi  il  lettore,  più  che  al  velo; 
non  essendo  mestieri  fatica  nella  sposizione 
dell*allegoria,  badi  alla  sentenza  {Oom.  iv  1)>. 
—  22.  Io  Tldl  eoo.  Le  animo,  finito  il  canto 
dell'inno  e  la  redtarione  della  prosa  che  se- 
guita a  quello  (<  Visita,  quaesumus  Domine, 
habitatione  istam,  et  omnes  insidias  inimici 
ab  ea  longo  repello;  Angeli  tui  sancti  ha> 
bitent  in  ea,  qui  nos  in  pace  oustodiant  »), 
continuano  a  guardare  in  alto,  in  silenzio, 
dimostrando  noi  pallore  doi  volti  e  noli*  n- 
miltà  doir  atteggiamento  d*  aspettare  V  aiuto 
invocato  degli  angeli.  »  26.  die  angeli  ecc. 
Questi  duo  angoli,  discesi  dal  cielo  empireo 
a  difesa  doUe  anime  contro  il  serpente,  sono 
armati  di  due  spade  fiammeggianti  e  spun- 
tate, a  significare  che  il  presidio  ohe  Dio  con- 
cedo alle  animo  è  manifestazione  della  sua 
giustizia  e  misorioordia:  tale  è,  In  sostanza, 
Tallogorla  riconosciuta  dai  oommentatorì  an- 
tichi pi6  autorevoli  e  dalla  maggior  parto  dei 


moderni.  —  28.  Verdi  eco.  Gli  angeli  appa^ 
rivano  vestiti  di  verdi  vesti,  le  quali  segui- 
tavano percosse  e  agitate  da  verdi  ali:  come 
l'arte  medioevale  rappresentò  pifi  volte  gli 
angoli  vestiti  di  verde  e  con  ali  verdeggianti, 
co8£  anche  Dante  in  questo  caso  preferì  al 
bianco  delle  altre  figure  angeliche  il  verde, 
che  simboleggia  la  speranza  end' erano  so- 
stenute le  anime  della  valle  fiorita.  81  ofr. 
Qm,  m  24:  <  Egli  cacciò  l'uomo  e  pose  dei 
Cherubini  davanti  al  giardino  d' Eden,  con 
una  spada  fiammeggiante^ ....  per  guardar  la 
via  dell'  albero  della  vita  ».  »  eeme  fa- 
gllette  ecc.  di  quel  verde  chiaro ,  ohe  è  nelle 
tenore  foglie  recentemente  spuntate.  —  yar 
mo:  cfr.  bìf,  xxvn  20.  —  81.  Pam  yeee 
eoo.  l'uno  dei  due  angeli  si  collocò  sulla 
sponda,  ma  un  po'  più  in  alto  cho  noi  non 
fossimo,  e  l'altro  sulla  sponda  opposta;  si 
che  le  anime  rimasero  nel  mezzo.  —  84.  b«a 
oco.  io  vedeva  distintamente  i  biondi  cnpoUi 
rilucenti  sulle  loro  testo,  ma  non  poteva  so- 
stonerò  con  lo  sguardo  il  vivo  splendore  dei 
loro  volti  (cfr.  IStrg,  n  89)  ;  come  succede 
ad  ogni  senso  umano  che  si  smarrisce  innanzi 
a  un'impressione  troppo  gagliarda.  —  87.  del 
greMbo  di  Maria  :  dall'empireo,  ove  risiede 
la  Vergine.  Lomb.  :  <  Figuzando  Dante  la 
magion  del  beati  in  paradiso  a  modo  di  om- 
dida  rosa  (Air.  rm  1),  le  foglie  della  quale 
Siene  le  sedie  de'  beati,  in  guisa  disposte  che 
dal  mezzo  verso  la  circonferenza  della  rosa 
vadano  d' ordine  In  ordine  rialzandosi,  qvatt 
di  vali»  andando  a  montò  (ivi  v.  121X  e  facen- 
dovi in  una  delle  più  alte  sedie,  posta  alla 
circonferenza,  assisa  Maria  Vergine,  e  festeg- 
giata dagli  Angeli;  perché  non  intenderemo 


PURGATORIO  -  CANTO  VITI 


331 


disse  Sordello,  a  guardia  della  valle, 
89       per  lo  serpente  che  Terrà  via  via  »; 
oad*io,  che  non  sapeva  per  qual  calle, 
mi  volsi  intomo  e  stretto  m'accostai 
42       tutto  gelato  alle  fidate  spalle. 

£  Sordello  anche  :  €  Ora  avvalliamo  ornai 
tra  le  grandi  ombre,  e  parleremo  ad  esse: 
45       grazioso  fia  lor  vedervi  assai  >. 
Solo  tre  passi  credo  ch'io  scendesse, 
e  fui  di  sotto,  e  vidi  un  che  mirava 
48       pur  me,  come  conoscer  mi  volesse. 
Tempo  era  già  che  l'aere  s'annerava, 
ma  non  si  che  tra  gli  occhi  suoi  e  i  miei 


•he,  eome  gnmJbo  appella  il  poeta  la  cavità 
doT»  siedono  qaesf  anime  (canto  preoed. 
T.  68X  ooei  grembo  di  Maria  appelli  la  cavità 
■taHa  della  celeste  rosa,  a  coi  Maria  pre- 
siede, per  cai  quasi  in  grembo  tienai  tntte 
l'anime  de'  beati?  ».  ~  88.  per  lo  serfeste: 
cilr.  ▼▼.  97-102.  —  Tla  Tlat  or  ora,  fra  poco. 
—  40.  Mid'  le  ecc.  Dante,  non  sapendo  per 
qui  Tia  dovesse  venire  questo  serpente,  si 
guida  intorno  smanito  e  si  stdnge  tatto 
spcrentato  a  '^Higilio.  »  48.  Ora  eoo.  Di- 
*rflnflttai»5f  oramai  nella  valletta  a  paiiare  in- 
Éfmm  eoa  le  anime  del  grandi  prìncipi  e  si- 
ne  saranno  molto  lietL  »  46.  gra- 
Fsrohé  debba  xlasoiie  gradita  a 
la  visita  di  Dante  e  Virgilio 
non  è  detto  dai  vecchi  commentatori  :  sola- 
mente rOtL  dice  :  «  per  doe  cose.  Tana  per 
la  novitade,  l'altra  per  oostitoire  l'autore  lo- 
ro pcoeaimtoie  e  messo  alli  amici  ohe  prie- 
^dno  per  loro  e  psròhé  esso  aatoxe  sia  ban- 
ditole di  loro  fama  »;  e  Benv.  annota  :  e  qaia 
viri  iUnstras  et  moderni  sommi  delectantar 
videre  et  aodlre  poetss,  qai  possint  Cuore 
de  eis  memoriam  et  fìunam  ».  Pi4  general- 
meote  si  poA  intendere  che  la  visita  di  un 
tìvo  dovesse  tornar  gradita  a  rissonno  di 
qoesti  spiriti  come  ona  occasione  di  aver 
notizie  della  propria  famiglia  e  di  parlare  di 
■6  e  del  snol  (efr.  1  w.  87-81,  115-189).  — 
46.  tee  MuAs  la  valletta  era  assai  poco 
profonda  e  i  tre  poeti  s' erano  messi,  si  ri- 
cordi, oltre  il  meno  della  sponda  declinante 
(cfr.  1\»V.  vn  73).  »  47.  aa  «he  mirava 
eco.  Qoesf  anima,  che  guardava  solamente 
Dante,  mostrando  di  volerlo  rioonoecere,  era 
quella  di  Ugolino  Visconti  pisano,  che  fa 
fglio  di  Giovanni  Visconti  capo  dei  gaelfl 
pisani  e  di  ona  figlinola  di  Ugolino  della 
Qharardeeca  (ofr.  Inf.  kiiiii  18).  Ugolino  o 
Nino  Visoonti,  detto  per  lo  più  dai  oontem- 
pofaael  U  Giodloe  di  OaUora  per  il  governo 
eh'  el  tenne  di  quella  terra  di  Sardegna  (cfr. 
hif,  zzn  81,  82),  fu  nella  prima  giovinezza 


co^to  dall'esilio  con  tatta  la  parte  guelfa  e 
ritornò  in  patria  nel  1276:  partecipe  alla 
lega  goeUs  nel  1284  oontro  la  patria,  nel 
1285  fu  assunto  ool  conte  Ugolino  alla  si- 
gnoria di  Fisa,  ma  presto  si  manifestarono 
tra  i  due  gravissime  discordie,  delle  quaU 
abilmente  si  valse  l'aroivesoovo  Buggiori  (efr. 
Hf,  xzzm  14)  a  procurare  la  rovina  d' en- 
trambi :  dopo  la  catastn^  del  Qherardesca, 
il  giudice  Nino,  capo  de'  guelfi  pisani  faoru- 
sdti,  fu  dal  1288  al  98  l'anima  della  guerra 
onde  i  comuni  di  Firenze,  Genova  e  Lucca 
travagliarono  Fisa,  tentando  di  punire  la  no- 
vella Tebe  per  la  strage  del  oonte  e  dei  fi- 
gliuoli, e  nel  9B  fft  capitano  della  Taglia 
guelfa  di  Toscana  oontro  la  patria:  il  12  lu- 
glio di  quell'anno  fa  fatta  la  pace  di  Unceo- 
chio,  tra  la  lega  guelfa  e  Fila,  e  Nino  avrebbe 
potuto  ritornare  in  patria;  ma  prevalendovi 
i  ghibellini  non  vi  rientrò,  e  riparò  prima  a 
Genova  e  poi  in  Sardegna  :  mori  ancora  gio- 
vine nel  1296,  e  volle  che  il  suo  onore  fosse 
portato  dall'isola  a  Lucca,  in  terra  di  guelfi, 
e  Tale  r  uomo  (ooal  il  Del  Lungo,  DanlU^  I 
290)  a  cui  l'Alighieri  fa  festa,  incontrandone 
lo  spirito  nella  valletta  de'  Frinoipi  soli'  ul- 
timo balzo  dell'antipurgatorio,  e  che  egli  di- 
spone intomo  a  sé  e  a  Virgilio  in  nobile 
compagnia  oon  Currado  Malaspina  e  il  man- 
tovano Sordello.  Bisplendono  sul  loro  capo, 
di  prima  sera,  le  stelle,  che  irraggiano  la  sacra 
montagna  e  le  sconfinate  soiitadini  dell'  o- 
oeano  antartioo  :  per  l' aere,  che  si  è  fatto 
scuro,  lampeggiano  le  spade  angeliche  ousto- 
ditrid  della  valle  dagli  assalti  del  serpente, 
e  luce  sovramana  mandano  le  teste  bionde 
e  le  isooe  de'  due  celesti  oombattitorL  L'ul- 
tima ora  del  giorno  ò  stata  salutata  da  quelle 
gentili  ombro  con  l'inno  di  oompiòta.  Te 
hteia  anU  tormsmim,  ohe  al  poeta  estatico 
ricorda,  dal  mondo  di  qua,  le  ineffabili  mor 
linconie  del  tramonto  e  le  squille  dell'ave- 
maria  piantanti  il  giorno  che  muore.  Nes- 
sun' altra,  forse,  delle  figure  del  poema  ha 


332 


DIVINA  COMMEDIA 


Ql        non  dìchiarisse  ciò  che  pria  serrava. 
Vèr  me  si  fece,  ed  io  Ter  lui  mi  fei: 
giudice  Nin  gentil,  quanto  mi  piacque, 
54        quando  ti  vidi  non  esser  tra  i  rei  ! 
Nullo  bel  salutar  tra  noi  si  tacque; 
poi  domandò:  <  Quant'è  che  tu  yenisti 
57        a  pie  del  monte  per  le  lontane  acque?  » 
€  0,  diss*  io  lui,  per  entro  i  lochi  tristi 
venni  stamane,  e  sono  in  prima  vita, 
60        ancor  che  P  altra  si  andando  acquisti  >. 
E  come  fu  la  mia  risposta  udita, 
Sordello  ed  egli  indietro  si  raccolse, 
63        come  gente  di  subito  smarrita. 

L'uno  a  Virgilio  e  l'altro  ad  un  si  volse, 
che  sedea  li,  gridando  :  «  Su,  Currado, 
66        vieni  a  veder  che  Dio  per  grazia  volse  >. 
Poi  volto  a  me:  <  Per  quel  singular  grado, 
che  tu  dèi  a  colui,  che  si  nasconde 
69        lo  suo  primo  perché  che  non  gli  è  guado. 


avuto  dft  Dante  nn  tal  fondo,  doro  luci  od 
ornine,  imagini  od  attoggiamenti  dispongano 
a  maggior  delicatezza  e  intimità  d' affètti  il 
onore  di  chi  legge  >.  —  61.  boi  dlchlarlise 
ecc.  non  laadasse  apparire  chiaramente  ciò 
che  prima  era  impedito  dalla  lontananza.  — 
62.  Ter  me  eco.  L'amicizia  di  Dante  por  Nino 
Visconti,  cominciasse  poi  come  alcuni  vogliono 
all'assedio  di  Caprona  del  1289  (otr,  hif,  xxi 
94),  0  come  par  più  probabile,  nella  stessa 
Firenze  durante  le  molte  relazioni  ohe  il  giu- 
dice di  Gallura  ebbe  con  la  città  guelfa  sino 
al  1298,  dovette  essere  amicizia  calda  e  af- 
fettuosa, nata  dal  consenso  delle  opinioni 
politiche,  accresciuta  dalla  comunanza  dei  de- 
sideri e  delle  speranze,  e  tenuta  viva  nel 
poeta  dai  ricordi  suoi  giovenili  di  guelfo,  che 
egli  non  cancellò  mal  dalla  memoria  (cfr.  Del 
Lungo,  Dante^  I  203).  —  64.  quando  ti  vidi 
ecc.  Benv.  nota  che  Dante  tràieva  della  sal- 
vezza di  Nino  perchó  a  lungo  aveva  guerreg- 
giato contro  la  patria  ;  che  potò  essere  in- 
tenzione del  poeta,  sebbene  a  questi  versi 
si  possa  attribuire  anche  un  senso  piò  posi- 
tivo :  quanta  gioia  provai  a  trovarti  fra  le 
anime  elette,  in  luogo  di  salvazione!  —  66. 
(jnamt'à  ecc.  Da  quanto  tempo  sei  tu  venuto 
nell'  antipurgatorio  dalla  foce  del  Tevere  ? 
Nino,  non  sapendo  che  Dante  è  ancora  vivo, 
crede  ch'egli  sia  stato  portato  al  regno  della 
purificazione  nello  stesso  modo  che  ci  ven- 
gono le  altre  anime  (cfr.  Purg.  n  101  e  segg.). 
—  68.  per  entro  ecc.  Venendo  attraverso 
l'inferno,  sono  giunto  questa  mattina  (10 
aprile  :  cfr.  Purg,  1 19)  al  purgatorio  ;  e  sono 


ancora  nella  vita  corporea,  sebbana  lo  Cuoia 
questo  viaggio  per  acquistare  la  vita  eterna 
(cfr.  Purg,  n  91)  —  61.  E  ecsM  fa  eoo.  Sor- 
dello, ohe  pur  era  in  compagnia  di  Danto  a 
Virgilio  da  qualche  tempo,  non  si  era  aooorto 
ancora  che  uno  dei  due  viaggiatori  tome  vivo: 
che  non  è  in  oontradizlone  con  gli  alfzi  oasi 
in  cui  le  anime  s'accorgono  dell'essere  veco 
di  Dante  o  dal  respirare  (Inf.  zzni  88,  I\Hry, 
n  67)  o  dal  muovere  quel  oh'  ei  tocca  (li^. 
xn  81)  o  dall'ombra  del  suo  oocpo  (Avy.  m 
88,  V  4,  26)  ;  perché  Sordello  era  stato  oosi 
sorpreso  dal  trovare  Virgilio,  il  suo  grande 
concittadino,  che  non  aveva  badato  pl6  che 
tanto  al  suo  compagno  (e  sì  ricordi  la  do- 
manda, Airy.  vn  8 :  Voi  eki  tieU?  rimasta, 
quanto  a  Danto,  insodiafSitta,  senza  che  il 
trovatore  v*  insista),  e  O  segno  pi6  manito- 
sto,  ohe  sarebbe  stato  quello  dell'ombra,  non 
appariva  perché  il  sole  era  già  nascosto  dalla 
montagna  (cfr.  Purg.  vi  66).  —  68.  ••se 
gento  eoo.  come  fii  chi  resta  colpito  da  im- 
provviso stopore.  —  64.  Lhino  eoo.  Sordello 
si  volge  a  Virgilio,  suo  concittadino,  a  Nino  a 
un  suo  compagno  della  valletta,  Corrado  Mala- 
spina  (cfr.  T.  109).  —  66.  a  vadar  che  eoo. 
a  vedere  cosa  meravigliosa  ohe  Dio  volle  con- 
cedere a  costui,  d'  andare  vivo  per  il  regno 
doi  morti.  —  volse:  cfr.  Inf.  u  118.  —  67. 
Per  «ael  slagilar  eco.  Per  quella  gratitu- 
dine singolare  ohe  tu  devi  a  Dio,  ti  prego 
ecc.  —  68.  cke  sf  naseande  eoo.  òhe  na- 
sconde le  prime  cagioni  del  suo  opeiare  in 
modo  che  restano  inaccessibili  alla  manto  uma- 
na. —  69.  non  gii  ecc.  non  vi  è  passaggio  ad 


PURGATORIO  -  CANTO  Vm 


333 


72 


75 


quando  sarai  di  là  dalle  larghe  onde, 
di*  a  Giovanna  mia,  che  per  me  chiami 
là  dove  agl'innocenti  si  risponde. 

Non  credo  che  la  sua  madre  più  m' ami, 
poscia  che  trasmutò  le  bianche  bende, 
le  quai  convien  che  misera  ancor  brami. 


«a»,  BOB  Ti  si  «iriTm  (per  ti  Moto  di  gli  ofr. 
Btf.  zxm  64).  —  70.  fwid  «oo.  qvudo  ta 
mai  Tìtonuàto  nel  mondo  di'  ali*  mia  Gio- 
Taima  che  innalzi  per  me  me  preghiere  al 
dolo.  —  71.  Glovanaa  «lai  Nino  Viaoonti  la- 
add  morendo  una  flgliaola  di  nome  Oioranna, 
natagli  intomo  al  1291  da  Beatrice  d'Este  eoa 
donna:  qneeta  Okrranna  laooomandata  nel 
1295  da  Bonifazio  Vili  alla  tatela  del  com^^M 
di  Volterra,  oome  figlia  d'on  guelfo  che  bene 
ayeva  meritato  deDa  parte  di  CSiieia,  ta,  epo- 
^Uta  di  tatti  i  suoi  beni  dai  g^bellini,  e  ee- 
gnf  la  madie  a  Ferrara  e  a  Milano,  finché  gio- 
Tinetta  ancora  fti  datain  moglie  a  Bizzardo  da 
Camino  tignore  di  Treriio  (oCr.  Par,  ix  60)  : 
aOa  morte  del  marito,  nel  1812,  non  ti  sa 
s'ella  rimanesse  nella  Marca  trivigiana  o  se 
n' allontanaase  subito;  certamente  nel  1828 
si  era  ridotta  a  rlTero  a  Firenxe,  in  misera 
condizione,  ma  cdives  yirtntibtu  et  bona 
spe  »,  come  dice  una  provrisione  del  comune 
per  la  quale,  in  memoria  dei  meriti  guelfi  del 
giudice  Nino,  ta  assegnato  a  Woranna  un 
dono  di  milleduecento  lire:  non  appare  quan- 
do  eOa  morisse,  ma  sembra  certo  innanri  al 
1839.  «  Questa  donna  (osserva  il  Del  Lungo, 
Danit,  I  888)  Dante  ritrasse  del  1800  orfluia 
CuiciuUetta  con  que*  due  Tersi,  che  sono  una 
musica  di  affetto  paterno  :  ma  nella  fluidul» 
letta  decenne  i  leggitori  che  egli  pili  deside- 
rò, con  ispesanza  di  yinceme  la  crudeltà,  i 
Guelfl  suoi  emliatori,  dorenrano  subito  ripen- 
sare la  donna,  la  moglie  del  wignon  dalla 
Ua^aUa  satireggiato  altrove  nel  PwaditOt  ri- 
pensare la  donna  e  la  guelfii  sua  istoria;  e 
a  questo,  certsmente,  avere  anche  la  mira  il 
poeta  ».  —  72.  là  dove  eco.  Si  ricordi  ciò 
che  ha  detto  Belaoqua,  Pwrg.  iv  184,  essere 
efRcad  rispetto  alle  anime  le  preghiere  che 
s' alzano  dai  cuori  viventi  nella  grazia  del 
&gnore  ;  e  s'intenda  quindi  là  dov6  eoo.  non 
por  la  chiesa  o  il  luogo  sacro  ove  Qiovanna 
dovesse  redtaie  le  sue  orarioni  per  il  padre, 
come  spiegano  il  Buti  e  il  Land.,  ma  per  il 
delo  al  quale  suonano  gradite  le  pregiiiere 
dei  buonL  —  78.  Hon  eredo  ecc.  Beatrice 
d'Este,  fl^ia  del  marchese  Obizzo  II  (ofr. 
ìnf,  zn  Ul)  e  moglie  di  Nino  Visconti,  alla 
morte  del  marito  ritornò  con  la  figlioletta 
Giovanna  a  Ferrara,  neDe  case  paterne;  e  ivi, 
prima  fu  promessa,  ma  non  data,  a  un  figlio 
di  Alberto  Scotti  signore  di  Piacenza,  e  poi 
sposata  a  Galeazzo  figliaolo  di  Matteo  Vi- 


sconti, signore  di  Milano:  le  nozze,  già  in- 
nanzi conduse  per  trattato,  furono  con  so- 
lennità grande  celebrate  in  Modena  nel  pri- 
mo semestre  del  1800.  Beatrice  entrò  in  Milano 
il  8  luglio,  con  molto  seguito  nel  quale  appa- 
riva la  figliuola  Giovanna  ;  ma  n'  nscf  presto, 
cacciati  nel  1802  tutti  i  Visconti  per  il  preva- 
lere dd  Torriaai,  e  seguì  le  vicende  ora  liete 
ora  tristi  della  saa  nuova  famiglia  e  del  ma- 
rito, che  spodestato  ai  tempi  di  Ludovico  il 
Bavero  d  ridusse  in  Toscana,  soldato  di  Ca- 
stmcdo  CJastraoani  e  vi  mori  noi  1828.  Ma 
Beatrice  tornò  presto  in  buona  fortuna,  quan- 
do Azze  suo  figlio  ebbe  riavuta  la  signoria 
di  Milano,  e  visse  fiino  al  1834:  morendo 
voUe  essere  sepolta  in  un'arca  ornata  con  le 
insegne  delle  due  famiglie  dd  Visconti  mi- 
lanesi e  pisani,  la  vipera  e  il  gallo,  sebbene 
in  vita  avesse  nel  suo  sigillo  congiunta  alla 
vipera  maritale  l'aquila  patema.  Giustamente 
osserva  il  Del  Lungo,  IkmUy  I  807,  che  la 
gelosia  di  Nino  non  basta  a  spiegare  le  sue 
violente  parole  e  che  il  suo  cruccio  non  è 
solamente  maritale,  ma  s(  anche  vi  ri  sente 
l'uomo  di  parte  per  caverò  Id,  Beatrice 
d'Este,  figliuola  d' Obizzo,  sorella  d'Azze, 
guelflssiffii  e  de'  pifi  fieri  e  rinomati  e  tra- 
vaglianti  partigiani,  vedova  di  lui  Nino  Vi- 
sconti vissuto  tutto  in  combatter  pei  Guelfi 
e  morto  in  guelfo  edlio,  avere  accettato  pa- 
rentado co'  Visconti  di  Milano  capitani  di 
parte  ghibellina  in  quasi  tutta  Lombardia,  e 
segnacolo  di  Ghibellini  la  loro  bisda  ».  —  74. 
traamatòi  so  nell'aprile  del  1800,  che  ò  il 
tempo  della  vidone,  le  nozze  di  Beatrice  con 
Galeazzo  fossero  già  state  celebrate,  non  6  ben 
corto:  poiché  mentre  G.  Fiamma,  Rer.  Hai. 
XI  716,  le  pone  all'anno  1299,  i  cronisti  mo- 
dened  le  assegnano,  senza  pi6  precisa  deter- 
minazione, al  primo  semestre  1900  (Oon,  mo- 
deri. ,  Modena  1888,  pp.  88-89);  il  che  può 
voler  dire  che  furono  concluse  per  trattato 
nel  1299  e  celebrate  di  fatto  nel  1300  (cfr. 
sulla  questiono  BuU.  VI  187-138,  144-146). 
—  le  bianche  bende:  furono  segno  di  ve- 
dovanza nel  costume  femminile  del  medio- 
evo le  vesti  nere  e  i  veli  bianchi  (cf^.  Boo- 
caccio,  Ckjrbacdo:  e  Guarda  come  a  cotal 
donna  stanno  bene  le  bende  bianche  e  i 
panni  neri  >).  —  76.  le  f  sai  eco.  non  già 
per  infelìdtà  coniugali  di  che  nulla  sappiamo, 
ma  per  le  sciagure  viscontee  del  1902  e  de- 
gli anni  seguenti,  esdusa  per  altro  la  misera 


334 


DIVINA  COMMEDIA 


Per  lei  assai  di  lieve  si  comprende, 
quanto  in  femmina  foco  d'amor  dura, 
78       se  rocchio  o  il  tatto  spesso  non  l'accende. 
Non  le  feurà  si  bella  sepoltura 
la  vipera  che  i  milanesi  accampa, 
81        com'  avria  fatto  il  gallo  di  Gallura  >. 
Cosi  dicea,  segnato  della  stampa 
nel  suo  aspetto  di  quel  dritto  selo, 
84        che  misuratamente  in  core  avvampa. 

Gli  occhi  miei  ghiotti  andavan  pure  al  cielo, 
pur  là  dove  le  stelle  son  più  tarde, 
87        si  come  rota  più.  spesso  allo  stelo. 

E  il  duca  mio  :  <  Figliuol,  che  là  su  guarde  ?  » 
ed  io  a  lui:  <  A  quelle  tre  fisu^elle, 
90        di  che  il  polo  di  qua  tutto  quanto  arde  ». 
Ed  egli  a  me  :  €  Le  quattro  chiare  stelle, 
che  vedevi  staman,  son  di  là  basse, 
9B        e  queste  son  salite  ov'  eran  quelle  ». 
Com'ei  parlava  e  Sordello  a  sé  il  trasse 
dicendo:  «  Vedi  là  il  nostro  awersaro  »; 
96        e  drizzò  il  dito,  perché  in  là  guardasse. 


fine  del  marito  male  a  proposito  ricordata  qui 
da  alcuni  commentatori.  —  76.  Per  lei  eco. 
Per  r  esempio  di  Beatrice  si  vede  quanto 
breve  sia  la  dorata  dell'  amore  donnesco,  se 
non  è  tonato  acceso  dalla  Ticinanza  dell'aomo 
amato.  —  79.  Mùm  le  Ikrà  ecc.  L' insegna 
dei  Visconti  di  Milano,  posta  snlla  sua  se- 
poltora,  dimostrando  ch'ella  passò  a  seconde 
nozze  in  casa  di  ghibellini  non  le  farà  tanto 
onore,  quanto  onore  le  farebbe  l'insegna  dei 
Visconti  di  Pisa,  mostrando  che  si  fosse  ser- 
bata fedele  alla  nascita  gnelfa  e  al  primo 
marito.  —  80.  la  Tlpe^*  «ce  la  vipera  o  la  bi« 
sda  Tiscontea,  diyennta  insegna  di  guerra  dei 
milanesi.  Lana  :  «  Quando  11  milanesi  vanno  in 
oste,  dove  si  pone  quella  insegna  si  pone  il 
campo;  e  fine  che  quella  bandiera  non  è  po- 
sta, è  grande  bando  a  penare  altra  insegna, 
ed  ò  stato  sempre,  e  per  tempo  di  parte  gaelik 
e  per  tempo  di  psite  ghibellina  »;  chiosa  con- 
fermata da  una  esplicita  tsetimonianza  di 
Bonvesino  della  Biva,  D$  magnalibua  urbig 
Mediolani  (cfr.  F.  Kovati,  Indagim  cit). 
—  82.  segnate  della  eoo.  commosso  da  quel 
nobile  e  sdegnoso  rammarico,  che  accende 
gli  animi  senza  divenire  volgare  e  dispet- 
toso rancore.  —  85.  Gli  cechi  ecc.  Dante, 
bramoso  di  vedere  nuove  cose,  guardava  so- 
lamente al  cielo,  verso  il  polo  antartico,  ove 
le  stelle  appaiono  pid  lentamente,  come  fanno 
le  parti  della  ruota  più  vicine  all'  asse.  — 
88.  E  il  d«eA  eco.  Virgilio  chiede  a  Dante  a 


che  cosa  mai  guardi  con  tanta  attendono,  e 
il  suo  discepolo  risponde,  quasi  intenogan- 
dolo,  di  guardare  a  tre  stelle  risplendenti  di 
viva  luce  verso  il  polo  antartico.  —  89.  tre 
facelle:  le  tre  stelle  simboleggiano,  per  oo- 
mune  consenso  degli  espositori,  la  vizt&  teo- 
logali (fede,  speranza  e  oaritàX  come  lo  quat- 
tro stelle  vedute  al  mattino  (cfìr.  Puirg,  i  22) 
simboleggiano  le  virtd  cardinali:  alonni  per 
altro  vogliono  ohe  le  tre  stelle,  come  già  lo 
quattro,  non  fossero  imaginate  dal  poeta; 
ma  oh'  ei  pensasse  a  vere  stello  delle  coetel- 
larioni  della  Nave  e  dell'  Erìdano  noto  per 
antichi  trattati  d'astronomia.  —  91.  Le  %mmt- 
tro  ecc.  Lo  stelle  vedute  stamane  sono  on 
al  di. là  del  meridiano,  e  queste  che  tu  vedi 
hanno  preso  il  loro  luogo.  Lomb.  :  <  Signift* 
cando  le  quattro  stollo  del  primo  canto  le 
quattro  cardinali  vlrtó,  fecole  il  poeta  appa- 
rire sui  principio  del  giorno  j  ed  oi%  al  prin- 
cipiar della  notte  fa  in  luogo  loro  vedersi 
altre  tro  significanti  le  tre  virtà  teologali,  a 
dinotare  cho  appartengono  quelle  alla  vita 
attiva,  a  cui  meglio  si  confà  il  di,  e  questo  alla 
vita  contemplativa,  a  cui  meglio  la  notte  si 
oonvieno  ».  —  9i.  Com'el  ecc.  Mentre  Virgilio 
parlava  a  Dante  intomo  alle  stelle,  Sordello 
richiamò  la  sua  attenzione  e  gli  additò  il  sei^ 
pente  che  si  avanzava.  —  95.  il  nostro  av- 
versare: cosi  è  chiamato  nella  bibbia  il  dia- 
volo (Pietro,  /  Epist,^  v  8),  il  quale  assume 
la  forma  del  soxpente  per  sedurre  gli  uomini; 


PURGATORIO  -  CANTO  Vili 


335 


Da  quella  parte,  onde  non  ha  riparo 
la  pioclola  vallea,  era  una  biscia, 
99        forse  qual  diede  ad  Eva  il  cibo  amaro. 
Tra  Perba  e  i  fior  venia  la  mala  striscia, 
volgendo  ad  or  ad  or  la  testa  al  dosso, 
102        leccando  come  bestia  ohe  si  liscia. 
Io  non  vidi,  e  però  dicer  non  posso, 
come  mosser  gli  astor  celestiali, 
105        ma  vidi  bene  e  l'uno  e  l'altro  mosso. 
Sentendo  fender  l'aere  alle  verdi  ali, 
fuggi  il  serpente,  e  gli  angeli  diér  volta 
108       suso  alle  poste  rivolando  eguali. 

L'ombra,  che  s'era  al  giudice  raccolta 
quando  chiamò,  per  tutto  quell'assalto 
111        punto  non  fii  da  me  guardare  sciolta» 
€  Se  la  lucerna  che  ti  mena  in  alto 
trovi  nel  tuo  arbitrio  tanta  cera, 
114        quant'è  mestiere  infino  al  sommo  smalto, 


dir.  ApoeaL  xn  9  :  «0  serpente  «itico,  ehe 
è  difim«to  Diarolo  e  Satana,  il  quale  aed- 
dnoe  tatto  il  mondo  ».  ~  97.  Da  qnella  eoo. 
n  aenNante  a'aTansa  entrando  nella  valletta 
da  qiuSbk  parte  or*  eaM  è  aporta,  forse  nello 
stssao  modo  tenuto  qTiando  pdtse  ad  Era  il 
frutto  rietato.  Certamente  questo  serpente 
siaboleggì*  la  tentadone;  al  qnale  proposito 
■saai  aontusente  scrisse  il  Gea.,  seguito  poi 
dai  miglioxi  interpreti  modemL  «lo  oredo 
aror  rolato  Dante  a  questi  nogligenti  del- 
l' antiporta  del  porgstotio,  assegnar  eziandio 
questa  pena  (oltre  al  dover  aspettar  di  fboil 
la  kv  pQigazione),  di  temere  e  tribolani  per 
la  venuta  del  serpente  ogni  sera;  ed  ogni 
■era  volgerai  a  Dio  oon  quelle  loro  preghiere, 
invocando  il  socoocso  degli  Angeli  contro 
r  assalto  lor  minacciato  :  dico  del  temere  e 
tribolarsi  senxa  pid  :  perché  non  voglio  cre- 
dere che  Dante  gli  iàoone  in  Catto  soggetti 
a  quelle  carnalità  alle  quali  slam  noi,  essendo 
troppo  sicuro  che  l' anime  usdte  da  questo 
stato  di  vita,  come  di  merito  cosi  né  di  tenta- 
zione non  sono  capaci:  ma  per  loro  pena  basta 
U  timore.  E  volle  forse  Dante  simboleggiar 
un'altra  ordinazione  della  provvidenza  di 
Dìo  :  cioè  ohe  coloro  i  quali  nella  vita  pre- 
sente indugiano  la  penitenza,  per  divino  giu- 
dizio e  per  malo  effetto  degU  abiti  loro  ad- 
dosso lasciati  invecchiare,  sono  pid  duramente 
tempestati  dalle  diaboliche  suggestioni:  il 
poche  di  piti  guardia  e  di  più  orazioni  fa 
loro  bisogno,  ad  impetrare  il  soccorso  cele- 
sta. £  questo  è,  pare  a  me,  quel  vero,  coi 
a  ravvisare  ò  mestieri  aguzzar  gli  occhi  ».  — 

99.  Forse  «sai  eoo.  cf^.   Om.  ni  4-6.  — 

100.  la  mala  itrliela  :  il  serpente  tentatore 


che  avanzava  strisciando.  •—  101.  ad  or  ad 
or:  cfir.  Jbif.  xv  81.  —  102.  leccaado  ecc. 
leccandosi  come  sogliono  Care  gli  animali  che 
si  lisciano,  ripiegandosi  col  capo  sul  dosso. 
—  108.  !•  noB  vldt  eoo.  Dante  non  può  ri- 
dire come  gli  angeli  spiccassero  il  volo  con- 
tro il  serpente  perchó  non  vide  la  lor  mossa 
essendo  tutto  intento  alla  mala  sMsda;  si  vi- 
de gli  angeli  ohe  già  volavano  e  il  serpente 
che  ftiggi  al  solo  muover  delle  loro  ali.  — 
104.  aator  eelestlall  t  angeli  celesti  ;  chia- 
mati aatoriy  che  sono  uccelli  di  rapido  volo 
e  nemici  delle  serpi.  —  107.  dlSr  volta  «co. 
tornarono  indietro  volando  su  verso  il  dolo 
oon  volo  uguale.  — 108.  peste:  il  nome  po- 
«to,  ohe  sìgniiica  luogo  assegnato  (^f,  xiii 
118,  zzn  148  ecc.),  ò  tratto  qui  a  signifloare 
il  cielo,  luogo  assegnato  agli  angeli  come  pro- 
pria dimora.  —  109.  L'ombra  ecc.  L'anima, 
che  da  Nino  era  stata  chiamata  a  vedere  il 
miracolo  di  Dante  vivo,  durante  l'assalto  de- 
gli angeli  contro  il  serpente  non  allontanò 
mai  gli  occhi  dal  poeta.  Quest'anima  ò  quella 
del  marchese  Corrado  Malaspina  il  giovine, 
figlio  di  Federigo  I  marchese  di  Yillafranca 
e  vissuto  fino  al  1294  (cf^.  E.  Branchi,  Storia 
detta  Lunigicma  fntdale,  H  9-12).  —  112.  8e 
la  Iseema  ecc.  Cosi  la  grazia  illuminante 
del  Signoro,  la  quale  ti  trae  verso  il  dolo, 
possa  trovare  tanta  cooperazione  nella  tua 
volontà  quanta  bisogna  per  arrivare  sino  al 
paradiso  ecc.  —  118.  trovi  ecc.  la  cera  ò 
r  alimento  del  lume,  come  la  volontà  della 
grazia;  ofr.  Tommaso  d'Aquino,  Smnmaf 
p.  n,  2*,  qnest.  vm,  art  4  :  «  In  omnibas 
habontibus  gratiam  necesse  est  rectltndinom 
yoluntatis  ».  —  114.  sommo  smalto:  i  più 


336 


DIVINA  COMMEDIA 


cominciò  ella,  se  noTella  Tera 
di  Val  di  Magra  o  di  parte  yicina 
117        sai,  dilla  a  me,  che  già  grande  là  era. 
Chiamato  fui  Corrado  Malaspina; 
non  son  l'antico,  ma  di  lui  discesi: 
1*20       a'  miei  portai  l'amor  che  qui  raffina  ». 
€  0,  diss'  io  lui,  per  li  vostri  paesi 
giammai  non  fui;  ma  dove  si  dimora 
123       per  tutta  Europa,  ch'ei  non  sien  palesi? 
La  fama  che  la  vostra  casa  onora 
grida  i  signori  e  grida  la  conlarada. 


del  oommenUtoTi  aattohi  inteeero  ohe  fosse 
indicato  oocf  il  cielo,  luogo  dell*  eterna  bea- 
titudine, ohe  all'  occhio  nostro  appare  oome 
ricoperto  di  anorre  smalto:  invece  Benv.  se- 
guito da  molti  moderni  spiegò  mmwno  miiatto 
per  la  cima  del  monto  sacro,  ov*  ò  il  para- 
diso terrestre,  loogo  d'eterna  primavera.  — 
115.  se  Borella  eoo.  0  Malai^ina  domanda 
a  Danto  vere  notizie  solle  condizioni  della 
vai  di  Magra  e  dei  paesi  vicini,  ove  egli  e  i 
snoi  consorti  ebbero  lungamente  signorìa;  e 
accenna  in  partioolar  modo  alla  vai  di  Hag^ 
perdié  proprio  nel  centro  di  essa  sorge  fi  ca- 
stello di  Villaftanca,  ohe  nelle  divisioni  dei 
possessi  fendali  della  lamigiia  Malaspina  era 
toccato  a  sno  padre  Federigo  I  e  di  coi  egli 
e  i  fratelli  ricomprarono  nel  1281  la  parte 
toccate  già  ad  nn  altro  parente:  in  Villa- 
franoa  Oonado  foce  il  sao  testamento  nel 
129A.  —  119.  Pantlee:  Oonado  Malaspina 
il  vecchio,  figlio  di  Obizzo  II  e  vissato  molti 
anni,  sino  almeno  al  1268,  fa  antere  del  ra- 
mo dei  Malaspina  detti  di  Mnlazzo  osria  dallo 
Spino  secco,  e  padre  di  Federico  I  di  Villa- 
fhuica,  e  perciò  avo  di  Corrado  il  giovine: 
dei  tuoi  fatti  paria  lungamente  il  Branchi, 
op.  dt,  I  lU  e  segg.,  161  e  segg.  L'ipo- 
tesi di  0.  Schultz  e  a.  Del  Noce,  L$  epidoU 
del  trowUon  Bombaldo  di  Vaq%t«itra8f  Firenze 
1888,  .pp.  166-168  e  176-182,  che  prima  del 
laOO  siano  vissuti  tre  Malaspina  di  nome 
Corrado,  il  prime  alla  fine  del  sec  zn,  il 
socondo  nella  prima  metà  del  xm  e  il  terzo 
nella  seconda,  e  che  l' anitieo  sia  il  «SKmdo, 
non  ha  fondamento.  —  120.  a'  Miei  ecc.  ai 
miei  consorti  portai  quell'amore,  ohe  nel 
mondo  volge  gli  uomini  alla  cura  dello  dbee 
torrone  e  qui  invece  si  purifica  volgendoli  a 
Dio.  Queste  è  Tinterpretarione  pi6  comune, 
accanto  alla  quale  altre  dettero  gli  antichi  ; 
r  Ott.  :  e  Portai  tanto  amore  a'  miei,  che  io 
ne  lasciai  la  cura  dell'anima  ed  indugiai 
r  opere  meritorie  della  salute  per  guerreg- 
giare ed  acquistare  amici  ;  il  quale  amore  qui 
bì  ammenda  e  puxiga  »,  o  TAn.  fior.  :  <  L' a- 
more  ohe  io  portai  a'  miei  consorti  ancora  qui 


mi  giova  ».  Benv.  aeceina  che  Corrado  va- 
nendo a  morte  senza  figliuoli  maschi  divise 
i  snoi  possessi  tra  i  sud  parenti,  eccitandoli 
alla  eoneordia  ;  e  Pietro  di  Dante  e  il  Gms. 
con  pid  particolari  dicono  che  questi  poseosnl 
furono  la  città  di  Bosa  o  alcuni  castelli  di 
Sardegna,  pervenuti  a  Corrado  come  doto 
della  moglie  :  oertamento  nel  sno  testamento 
del  129A  lasciò  <  ogni  sno  feudo,  ragioni  •  be- 
ni allodiali  ai  fratelli  •  nepoti,  la  eoooordto 
e  l'unione  pel  mantenimento  della  giandena  / 
della  femiglia  raccomandando  »  (Branchi,  op. 
dt,  n  11),  e  nulla  ditone  a  fiorare  deUa 
mofl^  Oriette  o  della  flgUa  ^ina,  delle 
quali  novellò  poi  il  Boccaccio,  g.  II,  n.  6  ; 
si  che  potrebbe  intendersi  eeser  Corrado  in 
puxigatorio  a  seoatare  l'seeessivo  aaora  per» 
tato  alla  grandes»  delle  proprte  stirpe,  ohe 
gli  fece  posporre  i  snoi  pii  sferettt  di  sangne. 

—  121.  O,  «issle  eco.  Nel  laOO  Dante  non 
aveva  ancora  visitato  le  tstie  feudali  dei 
Malaspina,  par  oonoaeendo  per  fema  il  vaUwe 
e  la  Uberafità  di  qoei  marchesi  :  v'andò  poi 
nel  1806  e  forse  altre  volte,  nel  primi  anni 
del  triste  esilio,  accolte  con  molte  dimostra- 
zioni di  benevolena  da  paitwchi  di  quei  si- 
gnori (cfr.  L.  Staibttl,  BMtt.  VI  105-118). 

—  128.  ei  ■•■  sten  ecc.  quelli  deD»  vostra 
fìuniglia;  poiché  col  pronome  «(,  piti  tosto 
ohe  riferirsi  ai  jMtsi,  Dante  riprende  l'ao- 
oenno  di  Cocrado  (v.  120:  a'oiM)  alla  grande 
casate  dei  marchesi  Malaspina,  die  il  poeto 
spedfioa  pd  pld  ^wrtamente  nella  tersine 
segnsnte  (la  vottn  essa,  i  tignoiij.  —  12&.  La 
fama  ecc.  Non  deve  sembnwe  fit  eeagsiata 
U  lode  che  Dante  dà  qui  alla  fkod^  Mala- 
spina;  poiché  veramente  qnd  signori  sia  per 
imprese  proprie,  sia  per  le  molto  reladoai 
con  le  repubbliche  toccane,  liguri  e  lombarde, 
sia  per  i  parentadi  stretti  con  molto  case  fen- 
dali, sia  finalmento  per  c^talità  concedute 
ai  trovatori  provenzali,  ersno  notissimi,  non 
pure  in  Italia,  ma  anche  in  altri  paed  d' Eu- 
ropa e  massime  in  Francia;  cfr.  0.  Schultz, 
op.  dt,  pp.  168-172.  —  126.  grida  1  slgnerl 
ecc.  celebra  i  signori  e  celebra  il  paese.  — 


PURGATORIO  -  CANTO  Vm 


337 


126       bL  che  ne  sa  chi  non  vi  fd  ancora. 
Ed  io  vi  giuro,  8*io  di  sopra  vada, 
che  vostra  gente  onrata  non  si  sfregia 
129        del  pregio  della  borsa  e  della  spada. 
Uso  e  natura  si  la  privilegia 
che,  perché  il  capo  reo  lo  mondo  torca, 
132        sola  va  dritta  e  il  mal  cammin  dispregia  ». 
Ed  egli  :  e  Or  va,  ohe  il  sol  non  si  ricorca 
sette  volte  nel  letto  che  il  Montone 
185        con  tatti  e  quattro  i  piò  copre  ed  inforca, 
che  cotesta  cortese  opinione 
ti  fia  chiavata  in  mezzo  della  testa 
con  maggior  chiovi  che  d'altrui  sermone, 
139    se  corso  di  giudizio  non  s*  arresta  >. 


127.  f  *lo  di  10^»  Tftdm  :  ood  io  poM»  gimi- 
gere  al  aommo  mnaUoy  compiendoai  il  TMtro 
anicino.  ~  128.  Tostra  geuìè  eoo.  la  yottra 
stirpe  onorata  non  ha  perdato  il  pregio  della 
liberalità  e  del  Talore,  le  dae  somme  virtà  oa- 
TaUeresche,  lodate  piti  volte  dai  tioralozi  nei 
personaggi  della  iÌEumglia  Malaspina.  —  180. 
Ciò  •  BAtvra  eoo.  Le  naturali  inclinazioni  e 
la  domestica  educazione  la  privilegiano,  ti  che 
eaea  continoa  a  battere  la  via  della  virtd  e  a 
fuggire  quella  del  vizio,  sebbene  i  reggitori 
dell'unanità  la  traggono  per  il  cammino  del 
male.  —  131.  perektf  11  eapo  ecc.  Si  pud 
oostniire  e  intendere  in  due  modi  :  sebbene 
il  mondo  torca  il  reo  capo  dalla  via  virtuosa; 
oppure:  sebbene  il  reo  capo  torca  il  mondo 
dal  retto  sentiero.  Quest'ultima  d  l'intexpre- 
tadone  preferita  dai  piti  dei  oommeutatoii  : 
discordi  poi  quanto  al  capo  no^  che  seconde 
alcuni  è  il  demonio,  secondo  altri  il  papa  o 
l'imperatore  :  ma  1  versi  del  Pmg,  xvx  100- 


106  non  laadano  alcun  dubbio  ohe  Dante  ab- 
bia voluto  aooennaie  il  disordine  cagionato 
dal  papato,  con  la  oonftasione  dolio  due  po- 
destà, oivUe  e  religiosa.  Si  oh,  Arrigo  da 
Settimello,  in  199  :  €  Ipsa  caput  mundi  ve- 
nalls  curia  Pi^ae  Piostat,  et  inllimat  caetera 
membra  caput  ».  ^  188.  Bd  egli  ecc.  Cor* 
rado  predice  a  Dante  ohe  non  passeranno 
sette  anni  ch'egli  oonoecerà  di  persona  le 
virtti  dei  Malaspina,  quando  sarà  accolto  nei 
loro  castelli  ;  che  fu  nel  1806.  —  U  sol  eco. 
il  sole  non  tornerà  sette  volte  ad  adagiarsi 
nel  segno  dell'Ariete  o  montone,  nel  quale 
ò  ora.  — 187.  ti  Ha  ecc.  ti  sarà  confermata 
nella  mente  con  maggiori  prove  che  non  siano 
quelle  della  fama,  doò  con  l' eepeiienza  tua 
propria.  —  189.  se  eorio  eco.  non  s' intei^ 
rompa  11  ooxso  del  divino  giudizio,  che  ti 
serba  ad  essere  esiliato  dai  tuoi  concitta- 
dini e  a  portare  la  tua  infelicità  per  le  terre 
d'Italia. 


CANTO  IX 

Dante,  addonnentatosl  nella  valle  del  principi,  è  trasportato  nel  sonno 
alla  porta  del  purgatorio  da  Lucia,  mentre  egli  ha  di  ciò  una  visione  sim- 
bolica :  svegliandosi  si  trova  accanto  il  solo  Virgilio  ;  col  qnale,  dopo  il  per- 
messo ottenuto  dall'  angelo  portiere,  entra  nel  purgatorio  [10  aprile,  prime 
ore  della  notte,  fino  alle  prime  ore  della  mattijia  delP  11  aprile]. 

La  concubina  di  Titone  antico 


IX  L  lA  eoneublaa  eco.  Dante,  aooom- 
pagnato  dai  due  poeti  mantovani,  è  stato 
sorpreso  dal  tramonto  del  sole  sulla  sponda 
della  valletta  {FUirg,  vm  1  e  segg.),  ha  ascol- 
tato il  canto  ddl'inno  di  oompièta,  ha  aspet- 
tato e  osservato  lo  sosnduo  degli  angeli  a 

Dantb 


difesa  delle  anime  contro  il  serpente,  e  poi 
con  gU  altri  è  disceso  giti  nella  valletta  steràa, 
quando  già  I'mt  «'amwrova  (iVy.  vm  49), 
oio4  un'ora  dopo  l'avemaria:  si  ò  fermato  un 
po'  a  lungo  con  Nino  Visconti  (Aw^.  vm 
62-84),  ha  pariate  eoa  YiisiUo  intomo  alle 


333 


DIVINA  COMMEDIA 


già  s'irabUncava  al  balco  d'oriento, 
fuor  delle  braccia  del  suo  dolce  amico; 

di  gemme  la  sua  fronte  era  lucente, 
poste  in  figura  del  freddo  animale, 
che  con  la  coda  percote  la  gente: 

e  la  notte  de*  passi,  con  ohe  sale, 


tre  stello  (Atfi;.  Tin  85-93),  ha  osserrato  l'as- 
salto degli  angeli  contro  il  serpente  il\trg. 
▼m  94-106)  e  poi  ha  avuto  un  colloquio  con 
Oonado  Halaspina  (Purg,  ym  109-1S9);  e 
tutto  ciò  importa  almeno  il  tempo  di  oltre 
un'  ora.  Siamo  dunque,  al  purgatorio,  fra  le 
due  circa  e  le  tre  ore  di  notte  del  10  aprile; 
e  il  poeta  determina  questo  momento  in  ma- 
niera fantastica  e  con  precisione  astronomica 
mettendo  in  oontraposizione  V  ora  del  mondo 
di  là  con  quella  del  mondo  di  qua,  come  egli 
stesso  si  compiace  di  fare  altre  yolte  (Inf. 
TTTTT 104,  Fìo^,  n  1-9,  in  25-27,  iv  187-139, 
XT  6,  xxvn  1-6,  Air.  i  48)  ;  di  modo  oho  i 
suoi  Tersi  significano:  Qui  in  Italia  appariva 
gin  Taurora  solare  e  dalla  parte  d' oriente  si 
mostravano  ancora  le  stelle  della  costellazione 
dei  Pesci;  e  invece  nel  purgatorio  erano  al- 
l' incirca  due  ore  e  mezzo  di  notte.  Questa 
interpretazione,  proposta  nel  1775  da  B.  Fe- 
razzini,  Jn  DarUis  Oomoediam  eometiones  et 
adnotationea  (2*  ediz.,  Venezia,  1844),  accolta 
dal  Della  Valle,  il  mnao  geogr,  attron.  pp.  86- 
92  e  difesa  con  larga  dimostrazione  da  Q.  P. 
Glerid,  Studi  vari  tuUa  Dio,  Ckmm,  dt., 
pp.  41-98,  è  la  più  naturale  di  tutte  quelle 
che  furono  date  intomo  a  questo  passo,  uno 
dei  pid  discussi  del  poema.  Le  altre  inter- 
pretazioni principali  sono  :  quella  degli  an- 
tichi oommentatrài,  dal  Lana  al  Land.,  se- 
guiti da  molti  moderni,  per  la  quale  la  otm- 
eubina  di  TUom  sarebbe  l' aurora  lunare  (cfr. 
Moore,  pp.  96-98);  quella,  già  nota  a  Benv., 
difesa  dal  Veli,  e  accettata  da  molti  moderni 
suU' autorità  di  0.  Mossotti  (Opuio.  dant. 
n.*  7),  secondo  cui  sarebbe  l'aurora  solare  al 
purgatorio  (oflr.  Moore,  pp.  94-95);  e  quella 
proposta  dall'Ani,  e  propugnata  dallo  Scari., 
i  quali  leggendo  La  concubina  di  Titano  antico 
intendono  che  Danto  parli  dell'onda  marina 
(Teti,  moglie  dell'Oceano)  che  s'imbiancava 
sotto  i  raggt  della  luna  (doò  non  sotto  quelli 
di  TitanOf  del  iole,  che  d  l'amico  col  quale 
dimora  nella  notte)  sorgente  al  purgatorio 
verso  la  terza  ora  dopo  il  tramonto  del  sole 
(cfr.  Moore,  pp.  100-104).  —  Tltone  :  figUo  di 
Laomedonte  e  fratello  di  Priamo,  òhe  l'Au- 
rora, innamoratasi  di  lui,  rapi  e  portò  nel- 
r  Etiopia,  ove  lo  sposò  e  gli  ottenne  da 
Giove  l'immortalità  :  Dante  dice  l'Aurora  sua 
eonoubinOf  nel  senso  di  compagna  o  sposa, 
senza  dare  alla  parola  alcun  significato  cat* 
tivo,  come  suol  fare  d'altre  voci  (cfr.  Par,  m 
66).  —  2.  già  •'  ImblameAT*  ecc.   appariva 


biancheggiante  all'orizzonte  orientale  dell'Ita- 
lia: perché  essendo  al  purgatorio  quasi  tXB 
ore  di  notte,  dovevano  essere  quasi  tre  oro 
di  giorno  a  Gerusalemme  (cfr.  Purg,  iv  67  e 
segg.),  e  per  oonseguonza  essere  l'aurora  in 
Italia,  che  secondo  Dante  ò  a  tre  ore  di  «ole, 
oioò  a  45  gradi  di  longitudine  occidentale  da 
Gerusalemme  (cfr.  Purg,  xv  6).  —  baleo 
d'orlcBte  :  il  balcone  d'oriente  è  l'orizzonte 
orientale  (cfr.  Tasso  (Far.  Ub.  ix  74).  —  3. 
fÉor  delle  bracala  eoe  :  avendo  abbando- 
nato il  suo  dolce  marito  Titone.  Si  noti  poi 
che  tutta  la  descrizione  dantesca  ò  amplifica- 
zione della  virgiliana,  En.  iv  82  :  e  Et  iam 
prima  novo  spargebat  lumino  terras  Tithoni 
croceum  linquens  Aurora  cubile  »,  che  ricorre 
nella  stessa  En,  ix  460  e  con  lieve  differenza 
nolle  Odorg,  i  447.  —  4.  di  gevoie  ecc.  la 
fronte  dell'Aurora,  in  Italia,  era  ornata  daUe 
stelle,  che  formano  la  costellazione  dei  Pesci 
(ricordata  a  proposito  dell'alba  del  9  aprile  in 
Inf.  n  118,  e  per  quella  del  10  aprile  in 
Purg,  1 21);  le  quali  stelle  appunto  nel  tempo 
equinoziale  di  primavera  si  vedono  da  noi, 
poco  prima  del  sorgere  del  sole,  dalla  parte 
di  oriente.  ~  6.  poste  la  figura  eoe  disposte 
nella  figura  del  pesce  boreale,  quello  che  con 
la  coda  sta  rivolto  verso  l'emisfero  abitato  : 
poiché  gli  antichi  astronomi  alla  parte  pid 
alta  di  quella  costoUazione  dettero  il  nome 
di  Piaeii  borealiSf  ed  ò  quello  che  volge  la 
coda  verso  l'emisfero  superiore,  abitato  dagli 
uomini,  e  alla  parte  piò  bassa  U  nome  di  Pi' 
tei»  aiugbraU»t  ed  ò  quello  che  volge  la  coda 
verso  l'emisfero  inferiore,  che  ò  il  mnndo  s&nxa 
genie  (Bif.  zxvi  117).  —  fredde  salatale  : 
dal  Lana  in  poi  quasi  tutti  i  commentatori 
tennero  che  fosse  accennata  la  costellazione 
dello  Scorpione,  pid  forse  per  rimembranza 
dei  luoghi  d' Ovidio  (Fbsf.  nr  168,  Mei,  xv 
871)  ove  quell'animale  ò  rappresentato  come 
terribile  per  la  sua  coda,  che  per  ragioni 
astronomiche;  e  dimenticarono  che  Virgilio, 
Georg,  i  84  dice  :  «  ipso  tibi  iam  brachia  oon- 
trahit  arden»  SoorpiuSf  et  eoeli  insta  plus 
parte  reliquit  ».  Ma  l'astronomia  d  richiama 
ai  Pesci  :  e  Dante  dice  freddo  animate  per- 
ché parla  del  solo  pesce  boreale  (come  Vir^ 
gilio,  (Taori^.  r7  234:  e  sìdus...  Pisds  aquoei») 
0  pur  per  la  ragione  che  gli  fece  chiamare  la 
stessa  costellazione  col  nome  di  eelette  tasca 
Purg.  xzxii  54):  cfr.  Moore,  pp.  90-93,  che 
sostiene  trattarsi  delle  stelle  dello  Scorpione, 
opinione  difesa  anche  dal  Tonaca.  ^  7.  e  la 


PURGATORIO  —  CANTO  IX 


839 


&tti  avea  due  nel  loco  oy*  eravamo 
9        e  il  terzo  già  chinaya  in  giuso  Pale; 
quand'io,  che  meco  avea  di  quel  d'Adamo, 
vinto  dal  sonno,  in  su  l'erba  inchinai 
12        ove  già  tutti  e  cinque  sedevamo. 
Nell'ora  ohe  comincia  i  tristi  lai 
la  rondinella  presso  alla  mattina, 
15       forse  a  memoria  de' suoi  primi  guaì, 
e  che  la  mente  nostra,  peregrina 
più  dalla  carne  e  men  da'pensier  presa, 
18        alle  sue  vision  quasi  è  divina; 
in  sogno  mi  parea  veder  sospesa 
un'  aquila  nel  ciel  con  penne  d' oro, 
21        con  l'ali  aperte  ed  a  calare  intesa: 
ed  esser  mi  parea  là  dove  £5ro 
abbandonati  i  suoi  da  Ganimede, 
24        quando  fu  ratto  al  sommo  consisterò. 


■•tie  eoe.  inreoe  nel  pvugatoiio  la  notte  aveva 
giàoompiitti  due  dei  pasti  onde  sale  e  il  tezTo 
Tolgera  a  oompieni,  eioè  ttano  qaasi  le  tre 
otedi  notte;  ^ckùié pasti  eoH  eh$  la  notU  tale 
sono  dette  poeticamente  le  ore  dal  principiare 
di  «Ba  notte  sino  alla  mezxanotte;  e  cosi  in- 
tendono dal  Lana  im  poi  la  maggior  parte  de- 
gli itttnpsetL  Si  noti  inoltre  che  la  cong.  •  ha 
qui,  come  in  altri  luoghi  di  Dante  (ofr.  Inf, 
mi  12,  zzz  68,  Purg,  ti  09  eoo.),  il  senso 
arrefiatiTO  di  (meee,  e  serre  a  mettere  in  op- 
ponadone  l'idea  d^'ora  in  Italia  e  quella  della 
eoxziapondente  ora  del  purgatorio.  Si  cfr. 
Moore,  pp.  87-90.  —  8.  nel  loeo  eoo.  nel 
purgatorio,  ofr.  ISÈry,  n  8.  —  9.  e  11  terzo 
•ce  :  »»"»c<^M>  ohe  ricorda  la  Tiigiliana,  En. 
Tin  368  :  e  Nox  rnit  et  ftiscis  tellurem  am- 
plectitor  aUs  ».  —  10.  qannd'io  eoo.  allor- 
ché io  Tinto  dal  sonno,  perché  ero  là  col 
corpo  e  non  puro  spirito  come  i  miei  com- 
pagni, mi  addormentai  sull'  erba,  ore  sede- 
vano insieme  con  me  Virgilio,  Sordello,  Nino 
e  Oorrado.  —  di  qnel  d'Adatte:  il  corpo; 
cfr.  fWy.  ZI  48.  ~  18.  Nell'ora  eco.  Dante, 
addormentatod  reiso  le  tre  ore  di  notte  del 
IO  aprile,  si  risreglla  poi  solamente  oltre  le 
due  ore  di  giorno  dell'  11  aprile,  dopo  un 
•onno  di  dodid  ore  (cfr.  tt.  48  e  segg.);  ma 
dorante  il  sonno,  e  proprio  mentre  egli  so- 
gna ohe  un'aquila  lo  porti  su  alla  sfera  del 
ftioeo.  Tiene  dal  cielo  Lucia  e  lo  reca,  se- 
guita da  Virgilio,  sino  presso  alla  porta  del 
pittgatorio.  Sono  dunque  due  azioni  parallele, 
qaeUa  della  Tisione  (tt.  18-46)  e  quella  della 
i«altà  (TT.  46-68);  l'una  avuta  da  Dante 
stosso  dormendo,  l' altra  raccontata  a  luì  da 
Virgilio,  rimasto  vigile  scorta.  —  ohe  eomia- 
elm  ecc.  Il  tempo  ohe  precede  il  sorger  del 


sole,  quando  la  rondinella  incomincia  a  fare 
i  suoi  lamenteroli  trilli,  ò  anche,  secondo  i 
poeti,  queOo  in  cui  la  nostra  mente,  essendo 
più  libera  dalle  impressioni  dei  sensi  e  meno 
occupata  dai  pensieri,  ò  nei  suoi  sogni  quasi 
divinatrice  dell'  avvenire  (ofr.  Ihf,  xzvi  7). 

—  16.  forse  ecc.  in  ricordanza  dei  lamenti 
dolorosi  che  ella  fece,  non  già  quando  di 
donna  fu  tramutata  in  uccello  (cfr.  JWy.  xvu 
19);  ma  allorché  subì  l'oltraggio  di  Tereo, 
«  Iriistra  clamato  saope  parente,  Saepo  sorore 
sua,  magnis  super  onmia  divis  (Ovidio,  Met,  vi 
626)  :  ofr.  Moore  I  210.  —  19.  In  sogno  eco. 
mi  apparve  in  visione  un'aquila  dalle  penne 
dorate,  librata  nell'  ampiezza  del  cielo  e  vo- 
lante verso  di  me.  Quest'aquila  non  ò  altro 
che  la  forma  che  nel  sogno  dantesco  prende 
la  figura  reale  di  Lucia  (ofr.  v.  66),  e  gli  atti 
che  Dante  le  attribuisce  sono  quelli  della 
donna  divina  :  dunque  le  due  figure  sono  sim- 
bolo della  stessa  idea,  e  significano  la  grazia 
illuminante.  —  22.  ed  esser  ecc.  mi  pareva 
di  esser  sul  monte  Ida  nella  Frigia  (diversa 
da  quello  di  Creta,  Inf.  sv  98),  ove  Gani- 
mede, figliuolo  di  Troo  re  d'Ilio  e  ^ovinette 
bellissimo  fra  i  mortali,  fa  rapito  da  un'aquila 
mandata  da  Giove  o  tratto  su  in  cielo  a  far 
da  coppiere  agli  dei  (cfr.  Viig.,  En,  v  233, 
Orazio,  Carm,  rv  4,  4,  Ovidio,  Mei.  x  156' 
161  ecc.).  —  23.  1  suoi  :  i  compagni  di  cac 
eia,  eh'  erano  con  Ganimede  sul  monte  Ida 
(Orazio,  Carm,  in,  20,  15,  Stazio,  Tib.  1 548 
e  segg.,  Valerio  FI.,  Argon,  u  414  e  segg.). 

—  24.  al  somme  eonslstoro  :  al  concilio  de- 
gli doi  C^^ig*!  Osorg.  i  24  «deorum  concilia»). 
Buti  :  e  eonsistoro  si  dice  lo  luogo  dove  si  sta 
insieme;  e  però  Io  luogo,  dove  sta  il  papa  coi 
cardinali  ad  audienza  o  a  Consilio,  si  chiama 


340 


DIVINA  COMMEDIA 


Fra  me  pensava:  «  Forse  questa  fiede 
pur  qui  per  uso,  e  forse  d' altro  loco 
27        disdegna  di  portarne  suso  in  piede  ». 
Poi  mi  parea  che,  roteata  un  poco, 
terribil  come  folgor  discendesse, 
80        e  me  rapisse  suso  infino  al  foco. 
Ivi  pareva  eh'  ella  ed  io  ardesse  ; 
e  si  l'incendio  imaginato  cosse 
83        che  convenne  che  il  sonno  si  rompesse 
Non  altrimenti  Achille  si  riscosse, 
gli  occhi  svegliati  rivolgendo  in  giro 
8Q       e  non  sapendo  là  dove  si  fosse, 
quando  la  madre  da  Chiron  a  Schiro 
trafugò  lui  dormendo  in  le  sue  braccia, 
89        là  onde  poi  li  greci  il  dipartirò; 
che  mi  scoss'io,  si  come  dalla  &ccia 
mi  fuggi  il  sonno,  e  diventai  ismorto, 
42        come  £a  l'uom  che  spaventato  agghiaccia. 
Da  lato  m'era  solo  il  mio  conforto, 
e  il  sole  er'  alto  già  più  che  due  ore, 
45       e  il  viso  m'era  alla  marina  torto. 


oonsUtoro  >.  —  26.  Fr*  me  eoo.  Dante,  io* 
gnando  l'aquila  di  Giove  e  il  monte  Ida,  pensa 
ohe  il  divino  oooello  non  usi  di  andare  in  al- 
tri looghi  a  oeroare  sue  prede  e  disdegrni  di 
portare  in  cielo  prede  tolte  altrove.  —  flede 
pur  qal  per  vto:  suole  ferire,  Un  prede  sola- 
mente sol  monte  Ida.  —  26.  e  forse  eoe.  e 
forse  disdegna  diportcame  inpitd$,  di  portare 
coi  suoi  artigli  prede  d'aUro  toeOf  d'altri  lao- 
glii,  tU9o  su  al  cielo  :  il  ns  di  portarne  può 
essere  particella  pronominale  (portar  di  eam 
prede,  idea  implicitamente  contenuta  nel  ftedet 
te  prede),  o  vero  particella  avverbiale  (por- 
tar dalla  terra  al  dolo,  col  vb.  portare  detto 
assolutamente  inveoe  di  recar  preda).  —  28. 
Poi  mi  parea  eoe.  L'aquila,  fatti  alcuni  lar- 
ghi giri  circolari,  piomba  con  la  velocità  della 
folgore  su  Dante  e  lo  trae  su  sino  alla  sfera 
del  fìiooo  (cfr.  Air.  i  87  e  segg.).  —  29.  ter- 
rlbUx  oCr.  Virgilio,  i^  xn  2i7:  clovis 
alee. . .  subito  cum  Lapsus  ad  undas  Cycnum 
ezcellentem  pedibus  rapit  improbus  uncis  >  : 
ma  l'imagine  dantesca,  più  vivamente  scol- 
pita nella  sua  semplicità,  rende  meglio  la  ra- 
pidità del  volo.  —  81.  Ivi  pareva  eoo.  Nella 
sfera  del  ftiooo  pareva  che  bruciassimo,  io  e 
l'aquila  ;  e  l'impressione  di  quell'incendio  in 
visione  fti  cosi  forte  ohe  io  mi  svegliai.  — 
84.  Non  altrimenti  eoo.  Teti  rapi  il  figliuolo 
Achille,  affidato  alle  cure  di  Ohirone  (cft, 
Jnf,  xn  71),  e  mentre  il  fanciullo  dormiva  lo 
portò  nell'isola  di  Sdro,  ove  rimase  vestito 
da  donna  finchó  per  astuzia  d'  Ulisse  e  di 


Diomede  fli  tratto  alla  guerra  oontro  Troia 
(ott,  Inf,  zxvi  61):  racconta  Stazio,  AehilL  i 
247  e  segg.  ohe  il  fanciullo  al  primo  sve- 
gliazsi  in  Sdro  ebbe  grande  meravig^  di 
trovarsi  in  luogo  ignoto  e  in  diversa  com- 
pagnia. Dante,  addormentatod  nella  valletta 
fiorita  ove  era  oon  quattro  compagni,  sve- 
gliandod  in  altro  luogo  e  trovandosi  accanto 
il  solo  Virgilio,  prova  uno  spavento  non  mi- 
nore di  queUo  d'Achille.  —  87.  Seklre: 
Sdro,  lat.  Seyroe,  isola  del  mare  Egeo,  nella 
quale  Teti  portò  U  giovinetto  Achille.  —  88. 
dormendo  :  il  quale  dormiva  (ctr.  Inf,  xm 
14).  —89. 11  greel:  XTlisse  e  Diomede.  —  41. 
e  diventai  eoo.  e  divenni  pallido,  oome  l'uo- 
mo cui  s'aggela  il  sangue  per  lo  spavento. 

—  48.  IHi  lato  eoo.  Tre  cagioni  di  stupore 
trova  Dante  svegliandod,  tanto  potenti  da 
indurre  nell'animo  suo  un  sentimento  diverso, 
lo  spavento  :  l' essere  aooanto  a  lui  il  sdo 
Virgilio,  mentre  s'era  addormentato  nella 
valletta  ov* erano  altri  tre  spiriti;  l'essere 
il  sole  tanto  alto,  mentre  egli  aveva  chiusi 
gli  occhi  al  sonno  nelle  prime  ore  della  sera  ; 
e  il  vedere  dall'  alto  la  distesa  delle  acque, 
che  dalla  valle  non  poteva  socngere  perchó 
entrandovi  aveva  voltate  le  spalle  al  mare; 
insomma  un  complesso  di  droostanse  per  cui 
Dante  capi  che  durante  il  suo  tonno  qualche 
gran  fatto  doveva  essersi  oompinto  di  lui,  sen- 
za per  altro  oh'  ei  potesse  intendere  di  che  cosa 
si  trattasse.  —  mio  eonf  orto  :  ofr.  iWy.  m  22. 

—  44.  0  U  iole  eoo.  Erano  adunque  le  otto 


PURGATORIO  —  CANTO  IX  341 

€  Non  aver  tema,  disse  il  mio  signore  ; 
fatti  sicnr,  che  noi  siamo  a  buon  punto: 
48        non  stringer,  ma  rallarga  ogni  vigore. 
Tu  se*omai  al  purgatorio  giunto: 
vedi  là  il  balzo  che  il  obiude  d'intorno; 
61        vedi  V  entrata  là  Ve  par  disgiunto. 
Dianzi,  nell'alba  che  precede  al  giorno, 
quando  l'anima  tua  dentro  dormia 
64        sopra  li  fiorì,  onde  là  giù  è  adomo, 
venne  una  donna,  e  disse:  ^  Io  son  Lucia: 
lasciatemi  pigliar  costui  che  dorme, 

67  si  l' agevolerò  per  la  sua  via  '. 
So];del  rimase,  e  l'altre  gentil  forme: 

ella  ti  tolse,  e  come  il  di  fd  chiaro, 
60       sen  venne  suso,  ed  io  per  le  sue  orme. 
Qui  ti  posò:  e  pria  mi  dimostrare 
gli  occhi  suoi  belli  quell'entrata  aperta; 

68  poi  ella  e  il  sonno  ad  una  se  n'  andare  ».. 
A  guisa  d'uom  che  in  dubbio  si  raccerta 

e  che  muta  in  conforto  sua  paura, 
66        poi  che  la  verità  gli  è  discopertai 
mi  cambia'  io  :  e  come  senza  cura 
videmi  il  duca  mio,  su  per  lo  balzo 

69  si  mosse,  ed  io  di  retro  in  vèr  l'altura. 
Lettor,  tu  vedi  ben  com'io  innalzo 

siitiiii0ridi«ii0  dall'  11  lutile  1800.  —  46.  Non  oorporis  ; . . .  non  enim  fonna  corporia^  acd- 
ATtr  eoo.  "Vigilio,  vedendo  Dante  ood  tpa-  dentalia,  wd  sabstantUdis  >).  —  69.  eoMe  11 
Tentato  e  fone  credendo  ohe  il  suo  discepolo  df  eoo.  appena  si  fu  fatto  giorno  :  si  ricordi 
pensi  a  nn'internuione  del  viaggio,  lo  assi-  la  legge  per  ool  non  si  pad  salire  se  non  da- 
onra  saUto  con  effload  parole  di  conforto  e  rante  il  giorno  (Purg.  vu  44  e  segg.).  —  62. 
poi  g^  zaeoonta  che  oosa  sia  aocadnto  mentre  entrata  aperta  s  ingresso  ohe  s*  apre,  ohe  ò 
se^  dormiva.  —  48.  non  stringer  ecc.  non  praticato  U  nel  balzo  ;  ingresso  che  1  poeti 
devi  restringsre  o  rinchiadere  l'animo  tao  nel  troveranno  ohiaso  da  an  atrrams  (v.  108)  o 
timore,  ma  allargarlo  ed  aprirlo  alla  speranza.  ukÌo  (v.  130).  —  68.  poi  ella  eco.  poi  Lacia 
—  61.  r  entrata  eoo.  l' ingresso,  là  ove  il  se  n'andd,  mentre  ta  ti  risvegliavi;  ofìr.  Vir- 
helzo  pare  interrotto  (ofr.  w.  74-76).  —  62.  gilio,  .^i.  vni  67  :  «  Nox  Aenean  somnosqae 
Dlaul  eoe  Pooo  fa,  nei  primi  albori  ohe  reliqoit».  ••  64.  A  gnlsa  eoo.  Dante,  alle 
precedono  il  sorgere  del  sole,  mentre  ta  dor*  parole  di  Virgilio  che  lo  ha  confortato  sco- 
rnivi sull'erba  e  sai  fiori  della  valletta,  prendogli  tntta  la  verità,  si  mostra  sabito 
venne  Lucia  a  prenderti  per  portarti  qoi  :  rassioarato  ;  e  allora  il  sao  daca,  vedendolo 
Sordello,  IQno  e  Corrado  rimasero  nella  vai-  tranquillo,  s'incammina  sa  verso  il  balzo  ohe 
letta  ed  lo  segaitai  Laola,  che  scomparve  dnge  all'intorno  il  purgatorio.  —  70.  Lettor 
mentre  ta  ti  svegliavL  —  aell'  alba  ecc.  :  ecc.  Più  volte  Dante  si  rivolge  ai  suoi  lettori, 
determina  altrimenti  U  momonto  già  descrìtto  ma  quasi  sempre  per  dar  varietà  alla  forma 
nei  w.  1&-1B.  —  66.  Io  son  Leelat  Luda,  del  suo  dire  (ofr.  3i/.  vm  94,  xx  19,  xxn  118, 
simbolo  deUa  grazia  illuminante  (cfir.  Inf,  n  Purg,  xvu  1,  zxix  96,  xxxi  124,  txtitt  iqq^ 
97),  che  nel  sogno  di  Dante  aveva  assunta  la  Par,  v  109,  zza  106)  o  per  dare  qualche 
figura  di  aquila.  —  68.  e  l'altre  gentil  for-  avvertimento  a  conferma  o  a  migliore  intel- 
mei  e  gli  altri  nobili  spiriti-,  che  ci  facevano  ligenza  dello  sue  parole  (ofr.  ^f.  zvx  128, 
compagnia  (ofr.  Tommaso  d'Aquino,  SwmmOf  zzv  46,  zzziv  28,  Atry»  vm  19,  z  106,  Par.  z 
p.  1,  qu.  Lzzvx,  art  7,  8  :  «  Anima  est  fonna  7,  22).  Fi6  singolare  ò  l' invito  di  questo 


342 


DIVINA  COMMEDIA 


la  mia  materia,  e  però  con  più  arte 
72        non  ti  maravigliar  s'io  la  linoalso. 

Noi  ci  appressammo,  ed  eravamo  in  parte, 
che  là  dove  pareami  in  prima  un  rotto, 
75       pur  come  un  fesso  clie  muro  diparte, 
vidi  una  porta,  e  tre  gradi  di  sotto, 
per  gire  ad  essa,  di  color  diversi, 
78       ed  un  portier  che  ancor  non  £acea  motto. 
E  come  l'occhio  più  e  più  v'apersi, 
vidil  seder  sopra  il  grado  soprano, 
81        tal  nella  £Etccia  ch'io  non  lo  soffersi; 
ed  una  spada  nuda  aveva  in  mano, 
che  rifletteva  i  raggi  si  vèr  noi 
84        eh'  io  dirizzava  spesso  il  viso  in  vano. 
«Dite  costinci,  che  volete  voi? 
cominciò  egli  a  dire:  ov'ò  la  scorta? 
87       Guardate  che  il  venir  su  non  vi  noii 
«  Donna  del  ciel,  di  queste  cose  accorta, 
rispose  il  mio  maestro  a  lui,  pur  dianzi 
90       ne  disse:  '  Andate  là,  quivi  è  la  porta  '  ». 


loogo,  OTO  D&nte  richiama  l' attonxtono  del 
lettore  soll'iimalzarsi  dello  stile  rispondente 
all'innalzarsi  dell'argomento  :  a  Danto  dorerà 
sembrare,  ed  ò  reramentoi  esperimento  di 
difficile  arto  la  rappresentazione  delle  dae 
azioni  paraliole,  quella  della  yisione  e  quella 
della  realtà,  da  lui  descritto  sinora  (c£r.  la 
nota  al  y.  13).  —  71.  eoo  pU  arte  eco.  non 
ti  meravigliare  se  io  la  sorreggo  e  sostongo 
oon  più  efficaci  mezzi  di  arto.  —  74.  là  doro 
pareaMl  eoe.  in  quella  parto  del  balzo,  la 
quale  prima  mi  era  sembrata  inturotta  da 
una  stretto  apertura  (cfir.  1  yy.  60-61),  come 
sarebbe  quella  di  una  screpolatura  che  spar- 
tisse in  due  un  muro,  yidi  distintamento  una 
porta.  —  76.  un*  porta  eoe  La  porto  del 
purgatorio,  stretto  e  chiusa,  il  oontrario  doò 
di  quella  dell'Inferno  (cfr.  Inf.  in  11),  si  apre 
nel  balzo  che  dnge  intomo  il  luogo  destinato 
alle  anime  penitonti  (ttr.  y.  60),  al  sommo  di 
tre  gradini  :  e  sulla  soglia  di  essa  siede  l'an- 
golo guardiano.  —  78.  «n  portier  ecc.  :  ri- 
jraardo  all'allegorico  significato  di  questo  an- 
gelo gli  antichi  oommentotori  sono  tutti  d'una 
sentonza,  cosi  esposta  dal  Buti  *  «  Questo  por- 
tonaio,  che  l'autore  finge  qui  secondo  la  let> 
tera  che  sia  uno  angiulo  posto  a  guardia 
del  purgatorio,  significa  allegoricamento  lo  sa- 
oerdoto  lo  quale  ò  portonaio  de  la  penitonzia. 
Finge  cha  non  faeea  motto,  imperò  ohe  il  sacer- 
dote non  de'assolyere  ohi  no  '1  domanda;  ma 
s*  elli  è  richiesto,  de'  essere  presto  ed  appare<y 
chiato  >.  —  81.  tal  nella  fkecift  eco.  :  con  la 


faocia  luminosa;  cfir.  Pitrg.  n  89,  ym  86.  — 
82.  ed  «BA  spada  eoo.  :  non  s*  aooordano  gli 
antichi  droa  il  significato  di  quatto  spada  lu- 
minosa; la  quale  per  il  Lana,  Ott,  Boti, 
Land,  è  U  simbolo  della  giustiiia,  per  Beny. 
la  parola  del  saoerdoto  che  deve  eccitare  il 
peccatore  alla  penitenza,  per  il  Cass.  l'officio 
del  saoerdoto  rispetto  al  penitente  :  tutto  que- 
sto interpretazioni  del  resto  t'aoooniaiio  nel- 
l'idea di  un  ministoro  di  giuitisia  diyiaa  eeer- 
citoto  dal  saoerdoto  con  la  parola  del  Signore 
eh'  ei  comunica  all'  uomo  ;  ohe  è  ooofooM 
al  detto  di  san  Paolo,  J^KJB/Myi  17:  «Fi- 
gliato ancora  l'elmo  della  saluto;  o  la  spada 
dello  Spirito,  ohe  è  la  parola  di  Dio».  »  86. 
Dite  eottlnel  eoe  :  cfr.  a  sisBOe  pano  del- 
l'ili/, xn  68.  —  86.  ay^à  la  laarta  t  Questo 
domanda  corrisponde  a  quella  di  Catono(  Aoy. 
1 4&)Chif^haguUitMf^  ma  non  c'è  Uaogno  di 
imaginare  col  Biag.  ohe  le  anime  dalla  spiag- 
gia siano  accompagnato  alla  porto  del  purga- 
torio da  un  angelo;  significando  la  domanda 
dell'angelo  •  Quale  potenza  ha  guidati  sin  qui 
yoi  due,  che  non  sieto  di  questo  regno  f  — 
87.  Guardate  ecc.  Badato  che  il  salire  non  yi 
sia  cagione  di  male  ;  penh6  l'uomo  dM  non  è 
ben  contrito  non  è  disposto  a  yeraoe  penitonza. 
—  noi:  cfr.  JHf.  xzm  16.  »  88.  Dania  del 
elei  eco.  Virgilio  risponde  all'angelo,  in  modo 
analogo  a  quello  tonuto  oon  Oatone  {J^my,  i 
62  e  segg.),  ohe  eg^  o  il  suo  oonpagno  sono 
yenuti  innanzi  oon  l'ainto  e  l'approyailone  di 
Lucia,  donna  celeste,  cioè  ohe  li  illumina  la 


PURGATORIO  -  CANTO  IX 


3i3 


«  Ed  ella  i  passi  vostri  in  bene  avanzi, 
ricominciò  il  cortese  portinaio: 
93        venite  dunque  a*  nostri  gradi  innanzi  ». 
Là  've  venimmo,  allo  scaglion  primaio, 
bianco  marmo  era  si  pulito  e  terso 
96        ch'io  mi  specchiava  in  esso  quale  io  paio. 
Era  il  secondo,  tinto  più  che  perso, 
d'una  petrina  ruvida  ed  arsiccia, 
99        crepata  per  lo  lungo  e  per  traverso. 
Lo  terzo,  che  di  sopra  s'ammassiccia, 
porfido  mi  parca  si  fiammeggiante, 
103        come  sangue  che  fuor  di  vena  spiccia. 
Sopra  questo  teneva  ambo  le  piante 
l'angel  di  Dio,  sedendo  in  su  la  soglia, 
105        che  mi  sembiava  pietra  di  diamante. 
Per  li  tre  gradi  su  di  buona  voglia 
mi  trasse  il  duca  mio,  dicendo  :  «  Chiedi 
108        umilemente  che  il  serrame  scioglia  ». 
Divoto  mi  gittai  a' santi  piedi: 


gnzU  dhriiUL  ~  91.  Ed  olla  eco.  L'&ngolo, 
oome  già  Catone  {I^arg.  x  91),  appena  sentita 
ricordare  la  donna  oeleete,  ti  dispone  ad  ao- 
eordare  ai  due  visitatori  il  pennesio  di  acco- 
dar* al  purgatorio,  e  angnrando  loro  che  la 
grazia  divina  li  aiuti  a  compiere  il  loro  viag- 
gio li  invita  ad  awicinani  alla  porta.  —  94. 
Là  've  vtalMao  eoe*  Il  primo  gradino,  al 
quale  noi  pervenimmo,  era  di  bianco  marmo, 
locente  come  uno  ^occhio;  il  eeoondo,  di 
madgno  oeoiiro  screpolato  in  croce;  U  terzo, 
di  porfido  di  vivissimo  color  roseo.  Poiché 
r  entrata  al  pargatorìo  ò  simbolo  del  sacra- 
mento della  penitenza,  è  manifesto  che  i  tre 
gradini  significano  le  tre  parti  ohe  in  e«o  di- 
stinguevano i  teologi  (p.  e.  Tommaso  d' Aqnino, 
Smmma,  p.  ni,  qnest  xo,  art  2,  e  Pietro 
Lombardo,  SmtmU,  iv  16  eoe.)  :  amtrUio  eor- 
di»,  confeuio  orig^  ioHafaetio  cpmis,  —  96. 
Mance  manne  eoo.  An.  fior.  :  <  Per  questo 
primo  scaglione  è  da  notare  la  eoniriosioné  ohe 
debbo  avere  ciascon  fedele  prima  ohe  venga 
alla  confessione,  che,  esaminato  in  sé  mede- 
simo et  specchiatosi  nel  onore  sno,  recasi  a 
mente  tntti  i  snoi  peccati  et  di  qnelU  penteei 
interamente  con  buona  contrizione  ;  et  in  quel 
ponto  rimane  bianco  come  il  marmo,  senza 
remna  macchia  o  oscurità  di  peccati  ».  — 
97.  Bra  il  aeeende  eco.  :  la  pttrma  ruvida  $ 
artieoia  è  il  macigno  ohe  non  ha  la  oompat- 
teoa  e  levigatezza  del  marmo  :  il  oofon  tinto 
fià  eke  peno  ò  oscuro  e  nereggiante  (ofr. 
lnf,  V  89).  An.  fior,  i  «  Per  questo  secondo 
jnik<f o  sì  dèe  intendere  la  eonfèssioM,  ohe,  poi 
che  l'uomo  ò  contrito  et  puutito  de'suoi  pec- 


cati, li  dèe  confessare  al  sacerdote».  Si  noti 
che  i  pili  dei  commentatori  dal  Lana  in  poi 
invertirono  1'  ordine  di  questi  due  simboli, 
ponendo  il  primo  gradino  per  la  confessione 
orale  e  il  secondo  per  la  contrizione  del  cuore  : 
più  esattamente  Ott,  Benv.,  An.  fior,  e  tra  i 
moderni  Tonun.  e  Scart.  si  tennero  all'ordine 
della  partizione  teologica.  —  99.  crepato  ecc. 
le  screpolature,  che  s'incrociano  sul  secondo 
gradino,  significano  che  la  confessione  rompe 
la  durezza  del  cuore  estendendosi  a  tutti  i 
peccati  commessi  dall'uomo.  —  100.  Le  tene 
eoo.  Il  terzo  gradino,  ohe  ò  sovraposto  agli 
altri  due,  pareva  di  porfido  e  rosseggiava 
come  sangue  spicoiante  dalle  vene  :  ò  il  sìm- 
bolo della  sodisfazione  dei  peocati  per  l'opera 
di  penitenza.  An.  fior.,  :  e  questo  coloro  di 
fuoco  hae  a  denotare  l'ardore  della  carità  et 
dell'amore  che  accende  gli  uomini  et  sospigne 
a  fare  la  penitenzìa  de' peccati  commessi  ».  — 
103.  Sepra  questo  eoo.  L'angelo  portiere  sta 
seduto  sulla  soglia  sovraposta  ai  tre  gradini, 
sull'ultimo  dei  quali  tiene  i  piedL  — 105.  che 
mi  lemblàva  eco.  Oli  antichi,  dal  Lana  al 
VelL,  intendono  per  questa  soglia  di  diamante 
la  fermezza  e  costanza  del  sacerdote  che  ascol- 
ta la  confessione  ;  i  moderni,  dal  Lomb.  in 
poi,  vi  trovano  simboleggiata  1*  idea  del  so- 
lido fondamento  su  cui  posa  la  Chiesa,  che 
ha  r  autorità  di  concedere  1'  assoluzione  dei 
peccati.  I  passi  biblici,  ove  11  diamante  ò 
simbolo  della  costanza  di  chi  M>nnn^ià  la  pi^ 
rola  divina  (Ezechlel  in,  9;  cCr.  Matteo  xvi 
18),  confermano  l'interpretazione  degli  anti- 
chi. —  108.  imlleaeate  :  clr.  Fur^.  i  95.  ^ 


344 


DIVINA  COMMEDIA 


misericordia  oliiesi  che  m^aprisaei 
111        ma  pria  nel  petto  tre  fiate  mi  diedi. 
Sette  P  nella  fronte  mi  descrisse 
col  punton  della  spada*  e  :  «  Fa*  che  lavi, 
114        quando  se'  dentro,  queste  piaghe  »,  disse 
Cenere  o  terra  che  secca  si  cavi 
d'un  color  fora  col  suo  vestimento, 
117        e  di  sotto  da  quel  trasse  due  chiavi: 
l'ona  era  d'oro  e  l'altra  era  d'argento: 
pria  con  la  bianca  e  poscia  con  la  gialla 
120       fece  alla  porta  si  ch'io  fui  contento. 
«  Quandunque  1*  una  d' este  chiavi  fìJla, 
che  non  si  volga  dritta  per  la  toppa, 
123        diss'  egli  a  noi,  non  s' apre  questa  calla. 
Più  cara  è  l'una;  ma  l'altra  vuol  troppa 
d'arte  e  d'ingegno  avanti  che  disserri, 
126        perch'eli' è  quella  che  il  nodo  disgroppa. 
Da  Pier  le  tengo;  e  dissemi  ch'io  erri 
anzi  ad  aprir,  che  a  tenerla  serrata, 
129       pur  che  la  gente  a'  piedi  mi  s' atterri  >. 
Poi  pinse  l'uscio  alla  porta  sacrata, 
dicendo:  «  Entrate;  ma  fiEicciovi  accorti 
132       che  di  fuor  toma  chi  indietro  si  guata  >. 


ehe  U  MrrABte  eoo.  che  ti  apra  la  porta, 
ciod  che  ti  conceda  l'aaiolazlone.  —  111.  wèm 
pria  eco.  An.  fior.  :  «  Dassl  tre  volte  nel 
petto  a  mostrare  che  in  tre  modi  si  pecca,  et 
di  tatti  li  debbo  pentere  et  amendare  con  pe- 
nitenzia:  però  che  si  pecca  in  deeideiare,  in 
parlare  et  in  operaie  >.  —  112.  Sette  eco. 
L' angelo,  con  la  punta  della  ipada,  segna 
snDa  fronte  di  Dante  sette  p,  i  segni  cioè  dei 
sotte  peccati  mortali,  del  qnali  egli  dovrà  pu- 
rificarsi con  la  penitenxa:  questi  segni  sa- 
ranno poi  cancellati  di  mano  in  mano  che 
Dante  uscirà  da  ciascun  cerchio  di  purgato- 
rio (cfr.  PuTfft  zn  121  e  segg.).  — 114.  plaghe  : 
cfir.  Purg,  xv  81.  — 116.  Cenere  eco.  La  ve- 
ste dell'angelo  era  del  colore  della  cenere  o 
della  terra  disseccata  nelle  cave,  d'un  colore 
doò  non  virace,  ma  dimesso  ;  quale  conviene, 
appunto  alla  veste  dell'angelo  che  simboleg- 
gia, secondo  i  piii  autorevoli  interpreti,  l'umil- 
tà con  la  quale  il  sacerdote  deve  procedere 
nell'esercizio  del  suo  ministero.  —  117.  dee 
eUavlt  sono  <  le  chiavi  del  regno  dei  deli  * 
(Matteo  XVI  18),  simbolo  dell'autorità  e  della 
sdenza  dei  sacerdoti  (cfr.  ^f^  xzvn  104). 
An.  fior.  <  Quella  dell'oro  significa  l'autorità 
che  debbo  avere  il  sacerdote  di  potere  ammi- 
nistrare i  sacramenti  della  Ohiesa,  la  quale 
autorità  gli  d  data  dal  sommo  pontefice  o  da 


cui  commeno  l' avessi  :  ..  per  la  chiave 
dell'aziento  d  dimostra  la  sdensia».  —  119. 
pria  ecc.  prima  con  la  diiave  d'argento, 
doè  esaminando  con  la  sua  dottrina  me  pec- 
catole, e  poi  oon  li.  chiave  l'oro,  doè  per  la 
sua  autorità  aasdvendoBi,  cfmò  in  modo  che 
la  porta  s'aprisse  ed  io  fossi  oontBoxo  di  ve- 
dere ^erto  per  me  il  regno  della  purificaaone. 
—  121.  Q»uidua«ae  ecc.  Qualunque  volta 
accade  che  una  di  queste  chiavi  venga  meno 
al  suo  oflldo  non  volgendcd  bene  per  la  sei^ 
ratura,  questu  passaggio  non  d  apre ,  ooè 
quando  il  sacerdote  difetta  d'autorità  o  di  dot- 
trina, Passolusione  oh'  egli  concede  è  mefll- 
cace.  —  124.  Pid  cara  eoo.  Più  preDou  ò  la 
ddave  aurea,  l'autorità,  perdio  acquistata  col 
saoiifido  di  Oliste  :  ma  la  ehiave  argentea, 
la  dottrina,  prima  di  aprire  esige  molto  la- 
voro intellettuale,  perchè  è  quella  che  sdo- 
glie il  nodo  dd  peccato,  raddirisanoo  la  co- 
sdensa  dd  peccatore  e  formando  un  retto 
giudizio  delle  sue  cdpe.  — 127.  Da  Pier  eco 
Io  le  ebbi  dall'apostolo  san  Pietro,  che  ie  aveva 
ricevute  da  Cristo  (ofr.  Inf.  zxx  92):  ed  egli 
mi  disse  che,  pur  die  i  peccatori  invocassero 
il  perdono,  fbsd  disposto  ad  aprire  la  porta 
pid  tosto  die  a  tenerla  chiusa,  doè  a  conce- 
dere pid  che  a  negare  l'assolùione.  —  131. 
dicendo  eco.  L'angdo  invita  i  due  visitatod 


PURGATORIO  —  CANTO  IX 


345 


£  quando  f£lr  ne*  cardini  distorti 
gli  spigoli  di  quella  regge  sacra 
135        che  di  metallo  son  sonanti  e  forti, 
non  rugghiò  si,  né  si  mostrò  si  aera 
Tarpeia,  come  tolto  le  fa  il  buono 
138       Metello,  per  ohe  poi  rimase  maora. 
Io  mi  riTolsi  attento  al  primo  tuono, 
e  <  Te  Deum  laudamuè  »  mi  parea 
141        udir  in  voce  mista  al  dolce  suono. 
Tale  imagine  appunto  mi  rendea 
ciò  ch'io  udiva,  qual  prender  si  suole 
quando  a  cantar  con  organi  si  atea, 
145    che  or  si  or  no  s'intendon  le  parole» 


ad  entrare,  ammonendoli  di  non  ilTolgenl 
indietro  a  goardare;  perohó  perde  del  tatto 
la  grazia  del  Signore  ohi  ritoma  al  Teoohi  peo- 
ottL  —  18S.  B  fieado  eoo.  Locano  Fan,  m 
154  e  aegg.  dice  die,  allorqaando  (Hnlio  Oe- 
aaie  spogUò  per  fom  il  pobUioo  erario  outo- 
dito  nella  roooa  Tarpeia,  e  aDontand  di  là  il 
tribano  L.  Oeoilio  Metello  ohe  il  opponera 
alla  fpoUaxione,  la  rape  risonò  fortemente: 
«  Tono  rapea  Tarpeia  aonat,  magnoqae  re- 
ehiaae  Testator  stridore  fores  >  :  Dante  pa- 
ragona a  questo  stridore  quello  prodotto  dalla 
porta  del  paigatorio  ohe  s' apri  sai  cardini 
metallici  :  oCr.  Moore,  1 2B1.  —  fftr  eoo.  Qao- 
sto  luogo  è  da  Benr.  costraito  cosi:  «  qwmdo 
ffU  9pfgoU  di  qu$aa  ngg$  man  fùr  distorH 
n§'  eardkd  eht  di  mttaUo  eoo.  ;  ma  V  ultimo 
Terso  pud  bene  riferirsi  anche  agli  spigoli  : 
poiché  metanici  doTerano  essere  tanto  i  car- 
dini o  arpioni,  quanto  gli  spigoli  o  bandelle. 


—  184.  regge:  porta.  — 186.  sf  aera:  si  re- 
sistente ad  aprirsi.  — 188.  maera:  spogliata 
del  tesoro.  ~  189.  Io  mi  vItoIsI  eoo.  En- 
trando nel  purgatorio  Dante  sente  cantare 
linno  ambrosiano  èhe  si  recita  dalla  Ohiesa 
in  rendimsiito  di  grazie  al  Signore,  e  qui  ò 
cantato  per  ringraziare  Iddio  d'aver  concessa 
a  un'anima  l'entrata  nel  regno  della  puriflca- 
sione.  «  141.  Toee  mista  al  delee  saone  : 
Toce  di  parole,  congiunta  al  dolcissimo  canto. 

—  142.  Tale  Imaglne  eoo.  Quel  complesso 
di  voce  e  di  suono,  di  parole  e  di  armonie, 
che  io  sentiva  nel  purgatorio,  mi  pareva  si- 
mile a  quello  che  si  ascolta  quando  si  sta  a 
sentire  un  canto  accompagnato  dall'organo  ; 
che  alcune  volte  le  parole  del  canto  escono 
nette  e  distinte  fra  le  armonie  dell'organo, 
altre  invece  sono  coperte  da  queste  e  quasi 
confuse  con  il  suono  dello  strumento. 


CANTO  X 

Entrati  nel  purgatorio,  Dante  e  Virgilio  pervengono  al  primo  cerchio, 
ore  si  purgano  le  anime  dei  superbi  camminando  sotto  gravi  pesi;  e  ve- 
dono scolpite,  nella  ripa  del  cerchio,  rappresentazioni  figurate  di  esempi  di 
umiltà  :  da  ultimo  incontrano  una  schiera  di  anime,  che  avanzano  cantando 
l'orazione  domenicale  [11  aprile,  circa  dalle  nove  alle  dieci  antimeridiane]. 

Poi  fummo  dentro  al  soglio  della  porta, 
ohe  il  malo  amor  dell'anime  disusa 


X  1.  Poi  fmmo  eoo.  Entrando  nel  por- 
gatorio.  Dante  e  Virgilio  prendono  su  per  una 
viuzza  incavata  nel  madgno,  la  quale  dalla 
porta  del  secondo  regno  gaida  al  ripiano  oir- 
eolare  che  coetituiBoe  fl  primo  cerchio.  Quanto 
ai  poi,  che  significa  poi  ehe^  cfr.  la  nota  al 
T.  128.  —  2.  che  11  male  eoe.  la  qual  porta 
è  pooo  unta,  ossia  è  aperta  rare  volte,  a  ca- 


gione della  tendenza  peocaminosa  dogli  uo- 
mini, n  Torraca  cita  questo  passo  di  Gior- 
dano da  Rivalto,  pred.  lzvi  :  €  Tutto  U  no- 
stro peccato  sta  pure  nel  malo  amore,  per 
amare  le  cose  troppo  e  disordinatamente  : 
questo  ò  il  malo  amore  de'  mondani  ;  però 
ohe  tutte  le  cose  di  questo  mondo  o  sono 
malo  ad  amarle  o  sono  nodve  a  s6  ».  — 


846 


DIVINA  COMMEDIA 


12 


15 


18 


perché  &  parer  dritta  la  via  torta, 

sonando  la  sentii  esser  richiusa: 
e  s'io  avessi  gli  occhi  volti  ad  essa^ 
qual  fora  stata  al  fallo  degna  scusa? 

Noi  salivam  per  una  pietra  fessa, 
che  si  moveva  d'una  e  d'altra  parte, 
si  come  l'onda  che  fugge  e  s'appressa. 

«  Qui  si  convien  usare  un  poco  d'arte, 
cominciò  il  duca  mio,  in  accostarsi 
or  quinci,  or  quindi  al  lato  che  si  parte  ». 

E  ciò  fece  li  nostri  passi  scarsi 
tanto  che  pria  lo  scemo  della  luna 
rigiunse  al  letto  suo  per  ricorcarsi, 

che  noi  fossimo  fuor  di  quella  cruna; 
ma  quando  fummo  liberi  ed  aperti 
su  dove  il  monte  indietro  si  rauna, 

io  stancato  ed  ambedue  incerti 
di  nostra  via,  ristemmo  su  in  un  plano 


8.  p«reM  eoo.  penhó  il  mah  amar,  U  ten- 
douza  al  male,  fa  parer  diritta  la  ^  torta, 
fa  sembrare  buono  ciò  ohe  ò  oattiyo.  —  4. 
•OBftBdo  eoo.  la  sentii  rinchiadere  dietro  di 
me,  e  me  no  aoooni  dal  «nono  perohó  non 
mi  volsi  a  guardare.  —  6.  e  t'io  eoo.  neo- 
sana  scusa  sarebbe  stata  basterole  a  farmi 
perdonare  l'errore  di  rivolgermi  indietro,  per- 
ché l'angelo  molto  chiaramente  m'aveva  am- 
monito e  ohe  di  fuor  toma  ohi  indietro  si 
guata  »  (Pmrg.  a  182).  —  7.  Noi  sAllvam 
ecc.  La  strada  per  la  quale  Dante  e  Virgilio 
salivano  era  stretta  e  incavata  nel  macigno, 
e  non  procedeva  in  linea  retta,  ma  tortuosa  ; 
in  modo  ohe  era  un  contìnuo  lientrare  e  spor- 
gere delle  due  sponde  laterali,  ohe  rendeva 
imagine  dell'  andare  e  venire  delle  onde  ma- 
rine sulla  spiaggia.  Cos{  intesero  tutti  i  com- 
mentatori più  aut'^revoli,  e  rettamente:  ma 
Pietro  di  Dante  e  il  Cass.  prendendo  alla  let- 
tera la  similitudine  delle  onde  marine,  inte- 
sero che  le  pietre  della  strada  si  movessero 
realmente  sotto  i  piedi  di  Dante  (cfir.  Inf. 
XVIII  16-18);  e  la  loro  interpretazione  ft  di- 
fesa dal  Fanf.,  ma  con  deboli  ragioni.  — 10. 
Qui  si  ooBTien  ecc.  Virgilio  insegna  a  Dante 
U  modo  di  camminare  per  qudla  via  senza 
percuotere  contro  le  sporgenze  delle  sponde: 
bisogna,  gli  dice,  procedere  avvedutamente, 
piegando  successivamente  ora  alla  destra,  ora 
alla  sinistra  secondo  le  rientrature  del  maci- 
gno. —  13.  al  lato  eho  si  parte:  a  quella 
sponda  laterale,  ohe  rientrando  lascia  libero 
il  passaggio.  Si  noti  questa  frase,  la  quale 
esclude  ohe  Dante  abbia  voluto  parlare  del 
fondo  dell»  via,  e  ci  richiama  invece  ad  una 
situazione  simile  a  quella  del  Pury,  iv  82. 


—  13.  E  eiò  feeo  ecc.  Questa  noooisltà  di 
camminare  adagio  por  quella  viuzza  tortuosa 
fece  si  ohe  noi  arrivammo  alla  fino  41  oosa, 
ohe  erano  già  oltre  quattro  oro  di  solo;  duo 
ore  adunque  sono  passate  dal  risvogUftzsi  di 
Danto  innanzi  alla  porta  del  purgatorio  (ofr. 
Purg.  tx.  44)  all'arrivo  dei  due  poeti  al  pximo 
cerchio.  —  14.  lo  seomo  della  Imaa  eoe  la 
luna,  ohe  ora  scema  perché  si  trovava  quasi 
nell'ultimo  quarto,  era  già  tramontatai  pai^ 
venuta  all'orizzonte  sotto  al  quale  va  a  oo- 
ricarsi  ogni  mattina  :  dò  corrisponde  a  oltre 
quattro  ore  di  sole  (ofr.  Della  Valle,  Il  Mnso 
ecc.  p.  94,  SuppL  p.  60  e  Moore,  p.  108).  — 
16.  ervaa  :  propriamonte  il  forelUno  dell*  ago 
(Jhf.  XV  21)  ;  qui,  lo  stretto  passaggio  della 
viuzza  aperta  nel  macigno,  cosi  chiamato  non 
senza  ricordo  dell'evangelico  (Matteo  xix. 
Marco  x  25,  Luca  xvni  26)  :  <  £^li  ò  pi4 
agevole  che  un  cammello  passi  per  la  cruna 
d'un  ago,  ohe  non  ohe  un  tiooo  entri  nel  ro- 
gne di  Dio  >.  — 17.  liberi  od  aportt:  Uberi 
dalla  difficoltà  della  via  e  usciti  fuori  all'a- 
perto. —  18.  sa  dove  eco.  in  luogo  elevato, 
ove  il  monte  restringendosi  lasda  intomo 
a  sé  un  ripiano  circolare.  —  19.  io  ttaaoato 
ecc.  Dante  ò  stanco  perché  è  salito  su  còl 
oorpo  (cf^.  Purg,  iv  48  e  segg.);  ambedue 
sono  incorti,  perché  ignari  deUa  via  ohe  de- 
vono prendere.  —  20.  ma  plano  ooo.  Questo 
ripiano  droolaie,  limitato  dall'  una  parte  dal- 
l'orlo esteriore,  ove  confina  U  sano,  o  dall'al- 
tra dalla  ripa  marmorea  che  s'alza  dritto, 
perpendioolarmento,  ha  una  larghezza  di  oiroa 
cinque  metri  e  forma  il  primo  dei  sotte  OirM 
(cfr.  iWy.  xvn  187,  xxn  92)  d^  regno  della 
penitenza  :  in  esso  stanno  ad  espiare  la  loro 


PURGATORIO  -  CANTO  X 


847 


21       solingo  più  ohe  strade  per  disertL 
Balla  sua  sponda,  ove  confina  il  vanO| 
al  pie  dell'alta  ripa,  che  pur  sale, 
24       mìsurrebbe  ia  tre  volte  un  corpo  umano: 
e  quanto  l'ocdiio  mio  potea  trar  d'ale 
or  dal  sinistro  ed  or  dal  destro  fianco, 
27        questa  cornice  mi  parca  cotale. 

Là  su  non  eran  mossi  i  piò  nostri  anco, 
quuid'io  conobbi  quella  ripa  intomO| 
80       che  dritto  di  salita  aveva  manco, 
esser  di  marmo  candido  e  adomo 
d'intagli  si  che  non  pur  FolicretO| 
88       ma  ia  natura  li  avrebbe  scorno. 

L'angel  che  venne  in  terra  col  decreto 
della  molt'anni  lagrimata  pace, 
86        che  aperse  il  ciel  dal  suo  lungo  divieto, 
dinansi  a  noi  pareva  si  verace 
quivi  intagliato,  in  un  atto  soave, 

eolpa  quelli  che  pecoaiono  di  mtpfrMo,  il  pxi- 
Bo  dd  sette  peccati  capitali.  —  2L  follaffe 
eco.  solitario  come  •ogUono  essere  le  yie  dei 
deserti  o  dei  luoghi  abbandonati.  Beny.:  «pao- 
dastmi  gradivntar  per  istam  Tiam  poeniten- 
tiae,  et  aazime  si^orbi  ».  —  22.  Hall*  sba 
spoB4a  eoo.  La  larg^Misa  del  ripùuio,  dal- 
Vaào  eeterioie  alla  baee  della  ripa  intema, 
era  tze  Tolte  la  loaghecsa  del  corpo  umano  : 
qtdndifll  piedi,  dicono  Lana  e  Boti,  oioò  quasi 
cinque  metri.  Solamente  Beny.  intese  ohe  il 
corpo  umano  misozerebbe  in  ir»  voUe  cioè  con 
tre  passi  e  con  tre  braeoU  la  largheua  del 
ripiano;  ohe  sarebbe  molto  pi4  plooda,  doò 
meno  di  dne  metrL  —  24.  alsirreMe  :  for- 
ma contratta,  da  mhunnbbe,  ^  25.  e  qaaalo 
ecc.  e  per  quanto  l'occhio  mio  poteva  ginn- 
gere  oosi  alla  destra  come  alla  sinistra,  il  ri- 
plano  nd  appariva  della  medesima  lazgbeaa. 
—  27.  earaleet  cosi  Dante  chiama  assai  spesso 
i  ripiani  del  poxgatorlo  (f,  es.  J\trg,  xi  29, 
zm  4,  xyn  Ifii,  zzr  US,  Rtr.  X7  96X  per- 
ché cingono  tatf  all'intorno  il  monte  della 
penitenza.  —  2S.  Là  8«  ecc.  Prima  ancora 
di  morersi  sol  ripiano  Dante  s'accorge  ohe 
la  ripa  intenia  è  di  marmo  bianco,  nel  quale 
■piccano  bellissime  n^rosentasioni  figurate  : 
sono  gli  eeempi  di  nmUtà  (Maria  Vergine, 
Darid,  Traiano),  ohe  in  forma  di  vitibiUpar- 
ìan  ricordano  continnamente  ai  superbi  la 
TÌrt&  contraria  al  loro  peccato,  come  le  scoi- 
ture  nel  piano  della  Tia  rappresentanti  esempi 
di  superbia  ricordano  ai  penitsnti  la  loro  colpa 
(cfr.  Pierg.  zn  16-69).  —  80.  ehe  dritte  di 
salita  ecc.  che  non  offnira,  non  presentaya 
alenn  modo  a  salire.  Questo  ò  certamente  il 
pensiero  di  Dante  ;  ma  non  cosi  sicura  è  la 


,  d'intendere  le  sue  paiole,  yariamente 
dichiarate  dai  commentatori  :  ocwv  manco  pud 
bene  significare  non  ottert  (cfr.  monoo  per  fmm- 
eammto  in  Air.  m  80),  e  dirìUo  significa  an- 
che modot  mcmi&ra  di  far  una  cosa  qualun- 
que ;  e  ohi  non  yolesse  intender  cosi  potrebbe 
accettare  la  lezione  di  molti  codici,  preferita 
da  parecchi  interpreti  :  eh»,  firitìa,  di  salila 
av§va  maneo  e  spiegare  con  essi  :  «  la  quale 
ripa,  a  cagione  dell'esser  diritta  quasi  a  per- 
pendicolo, ayeva  mancanza,  impossibilitai  di 
saUta  >.  —  81.  adorno  ecc.  figurato  di  bas- 
sorilievi cosi  perfetti  che  vincevano  non  pur 
l'opera  dei  più  eccellenti  artefici,  ma  anche 
quella  della  natura  :  e  invero  questi  bassori- 
lievi erano  lavoro  di  Dio  (clr.  yy.  94-96).  — 
82.  Policretot  Folicleto,  contemporaneo  e 
competitore  di  Fidia  (600-433  a.  C),  fu  il 
capo  della  scuola  statuaria  argiva  e  autore 
dJle  famoso  statue  del  Doriforo  e  di  Era  ; 
notissimo  nel  medioevo  por  1  ricordi  che  di 
lui  sono  negli  scrittori  latini  (Cicerone,  Bru- 
tm  86,  Quintiliano,  v  12,  Plinio,  H.  N.  xruv 
60,  66  ecc.),  ta  non  di  rado  citato  come  per- 
fettìssimo  artista  dai  rimatori  italiani  ante- 
riori a  Dante.  —  84.  L'angel  ecc.  La  prima 
storia  scolpita  nel  marmo  della  ripa  ò  l'An- 
nunoiasione  della  Vergine,  soggetto  i^uen- 
tissimo  nell'aite  medioevale,  e  caro  spociol- 
mente  ai  pittori  fiorentini  ;  i  quali,  come  Dante, 
non  si  allontanarono  mai,  pur  yariamente  fi- 
gurandola, dalla  narrazione  evangelica  (Luca 
I  26-88).  —  venne  eco.  venne  in  terra  ad  an- 
nunziare la  pace  lungamente  invocata  tra  Dio 
e  gli  uomini,  onde  ta.  aporto  alle  anime  il  re- 
gno dei  delo  chiuso  sino  àeà  tempi  d'Adamo. 
—  38.  ia  «■  atto  soavt:  in  un  atteggia- 


348 


DIVINA  COMMEDIA 


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67 


che  non  sembiava  imagine  che  tace. 

Giurato  si  saria  ch'ei  dioeese:  «  Ave  >, 
però  che  ivi  era  imaginata  quella, 
che  ad  aprir  l'alto  amor  Tolse  la  chiave; 

ed  ayea  in  atto  impressa  està  £Ekvella, 
«  .Ecce  andUa  Dei  >,  propriamente, 
come  figura  in  cera  si  suggella. 

«  Non  tener  pure  ad  un  loco  la  mente  », 
disse  il  dolce  maestro,  che  m'ayea 
da  quella  parte  onde  il  ocre  ha  la  gente; 

per  ch'io  mi  mossi  col  viso,  e  yedea 
di  retro  da  Maria,  da  quella  costa 
onde  m'era  colui  che  mi  morea, 

un'altra  storia  nella  roccia  imposta: 
per  ch'io  varcai  Virgilio,  e  femmi  presso, 
acciò  che  fosse  agli  occhi  miei  disposta^ 

Era  intagliato  li  nel  marmo  stesso 
lo  carro  e  i  Vuoi  traendo  l'arca  santa, 
per  che  si  teme  officio  non  commesso. 

Dinanzi  parea  gente;  e  tutta  quanta 
partita  in  sette  cori,  a  due  mìei  sensi 


mento  di  doloe  soavità.  —  89.  cIm  bob  eoo. 
che  non  pareira  scolpito  e  mvto  nel  manno, 
ma  pexsona  viva  e  pariante.  —  40.  Ito:  il 
salato  dell'angelo  Gabriello  alla  Vergine  fa 
appanto  Ave,  gnOta  piena,  dombnu  Uemn 
(Laca  I  38)  eco.  —  41.  «nella  ehe  eco.  colei 
che  mosse  V  amore  dirino  ad  ayer  pietà  degli 
uomini.  —  43.  ed  area  eoo.  e  la  Vergine  era 
effigiata  in  atteggiamento  d'amiltà  si  che  dalla 
sua  imagine,  con  la  precisione  della  flgaia  im- 
pressa dal  sigillo  nella  cera,  parevano  osdre 
le  parole  eh'  ella  rispose  all'  angelo  :  Eooe  of»- 
eiUa  domini,  fiat  miSki  eeoumdmn  verbmn  tmmn 
(Laoa  1 88).  —  46.  Hoa  teser  eoo.  Dante  s'era 
tatto  raccolto  ad  ammirare  la  storia  dell'  An- 
nandarione;  ma  Virgilio  lo  avrerta  di  non 
tener  sempre  gli  occhi  salla  stessa  rappresen- 
tazione, si  di  volgerli  ad  altre  imagìni.  — 

47.  che  a*  ave*  ecc.  Dante  era  alla  sinistra 
di  "^rgilio,  perché  nel  pargatorio  i  dae  poeti 
procedono  sempre  verso  destra  e  U  maestro 
resta  sempre  dalla  parte  estema  per  tatelar 
meglio  il  sao  discepolo  e  impedire  eh'  rt  cada 
(ofr.  Pmg.  ZI  49,  zxx  81,  xxn  128  ecc.).  ~ 

48.  da  «nella  parte  eoo.  dalla  parte  sinistra, 
ove  secondo  l'opinione  volgare  è  il  onore. 
—  49.  per  eli*lo  eco.  per  la  qnal  cosa  io 
goardai  e  vidi  al  di  là  della  storia  dell' An- 
nonciarione,  alla  mia  destra,  on'  altra  storia 
essere  figorata  nel  marmo.  —  60.  di  retro  : 
al  lato  destro  della  prima  rappresentanza  se- 
gniva  la  seconda,  alla  storia  dell'  Annanda^ 
rione  qneUa  di  David.  —  da  qnella  eoo.  da 


qoella  parte  dalla  qoale  io  aveva  Virgilio,  la 
mia  gaida,  oà«  mi  movecu  —  68.  per  ck*  lo 
ecc.  Dante,  per  vedete  la  storia  di  David, 
passò  al  di  là  di  Virgilio,  alla  eoa  deetn,  e 
si  awicind  al  bassorilievo  perché  apparisse 
distintamente  ai  saoi  oochL  —  66.  Era  lata- 
gltato  eoo.  D  soggetto  della  seoonda  storia  ò 
il  racconto  biblico  (Il  Samoele,  vi  1-28)  del 
trasferimento  dell'Ansa  di  Dio  dalla  oaaa  di 
AHnadab  a  Gerasaleoune  ;  dorante  il  qoab 
«  David  e  totta  la  oasa  d' Israel  Daoevano  fe- 
sta davanti  al  ignora,  sonando  d'ogni  sorta 
di  stramenti  datti  di  legno  d'abete  con  oetere 
e  oon  salteri  e  oon  tamburi  e  con  sistri  e  con 
cembali  »  :  dioe  il  racconto  che  Uzza,  ano  dei 
oondattori  del  carro,  avendo  toccato  l'Arca  per 
sostenerla  fti  percosso  da  morte  improvvisa: 
e  che  giangendo  l' Arca  in  Qerasalemme,  Mi- 
ool  «  vide  il  re  David,  che  saltava  di  forza 
in  presenza  del  signore,  e  lo  sprezzò  nel  oaor 
sao  »,  si  che  fb  poi  panita  con  la  sterilità. 

—  66.  traendo  :  ohe  traevano  (cfir.  Ihf,  zzxi 
14).  —  67.  per  dM  eoo.  :  accenna  al  fktto 
di  Uzza,  ohe  preeamendo  di  ten  ofJMo  nm 
eommeatOy  di  sostenere  l' arca  che  non  aveva 
bisogno  del  sno  arpeggio,  fu  pnnito  di  morte. 

—  68.  DlBABsi  eco.  Il  racconto  biblico  ori- 
ginale dice  soltanto  ohe  oon  David  erano 
«  tatti  gli  nomini  scelti  d'Israel,  in  naoMco 
di  trentamila  »  ;  ma  Dante  segno  la  valgala, 
che  dice  :  eremi  own  David  eeptem  ehori^  eioè 
sette  schiere  di  popolo.  —  69.  a  dae  idei 
sensi  ecc.  :  a  giadicar  dall'  adito  si  diceva 


PURGATORIO  —  CANTO  X 


349 


CO        Deiceva  dir  l'iin  «  No  »,  l'altro  e  Si,  canta  > 
similemente,  al  fummo  degl'incensi 
che  v'era  imaginato,  gli  occhi  e  il  naso 
63        ed  al  si  ed  al  no  discordi  fònsL 
Li  precedeva  al  benedetto  vaso, 
trescando  alzato,  l'umile  salmista, 
66        e  più  e  men  che  re  era  in  quel  caso: 
d'incontra  effigiata  ad  una  vista 
d'un  gran  palaszo  Micol  ammirava, 
69       si  come  donna  dispettosa  e  trista. 
Io  mossi  i  piò  del  loco  dov'io  stava, 
per  avvisar  da  presso  un'altra  storia 
72       che  di  retro  a  Micol  mi  biancheggiava. 
Quivi  era  storiata  l'alta  gloria 


che  non  eantarano,  perché  non  il  tontiTA 
noUft;  a  giudicar  dalla  Tista  il saiabbe  detto 
ehe  caataMero,  con  tanta  yeiità  erano  tool- 
pite  qoalle  fiorare  in  atto  di  cantare.  —  61. 
italleaieate  ecc.  e  ood  gd  occhi  guardando 
Aeerano  credere  che  proprio  ftunaaeero  gli 
ineanfli  «ni  daranti  «H'aroa,  io  non  che  il 
naeo  non  tentindo  aloon  odore  toglieva  Til- 
luioiie  della  Tiita.  —  64.  li  precederà  ecc. 
David,  il  re  poeta  autore  dei  Sakni  (c£r.  Jnf, 
IT  68),  eia  raflBgniato  innanzi  all'Ansa  eanta, 
al  eoao,  santo  simbolo  dell'  alleanza,  in  atto 
di  danzare  con  la  vwte  alzata.  ~  66.  ire- 
■win  eoo.  :  si  ricordino  le  parole  ironiche, 
eoa  le  qnaU  ìllcol  rimprorerò  David,  secondo 
il  raoeonto  blblioo  :  e  Quanto  è  egli  stato  oggi 
onoceroto  al  re  d'Israel  d'essersi  oggi  sco- 
perto davanti  agli  occhi  dsUe  serventi  dei 
suoi  servitori,  non  altrimenti  ohe  si  scopri- 
rebbe un  uomo  da  nulla  !  >  ,  e  per  queste 
s*  intriderà  che  ahuUo  si  riferisce,  come  bene 
videro  1^  antiofai  commentatori,  ti  vestimen- 
to obe  David  si  trasse  su  per  essere  pld  li- 
bero nei  movimenti  della  danza,  con  la  quale 
^umiliava  Innanzi  all'Arca.  Invece  il  Dan. 
seguito  da  molti  moderni  rilari  Vabtah  al 
eorpo  di  David,  tale  per  i  movimenti  stsssi 
della  danza  afrenata;  ma  quesf  idea  ò  già  nel 
vb.  Irsseor»  ohe  significa  ballare  saltando  in- 
eompoetamente  (cfr.  Inf.  ziv  40).  —  66.  e 
pM  eoe  più  che  re,  perché  aveva  indoeso 
l' abito  pcntiflcale  (L'efody  descritto  nell' Aodo 
zxvm  6-12),  e  meno  che  re,  peitehó  per  umiltà 
fMeva  atto  oonveniente  più  tosto  a  uomini 
di  oondizioiie  servile.  —  67.  d^lneoalra  eco. 
nello  stesso  bassorilievo,  ma  nella  parte  de- 
stra, era  raffigurata  Ificd,  che  da  una  fine- 
stra del  palazzo  reale  guardava  meravigliata, 
eon  atto  di  disdegno  •  di  dolore.  —  vista: 
come  Ib  h%f.  x  03  significa  apertura  in  ge- 
aere,  per  la  quale  si  vede,  doò,  nel  caso  di 
in  patao,  la  finestra,  ali 


il  racconto  Ublioo,  si  era  aflkcciata  lOool.  — 
68.  Mleal:  figliuola  di  Saul,  data  in  moglie 
a  David  in  premio  della  vittoria  riportata  sui 
gigante  Golia  (cfr.  I  Samuele,  xvn  25,  xvm 
17,  20  e  segg.,  za  11  e  segg.).  —  70.  Io 
BMsl  eoe  Alla  destra  della  seconda  storia, 
dalla  parte  ove  era  effigiata  Micol,  era  rap- 
presentata la  storia  di  Traiano  e  della  vedova, 
e  Dante  s' avviò  verso  di  quella  per  vederla 
più  da  vidno.  —  78.  q^ìjì  era  eco.  Il  sog- 
getto della  tersa  rappresentazione  ò  la  leg- 
genda di  Traiano  imperatore  e  della  vedova 
cui  egli  rese  giustizia;  la  quale  leggenda  ori- 
ginata da  un  aneddoto  riferito  da  Dione  Cas- 
sio, XIX  5,  e  largamente  diffusa  nel  medioevo 
(cfr.  e.  Paris,  La  Ugmdé  de  TVoion,  Parigi 
1878),  è  cosi  raccontata  dall' An.  fior.:  e  Es- 
sendo rubellata  allo  imperio  romano  una  città, 
Traiano,  armato  cono  esercito  suo,  colle  ban- 
diere levato  et  uscendo  di  Boma,  il  figliuolo 
del  detto  Traiano  o  vero  d' uno  suo  principe 
disavvedutamente  avea  morto  uno  figliuolo 
d'una  vedova  di  Boma.  Questa  vedovella, 
nel  meo»  delle  schiere,  portata  dal  dolore, 
prese  U  freno  del  cavallo  di  Trsiano  impera- 
dere  dicendo  :  *  Signore,  ftunmi  vendetta  della 
morto  del  mio  figliuolo  '.  Traiano  umilmento 
ristette,  dicendo:  *  Aspettati,  tanto  ch'io  tor- 
ni'.Costei,  impronte  per  lo  dolore  ehe  aveva, 
disse  :  *  Et  se  tu  non  tomi?  '  Traiano  umil- 
mento le  rispose:  *  Quelli  che  terrà  il  luogo 
mio  il  ti  fltfà  '.  Costei,  oome  dice  nel  testo, 
disse:  *  Et  a  te  che  ila  prò  il  bene  ehelkrà 
un  altro?  '  Costui  fermossi,  et  fé'  fermare 
tutte  la  sua  gente,  et  chiamò  il  fiducie  et 
privoUo  della  eredità».  Nello  stesso  modo, 
salvo  qualche  variante  partlodare,  la  leggenda 
ò  narrate  da  tutti  gli  antichi  commentatori, 
Lana,  Ott,  Benv.,  Buti  ecc.  e  In  altri  testi 
volgari,  oome  le  Ncfctlk  onMeAs  (ediz.  Bisgi, 
p.  66),  U  Fiore  di  filosofi  (eà.  Orpelli,  p.  68) 
eoe.  ;  e  tutti  v'aggiungono  il  racconto  di  Gio- 


350  DIVINA  COMMEDIA 


del  roman  principato,  il  cui  valore 
75        mosse  Gregorio  alla  sua  gran  vittoria: 
io  dico  di  Traiano  imperadore; 
ed  una  vedovella  gli  era  al  freno, 
78       di  lagrime  atteggiata  e  di  dolore. 
Intorno  a  lui  parea  calcato  e  pieno 
di  cavalieri,  e  l'aquile  nell'oro 
81        sopr'esso  in  vista  al  vento  si  movièno. 
La  miserella  intra  tutti  costoro 
parea  dicer:  «  Signor,  fammi  vendetta 
84       del  mio  figliuol  eh' è  morto,  ond'io  m'accoro  >; 
eè  ttgU  a  lei  rispondere  :  «  Ora  aspetta 
tanto  ch'io  tomi»;  ed  eli»:  «'Signor  mio, 
87        come  persona  in  cui  dolor  s'afiretta, 
se  tu  non  tomi?  »  Ed  ei:  «  Chi  fia  dov'io 
la  ti  farà»;  ed  ella:  «L'altrui  bene 
90        a  te  che  fia,  se  il  tuo  metti  In  obblio?  » 
Ond'  elli  :  «  Or  ti  conforta,  che  conviene 
ch'io  solva  il  mio  dovere,  anzi  ch'io  mova: 
93        giustizia  vuole  e  pietà  mi  ritiene». 
Colui,  che  mai  non  vide  cosa  nuova, 
produsse  esto  visibile  parlare, 
96        novello  a  noi,  perché  qui  non  si  trova. 

Tanni  Diacono  (ofir.  nota  al  Par,  xx  106),  co-  nella  dignità  imperiale,  ti  rendetà  quella  glu- 
me il  pontefice  Gregorio  I  ottenesse  ohe  per  stlzia  ohe  ta  chiedi.  —  88.  L'altrml  eoo.  Che 
(faesta  giostìEia  fatta  alla  redova  l'anima  di  vantaggio  verrà  a  te  dal  bene  Catto  da  altri, 
Traiano  dall'  inferno  passasse  al  paradiso  (cfr.  da  poi  ohe  ta  metti  in  dimenticanza,  traacnri 
Pw.  zx  44, 106).  ^  l*alU  gloria  ecc.  il  fatto  di  ùm  ^nel  bene  ohe  dovresti  per  obbligo 
glorioso  di  Traiano  imperatore,  la  virt6  del  del  ino  officio  t  »  92.  eh*ie  MlTa  eoo.  ohe 
quale  indusse  Gregorio  I  a  strapparne  l'aaima  io,  fisoendoti  giustizia,  adempia  ai  miei  de- 
dali' inferno.  —  74.  prÌBeipato  :  qnl  vale  non  veri  d' imperatore,  prima  d' aUontananai  di 
l'officio,  ma  la  persona  del  principe  (per  ana-  qni  con  l'esmoito.  ^  96.  glestlsl»  eoo.  la 
logia  con  la  denominazione  di  uno  degli  or»  ginstizia  vnole  che  io  eeerdti  il  mio  minlstaio 
din!  angelici:  cfr.  Air.  zzvm  126).  —  78.  41  e  la  pietà  m'indnce  a  non  fti^porre  indugio 
lagrLne  ecc.  In  atteggiamento  di  piangere  e  aloono.  ^  94.  Celai  ecc.  Dio,  a  coi  aolla  è 
di  lamentarsi.  —  79.  latorao  a  Ini  eoo.  In-  nuovo,  peiohó  è  infinito  ed  etema,  creò  qoe- 
tomo  all'imperatore  erano  raffigorati  1  oa-  sto  imaginl  mevaviglioBe  che  ooi  loro  atti 
valierl,  che  si  affollavano  a  vedere,  e  saOe  esprimono  non  pare  on  determinato  pensioro 
schiere  spiccavano  le  insegne  imperiali  ohe  o  sentimento,  come  ftumo  le  figure  dell'  arte 
parevano  moversi  al  vento.  ~  80.  aquile  amana,  ma  una  serie  di  penderi  e  di  senti- 
uell'oro  :  le  bandiere,  che  portavano  Intoe-  menti  diversi.  <  Oosi  si  soosa  (osserva  il  Gio- 
ente nel  campo  d' oro  le  aquile,  emblemi  del-  stl)  dell*  aver  posto  ohe  una  effigie  possa  eepri- 
r  impero.  81  noti  che  Dante  imaginò  le  inse-  mere  con  l'atto,  non  un  solo,  ma  pid  ailbtti 
gne  imperiali  dei  tempi  di  Traiano  fhtte,  oome  oonsecotlvi.  L'artista  potrà  benissiiso  ginn- 
quelle  dei  snoi  tempi,  di  drappi  con  l'aquile  gore  a  imprimere  negli  atteggiamenti  e  nel 
ricamate  ;  mentre  si  sa  che  i  romani  usavano  volte  delle  sue  figure  la  domanda  e  la  rispo- 
aquile  d'oro  o  di  bronzo  dorato  poste  in  cima  sta,  ma  non  mai  un  dialogo  continuato,  per- 
alle  aste.  —  82.  Intra  tutti  «estero :  in  che  l'attitudine  delle  figure,  intagliato  o  di- 
mezzo all'esercito  di  Traiano.  —  87.  eeme  plnte,  ò  una  e  permanente  ».  —  96.  aoTelle 
persóna  eoe  con  l' impaziente  insistere  prò-  ecc.  insolito  per  noi  uomini,  perdio  l' arte 
prìo  di  ohi  è  dominato  da  un  vivo  dolore,  umana  non  è  capace  di  riprodurre  con  le  soe 
—  88.  CU  fla  ecc.  Colui  che  sarà  nell'officio  creazioni  la  successione  del  dialogo  e  U  sen- 
nel  quale  ora  sono  io,  doò  il  mio  successore  timtnto  d'umiltà  diffuso  in  quelle  figure,  open 


PURGATORIO  -  CANTO  X 


351 


Mentr'io  mi  dilettava  di  guardare 
le  imagini  di  tante  nmilitadi, 
99       e  per  lo  fabbro  loro  a  veder  care; 
«  Eoco  di  qua,  ma  lamio  ì  passi  radi, 
mormorava  il  poeta,  molte  genti: 
102        questi  ne  invieranno  agli  alti  gradi  >. 
Gli  occhi  miei  cb'a  mirar  eran  intenti, 
per  veder  novitadi  onde  son  vaghi, 
1C5        volgendosi  vèr  lui  non  furon  lentL 
Non  vo'però,  lettor,  che  tu  ti  smaghi 
di  buon  proponimento,  per  udire 
108        come  Dio  vuol  che  il  debito  si  paghi. 
Non  attender  la  forma  del  martire: 
pensa  la  succession;  pensa  che,  al  peggio, 
111        oltre  la  gran  sentenza  non  può  ire. 

Io  cominciai:  «  Maestro,  quel  ch'io  veggio 
mover  a  noi,  non  mi  sembran  persone, 
1 14        e  non  so  che,  si  nel  veder  vaneggio  ». 
Ed  egli  a  me:  <  La  grave  condizione 
di  lor  tormento  a  terra  li  rannicchia, 
117        si  che  i  miei  occhi  pria  n'ebber  tenzone. 
Ma  guarda  fiso  là,  e  disviticchia 
col  viso  quel  che  vien  sotto  a  quei  sassi: 
120       già  scorger  puoi  come  ciascun  si  picchia  ». 


dell'arto  divina.  —  98.  le  imaglul  eco.  le 
nppresentazioiìl  figurate  di  ^eUi  esempi  cosi 
grudi  di  umiltà,  le  quali  sono  care  a  vedere 
anche  per  essere  opera  di  Dio.  —  100.  di 
4aa:  dalla  parte  di  Virgilio,  doè  alla  slni- 
stza  rispetto  ai  dae  poetL  —  101.  molte  gta- 
tl  :  sono  le  anime  dei  superbi  ohe  girano  in- 
torno al  monto,  andando  dalla  sinistra  Terso 
la  deetra,  cnmiti  sotto  il  peso  di  grandi  ma- 
cigni (cfr.  rr.  127  e  segg.).  —  102.  questi 
ecc.  queste  anime  insegneranno  a  noi  la  vìa 
per  arrhraie  alla  scala  onde  si  sale  ai  oercht 
snperiori  (cfir.  Purg,  xi  40,  49).  —  106.  OU 
eeekl  ecc.  Dante,  che  era  tatto  raccolto  nel- 
roeserrare  le  scoltore,  desideroso  com'era 
di  Todar  cose  nuove,  s'affrettò  a  guardare 
Terso  sinistra,  appena  ebbe  intese  le  parole 
di  Virgilio.  ~  106.  Non  ve' però  ecc.  Am- 
monisce Q  lettore  a  non  disanimarsi  dal  buon 
proposito  della  penitenza,  vedendo  quanto 
gravi  sono  le  pene  per  mezzo  delle  quali  l'uo- 
mo espia  le  proprie  colpe.  —  sasagM:  cf^. 
Inf,  XXV  146.  — 108.  H on  attender  eoe  Non 
bsdare  slla  qualità  della  pena,  si  si  firutto 
ddla  penitenza,  dod  alla  beatitudine  ohe  tien 
dietro  sii'  espiazione;  e  considera  ohe  nel  peg- 
giore dei  casi  ossa  penitenza  non  può  duraro 
oltre  si  giudizio  finale,  cessando  per  tutti  nel 


giorno  del  twoxMimo  bando  (Purg.  ttt  is). 
—  112.  Maestro  ecc.  A  Dante  quelli  esseri 
curvati  sotto  il  peso  dei  macigni  non  sem- 
brano figure  umane  :  pur  avendo  il  maestro 
già  accennato  alla  venuta  di  gmU  (v.  101), 
limita  ad  esporgli  la  impressione  ch'ei  prova 
a  quella  vista,  per  avere  in  proposito  qual- 
che schiarimento.  —  114.  e  non  so  eco.  e 
non  so  né  pur  io  che  cosa  mi  sembrino,  tanto 
vaneggio  nel  veder^  cioè  guardo  inutilmente, 
perchó  ora  mi  si  presenta  una  figura,  ora 
un'  altra.  —  116.  La  graie  ecc.  La  qualità 
della  pena  Inflitta  a  questi  peccatori  li  tiene 
rannicchiati  e  curvi  sotto  il  peso  dei  sassi, 
in  modo  che  anch'io  al  primo  vederli  non 
seppi  discemere  che  cosa  fossero.  —  117. 
n'ebber  tenzone:  riportarono  diverse  im- 
pressioni oirca  quelli  esseri,  poiché  parevano 
e  non  parevano  persone.  —  118.  dlsTitle- 
ehla  ecc.  con  gli  occhi  tuoi  cerca  di  distin- 
guere la  figura  umana  oh' è  sotto  a  ciascuno 
doi  sassi  :  comò  0  vb.  awitiecMore  (cti.  £tf, 
XXV  60)  significa  stringerò,  avvinghiare,  oesf 
il  suo  contrario  disviticchiare  vale  sciogliere  ; 
e  qui  figuratamente,  discemere,  distinguere, 
con  una  metafora  ardita,  ma  efficace  a  espri- 
mere lo  sfoRo  della  vista.  —  120.  si  picchia: 
si  batto  il  petto,  per  segno  di  penitenia.  Bl- 


352 


DIVINA  COMMEDIA 


0  superbi  Cristian  miseri  lassi, 
che,  della  vista  della  mente  infermi, 
123       .fidanza  avete  ne*  ritrosi  passi  ; 

non  v'accorgete  voi,  che  noi  siam  vermi 
nati  a  formar  P  angelica  farfidla, 
126        che  vola  alla  giustizia  senza  schermi? 
Di  che  l'animo  vostro  in  alto  galla? 
poi  siete  quasi  entomata  in  difetto, 
129        si  come  verme,  in  cui  formazion  falla. 
CJome,  per  sostentar  solaio  o  tetto, 
per  mensola  talvolta  una  figura 
182        si  vede  giunger  le  ginocchia  al  petto, 
la  qual  fa  del  non  ver  vera  rancura 
nascere  a  chi  la  vede;  cosi  fatti 
135        vid'io  color,  quando  posi  ben  cura. 
Ver  è  che  più  e  meno  eran  contratti, 


corda  l'atto  del  pabblioano  nel  rangelo  di 
Luca  xvm  18;  cfr.  Moore,  1 49.  — 121.  0  m- 
perbl  eco.  8cart  :  <  Al  vedere  la  pena  dei 
superbi  il  poeta  il  dimanda  con  iitopore  di 
che  l'aomo  il  pena  vantare  nel  momento  in 
cui  nel  suo  orgoglio  ei  dimentica  intieramente 
la  sua  condizione,  dò  ohe  egli  è,  e  ciò  ohe 
sarà,  miHsimmnente  allorquando  egli  sarà 
chiamato  a  comparire  davanti  alla  giustizia 
divina  ».  —  122.  della  vista  eoo.  essendo  di 
deco  intelletto  avete  la  fidada  di  perveniro 
a  boon  Une  camminando  all'  Indietro,  volete 
conseguire  il  premio  destinato  alla  virtù  pro- 
cedendo nella  via  del  vizio.  »  124.  aol  siam 
ecc.  noi  uomini  siamo  vermi  destinati  a  for- 
mare l'angelica  farfalla,  dod  l  nostri  corpi 
sono  pura  materia  ohe  riveste  l'anima,  incor- 
porea come  gli  angeli;  la  quale  anima,  uscendo 
dall'involucro  materiale,  sale  poi  davanti  al- 
l'eterno giudice  senza  poter  ricoprire  le  pro- 
prie colpe.  —  126.  gioitizla  eoo.  giustizia 
divina,  <PF*#"*^  fiii^  quale  l'anima  è  unita 
tehtrmi,  senza  difesa  che  nasconda  o  attenni 
le  sue  colpe  ;  perchó  la  fooda  di  Dio  ò  tale 
che  ad  essa  «  nulla  si  nasconde  >  {Piar,  zza 
78).  —  127.  ÌM  alto  galla  t  monta  in  super- 
bia (cfr.  Inf,  ZZI  67).  —  128.  poi  siete  eco. 
pdchó  siete  come  gl'Insetti  difettivi  o  im- 
perfetti, come  11  verme  che  per  incompiuta 
formazione  non  sia  giunto  a  esser  farfalla: 
vuol  dire  che  l'uomo  nel  mondo  è  un  essere 
imperfetto,  perché  la  parte  materiale  o  cor- 
porea non  ha  per  sé  alcun  valore,  e  la  parte 
spirituale  oida  l'anima  è  destinata  a  svol- 
gere la  ma  perfettibilità  nel  mondo  di  là.  — 
fel  :  frequente  è  In  Dante  e  negli  altri  an- 
tldìi  l'uso  assoluto  del  poi  non  seguito  dal 
flàs,  da  con  vilore  causale  come  qui  (e  Air. 
B  56,  m  27),  sia  oon  valore  temporale  oome 


nel  vene  1  (e  Purg.  ziv  190,  zv  84,  Bir.  x 
76,  ziz  100).  —  entomata  X  Dante  ha  voluto 
dire  insitti,  facendo  volgare  la  parola  greca, 
che  avrebbe  dato  propriamente  iitioma:  ma 
egli  scambid  la  forma  del  plurale  per  una 
forma  di  singolare,  declinandola  come  decina, 
thtma  eoo.  in  dopnata,  thmnaia  eoo.  ;  oppure 
leggendo  in  qualche  lesdoo  énioma,  tà  (^ 
insettS)  non  distinse  il  nome  dall'articolo  e 
ne  fece  tutta  una  parola  :  cfr.  C.  Oavedoni, 
0$8ervaxwni  eritieh»  dt  p.  78.  — 180.  Cene 
ecc.  Venturi  846  :  <  È  nota  la  storia  delle 
donne  di  Caria  condotte  schiave  dai  Gred 
conquistatori  ;  onde  11  termine  architettonico 
di  eariatidL  Óotall  figuro  d'uomini  e  d'ani- 
mali usò  l' arte  del  medioevo  a  regger  pul- 
piti e  porte  decome  ornamento  o,  idft  spesso, 
come  simbolo.  In  Dante  la  dmilitudine,  ri- 
chiamando l' Idea  delle  donne  di  Oada,  ricorda 
nel  senso  sllegorioo  la  schiavitù  dovuta  a  chi 
Insuperbì  e  d  lovò  sopra  i  fhitelli,  imaglne 
conforme  alla  biblica:  Stqrra  dormtm  mntm 
fabnoan&rmi  peeoatona  {Pè.  czzvm  8);  e  nd 
senso  letterale  mette  In  atto  con  robuste  pen- 
nellate la  penosa  contrazione  di  quelle  anime, 
che  d  rannicchiano  fino  ad  sggiungere  le  gi- 
nocchia al  petto  >.  —  188.  la  qual  eoe  la 
quale  figura  od  suo  atteggiamento  tà  provate 
a  chi  la  vede  una  vera  pena  per  un  afBumo 
che  non  è  rode,  ma  solamente  figurato.  — 
184.  eoif  f  atU  :  rannicchiati  oon  le  ginocchia 
contro  il  petto.  —  186.  Ver  è  ecc.  Le  figure 
dd  superbi  apparivano  più  o  meno  rannic- 
chiate secondo  11  maggiore  o  minor  peso  dd 
masd  che  avevano  addosso  :  e  tutti  d  dimo- 
stravano ood  itanchl  (cfr.  Pitry.  zi  26:  e  sotto 
il  pondo...  lasse  »),  che  quegli  ohe  pareva  pi6 
padente  degli  dtrl  sembrava  dire  od  pianto  : 
non  posso  sostenere  questo  grave  peeo.  Cod 


-rwr 


PURGATOBIO  -  CANTO  X  353 

secondo  ch'avean  più  o  meno  addosso; 
e  qnal  più  pazienza  avea  negli  atti, 
139    piangendo  parea  dicer  :  €  Più  non  posso  ». 

dal  Imbm  e  da  Beny.  in  poi  intoaaro  questo  moctraya  di  soffrire  pi6  che  gli  altri,  pian* 

luogo  quasi  tatti  i  commentatori;  aolamente  gendo  parea  ohe  dicesse  eoo.  >  ;  e  la  raa  spio- 

il  Toam.  s'aliontand  dalla  inteiprotazione  gazione  fa  difesa  dal  Fanf.,  che  sostenne  po- 

eoBune,  slegando:  «  Quegli  ohe  agli  atti  «ùnxa  arer  qai  il  significato  di  dolore  fisico. 


CANTO  XI 

IneontrandoBl  con  le  anime  dei  superbi,  Dante  e  Virgilio  domandano  loro 
da  qoal  parte  sia  la  scala  per  salire  al  secondo  cerchio  ;  e  mentre  tutti  in- 
sieme procedono  verso  destra  in  cerca  della  scala,  dee  di  quei  peccatori, 
U  eonte  Omberto  Aldobrandeschi  e  11  miniatore  Odorisi  da  Gobbio,  si  mani- 
festano ai  due  poeti  [11  aprile,  dalle  dieci  alle  undici  antim.,  circa]. 

<  0  padre  nostro,  die  nei  cieli  stai, 
non  circonsoritto,  ma  per  più  amore 

8  che  ai  primi  effetti  di  là  su  tu  hai, 
laudato  sia  il  tuo  nome  e  il  tuo  valore 

da  ogni  creatura,  com'è  degno 
6       di  render  grazie  al  tuo  dolce  vapore. 
Yegna  vèr  noi  la  pace  del  tuo  regno 
che  noi  ad  essa  non  potem  da  noi, 

9  8*  ella  non  vien,  con  tutto  nostro  ingegno. 
Come  del  suo  voler  gli  angeli  tuoi 

fan  sacrificio  a  te,  cantando  '  Osanna  ', 
12        cosi  feuìoiano  gli  uomini  de' suoi 
Dà  oggi  a  noi  la  cotidiana  manna, 

XI 1.  OfAireeoo.  La  preghieca  ohe  Dante  la«dato  eoo.  ogni  oreatoia  Iodi  U  tao  nome 

nette  In  bocea  ai  n^erU  (ofr.  rr,  25-26)  è  e  la  tua  potenza  e  ti  renda  giade  dell' amozo 

UBA  pazaftaal  deU'  orarinne  domenicale,  ohe  ohe  loro  dimoetcL  Alooni  oommentatoxi  come 

ai  legg®  Mi  rangell  di  Matteo,  yi  9-18,  o  di  Land.,  VelL,  Dan.,  oredono  ohe  alano  coti 

Looa,  n  2-4  :  non  è  indegna  di  Dante,  oa-  accennate  le  tre  penone  della  Trinità,  nel 

serra  il  Team.,  ma  è  par  aempre  ima  para-  valon  il  Padre,  nel  fiome  il  Figlio,  e  nd  «a- 

feaai,  otre  la  lempUflltà  dd  oonoetti  erange-  por»  lo  Spirito  Santo  ;  e  altri  intendono  il 

Bai  ai  Bmaziieoe  nelle  aggiomioiil  eaplicatiye  dotoB  vapor»  per  la  sapienza  divina:  cfr.  Moo- 

e  nella  oonridesadoni  tecdoglehe  che  molto  re,  1 61.  —  7.  Tega*  rtr  eoo.  Diaoenda  yerso 

tolgono  aDa  eemplidtà  della  pregherà.  —  2.  di  noi  qneUa  beatitadine  celeste,  poiché  noi 

B«B  dreouerltte  eoo.  non  già  perché  ta  aia  non  poseiamo  conseguirla  oon  gli  sforzi  del 

diinao  dontio  ai  limiti  dello  spazio:  infatti  nostro  ingegno,  se  essa  non  d  è  spontanea- 

Dio  ò  seoondo  U  oonoetto  firistiano  nn  essere  mente  oonceesa.  —  10.  Come  eoo.  Come  del 

«  Bon  drooocritto  e  tatto  diooscdre  »  (Air.  loro  yolere  ti  ftnno  sacrificio  gli  angeli  che 

xiT  80);  si  cfr.  la  parole  del  Cbnv.  ir  9:  e  An-  sn  in  cielo  cantano  le  tne  lodi,  cosi  facciano 

che  ddla  natoxa  nnireisale  egli  è  limitatore,  snUa  terra  gli  uominL  —  avo  :  ofir.  iHf.  x  18. 

(kètà  che  da  nulla  è  limitato,  dod  la  prima  —  11.  Osanna:  ofr.  Air.  yn  1.  — 18.  la  eo- 

bcBtà,  oh'  è  Iddio,  che  solo  colla  infinita  oa-  tidlana  mannai  è  il  panem  qttoHdianum  dd 

padtà  l'infinito  oompimide  ».  —  8.  prlnd  ef-  Pater  notUr,  ohe  in  senso  letterale  ò  il  yitto 

f  etti  eoo.  le  prime  onatore,  le  prime  opere  giornaliero  cosi  detto  per  ricordo  biblico  (c£r. 

della  divinità,  cesia  i  deli  e  gli  angeli.  —  é.  Air.  zzzn  181),  e  in  senso  spiiitoale  è,  se- 

DA:rrx  23 


354 


DIVINA  COMMEDIA 


senza  la  qual  per  questo  aspro  diserto 
15       a  retro  va  ohi  più  di  gir  s'affanna; 
e  come  noi  lo  mal  che  ayem  sofferto 
perdoniamo  a  ciascuno,  e  tu  perdona 
18       benigno,  e  non  guardare  al  nostro  merto. 
Nostra  virtù,  che  di  leggier  s*  adona, 
non  spermentar  con  l'antico  awersaro, 
21        ma  libera  da  lui,  che  si  la  sprona. 
Quest'ultima  preghiera,  signor  caro, 
già  non  si  fa  per  noi,  ohó  non  bisogna, 
24       ma  per  color,  che  retro  a  noi  restaro  >• 
Cosi  a  sé  e  noi  buona  ramogna 
quell'ombre  orando,  andavan  sotto  il  pondo, 
27       simile  a  quel  ohe  talvolta  si  sogna, 


oondo  gli  antiohi  commentatoli,  la  graiia  del 
Signore  che  è  cibo  quotidiano  dell'anima.  — 
14.  ■ensa  la  qnal  eco.  fuori  della  grazia  di- 
vina, chiunque  più  l'afbtlca  di  procedere 
neU'  opera  della  penitenza,  più  toma  indie- 
tro. —  q«eite  aipro  diserto  :  in  quanto  la 
preghiera  domenicale  d  fatta  dagli  nomini 
t'intenda  il  diatrto  per  il  nostro  mondo;  in 
quanto  poi  d  cantata  dalle  anime  s'intenda 
per  il  purgatorio,  OTe  non  s' sTanserebbe  più 
neUa purMosaione  se  Tonisss  a  mancare  l'a^ 
luto  della  grazia.  —  17.  e  ti  perdona  ecc. 
anche  tu  perdona  benignamente,  senza  guar- 
daro  ai  nostri  scarsi  meriti.  —  19.  Hostra 
jìrié  eoo.  Non  mettero  alla  prova  con  le  ten- 
tazioni diaboliche  la  nostra  virtù  che  resta 
facilmente  vinta  dal  gran  nemico.  —  s*ado- 
na  ;  resta  abbattuta,  vinta  (ofìr.  htf,  vi  Si  e 
Zing.  US).  —  ao.  antico  awersaro  :  ofr. 
JFWy.  vin  96.  —  21.  aa  Ubera  ecc.  ma  li- 
bera la  nostra  virtù  dal  diavolo,  che  con  tanti 
allettamenti  la  spinge  al  male.  —  22.  Qae> 
st'altlna  eco.  Quest'ultima  parte  del  JMer 
noaltr:  Et  n»  not  induou  in  imtcUionmn,  ted 
tìb$ra  Mos  a  imUo,  non  d  detta  per  noi  che 
già  siamo  in  luogo  «  dove  poter  peccar  non 
d  più  nostro»  {Pwrg,  zzvi  182),  ma  per  quelli 
che  rimasero  di  tvtro  a  noi.  Tutti  quasi  i  com- 
mentatori intendono  ohe  quest'ultima  pre- 
ghiera sia  fstta  per  gli  uomini  del  mondo, 
come  è  confermato  dai  w.  25  e  31:  il  solo 
Benv.  dubita  se  si  abbia  da  intender  fatta 
più  tosto  per  le  anime  dell'antipurgatorio, 
soggette  come  sappiamo  (cfr.  Pwrg,  vm  97) 
alla  paura  quotidiana  della  tentazione,  e  que- 
sta interpretazione  è  sostenuta  dal  Blano; 
ma  basta  a  persuadere  del  oontrarlo,  oltre 
r  aflérmazione  dei  w.  26  e  81,  il  considerare 
ohe  le  anime  dell'antipurgatorio  hanno  una 
difesa  contro  la  tentazione  nei  due  angeli  che 
ogni  sera  scendono  dal  grembo  di  Maria,  a 
guardia  della  valle,  e  non  hanno  bisogno  delle 


preghiere  delle  loro  consorelle  già  entrato  nel 
purgatorio.  —  25.  Cosi  a  sd  eoo.  Cosi  quelle 
anime,  pregando  a  sé  e  a  noi  uomini  un  f^ 
lice  canùnlno,  procedevano  tutte  in  giro  ei»> 
colare  su  per  la  prima  oomice,  in  diversa 
misura  angosciato  e  stanche  sotto  il  peso  op> 
primente,  espiando  in  tal  modo  la  loro  su- 
perbia. —  raoiegna:  cammino,  viaggio;  cosi 
spiegano  Lana  e  An.  fior.,  e  poco  divecsap 
mento  il  Buti  («  seguir  nel  viaggio  »)  e  Benv. 
(e  augnrium  »,  s' intenda  di  viaggio)  :  e  a  que- 
sta idea  d  rioonduoe  forse  la  ragione  etimo- 
logica (come  in  ramkigoy  da  ramtis),  ohe  da- 
rebbe alla  parola  il  significato  di  movimento 
da  un  luogo  a  un  altro  (cfir.  Zlng.  132).  Tut- 
tavia un  altro  esempio  antico,  nel  TVaOato 
M  giuooo  degU  toaeehi  (ci  Tarantini  ...  Il 
mandavano  Mions  ramqgn»  »,  che  traduco  bona 
knpnearoiUur  del  testo  latino)  sembra  richi^ 
mare  piuttosto  all'  idea  dell'  augnzto  :  cfr.  Pa- 
rodi, Bulk  m  154,  VI  198.  Qui  è  «vidoite 
ohe  Danto  ha  voluto  dire  :  pregando  per  sé 
e  per  noi  un  buon  prossguimento  nella  via 
della  purificazione;  rìfsrendosl  le  sue  parole  a 
quelle  della  pre^^iiera  recitato  dalle  anime  ove 
d  detto  ohe  senza  la  grazia  «  a  relxo  va  chi 
più  di  gir  s'aiEsuna  ».  ~~  26.  p^de:  peso  dei 
massi;  cfr.  Pu/rg,  x  119.  —  27.  sUille  eoo. 
-simile  all'  oppressione  dell'  inoobo,  ohe  alcuna 
▼cito  si  prova  sognando.  Iacopo  Passavanti, 
SpeooMo  detta  vera  pmitenna,  nel  capitolo  fi- 
nale sulla  scienza  diabolica,  sottve  :  «  Dor- 
mendo la  persona  in  sul  lato  manco,  o  quando 
il  corpo  ftasse  ripieno  di  sangue  grosso  o  d'sl- 
tri  grossi  umori,  e  spezialmento  dopo  il  man- 
giare, le  pare  avere  un  gran  peso  addosso,  in 
tanto  che  non  pere  che  si  possa  muovere  0  crol- 
lare, e  pare  slla  persona  dovere  affogare,  s 
▼dòrsi  stare  e  non  potere,  e  gridare  per  soc- 
corso e  non  le  pare  aver  booe;  e  alcuna  volta 
grida  la  persona  e  piagne  infta  tale  sogno,  ram- 
maricandosi: e  chiamano  alcuni  questo  sogno 


PURGATORIO  —  CANTO  XI 


366 


dìsparmente  angosciate  tutte  a  tondO| 
e  lasse  sa  per  la  prima  cornice, 
80       purgando  le  caligini  del  mondo. 
Se  di  là  sempre  ben  per  noi  si  dicOi 
di  qua  che  dire  e  far  per  lor  si  puote 
83       da  quei  e' hanno  al  voler  buona  radice? 
Ben  si  dèe  loro  aitar  lavar  le  note, 
che  portftr  quinci,  si  che  mondi  e  lievi 
86       possano  uscire  alle  stellate  rote. 
€  Deh!  se  giustizia  e  pietà  vi  disgrevi 
tosto,  si  che  possiate  mover  Pala, 
89       che  secondo  il  disio  vostro  vi  levi, 
mostrate  da  qual  mano  in  v6r  la  scala 
si  va  più  corto;  e  se  c'è  più  d'un  varco, 
42       quel  ne  insegnate  che  man  erto  cala; 
che  questi  che  vien  meco,  per  1*  incarco 
della  carne  d'Adamo  ond'ei  si  veste, 
45       al  montar  su,  centra  sua  voglia,  è  parco  >. 
Le  lor  parole,  che  renderò  a  queste 
che  dette  avea  colui  cu*  io  seguiva, 
48       non  fùr  da  cui  venisser  manifeste; 
ma  fu  detto  :  €  A  man  destra  per  la  riva 
con  noi  venite,  e  troverete  il  passo 
51        possibile  a  salir  persona  viva. 


)  o  Toro  <fi0MÒo,  dicendo  ohe  è  uno 
,  modo  d'uno  satiTO  o  come  un 
gatto  mammone,  ohe  va  la  notte  e  tu  qneUa 
BoleatU  alle  genti».  —  28.  dìsparmente: 
cfr.  iWy.  X  186  e  legg.  —  80.  le  eallglml 
ecc.  gli  atti  di  fopextia  ohe  fecero  nel  mondo. 

—  81.  Se  di  là  eoo.  Se  nel  purgatorio  le 
anime  pregano  aempre  per  i  viventi,  quelli 
txa  essi  ohe  tono  néUa  grazia  divina  non  pre- 
gfaermnno  mai  abbastanza  e  non  faranno  mai 
opere  pietose  adegoate  per  ricompensar  le 
anima.  —  88.  e*haBBe  eoo.  che  alla  loro  vo- 
lontà di  auffragare  le  anime  hanno  buon  fon- 
daffifonto  nella  giaxia  del  Signore  ;  poiché  ef^ 
fieaoe  è  e<^  quella  preghiera  e  dub  sorga  su 
di  cor  che  in  grada  viva»  (JFWy.  tv  184). 

—  84.  Bea  si  dde  eco.  Grande  obbUgo  ab- 
biamo di  aiutare  quelle  anime  a  puiifioarsi 
dai  pec<*ati,  ohe  dal  nostro  mondo  portaron 
seco  nel  purgatorio,  8£  ohe  pure  e  leggiere 
possano  salire  alle  sfere  celesti.  —  87.  Deh, 
se  giustizi*  eco.  Virgilio  si  rivolge  alle 
anime  dei  supetU  con  un  augurio,  del  quale 
nessuno  potSTU  suonar  loro  più  grato,  dicen- 
do: Cosi  la  giustizia  e  la  misericordia  del 
Sgnore  vi  liberino  presto  dal  peso  dei  vostri 
peeoati  ■£  ohe  possiate  volare  al  eielo,  se- 
lli Tostio  éariderio  eoo.  eu  antichi  Ott, 


Benv.,  Buti  intendono  giustamente  cho  Vir- 
gilio si  riferisca  alla  gi%uHxia  e  alla  jrittà  di 
Dio,  i  due  attributi  che  si  manifestano  spe- 
cialmente neU'  assegnaro  allo  anime  dei  morti 
la  dannazione  o  la  beatitudine  (cfir.  Tommaso 
d'Aquino,  Summa^  p.  I  qu.  xxi,  art.  4);  ma 
il  VelL,  seguito  da  molti  moderni,  riferisce 
sola  la  ffUuIMa  a  Dio,  e  la  pklà  ai  viventi, 
che  con  i  loro  soflkagi  devono  aiutare  le  ani- 
me a  pnrifioarri.  —  40.  d*  «mal  mane  ecc. 
da  qual  parte  s' arriva  pi6  presto  alla  scala 
del  seoondo  cerchio,  e  se  e'  è  pi6  d'un  passo 
insegnateci  quello  che  è  mono  ripido.  —  43. 
qaestl  ecc.  il  mio  compagno,  essendo  ancora 
rivestito  del  suo  corporeo  involucro,  sale  len- 
tamente né  senza  difficoltà,  sebbene  sia  ani- 
mato dal  desiderio  di  pervenire  presto  alla 
cima  (cfr.  Purg,  vi  49).  —  44.  iella  carne 
d*A4ÀHe:  il  corpo  dell'uomo,  cho  partecipa 
della  natura  del  primo  padre  (ofr.  I^trg,  jx 
10).  —  46.  Le  ler  parole  ecc.  Le  parole  di 
risposta  che  le  anime  resero  alla  mia  guida 
non  apparve  da  chi  venissero,  perché  i  su- 
perbi erano  rannicchiati  sotto  i  grandi  massi  : 
olii  risponde  a  Virgilio  è  Omberto  Aldobran- 
desohi.  —  60.  11  pasto  ecc.  la  scala  per  la 
quale  anche  un  uomo  vivente  pud  salire  al 
cerchio  soperiore  (ofr.  fWy.  xn  106-106).  — 


356 


DIVINA  COMMEDIA 


£  s'io  non  fòssi  impedito  dal  sasso, 
che  la  cervice  mia  superba  doma, 
51        onde  portar  conviemmi  il  viso  basso,    - 
cotesti  che  ancor  vive,  e  non  si  noma, 
guardere'  io,  per  veder  s' Lo  *l  conosco, 
67        e  per  farlo  pietoso  a  questa  soma. 
Io  fili  latino,  e  nato  d'un  gran  tòsco: 
Guglielmo  Aldobrandesco  fu  mio  padre;  « 
60       non  so  se  il  nome  suo  giammai  fu  vosco. 
L'antico  sangue  e  l'opere  leggiadre 
de' miei  maggior  mi  fér  si  arrogante, 
63        che,  non  pensando  alla  comune  madre, 
ogni  uomo  ebbi  in  dispetto  tanto  avante 
ch'io  ne  mori',  come  i  saneei  sanno. 


68.  lA  MrrlM  mi*  «oo.  :  è  maniera  blbUoa 
molto  comune  quella  d' eepzimeie  l'idea  della 
superbia  con  la  firaae  àura  e$rvÌM  (cfr.  Btodù 
xxxu  9,  ixiiii  8,  Devitir,  xx  18,  Isaia XLvm 
4,  Fam  degli  JLp.  yn  61  eoo.);  ma  la  fhwe 
dantesca  risale  pi&  tosto  aU*  oraziana,  Epiti. 
I  3,  84  <  indomita  oervioe  fbroe».  ~  65.  «#• 
testi  eoe  Dante  non  solo  non  s*  era  mani- 
festato, ma  né  pnr  avera  aperto  boooa,  la- 
sciando parlare  a  Virgilio  ;  quindi  le  parole 
di  Omb^to  non  possono  esser  considerate 
come  on  mite  rimprovero,  s£  più  tosto  come 
un'  indiretta  maniera  d' inyitarlo  a  parìare  e 
di  chiedergli  chi  egU  fosse.  —  58.  Io  Ad  la- 
tine ecc.  La  famiglia  fèndale  degli  Aldobran- 
desohi  (cf^.  Pwrg,  vi  lllX  che  ebbe  signoria 
su  quei  territori  ohe  ooetitaisoono  all'inciroa 
la  moderna  provincia  di  Grosseto,  aveva  rag^ 
ginnto  il  colmo  della  sna  potensa  col  conte 
palatino  Ildebrando  morto  nel  1208,  il  quale 
lasciò  i  snoi  domini  ai  figliuoli  Ddebrandino 
maggiore,  Boniiìuio,  Ddebrandino  minore  e 
Guglielmo.  Questo  GugUelmo  fb  certo  uno 
dei  pt6  potenti  •  procaccianti  signori  del 
tempo  suo  in  Toscana  :  nel  1221,  insieme  coi 
fhktelli,  sottomise  i  suoi  castelli  al  comune 
di  Siena  obbligandosi  a  pagare  il  censo,  e 
nel  *7ìL  si  obbligò  allo  stesso  comune  di  ri- 
trsrsi  a  vivere  a  Orooseto;  ma  presto  si  mise 
in  guerra  con  quella  repubblica,  e  pare  infe- 
licemente, se  nel  ^27  fb  per  sei  mesi  in  pri- 
gione a  Siena:  ma  sppena liberato,  continuò 
la  guerra,  aiutato  sottomano  dalla  Chiesa 
romana,  sino  al  1287,  in  cui  strinse  sodetà 
col  senesi  :  nel  1260  era  al  bando  dell'impero 
insieme  ool  figlio  Udebrandino  il  Bosso,  non 
sappiamo  bene  per  quale  ragione  :  tra  il  1258 
e  U  '66  mori,  lasciando  i  suoi  diritti  feudaU 
ai  figliuoli  Udebrandino  e  Omberto  ;  il  primo 
dei  quali,  rimasto  presto  il  solo  erede,  léoe 
poi  nel  1274  con  i  suoi  consorti  la  divisione 
dei  doaiint  nelle  due  contee  di  Scena  e  di 


Santaflora  (Bepetti,  VI  66-68,  : 
pp.  827-880,  637).  Omberto,  nominato  una 
sdla  vtrfta  in  un  documento  del  1256,  ebbe 
la  signoria  del  castello  di  Campagnatioo  (t. 
67),  donde  scendeva  a  depredare  i  viandanti 
e  danneggiare  i  senesi;  tanto  che  nel  1269 
il  comune  di  Siena  mandò  a  lui  alcuni  sicari 
che  lo  affogarono  nel  suo  letto  (A.  Dei,  Onm. 
acm,  in  Mur.,  Bar  U,  XV  28).  —  60.  aea  •• 
se  eoo.  n  nome  di  Guglielmo  Aldobrandeschi 
doveva  suonare  ancora  fiynceo  ai  tempi  di 
Dante,  almeno  in  Toscana  e  tra  i  ghibellini, 
se  non  altro  perehò  ei  fu  l'autore  di  quel 
ramo  delia  sua  casa  che  prese  il  titolo  dalla 
contea  di  Soana:  ma  per  umiltà  il  figlio  di 
lui  dubita  che  pur  il  nome  sia  mai  pervenuto 
agli  orecchi  di  Dante.  ~  61.  Ii*aatieo  san- 
gue ecc.  La  famiglia  Aldobrandeschi  era  an- 
tichissima tra  le  case  feudali  toscane,  e  il 
primo  di  essa  di  cui  ci  avanri  memoria  fti 
Alperto,  vissuto  alla  fine  dell'  vm  secolo  :  e 
antichi  appariscono  i  titoli  nobiliari  ddla  ta^ 
miglia,  poiché  un  Ildebrando  era  measo  im- 
periale al  principio  del  secolo  a,  e  un  altro 
Ildebrando  era  già  assai  potente  aign(«e  alla 
ilne  di  quel  secolo  e  aocolae  nella  sna  contea 
di  Boselle  l'imperatore  Guido.  —  62.  mi  fir 
si  eoe  mi  resero  cosi  superbo;  cfr.  Virgilio, 
Bn,  ZI  84  :  «  genus  buio  matscna  superbum 
Nobilitas  dabat  >.  —  68.  nen  pensando  ecc. 
non  considerando  che  tutti  gli  uomini  sono 
ugnaH,  perché  usciti  tutti  dalla  terra,  madre 
comune,  ebbi  tanto  superbo  dispreizo  degli 
altri,  ohe  esso  fu  cagione  della  mia  morte. 
—  65.  io  ne  aeri*  :  gli  antichi  commenta* 
tori  non  dioono  il  modo  della  morte  di  Om- 
berto, genericamente  aifermando  che  fu  fatto 
uccidere  dai  senesi;  Benv.  inveoe  lìferisoe 
la  voce  oh'  ei  cadesse  in  un'  avvisaglia  coa- 
tro i  sucd  nemid  presso  Campagnatioo,  e  dò 
s' accorda  in  parte  oonlanamaione  di  un'an- 
tica cronaca  senese  (cfr.  Fesxaszi,  V  393):  nm 


PURGATORIO  -  CAKTO  XI 


357 


QQ       e  Ballo  in  Campagnatico  ogni  fante. 
Io  sono  Omberto:  e  non  pure  a  me  danno 
superbia  &,  che  tutti  i  miei  consorti 
69       ha  ella  tratti  seco  nel  malanno. 
£  qui  convien  ch'io  questo  peso  porti 
per  leiy  tanto  che  a  Dio  si  satis&ocia, 
72        poich'io  no'l  fai  tra*  vivi,  qui  tra' morti  >. 
Ascoltando,  chinai  in  giù  la  &ccia; 
ed  un  di  lor,  non  questi  che  parlava, 
75       si  torse  sotto  il  peso  che  lo  impaccia; 
e  videmi  e  conobbemi  e  chiamava, 
tenendo  gli  occhi  oon  fatica  fisi 
78       a  me,  che  tutto  chin  con  loro  andava. 
€  O,  dissi  lui,  non  sei  tu  Odorisi, 
l'onor  d'Agobbio,  e  Ponor  di  quell'iurte 


pare  in  qtiMto  caso  asMi  più  «ototevole  la 
testiiBonSattsa  dal  Del,  il  qnala  toAre  (L  o.): 
«la  quaato  anno  [1269)  Iti  morto  il  conto 
Uberto  di  Saltatore  in  Campagnatioo,  e  Iti 
affocato  in  ani  latto  da  Stiioh»  Tobaldncd, 
da  Fèlaoana  di  Baniari  Uliriari  e  da  Tor- 
chio Maxagoasi;  a  ISDo  affogare  il  oomone 
di  S«nn  per  danari  >.  —  66.  Campagaatieo  t 
Corto  faflnr"*^  nella  Tallo  dell'  Ombrone  aeneae, 
sppartanento  ai  domini  degli  Aldobrandeechi 
tino  dal  aecolo  x,  divenne  nel  aeoolo  xm  as- 
sai intoato  per  lo  violenze  dei  aaoi  aignori, 
di  modo  cbe  nel  12i8  il  oomone  di  Siena  do- 
retto  prendere  alooni  prorvedimenti  atraor- 
dinari  per  tatolare  1  cittadini  taglieggiati  e 
derabeti  al  paaaare  sotto  qoel  castello  :  dopo 
la  morto  di  Omberto  il  poaaenso  di  Campa- 
gnatico andò  dìTiso  tra  rarie  famiglie,  flnchó 
il  castello  ta  ceduto  nogli  ultimi  anni  del 
secolo  xm  al  comune  di  Siena.  —  ogni  fan- 
te :  Boti  :  «  in  quella  contrada  solliono  essere 
molti  Talenti  nomini  d' arme,  li  quali  si  chia- 
mano Csntì,  li  quali  o  perché  ftinno  ad  ucci- 
derlo o  forai  perch*  erano  oon  lui  a  fare  di- 
spiacere ad  altrui  ot  era  loro  noto...  dice  ohe 
in  Campagnatioo  lo  sa  ogni  fante  •.  Il  Veli. 
iuTOca  intonde  font»  per  fanciullo,  e  il  Lomb. 
per  uomo  in  genere;  e  forse  Danto  Tolle 
dire  che  penino  i  fanciulli  saperano  che  la 
cagifHBe  dell»  uccisione  d' Omberto  era  stata 
U  superbia.  —  67.  le  sobo  Oaiberto:  que- 
sto specificazione  di  nome  era  necessaria, 
perché  altrimenti  si  sarebbe  potuto  pensare 
all'altro  figlio  di  Ouglidmo  Aldobrandeschi, 
cioè  il  conto  Ddebrandino  (cfr.  la  noto  al  v. 
68).  —  68.  1  miei  eoasortl  :  il  nome  con- 
sarti  qui  e  in  i\tr.  xri  139  ò  usato  nel  suo 
propDO  senso  medioevale  di  consanguinei, 
■ombri  di  una  eotuortma  o  gruppo  di  dami- 
glie  derivato  da  uno  stesso  ceppo  :  e  a  ra- 


gione, che  gli  Aldobrandeechi  nel  1800  erano 
ormai  divisi  nelle  due  lluniglie  di  Soaaa  e  di 
Santaflora,  alle  quali  apponto  era  riuscito 
funesto  la  superbia  :  che  il  ramo  di  Scena 
fini  con  MaTi^erita,  nlpoto  di  Omberto  e  fi- 
glia d'Bdebxandino,  la  quale  per  dealdsMo  di 
alto  nozze  ^oeò  Guido  di  Montfort  (ofr.  Jnf. 
xn  119)  e  lasciò  solo  una  figliuola  ohe  tra- 
smise  quella  contea  agli  Orsini  di  Pitigliano  ; 
e  il  ramo  di  Santaflora  ai  trovd  involto  in 
lunghi  contrasti  col  oomone  di  Siena,  il  qoale, 
se  non  riuscf  a  domare  del  tatto  la  superbia 
di  quei  feudatari,  molto  assottiglid  i  loco  do- 
mini ed  abbassò  la  loro  potenza  (c£r.  Bepetti, 
V  149-161,  418).  —  71.  per  lei:  per  le  mie 
colpe  di  auperbia.  —  78.  eUaal  U  gld  la 
faccia  :  peróhé  Dante,  conoscendoai  di  animo 
altero  e  disdegnoso  (cfir.  Purg,  xm  136),  te- 
meva per  sé  la  pena  di  cui  gli  aveva  parlato 
r  AldobrandeschL  —  74.  ed  «n  di  ler  eco. 
un  altro  superbo,  torcendosi  sotto  il  peso  del 
grave  masso,  guairdò  a  Danto  e  lo  riconobbe; 
e  senza  curare  la  fatica  lo  chiamò  rìpetata- 
mento,  tenendo  sempre  gli  occhi  fissi  in  lui. 
—  79.  Oderisl  :  quest'altro  superbo,  ohe  Danto 
riconobbe  nel  purgatorio  e  dovetto  easere  suo 
amioo  nel  mondo,  era  Odorisi  fi|^  di  Guido 
da  Gubbio,  del  quale  sappiamo  che  nel  1268 
e  nel  1271  dimorava  e  lavorava  in  Bologna, 
nel  1296  si  recò  a  Boma  e  nel  1299  mori  : 
fu,  a  giudizio  del  Vasari  {Open,  ed.  Milanesi, 
1 3^)  e  eccellento  miniatore  in  quel  tempi,  il 
quale,  condotto  perciò  dal  papa,  miniò  molti 
libri  por  la  librerìa  di  palazzo,  che  sono  in 
gran  parto  oggi  consumati  dal  tempo  »  :  pure 
nella  canonica  di  San  Pietro,  In  Boma,  si 
conservano  anohe  oggi  due  messali  sttqwnda- 
monto  miniati  e  attribuiti  a  OderiaL  —  80. 
▲gobbio:  nome  medioevale  dèlia  dttà  di 
Gubbio  nelle  Marche,  anticamento  detto  Jgìi- 


358 


DIVINA  COMMEDIA 


81        che  *  alluminare  '  è  chiamata  in  Parisi  ?  > 
€  Frate,  diss*egli,  più  ridon  le  cartei 
che  pennelleggia  Franco  bolognese: 
81        l'onore  ò  tutto  or  suo,  e  mio  in  parte. 
Ben  non  sare'io  stato  si  cortese 
mentre  eh*  io  vissi,  per  lo  gran  disio 
87        dell'eccellenza,  ove  mio  core  intese. 
Di  tal  superbia  qui  si  paga  il  fio; 
ed  ancor  non  sarei  qui,  se  non  fosse 
90       che,  possendo  peccar,  mi  volsi  a  Dio. 
0  vanagloria  dell'umane  posse, 
com'  poco  verde  in  su  la  cima  dura, 
93        se  non  è  giunta  dall' etati  grosse! 
Credette  Cimabue  nella  pittura 
tener  lo  campo,  ed  ora  ha  Giotto  il  grido, 


vium  od  Euifiibkm,  —  81.  eh«  allaUBtro 
eoo.  r  arte  del  minio,  o  miniatura,  detta  in 
fitanoese  art  d'$nkmAnur,  Salimbene  da  Par- 
ma, nella  CAr.,  p.  64,  dioe  di  on  ftate  En- 
rico :  «  Sciebat  soribere,  miniare,  qnod  aliqui 
iUnminaie  dioont,  prò  eo  qnod  ex  minio  liber 
iUnmihatar  >.  —  Parlali  Parigi,  lat.  PaririL 
-^  82.  Frate  eco.  Atto  d' umiltà  conyanlente 
alla  natura  della  colpa  oh*  egli  sta  espiando 
ò  questa  spontanea  confessione  di  Odorisi 
d' essere  stato  superato  neU'  esercizio  dell'arte 
sua  da  Franco  bolognese,  le  cui  carte  miniate 
erano  più  vivacemente  colorite  e  più  belle  a 
vedere.  —  88.  Fraaoe:  miniatore  e  pittore 
fiorito  tra  la  fine  del  secolo  zm  e  il  principio 
del  zxv  :  il  Vasari  (Qp.  1 885),  ohe  possedeva 
«  di  sua  mano  disegni  di  pitture  e  di  minio, 
e  fini  es6i  un'  aquila  molto  ben  fatta,  ed  un 
leone,  che  rompe  un  albero,  bellissimo  >,  lo 
giudica  <  molto  miglior  maestro  >  di  OderisL 
—  84.  l'onere  eoo.  ora  eh'  io  sono  morto  il 
vanto  dell'  eccellenza  è  tutto  di  Franco  bo- 
lognese, ed  io  non  ho  se  non  quello  d'esser 
stato  il  primo  buon  maestro  della  mia  arte; 
la  fiuna  sua  tiene  il  campo,  e  la  mia  comin- 
cia a  venir  meno.  Veli.,  Dan.,  e  molti  mo- 
derni deducono  da  queste  parole  che  Franco 
sia  stato  discepolo  di  Odorisi:  pud  essere; 
ma  nessuna  autorevole  testimonianza  lo  af- 
ferma, anzi  Benv.  parrebbe  aooennare  che  il 
miniatore  bolognese  fosse  emulo  e  competi- 
tore del  gubbiese.  —  85.  Ben  non  ecc.  Qui 
confesso  il  vero;  ma  vivendo  non  avrei  sa- 
puto riconoscere  la  mia  inferiorità,  tanto  vivo 
era  il  mio  desiderio  di  conseguire  il  vanto 
dell'eccellenza.  —  89.  ed  aaeor  eoo.  e  non 
sarei  ancora  in  questo  cerchio,  ma  nell'anti- 
purgatorio, tra  i  negligenti,  se  non  mi  fossi 
pentito  a  tempo.  Cosi  intendono  a  ragione 
gli  antichi,  Lana,  Ott,  Benv.,  An.  fior.  ; 
primo,  credo,  il  Land,  seguito  dai  moderni, 


spiegò  :  non  sarei  qui,  ma  nell'  inferno  ;  che 
non  può  esaere,  poiché  la  superbia  dell' arti- 
sta non  potè  essere  oosi  peccaminosa  da  esclu- 
derlo dalla  grazia  del  Signore.  —  91.  O  va- 
nagloria eoo.  La  gloria  ohe  al  ottiene  con 
le  opere  umane  è  vana;  •  non  si  aantìffiie 
viva,  se  non  seguono  età  di  decadenza,  nelle 
quali  la  mancanza  di  opere  migliori  fa  si  òhe 
non  siano  dimentioate  le  precedenti.  —  94. 
Cre4ette  eco.  Dante  oonfeima  la  sua  dottri- 
na, cioè  che  le  glorie  umane  tono  oAuoate 
dalle  maggiori  glorie  del  tempo  ohe  segue, 
con  due  esempi,  tratti  l' uno  dallo  stato  della 
pittura  al  suoi  tempi,  l'altro  dallo  stato  della 
poesia;  e  dice  ohe  come  la  gloria  di  Giotto 
(1286-1887)  ha  oscurato  quella  di  Cimabue 
(1240-1802),  cosi  la  lama  di  Guido  Cavalcanti 
(1266-1800)  ha  offuscato  quella  di  (Juido  Gui- 
nizelU  (1280-1276).  —  Cimabne:  Giovanni 
o  CvnxA  figlio  di  Pepo  detto  per  sopranome 
Cimabue  fiorentino,  nato  nel  1210  e  morto 
intomo  al  1802,  pittore  di  molto  merito  per 
aver  iniziato  il  ritorno  dell'  arte  alla  n^re- 
sentaiione  del  vero,  ft^  a  tastimonlanaa  del- 
l' ott,  «  sf  arrogante  e  ai  sdegnoso  ohe  se 
per  alcuno  gli  fosse  a  sua  opera  posto  alcuno 
difetto  0  egli  da  sé  l'avesse  veduto,...  im- 
mantanente  quella  cosa  disertava,  fosse  cara 
quanto  si  volesse  >.  Fu  sepolto  in  patria,  in 
Santa  Maria  del  Fiore,  ove  g^  Ai  posta  l'iscxi- 
done  inspirata  dai  versi  di  Dante  :  «  Credi- 
dit  ut  CLmabos  pioturae  castra  tenere,  Sic 
tenuit,  vivons  ;  nuno  tenet  astra  poli  »  (cft. 
Vasari,  Qp.  1 247-267).  —  95.  «letto:  Giotto, 
figlio  di  Bondone  dal  Colle,  nato  a  Veepì- 
gnano  prosso  Firenze  nel  1266  e  morto  in 
patria  nel  1837,  fu  il  maggiore  artista  dei 
tempi  di  Danto,  al  quale  fii  legato  di  stretta 
amicizia:  fu  il  primo  di  quella  schiera  di 
grandissimi  fiorentini,  che  nei  seooli  seguenti 
fecero  con  universalità  d'ingegno  e  varietà 


PURGATORIO  -  CANTO  XI 


359 


96       si  che  la  fSeona  di  colui  è  oscura. 
Cosi  ha  tolto  l'uno  all'altro  Guido 
la  gloria  della  lingua;  e  forse  è  nato 
99       chi  l'uno  e  l'altro  caccerà  di  nido. 

Non  è  il  mondan  remore  altro  ohe  un  fiato 
di  vento,  che  or  vien  quinci  ed  or  7ien  quindi, 
102        e  muta  nome,  perché  muta  lato. 

Che  fÌEuna  avrai  tu  più,  se  vecchia  scindi 
da  te  la  carne,  che  se  fossi  morto 

105  innanzi  che  lasciassi  il  pappo  e  il  dindi, 
pria  che  passin  mill'anni?  ch'ò  più  corto 

spasio  all'eterno,  che  un  mover  di  ciglia 

106  al  oerchio  che  più  tardi  in  cielo  è  torto. 
Colui,  che  del  cammin  si  poco  piglia 


4'attitiidiiii  dd  cà'Md  fioenruio  l'arte,  pit- 
tori, ecoltoit,  aidiitetti  e  poeti  nello  steeso 
toi^;  iBA  U  sua  gloria  maggiora  fti  quéDa 
di  enatora  deDa  pittura  toscana.  La  ma  fiuna, 
già  aanl  gnnde  allorché  Dante  sortrera,  d 
maatemne  lempie  viva  di  poi,  sebbene  non 
fcMM  gkmta  daWdadi  gros»  ;  pezohó  era  ce- 
lebrità rispondente  a  meriti  veA  (cfr.  Vasari, 
Op.  I  969-428).  -  97.  I>uh>  aU'altro  Chii- 
ée  :  Guido  Cavaloanti  (cfir.  Jnf,  z  60)  a  Onido 
Qninlselli  (cfir.  fWy.  zzn  92).  —  98.  e  forte 
eoe.  I  piò  dei  oonuaentatori,  dal  Lana  in  poi, 
cedettero  die  Dante  intendesse  qni  di  par- 
lare  di  sé  mededmo,  avendo  la  cosdenza 
die  la  eoa  gloria  di  poeta  avrebbe  offtwcato 
qneOa  dd  due  Gnidi;  ma  assd  meglio  alcnnl 
moderai,  Lomb.,  Tomm.,  Soart.,  intesero  ohe 
Dante  parlasse  in  generale,  avendo  U  pen- 
derò alla  legge  già  da  Ini  enunciata,  ohe  le 
glorie  d'un  dato  tempo  fumo  dimenticare 
queQe  dd  passato.  Veramente  sarebbe  assai 
strano  che  Dante  vantasse  sé  eocellente  poeta, 
proprio  nd  loogo  ove  sono  puniti  quelli  ohe 
peccarono  per  disfo  dM'  teeMmxa  nell'  arte; 
e  aadie  il  farm  applicato  a  )  nato  fa  prefe- 
rire IMnterpretadone  in  senso  generico:  ofr. 
sona  questione  Bufi.  Vm  829-880  e  U  D'Ovi- 
dio, pp.  667-668.  —  100.  Kon  è  U  mondan 
eco.  La  fum  ohe  s'acquista  nel  mondo  ò  co- 
me lo  spirare  del  vento,  che  ora  è  in  una  di- 
rettone, ora  in  un'  dtra,  e  riceve  diversi  nomi 
secondo  lo  varie  parti  ddle  quali  spira.  — 
lOB.  Che  fame  eoo.  Si  costruisca  e  d  spie- 
ghi :  Pina  th$  ptunn  tnSW  amUj  prima  ohe 
sia  trascorso  un  millennio,  eh'è  aWel&mo  spa- 
ssio piA  corto,  die  ò  d  confronto  dell'eternità 
un  tempo  pid  breve,  dhs  tm  mover  eco.  che  un 
batter  d*  oodd  d  paragone  dd  movimento  dd 
cido  stellato,  dhs  fama  avrai  fu  più,  qude  fa- 
ma  avrai  tu  maggiore,  ss  vtodhia  ecc.  se  muori 
odia  veochiaia,  db»  ss  foni  eoe.  di  quella 
che  avi^  aviUa  «e  tu  fosd  morto  da  fan- 


duDettor  Dante  atteggia  con  novità  di  forma 

I  concetti  espread  da Boedo,  Cbuf.  n,  pr.  7; 
cfr.  Moora,  I  287.  —  se  veeeàla  selndl  ecc. 
se  dividi  dd  tuo  spirito  la  tua  carne  vecchia, 
se  muori  in  età  senile.  —  106.  iiBanal  ecc. 
prima  di  lasdara  l' uso  ddle  pardo  infantili, 
prima  d'usdra  dall' infknda.  -^  il  pappe  e 

II  dindi  t  sono  voci  puerili,  dell'idioma  «ohe 
pria  li  padri  e  le  madri  trastulla  »  {Par,  zv 
128);  e  in  qud  linguaggio  pappo  dgniflca  il 
pane  o  generalmente  il  cibo,  e  dimdi,  le  mo- 
nete 0  dtri  oggetti  risonanti:  cfr.  la  nota 
all'^A  xzzn  9.  —  106.  al  eerehle  ecc.:  il 
cielo  delle  stelle  fisse ,  secondo  le  anttdie  teo- 
rie astronomidie,  d  spoeta  di  un  grado  da 
ooddente  vorso  oriente  in  cento  anni  (cfr. 
Cono,  n  6,  16,  r.  2^.  1  7)  :  l'intera  rivolu- 
rione  d  compie  dunque  in  860  seoolL  —  109. 
Colei  eco.  (Merid  a  conferma  ulteriora  delle 
sue  parole  dta  un  dtro  esempio,  traendolo 
questa  vdta  dalla  storia  politica  di  una  delle 
dttà  toscane  e  additando  a  Dante  uno  spirito 
che  camminavagli  innand  assd  lentamente. 
È  lo  spirito  di  Provenzano  Sdvani  senese, 
che  intomo  alla  metà  del  secolo  xm  era  capo 
della  parte  ghibellina  preponderante  nella  sua 
patria  e  di  grande  autorità  presso  tutti  i  ghi- 
bellini toscani  ;  ebbe  gran  parte  nd  £e^  che 
condussero  alla  sconfitta  dd  guelfi  fiorentini  a 
Montaperti,  e  nel  convegno  d'Empoli  propu- 
gnò il  disegno  di  togKor  via  Fiormxa  (cfr.  Inf, 
X  91):  nel  1261  fu  podestà  a  Montepulciano, 
e  la  sua  autorità  in  Siena  andò  sempre  au- 
mentando dno  d  tempo  della  venuta  di  (yor- 
radino  (cfr.  Purg.  xx  éS):  mori  noUa  battaglia 
di  CoUe  nel  1269  (ofr.  Parg,  xm  118).  Bao- 
oonta  G.  Villani,  O.  vn  81  :  «  Messere  Pro- 
venzano Sdvani  fa  preso,  e  tagliatoli  il  capo 
e  per  tutto  il  campo  portato  fitto  in  su  una 
landa.  E  bene  s' adempio  la  profezia  e  reve- 
lazione  ohe  gli  avea  fatta  il  diavolo  por  via 
d'incantesimo,  ma  qpn  )a  intese *,  che «rei^- 


n 


360  DIVINA  COMMEDIA 


dinanzi  a  me,  Toscana  sonò  tutta. 
Hi        ed  ora  a  pena  in  Siena  sen  pispiglia, 
ond*era  sire,  quando  fu  distrutta 
la  rabbia  fiorentina,  che  superba 
114       fu  a  quel  tempo,  si  com*ora  è  putta. 
La  vostra  nominanza  è  color  d'erba, 
clie  viene  e  va,  e  quei  la  discolora, 
117       per  cui  eli' esce  della  terra  acerba». 
Ed  io  a  lui:  €  Lo  tuo  ver  dir  m* incora 
buona  umiltà,  e  gran  tumor  m'appiani: 
120       ma  chi  è  quei  di  cui  tu  parlavi  ora  ?  > 
€  Quegli  è,  rispose,  Provenzan  Sai  vani  ; 
ed  ò  qui,  perché  fu  presuntuoso 
123        a  recar  Siena  tutta  alle  sue  mam. 
Ito  è  cosi,  e  va  senza  riposo, 
poi  che  mori:  cotal  moneta  rende 
126        a  satÌB&,r  chi  è  di  là  tropp'  oso  ». 
Ed  io  :  €  Se  quello  spirito  che  attende, 
pria  che  si  penta,  l'orlo  della  vita, 
129        là  giù  dimora  e  qua  su  non  ascende, 
se  buona  orazion  lui  non  aita, 
prima  che  passi  tempo  quanto  visse, 
132        come  fu  la  venuta  a  lui  largita?» 


dolo  fatto  oostrignere  per  sapeie  come  capi-  <  il  maggiore  del  popolo  di  Stona  >.  —  116. 
terebbe  in  qnolla  oste,  mendaoeinente  lispuose  Ia  TOttra  eoe.  La  (ama  tenena  d  mutabile 
e  disse:  '  Anderai  e  oombattorai,  Tlnoorai  oome  U  colore  deU'eiba,  la  quale  in  breve 
no  morrai  alla  battaglia,  e  la  tua  tèsta  fia  la  tempo  verdeggia  e  cade  avrisiita,  e  qveUo 
più  alta  del  campo  '  ;  ed  egli,  credendo  avere  stesso  sole  ohe  la  fa  natoera  la  fa  anohe  in- 
la  vittoria  por  quelle  parole  e  credendo  rima-  giallire  :  oob£  n  mondo  ohe  dà  la  Ikma,  la 
nero  signore  sopra  tatti,  non  fìsce  il  pnnto  toglie.  —  116.  eh*  viene  eoo.  TTn  antico  ri- 
alia  fallacie,  ovo  disse  :  *  vincerai  no,  morrai  matoro  dt  dal  Torraoa  :  «  OhA  per  virtd  del 


eco.  '  [cloò  intese  :  vincerai,  non  morrai]  ;  sol  nasce  la  rosa  E  qnel  medeimo  fa  cader 
e  però  è.  grande  foUfa  a  credere  a  si  fittto  le  foglie *.  »  118.  Le  Ine  eoo.  Le  toe  ve- 
consiglio,  com'  è  quello  del  diavolo  >.  La  rad  parole  eodtano  nel  mio  animo  un  santi- 
leggenda,  che  risale  certamente  a  tradidoni  mento  buono  di  umiltà  e  tu  ooaf  parìando 
contemporanee  a  Provenzano,  <  preeiqipone,  abbassi  la  mia  superbia.  — 119.  t«Bi«r  :  gon- 
secondo  il  Basseimann,  p.  818,  i  superbi  di*  flezza  d' animo,  superbia  :  modo  biblico  (Estsr 
segni  diluì,  coi  quali  appunto  suole  il  dia-  zvx  12,  Paolo,  IIEp.ùi  Cor,  zn  20).  — 122. 
volo  intessero  le  sue  burlo  beflEkrde  >.  A.  Dei,  fa  presintiose  eoo.  :  peooò,  dunque,  di  su- 
O.  tanta»  in  Mur.  Bw,  UaL  XV  86,  aggiunge  perbia  partigiana,  sfinzandocl  d'imporro  l'an- 
il  nome  dell'ucoison  di  Provenzano,  meeser  torità  sua  o  deUa  parte  ghibellina  su  tutti  i 
Gavolino  del  TolomeL  —  HO.  Toieana  ecc.  cittadini  senest  —  125.  ••tal  m«MU  ecc. 
tutta  Toscana  lo  celebrò  ed  ora  appena  in  questa  penitenza  devono  soatenaro  ooloro  che 
Siena  se  ne  parla  sommessamente.  —  112.  nel  mondo  furono  superbi,  troppo  aiditL  — 
end' era  ecc.  della  quale  dttà  di  Siena  era  127.  Se  qaello  eoo.  Dante  d  menvIgUava 
capo,  quando  i  superbi  fiorentini  furono  vinti  che  il  Sdvanl  fosse  già  in  purgatorio,  pen- 
a  Montaperti.  —  sire:  qui  ò  nel  senso  di  sando  che  egli  d  fosse  pentito  all'orlo  ddla 
dttadino  grande,  che  ha  preponderanza  per  vita  e  psrdò  avesse  dovuto  rimanere  ndl'aa- 
la  sua  autorità  e  potenza,  ma  non  vera  e  tlpurgatorlo  tanto  tempo  quanto  visse  (ofr. 
propria  signoria;  e  risponde  alle  parole  di  Ad^.  iv  180) :  chiese  quindi  per  qoal  ragione 
a.  Villani,  O.  VX  77  òhe  dice  Provenzano  gli  em  stato  oonosMo di  salire  ooii  fieatad 


PURQATOEIO  -  CANTO  XI  361 

€  Quando  ylvea  più  glorioso,  disse, 
liberamente  nel  Campo  di  Siena, 
135       ogni  vergogna  deposta,  s'affisse: 
e  11,  per  trar  l'amico  suo  di  pena, 
ohe  sostenea  nella  prigion  di  Carlo, 
188       si  condusse  a  tremar  per  ogni  vena. 
Più  non  dirò,  e  scoro  so  che  parlo; 
ma  poco  tempo  andrà  ohe  i  tuoi  vicini 
faranno  si  che  tu  potrai  chiosarlo. 
142    Quest*  opera  gli  tolse  quei  confini  >. 

luogo  di  ponflcazione.  — 188.  Q«Mio  t1t«a  cod,  zaooolti  i  denari  dellA  taglia,  Tamioo  fa 

eoe  Baoràntano  gli  antichi  commentatori  òhe  liberato.  Questo  Crtto  uìvò  V  antina  di  Pn>- 

alla  batta^  di  Tagliaoozso  (ofr.  Inf.  xivm  rensano.  — 184.  Campo  di  Sleaa  i  ò  la  piazza 

Ifi,  17)  rimase  prigioniero  un  amico  di  Pro-  maggiore  della  dttà  di  Siena.  —  185.  ogni 

Tozano  (di  nome  Yinea,  secondo  Benv.  ;  rergegaa  eoo.  ofir.  Vita  Franoiaoi  di  san  Bo- 

IGno  dei  IGni,  secondo  lo  chiose  senesi  rife-  nayentora  n:  e  deposita  omni  Tareoiindia .... 

rite  da  O.  Bondoni,  Tradix4oni  popolari  $  tég»  mendioabat  >.  —  183.  a  tremar  eoo.  a  pn>- 

pemde  di  un  eomuns  medioevaley  Firenze,  1886,  vare  qnel  commoyimento  che  accompagna  ne- 

p.  187)  e  che  Cario  I  d' Angiò  pose^i  taglia  gli  nomini  alteri  l'atto  del  richiedere  aiuto, 

di  diecimila  fiorini  (rentiofnqQemila,  secondo  —  140.  1  t«ol  tIoIbI  ecc.  i  fiorentini,  tuoi 

le  chiose  senesi,  dt,  le  quali  aggiungono  concittadini  (cfìr.  Jnf,  xvn  68),  esiliandoti  ti 

che  la  somma  doTora  qutri  d  mtndieari  amon  ridurranno  a  mendicare  (cfir.  Bir.  xm  68-00); 

2M):  «  Tenne  la  norella  (cosi  il  Lana)  al  detto  si  che  arendone  fatta  esperienza  in  te  stesso, 

roesser  ProTenzano,  ed  avendo  temenza  del-  potrai  spiegare  agli  altri  U  significato  del  tró- 

ramloo  suo,  feoe  ponere  uno  bsnoo  con  uno  mar  per  ogni  vona.  Nota  il  Basserman,  p.  812: 

tappeto  aalla  piazza  di  Siena,  e  puosorisi  a  «  Noi  vediamo  il  poeta  attratto  da  un  certo 

seder  suso  e  domandava  ai  senesi  vergogno-  sentimento  di  affinità  morale  Terso  l' orgo- 

saoMoto  ch'elU  lo  dovossino  ahttaie  in  que-  gliosa  e  sovrana  natura  del  personaggio,  e 

sta  eoa  bisogna  di  alcuna  moneta,  non  sfor-  in  lui  rispecchiare  le  sue  pid  intime  comrao- 

zaado  peisona,  na  umilemento  domandando  mozioni  ».  —  142.  Quest'opera  eoe  Quest^o- 

aiuto;  •  veggésdo  U  senesi  il  signore  loro,  pera  di  pietà  e  di  umiltà  risparmiò  a  Pro- 

^e  sólea  eeser  siqierbo,  dimandare  cosi  gra-  venzano  di  restare  noli'  antipurgatorio,  prima 

zìonaMBte,  si  oommossono  a  pietade  e  da-  di  salire  a  questo  cerchio,  per  tanto  tempo 

senno,  secóndo  suo  potave,  gli  dava  aiuto  >  :  quotato  viaee. 


CANTO  XII 

Dante  e  Virgilio  procedono  in  compagnia  delle  anifne  nel  primo  cerchio 
e  osservano  gli  esempi  di  superbia  punita  raffigurati  nel  mannoreo  piano 
sul  qoale  camminano  :  gianti  alla  scala,  nn  angelo  li  accoglie  e  dalla  fironte 
di  Dante  toglie  il  segno  della  superbia  ;  quindi  i  due  yisitatori  salgono  al  se- 
condo cerchio  [11  aprile,  delle  undici  antim.  circa  oltre  il  mezsogiomo]. 

Di  pari,  come  buoi  che  vanno  a  giogo, 
m*  andava  io  con  quella  anima  carca, 
8       fin  che  il  sofferse  il  dolce  pedagogo. 
Ma  quando  disse  :  €  Lascia  lui,  e  varca, 

TTT  1.  Bi  pari  eoe  Dante  camminava  stro.  —  4.  Lesela  eco.  lascia  la  compagnia  di 

chino  accanto  ad  Odorisi,  si  òhe  tutti  e  due  Odorisi  e  va  avanti  ;  perché  qui  è  uopo  sfor- 

ptocederano  insieme  o  con  passo  lento  ed  zarsi  in  tutti  i  modi  a  compier  l'opera  della 

aguale,  come  due  buoi  sotto  il  giogo.  —  8.  Ila  penitenza,  né  bisogna  fermarsi  troppo  a  con- 

th»  eoe  finché  Io  permise  il  mio  dolce  mao-  sideiwe  0  Tirio  di  cui  questi  spiriti  vanno 


362 


DIVINA  COMMEDIA 


elle  qui  è  buon  con  la  vela  e  coi  remi, 
6        quantunque  può  ciascun,  pinger  sua  barca  »  ; 
dritto,  si  come  andar  vuoisi,  rifèml 
con  la  persona,  awegna  che  i  pensieri 
9        mi  rimanessero  e  chinati  e  scemi 
Io  m' era  mosso,  e  seguia  volentieri 
del  mio  maestro  i  passi,  ed  ambedue 
12        già  mostravam  come  eravam  leggieri, 
quando  mi  disse  :  e  Volgi  gli  occhi  in  giùe  : 
buon  ti  sarà,  per  tranquillar  la  via, 
15       veder  lo  letto  delle  piante  tue  ». 
Come,  perché  di  lor  memoria  sia, 
sopra  i  sepolti  le  tombe  terragne 
18       portan  segnato  quel  ch'elli  eran  pria, 
onde  li  molte  volte  se  ne  piagne 
per  la  puntura  della  rimembranza, 
21        che  solo  ai  pii  dà  delle  calcagno; 
si  vid*io  li,  ma  di  miglior  sembianza, 


pnrgandoBl.  Si  noti  ohe,  per  raYTertimonto 
di  Virgilio,  Dante  non  si  cara  pi6  dei  superbi 
tra  i  quali,  come  saprà  da  Gacdag:Qida,  avreb- 
be potato  troyare  on  sao  antenato  (eh  Par, 
zv  92).  —  6.  eoa  la  Tela  eco.  con  ogni 
sfoTTO  dell'anima  e  del  corpo  bisogna  spinger 
innanzi  l'opera  dell'espiazione.  —  7.  sf  eoae 
aadar  ecc.  come  è  pi6  conforme  alla  natura 
del  corpo  amano.  —  8.  avregaa  ohe  eoe.  seb- 
bene i  pensieri  miei  non  si  rialzassero  insie- 
me con  la  persona,  ma  restassero  depressi  e 
omiliati.  La  depressione  o  omiliazione  morale 
di  Danto  d  dagli  antichi,  Lana,  Ott,  An.  fior., 
Benr.,  Bnti  eoo.,  spiegata  come  on  effetto 
della  predizione  fatta  da  Odorisi  (cfr.  Purg,  n 
1S9-141);  dai  moderni  inrece,  Vent,  Lomb., 
Biag.,  Costa,  Cee.,  Tomm.,  Bianchi  eoe., 
come  effètto  deU'  aver  rodato  i  saperbi  oo- 
strotti  sotto  cosi  gravi  pesi:  altri,  come  il 
Land.,  e  il  Veli,  la  prendon  per  an  effètto  di 
pietà,  come  se  Dante  fosse  depresso  per  com- 
miserafllone  provata  verso  le  anime;  le  qoali, 
si  noti,  non  possono  esser  compiante,  perché 
si  trovano  già  in  laogo  di  salvazione.  — 12. 
già  mostravam  eco.  andando  pi6  rapida- 
mente ohe  non  facessero  i  penitenti.  —  18. 
mi  disse  eoo.  Mentre  nella  ripa  ohe  s' alza 
dalla  parte  intema  del  cerchio  sono  raffigu- 
rati esempi  di  umiltà  (ofr.  Purg,  x  81  e  segg.), 
nel  piano  marmoreo  sul  quale  camminano  i 
penitenti  sono  rappresentati  esempi  di  su- 
perbia punita  ;  e  Virgilio  richiama  l'attenzione 
di  Dante  su  questi  esempi  affinché  ne  tragga 
argomento  ad  umiliarsi  o  a  persistMe  nella 
virt6  dell'  umUtà.  —  15.  veder  lo  letto  eoe 
osservare  il  piano  sul  qualo  si  posano  i  tuoi 
piedL  Lana  :  e  Vuol  dire  che  [a]  temperare 


la  superbia  d  buono  guardare  1*  uomo  alla 
terra,  imperquello  che,  se  l'uomo  pensa  ohe 
è  di  terra,  la  snpecbia  cala  molto  le  vele  ». 
—  16.  Come  eoo.  Dante  paragona  le  imagiiii 
figurate, nel  piano  del  prlino  oerohio  a  quelle 
scolpite  sulle  grandi  lastre  di  marmo  oh«  oo- 
prono  le  sepolture;  sulle  quali  lastre,  pezohé 
restasse  memoria  quasi  pariante  del  d^romto, 
si  figurava  nel  medioero  il  ootpo  del  morto 
rivestito  di  quell'abito  ch'era  oonforme  aUa 
sua  condizione  :  come  andie  oggi  si  può  Te- 
derò nelle  Umb»  t&mgm^  eioà  in  piana  terra, 
del  Camposanto  pisano,  della  chiesa  di  Santa 
Croce  in  Firenze  e  d'altri  luoghi  d'Italia,  es- 
sendosi mantenuto  l'uso  di  queste  tombe  sino 
al  seoolo  xvi.  — 17.  tombe  terragaet  Butì: 
e  li  avelli  che  sono  plani  in  terra  co'  le  lapide 
sopra.  —  18.  portaa  eoo.  Buti  :  e  cioè  lo  se- 
polto co*  la  soprasciiiione,  co'  l'anne,  oo'  la 
figara  corporale  a  modo  di  iudid  o  di  medico 
0  di  cavallieri,  secondo  oh'  d  stato  ne  la 
vita>.  —  segnate:  qui  e  al  v.  88  il  vb.  se- 
gnar» vale  raffigurare,  effigiare.  —  19.  onde 
]{  ecc.  onde  spesso  accade  che  ohi  visita  luo- 
ghi ove  siano  cotesto  tombe  piange  per  il  ri- 
cordo vivo  e  parlante  del  defunto,  di  cui  vede 
l'imagine  e  la  condizione  rappresentata  sopra 
l'avello.  —  21.  ehe  solo  ecc.  la  quale  rimem- 
branza dei  morti  dà  dolore  solamente  agli 
animi  pietosi,  poiché  gli  uomini  di  duro  onore 
nulla  provano  per  i  loro  morti.  ^  22.  §(  vld*lo 
ecc.  in  ootal  modo  tutto  il  piano  che  oosti- 
tuisoe  il  primo  cerchio  era  pieno  di  figure, 
sebbene  con  piil  perfetta  rappresentazione, 
per  dò  ohe  riguarda  il  magistero  tdeQ'  arte, 
che  non  soglia  essere  sulle  Umb»  farrt^ns  :  si 
ricordi  che  queste  sooltore  sono  opera  delU 


PURGATORIO  -  CANTO  XII 


363 


secondo  l'artificio,  figurato 
21        quanto  per  via  di  fuor  dal  monte  avanza. 
Vedea  colui,  clie  fa  nobil  creato 
più  d'altra  creatura,  giù  dal  cielo 
27        folgoreggiando  scendere  da  un  lato. 
Vedea  Briareo,  fitto  dal  telo 
celestiale  giacer  dall'altra  parte, 
80       grave  alla  terra  per  lo  mortai  gelo. 
Vedea  Timbreo,  vedea  Pallade  e  Marte, 
armati  ancora  intomo  al  padre  loro, 
83       mirar  le  membra  de' giganti  sparte. 
Vedea  Nembrot  a  piò  del  gran  lavoro, 
quasi  smarrito,  e  riguardar  le  genti 
86        die  in  Sennaar  con  lui  superbi  fdro. 
0  Niobé,  con  che  occbi  dolenti 


nuno  di  Dio  (ofr.  Purg,  x  94-96).  ~  24.  qmàM- 
te  eco.  tatto  Io  spazio  che  si  distende  in  piano 
eotto  la  ripa  del  monte,  e  serve  di  via  ai  pe- 
BitentL  —  26.  T«4ea  ecc.  Si  osservi  l'artlfl- 
do  del  poeta  per  coi  quattro  terzine  si  segnono 
incominciando  tatto  con  la  stessa  parola,  «e- 
iea  (TT.  25,  28,  81,  84);  poi  quattro,  con  la 
particella  vocativa  o  (w.  87,  40,  48,  46)  e 
quattro  con  il  verbo  mostrava  (w.  49,  62, 
56,  68)  :  e  si  chiude  la  triplice  serie  con  una 
terzina,  i  coi  versi  eomindano  ciascuno  con 
una  di  coteete  parole.  A.  Medin,  Dm  ehiom 
dasUeacha^  Padova  1896,  ha  illustrato  questo 
passo,  mostrando  come  l'artiflcio  si  fondi  so- 
pra lo  stesso  principio  per  cui  i  poeti  ante- 
riori a  Dante  scrissero  canzoni  nelle  quali 
certe  espressioni  determinate  si  ripetevano 
sirametricament».  Aggiunge  poi  che  la  va- 
rietà dell»  parola  iniziale  risponde  in  questo 
passo  a  tre  diverse  categorie  degli  esempi  di 
superbia:  la  prima  di  coloro  che  furono  pu- 
niti dalla  divinità  mentre  si  ostinavano  nel 
peccato  (Lucifero,  Briaieo  e  gli  altri  giganti, 
Nembrot);  la  seconda  del  puniti  dal  rimorso 
della  co^  commessa  (Nlobe,  Saul,  Araone, 
Boboamo);  la  terza  di  quelli  ohe  furono  pu- 
niti dai  nemici  e  dalle  vittime  loro  (Erìflle, 
Sennacherib,  (3ro,  Oloferne):  nella  terzina 
finale  V  esemplo  di  Ilio  riassume  in  un  solo 
ricordo  la  punizione  del  superbi  per  opera 
dellA  divinità,  del  rimorso  e  degli  uomini.  — 
c«]«l  che  Ite  eco.  La  prima  imagine,  tratta 
dalla  mitologia  biblica,  è  quella  di  Lucifero 
(ett.  Inf.  zxzxv  20),  rappresentato  nell'atto  di 
precipitare  dal  dtio,  allorohé  per  pena  della 
sua  ribélUone  superìm  fb  fulminato  dal  Si- 
gnore; ofr.  Luoaz  18:  «  Io  riguardava  Satana 
cader  dal  delo  a  guisa  di  folgore  >.  ~  27.  da 
«■  late:  da  una  parte  della  strada  ostia  del 
riplano  del  cerchio.  Benv.  e  Buti  riferiscono 
questo  particolare  all'atto  di  Ludforo,  piom- 


bato, secondo  l' uno,  dalla  parte  dell*  emisforo 
inferiore  (cfr.  Jnf,  zzxiv  121),  e  secondo  l'al- 
tro da  quella  del  superiore;  ma  meglio  i  mo- 
derni commentatori  riferiscono  1*  espressione 
da  «MI  lato  al  vb.  vtdaa,  come  Tespressione  dal- 
VaUra  part»  che  sogue  nel  v.  29.  —  28.  Tede* 
eoe  La  seconda  imagine,  tratta  dalla  mito- 
logia classica,  ò  quella  dei  gigantie  di  Briareo 
(cfr.  Inf.  zzzi  98),  che  trafitto  dalla  saetta 
di  Giove  cadde  e  ta  sepolto  sotto  il  monte 
Etna,  nella  guerra  sostenuta  contro  gU  dei. 
—  29.  dall'altra  parte  :  dalla  parte  opposta 
a  quella  ov'era  figiurato  Lucifero.  —  80.  grave 
eco.  col  corpo  Immobile  sul  suolo,  perché  già 
preso  dal  gelo  della  morte.  —  81.  Tedea 
eco.  Apollo,  Pallade  e  Marte,  ancora  In  armi, 
erano  raffigurati  intomo  a  Óiove  loro  re,  in 
atto  di  mirare  le  sparse  membra  dei  giganti 
vinti  nella  piigna  di  Flagra.  La  terzina  di 
Dante  ricorda,  almeno  in  parte,  I  versi  di 
Stazio,  Tsft.  n697:  «Bino  Fhoebi  pharetras, 
hinc  torvae  Palladis  angues.  Inde  Pelethro- 
nlam  praeflxa  cuspide  pinum  Martls  »  ecc.,  e 
quelli  d'Ovidio,  Md.  xl60:  «Cecini  plectro 
gravioro  gigantas  Sparsaque  Phlegraels  viotrì- 
cia  ftilmina  campls».  —  Timbreo:  Apollo, 
cosi  detto  dalla  città  di  Timbra  nella  Troado 
ov'era  venerato  con  culto  speciale  (ofr.  Vir- 
gilio, Owrg,  rv  828,  ^.  m  86  eoe).  —  84. 
Tedea  N«aibrot  eco.  La  terza  imagine  à 
quella  di  Nembrot  (cfr.  J^f.  zzzz  77),  rap- 
presentato al  pie  della  gran  torre  innalzata 
nella  pianura  di  Sennaar  e  in  atto  di  uomo 
smarrito,  al  manifestarsi  doUa  confusione  delle 
lingue,  per  cui  egli  e  1  suoi  più  non  s'inte- 
sero. —  86.  superbii  un  sentimento  di  super- 
bia mosse  Nembrot  e  i  suoi  compagni  ai  gran 
laverò  della  torre,  che  doveva  innalzarsi  fino 
al  dolo  (ofr.  Omteti  zi  1-9),  —  87.  O  Nlob4 
ecc.  La  quarta  rappresentazione  è  quella  di 
Niobe,  moglie  di  ijnfione  re  di  Tebe  (ofr. 


3G4 


DIVINA  COMMEDIA 


vedeva  io  te,  segnata  in  su  la  strada, 
39       tra  sette  e  sette  tuoi  figliuoli  spenti! 
O  Saul,  come  in  su  la  propria  spada 
quivi  parevi  morto  in  Gelboè, 
42       che  poi  non  senti  pioggia  né  rugiada! 
O  folle  Aragne,  si  vedea  io  te 
già  mezza  aragna,  trista  in  su  gli  stracci 
45       dell'  opera  che  mal  per  te  si  fé*, 
0  Eohoam,  già  non  par  ohe  minacci 
quivi  il  tuo  segno;  ma  pien  di  spavento 
48       ne  '1  porta  un  carro  prima  che  altri  il  cacci 
Mostrava  ancor  lo  duro  pavimento 
come  Almeón  a  sua  madre  fé'  caro 
61        parer  lo  sventurato  adornamento. 


Inf,  xzzn  U),  la  qaale,  superba  della  sua  po- 
teiia,  della  sua  xiochiezza  e  bellezza,  della 
sua  ozigine  divina  e  della  numerosa  prole, 
▼olsTa  ohe  i  Tebani  ftoetsero  sacrifici  a  lei 
e  non  a  Latona;  onda  Apollo  e  Diana,  figli 
della  dea,  nodsero  a  colpi  di  freoda  la  sua 
famiglia  e  Niobe  impazzita  dal  dolore  fti  tra- 
mutata in  una  stataa  (ofir.  Gridio,  Md.  vi 
146-812.  —  «on  ebe  oeeU  eoo.  Ov.  MtL  vi 
801:  e  Orba  lesedit  Exanimes  intar  natos  na- 
tasqne  vimmqae,  Dirignitqne  malia:  nollos 
movet  anxa  capilloa.  In  volta  color  est  sino 
sanguine,  lamina  moeetis  Stant  immota  genis, 
nihil  est  in  imagine  vivi  »  :  ofir.  Hoore,  1 208. 

—  89.  tette  •  sette  :  Dante  segno  [Ovidio, 
che  a  Niobe  attribaisce  quattordici  figli  {Met, 
Vi  182  :  e  natas  adiice  septem  et  totidem  in- 
venes  >)  ;  ma  la  leggenda  è  varia  quanto  al 
numero  dai  Niobidi  nei  vari  scrittori  greci, 
ohe  la  raocontazono  prima  del  poeta  latino. 

—  40.  0  8a«l  eoo.  La  quinta  rappresentazio- 
ne è  quella  della  morte  di  Saul,  re  degli  Israe- 
liti; il  quale,  essendo  stato  vinto  noUa  batta- 
glia di  Ghilboa  dai  Filistei  e  avendo  veduto 
morire  i  suoi  tre  figliuoli,  si  uccise  lasdan- 
dosi  cadere  sopra  la  propria  spada  (I  Samuele 
zzzi  !-«).  —  41.  flelboè:  U  monto  di  GhU- 
boa  nella  Palestina,  ove  i  Filistei  sconfis- 
sero il  re  Sani.  —  42.  ehe  poi  ecc.  Si  rac- 
conta nella  bibbia  (II  Samuele  i  21)  che  Da- 
vid ilsoendo  lamento  deUa  morte  di  Saul 
esdamasse  :  «  0  monti  di  Ohilboa,  sopra  voi 
non  sia  giammai  né  rugiada  né  pioggia  n6 
osmpi  da  portale  offerte  :  perdooché  quivi  ò 
stato  gittate  via  lo  scudo  dei  prodi,  lo  scudo 
di  Saul  »  :  non  è  detto  per  altro  ohe  l'impre- 
casione  di  David  avesse  effètto.  »  43.  0  folle 
Aragae  eco.  La  sesta  imsgine  ò  quella  di 
Arsene  superba  tessitrice  lidia  (ofir.  Inf.  xvn 
18);  la  quale  a  gara  con  Minerva  esegui  il 
lavoro  meraviglioso  degli  amori  di  Giove,  ma 
avendole  la  dea  per  dispetto  stracciata  la  tela 


si  appiccò  per  dispeiaxione  e  Ai  tramutata  la 
ragno.  Qui  era  rappresentata  nel  momento  in 
cui  avveniva  la  trasfòrmadone,  essendo  già 
mmoM  aroffna,  e  ritenendo  ancor  tanto  della 
forma  di  donna  da  poter  mostrare  il  dolore  die 
la  travagliava.  —  44.  già  ■«zsa  eoe  Ovidio, 
MeL  VI  140,  cosi  descrive  la  trasformazione: 
<  extemplo  tristi  medicamine  tactae  Defluxere 
comae,  cnmque  Is  et  narlB  et  auree,  Fitque 
caput  minimum,  totoque  corpore  parva  est; 
In  latore  exiles  digiti  prò  cruribus  haerent, 
Cetera  venter  habot;  de  quo  tamen  illa  re- 
mittit  Stamen,  et  antiquas  ezeroet  aianea  te- 
las  >.  —  45.  che  msl  eoe  che  tu  iaoesti  con 
tuo  danno.  —  46.  0  Roboam  occ  La  settima 
figura  è  quella  di  Boboamo,  il  superbo  figliuolo 
di  Salomone,  che  fu  cagione  della  divisione 
degli  Ebrei:  si  racconta  nella  bibbia  (IBe  vii 
1-11)  che,  avendo  gì'  Israeliti  chiesto  a  Bo- 
boamo di  allievare  la  durezza  del  governo, 
egli  rispondesse  :  <  mio  padre  vi  ha  caricato 
addosso  un  grave  giogo,  ma  io  lo  forò  vie 
più  grave  :  mio  padre  vi  ha  gastigati  con 
sferze,  ma  lo  vi  gastigherò  con  fiagelli  pun- 
genti »  :  ma  il  popolo  si  ribellò  e  Boboam  fa 
costretto  (  J  JBs  xn  18)  a  salire  «  prestamente 
sopra  un  cario  per  fuggirsene  in  Gerusalem- 
me >  :  Dante  imaginò  appunto  che  il  apgno  o 
rimaglne  scolpita  lo  raffigurasse  nel  momento 
della  fuga,  che  fu  prindpio  della  punizione 
della  sua  superUa.  —  49.  Mostrava  ancor 
ecc.  L' ottava  rappresentazione  è  quella  di 
Erìfile  moglie  di  Amfiarao  (ofr.  hif,  xz  81)  ; 
la  quale  tu.  uccisa  dal  figliuolo  Alcmeone, 
perché  fosse  vendicato  Amfiarao  ohe  ella  ave- 
va tradito  sooprendone  il  nascondiglio  a  Po- 
linice, allettata  dal  dono  dell'inUgaista  collana 
deU' Armonia  (cfr.  Ftir,  iv  103-106).  Nel  pa- 
vimento marmoreo  dd  primo  cerchio  era  raf- 
figurata nel  momento  della  uccisione,  <  moe- 
stamque  Eiiphylen,  Crudelis  nati  montran- 
teo  vulnera  »  (Viig.»  En.  vi  445).  —  SI*  lo 


PURGATORIO  -  CANTO  XH 


8G5 


Mostrava  come  i  figli  ai  gittaro 
sopra  Sennaclierfb  dentro  dal  templO|    , 
54        e  oomei  morto  lui,  quivi  il  lasciaro. 
Mostrava  la  mina  e  il  crudo  scempio 
che  f!ft*Tamiri|  quando  disse  a  Ciro: 
57        «  Sangue  sitisti,  ed  io  di  sangue  t*  empio  >. 
Mostravi^  come  in  rotta  si  fuggirò 
gli  assiri,  poi  che  fti  morto  Oloferne, 
GO       ed  anche  le  reliquie  del  martiro. 
Vedeva  Troia  in  cenere  e  in  oaviimet 
o  nìon,  come  te  basso  e  vile 
63       mostrava  il  segno  che  li  si  discerné  I 
Qual  di  pennel  fii  maestro  o  di  stile, 
che  ritraesse  l'ombre  e  i  tratti,  ch'ivi 
66       mirar  fiarieno  ogn' ingegno  sottile? 


■fftwto  adonaMesto:  la  ooDaiia  infau- 
sta, fabbricata  da  Vulcano  a  donata  da  Va- 
nara  alla  flglhidla  Annonfa  nelle  ine  none 
con  Cadmo  ;  la  qoala  collana  fa  cagione  di 
■rentaiB  a  tutte  le  donne  ohe  la  poeeedottero, 
a  eiocaata,  a  Semele,  ad  Aigia  (ofr.  Stazio, 
Afr.  a  372,  Ovidio,  IM.  ix  407)  ecc.  —  62. 
MeatraTa  ee»e  ecc.  La  nona  rappceeenta- 
cione  ò  qnella  ddl'ooolsione  di  Sennacberlb 
re  d«^  Aatlri  per  opera  dei  figUnoli  Adram- 
mélae  e  Sareaer,  i  quali  lo  colpirono  men- 
tr"  eg^  pregara  nel  tempio  del  dio  Kisroo  e 
poi  ftaggbono  nel  paeee  di  Azarat  (Il  JBs  xoc 
37,  Isaia  zxrvn  88).  ~  66.  Moitrara  la 
ridna  eoe.  La  dedma  rappresentazione  è 
qnolla  àeSìo  strazio  ohe  del  corpo  di  Ciro,  fon- 
datore dell'  impero  persiano  (660-680  a.  C), 
fece  Tamiri  o  Toadri  regina  dei  Ifassageti  :  la 
qnalo,  ascondo  il  racconto  fttròloso  di  Ero- 
doto, I  106  e  aegg.,  ripetuto  da  Giustino  1 8, 
sdegnata  contro  C^tro,  ohe  le  arerà  ftttto  mo- 
rire il  Sgfinolo,  fece  ricercare  11  corpo  morto 
di  Ini  e  spiccatone  il  capo  io  gettd  in  nn'otre 
piena  di  sangue  dicendo  :  «Satia  te  sanguine 
qaem  sitisti  >.  Dante  lesse  il  racconto  e  que- 
ste parole  in  Orosio  n  7,  6  (ofr.  Toynbee,  I 
ai).  —  68.  MostraTS  eaae  ecc.  L'undedma 
rappzeseotasione  d  quella  della  ftiga  degli  As- 
siri, dopo  ohe  Giuditta  ebbe  tagliato  U  capo 
al  loro  generale  Oloferne,  mandato  dal  re 
Kabueodoncsor  ad  assediare  Betulia  dttà 
deDa  Giudea  (ofr.  Libtr  Judilh^  zi-xxv).  ~ 
60.  li  reilqnl*  del  martfra  :  non  i  corpi  do- 
gi! AMiri  morti  o  teitl  durante  l' assedio  o 
àbbaadfOiiaAi  sul  campo,  come  intendono  dal 
Lana  in  poi  quasi  tutti  i  commentatori,  o  il 
ccpo  di  Olofeme  portato  dai  Giudei  sur  un'asta, 
come  spiegano  Pietro  di  Dante,  Buti,  An.  fior. 
•  altri  ;  ma  più  tosto  il  cadavere  di  lui  rima- 
sto priìno  di  capo  ani  campo,  come  dice  il  dt. 


Lib$r  Judith  ziv  16  :  «  £oce  Holofemes  iacet 
in  terza,  et  ci^at  eins  non  est  in  ilio  »  :  cfr. 
Moore,  I  68.  —  61.  Tederà  ecc.  La  duode- 
cima ed  ultima  rappreeentazione  era  quella 
deU'inoendio  e  distruzione  di  TroU  •  di  Dio 
(ofr.  Inf.  I  76,  zzx  18);  Virgilio,  Sn,  m  2: 
«  cedditque  superbum  Bium,  et  omnis  humo 
ftimat  neptunia  Troia  >.  —  la  etaere  o  la 
esTerae  ;  brudata  e  rovinata  ;  il  nome  oo- 
«ems  qui  indica  i  mucchi  delle  rovine,  ohe 
sovz^onendosi  formano  come  delle  grotte. 
—  68.  U  segae  eoo.  la  figura  scolpita  nel 
piano  del  cerohiio.  —  64.  <^l  di  penati  eoo. 
Come  già  ha  fktto  per  gli  esempi  di  umiltà 
(ofr.  Purg.  X  81  e  segg.X  cosi  per  queati 
della  superbia  punita  Dante  aooenna  l'eooel- 
lenza  del  lavoto  aitistioo  onde  anno  rappre- 
sentati, dicendo  ohe  nessun  maestro  di  pittura 
o  di  disegno  seppe  ritrarre  con  tanta  arte  g^i 
aspetti  e  i  contomi  deOe  ligure,  quanta  ap- 
pariva nelle  soolture  di  quel  piano,  le  quali 
avrebbero  susdtata  l'ammirarione  di  qualun- 
que più  eccellente  artista.  —  stllet  à  la  sot- 
tile verghetta  di  piombo  e  stagno  adoperata 
dal  diMgnatori.  —  66.  l'ombre  e  1  tratti  3 
sono  i  due  elementi  della  figura,  doò  l'aspetto 
complessivo  della  figura  (cfr.  embra  in  Btrg. 
xm  7)  e  le  linee  esteriori  ohe  la  determinano 
ossia  i  contorni  ;  quindi  è  detto  bene  cosi 
delle  figure  disegnata  o  dipinte,  come  delle 
figure  scolpite  :  ohe  se  s'intendesse  omòrt  per 
ombreggiature  e  tratti  per  tratteggiamenti  del 
pennello  o  della  matita,  come  TogHono  alcuni 
commentatori,  non  si  potrebbero  riferire  se  non 
alla  prima  maniera  di  figure,  mentre  Dante 
parla  manifestamente  in  modo  generico.  U 
Tornea  intende  <mbr$  per  le  parti  piane  dei 
bassorilievi  e  tratti  per  le  parti  rilevate  ;  e 
conforta  la  sua  interpretazione  con  osserva- 
zioni fatte  sulla  impronta  dei  sigilli  conispoB- 


■rff 


366 


DIVINA  COMMEDIA 


Morti  li  mortii  e  i  vivi  parean  vivi: 
non  vide  me'  di  me  chi  vide  il  vero, 
GO       quant*  io  calcai  fin  che  chinato  givL 
Or  superbite,  e  via  col  viao  altero 
figliuoli  d'Eva,  e  non  chinate  il  volto, 
72       si  che  veggiate  il  vostro  mal  sentiero. 
Più  era  già  per  noi  del  monte  volto, 
e  del  caTTìTnin  del  sole  assai  più  speso, 
75       che  non  stimava  l'animo  non  sciolto  ; 
quando  colui,  che  sempre  innanzi  atteso 
m'andava,  incominciò:  €  Drizsa  la  testa; 
78       non  è  più  tempo  da  gir  si  sospeso. 
Vedi  colà  un  angel  che  s'appresta 
per  venir  verso  noi  ;  vedi  ohe  torna 
81        dal  servigio  del  di  l'ancella  sesta. 
Di  riverenza  gli  atti  e  il  viso  adorna, 
si  che  i  diletti  lo  inviarci  in  suso: 
84       pensa  che  questo  di  mai  non  raggiorna  ». 
Io  era  ben  del  suo  ammonir  uso, 
pur  di  non  perder  tempo,  si  che  in  quella 


d«ntl  «lift  diy«na  profondità  doU«  inoaratoro. 

—  67.  Morti  U  Mortt  eoe  Con  tanta  eoool- 
lenza  di  aito  enno  condotto  quelle  figora, 
che  in  tnelle  dei  morti  appariTsno  i  caratteri 
della  morte  e  in  quelle  dei  vivi  g^  aspetti 
deUa  Tita,  e  in  tatto  poi  la  realtà  era  calta  e 
resa  con  singolaie  maestria.  —  68.  qvaai'lo 
eco.  per  tatto  quello  spedo  ohe  io  percorsi 
tenendo  il  -riso  basso  a  rimirare  quelle  rap- 
presentasioni  Ufoxato,  le  dodici  imaÌBrini  di  su- 
perbia punita.  Si  noti  ohe  Danto  imaglnò  al- 
temativamento  istoriati  nel  manne  ayrenip 
menti  della  leggenda  biblica  (1.  Lucifero, 
8.  Kembrot,  5.  Sani,  7.  Boboam,  9.  Sennache- 
Tib,  11.  Oloferne)  e  ayyenimenti  della  leggen- 
da classica  (2. 1  Giganti,  4.  Niobe,  6.  Aracne, 
8.  Eiiflle,  10.  Giro  il  grande,  12.  Troia  ed  Dio). 

—  70.  Or  iaperUts  eoo.  Blpeto  più  brere- 
mento  V  apostrofe  agli  uomini  superbi,  già 
fatta  raccontando  il  suo  incontro  con  i  peni- 
tonti  di  questo  cerchio  {Purg.  z  121-129.  — 
71.  nen  chinate  eoe  non  volgeto  gli  occhi 
alla  terra  a  yedere  quanto  sia  fallace  il  cam- 
mino che  perooneto:  vuol  rimproyeraxe  ^ 
uomini  pe^hé  non  pensano  agli  esempi  terri- 
bili della  superbia  punita,  i  quali  dovrebbero 
rimoTerli  dal  Tìzio.  —  78.  Pi<  era  ecc.  Già 
noi  avevamo  percorso  di  quella  via  circolare 
e  già  il  sole  aveva  peroorso  del  suo  oauìmino 
una  parto  maggiore  che  non  pensassi  io,  tutto 
attento  a  riguardar  quelle  ilgare,  allorchó 
Virgilio  mi  ammoni  d'aliaie  il  viso  all'angelo 
già  appaiM  verso  di  noi.  —  75.  PakImo  aen 


selelto;  1*  animo  mio,  che  tutto  occupato 
nella  considerazione  di  quelli  esempi  di  su- 
perbia punita,  non  badava  plii  al  cammino  e 
al  tempo  ohe  trascorreva;  ofr.  Jhtrg.  iv  1-16. 
—  76.  iBuaasI  eoo.  mi  precedeva,  sempre 
attonto  a  ciò  che  i^pariva.  —  78.  non  b  pl< 
ecc.  hai  considerato  abbastanza  cotesto  ima- 
gini;  cfir.  Virg.  En^  vi  87  :  «  Non  hoc  ista 
sibi  tempns  spectaoola  posoit  ».  —  79.  un  an* 
gèl  eoe  È  il  primo  degli  angeli  custodi  del 
cerchi  di  purgatorio,  e  sto  in  basso  della  scala 
ohe  porto  al  secondo  cerchio  per  togliere  in 
chi  sale  ogni  avanzo  del  peccato  della  super- 
bia :  a  Danto  cancellerà  dalla  fhmto  il  primo 
dei  setto  segni  del  peccato,  impressivi  dall'an- 
gelo guardiano  del  purgatorio  (cf^.  A07.  ee 
112).  —  80.  vedi  che  tona  ecc.  vedi  ohe 
ormai  sono  passato  sei  ore  di  sole  :  Danto  e 
Virgilio,  entrati  nel  regno  della  penitenza 
circa  alle  ore  nove  e  giunti  al  primo  cerchio 
alle  died  antimeridiane  dell'  11  i^rile  (cf^. 
l\ffy.  XX  44,  X  13),  si  sono  trattenuti  nel 
primo  cerchio  più  di  due  ore  ;  si  che  al  mo- 
mento della  loro  salito  al  secondo  è  passato 
già  il  meszodi  di  quel  giorno  :  cfir.  Moore, 
p.  109.  —  81.  Paaeella  sesta:  cfr.  Purg,  xxn 
118.  —  83.  sf  che  ecc.  si  che  a  lui  piaccia  di 
lasciarci  salire  al  secondo  cerchio.  —  i  i  cfr. 
Inf,  n  17.  —  84.  queste  4f  eco.  il  tempo  ohe 
fogge  non  ritoma  mai  più.  •»  86.  le  era  ecc. 
Io  era  abituato  agli  ammonimenti  di  Virgilio 
di  non  perdere  inutilmento  il  tempo  (cfr. 
Purg,  m  78),  e  però  le  sue  parole  non  pote> 


PURaATORIO  -  CANTO  XH 


367 


87       materia  non  potea  parlarmi  cliiuso. 
A  noi  venia  la  creatura  bella 
bianco  vestita,  e  nella  Deuicia  quale 
90       par  tremolando  mattutina  stella. 
Le  braoda  aperse,  ed  indi  aperse  Pale; 
disse  :  «  Venite,  qui  son  presso  i  gradi, 
93       ed  agevolemente  omai  si  sale  >• 
A  questo  invito  vengon  molto  radi: 
o  gente  umana  per  volar  su  nata, 
96       perobé  a  poco  vento  cosi  cadi? 
Menocci  ove  la  roccia  era  tagliata: 
quivi  mi  battéo  l'ale  per  la  fronte, 
99       poi  mi  promise  sicura  l' andata. 

Come  a  man  destra,  per  salire  al  monte, 
dove  siede  la  chiesa  che  soggioga 
102       la  ben  guidata  sopra  Eubaconte, 
si  rompe  del  montar  l'ardita  foga, 
per  le  scalee,  che  si  fdro  ad  etade 


Tino  ritudraii  «euro.  —  87.  ehl«fO  t  oeoa- 
naeiite  (cfir.  Pùfr,  xi  78):  onde  pariar»  chktèo 
disseco  i  contenponiiei  di  Dante  une  ma- 
Bisn  di  poesiA  ertìfldoeainente  osonia  (ofir. 
VsL  I  868).  ~  88.  1  nelTtnfe  eoo.  BeUis- 
sima  è  qneeta  fittola  dell'angelo,  la  onl  ilgora 
il  poeta,  sema  indogianl  nei  paitioolaii,  ha 
eòlta  e  iosa  nsi  tratti  ptd  essenxiaU,  la  bian- 
chezza del  Testimento  e  fl  Tolto  laminoso  :  è 
deQ'  arte  grandissima  il  raocogliere  oosf  In 
poche  parole  gli  aspetti  delle  cose  con  qnsl- 
l'efficada  ohe  non  aTrebbero  le  più  minute 
desorizionL  —  89.  bUaee  TetUtat  come gi& 
l'angelo  nocchiero  (  Aey.  n  23),  cosi  l'angelo 
dol  primo  cerchio  è  Tostlto  di  bianco  a  signi- 
ficare la  pnrezsa  deQ'nmiltà,  ohe  in  Ini  è  sim- 
boleggiata. —  91.  Le  %raeela  eoo.  Aprendo 
le  braoda  e  le  ali  l'angelo  manifesta  a  Dante 
che  la  misericordia  e  la  grazia  del  Signore  lo 
accolgono  e  lo  dispongono  a  salire.  •»  92.  I 
gradi  :  i  gradini  della  scala  ohe  porta  al  se- 
condo cerchio.  ~  98.  eé  ageroltaente  eoo.  e 
agerde  è  la  salita  a  ohi  non  sia  oppresso  dal 
peso  della  snperUa.  —  94.  A.  queste  ecc. 
Oneste  parole,  che  rloordano  l'erangelioo 
(Matteo  Txn  14)  «  MoUi  son  chiamati  ma  po- 
chi eletti  »,  e  qn^e  die  segnono,  rirolte  agli 
nomini  ohe  s'abbandonano  ftusUmente  ad  atti 
di  sttperUa,  formano  tutte  insieme  un'apo- 
strofo ohe  Dante  rivolge  al  Tiyenti  peccatori, 
come  le  altxe  già  incontrate  nd  tt.  70-72  di 
questo  canto  e  in  Pwrg,  x  121-129  :  cosi  ret- 
tamente intesero  gli  antichi  commentatori, 
Lana,  Benv.,  Bntl,  An.  fior.  Primo  il  Land. 
esBsrrò  ohe  e  le  parole  di  qnesto  ternario  pos- 
sono essere  et  dell'angelo  et  del  poeta  »  ;  e 
dietro  alla  sua  ossemudone  qoasi  tatti  1  mo- 


derni dal  Lomb.  allo  Scart  intesero  ohe  fos- 
ser  parole  dell'angelo  :  il  Blanc  giustamente 
ritiene  erronea  qnesf  interpretazione,  oonteo 
la  qnale  sta  1*  analogia  dd  pasd  simili  dd 
fWy.xyS6,  xm  47,  zxz 48,  zxxv  189,  xxm 
10,  oragli  angeli  non  dicono  al  Tidtatori  altxe 
parole  che  quelle  dell'invito  a  oontlnnare  il 
lofo  cammino.  -*  96.  a  yeeo  rcate  :  alla 
tentazione  della  superbia,  al  desiderio  della 
gloria  mondana  che  è  im  fiato  di  vetUo  (fWy. 
n  100).  —  97.  ève  la  reeda  eco.  oto  la  co- 
sta laterale  dd  monte  era  tarlata  a  modo  di 
soda.  —  98.  Mi  batttfe  ecc.  mi  peroosse  la 
fronte  con  le  sii,  togUsndomi  cosi  il  segno  del 
peccato  della  soperbla  :  ofr.  tt.  18S-186.  — 

99.  pei  ni  eco.  poi  mi  asdonrd  ohe  la  salita 
d  sard>be  compiuta  senza  impedimenti.  — 

100.  Cerne  a  Man  destra  eoo.  Fìuragona  la 
soala  dd  seoondo  oerddo  alla  via  per  eoi  d 
sde  d  Monte  alle  Orod  presso  Firense,  la 
qude  ria  d  tempi  di  Dante  d  dividerà  a  un 
certo  punto  in  due  e  quella  di  destra  aveva 
ddle  scdee  ossia  degli  scaglioni  di  nutoigno 
per  rompere  la  rapidità  della  salita.  —  101. 
deve  slede  eoe  sul  Monte  die  Crod  sorge 
la  chiesa  di  8.  Miniato  a  Monte,  ohe  domina 
specialmente  la  parte  di  Firenze  posta  d  di 
sopra  dd  ponte  di  Bubaoonte,  ora  ponte  alle 
Grazie.  —  102.  la  bea  gvldata  :  Firenze, 
cod  mal  governata  dalle  dgnoiie  democra- 
tiche (cfr.  Purg,  vi  127  e  segg.).  —  Bnba- 
eonte  :  il  ponte  Bubaoonte,  cod  detto  per 
Bubaoonte  da  Mandella  podestà  di  Firenze, 
nel  1287,  d  tempi  dd  qude  fo  incominciato 
(O.  VUlani,  Or,  vi  28).  —  108.  l'ardita 
foga  :  l' eccessiva  rapidità.  —  104.  per  ie 
scalèe  ecc.  per  mezzo  degli  sosglioni  di  mad- 


368 


DIVINA  COMMEDIA 


105  ch'era  sioaro  il  quaderno  e  la  doga; 
cosi  8*  allenta  la  ripa  che  cade 

quivi  ben  ratta  dall'  altro  girone  : 

106  ma  quinci  e  quindi  l'alta  pietra  rada 
Noi  volgendo  ivi  le  nostre  persone, 

€  Beati  pauperes  spirUu  >,  voci 
111        cantaron  si  che  no  '1  dirla  sermone. 
Ahi!  quanto  son  diversa  quelle  foci 
dalle  infernali;  chó  quivi  per  canti 
114       s'entra,  e  là  giù  per  lamenti  feroci 
Già  montavam  su  per  li  scaglion  santi, 
ed  esser  mi  parea  troppo  più  lieve, 


gno  ohe  ▼!  si  collocarono  in  tempi,  nei  quali 
i  capi  del  goTemo,  iureoe  di  attendere  a  fikl- 
saie  le  mittoze  e  le  miaiife  pdbtiliche,  ooi»- 
yano  g^'intereni  e  il  bene  della  dttadinanza. 
—  lOS.  Il  qvadene  e  1*  dogai  la  fiera  al- 
lofioneii  riferìsoea  due  grandi  firodi  commee- 
ae  in  Firenze  ai  tempi  del  poeta,  Tona  ddle 
quali  d  raccontata  da  D.  Compagni,  Or,  x  19, 
e  tutte  due  fono  raccontate  da  due  commen- 
tatori antichi,  l'Ott  e  l' An.  fior.  Quanto  alla 
ftode  del  ^mdmrr»  nana  il  Compagni  e  con- 
fermano i  documenti  (Del  Lungo  n  80-81), 
che  il  podeità  di  Ilrenze  Monflorito  da  Co- 
derta  tririglano,  depoeto  daU'ulBcio  il  6  mag- 
gio 1299  per  eeaeni  lasciato  tiane  dai  pessimi 
cittadini  a  Car  e  della  ragione  torto  e  del  torto 
ragione  »,  messo  ai  tormenti  confessò,  tra  gli 
altri  suol  atti  malTagl,  d'avere  in  un  proosiso 
accolta  una  felsa  tsetimonianga  per  assolTsre 
messer  Niccola  Acciaioli;  del  che  te  fetto 
nota  negli  atti  del  sindacato  :  pl6  tardi,  l'Ac- 
ciaioli sedendo  tra  i  priori  del  bimestre  16  ago- 
sto -  16  settembre  1299,  consigliatosi  con 
Baldo  d'Aguglione  (cfr.  Piar,  zn  66),  yoUe 
distruggere  il  documento  al  quale  era  conse- 
(piata  la  mem<Mia  della  falsa  testimonianza 
resa  in  suo  fevore,  e  amilo  il  quaderno  de- 
gli atti  del  sindacato  ne  fece  fasehiare  quella 
parte  che  poteva  eesergU  di  danno:  scoperto 
il  Tatto,  l' Acciaioli  fu  preso  e  condannato  e  il 
suo  consigliatore  Baldo  d'Agu^^ne  fuggi  e 
fu  confinato  per  un  anno.  Quanto  alla  Ikode 
della  dogOf  narrano  Ott  e  An«  fior,  che  ee- 
seado  messer  Donato  dai  Chiaramontesi  pre- 
posto aU'offido  del  sale {emmrUnffo  dM^cth 
mtn  dd  aois  dd  Oommu  di  JItwmm),  sdera 
adoperare  rictorsndo  in  eonsegna  il  sale  uno 
staio  di  giusta  misura  e  nel  distribuido  al 
popolo  uno  staio  di  misura  ahsrata,  al  quale 
aveva  tolto  una  delle  doghe,  poiché  eiano  le 
e  stara  fette  a  deghe  di  legname  come  bigoo- 
doli  >  ;  cosi  e^  veniva  a  guadagnar  laiga- 
mente  sulla  misura  ;  ma  scopezto  V  inganno 
<  te  condannato  et  gravemente  et  vitupere- 
volmente,  onde  poi  i  discendenti  tuoi,  che 


sono  antichi  uomini,  essendo  loro  ricordato 
anosBono  et  vergognonsi;  et  ièesi  di  dò,  in 
lor  veigògna,  unacanzoncella  che  dicea:  E^U 
»  tratta  ma  doga  da  mU  Et  gH  u^  mm 
luM  «oMMi  >;  cfr.  Pbr.  SVI  106.  — 106.  «Mf 
eco.  permesso  di  aimiU  gradini  si  addoldaoe 
la  salita  rigida  veiso  il  seooido  oerohio.  — 
106.  ma  f  ulne!  ecc.  se  non  che  da  una  parte 
e  dall'alt»  le  parati  latenU  toccano  quasi  il 
viandante,  doè  la  scala  è  stretdasinia  nel  pur- 
gatorio, mentre  è  assai  più  larga  per  salire  a 
San  Miniato.  — 109.  Hot  velgenda  eoo.  Men- 
ile Dante  •  Virgilio  s' iiM^Mamina^i^  f^  p^r 
la  salita,  sentono  oantan  soavemente  la  prima 
delle  beatitudini  erangeUche  ossU  il  primo 
degli  insegnamenti  che  Cristo  dòtte  ai  disce- 
poli sulla  beatitudine  del  suo  regno  (Matteo 
v8:  «Beati  ipoveri  in  ii9ÌrUo,peroioodh6  il 
regno  de'  deli  d  loro  »):  i*  quale  beatitudine, 
secondo  Tommaso  d'Aquino,  Summa,  p.  II,  2^, 
qu.  LXEc,  art.  8,  d  riferisce  al  di^racao  delle 
rìodietze  o  a  quello  de^  onori,  che  d  genera 
dall'nmiltju  — 110.  veclt  usando  Dante  il  plu- 
rale, parrebbe  che  egli  avesse  voluto  tribuiie 
questo  canto  a  pid  esseri;  ma  siccome  in  tutti 
gli  altri  cerchi  è  sempre  il  solo  angelo  che 
canta  la  beatitudine  (ofir.  Purg,  xv  87,  zvn  67, 
zxz  49,  zzn  4,  zziv  161,  xxvn  7),  è  rsgio- 
nevole  ammettere  die  anche  nd  primo  le  voci 
alano  dd  solo  angdo  :  né  11  plurale  disdice 
in  questo  caso,  come  non  disdice  in  Virgilio, 
Sa.  I  64  :  «  Ad  quem  tum  Inno  supplex  his 
vodbus  usa  eet»,  e  in  Dante  steeso,  Purg, 
xzn 6.  —  111.  nel  dirfaecc;  ofir.  V. N. "r*^ 
98  :  «  Lingua  no'  è  che  dioer  lo  sapeaae  >  ;  e 
un  rimatore  antico  (VaL  I  260)  s  «  Core  nd 
penseria  né  diria lingua».  — 112.  feds  aper- 
ture, aditi  (cfr.  Virg.  JE!n.  vi  201  :  feuoea. . . . 
Avemi  »).  —  118.  f  uItI  per  eantl  eco.  nd 
purgatorio  d  passa  da  un  oerohio  all'altro  ac- 
compagnati da  ddd  canti,  nell'infénio  in?eoe 
con  fieri  lamenti  (ott,  Mf,  m  22,  iv  26,  v  25, 
VI  19,  vn  26  eoe).  — 116.  iMppe  pld  ecc.  m- 
sai  ^ù  leggiero  al  salire,  ohe  non  fesd  ststo 
a  camminare  sul  ripiano  dd  primo  cerchio.  — 


PURGATORIO  -  CANTO  XH  369 


117        die  per  lo  pian  non  mi  parea  davanti; 
ond'  io  :  €  Maestro,  di',  qnal  cosa  greve 
levata  s'è  da  me,  che  nulla  quasi 
120       per  me  fatica  andando  si  riceve  ?  » 
Kispose:  €  Quando  i  P,  che  son  rimasi 
ancor  nel  volto  tuo  presso  eh'  estinti, 
123        saranno,  come  Pun,  del  tutto  rasi, 
fien  li  tuoi  piò  dal  buon  voler  si  vinti 
che  non  pur  non  fatica  sentiranno, 
126       ma  fia  diletto  loro  esser  su  pinti  k 
Allor  fec'io,  come  color  che  vanno 
con  cosa  in  capo  non  da  lor  saputa, 
129        se  non  che  i  cenni  altrui  suspicar  fanno, 
per  che  la  mano  ad  accertar  s' aiuta, 
e  cerca  e  trova,  e  quell'officio  adempie 
132        che  non  si  può  fornir  per  la  veduta; 
e  con  le  dita  della  destra  scempie 
trovai  pur  sei  le  lettere,  che  incise 
quel  dalle  chiavi  a  me  sopra  le  tempie: 
13G    a  che  guardando  il  mio  duca  sorrise. 

120.  f«r  Ht  ffttlea  eoe.  non  tento  pid  fatica  chùuidoei  A  vede  in  fronte  Io  ooma  :  «  Fal- 

ndl'andAre.  —  121.  Qvuido  eoe  Quando  i  samqno  in  imagine  credens  Esse  fidem,  digi- 

legni  dei  peccati,  segnati  sulla  tua  frontedal-  tis  ad  frontem  saepe  relatis,  Qae  yidit  teti- 

l'sngelo  goaxdiano  {Purg.  xx  112)  e  già  quasi  git  >.  —  1S8.  t  eoa  le  dita  eoo.  e  allaigando 

sranitl  perché  Tala  dall'angelo  ha  oanoellato  la  mano  e  posando  lo  dita  cosi  disgiunte  sulla 

il  segno  della  superbia,  ohe  è  to  radiM  d'ogni  ftonto,  trorai  ohe  solamente  sei  etano  rimaste 

ftooaio  {EBetst,  z  16),  saranno  interamente  delle  sette  lettere  ohe  l'angelo  portiere  avoya 

qpenti,  ta  ti  sentSiai  spinto  a  salire,  non  pur  descritte  sulle  mie  tempie  col  puntone  della 

senza  Iktioa  alcuna,  ma  con  tuo  grande  di-  spada.  —  186.  a  ehe  gaardaade  eoo.  Vir- 

letto  (cfir.  Pwg,  zzm  121  e  segg.).  —  127.  f^  vedendo  l'atto  di  Dante,  ohe  s'era  toc- 

eeaie  e^lor  eoe  Yenturi  285  :  «  La  simUitu-  cata  la  fronte  per  accertarsi  del  numero  dello 

dine,  tratta  dall'osserTazione  di  uno  dei  fatti  lettere  ohe  ancor  vi  rimanevano,  volle,  pi& 

più  cornimi,  dipinge  con  viva  proprietà  di  pa-  tosto  che  schernirlo  dolcemente,  còngratu- 

role  il  dnbUo  e  l'accertamento  ».  »  129.  s«*  larsi  seco  che  già  avesse  espiato  U  peggiore 

splcar  s  ofr.  htf,  x  67.  — 180.  la  waao  eoe  :  di  tutti  i  vizi,  quello  onde  muovono  gli  altd 

cosi  Ovidio  MtL  XT  666,  di  Cipo  che  speo-  che  doveva  espiare  nsi  cerchi  superiori. 


CANTO  xni 

Pervenuti  al  secondo  cerchio,  i  due  poeti  sentono  ignote  voci  che  cele- 
brano esempi  di  carità  e  poi  vedono  le  anime  degli  invidiosi,  che  rivestiti 
di  vile  cilicio  e  con  gli  occhi  enei  ti  da  nn  filo  di  ferro  stanno  sedati  intomo 
alla  costa  del  monte  :  tra  essi  incontrano  la  senese  Sapia  dei  Saracini  [11 
aprile,  prima  ora  circa  dopo  il  mezzogiorno]. 

Noi  eravamo  al  sommo  della  scala, 
ove  secondamente  si  risega 

Xm  1.  Koi  eraTama  ecc.  Dante  e  Vlr-  intomo  a  formare  un'  altra  cornice  o  ripiano 
gilio  sono  pervenuti  alla  sommità  della  scala,  circolare,  come  il  primo,  ma  di  minor  dianie* 
là  ove  il  monte  del  purgatorio  si  ristringe      tro.  —  2.  secondamente  :  por  la  seconda  volta* 

Danrs  U 


370 


DIVINA  COMMEDIA 


8  lo  monte,  che  salendo  altrui  dismala: 
ivi  cosi  una  cornice  lega 

dintorno  il  poggio,  come  la  primaia, 
6        se  non  che  Parco  suo  più  tosto  piega. 
Ombra  non  gli  ò  né  segno  che  si  paia; 
par  si  la  ripa  e  par  si  la  via  schietta 

9  col  livido  color  della  petraia. 

«  Se  qui  per  domandar  gente  s'aspetta, 
ragionava  il  poeta,  io  temo  forse 
12       ohe  troppo  avrà  d'indugio  nostra  eletta  >. 
Poi  fisamente  al  sole  gli  occhi  pòrse; 
fece  del  destro  lato  al  mover  centro 
15        e  la  sinistra  parte  di  sé  torse. 

€  0  dolce  lume,  a  cui  fidanza  i'  entro 
per  lo  nuovo  cammin,  tu  ne  conduci, 
18        dicea,  come  condur  si  vuol  quinc' entro. 
Tu  scaldi  il  mondo,  tu  sopr'esso  luci; 
scaltra  ragione  in  contrario  non  pronta, 
21        esser  dèn  sempre  li  tuoi  raggi  duci  >. 


—  8.  ehe  salendo  eoo.  ohe  purifica  dal  male 
•  dal  peccato  ooloro  die  ri  salgono.  —  4. 
eonlee  t  cfr.  Purg,  x  27.  ~  6.  «ome  Ia  prl- 
alla:  eoo.  della  stessa  fotnia  e  larghezza 
della  pxima  (cfr.  Pttrg.  x  20).  —  6.  l*«reo 
sio  eoo.  :  essendo  l  cerchi  del  purgatorio  con- 
centrici, ò  manifesto  che  via  via  che  si  sale 
sono  pii  piccoli,  e  il  loro  raggio  diventando 
sempre  minore,  sarà  sempre  maggiore  la  cor- 
Tatara.  —  7.  Ombra  ecc.  Dante  vnol  dire 
che  la  via  e  la  ripa  della  seconda  oomloe  gli 
apparvero  di  pietra  liscia,  senza  le  Agore  scol- 
pite che  aveva  trovate  nella  prima  (cfr.  I\ay, 
X  28  e  segg.,  xn  16  e  segg.)  :  ombra  adonqoe 
significherà,  come  spiega  il  Boti,  figvn  in 
genere  (cfr.  Purg,  xu  66)  e  ugnOf  Parte  di 
qoeeta  figora,  doè  la  sooltora,  come  se  di- 
cesse: non  V*  appariva  aloona  iigora  scolpita. 
Male  qoindi  i  commentatori  moderni,  seguendo 
il  Dan.,  distingoono  imaglni  dipinte  (ombra) 
e  imagini  scolpite  («(^no),  che  a  qoelle  Dante 
non  poteva  pensare  poiché  sol  macigno  non 
si  dipinge  ;  e  peggio  altri  prend<mo  ombra  nel 
senso  di  anima  (Benv.,  Vent.,  Blane  eoe)  o  in 
qoollo  proprio  di  loogo  ombreggiato  da  alberi 
(Lana,  Ott  eoe).  —  gli  :  cfr.  Inf,  xxra  64.  — 
8.  par  si  eco.  invece  la  ripa  e  la  via  appa- 
rivano liscie  e  levigate  (cfr.  tehieUo  in  Inf, 
xnx  6,  Purg.  i  96),  mostrando  solo  il  livido 
colore  del  macigno.  —  10.  Se  f  ni  ecc.  Se  ci 
fermiamo  ad  aspettare  le  anime  per  chiedere 
loro  da  qoal  parte  dobbiamo  incamminarci  per 
trovare  la  scala,  dobito  che  dovremo  aspet- 
tar molto.  Virgilio,  osserva  il  Tomm.,  <  con 


la  ragione  prevede  ohe  gì'  invidi  non  devono, 
come  i  soperbi,  girare;  perché  T invidia  ha 
astio  dell'andare  altroi,  ma  non  va».  — 12. 
■ostra  eletta!  la  nostra  scelta,  la  eleadone 
che  noi  dobbiam  fkre  della  strada.  —  IS.  Pel 
fisamente  ecc.  Virgilio,  incerto  del  cammino, 
si  volge  al  sole  fermandosi  sol  piede  destro 
e  movendo  la  parte  sinistra  del  soo  ooq>o  ; 
cioè  si  volta  a  destra,  daUa  qoal  parte,  es- 
sendo già  passato  U  menoglomo  (cfr.  iVy. 
XII  81),  doveva  essere  U  sole.  — 16. 0  delee 
lume  ecc.  Qoesf  apostrofe  di  Virgilio  al  sole, 
che  a  giodizio  del  Yent  sarebbe  empia  nel 
senso  letterale  e  che  perdo  deve  interpre- 
tarsi allegorioamento  prendendo  il  sole  come 
simbolo  di  Dio  o  della  soa  grazia  (ofr.  Par, 
XXV  64),  è  ona  natorale  consegoenza  doll'av- 
vertimento  dato  ai  doe  visitatori  del  porga- 
torio  da  Catone  (Ikay,  i  107)  :  <  Lo  sol  vi 
mostrerà...  Prender  lo  monto  a  piA  lieve  sa- 
lita >  ;  al  qoale  avvertimento  richiamano  le 
parole  di  Virgilio  a  otti  fidanxa  «*  eniro.  — 
20.  s*  altra  ragteae  ecc.  se  altra  ragione 
non  d  sollecita  a  mooveroi  altrimenti,  noi 
dobbiamo  sempre  seguire  la  direzione  dei  tool 
raggi  :  voci  dire  che  devono  camminare  sem- 
pre a  deetra  (ofr.  iVy.  xxn  128).  —  pr^ata  : 
il  vb.  jyrtmterv,  parlandosi  di  movimenti  del- 
l'animo,  significa  disporre,  stimolare;  cfr. 
F.  N.  xn  86,  del  ooore  «  die  'n  voi  servir 
r  ha  pronto  ogne  penswo  >  e  on  rimatore 
antico  (D'Ano,  l  606)  :  <  Però  se  di  pensieri 
U  cor  mi  pronta  >:  più  fireqoento,  in  qoesto 
senso,  è  il  soo  composto  improtitaré  (cfr. 


PURGATORIO  —  CANTO  XH! 


371 


Quanto  di  qna  per  un  migliaio  si  conta, 
tanto  di  là  eravam  noi  già  iti, 
24       con  poco  tempo,  per  la  voglia  pronta; 
e  verso  noi  volar  furon  sentiti, 
non  però  visti,  spiriti,  parlando 
27        alla  mensa  d'amor  cortesi  inviti. 
La  prima  voce  che  passò  volando, 

€  Vinum  non  habent  >,  altamente  disse, 
80        e  retro  a  noi  l'andò  reiterando; 
e  prima  che  del  tutto  non  s'udisse 
per  allungarsi,  un'  altra  :  €  Io  sono  Oreste  » 
83        passò  gridando,  ed  anco  non  s'affisse. 
<  0,  diss'io,  padre,  che  voci  son  queste?  > 
e  com'io  domandava,  ecco  la  terza 
80        dicendo:  «  Amate  da  cui  male  aveste  ». 
E  '1  buon  maestro:  €  Questo  cinghio  sferza 
la  colpa  dell'invidia,  e  però  sono 
89        tratte  da  amor  le  corde  della  ferza. 
Lo  fren  vuol  esser  del  contrario  suono; 
credo  che  l'udirai,  per  mio  avviso, 
42        prima  che  giunghi  al  passo  del  perdono: 
ma  ficca  gli  occhi  per  l'aer  ben  fiso, 
e  vedrai  gente  innanzi  a  noi  sedersi. 


A»y.  xm  12B).  —  22.  Qiailt  eoe  Ato- 
Tcmo  già  peroono  mi  secondo  cerdiio  ano 
spazio  che  nel  mondo  sarobbe  computato  per 
nn  miglio  (Ut.  nniHaHmm),  —  25.  e  Tene 
eoe.  Gli  esempi  dellA  carità  e  qnelli  della  in- 
Tidia  ponita  sono  ricordati  alle  anime  del 
secondo  oerdiio  da  voci  di  spiriti  invisibili, 
le  quali  trasoonono  via  per  Taxia  risonando 
senza  posa.  —  27.  alla  Menta  eoo.  gP  inviti 
oorteai  alla  mensa  d'amore  sono  gli  esempi 
della  carità  che  traggono  gii  animi  a  questo 
mite  sentimento.  ~  28.  La  prima  eco.  U 
primo  esempio  di  carità  ò  quello  della  Ver- 
gine Malia;  la  quale,  secondo  il  racconto 
evangelioo  (GioviÀni  n  l-ll),  trovandosi  col 
figlio  alle  noczé  che  si  celebravano  in  Cana 
ed  essendosi  accorta  del  vino  che  stava  per 
mancare,  per  carità  ohe  ebbe  degli  sposi  disse 
a  OesA  :  «  Non  hanno  vino  »  ;  ed  egli  foco 
il  suo  primo  miracolo,  per  cui  le  pilo  dell'ac- 
qua si  trovarono  piene  di  vino.  —  81.  e  prl- 
Ma  eoe.  U  secondo  esempio,  che  risuona  in- 
nanzi ohe  la  prima  voce  si  perda  nella  lon- 
tananza, è  quello  dell'amicizia  generosa  di 
Oreste,  figlio  di  Agamennone  e  di  Clìtonne- 
■txa,  e  di  PUade,  fl^  di  Strofto  re  della 
Fodde  ;  dai  quali  raooonta  la  leggenda  clas- 
sSoa  <^e,  afEsrmaado  Pilade  di  essere  egli  Ore- 
ste, perché  voleva  morire  in  luogo  dell'amico, 


questi  perseverò  nel  dichiarare  d'essere  Ore- 
ste :  generosa  gara,  della  quale  il  motivo  era 
l'ardore  della  reciproca  carità.  Del  fktto  Danto 
aveva  notiria  da  Cicerone,  De  amioUia  vii  24 
e  De  finUmt  v>  22  (<  cum  illa  dicuntur :  *  Ego 
sum  Orestes  '  »),  e  da  Valerio  Massimo,  iv  7. 
--  SS.  aaco  eco.  anche  questa  non  si  fermò. 
—  35.  ecco  la  tersa  ecc.  n  torzo  esempio  ò 
quello  della  carità  insegnata  da  Cristo  agli 
Apostoli  col  noto  precetto  evangelico  (Matteo 
V  44)  :  «  Amate  i  vostri  nemici,  benedite  co- 
loro ohe  vi  maledicono,  fate  bene  a  coloro 
che  v'odiano,  e  pregate  per  coloro  che  vi 
fanno  torto  e  vi  perseguitano  ».  —  87.  Qne* 
sto  elag hlo  eco.  In  questo  cerchio  le  animo 
si  purgano  della  colpa  dell'  invidia  ;  e  gli 
esempi  col  quali  si  correggono  sono  tratti 
dalla  carità,  che  è  la  virtó  contraria  all'  in- 
vidia. —  39.  le  eorde  della  férza:  le  strì- 
sce che  formano  la  sferza  (cfir.  Inf,  xvni  85), 
cioò  i  mezri  adoperati  alla  correrione,  gli 
esempi  di  carità  che  traggono  a  questo  sen- 
timento. —  40.  IjO  frea  ecc.  U  ùreno  deve 
essere  di  snono  contrario  al  pungolo,  cioè  gli 
esempi  di  invidia  punita  devono  essere  ricor- 
dati in  suono  di  minaccia.  —  41.  eredo  ecc.: 
cfr.  Purg,  xiv  180  e  segg.  —  44.  gente  ecc. 
Sono  gl'invidiosi,  assisi  sul  piano  del  cer- 
chio, intomo  alla  ripa  del  monte  alla  quale 


372 


DIVINA  COMMEDIA 


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CO 


63 


66 


e  ciascun  è  lungo  la  grotta  assiso  >. 

Allora  più  che  prima  gli  occhi  apersi; 
guarda'  mi  innanzi,  e  vidi  ombre  con  manti 
al  color  della  pietra  non  diversi. 

E  poi  che  fummo  un  poco  più  avanti, 
udì'  gridar  :  <  Maria,  óra  per  noi  >, 
gridar  Michele  e  Pietro  e  tutti  i  santi. 

Non  credo  che  per  terra  vada  ancoi 
uomo  si  diu'o,  che  non  fosse  punto 
per  compassion  di  quel  ch'io  vidi  poi: 

che,  quand'io  fui  si  presso  di  lor  giunto 
che  gli  atti  loro  a  me  venivan  certi, 
per  gli  occhi  fili  di  grave  dolor  munto. 

Di  vii  cilicio  mi  parean  coperti, 
e  l'un  sofferia  l'altro  con  la  spalla, 
e  tutti  dalla  ripa  eran  sofferti. 

Cosi  li  ciechi,  a  cui  la  roba  falla, 
stanno  ai  perdoni  a  chieder  lor  bisogna, 
e  l'uno  il  capo  sopra  l'altro  avvalla, 

perché  in  altrui  pietà  tosto  si  pogna, 
non  pur  per  lo  sonar  delle  parole, 
ma  per  la  vista  che  non  meno  agogna: 


appoggiano  Io  spallo.  —  46.  grotto:  cfir.  Jn/l 
zxi  110.  —  47.  ombre  eoa  maatl  ooo.  anime 
riyoBtlto  di  manti  del  livido  ooloio  del  maci- 
gno (cfr.  V.  9).  —  60.  «df' grldmr:  gl'invi- 
diosi cantano  le  litanie  dei  Santi,  le  quali 
cominciano  appunto  con  l'invocazione  dello 
tre  persone  divine,  seguitano  oon  la  triplioe 
invocazione  della  Vergine:  Saneta  Maria, 
ora  ffro  nobis;  Saneta  Dei  gmUrix.,,;  Saneta 
Virgo  virginunu,.,  oon  quella  dell'arcangelo 
Hicliele  e  degli  altri  ordini  celesti,  oon  quella 
di  san  Pietro  e  degli  altri  apostoli,  e  via  via 
oon  gli  altd  santi  e  sante,  e  si  chiudono  oon 
la  generica  invocazione:  Omnu  Saneti  et 
Sanetat  Dei^  intareedite  prò  nobis,  —  62.  ehi 
per  terra  ecc.  che  al  mondo  vìva  adesso  un 
uomo  di  cosi  duro  cuore,  il  quale  non  fosse 
rimasto  commosso  alla  vista  dolorosa  degl'  in- 
vidiosi. —  aneol  :  oggi  ;  formazione  (dal  lat. 
hane  hodi»  :  cfir.  Diez  17, 107,  Zing.  144)  viva 
noi  dialetti  dell'  Italia  superiore,  e  ai  tempi 
di  Dante  anche  in  quelli  di  Toscana  (cfir.  Purg, 
XX  70,  xxxm  96)  :  si  veda  U  Parodi,  BuU. 
m  133  e  145.  —  66.  ohe  gU  Atti  eoo.  che 
distintamente  vedevo  la  lor  condizione  e  i 
loro  attL  —  57.  per  gli  occhi  eoo.  fui  cosi 
dolente,  da  dover  versare  lagrime  di  com- 
passione. —  68.  DI  vii  elllelo  eco.  GÌ'  invi- 
diosi erano  ricoperti  di  vile  cilicio,  si  appog- 
giavano l'uno  idle  spalle  dell'altro  e  tutti 
insieme  s'appoggiavano  alla  ripa.  —  cilicio: 


Buti  :  «  si  fSft  di  setole  di  cavallo  annodate,  li 
quali  nodi  pungono  oontinuamento  la  carne, 
et  è  fireddissimo  a  tenere  indosso  imperò  che 
ò  fatto  a  mallia  come  la  rete  :  e  questo  si 
conviene  a  l'invidiosi  che  sono  stati  fireddi 
de  r  amore  del  prossimo  >.  —  61.  Cosi  11  de* 
ehi  ecc.  Venturi  239  :  «  È  similitudine  di 
ciechi  con  deohi,  come  spesso  nel  poeta: 
nella  quale  i  moti,  l'atteggiamento  e  quasi 
la  parola  è  descritta  oon  tutta  l' imitazione 
del  vero,  senza  per  altro  scendere  alle  ultime 
minuzie  o  ad  ignobili  paxticolaii  ».  —  a  cai 
la  roba  falla:  ai  quali  ftanca  ogni  mezzo 
per  vivere,  che  sono  povorL  —  62.  al  per- 
doni  :  innanzi  alle  chiese,  nei  giorni  di  feste 
solenni  o  di  straordinarie  indulgenze:  pèr- 
dono e  perdonanxa  dissero  gli  antichi,  pid 
spesso  di  noi,  le  feste  religiose,  alle  quali  ac- 
corrano le  genti  da  luoghi  vicini  e  da  lontani, 
per  finire  di  particolari  indulgenze  concesse  a 
chi  visiti  in  date  occasioni  certe  determinate 
chiese.  —  63.  e  Tuie  eco.  Lana:  e  Li  orbi, 
che  sono  in  istato  di  povertà,  stanno  alle 
chiese  e  alle  perdonanze,  e  domandano  ele- 
mosine, e  molte  fiate  stuino  travolti  ed  ap* 
poggiati  r  uno  all'  altro,  perohó  di  sua  disoon- 
cia  vita  e  tenebrosa  vegna  alli  uomini  oom- 
passione,  e  facdanli  bene  si  per  la  veduta, 
come  per  le  parole  umili  e  pietoee,  con  le 
quali  olii  domandano  ».  —  66.  eht  non  meno 
agOfBft  :  che  non  chiede,  non  esigo  minort 


PURGATORIO  -  CANTO  Xin  873 

e  come  agli  orbi  non.  approda  il  sole, 
cosi  all'  ombre,  là  V  io  parlav'  ora, 
69        luce  del  ciel  di  sé  largir  non  vuole; 
che  a  tutte  un  fil  di  ferro  il  ciglio  fora, 
e  cuce  si,  come  a  sparvier  selvaggio 
72        si  £e^  però  che  queto  non  dimora. 
A  me  pareva  andando  far^  oltraggio, 
veggendo  altrui,  non  essendo  veduto: 
75        per  ch'io  mi  volsi  al  mio  consiglio  saggio. 
Ben  sapev'ei  che  volea  dir  lo  muto; 
e  però  non  attese  mia  domanda, 
78       ma  disse  :  €  Parla,  e  sii  breve  ed  arguto  ». 
Virgilio  mi  venia  da  quella  banda 
della  cornice,  onde  cader  si  puote, 
81        perché  da  nulla  sponda  s'inghirlanda: 
dall'altra  parte  m'eran  le  devote 
ombre,  che  per  l'orribile  costura 
84        premevan  si  che  bagnavan  le  gote. 
Yolsimi  a  loro,  ed  :  €  O  gente  sicura, 
incominciai,  di  veder  l'alto  lume, 
87        che  il  disio  vostro  solo  ha  in  sua  cura; 
se  tosto  grazia  risolva  le  schiume 
di  vostra  coscienza,  si  che  chiaro 

pietà  deUe  parole.  ~  67.  approda  ;  il  vb.  Dante  sembrò  qtiasi  an  oltraggio  verso  qaelle 

approdam  da  alcani  ò  inteso  qui  nellu  stesso  anime  l' andare  per  il  oerohio  senza  dir  loro 

senso  dì  giovare  che  ha  in  Inf,  xxi  78  (La-  pnr  nna  parola,  e  si  rivolse  perciò  a  Virgilio, 

na,  Ott.,  Benv.%  da  altri  invoce  in  quello  quasi  chiedendo  col  suo  silenzio  il  permesso 

di  arrivare,  pervenire  (Buti,  seguito  da  tutti  di  parlare.  —  76.  eoBslgllo  saggio  :  sapiente 

quasi  i  moderni)  :  che  sembra  essere  il  senso  consigliere.  —  76.  ehe  volea  eoe.  ohe  cosa  io 

più  conforme  a  quello  delle  parole  che  se-  voleva  dire,  pur  rimanendo  silenzioso  :  cfr. 

guono,  ove  ò  detto  che  la  luce  della  grazia  Jnf,  xvi  119  e  segg.  —  78.  Parla  eoe  È, 

divina  non  vuole  lasciarsi  vedere  agi'  invi-  sotto  altra  forma,  lo  stesso  avvertimento  dato 

diosi,  sebbene  non  manchi  a  molti  di  loro  il  in  Jnf,  x  89.  —  79.  Virgilio  eoo.  I  due  poeti 

beneficio  di  essa;  tanto  è  vero  che  una  parte  camminavano  sul  ripiano  del  cerchio  verso 

degli  invidiosi  ò  all'  inferno  (Jnf,  vn  97),  una  la  destra  ;  e  Dante  aveva  alla  sua  sinistra  le 

parte  nel  purgatorio.  —  68.  là  'v*lo  ecc.  nel  anime  appoggiate  alla  riva,  alla  destra  Vir> 

luogo,  del  quale  io  ora  pariavo.  —  70.  ft  tutte  gilio,  il  quale,  come  guida  saggia,  va  sempre 

ecc.  agli  invidiosi  sono  chiusi  gli  occhi,  per  della  parte  di  fuori,  perché  il  discepolo  non 

mezzo  di  una  cucitura  di  filo  di  ferro,  come  cada  gid  dai  cerchL  —  81.  da  nulla  ecc.  non 

à  fa  con  un  filo  di  refe  agli  sparvieri  sei-  ò  circondata  e  difesa  da  alcuna  sponda.  — 

vaggi,  che  altrimenti  non  si  potrebbero  ad-  83.  ehe  per  l'orribile  ecc.  le  quali  attra- 

domesticare.  Buti  :  «  l' invidiosi  debbono  te-  verso  all'  orrìbile  cucitura  spingevano  fuori 

nere  cuciti  li  occhi  per  non  vedere  quello  che  le  lagrime,  che  scendevano  poi  sui  loro  visi. 

lì  debbia  muovere  ad  invidia,  infine  a  tanto  —  86.  l'alto  lame  eco.  Dio,  che  è  il  solo 

che  non  sono  ben  purgati  del  peccato  ».  —  oggetto  del  vostro  desiderio  (cfr.  Pwrg,  v  67, 

71.  ei^arrler  lelvagglo  i  è  Io  sparviero  che,  vn  26  ecc.).  --  88.  te  tolto  ecc.  Dante  ri- 

senza  l'operazione  della  cigliatura,  sarebbe  peto  agl'invidiosi  con  altre  parole  l'augurio 

intollerante  della  vista  dell'  uomo  e  farebbe  fatto  da  Virgilio  ai  superbi  (JPurg,  zi  37-39) 

continui  sforzi  per  ftiggire  ;  secondo  la  spie-  e  dice  loro  :  Cosi  la  grazia  divina  presto  pn- 

gazione  di  Federico  n,  Do  arU  wnandi  ii  46,  rifichi  la  vostra  coscienza  da  ogni  macchia 

citato  opportunamente  dal  Torraca  a  illustra-  di  peccato,  di  modo  che  la  vostra  memoria 

zione  dei  versi  danteschL  —  78.  ▲  »e  eoo.  A  non  ne  serbi  più  alcuna  ricordanza,  cioò  voi 


374 


DIVINA  COMMEDIA 


90       per  essa  scenda  della  mente  il  fiume, 
ditemi,  che  mi  fia  grazioso  e  caro, 
s'anima  ò  qui  tra  toì  che  sia  latina; 
93        e  forse  a  lei  sarà  buon,  s'io  l'apparo  >. 
€  0  frate  mio,  ciascuna  è  cittadina 
d'una  vera  città;  ma  tu  vuoi  dire, 
96        che  vivesse  in  Italia  peregrina  ». 
Questo  mi  parve  per  risposta  udire 
più.  innanzi  alquanto  ohe  là  dov'io  stava; 
99        ond'io  mi  feci  ancor  più  là  sentire. 
Tra  l'altre  vidi  un'ombra  che  aspettava 
in  vista;  e  se  volesse  alcun  dir:  €  Come?  >, 
102        lo  mento,  a  guisa  d'orbo,  in  su  levava. 
€  Spirto,  dlss'  io,  che  per  salir  ti  dome, 
se  tu  se' quelli  che  mi  rispondesti, 
106        fammiti  conto  o  per  loco  o  per  nome  ». 
€  l' fui  sanese,  rispose,  e  con  questi 
altri  rimondo  qui  la  vita  ria, 
108        lagrimando  a  colui,  che  sé  ne  presti 
Savia  non  fui,  awegna  che  Sapia 


siato  fatti  degni  di  salir»  al  paradiso,  ore  le 
colpe  terrene  non  si  affAcdano  più  agli  spi- 
riti beati  se  non  come  occasione  ad  ammi- 
rare anche  In  esse  1*  opera  di  Dio  (cfir.  Par, 
IX  108-106).  —  90.  della  veatt  U  flaae:  U 
corso  della  memoria,  dalla  quale  le  acque  del 
fiume  Lete  rimuovono  il  ricordo  del  peccati 
iPurg,  xxxin  91-96);  cosi  spiega  il  Blano, 
contro  r  opinione  di  tutti  i  commentatori  cho 
per  il  fmm»  della  fnenU  intendono  ohi  una 
cosa,  ohi  r  altra  (la  ragione  umana,  la  luce 
intellettuale,  l' idea  del  bene,  la  rerìtà  ecc.), 
ma  sempre  pooo  conyeniente  alla  forma  £&n- 
tastioa  data  qui  da  Dante  al  suo  pensiero. 
—  92.  i*aBliiu  ecc.  :  cfr.  Jhf,  xxii  65.  — 
93.  i*ie  l'apparo:  se  io  vengo  a  saperlo, 
se  io  la  riconoBco.  •>  94.  0  frftte  ecc.  Uno 
spirito  risponde  da  lontano  a  Dante,  dicen- 
dogli che  tutte  le  anime  dei  penitenti  appar- 
tengono alla  città  celeste,  cioè  che  non  v'  ò 
nel  purgatorio  alcuna  distinzione  di  patria, 
e  che  perciò  la  domanda  di  lui  deve  inten- 
dersi nel  senso  ch'el  cerchi  qualche  anima 
che  passasse  in  Italia  il  breve  tempo  della 
vita  mondana,  che  ò  come  un  esilio  della  pa- 
txia  celeste.  —  96.  vera  elttà  :  quella  di  Dio, 
la  Gerusalemme  celeste  (<dr.  Apooolme  xxi 
10-11,  xxn  14;  Paolo,  Ep,  agli  Ebmii  10, 
zìi  22,  zm  14  ecc.).  •—  96.  peregrina  :  f^iori 
della  sua  patria  coleste;  cfr.  Fitrg,  n  66.  — 
99.  mi  feci  ecc.  alzai  la  voce  per  esser  sen- 
tito da  quell'anima,  volendo  chiederle  chi 
ella  fosse  o  di  che  luogo  (cfr.  w.  108-105). 


—  101.  ìm  Titta:  cfr.  ISirg.  i  83.  —  e  te 
TOlesie  ecc.  e  se  alcuno  mi  chiedesse  in  qual 
maniera  un  dece  potesse  dimostrare  in  vùta 
di  aspettare  la  risposta,  direi  ohe  teneva  le- 
vato in  su  il  mento,  come  iknno  impunto  i 
ciechi  che  attendono.  —  108.  per  salir  eoe. 
per  salire  al  dolo  stai  espiando  la  tua  colpa. 

—  104.  se  ta  occ  cf^.  w.  94-98.  —  106. 
I*  fai  saneae  eco.  L'anima  che  risponde  a 
Dante  ò  quella  di  una  donna  senese  di  nome 
Sapia,  d'incerta  fiuniglia  e  moglie  di  Viviano 
dei  Saraoini  signore  di  Gasti^ionoello  presso 
Montereggioni  {Inf.  xxn  40)  :  di  lei  sappiamo 
che  nel  1266  promosse  la  fondazione  di  un 
ospizio  per  i  viandanti,  sulla  strada  fioren- 
tina presso  (^astigUoncello,  e  che  nel  1269, 
morto  il  marito,  raccolse  in  sé  per  oessione 
dei  cognati  i  dMtti  della  famiglia  sa  cotesto 
castello  e  li  cedette  a  sua  volta  al  comune 
di  Siena  (Aquarone,  DanUé  m  SimM^  pp.  126 
e  segg.  ;  Bepetti,  I  691).  Tutti  i  commenta- 
tori affermano  ohe  Sapia  fòsse  invidiosissima 
dei  suoi  oondttadini,  o  forse  piA  che  di  altri 
di  Provenzano  Salvani  Ikttod  quasi  signore 
di  Siena  (cfr.  Purg,  zi  109),  e  che  percid 
desiderasse  la  sconfitta  dd  sened  alla  batta- 
glia di  Colle  e  tanta  letizia  prendesse  della 
strage  dd  sud  (cf^.  w.  116-123).  —  107.  ri- 
monde ecc.  purifico  me  dalle  colpe  tenone, 
piangendo  nel  cospetto  dd  Signore  afflnchó 
egli  ne  conceda  la  beatitudine  (cfìr.  Par.  i  22). 
--  109.  Savia  ■•■  fkil  ecc.  Dante  d  com- 
piacque delle  pi6  ingegnose  speculazioni  sul- 


PURGATORIO  -  CANTO  XIII 


87B 


fossi  chiamata,  e  fui  degli  altriii  danni 
111       più  lieta  assai  che  di  ventura  mia; 
e  perché  tu  non  credi  eh* io  t'inganni, 
odi  se  fili,  compio  ti  dico,  folle. 
114        Già  discendendo  l'arco  de' miei  anni, 
eran  li  cittadin  miei  presso  a  Colle 
in  campo  giunti  coi  loro  avversari, 
117        ed  io  pregava  Dio  di  quel  ch'ei  volle. 
Botti  fClr  quivi,  e  volti  negli  amari 
passi  di  fuga,  e  veggendo  la  caccia, 
120       letizia  presi  a  tutte  altre  dispari; 
tanto  ch'io  volsi  in  su  l'ardita  feuscia, 
gridando  a  Dio  :  '  Omai  più  non  ti  temo  ', 
123        come  fa  il  merlo  per  poca  bonaccia. 
Pace  volli  con  Dio  in  su  lo  stremo' 
della  mia  vita;  ed  ancor  non  sarebbe 
126        lo  mio  dover  per  penitenza  scemo, 
se  ciò  non  fosse  che  a  memoria  m'ebbe 
Pier  Pettinagno  in  sue  sante  orazioni. 


l'iathno  senso  dei  nomi  personali  (of^.  F.  N, 
xzrv  16-29,  Bv.  xn  79-81X  in  relazione  si 
^eeetto  sooisstico  :  Nomina  tuni  eonaeqttenHa 
nrwm  (F.  N.  xxn  15)  ;  era  naturale  qaindi 
ch*ei  zilevasse  l'antitesi  tra  il  nome  deUa 
donna  senece  e  la  soa  poca  saviezza;  tanto 
pi6  che  ootali  antitesi  erano  notate  volentieri 
da^  anti^,  come  prova  1*  inscrizione  sulla 
tomba  pisana  di  Beetrioe  contessa  di  Toscana, 
ove  si  legge  :  «  Qoamvis  peccatrìx  snm  domna 
vocato  Beatrix».  —  114.  Già  diseeadeodo 
eoe.  avendo  io  oltrepassato  già  Tetà  dei  tren- 
tacinque anni  (cfir.  Inf.  i  1);  che  ò  qnella 
in  coi  ciascnno  dovrebbe  lasciarsi  governare 
dulia  ragione  più  tosto  che  dalla  passione* 

—  115.  11  clttaAla  miei  eco.  Nel  1269  i 
senesi  e  ^  altri  ghibellini  toscani  si  recarono 
a  oste  oontro  la  terra  di  Colle  di  Valdelsa, 
che  alcuni  anni  innanzi  s*  era  data  a  Carlo  I 
d'Angiò  ed  era  tennta  allora  dai  fiorentini  : 
aooorsero  col  vicario  angioino  Giovanni  Ber- 
taod  i  guelfi  fiorentini,  e  1'  8  giugno  di  quello 
stesso  anno  assalirono  gli  avversali  e  (dice 
0.  Villani,  Or,  vn  81)  e  come  ardita  e  franca 
gente,  bene  avventurosamente,  come  piacque 
a  Dio,  mppono  e  soonflssono  i  sanasi  e  loro 
amistà,  ch'erano  quasi  due  cotanti  cavalieri 
e  popolo  grandissimo,  onde  molti  ne  furono 
morti  e  presi  »  :  tra  i  morti  ta  Provenzano 
Salvani.  —  117.  lo  pregava  ecc.  io  pregava 
Dìo  peroh6  1  senesi  fossero  sconfitti,  come  a 
lui  piacque  ohe  fossero.  —  119.  la  eaeela: 
la  persecuzione,  l'inseguimento  dei  fuggenti. 

—  121.  io  volsi  ecc.  neir  esultanza  eh'  io 
provai  per  la  sconfitta  dei  miei  concittadini 


levai  arditamente  la  fiaccia  al  cielo,  gridando 
a  Dio  che  liaoeese  ormai  di  me  ciò  che  gli 
era  a  grado,  dhó  io  non  temevo  pid  la  sua 
ira,  avendo  ottenuto  ciò  ohe  desiderava.  — 
123.  eouie  fa  eoo.  È  antica  credenza  popo- 
lare ohe  il  merlo  al  tempo  della  neve  sia 
molto  dimesso  e  avvilito,  ma  ai  primi  segni 
del  buon  tempo  si  rassicuri  e  dica  :  <  Non  ti 
temo,  domine,  che  uscito  son  del  verno  >  : 
cosi  gli  antichi.  Lana,  Ott.,  Benv.,  Buti, 
An.  fior.  ;  e  la  loro  interpretazione  ò  confer- 
mata dalla  citazione,  che  del  proverbio  £a  il 
Sacchetti  (nov.  cxlix),  e  dal  motto  vivente 
in  Lombardia,  ove  di  della  marta  sono  detti 
gli  ultimi  di  gennaio.  —  125.  ed  ancor  ecc. 
e  non  avrei  ancora  compiuta  parte  alcuna 
della  mia  penitenza,  ma  sarei  gid  nell'  anti- 
purgatorio tra  i  negligenti,  se  a  salire  presto 
in  questo  cerchio  non  m'avessero  aiutata  le 
preghiere  di  un  sant'  uomo  (cfr.  Purg,  iv  133). 
—  128.  Pier  Pettinagno  :  Pietro  da  Campi, 
castello  del  Chianti,  vissuto  lungamente  in 
Siena,  ove  faceva  bottega  di  pettini  che  gli 
dettero  il  sopranome  di  pettinagno  o  petti- 
naio,  e  ove  mori  il  6  dicembre  1289,  in  con- 
cetto di  santità  presso  quella  cittadinanza, 
che  lo  fece  tumulare  in  un  nobilo  sepolcro 
eretto  a  pubbliche  spese  e  lo  veneto  lunga- 
mente come  uno  dei  santi  suoi  protettori. 
DoIIa  sua  leggenda  ci  ha  conservato  quosti 
tratti  l'An.  fior.  :  e  Andava  a  Pisa  a  compe- 
rare pettini  et  comperavagli  a  dozzina;  poi 
che  gli  avea  comperati,  egli  se  ne  venfa  con 
quosti  pettini  in  sul  ponte  vecchio  di  Pisa 
et  sceglieva  i  pettini,  et  se  ninno  ve  n'  avei^ 


376 


DIVINA  COMMEDIA 


129        a  cui  di  me  per  cantate  increbbe. 
Ma  tu  chi  Be',  che  nostre  condizioni 
vai  domandando,  e  porti  gli  occhi  sciolti, 
132       si  come  io  credo,  e  spirando  ragioni?  > 
«Gli  occhi,  diss'io,  mi  fieno  ancor  qui  tolti; 
ma  picciol  tempo,  che  poca  è  l'offesa 
135        fatta  per  esser  con  invidia  volti. 
Troppa  è  più  la  paura,  ond'ò  sospesa 
l'anima  mia,  del  tormento  di  sotto, 
138        che  già  lo  incarco  di  là  giù  mi  pesa  >. 
Ed  ella  a  me:  «  Chi  t'ha  dunque  condotto 
qua  su  tra  noi,  se  giù  ritornar  credi?  » 
141        Ed  io  :  €  Costui  eh'  è  meco,  e  non  fa  motto  : 
e  vivo  sono;  e  però  mi  richiedi, 
spirito  eletto,  se  tu  vuoi  ch'io  mova 
144        di  là  per  te  ancor  li  mortai  piedi  >. 
€  Or  questa  è  ad  udir  si  cosa  nuova, 
rispose,  che  gran  segno  è  che  Dio  t'ami; 
147        però  col  prego  tuo  talor  mi  giova. 
E  cheggioti  per  quel  che  tu  più  brami, 
se  mai  calchi  la  terra  di  Toscana, 
160        che  a' miei  propinqui  tu  ben  mi  rinfami. 
Tu  li  vedrai  tra  quella  gente  vana 


èhe  fosie  fesso  •  non  buono,  egli  11  gittav» 
in  Amo.  Fngli  detto  più  Tolte  :  *  Perché  il 
pettine  aU  léeeo  e  non  cosi  buono,  egli  pur 
Tale  qualche  denaro,  Tendilo  per  fesso  '  : 
Piero  riapondea  :  *  Io  non  Toglio  che  ninna 
persona  abbia  da  me  mala  mercatanda  '.  Qoan- 
do  Tedea  andare  Terono  ooUa  famiglia  de*  ret-  < 
tori  alla  giustizia,  s' inginocchiaTa  et  dicoTa: 
*  Iddio,  laudato  sia  tu,  che  m' hai  guardato 
da  questo  pericolo  '.  Et  per  cosi  fatti  modi 
et  simiglianti,  1  sanesi,  èie  sono  gente  molto 
maraTigliosa,  dioeano  ch'egli  fti  santo,  et  per 
santo  U  riputarono  et  adorarono  ».  •—  131.  e 
porti  ecc.  e  non  hai,  come  noi,  gli  occhi 
cuciti  :  la  qual  cosa  Sapia  potoTa  argomen- 
tare dalle  parole  di  Dante  (tt.  85-93,  103- 
106).  —  183.  Gli  occhi  ecc.  Forse  un  giorno 
dorrò  anch'io  espiare  in  questo  cerchio  il 
peccato  d'iuTidia,  sebbene  per  poco  tempo, 
perché  poco  ho  io  inTÌdiato  nel  mondo.  — 
136.  Troppa  è  pld  ecc.  Molto  maggior  paura 
ho  io  della  pona  data  allo  anime  nel  primo 
cerchio  e  già  mi  pare  d'aTer  indosso  il  masso, 
onde  ìtì  sono  caricati  i  superbi.  La  superbia 
di  Dante,  fosse  pure  alterezza  di  nobile  animo 
o  disdegno  della  Tiltà  altrui,  fu  notata  dai 
suol  più  antichi  biografi;  G.  Villani,  Or,  tx 
186  :  <  Questo  Dante  per  lo  suo  savore  fa 
fjquanto  presuntuoso  e  schifo  e  isdegnoso,  e 


quasi,  a  guisa  di  filosofo  mal  gradoso,  non 
sapea  oonTersare  co'  laid  »  ;  e  G.  Bocc,  Vita 
di  DanUt  {  12  :  e  Fu  il  nostro  poeta  di  animo 
alto  e  disdegnoso  molto...  Molto,  simigliant»- 
mente,  presunse  di  sé,  né  gli  parre  meno 
Talere,  secondo  che  li  suoi  contemporanei 
rapportano,  che  e'  Taleese  »,  e  già  nel  {  8 
aTOTa  scrìtto  :  e  Vaghissimo  fu  e  d*  onore  e 
di  pompa  per  aTrentura  più  che  alla  sua  in- 
clita Tirt6  non  si  sarebbe  richiesto  »  :  si  noti 
ohe  tra  le  forme  della  superbia  di  Dante  pone 
l'ambizione  e  il  desiderio  della  gloria  (cfr. 
Purg,  XI  86-108).  —  140.  gltf:  nel  primo 
cerchio  ;  Sapia  non  sa  ancora  che  Dante  sia 
tìto  e  or  ora  se  ne  meraTìglierà.  —  141. 
Cosivi  ecc.  Virgilio.  —  143.  se  tm  raoi  eoe. 
se  desideri  che  io  ti  procuri  suffragi  dai  Ti- 
Tenti.  —  146.  gran  segno  eco.  il  Tiaggio  che 
fai  ò  gran  dimostrazione  della  grazia  che  Dio 
conoode  a  te.  —  160.  tn  ben  wl  rlnfkml  : 
tu  faccia  sapere  che  lo  non  sono  dannata, 
ma  In  luogo  di  salTazione  (cfr.  la  preghiera 
di  Manfredi,  Purg.  m  U7).  — 161.  Ta  U  re- 
drai  ecc.  I  miei  propinqui  appartengono  alla 
Tana  cittadinanza  senese,  cosi  facile  a  ten- 
tare le  più  disperate  imprese  da  aTer  fiducia 
nella  prosperità  del  porto  di  Talamone,  nel 
quale  perderà  più  speranza  che  non  abbia 
perduto  in  cercare  l'acqua  della  Diana.  -^ 


■pml^ 


PURGATORIO  -  CANTO  XIH 


377 


154 


cbe  spera  in  Talamone,  e  perderagli 
più  di  speranza  che  a  trovar  la  Diana; 
ma  più  vi  perderanno  gli  ammiragli  >. 


gcito  Taa»:  efir.  htf,  xnz  122.  —  162.  eht 
■fOTA  eoe  n  cMtaUo  •  porto  di  Talamono 
sol  Tirreno,  di  fronte  al  Monto  Aigentaro, 
che  nel  sec  xm  erano  proprietà  della  Badia  di 
San  Salratore  del  Montamiata,  fttrono  acqui- 
etati nel  aettembre  del  1803  dal  comune  di 
Siena,  il  quale  desideraya  da  molto  tempo  il 
possesso  di  quel  luogo,  sia  per  Dune  nn  cen- 
tro di  difesa  del  territorio  contro  i  turbolenti 
feodatari  della  MaTenìma,  sia  per  avere  nno 
scalo  marittimo  per  i  commerci  della  dttà. 
I  fiorentini,  emnU  dei  senesi  e  nella  politica 
e  nel  commercio,  dovettero  assai  per  tempo 
diffondere  motti  e  fkoesie  soli'  acquisto  di  Ta- 
laaone,  come  se  per  qoesto  porto  Siena  vo- 
lease  contrastare  a  Pisa,  a  Oenora,  a  Vene- 
sia  il  primato  sol  mare  :  e  di  questo  senti- 
mento, paramento  fiorentino  e  goellò,  sono 
•00  le  paiole  derisorie  che  Danto  metto  in 
bocca  a  Sepia,  liMendole  dire  che  i  senesi 
più  arrebbero  perduto  in  Talamone  che  nella 
ricerca  della  Diana  :  che  non  fa  Tero,  perché, 
almeno  per  qualche  tempo,  il  luogo  tu.  risa- 
nato e  il  porto  ^profondito,  e  divento  una 
stazione  marittima  di  qualche  importanza, 
tanto  che  nella  seconda  metà  del  secolo  xiv  i 
fiorentini,  avendo  guerra  coi  pisani,  si  volsero 
col  loro  commercio  a  Talamone  e  fecero  patti 
ooi  seneei  per  regolare  l' uso  di  questo  porto 
(efìr.  Aquarone,  DamU  in  8i$na,  pp.  67-71  ; 
Bepetti,y  486-498;  L.  Bianchi,  I  porti  detta 
manmma  mmm  nell'^lfio^  dor,  UaL,  voL 
X'XI)  :  poi  tutto  ricadde  nell'abbandono  (tstr, 
Baasermann,  p.  809).  —  168.  a  trovar  la 
IMaaa  :  ta.  una  già  credenza  popolare  in  Sie- 


na, nato  forse  dall' esistonza  di  profondissimi 
poni,  che  nella  città  e  nel  torritorio  scor- 
resse un  fiume  sotterraneo,  che  ta  chiamato 
la  Diana  :  a  cercare  il  quale,  secondo  la  te- 
stimonianza degli  antichi  commentotori,  molto 
inutili  spese  con  perdite  di  denaro  e  di  uo- 
mini avrebbe  fatto  il  comune  di  Siena,  sol- 
lecito di  procurare  abbondanza  di  acque  ai 
cittadini  e  di  ooUegare  la  dttà  al  mare  con 
una  via  sottorzanea.  È  manifesto  che  an- 
che qui  abbiamo,  alterato  dall'  ironia  fioren- 
tina, un  fatto  semplicissimo  ;  e  il  fiotto  che 
in  Siena,  povera  d'acqua,,  si  cercasse  sempre 
di  mcoogliere  e  regolare  quanto  ne  potevano 
offrire  le  sorgenti  del  luogo,  ta  dai  risenti- 
menti municipali  rappresentato  come  un  vano 
tentativo  di  rintracciare  cosa  impossibile  (cfir. 
Aquarone,  Dante  in  Sima^  pp.  68-70  ;  Bon^ 
doni,  Tradixiom  popokui  dt,  pp.  49-50  ;  Baa- 
sermann, pp.  807-806).  —  164.  aa  pld  vi 
per4erauo  eco.  Benv.  racconto  che  un  se- 
nese, assai  studioso  di  Dante,  gli  affermò  es- 
sere questi  ammtragìi  certi  uomini  che  per 
guadagno  prendevano  a  scavare  un  dato  nu- 
mero di  pertiche  o  canne  di  terra  (nei  lavori 
dell'acqua  Diana)  a  un  prezzo  fisso  e  ohe 
molti  vi  logorarono  il  proprio  avere  :  dunque, 
appaltetori  che  si  rovinarono  in  tali  lavori 
di  scavo;  e  cosi  intondono  anche  Lana,  Ott, 
e  altri.  Ma  Pietro  di  Danto,  Bufi,  Casa,  e 
quasi  tetti  i  moderni  prendono  ammiragU  nel 
senso  proprio  di  comandanti  dell'  armate  na- 
vale, che  sarebbero  morti  in  Talamone  per  il 
cattivo  aere,  mentre  assistevano  ai  lavori  di 
quel  porto. 


CANTO  XIV 


Dopo  aver  conversato  con  due  romagnolii  Gaido  del  Duca  e  Rinieri  da 
Calboli,  intorno  alle  condizioni  politiclie  e  \norali  della  Toscana  e  della 
Romagna,  i  dne  visitatori  sentono  gridare  a  voci  ignote  alcuni  esempi  dMn- 
Tidia  pnnita  [11  aprile,  yerso  le  ore  tre  pomeridiane]. 

€  Chi  è  costui  che  il  nostro  monte  cerchia, 

prima  che  morte  gli  abbia  dato  il  volo, 

8       ed  apre  gli  occhi  a  sua  voglia  e  coperchia  ?  » 


XIV  1.  Chi  è  eostai  ecc.  Dne  romagnoli, 
chinati  l'uno  verso  l'altro  alla  destra  di 
Dante,  avendo  sentito  ch'egli  ha  detto  a 
Sepia  senese  d'essere  ancora  vivo  (Purg. 
xm  142),  si  domandano  meravigliati  chi  sia 
mai  il  singolare  visitatore;  e  prima  Qnido 
del  Duca  domanda  al  compagno  :  Chi  ò  co- 


stai  che  gira  intomo  al  monto  del  pargnto- 
rìo  prima  d' esser  morto  e  non  ha  impodi m, 
come  noi,  il  libero  movimento  degli  ocelli? 
—  cerchia:  gira  intomo;  cfr.  Puty.  n  4, 
XIX  69,  xxn  93,  Ftir,  xxi  26  ecc.  —  8.  ed 
apre  ecc.:  Gaido  sa  ohe  il  visitatore  non  Iia 
gli  occhi  cuciti,  perché  i'  ha  sentito  diro  a 


;73 


DIVINA  COMMEDIA 


12 


16 


«  Non  80  chi  sia  ;  ma  so  eh*  ei  non  è  solo  : 
domandai  tu  che  più  gli  t' ayyicini, 
e  dolcemente,  si  che  parli,  accdlo  ». 

Cosi  due  spirti,  l' uno  all'  altro  chini, 
ragionavan  di  me  ivi  a  man  dritta, 
poi  fèr  li  visi,  per  dirmi,  supini; 

e  disse  V  uno  :  €  O  anima,  che  fìtta 
nel  corpo  ancora,  in  vèr  lo  ciel  ten  vai, 
per  carità  ne  consola  e  ne  ditta 

onde  vieni  e  chi  sei;  che  tu  ne  fai 
tanto  maravigliar  della  tua  grazia, 
quanto  vuol  cosa  che  non  fu  più  mal  >. 

Ed  io  :  «  Per  mezza  Toscana  si  spazia 
un  fiumicel  che  nasce  in  Falterona, 


1 


Sapfa  e  oonférmare  dallo  fieno  Dante  (Puiy. 
XIII  131-138).  »  4.  Non  ••  eoe.  Riniezi  dA 
Oalboli  risponde  di  non  sapere  chi  si»  il  vi- 
sitatore,  si  d'arer  sentito  ch'egli  non  è  solo; 
infatti  Danto  parlando  con  Sapia  ha  accen- 
nato Virgilio,  dicendo  (i^.  zm  Ul):  <  Co- 
stai eh*  ò  meco  e  non  £»  motto  ».  —  6.  t*ftT- 
Tlelni  :  sei  Ticino.  —  6.  •  doleeatnto  ecc. 
e  fagli  cortese  accoglienza  si  eh*  egli  s*  in- 
daca  a  parlare.  —  aeeftle  :  è  forma  contralta 
per  aeoogliht  conforme  a  quella  dell'/fi/',  znn 
18.  •—  9.  poi  f  Sr  ecc.  poi  aliarono  in  sn  i  loro 
volti,  per  parlarmi,  facendo  cosi  l' atto  pro- 
prio dei  ciechi  che  Toli^ono  il  disoorso  ad  al- 
cuno (cfr.  PuTff,  mi  102).  —  10.  rnne:  ò 
Guido  del  Duca,  nobile  e  raloroso  nomo  della 
famiglia  dei  signori  di  Bertinoro  (cfr.  t.  112), 
del  quale  gli  antichi  commentatori  dicono 
solo  che  fu.  InTidiosissimo  uomo;  era  giudice 
in  Bimini  nel  1199,  giurò  nel  1202  una  ces- 
sione di  beni  alla  chiesa  di  Barenna,  segui 
parto  ghibellina  coi  TraTorsari  e  visse  sino 
verso  il  1245.  Su  lui  e  gU  altri  ricordati  in 
questo  canto  vedasi  il  mio  scrìtto,  DanU  e  la 
liomagnay  nel  Oiom,  dantesco  I  19  e  sgg.  — 

12.  ditta:  il  vb.  dittare  è  il  frequentativo  di 
dirOy  invoco  del  quale  l'usarono  non  di  rado 
gli  antichi;  p.  es.  Petrarca,  canz.  xv  6: 
e  Mi  lascia  in  dubbio,  si  confuso  ditta  ».  — 

13.  ta  ■•  fai  eco.  :  ai  penitonti  appare  straor- 
dinaria la  grazia  conceduta  a  Danto  di  viag- 
giare per  il  regno  de'  morti  (cfr.  I\erg,  viii 
66,  SUI  146  ecc.).  —  15.  qaaato  viol  ecc. 
quanto  esige  una  cosa  che  finora  non  si 
vide  mai.  —  16.  Ed  io  ecc.  Danto  accenna 
copertamento  alla  patria  e  al  fiume  che  la 
bagna,  e  cosi  si  apre  la  via  all'invettiva  che 
seguita,  posta  in  bocca  a  Guido,  contro  tutto 
le  regìoi^  e  città  di  Toscana  bagnato  dal 
fiume  Amo.  —  Per  messa  Toscaaa  ecc.  G. 
Villani,  O.  I  43  cosi  descrìve  il  corso  del- 
l'Arno: e  Questa  provincia  di  Toscana  ha  più 


fiumi  :  intra  gU  altri  reale  e  maggiore  il  è  il 
nostro  fiome  d'Amo,  il  quale  naso»  di  quella 
medetiima  montagna  di  FaltMona  die  nato» 
il  fiume  del  Tevere,  che  va  a  Boaa;  e  que- 
sto fiume  d'Amo  corre  quasi  per  lo  messo  di 
Toeeana,  scendendo  per  le  montagne  della 
Vemia,  ove  il  beato  santo  Fraiioeece  féoe 
eoa  penitonzia  e  romitaggio,  e  poi  passa  per 
la  contrada  di  Casentino  presso  a  Bibbiena  a 
pie  di  Poppi,  e  poi  si  rivolge  verso  levante 
vegneado  presso  alla  città  di  Arezso  a  tr« 
miglia,  e  poi  corre  per  lo  nosizo  Val  d'Amo 
di  sopra,  seendendo  per  lo  acetro  piaao,  e 
quasi  passa  per  lo  messo  della  noetia  città 
di  Firenze.  £  poi  uscito,  per  cono  del  no- 
stro piano  passa  tra  Montelapo  e  (Capraia, 
presso  a  Empoli,  per  la  contrada  di  Greti  e 
di  Val  d'Amo  di  sotto,  a  pie  di  Fuceoohio; 
e  poi  per  lo  contado  di  Lucca  e  di  Pisa,  rac- 
cogliendo in  sé  molti  fiumi,  passando  poi 
quasi  per  mezzo  la  città  di  Fisa,  ove  assai 
ò  grosso,  si  che  porta  galee  e  groasi  legni  ; 
e  presso  di  Pisa  a  cinque  miglia  metto  in 
mare,  e  '1  suo  corso  ò  di  spazio  di  miglia 
contovonti  >.  Si  cfr.  Bepetti,  I  137-146,  Bas- 
semann,  pp.  69-94  ;  il  quale  rileva  che  la  de- 
scrizione dantesca  del  corso  dell'Amo  <  sve- 
glia piuttosto  r  idea  che  U  poeta  segua  il 
corso  del  fiume  di  luogo  in  luogo  anziché 
quella  eh'  egli  lo  osservi  da  un  solo  punto  >. 
—  17.  flnmleel:  cosi  chiama  l'Amo,  pei^ 
ohe  tale  ò  veramente  nel  suo  principio,  cui 
qui  il  poeto  aveva  la  mente.  —  la  Falte- 
roaa:  il  Monto  Falterona,  che  soige  nel- 
l' Apennino  toscano,  fra  la  Toscana  e  la  Bo- 
magna,  dà  orìgine  nel  suo  fianco  meridio- 
nale al  fiume  Amo,  ed  è  uno  dei  centri  oro- 
grafici più  importanti  della  catena  apenninlca, 
poiché  da  esso  hanno  il  loro  principio  la  ca- 
tona  secondarìa  di  Pratomagno  (cfr.  iWy.  v 
116)  e  i  contraforti  che  vanno  verso  U  set- 
tontrìono  a  formare  le  valli  del  Bidente,  del 


PURGATORIO  —  CANTO  XIV 


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30 


33 


e  cento  miglia  di  corso  no  '1  sazia. 

Di  sopr'esso  redi' io  questa  persona; 
dirvi  ch'io  sia,  saria  parlare  indarno, 
che  il  nome  mio  ancor  molto  non  suona  >. 

<  Se  ben  lo  intendimento  tuo  accamo 
con  lo  intelletto,  allora  mi  rispose 
quei  che  prima  dicea,  tu  parli  d' Amo  ». 

E  l'altro  disse  a  lui:  €  Perché  nascose 
questi  il  vocabol  di  quella  riviera, 
pur  com'uom  fa  dell'orribili  cose?  > 

E  l'ombra,  che  di  ciò  domandata  era, 
si  sdebitò  eosi  :  €  Non  so,  ma  degno 
ben  ò  che  il  nome  di  tal  valle  pèta: 

che  dal  principio  suo,  dov'ò  si  pregno 
l'alpestre  monte,  ond'è  tronco  Peloro, 
che  in  pochi  lochi  passa  oltra  quel  segno, 


B«bU  •  del  Montone  (cfir.  3i/.  xn  97)  nella 
BoBMignA  toeouia  :  cfr.  la  nota  al  t.  81.  — 
19.  DI  ■•pr'tMe  eeo.  Da  nna  dttà  poeta  so 
questo  flome  (cfr.  Inf.  xxm  94-95.  —  21. 
mmtwe  aeite  ecc.:  infiattl  nel  IBOO  Dante 
potevm  eaaer  noto  come  troratore  di  rime 
amorose,  e  non  pid  (c£r.  Inf,  i  87).  È  nota- 
bile queste  tratto  di  umiltà  in  ohi  poo*  anzi 
(/Vry.  zm  188  e  segg.)  si  era  oonfossato  trop- 
po pid  snperbo  ohe  invidioao.  —  22.  Se  ben 
•oc  Se  con  la  mente  ho  bene  penetrato  il 
tao  concetto  ecc.  —  26.  B  Paltre  eoe  Bi- 
niari  da  Calboli  il  meraTìglia  cho  Dante  ab- 
bia indicato  l'Amo  per  meno  d'una  peritasi, 
come  se  questo  flnme  fosse  orribile  cosa  a  ri- 
cordale col  sno  proprio  nome;  e  ne  domanda 
ragione  al  compagno.  —  27.  pnr  cem*  aem 
fa  eoo.  eoa  qoel  modo  di  parlare,  la  droon- 
looozione,  ohe  s*  adopera  solo  a  indicare  le 
ooeo  orribili.  —  28.  E  1*  ombra  eco.  Gnido 
del  Dnea  risponde  di  non  conoscere  le  ra- 
gioni particolari  per  eoi  il  visitatore  non  ha 
nominato  rAmo,  se  ben  sappia  che  U  nome 
di  quella  rslle  d  ben  degno  di  perire.  —  29. 
al  sdebitè  eesf:  dld  questa  risposta;  poiché 
chi  è  interrogato  ha  quasi  il  dorerò,  il  de- 
bito di  risponderò,  e  Guido  dorerà  compia- 
cere Rinieri,  che  s*  era  poco  prima  ingegnato 
di  rispondere  alla  meglio  a  una  sua  interro- 
gazione (cfr.  VT.  4-6).  —  degno  bea  è  ecc.: 
di  imprecazioni  simili,  oltre  che  nei  classici, 
Dante  troraya  eeempi  frequenti  anche  nelle 
scritture  sacre;  p.  es..  Job  zym  17 :  e  La  lor 
memoria  perirà  d' in  sulla  tana  >;  Sakn.  csx 
13  :  €  ^eno  distrutti  1  suoi  discendenti,  sia 
cancellato  il  lor  nome  nella  seconda  genera- 
zione», eoe.  —  81.  dal  prlnelple  ecc.  in  tutta 
la  -raUo  dell'  Amo,  dalla  sorgente  alla  foce, 
gK  uomini  sono  cosi  malragi  ohe  tengono 
lontana  da  sé  la  yirtd  come  insidiosa  nemico. 


—  dOT'è  if  pregno  eoo.  ove  Valpettro  monte, 
V  Apennino,  la  catena  di  montagne  onde  è 
staccato  il  capo  di  Peloro,  d  cosi  pngno  che 
in  pochi  altri  punti  della  sua  lunga  eeten- 
sione  è  pi6  pregno  di  quel  che  sia  nella  Falte- 
rona.  La  difficoltà  di  questo  passo  sta  nel 
determinare  U  valore  dell*  aggettìvo  pngno  ; 
e  tre  opinioni,  su  questo  proposito,  tengono 
il  campo.  Secondo  Benr.,  Pietro  di  Dante, 
Buti,  segniti  da  parecchi  moderni,  prtgm  si- 
gnifica otto  (alcuni  citano  Lucano,  Fan,  n 
897,  che  di  una  cima  dell'  Apennino  dice  : 
e  nuUoque  a  Tertioe  teline  Aitine  itnhmmU  », 
cfr.  Moore  I  240),  ma  a  dò  si  oppone  la  geo- 
grafia, essendo  noto  che  moltissimi  monti  del- 
l'Apennino  sono  più  alti  della  Falterona  (m. 
1650).  Secondo  Land.,  seguito  dalla  maggior 
parte  dei  moderni,  jfregno  A  deve  intendere 
come  riùoo  di  aeqw  (cfr.  Purg,  ▼  118,  Piar. 
z  68);  ma  anche  a  ciò  contrasta  la  geografia, 
perché  dalla  Falterona  non  scendono  molte 
acque  e  porerisslmi  sono  nei  loro  prinoipf, 
oltre  l'Amo,  anche  il  Dioomano,  il  Babbi  e 
il  Bidente  ohe  da  quella  montagna  traggono 
orìgine.  Secondo  il  Cass.  pregno  vuol  diro 
€  grossum  et  amplum  proptor  annexionem 
aliorum  montium  »,  doò  accenna  al  fatto  che 
la  Falterona  ò  uno  dei  principali  centri  oro- 
grafici dell'  Apennino,  perché  da  essa  si  di- 
ramano molte  catene  secondarie  (cfr.  la  nota 
al  y.  17).  Quest'  ultima  interpretazione,  ac- 
cettata dal  Cam.  e  dallo  Scart.,  ò  la  migliore, 
cosi  per  la  geografia  come  per  la  lingua.  ~ 
82.  end'è  troaee  Pelore:  dal  quale  ò  stac- 
cato il  capo  di  Peloro  o  del  Faro  (cfr.  Par. 
vm  68),  nell'  estremità  orientale  della  Sici- 
lia di  fh>nte  alla  Calabria.  È  un  accenno 
alla  tradizione,  non  smentita  dalla  geolo- 
gia, che  un  tempo  la  Sicilia  fosse  congiunta 
aU' Italia  (cft.  Virgilio,  En.  ni  414-419;  Lu- 


3S0 


DIVINA  COMMEDIA 


infin  là  've  si  rende  per  ristoro 
di  quel  che  il  ciel  della  marina  asciuga, 
86        end' hanno  i  fiumi  ciò  che  va  con  loro, 
virtù  cosi  per  nimica  si  fuga 
da  tutti,  come  biscia,  o  per  sventura 
89        del  loco  o  per  mal  uso  che  li  fruga  ; 
end' hanno  si  mutata  lor  natura 
gli  abitator  della  misera  valle, 
42       che  par  che  Circe  gli  avesse  in  pastura. 
Tra  brutti  porci,  più  degni  di  galle 
che  d'altro  cibo  fatto  in  uman  uso, 
45        dirizza  prima  il  suo  povero  calle. 
Botoli  trova  poi,  venendo  giuso, 
ringhiosi  più  che  non  chiede  lor  possa, 
48        e  da  lor,  disdegnosa,  torce  il  muso. 

Yassi  cadendo,  e,  quanto  ella  più  ingrossa, 


cano,  Fbrs,  n  437-438).  —  84.  là  *t»  il 
rende  eoo.  là  ore  sbooca  nel  maxe  Tiiieno. 
Ant  :  <  Per  dire  semplicemente  infimo  al 
«10910,  il  poeta  espone  in  questa  tenina  la 
magniflca  teoria,  o  meglio  lo  stupendo  latto, 
che  il  delo,  mediante  il  calore  che  d  com- 
parte specialmente  ool  sole,  £a  evi^rare  le 
acqae  dei  mari  ;  i  vapori  acquei  ricadono  in 
pioggia;  le  piogge  alimentano  i  fiumi,  o  por- 
gono loro  Tacqua,  la  qualo  è  ciò  che  va  con 
essi  ;  e  questi  infine  ia  rendono  al  mare  per 
ristoro  delle  perdite  fatte  da  lui  con  la  eva- 
porazione». —  88.  o  per  irentara  ecc.  o 
per  infelicità  del  luogo  che  disponga  natu- 
ralmente gli  uomini  al  malo,  o  por  la  cattiva 
abitudine  fatta  al  peccato  la  quale  cod  li  ec- 
dta  a  Aiggir  la  virtù.  —  40.  ond'haBBO  ecc. 
di  modo  che  gli  abitanti  della  valle  dell'Amo 
hanno  ood  mutata  la  lor  natura  umana  che 
sembrano  diventati  più  tosto  esseri  bestiali, 
come  se  fossero  stati  soggetti  a  Circe,  la  fa- 
mosa maga  ohe  tramutava  gli  uomini  in  bmtL 
—  42.  Ciree  :  figlia  del  Sole  e  di  Perse,  di- 
morava nd  monte  OiroeUo  e  per  incantagioni 
e  veleni  dava  forme  ferine  agli  uomini,  cfr. 
Virgilio,  En,  vn  10-20.  —  43.  Tra  br«tti 
perei  eoe  Da  prima  V  Amo  volge  il  suo 
corso,  scarso  di  acque,  tra  gli  abitanti  del- 
l' alto  Casentino,  finché  tra  Pordano  e  Ro- 
mena la  sua  valle  va  dilatandod  in  un  dolce 
pendio.  Dante  accenna  in  particolar  modo  ai 
conti  Guidi  del  ramo  ghibellino  di  Bomena 
e  di  PoTciano,  forte  castello  quest'  ultimo  ai 
piodi  della  Falterona  (Bepetti  IV  683),  che 
col  suo  nome  di  un  fondo  gentllido  romano 
gli  ha  suggerita  l' imagine  dei  poroi,  appli- 
cata a  quei  dgnori.  Questi,  secondo  gli  an- 
tichi commentatori,  erano  dati  a  sfrenate  lus- 
surie e  alla  vita  più  immonda;  sf  che  il  giu- 
dizio di  Dante  avrebbe  una  ragione  tutta 


morale:  ma  pare  assai  più  naturale,  data 
l'intonarione  di  questa  invettiva,  oh'  esso  sia 
l'eoo  di  un  risentimento  politioo,  perché  quei 
signori  dd  Casentino  d  opposero  lungamente 
al  Comune  di  Firenze  e  non  dutarono  ab- 
bastanza i  Bianchi  nei  loro  tentativi  di  ri- 
tornare in  patria.  •—  pie  degni  ecc.  più  de- 
gni di  ghiande  ohe  d'altro  dbo  oonveniente 
a  uomini.  —  46.  Botoli  eoo.  Poi  continuando 
a  discendere  per  il  Casentino  verso  mecBo> 
giorno  traverso  d  piani  di  Poppi,  di  Bib- 
biena, di  Chitignano  e  di  Subbiano  arriva 
noi  territorio  d'Arezzo,  e  improvvisamente 
cambiando  di  diredone  d  volge  a  ooddento 
entrando  nd  Vd  d'Amo  superiore  ;  ood  quasi 
per  disdegno  torce  il  muso  dagli  aretini,  che 
Dante  chiama  bctoli  raccogliendo  anche  qui 
gì'  improperi  ohe  i  fiorentini  gudfl  amavano 
di  scagliare  contro  le  dttadinance  ghibelline 
della  Toscana.  —  47.  ringhiosi  eoe,  An.  fior.: 
e  perché  hanno  maggiore  l'animo  che  non  a 
richiode  alla  forza  loro,  et  ancora  perché  è 
scolpito  nd  segno  loro  :  A  eam»  non  magno 
Moepe  tsndur  aipvr  >  ;  e  F.  Sacchetti ,  consi- 
gliando un  fiorentino  rettore  in  Arezzo  {Ser- 
matd  eco.  ed.  Gigli,  p.  180):  <  Gli  uomini  che 
reggete  forono  sempre  chiamati  ean  frotott,  e 
veramente  cod  sono,  però  che  sanza  intel- 
letto sempre  abaiano,  s'è* loro  signori  non 
gli  battono;  e  per  lo  battere  d  rimangono 
d' abbaiare,  e  dopo  le  battiture  stanno  sug- 
getti  con  timore,  e  oon  più  amore  ohe  non 
essendo  battuti.  ».  Anche  qui,  oltre  l' oppo- 
sirione  di  Arezzo  dttà  ghibellina  d  gudfi- 
smo  di  Firenze,  Dante  doveva  avere  presenti 
alla  mente  le  vane  promesse  di  duto  che  gli 
Aretini  fecero  d  Bianchi.  —  49.  Tassi  ca- 
dendo eco.  Continua  procedendo  sempre  pi  6 
a  vdle  per  il  paese  di  Laterina  e  poi  in  dì- 
redone  settentrionale  da  Montevarchi  a  Fon- 


PURGATORIO  -  CANTO  XIV 


381 


tanto  più  trova  di  can  farsi  lupi 
51        la  maledetta  e  sventurata  fossa. 
Discesa  poi  per  più  pelaghi  cupi, 
trova  le  volpi,  si  piene  di  froda 
54        che  non  temono  ingegno  che  le  occupi. 
Né  lascerò  di  dir,  perch*  altri  m*oda; 
e  buon  sarà  a  costai,  se  ancor  s*ammenta 
57        di  ciò,  che  vero  spirto  mi  disnoda. 
Io  veggio  tuo  nipote,  che  diventa 


taasisra  nel  Val  d'Amo  saperìore,  riooTendo 
alla  destr»  gli  afflaenti  che  scendono  dai  monti 
di  Fratomagno  e  alla  sinistra  quelli  ohe  sooi^ 
nmo  dai  monti  del  Chianti,  finché  arricchito 
delle  aoqne  della  Siove  Tolge  di  nnoro  a  oo- 
cidento,  yexBo  Firenze.  Cosi  di  mano  in  mano 
che  ingrossandosi  si  avridna  a  questa  città, 
l'Amo  troTa  sempre  plA  mutata  la  natura 
de^  abitanti,  tanto  piA  lupi  quanto  pid  son 
fiorantinL  —  60.  lipl  i  erxxmeamente  si  suole 
spiegare  questa  denominazione  applicata  ai 
fiorentini  come  se  Dante  li  ritenesse  domi- 
nati più  d*  ogni  altro  popolo  dall' ararizia 
(efr.  Inf,  I  49)  ;  mentre  inreoe  si  tratta  dei 
bipi  eh»  dormo  guerra  a  Firenze  (Air.  xxv  6), 
dei  cittadini  grandi  e  potenti  e  dei  magnati 
di  contado,  che  la  legislazione  statutaria  qua- 
lifloaTa  come  hipi  ra/pad^  perché  avrersi  al- 
Tespanaione  territoriale  del  Comune. — 62.  Di- 
setaa  pel  eco.  Discendendo  poi  nel  Val  d'Amo 
inferiore,  oltrepassata  la  profonda  foce  della 
Pietra  Oolfolina  entra  nel  basso  letto  della 
pianura  di  Empoli  e  di  Pisa,  e  trova  nuova 
natura  di  aUtaton,  i  pisani,  tanto  maliziosi  e 
astuti  che  non  temono  le  frodi  e  gl'inganni  al- 
trui. —  pelaghi  enpl:  profondi  burroni,  per  i 
quali  icorre  l'Amo  dopo  Signa,  <  con  avvolgi- 
menti che  precludono  sempre  la  visuale  allo 
sguardo  e  spezzano  lo  stretto  corso  del  fiume  » 
(Bassermann,  p.  78). —  63.  trova  le  volpi: 
anche  qui  Dante  fSa  suo  un  appellativo  che 
già  la  voce  popolare  riferiva  ai  cittadini  di 
Pisa,  rappresentata  specialmente  dai  guelfi 
come  una  voì/pe^  animale  di  frode;  perché, 
dice  il  Lana,  quel  cittadini  «sono  uomini 
viziosi,  fraudolenti  •  ingannatori  »,  e  il  Buti 
stesso  :  <  li  pisani  tono  astuti,  e  con  l'astuzia 
pi6  che  con  la  forza  si  rimediano  dai  loro  vi- 
cini ».  —  64.  temono  eco.  essendo  essi  mao- 
stii  d*  inganni,  non  temono  le  frodi  escogi- 
tate da  altri  per  sottometterli.  —  66.  Ré  la- 
scerò ecc.  Guido  del  Dnca  vuol  parlare  delle 
tristizie  commesse  in  Firenze  da  un  nipote 
del  suo  compagno  Binlori:  questa  sua  di- 
chiarazione si  può  dunque  intendere  riferita 
tanto  a  Binieri,  che  doveva  sentir  dispiacere 
delle  male  opere  di  suo  nipote,  quanto  a 
Dante  che  poteva  adontarsi  o  vergognarsi 
delle  discordie  fiorentine;  la  prima  spiega- 
zione dà  l'An.  fior.,  la  seconda  danno  Lana, 


Benv.,  Buti,  Dan.,  Vent,  Blag.  Tomm.  In- 
veoe  altri  commentatori  dal  Lomb.  in  poi  ri- 
forisoono  ootosta  dichiarazione  alla  presenza, 
non  del  solo  Dante,  ma  di  Dante  e  Virgilio 
insieme.  Bisogna  distinguere  :  fMrvA^oZH  m'o- 
da si  riferisce  senza  dubbio  a  Binieri,  come 
se  Guido  dicesse  :  la  presenza  deUo  zio  non  mi 
impedisce  U  severo  giudizio  sul  nipote  ;  e  in- 
vece buon  torà  a  oosdit  ecc.  ò  detto  per  Dante. 
—  66.  e  buon  sarà  eco.  e  sarà  utile  a  co- 
stui, a  Dante,  se  tornato  in  patria  si  ricor- 
derà di  old  che  per  mia  bocca  rivela  lo  Spi- 
rito Santo,  facendomi  predire  le  tristizie  di 
Fulderì  da  Calboli.  —  66.  s'aameata:  cfr. 
Pwg.  xxv  22.  —  68.  Io  veggio  ecc.  Ful- 
derì da  Calboli,  nipote  di  Binieri  (cfr.  v.  88), 
fu  uno  di  quo!  signori  romagnoli  ohe  vissero 
eserdtando  podesterie  ed  offici  nelle  dttà  rette 
a  comune  :  noi  1297  fu  podestà  a  Milano,  nel 
1298  a  Parma,  nel  1306  a  Modena  donde  fu 
oacdato  via,  e  nel  1809  capitano  del  popolo 
in  Bologna:  ma  ò  pia  famoso  por  la  pode- 
steria tenuta  in  Firenze  nel  primo  e  secondo 
semestre  del  1803,  durante  la  quale  si  fece 
docile  frumento  alle  vendette  della  parte 
Nera  e  continuatore  delle  persecuzioni  ordi- 
nate da  Caute  de'  Gabrielli  e  da  Gherardino 
da  Gambara,  i  due  podestà  dell'  anno  prece- 
dente (cfr.  Del  Lungo  I  621  e  segg.).  G.  Vil- 
lani, Or.  vin  69  racconta  :  e  Essendo  fatto 
podestà  di  Firenze  Folderi  da  Calvoll  di  Bo- 
magna,  uomo  feroce  e  orodele,  a  posta  de'  ca- 
porali di  parte  Nera,  i  quali  viveano  in  grande 
gelosia  perché  sentivano  molto  possente  in 
Firenze  la  parte  Bianca  e  ghlbeUhia,  e  gli  u- 
sdti  scriveano  tutto  ài  e  trattavano  con  quegli 
oh'  erano  loro  amid  rimasi  in  IHronze,  il  dotto 
Folderi  fece  subitamente  pigliare  certi  dtta- 
dlni  di  parte  bianca  e  ghibellini,  dò  furono 
messer  Bette  Gherardini  e  Masino  de'  Caval- 
canti, e  Donato  e  Tegghia  suo  fhitello  de'  Fi- 
niguerra  da  San  Martino,  e  Nuodo  Ooderino 
de'Galigai,  il  quale  era  quasi  uno  mentecatto, 
e  Tignoso  de'  Maod,  e  a  petizione  di  messec 
Husciatto  Franzed,  eh'  era  de'  signori  della 
terra,  vollero  essere  pred  certi  caporali  di 
casa  gli  Abati  suoi  niòdd,  1  quali,  sentendo 
dò,  si  fuggirò  e  partirò  di  Firenze,  e  mai  poi 
non  ne  furono  dttadini;  e  uno  massaio  delle 
Calze  fb  de'  presi.  Opponendo  loro  ohe  trat- 


3S2  DIVINA  COMMEDIA 


caccìator  di  quei  lupi,  in  sa  la  riva 
€0       del  fiero  fiume,  e  tutti  gli  sgomenta. 
Vende  la  carne  loro,  essendo  viva; 
poscia  gli  ancide  come  antica  belva: 
G3       molti  di  vita,  e  sé  di  pregio  priva. 
Sanguinoso  esce  della  trista  selva; 
lasciala  tal  che  di  qui  a  mill'anni 
G6        nello  stato  primalo  non  si  rinselva  >. 
Come  all'annunzio  dei  dogliosi  danni 
si  turba  il  viso  di  colui  che  ascolta, 
*  Cd       da  qual  che  parte  il  periglio  lo  assanni; 

cosi  vid'io  1*  altr' anima,  che  volta 
stava  ad  udir,  turbarsi  e  farsi  trista, 
72       poi  ch'ebbe  la  parola  a  so  raccolta. 
Lo  dir  dell'  una,  e  dell'  altra  la  vista 
mi  te'  voglioso  di  saper  lor  nomi, 
75        e  domanda  ne  fei  con  preghi  mista; 
per  che  lo  spirto,  che  di  pria  parlòmi, 
ricominciò:  «Tu  vuoi  ch'io  mi  deduca 
78        nel  fare  a  te  ciò,  che  tu  far  non  vuòmi; 
ma  da  che  Dio  in  te  vuol  che  traluca 
tanta  sua  grazia,  non  ti  sarò  scarso  : 
81        però  sappi  ch'io  son  Qxiido  del  Duca. 
Fu  il  sangue  mio  d'invidia  si  riarso 

tarano  tradimento  nella  cifctà  oo' Bianchi  osci-  l' esseni  latto  piA  profondo,  per  le  persa- 
ti, 0  oolpa  0  non  oolpa,  per  martorio  g^  fece  cnzioni  di  Folcieri,  il  distaooo  tra  i  Neri  • 
confessare  che  doreano  tradire  la  tana,  e  i  Bianchi,  e  impossibile  quindi  la  loro  rioon- 
dare  certe  porte  a'  Bianchi  e  ghibolUni  ;  ma  ciliazione,  sebbene  più  volte  di  poi  fosse  len- 
ii detto  Tignoso  de'  Maoci  per  gravezza  di  tata.  •—  67.  Come  all'  aiBomzlo  eoe  Come 
carni  mori  in  sa  la  oolla.  Tutti  gli  altri  so-  si  turba  colui  che  ascolta  la  predizione  di  ar- 
pradettl  presi  g^  giudicò  e  fece  loro  tagliare  venlmenti  per  lui  dolorosi,  cosi  si  turbò  e 
le  teste;  e  tutti  quegli  di  ossa  gli  Abati  con-  rattristò  Binieri,  appena  ebbe  inteso  il  di- 
dannaie  per  ribolli  e  disfisre  i  loro  beni:  onde  scorso  del  compagno  :  il  turbamento  di  Ri- 
grande turbaàone  n*  ebbe  la  dttà,  e  poi  ne  nieri  è  d' aver  un  nipote,  ohe  co*  suoi  atti 
segui  molti  mali  e  scandali  ».  —  69.  eaeelator  doveva  mostrani  indegno  dei  virtuosi  ante- 
eco,  persecutore  dei  cittadini  grandi  e  ma-  nati.  —  69.  da  qval  che  eco.  qualunque  sia 
gnati  di  parte  bianca,  ohe  anch'  essi  erano  la  parte  onde  il  pericolo  lo  stringe,  gli  so- 
di quei  hipi  rapaei  infesti  al  Comune.  —  61.  vrssta  :  il  vb.  a$9amtaré  (cfr.  Iitf.  xxx.  29), 
Tende  la  earae  ecc.:  accenna  al  fatto  che  per  estensione  di  significato,  qui  vale  strin- 
Fulcieri  si  lasciò  trascinare  dai  Neri  alle  gra-  gore,  sovrastare  o  simile.  —  72.  la  i^arolat 
vi  condanne  e  n'  ebbe  in  compenso  la  ricon-  cf^.  Inf.  n  43.  —  78.  Lo  dir  dell'  ann  eoe. 
ferma  noli'  ufficio  per  un  altro  semestre.  —  Le  parole  di  Guido  e  il  turbamento  di  Bi- 
62.  posola  ecc.  e  qui  allude  ai  tormenti,  coi  nieri.  —  76.  lo  spirto  ecc.  Guido  che  per  il 
quali  Fuloierl  stradò  i  miseri  cittadini,  e  pid  primo  aveva  rivolto  il  discorso  a  Dante  (clr. 
particolarmente  alla  morte  di  Tignoso  dei  v.  10  e  segg.).  —  77.  Ta  Tmoi  eco.  Tu  de- 
Maod  0  al  supplizio  straziante  e  derisorio  di  Sideri  che  io  m' induca  a  rivelare  il  mio  nome 
Donato  Alberti  p.  Compagni,  O.  u  29-SOj.  e  non  vuoi  dirmi  il  tuo  (cfr.  v.  20);  pure  ti 
—  64.  Sanguinoso  eoe  Fulcieri  depone  il  suo  compiacerò  per  riguardo  a  Dio,  elio  ti  ha 
uffldo,  avendo  ancora  le  mani  tinto  nel  san-  concesso  tanto  della  sua  grazia  da  lasciarti 
gue  cittadino,  o  lascia  la  dttà  in  tale  tristizia  compiere  un  viaggio  poi  regni  eterni.  —  80. 
che  neppure  un  millennio  basterà  a  rimet-  non  ti  sarò  scarso  t  ti  sarò  liberalo  o  laigo 
terla  nella  condizione  primitiva:  accenna  al-  di  risposta.  —  82.  Fn  il  sangm  eoe  Io  ftii 


PURGATORIO  -  CANTO  XIV 


883 


che,  se  veduto  avessi  uom  farsi  lieto, 
84       visto  m'avresti  di  livore  sparso. 
Di  mia  semente  cotal  paglia  mieto: 
o  gente  umana,  perché  poni  il  core 
87        là  Ve  mestier  di  consorto  divieto? 

Questi  è  Rinier,  quest'ò  il  pregio  e  l'onore 
della  casa  da  Calboli,  ove  nullo 
90       fatto  s'è  reda  poi  del  suo  valore. 

E  non  pur  lo  suo  sangue  h  fatto  brullo, 
tra  il  Po  e  il  monte  e  la  marina  e  il  Reno, 
98       del  ben  richiesto  al  vero  ed  al  trastullo  ; 
che  dentro  a  questi  tannini  è  ripieno 
di  venenosi  sterpi,  si  che  tardi 
96        per  coltivare  omai  verrebber  meno. 
Ov'è  il  buon  Lizio  ed  Arrigo  Manardi, 


per  natura  cosi  inyldioeo  ohe  ia  felicità  altrui 
flusolteTa  odio  nell'  animo  mio  ;  ofir.  Orazio, 
EjHmL  I  2,  67  :  <  InTidoB  eltetias  macresoit 
roboB  oplmiB  ».  —  86.  Di  oda  itnente  eoe 
In  questa  pena  sto  espiando  le  mie  colpe 
d*  inTidia  ;  pensiero  che  Dante  eeprime  con 
nn  modo  biblico  risentito  e  reso  eon  stupenda 
efflcada :  cfir.  Paolo,  Ai  Galati  vi  8:  «  Oolni 
che  semina  aUa  soa  cane  mieterà  daUa  car- 
ne oormzione  »,  e  Brootrbi  xzn  8  :  <  Chi  se- 
mina iniquità  mieterà  vanità  >  eoo.  —  86. 
e  fCBte  eoe.  0  nomini,  perché  mai  desi- 
derato qnei  beni  per  possedere  i  qnaU  bi- 
sogna spogliame  il  proesimo?  Ricorda,  nel 
pensiero,  le  parole  di  Boezio,  PkUo&oph,  cot^ 
aoL  n:  <  0  angnstss  inopeeqne  divltias,  qnas 
non  habere  ploribas  lioet,  et  ad  qnemlibet 
sino  caeteromm  panpertatom  nonveniont». 
—  87.  di  eeuorte  dlvlelo  :  eeclnsione  del 
compagno,  del  proprio  simile;  oflr.  I\tfff.  tv 
44-81,  ore  Danto  propone  e  Virgilio  risolve 
nn  dubbio  intomo  al  significato  di  questo 
parole.  —  88.  Qaestl  à  Blnler:  il  mio  com- 
pagno ò  Binierì  da  CalbolL  Questi  fu  uno  dei 
capi  di  parto  guelftt  e  involto  nelle  lotto  che 
tmbaiwìo  nel  secolo  zni  la  Bomagna:  po- 
destà in  varie  dttà  deU'  Italia  centrale  dal 
1247  al  1292,  mori  nel  1296  in  Ferii  difen- 
dendo la  città  contro  i  ghibellini.  Gtddo  era 
stato  ghibellino  e  vissuto  nella  prima  metà 
del  secolo  zm  ;  Binieri,  guelfo  e  fiorito  nella 
seconda.  Danto  li  riuni  a  oonversare,  sebbene 
di  opposto  fiutone  e  di  generazioni  diverse, 
per  queUo  stseso  oritorìo  morale  e  artistico 
per  cui  néDa  valletto  fiorito  dell'  antipurga- 
torio accoppiò  in  amichevoli  ooDoqui  i  prin- 
cipi che  più  ilenunento  si  erano  combattuti 
r  un  r  altro  sulla  terra  (cfr.  Aity.  vn  91  e 
segg.).  —  89.  ove  nnUe  eoe.  nella  quale  funi- 
glia  nessuno  ha  ereditoto  poi  le  sue  virtù: 
Danto,  oltre  ohe  a  ITulcieri,  doveva  pensare 


anche  a  Franceeco  da  Calboli,  capitano  del  po- 
polo in  Firenze  nel  1807  al  tompo  degli  ultimi 
tentotivi  fiitti  dai  Bianchi  per  ritornale  in  pa- 
tria. —  91.  E  aea  ^r  eoe  Né  solamento  la 
casa  dei  signori  di  Calboli  a'  ò  spogliato  in 
Bomagna  delle  virtù  civili  e  cavalleresohe,  ma 
tutto  quel  paese  è  pieno  di  uomini  viziosi. 
—  brullo:  cfr.  Inf.  zzznr  60.  —  92.  tra  11 
Pa  eco.  nella  Bomagna,  confinato  a  setten- 
trione dal  Po  e  a  mezzogiorno  dell' Apennino, 
all'  oriento  dal  Mare  Adriatico  e  ad  occidente 
dal  fiume  Beno.  —  98.  del  bea  eoe  deUe 
virtù  morali  necessarie  all'anima,  e  di  quelle 
necessarie  alla  vito  pratica,  cioè  delle  virtù 
civili  e  eavallerssohe  (cftr.  Pturg.  xvi  116).  — 
94.  dentro  a  «sesti  eoe  U  paeee  compreso 
tra  questi  confini  è  cosi  pieno  di  storpi  ve- 
lenosi ohe,  per  quanto  vi  si  lavorasse,  non 
sarebbe  fiidle  estirparli.  Lana:  e  Quasi  a  dire  : 
le  genti  sono  si  piene  di  veleno  di  parto  e 
di  malavoglienza  e  d'invidia,  ohe  indamo  la- 
vorerebbe chi  li  volesse  raddurre  alla  diritto 
e  vertudiosa  vito».  —  97.  il  buea  lizlot 
Lido  da  Valbona,  detto  dal  Lana  e  largo  e 
curiale  nomo  e  di  grande  cortesia»,  fu  un 
gentiluomo  di  Bomagna,  d' una  funigUa  di 
feudatari  ohe  dominò  le  terre  costituenti  ora 
il  oomune  di  Bsgno.  Benv.  e  Pietro  di  Danto 
raccontano  che,  annunziatagU  la  morto  di 
un  figlio  di  poca  virtù,  non  si  soomponesso 
e  dicesse  di  non  averlo  mai  creduto  vivo,  e 
l'Ott  narra  ohe  per  tàn  un  desinare  ven- 
detto  una  coltre  di  zendado.  Lizio  era  nel 
1260  ai  servigi  di  Guido  Novello  podestà 
di  Firenze;  segui  parto  guelfis  e  aiutò  Bi- 
nieri da  Calboli  contro  i  ghibellini  di  Ferii 
e  giurò  eon  lui  una  pace  nel  1279.  Ebbe  due 
figli,  ohe  morirono  prima  di  luL  —  Arrigo 
Maaardl  :  era  di  Bertinoro,  prigioniero  alla 
battaglia  di  S.  Varano  nel  1170,  vissuto  al- 
meno dno  «1  1228  ;  fti  e  savio,  largo  e  pru- 


384 


DIVINA  COMMEDIA. 


99 


102 


106 


Pier  Traversaro  e  Guido  di  Carpigna? 
O  romagnoli  tornati  in  bastardi! 

Quando  in  Bologna  un  Fabbro  ai  ralligna? 
quando  in  Faenza  un  Bernardin  di  Fosco, 
verga  gentil  di  picciola  gramigna? 

Non  ti  maravigliar,  s'io  piango,  tòsco, 
quando  rimembro  con  Guido  da  Prata 
Ugolin  d'Aszo  che  vlvette  nosco,       ^ 

Federigo  Tignoso  e  sua  brigata, 


dentiflsima  penona  >,  secondo  a  Lana,  6  molto 
amioo  di  Qaido  del  Duca,  secondo  Benr.;  il 
qnale  taoconta  òhe  Qoido  alla  morte  di  Ar- 
rigo «  fecit  secari  lignnm  per  mediom,  in  quo 
soliti  entnt  ambo  sedere,  asserena  qnod  non 
remanaeiat  alias  similis  in  liberalitate  et  ho- 
norificentia  9.-98.  Pier  TraTeraar«  s  fi 
capo  della  famiglia  ravennate  dei  TraTersari 
e  signore  della  dttà  e  contado  di  Bavenna 
nella  prima  metà  del  seoolo  zm;  mori  nel 
1226,  lasciando  la  signoria  al  figlio  Paolo 
morto  poi  nel  1240.  —  Childo  41  Carpigna  : 
figlio  del  conto  Banieri  di  Gaipegna  nel  Mon- 
tefeltro,  fi  gneiro  e  podestà  di  Bayenna  nel 
1261,  alleato  nel  1266  oon  atta  di  Castello 
per  la  guerra  contro  gli  nomini  della  Massa 
Traballa,  e  Tisse  sin  verso  il  1289:  6  loda- 
to dagli  antichi  commontatori  per  la  libo- 
raUtà  e  per  l'altezza  dell'anima.  —  99.  O 
romagnoli  eoe  0  romagnoli,  tralignati  dalle 
antiche  virtd  e  divenuti  vili  e  malvagL  — 
100.  Qiando  U  Bologna  eoe  Quando  mai 
in  Bologna  si  avrà  nn  cittadino  cosi  vir- 
tooso  come  Fabbro  del  Lambertazzi.  La  fa- 
miglia Lambertazzi,  d'origine  fendale,  ap- 
pare delle  principali  di  parte  ^bellina  in 
Bologna  snl  principio  del  seoolo  zm  :  da  Bo- 
nifiuio,  podestà  di  Padova  nel  1216  e  capo 
del  crociati  bolognesi  a  Damiata  nel  1217, 
naoqne  alla  fine  del  secolo  zn  Fabbro,  ohe 
snooedette  al  padre .  nel  goidaro  la  fuione 
ghibellina,  fa  podestà  più  volte  a  Viterbo,  a 
Pistoia,  a  Pisa,  a  Faenza,  e  combattè  contro 
Modena  e  Bavenna:  Fabbro  mori  nel  1269 
e  la  saa  morte  fa  il  principio  della  decadenza 
della  parte  ghibellina  in  Bologna  (cfr.  Q.  Qtozr 
zadini,  DeUe  torri  gmHUxiCt  oit.  p.  828  e  seg.). 
—  101.  qiando  In  Faenza  ecc.  Qoando  in 
Faenza  si  avrà  nn  cittadino  come  Bernardino 
di  Fosco,  che  sebbene  fosse  d'amile  origine 
por  fti  nobilissimo  nomo?  Bernardo  di  Fceoo, 
e  uomo  di  piccola  condizione  >  secondo  il 
Lana,  e  figlio  di  an  lavoratore  di  terra  se* 
oondo  l' Ott,  per  le  sae  virtd  divenne  ano 
dei  primi  cittadini  di  Faenza,  che  difese  nel 
1240  contro  Federico  n,  e  fti  podestà  in  Pisa 
nel  1248,  in  Siena  nel  1249.  Della  sna  libe- 
ralità racconta  l' An.  fior.  :  e  Fa  questi  nato 
di  piccola  gente  et  fa  cittadino  di  Faenza, 


grandissimo  ricco  nomo,  et  tenea  molti  ca- 
valli et  molti  famigli,  et  avea  imposto  a'  fa- 
migli snoi  che  chianqne  chiedesse  veruno 
de'  cavalli  suol,  che  a  tatti  gli  dessero.  Av- 
venne che  un  ài,  volendo  costui  cavalcare 
a'  suol  luoghi,  comandò  a'  ftunigli  che  ISaoee- 
sono  porre  la  sella  a' cavalli:  fagli  detto 
ohe  tutti  crono  prestati:  mandò  richeggendo 
de*  cavalli  de'  cittadini,  et  perché  erono  in 
diverse  faccende  aoperati,  veruno  ne  potò 
avere.  Chiama  uno  suo  famiglio,  et  fassi 
recare  uno  libro  por  giurare:  il  famiglio, 
che  11  oonosoea  cortese,  perché  egli  non  giu- 
rasse cosa  ch'egli  s'avesse  a  pentere,  cre- 
dendo òhe  del  caso  fosse  irato,  non  gliela 
volea  recare  :  noli'  ultimo,  avendogli  recato 
il  libro,  giurò  che  mal  ninno  cavallo  g^  sa- 
rebbe ddcsto,  quantunque  egli  n'  avesse  bi- 
sogno, ch'egli  non  prestasse,  però  ch'egli 
avea  provato  quanto  altri  avea  caro  d'esser- 
gli prestati  quando  altri  n'  avea  Usogno  >. 

—  lOB.  Non  ti  ecc.  Tu  che  sei  toscano  non 
devi  meravigliarti  che  lo  ricordi  tra  I  vir- 
tuosi uomini  vissuti  in  Bomagna  anche  Ugo- 
Uno  di  Azze,  che  di  famiglia  fu  toscano.  — 
104.  Guido  da  Praia  t  valoroso  e  virtuoso 
uomo  della  torra  di  Prata,  nel  piano  di  Bo- 
magno  ;  è  ricordato  in  un  documento  del  1184 
e  fu  presente  a  un  consiglio  in  Bavenna  nel 
1228.  —  106.  VgoUn  d*Aszo:  secondo  al- 
cuni fu  il  rappresentante  di  Faenza  alla  pace 
di  Gostanza  nel  1186  ;  meglio,  secondo  altri, 
Ugolino  d'Azio  degli  XTbaldini,  della  celebre 
famiglia  toscana  (cfir.  Inf,  x  120  ISurg.  zziv 
29),  vissuto  per  lo  più  nei  castelli  che  I  suoi 
p(»Bedevano  in  Bomagna  e  morto  nd  1298. 

—  che  vlvette  eoe  Dante  sapeva  bene  come 
e  quanto  Intimamente  quei  signorotti  dell' A- 
pennlno  toscano  fossero  legati  d' interessi 
domestici  e  politici  con  I  signori  e  I  comuni 
di  Bomagna,  e  volle  consacrare  in  un  mezzo 
verso  il  ricordo  di  ootall  legami.  —  106. 
Federigo  Tignoso  :  riminese  <  nobile  e  co- 
stumato >,  dice  il  Lana;  la  saa  casa,  aggiun- 
ge Benv.,  e  erat  domicilium  liberalitatia,  nul- 
lo honesto  dansa;  conversabatur  laete  cum 
omnibus  bonis,  ideo  Dantes  desoribit  ipsum 
a  societate  sua,  quo  erat  tota  laudabilis  >  : 
cf^.  A.  Brìgidi,  Fs<Ur,  Tiffnoao  •  la  sua  bH^ 


PURGATORIO  -  CANTO  XIV 


385 


la  casa  Traversara  e  gli  Anastagi 
106        (e  l'una  gente  e  l'altra  è  dìredata), 

le  donne  e  i  cavalier,  gli  affanni  e  gli  agi, 
che  ne  invogliava  amore  e  cortesìa, 
111        là  dove  i  cor  son  fatti  si  malvagL 
O  Brettinoro,  ohe  non  fuggi  via, 
poi  che  gita  se  n*  è  la  tua  &miglia 
114        e  molta  gente  per  non  esser  ria? 
Ben  &  Bagnaoaval,  che  non  rifiglia, 
e  mal  &  Gastrocaro,  e  peggio  Conio, 
117        che  di  figliar  tai  conti  più  s'impiglia. 
Ben  faranno  i  Pagan,  da  che  il  demonio 
lor  sen  gira;  ma  non  però  che  puro 
120       giammai  rimanga  d'essi  testimonio. 
O  Ugolin  de'  Fantolin,  sicuro 
è  il  nome  tuo,  da  che  più  non  s' aspetta 
123       chi  £bu:  lo  possa  tralignando  oscuro. 
Ma  va  via,  tòsco,  omai,  eh'  or  mi  diletta 

seoolo  zn.  —  116.  Bei  fa  BftfHM*T»l  eoo. 
BagnacaTallo,  piccola  dttà  della  pianura  ro- 
magnola, tra  Logo  e  Ravenna,  era  signoreg- 
giata nel  seoolo  zm  dai  conti  Kalvioini  :  que- 
sta stirpe  potente  in  Bomagna  per  tre  secoli 
si  era  nel  IdOO  ridotta  a  tre  donne,  Bengar- 
da,  Idana  e  Caterina,  qneet'nltima  moglie  di 
Gnido  Novello  da  Polenta.  —  116.  e  mal  fli 
eoo.  Oastrooaro,  terra  della  valle  del  Montone, 
e  Gonio,  castello  nelle  vicinanze  di  Imola,  eb- 
bero nel  seoolo  zm  propri  signori  col  tìtolo 
di  aontì;  i  qnali  al  tempo  di  Dante  erano 
crescintì  di  nomerò,  ma  degeneri  dagli  avi, 
stati  illustri  per  Uberalità  e  cortesia.  — 118. 
Ben  faraaao  eoo.  La  famiglia  Pagani  di 
Faenza  sarà  in  miglior  condizione,  quando 
sarà  morto  Maghinardo  (cfr.  Inf,  zzvn  49), 
chiamato  dmwnio,  secondo  Beny.,  perché  fa 
il  più  astato  e  sagace  degli  oominL  —  119. 
ma  BOB  però  eoo.  sebbene  resterà  por  sem- 
pre in  qaesta  Diuniglia  qualche  macchia  ohe 
n'  offènda  il  nome.  —  121.  O  Ugolln  ecc. 
Ugolino  dei  Fantolini  faentino,  detto  dal 
Lana  e  valorosa,  virtodiosa  e  nobile  perso- 
na», fti  signore  di  parecchi  castelli  in  vai 
di  Lamone  e  di  terre  nella  pianura  bagnata 
dal  Senio  ;  fu  imparentato  coi  signori  di  Oal- 
boli,  di  Montefeltro  e  di  Bomena,  e  parte- 
cipe a  molte  delle  lotte  che  agitarono  la  Bo- 
magna ;  ebbe  due  figli  che  nel  1900  già  erano 
morti,  ed  egli  mori  nella  strage  dei  guelfi  a 
Forlì  nel  1282  (cft.  Inf.  zzvn  43).  —  124. 
Ha  va  via  eoo.  Bloordando  le  spente  vlrtd 
dei  suoi  compaeeani  e  considerando  la  pre- 
sonte  decadenza  morale  e  civile  della  Boma- 
gna, Guido  del  Duca  interrompe  il  suo  di- 
scorso: tanto  piti  ch'egli  sente  di  dovere 

25 


patOf  Boma,  1858.  —  107.  la  eaia  ecc.: 
f  aroiio  i  Traversari  e  gli  Anastagi  due  prin- 
etpalissiaie  Huniglie  di  Bavenna,  in  grande 
splendore  nel  Bee<do  zm,  ma  già  al  tempi 
di  Dante  tatf  e  due  decadute;  ond'egli  le 
dioe  MredatB,  do»  sensa  eredi  delle  virtd  de- 
gli ari  eome  spiegò  Q  Lana,  o  meglio  senza 
disoendeatt,  ossia  del  tutto  spente,  come 
spiegò  Benv.  — 108.  le  dOBBS  eoe  accenna 
in  complesso  i^  virtd  cavalleresche  delle 
antlohe  case  romagnole,  neUe  quali  l' ideale 
eroioo  era  temperato  dallo  spirito  delle  ar- 
ventnr»  d'amore:  di  ohe  una  imagine  viva, 
sebbene  tardiva,  abbiamo  nella  novella  boo- 
caooesca,  Dto,  g.  v  n.  8,  di  Nastagio  degli 
Onesti  innamorato  della  figliuola  di  Paolo 
Trareraari.  —  111.  là  dove  eoe  in  quello 
steseo  paese  di  Bomagna,  ove  ora  gli  animi 
sono  vòlti  alla  cupidigia  dell'  avere  e  della 
BigBoila  (ofir.  Inf,  zzvn  87  e  segg.).  — 112. 
O  BretUaero  eoo.  Bertinoro  6  una  piccola 
città  tra  Ferii  e  Cesena,  die  nel  medioero 
tu.  sede  di  signori  famod  per  la  loro  liberar 
Utà;  e  tra  8^  altri  ddla  famiglia  Mainardi, 
die,  dioe  l' Ott  e  crono  tanto  cortesi,  che 
r  uno  a;vea  invidia  dell'altro  ohi  facesse  più 
oorteefa,  et  ndl'  ultimo  fedone  Ikre  campa- 
nelle a'  palagi  loro  in  so  la  piazza,  et  qua- 
famqoe  forestieri  vi  capitava,  dov'egli  legara 
11  cavallo  quivi  gli  conveniva  albergare». 
Dante  allude  alle  gare  che  turbarono  Berti- 
noro dal  1296  in  poi,  ma  non  è  ben  certo  se 
nella  famSgUa  die  ss  n'à  gita  dano  da  rlco- 
noeeere  1  Mainardi,  o  plA  genericamente  quel- 
la fecola  iodetà  cavaUereeca  formatad  in 
Bertfnoio  Intorno  alla  femlglia  dd  Oaval- 
II,  signori  dd  loogo  sino  alla  fine  dd 

DÀtTTM 


386 


DIVINA  COMMEDIA 


troppo  di  pianger  più  che  di  parlare, 
12G        si  m'ha  nostra  ragion  la  mente  stretta  ». 
Noi  sapevam  che  quelP  anime  care 
ci  sentivano  andar;  però  tacendo 
129       facevan  noi  del  cammin  confidare. 
Poi  fummo  fatti  soli  procedendo, 
folgore  parve,  quando  l'aer  fende, 
182       voce  che  giunse  d'incontra,  dicendo: 
«  Andderammi  qualunque  m' apprende  »  ; 
e  fuggi,  come  tuon  che  si  dilegua, 
185        se  subito  la  nuvola  scoscende. 

Come  da  lei  l'udir  nostro  ebbe  tregua, 
ed  ecco  l'altra  con  si  gran  fracasso 
188        che  somigliò  tuonar  che  tosto  segua: 
€  Io  sono  Aglauro  che  divenni  sasso  »; 
ed  allor  per  ristringermi  al  poeta, 
141       indietro  feci  e  non  innanzi  il  passo. 
Già  era  V  aura  d' ogni  parte  queta, 
ed  ei  mi  disse  :  «  Quel  fu  il  duro  camo, 


attondore  più  tosto  ali*  open  dell'espiazione 
ohe  alle  oonyersazioni;  perciò  lioenzia  Dante. 
~  126.  BOitra  ragtoa  :  U  nostro  ragiona- 
mento, il  nostro  conyersare  :  ofir.  Inf,  xi  88, 
Purg.  xml  12  eco.  —  la  oMate  eoo.  Vìig., 
JBfn.  TX  292:  <  Atqne  animom  patrìae  stzinxit 
pietatis  imago  >.  —  127.  Noi  laperam  eoo. 
Si  rioordi  che  Gnido  del  Dnoa  ha  domandato 
chi  sia  colai  ohe  eerehfa  il  monte  (t.  1)  :  dun- 
que le  anime  sanno  qoal  sia  il  cammino  dei 
dne  yisitatoii,  i  quali  dal  silenzio  di  eeae  ar- 
gomentano di  essere  sulla  buona  via  per 
giunger  presto  alla  scala.  —  180.  Poi  fkmHO 
eoo.  Appena  Dante  e  Virgilio  si  sono  allon- 
tanati dal  luogo  degli  invidiosi,  ricominciano 
a  risonare  per  aria  le  Tod  ammonitrioi  :  se 
non  òhe,  mentre  quelle  di  prima  aveyano  ce- 
lebrato esempi  di  carità  (cfr.  I\frg,  zm  26  e 
MSSO»  ^QABte  gridano  esempi  d' invidia  pu- 
nita. —  181.  folgore  parve  eoo.  risonò  di 
contro  a  noi  una  voce  con  l'intensità  di  suono 
propria  della  folgore.  —  183.  Aneiderammi 
ecc.  n  primo  esempio  d*  invidia  ò  quello  di 
Caino,  il  quale,  dopo  avere  uooiso  il  fratello 
Abole  per  invìdia,  al  Signore  ohe  l' aveva 
maledetto  disse  (Cfenui  nr  14):  e  Ecco,  tu 
m*hal  oggi  cacciato  d'in  sulla  ùmAa  della 
terra,  ed  io  sarò  nascosto  dal  tuo  cospetto, 
e  sarò  vagabondo,  ed  errante  nella  terra;  ed 
avverrà  che  chiunque  mi  troverà  m'ucci- 
derà >.  Queste  ultime  parole  sono  parafrasate 
da  Dante,  sul  testo  della  vulgata:  Omni*  q%d 
kimnerit  «m,  oeeidd  m§  (cfr.  Koore,  I  40); 
cosi  che  manifestamente  il  vb.  apprmdtn  si- 
gnifica tiovarii  zioonoicera.  ^  134.  «tme 


tuon  eoo.  Lomb.  :  e  Pare  che  supponga  con 
Lucrezio  (De  rtnm  noL  lib.  vni  197  e  segg.) 
essere  i  tuoni  venti  che,  *  magno  indignantor 
murmurc  dausi  Nubibos,  in  caveisque  fera- 
rum  more  minantur:  Nuno  hino,  nuno  <iiW 
fremitos  per  nubila  mittunt,  Quaerenteaque 
viam  droumversantor  '  ;  e  ohe  peiciò  il  su- 
bito ditegtiarH  del  tuono,  doò  il  trasoorreze 
dello  strepito  che  il  tuono  fa,  avvenga  dal 
subito  aootoirubr»,  squarciale  il  vento  la  nu- 
vola ohe  lo  inchiude,  e  dalla  m^flaim»^  allon- 
tanarsi >.  —  186.  Come  da  Iti  eoo.  Appena 
la  prima  voce  si  fa  dileguata,  un'altra  risonò 
anch'elsa  rumorosamente  come  il  fracasso 
dd  tuono  die  tien  dietro  allo  schianto  del 
frdmine.  Bigoardo  alla  costruzione  eom$dM 
M....  ed  ecoo,  si  noti  die  non  è  già  una  irre- 
golarità, ma  una  maniera  frequente  per  espri- 
mere la  immediata  continuità  di  due  azionL 
—  189.  Io  sono  Aglauro  eoo.  Il  secondo 
esempio  d'invidia  6  quello  di  AgÌMnio,  figlia, 
di  Cecrope  re  di  Atene,  la  quale  si  oppose  a 
Mercurio,  che  voleva  entrare  da  Erte  sorella 
di  lei,  e  i^  dal  dio  convertita  in  sasso  (Ovidio, 
Metam.  ii  706-832).  —  140.  ed  aUer  eoe 
Danto,  spaventato  da  queste  vod  tembilmen* 
te  risonanti  per  l' aria  dd  purgatorio,  retro- 
cede per  istzìngerd  a  Virgilio,  alla  sua  guida, 
che  subito  gli  porge  spiegadone  delle  vod 
stosse.  — 148.  <{ael  tm  ecc.  Queste  vod  gri- 
danti esempi  d'invidia  punita  sono  il  freno  che 
dovrebbe  trattener  l'uomo  dal  porre  la  mente 
al  bene  altruL  —  eaao  :  è  la  muaeroda  o 
freno,  già  accennato  in  Purg.  xm  40;  e  l'oso 
della  voce  camo  fa  certo  suggerita  dalla  vul- 


PURGATORIO  -  CANTO  XIV 


387 


144       che  doyria  Pnom  tener  dentro  a  sua  meta. 
Ma  voi  prendete  Pésca  si  che  l'amo 
dell'antico  avversare  a  sé  vi  tira; 
147        e  però  poco  vai  freno  o  richiamo. 
Chiamavi  il  cielo,  e  intomo  vi  si  gira, 
mostrandovi  le  sue  bellezze  eteme, 
e  l'occhio  vostro  pure  a  terra  mira;   . 
151    onde  vi  batte  chi  tutto  disceme  ». 


gsta  UbUca,  Sakn.  zxn  9:  «In  oamo  et 
fraeno  «m^t^^^—  eonun  oonstziiige)  q;ai  non 
^f^oximaat  ad  te  >  (ofir.  Moore,  I  60).  — 
146.  Ma  Tel  eoe.  Voi,  o  uomini,  vi  lasdate 
ingannale  dall'  allettamento  dei  beni  mondani 
(éaoa)^  ohe  è  Q  mezzo  (oHnd)  onde  il  diarolo 
T*  attrae  a  e6,  goUe  vie  del  peocato.  —  146. 
aatloo  aTTtraaro:  ofr.  Pi/trg,  vin  95,  xi  20. 
—  147.  freno  e  rleldam*  :  gli  eeempl  del 
tìsIo  pulito  o  quelli  della  rirtd  premiata.  — 
148.  CUmmtI  eoo.  H  cielo  vi  chiama  a  sé 
•  ruota  eopra  di  tqI  moetiandoTi  g^  astri, 
die  neUa  loxo  eterna  beUeoa  attestano  e  ce- 


lebrano Dio  creatore.  — 148.  beUezge  eterne  : 
sono  le  stelle,  dette  anche  in  Inf.  1 40,  zxzzy 
186  le  0OS0  Ml8  del  delo.  — 160.  e  Poechlo 
eoo.  e  la  vostra  mente  è  rivolta  solo  alle  cose 
mondane:  ofir.  Oom,  m  6:  «0  inefbibile  sa- 
pienza ohe  oosf  ordinasti,  quanto  è  povera  la 
nostra  mente  a  te  comprendere  I  E  voi  a  cui 
utilità  e  diletto  io  scrivo,  in  quanta  oeohità 
vivete,  non  levando  gli  occhi  suso  a  queste 
cose,  tenenddi  fissi  nel  fango  della  vostra 
stoltezza  I  >  —  161.  onde  vi  batte  eco.  per 
dò  vi  punisce  quel  Dio  ohe  tutto  oonosoe. 


CANTO  XV 

Arriyati  alla  scala  del  terzo  cerchio,  i  due  poeti  alP  invito  delP  angelo 
incominciano  a  salire,  ragionando  intomo  alla  distribnzione  dei  beni,  e  per- 
vengono sul  ripiano  snperiore  :  qnivi  a  Dante  appariscono  in  visione  esempi 
di  mansaetndine,  finclié  egli  e  Virgilio  sono  avvolti  entro  a  nn  forno  den- 
sissimo [11  aprile,  dopo  le  tre  pomeridiane]. 

Quanto  tra  l'ultimar  dell'ora  terza 
e  il  princìpio  del  di  par  della  spera, 
B        ohe  sempre  a  guisa  di  &nciullo  scherza, 
tanto  pareva  già  in  vèr  la  sera 
essere  al  sol  del  suo  corso  rimase: 
6       vespero  là,  e  qui  mezza  notte  era. 


XY  1.  Quanto  tra  P  ulttaar  eco.  Dante 
•  Virgilio  sono  entrati  nel  secondo  cerchio 
tra  il  meoodf  e  Tuna  ora  pomeridiana  dell*  11 
aprile  (ofr.  Puifg,  zn  80),  vi  si  sono  fermati 
press*  a  poco  quanto  nel  primo,  oioò  più  di 
due  ore:  cosi  ohe  in  questo  momento  sono 
le  tre  pomeridiane  di  quel  giorno.  H  poeta 
determina  quest'ora  dicendo  ohe  il  sole  do- 
veva percorrere  anoora,  prima  di  giungere 
al  tramonto,  un  arco  ddl*  eolittioa  uguale  a 
quello  che  peroone  dal  momento  ohe  sorge 
ano  al  finire  della  tene  ora  di  giorno,  doò 
che  mancavano  tante  ore  al  tramonto  quante 
sono  dalla  prima  alla  terza  ora  del  mattino 
(cfr.  DeUa  Valle,  Senao  geogr,  a$tr,  pp.  46  e 
legf.  ;  Moove,  pp.  78  e  109%  —  2.  spera, 


die  itflipre  eoo.  :  è  la  sfera  o  oielo  del  sole, 
nella  quale  è  1*  eolittioa  percorsa  da  quost*  a- 
stro  nel  suo  apparente  movimento  diurno; 
paragonata  por  il  suo  movimento  continuato 
col  fanciullo,  òhe  schoRando  non  si  ferma 
mai  un  momento,  o,  come  dice  Orazio,  An 
poeL  160,  cmutatnr  in  horts  *.  La  similitu- 
dine non  è  oerto  delle  pid  felici,  ma  nò  pare 
ò  fialsa  come  parve  ad  alcuno,  poiché  della 
sfera  e  del  fanciullo  sono  messe  a  confronto 
le  condirioni  di  mobilità,  che  sono  per  queUa 
dipendenti  da  una  legge  naturale,  per  questo 
dalla  sua  naturale  vivacità.  —  6.  vespere  là 
ecc.  :  al  purgatorio  era  già  inoomindata  l'ul- 
tima parte  del  giorno  {vespero  è  il  tempo  dal- 
l'uttimar  (Mi' oro  nona,  tre  pomeridiane,  al 


388 


DIVINA  COMMEDIA 


e  ì  raggi  ne  ferian  per  meszo  il  naso, 
perché  per  noi  girato  era  8i  il  monte 
9       ohe  già  dritti  andavamo  in  vèr  l'occaso, 
qnand'io  senti*  a  me  gravar  la  fronte 
allo  splendore  assai  più  che  di  prima, 
12       e  stupor  m*eran  le  cose  non  conte; 
.     ond*io  levai  le  mani  in  v6r  la  cima 

delle  mie  ciglia,  e  fecimi  il  solecchio, 
15       ch'ò  del  soperchio  visìbile  lima. 

Come  quando  dall'acqua  o  dallo  specchio 
salta  lo  raggio  all'opposìta  parte, 
18        salendo  su  per  lo  modo  parecchio 
a  quel  che  scende,  e  tanto  si  d^arte 
dal  cader  della  pietra  in  egual  tratta, 
21        si  come  mostra  esperienza  ed  arte; 
cosi  mi  parve  da  luce  rifratta 


tramontale  del  sole),  e  qui  in  Italia  ent  già 
la  mezzanotte.  Abbiamo  altri  Inoghl  ore  Dante 
detennina  il  tempo  in  maniera  uialogs  a  qoe- 
8ta  (ofr.  la  nota  al  Purg,  ce  1),  mettendo  in 
contnposto  Torà  del  pxugatorio  con  la  cor- 
lispondente  d'Italia:  se  al  pnigatorlo  erano 
le  tre  pomeridiane,  a  Qenisalemme  erano  le 
tre  antimeridiane  ;  e  se  in  Italia  era  la  mez- 
zanotte, questa  penisola  deve  essere  a  46 
gradi  di  latitudine  ooddentale  da  (Hrosa- 
lemme  (cfr.  Parg.  xx  2)  :  questa  distanza  ap- 
punto ammettevano  gli  antichi  cosmografi 
seguiti  da  Dante  (cfir.  DeUa  Valle,  op.  cit 
p.  63,  e  Hoore,  p.  76).  —  7.  •  1  raggt  eco. 
e  avendo  tanto  girato  intomo  al  monte  da 
esser  ora  in^iizzati  veno  rocddente,  i  raggi 
del  sole  cadente  d  ferivano  nel  messo  della 
fiMxsia.  —  10.  gravar  1»  fronte  :  ò  locuzione, 
usata  anche  altrove  {Purg,  zxx  78^  a  signi- 
ficare in  genere  Tesser  vinto  da  qualche  forte 
sensazione  o  sentimento;  qui  riferita  all'ef- 
fetto dello  splendore  angelico  vuol  dire  lo 
stesso  0^0  granar  la  vUta  (Ptarg,  xvn  62)  o 
gravar  1$  eigìia  (Par,  xi  88),  cioò  abbarba- 
gliare gli  occhi.  — 11.  assai  pltf  che  di  prl- 
Bw:  assai  maggiore  ohe  quello  del  sole.  — 
12.  le  cose  bob  eonte  s  questa  luce,  eh*  io 
non  sapeva  ancora  esser  quella  dell'  angelo. 
—  18.  lev»!  ecc.  È  l'atto  òhe  Ovidio  dice 
(Met,  II  276)  :  «  Opposuitque  manum  fhmti  >, 
e  (Fast.  IV  178)  :  «  ante  oonlos  opposuitque 
manus  9.  —  14.  11  soleeeUos  l'atto  di  ripa- 
rarsi gli  occhi  dal  sole;  atto  che  sminuisce 
rocoessivo  splendore,  come  la  lima  sminuisce 
il  ferro.  —  16.  sopereliio  visibile:  espres- 
sione aristotelica,  per  dire  eccesso  di  luce 
(cfr.  Moore  I  118).  — 16.  Come  «oando  ecc. 
(Venturi  162)  :  <  La  simiUtudine  ò  tratta  dalla 
nota  proposizione  di  Euclide,  che  dimostra 
pome  U  raggio  riflesso  dall'  aoqiia  o  dallo  Bpe(^ 


chic  ximbalsa  all'opposta  parte,  in  : 
fsooMo,  pari,  slmils  a  quello  eoa  coi  discende 
(formando  doò  l'angolo  di  riflessione  uguale 
a  quello  dlnoidensa)  :  e  si  dlparU  dalla  linea 
perpendicolare  tanto,  quanto  da  essa  linea  d 
diparte  in  $gual  tratta,  per  uguale  spailo,  Q 
raggio  inddente  >.  Si  cfr.  intono  a  questi 
verd  Ù,  Torelli,  Littera  Marno  a  dm  patti 
di  DantSj  Verona,  1760  (ristampata  nelle  Capare 
di  O.  T.,  Pisa  1884,  voL  II),  il  quale  ^iega 
il  luogo  cod  :  e  (}ome  quando  un  raggio  di 
luce  dall'acqua  o  dallo  specchio  salta  all'op- 
posta parte,  toroendod  dal  suo  cammino  e 
risalendo  con  l'istessa  legge  oon  cui  discese, 
facendo  dee  l'angolo  di  riflessione  ugnale  a 
quello  d'inddenza,  •  tanto  dalla  perpendico- 
lare d  scosta  scendendo,  altrettanto  se  ne 
scosta  salendo,  soorso  ch'ego  abbia  un  tratto 
eguale  ;  vale  a  dire  che,  se  il  raggio  d  sup- 
ponga discendere  dall'altezza,  p.  es.,  di  un 
miglio,  e  salire  dtrettanto  le  sue  estremità 
saranno  da  una  parte  e  dall'  altra  egualmente 
distanti  dalla  perpendicolare,  stocome  dimo- 
stra artifldosa  esperienza,  cod  mi  parve  di 
essere  percosso  in  volto  da  luce  rffloMa.  E 
questa  luce  veniva  immediatamente  da  Dio 
aU'angdo,  e  da  questi  riverberava  su  I&  fac- 
cia del  poeta  >.  —  17.  salta  lo  ragg:le  eoe: 
cfr.  Virg.,  i^  vm  22  :  «  Sicut  aquae  trs- 
mulum  labris  ubi  lumen  ahenis  Sole  r^er- 
oussum,  aut  radiantìs  imagine  lunae,  Oxnnia 
pervolitat  late  loca,  iamque  sub  auxas  Bdgi- 
tur,  summique  férit  laqnearia  teoti  >.  —  18. 
pareeehlet  pari,  dmile;  forma  non  m&ne- 
gU  antichL  —  20.  dal  eader  eco.  dalla  linea 
perpendicolare.  —  tratta:  tratto  di  q^aiio, 
distanza.  —  21.  efperiaBsa  e4  arte:  l'espe- 
rimento pratico  (cfr.  Par,  n  96)  e  la  teoria 
esposta  da  Endide,  OakOrieo,  prop.  i.  —  22. 
da  luce  ritratta  eoo.  da  una  1 


PURGATORIO  —  CANTO  XV 


389 


ivi  dinaTiri  a  me  esser  percosso, 
24       per  che  a  foggir  la  mia  vista  fa  ratta. 
«Che  ò  quel,  dolce  padre,  a  che  non  posso 
schermar  lo  tìso  tanto  che  mi  vaglia, 
27       diss'io,  e  pare  in  vèr  noi  esser  mosso?  » 
«  Non  ti  maravigliar,  se  ancor  t'abbaglia 
la  Maniglia  del  cielo,  a  me  rispose: 
80       messo  è,  che  viene  ad  invitar  ch'uom  saglia. 
Tosto  sarà  che  a  veder  queste  cose 
non  ti  fia  grave,  ma  fleti  diletto, 
83        quanto  natura  a  sentir  ti  dispose  ». 
Poi  giunti  fummo  all'angel  benedetto, 
con  lieta  voce  disse:  «  Entrate  quinci 
86       ad  un  scaleo  vie  men  che  gli  altri  eretto  2>. 
Noi  montavam,  già  partiti  da  linci, 
e  «  BecOi  miserieordes  »  fue 
89       cantato  retro,  e  «  Gk>di  tu  che  vinci  ». 
Lo  mio  maestro  ed  io  soli  ambedue 
suso  andavamo,  ed  io  pensava,  andando, 
42       prode  acquistar  nelle  parole  sue; 


ni  nudo  inaaiud  a  me  iall'aogelo.  Dante 
dbttngiM  du*  moBOiti  dirani:  quello  in  coi 
Il  santi  aUMC^iatodallAhioe  diletta  deU' an- 
salo, dalla  foale  il  i^aid  fitoendoai  il  soleo- 
càio  (tt.  10-16)  ;  e  qaello  in  oni  d  aentl 
eolpllo  dalla  looe,  che  xlflettandoii  ani  avolo 
centra  a  fteixlo  indirettamente  (tv.  16-24). 

—  2L  a  fkgflr  eoo.  1  miei  ooohi  ai  robero 
iBpidaaente  Tane  '^^igflio,  per  afuggire  la 
tace  abbagUaoAe.  —  36.  aetaennar  lo  Tlao  : 
fiue  •ohamo  alla  Tiata,  difanderla  contro 
l'ecoeeaivo  aplendore  ;  ofr.  Airy.  ti  161.  — 
27.  aliar  ■eaaa  :  gli  angeli  ohe  atanno  a 
gnaidia  dei  oeraht,  appena  vedono  venire  le 
aniaie,  ai  volgono  ad  eaae  per  aooogUerle  e 
eoniurtagio  a  aalire  (efr.  JViy.  zn  88,  xvn 
67,  XIX  46-48,  xm  2,  xziv  189-141,  zzvn 
86  e  segg.).  —  29.  la  fiualglla  del  elalo: 
gli  angeli,  ohe  ooatitaiBOono  la  oeleate  ftuni- 
gUa.  —  80l  «Mie  è  eoo.  :  qoeato  aplendore 
è  qoollo  del  nuudo  oeleate,  ohe  viene  a  in- 
vitare le  anime  a  aalire  al  oerohio  anperioro. 

—  81.  Toitoaarà  eco.  Preato  accadrà,  quando 
ta  aacai  poriilcato  delle  toe  colpe,  che  non 
ti  sarà  gxavoao,  ma  dilettevole  il  contem- 
^are  qoeatt  aplendorL  —  88.  qaaato  eoo. 
per  q;aastD  la  natua  toa  è  capace  di  aentire 
dOotto  alla  vieta  delle  ooee  celeati.  —  86. 
Batrate  falad  eco.  SaUte  da  qoeata  parte, 
per  una  acala  meno  erta  delle  precedenti.  — 
86.  al  ■■  aealeo  eoe  Sembra  più  natnrale 
alio  q[iieete  paiole  aleno  dette  dall'  angelo, 
COBO  iataodoBO  qvaii  tatti  1  commantatori  j 
ma  SI  Tomm.  lo  oonaidora  oomo  m*  oaaarva- 


dono  del  poeta.  ^  aealeo:  acala;  voce  ar- 
caica, ohe  è  anche  in  Far.  xzi  29.  ~  87. 
già  partiti  da  Uael:  eaaandod  gii  moaai  di 
U  dove  d  era  apparaci' angelo.—  dallaeit 
di  U  ;  forma  popolare,  analoga  a  gumoi^  eo- 
atitui  eoe.  (ofr.  Parodi,  BulL  JU  188).  — 
88.  Beali  ■iaerleordoa  eco.  È  la  quinta 
beatitodine  evangelica  (cfr.  J\iirg.  xn  109), 
che  nel  teato  biblico  anona  (  Matteo  v  7)  : 
e  Beati  i  miaericordioii,  per  dò  ohe  miaerì- 
oordia  aarà  lor  fatta  >,  e  ben  conviene  a  qoe- 
ato laogo  perché  la  miaerloordia  d  oppone 
all'invidia  (Tommaao  d' Aquino,  Summa^  p. 
n  2»,  qn.  xxzvi,  art  8  :  «  invidna  enim  tri- 
atator  de  bone  proximi,  miaerioon  aotem  de 
malo  proximi;  onde  invidi  non  annt  miaeri- 
cordea)  >.  —  f^e  cantato  :  daU'  angelo  (ofr. 
Puiy-  zn  UO).  —  89.  Ckidl  ta  ecc.  :  godi  tn 
ohe  vind  l'invidia,  perohó  ti  aarà  naata  mi- 
sericordia. Le  parole  aogginnte  dall'angelo 
sono  nna  libera  parafrad  dell'  nltima  parte 
deUa  beatitadine  evangelica  ;  aecondo  altri 
invece,  delle  parole  di  Orlato  (Matteo  v  12): 
<  Ballegratevi  e  giubilate,  per  dò  ohe  il  vo- 
stro premio  è  grande  nd  deli  >  ;  nuu  qaeate 
d  riferìacono  a  tatto  le  beatitadini,  non  alla 
aola  quinta.  ~  41.  ed  le  peaaava  ecc.  Dante 
era  rimaato  dabbioeo  circa  11  significato  di 
alcone  parole  di  Gaido  del  Daca,  e  perdo 
pensò  di  chiederne  spiegadone  a  Virgilio, 
mentre  procedevano  nella  salita  verso  il  terxo 
cerchio.  ~  42.  proda  ecc.  tnore  vantaggio 
daUe  parole  dd  maestro  :  prode,  prò,  utilità 
eoo.,  è  vooe  che  ricorre  dtio  vólto  in  Dante 


390 


DIVINA  GOMMEDU 


e  dirizza'  mi  a  Im  si  domandando: 
«  Che  volle  dir  lo  spirto  di  Romagna, 
45       e  '  divieto  '  e  '  conaorto  '  menzionando  ?  » 
Per  ch'egli  a  me:  e  Di  sua  maggior  magagna 
conosce  il  danno;  e  però  non  s'ammiri, 
4B       se  ne  riprende  perché  men  sen  piagna. 
Perché  s'appuntan  li  vostri  disiri 
dove  per  compagnia  parte  si  scema, 
51        invidia  move  il  mantaco  ai  sospiri: 
ma  se  l'amor  della  spera  suprema 
torcesse  in  suso  il  desiderio  vostro, 
54        non  vi  sarebbe  al  petto  quella  tema; 
che  per  quanti  si  dice  più  li  nostro, 
tanto  possiede  pia.  di  ben  ciascuno, 
57        e  più  di  caritate  arde  in  quel  chiostro  >• 
€  Io  son  d'esser  contento  più  digiuno, 
diss'io,  che  se  mi  fossi  pria  taciuto, 
60       e  più  di  dubbio  nella  mente  aduno. 
Ck>m' esser  puote  che  un  ben  distributo 
i  più  posseditor  faccia  più  ricchi 


{Fitrg.  ZZI  75,  Pkir.  vn  26).  —  44.  Chi  rellt 
eoo.  Glie  cosa  rolle  dire  Guido  del  Daca 
(Airy.  ziY  87),  limpioyenndo  gli  aomini  di 
porre  il  lor  desiderio  in  quelle  ooee  ore  è 
meaùier  di  eonsorto  dkfieto?  —  ipirto  di  Bo« 
niACPnA  :  i<r>^™*  romagiiola  (ofr.  £tf,  «*»i" 
154).  —  46.  DI  luft  maggior  eoo.  Quido  del 
Duca  oonoBoe  per  prova  i  dolorosi  effetti  del- 
l'invidia,  ohe  te  il  no  vizio  maggiore  (ofr. 
Purg,  ziv  82);  e  peroid  tu  non  devi  meravi- 
gliarti se  egli  rimprovera  agli  uomini  l'invi- 
dia, aflSnchó  se  ne  guardino  e  non  ne  sen- 
tano poi  le  tristi  oonsegnenie.  ^  48.  Perehtf 
s'appnntan  eco.  L'invidia  aooende  nei  cuori 
l'ardore  del  desiderio,  ohe  si  manifesta  nel 
sospirare  per  i  beni  altrui,  perché  gli  animi 
si  volgono  a  quei  beni,  dei  quali  tanto  pid 
diminuisce  la  parte  di  ciascuno  quanto  pid 
cresce  il  numero  di  coloro  che  vi  partecipano. 
—  8*appnntan;  si  volgono,  tendono  (cCr.  Pur, 
zzvi  7).  —  60.  dove  per  eco.  ai  beni  terreni, 
i  quali  di  loro  natura  sono  tali  ohe  quanto 
maggiore  è  il  numero  degli  uomini  che  ne 
godono,  tanto  minore  ò  il  godimento  di  cia- 
scuno. —  51.  neve  11  mantaeo  eco.  suscita 
sospiri:  e  s'intenda  col  Land.,  seguito  dai 
moderni,  sospiri  di  desiderio,  di  cuindigia, 
accennando  qui  il  poeta  agli  effetti  che  l' in- 
vidia produce  nell'  animo  dell'  uomo  vivente, 
non  ai  sospiri  dolorosi  ooi  quali  il  penitente 
si  purifica  di  quella  colpa  nel  secondo  oe> 
Ohio.  —  52.  ma  se  eoo.  se  invece  l'amore 
delle  cose  divine  volgesse  gli  animi  vostri  al 
cielo,  non  avreste  negli  animi  giMtto  tomo, 


il  tìmwe  della  diminuzione  dei  beni  il  quale 
suscita  in  voi  quelU  passione  azdente,  thè  è 
r  invidia  ;  poiohó  quanto  maggiore  è  il  numero 
di  oobro  che  posseggono  la  bestitndlne,  tanto 
più  glande  è  la  beatìtodine  di  ciascuno  •  l'ar- 
dore di  carità  ohe  avviva  le  anime  beate.  — 
65.  eli4  per  quanti  eoo.  A  illustzaiione  di 
questi  versi  citano  Lana,  Retro  di  Dante, 
Land.  eoo.  i  seguenti  paesi  di  Agostino,  D$ 
ùML  Dei  zv  16  :  «  Nullo  eiim  modo  flt  minor, 
accedente  sed  permanente  oonsorte,  poeseasio 
bonitatis  ;  imo  poesessio  bonitatis  tanto  flt  la- 
tior  quanto  ooncordior  eem  individua  eooio- 
rum  poesidet  oharìtas.  Non  habebit  denique 
istam  poesoosionem  qui  eam  noluerìt  haboo 
oomnnem,  et  tanto  eam  reperit  ampliorem, 
quanto  amplius  ibi  poterit  amare  oonsortem  »; 
e  di  Gregorio  Magno,  MoraL  iv  8t  :  «  Qui 
ergo  livoris  peste  cerere  desiderat,  illam  hae- 
reditatem  diliga^  quam  cohaerendum  nume- 
rus  non  angustat,  quae  et  omnibus  una  est 
etsingulis  tota;  quae  tanto laigior  esse  oetan- 
ditur,  quanto  ad  hano  perdpiendam  multitudo 
dilatatur  >.  —  57.  eklostre  :  ofir.  Hmy,  zzvi 
128.  —  58.  le  son  d'esser  ecc.  Io  sono  più 
lontano'  dall'  esser  sodis&tto  della  tua  rispo- 
sta ohe  non  sarei  se  non  f  avessi  interrogato, 
poiché  essa,  invece  di  chiarire  il  mio  dubbio 
primitivo,  un  altro  maggior  dubbio  mi  ha  htìo 
nascere  in  mente.  —  61.  Gem*eea«r  eoo. 
Dante  non  intende  come  sia  possibile  che  un 
bene  distribuito  tra  molti  possessori  li  ftiooia 
pi6  ricchi  di  sé,  cioè  tocchi  in  maggior  quan- 
tità a  dasounO)  ohe  se  è  distribuito  tra  pò- 


PUBOATOBIO  —  CANTO  XV 


391 


C3        di  sé,  che  se  da  pochi  è  posseduto?  » 
Ed  egli  a  me  :  «  Però  che  tu  nficchi 
la  mente  pure  alle  cose  terrene, 
66        di  vera  luce  tenebre  dispicchi 
Quello  infinito  ed  ineffabil  benOi 
che  ò  là  su,  cosi  corre  ad  amore, 
69        come  a  lucido  corpo  raggio  yiene; 
tanto  si  dà,  quanto  trova  d'ardore, 
si  che  quantunque  carità  si  estende, 
72       cresce  sopr'essa  l'eterno  valore: 
e  quanta  gente  più  là  su  s'intende, 
•pia.  v'ò  da  bene  amare,  e  più  vi  s'ama, 
75        e  come  specchio  l'uno  all'altro  rende. 
E  se  la  mia  ragion  non  ti  disfiama, 
vedrai  Beatrice,  ed  ella  pienamente 
78       ti  terrà  questa  e  ciascun' altra  brama: 
procaccia  pur  che  tosto  sieno  spente, 
come  son  già  le  due,  le  cinque  piaghe, 
81        che  si  richiudon  per  esser  dolente  ». 
Com'io  voleva  dicer:  <  Tu  m'appaghe  », 
vidimi  giunto  in  su  l'altro  girone. 


efaL  —  64.  Id  egli  ecc.  Virgilio  gU  zigponde 
tnbito,  non  senza  piemettere  nn  amorerole 
zìmpioTero  al  sao  discepolo,  che  non  ha  sa- 
puto InnaìwtTiri  col  pensiero  alle  cose  celesti. 
—  Pird  eh*  ta  eoo.  Per  qnesto  che  ta  lir 
Tolgi  la  mente  solo  alle  cose  tenone,  dal 
mio  verace  pariare  («fra  htot)  raccogli  nuovi 
enoii  e  dabbiezie  (fmàbn):  sono  parole  di 
rìmproYQKo  e  insieme  di  ammonimento  a  pre- 
stare maggiore  attenzione.  —  67.  ideilo  In- 
flmlto  eoo.  Dio  oomonioa  s6  stesso  alle  anime 
buone  e  caritateroU,  come  i  raggi  solari  si 
diifondono  sopxa  i  corpi  eapad  di  riflettere 
la  luce.  —  70.  tanto  si  dà  eco.  Dante  stesso 
nel  Cono,  ir  20,  spiegando  questi  suoi  versi  : 
«  solo  Iddio  all'anima  la  dona,  Ohe  vede  in 
sua  persona  Perfettamente  star,  si  ohe  ad  al- 
quanti Lo  seme  di  felicità  s'accosta  Messo  da 
Dio  nell*  anima  ben  posta  >,  scrive  :  e  Dice 
adunque  ohe  Iddio  solo  porge  questa  grazia 
ali'  anima  di  quelli,  cui  vede  star  perfetta- 
mente nella  sua  persona  aooonoio  e  disposto 
a  qnesto  atto  divino  ricevere  ;...  onde  se  l'a- 
nima è  imperfettamente  posta,  non  ò  disposta 
a  ricevere  questa  benedetta  e  divina  infusio- 
ne »  :  ofr.  anche  Far.  ziv  40  e  segg.  —  71. 
Mi  «he  ecc.  di  modo  che  l^ttemo  valore,  doò 
«  l'infinito  ed  ineflEsbil  bene  ^  di  Dio,  la  bea- 
titudine, tanto  pi6  si  comunica  all'anima, 
quanto  più  questa  ha  di  carità.  —  78.  •  quanta 
eoe.  e  quanto  maggiore  è  il  numero  di  coloro 
che  pongono  aaoiB  alle  cose  celesti,  tanto 


più  grande  è  il  bene  e  tanto  pid  grande  ra> 
more  di  dasouno  ;  perché,  come  Dante  stesso 
dice  nel  Con»,  ni  16,  <  U  santi  non  hanno 
tra  loro  invidia,  però  ohe  oiasouno  aggiugna 
il  fine  del  suo  desiderio,  il  quale  desiderio  à 
colla  natora  della  bontà  misurato  >.  —  76.  • 
come  speeelilo  eco.  e  l' una  anima  riflette  al* 
r  altra  la  propria  beatitudine,  come  g^  speo* 
chi  riflettono  redprooamente  la  luce.  —  76. 
E  te  la  Mia  ecc.  E  se  non  ti  ha  sodistetto 
il  mio  ragionamento,  aspetta  quando  vedrai 
Beatrice,  la  quale  ti  chiarirà  questo  o  ogni 
altro  dubbio,  circa  le  cose  della  fede.  —  di- 
sfama :  metafora,  che  bene  risponde  a  quella 
del  digiuno,  usata  da  Dante  nella  domanda 
(V.  68).  —  79.  procaccia  ecc.  per  ora  attendi 
solamente  ali'  opera  della  puriflcasione,  si  ohe 
sieno  tolti  dalla  tua  fronte  i  segni  dei  pec- 
cati d'ira,  d'acddia,  d'avarizia,  di  gola  e  di 
lussuria,  come  sono  stati  tolti  quelli  dei  peo- 
cati  di  superbia  e  d'invidia.  —  80.  plaghe  : 
cosi  chiama  i  segni  impressi  sulla  fhmte  di 
Dante  dall'angelo,  perché  fatti  con  la  punta 
della  spada  (cfr.  Purg.  iz  112  e  segg.).  — 

81.  che  si  ecc.  che  si  rimarginano  con  l'e- 
spiazione delle  colpe  :  l' età»  dolmU  è  pro- 
priamente la  contririone  del  cuore,  fenda- 
mento  della  penitenza  (ofr.  Purg,  a,  96).  — 

82.  Com'io  eoe  Mentre  io  voleva  ringra- 
ziare Virgilio,  mi  vidi  giunto  sul  ripiano  del 
terzo  cerchio,  e  il  desiderio  di  veder  cose 
nnove  m'impedì  di  parlare.  —  88.  l'altro 


892 


DIVINA  COMMEDIA 


84       si  che  tacer  mi  fòr  le  luci  vaghe. 
Ivi  mi  parre  in  una  Yisione 
estatica  di  subito  esser  tratto; 
87        e  vedere  in  un  tempio  più  persone, 
ed  una  donna  in  su  P  entrar  con  atto 
dolce  di  madre  dicer  :  e  Figliuol  mio, 
00       perché  hai  tu  cosi  verso  noi  fiitto? 
Ecco,  dolenti,  lo  tuo  padre  ed  io 
ti  cercavamo  »  :  e  come  qui  si  tacque, 
03        ciò  che  pareva  prima  dispario. 

Indi  m'apparve  un'altra  con  quelle  acque, 
giù  per  le  gote,  che  il  dolor  distilla 
OG       quando  per  gran  dispetto  in  altrui  nacque; 
e  dir:  «  Se  tu  se' sire  della  villa, 
del  cui  nome  ne'  dèi  fu  tanta  lite 
00       e  donde  ogni  scienza  disfavilla, 
vendica  te  di  quelle  braccia  ardite 
che  abbracciar  nostra  figlia,  o  Pisistràto  >  ; 
102       e  il  signor  mi  parea  benigno  e  mite 
risponder  lei  con  viso  temperato: 
e  Ohe  ùaem  noi  a  chi  mal  ne  disira, 
105       se  quei,  che  ci  ama,  è  per  noi  condannato?  » 
Poi  vidi  gente  accese  in  foco  d'ira. 


rlreies  è  il  terzo  cerchio,  ore  sono  le 
anime  ohe  si  palificano  della  colpa  dell'ira; 
cfr.  Purg.  XYi  16  e  segg.  —  86.  ItI  h1  farre 
eco.  Kel  luogo  di  pnigatorìo  oye  sono  gli  ira- 
condi Dante  imaglna  Tisioni  di  esempi  di 
mansnetndine,  I  quali  a  lui  appariscono  co> 
me  in  nn  momento  di  estasi  improvrisa: 
sono  tre,  qnello  di  Maria  Vergine,  qnello  di 
Pisistràto  e  quello  di  santo  Stefano  proto- 
martire. ^  87.  e  Te4ere  In  u  tempio  ecc. 
È  seguito  il  racconto  evangelico  (Luca  n  48 
e  segg.),  ove  si  narra  che,  fatta  la  Pasqua 
col  genitori  in  Gerusalemme,  Gesd  ancora 
dodicenne  non  li  segui  a  Nazaret,  e  che  essi 
non  avendolo  trovato  tornarono  in  Gerusa- 
lemme cercandolo:  «Ed  avvenne  che,  tre 
giorni  appresso,  lo  trovarono  nel  tempio,  se- 
dendo in  mezzo  dei  dottori,  ascoltandoli  e 
facendo  loro  delle  domande...  E,  quando  essi 
lo  videro,  sbigottirono.  E  sua  madre  gli  dis- 
se :  Figliuolo,  perché  ei  hai  fatto  ooei?  ecco, 
tuo  paàn  ed  4o  U  e&reaoamo,  etendo  in  gran 
dolore  ».  —  93.  come  qui  ecc.  appena  Maria 
ebbe  detto  queste  parole  disparve  la  prima 
visione.  —  9i.  Indi  m*  apparve  eco.  H  se- 
condo esempio  ò  tratto  da  ciò  ohe  Valerio 
Massimo,  v  1,  2  e  altri  antichi  raccontano 
di  Pisistràto,  tiranno  di  Atene  (660-627  a. 
C.)  ;  il  quale  alla  moglie,  che  chiedeva  ven* 


detta  contro  un  giovine  ardito  ohe  nel  mano 
della  via  aveva  dato  un  bado  alla  loro  fl^ 
gliuola,  rispose,  con  memorabile  miteaa  :  Sa 
noi  puniamo  coloro  che  ci  dimostrano  amore, 
ohe  cosa  fiuemo  a  quelli  che  d  odiano  f  — 
eoa  qvélle  aeqie  ecc.  col  volto  rigato  di 
lagrime,  spremute  dal  dolore  suscitato  da  un 
forte  dispetto  ;  lagrime  Insomma  di  dolore  • 
insieme  di  sd^o.  —  97.  4eUa  villa  ecc. 
della  dttà  di  Atene,  intomo  al  nome  della 
quale  fta  grande  contesa  tra  Minerva  e  Ke^ 
tuno  (cfr.  Ovidio,  MeL  vi  70  e  segg.)  e  dalla 
quale  si  diffuse  per  il  mondo  la  luce  della 
dviltà.  ^  99.  e  donde  ecc.  Cicerone,  OrasL 
I  4  :  «  omnium  doctrinarum  inventrioee  Athe- 
nas».  ~  108.  con  viso  temperato:  con 
aspetto  mansueto.  —  104.  Che  fkrem  eoo. 
Sono  proprio  le  parole  di  Valerio,  1.  dt.  : 
«  Si  noe,  qui  nos  amant,  interfloifflus,  quid 
his  fBMsiemus,  quibus  odio  iumus  ?  >  —  106. 
Pel  vidi  ecc.  H  terzo  esempio  è  tratto  dal 
martirio  di  santo  Stefano,  quale  è  nanato 
negU  AtH  degli  Apostoli  vn  64-60  :  «  Or  essi, 
udendo  questo  cose,  scoppiavano  nd  lor  onori, 
e  digrignavano  i  denti  contro  a  lui.  Ma  e^^ 
essendo  pieno  dello  Spirito  Santo,  afOsatl  gli 
occhi  al  delo,  vide  la  gloria  di  Dio,  e  Gesd 
che  stava  alla  destra  di  Dio  :  e  disse,  Ecco, 
io  veggo  i  deli  aperti,  td  il  figUnd  dell'uomo, 


PURGATORIO  -  CAKTO  XV 


393 


con  pietre  un  giovinetto  ancider,  forte 
106       gridando  a  sé  pur:  €  Martire  mariira  »; 
e  lui  yedea  chinarsi  per  la  morte, 
che  l'aggravava  già,  in  vèr  la  terra, 
111        ma  degli  occhi  &cea  sempre  al  del  porte, 
orando  all'alto  Sire  in  tanta  guerra, 
che  perdonasse  a'  suoi  persecutori, 
114       con  quell'aspetto  che  pietà  disserra. 
Quando  l'anima  mia  tornò  di  fuori 
alle  cose,  òhe  son  fuor  di  lei  vere, 
117       io  riconobhi  i  miei  non  falsi  errori. 
Lo  duca  mio,  che  mi  potea  vedere 
far  si  com'uom  che  dal  sonno  si  slega, 
120       disse:  «  Che  hai,  che  non  ti  puoi  tenere, 
ma  se' venuto  più  òhe  mezsa  lega, 
velando  gli  occhi  e  con  le  gambe  avvolte, 
128       a  guisa  di  cui  vino  o  sonno  piega?  » 
€  0  dolce  padre  mio,  se  tu  m'ascolto, 
io  ti  dirò,  dlss'io,  ciò  che  mi  apparve 


cke  «ta  «Uà  éaetn  di  Dio.  M*  eMÌ,  gittando 
di  gmn  gridi,  il  tanrono  gli  oreodhi,  e  tatti 
iiuisaie  di  pari  oonsentimento  ■'  ayrentarono 
•opn  di  Ini.  E,  cacciatolo  toat  della  dttà, 
lo  l^daTBno  :  ed  i  teatimoiii  miaer  gi6  le 
lor  resti  ai  piedi  d'un  gioTane,  chiamato 
Sanlo.  E  lapidayaiio  Stefìmo,  ohe  inTocaya 
6es6  :  e  dioeTa,  Signor  Gesti  rìoeri  lo  iplrito 
■io.  Poi  postoai  in  ginocchioni,  gridò  ad  alta 
Tooe,  Signore,  non  inpittar  loto  qneato  pec- 
cato. E,  detto  questo,  a'addormentd»^ — 
genti  aeceee  ecc.  :  i  Oindei,  che  lapidarono 
•anto  Stafiuio,  edegnati  ch'egli  predicasse 
tanto  efficacemente  contro  la  loro  legge  (clt, 
AtU  dtgli  ApotL  TX  8-15,  vn  1-68).  -  107. 
■a  glerlBOtta  t  secondo  alooni,  Dante,  o  per 
errore  di  menHnria  o  per  alteradone  che  fosse 
nel  eoo  testo  blhlico,  rifori  a  Stellano  la  qna- 
UtàdipMMtto,òheilsaoro  libro  attribnisce 
inreee  a  QÈnUi{AMdegìiApotLym  68);  me- 
glio, ai  pnò  ritenere  che  in  questo  partioo- 
lare  ai  abbia  nn  esempio  dell'  eiflcacia  eser- 
citata daUa  pittura  cristiana,  ore  santo  Sto- 
Cane  fa  rappresentato  in  età  gioranile  :  cfir. 
Moore,  I  84.  —  farle  grldande  ecc.  le  quali 
genti  gridaTano,  l'un  l'altro  incoraggiandosi 
al  martirio  del  santo.  —  111.  degU  eechl 
eoe.  tenera  gli  occhi  flsri  al  delo,  accogliendo 
cosi  in  s6  la  Tiaione  di  Dio.  —  112.  orando 
eco.  pregando  Dio,  toA.  martirio,  per  coloro 
die  lo  lapidavano.  — 114.  con  «aeU'aspeCto 
eoe.  eon  l'aapetto  benigno  e  mansueto,  che 
apte  il  eoore  al  mito  sentimento  deUa  pietà. 
—  116.  Qaanda  ecc.  Scart  :  «  Danto  distin- 
gue qui  ika  obUettlTltà  e  lobbietttTità.  Uò 


che  egli  avea  risto  nella  sua  visione  erano 
rerìtà,  0  come  egli  si  esprime  oom  ««rv  ;  ma 
le  erano  rerìtà  subUettire,  cose  che  sono 
noli'  anima,  non  fuor  di  ki  ver».  Ma  l'uomo, 
uso  a  percepire  le  cose  come  esistenti  fuori 
di  86,  trasforma  il  subbiettiro  in  un  obbiet- 
tivo, imaginandosi  di  vedere  estomamento 
dò  che  e'  non  vede  che  internamento.  Cosi 
anche  Danto  aveva  creduto  duranto  l'estasi 
che  quanto  egli  vedeva  ed  udiva  avvenisse 
realmento  fuori  di  aé,  fossero  fatti  obbietti- 
vamento  veri;  e  questo  era  il  suo  errore,  di 
cui  si  accorge  subito  che  l'anima  sua  è  ritor- 
nato alla  peroerione  delle  coee  obbiettive. 
Ma  egli  aggiunge  che  questi  errori  erano  non 
faltif  essendo  conscio  di  non  essersi  ingan- 
nato, ma  di  aver  proprio  veduto  dò  che  gli 
apparve,  quantunque  le  fossero  tmma^ti^  ^i- 
ttmH  si,  ma  non  stusisteniL  L'occhio  suo 
corporale  non  avea  visto,  eppure  le  cose  gli 
erano  stoto  prosenti».  —  tornò  di  f aeri 
ecc.  si  risvegliò  dall'estasi,  tornando  alla 
peroerione  degli  obbietti  eatorìori,  alle  realtà 
obbiettive,  mentre  nell'estasi  era  volto  alle 
realtà  subbiottive,  che  sono  errori  mm  falsi. 
—  119.  dal  senno  si  slega:  si  disdoglie  dal 
sonno,  si  sveglia.  —  120.  Che  hai  ecc.  Vir- 
gilio s' ò  accorto  che  Danto  ha  avuto  una 
visione,  vedendo  ohe  il  discepolo  quasi  non 
si  può  reggere  in  piedi  e  ha  percorso  un 
buon  tratto  di  cammino  con  gli  occhi  chiosi 
e  le  gambe  vacillanti,  come  uomo  vinto  dal 
vino  0  dal  sonno.  ~  121.  lega  :  Lana  :  e  mi- 
sura di  spario  in  loquela  firancesca,  lo  quale 
è  nomo  di  misura  come  in  Lombardia  mi- 


394 


DIVINA  COMMEDIA 


126       quando  le  gambe  mi  foron  si  tolte  ». 
Ed  eì  :  «  Se  tu  avessi  cento  larve 
sopra  la  fenicia,  non  mi  sarien  chiuse 
129        le  tue  cogitazion,  quantunque  parve. 
Ciò  ohe  vedesti  fu,  perché  non  scuse 
d'aprir  lo  core  all'acque  della  pace 
1S2       che  dall'eterno  fonte  son  diffuse. 

Non  domandai,  '  Che  hai  ',  per  quel  che  face 
chi  guarda  pur  con  l'occhio  che  non  vede, 
135        quando  disanimato  il  corpo  giace; 
ma  domandai  per  darti  forza  al  piede: 
cosi  frugar  conviensi  i  pigri,  lenti 
133        ad  usar  lor  vigilia  quando  riede  ». 
Noi  andavam  per  lo  vespero  attenti 
oltre,  quanto  potean  gli  occhi  allungarsi, 
141        centra  i  raggi  serotini  e  lucenti; 


glia  9.  ^  126.  «luido  le  g»mbe  eoo.  qnando 
incominoisi  a  prorare  questo  impedimeiito 
alle  gambe.  — 127.  Se  tv  aTeiil  eoo.  Se  an- 
ohe  ta  aTetsi  oento  masdieie  sol  Tolto,  non 
mi  lazebbero  naeooitl  i  tod  minimi  pensiezi. 

—  larre  :  maschere,  e  cosi  anche  in  jRir. 
xzx  91  :  <  est  enim  larva  (cosi  Benr.)  Illa 
figura  sive  simnlacmm,  qaod  apponitor  tsoiei 
ad  fK^lfttì^^y.™  notitiam  honiinis,  ad  teziendiun 
poeros  ».  —  ISO.  Ciò  che  TedesU  eoo.  Que- 
ste yisioni  ti  sono  apparse  affinché  tu  non 
ti  astenga  con  vane  scuse  dall'  apnre  l'animo 
a  quel  sentìmento  di  mansuetudine,  ohe  pro- 
cede da  Dio.  Virgilio  accenna  indirettamente 
che  Dante,  oome  uomo  iracondo,  dorerà  e- 
spiare  questa  sua  colpa;  al  quale  proposito 
il  Booo.,  Vita  di  Dante  9  12,  racconta  :  e  pu- 
bliohissima  cosa  è  in  Bomagna,  lui  ogni  fem- 
minella, ogni  picciolo  fiandullo  ragionando 
di  parte,  e  dannante  la  ghibellina,  rarrebbe 
a  tanta  insania  mosso,  che  a  gittare  le  pietre 
l'aTrebbe  condotto,  non  avendo  taciuto  9.  — 
188.  Hen  demandai  ecc.  VlrgUioTuol  dire: 
Ti  domandai  che  cosa  tu  ayessi,  non  per  co- 
noscere la  cagione  del  tuo  vadUare,  ma  per 
accrescere  forza  al  tao  animo  ;  perdo  le  pa- 
role che  seguono  devono  spiegarsi  cosi  :  per 
quel  motivo  che  induce  l' uomo  volgare  a  do- 
mandare che  cosa  abbia  il  suo  compagno, 
quando  lo  vede  vacillare  o  cadere  a  terra. 

—  184.  clil  guarda  eoo.  Tuomo  ohe  guarda 
solo  con  gli  occhi  del  senso,  non  con  quelli 
della  ragione.  Quasi  tutti  i  commentatori  da 
Benv.  in  poi  spiegano  :  Voeehio,  ch$  non  vede 
quando  ecc.  l'occhio  che  perde  la  sua  facoltà 
visiva  allorquando  l'uomo  muore;  non  ba- 
dano dod  ohe  le  parole  quando  disanimato 
U  oorfo  giace  sono  da  riferire,  non  giÀ  al- 
l' OGcMo  che  non  vede^  ma  alla  domanda  e^ 


face  l'uomo  comune.  Il  Torraca  spiega  :  come 
fa  ohi,  guardando  solo  con  l'occhio,  non  vede, 
non  s'accorge  di  avere  innanzi  un  cadavere; 
oonglungendo  che  non  vede  con  ehi  guarda, 
non  già  con  ooehio:  è  spiegazione  ingegnoaa, 
secondo  cui  dovrebbe  punteggiarsi  :  Ohi  guar^ 
da  pur  con  ToooMo,  ehe  non  vede  quando  éimr 
fwmato  eoe  —  1B6.  per  darti  fona  ecc.  per 
incoraggiarti  a  continuare  con  sicuro  passo 
il  tuo  cammino.  —  187.  eesf  fregar  eoe 
in  tal  modo  bisogna  stimolare  gli  uomini  pi- 
gri, i  quali  svegliandosi  non  sanno  rimet- 
tersi subito  all'  opera.  —  188.  vlgillat  è  U 
tempo  in  coi  l'uomo  è  desto,  il  tempo  del- 
l' operosità  utile  e  vera.  —  189.  Hel  aMda- 
vam  ecc.  Dante  e  VlrgUio  continnavano  a 
camminare  durante  il  vespro,  guardando  in- 
nanzi a  sé  con  attenzione,  per  quanto  era 
loro  concesso  dal  vividi  raggt  del  ede  mo- 
rente ;  e  cosi  procedendo  si  trovarono  avvolti 
da  un  denso  fame.  Non  si  pud  precisare  il 
tempo  impiegato  per  passare  dal  secondo  al 
terzo  oerddo  ;  ma  si  può  ritenere  che  a  que- 
sto momento  del  viaggio  siano  drca  le  cin- 
que pomeridiane  dell'  11  apxUe.  —  142.  an 
foBUBO  :  questo  fomo  denso,  nero,  amaro  del 
terzo  cerchio  avvolge  entro  di  sé  gl'iracondi 
penitenti  (ofr.  Purg,  xvi  1-24),  a  dgnificare 
che  l'ira  offosca  l'intelletto  dell'uomo  si 
ch'egli  non  discerné  più  0  bene  dal  male. 
Buti:  «  Finge  l'autore  die  questo  ftimmo  non 
sia  per  tutto  lo  girone;  ma  l'anime  ohe  si 
purgano  non  osceno  d'esso,  ma  vanno  qua 
e  là  oome  lo  volere  le  porta,  sf  die  non 
escano  da  la  nebbia.  E  questa'Ò  conveniente 
pena  a  purgare  lo  peccato  dell'ira;...  finge 
l'autore  che  l'anime  vadano  per  questo  Itim- 
mo,  o  vero  nebbia,  ripensando  la  loro  d*- 
ohità  e  turbolensia  ohe  ebbero  ne  la  vita  ». 


PURGATORIO  -  CANTO  XV  395 

ed'  ecco  a  poco  a  poco  un  fummo  farsi 
verso  di  noi,  come  la  notte,  oscuro, 
né  da  quello  era  loco  da  causarsi: 
145    questo  ne  tolse  gli  occhi  e  l'aer  puro. 

—  143.  eo«t  la  notte:  ofr. Puifg.  xvi  1.  —      fumo  che  ci  tolse  l' oso  degli  occhi  e  la  yi- 
144.  né  da  qaeUo  ecc.  e  non  v'era  alcuna      ita  dell'aria, 
parte,   nella  qoato  si  potMte  eriteie  quel 


CANTO  XVI 

Tra  gli  iraeondi,  avrolti  nel  Aimo  del  terso  eerchlo,  Dante  e  Virgilio 
incontrano  Marco  lombardo  ;  il  quale,  dopo  aver  parlato  loro  del  libero  ar- 
bitrio e  della  corrazione  del  mondo,  ricorda  alcuni  signori  di  Lombardia, 
esempi  Tiventi  delle  anticlie  virtù  [11  aprile,  circa  alle  ore  cinque  pome- 
ridiane]. 

Buio  d'inferno  e  di  notte  privata 
d'ogni  pianeta  sotto  pover  dolo, 
8       quant' esser  può  di  nuvol  tenebrata, 
non  fece  al  viso  mio  bì  grosso  velo, 
come  quel  fummo  ch'ivi  ci  coperse, 
6        né  a  sentir  di  cosi  aspro  pelo; 
che  l'occhio  stare  aperto  non  sofferse: 
onde  la  scorta  mia  saputa  e  fida 
0        mi  s'accostò,  e  l'omero  m'offerse. 
Si  come  cieco  va  retro  a  sua  guida 
per  non  smarrirsi,  e  per  non  dar  di  cozzo 
12       in  cosa  che  il  molesti  o  forse  ancida; 
m'andava  io  per  l'aere  amaro  e  sozzo, 
ascoltando  il  mio  duca  che  diceva: 

XVI  1.  Bido  d'inferao  ecc.  L'oscurità  palude  Stige  (cfr.  Inf,  zx  75,  S3-8A).  ^  7. 

dttUe  regioni  ioTemali  o  quella  della  notte  che  l'occlilo  ecc.  per  questa  làstidioBa  im- 

più  nera  6b»  possa  averd  sulla  terra  è  mi-  pressione  Dante  non  potò  tenere  aperti  gli 

nore  dell'oscuriti  che  mi  avrolse  nel  terzo  ooohl,  e  Virgilio  gli  si  ayricind  di  pid  per- 

oeichio  dd  puigatorio.  —  di  notte  prlrata  chó  il  discepolo  appoggiandosi  alle  sue  spalle 

eoo.  di  una  notte  senza  stelle,  col  cielo  pieno  potesse  procedere  senza  smanirsL  —  8.  sa- 

q;oanf  esser  può  di  dense  nuvole,  veduta  da  pota  o  Ada  >  Virgilio  d  per  Dante  una  guida 

on  luogo  angusto.  Dante  raccoglie  tutte  le  saggia,  che  lo  tiae  oon  ingegno  s  con  arU 

drooetanzo  ohe  sulla  terra  possono  conoox^  (-fWy*  zxvn  180),  si  che  il  discepolo  ha  in 

rare  ad  accrescere  agli  occhi  dell'  uomo  l'o-  lui  piena  fiducia  (cfir.  J^srg,  rr  4,  vm  42, 

scurità  doUa  notte  :  la  mancanza  d'ogni  astro  zvn  10  ecc.).  A.  Zenatti,  Led,  p.  9:  «  Nes- 

Inminooo,  la  densità  delle  nuvole  e  il  pover  suno  meglio  del  mite  irìrgilio ,  ohe  pure  a 

oMo,  cioè  il  limitato  orizzonte  di  chi  si  trovi  tempo  e  luogo  aveva  francamente  lodata  l'o^ 

in  fondo  a  una  stretta  valle.  —  4.  non  fece  ma  adegnoaa  di  lui  [B^f,  vm  44],  poteva  es- 

60C.  non  impedi  mai  la  mia  vista,  come  il  sere  qui  il  simbolo,  coti  della  ragione,  come 

tomo  che  c|  awolae  nel  terzo  cerchio.  —  6.  della  mansuetudine,  tanta  è  la  pace  e  la  dol- 

b4  a  sentir  ecc.  nò  te  mal  cosi  fastidiosa  ai  cozza  ohe  viene  all'animo  da'  suoi  versi  soa- 

miei  aapA  :  di  agpro  peìo,  in  quanto  le  par-  vi  >.  —  11.  per  non  dar  ecc.  per  non  ca- 

tieéOe  del  forno  «lano  acri  e  pungenti,  oome,  dere  in  pericolo  di  male  o  di  morte.  —  13. 

qiMUe  della  nebbia  acerba  MUevatasi  daUa  aaere  o  leue  :  fastidioso  e  nero  (ofr.  la 


396  DIVINA  COMMEDU 

15       €  Pur  giarda  che  da  me  tu  non  sie  mozzo  »• 
Io  sentia  voci,  e  ciascuna  pareva 
pregar,  per  pace  e  per  miflerìcordìa, 
18       Pagnel  di  Dio,  che  le  peccata  leya. 
Pure  €  Agnus  Dei  »  eran  le  loro  esordia: 
una  parola  in  tui^  era  ed  un  modo, 
21        si  che  parea  tra  esse  ogni  concordia. 
«  Quei  sono  spirti,  maestro,  eh* i' odo?  » 
diss'io;  ed  egli  a  me:  «  Tu  vero  apprendi, 
24        e  d'iracondia  van  solvendo  il  nodo  ». 
€  Or  tu  chi  se',  che  il  nostro  fummo  fendi, 
e  di  noi  parli  pur,  come  se  tue 
27       partissi  ancor  lo  tempo  per  calendi  ?  » 
Cosi  per  una  voce  detto  fde; 
onde  il  maestro  mio  disse:  «Bispondi, 
80       e  domanda  se  quinci  si  va  sue  ». 
Ed  io:  €  0  creatura,  che  ti  mondi 
per  tornar  hella  a  colui  che  ti  fece, 
83       maraviglia  udirai  se  mi  secondi  >. 
<  Io  ti  seguiterò  quanto  mi  lece, 
rispose;  e  se  veder  fummo  non  lascia, 
86        l'udir  ci  terrà  giunti  in  quella  vece  ». 

note  al  T.  6).  —  16.  Por  gvardA  eoo.  Bada  il  Tanno  pmlfioando  del  peccato  deU'liaoon- 

solamento  a  non  separarti  da  me.  Oos£  s'in-  dia.  —  26.  Or  ta  eoo.  Una  delle  anime,  ao- 

tenda  con  Benr.  e  Bati,  oonaiderando  il  jwr  oorgendod  dal  modo  del  pedate  di  Dante 

dooome  nn  complemento  limitetiyo  del  Tb.  oh'  egli  è  ancora  Tito,  gli  chiede  ohi  efl^  eia. 

guarda^  contro  l' erronea  interpretazione  e  —  26.  cerne  ae  eoo.  come  te  ta  fosti  ancora 

punteggiatura  dei  moderni,  i  qoali  lo  riferì-  tìto,  fbsal  ancora  in  qnélla  oraidixione  in  coi 

soono  invece  al  vb.  cUom».  —  »•»•  s  qui  li  divide  il  tempo  per  meal,  mentre  tali  di- 

ha  il  senso  più  generale  di  separato,  dlsgìonto.  visioni  non  si  fumo  più  nei  ngoì  etemi.  — 

—  16.  le  sentf  a  eco.  Le  anime  degli  iracondi  27.  ealeadi  :  calende,  che  acno  i  primi  giomi 

cantevano  con  la  stessa  intonaaione  di  voce  di  ogni  mese,  qui  lignifica  mesi;  di  qneite 

la  medesima  preghiera,  chiedendo  pace  e  mi-  forma  di  plorale  femminile  ofbe  esempi  t»- 

sericordia  a  Gesù  Cristo,  l'Agnello  del  Si-  qnentissimi  la UngQa antica (cfr.  Parodi, BmO. 

gnore,  che  togUe  i  peccati  (cCr.  (Hovaani  i  m  121  e  Zenatti,  Uct,  p.  U).  —  29.  Bl- 

29).  —  19.  Piure  Agaas  ecc.  Cantevano  la  ipeadl  eoo.  rispondi  alla  domanda  di  qne- 

note  preghiera,  i  cni  versetti  hanno  lo  stesso  sf  anima  e  chiedi  a  lei  se  da  queste  parte 

cominciamento  :  «  Agnus  Dei,  qni  tollis  peo-  e*  è  una  scala  che  conduca  A  quarto  cerchio. 

cate  mundi,  miserare  nobis;  Agnus  Dei,  qui  —  81.  o  creatura  ecc.  0  anima,  che  ti  pu- 

tollis  peccate  mundi,  miserare  nobis;  Agnus  riilchi  per  ritornare  a  Dio  ohe  ti  creò;  cCr. 

Dei,  qui  tollis  peccate  mundi,  dona  nobis  l'esidioazione  ohe  di  questo  concetto  è  nei 

pacem  >  :  coi  due  primi  si  prega  per  miseri-  w.  86-90.  —  88.  le  ■!  ieeea41:  se  mi  ae- 

cordia,  con  l'ultimo  si  prega  per  pace. —  esor-  compagni  (cfr.  il  vb.  assondorv  nello  stosso 

«la:  ed  un  latinismo  pretto  e  trovasi  pure  signiflcato  in  Inf,  zn  117,  Purg»  zzi  60, 

nei  DiUam.  n  18  >,  Parodi,  BvU.  IH  119.  —  zxm  128  ecc.).  —  84.  le  U  segidtef^  eco. 

22.  Quel  sono  ecc.  Danto,  che  nel  cerchio  in-  Danto  non  dice  se  gì'  iracondi  stessero  férmi 

ferlore  ha  sentito  ignoto  vod  gridare  esempi  o  camminassero  nel  forno;  ma  par  eh' el  foe- 

dl  carite  e  d' invidia,  non  sa  con  certezza  se  sere  Uberi  di  stare  o  di  muoversi,  purché  ikmi 

il  canto  dell' J^vum  Dei  ^  delle  anime  pe-  uscissero  dal  forno  (cfr.  r.  148);  ooaf  che 

nitenti  o  d'altri  esseri;  e  s'aArette  a  chic-  qwmto  mi  ìee$  signLldherà :  sino  aU'eetre- 

deme  a  Virgilio,  sua  «  scorte  sapute  >.  —  28.  mite  di  queste  nube  che  ci  arrolge.  —  86. 

Ta  vero  ecc.  Pensando  che  siano  anime,  tu  l'a41r  eoo.  potremo  stare  insisaM,  per  glln- 

hai  pensato  U  vero  ;  e  t'aggiungerò  che  esse  disi  ohe  dell'esser  vieinl  oi  darà  a  pad»». 


PURGATORIO  -  CANTO  XVI 


897 


Allora  inooTTìiiìciai  :  cCon  quella  fìiscia 
che  la  morte  dissolve  men  vo  suso, 
89       e  venni  qui  per  la  infernale  ambascia; 
e,  se  Dio  m'ha  in  sua  grasia  richiuso 
tanto  che  vuol  ch'io  veggia  la  sua  corte 
42       per  modo  tutto  fuor  del  modem' uso, 
non  mi  celar  chi  fosti  anzi  la  morte, 
ma  dilmi|  e  dimmi  s'io  vo  bene  al  varco; 
45       e  tue  parole  fien  le  nostre  scorte  ». 
€  Lombardo  fui|  e  fui  chiamato  Marco; 
del  mondo  seppi,  e  quel  valore  amai 
48       al  quale  ha  or  ciascun  disteso  l'arco: 
per  montar  su  dirittamente  vai  ». 


^  87.  0«B  fM«U*  fkieU  eoo.  Io  tàùdo  qm»- 
■to  Tiaggio  Tono  il  dolo  inflomo  eon  Qmio 
oarfOy  dio  è  qoell'ottsiiom  inrdhioKO  del- 
VuàmB  ohe  è  diioiòtto  dalk  morte,  •  lono 
▼«rato  al  pozgBtozio  paiMiido  <  por  tatti  i 
oOToiil  dal  ddlanto  xogno»  (A«y.  vn  22).  — 
40.  i^  st  IMO  000.  o  poiohó  Dio  mi  ha  acoolto 
B^  sua  giada  alno  a  oonoedonni  di  vialtaio 
i  ngnl  otoini  ooo.  —  41.  la  aia  eortos  la 
€  oort*  dal  dolo  >  (^.  n  126),  il  paiadiao. 
—  42.  «atta  ftior  ooo.  dol  tatto  insolito  nei 
tamfi  modan&i,  né  più  oonoednto  ad  aloon 
nomo,  dopo  Enea  e  Pedo  (ofr.  £*f.  n  18-U). 
«  4A.  Ma  éll«l  eoo.  ma  dimmi  ehi  ta  fosti 
a  ^Hjdjbì  se  da  qoesta  parte  si  trova  la  soala 
per  salile  al  qoarto  oerohio.  Dante  xipete  oid 
ohe  i^  ha  suggerito  VizgQio  (▼.  80).  —  46. 
a  ftaa  parala  eoo.  e  la  tao  paiole  d  guidino 
al  Taroo,  die  nd  oeiehiamo.  —  46.  Lambardo 
lU  aoc  Mano  di  Lomhaidia,  che  ta  detto 
tanftordo  o  per  il  loogo  della  saa  nasdta  o 
perdié  frequentò  spedalmante  la  case  piin- 
cipaadia  dell'Italia  sn^eiioie,  fb,  seoondo  gli 
antlolil  oommantatoii,  un  saiio  e  Talente 
uomo  di  OQrta^  fiorito  intorno  alla  seoonda 
meta  dd  seodo  xm.  Di  lai  si  laooonta  ndle 
No»,  md.  (ed.  Biagi,  p.  221,  ofr.  p.  78)  :  «  Fue 
ano  nobile  haomo  di  ooite  et  ftie  mdto  savio. 
Foa  a  a'  natale  a  una  oittà  dove  ri  donavano 
mdta  xobe  :  non  ebbe  neana  ;  trovò  on  altro 
di  eocte^  H  quale  era  neodante  peisona  appo 
Marco,  e  avea  avute  roba.  Di  qaesto  naoqae 
ona  bella  sentsnia,  di6  questo  giullaie  disse 
a  Marco:  *  Ohe  è  dò,  ch'io  ò  septe  et  tu 
non  ninna,  et  se*  Iro^  migliore  homo  e  piti 
ssvio  di' io  Y  non  so  quale  è  la  lagione  '.  Et 
Marco  lispaose:  'Kon  è  altro  se  no'  ohe  ta 
tiovMti  ptd  di  tod  ch'io  di  miri  '  »  :  l'aned- 
doto, per  attio,  è  da  aloono  tribuito  ad  altri 
uomini  DuBooi,  per  esempio  anohe  a  Dante 
(ofr.  G.  F^ntlt  IkmU  mondo  ìa  tradixiom^ 
éLf  p.  81-88).  Altre  novelle  di  Maioo  xso- 
eostano  g}i  ai^dii  commentatori  Buti,  Benv., 


An.  floi.  ;  fra  tatto  notevole  è  qudla  rifiorita 
da  O.  Wlaai,  O.  vn  121,  nqade  nana  die 
Ugolino  della  Ohsrardesoa,  Ustto  signore  di 
Pisa,  «  féoe  per  lo  giorno  di  sua  natività  una 
ricca  festa,  ov*  ebbe  i  figliuoli  e  nipoti  e  tatto 
suo  lignaggio  e  parenti  nomini  e  donne,  con 
gnnde  pompa  di  vestimenti  e  d' arredi,  e  ap- 
parecchiamento di  ricca  festa  ».  V'intervenne 
Maioo  lombardo;  e  e  il  conte  prese  U  detto 
Marco,  e  venne^  mostrando  tatta  sua  gian- 
desia  e  potenria  e  ^pareochlamonto  della 
detta  fiBSta;  e  dò  &tto,  U  domandò:  *  Mar- 
co, che  te  ne  pare?  '  D  savio  gli  rispose  sa- 
bito e  disse  :  *  Vd  sete  meglio  apparecchiato 
a  ricevere  la  mala  mesdanza,  che  barone 
d'Italia*.  E  il  conte,  temendo  della  parola 
di  Marco,  disse  :  *  Perdio?  '  E  Marco  rìspuo- 
se  :  *  Perché  non  vi  fslla  altro  che  l'ira  di 
Dio  '  ».  Da  dò  die  di  lui  raccontano  gli  an- 
tichi ri  ricava  che  Marco  lombardo  non  ta 
an  vdgare  cortigiano  o  buffone,  d  ano  di 
qud  gentiluomini  di  corte,  dd  quali  il  Boco. 
descrisse  i  caratteri  pariando  dd  fiorentino 
Guglielmo  Borsiere  :  ofr.  Inf.  xvi  70,  e  Ze- 
natti,  X«0^,  pp.  16-17.  —  47.  del  meado  ecc. 
ebbi  oognirione  degli  aflSsri  dd  mondo  e  pra- 
tiod  qodle  virtd,  alle  quali  ora  nessono 
vdge  pid  la  sua  attenrione.  Queste  qualità 
di  Marco  ricordano  quelle  di  Ulisse  {£*f.  zxvi 
98-99X  e  rispondono  d  concetto  die  dd  cor- 
tigiano lombardo  ebbero  i  sud  oontemporand  : 
«  Marco  (cosi  gli  diceva  an  dtro  cortigiano, 
secondo  le  Nov,  anLf  p.  227),  tu  sd  il  pid 
savio  hoomo  di  tatta  Italia  et  se'  povero  et 
disdegni  di  chiedere  >:  sapienza  e  dignità  ohe 
separarono  anche  Dante,  randagio  per  le  cit- 
tà d'Italia,  dalla  restante  turba  degli  uomini 
di  corte.  —  48.  al  qaale  eoo.  :  oome  imd«r« 
o  drixaar  Vairco  significa  volgere  la  mente  a 
un  oggetto  (cfr.  Par,  xxvi  24),  cod  distmd&r 
Varco  vad  dire  rivolgerla,  rimaoveila  dall'  og- 
getto. —  40.  per  montar  eoo.  Marco  rispondo 
alla  seoonda  domanda  di  Dante  (v.  44),  dioen- 


398 


DIVINA  COMMEDIA 


Cosi  rispose;  e  soggitmse:  «  Io  ti  prego 
51       die  per  me  pregH,  quando  sa  sarai  ». 
Ed  io  a  lui  :  <  Per  fede  mi  ti  lego 
di  £Gtr  ciò  che  mi  cHiedi;  ma  io  scoppio 
54       dentro  a  un  dubbio,  s'io  non  me  ne  spiego. 
Prima  era  scempio,  ed  ora  è  fatto  doppio 
nella  sentenza  tua,  che  mi  fai  certo, 
57        qui  ed  altrove,  quello  ov'io  l'accoppio. 
Lo  mondo  è  ben  cosi  tutto  diserto 
d'ogni  virtute,  come  tu  mi  suone, 
60        e  di  malizia  gravido  e  coperto: 
ma  prego  che  m'additi  la  cagione; 
si  ch'io  la  vegga  e  ch'io  la  mostri  altrui; 
63       che  nel  cielo  uno,  ed  un  qua  giù  la  pone  ». 
Alto  sospir,  che  duolo  strinse  in  e  hui  », 
mise  fuor  prima,  e  poi  cominciò:  <  Frate, 
66       lo  mondo  è  cieco,  e  tu  vien  ben  da  lui 
Voi  che  vivete  ogni  cagion  recate 


dogli  ohe  appunto  nella  direzione  del  suo  cam- 
mino troverà  la  ecala.  —  61.  quando  ai  i*- 
rat  t  varie  interpretazioni  si  danno  di  questo 
laofiTO.  Oli  antichi  Bntl  e  Benr. ,  segniti  da 
molti  moderni,  intendono  :  quando  sarai  sa  in- 
nanzi a  Dio,  nella  oorte  del  cielo;  e  qnestf  in- 
terpretazione è  la  migliore,  perché  sta  bene 
in  relazione  con  dò  che  ha  detto  Danto  nei  tv. 
i(M2,  ed  ò  confermata  dall*  analogia  del  iVy. 
zxn  127  e  segg.  Invece  Lomb.,  Cos.,  Blanc 
spiegano  :  qnando  sarai  tornato  al  mondo  ;  e 
il  Tomm.  :  qnando  sarai  sulla  dma  di  questo 
monte.  ~  62.  Per  fede  ecc.  Ti  giuro  di  fare 
ciò  che  mi  domandi  :  ma  per  compenso  scio- 
glimi un  dubbio,  ohe  io  già  aveva  e  che  mi 
ò  stato  confermato  dalle  tue  parole.  —  63.  !• 
seopplo  ecc.  io  non  posso  più  mantenermi 
nel  dubbio  ohe  mi  stdnge,  se  non  ziesoo  a 
liberarmene.  —  66.  Prln*  era  eco.  Questo 
dubbio,  suscitato  in  me  dalle  parole  di  Chiido 
del  Duca,  il  quale  a  proposito  dei  viti  dei 
toscani  mi  ha  detto  che  tutti  fuggono  la  virtó 
e  per  sventura  del  loco  o  per  mal  uso  *  {Purg. 
XIV  88),  prima  era  toempiOy  cioè  aveva  fon- 
damento nella  sola  affermazione  dello  spirito 
di  Bomagna  ;  ma  ora  ha  trovato  un  altro  fon- 
damento nelle  tue  parole,  che  mi  hanno  con- 
fermato quella  corruzione  dei  costumi,  alla 
quale  il  mio  dubbio  si  riferisce.  —  67.  qui 
ed  altrove  :  per  quello  che  mi  hai  detto  tu 
(w.  87-48)  e  per  quello  che  nel  secondo  cer- 
chio mi  ha  dotto  Quido  del  Duca.  —  68.  Lo 
Hoado  k  ben  ecc.  H  mondo  è  certamente 
spogliato  d' ogni  virtd  e  pieno  d*  ogni  vizio, 
come  tu  m' hai  detto  :  su  questo  non  ho  dub- 
bio alcuno  ;  sf  invece  sono  dubbioso  droa  la 


cagione  di  questa  universale  corruzione.  — 
60.  gravide  •  ceptrt«  s  Lomb.  :  «  lordo  inter- 
namente ed  esternamente  >  :  meg^,  Tomm.  : 
€  gravido  dice  Q  seme  nascosto  del  male;  co- 
ptrto  il  suo  esterno  rampollare  e  adombrare 
la  terra  ».  —  68.  ehtf  nel  elel«  ecc.  polchó 
alcuni  pongono  questa  cagione  della  corni- 
tela universale  nelle  influen»  celesti  (gli 
astri  che  agiscono  sulle  passioni,  sulla  vo- 
lontà, sulla  vita  degli  uomini)  ;  altri  invece 
la  pongono  negli  uomini  stessi  e  nella  loro 
natura  ed  educazione.  —  64.  Alte  sesplr  ecc. 
Marco,  per  incresdmento  oh*  egli  ebbe  del- 
l'ignoranza  di  Dante,  mandò  fhori  un  pro- 
fondo sospiro,  che  il  dolore  fisco  terminare 
in  un'  esclamazione  di  lamento.  —  66.  Frale  : 
ofr.  Purg,  IV  127.  —  66.  lo  mondo  è  eleee 
eoo.  il  mondo  è  involto  nell'ignoranza  della 
verità,  e  tu,  col  dubbio  che  hai  intomo  alla 
cagione  della  corruzione  umana,  ben  dimostri 
di  venire  dal  mondo,  doò  d' essere  ignorante 
come  gli  altri  uominL  —  67.  Tei  elle  vivete 
eoe  n  discorso  di  Uarco  ò  diviso  in  tre  parti  : 
nella  prima  egli  espone  la  teorica  del  libero 
arbitrio  (w.  67-81),  la  quale  d  da  paragonare 
a  old  che  dice  Virgilio  nel  Iharg,  zvm  49-76; 
nella  seconda  esplica  i  princij^  del  governo 
dell'  umanità  e  addita  la  cagione  della  oom- 
zione  nella  confusione  del  potere  civile  col 
potere  spirituale  (w.  82-112);  nella  terza 
conferma  la  sua  dimostrazione  con  l'esempio 
dedotto  dalle  condizioni  morali  della  sodelà 
lombarda,  paragonando  la  corruzione  presente 
con  la  virtd  antica  (vy.  118-180).  Inoominda 
la  prima  parte  richiamando  l'errore  degli  uo- 
mini, i  quali  attribuisoono  la  cagione  del  bene 


PURGATORIO  -  CANTO  XVI 


399 


pur  suso  al  delo,  si  come  se  tutto 
C9        movesse  seco  di  necessitate. 

Se  cosi  fosse,  in  voi  fora  distrutto 
libero  arbitrio,  e  non  fora  giustizia, 
72       per  ben,  letizia,  e  per  male,  aver  lutto. 
Lo  cielo  i  vostri  movimenti  inizia, 
non  dico  tutti;  ma,  posto  ch'io  il  dlcc^ 
75       lume  v'ò  dato  a  bene  ed  a  malizia, 
e  libero  voler,  che,  se  ùAìosl 
nelle  prime  battaglie  col  del  dura, 
78       poi  vince  tutto,  se  ben  si  nutrica. 
A  maggior  forza  ed  a  miglior  natura 
liberi  soggiacete,  e  quella  cria 
81        la  mente  in  voi,  che  il  del  non  ha  in  sua  cura. 
Però,  se  il  mondo  presente  disvia, 
in  voi  ò  la  cagione,  in  voi  si  cheggia, 


•  àél  male  solunente  all'  iiìflnent»  delle  stelle, 
co—  ee  naouMiTiimmite  dlpondoiwiTO  dei  ino- 
Timenti  oelattt  tatte  le  azioni  unane.  —  ogni 
aegleB  eoo.  È  degno  di  nota  ohe  la  oentenza 
Amwkttmtm^  è  analoga  all'omeiloa  (OfKc  x  88  e 
Mgg.),  xiféiita  da  A.  Gelilo,  ti  2  :  «  Oh  oome 
i  mortali  inoolpoiio  gli  dei  1  poiché  da  noi 
eifJMTnann  piooedere  i  maU,  ed  eiii  hanno  a^ 
Ianni  non  per  destino,  ma  per  le  loco  std- 
tesxe  ».  —  70.  Se  eoli  fetae  eoo.  Dante  mette 
in  roak  la  dottrina  di  Tonmaeo  d' Aquino, 
Summa,  p.  I,  qo.  oxy,  art  A:  «SiinteUeò- 
toa  et  yolantae  e«ent  Tiiee  ooiporais  oigania 
alligstae,  ^  ex  nocearitato  teqneretar,  qood 
oorpora  ooeleetia  enent  causa  electionnm  et 
actmim  hnmanomm  ;  et  ex  hoo  •eqneretor, 
^od  homo  naturali  instlnota  agezetor  ad  mas 
aetkmee,  rient  caeteia  animalia,  in  qnibos 
non  font  niii  viree  animae  oorporeia  oiganla 
aUigatae:  namillnd,  qnod  Ut  in  iftis  inferiori- 
bili  ez  improeiione  eoiponim  ooelestiam,  na- 
toialitar  agitar;  d  ita  mjittnàmr,  quod  homo 
mm  mttt  Ubtri  orMHi,  ped  haberet  aotionee 
d0t«minataa,  doot  et  caetexae  reenatozales: 
qnae  manitetefontihlia».  —  71.  e  nea  Ara 
eoo.  e  non  nrebbe  ginato  ohe  alle  opere  boone 
al  oonooileMe  il  premio  della  beatitadine  e 
aUe  opere  malragie  la  pena  della  dannaikme. 
—  78.  Le  doto  eoo.  L'inilniio  deUe  iteUe 
soli'  nomo  ai  limita,  aeoondo  Dante,  a  lasd- 
tare  nell'animo  ino  i primi  moHmmUf  i  primi 
appetiti,  e  né  pur  tiùti,  perché  gU  atti  del- 
rintelUgensa  e  deDa  Tolontà  non  sono  sog- 
getti a  tale  inflniio.  Tommaso  d'Aquino, 
Smnmm,  p.  II2m,  qu.  sor,  art  6:  e Corpora 
eoeleetla  non  po«unt  esse  per  se  causa  ope- 
rationum  liberi  arbitrii;  poosunt  tamen  ad 
hoo  disporitire  inclinale,  in  quantum  imprì- 
must  te  OQipM  hnmanum,  et  per  oonasquens 


in  Tiies  sensitiTas,  quae  sunt  aotus  corpora- 
lium  ocganamm,  quae  inolinant  ad  i»«^*«iM?f 
aotus  >.  -^  7S.  lume  eoo.  la  ragione  per  di- 
scemere  U  bene  dal  male.  —  76.  e  Ubero 
Toler  eoo.  e  Ubera  Tolontà,  la  quale,  ••  /Si- 
Uea  dura  mU»  primi  baUagìié  eoi  eia  cioè  wb 
rssiste  nelle  prime  lotte  contro  gli  appetiti 
suscitati  nell'uomo  dalle  influenxe  celesti,  rie- 
sce a  vincera  ogni  influenia  quando  è  fortifl- 
cata  dalla  sapUÓisa,  dall'amore  e  dalla  virtù. 
—  78.  pei  Tlnee  tette  ecc.  Tommaso  d' A- 
quino,  Smrnnat  p.  I,  qu.  ozr,  art  A:  e  Vo- 
luntas  non  ex  neoessitsto  sequitur  inoliiìa- 
tionem  appetitua  inièriozis  >,  e  art  6  :  e  Ni- 
hil  piohibet  per  Toluntariam  aotionam  impe- 
diri  effectum  ooelestium  cozporum  >  ;  e  p.  n 
2^,  qa.  xoT,  art  6  :  e  Oontn  indinationem 
ooelestium  cozporum  homo  poteet  per  atlo- 
nem  operari  ».  A  Zenattl,  LteL  p.  26:  «  Ora 
che  spariti  i  nove  deli  medioevali  col  rovi- 
nare del  sistema  tolemaico  e  spenta  ogni  fe- 
de in  quei  loro  influssi,  ...  tuttavia  si  nega 
il  nostro  libero  volere,  attribuendo  ogni  no- 
stro atto  alla  foxxa  degli  istinti  ereditarii  e 
alle  inflnense  dell'educarione  e  di  quello  che 
chiamano  ambiente;  .»  venga  presto  un  poe- 
ta vero,  che  con  l' arte  di  Dante  e  con  piA 
moderna  dottrina  ridia  a  tutti  la  fede  neDa 
nostra  libertà  e  la  coscienza  della  responsa- 
bilità umana  ».  —  79.  A  maggior  fona  eoo. 
Gli  uomini,  senza  perdere  il  libero  arbitrio, 
sono  soggetti  a  Dio,  il  quale  d  di  potenza 
maggioro  e  di  natura  migliore  ohe  i  corpi 
celesti  ;  o  la  potenza  e  nature  divina  crea 
l'anima  umana,  la  quale  non  è  sottoposta  ai 
movimenti  celesti,  doè  è  libera  e  raglone- 
vde.  —  80.  quella:  qnella  forza  maggiore  e 
quella  natura  miglioro,  doò  Dio.  —  orla: 
crea,  anche  in  Inf,  xi  68,  forma  usuale  nella 


400 


DIVINA  COMMEDIA 


Si       ed  io  te  ne  sarò  or  vera  spicu 

Esce  di  mano  a  lui,  che  la  Taglieggia 
prima  che  sia,  a  guisa  di  fanciulla 
87       che  piangendo  e  ridendo  pargoleggia, 
l'anima  semplicetta,  che  sa  nulla, 
salvo  che,  mossa  da  lieto  &ttore, 
90       Tolentier  toma  a  ciò  che  la  trastulla. 
Di  picciol  bene  in  pria  sente  sapore; 
quivi  s'inganna,  e  retro  ad  esso  corre, 
93       se  guida  o  fren  non  torce  suo  amore. 
Onde  convenne  legge  per  fren  porre; 
convenne  rege  aver,  che  discemesse 
96        della  vera  cittade  almen  la  torre. 

Le  leggi  Bon,  ma  chi  pon  mano  ad  esse? 
Nullo,  però  che  il  pastor  che  precede 
99       ruminar  può,  ma  non  ha  l'unghie  fesse; 


lìngua  antica  (cfr.  Parodi,  BuU,  m  97).  —  84. 
•4  lo  eoe.  ed  oia  io  te  lo  dinKMtrerd  aperte- 
mente.  —  iptai  dal  dgnifioato  etimologico 
di  etpkratora  (ofr.  Diei  806),  per  un  fludle 
trapaaeo,  è  tratto  al  senio  di  eapoiitore  ;  onde 
poi  «sptorv  in  iWy.  zxvi  86,  vale  esplorate, 
rioeroare.  —  86.  Esce  di  mane  eco.  L'anima 
umana  è  creata  immediatamente  da  Dio,  il 
quale  la  Tede  nella  sua  idea  prima  eh'  essa 
sia  creata.  È  conforme  alla  dottrina  tomi- 
stica, per  cui  €  anima  rationalis  non  potest 
produci  nisi  a  Deo  immediate  >  (cfr.  SummOf 
p.  I,  qu.  XT,  art  8).  —  86.  a  guisa  41  Usa- 
elnlU  ecc.  con  l'ingenuità  della  fanduHetta 
che  piange  e  ride,  si  rattrista  e  si  raDegra, 
mole  e  disvuole,  doè,  detto  dell'anima,  è 
disposta  e  muterole  ad  ogni  passione.  —  88. 
che  sa  Bulla  ecc.  la  quale,  mancando  lo  svi- 
luppo delle  sue  facoltà  intellettire,  non  ha 
idee,  sebbene  per  essere  stata  creata  da  Udo 
fatton,  da  Dio  ohe  è  il  bene  sommo,  si  volge 
per  istinto  a  dò  che  la  diletta.  Dante  stesso 
illustra  questo  concetto  nel  Cono,  tv  12: 
e  L'anima  nostra,  incontanente  che  nel  nuovo 
e  mai  Catto  cammino  di  questa  vita  entra,  di- 
lizza  gli  occhi  al  termine  del  suo  sommo  bene, 
e  perO  qualunque  cosa  vede,  che  paia  avere 
in  sé  alcun  bene,  crede  che  sia  esso  ;  e  per- 
ché la  sua  conoscenza  prima  è  imperfetta  per 
non  essere  sporta  né  dottrinata,  piodoli  beni 
le  paiono  grandi  ;  e  però  da  quelli  comincia 
prima  a  desiderare  ».  —  90.  volentler  ecc.: 
cSt.  Pwg.  xvm  20.  —  91.  DI  pleelol  ecc. 
L'anima,  gustato  da  prima  il  sapore  dd  beni 
mondani,  s'inganna  credendolo  quello  dd 
vero  bene;  e  corre  dietro  a  qud  fidiaco  sa- 
pore, se  non  ha  una  ^da  ^e  la  indirizzi 
al  vero  bene  o  un  freno  che  le  impedisca  di 
correr  dietro  ai  beni  mondani  —  98.  guida 


o  frea:  il  fmo  è  quello  della  legga  (r. 96), 
la  g¥Ua  è  l'autorità  dell'imperatore  (v.  96). 

—  9A.  Onde  e^mveutt  ecc.  Ferolò  bisognò 
fermare  leggi,  le  quali  prop(»endod  perfine 
il  bene  comune  fossero  fl  vlnoolo  ddla  so- 
detà  umana  e  la  rimovessero  dal  liir  male 
(cfr.  Ds  moli,  D  6).  —  96.  eemveuM  rege 
eco.  bisognò  creare  un'  autorità  suprema,  l'of- 
fido  di  un  imperatore  (cfr.  D$  mom,  i  12  e 
segg.),  che  conoscesse  e  amministrasse  la  giu- 
stizia. —  96.  della  vera  cittade  eoe.  Da^ 
Ds  fNon.  z  18,  esplica  lungamente  il  concetto 
che  il  monarca  universale,  da  lui  sognato, 
deve  possedere,  sopra  le  altre,  la  viitd  della 
giustizia:  appare  quindi  manifesto  die  la  km 
detta  vtra  eiàad$y  ch'egli  deve  discemere,  d 
la  giustizia,  splendore  della  corte  cdest»,  co- 
me rettamente  intese,  tra  gli  antichi,  fl  Buti. 

—  97.  Le  leggi  ecc.  :  d  lo  stesso  pensiero 
espresso  nd  J^trg.  vi  88-89.  —  98.  Valle 
ecc.  Nessuno,  penshò  l'impero  è  oome  vacante 
(cfr.  iWy.  VI  97),  o  il  pontefice,  die  essendo 
costituito  in  massima  dignità  dovrebbe  dare 
agli  altri  fl  buon  eeemplo,  non  sa  distinguere 
le  cose  temporali  dalle  ^irituaU.  —  99.  ra- 
ndnar  eco.  La  legge  mosaica  proibiva  agU 
ebrd  di  mangiare  la  carne  deg^  animali  che 
non  ruminano  e  non  hanno  l' unghia  Ibssa 
(LevU,  ZI  8  e  segg.,  Dmitenm.  xiv  7  e  segg.); 
e  Tommaso  d' Aquino,  Annmo,  p.  I  ^,  qu. 
cn,  art  6,  spiegando  U  significato  aflegoiico 
di  questa  legge,  dice:  e /Mò  «nynha  sigi^ 
flcat  distinctìonem  duorum  testamentorum, 
vd  Patria  et  fiUi,  Td  duarum  natnnmm  in 
(?hrÌ8to,  vd  discretionem  boni  et  maH  ;  m- 
nuSnath  autem  significat  meditationem  Scrip- 
turamm  et  sanum  intelleotum  earum  >  :  dun- 
que Dante  ha  voluto  dire  che  1  pontefid, 
sebbene  siano  sapienti  ndla  conosoenTa  deUa 


PURGATORIO  -  CANTO  XVI 


401 


per  ohe  la  gente,  ohe  sua  guida  vede 
pure  a  quel  ben  ferire  end' eli' è  ghiotta, 
102       di  quel  si  pasoe,  e  più.  oltre  non  ohiede. 
Ben  puoi  veder  ohe  la  mala  condotta 
ò  la  cagion  ohe  il  mondo  ha  &tto  reo, 
105        e  non  natura  che  in  voi  sia  corrotta. 
Soleva  Boma,  che  il  buon  mondo  feo, 
due  soli  aver,  che  l'una  e  l'altra  strada 
108       facean  vedere,  e  del  mondo  e  di  Deb. 

L'nn  l'altro  ha  spento,  ed  ò  giunta  la  spada 
col  pastorale;  e  l'nn  con  l'altro  insieme 
111        per  viva  forza  mal  convien  òhe  vada, 
però  che,  giunti,  l'un  l'altro  non  teme: 
se  non  mi  credi,  pon  mente  alla  spiga, 
114        ch'ogni  erba  si  conosce  per  lo  seme. 
In  sul  paese  ch'Adige  e  Po  riga 
solea  valore  e  cortesia  trovarsi, 


■aora  iciittm»,  Bon  Mimo  lare  la  distinzione 
del  b«BO  •  del  male,  deUe  coio  ipiiitaaU  dalle 
tanponU,  e,  confóndendo  in  t6  le  dne  pote- 
età,  eono  cagione  della  nnirezsale  corrasione 
(ofr.  i  TT.  107-112,  127-129).  —  101.  Fare  a 
«Mi  eoo.  tendere  solamente  a  quei  beni  mon- 
dani, del  qnali  anch' essa  è  desiderosa.  — 106. 
Bea  9«el  eco.  Dunque  la  cagione  della  cor- 
ratela è  il  mal  goremo  dei  pontefici  e  degli 
imperatori,  non  l'inflnensa  delle  stelle  o  la 
cattirm  natoza  de|^  oomlnL  —  106.  e  non 
■ntera  eoo.  <  Con  un  ragionamento  senato, 
in  eoi  non  si  sa  se  pifi  ammirare  la  logica 
stziiigsttle  e  la  fona  dell'  argomentazione  o 
U  TBiletà  e  beOezsa  delle  imagini,  U  poeta 
ci  kn  data  limpida  e  chiara  la  soa  teoria  del 
libero  arbitrio,  e  ne  ha  dedotto  la  necessità 
deDa  monarchia  nnlTemle  e  della  divisione 
del  potere  laico  dal  sacerdote»,  A.  Zenatti, 
LteL,  p.  29.  — 106.  SolOTa  Berna  ecc.  Boma, 
che  dando  ordine  di  leggi  civili  al  mondo  lo 
prepard  ad  accogliere  la  fede  cristiana  (cfr. 
Li/,  n  22,  27),  ebbe  già  nel  passato  le  due 
saune  antoiità,  qneDa  dell'  imperatore  e  qnel- 
U  del  pontefice,  che  come  due  soli  illnmina- 
vaso  aU'  umanità  il  ^**«"n<wo  deUa  vita  tem- 
porale e  della  spiritoale.  Secondo  Dante,  D$ 
«•OA.  m  16,  €opa8  Mt  homini  duplici  dixe- 
ctivo,  eecandnm  dnplioemflnem;  soUicet  sue»- 
«10  ptmHfioe,  qui  seonndnm  revelata  hnmanmn 
gemo»  perdnceiet  ad  vitam  aetemam  ;  et  im- 
qoi  seoondnm  philooophica  dooo- 
k  geoos  homannm  ad  temporalem  feUd- 
dizigeiet».—  109.  L»u  l'altro  ecc. 
I/sntosità  pontificia  si  ò  sovrapposta,  in  Bo- 
ma, aU'Mitnità  imperiale;  la  spada,  segno 
del  potere  dvilei  è  congiunta  ool  pastorale, 

DAim 


segno  del  potere  religioso,  e  i  dnepotad,  te- 
nuti insieme  per  fona,  non  possono  produrre 
se  non  grave  disordine,  perché  essendo  con- 
giunti nella  stessa  persona  è  venutamene  la 
soggezione  reciproca.  — 112.  però  die,  gliall 
ecc.  Buti,  ingenuamente,  ma  con  efficacia  : 
<  quando  li  chexioi  non  ayeano  se  non  lo  spi- 
rituale, temevano  di  fallire  e  di  vivere  diso- 
nestamente, se  non  per  l'amore  di  Dio,  al- 
meno per  paura  de'  seculari,  che  vedendo  la 
loro  mala  vita,  non  denegasseno  loro  le  loro 
elemosine,  e  cosi  li  secolari  temevano  di  fal- 
lire e  vivere  male,  oondderando:  'lo  prelato 
è  ti  diritto  che  non  m'assolverà  ' ;  ora  ve- 
dendo lo  cherioo  dato  a  le  cose  temporali^ 
dice  :  '  Cosi  posso  fare  io  oom'  eUi  '  ;  appresso 
dice:  *Io  posso  prestare  ad  usura  ch'io  las- 
eerò  a  la  chiesa,  e  sarò  assoluto  '  ».  — 118. 
pon  mente  ecc.  considera  gli  effetti  di  questa 
conftisione  dei  due  poteri,  poiché  la  natura 
della  pianta  si  riconosce  dal  ihitto.  È  ricordo 
dell'  evangelico  (Katteo  vn  16  e  segg.)  :  e  Or 
guardatevi  dai  falsi  profeti...  Voi  li  ricono- 
scerete dai  frutti  loro  :  oolgonsi  uve  dalle 
spine,  e  fichi  dai  triboli?  Cosi  ogni  buon  al- 
bero fa  buoni  frutti  ;  ma  l'albero  malvagio  fa 
frutti  cattivi  eoe  ».  —  116.  paese  ch'Adige 
ecc.  la  Lombardia  bagnata  dal  Po  e  dall'Adi- 
ge ;  ma  intesa,  al  modo  antico,  in  pifi  largo 
senso,  per  tutta  l'Italia  superiore:  infatti 
dei  tre  personaggi  ricordati  più  innanzi,  uno 
appartiene  all'  Emilia  e  un  altro  alla  Marca 
Trivigiana  (ofr.  T.  124-126).  —  U6.  vnUttt  e 
eertesin:  sono  le  due  virtd  più  proprie  del 
cavaUere,  il  vaiar»,  virtù  militare,  e  la  eor- 
tesìOy  virtù  dvile  ossia  liberalità  (cfr.  Inf.  xvi 
67);  quelle  virtù  insomma  che  Dante  ammV- 


402 


DIVINA  COMMEDIA 


117       prima  che  Federico  avesse  briga: 
or  può  stcuramente  indi  passarsi 
per  qualunque  lasciasse  per  vergogna 
120       di  ragionar  coi  buoni  o  d'appressarsL 

Ben  y'6n  tre  vecchi  ancora,  in  cui  rampogna 
l'antica  età  la  nuova,  e  par  lor  tardo 
123       che  Dio  a  miglior  vita  li  ripogna: 
Corrado  da  Palazzo  e  il  buon  Gherardo 
e  Guido  da  Castel,  che  me'  si  noma 
126       francescamente  il  semplice  Iconbarda 


lETS  nel  Malaspina  (iWy.  Txn  129),  cfl  pre- 
gio della  bona  e  della  spada  >.  —  117.  prlna 
eco.  prima  dei  contraiti  tra  l'imperatole  7e- 
daiioo  n  (olir.  I%U  x  119)  e  la  Gldeea,  1  qnali 
•1  fTolaeio  ipecialBeBte  nell'Italia n^erioro, 
néUe  lotte  tra  le  Qtttà  gnelii»,  Milano,  Bologna, 
Fìtnaa  eoo.,  e  le  otttà  e  dgnoile  ghibelline, 
come  Cremona,  Modena,  Bnelino  e  Alberico 
da  Romano  eoo.  In  qneete  lotte  ebbero  campo 
di  oresoere  le  pM  fiere  peedoni  partigiane, 
ohe  Airono  nna  déUe  più  potenti  cagioni  della 
oomnlone  :  •  omwtù  già  flalimbene  da  Faiw 
ma,  Okr»  p.  198,  come  €  omnea  anpiadiotas 
partoa  et  eoWmata  et  diviaionei  et  maledi- 
otionee,  tam  in  Toaoia  qnam  in  Lombardia, 
tam  in  Bomagncla  qnam  in  Marchia  aneho- 
nitana,  tam  in  Marchia  tririiina,  qnam  in 
totaltaUa,  fcdt  Friderioaa,  qni  quondam  di- 
otaa  eet  Ìmp«ator:  et  ideo  ralde  bene  Itiit 
pnnitna  >.  —  US.  or  piò  eco.  adeiio  ogni 
malTagio  nomo,  al  quale  la  Tergogna  in^e- 
dlMe  di  oonTemre  ooi  Tirtood  o  anche  eolo 
di  aTTidnanl  ad  eeii,  pad  liberamente  pee- 
fve  per  le  terre  dell'Italia  enpeiiore;  non 
trorerà  ae  non  pochi  nomini  Tirtnoai,  in  con- 
fronto al  qnali  egli  debba  arroaaire.  —  121. 
Bea  T*ta  eoo.  Ben  d  rero  die  virono  nel- 
r  Italia  anpeiiore  tre  rirtaod  nomini,  ma  ap- 
partengono aDa  yecchia  generadone  ;  e  aono 
come  fimproreri  Tlrenti  ohe  la  yecchia  età 
fa  alla  nnoya.  e  A  dimoatrare  che  gentilezza 
e  Tixtd,  come  non  aono  pririlegio  di  caate, 
cosi  non  aon  neanche  priTìlegio  di  parti  po- 
liticlie,  i  tre  Tecchi  lombardi,  che  l'oomo  di 
corte  ghibellina  qui  esatta,  aono  tre  goelfi  >, 
A.  Zenatti,  Ln^  p.  86.  —  122.  e  par  ler 
ecc.  e  ad  eaai  medesimi  increeee  che  Dio 
tardi  tanto  a  richiamarti  a  86.  — 121.  Corrado 
4a  Palatie  i  Corrado  m  da  Palaiso,  di  no- 
bile famiglia  breseiana,  del  qnale  aappiamo 
ohe  fa  vicario  in  Firenae  per  Cario  I  d'Angid 
n^  1276,  capitano  nel  1279  nella  gnerxa  del 
Breaoiani  contro  Trento  e  podeatà  di  Piacenza 
nel  1268,  d  lodato  da  tatti  i  commentatori 
come  nomo  dotato  di  ogni  virtd  caTalleresca  : 
e  portò,  dice  rott,  in  sna  vita  molto  onore, 
dilettoaai  la  beDa  famiglia  ed  in  Tita  poUta, 
In  gofemamenti  di  cittadi,  dove  acquistò 


molto  pregio  e  fhma  >  :  ofr.  0.  Boad,  JOogi 
UtorM  di  bntehtd  OludH,  Breada,  1620, 
pp.  d2-i6.  —  U  Wm  Cfterardot  Gherardo 
da  Camino,  lodato  come  nobUiaaimo  uomo 
anche  nel  Cbftv.  rr  14,  f^  della  fkmig^  che 
raeoolae  nella  Marca  trivigiana  la  dgnoria 
degli  Eczalini  :  egli  ateaao  fti  acclamato  ca- 
pitano generale  di  Treviso  nel  1288,  e  con 
queato  titolo  tenne  il  dominio  di  qneUa  città 
Bino  alla  aoa  morte  avvenuta  nd  1806,  in 
cui  gli  auoceaae  il  figlio  Bizzardo  (cfr.  Ar. 
IX  60).  DeUe  ano  virt6,  oltre  gii  accenni  dd 
cronisti  contamporanal,  abbiamo  taatimonSan- 
ze  nd  commentatori  antidii,  tra  I  qnaU  l'Ott. 
aodve  che  €  d  dilettò  non  tn  una,  ma  In  tutte 
coae  di  valore  >.  81  ofr.  litta,  .9IMI.  esi.  «oL, 
da  aimifM,tav.  H;  D.M.  SMarid,  iXaaarw 
(ew.  imiamo  àOé  mtMt  éar,  pausai,  driia  fo- 
imU$  famlgUa  a  vario  domiaio  ita*  Oamitmi 
neUa  Marca  Triurlgiaaa,  Yeneda,  1789.  — 
126.  Gni4e  4a  Oàatelt  Onido  della  Auiglia 
da  Castello,  uno  dd  tre  rami  Mìa  conaor- 
terfa  dd  Bòberti  di  Beggio,  fk  anch' egU  lo- 
dato come  nobile  uomo  nel  Cbna.  rv  16  :  viaae 
dal  1288  drcaal  1816,  maaeolato  eanqptaalle 
gare  di  parte  In  Beggio,  o  potò  eaaar  ooso- 
aduto  da  Dante  in  Verena,  ove  ripsò  ee- 
aende  atato  caodate  dalla  patria  come  g^ 
bellino  (cfr.  8.  da  Gasata,  Okr.  In  Mur.,  Btt. 
UaL  XXm  2;  0.  Fanali,  G.  da  Oaaltìh  a 
U  XYI 0.  da  PiMrg^  Beggio  1878;  L  Mal»- 
gozzi,  (?.  ita  OiaMo  a  D.jlA^àùH,  ifl,1878, 
e  JVwmwawtf  ttariei,  ivi  1887).  L'Ott  aodve 
di  lui  :  e  Meaaer  Guido  atidlò  In  ononve  li 
valenti  nomini,  che  passavano  per  lo  «•»»■«»»><> 
franceeoo,  e  molti  ne  rimise  in  «valli  ed  ar^ 
mi,  che  di  Francia  erano  paaaatl  di  qua  ono- 
revolmente, [e]  crnianmate  loro  flwnltadl  tor- 
navano meno  ad  amed  di'a  loro  non  d  oon- 
venia,  a  tutti  diede  aensa  aperansa  di  merito 
cavalli,  arme,  danari  >.  —  che  me*  si  «ama 
eoo.  die  meglio  ò  oonosduto  od  aopnineme 
di  atmpfioa  lomòoiKfo,  datogli  al  modo  franceee. 
Ott  !  e  Per  Fianda  di  ano  valore  e  oortaaia 
toL  tanta  fama  che  per  eccellenza  11  valenti 
nomini  il  chiamavano  11  aemplioe  lombardo  >. 
Sopra  le  varie  apiegadonl  di  questa  eqcee- 
aione  cfr.  Zenatti,  ImL  pp.  86  e  66.  — 


PURGATORIO  -  CANTO  XVI 


403 


Di'  oggimai  che  la  Chiesa  di  Eoma, 
per  confondere  in  sé  due  reggimenti, 
129        cade  nel  fango  e  sé  brutta  e  la  soma  ». 
<0  Marco  mio,  diss'io,  bene  argomenti; 
ed  or  discemo,  perché  da  retaggio 
182        li  figli  di  Leyi  furono  esenti: 

ma  qual  Gherardo  è  quel  che  tu,  per  saggio, 
di'  eh' è  rimase  della  gente  spenta, 
135        in  rimproverio  del  secol  selvaggio  ?  > 
«  0  tuo  parlar  m'inganna  o  e'  mi  tenta, 
rispose  a  me,  che,  parlandomi  tòsco, 
188       par  che  del  buon  Gherardo  nulla  senta: 
per  altro  sopranome  io  no  1  conosco, 
s'io  no  '1  togliessi  da  sua  figlia  Gaia; 
141        Dio  sia  con  voi,  che  più  non  yegno  vosco. 
Vedi  l'albór  che  per  lo  fummo  raia 
già  biancheggiare,  e  me  convien  partirmi, 
l'angelo  ò  ivi,  prima  ch'io  gli  appaia  >. 
145    Cosi  tornò,  e  più  non  volle  udirmi 


127.  UT  oggimal  eoo.  To  pool  onnai  oon- 
dndoie  ohe  la  Chiesa  romana,  per  la  oonfti- 
skiDe  che  là  in  sé  dei  due  poteri,  cade  nel- 
l'aTTÌlimento  e  disonora  86  stessa  e  qnel 
potare  ci?ile  ohe  essa  nsnipa.  —  181.  ed  or 
eoe.  od  ora  comprendo  perdio  I  discendenti 
di  Lori  o  Leviti,  presso  i  quali  era  l'autorità 
sacerdotale,  furono  esdnsi  dal  possesso  dei 
beni,  dovendo  essi  attendere  ai  ministero  spi- 
ritnale  (otc.  Nmmtri,  xvm  20,  Oiosoò  xm  14, 
zn  l-à).  —  184.  gSBfte  speaU  :  la  genera- 
doaedea'oNMM  dà  (t.  122).  — 185.  te  rlm- 
frervilo  eoe.  a  rampogna  della  proeente  ge- 
necaiione,  priva  delle  virtd.  —  selvaggio: 
Ott.:  «dbe  viro  viziosamente  e  con  peccato». 
—  186.  O  tae  ecc.  Uaroo  si  mexavigUa  che 
Dante  non  abbia  capito  saUto  che  il  btwn 
Ohtntrdo  ò  U  signore  di  Treviso,  notissimo 
in  Toecan*  ;  e  perdo  gli  dice  :  o  io  non  ca- 
pjsoo  le  toe  parole  o  esse  sono  dette  per  mno- 
vend  a  dire  altre  cose  intomo  a  questo  Ghe- 
iBido.  —  138.  par  che  eco.  Della  notorietà  di 
Ohecardo  da  Gemino  in  Firenze,  nata  certo 
daDe  eoe  relazioni  con  i  Donati,  d  sono  do- 
cumento le  Nov,  <mL  (ed.  Boi^ghini,  n.*  xv), 
ove  d  nana  di  Ini  die,  poco  prima  di  mo- 
rire, prestò  osa  egregia  somma  di  denari  a 
Oofso  Donati,  il  qtuJe  poi  nel  1806  fu  pode- 
stà di  Treviso  (efir.  Dd  Lnngo,  I  696-7,  Il 
477).  —  188.  per  altre  ecc.  Non  saprei  chia- 
mado  attximentl  che  il  èwm  Oherardo,  a  meno 
die  non  tog^iesd  da  soa  figlia  Gaia  un'  altra 
ft^^^j^r^  d'indicado,  chiamandolo  Upadndi 
Omia,  —  140.  da  sna  llgliat  Gaia,  figlia  di 


Gherardo  da  Camino  e  di  Chiara  della  Torre, 
sposò  un  irao  parente,  Tolberto  da  Camino,  e 
mori  nd  1311:  cfir.  Litta,  L  dt  ;  N.  Baxcszi, 
Aoommiaeosó  vmeU  in  DanUé  •  il  tuomeoio, 
p.  804  ;  P.  Bigna,  Cfaia  da  OaumnOt  néH'Areh, 
8ior.  ital,,  6»  serio,  -  voi.  IX,  pp.  284  e  segg.  ; 
A.  Zenatti,  Ltot,  pp.  88-41, 66-68.  Di  Id  dice 
il  Lana  :  e  Fa  donna  di  tale  reggimento,  dica 
le  delettadoni  amorose,  ch'era  notorio  il  sao 
nome  per  tntta  Itdia  »  ;  ohioea  equivoca,  che 
forse  trasse  in  inganno  Bnti,  An.  fior.,  Land., 
VelL,  Dan.,  i  qnali  lodarono  Gaia  di  padici- 
zia  e  di  onestà.  Benv.  attesta  che  la  figlia 
di  Gherardo  ta  al  modo  delle  trevisane  (of^. 
Bit.  zz  82)  di  Ucenzicd  costomi  e  scrive  : 
<  Ista  enim  erat  famosissima  in  tota  Lom- 
bardia, ita  qnod  nbiqoe  dioebatnr  de  ea:  *  Mn- 
Her  qoidem  vere  gaia  et  vana  ',  et,  nt  bre- 
viter  dioam,  tarvisina  tot»  amorosa,  qnae  di- 
cebat  domino  Bizardo  fratti  suo  :  *  Frocnra 
tantom  mihi  iavenes  prooos  amorosos,  et  ego 
procarabo  tibi  paellas  fìormosas  '  :  molta  io- 
cosa,  sdens,  praetoreo  de  foemina  lata,  qnao 
dioere  pador  prohibet  >.  Manifestamente  la 
figlia  d  ricordata  qai  in  opposizione  d  padre 
virtaoeo,  e  però  la  chiosa  di  Benv.,  cui  non 
s'oppone  quella  del  Lana,  è  la  migliore.  — 
142.  Tedi  eco.  Vedi  il  chiarore  dell'angelo, 
cho  già  raggia  traverso  il  ftuno  ;  io  devo  d- 
lontanarmi  prima  ch'egli  mi  veda.  -  144. 
l'aagflo  I  l'angelo  della  paco  :  cfr.  Purg.  zvu 
46-69.  —  146.  Oosf  ecc.  Cosi  ritotnò  indie- 
tro, senza  férmard  ad  aspettare  risposta  a 
dò  ch'egli  m'avea  detto. 


404 


DIVINA  COMMEDIA 


CANTO  XVII 


Uscito  dal  tono  con  Virgilio,  Dante  ha  la  visione  di  alcun!  esempi  dM- 
racondia  punita;  poi  all'inylto  dell'angelo  della  pace  !  due  poeti  salgono 
verso  il  quarto  cerchio  :  pervenuti  sul  ripiano  di  esso,  Virgilio  espone  la 
teorica  delP  amore  per  spiegare  il  sistema  morale  della  partizione  del  pur- 
gatorio [11  aprile,  dopo  le  ore  sei  pomeridiane]. 

Eicorditi,  lettor,  se  mai  nell'alpe 
ti  colse  nebbia,  per  la  qual  Tedessi 

8  non  altrimenti  che  per  pelle  talpe; 
come,  quando  i  vapori  umidi  e  spesai 

a  diradar  cominciansi,  la  spera 
6       del  sol  debilemente  entra  per  essi; 
e  fia  la  tua  imagìne  leggiera 
in  giugnere  a  veder  com'io  rividi 

9  lo  sole  in  pria,  ohe  già  nel  corcare  era. 
Si,  pareggiando  i  miei  co'  passi  fidi 

del  mio  maestro,  uscii  fuor  di  tal  nube, 
12        ai  raggi,  morti  già  nei  bassi  lidi. 
0  imaginativa,  che  ne  rube 


XVn  1.  Bieoraia  eoo.  Ventali  117  :  e  Co- 
stmiid:  Se  mai,  o  lettore,  eoli' alpe  ti  colse 
nebbia,  per  coi  ta  non  potessi  vedere  te  non 
come  vede  la  talpa  a  traverso  la  pellioola 
ohe  ha  sogli  occhi;  ricordati  come  i  raggi  del 
sole  entrano  debilmente  per  gli  amidi  e  spossi 
vapori,  quando  qaesti  cominciano  a  diradarti  ; 
e  fMilmente  intenderai  ecc.  CIÒ  per  dire  ohe 
il  poeta  nsoendo  dal  tristo  ftamo,  in  cai  stan 
chiosi  gl'iraoondi  nel  teno  ceroliio  del  Par- 
gatorio,  rivide  il  sole  vicino  al  tramonto, 
qoasl  ravvolto  da  fitta  nebbia.  Evidente  nel- 
r  imagine,  benché  nn  po'  involata  nella  lo- 
cazione, è  la  similitadine  >.  —  nell'alpet 
Benv.  :  <  nota  qood  lioet  Alpes  sint  diversae 
in  divexsis  partibas  mandi,  tamen  forte  poeta 
noster  loqaitor  de  Alpe  Apennini,  et  de  ea 
parte  qnae  est  Inter  Bononiam  et  Florentiam, 
ahi  ftierat  ezportas  istam  casam,  sicat  et  ego 
recordatas  som  istias  dicti,  dam  simili  modo 
nebala  ocoapasset  me  in  dieta  Alpe  >.  •«  8. 
per  peUe  talpe  :  è  noto  che  secondo  gli  an- 
tichi naturalisti  la  talpa  avrebbe  l'occhio  ri- 
coperto  di  ona  sottile  pellicola;  e  veramente 
la  saa  papilla  è  velata  da  una  tale  pellicola,  ^ 
ma  ha  an'  i^ertara  piccoUssima  per  la  quale  * 
l'animale  può  vedere.  —  4.  1  rapori  ecc.  i 
vapori  della  nebbia,  che  sono  tanto  piA  densi 
quanto  ossa  appare  più  fitta.  —  5.  la  spera 
del  sol  :  i  ra^  luminosi  del  sole.  —  7.  e 
fla  la  tva  ecc.  e  la  tua  imaginazione  sariH 


facilmente  in  grado  di  anivare  a  Intenden 
come  a  me,  ohe  stavo  per  uscire  dal  Aimo, 
apparisse  il  sol^  da  occidente.  —  9.  ael  eor- 
eare  era  s  era  prossimo  al  tramonto,  poiohó 
erano  le  ore  sei  pomeridiane  dell*  11  aprile  : 
cfr.  Moore,  p.  109.  —  la  8<^  paregglasAe 
ecc.  Cosi,  dod  a  questa  scarsa  luce  solare, 
seguendo  di  pari  passo  Virgilio,  uscii  dalla 
nuvola  di  fumo  alla  vista  dei  raggi  del  sole,  i 
quali  non  illuminavano  più  i  bassi  lidi,  la 
pianura  dell'isoletta,  ma  solo  l'alto  della  mon- 
tagna. —  18.  O  IsaglaatiTa  eoo.  Entrando 
nel  terzo  cerchio  Dante  ha  avuto  visioni  di 
esempi  di  mansuetudine  (Purg,  xv  8&-1U); 
prima  d'uscirne  egli  vede  in  estasi  eeempi  di 
iracondia  punita:  di  quelli,  due  sono  tratti 
dalla  leggenda  cristiana  (Maria  e  SteCano)  e 
uno  dalle  tradizioni  classiche  (Pisistrato)  ;  di 
questi  due  sono  di  materia  classica  (Progne 
e  Amata)  e  uno  di  materia  biblica  (Haman). 
—  ae  rube  eoo.  ci  togli  alle  impressioni  eateme 
si  che  il  risonare  di  mille  trombe  non  baste- 
rebbe a  fsroi  accorti  di  ciò  che  succede  intonto 
a  noi.  Sebbene  i^partenga  più  alla  leggenda 
che  alla  storia  dantesca,  d  da  richiamare  qui 
l'aneddoto  riferito  dal  Bocc.,  Vita  di  Dante 
I  8  :  <  Secondo  che  alcuni  degni  di  fede  rac- 
contano di  questo  darsi  tutto  a  cosa  che  gli 
piacesse,  egli  Pante]  essendo  una  volta  tra 
le  altre  in  Siena,  e  avvenutosi  per  accidente 
alla  stazzone  d' uno  speziale,  e  qoivi  statogli 


PURGATORIO  -  CANTO  XVII 


405 


tal  volta  si  di  fuor,  ch'uom  non  s'accorge, 
15       perché  d'intorno  snonìn  mille  tube, 
cbi  mnoye  te,  se  il  senso  non  ti  porge? 
Maoyeti  lume,  che  nel  del  s'informa 
18       per  sé  o  per  voler  che  giù  lo  scorge. 
Dell' empiezza  di  lei,  che  mutò  forma 
nell'ucoel  che  a  cantar  più  si  diletta, 
21        nell'imagine  mia  apparve  l'orma: 
e  qui  fu  la  mia  mente  si  ristretta 
dentro  da  sé,  che  di  fuor  non  venia 
24        cosa  che  fosse  allor  da  lei  recetta. 
Poi  piovve  dentro  all'alta  fantasia 
un  crocifisso,  dispettoso  e  fiero 
27       nella  sua  vista,  e  cotal  si  moria: 
intomo  ad  esso  era  il  grande  Assuero, 
Ester  sua  sposa  e  il  giusto  Mardocheo, 


recato  mio  libretto  daTanti  promeMOgli,  e 
tzm*  Talenti  uomini  molto  Dunoso,  né  da  lai 
•tato  giammai  rodato;  non  arendo  per  ar- 
yentoia  apazlo  di  portarlo  in  altea  parte,  io- 
pra  la  panoa  ohe  davanti  allo  ipeziale  eia,  li 
pnoee  col  petto,  e  meieoai  O  litoetto  daranti, 
qoeOo  copidiMimamente  oomindd  a  Tedexe; 
e  oome  ohe  pooo  appresso  in  qaeUa  contrada 
■tassa,  dinanxi  da  Ini,  per  alcana  general  fo- 
lta de'  sanasi  si  oominHssse  da  gentil  giovani 
e  Caoesse  ana  grande  armeggiata,  e  con  qaeUa 
grandissimi  lomori  da'  circostanti,  siccome  in 
eoCal  casi  con  istramentl  rarii  e  con  Tod  ap- 
pìandanti  sad  farsi,  e  altre  ooee  assai  T'av- 
venissero da  dover  tirare  altrol  a  vedersi, 
giooome  balli  di  vaglie  donne  e  giuochi  molti 
di  giovani  ;  m^  non  fu  alcuno  ohe  muovere 
quindi  il  vedesse,  né  alcuna  volta  levar  gli 
occhi  dal  libro  ».  —  16.  ehi  maoTe  ecc.  che 
cosa  mai  là  operare  l' imaginazione,  quando  i 
tensl  le  porgono  alcun  obbietto?  —  17.  Mao- 
veti  ìrnmt  eco.  L' imaginazione,  quando  non 
è  mossa  dalle  percezioni  doÌ  sensi,  è  mossa 
da  un  hmUf  da  una  fona  la  quale  prende 
forma,  i^ooedo  dal  dolo,  o  peràéf  doò  natu- 
lafaBonte,  per  la  naturale  inflaenza  degli  astri, 
o  jMT  toùre,  per  una  particolare  volontà  di 
Dio  che  la  manda  ad  operare  sull'uomo.  — 
19.  Dell*  CMplessa  eco.  La  prima  visione 
avuta  da  Dante  fu  quella  di  Progne,  figlia 
di  Fandione  re  d'Atene  e  moglie  di  Tereo  re 
di  Tracia  :  la  leggenda  raccolta  da  Ovidio, 
UtL  VI  412-676,  racconta  che  Tereo  violò 
Ukunela,  sorella  di  Progne,  e  che  questa  per 
Tendatta,  seguendo  l' impulso  di  un'  ira  bru- 
tale, dio  a  mangiare  al  marito  carne  del  lor 
igliuolo  Iti  ;  finché  gli  dèi  a  punire  tante 
•eeOerateaze  trasformarono  Tereo  in  upupa, 
e  le  due  donne  l' una  in  usignuolo,  1*  altra 


in  rondine:  i  mitogiail  e  poeti  gied  dicono 
che  in  rondine  f^  cambiata  Filomela,  in  un 
usignuolo  Progne:  i  latini  invece  fumo  di 
Filomela  un  usignuolo,  e  di  Progne  una  ron- 
dine (efr.  Virgilio,  Buò,  ti  78,  Otofg.  r?  16, 
611;  Ovidio,  JLtnor.  n  6,  7-10,  Marziale  ziv 
78  eoe).  Dante  segue  Ovidio  rappresentando 
Progne,  come  dominata  dall'ira  o  mnpinata 
(cfr.  JM.  VI  610,  628),  ma  poi  si  accorda  coi 
mitogiail  ohe  la  dicono  trasformata  in  usi- 
gnuolo, doò  nell'uccello  che  a  cani» più  ti 
diletta  :  invece  la  rondine  è  la  trasformazione 
di  Filomela,  die  veramente  secondo  la  leg- 
genda ebbe  a  provare  i  maggiori  piai,  cui  il 
nostro  poeta  accenna  in  Purg.  ix  16.  Su  tutto 
dò  cfr.  D' Ovidio,  pp.  679-681 ,  e  Moore,  I 
209-210.  —  22.  e  «ni  tm  eco.  la  mia  mente 
si  restrinse,  si  raccolse  tanto  in  aé  stessa  su 
questa  visione  che  non  percepì  più  nulla  di 
dò  che  accadeva  di  f^iori  :  cf^.  w.  18  e  segg. 
—  26.  Poi  plOTVt  ecc.  D  secondo  esempio  ò 
quello  di  Haman,  del  quale  nana  lungamente 
la  bibbia  {Ester  m-vn),  come  essendo  nel  fa- 
vore del  re  persiano  Assuero  avesse  grande 
ira  contro  Mardocheo  e  volesse  farlo  impic- 
care; se  non  che  la  regina  Ester  scopri  al 
re  le  grandi  soelleratozze  di  Haman,  e  cosi 
questi  fu  impiccato  al  legno  che  aveva  fatto 
apprestare  per  il  suo  awerssiio  :  cfr.  Moore, 

I  76.  —  28.  11  grande  Assuero!  mitico  re 
dei  Persiani,  il  quale  (Ester  i  1)  <  regnava 
dall'India  fino  in  Etiopia,  sopra  centoventi- 
sette  provinde  >.  —  29.  Ester  i  la  bellissima 
fandolla  ebrea,  che  il  re  Assuero  elesse  per 
moglie  e  regina,  essendo  rimasta  oltana  era 
stata  allevata  da  Mardocheo,  suo  zio  {Eeter 

II  6  e  segg.).  —  il  giasto  Mardechee  ecc.: 
Mardocheo  è  rappresentato  nel  lAbro  di  Btter 
come  uomo  giusto  e  di  grande  rettitudine, 


406 


DIVINA  COMMEDU 


80       che  fu  al  dire  ed  al  far  cosi  intero. 
£j  come  questa  imagine  roxnpeo 
sé  per  sé  stessa,  a  guisa  d'una  bulla 
83       cui  manca  P  acqua  sotto  qual  si  feo, 
surse  in  mia  visione  una  fiemciulla, 
piangendo  forte,  e  diceva:  <  0  regina, 
86        perché  per  ira  hai  voluto  esser  nulla? 
Ancisa  t'hai  per  non  perder  Lavina; 
or  m'hai  perduta;  io  son  essa  che  lutto, 
89       madre,  alla  tua  pria  eh' all' altrui  ruina». 
Come  si  frange  il  sonno,  ove  di  butto 
nuova  luce  percote  il  viso  chiuso, 
42       che  fratto  gnizza  pria  ohe  muoia  tutto; 
cosi  l'imagìnar  mio  cadde  gìuso, 
tosto  eh' un  lume  il  volto  mi  percosse, 
45        maggiore  assai  che  quello  eh' è  in  nostr'uso. 
Io  mi  volgea  per  vedere  ov'io  fosse, 
quand'  una  voce  disse  :  «  Qui  si  monta  »,      e 
48        che  da  ogni  altro  intento  mi  rimosse; 
e  fece  la  mia  voglia  tanto  pronta 
di  riguardar  chi  era  che  parlava, 
61        che  mai  non  posa,  se  non  si  raffronta. 


oosf  nel  pailaie  come  nell'operaie.  •»  81. 
rompeo  9é  eoe.  •*  interrappe  di  per  sé  steesa, 
senza  che  alcnn  fktto  esteriore  veniase  a  ri- 
chiamar Dante  alla  realtà.  —  82.  s  ^Ita 
ecc.  come  si  rompe  la  bollicina  dell'  aoqna, 
qnando  l' aria  di  sotto  infrange  il  sottile  velo 
dell'acqua  che  la  ricopre.  —  84.  sorse  In 
min  eoe.  La  terza  visione  è  quella  del  soi- 
cidio  di  Amata,  moglie  del  re  Latino  e  ma- 
dre di  Lavinia  :  Dante  imagina  di  vedere  in 
sogno  la  giovinetta  Lavinia  che  piangeva  la 
madre,  la  quale,  credendo  ucciso  Turno  re 
dei  Butuli  e  la  figliuola  data  in  isposa  ad 
Enoa,  si  era  con  furore  disperato  appiccata 
alle  travi  del  letto  (cfr.  Virgilio,  JEh.  xn  595 
e  segg.)-  —  86.  esser  nella;  annientarti, 
tcglìerti  la  vita.  --  88.  lo  son  essa  eco.  ed 
io  sono  Lavinia,  che  piango,  madre,  prima 
per  la  tua  morte  che  per  quella  di  Turno, 
cui  ero  promessa  sposa.  —  latto  :  il  vb.  hd- 
tarOf  di  cui  non  mancano  esempi  anche  nella 
prosa  antica,  ò  formato  sul  lat  hteius  e  si- 
gnifica plorare,  piangere.  —  40.  €enM  si 
frange  ecc.  Dante,  rapito  in  estatiche  visio- 
ni, 6  richiamato  alla  realtà  dalla  luminosa 
apparizione  di  un  angelo,  alla  stessa  guisa 
che  l'uomo  addormentato  si  sveglia  se  una 
viva  luce  viene  a  colpire  d'improvviso  gli 
occhi  chiusi.  La  stessa  comparazione  ò  in 
Par,  XXVI  70.  —  di  bettn  t  ofr.  B%f,  xxxv 
105.  —  43.  che  frattt  eoo.  Yentori  288: 


€  Piena  d'evidenza  è  l'imaglne  del  toono, 
ohe  prima  di  svanire  del  tutto  par  ehe  ftigga 
e  tomi,  quasi  combattendo  sulle  palpebre  con 
la  vigilia.  VirgiHo  del  oomindiff  del  sonno 
dice:  Quie»  mortalibu$  megris,,,  graiiukmi 
Mrpit  (En.  II 268):  Dante,  del  troncarsi,  pite- 
la. Bello  in  ambedue  :  ma  forse  con  maggior 
efficacia  il  nostro  poeta  trae  dal  veloce  moto 
de'  peed  cotesto  traslato,  e  lo  adatta  qni  al 
sonno,  come  altrove  alla  fiamma  che  s*  agita 
(Inf,  xxvn  17),  e  alla  vibrazione  deOa  corda 
sonora  oscillante  (Air.  xx  148).  E  se  bene 
appropriato  è  alle  cose  materiali,  non  meno 
è  all'  itnaginan^  ì  cui  atti  interni  si  foggiano 
in  modi  infiniti,  e  spesso  inawertilaniente 
rapidissimi  ».  —  46.  maggiere  nstnl  ecc. 
molto  più  vivo  del  lume  del  sole  :  è  la  luce 
dell'  angelo  (cfir.  w.  55-67).  ^  47.  nnn  tm* 
eco.  È  la  voce  dell'  angelo  del  terso  cerchio 
che  invita  i  due  visitatori  a  salire  per  la  eeala 
che  conduce  al  quarto  (cf^.  JFWy.  zn  92,  xv 
85).  —  48.  f  he  da  ogni  ecc.  la  qnal  voce 
rimosse  la  mia  mente  da  ogni  altro  pensiero. 
—  60.  eU  em  eoo.  pendié,  oome  la  sna  hioe 
superava  quella  del  sole,  oosf  la  sua  Tooe 
era  più  ohe  umana.  — 5L  ehe  ani  eoo.  Lonb. 
spioga  :  €  che  mai  posata  non  si  sarebbn,  se 
non  si  fòsse  raffrontata,  incontrata,  trovata 
a  fhmte  dell'  oggetto  amato  >  ;  meglio  il  fiiag. 
e  il  Bianchi  tengono  ohe  Dante  aocenni  in 
generale  il  carattere  di  un  desiderio  intana^ 


PURGATORIO  -  CANTO  XVn  407 


Ma  come  al  sol,  che  nostra  vista  grava, 
e  per  soperchio  sua  figura  vela, 
54        cosi  la  mia  virtù  quivi  mancava. 
«  Questi  è  divino  spirito,  che  ne  la 
via  d'andar  su  ne  drizza  senza  prego 
57       e  col  suo  lume  sé  medesmo  cela. 
Si  &  con  noi,  come  l*uom  si  £a  sego; 
che  quale  aspetta  prego,  e  Puopo  vede, 
60       malignamente  già  si  mette  al  nego. 
Ora  accordiamo  a  tanto  invito  il  piede: 
procacciam  di  salir  pria  che  s'abbui, 
63       che  poi  non  si  porla,  se  il  di  non  riede  ». 
Cosi  disse  il  mio  duca,  ed  io  con  lui 
volgemmo  i  nostri  passi  ad  una  scala; 
66        e  tosto  ch'io  al  primo  grado  fui, 
senti'  mi  presso  quasi  un  mover  d'ala, 
e  ventarmi  nel  viso,  e  dir  :  e  Beati 
69       pacificij  che  son  senza  ira  mala  ». 
Già  eran  sopra  noi  tanto  levati 
gli  ultimi  raggi,  che  la  notte  segue, 
72       che  le  stelle  apparivan  da  più  lati. 
€  O  virtù  mia,  perché  si  ti  dileguo?  » 
fra  me  stesso  dicea,  che  mi  sentiva 

e  pelò  interprotano  :  «  ohe  qmndo  la  voglia  tanto  cortese  con  noL  —  62.  pria  ooo.  pri- 

ò  a  tal  Mgno,  mmpo$afnai^  non  b' acquieta,  ma  ohe  scompaiano  gli  aitimi  bagliori  del 

m  nei»  ti  raffronta,  le  non  Tiene  a  fronte  crepuscolo  ;  cfr.  Hoore,  p.  110.  —  63.  poi 

con  la  cosa  o  persona  bramata  >.  —  52.  Ma  MB  si  porfa  ecc.  :  cfr.  Purg,  vn  4A,  63-60. 

•«■•  eoe  Ma  la  mia  virtù  Tisira  maneavaf  —  67.  santf*  mi  presio  eco.  :  è  il  movimento 

non  poteva  sostenersi,   innanzi  all'angelo,  delle  ali  dell'angolo,  che  agita  l'aria  e  cosi 

come  in  generale  la  vista  umana  non  si  so-  toglie  dalla  fronte  di  Dante  un  altro  dei  se- 

stiene  innansi  al  sole,  ohe  la  opprime  e  per  gni  dì  peccato,  mentre  dice  un'  altra  delle 

la  luco  eccessiva  le  nasconde  la  sua  figura,  beatitudini  evangeliche.  —  68.  Beati  pacl- 

—  66.  Qvestl  è  eco.  Virgilio  interviene  a  Ilei  ecc.  È  una  dichiaradone  delle  parole  di 
spiegare  a  Danto  quella  splendente  appari-  Gtesù  Cristo  (Matteo  v  9)  :  >  Beati  i  pacifici, 
clone  •  gii  dice  die  ò  un  angelo,  il  quale  perciocchó  saranno  chiamati  figliuoU  d'Id- 
eenz*  aspettare  preghiere  insegna  loro  la  via  dio  »  ;  dichiarazione  resa  necessaria  dalla  di- 
per  salire  e  si  nasconde,  come  creatura  beata,  stinzione  che  i  teologi  fecero  dell'  tra  bona, 
nel  suo  pcoprio  ftilgore.  —  ne  la:  cf^.  Par.  ohe  è  secondo  ragione,  e  dell'ira  nutla,  che 
XX  13.  ^  87.  e  eoi  sue  Urne  ecc.  :  si  noti  ò  fuori  di  ragione  (cfìr.  Gregorio  Magno,  ito- 
la piena  oerriq^ondenza  tra  questo  e  il  v.  68.  ral,  v  80,  Tommaso  d'Aquino,  Summaf  p.  II 

—  68.  8£faeeB  nel  ecc.  Quest'angelo,  ani-  2^,  qu.  clvui,  art.  1-8).  —  70.  Già  eran 
nato  da  verace  spirito  di  carità,  opera  ri-  ecc.  Qli  ultimi  raggi,  che  il  sole  già  tramon- 
■petto  n  noi  oon  quell'amore  spontaneo  che  tato  mandava  alla  terra,  già  illuminavano 
r  noBso  pratica  verso  86  medesimo  :  d  un  con-  solo  la  cima  e  le  parti  più  aito  della  monta- 
eetto  xiftBSSo  da  notissimi  precetti  evangelici  gna,  tanto  che  da  piti  parti  incominciavano 
(Loca  VI  81,  Matteo  vn  12,  Marco  xn  81).  ad  apparire  le  stelle,  non  velato  dalla  luce 

—  seg*  t  seco.  —  69.  qnale  aspetta  ecc.  del  crepuscolo.  —  78.  O  vlrttf  ecc.  Danto 
l'uomo,  ohe  vedendo  il  bisogno  altrui  aqwtta  incomincia  a  sentirai  mancare  la  forza  per 
di  eesare  prsgato,  si  prepara  già  maligna-  continuare  il  cammino,  non  già  per  stan- 
mento  a  non  porgete  il  suo  aiuto.  —  61.  ae-  chezza,  ma  perché  si  ùl  notte  e  per  la  note 
eerdlaaia  ecc.  inoomindamo  a  salire,  accet-  legge  del  puigatorio  e  salir  su  di  notte  non 
tando  000^  l'invito  dell'angelo,  che  è  steto  ^i  puoto»  {Pwrg,  vu  44):  perdo  dice  ch^  l^ 


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DIVINA  COMMEDIA 


75        la  possa  delle  gambe  posta  in  tregue. 
Noi  erayam  dove  più  non  saliva 
la  scala  su,  ed  eravamo  affissi, 
78       pur  come  nave  ch'alia  piaggia  arriva; 
ed  io  attesi  un  poco  s*io  udissi 
alcuna  cosa  nel  nuovo  girone, 
81        poi  mi  volsi  al  maestro  mio  e  dissi: 
<  Dolce  mio  padre,  di'  quale  offensione 
si  purga  qui  nel  giro,  dove  semo: 
84       se  i  piò  si  stanno,  non  stea  tuo  sermone  ». 
Ed  egli  a  me:  €  L'amor  del  bene,  scemo 
di  suo  dover,  quiritta  si  ristora, 
87        qui  si  ribatte  il  mal  tardato  remo: 
ma  perché  più  aperto  intendi  ancora, 


po89a  delle  gambe  era  come  tospeta  o  oeesata 
temporaneamente,  potia  tn  ingve.  —  77.  era- 
jàMù  afllail  eoo.  eravamo  rimatti  immobili, 
oome  le  nari  ohe,  arrivando  in  porto,  ai  fer- 
mano alla  riva.  —  80.  mèi  avevo  glroaet 
nel  quarto  cerchio,  ove  sono  le  anime  degli 
aoddioiL  »  81  offlBBiloBe  t  è  il  peccato, 
considerato  come  un'  offesa  a  Dio.  —  84.  se 
1  pie  eoo.  se  non  possiamo  oontinnare  il  cam- 
mino, almeno  parlami  e  ammaestrami  snlla 
oondidone  di  qaesto  luogo;  cfr.  i^f*  zi  IS- 
IS. —  86.  Ed  egli  eco.  Yiigìlio  risponde  alla 
domanda  di  Dante  con  una  lunga  digressione 
intomo  alla  natura  d' amore  ;  digressione  che 
fu  filosoficamente  illustrata  da  B.  Varchi,  Le- 
%wni  mU  Danle^  Firenze,  1841,  voi.  I,  pp.  117- 
166,  e  dal  Tomm.  nei  due  discorsi  annessi  a 
questo  e  al  seguente  canto.  La  dottrina  dan- 
tesca ò  cosi  riassunta  ed  spoeta  dal  Poletto, 
Pt».  I  45  :  <  L' animo  è  fatto  naturalmente 
per  amare,  ond'ha  una  natorale  tendenza  a 
tutto  quello  che  piace,  e  questa  tendenza  la 
si  ravvisa  subito  che  fl  piacere  lo  risveglia 
aU'atto.  La  facoltà  intellettiva  ritrae  1*  i- 
magine  dell'oggetto  reale  esteriore,  la  pone 
dinanri  all'  anima  e  la  svòlge,  finché  v*  abbia 
attratto  l' attenzione  di  lei.  Ora,  l' amore  al- 
tro non  è  ohe  questa  tendenza  o  abbandono 
dell'  anima  sull'  imagine  dell*  oggetto,  e  oosl 
viene  ad  essere  natura  stessa  dell'  anima,  na- 
tura che  di  nuovo  si  lega  nell'  uomo  per  vlrtd 
del  piacere.  Di  vero,  il  primo  legame  dell'a- 
nimo ooUa  natnra  è  di  avere  questa  disposi- 
rione  ad  amare,  e  la  natura  di  nuovo  con 
esso  animo  si  unisce.  Quindi,  in  quella  ma- 
niera che  il  faoco  tende  sempre  in  alto  per 
Tirt6  dolla  sua  forma  o  essenza  (che  è  nata 
a  salire),  per  egual  modo  l'animo  preso  dal 
piticere  entra  nel  desiderio,  che  è  moto  non 
materiale  come  quello  del  fuoco,  ma  spiri- 
tuale ;  e  si,  che  piò  non  s' acquieta  se  prima 
non  giunge  in  possesso  della  cosa  amata.  Da 


tutto  questo  risulta  erronea  l'opinione  dì  co- 
loro ohe  credono  eh'  ogni  amore  sia  in  86  lo- 
devole, fono  perché  la  materia  dell'  amore 
(doè  oodesta  disposizione  ad  amare)  è  sem- 
pre buona:  ma  posto  pur  ciò,  non  è  buono 
ogni  amore,  come  non  ò  buona  ogni  figura 
che  si  suggelli  od  imprima  neDa  cera,  anco 
se  la  cera  sia  buona.  Ma  tale  tendenza  ad 
amare  non  nuoce  alla  libertà  dell'arbitrio? 
non  mai,  perché  ci  è  dato  la  fìscoltà  dol  di- 
soemere,  ci  è  dato  la  ragione,  onde  poesiamo 
acconsentire  o  no  a  tali  allettativi.  I  filosofi, 
anco  pagani,  riconobbero  questa  innata  libertà 
nell'uomo,  e  perdo  stabilirono  la  moralità 
delle  azioni,  e  la  responsabilità  dell'operan- 
te; poiché,  se  tale  libertà  non  fosse  nell' uo- 
mo, sarebbero  una  manifesta  ingiustizia  si  i 
premi  che  i  castighi  >.  —  a«er  del  beae 
eco.  amore  divino  difettoso  della  dovuta  sol- 
lecitudine, definisce  il  poeta  l' aoddia,  aooor- 
dandosi  con  Tommaao  d'Aquino,  Ammuo,  p. 
I,  qu.  Lxm,  art  2  :  <  Aoddia...  est  quaedam 
tristitia  qua  homo  reddltor  tardos  ad  spiri- 
tnales  actus  proptar  ooiporalem  laborem  >. 

—  86.  «mlrltUi  oft.  Pmg.  iv  125.  —  si  ri- 
stora: Buti:  e  Quando  s'ama  Iddio  e  le  virté 
si  eserdtano  et  amansi  oon  minor  cura  che 
non  si  de',  in  questo  quarto  girone  si  ram- 
menda ;  imperò  ohe  quivi  d  purga  Io  peccato 
de  l'acddia,  et  aoddia  è  esser  negligente  al 
bene  ».  —  87.  qui  si  rlkatts  eeo.  qui  d  gua- 
dagna con  la  diligente  soUedtudine  dò  che 
d  ò  perduto  per  la  negligente  trascuratezza; 
oome  il  navigante  battendo  oon  maggiore  ce- 
lerità i  remi  riacquista  il  tempo  perduto  oon 
la  lentezza  del  vogare,  od  mal  tardato  remo, 

—  88.  ma  psreké  eoo.  NeU' indugio  ohe  i  due 
vidtatori  fecero  prima  d'uscire  dal  sesto  cer- 
chio infemsle  "^^rgilio  aveva  spiegato  a  Dante 
il  sistema  motale  dell'inferno  (ofr.  .fii/*.  zi  16 
e  segg.);  ndla  loro  fermata  nd  quarto  cer- 
chio del  purgatorio,  espone  al  disoepoto  fl  si- 


J 


PURGATORIO  -  CANTO  XVH  409 


volgi  la  mente  a  me,  e  prenderai 
90       alcun  buon  frutto  di  nostra  dimora  ». 
€  Né  creator  né  creatura  mai, 
cominciò  ei,  figliuol,  fu  sensa  amore, 
93       o  naturale  o  d'animo;  e  tu  il  saL 
Lo  naturai  ò  sempre  senza  errore, 
ma  l'altro  puote  errar  per  malo  obbietto, 
96        0  per  poco  o  per  troppo  di  vigore. 
Mentre  oh'  egli  ò  ne'  primi  ben  diretto 
e  ne'  secondi  sé  stesso  misura, 
99        esser  non  può  cagion  di  mal  diletto  ; 

ma,  quando  al  mal  si  torce,  o  con  più  cura 
o  con  men  che  non  dèe  corre  nel  bene, 
102        centra  il  fattore  adopra  sua  fattura. 

Quinci  comprender  puoi  ch'esser  conviene 
amor  sementa  in  voi  d'ogni  virtute 
105        e  d'ogni  operazion  che  merta  pene. 
Or,  perché  mai  non  può  dalla  salute 
amor  del  suo  suggetto  torcer  viso, 
108        dall'odio  proprio  son  le  cose  tute: 
e  perché  intender  non  si  può  diviso, 
e  per  sé  stante,  alcuno  esser  dal  primo, 

ttema  morale  del  regno  del  penitenti.  —  89.  gola,  lattaria).  —  97.  Mestre  eh*  egli  eoe. 
e  yrtBderftl  ecc.  cfr.  Inf,  zi  18-16.  —  90.  Qoando  l'amore  di  elezione  è  rivolto  a  Dio 
aleaB  bvoa  eoe.  Oserra  il  Biag.  che  e  qoe-  e  alle  7irt6  {primi  hmi)  e  sa  contenere  nei 
Ito  profóndo  ntgionamento  ta  1*  amore,  ohe  giosti  limiti  amando  i  beni  terrestri  (Moorui»), 
noi  rimanente  del  oanto  si  comprende  e  in  non  è  colpa  ;  ma  qaando  si  volge  al  male  o 
parta  nel  segnante,  è  on  rero  capo  d'opera  si  dimostra  pi6  desideroso  che  non  convenga 
di  morali  insegnamenti  e  di  poetiche  bellet-  dei  heni  terreni  o  meno  desideroso  che  non 
Eo;  •  benchó  non  sia  pane  da  tatti,  ma  per  bisogni  del  bene  infinito,  allora  opera  contro 
qael  soli  o  pochi,  i  qnali,  penetrando  oltre  Dio  ed  è  peccato.  — 102.  e^ntra  ecc.  l'oomo, 
la  scorza,  possono  alla  sugosa  sostanza  della  creatara  di  Dio,  opera  contro  Dio,  suo  crea- 
midollft  arrivare  ;  nondimeno  ogni  mediocre  toro.  —  108.  Qvlnei  eco.  La  consegaenza  di 
ingegno  pad  cavarne  par  alonn  utile  e  di-  qaesto  ragionamento  è  che  l'amore  è  negli 
letto,  ponendo  ben  mente  allo  stile  ohe  dal  uomini  principio  d'ogni  adone  bnona  e  cai- 
primo  all'  ultimo  tratto  sente  della  possanza  tiva  (of^.  Purg,  zvin  lé-16)  :  dottrina  che 
del  suo  creatore  ».  —  91.  H4  ertator  eco.  Dante  riprende  direttamente  da  Tommaso  d' A- 
Né  Dio  né  le  creature  furono  mal  senza  amo-  quino  {Summat  p.  I,  qu.  xx,  art  1  e  qu.  lx, 
re,  o  matmuU  cioè  innato  e  istintivo,  o  d'a-  art  1  ;  p.  1 3^,  qu.  xzvu,  art  4,  qu.  zxvm, 
fMmo,  doè  d'eledone  e  libero.  —  98.  e  ta  art  6,  qu.  zli,  art  2,  qu.  lzx,  art  8).  — 
il  sai:  Dante  lo  sapeva  per  esperienza  e  per  106.  Or,  perché  ecc.  Perché  amore  non  può 
stadio  ;  e  infatti  nel  Cbne.  ni  8  tratta  a  lungo  tongr  viso  dalla  salica,  cioè  deve  neoessaria- 
di  questo  amore  naturate,  ossia  dello  naturali  mente  mirare  al  bene  dfl  tuo  tuggetto,  di  co- 
tendenze  dei  corpi  per*istinto.  —  94.  liO  ma-  lui  nel  quale  opera,  avviene  ohe  U  ooto,  tutti 
tnral  eoo.  L'istinto  non  erra  mai  per  sé  gli  esseri,  sono  tuie  dall'odio  proprio,  sonod- 
se  non  è  traviato  o  impedito  dall'  af-  cure  contro  il  proprio  odio  doè  tutti  devono 


fstto  d'eledone  (cfr.  Tommaso  d'Aquino,  A«m-  amare  sé  stesd;  e  perché  non  può  ammet- 

ma,  p.  I,  qu.  LX,  art  1).  —  96.  l*altro  ecc.  terd  che  akun  eesere  sia  divito  dai  primo  es- 

l'amore  di  libera  eledone  può  errare  in  tre  sere,  doè  da  Dio,  e  sia  esistente  per  sé  stesso, 

modi,  o  por  malo  abbietto,  eleggendo  il  male  avviene  che  ogni  affètto  è  lontano  dell'odiare 

(supeórbia,  invidia,  IraX  o  amando  il  bene  in-  quello,  doè  Dio.  Questa  dottrina  che  la  crea- 

finito  con  pooo  di  vigore  (acddia),  o  amando  tura  non  possa  dedderare  il  male  del  creatore 

11  bene  finito  oon  kofpo  di  vigore  (avarida,  perché  non  può  dedderare  il  proprio  male  è 


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DIVINA  COMMEDIA 


IH       da  quello  odiare  ogni  a£fetto  è  deciso. 
Eesta,  se  dividendo  bene  estimO| 
che  il  mal  ohe  s'ama  è  del  prossimo,  ed  esso 
114       amor  nasce  in  tre  modi  in  vostro  limo. 
È  ohi  per  esser  suo  vicin  soppresso 
spera  eccellenza,  e  sol  per  questo  brama 
117        eh'  e'  sia  di  sua  grandezza  in  basso  messo  ; 
è  chi  podere,  grazia,  onore  e  fama 
teme  di  perder  perch' altri  sormonti, 
120       onde  s'attrista  si  che  il  contrario  ama; 
ed  è  chi  per  ingiuria  par  ch'adonti 
si  che  si  fa  della  vendetta  ghiotto, 
123       e  tal  convien  che  il  male  altrui  improntL 
Questo  triforme  amor  qua  giù  di  sotto 
si  piange;  or  vo'che  tu  dell'altro  intende, 
126        che  corre  al  ben  con  ordine  corrotto. 
Ciascun  confdsamente  un  bene  apprende, 
nel  qual  si  cheti  l'animo,  e  disira: 
120       per  ohe  di  giugner  lui  ciascun  contende. 
Se  lento  amore  in  lui  veder  vi  tira. 


ricavata  da  Tommaso  d' Aquino  (Amhno,  p.  I 
2m,  qo.  xziz,  art  A  6  p.  Il  3^,  qn.  xjlijv, 
art  t).  —  111.  è  4eeliot  propriamente:  ò 
tagliato;  ma  per  estensione  di  lignifioato, 
qui  Tale:  è  limoiao,  ò  lontano.  —  112.  Be- 
tte eoo.  Se  l*aomo  non  pnd  amare  il  proprio 
male  né  qneUo  di  Dio,  retta  ohe  egli  pud 
amare  il  male  del  proadmo  ;  e  questo  amore 
del  male  altmi  appare  di  tre  maniere.  —  se 
dlTideade  eoo.  se  in  questa  mia  dimostra- 
zione non  m' inganno  ;  dmden,  dalla  parti- 
zione di  una  qualsiasi  proporzione  nelle  sue 
parti,  passò  a  significare  nella  lingua  filoso- 
fica antioa  la  dimostrazione  di  ciascuna  parte 
e  poi  la  dimostraziono  complessiva;  onde 
Dante  chiamò  dwitioni  le  chiose  apposte  alle 
rime  della  VUa  Nuova  (cfr.  V.  N.  xiv  75: 
e  la  divisione  non  si  fa,  se  non  per  aprire 
la  sentenzia  della  cosa  divisa  »).  —  lU.  In 
vostro  limo  :  nel  vostro  fango,  nella  vostra 
natura  umana  (cfr.  Omesi^  u  7,  secondo  la 
vulgata:  cFormavit  igitur  Dominus  Deus 
hominem  de  limo  terree  »).  —  116.  È  ehi  per 
esser  ecc.  Tra  gli  uomini  v*  è  chi  desidera 
<li  elevarsi  con  l'oppressione  del  suo  prossi- 
mo, e  per  questo  desidera  che  gli  alM  va- 
dano in  rovina  :  questo  è  il  peccato  della  su- 
perbia, la  quale  (scrive  Tommaso  d'Aquino, 
Svmma,  p.  n  2^,  qu.  cLxn,  art  2)  e  didtur 
osse  amor  prcprias  ÉXceUeniiad^  in  quantum 
ox  amore  causatur  inordinata  praesumptio 
alios  superandi  ».  —  117.  e'  :  egli,  il  vicino 
0  prossimo,  —  X18,  è  chi  podere  ecc.  v'  ò 


chi  teme  di  perdere  per  U  sormontare  degli 
altri  la  propria  potenia,  il  favore,  Tonore  e 
la  gloria  ;  però  s' attrista  tanto  da  desidarsre 
ohe  gli  altri  discendano  :  questo  è  il  peccato 
dell'  invidia,  per  la  quale  (cosi  Tommaso  d'A- 
quino, Summa,  p.  n  2^,  qu.  zzzvi,  art  1) 
«  precipue  de  illls  bonis  homines  invident, 
in  gwbtu  «ti  gìoHa^  et  <n  ^vdtu  komStm 
amant  honorari  d  m  opmion$  esM  ».  —  121. 
e4  è  ehi  ecc.  infine  v*  ò  chi  ricevendo  alcuna 
ingiuria  si  sdegna  tanto  da  divenire  avido 
della  vendetta,  e  cosi  gli  bisogna  procacdazv 
U  male  degU  altri.  —  128.  Impresti:  U  vb. 
improntare  ha  lo  stesso  significato  del  sem- 
plice pronlar$  (cfr.  I^,  xm  20),  stimolare, 
suscitare;  e  bene  spiegò  il  Butì  :  cfieiocia  o  eso- 
da fisre  male  al  nimico  suo  ».  —  124.  levette 
triforme  ecc.  Queste  tre  maniere  dell'amore 
rivolto  a  maio  obbieUo  si  espiano  nei  primi 
tre  cerchi  del  purgatorio  (cfr.  I\Mrg,  x  101, 
xm  87,  XVI 24)  :  ora  ti  parlerò  di  quell'amoie 
che  ò  peccaminoso  per  poeo  o  per  troppo  di 
vigore  (v.  96).  —  127.  €laseui  ecc.  Ogni  uomo 
ha  una  vaga  idea  di  un  bene  sommo,  nel 
quale  possa  trovare  '  sodisfisoimento  l'anima 
sua,  e  desidera  quanto  bene  :  perdo  ciascuno 
si  sforza  di  raggiungerlo.  —  190.  Se  leat* 
amore  ecc.  Se  alla  cognizione  o  al  conse- 
guimento di  questo  sommo  bene  l'uomo  è 
tratto  da  un  lènto  amore,  ossia  se  l^aimor  del 
bene  è  in  lui  ecemo  di  tuo  dover  (v.  86),  pecca 
di  acddia;  e  quando  egli  muoia  pentito  dal 
suo  peccato  viene  ad  espiarlo  in  questo  quarto 


PURGATORIO  -  CANTO  XVII  411 

o  a  lui  acquistar,  questa  cornice, 
132       dopo  giusto  penter,  ve  ne  martira. 
Altro  ben  ò  che  non  fa  Puom  felice; 
non  è  felicità,  non  è  la  buona 
135        essensa,  d'ogni  ben  frutto  e  radice. 
L'amor,  ob'ad  esso  troppo  s'abbandona, 
di  sopra  noi  si  piange  per  ire  cercbì; 
ma  come  tripartito  si  ragiona, 
139    tacciolo,  acciò  che  tu  per  te  ne  cerchi  ». 

eerchio.  —  133.  Altro  bea  è  eoo.  Yi  tono  frutto  radie$j  ohe  Torxebbe  dir»  :  principio 

altri  beni,  qneUi  mondani,  che  non  rendono  d'ogni  vera  felidlà;  ma  Dante  distingue  11 

r  nomo  Mioe  ;  ch6  qnella  ohe  da  eiii  prooede  principio  della  feUoità  (radieé)^  ohe  è  in  Dio 

non  è  felicità  rera,  non  è  quella  ohe  viene  stesso,  dal  compimento  di  essa  (frutto)^  ohe 

dalU  perfetta  sswiwa,  da  Dio.  È  detto  In  con-  egli  concede  nell'altra  Tita  agli  nomini  che 

fbnnità  alla  dottrina  teoiogioa  (ofir.  Tommaso  furono  TirtnosL  — 186.  L'aaor  eco.  L'amor» 

d'Aqidiio,  Summa,  p.  I,  q.  ti,  art  8  e  ma-  che  si  Tolge  con  tnppo  di  vigore  ai  beni  ter- 

ni^iTttnwi  est  qnod  solus  Deus  habet  omnlmo-  reni  si  espia  negli  ultimi  tre  cerchi  del  pnr- 

dam  perfectionem  seonndnm  suam  essentiam,  gatorio,  ove  le  anime  si  purificano  deUe  colpe 

et  ideo  ipse  sdus  est  bonus  per  suam  essen-  di  avarizia,  gola  e  lussuria.  — 188.  «a  eoaie 

tiam  »).  —  186.  d'egnl  ben  ecc.  Dio  è  prin-  eoe  ma  non  ti  dirò  come  questo  amore  ap- 

d^  e  oompimento,  eansa  ed  effetto  d'ogni  parisca  in  tre  maniere  affinché  tu  lo  xicerohi 

ben*.  Altri  Isggono  meno  bene  :  d'ogni  bwm  da  te  stSHO. 


CANTO  xvni 

Blprendendo  la  saa  esposislone,  Tirgilio  spiega  qnale  sia  la  natura  del- 
P  amore  e  in  qoale  relazione  esso  sia  con  la  libertà  dell' arbitrio  :  poi  i  doe 
poeti  incontrano  anime  di  accidiosi,  che  arridano  esempi  di  sollecitadine,  e 
tra  essi  si  manifesta  loro  P abate  di  San  Zeno:  finalmente,  dopo  aver  sen- 
tito ricordare  esempi  di  accidia,  Dante  si  addormenta  [11  aprile,  yerso  la 
mezzanotte]. 

Posto  avea  fine  al  suo  ragionamento 
l'alto  dottore,  ed  attento  guardava 

8  nella  mia  vista  s'io  parca  contento; 
ed  io,  cui  nuova  sete  ancor  ù'ugava, 

di  fuor  taceva  e  dentro  dicea  :  <  Forse 
6        lo  troppo  domandar,  ch'io  fo,  gli  grava  ». 
Ma  quel  padre  verace,  che  s'accorse 
del  timido  voler  che  non  s'apriva, 

9  parlando  di  parlare  ardir  mi  porse; 

XVm  1.  Peste  SToa  eco.  Virgilio,  dopo  Dante,  non  ancora  compiutamente  sodislatto 

il  suo  ragionamento  sull'amore  come  prind-  perché  Virgilio  non  arerà  detto  qual  fosse 

pio  d' ogid  bene  e  d' ogni  male,  guarda  atten-  la  oatura  di  questo  amore,  non  arerà  animo 

tamente  Q  suo  discepolo  per  redere  s'egli  di  rìrolgere  altre  domande  al  maestro,  te. 

sia  rimasto  sodisfotto  della  esposirione  fkt-  mondo  che  il  troppo  parlare,  come  già  in  al- 

taglL  —  8.  nella  ala  rista:  nel  mio  aspetto,  tri  momenti  del  riaggio  (ofr.  Inf.  m  80,  zm 

nel  fl^  rolto  ;  Buti  :  e  quire  si  oognoeoe  l'a-  66  ecc.),  areeee  a  riuscirgli  grare.  —  7.  Ma 

bito  d'entro  per  li  segni  che  nel  rolto  si  re-  «nel  padre  eoe  Dante  tacerà,  segno  ohe  non 

deno  >  :  efir.  PUrg,  zzx  111.  —  4.  ed  lo  ecc.  era  ancora  contento  ;  e  Virgilio,  accorgendosi 


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DIVINA  COMMEDIA 


ond'io:  «Maestro,  il  mio  veder  s'avviva 
si,  nel  tuo  lume,  ch'io  discemo  chiaro 
12        quanto  la  tua  ragion  porti  o  descriva; 
però  ti  prego,  dolce  padre  caro, 
che  mi  dimostri  amore,  a  ctd  ridaci 
15       ogni  hnono  operare  e  il  suo  centrare  ». 
<  Drizza,  disse,  vèr  me  T acute  luci 
dello  intelletto,  e  fieti  manifesto 
18       Perror  dei  ciechi  che  si  fanno  duci* 
L'animo,  eh' è  creato  ad  amar  presto, 
ad  ogni  cosa  è  mohile  che  piace, 
21        tosto  che  dal  piacere  in  atto  è  desto. 
Vostra  apprensiva  da  esser  verace 
tragge  intenzione,  e  dentro  a  voi  la  spiega, 
24       si  che  l'animo  ad  essa  volger  fìkce; 
e  se,  rivolto,  in  v6r  di  lei  si  piega, 
quel  piegare  è  amor,  quello  è  natura 
27       che  per  piacer  di  nuovo  in  voi  si  lega. 
Poi  come  il  foco  movesi  in  altura. 


éhA  il  desiderio  di  Ini  non  ardirà  di  manife- 
■taiBi,  gli  rivolse  per  primo  la  parola  e  cosi 
Inooraggld  il  discuoio  a  parlare.  —  10.  11 
»!•  Teder  eco.  la  mia  mente  li  rischiala 
tanto  per  la  toa  dottrina,  ohe  io  intendo  chia- 
ramente tatto  dò  ohe  tn  proponi  o  dimostri. 

—  11.  nel  ino  Umet  nella  Ince  di  verità 
èhe  è  nelle  tae  dimostrarionL  —  12.  la  tia 
raf  lei  eoo.  il  tao  ragionamento  perla  cioè 
propone  senza  fame  dichiararione  aloana  (ofir. 
J\Hrg.  zm  196-189)  oppore  detoHiM  doò  di- 
mostra e  spiega.  —  14.  ehe  mi  tflaoitri 
eoo.  che  ta  mi  dimostri  che  cosa  sia  l'amo- 
le,  al  qoale  ta  riporti,  come  a  prima  causa, 
ogni  haona  e  cattiva  operazione  (ofir.  IVy. 
zvn  lOA  e  segg.).  —  16.  Drlzia,  dlsie  eoo. 
Porgi  molta  attenzione  raccogliendo  tatta  la 
fona  della  taa  mente  al  mio  ragionamento, 
e  ti  apparirà  chiaro  l'errore  di  qoelli  nomini 
che  essendo  dechi  della  mente  por  d  vogliono 
fare  maestri  e  dnd  agli  altri,  insegnando  che 
ckuoimo  amore  è  in  té  kmdàbil  eoaa  (v.  86). 

—  18.  l*error  del  eleeU  eco.  Qaeet'  espres- 
dono  riceve  Ince  dalle  parole  del  Oom,  1 11  : 
e  anelli  oh'  è  dece  dd  lame  ddk  diioredone, 
tempre  va  nel  sno  giadido  secondo  il  grido, 
o  diritto  o  ftilso  ohe  sia;  onde  qoalanqne  ora 
lo  guidatore  è  deoo,  conviene  die  esso  e 
quello  anche  deoo  ek'a  lui  s'appoggia  ven- 
gano a  mal  fine  >.  —  19.  L'anlno  eoo.  L'a- 
nima umana,  ohe  è  creata  con  la  disposizione 
ad  amare,  d  volge  ad  ogni  tota  etu  piaee,  ad 
ogni  piacere,  ad  ogni  imagine  di  bene  (cfr. 
Jktrg,  zvn  85-98),  sabito  che  il  piacere  své- 
glia e  attua  questa  sua  potenza  d'amore.  È 


manifesto  che  Dante  vuol  dimostnre  die  l'a- 
more resta  in  potenza  nell*  animo  umano  fino 
a  che  il  piacere  lo  fk  divenire  attuale  e  reale; 
pero  in  atto  non  può  oongiungerd,  come  fanno 
alcuni  interpreti  moderni»  con  jriaoen,  d  bene 
con  l' eepresdone  è  detto  :  vivissima  imagine 
per  rendere  il  penderò  filosofico  ddl'  attuarsi 
di  una  disposirione  rimasta  sino  allora  allo 
stato  potenziale.  —  22.  Vostra  eco.  La  fa- 
coltà intellettiva,  l'intelletto  umano  trae  l'i- 
maglne,  l'impresdone  dalla  realtà  delle  oooe 
esteme,  e  svolgendola  in  sé  la  presenta  al- 
l' animo  ohe  si  rivolge  ood  verso  le  cose  che 
gli  sembrano  degne  di  amore.  —  23.  latea- 
slone:  è  l' imagine  e  impresdone  che  per 
mezzo  dd  senso  perviene  all'intelletto  dal- 
l'«sser  verace^  doò  dalla  realtà  esteriore,  dal- 
l'obUetto  reale  estrinseco.  —  26.  e  se,  ri- 
volto, eoo.  e  se  l'animo  rivdto  cod  a  una 
data  inltnxione  d  piega  o  congiunge  ad  ossa, 
questa  indinadone  o  congiungimento  è  amo- 
re, questo  è  l'amore  naturale  die  diviene 
sendtivo  e  ti  leffa  in  voi^  ti  oongiunge  nd- 
r  animo  umano  al  primo,  in  causa  ddla  cosa 
piacente.  Dante  distingue  ood  l'oMors  note- 
rate,  che  è  innato  e  senza  apprensiva  (ofr. 
iVy.  zvn  92  ,  e  Vomere  d*animo  o  di  libera 
dedone,  il  quale  d  tentUivo^  quando  l'animo 
d  volge  per  piactre  alla  cosa  amata,  oppure 
iniMiatwo^  quando  1*  animo  per  moto  t/rirUale 
d  oongiunge  alla  cosa  amata.  —  SS.  Pel 
eome  ecc.  Fd  come  il  ftiooo  d  muove  verso 
l'dto,  per  la  sua  forma  o  natara  essenzlde 
che  tende  a  salire  alla  sfera  dd  fiiooo  (cfir. 
Far,  I  79),  ove  per  essere  nd  suo  demento 


PURGATORIO  -  CANTO  XVIII 


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per  la  sua  forma,  oh' è  nata  a  salire 
là  dove  più  in  sua  materia  dura; 

cosi  l'animo  preso  entra  in  disirOi 
ch'ò  moto  spirituale,  e  mai  non  posa 
fin  che  la  cosa  amata  il  £a  gioire. 

Or  ti  puote  apparer  quant'ò  nascosa 
la  veritade  alla  gente,  ch'avvera 
ciascuno  amore  in  sé  laudabil  cosa; 

però  che  forse  appar  la  sua  matera 
sempr' esser  buona,  ma  non  ciascun  ségno 
ò  buono,  ancor  che  buona  sia  la  cera  ». 

<  Le  tue  parole  e  il  mio  seguace  ingegno, 
risposi  lui,  m'hanno  amor  discoperto, 
ma  ciò  m'ha  fatto  di  dubbiar  più  pregno; 


che,  s' amore  ò  di  fuori  a  noi  offerto 
e  l'anima  non  va  con-  altro  piede, 
se  dritta  o  torta  va,  non  ò  suo  morto  >. 

Ed  egli  a  me:  €  Quanto  ragion  qui  vede 
dirti  poss'io;  da  indi  in  là  t'aspetta 
pure  a  Beatrice,  ch'opera  ò  di  fede. 


il  mastieiie  più  che  snlU  tem;  coti  l'aoimo, 
preso  dal  piacere  dell' «tatr  fMti,  entra  in 
deeiderio  della  cosa  amata  per  un  movimento 
natorale  dello  s^to  e  non  poea  fino  a  ohe  non 
al  sia  oongionto  ad  essa:  poiché,  oome  dice 
Dante  stesw  nel  Oom.  m  2,  <  amore,  yer»- 
mente  pigliando  e  sottilmente  considerando, 
non  è  altro  che  nnimento  spizitnale  dell'anima 
e  della  cosa  amata,  nel  qnale  nnimento  di 
propria  soa  natua  1*  anima  corre  tosto  0  tardi, 
secondo  ohe  è  libera  o  impedita».  —  84.  Or 
ti  yaote  eoo.  Per  qneete  ragioni  puoi  vedere 
oome  siano  ignari  della  verità  qaei  filosofi, 
g^li  epionrei,  che  ammettono  come  principio 
indiscntihile  che  qnalonqne  amore  sia  per  sé 
stesso  cosa  lodevole.  —  85.  avvera  :  ofir.  iVy. 
zzn  81.  —  87.  però  che  forse  eoe  perché 
sembra  che  l'ideale  oni  si  volge  l'animo  umano 
aia  sempre  boono,  mentre  in  realtà  l'obbietto 
dell'  amore  pad  essere  cattivo.  Tomm.  :  €  Il 
bene  d  materia  dell'  amore  :  sempre  donqne 
la  materia  ò  buona,  perché  anco  nel  male 
che  s*  ami  ò  sempre  alcun  bene  reale,  cagion 
dell'  amore  :  ma  U  troppo  amore  che  a  minor 
bene  si  porta,  o  il  poco  che  al  maggiore,  sono 
quasi  un  brutto  suggello  impresso  in  buona 
cera.  Oli  aristotelici  chiamano  materia  il  ge- 
nere delle  cose,  determinabile  da  varie  diflSo- 
xenxe,  oome  la  materia  prima  ò  determina- 
Ule  da  più  forme.  La  cera  appunto  è  la  ma- 
teiria  determinabile;  il  seguo  ola  figura  ch'ella 
prende  è  la  forma  determinante.  E  siccome 
la  cera  o  buona  o  non  cattiva  può  essere 


impressa  di  mal  segno,  coti  il  naturale  amore 
non  tristo  in  sé  può  piegare  a  mal  segno  ». 

—  asterà  :  è  la  forma  arcaica  preferita  da 
Dante,  specialmente  nel  linguaggio  filosofico 
0  dottrinale;  ofir.  Putrg,  zxu  29,  Pntr.  i  27, 
F.  iV:  vm  42,  xm  86  eoe  —  88.  non  eia- 
seiB  segno  eoe  l'impressione  del  suggello 
non  è  sempre  buona,  anche  se  buona  sia  la 
cera,  cioò  l'amore  attuato  può  esser  non 
buono,  anche  ammettendo  die  sia  sempre 
buono  l'amore  in  potenza.  —  40.  Le  (se  pa- 
role ecc.  n  tuo  ragionamento  e  l'attenzione 
con  la  quale  la  mia  mente  l'ha  seguito  mi 
hanno  manifestato  quale  sia  la  natura  del- 
l' amore,  ma  un  nuovo  dubbio  è  sorto  in  me. 

—  48.  éhéf  s*  amore  ecc.  perché,  se  l'amore 
si  sviluppa  in  noi  per  lo  cose  estrinseche 
messe  innanzi  all'  an^na  nostra  e  questa  non 
può  oporare  che  per  impulso  di  amore,  non 
ò  merito  o  colpa  dell'  anima  l'operare  bene  o 
male.  Dante  formola  cosi  sotto  forma  di  dub- 
bio una  delie  obiezioni  che  si  opponevano 
dai  filosofi  del  suo  tempo  alla  libertà  doU'ar* 
bitrìo  (cfr.  Tommaso  d' Aquino,  Summa^  p.  I, 
qu.  Lzxxm,  art  1).  —  46.  Ó^anto  ragion 
ecc.  Io  ti  posso  dire  ciò  che  la  ragione  umana 
è  atta  a  conoscere  su  tale  questione,  dò  che 
resta  nd  confini  della  filosofia;  per  dò  che 
esce  da  questi  confini  e  appartiene  al  campo 
della  teologia,  aspetta  ad  averne  la  6pioi*n- 
zione  da  Beatrice.  —  48.  eh' opera  è  di  fedet 
dò  ohe  trasoonde  l  limiti  doUa  ragione  appar- 
tiene alla  fede,  alla  sdenza  delle  cose  divine, 


414 


DIVINA  COMMEDIA 


Ogni  forma  sostanziai,  che  setta 
è  da  materia  ed  è  con  lei  unita, 
51        specifica  virtade  ha  in  sé  colletta, 
la  qual  senza  operar  non  è  sentita, 
né  si  dimostra  ma  che  per  effetto, 
54        come  per  verdi  fronde  in  pianta  vita. 
Però  là  onde  vegna  lo  intelletto 
delle  prime  notizie,  uom  non  sape, 
57        né  de' primi  appetibili  l'affetto, 

che  sono  in  voi,  si  come  studio  in  ape 
di  fiar  lo  mèle;  e  questa  prima  voglia 
60       merto  di  lode  o  di  biasmo  non  cape. 
Or,  perché  a  questa  ogni  altra  si  raccoglia, 
innata  v'è  la  virtù  che  consiglia, 
63       che  dell'assenso  de' tener  la  soglia. 


personificato  in  Beatrice  ;  ofr.  dò  oh*  ella  dirà 
a  Danto  in  Par.  y  Id  e  aegg.  —  49.  Ogml 
ferma  eco.  Ogni  anima  ohe  è  unito  alla  ma- 
texia,  ma  distinto  da  essa,  ha  in  ié  raccolto 
una  vkt&  specifica,  la  qnale  non  d  oonoeoiato 
per  86  stessa,  senza  operare,  e  non  si  palesa 
altrimenti  òhe  per  gli  effstti,  come  la  Tito 
della  pianto  si  manifèsto  nel  yerdeggiare  delle 
fronde.  —  ferma  sasUrnslalt  e  anima  est 
forma  snbstantialls  hominis  >,  dice  Tommaso, 
Summa, p. I,  ^  lzxvi,  art  4;  segofto  qjol  da 
Danto  anche  per  l' idea  che  l' anima  ha  anione 
con  la  materia  (am  lei  unita\  ma  non  iden- 
tito  rimanendone  distinta,  non  confondendosi 
con  essa  ($eUa  è  da  materia),  —  setta:  se- 
parata, distinta,  lat.  seoto.  —  51.  speclflea 
Tirtnde  ;  d  la  particolare  disposizione  nata- 
rale  dell'anima  a  conoscere  e  ad  amare.  — 
63.  ma  che:  c£r.  Inf,  iv  26.  —  66.  Però  là 
eade  eco.  Questi  Tersi  sono  stati  chiariti, 
per  il  loro  yalore  filosofico,  da  P.  Paganini 
(Di  un  luogo  fiha,  della  Dio.  Oomm.  in  Opuae. 
daiU.  n.*  6);  egli  ne  ha  mostrato  la  conformito 
con  le  dottrine  di  Tommaso  d'Aqalno,  e  cosi 
riassame  il  oonoetto  di  Danto,  il  qoale  dice  : 
e  1.  che  la  qiecifioa  yirtà  dell'  anima  umana, 
forma  sostanziale  che  nel  tempo  stesso  ò  sce- 
vra di  materia  ed  unito  con  lei,  ò  la  virtù 
del  oonoscere  e  la  virtù  dell'  amare  ;  2.  che 
ciascuna  di  questo  virtù  ha  i  suoi  propri  og- 
getti, doò  la  virtù  del  conoscere  certe  prime 
notixie  ohe  la  dirigono  nelle  sue  particolari 
operazioni  e  la  virtù  dell'  amare  certi  primi 
appetibili  che  similmente  la  muovono  e  la 
guidano  nelle  sue  particolari  operazioni,  e 
ohe  Vinielletio  di  tali  notizie  e  l'aflétto  di 
tali  appetibiU  precedono  perciò  di  loro  natura 
tutte  le  partioolari  operazioni  di  esse  virtù  ; 
8.  ohe  queste  due  virtù  per  una  legge  gene- 
rale, a  cui  sottostanno  tutte  le  forme  della 
stessa  specie  dell'anima  nostra,  sempre  si 


rimarrebbero  ooonlte,  se  uscendo  nelle  loro 
partioolari  operazioni  non  si  tooessero  in  que- 
ste sentire  e  per  queste  non  si  dimostras- 
sero, come  per  verdi  fnmde  i»  pHamia  nto; 
4.  che  conseguentMDente,  quando  l'uomo 
opera  o  ooU'una  o  ooU' altra  di  questo  virtù, 
gU  si  rende  bensf  sensibile  e  gli  si  dimostra 
quella  oon  cui  opera,  ma  non  anche  quell'at- 
teggiamento precedente  di  essa  per  il  quale 
ò  causa  al  tutto  proporzionato  e  pronto  al 
suo  operare,  quindi  non  anche  T  intelletto 
delle  prime  notizie  noli' operare  della  prima, 
nò  l' sifetto  dei  primi  appetibili  nell*  operare 
della  seconda  ;  6.  finalmente  che  quesf  intel- 
letto e  quest'  affètto,  solo  discopribili  nel  se- 
greto dell'anima  all'acuto  sguardo  d'una 
tarda  riflessione  filosofica,  sono  tanto  conna- 
turali all'anima,  quanto  le  sono  connaturali 
le  specifiche  virtù  delle  quali  non  sono  cho 
proprietà,  e  da  paragonarsi  perciò  agli  istinti 
che  differenziano  le  varie  classi  di  animali, 
allo  eXMdio  p.  os.  ohe  è  iMlTops  di  farlo  lAd- 
le  >  :  ofìr.  anche  Q.  Della  Valle,  biUrpréta- 
xione  di  un  paeeo  deOa  Die.  Ccmen.  che  si 
fyrooa  in  rapporto  coHa  teoria  deO^origùm  del- 
l'idee di  ean  Tommaeo,  Faenza,  1874.  —  66. 
«om  Bea  sape  ;  non  si  sa  dag^  uomini  co- 
muni. —  68.  ehe  bobo  eoo.  i  quali  appetìbili 
sono  negli  uomini,  come  gl'istinti,  le  incli- 
nazioni naturali  negli  animali.  —  69.  fMita 
prima  voglia  ecc.  questo  disposizione  in- 
nata, non  essondo  Ubera,  non  può  meritare 
nò  lode  né  biasimo.  —  61.  Or,  perché  ecc. 
Afllnché  poi  a  queeta  prima  voglia  si  accordi 
ogni  altra  voglia,  cioè  alle  disposizioni  innato 
seguitino  gli  atti  della  Ubera  volontà,  i  quaU 
possono  essere  buoni  e  cattivi,  ò  innato  nel- 
r  uomo  la  ragione,  la  quale  deve  assentire  e 
negare.  —  63.  dell'asseate  eco.  deve  gover- 
nare la  volontà,  oonsentendo  o  no  ;  efr.  Oom. 
IV  26:  <  Yeramento  questo  appetito  conviene 


PURGATORIO  —  CANTO  XVIII 


416 


Questo  è  il  prinolpìo,  là  onde  si  piglia 
ragion  di  meritare  in  voi,  secondo 
6G       che  buoni  e  rei  amori  accoglie  e  viglia. 
Color  che  ragionando  andare  al  fondo 
s'accorser  d'està  innata  libertate, 
C9       però  moralità  lasciare  al  mondo. 
Onde,  pognam  che  di  necessitate 
surga  ogni  amor  che  dentro  a  voi  s'accende, 
72       di  ritenerlo  è  in  voi  la  potestate. 
La  nobile  virtù  Beatrice  intende 
pei'  lo  libero  arbitrio,  e  però  guarda 
75       che  l'abbi  a  mente,  s' a  parlar  ten  prende  >. 
La  luna,  quasi  a  mezza  notte  tarda, 
iacea  le  stelle  a  noi  parer  più  rade, 
78       ffttta  com'un  secchione  che  tutto  arda; 
e  correa  centra  il  ciel,  per  quelle  strade 
che  il  sole  infiamma  allor  che  quel  da  Roma 
81        tra  i  sardi  e  i  còrsi  il  vedo  quando  cade: 
e  quell'ombra  gentil,  per  cui  si  noma 
Pietola  più  che  villa  mantovana, 
84       del  mio  carcar  deposto  avea  la  soma; 


OMBfi  MYakato  dalla  ragione  ;  che,  il  oom» 
uno  sciolto  oaTallo,  quanto  eh'  olio  aia  di  no- 
terà Bobile,  par  sé  sansa  il  buono  oayalo»- 
taro  ben*  non  si  eondnoe)  a  cosi  questo  ap- 
petito, ohe  iraastUle  e  oonoapisoibilo  si  ohia- 
■a,  qioaato  ch'elio  aia  nobile,  alla  ragione 
mbUdiT  conTiene,  la  qoale  goida  quello  con 
freno  e  oon  l^ioai  ».  —  6i.  <)aesto  i  U 
prlaclple  eoo.  Dalla  ragione,  data  agli  no- 
mini COBO  regolatrice  dei  loro  atti,  viene  la 
leaponsaMlIfi  di  daeomno,  secondo  ohe  essa 
accoglie  •  separa  gli  amori  buoni  e  oatttvi. 
—  ee.  Tl^Uis  il  Tb.  9ÌgUaxB (male  da alcnnl 
spiegato  par  «fiè^  UgaH)  signillea  mpararé, 
fcwwirs  :  e  set  (cosi  Bear.)  Teibnm  mstico- 
rvm  pnrgantiom  framantnm  in  area,  qui  ex- 
eladitnt  snpoiihia  ab  eo».  — .  67.  Caler  eco. 
I  llloeofl,  che  con  la  ragione  inTestigarono  le 
natara  dell'  anima  umana  (Aristotele,  Platone 
eoo.  ofr.  iWy.  m  4S\  riconobbero  l'esisteMa 
di  qMsto  libertà  deU' arbitrio;  perdo  dettero 
al  mondo  le  dottrine  morali,  secondo  le  quali 
l'uomo  doreose  govenarsi.  —  70.  Onde, pe- 
gmam  eoo.  Per  la  qua!  cosa  se  ogni  amore, 
dibeneo  di  male,  si  suscita  nell'animo  umano 
per  Beoeasità,  fhori  dee  della  sua  Tolontà,  ò 
iMototo  all'uomo  la  ilMoltà  di  ritenerlo  o  di 
MMolBrlo  con  la  fona  dell*  ragione.  —  78. 
La  meMle  Tirttf  eco.  Beatrice  chiama  libero 
arb&rio  questa  nobile  Ihooltà  della  ragione 
regolstriee defletti  umani:  riodxdatene, caso 


mai  ch'ella  ti  ayesse  a  parlare  di  questa  ma- 
teria :  ofr.  Bar,  y  19  e  segg.,  ore  la  libertà 
del  yclere  ò  detto  da  Beatrice  il  maggior 
dono  largito  da  Dio  agli  uomini.  —  76.  La 
lana  eoo.  La  luna,  cho  avevu  tardato  a  mo- 
strarsi sin  yerso  la  mezzanotte,  fiunra  appa- 
rire più  rare'  le  stelle,  nascondendo  le  pi6 
piccole  col  suo  splendore.  A  questo  momento 
del  viaggio  di  Danto  siamo  verso  la  mezza- 
notte dall'  11  al  12  aprile,  avendo  l  due  poeti 
incominciato  a  salire  verso  il  quarto  cerchio 
nella  sera  dell'  11  (ofr.  JP^.  zvn  70).  H 
Moore,  pp.  110-117,  discuto  minutamento  le 
questioni  astronomiche  inerenti  a  questi  versi. 
—  78.  flitta  ecc.  la  lana  essendo  calanto  si 
prosontova  tonda  e  illuminate  solo  da  una 
parto,  rendendo  imagine  di  una  gran  seochl* 
che  ardesse.  —  79.  e  eerrea  eoe  e  saliva 
per  il  cielo  da  ooddento  verso  oriento  (eon- 
irò  il  eorso  del  oiel  :  etr.  Pur,  vi  2),  per  quelle 
regioni  aeree  ohe  sono  percorse  dal  sole  nel- 
l'avvidnarsi  del  solstizio  invernale,  quando 
chi  ò  a  Boma  lo  vede  tramontare  fra  la  Sar- 
degna e  la  Corsica.  —  82.  quell'ombra  ecc. 
Virgilio,  per  il  qoalo  il  villaggio  di  Piatole 
(lat  Andèe)  sua  patria  ò  pi6  famoso  che  la 
stessa  città  di  Mantova  (Benv.)  o  ohe  alcun 
altro  villaggio  mantovano  (Butì,  An«  ilor.). 
Qnesf  ultima  spiegazione  è  da  preferire.  — 
84.  del  allo  earear  ecc.  mi  aveva  tolto  il 
peso  del  dubbio,  rispondendo  alle  mie  do- 


416 


DIVINA  COMMEDIA 


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99 


102 


per  ch40|  ohe  la  ragione  aperta  e  piana 
sopra  le  mie  questioni  ayea  ricolta, 
stava  com'uom  che  sonnolento  yana. 

Ma  questa  sonnolenza  mi  fd  tolta 
subitamente  da  gente,  che  dopo 
le  nostre  spalle  a  noi  era  già  volta: 

e  quale  Ismeno  già  vide  ed  Asopo 
Itmgo  di  sé  di  notte  furia  e  calca, 
pur  che  i  teban  di  Bacco  avesser  uopo; 

cotal  per  quel  giron  suo  passo  fsilca, 
per  quel  ch'io  vidi  di  color,  venendo, 
cui  buon  volere  e  giusto  amor  cavalca. 

Tosto  f^  sopra  noi,  perché  correndo 
si  movea  tutta  quella  turba  magna; 
e  due  d  man  ri  gridavan  piangendo: 

«  Maria  corse  con  fretta  alla  montagna  >, 
e:  <  Cesare,  per  soggiogare  Ilerda, 
punse  Marsilia  e  poi  corse  in  Ispagna». 


maxids.  —  85.  «he  U  rafloat  eoo.  ohe  già 
avera  eoeolto  nella  mente  la  dimostrazione 
manifesta  e  agevole,  ohe  Virgilio  ayera  (atta 
aopra  le  mie  qneetionL  ~  87.  eom>«om  eoo. 
come  roomo  ohe  yaneggia  per  sonnolenza. 
Onesta  sonnolenza  di  Dante  è  intesa  da  al- 
ooni  oome  segno  dell*  aoddia,  della  qnale  efi^ 
si  sarebbe  rioonosdnto  colpevole  ;  meglio,  il 
Lomb.,  osservando  ohe  non  solo  In  qneista 
notte  e  in  qnesto  Inogo,  ma  ancora  nella  prò- 
cedente  notte  (Airy.  ce  11)  e  nella  seguente 
(Purg,  zxvn  92)  Dante  ò  occnpato  dal  sonno, 
intende  la  sonnolenza  presente  oome  cansata 
dall'  aver  seco  <  di  qnel  d'Adamo  >  (Purg,  ix 
10).  —  vana  t  vaneggia;  il  vb.  vanare  si  trova 
in  altri  poeti  antichi  dtati  dal  Parodi,  BuU. 
m  140.  —  88.  Ha  questa  ecc.  Le  anime  degli 
accidiosi  si  purgano  nel  quarto  cerchio  corren» 
do  giorno  e  notte  con  grande  ardore  di  solle- 
citudine, in  una  schiora  fitta  e  raccolta,  prece- 
duta da  due  anime  che  gridano  esempi  di  sol- 
lecitudine (w.  99-102)  e  seguita  da  altre  due 
che  dicono  esempi  di  accidia  (w.  183-138).  n 
sopragiungere  di  questa  schiera  eccita  la  cu- 
riosità di  Dante  e  lo  risveglia  dalla  sonno- 
lenza che  r  aveva  vinto.  —  89.  ehe  dopo  le 
nostre  eoe  la  quale,  compiuto  già  il  girò  del 
monte,  correva  velocemente  dietro  alle  no- 
stre spalle.  —  91.  e  qaale  eoo.  Paragona 
l'impetuosa  oona  degU  accidiosi  alla  furia 
con  la  quale  i  tebani  correvano  di  notte  con 
&oi  acosse  lungo  l'Ismeno  e  l' Asopo,  finmi 
della  Beozia,  invocando  l' aiuto  di  Bacco  loro 
patrono;  ofir.  Stazio,  Teb,  ix  4S4  e  segg., 
ove  il  fiume  Ismeno  dice  :  e  Ole  ego,  olama- 
tus  sacris  ululatibus  amnis,  Qui  molles  tyrsos 


Baoòheaque  comna  puro  Fonte  lavare  iéror... 
Frater  tadtas  Asopos  eunti  ConoiliatTires» 
ecc.  —  94.  eotal  ecc.  simile  impeto  muove  in 
cerchio  il  passo  degli  accidiosi,  cosi  impetuo- 
samente corrono  in  giro  gli  aoddiosL  —  ttl- 
eat  il  vb.  fahan,  dall'idea  della  fiilet  in 
moto,  esprime  l'idea  di  un  movimento  oiroo- 
lare  e  rapido  (ofir.  Parodi,  BulL  TU  186).— 

96.  per  q^tl  ecc.  per  quanto  l' osouiità  deOa 
notte  mi  lascid  vedere  di  quelle  anime  che  ve- 
nivano dietro  a  noi,  mosse  dal  buon  volere  e 
dal  giusto  amore.  —  96.  giusto  eco.  L'ima- 
gine  dell'  amore  che  cavatoa  gli  innamorati, 
quale  si  trova  figurata  nelle  pitture  medio- 
evali  e  ripresa  da  altri  poeti,  pud  aver  sug- 
gerito a  Dante  questa  efficace  espressione.  — 

97.  Tosto  fAr  sopra  eoo.  Ci  rsggiunsero  pre- 
sto, perché  tutti  procedevano  correndo.  — >  99. 
d«e  dlnanti  eoo.  AUa  schiera  deg^  aooMiosi 
precedono  due  anime,  ohe  gridano  gli  eeempi 
della  sollecitudine  di  Maria  Vergine  e  di  Giu- 
lio Cesare.  — 100.  Marta  eerse  ecc.  A.eeeniia 
alla  visita  ohe  Maria  fece  alla  sua  parente  Eli- 
sabetta, raccontata  nel  vangelo  di  Luca  x  89  : 
<  Or  in  que'  giorni,  Maria  si  levò  ed  andò  in 
fretta  nella  contrada  delle  montagne,  nella 
città  di  Giuda;  ed  entrò  in  casa  di  ZaoMria,  e 
salutò  Elisabetta  >.  — 101.  Cesare  eco.  Allude 
ai  fatti  di  Cesare  racoontati  nei  commentali 
De  bello  dv,  i  86  e  segg.,  quando  egli,  la- 
sciando Bruto  all'  assedio  di  ManriHa  con  ftil- 
minea  rapidità  corse  nella  Spagna,  ove  Afka- 
nio  e  Petreio  luogotenenti  di  Poo^peo  ftiroio 
da  lui  sconfitti  presso  Borda,  in  una  batta- 
glia che  fti  più  di  celerità  che  di  armi  (ofr. 
i>«  (.  0.  I  70  :  €  Erat  in  celeritate  omne  pò- 


PUBGATOBIO  -  CANTO  XVm 


417 


«Batto,  ratto,  che  il  tempo  non  bl  perda 
per  poco  amor,  gridavan  gli  altri  appresso; 
105        che  stadio  di  ben  far  grazia  rinverda  >. 
<  0  gente,  in  cui  fervore  acuto  adesso 
ricompie  forse  negligenza  e  indugio, 
108        da  voi  per  tepidezza  in  ben  far  messo, 
questi  che  vive,  e  certo  io  non  vi  bugio, 
vuole  andar  su,  pur  che  il  sol  ne  riluca; 
111        però  ne  dite  ov'ò  presso  il  pertugio  ». 
Parole  furon  queste  del  mio  duca; 
ed  un  di  quelli  spirti  disse:  «  Vieni 
114        di  reti*o  a  noi,  e  troverai  la  buca. 
Noi  Siam  di  voglia  a  moverci  si  pieni 
che  ristar  non  potem;  però  perdona, 
117        se  villania  nostra  giustizia  tieni. 
Io  fui  abate  in  San  Zeno  a  Verona, 
sotto  lo  imperio  del  buon  Barbaroesa, 
120       di  cui  dolente  ancor  Milan  ragiona. 
£  tale  ha  già  l'un  pie  dentro  la  fossa, 
che  tosto  piangerà  quel  monastero 
128       e  tristo  fia  d'averne  avuto  possa; 


Btam  oerUmen,  utti  prins  angostias  mon- 
taaque  oooaparent  >)  :  Bolla  yelooità  di  Cesare 
cfir.  Ar.  TI  62.  Por  qaeati  yerti  del  I^trg» 
Dante  attinie  a  Locano,  Fan,  m  468  e  segg. 
(efr.  Moore,  I  280).  —  Uerda:  dttà  deUa 
Spagna,  sol  flome  Segre,  detta  oggi  Lerida. 
—  108.  Batto,  ratte  eoo.  Agli  eaempi  di  sol- 
ledtadine  gridati  dalle  doe  anime  totta  la 
•ohlera  degli  aooidioal  risponderà,  eodtan- 
doti  l'on  r altro  a  non  eeeere  pigri,  oon  qoe- 
■te  parole  :  Presto,  presto,  per  deficienza  di 
amore  non  si  perda  il  tempo,  affinché  la  no- 
stra solleoitadine  del  bene  rinTigoiisca  in  noi 
la  grasin  divina.  —  106.  0  gente  eoo.  Vir- 
gilio rirolge  la  parola  a^^  accidiosi,  chie- 
dendo kno  da  qoal  parte  sia  il  passo  per 
salire  al  qointo  cerchio.  —  la  eoi  ecc.  nella 
quale  il  presente  intenso  fervore  d'amore  oom- 
penea  la  ne^igSDxa  e  la  trasooratessa  del  ben 
Dare  che  osaste  in  Tita  per  tiepidezza  d'af- 
fetto. —  aeate:  cfr.  Inf,  zzvi  121,  IStrg,  xnr 
110.  —  109.  e  eerto  lo  b«b  t1  bagle  i  e  cer- 
tamente non  dico  bogia,  affennandori  che  il 
mio  compagno  è  ancora  tìto.  —  baglo  i  il 
▼b.  bvgian,  mentire,  ò  freqoente  negli  an- 
tiohi  anche  in  prosa:  p.  es.  OaTaloa,  SptO" 
òkSo  di  «nocf  :  <  l'oomo  per  lo  soo  bogiare o 
mentire  a  ninno  giora»;  si  cfr.  anche  il  Pa- 
rodi, BuìL  m  186.  —  UO.  pu  ebe  11  iol 
eoe.  appena  il  sole  ci  risplenderà  neramen- 
te. —  IIL  er*  è  presfe  eoo.  in  qoal  parte 
èplù  Ticino  U  passo  ^salile.  — 118.  Tltni 

Bamtb 


di  retro  eoo.  Oontinoa  a  camminare  dietro 
a  noi,  da  sinistra  Terso  deetra.  — 114.  bnea: 
il  pertogio,  il  Tarco  inoaTato  nel  sasso  (o£r. 
Putg,  ZBC  48).  —  115.  Nel  slam  eco.  Noi 
siamo  dominati  da  tanto  desiderio  di  com- 
piere la  nostra  penitenza  correndo  intomo  al 
monte  che  non  possiamo  fermarci:  perciò 
perdona  la  nostra  apparente  villania,  se  gio- 
dichi  atto  scortese  dò  che  ò  effètto  di  divina 
giustizia  (il  non  soffermarci).  —  118.  Io  tal 
eoo.  :  abate  del  monastero  di  San  Zeno  in 
Verona,  ai  tempi  dell'imperatore  Federigo  I 
(1158-1190)  fa  Gherardo  n,  morto  nel  1187 
(cfr.  Q.  B.  Biancolini,  NoHxie  ttoriéh»  deU» 
dUm  di  Vtnna,  pp.  60-61):  tatti  gU antichi 
commentatori,  senza  dame  il  nome,  dicono 
oh' egli  fosse  molto  accidioso,  ma  certo  non 
n'ebbero  notizia  che  dai  Tersi  di  Dante.  — 
120.  di  eoi  dolente  ecc.  del  qoale  Milano 
serim  ancora  dolorosi  ricordi,  specialmente 
per  la  distrazione  della  dttà  che  il  Barba- 
rossa  ordinò  nel  1162.  ^  121.  S  tale  ha 
già  eoe  Alberto  della  Scala,  signore  di  Ve- 
rona, aTOTa  daTvero  nel  1800  CimpO  dtniro 
la  fona  (d^.  D' Gridio,  p.  665),  e  infletti  mori 
il  10  settembre  1801,  lasciando  tre  flgUodi 
legittimi  (Bartdommeo,  Alboino,  Gangrande) 
e  ono  illegittimo  (Oioseppe,  abate  di  San  Ze- 
no). — 122.  toste  piangerà  ecc.  presto  pian- 
gerà neU' infamo  l'ofllosa  recata  a  qxiel  mo- 
nastero e  sarà  dolente  d'arare  eserdtato 
sopra  di  esso  la  soa  antorità,  ponendoTi  per 

27 


418 


DIVINA  COMMEDIA 


perché  suo  figlio,  mal  del  corpo  intero, 
e  della  mente  peggio,  e  che  mal  nacque, 
126       ha  posto  in  loco  di  suo  pastor  vero  >. 
Io  non  so  se  più.  disse,  o  s'ei  si  tacque, 
tant'era  già  di  là  da  noi  trascorso; 
129       ma  questo  intesi,  e  ritener  mi  piacque. 
E  quei  che  m'era  ad  ogni  uopo  soccorso 
disse:  «  Volgiti  in  qua,  vedine  due 
182       venire,  dando  all'accidia  di  morso». 
Di  retro  a  tutti  dicean  ;  t  Prima  fue 
morta  la  gente,  a  cui  il  mar  s'aperse, 
135       che  vedesse  Giordan  le  rode  sue  »  ; 
e:  «  Quella,  che  l'affanno  non  sofferse 
fino  alla  fine  col  figliuol  d'Anchise, 
188       sé  stessa  a  vita  senza  gloria  offerse  >. 
Poi,  quando  fCLr  da  noi  tanto  divise 
quell'omhre  che  veder  più  non  potérsi, 
141       nuovo  pensiero  dentro  a  me  si  mise, 
del  qual  più  altri  nacquero  e  diversi: 


abate  il  Aglio  sao  Oinseppe.  —  124.  sao  fi- 
glio eoo.  Giuseppe,  figlio  illegittimo  di  Alber- 
to della  Soala,  nato  nel  1263,  Ai  abate  di  San 
Zeno  dal  1292  al  181B,  lebbene  <  indegno  di 
tale  prelatura  (dloe  U  Lana),  imprima  ch'eUi 
era  loppo  del  oorpo,  seoondo  eh'  elU  era  cosi 
difettooao  dell'anima  come  del  corpo,  terzo 
oh'eUi  «ra  figlinolo  naturale».  Beny.  rao- 
oonta  di  Ini  :  e  mo  fliit  abbaa  Saacti  Zeno- 
nis  ;  Tir  probna  et  Integer  a  prinoipk),  eed 
conéiUo  medioorom  tasta  maUere,  Telai  in« 
qninatoa  pioe  diaboli,  fàotna  est  fceUeratis- 
simia.  Nam  enm  Alboinna,  <iai  ■nooeierat 
Barthdomaeo  in  dominio,  TeUet  ex  pasilla- 
nimitate  rednoere  oomites  Saaoti  BonÙteii  in 
Vidronam,  abbas,  oon^oetente  Oane,  tamqnam 
animoflw  inorepana  amare  Alboinnm,  armata 
mann  lTÌt  et  trnoidaTit  mnltoe  ex  dietb  oomi- 
tiboa  ad  Tillam  eomm,  qnae  Insula  Comitom 
primo,  pottea  vocata  est  Insula  de  la  Scala  »  ; 
e  aggiunge  ohe  meglio  gli  sarebbe  stato  il 
nome  di  lapo  rapace  ohe  di  pastore,  e  ftJt 
enim  homo  riolentus,  de  nooto  diaourrens 
per  snburbia  cum  armatis,  nqgiens  multa  et 
replens  meretridbns  looum  illum  :  ideo  bene 
dioebat  quidam  veronensis,  qnod  sanctus  Zeno 
eaqpellebat  daemones  et  habebat*eos  intra  do- 
nram».  Per  altre  notìxie  ofr.  BuìL  Vn  69 
•  806.  —  125.  Mal  n^equo:  tn.  generato  0- 
Isgittimamente.  —  126.  41  avo  paster  mot 
di  abate  legittimo  di  quel  monastero.  —  127. 
I«  BOB  ■•  eoo.  Gli  aecidiosf  non  si  fermano 
a  parlare,  ma  parlano  eorrendo:  Dante  non 
sapeva  quindi  se  l'abate  ai  fosse  tadnto  o 
ii  della  ■■•  parole  altro  ma  ùmm  più  per- 


Tenato  a  lui  per  la  lontananza.  — 180.  ^«el 
che  m*era  ecc.  Virgilio,  pronto  a  eooooirermi 
in  ogni  mio  bisogno.  —  181.  Tedine  dne  eoiL 
Dietro  la  schiera  degli  acddiosi  due  spiriti 
venirano  gridando  esempi  di  accidia  punita, 
biasimando  in  tal  modo  questo  peccato.  — 
188.  Prima  fae  ecc.  H  primo  esempio  di  ao- 
ddia  d  quello  degli  Ebrei,  i  quali  essendo 
stati  ribelli  a  seguire  Moeè  perirono  tutti, 
eccetto  Giosuè  e  Caleb,  nel  deeerto,  prima 
che  la  terra  promessa,  la  Palestina,  fosse 
abitata  da  coloro  die  Dio  avera  Iktti  eredi 
di  quella  proyinda  (cfir.  K$odo  zxy  10-20, 
Nmmiy  ziY  1-88,  Dmiitr.  i  26-86).  —  1S4. 
a  evi  11  mar  eco.  ai  quali  Ebroi  si  apri  per 
volere  divino  il  Mar  Bosso,  msatre  ftiggivano 
inseguiti  da  Faraone  (ofr.  Xaodo  sx  21  e 
segg.).  —  186.  GlerAaat  il  fiame  Giovdaao, 
posto  qui  a  designare  tutta  la  PlslesCina.  — 
186.  ideila,  tk%  PafllMUie  eoo.  I  compagni 
di  Enea,  ohe  non  seppero  tdlerare  con  Ini  le 
fjfttiche  del  Tisggio  dno  al  termine  di  esso, 
ma  si  fermarono  in  Sicilia  con  Aceste:  ofr. 
Virgilio,  lOi.  T  604  e  segg. —189.  Poi,  «vairfe 
tur  ecc.  Allontanatosi  tanto  le  anime  degli 
accidiosi  ohe  Dante  e  Virgilio  non  potevano 
plii  vederie.  Dante  tr^assò  a  pooo  a  pooo 
dalla  veglia  al  sonno  :  con  arte  flnlsshna  egU 
rappresenta  questo  trapasso,  del  quale  il  primo 
grado  ò  appunto  quel  vagare  della  mente  da 
nn  pensiero  a  un  altro  ohe  risponde  al  venir 
meno  deU' attività  intallettnale,  e  l'nltimo 
grado  ò  il  conoretarri  dei  precedenti  pensieri 
in  una  viilonew  —  142.  éék  «aal  pttf  altri 
eoo.  2  ofr.  TligiliOk  JRk  fin  20:  €  Atqoe  ani- 


PUBGATOBIO  -  CANTO  XVHI 


419 


145 


e  tanto  d'uno  in  altro  vaneggiai 
che  gli  ooolìi  per  vaghezza  ricopersi 
e  il  pensamento  in  sogno  trasmutai 


■nm  nono  Ilvo  oelairai,  nnno  dividit  ilhio, 
In  partesqiie  npit  vaiias  pexqne  omnia  rer- 
nt  9.  —  141,  gU  «Mk!  eco.  Lomb.  :  e  por 
««lon  dol  Tagamonto  de'  pensieri,  eiod  per 


pi6  la  mente  in  aloon  ponitero, 
oeosando  agU  occhi  itimelo  di  restare  aperti, 
mi  si  chioserò  >. 


CANTO  XIX 

Dante  vede  In  sogno  una  donna,  Blmbolo  dei  vizt  dell'avarìzia,  della 
gola  e  della  loasoria;  poi  riSTegliato  da  Virgilio  sale  con  Ini  al  qointo  cer- 
chio, ove  tra  le  anime  che  si  parificano  della  colpa  dell'avarìzia  si  ma- 
nifesta e  parla  a  Ini  il  pontefice  Adrìano  Y  [12  aprìle,  dall'alba  in  poi]. 

Nell'ora  ohe  non  può  il  oalor  diurno 
intiepidar  più  il  freddo  della  luna, 
8       vinto  da  terra  o  talor  da  Saturno; 
quando  i  geomanti  lor  maggior  fortuna 
veggiono  in  oriente,  innanzi  all'alba, 
6       surger  per  via  che  poco  le  sta  bruna; 
mi  venne  in  sogno  una  femmina  balba, 


TEL  1.  Hen'on  eoo.  Lomb.  :  e  (Srco- 
serive  Fnltima  ora deUa  notte  dalla  fiteddezza 
^0  legokimsnte  tool  avere  maggiore  sopra 
!•  ore  pieoedeati,  e  toooa  nel  tempo  stesso 
la  mgifmo  per  ooi  dò  avviene,  cioè  perché 
ìa  qaeQ'  oaa  U  eahr  dmmo,  il  caldo  rimasto 
■eDa  tana  e  nell'  atmosfera  dal  sole  del  prò- 
oedsnfte  giomo,  fiato,  estinto,  da  terra^  dal 
Miftval  freddo  deDa  tena,  nonpuò  mHepidarey 
snudar  minore,  il  freddo  della  hmOf  della  not- 
te >.  —  2.  U  fre44e  ieUa  lana:  «la  lana 
(dfoe  il  Boti)  non  ò  fredda  in  sé,  ma  ò  effet- 
tiva  di  freddo,  ooi  raggi  ohe  percootano  in 
«■sa  et  ella  li  riflette  gioso,  e  la  riflessione 
«ho  visse  di  sa  gid  csgicma  freddo,  come 
fBoUa  diA  è  di  giù  sa  cagiona  caldo,  e  peid 
ìm  Ima  la  notte  ndbedda  Paize  e  la  terra». 
—  a.  •  taler  da  Salarao  :  o  talora  anche 
da  Satnmo,  allorohé  qnssto  pianeta  si  trova 
oall'  orianote  :  credevano  gli  antichi  che  Sa- 
tnmo fosse  apportatore  di  freddo,  onde  Vù> 
giUo,  Oeorg,  i  886  dice  :  e  Hoc  metaens  ooeli 
mnases  et  sideza  serra,  Frigida  Satnml  sese 
qiio  stella  recsptet  ».  —  4.  qaaado  i  geo- 
MSBtl  eoo.  e  Oeomanzia,  dice  il  Land.,  ò  spe- 
da di  divlnsfione,  la  quale  gli  orientali  mas- 
sfaM  ssaicltsvano  droa  l' aorora  in  su  i  liti  : 
ftanod  aedid  righe,  non  di  linee,  ma  di  ponti 
Hortaitt  et  non  nnmeAttl  da  chi  gli  ilEt,  poi  si 
dMdoM»  in  quattro  parti,  si  che  ogni  parte 
ita  quattro  zi|^  et  accoppiano  i  punti  della 
jiga  ia  lòau  éhie  nell'ultima  rimane  pari  o 


caffo,  e  d'ogni  quaternario  traggono  Tultime 
parti  et  fanno  una  figura.  I  nomi  delle  figure 
sono  latiiitat  trittitìa,  fortuna  maior,  fortuna 
minor,  aoq%isitio,  omissio,  aWuf,  rùbeua,  eo- 
muneUo,  eoneer,  popuhu,  via,  puer,  puelta, 
eaputf  eaiuda  ».  La  figura  di  fortuna  maior  ò 
una  disposirione  di  punti  somigliante  alla 
odlooasione  delle  stelle  che  sono  negli  ultimi 
gradi  dell'  Aquario  e  nei  primi  dd  Pesd  ;  e 
Dante,  invece  di  dire  eh'  era  l'ora  in  cui,  es- 
sendo il  sole  nella  oostelladone  dell'Ariete, 
erano  già  sopra  l'orizzonte  quella  dell'Aqua- 
rio e  parte  di  quella  dd  Pesd  (o  per  esser  que- 
sti segni  immediatamente  precedenti  quello 
d'Ariete  sarebbe  stato  lo  stesso  che  dire  poco 
prima  del  urger  del  tole)^  dice  ch'era  l'ora 
in  cui  i  geomanti  vedono  la  lor  maggior  for- 
tuna soxgere  in  oriente  kmanxi  all'alba^  per 
quella  via  che  poco  la  ala  bruna^  per  poco 
rimane  oscura  ad  essa  Tortona  (Aquario  e 
Pesd),  poiché  dopo  poco  tempo  nasce  il  sole: 
cfr.  Moore,  p.  117.  —  5.  Inaanxl  all'alba  s 
il  momento  predso  del  sogno  di  Dante,  se- 
condo i  calcoli  più  accurati  (Della  Valle, 
Senso  geog.  dt.  p.  70),  sarebbe  un'  ora  e  venti 
minuti  prima  dell'  alba  dd  12  aprile,  il  tempo 
adunque  vicino  al  mattino,  allorché  la  nostra 
mente  <  alle  sue  vision  quad  è  divina  »  (I^trg, 
IX  18).  —  7.  mi  venne  ecc.  La  donna,  ohe 
appare  eia  in  visione  a  Dante  e  ohe  Virgilio 
ohiamerà  <  antica  strega  Che  sola  sopra  noi 
omd  d  piagne  »  (v.  68),  è  una  figura  simbo- 


420 


DIVINA  COMMEDIA 


negli  occhi  guercia  e  sopra  i  piò  distorta, 
9       con  le  man  monche  e  di  colore  scialba. 
Io  la  mirava;  e,  come  il  sol  conforta 
le  fredde  membra  che  la  notte  aggrava, 
12       cosi  lo  sguardo  mio  le  £acea  scorta 
la  lingua,  e  poscia  tutta  la  drizzava 
in  poco  d'ora,  e  lo  smarrito  volto, 
16       come  amor  vuol,  cosi  le  colorava. 
Poi  ch'ell'avea  il  parlar  cosi  disciolto, 
cominciava  a  cantar  si  che  con  pena 
18        da  lei  avrei  mio  intento  rivolto. 
«  Io  son,  cantava,  io  son  dolce  sirena, 
che  i  marinari  in  mezzo  mar  dismago; 
21        tanto  son  di  piacere  a  sentir  piena. 
Io  volsi  Ulisse  del  suo  cammin  vago 
col  canto  mio;  e  qual  meco  si  ausa 


lica  dell'amore  «mute  par  troppo  di  vigort 
ossìa  dal  tM  dell'  avarìzia,  deDa  gola  e  della 
lossoiia  (cCr.  iWy.  zvn  96).  Questa  doxma, 
della  quale  secondo  alonni  Daate  avrebbe 
tolta  la  prima  idea  dalla  femmina  dei  i¥o> 
verbi  vn  10-12,  ò  rappresentata  baiba  o  bal- 
buziente, perché  r  avarizia  fa  parlare  l'uomo 
equivocamente,  la  gola  gì*  impedisce  di  favel- 
lare compiutamente  e  la  lussuria  lo  spinge 
all'  adukòione  e  alla  finzione  ;  gttereia  negU 
ocehif  perché  l' avaro  non  vede  per  cieca  cu- 
pidigia d' avore,  il  goloso  ha  ^  occhi  cisposi, 
il  lussurioso  altera  la  vista  corporea  ed  in- 
tellettuale; diatortatopraipièf  dod  sciancata, 
perché  l' avarizia  toglie  il  diritto  giudizio  delle 
cose,  la  gola  to(^  la  saldezza  delle  gambe, 
la  lussuria  snerva  e  debilita  tutto  il  corpo  ; 
001»  k  man  monohé,  perché  l'avaro  non  dà 
mai  nulla,  il  goloso  non  vuole  e  U  lussurioso 
non  può  tu  nulla  ;  finalmente  di  colore  ooial- 
fra,  pallida  e  squallida,  perché  il  pallore  co- 
lora il  volto  di  ohi  è  dominato  da  uno  di  oo- 
testi  tre  vizt.  —  10.  eome  11  sol  ecc.  come 
i  raggi  del  sole  rinfrancano  le  membra  intor- 
pidite per  il  freddo  della  notte,  cosi  il  mìo 
sguardo  rendeva  spedita  a  quella  donna  la  lin- 
gua, la  faceva  in  breve  alzare  sovra  i  piedi, 
e  le  colorava  il  pallido  volto  di  quel  roseo 
colore  ch'd  proprio  dell'amore.  Questa  tra- 
sformazione della  donna  sotto  lo  sguardo  di 
Dante  significa  che  1  iUsi  beni  (ricchezze, 
piaceri  della  gola,  piaceri  sensuali)  per  sé 
stessi  turpi  acquistano  pregio  all'  occhio  del- 
l'uomo, che  li  vsgheggia  e  li  vede  pieni  di 
allottamentL  —  12.  MorU:  sciolta,  pronta 
a  parlare  ;  ofir.  FiortUi  di  nn  Frane,  :  <  ben- 
ché il  beato  Francisco  non  avesse  scorta  la 
lingua  ad  essere  bello  parlatore  >.  —  16.  eo- 
mt  amor  wolt  oon  quel  oolore  di  perla, 


misto  di  roseo  e  di  pallido,  che  conviene  a 
chi  ama  (cfr.  F.  N.  xdc  63,  jllxvi  2).  ~  18. 
intesto  :  il  pensiero  volto  a  un  determinato 
obbietto;  cfr.  Pwg,  m  12.  —  19.  Io  son 
ecc.  Secondo  la  mitologia,  le  Sirene  erano 
bellissime  di  volto  e  di  corpo  mostruoso,  o 
abitavano  nell'  alto  oiare,  traondo  a  sé  col 
soavissimo  canto  i  marinai  •  oonduoendoli 
alla  rovina  :  già  presso  gli  antichi  esse  sim- 
boleggiavano gli  allettamenti  dei  falsi  bonL 
Torraoa  :  e  n  canto  della  Sirena,  nel  sogno 
di  Dante,  è  come  l'ultima  e,  naturalmente, 
piii  perfetta  elaborazione  di  un  motivo  fre- 
quente ne'  versi  de'  rimatori,  che  lo  prece- 
dettero di  non  molti  anni,  o  Airono  contem- 
poranei alla  sua  giovinezza  >  ;  e  dta  versi 
di  Gugliolmo  Beroardi  (D'Ano.,  Il  862),  di 
maestro  Binuocino  (D'Ano.,  IV  189)  eco.  ~ 
20.  In  mezzo  mar:  cfr.  Inf,  xzv  9i.  —  di- 
smago  :  tolgo  a  sé  stessi,  &cdo  perdere  (cfr. 
Pmg,  m  11).  —  21.  tanto  ecc.  cosi  gnuido 
ò  il  piacere  ohe  induco  noli'  animo  di  chi  mi 
ascolta.  —  22.  Io  Tolsi  ecc.  Quella  cho  coi 
suoi  allettamenti  fece  deviare  Ulisse  dal  corso 
della  sua  navigazione,  trattenendolo  più  d'un 
atmo  presso  di  sé  (cfr.  hvf.  xxvi  90),  fd  la 
maga  (Srce  (cfr.  Pwrg.  xrv  42),  la  quale  non 
era  sirena  :  anzi  dalle  sirene,  secondo  la  tra- 
dizione omerica  {Od,  xnX  tnisso  riusoi  a  li- 
berarsi per  gli  ammaestzamenti  ricevuti  da 
Circe  stessa.  Bisogna  ricordare  p^  altro  che 
Dante  non  lesse  Omero,  ma  i  versi  omerid 
tradotti  da  Cicerone,  Ds  fMXAU  v  18,  seg. 
(cfr.  Hoore,  I  264),  e  potò  bene  ammettere 
che  (yiroo  fosse  una  si^na,  come  dice  il  La- 
na; o  identificarla  con  la  donna  veduta  in 
sogno,  perché  l' una  e  l' altra  simboleggiano 
il  falso  piacerò  ohe  trae  l'uomo  dal  retto 
-  23.  Il  adias  d  avret»;  oAx 


PURGATORIO  -  CANTO  XIX 


421 


24       rado  sen  parte,  si  tutto  l'appago  >. 
Ancor  non  era  sua  bocca  richiusa, 
quando  una  donna  apparve  santa  e  presta 
27       lunghesso  me  per  ùa  colei  confusa. 
€  0  Virgilio,  o  Virgilio,  chi  è  questa?  > 
fieramente  dicea;  ed  ei  venia 
80       con  gli  occhi  fitti  pure  in  quella  onesta. 
L'altra  prendeva,  e  dinanzi  l'aprla 
fendendo  i  drappi,  e  mostravami  il  ventre; 
83       quel  mi  svegliò  col  puzzo  che  n'uscia. 

Io  mossi  gli  occhi,  e  il  buon  Virgilio  :  «  Almen  tre 
voci  t'ho  messe,  dicea:  surgi  e  vieni, 
86       troviam  l'aperta  per  la  qual  tu  entre». 
Su  mi  levai,  e  tutti  eran  già  pieni 
dell'alto  di  i  giron  del  sacro  monte, 
89       ed  andavam  col  sol  nuovo  alle  renL 
Seguendo  lui,  portava  la  mia  fronte 
come  colui  che  l'ha  di  pensier  carca, 
42        che  fa  di  sé  un  mezzo  arco  di  ponte, 
quand'io  udi:  «  Venite,  qui  si  varca  >, 
parlare  in  modo  soave  e  benigno. 


Ji/l  23 11.  ~  24.  ndo  ■§■  parto  :  xanmente 
■l  alloniuia  da  me,  perché  chi  ti  lascia  ade- 
scare dalle  losliiglie  del  làlso  bene  assai  di 
rado  liesoe  a  liberarsene  tornando  alla  yirtù. 
—  26.  Ameer  Ben  era  eoo.  Mentre  la  Sirena 
cantava,  i^parre  a  Dante  nn'  altra  donna, 
Tenuta  a  confondere  T  ingannatrice  (t.  27), 
a  rampognare  Virgilio  di  non  ayer  distolto 
il  ano  discepolo  dal  ragheggiar  la  fmmnina 
haìba  (tt.  28-29),  e  a  dlscopxire  le  sossore 
di  questa  nascoste  sotto  gli  allettamenti  del 
falso  piacere  (tt.  81-88).  Chi  sia  questa  donna 
non  appsre  con  certena  e  assai  discordi  sono 
sa  questo  ponto  i  ccnnmentatori  :  i  piii  degli 
antichi,  Lua,  Ott.,  Benr.,  Pietro  di  Dante, 
Bati,  An.  fior..  Land.,  intendono  eh*  essa  sia 
la  ragione,  la  quale  mostra  all' nomo  la  fal- 
lacia d^  piaceri  mondani  (ricchezze,  gola, 
lossuia),  squarciando  il  t^elo  onde  li  ricopre 
la  fantasia.  Solo  il  Cass.  vi  rayrisa  la  virtù 
dalla  temperanza;  e  dei  moderni,  alcuni  la 
recita,  altri  la  rolontà  umana,  altri  Lucia  o 
la  grazia  illuminante;  ma  T interpretazione 
de^  antichi  è  la  migliore.  —  28.  elil  i  f  ne- 
sta  I  chi  è  questa  femmina,  che  il  tuo  disce- 
polo Taghe^^?  —  29.  fleramente  dleea: 
la  santa  donna  o  la  rsgione  parla  sdegnosa- 
mente a  Virgilio,  per  mostrar  subito  il  di- 
spreizo in  che  ha  la  femmina  balba.  -~  80. 
ftttt  fsre  eoo.  fitti  solamente  alla  santa  don- 
na. —  81.  L'altra  eco.  La  santa  donna  pren- 
der» la  linnmina  balba  e  V  apriva  dayanti, 
sf  nilando  i  panni  end'  era  rivestita,  e  oosf 


mostrava  a  Dante  il  ventre  di  lei,  dal  quale 
usciva  un  puzzo  che  lo  risvegliò.  —  84.  Io 
mossi  ecc.  Appena  Dante  svegliandosi  volse 
gli  occhi  al  suo  maestro,  questi,  ohe  già  Pa- 
reva chiamato  almeno  tre  volte,  g^  ripeto  di 
alzarsi  e  venire,  per  salire  ai  cerchio  supe- 
riore. —  Àlmen  tre  :  ctt,  Inf,  vn  28.  —  S6. 
aperta:  apertura,  valico  (cfr.  I^,  iv  19). 
—  87.  e  tutti  eoo.  e  tutti  1  cerchi  del  pur- 
gatorio erano  giii  illuminati  dai  raggi  del  sole 
già  alto:  siamo  nelle  ore  antimeridiane  del 
12  aprile  ;  ctt.  Moore,  p.  118.  —89.  andavam 
eoo.  i  due  poeti  procedevano  da  destca  verso 
sinistra  (v.  81)  nìel  fianco  settentrionale  della 
montagna,  percid  goardavano  verso  occidente 
e  volgevano  le  spalle  all'  oriente  ;  s£  che  il 
sole  perooteva  loro  le  reni.  —  40.  portava 
eoo.  Dante,  ancora  occupato  dalle  rimem- 
branze della  recente  visione,  camminava  cur- 
vo, come  r  uomo  dominato  da  gravi  pensieri. 
Era,  del  resto,  sua  abitudine,  e  racconta  il 
Beco.,  Vita  di  D,  l  8:  «  poi  ohe  alla  matura 
età  fu  pervenuto,  andò  alquanto  curvetto,  e 
era  il  suo  andare  grave  e  mansueto  ».  —  42. 
ehe  fa  ecc.  doò  cammina  oon  la  testa  e  il 
busto  oosf  piegato  come  un  arco  di  ponte  dal 
mezzo  alla  sponda.  L' imagine  apparirà  tanto 
più  viva  e  perspicua  quanto  più  avremo  pre- 
sente la  forma  degli  archi  nei  ponti  medio- 
evali,  i  quali  svolgevano  le  loro  incurvature 
a  sesto  acuto.  —  48.  qaand'  lo  ecc.  È l' an- 
gelo del  quarto  cerchio  che  addita  ai  due 
poeti  il  passo  onde  si  sale,  parlando  in  modo 


422 


DIVINA  COMMEDIA. 


45        qual  non  si  sente  in  questa  mortai  marca. 
Con  Pali  aperte  che  parean  di  cigno, 
volseci  in  su  oolni  che  si  parlonne, 
48       tra  due  pareti  del  duro  macigno. 
Mosse  le  penne  poi  e  ventilonne, 
qui  lugent  affermando  esser  beati, 
61        ch'avran  di  consolar  l'anime  donne. 

«  Che  hai|  che  pure  in  yér  la  terra  guati  ?  » 
la  guida  mìa  incominciò  a  dirmi, 
54       poco  ambedue  dall' angel  sormontati. 
Ed  io  :  <  Con  tanta  suspizion  &  irmi 
novella  vision,  eh' a  sé  mi  piega 
57        si  ch'io  non  posso  dal  pensar  partirmi  >. 
<  Vedesti,  disse,  quella  antica  strega, 
che  sola  sopra  noi  omai  si  piagne; 
60       vedesti  come  l'uom  da  lei  si  slega. 
Bastiti,  e  batti  a  terra  le  caloagne, 
gli  occhi  rivolgi  al  logoro,  che  gira 
63       lo  rege  etemo  con  le  rote  magne  ». 
Quale  il  falcon  che  prima  ai  piò  si  mira, 
indi  si  volge  al  grido,  e  si  protende 
66       per  lo  disio  del  pasto  ch^  là  il  tira; 


■oare  e  benigno  e  tenendo  dritto  yeiso  U 
scala  le  bianchissime  alt  —  46.  la  «vesta 
mortai  narea:  in  questo  nostro  mondo,  in 
qnesta  regione  abitata  dagli  nomini.  —  4A. 
eoa  l'ali  aperte  eoo.  tenendo  le  ali  aperto 
nella  direzione  della  scala;  non  già  hnpe- 
dendoci  con  le  ali  di  camminare  più  oltre  per 
il  riplano  del  cerchio,  come  intese  il  Lomb. 
—  48.  tra  doe  ecc.  per  la  scala,  fiancheg- 
giata da  due  pareti  di  macigno.  —  49.  t  tob- 
tlloBse  !  col  ventilare  delle  ali  l'angelo  tolse 
dalla  fronte  di  Danto  il  quarto  segno  di  pec- 
cato, quello  dell'accidia  (ofr.  Ihirg.  xx  112, 
xn  98).  —  60.  qai  Ingeat  ecc.  È  la  seconda 
delle  beatitudini  evangeliche,  Matteo  v  4: 
<  Beati  coloro  che  fanno  cordoglio,  per  ciò 
che  saranno  consolati  >,  ben  conveniento  agli 
accidiosi,  i  quali  piangendo  corrono  intomo 
al  monto  (I^urg,  xvm  99),  o  cosi  espiano  la 
lor  colpa  terrena  che  fu  difetto  di  fervento 
carità.  —  61.  eh'avraa  ecc.  :  parafrasi  poe- 
^  tica  del  testo  evangelico  ;  nella  quale  molto 
'  ha  dato  da  fare  agi'  inteipreti  la  frase  :  l'o- 
nime  donne  di  eonsolar  ;  meglio  di  tutti,  Benv. 
spiegò  :  <  qui  habebunt  in  coelo  animas  suas 
dominas  consolationis  >,  dod  saranno  beati, 
avranno  le  anime  signore  di  quella  felicità 
che  viene  dall'  etoma  saluto.  —  62.  Che  hai 
ecc.  :  si  ricordi  che  Dante  soguitova  Virgilio 
col  capo  chino,  sino  da  quando  s' era  svegliato 
dal  sonno  (v.  40).  —  54.  foco  ambedve  eco. 


svendo  entrambi  oltrepassato  di  poco  il  luogo 
ov'erm  l'angelo.  —  66.  C<m  tasta  eoo.  Una 
reoento  visione,  ohe  tiene  volta  a  sé  la  mia 
mento,  mi  Ik  andare  ooaf  pensoso  die  non 
riesco  a  liberarmi  dal  ricordo  di  essa,  ffi  Boti 
ohe  Danto  non  ha  avuto  campo  di  dir  prima 
d' ora  a  Tirgilio  di  questa  sua  visione,  per^ 
che,  appena  svegliatosi  e  messosi  dietro  i 
passi  del  maestro,  è  apparso  l' angelo  a  voi- 
gerU  alla  saUta.  —  68.  Vedesti  eoo.  T^igOio, 
che  conosoe  ogni  minimo  pensiero  di  Danto 
(cfr.  IKuy,  XV  127),  dimostra  al  discepolo  di 
conoscere  bene  la  visione  ch'egli  ha  avuta 
e  gliene  dichiara  il  senso,  aocennaBdo  èhe  la 
femmina  balba  apparsagli  aimbdeggiB  i  tra 
peccati  che  si  esplano  nei  tre  rimanenti  cer- 
chi, e  che  la  santa  donna  signiiloa  la  ragione 
per  mezzo  deUa  quale  l'uomo  si  Hbera  da 
questi  peccati.  —  61.  t  tetti  eoo.  e  affretta 
il  passo  per  il  tuo  cammino,  tonendo  gli  oc- 
chi alle  bellesze  del  cielo,  a  quell'invito  che 
il  re  dell'universo  ti  là  col  movimento  deUe 
sfere  celesti,  qxiasi  a  dimostrazione  della  sua 
potenza.  —  62.  logero  :  cfr.  iH/l  xzvn  127. 
—  64.  Quale  11  fìaleon  eoo.  Come  il  falcone, 
ohe  stando  sulla  pertica  o  portato  sulla  mano 
si  goarda  ai  piedi,  quasi  per  desiderio  di  li- 
berarsi, si  volge  al  grido  del  fUoooisso  e  ai 
stende  in  avanti  per  gittorsi  sabito  sulla  pro- 
da, ooaf  io,  ohe  camminava  curro,  alle  pa- 
role di  Yiigilio  mi  zialsai  e  aflbettai  il  passo. 


I  la^ 


PUROATORIO  —  CANTO  XIX  423 

tal  mi  £ec'Ì0|  e  tal,  quanto  si  fende 
la  roccia  per  dar  via  a  chi  va  suso, 
69       n'andai  infino  ove  il  cerchiar  ai  prende. 
Com'io  nel  quinto  giro  fui  dischiuso, 
vidi  gente  per  esso  che  piangea, 
72       giacendo  a  terra  tutta  volta  in  giuso. 
«  Adhaesit  ^pavimento  anima  mea  >, 
senti'  dir  lor  con  si  alti  sospiri 
75       che  la  parola  appena  s'intendea. 
€  O  eletti  di  Dio,  li  cui  soffiriri 
e  giustizia  e  speranza  fan  men  duri, 
78       drizzate  noi  verso  gli  alti  saliri  >. 
<  Se  voi  venite  dal  giacer  sicuri 
e  volete  trovar  la  via  più  tosto, 
81       le  vostre  destre  sien  sempre  di  furi  >  : 
cosi  pregò  il  poeta,  e  si  risposto 
poco  dinanzi  a  noi  ne  fu;  per  ch'io 
84       nel  parlare  avvisai  l'altro  naacosto, 
e  volsi  gli  occhi  allora  al  signor  mio: 
end' egli  m'assenti  con  lieto  cenno 
87       ciò  che  chiedea  la  vista  del  disio. 
Poi  ch'io  potei  di  me  fare  a  mio  senno, 
trassimi  sopra  quella  creatura, 

—  07.  •  tal,  OMito  eoe  •  con  tele  spedi-      finché  insognino  »  lai  ore  sia  la  aoala  per  sa 
>  oamininai  per  tatto  qael  tiatto  ore  la      lire  al  sesto  oerofaio.  —  79.  8e  loì  Ttalte 


roccia  ò  apeita  per  dar  via  a  dii  sale,  cioè  eoo.  Un'  anima,  ohe  poi  si  manifesterà  per 
per  tutta  la  aoala.  —  69.  o?e  11  ctreklar  qaella  del  pontefice  Adriano  V  (t.  99),  ri- 
eoo,  ave  s*  twftftnifaftiA  a  camminare  in  oer-  sponde  a  Virgilio  che,  se  non  devono  fer- 
chiow  —  70.  Cmà*  lo  eoo.  In  questo  qainto  marsi  nel  oexchio  a  pnrgard  della  colpa  d'a- 
firona  del  porgatoiio  sono  le  anime  degli  yarizia,  potranno  ttorare  pid  presto  la  salite 
avari  e  dei  prodighi  (cfr.  Purg,  zxn  Ì9-64),  ai  cerchi  saperiori  camminando  da  deetra 
di  ooloro  insomma  ohe  eccedettero  nell'  oso  verso  sinistra.  —  81.  le  vtstre  Assire  eoo. 
delle  liocheoe  :  Danto  per  altro  considera  procedete,  tenendo  sempre  la  vostra  destra 
in  questo  girone  specialmente  gli  avari,  1  dalla  parte  estema.  —  di  full  di  faori ;  ò 
qo^  aono  distesi  a  terra  e  piangono  con  forma  popolare  toscana,  come  ha  dimostrato 
amare  lagrime  il  loro  peccato  {Purg.  xx  7).  il  Parodi,  ButL  m  98.  —  88.  per  ek'lo  eoo. 
«  72.  tatto  volta  la  glasot  gli  avari  hanno  onde  io  nel  parlar»,  mentre  qaello  spirito 
e  i  dossi  volti  al  sa  »  (v.  94),  per  la  ragione  parlava  rispondendo  a  Virgilio,  ovrisoi  Val- 
trirnìv^*^  più  innanzi  da  ano  del  penitenti  tro  tuuoosto,  posi  mente  a  dò  che  prima  mi 
(cfr.  TV.  118  o  segg.).  —  73.  Adlueslt  eoo.  era  nascosto,  cioè  alla  persona  del  parlante. 
Sono  parole  del  Salmo  gzdc  26  :  e  L'anima  Cosi  pare  avere  inteso  Benv.  e  cosi  retto- 
mia  è  attaccate  alla  polvere  ;  vivificami  se-  mento  spiegarono  alcani  moderni  ;  mentre  i 
oondo  la  toa  parola  »  :  e  sono  bene  appro-  piti  degl'  interpreti  videro  in  questo  parole 
piiato  agii  avari  per  il  contrasto  tra  l'amore  accennato  il  pensiero  che  Adriano  V  igno- 
delle  ricchezze,  che  fece  aderire  l'anima  loro  resse  che  Danto  fosse  vivo.  —  85.  t  valsi  ecc. 
al  peccato,  e  la  vivificanto  grazia  del  Signo-  Danto  si  volge  a  Virgilio,  chiedendogli  con 
re,  alla  quale  aspirano.  —  74.  alti  sospiri:  Io  sguardo  il  permesso  di  intrattoneni  a  par- 
profondi  sospiri,  segno  di  dolore  intonso  (cfr.  lare  con  quello  spirito;  e  Virgilio  assento 
J^.  xvx  64).  —  76.  0  eletti  ecc.  Virgilio  par  con  gli  occhi  al  desiderio  manifestatogli 
si  volge  ai  penitenti,  ai  quali  la  giustizia  di-  in  tal  modo  dal  suo  discepolo.  —  89.  trai- 
vina  e  la  speranza  della  beatitodine  rendono  slnd  sopra  ecc.  mi  avvicinai  a  quell'anima,- 
BMBo  duo  te  soiforenze  dell'  espiazione,  af-  che  con  le  sue  parole  aroTa  attirata  a  a^la 


424 


DITINA  COBIÌfEDIA 


90       le  oni  parole  pria  notar  mi  fennOi 
dicendo  :  «  Spirto,  in  coi  pianger  matura 
quel  senza  il  quale  a  Dio  tornar  non  puossi, 
93       sosta  un  poco  per  me  tua  maggior  cura. 
Chi  fosti  e  porcile  volti  avete  i  dossi 
al  su  mi  di',  e  se  vuoi  ch'io  t'impetri 
96       cosa  di  là  ond'io  vivendo  mossi». 
Ed  egli  a  me:  «  Perché  i  nostri  diretri 
rivolga  il  cielo  a  sé,  saprai;  ma  prima, 
99       ioia$  quod  ego  fui  successar  PetrL 
Intra- Siestri  e  Ghia  veri  si  adima 
una  fiumana  bella,  e  del  suo  nome 
102       lo  titol  del  mio  sangue  &  sua  cima. 
Un  mese  e  poco  più  prova'  io  come 
pesa  il  gran  manto  a  chi  dal  fÌEmgo  il  guarda, 
105       che  piuma  sembran  tutte  l'altre  some. 


mi»  attenzione.  —  9L  Spirto»  1b  eoi  eco. 
0  anima,  nella  qnale  il  pianto  matoia  il  fratto 
4ella  penitenza,  senza  il  qnale  non  'ai  può 
salile  alla  beatitudine  del  paradiso,  inter- 
lompi  per  nn  momento  la  tna  penitenza  per 
parlare  oon  me.  —  9i.  Chi  fosti  eco.  Dimmi 
ohi  ta  fosti,  dimmi  perché  giacete  cosi  col 
volto  a  tona,  e  dimmi  se  vnoi  che  io  ti  ot- 
tenga nnlla  nel  mondo,  dal  qnale  io  mi  sono 
partito  prima  di  morire.  —  97.  Ed  ogU  a  me 
eoe  Adriano  V  risponde  a  Dante  sa  dascan 
ponto  della  sua  domanda  :  ohi  sia  (▼▼.  99- 
114),  perché  gli  avari  siano  in  qaell*  atteg- 
giamento (VT.  116-126),  e  dò  che  gì' importi 
ancora  nel  mondo  dei  viventi  (w.  142-145). 
—  Perehtf  1  nostri  eco.  Ti  dirò  poi  perché 
il  cielo  d  tenga  coi  dossi  rivolti  a  sé,  doè 
con  la  iRcda  a  terra.  —  99.  selas  q«od  ecc. 
sappi  che  io  ftii  nno  dd  saocessori  di  san  Pie- 
tro. Ottobnono  dei  Fieschi,  della  famiglia  ge- 
novese del  conti  di  Lavagna,  fa  eletto  papa 
col  nome  di  Adriano  V  il  12  loglio  1276  e 
mori  il  18  agosto  dell*  anno  stesso,  in  Viterbo 
(cfr.  O.  Villani,  Or.  vii  60)  ;  di  lai  dicono  le 
Oh,  9opra  Danio  :  <  Oostai  tatto  il  tempo  di 
sua  vita  non  avea  atteso  ad  altro  che  a  ran- 
nare  peoonia  e  avere,  per  ginngere  a  qael 
panto  d' essere  papa,  posto  die  pooo  il  go- 
desse :  e  veggiendod  papa  e  nella  maggior 
signoria  che  d  possa  avere,  d  riconobbe  e 
parvee^  essere  entrato  nd  maggior  laodeto 
del  mondo,  e  ooef  de'  essere  avere  a  gover- 
nare e  avere  a  cara  dell*  anime  di  tatta  la 
cristianità;  e  rioognosdatod  sé  medesimo 
ispregiò  r  avarizia  e  tatti  gli  altri  vizi!  ».  — 
100.  Intra  Slestrl  eoo.  Fra  Sestri  Levante 
0  Chiavari,  piccole  dttà  della  riviera  ligare 
orientale,  scorre  dall'Appennino  al  mare  il 
flame  Lavagna  :  il  qaale  dio  nome  a  nn  borgo 
di  qad  territorio,  centro  nd  medioevo  della 


contea  del  signori  dd  Fiesoo,  ehs  nel  1196 
la  cedettero  al  cornane  di  Genova  e  d  iéoero 
dttadini,  oonservando  però  il  titolo  di  conti 
di  Lavagna.  —  lOL  «ma  fluu»*  eoe.  D 
Bassennann,  pp.  881-884,  dopo  aver  descritto 
i  Inoghi  nota  :  <  Ohi  ha  vedato  la  vallo  di 
Lavagna,  sabito  intende  oon  qaanta  ragione 
Dante  applichi  al  nome  della  flamana  1*  epi- 
teto di  btUOt  e  qaad  vorrebbe  Ano  nella  tem- 
pra espresdva  dd  tenero  verso  ritrovare  lo 
scorrere  della  bella  flnmana  attraverso  la 
ricca  0  delidosa  contrada  ».  — 102.  lo  titol 
eoo.  la  mia  casata  trae  il  sao  maggior  vanto 
dd  titolo  di  conti  di  Lavagna;  ood  intendono 
i  migliori  interpreti,  contro  l'opinione  d'dtri 
che  spiegano  :  il  titolo  della  mia  fkmiglia  trae 
da  qnesto  fiame  l' origine  saa.  —  108.  Ut 
mese  eoe  Adriano  V  pontificò  per  soli  83 
giorni  e  non  ebbe  agio  né  pare  di  esser  con* 
sacrato  e  coronato  ;  ma  qnesto  breve  tempo 
gli  bastò  per  conoscere  qaanto  fosse  grave 
l'ofBdo  del  papato  a  ohi  lo  vaol  eeerdtaro  con 
rettitadine.  Ciò  è  confermato  dd  Petrarca, 
R«r,  memor,  in  2, 64  :  >  Hadrianam  romanam 
pontificem  saepe  dicentem  andlvìsso  Pdy- 
crates  refert,  qai  dbi  praefamUiaris  fbit, 
nallam  se  ab  hoste  sao  qaolibet  maios  sap- 
plidam  optare  qoam  at  Papa  fieret.  Et  pro- 
feoto,  nid  fdlor,  sammi  pontificatos  saidnam, 
qnae  valgo  fOlix  et  invidiosa  videtar,  home- 
ris  sabiisse  difflniìlimam  et  gioriosam  miseriae 
gonna  est:  hi»,  dico,  qai  eam  seqae  ab  omni 
contagio  praedpitioqae  praesorvare  decxeve- 
ront;  reliqais  enim  qaanto  levior  videtar, 
tanto  fonestior  statos  est;  videtar  itaqoo 
apad  atrosqae  foxmidabilis,  qaod  d  Ole  £»- 
tebator  qai  id  onxu  pands  diebas  pertalit, 
qaid  illis  videri  debeat  qai  sab  fuco  senae- 
rant?  >.  —  104.  graa  Manto  :  cfr.  Inf.  n  27. 
—  106.  che  piama  ecc.  ohe  al  pongono  con 


PURGATORIO  —  CANTO  XIX  425 

La  mia  conyersìone,  o  me!  fu  tarda; 
ma,  come  fatto  fui  roman  pastore, 
106       cosi  scopersi  la  vita  bugiarda. 
Vidi  che  li  non  si  quotava  il  core, 
né  più  salir  poteasi  in  quella  vita; 
111        per  che  di  questa  in  me  s'accese  amore. 
Fino  a  quel  punto  misera  e  partita 
da  Dio  anima  fui,  del  tutto  avara: 
114       or,  come  yedi,  qui  ne  son  punita. 
Quel  ch'avarizia  fa,  qui  si  dichiara 
in  purgazion  dell'anime  converse, 
117        e  nulla  pena  il  monte  ha  più  amara. 
Si  come  l'occhio  nostro  non  s'aderse 
in  alto,  fisso  alle  cose  terrene, 
120       cosi  giustizia  qui  a  terra  il  morse: 
come  avarizia  spense  a  ciascun  bene 
lo  nostro  amore,  onde  operar  perdési, 
123       cosi  giustizia  qui  stretti  ne  tiene, 
ne' piedi  e  nelle  man  legati  e  presi; 
e  quanto  fia  piacer  del  giusto  Sire, 
126       tanto  staremo  immobili  e  distesi  >. 
Io  m'era  inginocchiato,  e  volea  dire, 

TnlBoio  fi  pontafipe  sembra  toggiera  qiiAliin«  contìnuo  rimprovero  della  «  aoonoacente  Tita 
quo  altra  più  gcare  dignità.  —  106.  Lft  mia  che  i  fé*  tozzi  >  (htf,  vn  63).  —  118.  Sf  e«- 
ceaTcnione  eco.  Io  indngiai  longamente  a  ne  eco.  Oome  il  noetro  pensiero  rirolto  tatto 
oonyartinni;  ma  iq»pena  ftd  fatto  pontefice  al  conseguimento  dei  beni  mondani  non  si 
lioonòbbl  la  fìsDaoi*  dei  beni  terreni,  ta  vita  innalzò  a  Dio  nella  prima  vita,  oosf  i  nostri 
htigiarda  che  condace  ohi  non  ha  l'animo  ri-  occhi  per  divino  giudizio  sono  ora  abbassati 
Tatto  al  sommo  bene.  —  109.  Vidi  ehe  li  alla  terra  :  in  tal  modo  appare  manifesta  la 
ecc.  Provai  che  l'animo  cupido  non  era  so-  corrispondenza  tra  la  natura  della  colpa  e 
diafktto  né  pure  nel  godimento  di  una  cosi  qaoUa  dell'espiazione.  — 120.  eesf  glvstlsla 
alta  autorità,  al  di  sopra  della  quale  nessu*  eco.  cfr.  Stazio,  Teb.  v  603  :  <  nie  graves 
n'  altra  ò  neDa  vita  umana  :  per  la  qual  cosa  oculos  languentiaque  ora  oomanti  Mergit  bu- 
si acoese  in  me  il  desiderio  della  vita  etema,  mo  ».  —  121.  come  avarizia  eoo.  come  l'a- 

—  111.  di  fletta:  della  beatitudine,  alla  varizia  spense  nei  nostri  animi  ogni  sentì- 
quale  si  perviene  per  la  via  della  penitenza,  mento  del  vero  bene,  onde  mancò  in  noi  la 

—  112.  Fino  a  o«l  pvnto  ecc.  Fino  al  mo-  facoltà  e  l'occasione  di  fitre  il  bene,  ood  la 
mento  della  mia  elezione  al  pontiflcato,  la  divina  giustizia  ci  tiene  qui  strettamente  av- 
mia  anima  dominata  interamente  dall'avari-  vinti  e  legati  nelle  mani  e  nel  piedi  Questi 
zia  fti  infelice  e  divisa  a  Dio  ;  e  perciò  ora  vincoli,  che  impediscono  gli  avari,  simboleg- 
mi  trovo  qui  ad  espiare  la  mia  colpa.  — 116.  giano  le  cure  ond'  essi  custodirono  nel  mondo 
Qmel  eoe.  Viene  ora  Adriano  V  a  rispondere  le  ricchezze,  e  l' idea  può  esseme  venuta  a 
a  Dante  circa  l'atteggiamento  degli  avari,  e  Dante  da  san  Paolo,  I  JS)»{sl.  a  Timoteo  n  9  : 
dice  :  Quel  ehs  avariana  fa^  cioè  i  tristi  effetti  <  Coloro  che  vogliono  arriochire  caggiono  in 
dell'avarizia  sull'animo  dell'uomo,  H  dichiara  tentazione  e  in  laodo  e  in  molte  concupi- 
g%n,  8i  manifestano  In  questo  cerchio,  nel  scenze  insensate  e  nocive  >.  — 126.  franto 
modo  od  quale  i  penitenti  si  purificano  della  ecc.  e  resteremo  cosi  immobili  e  distesi  a 
loro  colpa.  —  117.  e  Balla  eoe  e  nessun'  al-  terra  finché  piacerà  a  Dio,  il  quale  solo  sa 
tra  delle  pene  di  purgatorio  ò  più  dolorosa  ;  il  termine  della  nostra  espiazione.  —  glasto 
e  il  maggior  dolore  degli  avari  ò  cagionato  Sire:  Dio,  signore  della  giustizia  (cfr.  Inf. 
dal  loro  atteggiamento,  per  il  quale  essendo  xzix  66,  Purg»  xv  112).  —  127.  le  m'era 
piivati  déUa  vista  del  dolo  hanno  in  ciò  un  eco.  Dante,  che  anche  nell'  infemo  aveva 


426 


DIVINA  GOMMEDU 


ma  com'io  cominciai,  ed  ei  s'accorse, 
129        solo  ascoltando,  del  mio  riverire: 

€  Qual  oagion,  disse,  in  giù  cobI  ti  torse? > 
Ed  io  a  Ini  :  «  Per  vostra  dignitate 
182       mia  coscienza  dritto  mi  rimorse  >• 
€  Drizza  le  gambe,  e  levati  su,  frate, 
rispose;  non  errar,  conservo  sono 
185       teco  e  con  gli  altri  ad  una  potestate. 
Se  mai  quel  santo  evangelico  suono, 
che  dice  '  Neque  nvòent  \  intendati, 
188       ben  puoi  veder  percb'io  cosi  ragiono. 
Vattene  omai,  non  vo'  che  più  t' arresti  ; 
che  la  tua  stanza  mio  pianger  disagia, 
141       col  qual  maturo  ciò  che  tu  dicesti. 
Nepote  ho  io  di  là  e' ha  nome  Alagia, 


serbata  una  certa  xiyeienza  per  obi  in  Tlta 
era  stato  insignito  della  dignità  pontificia 
(oCr.  Ihf,  ZDc  101),  8*  inginocchiò  innanzi  ad 
Adriano  V  e  yolle  pailare  in  tale  atteggia- 
mento ;  ma  il  pontefice  toh  ateoUtmdOf  sema 
Tederò  doè  poiohó  dò  gli  era  impedito  dalla 
Boa  positura,  s*aooone  dell'atto  lorerento 
dell'ignoto  visitatore  e  gli  chiese  perché  si 
fosse  cosi  inginoochiato.  —  IBO.  Q«al  ea^ton 
ecc.  Si  consideri  questo  dialogo  tra  il  poeta 
e  il  papa,  per  mezzo  del  qnale  Danto  volle 
poeticamente  significare  il  pensiero  ohe  la 
morto  ngoa^ia  tatti  gli  nomini,  togliendo  di 
meczo  ogni  differenza  di  grado  o  di  condi- 
zione, e  ohe  tatti  siamo  ogoali  davanti  alla 
podestà  divina.  —  181.  Per  vostra  ecc.  La 
mia  coscienza  mi  rimorse  dello  star  dritto 
innanzi  a  voi,  che  siete  degno  di  riverenza 
per  essere  steto  p^Mu  Qnest^  interpretazione 
che  d  del  Fanf.  e  dello  Scart,  discorda  da 
qnella  degli  antichi  e  moderni  commentetori, 
da  Benv.  e  dal  Buti  al  Tomm.  e  si  Bianchi, 
i  qoali  leggono  driita,  riferendolo  a  doseimxa, 
senza  badare  òhe  cosi  Danto  farebbe  di  so 
an  vanto  inopportono,  tanto  più  ch'el  si  ò 
già  parificato  della  superbia.  H  Lomb.  leg- 
gendo dritto,  spiega  :  <  la  mia  coscienza  ret- 
tamente, giastamento,  mi  diede  stimolo  a 
qoesto  doveroso  atto».  —  133.  frate:  cfr. 
Purg,  nr  127.  —  184.  bob  errar  ecc.  non 
commettere  l'errore  di  ossequiarmi  in  purga- 
torio come  avresti  fatto  neU'sltra  vita,  poi- 
ché io  e  tu  e  tutti  gli  altri  spiriti  damo  nella 
stessa  maniera  servi  di  una  sola  autorità, 
quella  di  Dio.  Lo  parole  di  Adriano  V  sono 
le  stesse  ohe  l'angelo  disse  a  Giovanni,  git- 
tatosi  innanri  ai  suoi  piedi  (ApoeaL  zix  10): 
e  Qoardati  che  tu  noi  faccia  ;  io  son  conservo 
tao  e  de'  tuoi  fratelli,  che  hanno  la  testimo- 
nianza di  Gesù;  adora  Iddio»  eoo.  ~  186. 


Se  mal  eoo.  Baocontano  gli  evangelisti  (lUt- 
teo  zxn  29-80,  ICaroo  zn  18-26,  Luca  zz 
27-86)  die  allorquando  i  Sadduod  diieeero 
ironiosonente  a  Gesù  ohi  nella  resnrresion* 
sarebbe  stato  lo  sposo  della  donna  che  ebbe 
in  terra  sette  mariti,  egli  rispondeste  loro  : 
e  Voi  errate,  non  intendendo  le  Scrittore, 
né  la  potenza  di  Dto;  per  dò  dte  nella  risozw 
reziome  non  d  prendono  né  d  danno  mo^ 
(vulgate  :  ntqu»  nubmU,  neque  nubetOm')  ;  aod 
gU  uomini  son  nd  ddo  oome  angeli  di  I^  ». 
Ora,  eesendo  il  papa  lo  sposo  ddla  Chiesa 
(cfr.  Inf.  zzz  66,  Purg,  zziv  22),  Adriano  V 
richiamandod  aUe  parole  evangeliohe  vuol 
dire  che  nd  purgatorio  non  ha  conservato 
alcuna  delle  prerogative  che  ebbe  in  terra 
come  pontefice  :  quindi  non  dev*  essere  rive- 
rito e  inchinato,  per  ossequio  a  una  podestà 
che  non  ha  più.  —  UO,  la  tia  iteaza  eoe. 
la  tua  dimora,  il  tuo  stare  a  convenar  meco, 
dieagiOf  rende  difficile,  impedisoe  la  mia  pe- 
nitenza. —  Ul.  eoi  qnal  eoo.  :  ofr.  v.  91  e 
segg.  —  112.  Nepote  ecc.  Dante  avea  chiesto 
ad  Adriano  se  voleva  eh'  d  gU  ottenesse  qual- 
che cosa  nd  mondo  dd  viventi  (v.  96);  e  il 
papa  risponde  ohe  di  là  non  ^  è  rimasto 
cara  se  non  una  nipote  virtuosa,  alla  quale 
Dante  possa  raccomandarlo.  —  AlagU:  fk 
una  delle  tre  figliuole  di  Niooold  Fieechl  (le 
dtre  due  ftirono  Fieeca  msritete  ad  Alberto 
Mdasplna  e  Giaoomina  mog^  di  Obisio  II 
d'  £Bto,  cfr.  Ir^,  zn  111,  JWy.  v  77)  e  ni- 
pote dol  papa  Adriano  V,  data  in  moglie  a 
Moroello  Malaitpins  (cfr.  itf,  zziv  146)  e  san- 
tamente vissute  ;  di  Id  dice  il  Buti  :  e  Ebbe 
nome  la  gran  donna  di  gran  vdore  et  di  gran 
bontà;  et  l'autore,  che  stette  più  tempo  in 
Lunigiana  oon  questo  Moroello  de'  Malespini, 
conobbe  queste  donna  et  vidde  che  continoa- 
mento  faceva  dire  messe  et  orazioni  divota- 


PURQATOBIO  -  CANTO  XIX 


427 


ImoDA  da  sé,  pur  ohe  la  nostra  casa 
non  ùuoÒA  Idi  per  esemplo  malyagia; 
145    e  questa  sola  di  là  m*  è  rimasa». 


I  per  qneeto  no  ilo  >.  —  US.  far  ehe 
eoe,  por  eha  1*  womplo  Mttttvo  ottarto  ad  Ala- 
gSa  dagli  «Itii  déUA  ina  fnniglU  non  k  tenda 
malragia;  Benr.,  eechidendo  qoahinqiie  xa- 
gione  d'odio  politico  di  Dante  eontro  i  He- 
■eU,  aeiive:  e  lete  nceidoe  loqnitor  honeste 
et  oante:  ditdt  enin  qnod  neptls  eet  bona} 
niri  fanitetoT  ezamplnm  aHainm  de  dono  ino. 
Per  hoo  eaim  dat  intilUgi  caute,  qnod  nm- 
fiecee  inomm  de  TUsoo  fkienmt  noUlea  me- 
qnalis,  ii  fluna  non  mentitor,  fnit 


Qzoi  Petd  de  Bnssii  de  Panna,  etrenniasimi 
militia.  Qoid  dlcam  de  Isabella,  nzoze  domini 
Luohini,  potentissimi  et  iostissimi  tyianni  in 
Lombardia?  »  —  1^.  «veeia  sola  eoo.  que- 
sta sola  mi  è  rlmaeta  al  mondo,  òhe  possa 
eiSoaoemente  pregare  per  me;  poiché  gli  altri 
miei  parenti  sono  malvagi  e  non  si  corano 
di  me,  e  ee  anche  rolesseio  fsrmi  del  bene 
le  loro  preghiere  non  trorerebbero  ascolto 
nel  delo  (c£r.  Purg,  iv  186). 


CANTO  XX 

Continuando  11  loro  eammino  per  11  qointo  eerchio,  i  doe  poeti  sentono 
celebrare  esempi  di  poyertà  e  di  liberalità;  poi  si  manifesta  loro  Ugo  Ca- 
pete, che  parla  a  hingo  dei  snoi  discendenti  e  dice  quali  esempi  di  avarizia 
punita  Siene  gridati  nella  notte  :  finalmente  11  monte  si  scuote  per  la  libe* 
rasione  dell'anima  di  Stazio  [18  aprile^  ore  antimeridiane]. 

Contra  miglior  Toler  yoler  mal  pugna; 
onde  contra  il  piacer  mio,  per  piacerli, 

8  trassi  dell'acqua  non  sazia  la  spugna. 
Mossimi;  e  il  duca  mio  si  mosse  per  lì 

lochi  spediti  pur  lungo  la  roccia, 
6       come  si  va  per  muro  stretto  ai  merli; 
che  la  gente,  che  fonde  a  goccia  a  goccia 
per  gli  occhi  il  mal  che  tutto  il  mondo  occupa, 

9  dall'altra  parte  in  fuor  troppo  s'approccia. 
Maledetta  eie  tu,  antica  lupa, 


XX  1.  Centra  eoo.  Kesson  volere  pad 
reetstere  a  nn  volere  migliore;  doè  il  desi- 
derio fi  Dante  di  conversare  ancora  con 
Adxiaiio  ▼  non  poteva  resistere  al  desiderio 
di  qneetf  anima  di  continuare  la  sua  peniten- 
za. —  a.  onde  eco.  per  la  qnal  cosa,  contro 
il  mio  desiderio,  mi  taoqni  per  piacere  ad 
AdriywA  Y,  ohe  mi  avea  invitato  a  lasciarlo 
in  pace  (cfr.  iVp-  ^^  ^^^  —  ^*  trasa 
eoe.  Boti:  «Fa  qni  similitodine,  doè  ohe  la 
volointà  eoa  era  come  nna  spagna,  e  che  li 
desideri,  di'elH  avea  di  sapere  altre  cose  da 
quello  spirito,  rimasene  non  sazi,  come  ri- 
maoe  la  spagna  quando  si  cava  dall'acqua 
inaati  ohe  sia  tutta  piena  >.  —  4.  per  11  : 
«fr.  £i/:  vn  as.  —  6.  leehl  spediti  ecc. 
parti  diri  girone  non  impedite  dalle  anime 
gìftoenti  tà,  muHo.  Queste  parti  essendo  eola- 
mente  quelle  pid  vicine  alla  costa  del  monte, 


i  due  poeti  camminavano  cosi  rasente  ad  essa, 
per  uno  spailo  angusto,  oom' è  quello  che  corre 
lungo  la  meriatura  di  un  muro.  —  7.  éké  la 
gente  eoe  poiché  le  anime,  che  piangendo 
si  vanno  pùilloando  deDa  colpa  dell' avari- 
ria,  sono  distese  sul  piano  sino  all'  estremità 
estema,  e  ri  avridnano  tanto  all'orlo  ohe 
non  vi  ri  può  camminare.  —  8.  11  mal  che 
tutte  eoo.  l'avariria,  che  essendo  piindpio 
d' ogni  altro  virio  (cfr.  ^.  1 60),  domina  so- 
pra tutta  l'umanità.  —  9.  s' a^reeein :  cfr. 
J&i/:  xn  46.  —  10.  Maledetta  eoe  Questa 
imprecarione,  die  Dante  la  contro  l'antica 
lupa  nel  cerchio  degli  avari,  oonfuma  l'in- 
teipretarione  morale  ohe  dagli  antichi  com- 
mentatori fo  data  dalle  tre  fiere  della  sdva 
selvaggia,  massime  della  lupa  simbolo  dol- 
l'avarizia  (cfr.  Jnf,  i  49).  -^  antica  lupa: 
come  quella  che  usd  tra  |^  nomini,  al  prin- 


4SS 


DIVINA  COMMEDIA 


ohe  più  di  tutte  l'altre  bestie  liai  preda, 
12       per  la  tua  fame  senza  fine  cupa! 
0  del,  nel  cui  girar  par  che  si  creda 
le  condizion  di  qua  giù  trasmutarsi, 
15        quando  verrà  per  cui  questa  disceda? 
Noi  andavam  con  passi  lenti  e  scarsi, 
ed  io  attento  all'ombre,  ch'io  sentia 
18       pietosamente  piangere  e  lagnarsi; 
e  per  ventura  udi'  :  <  Dolce  Maria  >, 
dinanzi  a  noi  chiamar  cosi  nel  pianto, 
21        come  £&  donna  che  in  partorir  sia; 
e  seguitar  :  €  Povera  fosti  tanto, 
quanto  veder  si  può  per  quell'ospizio, 
24       ove  sponeeti  il  tuo  portato  santo  >• 
Seguentemente  intesi  :  «  0  buon  Fabrizio, 
con  povertà  volesti  anzi  virtute 
27       che  gran  ricchezza  posseder  con  vizio  ». 
Queste  parole  m'eran  si  piaciute 
ch'io  mi  trassi  oltre  per  aver  contezza 
80        di  quello  spirto,  onde  parean  venute. 
Esso  parlava  ancor  della  larghezza 


ì 


dpio  dri  mondo,  mowa  dallA  (nvtdia  prima 
di  Luoifoxo  ilnf,  i  111).  —  11.  elie  ^i  eoo. 

ohe  dgiLoreggi  T  umanità  pl6  largamente  che 
non  fMìciano  gli  altri  vizi  :  cfr.  Inf,  i  51.  — 
12.  i^er  1a  tia  eoo.  per  la  tna  inMudabile  on- 
pidigia  :  cfr.  Inf,  i  97-99.  ~  18.  mei  evi  gi- 
rar eco.  nel  Tolgersi  del  qnale,  secondo  l'o- 
pinione Tolgare,  ò  la  ragiono  dei  mutamenti 
delle  condizioni  tenone  :  cfr.  i\<fy.  xvi  67  e 
segg.  e  Cbfiv.  n  U.  —  16.  quando  Terrà 
eoo.  quando  verrà  quel  veltro  invocato  (ofr. 
Inf.  I  101),  per  opera  del  quale  la  lupa  larà 
costretta  ad  abbandonare  la  terra  e  licao- 
data  nell'inferno?  —  16.  eoa  pasai  ecc. 
Boti  :  e  per  lo  luogo  stretto  non  al  potea  am- 
pliare né  spesseggiare  lo  passo  ».  —  19.  e 
per  ventura  eoo.  Le  anime  degli  avari  du- 
rante il  giorno  (ofr.  v.  100-101)  gridano  esempi 
di  povertà  e  di  liberalità;  e  il  primo  ò  anche 
qui,  come  negli  altri  oerchf,  quello  della  Ver- 
gine Maria,  di  cui  gli  spiriti  penitenti  ricor^ 
dano  la  povertà  del  luogo  in  cui  partorì  e 
compose  in  miseii  panni  il  figliuolo  Gesù.  — 
20.  ehlamar  cosi  eoo.  invocare  con  quella 
voce  di  pianto  afEcuinoso  e  straziante  che  ò 
propria  delle  donne  còlte  dai  dolori  del  parto. 
La  similitudine,  dice  U  Ventar!  804,  ò  bella 
e  giusta,  e  ohe  in  quelle  anime  l'acutezza  dol 
dolora  ò  compensata  dalla  segreta  gioia  d'un 
bene  lontano,  come  nel  cuor  della  donna,  dal 
casto  pensiero  di  divenir  madre  >  ;  ed  d  fre- 
quente nel  linguaggio  biblioo,  p.  es.  Isaia 


xxvx  17  :  <  Come  la  donna  gravida,  quando 
■1  avvicina  al  parto,  si  duole  e  grida  ne'  suoi 
dolori  ;  cosi  siamo  stati  noi,  por  cagione  di 
te,  0  Signore  ».  —  22.  Povera  festl  eoe  Fo- 
sti tanto  amante  della  povertà,  quanto  ai  può 
vedere  dalla  stali*  ove  deponesti  il  tuo  santo 
parto;  cfr.  il  vangelo  di  Luca  n  7:  €  Ed  ella 
partorì  il  suo  figliuolo  primogenito,  e  lo  ^ 
sdò,  e  lo  pose  a  giacer  nella  mangiatola; 
per  ciò  che  non  vi  era  luogo  per  loro  nell'al- 
bergo ».  —  26.  Seguentemeate  eco.  n  se- 
condo esempio  ohe  Dante  udì  celebrare  fa 
quello  di  Caio  Fabrizio  Lusdnio;  il  quale 
essendo  oonsole  nel  282  a.  0.  rifiutò  i  doni 
dei  Sanniti,  cui  aveva  ottsnuto  paoe,  e  nel 
276  a.  0.  essendo  censore  scaodò  dal  senato 
P.  Gomelio  Rufino  a  motivo  della  sua  prodi- 
galità, e  poi  mori  cosi  povero  ohe  i  suoi  fu- 
nerali dovettero  essere  celebrati  a  pubbliche 
spese  (cfr.  Valerio  Massimo  i  8,  n  9,  iv  4 
eoo.)  :  Dante  lo  celebra  per  questo  nobile  di- 
sinteresse anche  nel  Omv,  iv  6  e  nel  Ds  mon. 
n  6  ;  cfr.  Moore,  I  187.  —  26.  mb  povertà 
eoo.  volesti  pi4  tosto  essere  povero  e  virtuo- 
so, ohe  ricco  e  disonesto.  —  28.  <2««>te  Pa- 
role ecc.  Danto,  ohe  veniva  dal  mondo  ove 
gli  nomini  benedicono  e  invidiano  le  ricchez- 
ze si  compiacque  tanto  di  sentir  celebrare 
l'amore  alla  povertà  che  si  fece  innanzi  per 
conoscere  quell'anima,  dalla  quale  sembra- 
vano esser  venuto  le  parole  di  lode  a  Maria 
e  a  Fabrizio.  —  81.  Esse  parlava  eco.  n 


PUEaATORIO  —  CANTO  XX 


429 


che  fece  Nicoolao  alle  poloelle, 
83       per  condurre  ad  onor  lor  giovinezza. 
<  O  anima  che  tanto  ben  favelle, 
dimmi  chi  fosti,  dissii  e  perché  sola 
86       tu  queste  degne  lode  rinnovelle? 
Non  fia  senza  mercé  la  tua  parola, 
s'io  ritomo  a  compier  lo  cammin  corto 
89       di  quella  vita  che  al  termine  vola  ». 
Ed  egU:  <  Io  1  ti  dirò,  non  per  conforto 
ch'io  attenda  di  là,  ma  perché  tanta 
42       grazia  in  te  luce  prima  che  sii  morto. 
Io  fui  radice  della  mala  pianta, 
che  la  terra  cristiana  tutta  aduggia 
45       si  che  buon  frutto  rado  se  ne  schianta. 
Ma,  se  Doagio,  Lilla,  Guanto  e  Bruggìa 
potesser,  tosto  ne  saria  vendetta; 
48       ed  io  la  cheggio  a  lui  che  tutto  giuggia. 


t«n>  esempio  d  quello  della  liberalità  di  san 
Niccolò,  resooTo  di  Mira  nella  Licia,  reno 
le  tre  Oanoiolle  destinate  dal  padre  alla  pro- 
ttìtnzione:  il  santo  nomo  per  tre  notti  di 
seguito  andò  a  portare  alla  casa  delle  lan- 
cinlle  tanto  denaro,  quanto  era  bastante  a 
costituire  ad  una  di  esse  un'  onesta  dote,  e 
eosi  trasse  ad  onor  krrgwvmuuM^  poiché  tat- 
t^e  tre  furono  onoratamente  maritate  e  sai- 
rate  dal  peccato.  ~  84.  0  aalma  eoo.  Dante 
xiToIge  la  parola  a  quest'anima,  ohe  va  ce- 
lebrando esempi  di  poyertà  e  di  larghezza, 
domandandole  chi  sia  e  perché  sia  sola  a  ri- 
oozdare  queste  lodevoli  opere,  e  prometten- 
dola in  ricambio  di  procurare  a  lei  suffragi 
nel  mondo.  —  86.  degne  lode  i  atti  degni  di 
lode,  quelli  della  Vergine,  di  Fabrizio  e  di 
san  Hiocolò.  —  87.  Noa  Ha  eoe  Non  sarà 
senz*  alcun  compenso  la  tua  parola^  il  tuo  di- 
soorrer  meco,  pur  ohe  io  ritomi  tra  i  tìvì, 
ore  potrò  procurarti  sufltagi  e  preghiere.  — 
88.  !•  cAmmU  eco.  il  corso  della  vita  uma- 
na, la  quale  è  brevissima,  poiché  il  <  viver 
è  un  oonere  alla  morta  >  {Purg.  min  64). 
~  40.  Ed  egli  eoo.  L'anima,  cui  Danto  si 
è  rivolto,  risponde  largamente  aDe  sue  do- 
mande, prima  dichiarando  di  parlare  perché 
vede  conoeesa  al  suo  interlocutore  tanta  gra- 
zia divina  (tv.  40-42),  e  poi  dicendo  di  sé 
e  dei  sud  discendenti  (w.  48-96)  e  toccando 
dog^  esempi  di  virtù  e  di  vizio  che  si  gri- 
dano in  questo  cerchio  (w.  97-123).  ~  Io  1 
ti  dirò  eco.  n  Lana  spiega  queste  parole  nel 
sanso  ohe  S  discendenti  di  quest'anima  es- 
sendo malvagi  non  l'avrebbero  aiutata  con 
orazioni  a  compiere  la  sua  espiazione  ;  il  Butl 
nel  senso  che  l' anima  stessa  non  ou- 
I  pi6  la  fama  o  altra  cosa  mondana;  e 


Benv.  reca  l'Atta  e  l'altra  sposizione.  È  in- 
certo adunque  se  si  abbia  a  intendere  con- 
forto  per  suAragio  procurato  da  alcun  parente 
nel  mondo  o  per  linfireecamento  della  Cuna 
procacciato  da  Dante  :  il  Lomb.,  seguito  da 
tutti  quasi  i  moderni,  spiega  nel  primo  modo, 
dicendo  che  quesf  anima  non  poteva  sperare 
alcun  efficace  aiuto  dai  discendenti  suoi,  pec- 
catori e  cattivi;  invece  lo  Scart.  modifica 
r  interpretazione  nel  senso  ohe  quest'  anima 
non  attendesse  più  conforto  di  preghiere  per 
essere  vicina  al  compimento  della  sua  purifi- 
cazione. —  41.  taatft  grazia  ecc.  quanta  si 
dimostra  nella  concessione  fatta  a  te  di  an- 
dare ancor  vivo,  per  i  regni  dei  morti  (ci^. 
Purg.  ziv  80).  —  48.  Io  fkl  ecc.  Io  fui  U 
progenitore  dei  re  fhuioesi  della  stirpe  capo- 
tingia,  stirpe  malvagia  che  raramente  dà  al 
mondo  alcuna  persona  savia  e  virtuosa  (cfr. 
la  nota  al  v.  49).  ~  44.  adnggia:  cfr.  Inf. 
XV  2.  ~  45.  le  ae  schianta:  si  stacca,  si 
coglie  da  essa  pianta.  —  46.  Ha^  se  Dosglo 
eoe  Accenna,  designando  coi  nomi  delle  prin- 
cipali città  fiamminghe  {DoagiOt  Donai  ;  LiUa^ 
Lille;  ChiantOj  Gand;  Bruggiof  Bruges)  la 
regione  delle  Fiandre,  agli  avvilimenti  della 
gruerra  tra  Filippo  il  Bello  re  di  Francia  e  1 
Fiamminghi,  e  particolarmente  alla  celebre 
battaglia  di  Coltrai  (26  marxo  1802),  nella 
quale  i  firanoesi  toccarono  una  grande  scon- 
fitta con  molta  strage  e  perdita  di  uomini  e 
di  cose  (cfr.  O.  Villani,  Or.  vm  66-68).  — 
48.  ed  lo  la  ebeggle  ecc.  ed  io  domando 
questa  vendetta  sopra  i  miei  discendenti  a 
quel  Dio,  ohe  è  giusto  giudice  di  tutto  e  di 
tuttL  —  glnggla  :  il  vb.  giuggiare,  usato  an- 
che da  ite  Quittone  (D'Ano.  Il  252),  ò  deri- 
vato alla  nostra  lingua  dal  prov.  ju^ar  (lat. 


430 


DIVINA  COMMEDU 


61 


54 


Chiamato  ftd  di  là  Ugo  Ciapetta: 
di  me  8on  nati  i  Filippi  e  i  Loigi, 
per  oui  novellamente  è  Franoia  retta. 

Figlio  fa'  io  d'un  beccaio  di  Parigi: 
quando  li  regi  antichi  venner  meno 
tutti,  fuor  ch'tm  rondato  in  panni  bigi, 

troyaimi  stretto  nelle  mani  il  freno 


iÈuUatn).  —  49.  Chiamalo  eoo.  Stoiioamento, 
il  fondatoM  della  dinaatia  oa^ettngia  ta  Ugo 
il  grande,  duca  di  Franala,  Borgogna  e  Aqjaà' 
tania  e  oonte  di  Parigi  e  di  OxleanB,  fi  quale 
goTomò  di  iktto  il  regno  tenuto  di  nome  da 
Lndo^  IV  (9e6.9M)  e  da  Lotario  (964-966), 
mori  nel  966  e  laaold  nn  Agnolo,  Ugo  Oa- 
peto,  ohe  dopo  l'effimero  regno  di  LndoTi- 
00  V  il  negUttoao  (965-967)  fti  inoofonato  xe 
di  Fnnoia  (967,  8  In^o),  a  mori  nel  996. 
Danto,  non  bene  infennato  delle  origini  sto- 
riche doUa  terza  dinaitta  ftaneeae,  Introduce 
il  progenitore  di  eeia,  Ugo  il  grande,  ma  ri- 
feri a  Ini  alonne  partìoolarità  proprie  InTeoe 
del  figlinolo:  do6  il  nome  di  (Ji^eto  o  Ola- 
pttta  (coal  ta  reeo  italiano  il  frano.  Ohapd), 
l'esser  flg^  secondo  la  leggenda  di  «m  btieaio 
di  BaHffi,  e  l' oasersi  trovato  potente  qtumdo 
Urtgimtkfdvmmmrm$mictt.r,SB)\  eooaf 
di  dne  distinto  persone  féoe  nna  sola:  la  <inal 
cosa  non  gli  pad  essere  rimproverata,  se  si 
consideri  ohe  al  tempo  di  I^nto  mancavano 
sicari  snssidt  di  opere  storiche  e  genealogi- 
che, ed  egli  era  por  nomo  oome  gli  altri,  nò 
poteva  indovinare  dò  ohe  i  libri  e  la  tradi- 
zione non  gli  dicevano.  —  60.  di  ne  ecc.  I 
re  di  FranoU  della  terza  dinastia  fbrono, 
sino  a  Danto,  1  segnenti  :  Ugo  Gapeto  (987- 
996);  Roberto  U  (996-1061)  ;  Arrigo  I  (lOSl- 
1060);  FiUppo  I  (1060-1106);  Lnigi  VI,  U 
grosso  (1106-1187);  Lnigi  VII,  il  giovine 
(1187-1180)  ;  FiUppo  U  Angnsto  (1180-1228)  ; 
Lnigi  Vm,  il  leone  (1228-1226);  Lnigi  EÉ, 
il  santo  aaa8-1270);  Filippo  m,  l'ardito 
(1270-1286)  ;  Filippo  IV,  il  bello  (1286-18U) 
eoe  —  6L  nevèllamente  :  i  Capetìngi  ftarono 
nna  nnova  dinastia  saocednta  a  qneUa  dei 
Oaxolingt  —  62.  FigUe  ftiMe  eoo.  Om  le 
altre  leggende  importato  in  Italia  nei  poemi 
epici  francesi,  passò  tra  noi  anche  la  tradi- 
zione che  il  prbno  re  della  stirpe  capetingia 
fosse  figlinolo  di  nn  beccaio  parigino  e  ohe 
per  le  sue  valorose  imprese  ottenesse  la  mano 
dell'  nnica  figlia  dell'  nltimo  carolingio  e  con 
la  mano  di  lei  anche  il  regno  di  Francia  : 
qnesta  tradizione,  nota  p.  es.  a  G.  Villani, 
Or.  XV  4,  e  molto  diiftisa  tra  noi  (e  per  li  pid 
si  dice  che  '1  padre  ta.  ano  grande  e  ricco 
borghese  di  Parigi,  stratto  di  nazione  di  bno- 
deri,  ovvero  meroatanto  di  bestie»),  ta  il 
fondamento  della  canzone  di  gesta  di  Buon 
Chapet  (pnbbL  dal  La  Grange,  Parigi,  1864), 


nno  dei  poemi  lìranoed  oonsacntialle  arreii- 
tnia  penonaU  dei  re  fraaoesi  (ofr.  Q,  Paris, 
La  mSr.  frm^  m  mo^m  ag^  Parigi,  1888, 
p.  41).  Danto,  o  per  incompinta  wìnnanenra 
deDa  storia  o  per  fini  artlstid  (stava  baaa  a 
qoeeto  progenitore  dei  re  franoed  affanuoe 
nd  regno  della  penitenza  la  bassa  origine 
della  sna  stirpo  ed  era  atto  d'nmiltà  da  pa- 
ragonare eon  qiello  di  Omberto  Aldobsaade- 
sdii,  IWy.  n  60),  accolse  qnesta  tradlztoiie 
sulla  radice  della  mala  pianta  francese.  — 
fcsssats  t  nel  senso  laigo  dd  frano.  òoMoMr, 
odni  ohe  mercanteggU  di  bod.  «- 68.  fnanéa 
li  regi  eoo.  aQorohé  i  disoendenti  della  veo- 
chia  ^*w^^  *<*^lngia  fruono  manflatl  tatti, 
^Mur  ék'wi  fWNlMto  la  jkmmiì  6^  mi  trovai 
avere  ndle  mani  il  governo  dd  regno  di  Fran- 
cia ed  essera  ood  potento,  per  nnove  conq;aÌ- 
sto  e  per  grandi  amidrie,  che  mio  figlio  potò 
essere  incoronato  re  di  Franda.  Se  qni  par- 
lasse Ugo  il  grande,  fl  figUo  pnmotm  alla 
corona  di  Franda  sarebbe  Ugo  Gapeto  ;  ma 
qoando  Ugo  il  grande  mori,  avanzavano  an- 
cora parecchi  della  stirpe  oaroUngta  ;  se  paria 
Ugo  Capoto,  il  qnale,  secondo  alonni  atocid 
non  volle  corona  per  sé  e  fece  inoocoBsre 
nd  968  il  figUnd  sno  Boberto,  a  questo  in- 
tenderebbe di  alladere  Danto;  ma  in  tutto  fl 
passo  d  manifesta  la  oonftisione  Ihtta  dd 
poeta  dd  dne  Ughi  in  nn  solo,  e  però  è  im- 
posdbile  metter  d'accordo  le  perda  di  Ini  oon 
la  storia.  —  64.  ftior  di'an  eoo.  D  solo  ca- 
rolingio vivento  nd  987,  alla  morto  di  Ln- 
dovioo  V  e  all'esdtazione  di  Ugo  Capato, 
era  Carlo,  istallo  di  Lotario  e  do  di  esso 
Lndovioo  V;  il  qnale  Cado,  contrastando  d 
Capoto  la  signoria  dd  regno,  fri  preso  in  Leon 
nd  989  e  gittato  in  nna  ture,  ove  mori  nd 
991  :  ma  par  difficile  riferire  a  Ini  l'espsea- 
done  rmànOo  «a  jnmmiì  Ugi^  che  tatti  i  ooni- 
mentatori  antichi  a  i  pi4  dd  moderni  spie- 
gano ginstamento  nd  senso  di  faUoai  moiMeo 
(cfr.  fl  vb.  rmàani  in  In/l  xzzn  88).  D  Lomb. 
sagalto  da  pareochi  dtìl,  spiegò  rmdmh  in 
pamU  bigi  per  spogliato  della  porpora  regala  ; 
e  il  Vent.,  andL' egli  non  senza  asgolto,  pensò 
scambiato  da  Danto  l' nltimo  dd  carolingi  oon 
1*  nltimo  dd  merovingi,  ChUderlco  in,  fl  qoala 
nd  762  fri  deposto  dd  trono  e  fini  la  sna  tfta 
in  nn  convento  :  ma  l'nna  a  l'altra  intarpra- 
tadone  sono  poco  sodistacenti,  la  prima  perw 
ohe  ibrza  e  fdsa  fl  valore  deDa  parole,  la 


PUEaATORlO  -  CANTO  XX 


431 


del  goyemo  del  regno,  e  tanta  possa 
67        dì  nuovo  acquisto,  e  si  d'amici  pieno, 
ch'alia  corona  vedova  promossa 
la  testa  di  mio  figlio  fu,  dal  quale 
60       cominciar  di  costor  le  sacrate  ossa. 
Mentre  che  la  gran  dote  provenzale 
al  sangue  mio  non  tolse  la  vergogna, 
63       poco  valea,  ma  pur  non  &oea  male.  ' 
Li  cominciò  con  forza  e  con  menzogna 
la  sua  rapina;  e  poscia  per  ammenda 
66       Ponti  e  Normandia  prese  e  Guascogna. 
Carlo  venne  in  Italia;  e  per  ammenda 
vittima  fd'di  Curradino;  e  poi 
69       ripinse  al  ciel  Tommaso,  per  ammenda. 


meoném  peroké  attriboiiM  a  Dante  troppo 
grande  SgBonnxe  dellft  itori*  tenoeie,  di  oni 
por  «^  padAT».  —  fiS.  eoresA  vedeT»: 
trono  Teeeste  per  I*  morte  di  Ladorioo  V. 
^  60.  «MBlMlir  eoe  inooBdiMid  U  serie  dei 
xe  lesittimi  delle  tenca  dinaetie:  meraU  09$a 
aeao  detto  le  perMne  del  re  eapetingi,  in 
quanto  le  coMacrariope  solenne,  ohe  di  essi 
tooeTB  per  diritto  e  per  tndixione  V  aroive- 
Booiro  di  BeiiBSi  Tonir»  e  eonfexir  loro  la  le- 
gittlBa  podestà  regale.  <—  61.  Heatre  che 
eoa.  I  adei  diMSodenti  non  si  distinsero  né 
per  opese  di  bene  n6  par  opere  di  male  fino 
al  pnnoipio  del  seoolo  zm,  sino  a  Laigi  IX; 
le  loro  malvagità  inoeminoiaiono  oon  Carlo  I 
d'Aagid,  il  qaale  avendo  sposato  Beatrice, 
6gli"ffU  del  oonto  di  Provenza  Raimondo  IV 
Betliashieri,  ne  eredito  ^  Stati  nel  1246 
(ofr.  Par.  VX  128  e  segg.).  La  fran  doU  prò- 
wtmxuh  è  adonqne  la  contea  di  Ptovenaa, 
eone  rettamento  in  toserò  tulli  i  oommenta- 
tori  sino  al  Lomb.  ;  il  qaale  per  il  primo 
septassn  il  pensiero  die  si  trattasse  della  con- 
tea di  Tolosa,  cbe  i  re  di  Fkanda,  prima  Fi- 
lippo n  oon  la  eroeiato  de^  Albigesi  e  poi 
ni^po  m,  riunirono  ai  loro  StatL  —  62. 
maA  tolse  la  varffegnat  non  tolse  il  rossore 
del  mal  Ilare.  Ooei  Intendono  alonni  antidii 
e  1  mig^Uofi  interpreti  moderni,  Lomb.,  Ces., 
ToBB.,  Bianchi;  invece  Oass.,  Benv.,  Boti, 
Land,  e  altri  spiegano:  finché  il  parentado 
atretto  con  la  nobilissima  casa  del  conti  di 
Frovenia  non  ebbe  tolto  ai  miei  discendenti 
la  vergogna  della  loro  bessa  origine;  ma  è 
manifwtir  che  Danto  parla  di  vergogna  in 
aeaso  morale,  volendo  dire  che  i  capetingi  in- 
coodaoiaiono  a  non  aixoesire  pid  delle  opere 
malvage.  --  6A.  Lf  eemlaald  ecc.  Dal  eon- 
segaimento  della  contea  di  Provenra  inco- 
ila serie  delle  violenze  e  dei  tradimenti 
i  di  Vtanda:  si  accenna  spedal- 
I  al  modo  onde  lUippo  l'ardito  oonqni- 


sto  le  oontee  di  Vaiola,  del  Poltea  e  del- 
l' Atvemia  e  il  regno  di  Kavana,  e  aUa  per- 
fidia di  FiUppo  il  bello  per  impadronirsi  dei 
paesi  francesi  soggetti  aU'Inghiltena.  —  66. 
per  asmeadas  amara  ironia  che  acquista 
maggiore  efOcaoia  dalla  ripetizione,  che  è 
come  nn  insistere  sul  pensiero  delle  malva- 
gità aggiunto  alle  malvagità  per  opera  del 
tristissimi  signori  della  casa  di  Francia.  — 
66.  Penti  e  Kenaaadfa  ecc.  Accenna  alla 
conquista  della  contea  del  Ponthieu  fittto  da 
Filippo  il  bello;  a  quella  del  ducato  di  Nor- 
mandia, ohe  FiUppo  n  avea  tolto  agli  inglesi 
nel  120A  e  fb  più  volto  restituito  e  ripreso; 
e  a  quella  della  Guascogna,  tolta  da  Filippo 
il  bello  a  Edoardo  L  —  67.  Carlo  veaae  ecc. 
Oaxio  I  d'Angid  (cfr.  Purjf,  vn  118)  venne 
in  Italia,  alla  conquista  del  regno  di  Napoli, 
e  oommise  il  delitto  di  tu  morire  il  giovine 
Ooxradino,  figlio  di  Corrado  IV  e  ultimo  ram* 
pollo  della  casa  sveva,  caduto  nelle  mani  del 
suo  nemico  dopo  la  battaglia  di  Tagliaoosao 
(ofr.  Inf,  zxvnx  17).  —  68.  rlplase  eoo.  léce 
sslire  al  eido,  ordinandone  T  uccisione,  U 
santo  Tommaso  d'Aquino  {ctt.  Bar,  x  99). 
Danto  accetto,  quanto  alla  morto  dell' aqui- 
nato,  una  tradidone  assai  divulgata  ai  suol 
tamfd  (cfr.  0.  Villani,  Or.  ix  218),  secondo 
la  quale  Tommaao,  recandosi  nel  1274  al  con- 
cilio di  lione,  sarebbe  stato  avvelenato  nel- 
l'abbazia di  Fossanuova  per  ordine  di  Oarlo  I 
d'Angid  (ofr.  P.  Uccelli,  D$U$  diffèrmU am- 
Uhm  di  akmi  eotpicid  amkjri  iniorm  aOa 
tfMrtt  d<  eoo  Tbai.  d'il^.,  Napoli,  1800).  Lana  : 
«Fra  Tommaso  d'Aquino  dell'ordine  de  li 
predicatori,  essendo  maestro  parigino,  stava 
a  N^oli,  imperquello  che  '1  detto  Oaxio  l'a- 
vea  volentieri  apreeeo  di  sé  e  oonsigliavasi 
spesso  oon  lui,  awegna  che  rade  volto  tenea 
suo  oonsiglio.  In  processo  di  tempo  ta  ordi- 
nato per  messor  lo  papa  oondlio  a  Lion  sovra 
Bedano  di  Pzovansa,  e  Ibrooo  li  invitali  o 


432 


DIVINA  COHMEDU 


Tempo  yegg'io,  non  molto  dopo  ancoi, 
ohe  traggo  un  altro  Carlo  fuor  di  Francia, 
72       per  fìar  conoscer  meglio  e  sé  e  i  suoL 
Seoz'  arme  n'  esce  solo  e  con  la  lancia 
con  la  qual  giostrò  Giuda;  e  quella  penta 
75       si  eh' a  Fiorenza  £»  scoppiar  la  pancia. 
Quindi  non  terra,  ma  peccato  ed  onta 
guadagnerà,  per  so  tanto  più  grave, 
78       quanto  più  lieve  simil  danno  conta. 


dtati  brevemente  tatti  11  tbIoiobI  oheiici,  e 
tth  gli  altii  fu  xnandAto  per  tn  Tommaso  pie- 
detto.  Quando  venne  al  di  della  partita  di 
tn  Tommaso  da  Ni^li,  ed  elli  fa  al  detto 
Oarlo  a  chiederli  commiato  e  a  sapere  s' elli 
li  Tolea  commettere  aloana  cosa,  lo  re  11  dis- 
se :  '  Fra  TommasOi  se  '1  papa  vi  domanda 
di  me,  die  risposta  farete  voi?  ',  e  fica  Tom- 
maso disse  :  *  Io  dirò  pare  la  yeiità  '.  Or  par- 
tissi fra  Tommaso  per  andare  a  Lione  :  lo  re, 
considerando  la  parola  di  fra  Tommasoi  te- 
mette, imperqaello  eh' elli  sapea  che,  se  '1 
vero  si  sapesse  deUe  soe  opere,  elio  dispia- 
cerebbe a  tatti  ;  davasene  molta  maUnoonfa  ; 
li  medici  ohe  aveano  goardÌA  di  saa  persona, 
arredendosi  di  qaesto,  domaadonno  la  cagio- 
ne. Costai  lo  disse  a  ano  *,  lo  detto  medico 
disse  :  €  Messere,  se  voi  volete,  lo  rimedio  ò 
trovato  '  ;  Io  re  disse  :  *  Ydllo  £ue  '.  Lo  detto 
medico  montò  a  cavallo  con  qoella  compagnia 
che  a  Ini  piacque,  e  di  e  notte  cavalcò  oh'elli 
l'ebbe  aggianto,  e  disse  a  fra  Tommaso:  *  Mes- 
ser  lo  re  ò  stato  molto  malinconioso,  ohe  vi 
lasciò  partire  senxa  ano  medico  oh'  avesse 
gaardia  della  vostra  persona  in  qaesto  via^ 
gio,  e  però  m*  ha  mandato  ch'io  vegna  a  vo- 
stra costodia  '.  Lo  frate  lo  lingrasiò  com'  ora 
da  £ue  e  disse:  *  Sia  la  volontà  del  Signore  '• 
Da  He  a  doe  die  lo  medico  anse  lo  neoossa 
rio  d'ano  veleno,  per  lo  qoale  lo  detto  fica' 
andò  all'altra  vita >.  «-  70.  Teapo  vegg*!* 
eco.  Vedo  molto  vicino  ad  oggi  on  tempo 
nel  qnale  on  altro  Carlo  nsdrà  fuori  della 
Francia  per  Ux  conoscer»  meglio  la  neqaizia 
saa  e  qaella  della  sua  stirpe.  Qaesf  altro  cat* 
tivo  ramo  della  pianta  oapetingia  fu  Carlo 
conte  di  Yalois  e  d'Alenpon,  flg^  di  Filippo 
l'ardito  e  fratello  di  Filippo  il  beUo:  nato 
nel  1270,  fti  investito  nel  1284  dal  reame 
d'Aragona  per  opera  della  corte  pontificia  e 
noi  '90  rinanziò  a  qaesti  diritti  per  sposare 
la  flc^  di  Carlo  II  d'Angiò,  die  gli  recava 
in  dote  le  contee  d'Angiò  o  del  Maine;  ri- 
masto vedovo  nel  '99  e  acquistatosi  nome  di 
valente  gaeiriero  nelle  lotte  della  Francia 
con  l'Inghilterra  e  con  le  Fiandre,  ta  attit- 
rato  in  Italia  da  Bonifazio  Vm,  perché  rioon- 
qnistasse  agli  angioini  la  Sicilia  perduta  dopo 
U  vespro  (ofr.  Par.  vm  TS),  oon  grandi  pro^ 


fiarte  di  anni  e  denaro  e  oon  promessa  di  nulo 
salire  all'impero  d'Oriente  mediante  il  matri- 
monio eh' si  contrasse  nel  gennaio  tSOl  con 
Catarina  di  Ooortenay.  Nel  settembre  dd  laoi 
Carlo  giunse  in  Anagni,  alla  oorte  pontificia  ; 
e  invece  d'esser  mandato  all'imprèsa  di  Si- 
cilia, fa  inviato  a  Firenze  come  padaro,  oo- 
stitaito  in  tale  ofBdo  da  Bonifkcio  Vili:  en- 
trò nella  dttà  il  1  novembre  1301,  abbatté 
la  parte  Bianca  e  ikvorf  la  parte  Nera,  che 
ebbe  sali' avversaria  compiuto  tdonfo,  e  vi 
rimase  traendo  denari  ai  cittadini  per  fona 
e  per  inganno  sino  al  febbraio  del  1S02  :  tor- 
natovi nel  marzo,  s'iniziarono  sotto  i  suol 
auspiot  le  proscrizioni  dei  Bianchi  (ofr.  Inf. 
VI  67),  e  finalmente  nell'  aprile  di  quali*  anno 
egli  parti  per  sempre  da  Slranze,  laudando 
la  guasta  dttà  in  mano  dd  Neri  (ofr.  D.  Com- 
pagni, Or.  n  2-28).  Fallitagli  poi  l'impresa 
di  Sicilia,  se  ne  ritornò  in  Francia,  ove  moi£ 
nd  1326.  —  78.  Seni*ama  ecc.  Sena'  eser- 
dto;  infatti  Carlo  venne  in  Francia  oon  la 
sola  compagnia  d'alcuni  conti  e  baroni  •  un 
seguito  di  drca  cinquecento  cavalieri  (ofr. 
a.  Villani,  Or.  vm  49).  —  eoa  la  laaela 
eoe  con  l'arma  dd  tradimento  e  della  men- 
zogna, già  adoperata  da  Giuda  a  danno  di 
Cristo  :  infatti  il  Valese,  venuto  a  FIrense 
per  pacificare  le  parti  e  frcendo  promesn  di 
conservare  la  dttà  in  buono  stato,  fkvoif  i 
Neri  contro  i  Blandii  e  guastò  la  dttà.  — 
74.  foata  :  impunta.  ~  75.  si  eh*a  Fioreaaa 
eoo.  accenna  spodalmente  agli  esilt,  allo  con- 
flsdie,  alle  morti  che  accompagnarono  in  Fi* 
renze  il  trionfo  ddla  parte  Nera  per  opera 
di  Cario  di  Valois.  —  76.  Quindi  aea  terra 
eco.  Da  questa  spedizione  in  Italia,  invece 
di  guadagnare  una  signoria,  acquisterà  onta 
di  uomo  traditore^  acquisto  tanto  più  dannoso 
a  lui,  quanto  meno  egli  considera  il  peooato: 
vud  dire  insomma  dio  il  Vdese,  non  dando 
importanza  allo  sue  odpe,  non  se  ne  pentirà 
e  cosi  morirà  dannato.  —  77.  g«a4agaeràt 
cfr.  0.  Villani,  O.  vm  ÒO:  «Si  disse  per 
motto  :  *  Mssser  Cario  venne  in  Toscana  per 
padaro,  e  lasdò  il  paese  in  guerra;  e  andò 
in  Cidlia  per  tu  guerra,  o  reoonne  vorgo- 
gnosa  pace  '  >,  o  aggiunge  che  e  d  tornò  in 
Francia,  scemata  •  consumata  saa  gente  o 


PURGATORIO  -  CANTO  XX 


433 


L'altro,  che  gi&  usci  preso  di  nave, 
veggio  vender  sua  %lìa  e  patteggiarne, 
81        come  fanno  i  corsar  dell'altre  schiave. 
0  avarizia,  che  puoi  tu  più  faxne, 
poscia  e' hai  lo  mio  sangue  a  te  si  tratto 
84        che  non  si  cura  della  propria  carne? 
Perché  men  paia  il  mal  futuro  e  il  fatto, 
veggio  in  Alagna  entrar  lo  fiordaliso, 
87        e  nel  vicario  suo  Cristo  esser  catto. 
Veggiolo  un'altra  volta  esser  deriso; 


con  pooo  onoze  ».  —  79.  L'altro  eoo.  Cftrlo  H 
d'Angiò  (cfr.  Fùr.  yi  106,  xiz  127),  figlio  di 
Carlo  I,  ta  fatto  prigioniero  nella  battaglia 
naTBl»  di  Ni^Ii  del  6  giugno  1284  da  Bog- 
gezo  di  Laniia,  aauninglio  aragonese,  e  dopo 
la  morte  del  padre  ta  liberato  o  gli  aoooeeae 
nel  regno  :  tra  gli  atti  di  lai,  ohe  i  oontem- 
yoT^Ti^  oentorarono,  ta  l'aver  dato  in  moglie 
nel  1306  ad  Azze  Vili  marchese  di  Ferrara 
(cfir.  Purg,  t  77),  già  assai  vecchio,  la  gio- 
Tanisaima  figlinola  Beatrice,  indnoendosi  a 
consentire  a  tale  matrimonio  per  la  gran  quan- 
tità di  denari  che  n'  ebbe  dal  genero.  —  80. 
•  patteggiane  ecc.  e  cedere,  mercanteg- 
giando il  prezzo,  nna  propria  figliuola,  cosi 
come  i  oorsari  lianno  delle  schiave  che  non 
sono  loro  figliuole,  ma  d' altri.  ~  82.  0  aTft- 
rÌMÌM  ecc.  Ugo,  pensando  alle  malvage  opere 
coi  la  cupidigia  (ofr.  Fùr,  vm  82)  ha  tratto  i 
suoi  discendenti,  dice  che  a  nessun  peggiore 
misfatto  potrebbe  condurli  poiché  gli  ha  disa- 
morati dai  propri  figliuoli  :  se  non  che,  a  delitti 
anoor  piò  gravi  doveva  trascinarli,  cioè  alla 
persecuzione  dell'autorità  pontificia  e  alla  di- 
struzione dell'ordine  del  templari.  ~-  86.  Per- 
éké  sica  eoo.  AfBnchóle  male  opere  passate  e 
pBtbaxe  dei  miei  dlMendenti  appariscano  atte- 
nuate al  paragone,  vedo  già  quelle  inlami  di 
Filippo  il  bello.  Questo  re,  succeduto  nel  1286 
al  padre  Filippo  l'ardito  e  morto  nel  1314,  fu 
tra  i  principi  del  suo  tempo  quello  ohe  suscitò 
il  maggiore  sdegno  nell'Alighieri,  il  quale 
rimproverò  la  sua  vita  vixiaia  §  lorda  {Purg, 
vn  109),  in  generale,  e  in  particolare  poi  le 
male  arti  per  l'elezione  di  aemente  V  (Inf. 
zix  85)  e  la  falsiflcariane  della  moneta  (Bir, 
xcE  118),  e  qui  la  persecuzione  di  Bonifa- 
zio vm  e  la  distruzione  dei  templari  :  final- 
mente, secondo  alcuni,  lo  rafiigurò  nel  gi- 
gante che  delinque  in  oompsgnia  della  me- 
ivttioe,  nella  visione  finale  del  purgatorio 
(iVy.  xxxu  148  e  segg.,  xsxm  48  e  segg.). 
—  86.  vegffle  Im  Alagaa  eoo.  D  contrasto 
fica  Sll^po  il  bello  e  Bonifazio  Vm,  comin- 
ciato sino  dal  1296i,  quando  il  pontefice  s' in- 
tromise Belle  qussàoni  che  il  re  di  Frauda 
aveva  con  quello  d'Inghilterra,  e  alimentato 
da  varie  cagioni,  quzdi  la  proibizione  papalo 

Danti 


fatta  al  re  circa  l' imposizione  di  tasse  agli 
eodesiastiol,  e  l'aocoglienza  che  Filippo  fece 
a  Steflwo  e  a  Soiarra  Colonna  nemici  di  Bo- 
nifazio, crebbe  a  tal  segno  che  il  pontefice, 
scomunicò  il  re  (13  aprile  1308)  e  il  re  oon- 
vocò  un  generale  concilio  per  la  deposizione 
del  pontefice  (10  giugno  1303)  :  allora  ta  man- 
dato a  Boma  Guglielmo  di  Nogaret,  ministro 
di  Filippo  il  bello,  a  pubblicarvi  le  decisioni 
del  parlamento  fhmoese  contro  Bonifazio  vm, 
e  questi  rifugiatosi  in  Anagni  soaglid  cinque 
bolle  contro  il  suo  nemico  ;  ma  mentre  si 
preparava  a  lanciarne  un'  altra  per  sdosserò 
dall'  obbligQ  di  fedeltà  i  sudditi  francesi,  ta 
arrestato  il  7  settembre  1303  da  Guglielmo 
di  Nogaret  e  da  Sciarra  Colonna,  e  sostenuto 
per  tre  giorni,  dopo  i  quali  potè  ritornare  in 
Boma  :  e  «  come  piacque  a  Dio,  il  dolore  im- 
petrato nel  cuore  di  papa  Bonifazio  per  la 
ingiuria  ricevuta,  gli  surse,  giunto  in  Boma, 
diversa  malattìa  che  tutto  si  rodea  come  rab- 
bioso, e  in  questo  stato  passò  di  questa  vita 
a  di  12  d' ottobre  »  (G.  Villani,  O.  vm  63): 
cfr.  per  questi  fatti  il  Boutaric,  La  Frano§ 
«0149  PhU,  I»  Bel  dt,  L.  Tosti,  Storia  di  Bo- 
nif.  vm,  lib.  VI,  e  J.  Jolly,  PhUippé  Bel, 
lib.  m.  ~  Uagna  :  cosi  dissero  i  nostri  an- 
tichi (p.  es.  G.  Villani,  Or,  v  8,  vm  63,  64, 
D.  Compagni,  O.  n  85  ecc.)  la  dttà  di  Ana- 
gni,  lat.  AnofMky  già  capitale  degli  Eroici  e 
patria  di  Bonifazio  Vili  {jaSr,  Par,  xxx  148). 
—  lo  ilordallio:  il  giglio,  fr.  fUur  de  Ila, 
insegna  della  casa  reale  di  Francia  (cfr.  Purg. 
vn  105,  Par,  vi  100,  111).  —  87.  e  nel  ?1- 
eario  ecc.  e  Cristo  esser  catturato  nella  per- 
sona del  pontefioe,  suo  vicario  in  terra.  — 
88.  Teggiole  ecc.  Vedo  le  derisioni  di  cui 
Cristo  fu  oggetto  nella  sua  passione  (Matteo 
xxvu  39-44,  Marco  xvi  16-20, 29-82,  Giovanni 
XIX  2-3)  rinnovarsi  contro  il  suo  vicario.  G. 
Villani,  Or,  viii  63,  racconta  che,  entrato 
Sdarra  Colonna  in  Anagni  con  le  insegne 
apiegate  del  re  di  Francia,  e  papa  Bonifazio, 
sentendo  il  romore  e  veggendosi  abbandonato 
da  tutti  i  cardinali,  fugati  e  nascosi  per  paura 
0  chi  da  mala  parte,  e  quasi  da'  più  de'  suoi 
famigliari,  e  veggendo  eh'  e'  suoi  nemid  avear 
uo  prosa  la  lena  o  '1  palazzo  ov'  era,  si  cus-ò 

28 


431 


DIVINA  COMMEDIA 


veggio  rionovellar  l'aceto  e  il  fele, 
90        e  tra  9^iyì  ladroni  esser  anciso. 
Veggio  il  nuovo  Pilato  si  crudele 
che  ciò  no  1  sazia,  ma,  senza  decreto, 
93       porta  nel  tempio  le  cupide  vele. 
0  Signor  mio,  quando  sarò  io  lieto 
a  veder  la  vendetta,  che,  nascosa, 
96       fa  dolce  l'ira  tua  nel  tuo  segreto? 
Ciò  ch'io  dicea  di  quell'unica  sposa 
dello  Spirito  Santo,  e  che  ti  fece 
99        verso  me  volger  per  alcuna  chiosa, 
tanfo  risposta  a  tutte  nostre  prece, 
quanto  il  di  dura;  ma,  quand' e' s'annotta, 
102        contrario  suon  prendemo  in  quella  vece. 
Noi  ripetiam  Pigmalione  allotta, 


morto  ;  ma  come  magnanimo  o  Talento  dine: 
*  Da  ohe  per  tradimento,  come  Gesù  Cristo, 
▼Oi^o  esser  preso  e  mi  conviene  morire,  al- 
meno voglio  morire  come  papa  '  :  e  di  pre- 
sente si  fece  parare  dall'ammanto  di  san  Pie- 
ro, e  colla  corona  di  Costantino  in  capo  e 
cdle  chiavi  e  croce  in  mano  e  in  sa  la  sedia 
pi^e  si  pose  a  sedere  :  e  giunto  alni  Sdarra 
e  ^  altri  suoi  nimici,  con  villane  parole  lo 
schernirono  e  arrestaron  Ini  e  la  soa  fami- 
glia, che  con  Ini  erano  rimasi  ;  intra  gli  altri 
lo  schemi  messer  Guglielmo  di  Longhereto, 
che  per  lo  re  di  Francia  avea  menato  il  trat- 
tato donde  eia  preso,  e  minaodollo  dicendo 
di  menarlo  legato  a  Leone  sopra  Bedano  e 
qnivi  in  generale  concilio  il  farebbe  dlporre 
e  condannare  >.  ~  89.  Paceto  e  il  fele  :  ac- 
cenna all'aceto  e  al  fiele  dato  a  bere  a  Gesù 
sulla  croce  (cfr.  Matteo  zzvu  48,  Marco  zv 
86,  Giovanni  nx  29),  per  significare  i  pati- 
menti di  Bonilkzlo  Vili  nei  tre  giorni  della 
prigionia,  durante  i  quali  non  obbe  altro  cibo, 
a  testimonianza  del  Buti,  se  non  ova  fresche 
recategli  da  una  sua  nutrice.  —  90.  e  tra 
Tifi  eoe  Gesù  Cristo  ta  messo  in  croce  in- 
sieme con  due  ladroni,  che  morirono  con  lui 
(ofìr.  Matteo  zzvu  88,  Marco  zv  27,  Luca 
■«"rnt  88,  Giovanni  ziz  18)  ;  Bonifazio  vm 
invece  mori,  e  rimasero  in  vita  e  impaniti  i 
due  capi  dell*  attentato  compiuto  a  suo  danno, 
Guglielmo  di  Nogaret  e  Sdarra  Colonna.  — 
91.  reggia  eoe  L'altro  gran  deUtto  di  Fi- 
lippo il  bello  fu  la  soppressione  violenta  e 
iniqua  dell'  ordine  dei  cavalieri  del  Tempio, 
fondato  nel  1119  a  Gerusalemme  e  cresduto 
assai  presto  di  potenza  e  di  ricchezza:  il  re 
di  Francia  per  cupidigia  d'impossessarsi  dei 
loro  beni,  colse  il  pretesto  di  false  accuse 
scagliate  contro  i  Templari  e,  assenziente  il 
Pontefice  Clemente  V,  nel  1807  U  fece  arre- 
stare e  li  condannò  al  rogo,  confiscandone  i 


beni  e  ottenendo  dal  papa  la  ioppreeslone 
dell*  ordine  (cfr.  "W.  F.  Wilken,  OesekiehU  dm 
TWiptlonfoif, 2^ed., Halle,  1860;  L. Obrario, 
iV  Tempieri,  Torino,  1868  ;  G.  Salvemini  nel- 
l'^yvfc.  seor.  it.,  G*  serie,  voi.  XV,  pp.  225-264). 
—  aaova  Filata  :  Filippo  il  bello,  che  al  Co- 
lonna abbandonò  il  pontefice  Bonifuto  VIU, 
oome  già  Ponzio  Pilato  aveva  abbandonato 
Gesù  ali*  odio  dei  suoi  nemid  (dr.  Luca  -r^n^ 
26).  —  92.  elle  eld  io  '1  ecc.  non  contento  an- 
cora della  persecuzione  eserdtata  contro  il 
papa,  volle  sfogare  1*  insaziabile  cupidigia  snl- 
r  ordine  del  Templari,  eenxa  decreto  doò  aver 
prima  chiarito  per  le  vie  legali  se  essi  foe- 
sero  veramente  colpevoli  dd  delitti  apposti 
loro.  —  98.  le  eoplie  Tela:  G.  Villani,  Or. 
vm  92  :  €  Per  molti  si  disse  che  furono  morti 
e  distrutti  a  torto  e  a  peccato  e  per  occupare 
i  loro  beni,  i  quali  poi  per  lo  papa  ftirono 
privilegiati  e  dati  alla  magione  dello  spedale, 
ma  convennegli  loro  ricogliere  e  rìcompezmre 
dal  re  di  Frauda  ».  —  94.  O  Sigiar  ecc.  0 
Dio,  quando  potrò  rallegrarmi  vedendo  at- 
tuata quella  vendetta,  che,  nascosa  ora  nd 
tuo  eegreto  doè  preordinata  nd  segreto  della 
tua  volontà,  radddoisce  la  tua  ira  s£  cho  non 
d  manifesta  prima  dd  tempo  da  te  stabilito: 
cfr.  Par,  zzn  16  e  segg.  —  97.  Ciò  eh' le 
ecc.  Ugo  risponde  qui  alla  seconda  domanda 
di  Dante  (v.  86),  dicendogli  innanzi  tutto 
che  le  lodi  degli  esempi  di  povertà  e  di  lar^ 
ghezza  sono  Catte  dalle  anime  solo  durante 
il  giorno.  ~  di  «aell*  «alea  ecc.  della  Ver- 
gine Maria  :  cfr.  w.  19-24.  —  99.  per  aleaaa 
chiosa  :  per  avere  qualche  spiegazione  delle 
mie  pardo.  —  100.  taat'è  rispetta  ecc.  gli 
esempi  virtuod  seguitano  quan  naturale  ri- 
sposta ad  ogni  nostra  preghiera  finché  dura 
il  giorno,  ma  quando  viene  la  notte  s'inoo- 
mindano  a  gridare  esempi  dd  vizio.  —  102. 
eonirarlo  suon:  cfìr.  Purg.  zia  40.  ~  ICS.  Xol 


PURaATOBlO  -  CANTO  XX 


436 


105 


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111 


114 


117 


120 


coi  traditore  e  ladro  e  patrioida 
fóoe  la  voglia  sua  dell'oro  ghiotta; 

e  la  miseria  dell'avaro  Idlda, 
ohe  segui  alla  sua  domanda  ingorda, 
per  la  qnal  sempre  oonvien  che  si  rìda. 

Del  folle  Aoam  ciascun  poi  si  ricorda, 
come  furò  le  spoglie,  si  che  Pira 
di  Giosuè  qui  par  eh' ancor  lo  morda. 

Indi  accusiam  col  marito  Safira, 
lodiamo  i  calci  ch'ebbe  Eliodoro, 
ed  in  infemia  tutto  il  monte  gira 

Polinestor  ch'ancise  Polidoro; 
ultimamente  ci  si  grida:  '  Grasso, 
dicci,  ohe  il  sai,  di  che  sapore  è  l'oro?  ' 

Talor  parla  l'un  alto  e  l'altro  basso, 
secondo  l'affezion,  eh' a  dir  ci  sprona 
ora  a  maggiore  ed  ora  a  minor  passo; 


rlpctlaa  eoe.  Ogni  notte  gli  ipiziti  di  que- 
sto oeraliio  xipetono  etempi  di  aTmrizia,  nei 
quali  SODO  rilJBeee  le  «doni  melrage  ohe  Tom- 
■aao  d'Aquino  diitingue  dedrite  da  questo 
Tizio  iSumma,  p.  n  2^,  qu.  cxmi,  ait  8), 
cioè  il  tradimento  (PiginaUone),  l'inquietu- 
dine (ìOda),  la  frode  (Acam),  lo  spengluio 
(Anania  e  Saflia),  la  ftdsltà  (imodoro),  l'inu- 
maaità  (Polinnestore)  e  la  Tiolenza  (Orasso). 
—  Plyaialieue  eco.  Pigmaliooa,  re  di  Tiro, 
per  cupidigia  d'impadionini  dei  tesori  di  8i- 
cheo  suo  zio  e  oognato,  lo  ucdse  proditoria* 
mente,  ooetzingendo  Didone  sua  sorella  a 
ftiggìre  in  Africa  (cfr.  Virgilio,  En.  i  840- 
351).  —  alletta:  cioè  durante  la  notto.  — 
104.  traditore  ecc.  tradi  la  soroUa  Bidone, 
tentò  di  rubare  i  tesori  del  marito  di  lei  e 
uccise  il  congiunto  Sicheo.  —  106.  e  la  mi- 
seria eco.  Mida,  re  della  Frigia,  ottenne  da 
Bacco  ohe  si  cambiasse  in  oro  tutto  dò  ch'ei 
fosse  per  toccare  :  privato  cosi  d' ogni  cosa 
necessaria  alla  yita,  e  traragUato  da  una  con- 
tinua inquietudinOi  si  liberò  dalla  dannosa 
concessione  con  un  bagno  nel  fiume  Fattolo 
fcfr.  Ovidio,  Mei.  xi  86-146).  —  109.  Del 
folle  Aeaai  ecc.  Alla  presa  di  Gerico,  Qio- 
loò  arerà  ordinato  agli  ebrei  ohe  nessuno 
s'appropriasse  alcuna  benché  minima  parte 
del  bottino  ;  ma  Acam,  figlio  di  Carmi,  con- 
tro quesf  ordine  s' impadroni  d'alcuni  oggetti 
preziosi  e  li  nascose  nella  sua  tenda:  allora 
Oìosoò  e  tutto  il  popolo  a  gran  furore  pre- 
sero lui  e  la  sua  famiglia,  e  li  lapidarono  o 
bnuàarono  nella  Valle  di  Acor  (cfr.  Oiosuè 
n  17-19,  rn  1-26).  —  112.  Indi  aeeuslam 
eco.  Anania  e  la  moglie  Saflra  ingannarono 
per  svazizia  8^  apostoli,  recando  loro  solo 
una  parte  dei  denari  ricarati  dalla  vendita 


delle  possessioni,  i  quaU  dorerano  esser  tutti 
portati  alla  comunità  cristiana;  ma  fbrono 
degnamente  puniti,  perché  caddero  come  eli- 
minati alle  parole  di  rimprovero  riroHe  loro 
dall'apostolo  Fistio  (cfr.  Atti  degli  Apoti,  r 
1-11).  —  118.  lodiaao  eco.  Eliodoro,  man* 
dato  da  Seleuoo  re  di  Siria  a  Qemsalemme 
per  spogliare  il  tempio,  appena  entratovi  si 
ride  innanzi  un  carallo  ohe  portara  un  fiero 
cavaliere,  e  percosso  dai  cald  dell'impetuoso 
animale  se  ne  tornò  umiliato  e  oonfbso,  senza 
aver  potuto  rapire  i  tesori  (cfr.  MàooabH  n 
8,  7-40).  —  U4.  ed  In  Infamia  eoe  e  tut- 
f  intomo  al  monte  si  ricorda  con  infamia  ecc. 
~  115.  Pollmestort  FoUnnestore,  re  di  Tra- 
cia, il  quale  uodse  il  giovinetto  Folidoro, 
figlio  di  Friamo  e  di  Eouba,  affidato  alle  sue 
cure,  al  solo  fine  d'impadronirsi  delle  sue  rìo- 
chezze  (Virgilio,  En,  m  4Si  e  segg.  ;  Ovidio, 
Mei.  zm  429-488;  cfr.  Moore,  I  212).—  116. 
■Itinameite  eco.  l' ultimo  esempio  è  quello 
di  M.  Licinio  Crasso  (  114-63  a.  0.  ),  ara- 
rissimo  tra  i  grandi  romani  degli  ultimi  tempi 
repubblicani  :  raccontano  gli  antichi  storici 
che  Orodo  re  dei  Farti,  essendo  stata  recata 
a  lui  la  testa  di  (Trasse,  ordinò  che  gli  fosse 
versato  in  bocca  dell'oro  liquefatto,  per  scher- 
nire cosi  la  cupidigia  insaziabile  del  suo  ne- 
mico (cfr.  Ploro,  ui  11).  —  118.  Talor  par- 
la ecc.  Questi  esempi  buoni  e  cattivi  sono 
da  noi  gridati  ad  alta  voce  o  a  voce  bassa, 
secondo  l' intonsiti  del  sentimento  che  ci  ec- 
cita a  parlare  ora  con  più  ora  con  meno  di 
forza.  Alcuni  sostengono  nel  v.  119  la  le- 
zione eh' ad  ir  ci  aprono,  come  pM  appro- 
priata alla  metaforica  espressione  del  mag- 
giare  o  minor  passo:  ma  l'effetto  dell'a^axiòns 
non  ò  di  movimento,  si  bene  di  reco  ;   e  i 


436 


DIVINA  COMMEDIA 


^ 


però  al  ben  che  il  di  ci  si  ragiona, 
dianzi  non  er'io  sol;  ma  qui  da  presso 
123       non  alzava  la  voce  altra  persona  ». 
Noi  eravam  partiti  gi&  da  esso, 
e  brigavam  di  soperoliiar  la  strada 
126        tanto,  quanto  al  poder  n*era  permesso; 
quand'io  senti',  come  cosa  che  cada, 
tremar  lo  monte:  onde  mi  prese  nn  gelo, 
129       qual  prender^  suol  colui  che  a  morte  vada. 
Certo  non  si  scotea  si  forte  Delo, 
pria  che  Latona  in  lei  £ftcesse  il  nido 
132        a  partorir  li  due  occhi  del  cielo. 
Poi  cominciò  da  tutte  parti  un  grido 
tal  che  il  maestro  in  v6r  di  me  si  feo, 
136       dicendo:  <  Non  dubbiar,  mentr'io  ti  guido  ». 
€  Oìoria  in  excdsis,  tutti,  Dw  », 
dicean,  per  quel  ch'io  da'vicin  compresi, 
138       onde  intender  lo  grido  si  poteo. 
Noi  ci  restammo  immobili  e  sospesi, 
come  i  pastor  che  prima  udir  quel  canto, 
141        fin  che  il  tremar  cessò,  ed  ei  compiési; 


penitenti  di  qnesto  oerohio  sono  condannati 
air  immobilità,  «  nei  piedi  e  nelle  man  logati 
e  presi  »  (Awy.  xix  124)  :  perciò  ò  da  ser- 
bare la  lesione  rolgata.  —  121.  però  al  kea 
ecc.  perdo  puoi  intendere  che  a  cantare  gli 
esempi  di  vìrtà,  ohe  noi  andiaae  ripetendo 
durante  il  giorno,  io  non  era  sdio.  allorchó 
tu  ti  avvicinasti  a  me  (ofr.  vr.  29,  85-S6); 
ma  accanto  a  me  nesson' anima  alsava  tanto 
la  voce  da  poter  essor  da  te  udita.  -^  12dL 
Kel  eravam  ecc.  cfr.  Ihf,  zzzn  124.-125. 
brigavam:  ci  davamo  briga,  d  studiavamo. 
Borgh.  :  €  Briga  importa  quistiom  e  liUf  ma 
importa  ancora  tforxot  shidio,  e  come  dir  prova 
che  si  mette  in  fkre  alcuna  cosa  :  e  da  que- 
sto ò  brigmn  in  questo  luogo  ».  — 126.  qaaate 
al  poder  ecc.  con  quanto  maggiore  velodtà 
d  era  concessa  dalla  strettezza  del  passo  (cfir. 
w.  4  e  segg.).  -^  127.  faaai'le  eoo.  allor- 
chó io  sentii  il  monte  del  purgatorio  tremare, 
come  se  rovinasse  :  riguardo  a  questo  terre- 
moto, ohe  aooompagna  la  liberazione  di  ogni 
anima  che  ha  compiuta  la  sua  penitenza,  cfir. 
Purg.  xn  40*72.  —  128.  «■  gale  eco.  un 
gdo  di  spavento  pari  a  quello  dell'uomo 
tratto  all'estremo  supplizio.  —  180.  Certe 
BOB  si  seotea  eco.  Secondo  le  leggende  mi- 
tologiche l'isola  di  Delo,  una  delle  Cidadi, 
era  in  origine  mobile  e  vagante  per  il  mare 
e  agitata  da  continui  terremoti;  e  diventò 
stabile  dopo  ohe  Latona,  fOggendo  Tira  di 
Giunone,  vi  si  fermò  a  partorire  Apollo  e 


Diana,  1  due  gemelli  dd  quali  Oiove  Favwa 
resa  madre  (cfir.  Virgilio,  .A»,  m  69  e  segg.; 
Ovidio,  HsL  VI  189  e  segg.).  —  XS2.  eeeU 
4el  elela  t  Apollo  e  Diana,  il  sole  e  la  luna, 
ai  quali  Dante  die  quest'appellativo  rioor- 
dandod  d'Ovidio,  che  disse  mundi  oculua  H 
sole  (UiL  IV  228).  — 183.  Poi  eoadmeld  eoo. 
Al  terremoto,  die  scuote  il  purgatorio  per  la 
liberazione  d'un*  *n<»»n,  d  unisce  un  cantico 
di  lode  al  Signore,  innalrato  dai  penitenti  di 
tutti  i  cerchi:  e  il  canto  erompe  oosl  improv- 
viso che  Dante  resta  quad  atterrito  e  Vìi^ 
gìlio  deve  rincorarlo  oon  prontezza  affsttaosa. 

—  136.  COoria  eoe  Tutti  i  penitenti  canta- 
vano Gloria  in  toxeUia  Deo,  l'inno  oioò  che 
fa  cantato  degli  angeli  alla  nasdta  di  Gesù 
(Luca  n  14),  per  quello  ch'io  compred  dai 
penitenti  vidni  a  me,  dd  quali  d  potevano 
distinguere  le  parole  cantate.  —  187.  4a*  Vi- 
da: ood  rettamente  d  deve  scrivere  e  in* 
tendere:  da  quelle  anime  ch'orano  più  vi« 
cine  a  me,  dalle  anime  dd  quinto  oerdùo  ; 
come  dimostra  il  tutti  dd  v.  precedente.  AU 
tri  meno  bene  scrivono  :  da  «Mn,  dd  vidno 
luogo.  — 138.  OBie  :  dd  quali;  particdla  pro- 
nominde,  frequentissima  in  Dante  anche  ri- 
ferita a  un  plurde  (cfr.  Inf.  ix  42,  xzzi  132 
ecc.).  —  140.  eoaie  1  pMtor  ecc.  come  i  pa- 
stori che  per  la  prima  volta  sentirono  oantare 
Gloria  in  «xeelti*,  allordió  ti  loro  Rnnnlw^lltm 
la  nasdta  dd  bambino  Qesd  (Luca  n  8-14). 

—  141.  ed  el  eemplési:  o  il  canto,  essondo 


PURGATORIO  -  CANTO  XX 


437 


poi  ripigliammo  nostro  oammin  santo, 
guardando  l'ombre  cke  giacean  per  terra, 
144        tornate  gi&  in  su  l'usato  pianto. 

Nulla  ignoranza  mai  con  tanta  guerra 
mi  fé'  disideroso  di  sapere, 
147       se  la  memoria  mia  in  ciò  non  erra, 
quanta  pare'  mi  allor  pensando  avere  ; 
né  per  la  fretta  domandarne  er'oso, 
né  per  me  li  potea  cosa  vedere: 
151    cosi  m'andava  timido  e  pensoso. 


tenninalD  rumo,  fini.  —  li2.  aoitro  Mm- 
mÌM  samto  :  la  nostra  via  per  il  purgatorio, 
tede  di  anime  eletto  alla  beatltadine  del  pa- 
radiso^ — 144.  tonate  eco.  ritornato  al  pianto 
interrotto  per  un  momento  al  fine  di  cantare 
la  liberazione  di  nn*  anima.  —  146.  Ralla 
Ifseraiisa  eoo.  n  torremoto  e  il  canto  sn- 
scitarono  nell'animo  di  Danto  nn  ooei  yivo 
desiderio  di  oonoeoeme  la  ragione,  ch'egli 
non  si  era  mai  sentito  cod  annoso  di  si^re 
la  causa  d*  altri  Catti.  Il  passo  ò  da  oostroire 
cosi:  Ss  m  ciò  la  mia  memoria  wm  erra,  nulla 
ignoranxaf  nessuna  ignoranza  delle  canse  di 


cose  Tiftdnto,  mi  fé*  mai  desideroso  di  eapere 
eon  tanta  ffuerraf  con  tanto  ansietà,  quanta 
parkai  avere  allora^  quanto  mi  pareva  d*ayere 
allora,  peneandot  nel  ripensare  al  terremoto 
e  al  canto.  ~  149.  mi  per  la  fretta  eoo.  né 
per  la  fretto  che  Virgilio  dimostrara  nel  cam- 
minare io  osavo  di  chiedere  spiegazione  a  lui, 
n6  da  me  stesso  riusciva  a  determinare  qual 
fos*  la  cagione  dol  terremoto  e  del  canto. 
—  161.  cesi  B'andava  eco.  perciò  io  proce- 
deva, timoroso  di  domandare  e  pensoso  del 
ftitto  inespUcabile. 


CANTO  XXI 

Dante  e  Virgilio  prosegaendo  il  loro  cammino  nel  quinto  cerchio  incon- 
trano r anima  di  Stazio,  che,  compinta  la  sna  purificazione,  sale  al  cielo: 
Stazio,  richiesto  da  Virgilio,  spiega  la  ragione  del  terremoto  e  del  canto, 
sodisfacendo  cosi  an  vivo  desiderio  di  Dante,  e  si  manifesta  ai  due  poeti, 
coi  quali  si  aocompagna  [12  aprile,  ore  antimeridiane]. 

La  sete  naturai  che  mai  non  sazia, 
se  non  con  l'acqua  onde  la  femminetta 
8        samaritana  domandò  la  grazia, 


XXI  1.  La  sete  eoe  n  desiderio  di  sa- 
pere innato  negli  uomini,  U  quale  non  resto 
sodisfiatto  se  non  col  conseguimento  della 
reotà,  mi  travagliava  eco.  Danto,  dóno,  1 1  : 
<  Si  come  dice  il  Filosofo  nel  prindpio  della 
prima  Filosofia  [Aristotele,  Metafiaiea^  i  1], 
tuta  gU  «fomM  naturalmente  deeiderano  di  sa- 
pere :  la  ragione  di  che  puoto  essere  ohe  cia- 
scuna cosa,  da  prowidenria  di  propria  natura 
impinto,  è  inclinabile  alla  sua  perfezione; 
onde,  aodò  che  la  scienza  d  l'ultima  perfe- 
zione della  nostra  anima  nella  quale  sto  la 
nostra  ultima  fiaUcità,  tutti  naturalmento  al 
suo  desiderio  siamo  soggetti  >.  •-  2.  se  Boa 
ttm  l'aef  aa  eoo.  Baooonto  il  vangelo  (Gio- 
vanni IV  6  ecc.)  die  essendo  giunto  una  volto 
Cristo  alla  fonto  di  Giacobbe  e  avendo  chie- 


sto da  bere  a  una  donna  di  Samaria,  questo 
si  meravigliò  che  ©gli,  giudeo,  trattasse  con 
una  samaritana  ;  allora  Gesti  le  disse  :  e  Se 
tu  conoscessi  il  dono  di  Dio  e  chi  ò  colui 
che  ti  dice  '  Dammi  da  bere  ',  to  stessa  gliene 
avresti  chiesto,  ed  egli  ti  avrebbe  dato  del- 
l' sequa  viva  »  ;  e  ad  altre  inchiesto  della 
donna  soggiunse  :  e  Chi  berrà  dell*  acqua  ch'io 
gli  darò  non  avrà  giammai  in  etemo  seto; 
anzi  l'acqua  ch'io  gli  darò  diverrà  in  lui 
una  fonto  d' acqua  sagliento  in  vito  etema  >. 
Allora  la  samaritana  disse  a  Gesd  :  <  Signo- 
re, dammi  cotesto  acqua,  acciò  ohe  io  non 
abbia  piti  seto,  e  non  venga  pi6  qua  ad  atti- 
gnerne >.  Qnesf  ooTtia  viva  chiesto  in  grazia 
a  Gesù  dalla  samaritana  è  pei  teologi  la  gra- 
zia divina,  e  per  Danto  la  verità,  che  sola 


4^8 


DIVISA  COMHEDU 


mi  travagliava,  e  pungeami  la  fretta 
per  la  impacciata  via  retro  al  mio  duca, 
G        e  condoleami  alla  giusta  vendetta. 
Ed  ecco,  si  come  ne  scrive  Luca 
che  Cristo  apparve  ai  due  ch'erano  in  via, 
0       gl&  surto  fuor  della  sepulcral  buca, 
ci  apparve  un*  ombra,  e  retro  a  noi  venia 
da  pie  guardando  la  turba  che  giace; 
12       né  ci  addemmo  di  lei,  bì  parlò  pria, 
dicendo:  <  Frati  miei,  Dio  vi  dea  pace  ». 
Noi  ci  volgemmo  subito,  e  Virgilio 
15        rendégli  il  cenno  eh' a  ciò  si  confiace. 
Poi  cominciò  :  <  Nel  beato  concilio 
ti  ponga  in  pace  la  verace  corte, 
18       che  me  rilega  nelP  etemo  esilio  ». 

€  Come  ?  diss'  egli,  e  parte  andavam  forte, 
se  voi  siete  ombre  che  Dio  su  non  degni, 
21        chi  v'ha  per  la  sua  scala  tanto  scorte?  » 
E  il  dottor  mio  :  «  Se  tu  riguardi  i  segni 


pad  saxUro  la  lete  natorale  del  sapere.  — 
i.  e  paige»MÌ  eoo.  e,  oltre  al  desiderio  di 
sapeze,  mi  pnngera  la  fretta  dell'  andaie,  die- 
tro a  Virgilio,  per  quella  strada  impedita 
dalle  anime  degli  ayari,  •  mi  dolora  meoo 
medesimo  della  giusta  pena  alla  quale  vedevo 
esser  soggette  le  anime  stesse  (efr.  I^erg,  xs 
i-9).  —  7.  Ed  eeoo  ecc.  Sabitamente,  come 
al  due  discepoli  (Cleopa  e  Almeonó)  sulla 
strada  di  Emmaus  apparve  Gosd  nel  giorno 
stesso  della  sua  resurrezione,  secondo  il  rao- 
conto  dell'evangelista  Luca  (xxiv  IB- 16  :  €  Or 
ecco,  due  di  loro  in  quell' istesso  giorno  an- 
davano in  un  castello,  il  coi  nome  era  Em- 
maus, distante  da  Gerusalemme  sessanta  stadi. 
Ed  essi  ragionavan  fra  loro  di  tutte  queste 
cose  ch'erano  avvenute.  Ed  avyenne  che, 
mentre  ragionavano  e  discoirevano  insieme, 
OoBÙ  si  accostò  e  si  mise  a  camminar  con 
loro  »);  cosi  a  Dante  e  a  Virgilio  apparve 
l'ombra  di  Stazio.  —  9.  già  sirto  eoo.  già 
lovatosi  su  dal  sepolcro,  dopo  la  resurrezione.  - 
—  10.  ■■'  ombra  :  quella  di  Stazio,  ohe  or 
ora  si  manifesterà  (cfr.  w.  83  e  segg.).  — 
11.  da  pie  ecc.  guardando  al  suolo  le  anime 
deprli  avari,  che  v'  erano  stese.  ~  12.  mi  ci 
addemmo  eoo.  e  non  ci  accorgemmo  di  quol- 
l' ombra,  finché  non  oi  ebbe  rivolto  il  discorso, 
come  i  due  discepoli  non  s'aocorsero  di  Orì- 
sto  se  non  quando  egli  ebbe  loro  parlato.  — 
si  :  sino  a  ohe;  cfr.  Inf.  zzix  80.  — 18.  Dio 
Ti  dea  eoo.  Dio  vi  dia  pace  :  ò  il  salutoohe 
Gesù  rivolse  ai  discepoli  dopo  la  sua  resur- 
rezione (ofr.  Giovanni  zx  19,  26).  — 16.  ren- 
dali ecc.  gli  rispose  con  un  cenno  di  sa- 


luto, conveniente  all' aifottnoso  augurio  di 
quell'anima.  Altri,  meno  bene,  intondono  die 
al  PasB  vaòU  di  Btado,  Virgilio  lispondeiBe 
con  le  parole  liturgiche  :  tt  eum  sptrite  tuo. 
—  16.  Poi  eominelò  t  Virgilio  rivolge  il  di- 
scorso a  Stario  per  chiedergli  spiegazione  del 
terremoto  e  del  canto  o  incomincia  con  pa- 
role di  augurio,  dalle  quali  Stazio  oomprende 
che  i  due  ignoti  non  sono  spiriti  che  salgano, 
come  lui,  alla  beatitudine  del  paradiso  :  perft 
egli  interrompe  VirgUio  chiedendogli  come 
mai  possano  esser  pervenuti  sino  a  quel  punto. 
~  beato  eoaclllo  t  il  concilio  dei  beati,  il 
paradiso  (cfr.  Par.  zxvi  120).  ~  17.  la  ve- 
race corte:  la  corte  di  Dio,  dell'infallibile 
giudice,  che  mi  ha  assegnato,  come  sede,  il 
limbo,  rilegandomi  cosi  per  sempre  friori  della 
sua  città  (cfr.  Inf,  i  124-126).  ~  19.  parte  : 
aw.  di  tempo,  che  qui  significa  àifoMto,  e 
pi6  spesso  si  trova  negli  antichi  col  senso  di 
mentre^  ohe  ha  p.  es.  in  Inf,  xzzx  16.  —  20. 
se  voi  eco.  se  non  siete  anime  elette  alla 
beatitudine,  chi  vi  ha  guidati  sino  a  qui  a 
traverso  il  purgatorio?  —  bob  iegal:  non 
reputi  degne.  ~  21.  la  saa  scala:  il  purga- 
torio, che  è  la  scala,  la  via  per  cui  si  sale 
al  paradiso.  —  22.  Se  ta  rignardl  ecc.  Vir^ 
gilio  risponde  a  Stazio  ohe  il  tuo  compagno 
ò  ancor  vivo  e  viene  a  purificarsi  delle  ano 
colpe  sotto  la  guida  di  lui,  ohe  a  questo  ufll- 
cio  fu  eletto  per  divina  volontà  :  gli  risponde 
insomma  oon  altre  parole,  ma  ndlo  stesso 
modo  onde  rispose  a  Catone  :  ofr.  Jiiry,  1 62 
e  segg.  —  1  iegil  eoo.  I  mgid  dei  sette  pec- 
cati impreasi  sulla  fhmta  di  Dante  dall'  atf 


•^;vi»"  M 


PURGATORIO  -  CANTO  XXI 


439 


che  questi  porta  e  che  Pangel  profila, 
24       ben  vedrai  ohe  coi  buon  convien  ch*ei  regni 
Ma  perché  lei  ohe  di  e  notte  fila 
non  gli  avea  tratta  ancora  la  conocchia, 
27       che  Oloto  impone  a  ciascuno  e  compila, 
r  anima  eua,  eh' è  tua  e  mia  sirocohia, 
venendo  su,  non  potea  venir  sola; 
80       però  ch'ai  nostro  modo  non  adocchia: 
end* io  fui  tratto  fuor  dell'ampia  gola 
d'inferno,  per  mostrargli,  e  mostrerolli 

88  oltre,  quanto  il  potrà  menar  mia  scuola. 
Ma  dinne,  se  tu  sai,  perché  tai  crolli 

die  dianzi  il  monte,  e  perché  tutti  ad  una 
86       parver  gridare  infino  ai  suoi  piò  molli  ?  » 
Si  mi  dio,  domandando,  per  la  cruna 
del  mio  disio,  che  pur  con  la  speranza 

89  si  fece  la  mia  sete  men  digiuna. 
Quei  cominciò:  «Cosa  non  è  che  sanza 


golo  (efir.  iVy.  oc  112)  erano  in  gran  parte 
•oompani:  tre  aoU  ne  rimaneraac,  quelli 
dell*  a;Tarìzia,  della  gola  e  della  loBsoria  ;  e 
tàò  bastaya  a  hr  intendere  ohe  Dante,  am- 
MiMO  per  tal  gniaa  nel  regno  dei  penitenti, 
era  destinato  a  taUre  nn  giorno  a  quello  dei 
beatL  —  a&.eeltoaeBeco.èftaUUtoo]i'eg1i 
dinosl  net  regno  dei  boonii  nel  paiadiao.  — 
25.  Ha  perebtf  eoo.  Ha  perché  Lacbeai,  qnella 
delle  tre  parche  la  qnale  fila  lo  stame  della 
Tita  a  elaeoan  nomo,  non  avoTa  ancora  per 
hd  finito  di  trarre  giù,  di  filare  la  conooohia 
pieparata  per  dasovno  da  Cloto,  Tale  adire 
pervhé  0  ndo  compagno  non  era  ancor  giunto 
al  temine  della  rita.  —  26.  non  gli  area 
eoe  *tvre  is  eonoe^da  signifloa  filare,  dee 
tirar  gtfi  filo  a  filò  avrolgendo  il  lino  o  la 
•toppa  poeta  eolia  rócca  :  cfr.  Ftir.  xr  124. 
—  27.  Impone  a  eUsenno  eco.  Lomb.:  «  Due 
atti  d  fumo  nel  mettere  sopra  della  rócca 
fl  pennecchio  :  il  primo  è  di  sopr^>por7elo 
largamente,  Csoondolo  dall'aggirata  rócca  a 
poco  a  pooo  lambire,  e  questo  appella  Dante 
impom  ;  Taltro  è  di  aggirare  intomo  al  pen- 
necchio medesimo  la  mano  per  unirlo  e  re- 
stringerlo, e  questo  appella  compilare  >.  — 
28.  èk'  è  taa  e  mia  eco.  che  è  nostra  sorella, 
perché  tatto  e  tre  le  anime  sono  uscite  dalle 
mani  dello  steeso  creatore.  —  29.  non  potea 
eoe.  cfir.  Cbnv.  !▼  4  :  e  L*  umana  civiltà  è  a 
uno  fine  ordinata,  oio^  a  vita  felice  ;  alla 
quale  nuUo  per  s6  è  sufficiente  a  yenire  senza 
Tainte  d' alcuno  •,  —  80.  però  che  eoo.  per- 
ehó  non  guarda  ai  modo  nostro,  non  redo 
come  le  anime  liberate  dal  vincolo  corporeo. 
^  81.  fai  tratte  ecc.  fui  tratto  dal  limbo, 


il  primo  e  più  ampio  dei  cerchi  iniìsmali  (ctr, 
Inf,  n  49  e  segg.).  —  88.  «nanto  U  potrà 
ecc.  fino  al  termine  della  sua  penitenza,  alla 
quale  lo  poesono  bene  guidare  gli  ammaestra- 
menti della  filosofia,  la  ragione  umana,  che 
io  rappresento.  —  84.  perché  tal  eroUl  eco. 
perché  pooo  fa  il  monte  fb  agitato  da  crolli 
cosi  violenti  e  perchó  tutti  gli  spiriti,  dalla 
cima  sino  ai  piedi  di  queeto  monte,  canta- 
rono ad  una  voce  Tinno  Ohria  la  ne$l8i$9 
—  87.  8(  mi  die  eoe  Virgilio,  fluendo  que- 
sta domanda  a  Stazio,  colpi  tanto  dirittamente 
nel  mezzo  del  mio  desiderio,  ohe  solo  con  la 
speranza  di  oonosoere  dò  che  bramavo  inoo- 
minoiò  a  farsi  meno  intenso  il  desiderio.  — 
p«r  la  ernaa:  osserva  il  Ces.:  «Se  altri 
aguzzando  gli  occhi  accerta  il  piccolo  fóro 
della  cruna,  infilandovi  il  refe,  egli  è  aver 
cólto  in  un  segno  ad  imberciar  difficile,  ed 
ò  però  molto  caro,  cosi  qui  avvenne  a  Dante; 
che  r  aver  Virgilio  imberciato  nel  diritto  se- 
gno del  suo  desiderio,  gli  tu.  carissimo  ».  — 
40.  Quel  eomiaelò  eoe  Scart  :  <  Virgilio 
ha  chiesto  a  Stazio  quale  si  fosse  la  cagione 
del  tremuoto  e  del  canto  universale  udito 
poco  fa.  Stazio  incomincia  la  risposta  col  dire 
ai  due  viandanti  che  quanto  essi  udirono 
non  è  né  straordinario  nò  fuori  o  contrario 
al  sacro  regolamento  del  monte  (v.  40-42). 
Continua  poi  col  dire  che  la  montagna  del 
purgatorio  dalla  porta  in  su  ò  libera  da  tutte 
quelle  alterazioni  a  che  va  soggetta  la  terra 
abitata  dagli  uomini,  e  che  pertanto  la  ca- 
gione delle  novità  che  vi  accadono  non  può 
essere  da  altro  che  di  qusl  che  il  del  da  Ȏ 
in  té  riceve  (v.  43-45).  Questa  terzina  contiene 


440 


DIVINA  COMMEDIA 


ordine  senta  la  religione 
42        della  montagna,  o  che  sia  fuor  d'usanza. 
Libero  è  qui  da  ogni  alterazione; 
di  quel  che  il  ciel  da  sé  in  sé  riceve 
45        esserci  puote,  e  non  d'altro,  cagione: 

per  che  non  pioggia,  non  grando,  non  neve, 
non  rugiada,  non  brina  più  su  cade 
48        che  la  scaletta  dei  tre  gradi  breve. 
Nuvole  spesse  non  paion  né  rade, 
né  corruscar  né  figlia  di  Taumante, 
51        che  di  là  cangia  sovente  contrade. 
Secco  vapor  non  surge  più  avante 
ch'ai  sommo  dei  tre  gradi  ch'io  parlai, 
64        ov'ha  il  vicario  di  Pietro  le  piante. 
Trema  forse  più  giù  poco  od  assai; 
ma,  per  vento  che  in  terra  si  nasconda, 


già  in  nuee  la  risposta  alla  dimanda  di  Viigi- 
lio.  Ma  Stazio  sviluppa  1  dae  concetti  espressi 
nella  medesima  più  ampiamente.  Prima  egli 
spiega  perché  il  monte  è  libero  da  ogni  alte- 
ratone (▼.  46-57)  ;  poi  egli  spiega  quale  sia 
la  cagione  delle  novità  che  vi  accadono  (▼. 
68-60).  Dopo  aver  dichiarato  quando  tale  ca- 
gione in  generale  occorra  (▼.  61-66),  •  per- 
ché essa  sia  occorsa  in  questo  momento  (v. 
67-69),  conohinde  che  appnnto  per  questo  i 
due  iKandanti  udirono  il  terremoto  e  il  can- 
to ».  —  Cosa  BOB  è  ecc.  Non  vi  è  cosa  al- 
cuna sentita  dal  sacro  monte,  la  quale  non 
sia  prestabilita  o  non  sia  consueta;  nulla 
dunque  di  straordinario  succede  nel  purga- 
torio e  nulla  che  sia  taorì  delle  leggi  cho  Io 
goyemano.  —  41.  la  rellgioiie  della  bob- 
tagna:  la  santità  del  monte,  il  santo  monte; 
espressione  calc4kta  sulle  virgiliane,  reUigio 
loei  {En.  vm  849)  ed  aetheris  alti  redigio  (En. 
xn  181).  —  48.  libero  ecc.  Questo  luogo  ò 
libero  da  ogni  perturbazione  degli  elementi: 
cfir.  w.  46-67.  ~  44.  di  «uel  ecc.  di  tutto 
quello  che  succede  in  questo  luogo  pud  os- 
sero cagione  dò  che  il  cielo  riceve  in  sé  da 
sé  stesso  (un*  anima,  che  creata  in  cielo,  ctr, 
Pwrg.  XV]  85,  ritomi  nel  cielo),  e  non  dò 
che  il  cielo  riceve  in  sé  dal  di  fuori  (1  va- 
pori, che  soigendo  dalla  terra  producono  le 
alterazioni  atmosferiche)  :  cfr.  w.  68-69.  — 
46.  per  che  ecc.  per  la  qual  cosa,  cioè  che 
il  luogo  libero  ^  da  ogni  attvroMone^  non  pos- 
sono essere  nei  gironi  del  purgatorio  piog- 
gia, grandine,  neve,  rugiada,  brina,  nuvole, 
lampi,  arcobaleno.  Tento,  nessuna  insomma 
delle  perturbazioni  d'elementi  por  cui  il  monte 
possa  tremare.  —  grando:  latinismo,  per  gran- 
dine. —  48.  la  scaletta  ecc.  la  scala  breve 
di  tre  gradini,  por  cui  si   accedo  alla  porta 


del  purgatorio  (cfr.  Pmg,  ix  76  e  segg.),  al 
di  sopra  della  quale  non  sono  pi4  perturba- 
zioni atmosferiche.  —  49.  KiTole  ecc.  Non 
appariscono  nubi,  dense  o  rare  die  siano  ;  né 
alcun  lampeggiamento  né  1*  arcobaleno,  il 
quale  di  là  nel  mondo  è  sempre  in  opposi- 
zione al  sole  e  perciò  nel  mattino  si  vede  a 
oooidento,  nel  mezzodi  a  settentrione  e  nella 
sera  a  oriente.  —  60.  flglU  di  Tannuuite  : 
Iride,  figlia  di  Tanmante  e  di  Slettia,  era  la 
personifloazione  dell'arcobaleno,  oonddente 
dagli  antichi  come  una  celeste  messaggora 
che  saliva  e  discendeva  per  l'arcobaleno.  CSt, 
Cicerone,  Ds  noL  dtar,  m  20  :  <  Thaumanto 
didtur  Iris  esse  nata  ».  —  52.  Stoee  Tnpor 
eco.  Secondo  la  fisica  aristotelica  (cfr.  Mooce, 
I  181),  le  alterazioni  del  mondo  sono  pro- 
dotte dal  vapore  che  sorge  dalla  terra;  il 
quale,  se  è  umido,  genera  foggia,  neve,  gran- 
dine, rugiada,  brina,  se  ò  secco  e  sottile  ge- 
nera vento,  se  ò  secco  e  forte  genera  terre- 
moto :  il  vaporo  non  pud  salire  oltre  la  tonta 
delle  regioni  che  sono  tra  il  cmitro  della 
terra  e  il  cielo  della  luna,  dee  oltre  la  re- 
gione fredda.  Dante  dicendo  ohe  il  secco  va- 
pore non  sale  oltre  la  porta  del  purgatorio, 
viene  a  collocar  questa  al  confine  superiore 
della  regione  fredda  (cfr.  Pmg,  xxvin  97- 
102).  —  68.  al  somme  ecc.  alla  soglia  della 
porta,  che  sta  sopra  ai  tre  gradini  soprac- 
connati  ;  sulla  quale  soglia  tiene  «  ambe  le 
piante  >  l'angelo  portiere  {FSirg.  ix  106),  vi- 
cario di  san  Pietro  {Pwrg.  ne  127).  —  66. 
Trema  ecc.  n  monte  trema  forse  al  di  sotto 
dd  tre  gradini,  ove  il  luogo  non  è  libero 
dalle  perturbazioni  atmosferiche;  ma  quas- 
sù, non  so  in  qual  modo,  non  f^  mal  alcun 
terremoto  cagionato,  come  qud  della  terra, 
da  vento  che  si  nasconda  nella  terra  8t9fr> 


PURGATORIO  -  CANTO  XXI 


441 


57        non  so  come,  qua  sa  non  tremò  mai. 
Tremaci  quando  alcuna  anima  monda 
si  sente,  si  clie  surga,  o  die  si  mova 
60       per  salir  su,  e  tal  grido  seconda. 
Della  mondizia  sol  voler  &  prova, 
che,  tutta  libera  a  mutar  convento, 
63        Palma  sorprende,  e  di  voler  le  giova. 
Prima  vuol  ben;  ma  non  lascia  il  talento 
che  divina  giustizia  centra  voglia, 
66        come  fu  al  peccar,  pone  al  tormento. 
Ed  io,  che  son  giaciuto  a  questa  doglia 
cinquecento  anni  e  più,  pur  mo  sentii 
63       libera  volontà  di  miglior  soglia: 
però  sentisti  il  tremoto,  e  li  pii 
spiriti  per  lo  monte  render  lode 
72       a  quel  Signor,  che  tosto  su  gì'  invìi  >. 
Cosi  ne  disse;  e  però  ch'ei  si  gode 


sa.  —  67.  BOB  IO  cmm:  Torraca:  «B  wm 
m  otfmB  8i  coDgiange  ool  non  trtmò  ».  —  68. 
Treaiacl  eco.  In  questa  regione  niperiore 
■II»  porta  del  pnigatorio  i  moTimenti  ac- 
cadono qoando  qoalohe  anima  si  sente  pn- 
zìfioata.  —  69.  itf  ebe  sorga  ecc.  :  tre  di- 
vene spiegazioni  si  d&nno  di  questo  luogo: 
qnélU  di  Benv.,  accettata  dal  VelL,  Dan., 
Biag.,  Bianchi  ecc.,  per  coi  wirga  d  detto 
delle  anime  de^  avari  cho  sono  stesi  al 
saolo,  e  H  mova,  delle  anime  degU  altri  pec- 
catori ;  quella  del  Bati  e  del  Land.,  per  coi 
gurga  è  detto  dell'  anima  che  si  leva  dalla 
penitenza  per  salire  al  cielo,  e  ti  tnoea  del- 
l' anima  che  da  nn  cerchio,  ore  ha  espiato 
nn  peccato,  sale  a  nn  altro  per  purificarsi 
dn  un'  altra  colpa  ;  e  quella  del  Lomh.,  se- 
condo oni  il  poeta  dioe  wirga  a  proposito 
di  ogni  anima  che  si  trora  ridna  alla  scala 
die  dal  sno  girone  mena  al  di  sopra,  e  si 
ffioc»,  rispetto  a  quelle  ohe  essendo  lontane 
da  eesa  scala  devono  fue  un  certo  cammino 
prima  di  salire.  La  prima  interpretazione  è 
la  pili  semplice  e  perft  sembra  anche  la  più 
Tera.  —  GO.  e  tal  gride  eoo.  e  il  canto 
del  OkfHa  in  exeelsÌB  accompagna  il  terre- 
moto, segno  della  liberadone  dell'  anima.  -> 
61.  Della  noidisla  eoo.  La  sola  volontà  che 
Tiene  all'anima  di  salire  basta  a  provare 
di'  eesa  anima  sia  compiutamente  puiiflcata  ; 
la  quale  volontà  occupa  di  sé  tutta  V  anima 
libera  di  mutar  dimora  e  all'  anima  giova  que- 
sta volontà.  —  62.  eonvente  s  compagnia  di 
anime,  perché  da  quello  dei  penitenti  passa 
al  consorzio  dei  beati.  —  64.  Prlaa  vuol 
eoe.  Anche  prima  d' essere  purificata  Tanima 
vuol  salire,  ma  il  tahtUOy  dod  la  volontà  con- 
4iz}onata  di  es;^are  la  colpa,  non  lo  permette  ; 


la  quale  volontà  condizionata  ò  posta  dalla 
divina  griustlzia  contro  la  voglia  o  volontà 
assoluta,  cosi  al  tormento,  come  già  fu  al- 
l'atto del  peccato.  Dante  insomma  vuol  dire 
che  la  divina  giustizia  come  allorquando  la 
volontà  assoluta  vuole  il  male  gli  oppone  la 
volontà  condizionata,  cosi  quando  quella  vuole 
uscire  prima  della  purificazione  dal  ponato- 
rìo  gli  oppone  la  stessa  volontà.  La  dutin- 
zione  scolastica  della  volontà  assoluta  e  re- 
lativa o  condizionata  fu  già  applicata  alle 
anime  del  purgatorio  da  Tommaso  d'Aquino 
(Stitmna,  p.  m,  tuppl.^  append.  qu.  n,  art.  2), 
il  quale  ragionando  su  questa  distinzione  con- 
cluse che  la  volontà  di  sopportato  la  pena  ò 
condizionata  al  fine  che  per  essa  si  vuol  con- 
seguire e  che  in  questo  senso,  doò  che  e  sino 
poena  ad  bonum  pervenire  non  possumus  », 
le  pene  del  purgatorio  sono  volontarie.  — 
67.  a  f  ueita  doglia  t  alla  pena  degli  avari 
del  quinto  cerchio.  ~  68.  elaf  nMente  anni 
ecc.  Stazio  passò  pifi  di  dodid  secoli  al  pur- 
gatorio :  i  primi  tre  o  nell'  antipurgatorio  o 
nei  primi  cerdit;  poi  quattro  secoli  nel  cer- 
chio degli  aoddiod  (ofr.  I\»rg.  zxii  92);  e 
gli  ultimi  cinque  nel  cerchio  degli  avari.  — 
pnr  mo  :  cfr.  Inf,  xxvn  20.  —  70.  Pere  ecc. 
Per  questo  tu  hai  sentito  il  terremoto  scuo- 
tere il  monte  e  tutte  le  anime  del  purgatorio 
lodare  con  l'inno  Ohriaim  «cetMs  quel  Dio, 
che  io  auguro  le  awii  pieeto  al  paradiso  : 
gentilissimo  concetto  questo,  per  cui  Stazio 
prega  Dio  di  sollevare  presto  idla  beatitudine 
quelle  anime  ohe  si  sono  accordate  nel  rin- 
graziare il  Signore  per  la  liberaziciie  di  lui. 
~  73.  però  eh*  el  si  gode  eco.  perchò  del 
bere  si  gode  tanto  quanto  ò  grande  la  sete, 
doò  del  sapere  acquistato  tanto  piti  ò  sodi- 


442 


DIVINA  COMMEDU 


tanto  del  ber  quant'ò  grande  la  sete, 
75        non  saprei  dir  qaanVei  rù  fece  prode. 
E  il  savio  duca:  «  Ornai  veggio  la  rete 
che  qui  vi  piglia,  e  come  si  scalappia, 
78       per  che  ci  trema  e  di  che  oongaudete. 
Ora  chi  fosti  piacciati  ch'io  sappia, 
e,  perché  tanti  secoli  giaciuto 
81        qui  sei,  nelle  parole  tue  mi  cappia  ». 
€  Nel  tempo  che  il  buon  Tito  con  l'aiuto 
del  sommo  rege  vendicò  le  fora, 
84       ond'usci  il  sangue  per  Giuda  venduto, 
col  nome  che  più  dura  e  più  onora 
era  io  di  là,  rispose  quello  spirto, 
87        famoso  assai,  ma  non  con  fede  ancora. 
Tanto  fu  dolce  mio  vocale  spirto, 
che,  tolosano,  a  sé  mi  trasse  Roma, 
90       dove  mertai  le  tempie  ornar  di  mirta 
Stazio  la  gente  ancor  di  1&  mi  noma: 
cantai  di  Tebe  e  poi  del  grande  Achille, 


ifAtto  raomo  quanto  pi6  tìvo  n'ebbe  U  de- 
siderio, non  uprei  dire  quanto  mi  sodisfa- 
oesseio  le  parole  di  Stazio,  cioè  ebbi  delle 
parole  di  lai  un  piacere  corrispondente  al- 
l'intensa  brama  ch'io  area  di  conoscere  la 
ragione  del  terremoto  e  del  canto:  cfr.  Purg. 
XX  145-161.  —  76.  Ornai  Teyglo  ecc.  Ormsi 
ho  capito  qoal  sia  la  rete  che  tì  trattiene 
nel  purgatorio  (la  volontà  oondizionata)  e 
come  potete  disrilapparyBne  (con  la  parifi- 
cazione oompiata),  e  ho  capito  per  quale  ra- 
gione tremi  il  monte  e  le  anime  tutte  no  go- 
dano, cantando  gloria  al  Signore.  ~  77.  si 
scalappia  s  verbo  e  rifatto  su  aocahppiar» 
(Parodi,  BuU.  Ili  139)».  —  78.  eoagande- 
te:  godete  tutte  insieme.  ~  79.  Ora  ecc. 
Ora  dimmi  chi  tu  fosti  e  manifestami  por 
qoal  motivo  sei  stato  tanti  secoli  alla  pena 
dogli  avari.  —  81.  selle  parole  tae  ni  eap- 
pia  :  Bati  :  <  ne  la  risposta  tua  mi  sia  ma^ 
nifesto  »  :  il  vb.  capere  significa  aver$  in  ai, 
eorUenen  {Purg.  xvm  60,  Par.  xvii  15,  xxvm 
68),  e  anche  starò,  aver  hiogo  {Par,  m  76); 
dai  quali  signifloati,  trattandosi  di  pensiero 
contenuto  In  una  risposta,  è  taoUe  il  pas- 
saggio a  quello  rilevato  dal  Buti  in  questo 
verso.  —  82.  Mei  lempo  eco.  Publio  Papinio 
Stazio,  nato  in  Ni^li  verso  il  60  e  morto 
in  patria  intorno  al  96  d.  C,  fu  uno  dei  mag- 
giori poeti  dell*  età  argentea  della  lingua  la- 
tina, e  nel  medioevo  fu  tanto  stimato  che  gli 
fa  dato  luogo  accanto  a  Virgilio,  come  a  uno 
dei  principi  della  poesia  epica,  specialmente 
per  i  due  poemi  della  Tebaide  e  dell'^cAì^ 
leide  (cfr.  v.  92),  essendo  allora  ignorate  le 


Selve  che  furono  poi  scoperte  nel  secolo  zv. 
Fiori  già  famoso  in  Boma  ai  tempi  dell'im- 
peratore Vespasiano  (69-79  d.  0.),  allorché 
Tito,  figlio  di  Vespasiano,  distrusse  Oerusa- 
lomme  (cfr.  Par,  vi  92),  vendicando  cosf  con 
l'aiuto  divino  le  piaghe  di  Cristo,  che  era 
stato  venduto  da  Giuda  (Luca  xzvi  14-15).  — 
88.  f  Jra:  f6rì,  forma  di  neutro  piar.  (cfr.  Pa- 
rodi, BuU.  ni  119).  —  84.  oad*  asci  eca  cfr. 
Puvg.  V  74.  ~  85.  eoi  aoaie  eco.  col  nome  di 
poeta,  che  ò  il  pifi  durevole  e  il  pid  onorato  tra 
gli  uomini  ;  cfr.  Lucano,  Fara,  iz  980  :  «  0 
sacer,  et  msgnus  vatum  labor,  omnia  fato 
Eripis,  et  populis  donas  mortalibns  aevum  1  » 
—  87.  ma  loa  eoa  feda  aaeora:  ma  non 
convertito  ancora  al  cristianesimo  :  cfr.  JKirg. 
xzn  69  e  segg.  —  88.  Tanto  fi  ecc.  0)ei 
grande  fu  la  doloezsa  del  mio  canto  poetico 
che,  sebbene  fossi  nato  taoxi  di  Boma,  fui  chia- 
mato a  Boma,  ove  meritai  di  essere  coronato 
di  mirto,  oome  eccellento  poeta.  —  89.  tale- 
saae  t  Dante  segue  qui  un*  opinione  oorronte 
ai  temjd  suoi,  nei  qusli,  essendo  soonoMiate 
le  Seke  donde  appare  manifesto  cho  Stazio 
fu  napoletano,  l' autore  della  Tebaide  era  cre- 
duto tolosano,  perché  era  confuso  con  Lu- 
cio Stazio  Ursolo,  retore  del  tempo  di  Ne- 
rone, che  tu  veramente  di  Tolosa  e  oeleber^ 
rimo  fra  i  maestri  della  Oallia  narbonese.  — 
91.  Stasle  eoo.  sono  ricordato  ancora  dagli 
uomini  col  mio  proprio  nome  di  Stazio:  in- 
fatti nel  medioevo  i  poemi  di  lui  frirono  te- 
nati  in  grandissimo  conto  e  studiati  larga- 
mente nello  scuole  e  dai  dotti.  —  92.  eaatal 
ecc.  Di  Stazio-  Dante  conobbe  la  Tebaide^ 


PUBaATORIO  —  CANTO  XXI 


443 


03       ma  caddi  in  via  con  la  seconda  soma. 
Al  mio  ardor  f&r  seme  le  &yille, 
ohe  mi  scaldar,  della  divina  fiamma, 
06        onde  sono  allumati  più  di  mille; 
dell' Eneida  dico,  la  qual  mamma 
fammi,  e  fammi  natrice  poetando: 
OD        senz'essa  non  fermai  peso  di  dramma. 
E,  per  esser  vivato  di  1&  qnando 
visse  Virgilio,  assentirei  un  sole 
102       più  che  non  deggio  al  mio  uscir  di  bando  ». 
Volser  Virgilio  a  me  queste  parole 
con  viso  che,  tacendo,  dicea:  <  Taci  », 
105        ma  non  può  tutto  la  virtù  che  vuole; 


poema  eroico  di  dodici  libri,  ohe  tratta  della 
guerra  dei  Sette  contro  Tebe  e  mastimamente 
della  lotta  fra  Eteode  e  Polinioe,  e  rile^O- 
IriiUt  poema  rimasto  incompiuto  a  mezzo  U 
•eoondo  libro,  ma  di  ampio  concepimento, 
come  quello  ohe  doTeva  lÀbraodare  la  nar- 
zaziofiie  di  tutta  la  leggenda  d'Achille:  gli 
rimasero  Ignote  le  Stflw,  raccolta  di  trenta- 
due piccoli  poemi  d'occasione,  distribuiti  in 
dnqoe  libri  e  giudicati  il  mig^or  parto  del- 
l'ingegno  di  Stazio.  —  94.  Al  alo  ardor 
eoe.  Al  mio  ardore  poetico  ftirono  principio 
le  eodtattici  faTille  di  quella  divina  fiamma, 
dalla  quale  furono  accesi  tanti  altri  poeti  : 
la  divina  fiamma  è  il  poema  maggiore  di  Vir- 
gilio ;  eome  si  ha  dalla  T$b,  xn  816  ore  Sta- 
no pariando  al  suo  proprio  poema,  dice: 
e  Vive,  precor,  neo  tu  dirinam  Aeneida 
tempta,  Sed  longe  sequere,  et  yestigia  sem- 
per  adora  >  (cfr.  Moore,  I  243),  —  96.  onde 
ecc.  cfr.  fi  minto  che  Dante  rivolge  a  Vir- 
gilio in  Jnf.  X  82.  —  97.  la  qaal  ecc.  la  quale 
mi  fa  madre  e  nutrice  al  poetare,  doò  su- 
icitd  ed  educò  In  me  V  amore  all'  arte  della 
poesia.  —  99.  seni'  essa  ecc.  senza  l' esem- 
]ùo  deìVEnndè  io  non  seppi  tu  cosa  che 
areese  il  minimo  valore  :  infatti  tutto  il  pre- 
gio delle  opere  di  Stazio  consiste  nella  felice 
imitazione  delle  forme  virgiliane.  È  opportuno 
riferir  qui  le  giuste  considerazioni  del  D'Ovi- 
dio, pp.  176-177  :  e  Quando  Stazio  proclama 
che  r  Emide  gli  to.  mamma  §  mUriee  poetandOf 
che  ssftx'Msa  non  fermò  peto  di  dramma^  e, 
con  uno  slancio  poco  ortodosso  in  anima  bea- 
ta, protesta  che  per  aver  conosciuto  Virgilio 
in  terra  darebbe  un  anno  di  Paradiso,  e  sa- 
puto che  Virgilio  è  li  si  precipita  ad  abbrac- 
ciargli i  piedi  dimenticandosi  che  entrambi 
sono  ombre  ;  il  fondo  realistioo  della  cosa  sta 
in  tutto  qued  che  a  Dante  risultava  dalla  let- 
tura delle  opere  di  Stazio,  ma  il  calore  fan- 
tastico e  l'impeto  del  cuore  muovono  da  dò, 
che  in  Stazio  erompe  tutta  la  gentile  pas- 
sione di  Dante.  X^uesta  aveva  avuto  un  primo 


sfogo  innanzi  alla  selva  selvaggia,  ma  quale 
era  stato  possibile  tra  quelle  strette,  in  un'a- 
gnizione improvvisa,  con  l'animo  angosciato 
da  terrori  e  perplessità.  Altri  infiniti  sfoghi 
ora  venuto  facendo  via  via,  e  nel  pi6  sva- 
riati modi,  ma  più  o  meno  contenuti  dalle 
necesdtà  del  cammino,  dalla  familiarità  della 
continua  convivenza,  dalle  preoccuparioni  pe- 
dagogiche di  Virgilio.  Una  manifestazione  in- 
diretta v'  era  pure  stata  mediante  Sordello, 
ma  il  trovatore  aveva  con  Virgilio  rapporti 
meno  intrinsed.  Un*ultima  esplosione  avrebbe 
potuto  aver  luogo  nel  Paradiso  terrestre,  dove 
però  sarebbe  riusdta  per  più  rispetti  inop- 
portuna e  il  pianto  del  dlstaooo  l'avrebbe 
strozzata,  sicché  vi  fu  sostituita  la  tadta  spa- 
rizione del  maestro  e  l'accorato  rimpianto 
dell'  alunno.  La  tenerezza  per  ViigiUo  è  uno 
dei  motivi  fondamentali  della  polifonia  dan- 
tesca, e  nell'episodio  di  Stazio  quel  motivo 
ha  tutto  il  suo  sublime  svolgimento».  ~ 
100.  E  per  esser  ecc.  La  mia  ammirarione  per 
ViigHio  è  tanta  che  per  averlo  conosduto 
mi  contenterei  di  stare  un  altro  anno  nel  pur- 
gatorio. —  101.  au  sole:  un  anno  solare 
(cfr.  Inf.  VI  68).  Lana  e  An.  fior,  spiegaro- 
no :  e  un  sole  cioè  uno  ddo  solare  eh'  ò  28 
anni»,  forse  per  la  ragione  detta  dal  Buti 
che  <  uno  anno...  benchó  grande  spazio  sia 
al  desiderio  de  la  beatitudine,  pur  pare  pÌo- 
cula  cosa  a  noi  mondani,  misurandolo  co'  lo 
etemo,  e  ood  [Stazio]  mostrerebbe  poca  af- 
fezione». Invece  alcuni  moderni  sdoccheg* 
glarono  che  Dante  volesse  dire  un  giamo  I 
—  106.  Telser  ecc.  Queste  parole  di  Stazio 
fecero  volgere  verso  di  me  Virgilio  con  un 
atto  del  viso  che,  senz'  altro  pariare,  mi  fece 
capire  che  io  doveva  tacere.  Virgilio,  per 
modestia,  non  volle  essere  riconosduto  da 
Stazio  nel  momento  che  questi  pariava  con 
tanta  ammirazione  di  lui  ;  temendo  che  Dante 
saltasse  su  a  dire  a  Stazio  eh'  ei  parlava  con 
l'autore  delVEneide^  gii  fece  oenno  di  ta- 
cere; -*  105.  ma  aoi  può  ecc.  La  volontà 


444 


DIVINA  COMÌfEDIA 


che  riso  e  pianto  son  tanto  seguaci 
alla  passion,  da  che  ciascun  si  spicca, 
108       ohe  men  seguon  voler  nei  più  veraci. 
Io  pur  sorrisi,  come  l'aom  ch'ammicca; 
per  che  F  ombra  si  tacque,  e  lignardommi 
111        negli  occhi,  ove  il  sembiante  più  si  ficca. 
£  <  Se  tanto  lavoro  in  bene  assommi, 
disse,  perché  la  faccia  tua  testeeo 
114       xm  lampeggiar  di  riso  dimostrommi?  > 
Or  son  io  d'una  parte  e  d'altra  preso; 
l'una  mi  £a  tacer,  l'altra  scongiura 
117        ch'io  dica,  ond'io  sospiro,  e  sono  inteso 
dal  mio  maestro  ;  e  «  Non  aver  paura, 
mi  disse,  di  parlar;  ma  parla  e  digli 
120       quel  eh'  ei  domanda  con  cotanta  cura  >. 
Ond'  io  :  €  Forse  che  tu  ti  maravigli, 
antico  spirto,  del  rider  ch'io  fei; 
123       ma  più  d'ammirazion  vo'  che  ti  pigli 
Questi,  che  guida  in  alto  gli  occhi  miei, 
ò  quel  Virgilio,  dal  qual  tu  togliesti 
126       forza  a  cantar  degli  uomini  e  de' dèi. 
Se  cagione  altra  al  mio  rider  credesti, 
lasciala  per  non  vera  esser,  e  credi 


nnutnft  ò  limitata  ;  ohe  il  riso  e  il  pianto  se- 
guitano oosf  prontamonte  quella  pasnone, 
gioia  o  dolore,  onde  dasonno  procode,  che 
quanto  più  V  nomo  ò  linoero  tanto  meno  essi 
obbediscono  alla  volontà.  Cosi  Dante  giusti- 
fica  86  stesso  del  sorriso  sfuggitogli,  pur  dopo 
il  cenno  di  Virgilio  eh*  si  dovesse  tacere.  — 
109.  le  far  ecc.  Sebbene  il  mio  maestro 
m' avesse  &tto  capire  eh'  io  tacessi,  non  seppi 
trattenermi  dal  sorridere,  quasi  accennando 
a  Staxlo  col  mio  sorrìso  che  il  poeta  da  lui 
ammirato  ^  era  Innanxi.  —  ammicca:  il 
vb.  ammieoan  significa  quell'atto  per  cui 
s'accenna  con  l'occhio  qualche  cosa,  senaa 
parlare:  Dante,  paragonando  il  suo  sorrìso 
all'atto  dell' uoM  eh'ammiecaj  vuol  dire  che 
fti  un  sorriso  col  quale  accennò  a  Stazio  dò 
ch'egli  ignorava.  —  111.  ove  U  sembUate 
ecc.  ove  più  appare  manifesta  la  condizione, 
l'aspetto  dell'animo.  Dante,  Cam.  m  8: 
e  nella  faoda  massimamente  sa  due  luoghi 
adopera  l'anima,  però  che  in  quelli  due  luo- 
ghi quasi  tutte  e  tre  le  nature  dell'  anima 
hanno  giurisdixione,  doè  negli  occhi  e  nella 
bocca».  —  112.  Se  tante  eco.  Cosi  possa 
compiersi  felicemente  il  tuo  difficile  vìsggio, 
perché  testé  il  tuo  volto  mi  è  apparso  per 
un  momento  sorridente?  Stazio,  non  com- 
prendendo la  ragione  del  sorriso  di  Dante, 
dovette  provare  grande  curiosità  di  cono- 


scerla; e  poiché  non  rìusd  a  intenderìa  fis- 
sandolo bene  negli  occhi,  gliela  domandò 
apertamente.  »  113.  lestese:  testé;  forma 
che  si  frova,  pur  in  rima,  in  Par,  xxx  7,  e 
in  altri  antichi  scrittori  (  cl^.  Psrodi,  BulL 
m  183).  — 114.  nn  lampeggiar  eoo.  un  sor- 
riso durato  brevemente,  come  il  corruscare 
del  lampo.  »  115.  ùr  sem  le  eco.  Dante  si 
trovò  fka  due  diverse  volontà,  quella  di  Vir- 
gilio che  ^  aveva  accennato  di  tacere  e 
quella  di  Stazio  che  con  tanto  calws  lo  aveva 
pregato  a  parlare  :  mentre  sospirava  per  l'in- 
certezza, tn.  inteso  da  Virgilio,  il  quale  lo 
incoraggiò  e  gli  permise  di  parlare.  —  120. 
fael  eh'ei  ecc.  la  rsgione  del  tuo  sorriso, 
ch'egli  ti  domanda  con  tanto  interesse.  — 
121.  Ond' le  eoe  Appena  avutone  il  permesso 
da  Virgilio,  Dante  s' slEretta  a  dichiarare  a 
Stazio  perché  avesse  sorriso  e  gli  dice  chi 
sia  il  suo  compsgno.  »  124.  la  mìf  :  su 
verso  la  dma  del  monte  sacro.  —  125.  dal 
qnal  eoe  dal  quale  traesti  efficace  iqiirazione 
a  cantare  gli  eroi  e  gli  dòi,  che  sono  i  per- 
sonaggi dd  poemi  di  Stazio,  come  di  quello 
di  VirgiUo.  —  127.  Se  eagieM  eoo.  Se  tu 
hai  creduto  che  il  mio  sorriso  abbia  avuto 
altra  cagione,  da  questa  diifsrente,  lasciala 
come  non  vera,  e  credi  òhe  sola  cagione  del 
mio  sorriso  sono  state  le  parole  di  ammira- 
zione che  dicesti  di  Virgilio  a  lui  stesso,  da 


PURGATORIO  -  CANTO  XXI  445 

129        quelle  parole  che  di  lui  dicesti  >. 
Già  si  chinava  ad  abbracciar  li  piedi 
al  mio  dottor;  ma  egli  disse:  «  Frate, 
182        non  far,  che  tu  se*  ombra,  ed  ombra  vedi  >. 
Ed  ei  surgendo  :  «  Or  puoi  la  quantitate 
comprender  dell'amor  cVa  te  mi  scalda, 
quando  dismento  nostra  vanitate^ 
186    trattando  l'ombre  come  cosa  salda  >• 

te  non  oonosdato.  —  190.  Già  •!  ehlBAT*  la  nota  al  Pwrg,  ii  79.  —  188.  Or  paol  eco. 

eoo.  Stazio  in  segno  di  xiyexenxa  ri  mnove  Or»  puoi  eomprendere  l'intenaità  dell'affetto 

per  abbracdaie  i  piedi  a  Viigilio,  oome  già  che  mi  acoende  toibo  di  te,  vedendo  che  io 

aTera  fatto  SordeUo  appona  rìconoeciato  il  dimentioo  la  nostra  vanità,  trattando  le  om« 

sno  grande  concittadino  (cfir.  Pwrg,  vn  16).  bre  oome  ae  fossero  reri  oorpL  ~  1S5.  41- 

—  ISl.  Frate:  cfr.  Pwrg,  iv  127.  —  183.  tm  mealei  dimentioo  ;  ò  il  contrario  di  am' 

sei  eco.  siamo  entrambi  ombre  incorporee,  e  mmUan  (Purg,  znr  66).  —  vanltate  x  cfr. 

1  noetzi  abbracciamenti  sarebbero  vani  :  cfr.  Inf,  vi  95. 


CANTO  xxn 

Mentre  1  tre  poeti  8alfi^>no  insieme  verso  il  sesto  cerchio,  Stazio  ragiona 
del  suo  peccato  e  della  sua  conversione  alla  fede  cristiana,  e  Virgilio  parla 
dei  suoi  compagni  del  limbo  :  pervenuti  al  sesto  cerchio,  trovano  nel  mezzo 
della  via  un  albero  carico  di  fhitti,  bagnato  da  nna  limpida  sorgente,  dal 
quale  esce  una  voce  che  ricorda  esempi  di  temperanza  [12  aprile,  ore  an- 
timeridiane sino  alle  ondici]. 

Già  era  l'angel  retro  a  noi  rlmaso, 
l'angel  clie  n'avea  volti  al  sesto  giro 
3       avendomi  dal  viso  un  colpo  raso, 
e  quei  c'banno  a  giustizia  lor  disiro 
detto  n'avea  beati,  e  le  sue  voci, 
6        con  siUunt,  senz'altro,  ciò  fornirò; 
ed  io,  più  lieve  che  per  l'altre  foci, 

xxn  1.  dà  tra  eco.  Dopo  che  Stazio  impressi  sulla  mia  lh>nte  con  la  pnnta  del- 
ebbe  Tìoonoecinto  Virgilio,  i  tre  poeti  si  av-  p  angelica  spada.  —  4.  e  qaei  ecc.  e  1*  an- 
viarono  verso  la  scala  del  sesto  cerchio,  e  a  gelo  aveva  detto  a  noi  essere  beati  quelli 
piò  di  essa  trovarono  l'angelo  ohe  li  indirizzò  che  desiderano  la  giustizia,  cioè  ci  aveva 
SQ  per  la  scala,  disse  loro  una  delle  beatitu-  cantata  la  quarta  beatitadine  evangelica,  Mat- 
din!  evangeliche  e  cancellò  dalla  fronte  di  teo  v  6  :  e  Beati  coloix)  che  sono  a&mati  ed 
Dante  nn  altro  àeì  segni  di  peccato.  8u  tutto  assetati  di  giustizia,  per  dò  che  saranno  sa- 
questo  il  poeta  trapassa,  accennandolo  assai  ziati  >.  —  6.  e  le  sne  voci  ecc.  e  le  sue  pa- 
brevemente  in  principio  di  questo  canto,  men-  role  compirono  il  canto  con  il  aiUuntj  sen- 
tre  gli  altri  pamaggi  da  nn  cerchio  all'  altro  z*  altro  sggiungere.  Dante  si  riferièce  mani- 
tono  da  lui  narrati  con  maggiore  larghezza:  festamonte  al  testo  biblico  della  vulgata,  che 
e  forte  egli  volle  cosi  evitare  la  ripetizione  di  nel  luogo  dt  ha  :  Beati  qtd  eauriurU  et  sUktnt 
narrazioni  molto  conformi  per  la  somiglianza  iusiUiam  ;  e  vuol  significare  che  Tangelo  non 
di  tati  passaggi.  —  3.  l'angel  ecc.  l' angelo,  disse  intera  questa  beatitudine,  ma  solamen- 
che  accennando  la  scala  o  invitando  con  amo-  te  :  Beali  qui  MiiimU  iiutitiam  ;  infatti  il  Beati 
revdi  parole  (cfr.  Airp.  xn  91,  xv  86,  zvn  qui  esxariunt  iustitiam  è  messo  dal  poeta  in 
47,  axx  47  eco.)  ci  aveva  indirizzati  al  sesto  bocca  a  un  altro  angelo,  sebbene  parafrasato 
girone,  togliendomi  con  un  colpo  delle  suo  e  modificato  (cfr.  Purg.  xxrv  161-164).  —  7. 
ali  un  altro  dei  setto  segni    di   peccato  già  pili  Utre  :  ad  ogni  nuovo  cerchio  Dante  si 


446 


DIVINA  COMMEDIA 


m'andava  si  che  senza  alcun  labore 
9       seguiva  in  su  gli  spiriti  veloci, 
quando  Virgilio  cominciò  :  €  Amore, 
acceso  di  virtù,  sempre  altro  accese, 
12       pur  che  la  fiamma  sua  paresse  fuore. 
Onde,  dall'ora  che  tra  noi  discese 
nel  limbo  dello  inferno  Giovenale, 
15       che  la  tua  affezion  mi  fé' palese, 
mia  benvoglienza  inverso  te  fu  quale 
più  strinse  mai  di  non  vista  persona, 
18        si  ch'or  mi  parran  corte  queste  scale. 
Ma  dimmi,  e  come  amico  mi  perdona 
se  troppa  sicurtà  m'allarga  il  freno, 
21        e  come  amico  omai  meco  ragiona: 
come  potè  trovar  dentro  al  tuo  seno 
loco  avarizia,  tra  cotanto  senno 
24        di  quanto,  per  tua  cura,  fosti  pieno  ?  » 
Queste  parole  Stazio  mover  fenno 
un  poco  a  riso  pria;  poscia  rispose: 
27        «  Ogni  tuo  dir  d'amor  m' è  caro  cenno. 
Veramente  più  volte  appaion  cose. 


sente  pift  leggiero,  perobó  sgniTAto  del  pec- 
cato che  li  etpfa  nel  precedente  (ofir.  Pwrg, 
IV  88  e  segg.,  xn  116).  —  foelt  cfr.  Pwrg. 
xu  112.  —  8.  MBBA  aleiim  eco.  senza  alcuno 
afono  poterà  nella  salita  tener  dietro  a  Vir- 
gilio e  a  Stazio,  ombre  leggiere  e  rapide.  — 
lalK»re  i  dal  lat.  ioòor,  forma  frequente  negli 
antichi  poeti  (cf^.  Nannnooi,  Ncmi  106)  :  ò 
anche  in  Par,  xxm  6.  —  10.  Virgilio  eo- 
aineiòt  alle  grandi  dimostrazioni  di  riyeren- 
za  fattegli  da  Stazio,  Virgilio  doTt va  pnr  rif 
spondere  oortesemente  ;  e  lo  fsoe  oon  le  p^ 
role  ohe  seguono,  aprendosi  anche  la  via  a 
chiedergli  come  mai  egli  si  fosse  lasciato  do- 
minare dall'avarizia.  —  ÀMore  eoo.  Ogni 
amore  nato  dalla  virtà,  appena  manifestatosi, 
ne  suBoita  un  altro  :  ò  un'  esplicazione  del 
ooncetto  espresso  in  htf.  v  106.  —  18.  Onde, 
dall'era  eco.  Cosi  dal  momento  che  venne 
nel  limbo  Giovenale,  il  quale  mi  manifesta 
l'amoroso  onlto  ohe  tu  avevi  per  me,  io  oo- 
minciai  a  sentire  tanto  amore  per  te,  ohe  mi 
parrà  troppo  breve  il  tempo  ohe  staremo  in- 
ùome.  —  14.  Giovenale:  Decimo  Ginnio  Gio- 
venale, il  maggior  satirico  latino,  nacque  in 
Aquino  verso  l'anno  47  e  mori  verso  il  180 
d.  C;  ta.  dunque  contemporaneo  di  Stazio, 
e  siccome  si  chiari,  nella  Sai.  vn  82  e  segg., 
ammiratore  della  Tebaidtt  dovette  sembrare 
assai  conveniente  a  Dante  il  lame  un  inter- 
mediario £ra  i  due  epici,  ohe  dopo  morte  fu- 
rono separati  per  la  diversa  fede.  —  16.  mia 


benveglleua  eoo.  il  mio  affatto  per  te  fb 
cosi  grande  oha  nessuno  al  mondo  amò  mai 
tanto  una  persona  non  vista,  ma  conosciuta 
solo  per  Cuna.  —  18.  al  yama  ecc.  corte 
al  desiderio  grande  di  stare  nolto  tempo  in 
compagnia  di  Stazio.  —  19.  e  «Mie  avie* 
eoe.  0  come  mio  boo»  amico  ohe  tu  sei  per- 
donami se  troppa  Cranahwia  m'induce  a  chie- 
derti ciò  ch'io  sto  per  dire.  —  21.  e  come 
amleo  •mal  eoe  e  tu  rispondimi  oon  la  con- 
fidenza d'un  amioo,  non  oon  la  riverenza 
d'un  ammiratore.  —  22.  eeme  peU  eoo.  oo- 
me  mai  nel  tuo  animo,  ohe  per  lungo  studio 
ta  tanto  assennato,  potè  trovar  luogo  l'ava- 
rìzia? Virgilio  e  Dttnte  non  sapevano  ancora 
ohe  in  questo  cerchio  fossero  coloro  che  in 
generale  malo  usarono  le  ricchezze;  poiché 
da  Adriano  V  avevano  inteso  che  qui  si  pur- 
gava il  peccato  dell'avarizia  (fWy.  zix  115). 
—  26.  Qveett  parole  eoe.  U  riso  di  Stazio 
ò  quello  dell'  uomo  savio,  ohe  si  oompiaoe  di 
poter  trarre  gli  altri  dall'  errore,  •  però  ò 
riso  temperato  e  modesto  ;  ofir.  Cbne.  m  8  : 
e  si  conviene  all'  uomo  dimostrare  la  sua  ani- 
ma noli'  allegrezza  moderata,  moderatamente 
ridere  oon  un'  onesta  severità  e  oon  poco  mo- 
vimento delle  sue  membra  >.  —  27.  Ogal  tao 
eoe  Ogni  tuo  discorso  mi  ò  gradita  dimostra- 
zione dell'  affatto  che  hai  per  me.  —  28.  Ve- 
ramente eoo.  Spesse  volte  i^parisoono  coee, 
le  quali  danno  iislso  motivo  di  dubitare,  per- 
ché sono  occulte  le  loro  veraci  ragioni.  — 


PURGATORIO  -  CANTO  XXU 


447 


80 


39 


42 


che  danno  a  dubitar  &l8a  matera, 
per  le  vere  ragion  ohe  sono  ascose. 

La  tua  domanda  tuo  creder  m'avvera 
esser  ch'io  fossi  avaro  in  l'altra  vita, 
forse  per  quella  cerchia  doy'io  era: 

or  sappi  ch'avarizia  fu  partita 
troppo  da  me,  e  questa  dismisura 
migliaia  di  lunari  hanno  punita. 

E  se  non  fosse  ch'io  drizzai  mia  cura, 
quand'io  intesi  là  dove  tu  esclame, 
crucciato  quasi  all'umana  natura: 

'  Per  che  non  reggi  tu,  o  sacra  fame 
dell'oro,  l'appetito  de' mortali?  ' 
voltando  sentirei  le  giostre  grame. 

Allor  m'accorsi  che  troppo  aprir  l'ali 
potean  le  mani  a  spendere,  e  pentémi 


29.  Mfttcrft  !  cfr.  Purg,  xrm  87.  —  81.  La  ina 
é^aaada  eoe.  La  domandai  che  tu  m'hai  ri- 
Tolta,  mi  dimostra  essere  toa  opinione^  fone 
per  arermi  troTato  nel  quinto  cerchio,  eh'  io 
neU' altra  rita  fòssi  ayaro.  —  a'a?Tera:  il 
Tb.  ovcvrorf,  ohe  in  l^trg,  zTxn  86,  significa 
Untr  per  mro,  qui  pinttosto  vale  dimottrar 
«ero,  promn,  ~  8i.  or  sappi  eoe.  ma  devi 
sapere  ohe  l'aTarizla  fa  da  me  lontanissima 
•  che  anzi  sono  stato  tanto  tempo  in  peni- 
tenza per  V  eccesso  contrario,  per  la  prodi- 
gaUtà.  —  86.  Migliaia  él  lanari  :  parecohie 
migliaia  di  mesi,  più  di  seimila  mesi  o  di 
cinquecento  anni  (cfr.  Pmrg.  xxi  68).  —  87. 
B  ■•  BOB  fossa  eoo.  E  se  non  fosse  stato 
che  Tolsi  al  bene  lo  stadio  posto  sino  allora 
nel  male,  quando  attesi  a  qoel  laogo  del  tao 
poema  ore  ta,  qaasi  sdegnato  contro  la  cor- 
rotta amanita,  esclami  (En,  m  66).  cQoid 
non  mortalia  pectora  oogis,  Aori  sacra  fa- 
mes  ?  »,  io  sarei  andato  tra  i  dannati.  ~  40. 
Per  ekt  nea  reggi  eco.  Forte  questione  tro- 
rano  a  qoesto  passo  1  commentatori  e  dalle 
loro  menti  escono  le  sentenze  pid  disparate. 
11  Lana  erede  ohe  Dante  abbia  Telato  dire: 
€  O  omana  nataxa,  perché  non  reggi  tde,  per- 
ohé  non  ossenri  ta  la  sacra  fiune  dell'oro, 
cioè  lo  Tiitadioso  appetito  delle  ricchezze?  >  ; 
ma  dd  sarebbe  contro  la  letteia  e  contro  la 
morale  dantesca.  Benr.  opina  che  le  pardo 
di  Virgilio,  dette  a  proposito  dell'  aTarizia  di 
Polinnestore,  siano  stata  tratte  da  Dante  a 
OB  più  largo  signifioato  per  rimproverare  l'in- 
Vffiffpt»T"*»  delle  rioohezze  cosi  nel  ritenere 
ooBe  nello  spendere.  Il  Bati  spiega  :  e  Ftr- 
ekS  non  nggi^  o  santo  desiderio  (ùnohó  non 
passi  ne  li  estremi,  ohe  altramente  non  ò 
santo,  anzi  ò  maladetto  e  vizioso)  dell'oro 
la  Tolontà  dalli  omini  ?  >;  e,  osservando  che 


Dante  ha  presa  e  la  ditta  autorità  In  altro 
modo  »,  cioò  le  parole  di  Virgilio  in  altro 
senso,  perché  e  li  aatori  osano  l'altrai  aato- 
ritadi  arrecarle  a  loro  sentenzia,  qaando  com- 
modamente  vi  si  possono  arrecare  »,  aggiange 
che  Dante  ha  dato  al  vb.  eogia  il  signifioato 
di  ootini^i  o  carreggi  e  alla  dizione  qvid 
quello  di  jpmrehL  La  chiosa  del  fiuti,  che  in 
sostanza  sTilnppa  più  largamente  il  pensiero 
di  BenT.,  non  trord  grande  fsTore  presso 
gl'interpreti  posteriori;  dei  qaali  alenili  ac- 
cettarono l'idea  di  B.  Bolgarini  (disposto 
a*  rogitmammUi  dd  tig,  Immmo  Zoppio,  Sie- 
na, 1686,  p.  80)  che  Dante  per  la  soom  famet 
abbia  inteso  «  ona  Tirtù  di  cai  fosse  oifisio 
il  regolare  l' appetito  delle  ricchezze  »  ;  altri, 
quella  del  Lomb.  che  legge  :  A  eh»  non  reggi 
ecc.  e  spiega  :  «  ▲  che  non  trasporti  l'appe- 
tito de'  mortali,  esecranda  fiune  doU'  oro  1  »  ; 
altri  infine,  leggendo  :  e  Br  oAs  non  reggi 
eoo.  spiegano  :  e  Per  che  distorte  Tie,  per 
che  malTagità  non  condaci  e  gold!  ta,  o  ese- 
cranda fiune  dell'oro,  l'appetito  degli  nomi- 
ni?» Qaesf  ultima  interpretazione,  confer- 
mata dalla  dottrina  aristotelioa  che  la  prodi- 
galità e  r  aTarizia  traggono  similmente  gli 
nomini  a  male  opere  (ofr.  EHea  iv  1),  ò  la 
più  semplice  e  la  più  rispondente  al  oonoetto 
dantesco;  ma  risponde  anche  a  nna  firaso 
contorta  e  poco  perspicua  :  cfr.  Moore,  1 81  e 
186.  —  42.  Toltaade  eoe.  sarei  in  inferno, 
nei  quarto  cerchio,  ove  gli  avari  e  i  prodighi 
voltano  pesi  e  per  forza  di  poppa»,  urtan- 
dosi gli  uni  con  gli  altri  e  scagliandosi  amari 
rimproveri  (cfr.  Inf,  vu  25-85).  —  le  gio- 
stre ecc.  quelle  dei  punti  del  cerchio  ove  si 
incontrano  gli  avari  e  i  prodi^  (cfr.  Jhf, 
vu  85).  —  48.  lUor  m'accorsi  ecc.  Allora 
m'avvidi  ohe  l'uomo  poteva  peccare  d'in- 


448 


DIVINA  COMMEDIA 


45        cosi  di  quel  come  degli  altri  mali 
Quanti  risurgeran  coi  crini  scemi, 
per  ignoranza,  che  di  questa  pecca 
48       toglie  il  penter  vivendo  e  negli  estrem;! 
E  si^pi  che  la  colpa,  che  rimbecca 
per  dritta  opposizione  alcun  peccato, 
51        con  esso  iTisìeme  qui  suo  verde  secca. 
Però,  s'io  son  tra  quella  gente  stato 
che  piange  l'avarìzia,  per  purgarmi, 
54        per  lo  contrario  suo  m'ò  incontrato  ». 
«  Or  quando  tu  cantasti  le  crude  armi 
della  doppia  tristizia  di  Giocasta, 
57        disse  il  cantor  de'  bucolici  carmi, 
per  quello  che  Oliò  teoo  li  tasta, 
non  par  che  ti  £B,cesse  ancor  fedele 
60       la  £&,  senza  la  qual  ben  far  non  basta. 
Se  cosi  è,  qual  sole  o  quai  candele 
ti  stenebraron  si  che  tu  drizzasti 
63       poscia  di  retro  al  pescator  le  vele?  » 
Ed  egli  a  lui:  «Tu  prima  m'inviasti 


tempennn  nello  gpendeie  e  tai  pentito  della 
mia  prodigalità  •  dogli  altri  miei  peooatL  — 
•46,  i^MMtì  eoo.  Qvanto  grande  ò  il  nomerò 
dai  prodighi,  1  quali  nel  giorno  del  giudizio 
finale  xiaorgeranno  ooi  orini  moni  (ofr.  Inf. 
m  66),  perehé  ignorando  ohe  la  prodigalità 
è  peooato  non  ae  ne  pentono  dorante  la  rita 
o  negli  nltimi  momenti  di  esaa.  —  49.  E  tappi 
eoo.  Sappi  ohe  qni  nel  pugatorio  ò  legge  ohe 
intieme  oon  oiaaoano  dei  aetto  peooati  mortali 
aia  eapiata  anche  qnaldie  colpa  direttamente 
oppoate  ad  eaao  :  eoa!  nel  qnlnto  ai  porgano 
le  anime  degli  avari  insieme  oon  qnelle  dei 
prodighi  81  ofr.  an  dò  U  d*Ovldio,  pp.  2A9- 
261.  ~  61.  ano  rerde  aeeea  :  conaomi  il  ano 
rigoglio,  la  ana  intenaità,  sia  eloò  capiate 
con  la  penitenza.  —  63.  Però  eco.  Per  qne* 
Bte  legge,  ae  io  aono  steto  insieme  oon  gli 
avari  nel  qninto  cerchio,  mi  è  accadnto  per 
eaaere  ateto  prodigo.  —  66.  Or  qaande  eoe 
Allorché  tn  oantaati  nella  Tìbaide  la  lotte 
fratricida  di  Eteoole  e  Polinice  non  pare  che 
foeai  anoora  oriatiano,  perché  in  qnel  poema 
to  ti  dimoatri  del  tatto  pagano.  —  66.  dop- 
pia eoo.  i  dne  fratelli  Eteode  e  Polinice, 
nati  da  Olocaate  moglie  di  Laio  e  dal  figlio 
di  lei  Edipo,  al  qnale  ella  ai  oonginnse  igno- 
rando d'easergli  madre.  —  67.  il  eantor  eco. 
Virgilio,  antore  della  BueoUea^  opportnna- 
mente  designato  qni  oon  tale  perìfrasi,  per- 
ché Stazio,  xiapondondo  alla  ana  dooAnda, 
al  richiamerà  or  ora  ad  una  delle  edoghe 
virgiliane.  —  66.  per  qaello  ecc.  per  quello 
ohe  moatra  il  tao  poema  della  Ttbaìde^  al 


quale  chiamanti  aintelrioe  o  inspiratrioe  Clio, 
la  mnaa  che  predede  alla  atoria,  la  diapen- 
aatrìoe  ddla  gloria  :  inftetti  in  pzìndpio  deUa 
Teb,,  X  41  ai  legge  :  «  Qnem  prìoa  heronm, 
Clio,  dabia?  »  e x  680 :  «  Memor  indpe  Clio, 
Saeoola  te  qnoniam  penea  et  digeate  vota- 
ataa»:  ofr.  Moore,  I  24L  -»  CUò:  forma 
oadtona,  aeccmdo  le  regole  della  grammatica 
medioevale;  ofr.  Parodi,  Bull,  m  106.  —  68. 
teco  li  teata:  tratte  oon  te  in  qad  poema-, 
perohé  l'opera  d'arto  ò  qnad  lavoro  collettivo 
dell'  autore  e  ddla  Mnaa  :  il  vb.  taaian  pare 
aver  qui  il  significato  di  toocan^  irattan.  — 
60.  la  té,  aenia  eoo.  la  fede  oriatiana,  senza 
la  qnale  non  beate  operare  virtoosamente  : 
ofr.  Inf.  IV  88-42.  —  61.  Se  ceaf  è  ecc.  Se 
quando  componeati  la  Tébaid»  eri  anoora  pa- 
gano, qual  9oUt  qnale  Ince  della  divina  gra- 
zia, o  quai  eandeU,  o  qnaX  ammaestramenti 
nmani,  ti  ^ni|"w^pyi^no  la  mente  ai  che  tn  ti 
vdgeed  al  eriatianeeimo  ?  —  63.  al  pesea- 
tor:  a  aan  Pietro,  fatto  da  Cristo  uno  degli 
apoatoli  e  peacatori  di  nomini  (ofr.  ÌCatteo  iv 
12,  BCaroo  i  17,  Lnca  v  10).  —  64.  Ed  egU 
a  Imi  ecc.  Stazio  rìconoeoe  Virgilio,  non  por 
come  il  ano  maeatzo  nell'arto  della  poesia, 
ma  anche  come  quegli  che  lo  volse  alla  virt& 
(ofr.  w.  87  e  aegg.)  e  alla  religione  oriatia- 
na :  e  Danto  imaginando  questo  aeguiva  l'o- 
pinione assai  divulgate  nel  medioevo  che  il 
cantore  di  Enea  fosse  steto  uno  dd  precor- 
aori  dd  Bedentore.  —  prima  m'invlaatl  ecc. 
prima  tu  m' avviasti  all'  orto  della  poesia,  a 
bere  nella  fonte  pogasea  oh'  esce  dallo  grotte 


PURGATORIO  -  CANTO  XXH 


449 


verso  Parnaso  a  ber  nelle  sue  grotte, 
66        e  poi  appresso  Dìo  m'alluminasti 
Facesti  come  quei  che  va  di  notte, 
che  porta  il  lume  retro  e  sé  non  giova, 
69       ma  dopo  sé  £a  le  persone  dotte, 
quando  dicesti:  '  Secol  si  rinnova; 
toma  giustizia  e  primo  tempo  umano, 
72       e  progenie  discende  dal  del  nuova  '• 
Per  te  poeta  fui,  per  te  cristiano; 
ma  perché  veggi  me' ciò  eh*  io  disegno, 
75        a  colorare  stenderò  la  mano. 

Già  era  il  mondo  tutto  quanto  pregno 
della  vera  credenza,  seminata 
78       per  li  messaggi  dell'eterno  regno; 
e  la  parola  tua  sopra  toccata 
si  consonava  ai  nuovi  predicanti, 
81        ond'io  a  visitarli  presi  usata. 
Yennermi  poi  parendo  tanto  santi 
che,  quando  Domizian  li  perseguette, 


del  monte  Panuso;  a  poi,  dopo  Dio  prima 
caua  di  tatto,  mi  apristi  la  manta  alla  yera 
fede.  —  67.  Faeattl  aoc  Virgilio  inspirò  in 
altri  la  feda  cristiana,  ma  non  la  conobbe 
por  sé  (cfr.  Inf,  i  125)  ;  come  l'uomo,  che  va 
di  notte  precedendo  altri  col  lame,  non  illa> 
min*  la  yia  a  s6,  ma  a  qaelli  che  lo  segui- 
tano. La  similitadine  può  essere  stata  sag- 
g^ta  a  Dante  dall' osserTarione  personale 
dal  fiatto  ;  ma  è  già  in  an  antico  rimatore, 
Paolo  Zoppo  da  Castello  {Rwm  dei  poèti  ho- 
kgntai  del  eee,  zni,  Bologna,  1881,  p.  120)  : 
«  SI  corno  qaal  ohe  porta  la  lamera  La  notte, 
quando  passa  per  la  via,  Alluma  assai  più 
gente  de  la  spera  Gho  sé  medesmo  ohe  l' ha 
in  balia  »  :  del  resto  il  germe  di  essa  ò  nei 
Tersi  di  Ennio  riferiti  da  Cicerone,  De  off, 
I  16,  61;  cfr.  Moore,  I  296.  —  69.  dotte: 
detto  delle  persone,  cui  altri  illumina  la  via, 
mol  dire  istruite,  scorte,  non  ignare  della 
ria.  —  70.  f  ■andò  dieestl  eco.  Accenna  e 
traduce  liberamente  da  Virgilio,  Bue.  rr  4  : 
«  Ultima  Camaei  yenit  iam  carminis  aetas  ; 
Uagnus  ab  integro  saedorom  nasdtur  orde. 
Iam  redit  et  Virgo,  redeunt  Saturnia  regna; 
Iam  nera  progenies  ooelo  demittitur  alto  >  ; 
i  quali  versi,  oom'  ò  noto,  col  presagio  della 
nascita  di  un  iianciullo  che  avrebbe  rinnovato 
il  mondo  (Salonino  figlio  di  Asinio  Pollione, 
o,  secondo  altri,  il  nascituro  da  Livia  Dm- 
^lla,  moglie  di  Augusto),  fnrono  sino  dai 
primi  tempi  del  cristianesimo  interpretati  co- 
me un  annunzio  deUa  nàscita  del  Redentore: 
'  questa  interpretazione  appare  già  diifosa  nel 
IV  secolo  d.  C.  e  largamente  svolta  in  un'ol- 

Diirri 


locuzione  di  Costantino,  V  accennano  Lattan- 
zio {Die.  ineHt,  vn  21)  e  s.  Agostino  (De  ciò, 
(in'  X  27)  a  la  combatte  s.  GHrolamo  {EpisL 
Lm  ad  Bxulin.\  e  più  tardi  dòtte  origine  a 
leggende  religiose  di  conversioni  alla  fede 
cristiana  prodotte,  come  quella  di  Stazio, 
dalla  lettura  dei  versi  virgiliani:  cfr.  D.  Com« 
paretti,  Virg,  nel  medioeoOf  dt.  pp.  128  e  segg. 

—  71.  prlao  tempo  ecc.  per  Virgilio  ò  l'età 
dell'  oro,  il  tempo  del  regno  di  Saturno  (cfr. 
Inf,  jjT  96)  ;  per  Dante,  ò  lo  stato  dell'  in- 
nocenza, prima  del  peccato  di  Adamo  ed  Eva. 
-^  78.  Per  te  poeta  ecc.  :  riassume  oosf  ciò 
che  ha  detto  innaniJ,  riconoscendo  da  Virgin 
Ilo  la  propria  arte  e  la  propria  fede.  -»  74. 
ma  perché  ecc.  ma  afSnohó  tu  intenda  me- 
glio ciò  che  io  ho  accennato  della  mia  con- 
versione (diaeffno),  te  la  racconterò  pid  com- 
piutamente (eokfiire)  :  il  disegno  è  il  principio 
del  quadro,  il  colorare  g^  dà  compimento.  — 
76.  Già  era  ecc.  Già  per  il  mondo  era  lar- 
gamente diifnsa  la  fede  cristiana,  sparsavi 
dagli  apostoli,  allorché  io  intesi  come  i  tuoi 
versi  fossero  in  armonia  con  le  dottrine  dei 
predicatori  della  nuova  religione,  ond'io, 
grande  ammiratore  d'ogni  tua  parola,  inco- 
minciai a  praticare  coi  cristianL  —  78.  mas- 
saggi: cfr.  Purg,  V  28.  —  79.  la  parolai 
cfr.  Inf.  II  4S.  —  82.  Tennerad  ecc.  Prati- 
cando coi  cristiani  li  conobbi  essere  di  cosi 
santa  vita  che,  quando  Domiziano  li  perse- 
guitò, accompagnai  i  loro  pianti  con  le  mie 
lagrime,  partecipai  vivamente  al  loro  dolore. 

—  83.  Domizian  ecc.  T.  Flavio  Domiziano, 
imperatore  dall' 81  al  96  d.   C  ,  ordinò,  se- 

29 


450 


DIVINA  COMMEDIA 


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93 


96 


senza  mio  lagrimar  non  fùr  lor  pianti; 

e  mentre  che  di  là  per  me  si  stette, 
io  gli  sovvenni,  e  lor  dritti  costumi 
fèr  dispregiare  a  me  tutte  altre  sètte: 

e,  pria  ch'io  conducessi  i  greci  ai  fiumi 
di  Tebe  poetando,  ebb'io  battesmo, 
ma  per  paura  chiuso  Cristian  fdmi 

lungamente  mostrando  paganesmo; 
e  questa  tepidezza  il  quarto  cerchio 
cerchila:  mi  fé' più  ch'ai  quarto  centesmo. 

Tu  dunque,  che  levato  hai  il  coperchio 
che  m'ascondeva  quanto  bene  io  dico, 
mentre  che  del  salire  avem  soperchio 

dimmi  doVò  Terenzio  nostro  antico; 
Cecilie,  Plauto  e  Varrò,  se  lo  sai, 


condo  gli  soiittori  cristiani  (EoBobio,  Hist, 
eeoUt.  m  18|  3;  Tertalliftno,  ApoL  v),  ana 
flerissima  penecnzione  contro  i  segaaci  del 
▼angelo  ;  ma  la  crìtica  moderna  ha  rìoono- 
■dato  cho  nulla  di  certo  si  sa  intomo  a  talo 
persecozione.  —  85.  e  ateatre  ecc.  e  finché 
Tl88l  aiatai  sempre,  con  elemosine  e  d'altre 
guise,  i  cristiani,  e  la  santità  doUa  loro  vita 
mi  fece  abbandonare  e  dispretzare  qualunque 
altra  credenza  e  opinione.  —  88.  e  pria  eoe 
E  prima  ancora  ch'io  compissi  il  poema  della 
Tebaid$t  nel  quale  (lib.  n)  descrìTo  in  reni 
come  i  greci  Tenuti  in  aiuto  di  Polinice  sotto 
la  guida  di  Adrasto  giungessero  ai  due  fiumi 
di  Tebe,  l' Ismeno  e  l' Asopo  {ttt.  Purg,  xvui 
91),  ricevetti  il  battesimo.  —  90.  ma  per 
paura  ecc.  ma  per  timoxo  delle  persecuzioni 
rimasi  lungamente  cristiano  occulto,  per  molto 
tempo  non  dimostrai  apertamente  la  mia  nuo- 
va fedo,  facendo  vista  d' esser  sempre  pagano. 
—  91.  loagameate  :  si  pud  riferire  al  fui 
ehktao  orisHanOf  che  ò  ptd  logico  perché  d 
richiama  l' idea  degli  anni  trsscoisi  dalla  con- 
versione al  pentimento  per  averla  tenuta  na- 
scosta ;  oppure  al  moeirando  paganeimot  i^ol 
qual  caso  sarebbe  poco  esatto,  perdio  Stazio 
era  esteriormente  pagano  anche  prima  della 
conversione.  —  93.  e  qaesta  tepide na  ecc. 
e  quesf  aoddia,  durata  lungamente  noli'  ani- 
mo mio,  mi  tenne  poi  per  oltre  quattrocento 
anni  nd  quarto  cerchio  a  espiare  e  1*  amor 
del  bene,  scemo  di  suo  dover  »  (Purg.  xvn 
85).  —  93.  eereMar  :  girare  intomo  (cfr. 
Purg,  Tsv  1);  perché  iH;>punto  gli  acddion 
corrono  sempre  in  giro  attomo  al  monte  sa- 
cro iPtfrg-  3cvni  91  e  segg.).  —  94.  Ta  d«»- 
qie  eco.  Narrata  la  sua  conversione.  Stazio 
richiede  a  Virgilio  ove  siano  alcuni  dd  prin- 
dpali  poeti  latini  ;  e  Virgilio  gli  risponde 
largamente,  enumerando  gli  scrittori  latini  e 
g;ied  suoi  compagni  dd  limbo,  •  alcuni  dd 


personaggi  dei  poemi  del  suo  ammiratore: 
nella  quale  risposta  ò  notevole  che  Dante 
non  faccia  ricordare  a  Virgilio  pur  uno  di 
quelli  nominati  già  nell'^.  iv  88-90,  121- 
144,  salvo  Omero  indicato  qui  per  una  poii- 
frad.  —  che  levato  eoe  che  mi  hai  levato 
dagli  occhi  il  velo  che  mi  nascondeva  un 
bene  cosi  grande,  come  è  la  verità  della  fede 
cristiana.  —  96.  meatre  che  eoe.  prima  ohe 
arriviamo  alla  cima  del  monte,  dod  finché 
dura  il  tempo  che  d  ò  concesso  di  passare 
indeme.  —  97.  diami  eoe.  In  questo  denco 
di  scrittori  dasdd  Dante  raooolse  rimem- 
branze dd  propri  studt,  quad  a  compimento 
di  ciò  che  aveva  detto  nell'  Inf.  iv  88  •  segg. 
I  primi  tre,  Terenzio,  Cecilie  e  Flauto,  sono 
insieme  menzionati  da  Orazio,  S^iriaL  n,  1, 
58-69;  ivi  pure  6  ricordato,  v.  247,  il  poeta 
Vario  (cfr.  la  nota  al  v.  98).  —  Tereaslo  : 
Publio  Terenzio  Aite,  nato  a  Cartagine  nd 
192  e  morto  in  Grecia  nel  159  a.  C,  fti  uno  dd 
prindpali  scrittori  latini  di  commedie  e  ami- 
dsdmo  di  Sdpione  Africano  e  di  Lelio  :  le 
commedie  ch'egli  d  lasdò  sono  sei,  VAndriOt 
gli  Eumiekif  VHtautonHmonmmotj  gii  AéU' 
pMj  VEeoyra  e  il  Phormio,  Stazio  chiama  Te- 
renzio nostro  anUeOf  per  dirlo  vecchio  poeta 
nella  nostra  lingua  latina  :  e  veramente  ri- 
spetto a  Stazio,  Terenzio  vissuto  più  di  due 
secoli  innanzi,  ere  già  antico.  —  98.  Geel- 
Ho:  CeciHo  Stazio  milaneee,  poeta  dramma- 
tico, un  po'  più  veodìio  di  Terenzio,  m<»i 
circa  l'anno  168  a.  C.  ;  ddle  sue  trenta  com- 
medie nessuna  d  ò  rimasta,  ma  Dante  può 
aveme  avuto  notizia  da  A.  Qdlio,  N.  A,, 
IV  20,  18.  —  PiMto:  M.  Aodo  Piante,  il 
famoso  poeta  usto  a  Sarsina  nell'  Umbria  nd 
254  e  morto  nel  184  a.  C,  del  quale  d  in- 
stano venti  commedie,  che  Dante  certamente 
non  lesse,  perché  Airone  trovate  sdo  nd  so- 
oolo  XV.  —  Varrò:  M.  Terenzio  Vanone, 


PURGATORIO  -  CANTO  XXH 


461 


09        dimmi  se  son  dannati,  ed  in  qual  vico  ». 
«  Costoro  e  Persio  ed  io  e  altri  assai, 
rispose  il  duca  mio,  siam  con  quel  greco 
102        ohe  le  muse  lattar  più  oh' altro  mai, 
nel  primo  cinghio  del  carcere  cieco: 
spesse  fiate  ragioniam  del  monte, 
105        che  sempre  ha  le  nutrici  nostre  seco. 
Euripide  v*ò  nosco  ed  Antifonte, 
Simonide,  Agatone  ed  altri  piùe 
108       gieci,  ohe  già  di  lauro  om&r  la  fronte. 
Quivi  si  veggion  delle  genti  tue 
Antigone,  Deifile  ed  Argia, 
111       ed  Ismene  si  trista  come  fue. 


nato  a  Bietì  nel  116  •  morto  nel  27  a.  d^ 
autore  di  molteplià  opere  latine  di  varia  eru- 
dizione, giudicato  dagli  antichi  come  il  più 
dodo  tza  i  romani  (c£r.  Gioerone,  Bndus  xv 
60;  Quintiliano,  x  i,  96;  Lattanzio,  Inat.  i 
6;  a.  Agostino,  D$  oh,  d§i  yi  2).  Alcuni  po- 
chi intexpieti  ritengono  che  Dante  abbia  vo- 
lato xìooràare  F.  Terenzio  Yarrone  Atacino, 
poeta  dal  i  secolo  a.  C.  :  e  alooni  altri  leg- 
gendo Vario  vi  trovano  il  nome  del  poeta  L. 
Yaiio,  amico  di  Orazio  e  di  Virgilio  (ofr.  Ora- 
sio,  Anpod.  63:  e Qoid  antom  OaecUio  Pian- 
toqne  daUt  Bomanns,  ademptom  Virgilio  Va- 
lioqne?»).  —  99.  se  MB  dannati  eoo.  se 
sono  dannati  e  in  qnal  cerchio.  —  100.  Per* 
sie:  Aulo  Persio  Flaooo,  nato  a  Volterra 
nel  34  d.  C.  e  morto  in  Boma  nel  62,  celebre 
come  antere  di  sei  satire  scritte  secondo  le 
dottrine  deg^i  sto^d  e  in  nno  stile  vigoroso 
e  doro  :  molto  rinomato  sino  dai  tempi  snoi 
(ofr.  Quintiliano  z  1),  fti  conosciate  anche 
nelle  scoole  medioevali,  che  molto  si  com- 
piaoqnsvo  del  chioso  parlare  dei  soci  versi. 

—  101.  qmél  greco  eco.  Omero,  poeta  sovra- 
no, pcediletto  £fca  i  discepoli  delle  Muse  (cfir. 
Jn/:  IV  86;.  ^  106.  nel  primo  cinghio  ecc. 
nel  primo  cerchio  dell'  Inferno,  nel  limbo.  — 

—  eareere  eieee  i  cfr.  £*f,  x  68.  —  104. 
spease  flato  eco.  spesso  rsgioniamo  insieme 
dal  monte  Parnaso,  ove  dimorano  lo  nove 
Uose,  natrici  dei  poeti,  doò  ragioniamo  del- 
l'arte nostra:  ofr.  Af,  iv  lOA.  — 106.  Euri- 
pide :  il  terzo  dei  tre  grandi  tragici  greci, 
nato  a  Salamina  nel  480,  vissuto  qnaai  sem- 
pre in  Atene  e  morto  alla  corte  di  Archelao 
re  di  Macedonia  nel  406  a.  0.;  fa  autore  di 
molte  tragedie,  delle  quali  sono  pervenute 
sino  a  noi  solamente  diciotto,  oltre  un  gran 
aameio  di  finonmenti  delle  altre.  Dante  non 
eonobbe  direttamente  le  opere  di  Euripide  e 
degli  altri  poeti  gred  da  lui  ricordati,  ma 
n'  ebbe  notizia  dagli  scritti  di  Aristotele,  di 
Gleasene^  di  Quintiliano  e  di  ICacrobio.  — 


Anttfonte:  Antifonte,  poeta  tragico  ateniese 
ricordato  con  lode  da  Aristotele  e  da  Plu- 
tarco, autore  di  tre  tragedie  ora  perdute: 
forse  Dan  ne  faceva  un  solo  uomo  con  An- 
tlfonte  Bamnnsio,  il  primo  dei  dieci  oratori, 
ricordato  da  Quintiliano  in  1,  11.  Altri  leg- 
gono Aftaarwntef  che  d  il  famoso  lirico  na- 
tivo di  Teo  e  fiorito  intomo  al  630  a.  0.  — 
107.  Simonide:  Simonide  di  Geo,  nato  nel 
666,  vissuto  prima  in  Atene  e  in  Tessaglia 
e  poi  alla  corte  di  Gerone  signore  di  Sira- 
cusa, ove  mori  nel  469,  fu  poeta  lirico,  fa- 
moso specialmente  per  i  carmi  col  quali  ce- 
lebrò gli  eroi  delle  Termopili  e  di  Maratona. 
—  Agatone:  poeta  tragico  ateniese  nato  nel 
448  e  morto  nel  400  circa  a.  C,  autore  di 
drammi  perduti,  tra  i  quali  Aristotele  loda 
singolarmente  il  Fion,  —  ed  altri  pide  ecc. 
e  molti  altri  greci,  i  quali  si  cinsero  già  del 
lanro  apollineo,  furono  poeti.  —  109.  delle 
genti  tue:  del  personaggi,  che  tu  cantasti 
nei  tuoi  poemL  —  110.  Antigene  t  figlia  di 
Edipo  e  di  Qiooasta,  accompagnò  il  padre 
nell'Attica  facendogli  compagnia  sino  alla 
morte  di  lui,  poi  ritornò  a  Tebe,  ove  contro 
il  divieto  del  tiranno  Creonte  diede  sepoltura 
con  la  sorella  Ismene  al  cadavere  del  fratello 
Polinice  e  fu  perolò  chiusa  in  una  caverna, 
in  cui  mori  disperatamente  :  ofr.  Stazio,  Teb. 
xn  849  e  segg.  —  Delflle  :  figlia  di  Adrasto 
re  di  Argo,  moglie  di  Tideo,  uno  dei  sette 
re  che  assediarono  Tebe  (cfr.  Inf.  xiv  68), 
e  madre  di  Diomede.  —  Argia:  sorella  di 
Deifile  e  sposa  di  Polinice,  fìunosa  per  aver 
posseduto  la  collana  infausta  dell'Armonia, 
<  lo  sventurato  adornamento  »  già  ricordato 
da  Dante  in  Purg.  xn  61  :  di  lei,  cfr.  Stazio, 
T^.  XIII  111  e  segg.  —  IH.  Ismene  :  figlia 
di  Edipo  e  di  Giocasta,  fti  promessa  sposa  a 
Girreo,  che  fti  ucciso  prima  che  si  compis- 
sero le  nozze,  vide  tutte  le  sventure  che  op- 
pressero la  sua  fkmiglia  e  finalmente  fu  con- 
dannata a  morte  con  la  sorella  Antigone  dal 


452 


DIVINA  COMMEDIA 


Yedesi  quella  che  mostrò  Langla: 
èwi  la  figlia  di  Tìresìa  e  Teti, 
114       e  con  le  suore  sue  Deidamia  ». 
Tacevansi  ambedue  già  li  poeti, 
di  nuovo  attenti  a  riguardare  intomo, 
117        liberi  dal  salire  e  dai  pareti; 

e  già  le  quattro  ancelle  eran  del  giorno 
rimase  a  retro,  e  la  quinta  era  al  temo, 
120       drizzando  pure  in  su  l'ardente  corno; 

quando  il  mio  duca:  «  Io  credo  eh* allo  estremo 
le  destre  spalle  volger  ci  convegna, 
123        girando  il  monte  come  ùat  solemo  >. 
Cosi  l'usanza  fu  li  nostra  insegna, 
e  prendemmo  la  via  con  men  sospetto 
126       per  l'assentir  di  quell'anima  degna. 
Elli  givan  dinanzi,  ed  io  soletto 
di  retro,  ed  ascoltava  i  lor  sermoni 


timnno  Creonte.  —  112.  qaelU  che  MOttrò 
eco.  Iflifile  (cfr.  Jhf,  xrm  9Ò\  che,  essendo 
schiava  del  re  Licoigo,  dopo  la  sua  foga 
dall'  isola  di  Lemno,  indicò  ai  sette  eroi  che 
gneiieggiarono  contoo  Tebe  la  fonte  Langla 
presso  Nemea  (cflr.  Purg.  xxvi  94  e  segg.): 
si  veda  Stazio,  Teb.  lib.  v,  ore  e  Hypsipyles 
lactoB,  narratqne  dolores  >.  —  118.  la  flgUa 
di  Tirtslat  Manto,  la  famosa  indovina,  è 
collocata  da  Dante  nella  quarta  bolgia  (Jhf. 
zx  62  e  segg.),  mentre  qui  Virgilio  pare  ri- 
cc^darla  come  dimorante  nel  limbo  :  la  oon- 
tradizione  tu.  già  rilevata  da  Benv.,  il  quale 
anche  osservò  ohe  Dante  può  avere  intoso 
di  dire  genericamente  che  questi  personaggi 
di  Stazio,  e  poro  anche  Manto,  sono  tutti 
nell'  inferno,  alcuni  nel  limbo,  altri  in  altri 
cerchi  ;  ma  può  anche  essere  il  caso  di  una 
pura  0  semplice  dimenticanza.  Quanto  all'in- 
dovina  Manto  si  cfr.  Stazio,  Teb.  iv  i63  e 
segg.,  vn  768  e  segg.,  x  689  e  segg.  —  Tetis 
la  dea  del  mare,  moglie  di  Peleo  e  madre 
del  grande  Achille;  cfr.  AeMlL  i  26  e  segg. 

—  114.  Deldamfai  figlia  di  Licomede  re  di 
Saro,  della  quale  Achille  s' innamorò  quando 
era  nascosto  alla  oorte  di  quel  re:  Stazio, 
Aehill,  1 296:  e  effnlget  tantum  regina  decori 
Deidamia  chori ,  pulchrisque  sororibus  obstat  > . 

—  116.  TacATaBsl  ecc.  I  poeti  pervengono 
sul  ripiano  del  sesto  cerchio  e  perdo  inter- 
rompono la  loro  conversazione  per  osservare 
all'  intomo  e  cercare  la  scala  onde  si  sale  al 
cerchio  superiore.  —  117.  dal  salire  eoo. 
compiuta  la  salita  si  trovavano  ormai  all'a- 
perto, non  più  chiusi  tra  le  sponde  del  ma- 
cigno, nel  quale  era  incavata  la  scala.  — 
pareti!  forma  maschile  insolita.  —  118.  e 
già  le  qnaitre  ecc.  Le  ore,  già  imagìnate 


dai  poeti  antichi  come  ministre  del  sole  del 
quale  guidavano  i  cavalli  (cft*.  Ovidio ,  MeL 
u  118  e  segg.),  sono  dette  da  Dante,  qui 
e  in  Purg,  zn  81,  ancelle  del  giorno,  per- 
ché questo  nasce  e  muore  col  sole  :  rimaste 
addietro  le  quattro  prime  ancelle  e  venuta 
al  governo  del  carro  solare  la  quinta,  ecmno 
dunque  passate  le  prime  quattro  ore  e  inoo- 
mindata  la  quinta  dal  sorgere  del  sole,  allor- 
ché i  poeti  giunsero  nel  sesto  cerchio.  Era 
già  la  mattina  del  12  aprile,  quando  Dante 
e  Virgilio  incominciarono  a  salire  vecM>  il 
quinto  cerchio  (cfir.  Purg,  znc  87):  nel  per- 
correre dunque  questo  cerchio,  conversando 
con  gli  avari,  e  nel  salire  verso  il  seeto  in 
compagnia  e  in  colloquio  con  Stazio,  impie- 
garono da  drca  quattro  ore  :  cfr.  Moore,  p. 
118.  —  119.  tento t  timone;  latinimo  ohe 
ricorre  anche  in  Jhtrg.  imi  49,  140,  Air. 
zm  9,  zzzi  124.  —  120.  drlssaBdo  eoo.  ae 
la  quinta  ora  volgeva  in  tu  forimi»  eornOf 
la  punta  del  timone,  non  era  ancora  giunta 
al  suo  mezzo,  dunque  erano  drca  quattro  ore 
e  mezzo  di  sole,  cioè  le  undid  antimeridiane, 
ora  ardénU  perché  prossima  al  meoogiomo. 
— 121.  ek'allo  eetreme  eoe  ohe  d  convenga 
prendere  a  destra,  tenendo  le  destre  spalle 
verso  l'Orio  esteriore  del  cerchio.  —  123. 
come  far  eoe  :  i  poeti  visitatori  del  purga- 
torio sono  proceduti  sempre,  come  sappiamo 
(cfr.  IStrg.  ZI  49,  zm  18,  nz  81),  dalla  si- 
nistra verso  la  deetra  :  ood  ohe  qui  ViigìUo 
può  prendere  questa  direzione,  demo  di  non 
fallire.  —  124.  Usegnat  cfr.  Purg,  m  lOfi. 
—  126.  quell'asina  degnai  Stazio.  — 127. 
EUl  gifan  ecc.  Virgilio  e  Stado  oammina- 
vano  avanti,  conversando  :  Dante,  da  mode- 
sto discepolo,  li  seguiva  ascoltando  i  loro  di- 


PURGATORIO  -  CANTO  XXH 


453 


129        eh' a  poetar  mi  davano  intelletto. 
Ma  tosto  rappe  le  dolci  ragioni 
un  arbor  che  trovammo  in  mezza  strada, 
132       con  pomi  ad  odorar  soavi  e  buoni; 
e  come  abete  in  alto  si  digrada 
di  ramo  in  ramo,  cosi  quello  in  giuso 
135        cred'io  perché  persona  su  non  vada. 

Dal  lato,  onde  il  cammin  nostro  era  chiuso, 
cadea  dall'alta  roccia  un  liquor  chiaro 
138       e  si  spandeva  per  le  foglie  susa 
Li  due  poeti  all' arbor  e' appressare; 
ed  una  voce  per  entro  le  fronde 
141       gridò  :  «  Di  questo  cibo  avrete  caro  >. 
Poi  disse:  «  Più  pensava  Maria,  onde 
fosser  le  nozze  orrevoli  ed  intere, 
144       ch'alia  sua  bocca,  ch'or  per  voi  risponde; 
e  le  romane  antiche,  per  lor  berCi 
contente  fiiron  d'acqua,  e  Daniello 


•coni,  dai  quali  traeym  ntili  ammaeetramentl 
al  poetare.  —  130.  Ma  tette  eco.  A  inter- 
rompere i  ragionamenti  dei  poeti  apparre 
loro  nel  mezzo  della  via  un  albero  oarioo  di 
ftotti  buoni  e  odorosi.  Qoeef  albero  è  da  con* 
fiderare  in  relazione  oon  quello  che  i  poeti 
troveranno  all'osata  di  qoesto  oerchio  (cfr. 
iVy.  xziT  108  e  segg.),  nato,  secondo  che 
dioe  Dante  stesso,  dall'albero  della  scienza 
del  bene  e  del  male  :  ora,  secondo  la  bibbia 
(Om,  n  9),  e  il  Signore  Iddio  fece  germogliar 
dalla  terra  ogni  sorte  d' alberi  piaoeToU  a  ri- 
goardare,  e  booni  a  mangiare;  e  Valb&ro  della 
viia,  m  mtsuco  del  giardino]  •  l'albero  della 
conoscenza  del  bene  e  del  male  >.  Però,  se 
l'albero  posto  all'nscita  del  sesto  cerchio 
derira  da  quello  della  scienza  del  bene  e  del 
male,  questo  collocato  Tidno  all'  ingresso  di 
esso  cerchio,  in  mezzo  alla  strada,  sarà  deri- 
rato  dall'  albero  della  vita.  —  ISS.  e  eoms 
aWte  eoe  come  l'abete  presenta  i  suoi  rami 
più  sottili  di  mano  in  mano  che  dal  tronco 
salgono  Terso  la  dma,  cosi  V  albezo  del  sesto 
cerchio  li  presenta  più  sottili  via  via  che 
dalla  dma  scendono  Terso  il  tronco  :  ò  un 
albero,  insomma,  come  gli  altri,  né  ha  le  ra- 
dici in  cielo  e  la  dma  verso  la  terra  come 
vogliono  alcuni  interpreti  ;  ma  ha  di  partico- 
lare che  la  psarte  più  grossa  dei  rami  ò  sem- 
pre Terso  la  dma  e  la  parte  più  sottile  Terso 
il  tronco.  —  185.  ered*io  perché  ecc.  forse 
affinchè  nessun  nomo  possa  salir  sopra  a  co- 
gliere i  fruttL  —  186.  Dal  Uto  ecc.  Dalla 
parte  intema,  oto  la  costa  del  monte  limi- 
tsva  la  nostra  Tia,  cadoTa  dall'  alto  della  roo- 
da  uà,'  acqua  limpidissima,  la  quale  si  river- 


saTa  sopra  le  foglie  dell'  albero.  —  188.  si 
spaadeva  eoo.  d  spargoTa  sulle  foglie,  le 
quali  tutta  l' assorblTano  senza  lasciarne  ca- 
dere a  terra  puro  una  goccia.  —  140.  ed  aaa 
vece  ecc.  Dall'interno  dell'albero  muoTe  una 
Toce,  forse  di  angelo,  ma  non  dell'angelo 
custode  di  questo  cerchio  (cf^.  I\arg,  xxrr 
188  e  segg.),  la  quale  ammonisce  le  anime, 
che  in  penitenza  della  colpa  della  gola  aTranno 
oaro  di  questo  dbo,  carestia  o  mancanza  dd 
cibo  dell'albero  della  Tita,  doò  della  beati- 
tudine, e  poi  grida  esempi  di  temperanza.  — 
142.  Pid  pensava  ecc.  Il  primo  esempio  di 
temperanza  ò  quello  offèrto  da  Maria  Vergi- 
ne, la  quale  alle  nozze  di  Cana  avverti  Gesù 
che  mancava  il  vino  al  convito,  non  già  per 
sodisfare  alla  propria  sete,  ma  perché  le  nozze 
fossero  onorevoli  e  compite  (Qiovanni,  ii  11): 
ctr.  Purg.  xni  28  e  segg.  ove  lo  stesso  fatto 
ò  recato  come  esempio  di  carità.  — 144.  ch'or 
per  voi  eco.  la  quale  Vergine  Maria  ò  avvo- 
cata di  vd  peccatori  penitenti,  presso  Dio. 
—  146.  e  le  ronaae  ecc.  Il  secondo  esempio 
ò  quello  delle  antiche  donne  romane,  che  non 
usarono  per  sobrietà  altra  bevanda  che  l'ac- 
qua ;  cAr.  Valerio  Massimo  n  1,  8  :  e  Vini 
usus  olim  romanis  foeminis  ignotus  foit  >, 
passo  dt.  da  Tommaso  d'Aquino,  Swmma^ 
p.  u  2m,  qo.  czux,  art.  4,  ove  ferma  cho 
la  sobrietà  d  conviene  massimamente  alle 
donne  e  d  giovini.  —  146.  e  Daniello  ecc. 
11  terzo  esempio  ò  quello  del  profeta  Daniele, 
il  quale  rilutò  ed  tro  compagni  di  mangiaro 
0  bere  alla  mensa  del  re  Nabucodònosor  per 
non  esseme  contaminato,  e  ne  fu  compen- 
sato da  Dio  Cd  dono  della  sapienza  (ofr.  Da- 


454 


DIVINA  COMMEDU 


147 


150 


154 


dispregiò  cibo  ed  acquistò  sapere. 
Lo  secol  primo,  che  quant'òr  fu  bello, 

fé' saporose  con  fame  le  ghiande, 

e  nettare  con  sete  ogni  ruscello. 
Mèle  e  locuste  furon  le  vivande, 

ohe  nudriro  il  Batista  nel  diserto; 

per  ch'egli  è  glorioso  e  tanto  grande 
quanto  per  l'evangelio  v'è  aperto  ». 


niele  i  6  e  segg.).  —  148.  Lo  Mool  eoo.  H 

quarto  esemplo  ò  quello  degli  aomini  yissati 
nella  pxima  età  del  mondo,  quella  dell'  oro 
(cfr.  Inf,  ziT  106,  Purg.  zzmx  1S8),  ai  qnaU 
la  fame  fece  parere  saporiti  i  pid  umili  frutti 
doUa  terra,  e  la  sete  fé'  parere  soave  l'acqua 
dei  msoeUi;  tSt\  Ovidio,  MéL  i  lOS  esegg.: 
e  Contentique  cibis  nullo  cogente  creatis,  Ar- 
buteos  fetus  montanaque  ftaga  legebant  Cor- 
naque  et  in  duris  haerentia  mora  rubetis  Et 
quae  doddérant  paiola  lovis  arbore  ^(ondos.... 
Flumina  iam  laotis,  iam  Hwnina  ntetaria  ibant, 
Flayaque  de  viridi  stillabant  ilice  molla  >.  ~ 


151.  Mtie  e  locaste  eoo.  H  quinto  esempio 
ò  quello  di  san  Giovanni  Battista,  che  nel 
deserto  si  cibava  di  locuste  o  cavallette  e  di 
miele  silvestre  (ofr.  Karoo  i  6,  ìfatteo  m  4). 
—  154.  fuanto  eoo,  quanto  vi  si  dimostra 
per  il  vajigelo  ;  nel  quale  si  legge  (Matteo  n 
11)  :  «  Io  vi  dico  in  verità  che,  fra  quelli 
che  son  nati  di  d<mne,  non  sorse  giammai 
alcuno  maggiore  di  Giovanni  Battista  »  :  e 
ancora  (Luca  vn  28)  :  e  Io  vi  dico  che,  fra 
coloro  die  son  nati  di  donna,  non  vi  ò  pro- 
feta alcuno  maggior  di  Giovanni  Battista  >. 


CANTO  xxm 

Nel  sesto  cerchio  i  tre  poeti  incontrano  1  golosi  ridotti  per  penitenza  a 
un^orribile  magrezza  :  tra  essi  Dante  riconosce  il  suo  amico  Forese  Donati, 
il  quale  gli  parla  di  sé  e  dei  compagni  e  prorompe  in  una  violenta  invet- 
tiva contro  gli  sfacciati  costami  delle  donne  fiorentine  [18  aprile,  dalle  on- 
dici antimeridiane  al  mezzodì]. 

Mentre  che  gli  occhi  per  la  fronda  verde 
ficcava  io  cosi,  come  far  suole 
3        chi  retro  agli  uccellin  sua  vita  perde, 
lo  più  che  padre  mi  dicea:  «Figliuole, 
Vienne  oramai,  che  il  tempo  che  e*  è  imposto 
6        più  utilmente  compartir  si  vuole  ». 
Io  volsi  il  viso  e  il  passo  non  men  tosto 


XXTTI  1.  Mentre  eco.  Dante,  all'  udire 
la  voce  misteriosa  che  usciva  dall'  albero,  si 
era  fermato  a  guardare  attentamonte,  per  cu- 
riosità di  scoprile  chi  fosse  che  celebrava  gli 
esempi  di  tolleranza  (cfr.  Purg,  xxxn  140  e 
segg.);  e  Virgilio  ora  interviene  opportuna- 
mente a  distoglierlo  da  tale  contemplazione. 
—  2.  come  far  ecc.  come  suol  fare  il  cacoiar 
tore,  che  perde  il  suo  tempo  cercando  gli  uo- 
ceUi:  eia  vita  dell'uccellatore  (osserva  il 
'  Buti)  non  ò  utile  a  nulla,  se  non  a  la  gola; 
e  però  meritevilmente  la  riprende  qui  >.  — 
4.  lo  pld  che  eco.  Virgilio  chiamato  più  volte 
da  Dante  col  nome  di  padre  (£i/.  vm  110, 


Purg.  XV  ^,  124,  xvn  82,  xvm  7,  18,  xxv 
17,  xxvn  62,  e  in  questo  canto  v.  13X  è  qoi 
detto  per  maggiore  dimostrazione  d'amore  più 
ehè  padre,  —  Flgllaole  t  forma  di  vocativo, 
foggiata  sul  lat.  fUiok;  l'esempio  del  vocativo 
non  ò  raro  nelle  nostra  lingua  antioa  (cfr. 
Parodi,  BuU.  HI  120).  —  6.  U  teMpo  eoe.  il 
tempo  assegnato  al  tuo  viaggio  deve  essere 
compartito  più  utilmente  :  cfr.  I\arg,  m  78. 
—  7.  le  volsi  eoo.  Dante,  aeatendosi  ood 
richiamare  da  Virgilio,  rivolse  subito  gli  o^ 
chi  dall'  albero  ai  suoi  compagni  e  s' incam- 
minò dietro  ai  due  poeti,  «he  paxiavano  di 
cose  tanto  piacevoli  per  lui  da  non  fiugli  pa- 


PUBGATOBIO  -  CANTO  XXIII 


455 


.appresso  ai  savi,  che  parlayan  sie 
9       che  l'andar  mi  feusean  di  nullo  costo. 
Ed  ecco  piangere  e  cantar  s*udie 
<  Labia  tnea  Domine  »,  per  modo 
12       tal  che  diletto  e  doglia  parturle. 

«  O  dolce  padre,  che  è  quel  eh'  i'  odo?  » 
comincia' io;  ed  egli:  «Ombre  che  vanno 
15       forse  di  lor  dover  solvendo  il  nodo  >. 
Si  come  i  peregrin  pensosi  tanno, 
giugnendo  per  cammln  gente  non  nota, 
18       che  si  volgono  ad  essa  e  non  ristanno; 
cosi  di  retro  a  noi,  più  tosto  mota, 
venendo  e  trapassando,  ci  ammirava 
21        d'anime  turba  tacita  e  devota. 

Negli  occhi  era  ciascuna  oscura  e  cava, 
pallida  nella  faccia,  e  tanto  scema 
21        che  dall'  ossa  la  pelle  s' informava. 
Non  credo  che  cosi  a  buccia  strema 
Eresitene  fosse  fatto  secco. 


x«re  granoso  il  cammino  :  ofir.  Fitrg.  zzn  127. 

—  8.  MTl:  poeti;  ofr.  Inf.  rr  110.  —  10.  Ed 
fl6M  90C  Sono  le  anime  dei  golosi,  die  in 
quatte  ccroldo  piangono  per  dimostrare  la 
contrizione  del  loro  peccato  e  cantano,  inro- 
cando  1»  graiia  divina,  le  parole  del  Salmo  u, 
16  :  «  Signore,  aprimi  le  labbra  ;  e  la  mia 
bocca  racconterà  la  tna  lode  >.  Il  canto,  se- 
condo Il  Boti,  signifloa  e  lo  rìcognoedmento 
de  la  gra^  ohe  aveano  ricevuta  da  Dio,  che 
del  loro  peccato  s'erano  pentiti  »  ;  secondo  il 
Land.  Inrece  eia  sparanxa  di  poterlo  pnigare, 
et  poxgatolo  andare  alla  salate  >.  ~  12.  di- 
UUm  eco.  diletto,  il  canto  di  speranza  e  di 
lode  ;  dolore,  il  pianto  di  penitenza  che  a 
qoel  canto  si  conginngera.  —  13.  0  delee 
ecc.  :  sitaaiione  e  parole  molto  simili,  come 
ayy ottono  I  commentatori,  a  qnelle  del  I\trg. 
xn  22-34.  — 16.  forse  di  lor  eco.  purifican- 
dosi ddla  loro  colpa  con  quella  penitenza, 
che  case  devono  alla  divina  giustizia.  —  16. 
m  COMO  i  peregrU  ecc.  Yentori  217  :  e  Bella 
di  semplicità  e  naturalezza  d  la  similitudine, 
in  cui  non  ò  paiola  da  sggiungere  o  togliere, 
tutte  accortamente  scelte  e  disposte  a  dipin- 
gere U  reio».  —  17.  glagnsnde  eoe  allor- 
dk6  p^  via  raggiungono  gente  sconosciuta. 

—  19.  eosf  di  retro  eoo.  cosi  una  schiera 
di  anime  allensioee  e  devote,  venendo  dietro 
a  noi  mossa  pid  Velocemente,  con  maggiore 
velocità  déUa  nostra,  e  trapassando,  passando 
imanzi  a  noi,  ci  guardava  meravigliata.  — 
21.  taelta  e  devota:  primo  il  Veli,  rilevò  l'ap- 
parente oontiadizione  tra  questo  verso  e  i 
precedenti,  ove  Dante  dice  che  le  anime  dei 


golosi  cantavano  e  piangevano,  e  osservò, 
seguito  dal  Dan.,  dal  Biag.,  dal  Tomm.,  che 
queste  anime  cantando  abitualmente  sospen« 
dono  qui  il  loro  canto  per  osservare  1  tre  poeti, 
n  Lomb.  invece,  seguito  dal  Ces.,  dal  Gesta, 
dal  Bianchi,  dallo  Scart  e  da  altri  molti,  ri- 
chiamò a  questo  passo  i  w.  67-69  di  questo 
canto  e  i  w.  106-108  del  canto  seguente, 
cercando  di  dimostrare  che  le  anime  dei  golosi 
piangono  e  cantano  solamente  quando  sono 
intomo  ai  due  alberi  del  loro  cerchio.  Pare  por 
altro  che  dallo  parole  di  IVnese  (v.  64),  e  està 
gente  che  piangendo  canta  > ,  si  possa  ricavare 
che  il  canto  e  il  pianto  dei  golosi  sia  conti- 
nuo, in  tutti  i  punti  del  cerchio.  —  22.  Negli 
occhi  eco.  Gli  occhi  dei  golosi  erano  oosf  in- 
fossati ohe  avevano  perduto  il  loro  splendore; 
i  volti  pallidi,  o  amunti;  le  persone,  tanto 
scarne  che  la  pelle  prendeva  la  forma  delle 
ossa  su  cui  si  stendeva.  Si  ctt,  questa  descri- 
zione con  quella  che  Ovidio  fa  dalla  fame 
(Met,  vili  808)  :  e  Hirtus  erat  crinis,  ectva 
JMmina,  pallor  in  or$y  Labra  incana  sita,  sca- 
brae  rubigine  faùces,  Dura  cutis,  per  quam 
speotari  viscera  possent:  Ossa  sub  ineurvit 
eadabarU  arida  ImnbiSy  Ventrìs  erat  prò  ven- 
tre locus  ;  genuumque  tumebat  Ocbis,  et  immo- 
dico  prodibant  tubero  tali  >  :  cf^.  Moore  1 211. 
—  25.  Ken  credo  eoe  Erisitone  figlio  di  un 
re  della  Tessaglia,  avendo  osato  di  tagliare 
una  quercia  in  un  bosco  sacro  a  Cerere,  ta. 
dalla  dea  condannato  a  essere  keeiato  dalla 
ftune  :  dominato  cosf  dalla  più  fiera  voracità, 
Erisitone  mangiò  via  via  tutto  ciò  eh'  egli 
potè  avere,  vendendo  persiAO  una  figiiuola  por 


466 


DIVINA  COMMEDIA 


27       per  digiunar,  quando  più  n'ebbe  téma. 
Io  dicea  &a  me  stesso  pensando  :  €  Ecco 
la  gente  che  perde  (Gerusalemme, 
80       quando  Maria  nel  figlio  dio  di  bécco  ». 
Parean  l'occhiaie  anella  senza  gemme: 
chi  nel  viso  degli  uomini  legge  *  omo  ', 
83       ben  ayrla  quivi  conosciuto  l'emme. 
Chi  crederebbe  che  1*  odor  d' un  pomo 
si  governasse,  generando  brama, 
86       e  quel  d'un' acqua,  non  sapendo  comò? 
Già  era  in  ammirar  che  si  gli  affama 
per  la  cagione  ancor  non  manifesta 
89       di  lor  magrezza  e  di  lor  trista  squama; 
ed  ecco  del  profondo  della  testa 
volse  a  me  gli  occhi  un'ombra,  e  guardò  fiso, 
42       poi  gridò  forte:  €  Qual  grazia  m'è  questa?  > 
Mai  non  l'avrei  riconosciuto  al  viso; 
ma  nella  voce  sua  mi  fu  palese 


prooacdani  altro  cibo,  finché  non  gli  rimase 
più  da  mangiare  altro  ohe  il  proprio  corpo  (cfr. 
Otì4ìo,  MéL  vm  741-884).  —  a  baeela  ettre- 
MM  eoo.  ridotto  alla  tola  pelle  esteriore.  — 
27.  f  laudo  ifìé  eoo.  nel  momento  in  coi 
ebbe  maggior  timore  di  rimanere  senza  dbo, 
quando  dod  gli  restava  a  mangiare  solo  il  suo 
corpo;  cfr.  Ovidio  MbL  vm  876:  e  Vis  tamen 
illa  mali  postqnam  consnmpserat  ftwinam  Ma- 
teriam,  deileratqae  gravi  nova  pabnla  morbo, 
Ipso  snos  artos  lacero  divellere  morsa  Ooepit, 
et  infeliz  minoendo  corpus  alebat  ».  È  inutile 
avvertire  la  (Usità  della  ledono  tèma,  argo- 
mento, cagione,  accolta  da  alcuni  editori  e 
interpreti  moderni.  —  28.  Eeeo  la  gente  eoo. 
La  vista  dei  golosi  cosi  dimagrati  e  disfatti  ri- 
chiama alla  memoria  di  Dante  le  sofferenze  del 
Oindei  durante  l'assedio  di  Gerusalemme  per 
opere  dei  romani  (ctt,  Fiwg,  uà  83  e  segg.). 
—  80.  qaaado  Maria  eoo.  Baooonta  Giuseppe 
Flavio  {Delia  gìurragindaieaj  vi  8),  tre  gU  al- 
tri orrori  dell'assedio  di  Gerusalemme,  che 
nna  nobile  donna,  Ilaria  di  Eleazaro  ftariosa  e 
disperata  per  la  fame  uooise  un  suo  figlioletto 
e  ne  mangiò  una  parte  per  cibarsi.  ~  81.  Pa> 
reaa  ecc.  Le  cavità  degli  occhi  sembravano 
due  anella,  da  cui  fossero  state  levate  le  gem- 
me; perché  g^  ooohi  erano  ooif  infossati,  ohe 
non  i^pariva  il  luodcare  delle  papille  (oCr. 
V.  22).  —  83.  ehi  nsl  viso  eco.  coloro  che  nei 
volti  umani  leggono  la  parola  omo,  formati  gli 
0  dai  due  oochi  e  Tm  dalla  congiunzione  degli 
archi  della  dglia  e  del  naso,  avrebbero  distin- 
tamente veduto  nella  fàccia  di  qnosti  golosi  il 
segno  dell'  m,  dod  la  linea  formata  dal  naso 
e  dagli  archi  ddle  dgUa,  parti  messe  in  rilievo 
.  Dante  aooenua  l'opi- 


nione del  leggerd  omo  nel  viso  «mano,  eomo 
propria  di  altri  ;  e  anche  i  suoi  antichi  com- 
mentatori la  ricordano  non  come  crodensa  co- 
mune, si  pi&  tosto  come  opinione  partioolaie; 
e  ta  veramente  odo  dd  tedogi  e  dd  pre- 
dicatori mistid.  -  84.  €ki  eroderebl^  ecc. 
Nessuno,  ignorandone  il  modo,  otedezebbe  mai 
che  la  magrezza  dd  gdod  losse  prodotta  dal 
gran  dedderio  susdtato  dall'odore  di  un 
pomo  (quello  ddl'dbero,  cfr.  Pmg.  xxn  131) 
e  di  un'acqua  (qudla  della  fontana,  ol^. 
FUrg,  xxn  136-188).  —  86.  govenasae:  trat- 
tasse male,  sconciasse  riducendolo  a  tale  ma- 
grezza. — 86.  non  sapoado  eoo.  non  oooosoen- 
do  il  modo  od  quale  d  prodnoe  la  magrezza: 
cfr.  i  w.  61-76,  dove  Forese  ^lega  a  Danto 
quali  dono  ^  effètti  della  pianta  e  dell'acqua. 

—  eomot  forma  arcaica  dal  lat.  gmmodo  tn- 
quentissima  negli  antichi  poeti  e  rimasta  più 
a  lungo  nd  dialetti  settentrionali  (cfr.  Zing. 
18).  —  87.  Olà  ora  eoe  Non  oonosoendo  an- 
cora la  cagione  della  loro  magrena  e  ddla  sec- 
chezza ddla  loro  pdle,  io  ere  già  od  pen- 
sloro  in  grande  ammixadono  di  dò  ohe  ^^f^m». 
quelle  anime  e  le  fa  ood  magre.  »  40.  ed 
eeeo  eoe  quando  im^owisamonte  un'  anima 
volse  a  me  gli  ooohi  profondamente  affossati 
e  mi  guardò  fisamente  ;  e  avendomi  rioono- 
sduto  gridò  ad  dta  voce:  Qual  grazia  mi  è  con- 
ceduta? »  43.  Qaal  grazia  eoo.  Queef  anima 
ha  rioonosduto  in  Dante  un  suo  oondttadino 
e  amico:  però  alza  un  grido  di  gioia  meravi- 
gliandod  d' avere  una  td  grazia  singdare. 

—  43.  Mal  BOB  ecc.  Dante  non  avrebbe  md 
rioonosduto  il  suo  amico  all'  aspetto,  che  la 
magrezza  aveva  dterato  profondamento;  ma 
alla  voce  potò  apparirgli  dò  che  il  sem- 


PURGATORIO  -  CANTO  XXIH 


457 


45       ciò  che  l'aspetto  in  sé  avea  conquìso. 
Questa  favilla  tutta  mi  raccese 
mia  conoscenza  alla  cambiata  labbia, 
48       e  ravvisai  la  faccia  di  Forese. 

€  Deb,  non  contendere  all'  asciutta  scabbia, 
cbe  mi  scolora,  pregava,  la  pelle, 
51        né  a  difetto  di  carne  cb'io  abbia; 
ma  dimmi  il  ver  di  te,  e  chi  son  quelle 
due  anime  che  là  ti  fiemno  scorta: 
54       non  rimaner  che  tu  non  mi  favelle  >. 
€  La  faccia  tua,  eh'  io  lagrimai  già  morta, 
mi  dà  di  pianger  mo  non  minor  doglia, 
57       rispos'io  lui,  veggendola  si  torta: 
però  mi  di',  per  Dio,  che  si  vi  sfoglia; 
non  mi  fax  dir  mentr'io  mi  maraviglio 
60        che  mal  può  dir  chi  è  pien  d' altra  voglia  ». 


bianto  gU  naaoondeTa.  —  45.  elò  tkt  Paipet- 
U  600.  il  aooto  generale  ò  ohUriMimo,  non 
co«Ì  roepromfoncw  D  Bati  spiegò:  e  dò  che  la 
fOA  rista  et  apparemi»  in  Ini  area  goasto, 
doò  1a  eognoacenria  >  ;  mtk  in  té  ti  rìferisce 
senza  dubbio  tJl*(upttto,  e  non  pnò  spiegarsi 
in  htij  in  Forese.  Benr.  lesse  oiò  ek$  VtuptUo 
tuo  m^avea  conqttito  e  spiegò:  «dAoserat 
et  ceUrexat  oognitioni  mese  >.  I  moderni  ri- 
petono, sa  per  giti,  la  chiosa  del  Enti;  si  cfr. 
ad  ogni  modo  il  passo  dell'/n/l  xy  26-29,  che 
può  dar  hioe  sull'intelligenza  di  qneeto  reiso. 

—  46.  Qaetta  eco.  L'indizio  della  voce,  a 
me  non  ignota,  aiutò  la  mia  conoscenza  zi- 
goardo  al  rotto  trasformato,  e  oos£  mi  fa  pos- 
sibile riconoecenri  le  sembianze  di  an  mio 
amico.  —  47.  laMla  t  il  rdto  ;  in  tale  senso 
qaeeto  nome  s'incontra  assai  spesso  in  Dante 
(F.  N,  xxn  89,  xzn  99,  zzzrx  18,  Inf,  vn  7, 
xir  67,  XDC  122)  e  negli  altri  nostri  antichi. 

—  48.  Forese  t  Foreee  Donati  sopranomlna- 
to  Bicd  Norello,  fiorentino,  figlio  di  Simone  e 
fratello  di  Ck»rso  e  di  Piocarda  (cfr.  Atr^.  xxir 
IS),  risse  néUa  seconda  metà  del  secolo  xm 
e  morì  il  2B  lagUo  1296  (Del Dango  n  611); 
ddla  soa  amicizia  con  Dante  abbiamo  dooo- 
mento,  oltre  ohe  qaesto  canto  del  poema,  ana 
tenzone  di  sei  sonetti  tra  barleschi  e  sa- 
tirici, scambiati  fira  1  dae  concittadini  poco 
dopo  11  1290  e  pieni  di  motti  e  frizzi  non 
sempre  da  scherzo  :  questa  tenzone  ò  stata  illu- 
strata dal  Del  Lungo,  II 610-624,  e  da  altri,  e 
poi  pHk  oom^utamente  dal  medesimo  Del  Lun- 
go, Damtt,  I  4S7-4B1.  Quanto  al  nzio  di  Fo- 
rsse,  dicono  tatti  gli  antichi  commentatori 
eh'el  Coese  molto  goloso,  e  più  d'un  accenno 
se  n'ha  ancora  nel  sonetti  della  dt.  tenzone; 
cosi  nel  son.  m  dice  Dante  :  «  Ben  ti  fa- 
ranno il  nodo  Salamone»  Biod  Norello,  e'pet- 


ti  delle  stame.  Ma  peggio  fia  la  lonza  del 
castrone,  Oh6  '1  cuoio  farà  rendetta  della 
carne  »,  e  nel  son.  r  :  «  Biod  Norel,  figliuol 
di  non  so  cuL..,  Qiù  per  la  gola  tanta  roba  ò 
mossa,  Ch'a  forza  ^  conrene  or  tòr  l'altrui». 
—  49.  Dell  BOB  eenteadere  eco.  Non  badare 
al  disseccamento  della  mia  pelle  prodotto  dalla 
scabbia,  né  alla  eccessira  magrezza  (cfr.  r .  89), 
ma  dimmi  come  ti  trori  qui  e  chi  sono  1  tuoi 
due  oompagnL  —  eenteadere:  i  più  dei  com- 
mentatori, dal  Lana  in  poi,  danno  a  questo 
rb.  il  significato  di  aUmtdertf  che  ha  p.  es.  in 
Giordano  da  Riralto,  ^rtd.  uz  :  «  non  po- 
toano  contendere  alle  cose  mondane  »  :  altri 
inrece,  quello  di  rieutart^  neffort^  che  qui  par- 
rebbe friori  di  luogo.  —  62.  éimni  il  Ter  ecc. 
Si  noti  che  Forese  s'era  subito  accorto  che 
Dante  era  ancor  riro  (cfr.  r  112  e  segg.);  cosi 
la  sua  domanda  all'amico  che  gli  dica  «  «or  di 
sé  acquista  un  più  predso  e  determinato  ra- 
lore.  —  66.  La  faccia  eoe  H  tuo  rolto,  che  io 
piansi  già  estinto,  mi  cagiona  adesso  un  pianto 
non  meno  doloroso,  apparendomi  cosi  tramu- 
tato dalla  primitira  sembianza.  —  68.  però 
mi  df'  eco.  perdo  parla  tu  a  me,  per  quel  Dio 
che  ri  dimagra  in  tal  maniera  :  non  volere 
che  io  parli  finché  sono  cosi  meravigliato  per 
la  tua  tramutata  sembianza,  poiché  mal  può 
parlare  chi  ò  dominato  da  altro  desiderio.  Si 
osservi  il  modo  nuovo  e  originale,  col  quale  ' 
Dante  chiede  indirettamente  a  Forese  la  ca- 
gione per  cui  le  sue  sembianze  sono  cosi  al- 
terate; e  si  noti  anche  il  ricorrere  del  vb. 
4ire  in  tutti  e  tre  i  versi  della  terzina,  ohe 
6  Tina  ripetizione  frequente  nd  poeti  del  dn- 
gento.  —  sfoglia  t  il  vb.  tfogliar»  in  qaesto 
senso  di  denudare  ò  froquente  nd  rimatori 
antichi  (cfr.  Ohiaro  Davanzati  in  D'Ano,  m 
29,  anonimo  ivi  m  197;  Guittone  d'Arezzo, 


458  DIVINA  COMMEDIA 


Ed  egli  a  me:  «Dell' etemo  consiglio 
cade  virtù  nelP  acqua  e  nella  pianta 
63       rimasa  a  retro,  ond'io  si  m*  assottiglio. 
Tutta  està  gente,  che  piangendo  canta, 
per  seguitar  la  gola  oltra  misura 
66       in  £eune  e  in  sete  qui  si  rifa  santa. 
Di  bere  e  di  mangiar  n'accende  cura 
l'odor  di' esce  del  pomo  e  dello  sprazzo 
69        che  si  distende  su  per  la  verdura. 
E  non  pure  una  volta,  questo  spazso 
'  girando,  si  rinfresca  nostra  pena 

72        (io  dico  pena  e  dovrei  dir  sollazzo)^ 
che  quella  voglia  all'arbore  ci  mena 
che  menò  Cristo  lieto  a  dire:  'Eli,' 
75        quando  ne  liberò  con  la  sua  vena  ». 
Ed  io  a  lui  :  «  Forese,  da  quel  di, 
nel  qual  mutasti  mondo  a  miglior  vita, 
78        cinqu'  anni  non  son  volti  infino  a  quL 
Se  prima  fu  la  possa  in  te  finita 
di  peccar  più,  che  sorvenisse  l'ora 
81        del  buon  dolor  eh' a  Dio  ne  rimarita, 
come  se' tu  qua  su  venuto?  Ancora 

Rìm  I  124).  —  61.  Deir  etano  eoo.  DiOla  e  EU,  EU,  lamma  tabftotud  ?  doò  :  Dio  mio, 
▼olontit  divina  discende  nell'acqua,  che  cade  Dio  mio,  perché  mi  bai  lasciato?».  —  75. 
dall'alta  rooda  {Purg.  zzn  187),  e  nell'albero  qaaado  eco.  aUorchó  redense  il  genere  una- 
dai  buoni  e  odorosi  pomi  (ivi,  181)  una  viit6  no  col  sangue  deUe  sne  Tene.  —  76.  Foreee, 
per  la  quale  lo  sono  cosi  dimagrato.  —  68.  ri-  ìa  qael  ecc.  Dante  si  mecsyigliA  che  Forese, 
masa  a  retro:  perché  Dante  e  gU  altri  dne  morto  da  poco  tempo,  sia  già  pervenuto  al 
poeti  s'erano  aUontanati  dalla  pianta  sorgente  purgatorio  ;  mentre  per  ossemi  pentito  all'al- 
ali'ingresso  del  cerchio  (cfr.  v.  7  e  segg.).  —  timo  della  vita  avrebbe  forse  dovuto  < 


64.  Tvtta  està  eco.  Tutte  queste  anime,  che  ancora  tra  i  negligenti  neU'antipurgmtorìo  ;  e 

cantano  e  piangono,  espiano  in  questo  cerchio  chiede  all'amico  come  mai  dò  sia  accaduto, 

la  colpa  della  gola  soffrendo  la  fìune  e  la  sete.  D'Ovidio,  p.  219  :  «  Le  rime  txondte,  raris- 

—  67.  DI  liere  eoo.  La  Came,  owm  di  mangiarti  sime  nel  poema,  danno  al  ritmo  una  cadenza 

è  susdtata  in  noi  dagU  odorosi  frutti  dell'albe-  moUe,  e  oontribuisoono  aU'intonazione  tenera 

re  :  la  sete,  fswra  di  btr^  dal  getto  d'acqua  ohe  che  è  già  noU'  emistichio  Fbrm$,  da  quel  di, 

si  diffónde  sopra  i  rami  dell'albero.  —  70.  B  rassomigliante  a  Franeeaea,  %  tuoi  w%artki, 

non  pure  ecc.  £  questa  pena  si  rinnova  molte  Oiaeeo  il  tuo  a f arnia  ».  —  78.  elafn'  anni  ecc. 

volte,  girando  noi  per  il  ripiano  di  questo  È  storicamente  esatto,  perché  Forese  mori  il 

cerchio,  perdié  tutte  le  volte  che  giungiamo  28  lugUo  1296,  quattro  anni  quasi  innanzi  il 

sotto  l'albero  riproviamo  U  desiderio  dei  frutti  viaggio  di  Dante.  —  79.  Se  prlMa  eoe  Se  la 

e  dell'acqua.  —  spazio  :  cfr.  Inf.  ziv  18.  —  facoltà  di  peccare  venne  meno  in  te  prima 

72.  lo  dico  ecc.  :  le  pene  del  purgatorio  sono  ohe  arrivasse  l'ora  del  pentimento,  ohe  zioon- 

volontarle  e  desiderate  dalle  anime;  quindi  giunge  le  anime  con  Dio,  so  tu  insomma  in- 

Forese  osserva  che,  a  parlar  propriamente,  dugiasti  a  pentirti  a^^  ultimi  momenti  del 

dovrebbe  dire  sollazzo,  e  non  pena.  —  73.  thè  viver  tuo  ecc.  Racconta  l'Ott.  che  «  questo 

quella  ecc.  poiché  ci  trae  a  qnell'  albero  cose  sa  bene  l' autore  per  la  oonversaùone 

queUo  stesso  desiderio  di  conformare  la  nostra  oontinova,  ch'olii  avea  col  detto  Forese,  ed 

volontà  al  volere  di  Dio,  peroni  Cristo sop-  esso  autore  fti  quegli  ohe,  per  amore  che 

portò  volentieri  la  morte  sulla  croce,  —  74.  aveva  in  lui  e  famigliaritade,  lo  indusse  alla 

ohe  nenò  ecc.  Bacpontano  i  Ubri  evangeUd  confessione  :  e  confessosd  a  Dio  innanzi  l'ul- 

(Matteo  xxvn  46,  Marco  xvi  84)  die  Oriate,  timo  fine  ».  —  82.  ABMra  lo  ti  eoo.  lo  ore* 

poco  prima  di  spirare  suUa  croce,  gridasse  :  deva  di  trovarti  ancora  neU'  antipurgatorio, 


PURGATORIO  -  CANTO  XXIU 


459 


io  ti  credea  trovar  là  gi4  di  sotto, 
84        dove  tempo  per  tempo  si  ristora  ». 
Ed  egli  a  me:  «Si  tosto  m*ha  condotto 
a  ber  lo  dolce  assenzio  de*  martiri 
87        la  Nella  mìa  col  suo  pianger  dirotto. 
Con  suoi  pregili  devoti  e  con  sospiri 
tratto  m'ha  della  costa  ove  s'aspetta, 
90        e  liberato  m'ha  degli  altri  giri. 
Tant'è  a  Dio  più  cara  e  più  diletta 
la  vedovella  mia,  che  molto  amai, 
93       quanto  in  bene  operare  è  più  soletta; 
che  la  Barbagia  di  Sardigna  assai 
nelle  femmine  sue  è  più  pudica 
96        che  la  Barbagia  dov'io  la  lasciai. 
0  dolce  frate,  che  vuoi  tu  ch'io  dica? 


fra  i  negligenti  che  devono  stare  in  quel 
luogo  tanto  tempo  quanto  risserò,  se  non  sono 
aiutati  da  buone  orazioni  :  cfr.  Purg.  rv  130 
e  segg.,  XX 127  e  segg.  —  86.  Sf  tosto  ecc.  Mi 
ha  condotto  cosi  presto  alla  espiazione  della 
mia  colpa,  a  quei  patimenti  che  por  noi  sono 
d5>irfyrim<,  la  mia  Nella  piangendo  e  pregando 
per  me.  —  87.  la  NeUa  oda  :  nulla  sappiamo 
dalla  storia  intomo  alla  moglie  di  Forese 
Donati,  e  nulla  ne  seppero  i  commentatori,  1 
quali  lodandola  di  pudicizia  e  di  altre  virtù 
non  fecero  che  parafrasare  i  versi  di  Dante. 
A  lei  si  riferisce  il  son.  x  della  cit  tenzone 
tra  Dante  e  Forese,  nel  quale  il  futuro  autore 
della  Cbmmadio,  cosi  descriveva  le  infelicità 
coniugali  della  Nella  :  «  Chi  udisse  tossir  la 
mal  fatata  Moglie  di  Biooi  Tocato  Forese,  Po- 
trebbe dir  che  la  fosse  vernata  Ove  si  fa  1 
cristallo  in  quel  paese.  DI  mezzo  agosto  la 
trovi  infreddata;  Or  sappi  che  de*  far  d'ogni 
altro  mese  !  E  non  le  vai  perché  dorma  cal- 
zala Merzé  del  copertoio  o'ha  cortonese.  La 
tosse,  il  freddo  e  l'altra  mala  voglia  Non  le 
addivien  per  umor  c'abbia  veccM,  Ma  per  di- 
lètto ch'^a  sente  al  nido.  Piange  la  madre, 
o'ha  piò  d'una  doglia,  Dicendo  :  *  Lassa,  cho 
per  fichi  secchi  Messa  l'avre'  in  casa  il  conto 
Quido  '  ?  >.  Osserva  il  Del  Lungo  n  624,  che 
leggendo  questi  versi  «  se  la  mente  ci  corre 
a  ben  altra  pittura  di  questa  medesima  donna, 
quando  quel  medesimo  Forese  riferisce  alle 
lagrime,  alle  preghiere,  ai  sospiri  di  Nolla  sua 
il  benefizio  della  pi6  pronta  espiazione  de'suoi 
Mi;  e  la  imagine  della  sua  vedovella  cara 
e  difetta  a  Dio,  e  soletta  in  bene  operare, 
della  vedovella  sua  che  molto  egli  amò,  lo 
commuove  a  sdegno  e  pietà  delle  donne  fio- 
rentine e  de'  futuri  guai  della  patria  ;  sentiamo 
non  solamente  che  qui  è  il  vero  Dante,  il 
Dante  la  cui  Commedia  ha  nome  divina,  ma 
ci  vien  fatto  altresi  di  pensare  (nuova,  e, 


parmi,  bella  illustrazione  a  quell'  episodio), 
che  forse  il  poeta  ritimendo  con  tanta  genti- 
lezza di  linee  e  soavità  di  colori  quelle  ima- 
gini  di  Forese  e  della  Nella  e  poi  di  Piccarda, 
intese,  li  dov'è  espresso  accenno  a  incresciose 
memorie,  rivendicare  per  bocca  dell'antico 
compagno  delle  sue  fbllfe,  e  con  versi  degni 
veramente  del  paradiso,  la  santità  della  fa- 
miglia e  della  virtù,  dileggiate  dalle  rime 
plebee  della  sua  gioventù  mondana».  Più 
brevemente  il  D'  Ovidio,  p.  220:  <  L*  episo- 
dio apparisce  sopratutto  una  pubblica  scon- 
fessione dei  sonetti  ».  —  89.  della  eosta  eoo. 
dall'  antipurgatorio.  —  90.  degli  altri  ecc. 
dai  cerchi  del  purgatorio  sottostanti  a  que- 
sto, nei  quali  avrei  dovuto  rimanere  per  pur- 
gami d'  altri  peccati  :  quali  fossero  questi 
non  appare  ;  forse,  di  superbia  e  d'intempe- 
ranza nell'uso  delle  ricchezze,  difetti  di  Fo- 
rese rivelati  dai  son.  n,  iv,  v  della  cit.  ten- 
zone con  Dante.  —  91.  Tant'  à  ecc.  La  mia 
donna,  che  molto  amai  nel  mondo,  è  tanto 
più  cara  e  diletta  a  Dio,  quanto  più  è  soletta 
in  Firenze  a  praticare  la  virtù  della  castità. 
—  94.  eìki  la  Barbagia  eoe.  La  Barbagia  è 
un  regione  montuosa  della  Sardegna  (intomo 
al  M.  Oennargentu,  regione  distinta  nelle  tre 
Barbagie  di  Beivi,  OUolai  e  Senio),  che,  secondo 
gli  antichi  commentatori,  era  abitata  nel  me- 
dioevo da  una  gente  barbara,  proverbiale  per 
la  vita  licenziosa  e  dissoluta  degli  nomini  e 
delle  donne  ;  anche  oggi  le  donne  di  Barbagia 
lasciano  intravedere  nel  negletto  costume  le 
forme  esuberanti,  ma  ciò  accade  senz'ombra  al- 
cuna di  mal  costume  ;  e  probabilmente  la  ma- 
la ffuna  delle  Barbariclne  txi  dovuta  nel  me- 
dioevo ad  esagerazioni  dei  mercanti  e  marinai 
genovesi  e  pisani.  Vuol  dunque  dire  Forese 
che  In  Firenze  le  donne  erano  meno  oostuma- 
ts,  anzi  più  dissolute  e  licenziose,  ohe  le  fem- 
mine della  Barbagia  in  Sardegna.  —  97.  fra- 


460 


DIVINA  COMMEDIA 


Tempo  futuro  m*è  già  nel  cospetto, 
99       cui  non  sarà  quest'  ora  molto  antica, 
nel  qual  sarà  in  pergamo  interdetto 
alle  sfacciate  donne  fiorentine 
102        l'andar  mostrando  con  le  poppe  il  petto. 
Quai  barbare  f&r  mai,  quai  Saracino, 
cui  bisognasse,  per  ùale  ir  coperte, 
105        o  spiritali  o  altre  discipline? 
Ma  se  le  svergognate  fosser  certe 
di  quel  che  il  del  veloce  loro  ammanna, 
108       già  per  urlaie  avrian  le  bocche  aperte  ; 
che,  se  l'antiveder  qui  non  m'inganna 
prima  fien  triste  che  le  guance  impeli 
IH        colui  che  mo  si  consola  con  nanna. 


to:  cfr.  Purg.  rr  127.  —  «he  t«oI  eoe  ohe 
oosa  POMO  dire  di  peggio?  ~  98.  Tempo  fii- 
taro  eoo.  Vedo  già  nella  mia  monte  vicino 
il  tempo  in  coi  larà  dal  palpito  proibito  alle 
efaooiate  donno  di  Fiienxe  di  andar  mostrando 
lo  mammelle  e  il  petto.  —  99.  eii  non 
■ara  eoo.  non  molto  lontano  dal  presente.  ~ 
100.  farà  U  pergase  eoo.  Non  è  ben  oerto 
se  Dante  abbia  yolato  allndere  a  qualche  pre- 
dicazione contro  ^  scandalosi  costami  delle 
donne  ilorentine,  come  intesero  dal  Lana  in 
poi  i  commentatori,  o  a  qualche  proibizione 
▼escorile  lanciata  contro  essi  oostomi  dal  per- 
gamo delle  chiese:  né  si  conoscono  provri- 
sioni  della  Signoria  o  decretali  di  Vescovi,  cai 
Dante  abbia  potato  alladere,  poiché  le  prime 
leggi  santaarie  fiorentine  ftuono  del  1324  e  ri- 
volte specialmente  contro  la  preziosità  delle 
vesti  e  degli  ornamenti  maliebri  (cfr.  G.  Vil- 
lani, O.,  IX  246).  — 108.  qaal  torbare  ecc. 
Ott  :  «  Questo  dice  in  in&mia  •  vitaperìo 
delle  dette  donne,  dicendo  che  U  primo  atto  e 
il  pi6  popolesco  e  volgare  della  onestade  della 
femmina  è  il  tenere  coperte  quella  membra 
che  la  natura  richiede  che  siano  chiuse;  e 
però  quello,  che  é  natarale,  in  ogni  luogo  ò 
uno  medesimo.  Onde  dice  :  le  barbare,  le  quali 
sono  si  partite  da'  nostri  costumi  •  le  sa- 
radne,  ohe  sono  cosi  date  alla  lussuria,  ohe 
dovunque  la  volontà  giugno  qaivi  per  l'Al- 
corano di  Maometto  si  dòe  sodisfare  alla  lu*- 
suna,  si  vanno  coperte  le  mammelle  e  '1 
petto  ;  e  voi,  che  dovete  vivere  per  legge  ro- 
mana, avrete  bisogno  d'essere  scomunicate  • 
pubblicate  in  piazza  ».  —  106.  •  spiritali 
eco.  o  pene  ecclesiastiche  (interdetto,  scomu- 
nica eoo.)  o  pene  civili  (multe,  carcere  ecc.). 
—  106.  Ha  se  le  svergogmate  eoo.  Ma  se  le 
impudiche  donne  fiorentine  fossero  certe  delle 
sventare  che  il  cielo  prepara  loro  per  un 
tempo  vicino,  già  avrebbero  aporte  le  bocche 
ai  lamenti  della  penitenza.  —  109.  dki,  se 


l'antiveder  ecc.  che,  se  non  m'inganna  la  pre- 
veggenza  che  noi  abbiamo  dei  Iktti  avvenire 
(cfir.  anche  ^.  zxvm  78),  saranno  dolenti 
pv  cotesto  sventure  prima  ohe  siano  giunti 
alla  pubertà  i  fanciulli  ohe  adesso  sono  lat- 
tanti. Qaanto  agli  avvenimenti,  cui  Dante  pud 
avere  accennato,  il  Del  Lungo,  n  624  e  aegg., 
ricordando  le  parole  con  le  quali  Dino  Com- 
pagni (O.  m  42  :  <  0  iniqui  cittadini,  che 
tutto  il  mondo  avete  corrotto  e  viziato  di  «*•" 
costami  e  fUsi  guadagni  I  Voi  siete  quelli  che 
nel  mondo  avete  messo  ogni  male  uso.  Oxm 
vi  si  ricomincia  il  mondo  a  rivolgere  addosso  : 
lo  Imperadore  colle  sue  forze  vi  Cara  pren- 
dere e  rubare  per  mare  e  per  terra  I  »)  annun- 
ziava sul  declinare  del  1812  ai  vincitori  Neri 
la  venuta  imminente  di  Arrigo  vn,  e  rlawi- 
cinandole  alle  due  terzine  dantesche,  scrive: 
«  Sento  in  quelle  la  profezia  d'un  latto  pe- 
dale e  determinato  ;  e  i  termini  di  tempo  di 
cotesta  profezia  mi  conducono  o  alla  venuta 
d'Arrigo  contro  Firenze  neH'estate  del  '12,  o 
se  mai  ad  altro,  alla  rotta  di  Montecatini  nel- 
l'sgosto  del  1816.  Ma  se  l'accenno  a  quosta, 
come  lutto  di  madri  e  di  spose  ilorentine, 
potrebbe  per  tale  rispetto  parere  pid  probabile 
li  dove  di  gastigo  di  donne  si  parla,  mi  fk  tut- 
tavia preferire  l' allasione  alle  vendette  im- 
peziali  dò  che  l' idea  di  queste  ha  in  sé  di 
pid  universale  ed  ampio  e,  per  Dante,  di  prov- 
videnziale. Per  tal  modo  quel  carico  d'  ìm  . 
divina  ohe  Forese  pid  di  dodid  anni  innanzi 
avea  veduto,  quad  assumendo  l'nlBdo  de'pro* 
feti  biblici,  apparecchiarsi  nelle  sfere  celesti, 
Dino  annunziava  agli  ittiqui  eittadM  essere 
per  piombare  su  di  loro.  Oosi  se  e  storico  e 
poeta  erano  riserbati  ad  un  medesimo  disin- 
ganno, la  dolorosa  smentita,  die  le  loro  parole 
rioevetter  da'  fatti,  pare  a  me  che,  invece  di 
scemarne  la  bellezza  artistica  e  la  storica  im- 
portanza, le  renda  anzi  pid  solenni  e  pid  tra- 
giche ».  —  111.  eolil  eoo.  il  bambinello  che 


PURGATORIO  -  CANTO  XXHI  461 

Deh,  frate,  or  fa  che  più  non  mi  ti  celi; 
vedi  che  non  pur  io,  ma  questa  gente 
114       tutta  rimira  là  dove  il  sol  veli  ». 
Per  ch'io  a  lui:  <  Se  ti  riduci  a  mente 
qual  fosti  meco  e  quale  io  teco  fui, 
117       ancor  fia  grave  il  memorar  presente. 
Di  quella  vita  mi  volse  costui 
che  mi  va  innanzi,  l'altr'ier,  quando  tonda 
120       vi  si  mostrò  la  suora  di  colui 

(e  il  sol  mostrai);  costui  per  la  profonda 
notte  menato  m*ha  da' veri  morti, 
123       con  questa  vera  carne  ohe  il  seconda. 
Indi  m'han  tratto  su  li  suoi  conforti, 
salendo  e  rigirando  la  montagna, 
126        che  drizza  voi  che  il  mondo  fece  torti. 
Tanto  dice  di  fJEtrmi  sua  compagna 
ch'io  sarò  là  dove  fia  Beatrice; 
129        quivi  convien  che  senza  lui  rimagna. 
Virgilio  è  questi  che  cosi  mi  dice 
(e  addita'  lo),  e  quest'  altro  è  quell'  ombra 
per  cui  scosse  dianzi  ogni  pendice 
133    lo  vostro  regno  che  da  sé  lo  sgombra  ». 

on  si  cheta  e  s' addormonta  al  canto  della  1'  8  aprile  1300.  —  119.  qnaado  ecc.  qnando 

ninna  nanna:  cfr.  Inf.  xzzn  9.  —  112.  Dth  fece  la  luna  piena;  cfr.  Inf,  zxi  127,  ove,  al 

eoo.  Ora  oh'io  ho  sodisfatto  il  tao  desiderio,  mattino  del  9  aprile  ò  dotto  :  «  e  già  iemotte 

dimmi  come  sei  qoi  ;  te  ne  piegano  anche  fa  la  lana  tonda  >.  —  120.  la  sacra  ecc.  la 

i  mim  compagni,  i  qoali  come  me  gaaidano  lana,  sorella  del  sole.  —  121.  eostnl  eco.  egli 

tatti  all'ombra  che  ta  gitti  col  corpo,  mera-  mi  ha  condotto  per  l' osoorità  dell'  inferno, 

vigliati  che  nn  yirente  percorra  qoeste  re-  dalla  sede  di  coloro  che  sono  morti  alla  gra- 

gioni  dei  morti.  —  £rate  :  cfìr.  la  nota  al  Purg.  zia  divina.  —  profonda  motte  :  cft.  Purg,  i 

nr  127.  —  115.  Se  ti  ridici  eco.  Se  ta  ri-  44.  —  123.  con  qiesta  ecc.  oon  qaeeto  mio 

diiami  alla  toa  memoria  la  stretta  amicizia  corpo  reale,  ohe  g^li  tien  dietro.  —  124.  Indi 

che  ci  oonginnse  nella  giorentti  e  le  oonsne-  m*haa  ecc.  Dairinfemo  sono  passato  al  por- 

tadini  di  rita  viziosa  che  avemmo  insieme  (di  gatorìo,  con  l'aiato  dei  saoi  consigli.  —  126. 

che  sono  dooamenti  i  sonetti  della  cit.  ten-  che  driiza  ecc.  che  vi  parifica  dalle  colpo 

sono),  ti  sarà  grave  anche  in  qaesto  laogo  della  vita  terrena.  —  127.  Tanto  eco.  La  mia 

di  penitenza  il  triste  ricordo  ;  a  Dante  co-  guida  mi  dice  che  mi  farà  compagnia  sino 

me  a  Forese  doveva  increscere  la  rimembranza  alla  cima  del  monte,  ove  sarà  Beatrice  e  ove 

di  on  periodo  della  loro  vita,  in  cai  se-  dovrò  essere  abbandonato  da  Virgilio:   ctr. 

guondo  le  false  imagini  di  bene  (cfr.  Purg.  xxx  I^U  >  121,  Pvirg,  vi  45.  —  compagna:  compa- 

130  e  segg.)  s' erano  abbandonati  al  vino  :  a  gnfa  ;  forma  arcaica,  che  si  trova  anche  in 

Dante  doveva  increscere,  perché  ora  sotto  la  Inf.  xxvi  101,  Pwrg.  m  4,  e  in  molti  altri  lao- 

gaida  di  Virgilio  si  stadiava  di  ritornare  alla  ghi  di  scrittori  antichi.  — 181.  •  quest'altro 

virtù;  a  Forese,  perché  aveva  per  grazia  di-  eco.  e  l'altro  mio  compagno  è  Stazio,  per  il 

vina  iniziata  già  T  espiazione  dei  suoi  peo-  quale  poco  fa  il  monte  sacro  del  purgatorio, 

cati.  —  118.  DI  qiella  vita  ecc.  Dalla  vita  onde  egli  è  licenziato  por  salire  al  cielo,  scosse 

terrena  mi  trasse  volgendomi  a  questo  viaggio  tutte  le  sue  pendici  (cfr.  Pwrg.  xx  127  e  segg., 

Virgilio,  che  mi  precede,  pochi  giorni  or  sono,  xxi  84  e  segg.). 


462  DIVINA  COKMEDU 


CANTO  XXIV 

Camminando  per  il  sesto  cerchio,  Forese  indica  a  Dante  molti  dei  suoi 
compagni  di  penitenza  e  tra  essi  Baonaginnta  Orbicciani  lucchese:  poi,  al- 
lontanatosi Forese,  i  tre  poeti  arrìyano  sotto  on  altro  albero,  di  mezzo  al 
quale  nna  voce  ignota  ricorda  esempi  di  golosità,  e  finalmente  perrengono 
alla  scala  che  condaee  al  settimo  cerchio  [12  aprile,  dal  mezzodì  alle  ore 
dae  pomerid.]. 

Né  il  dir  Pandar,  né  l'andar  lui  più  lento 
£&cea,  ma  ragionando  andavam  forte, 
3       si  come  nave  pinta  da  buon  Tento. 
E  l'ombre,  che  parean  cose  rimorte, 
per  le  fosse  degli  occhi  ammirazione 
6       traean  di  me,  di  mio  vivere  accorte. 
Ed  io,  continaando  il  mio  sermone, 
dissi  :  <  Ella  sen  va  su  forse  più  tarda 
9        che  non  flBirebbe,  per  l'altrui  cagione. 
Ma  dimmi,  se  tu  '1  sai,  ov'è  Pìccarda; 
dimmi  s'io  veggio  da  notar  persona 
12        tra  questa  gente  che  si  mi  riguarda  ». 
«  La  mia  sorella,  che  tra  bella  e  buona 
non  so  qual  fosse  più,  trionfa  lieta 
15        nell'  alto  Olimpo  già  di  sua  corona  ».  | 

Si  disse  prima,  e  poi:  e  Qui  non  si  vieta 

XXIV  1.  He  il  dir  eco.  Dante  e  Foiose  133)  :  si  ricordi  che  Dante  eia  anirato  a  par- 
procedeyano  conversando  animatamente,  nò  lare  di  Stazio  e  della  eoa  liberazione  e  si  oe- 
il  parlare  ritardava  il  camminare,  come  il  cam-  servi  con  quanta  natoralezza  egli  oontinni  il 
minare  non  impediva  la  conversazione.  Del  precedente  discorso,  non  interrotto  nella  si- 
verso  dantesco  si  ricordò  T Ariosto,  OrL  xua  toazione  reale,  ma  solo  nell'opera  scritta,  per 
84  :  «  Non,  per  andar,  di  ragionar  lasciando,  descrivere  in  nn  breve  intermezzo  (w.  1-6) 
Non  di  segnir,  per  ra6:ionar,  lor  via  >.  —  8.  la  posizione  sna  e  del  compagno  rispetto  agli 
s£  cene  Bara  eoo.  come  nna  nave  spinta  da  altri  personaggi.  —  8.  Ella  len  va  eco.  L'a- 
vento  favorevole.  Bnti  :  <  Àddnoe  sìmilitn-  nima  di  Stazio  va  sa  verso  il  cielo  pia  lenta 
dine,  che  andavano  fortemente  come  la  nave  che  non  fEuxtbbe  se  fosse  sola,  se  non  le  fosse 
qoand'ella  ò  spinta  da  buon  vento;  e  cosi  cagione  a  indugiarsi  il  desiderio  ch'essa  ha 
noi  eh'  eravamo  oondntti  sa  dal  boon  volere,  della  compagnia  di  Virgilio  :  cJ^.  I^irg»  tto 
guidati  dalla  grazia  di  Dio  ».  —  4.  che  pa-  96.  —  10.  ov*  k  Pleearda  :  Ficcarda  Donati, 
reaa  eco.  che  per  l'estrema  magrezza  pare-  sorella  di  Forese  :  cf^.  Par,  m  49.  —  11. 
vano  cose  ormai  oonsonte  ;  qoando  ai  rimort»f  dlnMl  s*  lo  eco.  :  cfr.  Inf,  xx  104.  —  13. 
dice  il  Ventali  248  :  «  parola  stupendamente  La  mia  aorella  ecc.  Ficcarda,  la  quale  non 
coniata  dal  poeta,  non  è  l' iamqw  Uamm  mo-  so  se  fosse  piò  bella  o  pi6  buona,  è  trion- 
rien»  di  Ovidio,  ove  narra  di  Euridice  (lùL,  fante  già  nel  paradiso,  lieta  della  sua  beati- 
X  60),  ma  risponde  più  tosto  all'otitorM  bia-  tudine:  inftttti  Dante  l'incontrerà  nel  cielo 
mortuoó  di  s.  Giuda,  12  ;  ed  esprime  idea  non  della  luna,  tra  gli  spiriti  ai  quali  fu  impedito 
di  ripetizione,  ma  si  d' aggrandimento  ».  —  di  compiere  i  vóti  religiosi  (Bar.  m  88-120). 
6.  per  le  fosse  eoo.  con  gli  oochi  profonda-  —  16.  i^nì  non  si  vieta  eco.  In  questo  cer- 
mente  incavati  mi  guardavano  oon  gran  mera-  chic  non  è  proibito,  anzi  ò  pi6  opportuno  che 
viglia,  essendosi  accorto  che  io  era  ancora  altrove,  l' indicare  per  nome  daacuno  dei  pe- 
vivonte.  —  7.  il  mio  sermoae  eco.  il  discorso  nitenti,  poiché  la  nostra  sembianza  è  coti 
incominciato  con  Forese  (cfr.  Pitrg,  xxm  115-  consunta  per  l' astinenza  che  non 


"■W^ 


PURGATORIO  -  CANTO  XXIV 


463 


di  nominar  ciascun,  da  eh' è  si  munta 
18       nostra  sembianza  via  per  la  dieta. 
Questi  (e  mostrò  col  dito)  è  Bonagiunta, 
Bonagiunta  da  Lucca;  e  quella  faccia 
21        di  là  da  lui,  più  che  P  altre  trapunta, 
ebbe  la  santa  Chiesa  in  le  sue  braccia: 
dal  Torso  fu,  e  purga  per  digiuno 
24        l'anguille  di  Bolsena  e*  la  vernaccia  ». 
Molti  altri  mi  nomò  ad  uno  ad  uno; 
e  del  nomar  parean  tutti  contenti, 
27        si  ch'io  però  non  vidi  un  atto  bruno. 
Vidi  per  fiome  a  vóto  usar  li  denti 
Ubaldin  dalla  Pila,  e  Bonifazio 


rioonoteiatt  al  Tolto:  ofr.  D'Ovidio, 
pp.  610-611.  — 19.  BoMfllaBto:  Bonagiunta 
OiUodaiii  des^  Oreraidi  IncohMe,  Tisaato 
BtDa  Moo&da  metà  del  aeo^  zm,  almeno 
lino  al  1296,  in  coi  fti  operaio  dell*  chiesa 
di  8.  Martino  di  Lneca,  tu.  nn  rimatore  sfa- 
Torerolaieiite  gindioate  da  Dante,  De  vuig, 
fiorii.  I  18  :  le  sue  poesie,  delle  quali  aranza 
nn  nvmero  oeserrabile  (Val.  I  471-688),  mo- 
■trano  eh'  egli  fti  alletto  imitatore  doUa  lirica 
proTonzale,  aenza  originalità  d'inyenzioni  e 
senza  alcon  pregio  di  eeproaaione  e  di  stile 
(efr.  la  nota  al  r.  60).  Come  nomo  fb  «  cor- 
rotto molto  nel  Tizio  della  gola»,  dice  il  La- 
na; e  lo  steaso  ripetono  sa  per  giù  tatti  i 
poslarl<»i  interpreti,  dedncendo  probabilmente 
la  notizia  del  Tizio  di  Bonagianta  dal  laogo 
die  Dante  gU  assegnò  nel  poxgatorio  :  cfr. 
C.  Minatoli,  OmImmi  «  gU  ottH  ImooAmì  eco. 
nel  Dagd»  •  U  mn  moolo,  pp.  222  e  segg.  — 
20.  0  ««ella  faeeia  eco.  OsserTa  il  Ces.  che 
Dante  dice  qmUa  faeoia  cper  tsner  chi  legge 
più  aiBaato  all'  idea  dell'emadazione  :  la  quale 
tro^o più  ohe  attxoTe  nella  fitoda  appaiisce; 
anche,  perché  le  fattezze  ohe  oontradiitin- 
gaono  ano  dall'altro,  dimorano  in  ispedeltà 
neOa  faoela  ».  ~  21.  travoata  t  estennata, 
eonsonta,  eome  se  le  infossatore  e  le  scabro- 
sità deQa  pèlle  rendessero  idea  di  on  layoro 
di  trapanto.  —  22.  e%l»e  la  santa  eco.  tn 
spoeo  drila  Chiesa  (cfr.  Inf.  xa  67,  Purg, 
XB  186):  qaesto  pontefice,  allogato  da  Dante 
fta  i  golosi,  tu  Martino  IV,  eletto  nel  1281 
e  morto  nel  1286,  lasciando  ftuna  di  nomo 
«  magri f>p<™»  e  di  grande  onore  ne'  fatti  della 
chiesa  »  {Q.  Villani,  O.  td  68).  Del  sno  Tizio 
della  gola  seiiTe  il  Lana  :  <  Fa  molto  tìzÌoso 
della  gola,  e  fta  l' altre  ghiottomle  nel  man- 
giale ch'eUi  asaTa,  faoea  tórre  l'angaille  dal 
lago  di  Bolsena,  e  qaelle  faoea  annegare  e 
morire  n/A  Tino  della  Teraacda,  poi  fatto  ar- 
rosto le  mangiaTa  ;  ed  era  tanto  sollecito  a 
qoèl  boccone,  che  oontinao  ne  Tolea,  e  fa- 
esite corsie  e  annegare  nella  soa  camera  : 


e  circa  lo  fatto  del  Tontre  non  ebbe  né  oso 
né  misnra  aloona,  e  qnando  elli  era  bene  in- 
cerato, dioea  :  0  tanotuM  Dmu,  q%ianla  tnaia 
patimur  prò  BooMa  mnda  Dd  ».  Oli  altri 
antichi  commentatori  confermano  qaesf  osan- 
za  di  Martino  IV;  e  P.  Pipino  OItnx.,  Rer, 
TX  726)  dà  i  Tersi  posti  sai  sao  sepolcro  : 
CfoMdttuU  ùnffuiUa»,  quod  morkm»  ui  homo 
UU,  Qui  guati  morte  reat  nooHabai  «m:  il 
Bati  poi  riferisce  altri  particolari  droa  le  ga- 
lanterie cnlinarie  di  qaesto  pontefice.  —  23. 
dal  Terso  eoo.  Martino  IV  fa  di  Montpinoé 
nella  Brio,  ma  è  detto  dal  Torso  per  essere 
stato  tesoriere  della  cattedrale  di  Toors.  — 
per  diglinet  per  mezzo  del  digiano,  cai 
sono  astrette  le  anime  di  qneato  cerchio  (cfir. 
Purg,  xxm  67).  —  26.  e  del  nomar  ecc.  e 
d' eesur  nominati  paroTano  tatti  contenti,  spe- 
rando che  io  fossi  per  procurar  loro  soffragi 
di  pressore;  di  gaisa  che  nessano  fece  di- 
mostrazione di  rincrescimento  dell'esser  stato 
indicato  per  nome.  —  28.  per  IkiM  eco.  mao- 
Tere  inutilmente  i  denti,  quasi  Toleesero  man- 
giare. È  un  ricordo  OTidlano,  M§t,  vm  824, 
di  Erisitone  (cft.  Pu/rg.  xxm  26)  :  «  petit  iUe 
dapes  sub  imagine  somni,  Oraque  Tana  mo- 
Tet  dentemque  in  dente  fatigat,  Ezeroetque 
cibo  delosum  guttur  inani,  Proque  epuUs  te- 
nnos  nequiquam  doTorat  auras  ».  —  29.  Uàal- 
dlB  daUa  Pila:  Ubaldino  degU  XJbaldini,  di 
quel  ramo  della  celebre  famiglia  che  prese  il 
nome  dal  castello  della  Pila  nel  Mugello  (Be- 
petti  IV  262),  Tisse  nella  seconda  metà  del 
secolo  xm,  e  si  ha  memoria  di  lui  nel  1291, 
qoando  Airono  liberati  dalle  caroeri  di  Lucca 
egli  e  Bonaccorso  da  Bipafratta  stati  presi 
innanzi  nel  castello  di  Buti  (Bepetti  IV  769)  ; 
fu  fhttello  del  cardinale  Ottaviano,  h^f.  x 
120,  e  di  Ugolino  di  cui  si  cfr.  Purg.  xnr 
106,  e  padre  di  Buggierl  sroiTeeooTo  di  Pisa, 
Inf,  xxxm  14  (cfr.  G.  B.  Ubaldini,  JUor.  della 
casa  tkgH  Ubald,  cit.,  p.  68  e  aogg.).  Dicono 
gli  antichi  commentatori  eh'  ei  fbese  molto 
goloso,  sebbone  non  s' accordino  nei  partioo- 


464 


DIVINA  COMMEDU 


SO       che  pasturò  col  ròcco  molte  genti. 
Vidi  inesser  Marchese,  ch'ebbe  spano 
già  di  bere  a  Forlì,  con  men  secchezza, 
83       e  si  fii  tal  che  non  si  senti  sazio. 
Ma,  come  fa  chi  guarda  e  poi  fa  prezza 
più  d'un  che  d'altro,  fé' io  a  quel  da  Lucca, 
86       che  più  parca  di  me  aver  contezza. 

Ei  mormorava;  e  non  so  che  «  Gtotucca  » 
sentiva  io  là,  ov'ei  sentia  la  piaga 
89        delibi  giustizia  che  si  li  pilucca. 
€  O  anima,  diss'io,  ohe  par  si  vaga 
di  parlar  meco,  &  si  ch'io  t'intenda, 
42        e  te  e  me  col  tuo  parlare  appaga  ». 


1 


lari  ;  che  il  Lana  attesta  che  peood  <  in  q[aan- 
tità  oltr*  misora  »,  l'Ott  inreoe  nella  qo*- 
lità,  piacendogli  la  <  elezione  dei  piA  diletti 
cibi».  —  BenllÌMio:  Boniftoio  dei  Fieeolil 
genoTese,  nipote  di  Innocenzo  IV,  nominato 
aidreecoTo  di  Ravenn»  nel  1274,  legato  pon- 
tifiolo  in  Bomagna,  nunzio  del  papa  al  re  di 
Francia,  morto  nel  1294,  tn  anch'e^  se- 
condo gli  antichi,  golosissimo  nomo.  —  80. 
eàe  pastarò  ooo.  La  retta  spiegazione  di  que- 
sto verso  è  data  dal  Lana:  <  Fa  aroirescoTo 
di  Barenna,  lo  qoale  non  porta  lo  pastorale 
cosi  ritorto  come  gli  altri  arciTesooTi,  ma  è 
fatto  di  sopra  al  modo  di  ròooo  degli  scac- 
chi »  ;  e  veramente  il  pastorale  antico  degli 
arcivescovi  di  Ravenna,  che  ancor  si  con- 
serva, porta  alla  dma  nn  prisma  esagonale 
terminante  da  ambo  le  parti  in  piramide,  che 
rende  l'idea  di  nna  piccolA  ròcca  o  torre, 
come  il  ròcco  degli  scacchi  (cfr.  Ferrazzi  V 
416).  Secondo  un'altra  interpretazione,  il  vb. 
padurò  sarebbe  nel  senso  proprio  di  alimen- 
tare, nutrire,  e  conterrebbe  un'allusione  alla 
beneficenza  esercitata  da  Bonifazio  verao  la 
popolazione  di  Argenta,  alla  quale  avrobbe 
aperto  i  granai  aroivoscovili  in  tempo  di  ca- 
restia (cfir.  F.  Savini,  Oiom.  danL  I  171). 

—  molte  gtHil  :  perché  1'  arcivescovo  di 
Ravenna  estendeva  la  sua  autorità  spiritua- 
le su  tutta  la  Bomagna  e  parte  dell'  Emi- 
lia, ricco  e  grande  paese.  —  31.  Tldl  mes- 
■cr  Hareliese  ecc.  Marchese  degli  Argogliosi, 
nobile  cavaliere  forlivese,  fu  podestà  di  Faen- 
za nel  1206;  di  esso  racconta  Benv.  che 
avendo  chiesto  al  suo  canovaio  che  cosa  la 
gente  dicesse  di  Jui  senti  rispondersi  :  «  Si- 
gnore, si  dice  che  voi  non  fate  mai  altro  che 
bere  > ,  ed  egli  allora  soggiunse  rìdendo  :  <  Per- 
ché non  dicono  mai  che  ho  sempre  sete  ?  ». 

—  eh*  ebbe  spazio  ecc.  che  vìvendo  ebbe 
agio  di  bere  in  Ferii,  ove  abbondano  i  vini 
buoni  e  potenti,  con  minor  sete  eh'  ei  non 
abbia  in  purgatorio;  e  pure  non  riusci  mai 


a  saziarsi.  —  8L  eoae  fi  eoo.  come  fa  cohd 
che  guarda  tutti  i  presenti  e  poi  Ca  stima  piA 
di  uno  che  di  altri,  cosi  io  goaidando  tutti 
quei  penitenti  féd  maggiore  stima  del  luc- 
chese Buonagiunta,  il  quale  pareva  cono- 
soermi  me^o  degli  altri.  —  prtsia:  stima, 
prezzo;  of^.  Parodi,  BuU,  m  118.  ~  87.  Kl 
normorava  eco.  Buonagiunta  parlava  som- 
measamenta,  ma  nella  sua  bocca  io  sentiva 
distintamente  il  nome  Gentucca.  n  Boti  fu 
il  primo  a  ravvisare  in  questo  nome  il  ri- 
cordo di  una  donna  amata  da  Danto  :  «  l'au- 
tore (dice  il  Buti)  essendo  a  Lucca  puoee 
amore  ad  ^p^  gentil  donna  chiamata  w»^^ «*■»«»* 
Gentucca,  che  era  di  Bossimpelo,  per  la  virtd 
grande  et  onestà  ohe  era  in  lei,  non  per  al- 
tro amore  »,  •  la  notizia  da  lui  data  fu  a^ 
colta  dalla  maggior  parto  dei  commentetori 
posteriori:  poi  C.  MinutoU,  OmUueea  •  ffK 
altri  hueh,  nel  DtmU  •  ti  suo  geo.^  pp.  233 
e  segg.,  dimostrò  con  l'aiuto  dei  dooumeati 
che  tra  le  donne  lucchesi  di  cotesto  nome 
quella  cui  meglio  si  conviene  l' accenno  dan- 
tesco è  Qentaoca  Moria,  maritata  a  Buona»- 
corso  Fonderà,  la  quale  viveva,  nel  fiore  d^Ia 
giovinezza,  nel  1317,  a  poca  distanza  cioè  dal 
tempo  in  cui  Danto  può  aver  visitato  Lucca 
(cfr.  w.  43-48).  Oli  altri  antichi,  Lana,  Ott, 
An.  fior.,  Benv.  (cfr.  per  altro  la  noto  al 
Purg.  xzxi  69,  ove  Benv.  manifesto  un'altra 
opinione)  intondono  gótUueea  come  nome  co- 
mune, por  gmiuoeia^  riferendolo  alla  turba 
delle  anime  ch'erano  sotto  l'albero  in  gran 
desiderio  del  frutto  e  dell'acqua.  —  88.  là 
ov*ei  ecc.  nella  bocca,  ove  più  forto  egli 
sentiva  il  tormento  della  fame  inflittogli  da 
Dio.  —  89.  pilieea:  rode,  consuma  a  poco 
a  poco  (cft.  Parodi,  Bulk  m  154);  lo  stesso 
dello  sfoglia  del  PÙrg,  xzm  68.  ~  41.  eh' la 
riateada:  Buonagiunto  aveva  pariato  aom- 
messamento,  né  Danto  aveva  capito  che  cosa 
significasse  quel  nome  di  Oentucca  bisbigliato 
dal  lucchese;  però  gliene  chiese  ^iega^one. 


PURGATORIO  -  CANTO  XXIV 


455 


€  Femmina  è  nata,  e  non  porta  ancor  benda, 
cominciò  ei,  che  ti  farà  piacere 
45       la  mia  città,  come  ch'uom  la  riprenda. 
Tu  te  n'andrai  con  questo  antivedere; 
se  nel  mio  mormorar  prendesti  errore, 
48       dicliiarìranti  ancor  le  cose  vere. 
Ma  di'  s'io  veggio  qui  colui  che  fiiore 
trasse  le  nuove  rime,  cominciando: 
61        '  Donne,  ch'avete  intelletto  d'Amore  '  ». 


—  43.  renalM  eoo.  É  già  nata  (siamo  nel 
1300)  ed  è  ancora  gioTÌnetta,  non  porta  le 
benda  déDe  donne  maiitate,  nna  femmina, 
cioè  qaella  Oentnoca  poc*  anzi  ricordata,  la 
quale  ti  fuh  piacere  la  città  di  Lacca,  seb- 
bene or  sia  generalmente  rìpiefla.  —  45.  eome 
dk*  eem  ecc.  Accenna  ai  motd  coi  quali  i  to- 
scani in  generale  e  massime  i  fiorentini  e 
^sam  persegoitarono  in  ogni  tempo  i  Ino- 
chesi,  tenad  oonserratori  della  loro  indipen- 
denza ;  e  forae  anche  alla  fama  ch'essi  are- 
Tano  di  ban^tieri,  raccolta  da  Dante,  Inf.  xxi 
41.  —  46.  Ta  «e  a'aadral  eco.  Ta  te  n'an- 
drai con  qnesta  profezia,  di*  io  f  ho  fatta, 
cioè  ohe  una  glorine  donna  luodhese  ti  tuh 
piacer  la  mia  città.  —  47.  se  ael  mio  ecc. 
se  ta  tt  sei  ingannato  quanto  al  Tslore  delle 
parole  ch'io  monnorara,  i  fatti  ti  chiariranno 
a  loro  significato.  —  49.  Ha  di*  eoo.  Ma 
dimmi  se  io  non  sono  in  errore,  se  tn  sei 
Toramente  quel  Dante  Ali^^eri,  che  iniziò 
nna  naoya  maniera  di  poetare,  dandone  il 
primo  esempio  con  la  canzone  Donne,  eh'  aveU 
intellMo  d^  Amore,  —  60.  le  aiOTe  rime  ecc. 
Per  la  i^na  intelligenza  dì  qaosto  passo  ò 
da  notare  che  qoando  Dante  incomincid  a 
poetare,  circa  nel  12B3,  dae  scuole  di  poesia 
lirica  fiorivano  in  Italia:  la  scuola sioaùuta, 
cosi  detta  dal  luogo  ore  prima  si  formò,  al- 
largandosi poi  assai  presto  a  tutto  il  mezzo- 
giorno d'Italia  e  alla  Toscana,  doUa  quale 
Bcoola  furono  capi,  in  Sicilia  il  notaio  Oia- 
oomo  da  Lentini  (ofr.  v.  66)  e  in  Toscana 
Boonagiunta  da  Lucca;  e  la  scuola  doUrinalet 
che  teorizzò  largamente  sull'amore,  fiorita 
specialmente  in  Toscana  con  Guittone  d' A- 
rezzo  (cfr.  Purg.  xxvi  124)  ©  in  Bologna  con 
Guido  Gulnizolli  (cfr.  Pwrg,  xxvi  92).  I  poeti 
della  scuola  siciliana  non  fecero  altro  che 
dare  reste  italiana  alla  lirica  provenzale,  re- 
ftiingendola  agli  argomenti  amorosi  e  predi- 
ligendo laforma  metrica  della  canzone:  queUi 
della  scuola  dottrinale  si  staccarono  dalla  poe- 
sia provenzale,  introducendo  nelle  lor  rime 
le  teodche  e  le  discussioni  intomo  all'amore, 
allargando^  alcuni  ad  argomenti  filosofici  o 
religiosi  o  poUticl,  tentando  di  nobilitare  lo 
stile  poetico  coU' avvicinarsi  più  alla  costru- 
zione del  periodo  Utino,  accogUendo  accanto 

Daictb 


alla  canzone  il  sonetto.  A  queste  due  scuole 
seguitò  la  fiorentina,  detta  del  dolee  stU  nuovo 
(cfr.  r.  67),  cui  appartennero,  oltre  Dante, 
Guido  Oavalcanti  (cfr.  Inf.  z  60),  Lapo  Gianni, 
Dino  Frescobaldi,  Gianni  Alfani  e  pid  altri. 
Questi  poeti,  morendo  dalla  teorica  del  Gui- 
nizelli  sulla  natura  dell'amore,  considerato 
come  11  sentimento  proprio  delle  anime  vir- 
tuose, crearono  tutto  un  sistema  d'idealiz- 
zazione della  donna,  mescolando  le  specula- 
zioni dottrinali  allo  imaginazioni  geniali  della 
fantasia,  e  della  poesia  amatoria  fecero  per 
1  primi  in  Italia  una  vera  opera  d'arte:  poi- 
ché alla  profondità  e  novità  dei  concepimenti 
seppero  far  corrispondere  uno  stile  più  franco 
e  perspicoo,  una  lingua  più  naturale  •  più 
efficace,  e  forme  metriche  meglio  determinate 
(canzone  e  sonetto)  o  raccolte  dalla  poesia 
del  popolo  (ballata).  Tale  svolgimento  della 
lirica  italiana  nella  seconda  metà  del  se- 
colo xni  è  poeticamente  rappresentato  in  que- 
sto episodio  di  Buonagiunta.  —  61.  Donae, 
eh' avete  eco.  Cosi  comincia  la  prima  can- 
zone della  Vita  imiomi,  zix  17-86,  della  quale 
ecco  sommariamente  il  contenuto  :  n  poeta 
canta  della  sua  donna  per  isfogo  dell'  animo 
commosso,  rivolgendo  le  sue  parole  alle  donno 
innamorate  (17-90)  :  le  nature  angeliche  pre- 
gano il  Signore  di  accordar  loro  la  compa- 
gna di  Beatrice,  ma  la  misericordia  divina 
vuol  eh'  ella  rimanga  anoora  sulla  terra  (81- 
44).  D  poeta  vuol  dire  le  virtù  della  sua  don- 
na, la  quale  ove  appare  spegne  ogni  malva- 
gio pensiero,  nobilita  chi  la  vede  e  ottiene 
la  grazia  divina  a  chi  le  parla  (46-58)  :  Amore 
stesso  non  sa  come  ella  possa  essere  mortale 
e  la  giudica  opera  divina,  chó  il  suo  corpo 
ò  diffuso  d'un  soave  colore  di  perla,  gli  oc- 
chi feriscono  il  cuore  a  chi  la  riguarda  e  tutto 
il  suo  aspetto  è  sorridente  d'amore  (59-72). 
Da  ultimo  il  poeta  manda  fuori  la  sua  can- 
zone perché  trovi  la  via  a  Beatrice,  ferman- 
dosi a  chieder  di  loi  solo  a  donne  gentili  e 
a  uomini  cortesi  che  la  accompagnino  là  ove 
potrà  raccomandar  lui  ad  Amore  (73-86).  Que- 
sta canzone,  nella  quale,  come  Dante  stesso 
dice  (F.  N,  XVII  6),  gli  «  convenne  ripigliare 
materia  nova  e  più  nobile  che  la  passata  > 
dod  la  lode  della  gentilissima  Beatrice,  fu  il 

30 


466 


DIVINA  COMMEDIA 


I2d  io  a  lui  :  «  Io  mi  son  un  che,  quando 
amor  mi  spira,  noto,  ed  a  quel  modo 
54        che  ditta  dentro,  vo  significando  ». 
€  0  frate,  issa  veggio,  disse,  il  nodo 
che  il  Notare  e  Guittone  e  me  ritenne 
67        di  qua  dal  dolce  stil  nuovo  eh'  i'  odo. 
Io  veggio  ben  come  le  vostre  penne 
di  retro  al  dittator  sen  vanno  strette, 
60        che  delle  nostre  certo  non  avvenne; 
e  qual  più  a  guardar  oltre  si  mette, 
non  vede  più  dall'  uno  all'  altro  stilo  »  ; 
63       e  quasi  contentato  si  tacette. 

Come  gli  augei  che  veman  lungo  il  Nilo 
alcuna  volta  in  aer  fanno  schiera, 
66        poi  volan  più  in  fretta  e  vanno  in  filo; 


prindpio  delle  mtov»  rium,  dod  della  liiioa 
della  scuola  fiorentina,  ooi  accenna  Baona- 
ginnta.  —  62.  Io  mi  bob  ecc.  Dante  espone 
qui  il  prindpio  fondamentale  della  poeda,  por 
coi  lo  stile  ò  l'intima  rispondenza  della  pa- 
rola al  penderò  (ofr.  Inf.  i  87),  e  dice  :  Io 
sono  uno  ohe,  quando  mi  sento  inspirato  dal 
sentimento  dell'amore,  oesenro  la  natina  di 
qnesto  sentimento,  e  in  oonformità  a  oid  di'  d 
snsdta  nell'  animo  mio,  ai  fantasmi  che  eodta 
nella  mia  imaginazione,  yado  dgniflcando  nelle 
parole.  —  56.  0  frate  ecc.  Bnonagiunta,  ri- 
matore d' imitazione,  confessa  la  sua  inferio- 
rità, poiché  non  conobbe  questo  princ^o  fon- 
damentale dell'arte  della  parola,  e  involge 
seco,  in  nna  sola  condanna,  il  capo  della  scuola 
siciliana  e  quello  della  scuola  dottrinale,  di- 
cendo :  Fratello,  ora  vedo  l' impedimento  che 
tenne  il  notaio  Qiacomo  da  Lentini,  fra  Chiit- 
tone  d'Arezzo  e  me  lontani  dalla  perfedone 
della  poesia  di  cui  tu  hai  dato  l' esempio.  — 
issa:  cfr.  Inf,  zzvz  21.  —  66.  11  Notare: 
cosi  fa  chiamato,  quad  per  antonomasia,  Gia- 
como da  Lentini,  uno  dd  prindpali  notai 
della  curia  di  Federico  n,  autore  di  un  can- 
zoniere di  rime  provenzaloggianti  (VaL  I 
249-819):  visse  contemporaneo  a  Pier  della 
"Vigna,  appena  redattore  di  atti  imperiali  nd 
1233  e  venne  a  morte  intomo  al  1250.  Dante, 
De  vuig,  etoq.  i  12  ricordd  una  canzone  del 
Notare  non  senza  parole  di  lode  per  la  lin- 
gua ;  ma  qui  nd  poema  dio  di  lui  più  severo 
giudizio,  avendo  il  penderò  a  tutta  l' arte  di 
Giacomo  da  Lentini,  che  fu  di  pretta  imi- 
tazione trovadorica  :  cfr.  F.  Tornea,  IlnoL 
O.  da  J>iU%n<,  in  Studi  au  la  lirica  Ual., 
Bologna,  1902,  pp.  1-88,  e  A.  Zenatti,  Il  No- 
tato da  LtnHnif  Messina,  1889  (ofr.  BuU,  VI 
222).  —  e  Guittone  :  su  Guittone  d' Arezzo, 
capo  in  Toscana  della  scuola  dottrinale,  ofir. 


Purg,  xzvi  124.  —  67.  dolee  stil  buovo  :  que- 
ste parole  divennero  poi  appellativo  proprio 
della  scuola  fiorentina,  di  cui  Dante  io.  pro- 
motore e  massimo  ornamento  (cfr.  la  nota  al 
V.  60).  —  68.  Io  Ttgglo  eoo.  Bnonagiunta  non 
fa  che  ripetere  dò  che  Danto  ha  detto  a  lui, 
dod:  Io  ora  conosco  corno  vd  sorìvondo  se- 
guite r  ispirazione  d' amore,  mentre  noi  ba- 
dammo più  tosto  all'imitazione  dd  provenza- 
li. —  61.  0  q«al  ecc.  e  chiunque  d  mette  a 
conddorare  più  oh'  io  non  ho  fatto  la  differen- 
za fra  il  vostro  e  il  nostro  stile  non  può  ve- 
dere altro  di  diverso  tra  l'uno  e  l'altro,  se  non 
che  il  vostro  risponde  all'  ispiradone  d'amore, 
il  nostro  a  un  pedissequo  criterio  di  imita- 
done.  È  incredibile  la  quantità  e  la  qualità 
delle  stranezze,  in* cui  s'avvolsero  antichi  e 
moderni  interpreti  per  questi  verd  e  per  i 
precedenti  :  mi  sono  tenuto  alla  spiegazione 
più  sempUoe  e  più  naturale,  che  d  offre  spon- 
tanea a  ohi  legge  le  parole  di  Dante  con  qual- 
che conoscenza  dell'  argomento  e  senza  pre- 
concetti ;  chi  voglia  un  saggio  ddle  altrui  idee, 
cfr.  L  Ddla  Giovanna,  NàU  UUerarié,  Faler- 
mo,  1888,  pp.  1-26.  —  63.  e  qaaal  ecc.  Bno- 
nagiunta, sodisfatto  delle  parole  di  Dante 
e  della  propria  confesdone,  d  tacque  e  non 
volle  più  saper  dtro.  —  64.  Come  gii  aagel 
eoo.  dome  le  gru,  uccelli  che  passano  l'in- 
verno lun^  il  Nilo  (cfr.  I^trg,  jlulvi  46), 
formano  qudche  volta  una  schiera  larga  e 
compatta,  che  poi  per  la  fletta  dd  volare  d 
risolve  in  una  lunga  riga;  cod  le  anime, 
raooolted  per  un  momento  a  guardare,  ripre- 
sero a  camminare  in  fila.  Il  germe  della  oom- 
parazione  ò  in  Lucano,  Fan,  v  711  :  <  Stry- 
mona  do  gelidum,  bruma  pellente,  réUnquuut 
Poturae  te,  Nilo,  grues,  primoque  volata  £f> 
fingunt  varìas,  casu  monstrante,  figuras». 
>-  66.  vanao  in  filo:  cfr.  Inf,  v  47.  — 


PUBGATORIO  —  CANTO  XXIV 


467 


cosi  tutta  la  gente  che  li  era, 
volgendo  il  viso,  raffrettò  suo  passo, 
69       e  per  magrezza  e  per  voler  leggiera. 
E  come  l'uom  che  di  trottare  è  lasso 
lascia  andar  li  compagni,  e  si  passeggia 
72        fin  che  si  sfoghi  PaflPòllar  del  casso; 
si  lasciò  trapassar  la  santa  greggia 
Forese,  e  retro  meco  sen  veniva, 
75        dicendo:  «  Quando  fia  ch'io  ti  riveggia?  > 
<Non  so,  rispos'io  lui,  quant'io  mi  viva; 
ma  già  non  fia  il  tornar  mio  tanto  tosto 
78        ch'io  non  sia  col  voler  prima  alla  riva: 
però  che  il  loco,  u'fui  a  viver  posto, 
di  giorno  in  giorno  più  di  ben  si  spolpa, 
81        ed  a  trista  mina  par  disposto  ». 

«  Or  va,  diss'  ei,  ohe  quei  che  più  n'  ha  colpa 


68.  TOl^eado  il  Tito  eoo.  ▼olgondosi  a  desti», 
nella  direnone  del  loro  cammino,  mentre  sino 
allora  arerano  guardato  Dante  (cfir.  tv.  4-6). 
—  69.  e  per  magressa  eoo.  la  magiesza  e 
il  dedderio  della  penitenza  rendevano  le  ani- 
me pi6  agili  al  oorso.  —  70.  trottare:  oor- 
rere  ;  e  dioed  più  propriamente  degli  animali, 
ma  anche  degli  nomini  (p.  ee.  Booo.,  D«o. 
g.  n,  n.  2).  —  71.  paiieggia  :  U  vb.  jiOMéi^ 
gian  qtd  vale  camminare  al  passo.  —  73. 
fin  elie  eoe.  fino  a  che  sia  calmata  V  affan- 
nosa reepiradone,  prodotta  dalla  corsa.  — 
Mito  X  cfr.  Inf.  zn  122.  —  73.  if  lasciò  eoo. 
cosi  Forese  lasdd  passare  avanti  la  schiera 
dei  golosL  —  76.  Q«Mdo  fla  ecc.  Quando 
accadrà  che  io  ti  riveda,  o  qoi  o  altrove  ? 
Notano  alcnni  commentatori  ohe,  ponendo  in 
bocca  a  Forese  queste  parole,  Dante  abbia 
Tolnto  indirettamente  confsesarsi  colpevole 
del  vixio  della  gola;  ma,  oltre  ohe  l'inten- 
zione sna  non  sarebbe  troppo  manifesta,  ò 
da  osservare  òhe  il  nostro  poeta  Ai  molto 
temperato  :  «  nel  dbo  e  nel  poto  (scrive  il 
Bocc,  VUa  di  D.  9  8)  fu  modestissimo,  si  in 
prenderio  all'  ore  ordinate  e  sf  in  non  tra- 
passare 11  segno  della  necessità  qnel  pren- 
dendo ;  né  alcuna  curiosità  ebbe  mai  più  in 
uno  che  in  un  altro  :  li  dilicati  lodava,  e  il 
più  si  pasceva  di  grossi,  oltramodo  biasimando 
coloro,  li  quali  gran  parte  di  loro  studio  pon- 
gono in  avere  le  cose  elette  e  quelle  fare 
con  somma  dUigonzia  apparecchiare  >.  —  76. 
Kob  so  ecc.  Non  so  quanto  tempo  io  debba 
vivere  ancora,  ma  non  morird  mai  cosi  pre- 
sto come  desidererei  ;  perché  vedo  la  mia  Fi- 
xonze  precipitare  di  giorno  in  giorno  di  più 
nd  male  e  inchinata  alla  peggiore  rovina. 
Accenna  novamente  alle  discordie  fiorentine, 
che  s' andavano  manifestando  nella  città  in- 


tomo al  1800,  cagione  primissima  della  ro- 
vina di  Firenze  ;  cfr.  Inf.  vi  64  e  segg.  — 
77.  il  tornar  eoe  il  mio  ritomo  nel  purga- 
torio, dopo  la  morte.  —  82.  Or  va  eoo.  Fo- 
rese cerca  di  consolar  Dante  predicendogli 
in  forma  oscura  la  prossima  morte  ignomi- 
niosa di  Oorso  Donati,  il  maggior  colpevole 
dei  mali  ohe  oppressero  Firenze  nel  principio 
del  secolo  xiv.  —  qiel  ohe  pld  ecc.  Corso 
Donati,  fratello  di  Forese  e  di  Fiocarda,  tu. 
podestà  negli  anni  1283  e  '88  a  Bologna,  e 
nel  1289  a  Pistoia,  e  a  Bologna  capitano 
del  popolo  nel  '93  ;  e  come  capitano  dei  Pi- 
stoiesi combatté  a  Gampaldino:  più  tardi  ebbe 
gravi  inimicizie  coi  Cerchi  e  coi  Cavalcanti, 
contro  i  quali  seguitò  parte  Nera;  confinato, 
durante  il  priorato  di  Dante  dal  giugno  al- 
l'agosto 1300,  rappe  il  confine  e  alla  venata 
di  Carlo  di  Valois  (cfr.  Purg.  xx  70)  rientrò 
in  Firenze  ;  alla  cacciata  della  parte  Bianca, 
rimase  uno  dei  capi  della  parte  Nera,  gui- 
dandola alle  mberìe  e  ai  maleflzt  ;  nel  1303 
incominciarono  le  sue  discordie  coi  Neri  e 
specialmente  con  Bosso  della  Tosa,  le  quali 
toccarono  il  colmo  quando  Corso  oongìorò 
per  farsi  signore  assoluto  della  città:  ma  i 
suoi  avversari  presero  le  armi,  e  Corso  co- 
stretto a  fuggire  cadde  morto  presso  San  Salvi 
il  6  ottobre  1308.  «  Fu  (scrive  D.  Compagni, 
Or,  m  21)  cavaliere  di  grande  animo  e  nome, 
gentile  di  sangue  e  di  costumi,  di  corpo  bel- 
lissimo fino  alla  sua  vecchiezza,  di  bella  forma 
con  dilicate  fattezze,  di  pelo  bianco;  piace- 
vole, savio  e  ornato  parlatore,  e  a  gran  cose 
sempre  attendea;  pratico  e  dimestico  di  gran 
signori  e  di  nobili  uomini,  e  di  grande  ami- 
stà, e  famoso  per  tutta  Italia.  Nimico  tu.  dei 
popoli  e  de'  popolani,  amato  da'  masnadieri, 
pieno  di  maliziosi  pensieri,  reo  e  astuto.  Morto 


468 


DIVINA  COMMEDU 


yegg'io  a  coda  d*ana  bestia  tratto 
84       in  vèr  la  Valle,  ove  mai  non  si  soolpa. 
La  bestia  ad  ogni  passo  va  più  ratto, 
crescendo  sempre,  fin  ch'ella  il  percuote, 
87        e  lascia  il  corpo  vilmente  disfatto. 
Non  hanno  molto  a  volger  quelle  rote 
(e  drizzò  gli  occhi  al  oiel)  che  ti  fia  chiaro 
90        ciò  che  il  mìo  dir  più  dichiarar  non  puote. 
Tu  ti  rimani  ornai,  che  il  tempo  è  caro 
in  questo  regno  si  ch'io  perdo  troppo, 

98  venendo  teco  si  a  paro  a  paro  ». 
Qual  esce  alcuna  volta  di  galoppo 

lo  cavalier  di  schiera  che  cavalchi 
96       e  va  per  fiirsì  onor  del  primo  intoppo, 
tal  si  parti  da  noi  con  ma^ior  valchi; 
ed  io  rimasi  in  via  con  esso  i  due, 

99  che  fÙr  del  mondo  si  gran  maUscalchi. 
E  quando  innanzi  a  noi  entrato  foe, 

che  gli  occhi  miei  si  fero  a  lui  seguaci, 
102       come  la  mente  alle  parole  sue, 
parvermi  i  rami  gravidi  e  vivaci 


fa  da  uno  straniero  ood  Tilmente;  e  ben  sep- 
pono  i  consorti  dii  l'noolsei  che  di  subito 
da'  snoi  fi  mandato  via.  Ooloio  ohe  uccidete 
Io  fedone  furono  m.  Bosso  della  Tosa  e  m. 
Pazzino  de'  Tbxsì,  che  yolgarmente  per  tatti 
si  dicea  :  e  tali  li  benedioeano  e  tali  il  con- 
trario >.  —  88.  Tegg'lo  a  eoda  ecc.  veggio 
tratto  a  coda  di  cavallo  verso  l'inferno.  Il 
Compagni,  Or,  m  21,  dice  che  Oorso  Donati 
fa  preao  dai  mercenari  catalani  della  Signo- 
ria mentre  fuggiva  verso  la  badia  di  San 
Salvi,  faori  della  città,  e  che  on  di  quelli 
gli  did  d' ona  lancia  alla  ^la  e  nel  fianco  si 
eh'  egli  cadde  a  terra  morto  ;  il  Villani,  Or, 
vm  96,  lo  Stefiuii,  2ìrf.  ;^.  iv  264,  a  Ma- 
chiavelli, Ist.  fior,  n  28,  e  i  commentatori 
antichi  raccontano  variamente  la  morta  di 
Corso:  Dante,  giovandosi  delle  varie  voci 
corse  sa  questo  fatto  e  colorendole  libera- 
mente, rappresentò  la  fine  del  grande  agita- 
tore di  parte  Nera  come  miracolosa,  imagi- 
nando  ch'ei  fosse  tratto  a  coda  di  cavallo 
verso  l'inferno.  —  86.  ratto:  rapidamente. 
—  87.  vllmeate  disfìatto:  ignominiosamente 
aociso  ;  perché  il  corpo  di  Corso  rimase  ab- 
bandonato sulla  via,  e  fa  poi  ricolto  dai  mo- 
naci di  San  Salvi.  —  88.  Naa  haaBO  eoe 
Non  devono  lungamente  rotare  le  celesti  sfe- 
re, non  devono  cioè  passare  molti  anni  :  dal 
1800  al  1808  Ò  spazio  di  tempo  relativamente 
breve.  —  91.  Tu  ti  rlmaal  ecc.  Ormai  ri- 
mani pure  addietro  coi  taci  compagni,  dio 


nel  purgatorio  il  tempo  è  cosC  prezioso  cha 
io  venendo  teco  di  pari  passo  troppo  ne  per- 
dere. —  94.  Qaml  etee  eoe  Lomb.  :  €  dome 
interviene  aloana  volta  ohe,  cavalcando  adde- 
rà di  soldati  per  incontrare  il  nemico,  alcun 
de'  pifi  arditi  esce  dalla  schiera  di  galo^o 
incontro  al  nemioo,  per  aver  esso  l' onore 
d' essere  il  primo  a  combattere  ».  —  96.  1m- 
topi^:  «primo  incontro  coi  nomid»,  dice 
il  Boti  ;  significalo  che  bene  risponde  all'  eti- 
mologia della  parola  (cfir.  Dies  821)  e  al  va- 
lore dd  vb.  inkippar»  (ofr.  Inf,  vn  2S,  xn 
99).  —  97.  eoa  maggior  valeklt  oon  passi 
maggiori  dei  noatri:  talco  è  forma  contratta 
dieoMoo  (cfir.  Parodi,  BtdL  WL  lOlX  varoo, 
tratto  al  senso  di  pano.  —  98.  eoa  e«8«  1 
dnet  oon  soli  Stsdo  e  Virgilio,  aenz*  altra 
compagnia:  cfir.  Puirg,  iv  27.  —  99.  bmOI- 
sealdil:  maestri;  significazione  gwwrica  a 
cui  la  parola  è  tratta  dal  suo  partioolar  senso 
di  maestro  d'anni  e  di  cavaUi  (ofir.  Diez  204). 

—  100.  f  nasda  eco.  allorché  fa  tanto  lon- 
tano da  noi  che  1  mid  occhi  lo  vedevano 
oonfoMBiento  nello  stesso  modo  che  la  mia 
mente  consideraTa  la  profeda  da  Ini  *'***«n'' 

—  101.  gli  «eeki  eoo.  cfir.  Virgilio,  £bi.  vi 
200  :  <  Qoaatam  ade  possent  oonli  servare 
sequentum  >  (cfir.  Moore,  1 181).  —  lOB.  par- 
vermi  eoo.  Quesf  albero  che  sorge  aU'  uscita 
del  sesto  cerchio  è  un  rsmpdlo  deU'  albero 
della  scienza  dd  bene  e  dd  male  (ofr.  r.  UT), 
ed  è  imaginato  in  CQrrispcmdMkia  all'  albero 


PURGATORIO  —  CANTO  XXIV 


469 


d'un  altro  pomo,  e  non  molto  lontanì| 

105  per  esser  pare  allora  volto  in  làci. 
Vidi  gente  sott'esso  alzar  le  mani 

e  gridar  non  so  ohe  Terso  le  fronde, 

106  quasi  bramosi  £Euitolini  e  vani, 

ohe  pregano,  e  il  pregato  non  risponde, 
ma  per  òae  esser  ben  la  voglia  acuta, 
111       tien  alto  lor  disio  e  no  1  nasconde. 
Poi  si  parti  si  come  ricreduta; 
e  noi  venimmo  al  grande  arbore  adesso, 
114       che  tanti  preghi  e  lagrime  rifiuta. 

<  Trapassate  oltre  senza  feurvi  presso; 
l^QO  è  più  su  ohe  fu  morso  da  Eva, 

117       e  questa  pianta  si  levò  da  esso  »  : 
si  tra  le  frasche  non  so  chi  diceva; 
per  che  Virgilio  e  Stazio  ed  io,  ristretti, 
120       oltre  andavam  dal  lato  che  si  leva. 

<  Ricordivi,  dicea,  dei  maledetti 
nei  nuvoli  formati,  che  satolli 

123       Teseo  combatter  coi  doppi  petti; 

e  degli  ebrei,  ch'ai  ber  si  mostrar  molli, 
per  che  no'  i  volle  G^eon  compagni, 


eb»  foi|^  air  entrate  (ofr.  IStrg,  xxn  180)  : 
da  questo  vsoiraimo  Tod  a  xicaidaxe  esempi 
di  gokMltà  punite.  —  grarldl  •  TlTftel  :  ca- 
liobi  di  Cnitd  e  di  verdi  foglie.  —  106.  per 
•ntr  eoo.  perohó  eolamento  allon  ero  stoI- 
teto  daOa  eorva  del  monte,  nella  diiexione 
del  Inogo  ore  l'albero  aoigev».  ~  Uelt  là 
(efr.  Parodi,  BmU.  m  188).  — 106.  Tldl  eoe 
I  golosi  itenno  sotto  Palbero,  con  le  mani 
risate  •  gridando  paiole  di  desiderio  verso  i 
rami,  ch'essi  vedono  Iwn  oaiiehi  di  fratta.  — 
106.  fnasl  %raai<^BÌ  eco.  oome  Canno  i  tendol- 
letti,  che  slzan  le  mani  e  gridano  chiedendo 
qualche  cosa  a  nomini,  ohe  non  rispondono 
né  poro  alle  loro  preghiere,  ma  mostrano  loro 
la  oosa  desiderate  tenendola  alte  perché  non 
v'arrivino,  e  oosf -eccitano  maggiormente  il 
loro  desiderio.  Si  consideri  la  bellezza  di  que- 
ste comparaxione,  còlta  dal  vero  e  resa  con 
tratti  cosi  fedeli  ohe  l'azione  appare  quasi 
agli  occhi  del  lettore  con  tutti  i  caratteri 
deDa  realtà.  —  HO.  senta:  ofr.  Jnf,  zxvx 
121.  —  112.  rlerednte:  persuasa  ormai  di 
non  linsoiie  a  cogliere  1  pomi  dell'albero 
vietato.  ~  118.  e  nel  eoo.  e  noi  ci  acco- 
stammo snUto  SU'  albero,  che  non  esaudisce 
le  lagiimose  prei^ìiere  di  tanto  anime.  — 
■fleis»;  oltre  il  signiflcato  moderno  (I^irg, 
xvm  106),  due  altri  ebbe  questo  avverbio 
nella  lingua  antica;  nella  quale  assumeva 


spesso  il  valore  di  ««mprs,  e  non  di  rado 
quello  di  «uMto,  tosto,  che  ha  in  questo  luogo 
di  Danto  (cfr.  Parodi,  BulL  TU  182).  —  116. 
Trapassate  eltre  eoo.  :  cfr.  Purg.  zzn  141, 
e  rioorda  il  luogo  del  Ometi  n  17  :  «Ma  non 
mangiar  dell'  albero  della  conosoenca  del  bene 
e  del  male  >.  —  116.  legno  è  eoo.  nel  para- 
diso terrestre,  sulla  cima  di  questo  monto, 
è  l'albero  della  scienza,  dal  quale  £va  stsocd 
a  pomo  (Omu  m  6),  e  dall'  albero  della  scienza 
derivò  questo  del  sesto  cerchio.  —  118.  non 
se  ehi  :  l'ignoto  custode  dell'  albero,  forse  un 
angelo  :  cfr.  Purg.  zzn  140.  —  120.  dal  Iato 
ecc.  dalla  parto,  che  si  leva  in  alto,  dalla 
parto  della  costa.  —  121.  Bleerdlvl  ecc.  n 
primo  esempio  gridato  dall'ignote  voce  è 
quello  dei  Centauri,  nati  da  Iasione  e  da  Ne- 
fele  ossia  dalla  nuvola  cui  Giove  aveva  date 
la  forma  di  Giunone,  ohe,  inviteti  dai  Lapiti 
alle  nozze  di  Pirìtoo  e  Ippodomfa,  s' ubria- 
carono e  avendo  tentato  di  forzare  le  donne 
furono  combattuti  e  vinti  da  Teseo  (ofr.  Inf. 
zn  66,  72).  — 128.  eoi  doppi  peta  :  d' uomo 
e  di  cavallo:  cfr.  hif,  zn  84.  —  124.  •  de- 
gli ebrei  ecc.  D  seconda  esempio  è  quello 
degli  ebrei,  che  seguivano  Gedeone  contro  i 
Madianiti  :  si  raoconte  nella  bibbia  (Oiudiei 
VI,  VII)  che  Gedeone  rimandò  tetti  coloro  che 
alla  fónte  di  Arad  s' inginocchiarono  per  bere 
e  invece  elesse  e  condusse  seco  all'  impresa 


470 


DIVINA  COMMEDIA 


126        quando  vèr  Madian  discese  i  colli  >. 
Si,  accostati  all'un  de' due  vivagni, 
passammo,  udendo  colpe  della  gola, 
129       seguite  già  da  miseri  guadagni 
Poi,  rallargati  per  la  strada  sola, 
ben  mille  passi  e  più  ci  portare  oltre, 
182       contemplando  ciascun  senza  parola. 
«  Che  andate  pensando  si  voi  sol  tre?  > 
sùbita  voce  disse;  ond'io  mi  scossi, 
135       come  fan  bestie  spaventate  e  poltre. 
Drizsai  la  testa  per  veder  chi  fossi; 
e  giammai  non  si  videro  in  fornace 
188       vetri  o  metalli  si  lucenti  e  rossi, 

com'io  vidi  un  che  dicea:  <S'a  voi  piace 
montare  in  su,  qui  si  convien  dar  volta; 
141        quinci  si  va,  chi  vuole  andar  per  pace  ». 
L'aspetto  suo  m'avea  la  vista  tolta: 
per  ch'io  mi  volsi  retro  a' miei  dottori, 
144        com'uom  che  va  secondo  ch'egli,  ascolta. 
E  quale,  annunziatrice  degli  albori, 
l'aura  di  maggio  movesi  ed  olezza, 
147       tutta  impregnata  dall'erba  e  da' fiori; 
tal  mi  sentii  un  vento  dar  per  mezza 
la  fronte,  e  ben  senti*  mover  la  piuma, 


quelli  chA  s'exano  leoato  r  acqua  alla  bocca 
con  le  mani.  —  126.  «vMido  Tir  Madlàa 
eco.  :  cfr.  OUidioi  im  8  :  e  il  campo  de'  Ma- 
dianiti era  disotto  di  Ini  nella  valle  ;  e  in 
quella  notte  il  Signore  gli  disse  :  *  Levati, 
scendi  nel  campo  '  ».  —  127.  TlTagal  :  parti 
estreme;  cfir.  B%f,  ziv  128.  —  128.  colpe 
della  goÌM  ecc.  esempi  di  golosità  seguita 
dal  debito  castigo.  —  180.  Poi  raUargatt 
ecc.  I  tre  poeti,  che  s*  erano  fra  s6  ristretti 
(v.  119)  per  passare  tra  Talbero  e  la  costa, 
ora  si  staccano  l'nno  dall'altro  allargandosi 
per  il  ripiano  e  cosi  camminano  tacendo  e 
contemplando  per  oltre  un  miglialo  di  passi. 
~  188.  Tol  sol  tre:  Toi  tre  soli;  cfr.  Bif. 
vn  8.  —  184.  itfblta  voce  eoe  la  voce  del- 
l'angelo,  che  rìsnona  d'improvviso  in  qnel 
raccoglimento  dei  tre  poeti.  —  186.  eoae 
fiM  ecc.  come  fanno  le  bestie  distorbato  nella 
loro  quieto,  spaventato  mentre  riposano.  Cosi 
pare  da  intondere  questo  passo,  se  si  voglia 
dare  all'agg.  poUn  il  valore  di  tranquille, 
riposato  (ofr.  Dies  268).  Altri  invece,  come 
liina,  Benv.  ecc.  spiegano  ix>ttrv  per  |N>tt0dr0, 
glovini,  non  dome  o  simile;  e  finalmente  al- 
tri intendono  poUn  per  paurose,  imbelli  (ofr. 
Diez  740).  Non  è  ben  chiaro  il  senso  ohe 
questa  voce  ha  nell'  Ariosto,  OrL  xxm  90  : 


«  La  bestia  eh*  era  spaventosa  e  poltra  »,  ove 
è,  pift  ohe  altro,  un  xioordo  dantesco.  —  136. 
fossi:  ^  pera.;  cfr.  Jnf.  iv  64.  —  187.  t 
glaMmai  ecc.  non  apparvero  mai  ri^Iandenti 
di  tanto  e  cosi  intensa  luce  i  vetri  e  i  me- 
talli in  fruione,  quant'  era  lo  sfolgorare  del- 
l' angelo.  —  189.  um  che  dic«a  eco.  d  V  an- 
gelo della  temperanza,  custode  di  questo  cer^ 
Ohio,  che  invito  i  poeti  a  volgersi  alla  sinistra 
per  incominciare  a  salire.  ~  141.  f  olici  eoo. 
da  questo  parto  si  va,  se  si  vuole  andare 
alla  beatitudine.'  —  142.  L*Mpetto  eco.  :  so- 
lito effetto  delle  apparizioni  angeliche,  che 
per  il  troppo  splendore  vincono  i  sensi  di 
Danto  (ofr.  Purg.  n  89,  ix  81,  zv  25  eoo.). 
—  143.  mi  Tolsi  ecc.  I  poeti  camminavano 
alla  pari  :  Danto,  vinto  dall'  improvviso  ba- 
gliore, rivolse  indietro  il  viso,  ma  continuò 
a  camminare  alla  pari  con  loro,  tenendo  sem- 
pre la  faccia  rivoltato  indietro  e  seguitando 
il  suono  delle  parole  e  il  rumore  dei  passi 
dei  suoi  compagm.  —  145.  E  «lale  ecc.  Ven- 
turi 46  :  e  Similitudine  ohe  fa  sentire  la  fra- 
granza delle  angeliche  piume,  e  in  cui  alla 
soavità  dell'imagine  consuona  la  dolcezza 
delle  parole  e  degli  accenti  ».  —  148.  «■ 
vento  dAT  eoo.  :  è  il  ventilare  delle  ali  an- 
geliche, por  cui  è  tolto  di  messo  alla  fronte 


PURGATORIO  -  CANTO  XXIV 


471 


150 


154 


che  fé'  sentir  d'ambrosia  l'orezza. 

E  senti'  dir  :  <  Beati  coi  alluma 
tanto  di  grazia  che  l'amor  del  gusto 
nel  petto  lor  troppo  diair  non  fuma, 

esuriendo  sempre  quanto  è  giusto  >. 


di  Dante  un  altro  dei  sette  segni  di  peccato. 
—  160.  ehe  fé'  eoo.  la  qoale  mosse  all'in- 
torno nn  efflavio  odoroso  d' ambrosia,  nn' odo- 
rosa aura  di  diyinità.  —  oreiia:  la  firagran- 
xa,  r  efflayio  odoroso  (da  a/urat  ofr.  Diez  81)  ; 
tanto  d  vero  che  Dante  traduce  l' espressione 
Tiigiliana  {Owrg,  iv  415)  :  e  et  liqnidom  am- 
brosiae  difladit  odorem  >.  —  151.  Beati  eil 
eoe  È  nna  parafhusi  della  qoarta  'beatitadine 


evangelica  (Matteo  v  6),  limitata  alle  parole , 
Beati  qìd  wmwmt  wsiitiam  (ofr.  Pwrg,  zxii 
4),  esplicate  da  Dante  oos(  :  Beati  ooloro,  che 
sono  Ulnminati  dalla  grazia  divina  in  modo 
che  nei  loro  petti  l'amor  del  ffusto,  la  gola 
non  soscita  eccessivo  desiderio,  estarimdOf  ap- 
petendo essi  solo  ciò  che  è  conveniente.  — 
154.  esnrleado:  il  vb.  esurtre^  come  inlat., 
significa  aver  tmn.e,  appetire. 


CANTO  XXV 

Mentre  salgono  verso  il  settimo  cerchio,  Stazio  per  invito  di  Vir^rilio 
espone  a  Dante  la  teoria  della  generazione  e  formazione  del  corpo  e  del- 
l'anima vegetativa  e  sensitiva,  l'origine  dell'anima  razionale,  l'esistenza 
dell'anima  dopo  la  morte  del  corpo:  poi  pervengono  nel  settimo  cerchio, 
oconpato  da  nna  fiamma,  di  mezzo  alla  quale  gli  spiriti  dei  lussuriosi  can- 
tano esempi  di  castità  [12  aprile,  dalle  dae  pomerid.  sino  oltre  le  quattro]. 

Ora  era  onde  il  salir  non  yolea  storpio, 
che  il  sole  avea  lo  cerchio  di  merigge 
8        lasciato  al  Tauro  e  la  notte  allo  Scorpio: 
per  che,  come  fa  l'nom  che  non  s'affigge, 
ma  yassi  alla  via  sua  che  che  gli  appaia, 
6        se  di  bisogno  stimolo  il  trafigge, 
cosi  entrammo  noi  per  la  callaia, 
imo  innanzi  altro,  prendendo  la  scala 


XSV  1.  Ora  tra  ecc.  I  tre  poeti  erano 
pervenati  al  sesto  cerchio  alle  ore  nndid  an- 
timerìdiane  (ofr.  Purg,  xnx  118-120);  nel 
oammino  e  nel  conversare  tra  loro  e  con  le 
anime  impiegarono  un  certo  tempo  (ofr.  iVy. 
zzrv  91),  ohe  si  pad  raggoagliare  a  tre  ore 
cizea,  poiché  la  maggior  parte  degli  interpreti 
ammettono  che  al  momento  d'incominciare  a 
salire  verso  il  settimo  cerchio  fossero  le  dne 
pomeridiane.  Questo  tempo  ò  determinato  da 
Dante  oosf  :  1^  già  nn'  ora  per  la  qnale  la 
salita  non  ammetteva  più  indugio,  perché  il 
sole,  avanzandosi  alla  ooetaUazione  dell'Arie- 
te, aveva  già  oltrepassato  il  cerchio  meridiano, 
lasciandolo  presso  alla  costellazione  del  Toro 
e  ximanendo  la  Notte,  dod  il  ponto  onlmi- 
sante  di  essa,  nella  costellazione  dello  Scor- 
pione diametralmente  opposta  a  quella  del 
Toro:  Hoore,  pp.  119-120.  —  onde  11  salir 
eco.  la  mfcr^**  difficoltà  all'  interpretazione 


di  questo  verso  è  nella  parola  storpio,  spie- 
gata dal  Lana,  Bnti,  An.  fior,  per  impaeoiOy 
e  da  Benv.  per  impedimdrUum  ;  nel  qoal  senso 
si  ha  atorpio  in  parecchi  scritti  antichi  (ofr. 
Parodi,  Bull.  JH  165)  e  stroppio  nel  Petrar- 
ca, Bon.  zzxn  1  ;  il  verso  dantesco  significa 
dunque  :  Era  ora  tanto  tarda,  per  cui  il  sa- 
lire non  volea,  non  tollerava  pid  alcun  impe- 
dimento, esigeva  dod  ohe  deposto  ogni  indu- 
gio d  aiCrettassimo  su  per  la  scala.  —  4.  eome 
fk  eoo.  come  l'uomo  che  stimolato  dal  bisogno 
non  d  ferma,  ma  continua  il  suo  cammino 
qualunque  cosa  gli  apparisca.  —  s*  af  Agge  : 
d  ferma  ;  ofr.  Lif.  xn  116,  Purg,  xi  186,  zui 
83  eco.  —  5.  che  ehe  t  formadone  pronomi- 
nale analoga  al  guai  eh»  del  I^trg.  zvi  69.  — 
7.  callaia:  stretto  passaggio;  quello  della 
scala  del  settimo  cerchio  (ofr.  eolia,  nello  stesso 
senso,  in  Purg,  xv  22,  ec  123,  e  Parodi,  Bull. 
m  160).  —  8.  nno  Innanzi  altro  i  ofr.  Pwg. 


472 


DIVINA  COMMEDIA 


9        che  per  artezza  i  salitor  dispaia. 
E  quale  il  cicognin,  che  leva  l'ala 
per  voglia  di  volare,  e  non  s'attenta 
12        d' abbandonar  lo  nido,  e  giù  la  cala; 
tal  era  io  con  voglia  accesa  e  spenta 
di  domandar,  venendo  infino  all'atto 
15       che  fa  colui  eh' a  dicer  s'argomenta. 
Non  lasciò,  per  l'andar  che  fosse  ratto, 
lo  dolce  padre  mio,  ma  disse:  <  Scocca 
18       l'arco  del  dir  che  insino  al  ferro  hai  tratto  ». 
Allor  sicuramente  aprii  la  bocca, 
e  cominciai:  <  Come  si  può  &r  magro 
21        là  dove  l'uopo  di  nutrir  non  tocca?  » 
€  Se  t'ammontassi  come  Meleagro 
si  consumò  al  consumar  d'un  stizzo, 
24       non  fora,  disse,  questo  a  te  si  agro; 
e  se  pensassi  come  al  vostro  guizzo 
guizza  dentro  allo  specchio  vostra  imago, 
27       ciò  che  par  duro  ti  parrebbe  vizzo: 
ma  perché  dentro  a  tuo  voler  t'adage. 


■^MM 


zzvi  1.  —  9.  ehe  ptr  artMM  «».  ohe  per 

U  sua  strettezza  oostrìnge  coloro  die  salgono 
a  metterai  un  dopo  l'altro:  ortexgM  è  nome 
derirato  dall*agg.  arto,  vai  quale  cfr.  Far, 
xxym  8S.  —  10.  fwde  11  deogmlm  ecc.  Si 
paragoni  la  atopenda  aimilitodino  dantesca, 
che  rende  oon  poche  parole  •  mirabile  effi- 
cacia una  aitoazione  coaÌ  difficile  a  rappre- 
aentare,  oon  qneata  di  Stazio,  Tèb,  x  468  : 
«  Volucrom  aio  torba  reoentom,  Cnm  redn- 
cem  longo  prospexit  in  aethere  matrem,  Ire 
cnpit  centra,  aummoqne  e  margine  nidi  £x- 
atat  hiana;  iam  iamqne  oadat,  ni  pectore 
toto  Obstet  aperta  parens,  et  amantìboa  in- 
crepet  alia  >.  —  18.  aeeeaa  e  aptita  :  accesa 
dal  desidezio  di  sapere,  spenta  dal  timore  di 
rìnadre  importano.  —  li.  ali*  atte  eoo.  al 
muover  delle  labbra,  proprio  dell' nomo  che 
ai  dispone  a  parlare.  —  16.  per  l'aadar  ecc. 
per  quanto  rapido  fosae  il  nostro  camminare. 
—  17.  Seoeea  eoo.  Virgilio  vuol  dire  a  Dan- 
te :  Di'  pnre  liberamente  dò  ohe  ti  è  Tenuto 
alno  alle  labbra,  e  che  tu  hai  taduto  per  ti- 
more ;  e  lo  dice  imaginosamente,  paragonando 
la  Toglia  dd  parlare  che  ata  per  prorompere 
all'arco  teao  alno  a  toccare  il  fèrro  dello 
atrale,  dod  alno  all'ultimo  limite,  oltre  il 
quale  non  d  pud  pid  tendere,  come  la  parola 
non  può  pld  oltre  andare,  aenza  parìare, 
quando  ò  giunta  alle  labbra.  ~  20.  €eae  al 
può  ecc.  Oome  mai  le  ombre  dd  acato  cer- 
chio, oho  non  aentono  biaogno  di  nutrimento, 
poaaono  aoffirire  la  magrezza?  Questo  dubbio 
d  era  suscitato  nella  mente  di  Dante  alla 


▼lata  deUe  anime  dd  golod  o  alle  parola 
dette  da  Foreee  drca  la  loro  condizione  (ofr, 
Pwy,  xxm  61  e  aegg.).  —  22.  Se  t'aamea- 
total  eco.  Virgilio  cerca  di  chiarire  il  du^ 
bio  dd  ano  diaoopolo  con  un  esempio  ndto- 
logioo  e  oon  una  comparadone  tratta  dm  un 
fittto  naturale,  e  gli  dice:  6e  tu  penaaad 
oome  Mdeagro  d  oonsumd  in  brevissimo  tem- 
po 0  come  istantaneamente  lo  apeochio  riflette 
i  movimenti  dd  corpi,  non  ti  sembrerebbe 
difficile  intendere  come  le  ombre  dd  golod 
presentino  tanta  magrezza.  —  Hdea^ra:  Me- 
leagro, figlio  di  Oeneo  re  di  CaUdone  e  di  Al- 
tea, doveva  vivere  tanto  tempo  quanto  avreb- 
be impiegato  a  bruciare  un  tizzone  acceso  al 
momento  della  sua  nascita:  sua  madre  lo 
apenae  e  lo  oonaervò  per  mdti  anni;  ma 
quando  Mdeagro  ebbe  uodd  Fledppo  e  Toa- 
seofiratdU  di  Altea,  essa  sdegnata  gettò  sul 
fnooo  il  tizzone,  e  nd  tempo  che  questo  d 
oonsumd  andie  Meleagro  ta  disfatto  e  morto 
(cfr.  Ovidio,  IM.  vm  4A&-626).  —  28.  atf  t- 
za:  tizzone,  tronco  gittate  a  brudare:  ofr. 
Inf,  zm  40.  —  24.  agre  t  difficile  a  inten- 
dere. ~  25.  eoBie  al  vastra  eoo.  al  voetro 
rapido  movimento  a' accompagna  nello  apeo- 
chio il  repido  movimento  dell' imagina.  ~ 
27.  vizza  :  molle,  appaadto;  qui,  per  tra- 
slato, aignifica  faoiU,  in  oppoaiziona  a  tficro, 
che  vale  diffleile,  —  28.  ma  perdio  eoo.  Vizw 
gilio  non  ha  potuto  chiarire  il  dnbUo  di  Dan- 
te :  oon  1'  eaempio  di  Mdeagro  ha  valuto  mo- 
atrargli  ohe  l'uomo  può  dimagrare  alno  alla 
oonannsone,  par  oai^ont  divena  dalla  naa- 


PURGATORIO  -  CANTO  XXV 


473 


ecco  qui  Stazioi  ed  io  lui  cMamo  e  prego 
80       che  sia  or  sanator  delle  tue  piage  >. 
<  Se  la  veduta  etema  gli  dislego, 
rispose  Stazio,  là  dove  tu  sie, 
83       discolpi  me  non  potert'io  far  nego  ». 
Poi  cominciò  :  <  Se  le  parole  mie, 
figlio,  la  mente  tua  guarda  e  riceve, 
86       lume  ti  fieno  al  come  che  tu  die. 
Sangue  perfetto,  che  mai  non  si  beve 
dall'assetate  vene,  e  si  rimane 
89        quasi  alimento  che  di  mensa  leve^ 


di  nutrimento;  con  l'aismpio  dello 
specchio  ha  Tohtto  dire  ohe  eome  lo  specohie 
rende  ogni  moto  di  chi  vi  guaxda,  cosi  le 
ombre,  specchi  delle  mime,  mostrano  al  di 
fùoii  le  soffivense  delle  anime  stesse,  e  nella 
magrezza  gli  «flètti  della  lor  penitenza.  In- 
Tita  pendo  Staado  a  dare  a  Dante  una  più 
piena  e  dottrinale  spiegazione  del  flktto  che 
ha  suscitato  il  dubbio  del  compagno.  —  den- 
tre  a  tao  Teler  eoo.  :  dne  interpretazioni 
e*  hanno  di  questo  luogo,  quella  del  Lomb.  : 
€  afltnché  ti  aooonodi  •  acquieti  nel  desiderio 
tao  »,  e  quella  del  Torelli:  «  Vadagi  dentro 
e  toc  volere,  a  toa  posta  >  :  la  sostanza  poi 
ddla  sentsnza  è  U  stsssa:  aiBnòhó  tu  possa, 
eome  d  tuo  desidaiio,  intendere  pienamente 
la  cosa.  "  29.  eeeo  «al  Stsstet  IHrgiUo 
commette  e  Stazio  l' esposizione  delle  dottrine 
ttSaMm  ella  generazione  dei  corpi  e  alla  f or- 
maslone  dell'anima,  perchó  questo  esa  un 
ponto  di  filosofia  da  trattare  al  lume  della 
fede  cristfana,  e  bisognava  un  cristiano  a 
pazkue  hi  oonformità  allo  dottrine  di  Tom- 
■aeo  d'Aquino.  —  80.  déDe  tae  »iag«:  dei 
tuoi  dubbi,  che  sono  oome  le  piaghe  della 
menta.  Quanto  alla  Ibrma,  nota  Q  Parodi, 
Bufi,  m  122:  €  i  plurali  di  Danto  in  ùi,  ce 
ecc.  9000  latinismi;  latinismi  però  che  si 
usarano  al  suo  tempo  anche  in  prosa  >:  cfir. 
Av.  TI  ISe,  zxa  4.  —  SI.  Se  la  TSduU 
eoo.  Se  io  (^  spiogo  dò  ch'egli  ha  visto  nel 
purgatorio,  mentre  sei  presento  tu  ohe  potre- 
sti me^  di  me  illuminailo,  me  ne  scusi  il 
£rtto  ch'io  sono  stato  pregato  da  to  a  &r  dò. 
Stazio,  JiwftmmAj  premetto  garbatamente  pa- 
role di  scasa,  parendogli  quasi  superbo  il 
prendere  il  luogo  del  maestro.  —  veduta  eter- 
na: €  veritetem  aetemam  hulus  qoaestio- 
nis  >,  dice  Benv.  ;  ma  meglio  V  Ott  «  fa  m- 
4uta  dsQ'  anime  ohe  sono  eteme  >  :  poiché 
appunto  il  fine  della  esposizione  di  Stazio  d 
di  mostrare  come  le  ombre,  veduto  magre  da 
Danto,  possano  apparir  tali  (cfr.  v.  106).  Al- 
tri leggoBO  wmdita  «tema  (Buti:  «doò  la 
giustizia  di  Dio  >)  o  etrtudd  etema  (Lana  : 
«  doè  la  virtnde  di  Dio  droa  lo  fatto  del- 


l' uomo  >),  lezioni  che  non  hanno  suadenti 
testimonianze  in  loro  lìivore.  —  82.  ta  sie: 
tu  sia;  forma  di  congiuntivo  assai  firequento 
in  Danto  e  negli  altri  antichi  (cfr.  Parodi, 
BtOL  m  126).—  84.  Pel  eemladò:  si  noti 
die  Stuio  rivolge  le  parole  di  scasa  a  Vir- 
gilio, quelle  dell'  esposizione  dottrinale  a  Dan- 
to. —  Se  le  parole  eco.  Biooria  questo  av- 
vertimento quello  dd  Prov.  u  1  :  <  Figliaol 
mio,  se  tu  rioevi  i  mid  detti,  e  riponi  appo 
to  i  ndd  comandamenti, ...  allora  tu  inton- 
derai»  ecc.  Questo  ragionamento  di  Stazio 
svolge  le  dottrine  azistotoliche  salla  genera- 
zione degli  animali  (De  gener.  animaL  i  18- 
19,  n  1-4;  cfr.  Kooro,  I  868,  ove  sono  in- 
dicati i  singoli  pasd  in  corrispondenza  od 
verd  di  DantoX  intese  secondo  l'intorpre- 
tazione  tomistica  (cfr.  specialmento  Tomm. 
d'Aq.,  Summa.^  p.  I,  qu.  oxvm  e  cziz),  e 
fa  mostrato  fllosoflcamento  dal  Varchi,  Le" 
%4oni  eul  Danie^  voi.  I,  pp.  4-116,  e  da  più 
altri  moderni.  D  ragionamento  è  diviso  in 
quattro  punti  :  prima  sviluppa  la  teorica  della 
generazione  doli'  uomo  e  il  graduato  svolgi- 
mento dd  feto  e  ddle  forze  corporee,  doò 
dell'anima  vegetativa  e  sendtìva  (w.  87-60), 
e  poi  spiega  corno  s'infonde  neùa  creatura 
r  anima  razionale  (w.  61-78);  spone  qoindi  il 
modo  dell'  esistenza  doli'  anima  dopo  la  morte 
del  corpo  (w.  79-87),  e  finalmente  la  genesi 
e  la  condizione  delle  ombre  (w.  88-108).  — 
86.  Inae  ecc.  ti  saranno  lume  a  intendere 
come  avvenga  dò  che  ta  did,  doò  che  le 
anime  sono  consunte  per  magrezza.  —  die: 
did  ;  formate  dalla  voce  tronca  di*  e  daU'epi- 
ted  (cfr.  Nannucd,  Verbi  570  e  Parodi,  BuU. 
ni  126).  —  87.  Sangue  perfetto  ecc.  Lo 
sperma,  aangue  perfetto^  da  una  certa  dige- 
stione preparato  al  conoepimente,  sangue  che 
non  d  mai  assorbito  dalle  vene  e  non  essendo 
necessario  alla  nutrizione  è  come  il  dbo  su- 
perfluo che  dopo  il  paste  rimane  e  d  leva 
dalle  mense,  prende  nel  cuore  ddl'uomo  «tr- 
imU  infarmatiioa^  una  virtd  che  dà  essenza  e 
natora  a  tatto  l^membra  umane,  ocme  quello 
ohe,  essendo  qaell'  elemento  che  scorre  per  le 


474 


DIVINA  COMMEDIA 


prende  nel  core  a  tutte  membra  umane 
TÌrtute  informativa,  come  quello 
42       eh' a  &r8i  quelle  per  le  Tene  Tane. 
Ancor  digesto  scende  ot'ò  più  bello 
tacer  cbe  dire;  e  quindi  poscia  geme 
45       sopr*  altrui  sangue  in  naturai  Tasello. 
Itì  s'accoglie  l'uno  e  l'altro  insieme, 
l'un  disposto  a  patire  e  l'altro  a  fare, 
48       per  lo  perfetto  loco  onde  si  preme; 
e,  giunto  lui,  comincia  ad  operare, 
coagulando  prima,  e  poi  avviva 
51        ciò  cbe  per  sua  materia  fé'  constare. 
Anima  fatta  la  virtute  attiva, 
qual  d'una  pianta,  in  tanto  differente 
54        cbe  quest'ò  in  via  e  quella  è  già  a  riva, 
tanto  opra  poi  cbe  già  si  move  e  sente, 
come  fango  marino;  ed  indi  imprende 
57       ad  organar  le  posse  ond'è  semente. 
Or  si  spiega,  figliuolo,  or  si  distende 


T«ne  a  farai  quéttet  a  diyenira  membia  uma- 
ne, a  generare  nn  altro  ooipo.  —  42.  Tàat  : 
▼a;  ò  la  8*  pera.  sing.  oon  Tepiteii  (otr. 
Purg.  IT  22)  ;  ooti  F.  da  Baibexino,  i>O0iiiii. 
d'Amor»  :  «  Tutta  la  gente  ohe  apexando  Ta- 
ne »  (ofr.  Kannnooi,  Vèrbi  628).  —  48.  An- 
eor  dlgeste  eoo.  KnoTamente  digerito,  lo 
sperma  soende  nel  teetiooli  ;  e  da  queeti  ftilla 
eopra  il  sangoe  mestruo  della  donna  in  ttO' 
éural  vatMot  nella  matrice.  —  pltf  bello  eoo. 
più  opportuno,  più  oonTeniente  usare  nn'  e- 
spressione  pudicamente  Telata;  ofr.  D' Ori- 
dio,  pp.  609,  612.  —  44.  geme  :  ofr.  In/1  xm 
41.  —  46.  iTi  8'  aeeogUe  eco.  Nella  matrice 
si  rinnisoono  il  sangue  dell'uomo,  ossia  lo 
sperma,  e  n  sangue  della  donna  :  questo,  di- 
sposto a  riooTere  la  forma  datagli  dallo  sper^ 
ma;  queUo,  disposto  a  operare,  in  causa  del 
perfetto  loeOf  del  cuore  onde  è  usdto.  —  49. 
e,  gionto  eco.  e  questo  sperma,  congiunto 
al  sangue  femmineo,  comincia  ad  operare, 
prima  eoag%tiando  cioè  formando  l'embrione, 
e  poi  dÀ  Tita  a  ciò  cui  did  consistenza,  a 
ciò  che  ooagold,  come  materia  necessaria  alla 
sua  operazione.  ~  glaato  lui  :  il  participio 
del  Tb.  giungere  ha  qui  il  signiflcato  di  eoi»- 
giuniOt  vnHo,  come  altioTe  in  Dante  (Inf. 
xxvm  139,  Purg,  zti  86,  112);  e  lui  ò  U 
notissimo  datlTO  (cfr.  In/',  i  81).  —  60.  eoa- 
gulando  :  il  Tb.  coagutaret  che  indica  Tatto 
del  ridurre  a  consistenza  le  sostanze  liquide, 
ò  bene  appropriato  a  esprimere  1*  idea  del  rao* 
cogliersi  degli  elementi  s^di  che  costitui- 
scono r  embrione.  —  61.  eonstare  :  stare  in- 
sieme, prendere  consistenza.  —  6! 


Cstta  eoo.  La  Tirtd  attiTa  del  seme  pateimo 
diTenuto  cosi  anima  TegetatiTa  come  quoUa 
della  pianta  (salTo  ohe  l'anima  TegetatiTa 
dell'uomo  è  in  via  cioè  è  principio  allo  btì- 
luppo  di  altro  «niaM,  mentre  iuTeoe  la  Tirtft 
dalla  pianta  è  a  riva  cioè  è  oomplnta  in  sé, 
non  dA  luogo  ad  ulteriori  STiluppi)  eontinna 
ad  operare  tanto  che  la  materia  finimata  si 
muoTO  e  sente.  —  68.  In  taat«  eoe  Vanhi  : 
e  Se  bene  pare  ohe  Dante  in  queste  parole 
non  Teglia  ohe  tra  l'anima  TegetatiTa  dell» 
piante  e  quella  degli  uomini  sia  altra  diffe- 
renza, se  non  che  quella  delle  piante  è  com- 
pita e  formata,  non  aspettando  altra  anima, 
n6  sensitÌTa  come  i  brutif  né  razionale  come 
gli  uomini,  non  doTemo  pesò  otedere  che  egU 
Tolesse  dire  questo  solo  e  che  non  allesse 
che  l'anima  TegetatiTa  delle  piante  a  delle 
fiere  e  delli  uomini  sono  diTerse  di  spezie  »  : 
si  cfr.  inf&tti  le  idee  esposte  da  Dante  droa 
la  diTorsa  Tita  delle  piante,  dei  bruti  a  degli 
uomini,  nel  Oom.  rr  7.  ~  66.  eoae  Auge 
marino:  Lana:  «  Aingo  marino  è  una  ooa- 
grolazione  materiale,  la  quale  si  fk  in  mare, 
e  sente  e  muoTeei,  ma  non  è  organato  »  ; 
cosi  press' a  poco  gli  altri  antichi,  i  quali 
crederano  ohe  i  zoofiti  fossero  dotati  di  un'a- 
nima TegetatiTa.  —  ed  Indi  eoo.  e  di  qui, 
da  questo  stato,  la  Tirtfi  attira  del  germe 
cominoia  ad  organar  k  poem,  a  formare  ^ 
organi  delle  potenze  delle  quali  è  princ^ 
generante,  doè  dei  dnque  sensL  —  68.  Or 
il  spiega  eoe  A  questo  punte  la  Tirtfi  at- 
tiTa del  germe,  che  deriTa  dal  cuoia  dell'uomo 
(cfr.  T.  87  e  segg.),  nel  quale  cuore  la  Tirtù 


PUEGATOKIO  -  CANTO  XXV 


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la  virtù  eh' è  dal  cor  del  generante, 
ove  natura  a  tutte  membra  intende. 

Ma  come  d'animai  diyegna  £Gaite, 
non  Tedi  tu  ancor:  quest'ò  tal  punto 
che  più  savio  di  te  fé' già  errante; 

si  che,  per  sua  dottrina,  fé' disgiunto 
dall'anima  il  possibile  intelletto, 
perché  da  lui  non  vide  organo  assunto. 

Apri  alla  verità  che  viene  il  petto, 
e  sappi  che,  si  tosto  come  al  feto 
l'articular  del  cerebro  è  perfetto, 

lo  motor  primo  a  lui  si  volge  lieto, 
sopra  tanta  arte  di  natura,  e  spira 
spirito  nuovo  di  virtù  repleto, 

che  ciò  che  trova  attivo  quivi  tira 
in  sua  sustanzia,  e  fassi  un'alma  sola, 
che  vive  e  sente,  e  sé  in  sé  rigira.        • 

E  perché  meno  ammiri  la  parola, 
guarda  il  calor  del  sol  che  si  fa  vino, 


nstniale  sttende  ali*  formazione  di  tatto  le 
membra  {etr,  y.  40-41),  ti  ipftga  «  ti  diiitndó, 
si  dilata  doò  sa  tatto  le  parti  del  oorpo, 
estendendo  ad  esse  la  propria  potenza,  oo- 
monicando  a  dascnna  la  propria  forza  :  cosi 
ai  forma  1*  anima  sensltlTa.  »  61.  M*  eeme 
eoe.  Ma  io  non  ti  ho  àncora  spiegato  l'ori- 
gine dell'  anima  razionale,  come  t^tmfmaltf  il 
feto,  diyenti  /bufo,  nomo  dototo  di  ragione: 
e  qoesto  è  nn  ponto  cosi  difficile,  ohe  già 
toasse  in  errore  degli  nomini  più  sapienti  di 
te.  —  68.  pltf  saile  eoo.  n  savio  qoi  aooen- 
nato  d,  come  ben  Tide  Benr.,  Ibn-Bosohd 
(efr.  Inf.  IV  144),  il  qoale  nel  suo  commento 
sopra  Aristotele  distingue  due  principi  intel- 
lettivi, VifUtUetto  attivo  ohe  è  impersonale, 
etemo,  separato  dagli  individoi,  e  VinttUtUo 
pattim  ohe  è  transitorio  e  dipende  dall'  al- 
tro: l'intelletto  attivo  è  donqae  disgiunto 
quanto  all'  oosonn  dafi^  individui  ed  ò  un 
solo  per  tutti  gli  uomini;  e  oosi  per  questa 
dottrina  essendo  distrutta  la  diversità  del- 
l'intelletto  possibile,  ohe  solo  è  immortale, 
ne  segue  ohe  dopo  la  morto  non  resta  altro 
delle  anime  umane  se  non  l' unità  dell'  intel- 
letto attivo,  e  non  sono  ammesse  le  pene  e 
le  lioompenBe  della  vita  etema  (ofr.  E.  Be- 
nan,  Averrdet  tt  VAvtrroitms,  dt,  pp.  122  e 
segg.).  La  dottrina  averroistica  ta  strenua- 
mente combattota  da  Tommaso  d'Aquino, 
Stimma,  p.  I,  qu.  Lzxvi,  art  2:  qu.  t.ttit, 
art.  5;  qu.  ozvn,  art.  1;  qu.  ozvm,  art.  2; 
e  p.  I  ^,  qu.  L,  art  4.  ~  64.  fé'  dlsgianto  ' 
eoe  pose  come  separato  dall'anima  umana 
VkiMUaopottibik,  doà»  leoondo  la  filosofia 


sodastioa,  un'  intelligenza  universale  di  cui 
le  anime  partedpano,  perché  non  vide  or- 
gano attuiUo  da  lui,  organo  alcuno  deputato 
propriamente  a  questo  intelletto  possibile.  — 
67.  Afri  eco.  Disponi  la  tua  mento  ad  acco- 
gliere la  verità  intomo  a  questo  argomento. 
—  68.  sf  teste  ee»e  eoe  appena  nel  foto  è 
compiuto  l^arHeular  dtl  etnbrot  l'organizza- 
zione del  cervello,  il  primo  motort,  doò  Dio, 
d  volge  lietamento  a  M,  al  feto  stesso,  topra 
taatfartt  di  natmra,  sopra  il  corpo  umano  con 
tante  perfezione  conformato,  e  v'infonde  la 
nuova  anima  razionale  ripiena  di  virtà.  — 
70.  si  volge  Usto  :  ofr.  Pmg,  xvi  89  :  e  l'a- 
nima Bkossa  da  lieto  fattore  ».  —  72.  muevo: 
nuovamento  creato,  non  preesistento.  ~  78. 
che  dò  ohe  trova  eoo.  la  quale  anima  ra- 
zionale tira  in  ttta  tottanxa,  identifica  nella 
sua  sostanza  eid  che  quM  trova  ottico,  quelle 
potenze  ohe  nd  feto  trova  sviluppato,  doò 
r anima  vegetativa  e  la  sendtiva;  e  di  tutto 
d  forma  una  tota  anima,  ohe  vive,  sento  e 
pensa.  ~  75.  ehe  vIto  eco.  :  vkft  in  quanto 
ò  facoltà  vegetativa,  tonte  in  quanto  ò  fMohà 
sendtiva,  e  «^  m  «^  rigira,  doò  rifletto  in 
s6  stessa  su  sé  stessa,  acquisto  la  oosdenza 
di  sé,  in  quanto  ò  faodtà  inteUettìva.  —  76. 
E  perehtf  eoo.  £  perché  ta  non  abbia  a  me» 
ravigliarti  tanto  di  dò  ohe  ti  ho  detto,  oon- 
ddera  come  il  calore  dd  rsggt  solari  oon- 
giungendod  all'  umore  della  vito  lo  trasforma 
in  vino  :  cod  lo  tpòrito  nuovo  infuso  da  Dio 
noli' anima oAs  v»M  «  santola  tramute  in  anima 
intellettiva.  —  parola  i  ofr.  Inf,  n  48.  —  77. 
guarda  il  eàlor  eoo.  Ventali  14  :  «  Mirabile 


476 


DIVINA  COMlfEDU 


78       giunto  all'umor  die  dalla  yite  cola. 
E  quando  LaolieBis  non  ha  più  lino, 
Bolyesi  dalla  oame^  ed  in  virtute 
81       Beco  ne  porta  e  Pomano  e  il  divino: 
l'altre  potense,  tutte  quante  mute; 
memoria,  intelligensa  e  yolontade, 
84       in  atto  molto  più  che  prima  aoutOi 
Senz'arrestarsi,  per  sé  stessa  cade 
mirabilmente  ali* una  delle  rive; 
87       quivi  conosce  prima  le  sue  strade. 
Tosto  che  loco  li  la  oirconscrive, 
la  virtù  formativa  raggia  intomo, 
90       cosi  e  quanto  nelle  membra  vive; 
e  come  l'aer,  quand'ò  ben  piomo, 
per  l'altrui  raggio  che  in  sé  si  riflette 
93       di  diversi  color  diventa  adomo, 
cosi  l'aer  vidn  quivi  si  mette 
in  quella  forma,  che  in  lui  suggella 
96        virtualmente  l'alma  che  ristette; 


è  U  proprietà  di  queste  BimilHndine,  qnalniH 
qne  ne  sia  fl  yalore  sdentifloo.  n  genne  di 
siffiitte  imagine  trorasi  in  più  greci  poeti; 
e  anco  Cicerone  disse  dell'  aya:  Sueeo ttm§ 
et  eaìon  tolia  augetemi  {De  smucL  xv  68)  >. 

—  79.  qvude  IiMhesfs  eoo.  quando  la  Par- 
ca, ohe  fila  lo  stame  della  Tlte  (ofr.  Purg» 
zxi  26),  non  ha  più  lino  da  filare,  cioè  quando 
l'uomo  perviene  al  termine  deUa  soa  esisten- 
ca,  r  anima  si  scioglie  dal  corpo  e  ne  porte 
seco  Vstmano  e  il  divimt  doè  le  poton»  oor- 
poree  o  sensitiTe,  e  le  potenze  intellettaalL 

—  82.  l'altre  potense  eoo.  le  AuM>Ità  sensi- 
tiTe, distratti  per  morto  i  loro  organi,  riman- 
gono inattive:  le  fftoolte  spirituali  invece, 
non  più  offoscato  dalle  infloense  ooiporee, 
divengono  più  pienamente  attive  che  non 
fossero  prima.  —  84.  pltf  thè  prima  aoite  : 
perché,  dice  il  Bnti,  «  hanno  memoria  senza 
dimenticazione,  tntoìligenria  senza  difetto,  e 
volente  ferma  ed  invariabile  >.  —  86.  8e«* 
a*  arrestarsi  eoo.  L' anima,  liberate  dal  corpo 
per  morto,  senza  fermarsi  nn  momento  prende 
per  se  ttetea^  istintivamente,  la  direrione  del- 
l'inferno  o  del  purgatorio,  ignara  del  proprio 
destino,  ginnte  all'una  delle  rive,  alla  riva 
d'Acheronte  se  d  destinate  alla  dannazione 
(cfr.  Inf.  m  121  e  segg.)  o  alla  foce  del  Te- 
vere se  è  destinate  a  luogo  di  salvazione  (cfr. 
Purg,  n  104),  conosce  primamente  le  ave  etro' 
de,  dove  cioè  essa  debba  andare.  —  88.  To- 
sto che  loco  ecc.  Appena  essa  anima  è  cir- 
coscritte dal  luogo,  cioè  è  giunte  al  luogo 
assegnatole  (riva  d' Acherooto  o  foce  del  Te- 
vere), la  virtù  formativa  ohe  è  in  lei  (cfr. 


TT.  40-42)  raggia^  inooadnola  a  asoraitate  la 
sua  potenza  suIT  aria  dreustente  (ofr.  tt.  94 
e  segg.),  in  queUa  8ts«a  forma,  coH,  e  In 
quella  stessa  misura,  qmmto,  ohe  gte  Mar- 
cito sul  corpo,  sulla  veembra  vke.  Dawilia 
poeticamente  il  flmnant  dell' ombia  intorno 
a  ciascuna  anima,  la  quale  oosf  Tiene  ad  as- 
sumere una  sembisnsa  oorporsa  oonfòme  alla 
sostanza  ooiporea  in  cui  frr  rtauslihisa  neOa 
prima  vite  :  sulle  questioni  lelatlvv  a  qoesto 
passo  ofr.  K.  Soarano,  La  saliiama  détte  on»- 
bre  nella  D.  C.  nella  Ihuva  JM.,  a.  1866, 
serie  4%  voL  LYTTT,  pp.  127-16L  »  91. 
eoae  Pacr  eoo.  come  l'sìla,  quando  è  assai 
pregna  di  vapori,  a  cagione  del  taggt  solari 
rifitatti  in  essa  dalle  gooolcUne  dsn'aoqua  si 
adoma  dei  vaxl  colori  dsU'irlde  eoo.  È  dot- 
trina aristotelica,  Mtteor,  nt  4.  »  plerae  : 
e  pieno  fi  nuguli  acquosi  >,  dioe  n  Boti  ;  eCi- 
mologicamoito,  è  un'  alterazione  deQ'agg.  ^ie- 
«omo,  dal  lat  pkivto.  —  94.  «atf  Paar  eoo.  in 
cotal  modo,  l'arte  circostante  si  luogo  ovo 
l'anima  s' è  arrestete  ei  matts,  si  di^sa  In 
qurila  forma  fi  oorpo  che  ranlma  stessa,  ter- 
matasi  in  quel  luogo,  <n  hd  enggeOa^  iaprime 
in  essa  aria  vMnaAnfftft,  per  la  virtd  form% 
tiva  da  lei  conservata.  —  96.  1b  o<na  fanui 
ecc.  8i  noti  che  questo  ooacetto  deD*  anima 
che  dopo  morto  per  la  sua  potenn  creativa  si 
forma  intomo  una  sembianza  oorporsa  non  è 
conforme  alle  dottrine  di  Vommsso  d'Aquino, 
U  quale  dioe:  e  Anima  separate  a  ootpoto non 
babet  aliquod  ooipus»  {Summa^  p.  in,  Bug^L 
qu.  Lzix,  art.  1);  ma  Danto  doveva  di  no- 
oessite  imaginare  le  anime  dei  suoi  zegni  con 


■?«  "^ 


PURGATORIO  —  CANTQ  XXV 


477 


e  simigliante  poi  alla  fiammellay 
ohe  segue  il  fuoco  là  'vunque  si  muta, 
99       segue  allo  spirto  sua  forma  novella. 
Però  ohe  quindi  ha  poscia  sua  paruta, 
è  ohiamat' ombra;  e  quindi  organa  poi 
102       ciascun  sentire  infino  alla  veduta. 
Quindi  parliamo,  e  quindi  ridiam  noi, 
quindi  facciam  le  lagrime  e  i  sospiri 
106       che  per  lo  monte  aver  sentiti  puoi. 
Secondo  ohe  ci  affliggono  i  desiri 
e  gli  altri  affetti,  l'ombra  si  figura, 
106       e  questa  è  la  cagion  di  che  tu  ammiri  >. 
£  già  venuto  all'  ultima  tortura 
s'era  per  noi,  e  volto  alla  man  destra, 
111       ed  eravamo  attenti  ad  altra  cura. 
Quivi  la  ripa  fiamma  in  fuor  balestra, 
e  la  cornice  spira  fiato  in  suso, 
114       ohe  la  riflette^  e  via  da  lei  sequestra; 


B^or»  corporea,  altrinMBti  aon  «vrebbe  po- 
tato oCtoncr»  quelli  effetti  d'erte,  ohe  egli 
ei  jnfODBWh,  ~  97.  e  etMlgllaMle  eoo.  Ven- 
tali 79  :  e  La  fama  è  il  murro  oorpo  aeieo, 
onde  imagiAA  fl  poete  rireetlie  le  enime 
dopo  la  motte;  la  quale  finma  eegne  lo  ^ 
rito»  oome  la  flamnella  fl  fnooo.  Similitudine 
tasto  Mo^pUa,  qianto  aemplioe  >.  —  96.  al 
MBlAS  li  tiamuta,  si  tresporta.  ~  100.  Però 
Ae  eoe  Per  qoeato  ohe  l'anima  ha  ma  pa^ 
fvta,  aoqaiita  pazranxa,  appare  Tisibfle,  tfii^ 
M^  da  qaeito  ooepo  aereo,  è  chiamata  ombra, 
cioè  eoaa  ohe  lupare  ed  è  impalpabile.  — 
lOl.  •  faUdl  «rfaBa  eoo.  e  di  quecto  corpo 
aereo  irif  r***^  tatd  i  eenai,  tino  a  quello 
della  Tieta,  ohe  è  il  più  compleeso  e  il  pid 
pedétto  di  tato.  —  106.  ({aUdi  parliamo 
eoo.  Per  qaeeto  cozpo  aereo  noi  anime  pos- 
tiamo parlare  e  rìdere,  piangere  e  soepixare, 
oomo  ta  puoi  arerò  oeeerTato  perooirendo  il 
pugatocio.  Vizgilio,  a  propoolto  del  contatto 
deUe  anime  od  ooipo,  dice  {En,  ti  788): 
«  Hino  metonnt  copiiintqae,  dolent  gandent- 
qne  »  ;  e  Dante  iTdge  lo  atoeso  pensiero  dr- 
ooecriTendolo  agli  atti  propri  delle  anime  del 
pnzgatorio,  le  qnali,  come  si  rode  ad  ogni 
momento,  parlano  e  rìdono,  piangono  e  so- 
ipixano.  —  106.  Secamde  che  eoo.  Secondo 
ohe  i  dedderf  e  gli  altri  sentimenti,  la  spo- 
tanxa,  la  panra,  il  piacere,  la  gioia  eco.  d 
toccano,  la  nostra  ombra  yviamente  H  figura, 
prende  direno  aspetto.  La  lezione  a/fliggono 
sta  benissimo,  pnr  ohe  al  yb.  affliggere  si  dia, 
non  U  senso  di  addohntr»,  ma  il  più  generico 
Il  eperar  sopra,  toeoare  ;  d' altra  parte  la  pid 
eonnne  ledono  affiggono  darebbe  al  Tb.  affig- 
gere un  significato  che  non  ha  mai  in  Dante, 


il  quale  l'osa  sempre  a  esprimere  l'azione 
del  fermare  o  fieeare  il  corpo,  i  sensi  o  il 
pensiero  (cfr.  Ji/:  xn  115,  xtui  i3,  Purg, 
ZI  135,  zm  88,  xm  77,  zzrd,  zzz  7,  zzzzu 
106,  Par,  I  48,  ZZY  26,  zzzm  183).  —  106. 
di  ehe  t«  eco.  di  qoel  dimagrimento  del  quale 
ta  ti  sei  mostrato  meravigliato  :  cfr.  ty.  20- 
21.  —  loe.  B  gìk  Tenato  eoo.  A  questo 
ponto  del  discorso  di  Stazio,  i  tre  poeti  già 
penrennti  al  sommo  dolla  scala,  sol  ripiano 
dell'ultimo  cerchio,  si  Tolgono  alla  destra, 
non  pensando  pid  alla  questione  trattata  nel 
lungo  ragionamento  di  lui,  ma  attenti  a  un'al- 
tra necessità,  quella  di  causare  le  fiamme  che 
occupavano  tutto  il  luogo.  —  altlma  torta- 
ra  :  ultimo  cerchio  ;  so  non  che  il  nome  tor- 
tura,  secondo  Beny.  seguito  da  altri  inter- 
preti, significali  cammino  circolare  che  i  poeti 
incominciano  entrando  nel  cerchio  (e  nunc  in- 
traturi  ipsum  ciroulum  indpiebant  torquere 
et  flectere  ylam,  ideo  talem  deflezionem  ap- 
pellat  torturam  >);  mentre  secondo  il  Boti  e 
i  pid  dei  oommentatori  di  poi  ò  nel  signifi- 
cato usuale  di  tormento,  pena,  né  e*  d  ragione 
di  allontanarsi  da  questa  pid  semplice  e  na- 
turale interpretazione  :  si  noti  che  tormento 
ò  detta  pid  volte  la  pena  delle  anime  del 
purgatorio  (IKtrg.  z  116,  zm  187,  zzi  66  ecc.). 
—  112.  Qalvl  la  ripa  eco.  Nel  settimo  cer- 
chio, la  costa  del  monte  scaglia  in  ftiori  una 
fiamma  e  i'orìo  esteriore  manda  in  su  un 
vento  che  fa  ripiegare  indietro  la  fiamma  o 
l'allontana  dall'orlo  stesso:  la  fiamma  esco 
dunque  con  tanto  impeto  dal  monte  che  oc- 
cuperebbe tutta  la  via  circolare,  ma  un  vento 
che  spira  dall'  estremo  lembo  del  ripiano  ri- 
caccia la  fiamma  in  dentro  in  modo  da  la- 


478 


DIVINA  COMMEDU 


onde  ir  ne  convenia  dal  lato  sohiuso 
ad  uno  ad  uno,  ed  io  temeva  il  foco 
117        quinci,  e  quindi  temea  cadere  in  giuso. 
Lo  duca  mio  dicea:  €  Per  questo  loco 
si  vuol  tenere  agli  occhi  stretto  il  freno, 
120        però  ch'errar  potrebbesi  per  poco  >. 
<  Summae  Deus  clementiae  »  nel  seno 
del  grande  ardore  allora  udii  cantando, 
123       che  di  volger  mi  fé'  caler  non  meno: 
e  vidi  spirti  per  la  fiamma  andando; 
per  ch'io  guardava  loro  ed  a' miei  passi, 
126        compartendo  la  vista  a  quando  a  quando. 
Appresso  il  fine  eh' a  quell'inno  fassi, 
gridavano  alto  :  <  Virum  non  cognosco  »  ; 
129        indi  ricominciavan  l'inno  bassL 
Finitolo  anco,  gridavano  :  <  Al  bosco 
si  tenne  Diana,  ed  Elice  caccionne 
IdQ       che  di  Venere  avea  sentito  il  tòsco  >. 
Indi  al  cantar  tornavano;  indi  donne 
gridavano  e  mariti,  che  fùr  casti, 
185        come  virtute  e  matrimonio  impónne. 


n 


sciare  uno  stretto  passaggio  sull'orlo  este- 
riore. —  115.  OBde  Ir  ecc.  per  la  qnal  oosa 
ci  bisognaya  camminare  per  Torlo  uno  dopo 
l'altro  (cfr.  iVry.  zzvi  1),  ed  io  dalla  parte 
sinistra  temeva  di  cadere  nel  ftioco,  dalla 
destra  di  cadere  noi  ynoto.  Erroneamente  al- 
cuni commentatori,  Benv.  tra  gli  antichi, 
Scart  tra  i  moderni,  spiegano  quinei,  dalla 
deetra,  e  quindi,  dalla  sinistra  :  i  poeti  en- 
trati nel  cerchio  piegano  a  destra  (ofir.  ▼.  110) 
per  la  legge  solita  da  essi  seguita  (cfr.  Purg. 
xxn  123);  perciò  anche  qui  hanno  le  desbre 
di  furi  {Purg,  xix  81)  e  la  sinistra  verso  la 
ripa  e  la  fiamma.  —  119.  si  Tiol  eco.  biso- 
gna frenare  gli  occhi,  che  non  divaghino, 
altrimenti  d  facile  mettere  i  piedi  in  fallo. 
—  121.  Soauiae  eco.  Le  anime  dei  lussuriosi, 
stando  a  espiare  la  loro  colpa  in  mezzo  alle 
fiamme,  cantano  un  inno  al  Signore  e  alter- 
nano eeempi  di  castità  (cfr.  w.  1S3  e  segg.)  : 
r  inno  ohe  essi  cantano  è  quello  che  la  Chiesa 
recita  nel  mattutino  del  sabato,  molto  appro- 
priato ai  lussuriosi,  massime  per  i  vr.  9-12: 
«  LomboB  iecurque  morbidom  Flammis  adure 
oongruis,  Accincti  ut  artus  excubent  Luxu 
remoto  pessimo  »  :  si  noti  per  altro  che  que- 
sf  inno  comincia  Summa»  parmu  eìemeniiae 
ed  ò  ben  diverso  dall'  inno  che  comincia  5um- 
fna«  Dem  elemmiiae,  cantato  dalla  Chiesa 
nella  festa  dei  sette  dolori  della  Madonna; 
ma  forse  anticamente  i  due  inni  avevano  lo 
stesso  piincipio  o  Dante,  pur  volendosi  rife- 
rire a  quello  del  sabato,  scrisse  il  primo  verso 


dell'altro,  per  la  conformità  del  pensiero  • 
deUe  parole.  —  123.  che  di  volger  eoo.  fl 
qual  canto  mi  foco  premuroso  di  volgami 
alla  fiamma  non  wmo  che  di  attendere  a  non 
uscire  dallo  stretto  passo.  — 124.  spirti  ecc.: 
questi  spiriti  sono  i  lussuriosi,  che  procedono 
per  mezzo  alla  fiamma  distinti  in  due  sdiiere 
(cfr.  Purg,  xrvx  28  e  segg.).  —  126.  guar- 
dava eoe  guardava,  oompartendo  il  mio  guar- 
dare, ora  alle  anime,  ora  al  mio  cammino. 
—  127.  Appresso  U  flae  eoe  Finito  fl  canto 
dell'inno,  le  anime  gridano  esempi  di  casti- 
tà :  Dante  sente  cosi  celebrare  la  virt6  della 
Madonna  e  di  Diana.  —  128.  Tinta  ecc. 
Maria  Vergine,  secondo  U  vangelo  (Luca  i 
34),  disse  all'  angelo  OabHele  :  e  Come  av- 
v«n:à  questo,  poiché  io  non  conosco  uomo?  »  ; 
e  cosi  qui  con  le  sue  proprie  parole  è  cele- 
brata come  esempio  di  donna  casta.  —  129. 
bassi  :  a  bassa  voce,  quasi  a  modo  di  pr^ 
ghiera.  —  180.  aaeo:  nuovamente.  Vuol 
dire  il  poeta  che,  cantato  che  avevano  l'inno 
per  la  seconda  volta,  gridavano  il  secondo 
esempio  di  castità:  quindi  d  erronea  la  pun- 
teggiatura dello  Scart.,  che  pone  la  virgola 
dopo  fimtoto.  —  Al  bosco  si  ttaae  ecc.  Elice, 
figlia  di  Licaone-,  era  una  delle  ninfe  compa- 
gne di  Diana;  sedotta  da  Giovo  to.  dalla  dea 
vergognosamente  scacciata  dal  bosco  perché 
rimanesse  pura  e  incontaminata  la  dimora  sua 
e  delle  altro  ninfe:  Ovidio,  Met.  n  401-508; 
cfr.  Mooro,  I  221.  —  133.  al  cantar:  al  canto 
dell'inno  Summae  Deus  eltmmtiae.  —  136. 


PURGATORIO  -  CANTO  XXV 


479 


E  questo  modo  credo  ohe  lor  basti 
per  tutto  il  tempo  che  il  foco  gli  abbrucia; 
con  tal  cura  conyien,  con  cotai  pasti 
189    cbe  la  piaga  da  sezzo  si  ricucia. 


e«ne  Tlrtsto  e<ìo.  come  impongono  le  leggi 
morali  e  leliglose.  —  InpdBae  :  impone  a  noi 
nomini  ;  forae  si  potrebbe  sorìTere  impon  «0, 
eonaidenndolo  come  nn  omo  di  rima  compo- 
sta (ofr.  Inf.  TH  28).  Parodi,  BuU,  m  ìli: 
e  Si  noti  che  certe  asprezze,  ohe  urtano  il  no- 
stro gusto  moderno,  nrtavaQo  cosi  poco  glian- 
ticlii  nostri  in  genere  e  Dante  in  ispede,  ohe 
egli  assai  spesso  non  si  cara  di  evitarle,  oome 


potrebbe,  modificando  il  rerso  nel  più  som- 
plioe  e  più  fa/cSÌ»  modo  >.  ~  136.  kastl  :  duri, 
oontinni.  —  188.  eoa  tal  enra  eco.  in  tal 
maniera,  00»  tal  owra^  quella  del  canto  del- 
l'inno,  eon  colai  jMsh',  quelli  degli  esempi  di 
castità,  conylene  che  alla  fine  si  ricuoia,  si 
rimargini  la  piaga,  si  purghi  il  peccato  della 
lussuria.  —  188.  4a  sesso s  da  ultimo;  cfr. 
JB*f.  vn  laO. 


CANTO  XXVI 


Continuando  in  compagnia  di  Virgilio  e  dì  Stazio  il  sno  cammino  nel 
settimo  cerchio,  Dante  vede  rincontro  delle  due  schiere  in  coi  sono  partiti 
i  lussuriosi  ;  poi  trova  Oaido  Gninizelli  bolognese,  col  quale  conversa  lun- 
gamente, e  il  trovatore  Arnaldo  Daniello,  che  gli  rivolge  la  parola  in  lin- 
gua provenzale  [12  aprile,  da  oltre  le  quattro  pomeridiane  sino  alle  sei]. 

Mentre  che  si  per  l'orlo,  uno  innanzi  altro, 
ce  n'andayamo,  e  spesso  il  buon  maestro 

8  diceva:  «Guarda,  giovi  ch'io  ti  scaltro >, 
feriami  il  sole  in  su  l'omero  destro, 

che  già,  raggiando,  tutto  l'occidente 
6        mutava  in  bianco  aspetto  di  cilestro: 
ed  io  facea  con  l'ombra  più  rovente 
parer  la  fiamma;  e  pure  a  tanto  indizio 

9  vid'io  molt' ombre,  andando,  poner  mente. 
Questa  fu  la  cagion  che  diede  inizio 

loro  a  parlar  di  me;  e  cominciarsi 
12        a  dir:  <  Colui  non  par  corpo  fittizio  ». 


XXVI  1.  sC  per  l'orlo  ecc.  cosi,  uno 
dietro  l' altro,  lungo  il  maigine  esteriore  del 
cerchio  :  cfr.  Purg.  xxv  116  e  segg.  —  8. 
Otarda,  giovi  eco.  Bada  dove  metti  i  piedi, 
non  sia  vano  l' avvertimento  che  io  t' ho  dato  : 
ofr.  Purg.  xxv  118-120.  —  A.  ftriami  U  sole 
eoe.  il  sole,  che  diffondendo  i  suoi  raggi  mu- 
tava in  bianco  l' azzurrino  colore  della  parte 
occidentale  del  cielo,  mi  colpiva  sulla  spalla 
destra.  Dal  momento  in  cui  i  tre  poeti  ave- 
vano inoomindato  a  salire  per  la  scala  verso 
U  settimo  cerohio  {Purg,  xxv  1)  dovevano 
OMOio  trascorse  due  buone  ore  ;  poiché  il  mo- 
mento descrìtto  qui  da  Dante  cade  all'  Incirca 
tra  le  ore  quattro  e  le  cinque  pomeridiane, 
àDorqTiando  la  luce  bianca  del  sole  domina 
nella  plaga  occidentale  del  cielo  :  cfr.  Moore, 


pp.  120-121.  —  7.  ed  lo  faeea  ecc.  L*  ombra 
di  Dante,  cadendo  da  destra  verso  sinistra 
proiettata  sulla  fiamma,  la  fhoeva  parere  più 
rosseggiante;  perché  la  luce  solare  non  fe- 
riva più  direttamente  quei  punti  della  fiamma 
su  cui  l'ombra  cadeva.  —  8.  e  pare  ecc.  e 
solamente  a  cosi  piccolo  indizio,  qual  era  il 
rosseggiar  della  fiamma  coperta  dalla  mia  om- 
bra, vidi  che  molte  anime  camminando  por 
mezzo  alla  fiamma  stessa  ponevano  mente. 

—  a  tasto  :  a  cosi  piccolo  eco.  :  cfr.  Inf,  iv 
99.  —  10.  Questa  fa  eco.  Questo  ta  il  fatto 
ohe  die  oocasione  alle  anime  a  pariare  di  me. 

—  12.  Colai  eco.  Le  anime  vedendo  proiet- 
tarsi sulla  fiamma  l'ombra  di  Danto  s'accora 
sero  ohe  il  suo  non  era  eov:po  fUtixio,  doò 
aereo  e  impalpabile,  si  bene  corpo  reale,  e 


480 


DIVINA  COMMEDIA 


Poi  Terso  me,  quanto  poteyan  farai, 
certi  si  feron,  sempre  con  riguardo 
15       di  non  uscir  dove  non  fossero  arsi 
<  0  tu  clie  Tai,  non  per  esser  più  tardo, 
ma  forse  reverente,  agli  altri  dopo, 
18       rispondi  a  me  che  in  sete  ed  in  foco  ardo: 
né  solo  a  me  la  tua  risposta  è  uopo; 
che  tutti  questi  n'hanno  maggior  sete 
21        che  d'acqua  fredda  indo  o  etiòpo. 
Dinne  com'è  che  fed  di  te  parete 
al  sol,  come  se  tu  non  fossi  ancora 
24       di  morte  entrato  dentro  dalla  rete  >. 
Si  mi  parlava  un  d'essi,  ed  io  mi  fora 
già  manifesto,  s'io  non  fossi  atteso 
27        ad  altra  novità  ch'apparve  allora; 
che  per  lo  mezzo  del  cammino  acceso 
venia  gente  col  viso  incontro  a  questa, 
80       la  qual  mi  fece  a  rimirar  sospeso. 
Li  veggio  d'ogni  parte  farsi  presta 
ciascun' omhra,  e  haciarsi  una  con  una, 
83        senza  restar,  contente  a  breve  festa: 


ohe  però  ogli  dorerà  essere  ancoim  viyente. 
—  18.  Poi  Terso  ve  eoo.  Alcane  delle  anime 
del  Inssiirìosii  per  la  cniiosità  eccitata  In  loro 
dall'  ignoto  visltatoTe,  oeroarono  dì  aoooetarai 
a  Dante  per  quanto  potevano,  badando  per 
altro  di  non  ludre  dalla  fiamma;  perché  an- 
ch' essi,  oome  tatti  gii  altri  penitóitìi,  erano 
dominati  dal  desiderio  di  non  interrompere 
nò  pare  on  momento  l'opera  della  lor  pali- 
ficazione (cfr.  Pmg,  ny  124,  XVI  142,  xvm 
116,  nx  189  ecc.).  —  16.  0 1«  eke  ecc.  Uno 
degli  spiriti,  facendosi  interprete  del  deside- 
rio degli  aitai,  xiTolge  la  parola  a  Dante  e  ^ 
dice  :  e  0  tn,  che  cammini  dopo  ai  tad  oom^ 
pagni,  non  per  pigrizia  ma  per  segno  di  rive- 
renza, fermati  a  parlare  con  me,  che  ardo 
in  99tB  é  in  foeOf  nel  desiderio  di  sapere  se 
veramente  ta  sei  vivo,  oome  sembra,  e  nella 
fiamma  espiatrioe  della  mia  oolpa.  —  19.  mi 
solo  *  me  eoo.  né  sono  solo  a  sentire  il  M- 
sogno  di  ona  toa  risposta;  ma  tatti  i  miei 
compagni  n'  hanno  desiderio  più  vivo  che  non 
abbiano  di  aoqoa  firesoa  i  popoli  d^e  ^ù  calde 
regioni.  —  21.  Udo  o  etiòpo:  ^  abitatori 
deU'  India  e  deU'  Etiopia,  paesi  riarsi  dal  ca- 
lore tropicale.  —  22.  Diane  eoM'  h  eoo.  Di' 
a  noi  come  mai  avvenga  ohe  ta  impedisci  i 
raggi  solari,  getti  ombra  col  tao  oorpo,  oome 
se  tn  non  fossi  ancora  morto.  —  f al  di  to 
eoo.:  cSr,  Purg.  ni  15-18,  88-90,  96.  —  26. 
Si  mi  parlava  eco.  Cosi  mi  diceva  ona  di 
qoelle  anime,  qoella  di  Ghiido  GainizeUi  (oft. 


T.  92);  e  io  mi  saiti  manilèetato  ad  essa,  se 
non  avessi  badato  a  an'  altra  novità  eh»  al- 
lora m'apparve.  —  27.  ad  alCni  novità  s  la 
novità,  coi  Dante  rivolge  la  saa  attensione, 
d  l'arrivo  di  on'  altra  schiera  di  luasoziosi, 
la  qoale  cammina  In  direzione  contraria  aDo 
schiera  neDa  qaale  al  è  primamento  inoon- 
trato  :  oome  siano  distinti  i  lassariosi  dirà  or 
ora  il  Gainizelli,  w.  76-87;  ma  sin  d'ora  è 
da  avvertire  che  l' ona,  qa€dla  coi  ^pazten- 
gono  le  anime  primamente  vedute  da  Dante, 
è  la  schiera  di  coloro  ohe  eccedettero  noQ'  oso 
doi  piaceri  carnali  qoanto  alla  misora,  P  altra 
è  di  coloro  che  peccarono  contro  natora.  — 
28.  per  lo  messo  eoe  per  n  mezzo  dalla  via 
oooapata  dalla  fiamma  sopraginnaeiuia  nnovm 
sohióra,  la  qaale  attraendo  a  sé  la  mia  atten- 
zione mi  fece  indagiare  a  risponderà.  —  81. 
li  veggio  eoo.  Al  ponto  deU'inoontio  vidi 
tatfee  le  anime  che  a*  ailtettavano  o  si  booia- 
vaao  vicendevolmente,  ma  senza  fennazai  o 
oontentandosi  di  on  breve  indagio  per  Ibsteg- 
giaisi.  Batl:  e  Finge  l' antere  che  le  pcoditfce 
genti  si  fucino  festa  e  bacinosi  in  boooa  nal 
paigatoik)  per  grande  zelo  di  carità,  per  li- 
stero  di  si  tetti  atti  osati  nel  mondo  per  di- 
sonesto amore,  e  per  arrioordamento  d'essi 
se  li  rappresentino  ne  la  memoria,  acciò  ohe 
se  ne  vergognino  et  àbbianne  gzandiatia» 
dolore  o  oontzizione,  oonsiderando  di  quanto 
merito  sarebbe  stato  avendo  osato  tali  Cwt» 
e  tali  atti  per  onesto  amoro  e  tervozo  di  «» 


PURGATORIO  -  CANTO  XXVI 


481 


cosi  per  entro  loro  schiera  bruna 
s'ammusa  Tona  con  l'altra  formica, 
36       forse  a  espiar  lor  yia  e  lor  fortuna. 
Tosto  che  parton  l'accoglienza  amica, 
prima  che  il  primo  passo  li  trascorra, 
CD        sopragridar  ciascuna  s'affatica; 

la  nuova  gente:  <  Sodoma  e  Gomorra  >, 
e  l'altra:  «  Nella  Tacca  entra  Pasife, 
12        perché  il  torello  a  sua  lussuria  corra  >. 
Poi  come  gru,  eh' alle  montagne  Bife 
Tolasser  parte  e  parte  in  vèr  l'arene, 
15       queste  del  gel,  quelle  del  sole  schife; 
l'una  gente  sen  ya,  l'altra  sen  viene, 


rità  ».  —  84.  eod  p«r  estr»  eoo.  Ventali 
453  :  e  La  glmilitadixke  è  tviflcersta  dall»  n»- 
tozm.  VligUio,  namndo  raooorrexe  de*  Troiani 
alle  nsrl,  daeorire  minutamente  il  brolichf o 
dell»  formiche,  e  U  loro  afEaccendarsi  a  far 
proTTisione  per  1*  Inremo  :  i2  nigrum  campi» 
\  eoe  {En,  ir  404)  ;  e  Ovidio  osa  la 
k  oomparasione  :  Atpisoinm»  affmin»  km- 
ffo,  Omni»  omu  txiguo  fomUea»  ùregennU», 
Bitgonqu»  «uwm  mnanisM  eortiee  eattem  (Mei. 
vn  624).  Altri  poeti  la  naarono  del  pari  :  ma 
neesiino  notd  quello  che  Dante  ben  dioe  am- 
umwani,  ohe  ò  if  natonle  e  tatto  proprio 
dalle  formiche;  H  q;aal  Terbo formato  oppor- 
tanamente  da  lai  rende  esatta  e  viyìnima 
imagine  dell'  affettaoao  baoiaxsi  di  qaelle  »- 
BìoM».  —  lare  tehlera  bma:  la  linea 
nera  formata  dalle  formiche.  ~  86.  fan o  a 
•eyUr  eco.  forM  a  ricercare,  chiedendone 
l' ana  all'  altra,  notizie  intomo  alla  via  per- 
ooiaa  e  alla  Cortona  buona  o  cattira  del  cam- 
mino, doè  ee  Ti  sia  da  trovare  o  no  il  cibo 
deeldeiato  :  qnaato  al  rb.  Mptar$f  cfr.  la  nota 
al  Acry.  xn  84.  —  87.  Testo  ehe  partea  ecc. 
Appena  le  anime  delle  due  schiere  hanno  com- 
pi ata  ramioherole  accoglienza,  prima  ancora 
di  fere  on  passo  dal  ponto  d'incontro,  da- 
seona  schiera  si  sforza  di  gridare  più  forte 
dell'  altra  esempi  di  lassarla  ponita.  —  89. 
saprayrldar:  gridare  a  roee  più  alta.  — 
40.  la  aaoTa  ecc.  La  schiera  sopraTonata, 
qoella  di  coloro  che  peccarono  contro  natora 
(▼T.  7e-81),  grida  l'esempio  delle  città  di  Sot 
doma  e  Gomorra,  le  qoali  ftuono  distratto 
dal  fnooo  oelesto  perché  i  loro  abitanti  erano 
colperoU  di  sodomfa  (cfr.  Inf,  xi  51).  —  41. 
Falira  eoo.  La  schiera  primamente  incon- 
trata da  Daate,  qaella  dei  lossoriosi  propria- 
mente detti  (tt.  82-87),  grida  l'esempio  di 
Paaifé,  figlia  di  Apollo  e  di  Perseide  e  moglie 
di  Minos,  la  qoale  per  eccesso  di  libidine, 
essendosi  innamorata  del  toro  fatto  osdredal 
mare  da  Posidone,  entrò  in  una  Tacca  di  le- 

Danti 


gno  costrotta  da  Dedalo  e  in  tal  modo  potè 
aTore  col  toro  il  moetrooso  commercio,  onde 
nacque  il  Hinotaoro  (cf^.  Inf.  xn  12).  —  4S. 
eese  gn  eoe  come  doe  schiere  di  gra  che 
Tolassero  tn  direzione  contraria,  1*  ana  Terso 
te  morUagn»  Rife  per  fuggire  il  caldo  e  l'altra 
Terso  le  orwis  dell' Africa  per  fOggire  il  freddo 
eoe.  Blano  :  «  Kessono  ha  rieonosoiato  V  im- 
possibilità di  ciò  che  oostitaisce  U  fondo  di 
questa  similitudine.  Poiché  iuTero  gli  ocoelli 
migrano  in  primaTeza  Terso  il  nord  per  fug- 
gire il  calore  estiTo,  e  nell'  autunno  Terso 
il  sud,  ma  essi,  dall'  istinto  guidati,  seguono 
tutti  senz*  ecoosione,  la  stessa  Tia;  ed  è  im- 
possibile ohe  di  una  sola  specie  di  uccelli  ad 
un  tempo  una  parte  cerchi  il  freddo  e  l'altra 
il  caldo.  Tutto  dò  che  può  dirsi  a  scusa  del 
poeto  n  è  che  egli  paria  degli  opposti  toU 
di  questi  oooelli  non  come  di  un  fatto,  e  non 
dioe  voUuty  ma  piuttosto  d' un'  ipotesi,  quan- 
d'essi  vo!a$t&ro  :  posto  doè  che  fosse  per  loro 
possibile  il  dlTidersi  in  tal  modo,  essi  d  se- 
parerebbero nella  stessa  goisa  che  qui  le  om* 
bre  >.  —  moaiagae  Btfs  s  1  monti  Bifd  o 
Iperborei,  collocati  dagli  antichi  in  posidone 
indetorminate  al  nord-est  dell'  Europa  e  da 
loro  creduti  fedissimi  e  coperti  di  noTi  eter- 
ne, rispondoTano  a  una  Taga  nodone  che  gli 
antichi  stesd  aTerano  di  alcune  diramadoni 
europee  dd  monti  Urali  :  qui  sono  posti  a 
indicare  i  freddi  paed  settentrionali.  8i  noti 
che  Danto  riprese  liberamente  il  concetto  che 
è  espresso  nd  Tord  di  Locano,  Fan.  t  711- 
712  (cfr.  Piar,  zTm  73),  oto  il  fiume  Strimene 
sta  a  indicare  il  nord  e  il  Nilo  il  sud.  —  44. 
le  arene:  i  doserti  arenod  ddla  Libia  (cfr. 
Inf.  xxit  85),  posti  qui  a  dedgnare  le  calde 
regioni  del  mezzogiorno.  —  46.  I*aaa  gente 
eoo.  la  nuova  gmU,  la  schiera  dei  sodomiti, 
se  ne  Ta  in  direzione  contraria  alla  nostra, 
e  l'o/tra,  quella  dei  lussuriod,  Tiene  nella 
nostra  stossa  direzione:  dunque  la  schiera 
dei  sodomiti  avanzava  da  sinistra  Terso  de- 

81 


482  DIVINA  COMMEDIA 


e  tornan  lagrimando  ai  primi  canti, 

43       ed  al  gridar  che  più  lor  si  conviene. 

E  raccostarsi  a  me,  come  davanti, 

essi  medesmi  che  m'avean  pregato, 

51        attenti  ad  ascoltar  nei  lor  sembianti. 

Io,  che  due  volte  avea  visto  lor  grato, 

incominciai:  <  0  anime  sicure 

64       d'aver  quando  che  sia  di  pace  stato, 

non  son  rimase  acerbe  nò  mature 

le  membra  mie  di  là,  ma  son  qui  meco 

57       col  sangue  suo  e  con  le  sue  giunture. 

Quinci  su  vo  per  non  esser  più  cieco: 

donna  è  di  sopra  che  n'acquista  grazia, 

60       per  che  il  mortai  pel  vostro  mondo  reco. 

Ma  se  la  vostra  maggior  voglia  sazia 

tosto  divegna,  si  che  il  ciel  v'alberghi, 

63       eh' è  pien  d'amore  e  più  ampio  si  spazia, 

ditemi,  acciò  che  ancor  carte  ne  verghi, 

chi  siete  voi,  e  chi  è  quella  turba 

66       che  se  ne  va  di  retro  ai  vostri  terghi  >. 

Non  altrimenti  stupido  si  turba 

lo  montanaro  e  rimirando  ammuta, 

69        quando  rozzo  e  salvatico  s'inurba, 

■tn,  r  altra  da  destra  yeno  sinistra.  ~  47.  corrispondonza  tra  questi  yenl  e  qveni  àt^ 

•  toraan  eco.  e  tornano  piangendo  a  can-  1'^.  u  94-96,  intonde  ohe  la  donna  celeste, 

tare  l' inno  Summae  Dem  ciemmUioét  e  agli  che  acquista  grazia  agli  nomini  (»'  a^ptitia), 

esempi  di  castità,  più  convenienti  alla  parti-  sia  la  Vergine  Maria,  la  qnale  appunto  ot- 

colare  conditone  di  ciasonno  (cfr.  I^trg,  xxvi  tenne  a  Dsnte  la  singolare  coneesaione  di 

121  e  segg.)*  —  49.  B  raeeostlrsi  ecc.  £  questo  riaggio  por  i  regni  etemi.  —  60.  per 

quelli  medesimi,  che  già  m' aTovano  per  bocca  ehe  il  norial  eco.  per  la  quale  grazia  reco 

d' un  di  loro  pregato  di  parlare,  si  raccosta-  il  mio  corpo  per  il  purgatorio.  —  61.  te  la 

rono  a  me  oomt  davanti^  cioè  «  con  riguardo  TOstra  eoe  cosi  il  vostro  maggior  desiderio 

di  non  uscir  dove  non  fossero  arsi  >  (v.  14),  sia  presto  sodis&tto,  si  eh»  v*  accolga  il 

mostrando  nel  loro  atteggiamento  d'aspettare  cielo  empireo,  sede  dei  beati.  ~  Q^.  ck'  è 

la  mia  risposta.  —  62.  dae  volte  :  adesso,  e  plea  ecc.  :  cfr.  Pttr.  zxz  40-42.  ~  64.  ae- 

prima  dell'arrivo  dei  sodomiti  (w.  ISesegg.).  elò  ehe  ancor  ecc.  affinché  anche  di  voi  io 

—  64.  4*aver  ecc.  di  conseguire  presto  o  tardi  possa  raccomandare  la  memoria  alle  mie  carte, 

la  beatitudine  del  paradiso.  —  66.  aoa  soa  affinché  io  possa  scrivere  anche  della  vostra 

rimase  ecc.  non  ho  lasciato  nel  mondo  le  condizione.  —  66.  quella  tarba  eco.  la  schie- 

mie  membra  acerbe  o  mature,  non  sono  an-  ra  dei  sodomiti,  che  andava  in  direzione  oob- 

oora  morto  né  giovine  né  vecchio;  ma  ho  trarla  a  questa.  ~  67.  Hea  altriMeati  eco. 

arrecato  qui  le  membra  mie  con  il  loro  san-  Come  il  montanaro  pieno  di  stupore  si  con- 

gue  e  con  le  loro  giunture.  —  67.  svo:  cfr.  turba  e  meravigliato  ammutoUace  quando  fws- 

Jnf,  X  IS.  —  68.  Qvlaci  sa  vo  eoe  Da  questo  xo  a  aakaUeo^  cioè  non  ancora  spogliato  d^la 

luogo  io  salgo  alla  cima  del  monte,  per  ao-  rozzezza  e  selvatichezza  naturale,   entra  in 

quistare  la  luce  della  mente,  per  non  essere  una  città  ;  cosi  stupirono  tutte  quelle  anime 

più  ottenebrato  dall'  errore.  —  69.  donna  h  a  sentire  che  Dante  era  vivo.  «  Questa  aimi- 

di  sopra  ecc.  Questa  donna,  secondo  la  mag-  litudine,  dice  il  Biag.,  è  vero  ritratto  £  na- 

gior  parte  dei  commentatori,  dal  Lana,  dal  tura,  e  non  si  pud  descriver  me^o  la  prima 

Buti  e  da  Benv.  al  Lomb.  e  al  Tomm.,  sa-  impressione  del  montanaro  ohe,  entrato  la 

rebbe  Beatrice,  come  proverebbe  il  riscon-  prima  volta  in  città  strepitosa,  rimane  per 

tro  oon  il  verso  dell'In/',  n  70:  meglio,  lo  meraviglia  ammutolito,  osta  guardando ooUa 

8cart.,  osservando  come  più  perfetta  sia  la  bocca  aperta  >«  —  69.  f  *  iporha:  va  in  citt^ 


PURGATORIO  —  CANTO  XXVI 


433 


che  ciascun' ombra  fece  in  sua  parata; 
ma  poi  che  faron  di  stupore  scarche, 
72        lo  qual  negli  alti  cor  tosto  s'attuta, 
<  Beato  te,  che  delle  nostre  marche, 
ricominciò  colei  che  pria  m'inchiese, 
75       per  viver  meglio  esperienza  imbarche! 
La  gente,  che  non  vien  con  noi,  offese 
di  ciò  per  che  già  Cesar,  trionfando, 
78       '  Regina  '  centra  sé  chiamar  s'intese; 
però  si  parton  '  Sodoma  '  gridando, 
rimproverando  a  sé,  com'hai  udito, 
81        ed  aiutan  l'arsura  vergognando. 
Nostro  peccato  fu  ermafrodito; 


(cfr.  Paxodi,  BuU.  m  188).  —  70.  ék9  «la- 
■caB*  ombrm  eco.  Venturi  297  :  e  Dicendo  Ù 
poeta  in  mta  jtamda  accenna  ohe  la  Bimilita- 
dine  del  montanaro  al  rifeiiaoe  al  iolo  atto 
esterno  del  tuiMunento;  perché  (quanto  al- 
l'animo) diverso  è  lo  atnpore  dell'  ignoranza, 
proprio  al  rillano  oh*  entra  in  dttà,  da  quello 
die  si  desta  negli  tpixiti  nobili.  L' uno  d  prin- 
cipio d'istapidimento;  l'altro,  ammirazione». 

—  71.  ma  pel  elM  eoe  ceesata  l' ammirazione 
di  qnelle  anime,  colei  che  prima  aveva  rivolto 
il  diacono  a  Dante  (of.  v.  16  e  aegg.)  riprese 
a  parlare.  —  72.  lo  qmtl  ecc.  ohe  presto  si 
spegne  negli  animi  elevati.  Dante,  Cono,  rv 
25  :  <  Lo  stopore  d  nno  stordimento  d'animo, 
per  grandi  e  maravigHose  cose  vedere  o  udire 
o  per  akan  modo  sentire;  che,  in  quanto  paio- 
no grandi,  flanno  reverente  a  sé  quello  ohe  le 
■ente;  in  quanto  paiono  mirabili,  fianno  vo- 
glioso di  sapere  di  queUe  quello  che  le  sente  > . 

—  t'attuta  :  si  attutisce  (ofir.  Parodi,  BuU.  m 
140).  —  73.  Beate  te  ecc.  Te  beato,  che  per 
vivere  nella  grazia  del  Signore  sei  venuto  a 
visitare  le  nostre  regioni,  raccogliendone  i 
frutti  dell'  esperienza  :  le  parole  di  quesf  ani- 
ma sono  un'  esplicazione  di  ciò  che  Dante  ha 
detto  (V.  68)  :  «  Quinci  su  vo  per  non  esser 
più  cieco  »,  però  ò  Cadle  coglierne  il  senso 
generale;  quanto  all'espressione  É^Mrienxa 
émòarehé,  spiegata  dal  Lana,  «  prendi  espe- 
lìenzia  »,  Benv.  la  chiarisce  cosi  :  e  ooUigis 
•t  reponis  in  barcam  tui  ingenii  »,  e  il  Buti  : 
«  metti  nel  tuo  animo  :  come  ai  mette,  quel 
che  si  vuole  portare,  nella  barca;  cosi  quello 
chB  l'omo  vuole  tenere  a  mente,  mette  nel- 
l'animo ».  —  marche  :  regioni,  territori;  cfr. 
Purg,  XDE  i5.  —  76.  La  gente  ecc.  La  schiera 
di  anime,  ohe  cammina  opposta  a  noi,  peccò 
di  aodomla.  —  77.  di  eiò  eoo.  Suetonio,  Càea. 
oap.  48,  tutto  dedicato  alle  impudicizie  di 
Giulio  Cesare,  laooonta  che  per  le  obbrobriose 
eonsuetudini  sue  oon  Nioomede  re  di  Bìtinia 
fu  salutato  col  nome  di  rtgina  da  un  corto 
Ottavio  e  chiamato  regina  bUmioa  dal  collega 


M.  Bibulo,  e  ohe  nel  trionfo  gallioo  i  addati 
intonarono,  tra  altri,  il  notissimo  canto  e  6al- 
lias  Gassar  subegit,  Nloomedes  Oaeaarem» 
eoo.  :  Dante,  o  non  ricordasse  bene  il  testo 
di  Suetonio  o  alterasse  a  posta  la  narrazione, 
confuse  più  Catti  in  un  solo,  trasportando  al 
canto  del  trionfo  gallioo  il  motteggio  di  Ot- 
tavio e  di  Bibulo,  a  significare  in  sostanza 
che  Gesare  peocfr  di  sodomia.  —  79.  però  si 
parteu  ecc.  cfr.  v.  40.  —  81.  ed  *latan  ecc. 
e  oon  la  vergogna  ecdtata  dal  continuo  rim- 
provero oh'  essi  flEuino  a  sé  medesimi  aiutano, 
facilitano,  favoriscono,  l'armtra  cioè  l'opera 
dell'espiazione.  Quest'interpretazione,  cosi 
semplice  ed  evidente,  è  dello  Scart,  prima 
del  quale  gl'interpreti,  antichi  e  moderni,  si 
sbizzarrirono  a  chiosar  falsamente  questo  verso 
in  più  maniere,  che  non  mette  oonto  riferire. 
—  82.  Kostre  peeeate  eoe  Invece  il  peccato 
della  schiera,  cui  appartengo  io,  non  fti  con- 
tro natura,  tn.  da  uomo. a  donna;  ma  perché 
in  uso  die  per  sé  è  lecito  non  osservammo 
legge  umana  e  seguimmo  l' appetito  sensuale 
eom»  betti»,  all' infuori  dd  vincoli  matrimo- 
niali oppure  oon  intemperante  abuso,  gridia- 
mo il  nome  di  Padfe.  —  enuifroAlto  :  gran 
questione  liumo  a  questo  luogo  gì'  interpreti, 
e  oon  le  loro  spiegazioni  riesoono  ad  abbuiare 
un  passo  chiarissimo  di  per  sé.  Tommaso  d'A- 
quino, Summa,  p.  n  2^,  qu.  cun,  art  2, 
dice  :  «  Usus  venereorum  potest  esse  absque 
omni  peccato,  d  fiat  debito  modo  et  ordine, 
secundum  quod  est  conveniens  ad  flnem  ge- 
nerationis  umanae  »,  e  subito  dopo,  qu.  cuv, 
art  1,  definito  il  peccato  ddla  lussuria  come 
r  uso  fatto  «  non  secundum  rectam  rationem  », 
ne  distingue  le  varie  maniere  :  fornicazione, 
adulterio,  incesto,  stupro,  ratto  e  vizio  con- 
tro natura.  Dante  distingue  i  lussuriod  in 
due  schiere,  l'una  di  sodomiti,  lerd  contro 
natura,  e  l'altra  di  lussuriod  propriamente 
detti  i  quali  peccarono  in  una  o  più  delle 
cinque  prime  forme  di  lussuria:  dunque  la 
schiera,  cui  appartiene  il  Guinizelli,  è  di  adol- 


484 


DIVINA  COMMEDU 


H 


87 


90 


93 


ma  perché  non  servammo  umana  legge, 
seguendo  come  bestie  l'appetito, 

in  obbrobrio  di  noi,  per  noi  si  legge, 
quando  partiamcif  il  nome  di  colei 
che  s'imbeetiò  nell'imbestiate  schegge. 

Or  sai  nostri  atti,  e  di  che  fummo  rei: 
se  forse  a  nome  vuoi  saper  chi  seme, 
tempo  non  è  da  dire,  e  non  saprai 

Farotti  ben  di  me  volere  scemo: 
son  Guido  Guinizelli,  e  già  mi  purgo 
per  ben  dolermi  prima  oh'  all'  estremo  >. 

Quali  nella  tristizia  di  Licurgo 


tori,  inoettaosi  eoo.  ;  tatt»  gente  che  peoo*- 
rrao  osando  oon  femmine  e  non  seoondnm 
reotam  lationam  ».  È  manifesto  <inindi  ohe 
0rmafirodito  è  nn  agg.  coi  Danto  ha  dato  nn 
partloolaie  Talora  a  aignifloara  ohe  il  peccato 
di  costoro  t%  per  cosi  dira,  bisessuale,  tra 
maschio  e  femmina,  in  antitesi  a  qneHo  della 
prima  schiera,  che  fti  tra  maschio  e  maschio; 
parlicolara  Talora  deriTato  a  cotesta  parola 
dalla  leggenda  mitologica  di  Ermafrodito,  fi- 
glio di  Mercurio  e  di  Venere,  il  qnale  si  con- 
ginnse  strattamento  oon  la  ninfe  Saìmaoe  in 
modo  che  si  formò  nn  solo  ooipo,  coi  carat- 
teri mseoolini  e  femminini  insieme  (cfr.  Gri- 
dio, MtL  IT  288-888).  —  83.  nmana  legge  : 
quella  che  la  retto  ivgione  impone  agii  no- 
mini, quanto  all'  uso  dei  piaceri  veneroL  ~ 
86.  In  ebkrebrlo  eoe  a  nostra  Tergogna  gri- 
diamo noi  stessi  l' esempio  di  Pasife,  che  be- 
Btialmento  nsò  dentro  alla  felsa  Tacca  di  le- 
gno (cfr.  T.  il).  —  89.  se  forse  ecc.  se  ta 
aTessi  mai  il  desiderio  di  conoscerci  per  no- 
me, non  è  qnesto  il  momento  opportono  (si 
ricordi  che  il  sole  TolgOTa  al  tramonto)  e  io 
non  saprei  sodisferti,  non  conoscendo  tatti 
i  miei  nomerosi  oompagnL  —  91.  Faretti 
ben  eco.  TnttoTia  ti  fero  teemo  il  volere,  so- 
disferò  il  tao  desiderio,  di  ms,  quanto  a  me, 
dicendoti  chi  sia  io.  —  92.  «niao  «alnlzelU  : 
Guido  di  Guinizello  de' Principi,  caTaliere 
bolognese,  nato  intomo  al  1280:  di  lui  sap- 
pianio  che  fe  podestà  di  Castelfranco  nel  1270, 
parteggiò,  come  altri  dei  principali  suoi  con- 
cittadini, por  la  fedone  ghibellina  dei  Lam- 
bertani,  e  nel  1274  fri  bandito  insieme  con 
tutti  1  suoi  compagni  di  parto:  mori  esule 
nel  1276  (cfr.  Q,  Fantuzzi,  Notixie  degU  aortt- 
tcfi  bolognesi,  Bologna,  1784,  toL  IV,  pp.  845 
e  segg.  ;  L.  Frati,  nel  PrvpugncUon,  N.  Se- 
rie, voi.  I,  p.  1%  pp.  6-80;  F.  Pellegrini, 
ibid.  ToL  m,  p.  1%  pp.  244-266).  D  Guini- 
zelli deve  la  sua  fema  di  poeto  in  parto  a 
un  piccolo  canzoniere  (nelle  Rime  dei  poeti 
bdoffn.  del  tee,  xin,  Bologna,  1881),  per  il 
quale  egli  è  da  considerare  come  il  migliora 


dei  rimatori  della  scaola  dottrinale  (cfr.  JVy. 
xxzT  60),  e  in  parto  alle  molto  lodi  ohe  Danto 
fece  di  lui  qui  e  altrore  {Ooim,  it  20,  Ds 
vuiff.  eloq,  I  9,  16,  n  6,  6,  Jn«y.  n  97,  V, 
^.  zx  11)  :  aneh*  efl^  ineominoiò,  ocme  gli 
altri  poeti  oontempoanei,  imitando  la  lirica 
proTenzale,  ma  sotto  l'influensa  degli  stodt 
fllcsofloi  GoltiTati  nello  stadio  bologneae  ini- 
ziò, contemporaneaaento  a  Gnittone  d'Areno 
(cfr.  T.  124)  e  con  gli  stsssi  intsadioMnti, 
una  nnoTa  maniera  di  poesia,  ohe  fri  qneUa 
della  senola  dottrinale  :  e  mentra  Onktone 
traoTa  dalla  scienza  motìro  a  moralinanani 
e  sillogismi  in  forma  Tieto  e  fetioosa,  il  G«i- 
nizelli,  dotato  di  fervida  fentasia  e  di  pronto 
intelletto,  atteggiaTa  il  pensiero  dot^inale 
nelle  imsgini  nuoTe  ed  efflcad  delle  sue  can- 
zoni ed  effnndera  il  sentimento  assotoso  in 
sonetti  ove  per  la  prima  Tolto  nella  poeala 
italiana  apparve  la  bellezza  della  forma  (ofr. 
A.  Gaspary,  Storia  della  letL  HaL,  Tera.  it, 
voL  I,  pp.  88 e segg.  ;  G.  Koken,  Omttom'e 
wm  Arenato  DieMimg  und  «fi»  VerhSUnig»  xm 
Gui$meUi,  Lipsia,  1886).  —  98.  per  ken  4e- 
lerad  eco.  per  essermi  pentito  prima  di  giun- 
gere al  termine  della  Tita.  Quale  fosse  la  na- 
tura della  colpa,  di  eoi  il  GuiniaelU  si  pesti 
a  tempo,  non  dicono  g^  antichi  interpreti, 
contenti  di  lodarlo  come  «ornato  parlatore» 
e  «fino  dicitore  in  rima»:  BeuT.  attesto: 
«  Fuit  ipee  Guido  Tir  prudens,  eloqnens,  in- 
Teniens  egregie  pulcn  dicto  materna;  sicut 
autom  erat  ardentis  ingenii  et  »nguae,  ito 
ardontis  luxuriae,  quales  multi  iuTeniuntur 
saepe  »  :  solamento  il  Lana  spedflca  la  odpa 
di  Guido,  dicendolo  «  nel  Tizio  di  contro  na- 
tura nn  poco  impeciato  nella  prima  Tito», 
ma  ò  una  conseguenza  della  erronea  classi- 
ficazione che  efl^  fe  dei  penitenti  di  questo 
cerchio.  È  manifesto  che  il  GninizeUi  e  i 
compagni  sono  qui  psr  aTera  eooedoto  nel- 
Tuso  dei  piaceri  Tenecel,  ma  non  contro  na- 
tura, si  bene  oontro  la  retto  ragione  (cfr.  la 
noto  al  T.  82).  ->  9i.  Quali  neUa  trlstisla 
eoo.  Baoconto  Stazio,  ohe  Isifile  (cfr.  Jh/1 


PURGATORIO  —  CANTO  XXVI 


485 


si  fòr  due  figli  a  riveder  la  madre, 
96       tal  mi  fec*io,  ma  non  a  tanto  insurgo, 
quand'  i'  odo  nomar  sé  stesso  il  padre 
mip  e  degli  altri  miei  miglior,  che  mai 
99       rime  d'amore  nsàr  dolci  e  leggiadre: 
e  senza  udire  e  dir  pensoso  andai 
lunga  fiata  rimirando  lui, 
102       né  per  lo  foco  in  là  più  m'appressai. 
Poi  che  di  riguardar  pasciuto  fui, 
tutto  m'offersi  pronto  al  suo  servigi o, 
105       con  l' affermar  che  £a  credere  altrui. 
Ed  egli  a  me:  <Tu  lasci  tal  vestigio, 
per  quel  eh' l'odo,  in  me  e  tanto  chiaro, 
108        che  Leto  no  '1  può  tòr,  né  farlo  bigio. 
Ma,  se  le  tue  parole  or  ver  giurare, 
dimmi  che  è  cagion,  per  che  dimostri 


xrni  86)  oMondo  ■chiava  di  Licurgo  re  di 
Nemea  fii  condannata  a  morte,  per  punirla 
d*  avere  abbandonato  Oléite,  figlioletto  del  re, 
per  mostrale  agli  eroi  la  fonte  Langfa  {.Pwrg, 
zxn  112)  ;  ma  mantn  li  stava  p«r  eeegoire 
la  ■entaoxa  eopraginnaero  i  flgliaoU  di  lei 
Toant»  ed  Eoneo  e  rioonoednta  la  madre  la 
■ahranmo.  I  due  giovini  ti  volsero  alla  ma- 
dre con  tale  impeto  di  affètto,  ohe,  oome  dice 
Stano,  7M.  v  721,  e  Per  tela  mannsqne  Ir- 
memnt,  matremqne  avidis  complexibns  ambo 
Dirìpinnt  flentea,  altemaqno  pectore  mutant  >  : 
cfr.  Moore,  I  247.  —  96.  tal  mi  fee'lo  eco. 
oosi  Dante,  rìoonoeeendo  il  Gninizelli,  si  sentf 
preso  da  un  vivissimo  desiderio  di  abbrac- 
ciarlo ;  ma  non  insorse  a  tanto,  doò  si  astenne 
dal  oompime  l' atto,  perché  avrebbe  dovato 
entrare  in  mezzo  alle  fiamme.  Tale  ò  la  retta 
q»iegazìone  data  dal  Bati,  accolta  da  molti 
moderni  e  confermata  dalla  rispondenza  con 
rincontro  di  Dante  e  di  Bronetto  {Inf,  xv 
4S  e  segg.).  Altri  interpreti  sogoirono  il  La- 
na, ohe  spiegò:  «L* amoro  ch'io  portai  a 
moesor  Ooido  non  è  cosi  stretto  come  da 
figUodo  a  madre  »  ;  ma  il  vb.  inavirgo  d  ri- 
^iama  all'  idea  di  nn  movimento  doUa  per- 
sona, non  dell'intensità  maggiore  o  minore 
di  nn  afletto.  —  97.  11  padre  mie  eoo.  il 
amestro  mio  e  di  tntti  i  rimatori  migliori  di 
me,  1  qnali  alla  dolce  ispirazione  oongion- 
■ero  la  forma  leggiadra.  Cosi  Dante  delinea 
i  caratteri  della  poesia  dello  ttU  muovo  (ctt. 
Pmg,  xxrv  60,  67),  di  qnella  scuola  qoasi 
tntta  fiorentina  e  di  parte  bianca  della  quale 
egli  e  il  Oavakaati  ftirono  promotori  e  mas- 
simo ornamento  :  dolcezza  e  leggiadria  sono 
appunto  i  oaiattaxi  doUa  lirica  giovanile  dan- 
tesca, dolcezza  di  sentimento,  di  parola,  di 
lima  e  leggiadrìa  d'imagini,  di  locuzioni,  di 


metri;  e  cosi  anche  riconosce  che  la  scuola 
dello  stil  nuovo  procede  dalla  poesia  del  Gui- 
nizelli,  unico  tra  1  rimatori  della  scuola  dot- 
trinale che  saposse  oongiungere  alla  since- 
rità dell'ispirazione  la  bellesza  della  forma, 
alla  dolcezza  la  leggiadria.  —  96.  miei  mi- 
gUer:  migliori  di  me;  oome  tuoi  maggiorif 
in  due  luoghi  di  F.  da  Barberino,  dtati  dal 
Torraca,  significa  1  maggiori  di  te.  —  102. 
■tf  per  le  fece  eco.  e  non  mi  accostai  di  piò 
al  Ooinizelli,  a  cagione  del  fuoco,  nel  quale 
avrei  dovuto  entrare.  — 105.  een  raffermar 
eoo.  con  giuramento  (cfr.  v.  109).  —  106. 
Ta  lasci  eoo.  Per  quel  eh*  t*  odo,  tu  lasd  in 
me  tale  memoria  che  le  acque  del  fiume  Lete 
(cf^.  Purg.  zxvm  180)  non  potranno  mai  spe- 
gnere né  oscurare.  La  difficoltà  è  nel  deter- 
minare ohe  cosa  sia  dò  che  n  Guinizelli  dice 
quel  -eh'  i*  odo,  che  può  essere  dò  che  Dante 
ha  detto  prima  che  il  poeta  bolognese  gli  si 
manifestasse  (w.  66-60)  e  dò  che  gli  ha  detto 
dopo  offerendosi  pronto  al  suo  servigio  (w. 
104-106)  :  nel  primo  caso,  s' avrebbe  una  pro- 
fonda impressione  prodotta  nel  Ouinizelli  dalla 
singoiar  grazia  concessa  da  Dio  a  Dante  di 
viaggiare  ancora  vivo  per  il  regno  dei  morti  ; 
nel  secondo,  l'impressione  sarebbe  prodotta 
dalle  particolari  dimostrazioni  di  affetto  che 
a  quell'anima  fa  l'ignoto  visitatore.  I  com- 
mentatori antichi  e  moderni  non  avvertirono 
questa  difficoltà  e  spiegarono  un  po'  grossa- 
mente queste  parole,  con  le  quali  credo  che 
il  Ouinizelli  si  richiami  a  dò  ohe  Dante  gli 
ha  detto  del  suo  viaggio  ;  poiché  alle  dimo- 
strazioni d'affetto  accenna  invece,  e  in  ma- 
nifesta antitesi  col  precedente  ricordo,  nelle 
parole  che  seguono.  —  110.  ohe  è  eaglon  ecc. 
quale  ò  la  cagione  per  cui  dimostri  nel  dire 
(V.  104-105)  e  nel  guardar  (w.  100-102)  ecc. 


483 


DIVINA  COMMEDIA 


111        nel  dire  e  nel  guardare  avermi  caro  >. 
Ed  io  a  lui  :  «  Li  dolci  detti  vostri 
che,  quanto  durerà  Fuso  moderno, 
114       faranno  cari  ancora  i  loro  inchiostri  >. 
€  0  frate,  disse,  questi  ch'io  ti  scemo 
col  dito  (ed  additò  un  spirto  innanzi) 
117       fii  miglior  fabbro  del  parlar  materno. 
Versi  d'amore  e  prose  di  romanzi 
soperchiò  tutti,  e  lascia  dir  gli  stolti 
120       che  quel  di  Lemosi  credon  ch'avanzL 
A  voce  più  ch'ai  ver  drizzan  li  volti, 
e  cosi  ferman  sua  opinione 
123        prima  ch'arte  o  ragion  per  lor  s'ascolti. 
Ck>si  fdr  molti  antichi  di  Guittone, 


—  113.  LI  dold  eoo.  Dante  dà  ragione  deUs 
sua  ammirazione,  tatta  letterariai  per  il  Gni- 
nizelli  dicendo  eeaeme  cagione  le  sne  dolci 
poesie,  le  qnali  piaceranno  finché  dori  Pn- 
sanza  di  scriyere  in  lingua  volgare.  —  detti  : 
poesie  ;  neU'  ital.  ant.  detto  e  dittato  (cfr.  V. 
N,  xz  11),  come  in  frane,  dit^  significarono 
genericamente  ogni  specie  di  componimento 
poetico,  massime  didascalico  o  dottrinale.  —• 
118.  l'oso  noderao  :  l*nso  recente  dello  scri- 
rere  nelle  lingae  Tolgari  di  origine  latina; 
cfr.  r.  N.  zxy  22  :  e  non  è  molto  numero 
d'anni  passati  che  apparirono  prima  questi 
poeti  Tolgari  *.  —  115.  0  frale  eoo.  H  Oni- 
nizelli,  quasi  rifiatando  per  modestia  (cCr.  il 
caso  di  Oderisi  da  Gubbio,  Puirg,  zi  82  e  segg.) 
il  pregio  di  maestro  del  poetare  in  lingua  vol- 
gare, addita  a  Dante  un  suo  compagno  ohe 
nell'uso  del  proprio  volgare  tu.  migliore  ar- 
tista ;  gli  addita  Arnaldo  DanieUo,  trovatore 
provenzale,  fiorito  tra  il  1180  e  il  1200  (cfr. 
F.  Diez,  Lebm  und  Werk$,  dt.  pp.  279-292). 
Questo  trovatore,  del  quale  ci  è  rimasto  un 
piccolo  canzoniere  di  dioiotto  componimenti 
(edizione  critica  procurata  da  U.  A.  Canello, 
La  vita  0  le  opere  del  trovai.  A,  Daniello^  Halle, 
1888),  tìx  molto  stimato  da  Dante,  il  quale  lo 
ammirò  specialmente  come  inventore  della 
eeetina  e  introduttore  nella  poesia  lirica  di 
forme  complesse  od  elaborate  e  di  situazioni 
concettose  e  profonde  (cfìr.  De  vulg,  eloq,  n 
2,  6,  10,  13)  :  anzi  dalle  lodi  di  Dante  derivò 
la  gran  fkma  che  il  Daniello  ebbe  in  Italia 
dal  sec.  ziv  in  poi  (cfr.  Canello,  op.  dt.  pp. 
44-76).  —  ti  seerBO  :  ti  mostro,  distinguen- 
dolo dagli  altri.  —  118.  Versi  d'amore  ecc. 
Fu  il  più  eccellente  di  tutti  i  moderni  scrit- 
tori nelle  lingue  volgari,  superò  con  l'eccel- 
lenza dolio  sue  poesie  quella  di  ogni  altro 
componimento  di  poesia  e  di  prosa  volgare, 
i  verei  d'amore  ossia  le  canzoni  amatorie  in 
lìngua  provenzale,  e  le  prose  di  romanzi  os- 


sia i  romanxi  in  prosa  fhuioese  (cfir.  G.  Paris 
nella  Romania,  a.  1881,  voi.  X,  p.  479).  Molte 
questioni  sono  state  sollevate  e  discusse  in- 
tomo a  cotesto  prom  di  romanxi,  che  altri 
spiegano  variamente  e  alcuni  tengono  come 
un  accenno  a  romanzi  composti  proprio  dal 
Daniello;  chi  voglia  averne  un*  idea  compiuta 
cerchi  il  dt  libro  del  CaneQo,  pp.  29-88.  — 
120.  q«el  di  Tiemoff  eco.  Giraldo  di  Bomélli, 
trovatore  nato  presso  Bssiduell  nel  Iiimosino 
e  fiorito  tra  U  U76  e  U 1220,  dotato  di  laiKo 
e  vivace  ingegno  poetico,  introdusse  nella 
lirica  provenzale  una  maniera  più  popoUre 
e  trattò  con  la  stessa  fisdlità  i  generi  pid 
svariati,  acquistandosi  gran  ftuna  presso  l 
contemporanei  :  «  fu  (dice  un  antico  suo  bio- 
grafo) miglior  trovatore  di  quanti  l'avevano 
preceduto  e  di  quanti  gli  vennero  dietro  ;  e 
però  venne  chiamato  il  maestro  dei  trova- 
tori, e  per  tale  si  reputa  ancora  da  ehi  sa 
apprezzare  i  detti  sottili  e  ben  assettati,  in 
argomenti  d' amore  e  di  morale  >  :  cf^.  Diet, 
op.  dt,  pp.  110-124  e  Canello,  op.  dt  p.  38 
e  segg.  Dante,  cho  pur  ne  conobbe  le  poesie 
(cfr.  De  vuig.  et,  n  2,  6),  ne  recava  giudizio 
meno  favorevole,  forse  perché  la  sua  arte  gli 
pareva  troppo  semplice  e  popolare.  —  12L 
▲  voce  ecc.  Badano  più  alla  «oet,  all'opinione 
comune,  che  alla  verità  ;  e  cosi  fermano  il 
loro  erroneo  giudirio  senza  considerare  le 
leggi  dell'arte  e  della  ragione.  ~  124.  Cosi 
fSr  ecc.  Cosi  in  Italia  hanno  fatto  molti  vec- 
chi a  propodto  di  Guittone,  1  quali  seguendo 
l'opinione  comune  hanno  dato  a  lui  solo  il 
pregio  dell'  eccellenza  nella  poesia,  finché  la 
verità  eonpiupermmef  dimostrandosi  a  molti, 
ha  trionfato.  —  Onlttone  :  Guittone  del  Viva 
aretino,  nato  intomo  al  1220,  visse  per  lo 
più  in  Firenze,  ma  anche  in  altri  luoghi  <& 
Toscana  e  in  Bologna,  ascritto  all'  ordine  del 
frati  gaudenti  (cfr.  ^f.  zzm  108),  e  mori 
nel  1294:  fecondissimo  scrittore  di  canzoni 


PURQATOBIO  -  CANTO  XXVI 


487 


di  grido  in  grido  pur  lui  dando  pregio, 
126        fin  che  Pha  vinto  il  ver  con  più  persone. 
Or,  se  tu  hai  si  ampio  privilegio, 
che  licito  ti  sia  l'andare  al  chiostro, 
129        nel  quale  è  Cristo  abate  del  collegio, 
fagli  per  me  un  dir  di  paternostro, 
quanto  bisogna  a  noi  di  questo  mondo, 
132        dove  poter  peccar  non  è  più  nostro  >. 
Poi,  forse  per  dar  loco  altrui,  secondo 
che  presso  avea,  disparve  per  lo  foco, 
185        come  per  l'acqua  pesce  andando  al  fondo. 
Io  mi  feci  al  mostrato  innanzi  un  poco, 
e  dissi  ch'ai  suo  nome  il  mio  disire 
13S        apparecchiava  grazioso  loco. 
Ei  cominciò  liberamente  a  dire: 
€  Tan  m*  àbellis  vostre  cortes  defàan, 
141       qu*  ieu  no  me  puesc  ni-m  voiU  a  vos  cobrire. 
leu  sui  Amaut,  que  piar  e  vau  cantan  : 
consiros  vei  la  passada  folor, 


e  mMtti  (iftcoolti  da  L.  Valeriani,  Rim»  di 
fr.  a.  <f^.,  Firenxe,  1828;  ediz.  crìtica  a 
con  di  F.  PeUegrini,  Bologna,  1901)  e  di 
•pistol*  (pnbbL  da  Q,  Bottari,  LtU.difr.  G. 
d'A.f  Booia,  1746),  ta  il  capo  rìconosditto 
deOa  scnola  dottrinale  (c£r.  Purg,  xav  60)  ; 
ma  -reno  di  Ini  Dante,  ohe  forse  Io  conobbe 
▼eochio  in  Firenze,  non  li  volse  beneyolo, 
anzi  oontro  la  soa  poeda  e  i  suoi  ammira* 
tori  si  scagliò  pid  ToHe,  p.  es.  nel  D9  vulg, 
0hq.  n  6  :  <  Desistant  ergo  ignorantiae  seota- 
tatm  Onidonem  aretinnm  et  qnosdam  alios 
extoDentas,  nnnqnam  in  Tocabolis  atqne  oon- 
stmeticme  desnetos  plebesoere  »  ;  parole  che, 
mentre  piegano  il  disprezzo  di  Dante  per 
Onittcme,  ci  aiutano  anche  a  intendere  per- 
ché egli  gindicasse  Arnaldo  Daniello  miglior 
trovatore  che  Giraldo  di  Bomelh.  —  126.  eoa 
pie  persone:  oon  molti  nomini,  i  quali  rico- 
nobbero r  errore  degli  antichi.  Altri  inter- 
preti, YeU.,  Vent.,  Blag.,  Bianchi  ecc.  spie- 
gano :  oon  il  maggior  merito  di  parecchi  poeti 
che  forono  più  eccellenti  di  lui;  mApiùper-' 
mms  è  in  rapporto  oon  «notti  antichif  cod  che 
anche  qui  si  tratta  delle  persone  die  giudi- 
carono Gttittone,  non  dd  merito  dei  suoi  suo- 
oeesozL  —  128.  andare  al  chiostro  ecc.  an- 
dare al  paradiso,  ove  Cristo  è  capo  della 
sodata  dei  beatL  Buti:  «  Il  paradiso  d  chiu- 
sura de*  beati  come  lo  chiostro  d  de*  religio- 
si,... oome  l' abbate  ò  padre  e  signore  de*  mo- 
naci, cod  Cristo  via  maggiormente  è  padre 
e  dgnore  de'  beati  >.  —  180.  fàgli  per  me 
ecc.  recita  a  Cristo  in  mio  sufbagio  quel  tanto 


dd  paternostro  che  bisogna  alle  anime  peni- 
tenti, le  quali  non  possono  più  peccare.  Vud 
dire  il  Ouinizelli  che  non  importa  dir  per  lui 
r ultimo  versetto  dell'orazione  domenicde, 
il  qnde  non  bisogna  a  lui  e  alle  dtre  anime 
del  purgatorio  (cfr.  Bify.  zi  22).  — 188.  forse 
per  dar  ecc.  forse  per  dare  posto  ad  un  d- 
tro,  secondo  che  gli  veniva  appresso  ecc. 
Questa  punteggiatura  e  interpretazione  pro- 
posta dd  Fanf.  d  assd  migliore  della  vul- 
gata :  per  dar  toeo  cUirìd  ateondo,  che  pruso 
eco.  per  dar  luogo  secondo  a  un  dtro,  che 
aveva  vidno.  ■—  186.  come  per  Faeqaa  eco. 
come  scompare  dalla  superfide  dell'  acqua  un 
pesce,  ohe  d  cacd  verso  il  fondo.  —  136.  al 
feci  ecc.  mi  aocostd  un  poco  d  moBtrato, 
allo  spirito  che  Guido  m'aveva  additato  (v. 
116).  —  187.  al  sao  nome  ecc.  desideravo 
dì  conoscere  il  suo  nome  :  gentilissima  espres- 
sione, della  qude  ognuno  vede  la  spigliata 
bellezza  e  l' efficacia,  contro  il  giudizio  d' d- 
cuni  commentatori  che  l'hanno  consunta. 
—  139.  El  cominciò  ecc.  Amddo  Daniello, 
poeta  provenzdo,  parla  in  sua  lingua,  con 
versi  che  furono  molto  soonciati  da  antichi 
copisti  e  da  moderni  editori,  e  che  ho  ri- 
prodotti secondo  il  testo  datone  da  B.  Be- 
nier,  Giom.  ator,  della  Idt,  «.,  voL  XXV, 
n.*  74-75,  accompagnandoli  via  via  d'una 
traduzione  letterde.  —  140.  Tae  M*  abellls 
eoe  Tanto  mi  piace  vostro  cortese  dimando, 
che  io  non  mi  posso  nò  mi  voglio  a  voi  co- 
prire. —  142.  lei  sai  ecc.  Io  sono  Amddo, 
che  piango  e  vado  cantando  ;  pensoso  vedo 


4S8 


DIVINA  COMMEDIA 


144       e  ve»  jaxizen  lo  jom,  qu*  esper,  denan* 
Ara  U8  prec,  per  aqudla  valor 
que  V08  guida  al  som  d'està  escaUna, 
sovenha  vos  a  temps  de  ma  dolor  ». 

148    Poi  8*  ascose  nel  foco  che  gli  affina. 

la  passata  follia,  e  vedo  giocondo  il  giorno, 
che  spero,  dinanzL  —  U4.  lo  Jora,  qv*  esper, 
denaa  :  il  giorno  che  spero  vicino,  il  giorno 
cioè  della  mia  salita  al  cielo.  ~  145.  Ara  os 
ecc.  Ora  Ti  prego,  per  qael  Talore  che  roi 
guida  al  somme  di  questa  scala,  soyyenga  roi 


a  tempo  di  mio  dolore.  —  ao^HA  valer  :  d 
il  valore,  la  virtù  di  Dio.  ~  U7.  a  teapa  : 
a  tempo  opportono,  lat.  ad  trnnpuM,  —  148. 
■d  fiseo  ecc.  nella  fiamma,  ohe  parifica  que- 
ste anime  dalle  loro  colpe. 


CANTO  xxvn 

Airinyito  dell'angelo  della  castità  i  tre  poeti  trayenano  le  fiamme  del 
settimo  cerchio  ;  poi  riposano  e  Dante  yede  in  sogno  Lia,  simholo  della  yita 
attiva,  che  va  raccogliendo  fiori  ;  finalmente  ani  far  del  giorno  riprendono 
il  cammino  salendo  verso  il  paradiso  terrestre,  ove  Virgilio  si  congeda  dal 
sno  discepolo  [dal  12  aprile,  ore  sei  pomeridiane,  sino  al  18  aprile,  ore  sei 
antimeridiane]. 

Si  come  quando  i  primi  raggi  yihra 
là  dove  il  suo  fattore  il  sangue  sparse, 

8  cadendo  Ibero  sotto  l'alta  Libra 
e  Pondo  in  Gange  da  nona  riarse, 

si  stava  il  sole,  onde  il  giorno  sen  giva, 
6        quando  l'angel  di  Dio  lieto  ci  apparse. 
Fuor  della  fiamma  stava  in  su  la  riva 
e  cantava:  <  Beati  mundo  corde  », 

9  in  voce  assai  più  che  la  nostra  viva. 
Posola:  <  Più  non  si  va,  se  pria  non  morde, 


xxvn  1.  Si  come  ecc.  Il  sole  n  «(oco, 
era  ciod  nella  stessa  posi2ione,  come  quando 
manda  i  suoi  primi  raggi  sopra  Gerusalemme, 
ove  Cristo  morendo  spaxse  il  suo  sangue; 
vale  a  dire,  il  sole  era,  al  purgatorio,  vici- 
nissimo al  tramonto,  perdo  a  Gerusalemme, 
luogo  antipode  (cfr.  ISurg,  iv  67  e  segg.),  ap- 
parivano i  primi  raggi  del  sole  oriente.  Quale 
momento  preciso  accenni  qui  Dante  non  d 
determinato  dagli  interpreti:  certo  un  mo- 
mento anteriore  al  tramonto  (cfr.  w.  73  e 
segg.),  e  forse  anteriore  di  pochi  minuti  ;  di 
quel  tempo  doò  durante  il  quale  la  luce  del 
sole  tramontato  si  vede  ancora  per  la  rìfra- 
sione  dei  raggi  (cfr.  Della  Valle,  B  tenao  ecc. 
p.  72  e  segg.  e  Suppl.y  p.  44).  —  3.  cadendo 
ecc.  Dante  vuol  dire  che  mentre  rispetto  al 
purgatorio  il  sole  tramontava  e  rispetto  a 
Gerusalemme  nasceva,  alle  sorgenti  doli'  Ebro 
estremo  confine  ooddentale  a  90  gradi  da 
Gerusalemme  doveva  ossero  mezzanotte,  il 
tempo  doò  in  cui  la  costellazione  della  Libra 


si  trova  al  meridiano  insieme  con  la  notte, 
e  che  alla  foce  del  Gange  estremo  confina 
orientale  a  90  gradi  da  Gerusaleoune  ttm  già 
passato  il  mezzogiorno,  il  tempo  in  cui  le  ao* 
quo  di  quel  fiume  sono  riarse  dai  caldi  raggi 
della  nona.  —  4.  nona  :  una  delle  parti  del- 
l' uffizio  divino,  qui  significa  il  mezzogiorno, 
perché,  come  Dante  stesso  scrive  nel  Cont. 
IV  23  «  la  dritta  nona  sempre  dèe  sonare  nel 
oomindamento  della  sottima  ora  del  di  ».  — 
6.  cade  il  glorio  ecc.  per  la  qual  condizione 
di  tempo  si  faceva  sera,  allorché  d  apparve 
l'angelo  custode  del  settimo  cerchio:  erano 
le  sei  pom.  del  12  aprile  ;  cfr.  Hoore,  pp.  79 
e  121.  —  8.  Beati  ecc.  L'angelo  della  castità 
saluta  i  poeti  cantando  la  sesta  beatitudine 
evangelica  (Matteo  v  8)  :  «  Beati  i  puri  di 
cuore,  per  dò  che  vedranno  Iddio  >.  —  10. 
Poscia  ecc.  Cantata  la  beatitudine,  l'angelo 
della  castità  invita  i  poeti  a  entrare  In  mezzo 
alle  fiamme  purificatrid  e  a  poigere  ascolto 
al  canto  Venite,  bentdieli  cho  zisuona  al  di 


PURGATORIO  -  CANTO  XXVn 


489 


anime  sante,  il  foco;  entrate  in  essoi 
12        ed  al  cantar  di  là  non  siate  sorde  >  ; 
ci  disse  come  noi  gb'  fiunmo  presso: 
per  ch'io  divenni  tal,  quando  lo  intesi, 
15       quale  è  colui  che  nella  fossa  ò  messo. 
In  su  le  man  commesse  mi  protesi, 
guardando  il  foco  e  imaginando  forte 
18       umani  corpi  già  veduti  accesi 
Yolsersi  verso  me  le  buone  scorte, 
e  Virgilio  mi  disse  :  e  Figliuol  mio, 
21        qui  può  esser  tormento,  ma  non  morte. 
Ricordati,  ricordati...  e,  se  io 
sopr*esso  Corion  ti  guidai  salvo, 
24       che  farò  ora  presso  più  a  Dio? 

Credi  per  certo  che,  se  dentro  all'alvo 
di  questa  fiamma  stessi  ben  mill'annì, 
27        non  ti  potrebbe  far  d'un  capei  calvo; 
e  se  tu  credi  forse  ch'io  t'inganni, 
fatti  vèr  lei  e  fatti  far  credenza 
80       con  le  tue  mani  al  lembo  de' tuoi  panni 
Fon  giù  omai,  pon  giù  ogni  temenza; 


là  dol  fuoco,  in  bocca  ad  un  altro  angelo 
(clr.  TT.  66-60).  —  Pltf  BOB  si  TB  eco.  Non 
■i  pad  più  prooedexe,  se  prima  non  si  ò  pa- 
lificati da  questo  fuoco:  ò  il  concetto  teolo- 
gico cristiano,  espresso  da  Gregorio  Magno, 
Maral,  zzi  9  cosf  :  «  Si  per  oordis  monditiam 
Ubidinis  fiamma  non  extingaitor»  ecc.  — 
14.  per  eh*  la  eco.  per  la  qnal  cosa,  quando 
intesi  di  dover  attrayersare  il  faoco,  mi  spa- 
Tentai  come  colui  che  ò  condotto  a  morire. 
—  16.  OAle  i  eco.  Dante  dice  la  stessa  cosa 
elle  ha  detta  in  Purg,  zx  128:  «  mi  prese  on 
gielo  Qnal  prender'  suol  colai  ohe  a  morte 
Tada  >  :  se  non  che  qui  determina  anche  il 
genere  della  morte,  richiamandosi  al  terrìbile 
supplizio  della  propagginazione,  per  cui  il  pa. 
ziente  era  «  fitto  >  tìto  nella  fossa  (cfr.  Inf, 
xxx.  60)  ;  e  cosi  significa  più  efficacemente  lo 
spaTento  die  lo  prese  all'  idea  di  dover  tra- 
Tersare  la  fiamma.  —  16.  In  s«  le  mbb  ecc. 
Congiunte  le  mani  mi  sporsi  innanzi  guar- 
dando verso  il  fuoco  e  col  pensiero  corsi  al- 
l'idea  di  corpi  umani,  ohe  già  nel  mondo  io 
aveva  veduti  sul  rogo:  l'atto  del  corpo  e 
r  atto  della  mente  cosi  opportunamente  col- 
legati a  nqppresentare  la  terrìbile  situazione 
di  Dante  sono  colti  dal  vero  ed  espressi  con 
tanta  felicità  da  giustificare  il  giudizio  del 
Tomm.,  ohe  tenne  questa  come  «una  dello 
fiA  belle  terzine  del  poema  ».  —  17.  imagi- 
BBBdo  eoo.  richiamando  con  un  intenso  atto 
dell'  imaginazione  eoo.  -^  19.  le  baeBe  seor- 


te  :  Virgilio  e  Stazio.  —  20.  e  Tlrgillo  eco. 
n  maestro,  veduti  gli  atti  di^  spavento  del 
suo  discepolo,  subito  lo  conforta  e  rassicu- 
ra, avvertendolo  che  il  fuoco  del  purgato- 
rio può  essere  cagione  di  tormento,  ma  non 
di  morte  è  faoco  ohe  purifica  ma  non  con- 
suma, e  ricordandogli  i  maggiori  pericoli  dal 
quali  l'aveva  tratto  fuori.  —  22.  Blfordatl 
ecc.  Ces.  :  «  Maestrevole  reticenza  I  che  dice 
dieci  tanti  piti,  che  a  ricordarli  ad  un  per 
uno  i  tanti  pericoli  dai  quali  l'avea  cavato, 
e  le  ragioni  che  egli  avea  di  fidarsi  di  lui  >. 

—  23.  sopr'esso  ClerloB  ecc.  :  cfr.  Inf.  zvii 
79-136.  —  24.  elle  farò  ecc.  tonto  pid  facil- 
mente ti  trarrò  in  salvo  quanto  più  siamo 
ormai  vicini  a  Dio.  —  25.  Credi  ecc.  Sappi 
che,  se  tu  rimanessi  immerso  oltre  mille  an- 
ni nella  parte  pifi  intensa  di  questa  fiam- 
ma, essa  non  potrebbe  consumarti  pare  un 
capello.  —  alvo  :  propriamente  il  ventre  (lat. 
o/vus),  e  qui  per  traslato  il  mezzo  della  fiam- 
ma, ove  essa  ò  più  viva.  —  27.  bob  ti  po- 
trebbe ecc.:  ricorda  il  detto  evangelico  di 
Qesù  (Luca  xxi  17)  :  «  E  sarete  odiati  per  Io 
mio  nome,  ma  pure  un  capello  del  vostro 
capo  non  perirà  ».  —  28.  e  se  tn  ecc.  e  se 
tu  dubiti  mai  che  io  con  queste  parole  f  in- 
ganni, accostati  alla  fiamma  e  toccandola  col 
lembo  della  tua  veste  assicurati  ohe  essa  non 
consuma.  —  30.  al  lembo:  cfjr.  Inf,  zv  24. 

—  SI.  Pon  gid  ecc.  Deponi,  deponi  ogni  ti- 
more, volgiti  da  questa  parte  ed  entra  sica- 


490 


DIVINA  COMMEDIA 


volgiti  in  qua,  e  vieni  oltre  sicuro  ». 
33       Ed  io  pur  fermo  e  contro  a  coscienza! 
Quando  mi  vide  star  pur  fermo  e  duro, 
turbato  un  poco  disse:  €  Or  vedi,  figlio, 
36        tra  Beatrice  e  te  è  questo  muro  ». 
Come  al  nome  di  Tisbe  aperse  il  ciglio 
Piramo,  in  su  la  morte,  e  riguardolla, 
89       allor  che  il  gelso  diventò  vermiglio; 
cosi,  la  mia  durezza  fatta  solla, 
mi  volsi  al  savio  duca,  udendo  il  nome 
42        che.  nella  mente  sempre  mi  rampolla. 
Ond*ei  crollò  la  testa  e  disse:  e  Come? 
volemci  star  di  qua  ?  >  indi  sorrise, 
45       come  al  fJEinciul  si  £»  eh' è  vinto  al  pome. 


ramente  nelU  flammA.  ->  88.  EA  lo  par  fera* 
eoo.  Non  ostante  ohe  Vizgilio  l'abbia  confor- 
tato oon  oaloroso  disooiao  a  entrare  nel  fuoco, 
Dante  rimane  perplesso  e  immobile,  anche 
contro  la  voce  della  sua  rtessa  coscienza  che 
lo  ammonisce  d' ubbidire  alla  soa  gnida.  — 
84.  fermo  e  duro  i  U  primo  epiteto  dice  l'im- 
mobilità del  corpo,  Il  secondo  l' ostinazione 
daU'  animo  ;  tutti  e  due  esprimono  la  condi- 
zione già  descritta  nel  rerao  precedente.  — 
86.  tvrkato  eco.  Virgilio  si  conturba  un  poco 
perché  Tede  che  le  sue  autorevoli  parole  non 
sono  state  abbastanza  efficaci  su  Dante  ;  e 
ricorre  però  al  più  potente  degli  argomenti, 
onde  egli  può  persuadere  il  discepolo  :  gli  ri- 
corda Beatrice,  dicendo  che  da  lei  ormai  lo 
separa  solamente  la  fiamma  da  attrayersare; 
e  allora  Dante  si  sente  disposto  al  difficile 
passo.  Cosi  nell'antipurgatorio  la  semplice 
menzione  di  Beatrice  suscitò  nel  cuore  di 
Dante  un  tìto  desiderio  d' andare  e  a  mag- 
gior firetta»,  tanto  che  Virgilio  dovette  con 
opportune  parole  moderare  l'ardore  del  sue 
discepolo:  cfr.  Purg,  vi  49  e  segg.  —  87. 
Come  al  nome  eco.  Piramo  e  Tisbe,  due 
giovinetti  babilonesi  che  si  amavano  contro 
il  volere  del  loro  genitori,  deliberarono  d'ab- 
bandonare la  rispettiva  casa  patema,  dandosi 
convegno  sotto  un  gelso  che  sorgeva  accanto 
a  una  tomba  presso  la  città  :  Tisbe,  giunta 
per  prima  al  luogo  convenuto,  dovette  allon- 
tanarsene e  nascondersi  per  l'arrivo  di  un 
leone,  il  quale  insanguinò  il  velo  caduto  alla 
giovinetta  'fuggendo  :  sopravenne  Piramo,  e 
alla  vista  del  velo  credette  fosse  stata  uccisa 
l'amante,  e  disperato  si  feri  a  morte  con  la 
propria  spada.  La  giovinetta  ritornata  a  quel 
luogo,  e  visto  Piramo  morente,  gli  si  gittò 
sopra  con  atti  di  dolore  e  di  affetto,  chiaman- 
dolo e  dicendogli  d' esser  la  sua  Tisbe  ;  e  cosi 
insieme  morirono,  e  il  gelso,  presso  il  quale 
era  accaduto  il  doloroso  fatto,  produsse  d'al- 


lora in  poi  dei  frutti  vermigli  (cfr.  Ovidio, 
IM.  XV  66-166).  Dante  accenna  specialmente 
ai  versi  ovidiani,  MtL  iv  145  :  «  Ad  nomen 
Thisbet  oouloe  iam  morte  gravatos  Pyramua 
erexit,  visaque  reoondidit  illa  >.  ~  89.  Il 
gelso  eoo.  :  ofr.  I\ufg,  xxxm  69.  ^  40.  1a 
Mia  durezza  ecc.  poiché  l'ostinazione  del 
mio  animo,  il  mio  animo  ostinato  fti  divenuto 
cedevole.  —  sella:  l'agg.  boUq^  ohe  già  ab- 
biam  visto  nel  significato  proprio  in  hnf,  svi 
28,  è  qui  tratto  al  senso  di  arrendevole,  di- 
sposto a  far  una  cosa.  —  41.  11  neae  eoo. 
il  nome  di  Beatrice,  che  mi  sorge  sempre 
nella  mento,  che  ò  sempre  presente  al  mio 
pensiero;  cosi  il  Petrarca,  canz.  ccLxvni 
49  :  «  n  suo  chiaro  nome.  Che  sona  nel  mio 
cor  sf  dolcemente».  —  48.  Oad'el  crollò 
eco.  Virgilio,  oonoscendo  che  il  ricordo  di 
Beatrice  ha  disposto  a  Dante  a  passare  per 
mezzo  alle  fiamme,  crolla  il  capo  e  accompa- 
gna quesf  atto  con  parole  nelle  quali  l'affetto 
non  vela  la  punta  ironica  :  d  una  situazione 
naturalissima,  nella  quale  il  maestro,  la  cui 
autorità  è  stata  quasi  disconosciuta,  si  prende 
una  spedo  di  rivincita  sul  discepolo,  che  s'ò 
lasciato  vincere  facilmonte  da  altri  argomenti  ; 
ma  il  rimprovero  e  l' amorevolezza  sono  con- 
giunti insieme  nelle  parole  di  Virgilio  con 
tanta  delicatezza,  che  il  loro  effetto  d  di  be- 
nevolenza, è  il  sorriso  che  Virgilio  fa  a  Dante, 
come  r  uomo  maturo  sorride  al  bambino  che 
s' ò  lasciato  adescare  dal  pomo.  —  44.  vo- 
lemel  ecc.  ora  che  sai  che  e  tra  Beatrice  e 
te  è  questo  muro  »,  non  vorrai  mica  rimaner 
di  qua  dalla  fiamma.  —  45.  cene  al  fknclal 
ecc.  come  si  sorride  al  fanciullo,  che  dal  dono 
d'un  pomo  o  d' altro  firotto  s' è  lasciato  trarre 
a  far  ciò  ohe  prima  ricusava.  Bella  e  vera 
imagine,  che  richiama  e  compie  quella  del 
Pwrg:  xxrv  106.  ~-  poaie  :  pomo  ;  forma  ar^ 
calca,  frequente  nei  contemporanei  di  Dante, 
anche  fuori  di  rima:  cfr.  Nannnod,  Abati, 


PURGATORIO  -  CANTO  XXVII 


491^ 


Poi  dentro  al  foco  innanzi  mi  si  mise, 
pregando  Stazio  che  yenisse  retro, 
48       cHe  pria  per  lunga  strada  ci  divise. 
Come  fui  dentro,  in  un  bogliente  vetro 
gittato  mi  sarei  per  rinfrescarmi, 
51        tant'era  ivi  lo  incendio  senza  metro. 
Lo  dolce  padre  mio,  per  confortarmì| 
pur  di  Beatrice  ragionando  andava, 
54       dicendo  :  €  Gli  occM  suoi  già  veder  parmi  >. 
Guidavaci  una  voce  che  cantava 
di  là;  e  noi,  attenti  pure  a  lei, 
57       venimmo  fuor  là  dove  si  montava. 
€  Venite  henedicH  patria  mei  >, 
'  sonò  dentro  ad  un  lume  che  li  era, 
60       tal  che  mi  vinse  e  guardar  no  '1  potei. 
€  Lo  sol  sen  va,  soggiunse,  e  vien  la  sera: 
non  v'arrestate,  ma  studiate  il  passo, 
63        mentre  che  l'occidente  non  s'annera  >. 
Dritta  salia  la  via  per  entro  il  sasso, 
verso  tal  parte  ch'io  toglieva  i  raggi 


144,  149,  151  e  F&rodi,  B\dL  lUidl?.  — 46. 
Poi  dcBtro  eco.  I  tre  poeti  entrano  nella 
fiamma  :  YligUio  ya  innanzi,  Dante  lo  segno, 
e  Stazio  Tiene  ultimo  ;  e  a  denotare,  dice  il 
Bati,  ohe  la  ragione  gradava  la  sensoalità,  e 
lo  intelletto  la  toUìcitaTa  a  passare  per  lo 
tnft^pdift  de  la  lossoria  con  oontridone  del 
peccato  >.  —  48.  che  pria  ecc.  Stazio  sino 
allora  era  stato  sepondo  camminando  dietro 
a  Virgilio  e  innanzi  a  Dante  (cfr.  Purg, 
Txn  127,  rnn  u  7-8,  xxrv  119,,  rr»  8-9, 
116-116,  xxn  1).  —  49.  Come  fai  eco.  Ap- 
pena ftd  entrato  nella  fiamma,  per  rinfre- 
scarmi mi  sarei  gettato  in  nna  massa  di  ye> 
tro  incandescente  ;  tanto  era  ecoessiyo  il  ca- 
lore a  essa.  —  61.  scasa  metro  :  senza  mi- 
sua,  0,  meglio,  tale  ohe  non  se  ne  può  con- 
cepire l'intensità.  —  52.  Lo  dolce  padre 
eoe  Virgilio,  che  per  indarmi  a  entrare  nella 
fiamma  m' aroya  ricordato  Beatrice,  ora  eh'  io 
t'  era  in  mezzo  yolendo  oonfortarmi  a  perse. 
yerare  noli'  opera  della  penitenza  non  mi  par. 
laya  ohe  di  Beatrice,  dicendo  che  già  gli  pa- 
rerà di  yederla,  doò  che  sostenessi  la  proya, 
perché  qnesta  era  ormai  alla  fine.  —  54.  Oli 
oeeU  ecc.  Bnti  :  «  li  occhi  di  Beatrice  sono 
le  ragioni  sottilissime  et  efficacissime  e  l' in- 
telletti sottilissimi,  che  anno  ayuto  li  teologi 
in  considerare  e  oontemplare  Iddio  et  inse- 
gnare a  considerarlo  e  contemplarlo  ».  —  55. 
OaiéaTsei  eoo.  Secondo  l'ayyertimento  dato 
dall'angelo  della  castità  ai  poeti  di  non  es- 
ser sordi  «  al  cantar  di  là  »  (y.  12),  ossi  en- 
trati nella  fiamma  porgono  ascolto  a  una  yooe 


ohe  risaona  dall'  opposta  parte,  e  segnendo 
qnosta  Tooe  riescono  faorì  della  fiamma,  al 
laogo  oye  incomincia  la  scala  per  salire  al 
paradiso  terrestre.  —  66.  attenti  paro  a  lei  : 
badando  solamente  a  quella  yoce,  non  ad  al- 
tri indizi  del  cammino  che  doyeyano  tenere. 
—  68.  Temila  ecc.  Al  di  là  della  fiamma  ap- 
pare ai  poeti  la  figura  laminosa  di  un  angelo, 
che  ò  oostode  della  scala  onde  si  sale  alla 
cima  del  monte  sacro.  Quest'angelo  invitai 
poeti  a  salire  con  le  parole  ohe  Cristo,  se- 
condo il  vaticinio  evangelico,  dirà  nel  giorno 
del  giudizio  nniversale  alle  anime  elette  (ICat- 
teo  XXV  84)  :  •  Venite,  benedetti  del  Padre 
mio,  eredate  il  regno  che  vi  è  stato  prepa- 
rato fino  dalla  fondazion  del  mondo  ».  —  69. 
■a  lame  :  la  laminosa  figura  dell'  angelo.  — 
60.  Ul  che  ecc.  :  cfìr.  Puirg.  xxrv  142.  ^  61. 
Lo  sol  eco.  All'invito  di  salire  l'angelo  ag- 
giunge l'avvertimento  di  afiirettarsi,  ricor- 
dando ai  poeti  ohe  potranno  salire  finché  il 
sole  non  sia  tramontato.  Si  noti  che  all'en- 
trare di  Dante  e  dei  suol  compagni  nella 
fiamma  mancavano  pochi  minuti  al  tramonto 
(v.  1),  e  che  all'  usoime  il  tramonto  non  era 
ancora  avvenuto,  anzi  avvenne  solo  dopo 
qualche  istante  (v.  67-69)  :  ne  segue  che  la 
traversata  della  fiamma  si  è  compiuta  in  un 
tempo  brevissimo,  quanto  appunto  Dante  vivo 
poteva  sopportare  l'ardore  del  fuoco.  —  64. 
Dritta  salfa  ecc.  La  scala  era  incavata  nei 
macigno  e  saliva  in  dilezione  da  occidente 
verso  oriente,  verso  tal  parie,  che  il  corpo  di 
Dante  gittava  l'ombra  innanzi  a  sé,  impe- 


492 


DIVINA  COMMEDIA 


66        dinanzi  a  me  del  sol  ch'era  già  basso; 
e  di  pochi  scaglion  levammo  i  saggi, 
che  il  sol  corcar,  per  l'ombra  che  si  spense, 
69       sentimmo  retro  ed  io  e  li  miei  saggL 
E  pria  che  in  tutte  le  sue  patrti  immense 
fosse  orizzonte  fatto  d'un  aspetto 
72       e  notte  avesse  tutte  sue  dispense, 
ciascun  di  noi  d'un  grado  fece  letto; 
che  la  natura  del  monte  ci  affiranse 
75       la  possa  del  salir  più  ohe  il  diletto. 
Quali  si  fanno  ruminando  manse 
le  capre,  state  rapide  e  proterve 
78       sopra  le  dme,  avanti  che  sien  pranse, 
tacite  all'ombra,  mentre  che  il  sol  ferve, 
guardate  dal  pastor,  che  in  su  la  verga 
81        poggiato  s'è,  e  lor  di  posa  serve; 
e  quale  il  mandrian,  che  fuori  alberga. 


dendo  cosi  i  raggi  del  sole  che  già  era  per 
tramontare.  —  67.  •  di  pochi  eoe.  e  potemmo 
salire  pochi  gradini  della  scala,  ohe  redendo 
scomparire  la  mia  ombra  io  e  i  poeti  miei 
compagni  d  accorgemmo  che  il  sole  era  tra- 
montato. —  leTaMBO  1  faggi:  facemmo  le 
proTe,  eeperimentammo  ;  e  parlandosi  di  gra- 
dini, salimmo,  montammo.  —  69.  miei  sa^gl: 
VirgiUo  e  Stazio,  poeti:  cfr.  Jn/l  i  89.  — 
70.  E  pria  ecc.  Mentre  i  tre  poeti  salgono 
per  1*  scala  del  paradiso  terrestre,  sono  còlti 
dalla  notte  essendo  tramontato  il  sole  del 
giorno  12  aprile,  dorante  il  quale  Dante  ha 
Tisitato  gli  nltimi  tre  cerchi  (cfr.  Pury,  xa, 
87)  ;  •  per  la  legge  che  gorema  il  purgato- 
rio, ore  «  andar  sa  di  notte  non  si  paote  > 
{Pwg.  vn  44),  si  dispongono  a  riposare  sai 
gradini  dell»  scala  stessa.  —  che  la  latto 
eoe  che  tatta  T  immensità  della  Tolta  celeste 
fosse  diyeniita  escara  e  la  notte  avesse  dif- 
fuse totte  le  sae  tenebre.  —  72.  netto  aTeise 
ecc.  È  chiaro  che  Dante  ha  Telato  dire  :  prima 
che  per  tatto  il  cielo  fosse  l' oscurità  della 
notte;  ma  ò  difficile  interpretare  alla  lettera 
questo  Terso,  con  sicurezza.  Degli  antichi, 
BenT.  spiega  dispmm  per  diapmwtUmtMy  che 
non  dice  nulla;  meglio  il  Boti,  per  fwrti^  e 
coel  Dante  aTiebbe  detto  :  prima  che  la  notte 
avuM^  tenesse,  occupasse  tutte  le  regioni 
del  cielo,  che  dere  occupare  dopo  il  tramonto 
del  sole.  Dei  moderni  iuTBce  i  più  costrui- 
scono: pria  eh»  noti»  ovtfsss  fatto  tutte  I»  §u» 
dtspsfiM,  cioè  aTesse  diffuse  le  sue  parti,  di- 
stribuzioni, su  tutta  la  iacda  del  cielo.  — 
78.  d'«n  grado  ecc.  si  coricò  sur  un  gradino 
della  scala.  —  74.  ehi  la  natura  ecc.  poiché 
la  natura  del  monte,  la  legge  che  goTema  il 
purgatorio  (cfr.  Purg,  tu  44  e  sogg.)  d  tolse, 


non  la  Teglia,  ma  1*  forza  di  salire.  »  76. 
Qvall  ecc.  Con  le  due  similitadini  delle  ca- 
pre e  del  pastori  deeoriTe  Dante  come  s'ada- 
giassero egli  e  le  sae  gaide  per  passare  1* 
notte  sull»80ala  del  paradiso  tatrestit»  :  egli 
quasi  c^n  custodita  dal  pastore,  la  so»  guide 
come  mandriani  che  attendessero  al  gregge. 
—  al  fanno  eoe.  le  capre  che  prima  d' esKr 
paadate  sono  andate  oorrondo  reloel  e  pe- 
tulanti sopra  le  balze,  si  ftuuio  man— eto, 
attendendo  in  silenzio  a  ruminare  le  etto  al- 
l'ombra,  durante  le  ore  pi6  calde,  sotto  la 
Tigilanza  del  pastore,  che  posato  sopm  11  ba- 
stone le  fa  riposare.  —  81.  o  ler  di  posa 
serre  :  e  questo  lor  ruminare  all'  ombra  serro 
alle  capre  di  riposo.  Questa  interpretazione, 
già  accennata  da  Bout.  e  dal  Boti,  non  fa 
dire  a  Dante  cosa  oontaraxia  al  Tero,  ooom 
Terrebbero  alouni,  perché  nel  tetto  mentre 
riposano  le  capre  riposa  anche  il  loro  pastore, 
e  Ticerersa;  e  il  poeta  ha  riaTrlctnato  qui 
r  idea  del  doppio  riposo,  per  queir  amore 
oh'  egli  ha  dimostrato  tanta  Tolto  a  raggrup* 
pare  concetti  simili  (cfr.  Inf.  zm  25).  La  le- 
zione :  e  lor  poggialo  mtm,  più  oomanemeato 
accolta  dai  moderni,  è  pid  fhoila  a  spiegarsi  : 
e,  cosi  appoggiato,  presta  l'opera  propria, 
serre  alle  sue  capre  ;  ma  tribuisoe  a  Danto 
un  arzigogolo  inlslioe  :  tanto  pid  ohe  il  poeta 
tuo!  qui  paragonare  sé  stesso  alle  capre,  il 
proprio  riposo  sullo  scalino  al  riposo  delle 
capre  meiìggianti,  e  l'Idea  del  pastore  non 
ha  importanza,  ma  questo  figura  è  introdotte 
solo  per  colorire  e  compiete  il  buooUeo  qua- 
dretto. —  82.  e  «aale  eoo.  e  ooom  fl  owtoda 
di  una  mandra  troTandoei  ccm  essa  In  aperta 
campagna  passa  la  notte  Tagliando  accanto 
al  suo  gregge  per  difenderlo  dagli  assalti  delle 


PURGATORIO  -  CANTO  XXVH 


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Itùigo  il  pecalìo  suo  queto  pernotta, 
guardando  perché  fiera  non  lo  sperga; 

tali  erayamo  tatti  e  tre  allotta, 
io  come  capra  ed  ei  come  pastori, 
fendati  quinci  e  quindi  d'alta  grotta. 

Poco  potea  parer  li  del  di  fuori; 
ma  per  quel  poco  yedèy'io  le  stelle, 
di  lor  solere  e  più  chiare  e  maggiori. 

Si  ruminando  e  si  mirando  in  quelle, 
mi  prese  il  sonno;  il  sonno  che  sovente, 
ansi  che  il  &tto  sìa,  sa  le  novelle. 

Nell'ora,  credo,  che  dell'oriente 
prima  raggiò  nel  monte  Citerea, 
che  di  foco  d'amor  par  sempre  ardente, 

giovane  e  bella  in  sogno  mi  parea 
donna  vedere  andar  per  una  landa 
cogliendo  fiori;  e  cantando  dicea: 

€  Sappia,  qualunque  il  mìo  nome  domanda, 
ch'io  mi  son  Lia,  e  vo  movendo  intorno 
le  belle  mani  a  farmi  una  ghirlanda. 


ter*  eoo.  —  83.  pceillo:  ott.  Par.  zi  124. 
—  86.  allotUt  eh.  Jn/:  ▼  68,  zxi  112.  — 
8S.  !•  mm»  eapra  eoe.  Dante  oome  capra, 
dee  par  ripoeare  le  membra  dalla  fatica  del 
glocno;  Virgolo  e  8tiaÌo  oome  paetori,  doò 
per  gvardarlo  e  difenderlo  dorante  la  notte. 
~  87.  falciati  eoo.  obinii,  dall'ona  parte  e 
dall'altra,  dalle  alte  pareti,  tra  le  quali  eaUra 
la  acala.  ~  88.  Peee  pelea  eoo.  A  cagione 
daU'altnxa  deUe  pareti  laterali  e  della  atret- 
tazia  della  ecala,  Dante  poterà  vedere  lola- 
mente  una  piooda  itriaoia  di  cielo  :  pur  in 
qoeeta  ^ooola  atriaola  vedeva  le  itelle  ohe 
lispleodevano  pi6  laminose  e  piA  grandi  del 
aolito.  —  90.  pltf  ehiare  e  MagflorI  i  Ant: 
«  L' aooreaoiata  ^iarezsa  ai  spiega  ooU'  ao- 
BMitata  polita  e  flneiza  dell'  aria  in  qoel- 
r  alta  regione  ;  e  qoanto  alla  parvenia  di  pi6 
gnnde  volame,  bisogna  dire  ohe  il  poeta  cre- 
deaae  di  svere  salito  tanto  da  essersi  avvi* 
oiBSto  Ib  modo  appreisabile  alla  sfera  stel- 
lata, d  ^e  le  stelle  dovessero  comparire  pid 
granii  ;  oonoetto  ohe  per  le  dottrino  di  qoel 
tompo  snlla  distania  di  qoesti  astri,  niente 
ha  di  Msiiiiiln  >•  Moore,  p.  122  :  e  Con  qoesto 
piMo  siasM  alla  fine  del  terso  giorno,  doft 
di  martedì  12  ^rile,  e  i  poeti  hanno  ormai 
ragghiato  la  flae  del  Porgatorio  proprìamente 
detto  >.  —  9L  rvBtaaBde  t  pensando  alle 
eoee  vednte  sino  aUora,  e  spedalmente  alla 
travenata  della  iamaia  e  all' apparizione  del- 
l' angelo  eoatode  della  soala.  —  92.  il  seaao 
eoe.  qoel  aonno,  che  spesso  annonria  on  av- 
\  ohe  esso  sia  compioto,  per 


mezzo  delle  visioni  ohe  appariscono  all'  nono 
nelle  ore  immediatamente  precedenti  ai  mat- 
tino (cfr.  per  la  veridicità  del  sogni,  Inf, 
XXVI  7,  iWf.  IX 16-18X  —  94.  HeU'era  ecc. 
Nelle  ore  che  precedono  il  sorgere  del  sole, 
allorohé  il  pianeta  di  Venere  incomincia  a 
mandare  i  sooi  raggt  da  oriente  verso  il 
monte  del  porgatorio.  —  96.  Citerea  i  nome 
di  Venere,  in  qoanto  ebbe  colto  noli'  isola 
di  Citerà,  è  tratto  qoÌ  a  indicar»  il  pianeta 
e  che  ad  amar  conforta  »  {Pttrg.  1 18).  —  97. 
glovaae  e  btUa  ecc.  Bolla  scala  del  paradiso 
terrestre  Dante  ha  la  visione  di  ona  donna 
giovine  e  bella,  che  va  cantando  e  racco- 
gliendo fiori  per  ona  pianora,  e  parla  di  sé, 
e  di  ona  eoa  sorella:  qoosta  donna  ò  Lia, 
simlxdo  della  vita  attiva,  o  la  soa  sorella  è 
Rachele,  simbolo  della  vita  contemplativa: 
ofr.  V.  108.  —  96.  landa  t  cfir.  Inf,  xiv  8. 
—  101.  liai  figlia  di  Labano  e  prima  moglie 
del  patriarca  Giacobbe  {Otti,  xxix  16  e  segg.), 
f  o  già  per  i  teologi  il  simbolo  della  vita  at- 
tiva (cfir.  Tommaso  d' Aqoino,  Summa^  p.  II 
2m,  qo.  cLxxix,  art.  2):  Dante,  por  censi- 
dorandola  oome  tale,  imagind  di  vederla  in 
sogno  come  on'  spparizione  anticipata  della 
e  donna  soletta  ohe  si  g(a  cantando  ed  iooe- 
gliendo  fior  da  fiore  >  nel  paradiso  terrestre 
{Purg,  xxvm  40)  ;  perdo  la  rappreoentò  nello 
stesso  atteggiamento,  ossia  «  ooglieado  fiori  » 
e  e  cantando  >.  —  vo  me  vendo  eoo.  vado  sce- 
gliendo qoa  e  là  dei  fiori  per  farmene  ona 
ghirlanda.  Boti  :  e  le  belle  mani  significano 
l'operare  li  atti  vìrtoosi,  li  qoaU  come  fiori 


494 


DIVIKA  COMMEDIA 


Per  piacermi  allo  speccliio  qui  m'adorno; 
ma  mia  suora  Bachel  mai  non  si  smaga 
105        dal  suo  miraglio,  e  siede  tutto  giorno. 
EU'ò  de' suoi  begli  ocelli  veder  vaga, 
com'io  dell* adomarmi  con  le  mani; 
108       lei  lo  vedere,  e  me  l'oprare  appaga». 
E  già,  per  gli  splendori  antelucani, 
che  tanto  ai  peregrin  siirgon  più  grati 
111        quanto  tornando  albergan  men  lontani, 
le  tenebre  fuggian  da  tutti  i  lati, 
e  il  sonno  mio  con  esse;  ond'io  levami, 
114       veggendo  i  gran  maestri  già  levati. 
€  Quel  dolce  pomci  che  per  tanti  rami 


rait  fumo  ooiona  di  loda  •  di  gloria  a  ohi 
li  collie  e  ponaeli  in  capo,  dee  in  su  lo  ino 
intelletto  ».  —  106.  Per  plmeermi  ecc.  mi 
adomo  di  qneetì  iiori,  cioè  di  atti  yirtaosi, 
per  piacere  a  me  stessa  quando  mi  specchierd 
in  Dio.  —  104.  ma  mlA  nera  eoe  ma  mia 
sorella  Bachele,  figlia  anch'  essa  di  Labano 
•  seconda  moglie  di  Giacobbe  e  per  i  teologi 
simbolo  della  vita  contemplativa  (cfr.  Tomm. 
d' Aqn.,  L  dt.),  non  si  allontana  mai  da  Dio, 
sno  specchio,  e  tatto  il  giorno  sta  seduta  a 
oontemplaiio  :  Rachele,  ohe  nel  dolo  fa  com- 
pagnia a  Beatrice  (cf^.  Inf»  n  102),  ò  Agora 
antidpata  della  donna  dantesca,  la  qoale  ap- 
parirà al  poeta  soUa  dma  dol  monte  sacro. 

—  si  smaga:  si  distoglie,  si  allontana  :  cfr. 
Inf,  zzv  146.  —  106.  miraglio t  specchio; 
è  nome  formato  sol  prov.  miraik  e  ricorre 
pi6  volte  negli  antichi.  Qoi  significa  Dio,  in 
coi  le  anime  contemplandolo  si  specchiano. 

—  tatto  giorno:  sempre,  senza  interruzio- 
ne ;  cfr.  Fatti  di  Oeaaref  m  6  :  «  Sarà  tatto 
giorno  Pompeo  signore  di  Roma?  >.  —  106. 
Eli*  è  de*  saol  eoe  Bachele  d  tanto  deside- 
rosa di  contemplarsi  allo  specchio  qoanto  io 
sono  dell'adornarmi  con  fiori  trascelti  di  mia 
mano  ;  ella  ò  sodisfi&tta  nella  contemplaziono 
delle  opere  divine,  io  nell'  operare  secondo  i 
divini  precetti.  —  106.  lei  lo  vedere  ecc. 
Risponde  alla  distinzione  teologica  della  vita 
attiva  e  contemplativa;  cfr.  Tommaso  d'A- 
qnino,  Amuno,  p.  II  2»*,  qn.  ct.tttt,  art  2: 
«  Divido  ista  datar  de  vita  homana,  qaae 
qaidem  attenditar  secondam  intellectom.  In- 
tellectos  autem  dividitor  por  activam  et  con- 
templativam,  quia  finis  intellectlvae  cogni- 
tionis  vd  est  ipsa  cognitio  verìtatis,  qaod 
pertinet  ad  intelleotam  contemplativam  ;  voi 
est  alìqaa  ezterior  actio,  qaod  pertinet  ad 
intellectom  practioom  dve  activam  »  ;  qo. 
cLTTxn,  art.  2:  «Deom  diligere  secondam 
se  est  mae^  merìtorìom  qoam  diligere  prò- 
ximam  :  ...  vita  aotem  contemplativa  directe 
0t  immediate  pertinet  ad  dilectionem  Dei  ; 


...  vita  aatem  activa  direotias  ordinatar  ad 
dilectionem  proximi ...  Et  ideo  ex  sao  genere 
contemplativa  vita  est  maioris  moriti  qoam 
activa  »  ;  e  art.  4  :  «  Secondam  soam  nata- 
ram  ...  vita  contemplativa  est  prior  qoam 
activa,  in  qoantom  prioriboa  et  melioribos 
insistit;  ...  qooad  noe,  ...  vita  activa  est 
prior  qoam  contemplativa,  qoia  disponit  ad 
contemplativam  ».  ~  109.  E  già,  per  gli 
splendori  ecc.  Già  da  ogni  parte  friggivano 
le  tenebre  cedendo  il  campo  al  chiarore  che 
precede  l'aorora:  era  donqoe  l'alba  del  18 
aprile,  avendo  i  poeti  passata  la  notte  sai 
gradini  della  scala  del  porgatoxlo  (cfr.  vr. 
70  e  segg.).  —  Ila  che  Unte  eoe  D  Lana, 
leggendo  pie  lontani ,  spiega:  «  Qoanto  lo 
peregrino  è  più  lontano  della  eoa  casa,  tor- 
nando  dal  suo  viaggio,  tanto  li  è  più  a  gra- 
do lo  die  e  l'aorora:  qoindi  festina  e  viag- 
gia ».  Ha  ò  assai  migliore  la  lezione  quanto 
tornando  alb&rgan  mm  lontani,  accettata  da 
Benv.  e  dal  Boti,  o  da  molti  moderni  ;  ee- 
condo  la  qoale  d  ha  ona  sentenza  più  con- 
forme d  concetto  espresso  più  volte  da  Dan- 
te, che  (Cbne.  m  10)  e  qoanto  la  cosa  di- 
dderata  più  s' appropinqoa  d  dedderante, 
tanto  il  dedderio  ò  maggiore  »  (cfr.  anche 
D»  fnon.,  I  11),  e  anche  alla  dtoazione  pre- 
sente, essendo  Dante  più  vicino  al  paradiso 
terrestre,  già  sede  del  genere  ornano,  e  d 
cielo,  vera  patria  dell'  nomo.  —  114. 1  gran 
maestri:  Virgilio  e  Stado;  cfr.  Purg.  zxiv 
99.  —  115.  Qnel  ecc.  Qod  sommo  bene,  che 
gli  nomini  d  stodiano  di  rintracciare  (cfr.  le 
parole  dd  Conv,  iv  12  riferite  in  Purg.  xvi 
88)  per  vie  cod  diverse,  oggi  appagherà  i 
tool  doddert  Cod  Virgilio  annonzia  a  Dante 
ch'egli  arriverà  oggi  d  paradiso  terrestre, 
che  ò  simbolo  ddla  fdlidtà  della  vita  terre- 
na; e  osa  parole  che  richiamano  qoeDe  di 
Boezio  (PhiL  eon».  m,  pr.  2)  :  e  Omnia  mor- 
taliom  cara  qoam  moltiplidom  stodionim  la- 
bor  exeroet,  diverso  qaidem  calle  procedit, 
sed  ad  onom  tamon  beatitodinia  finem  niti- 


PURGATORIO  -  CANTO  XXVII 


496 


cercando  va  la  cura  de' mortali, 
117        oggi  porrà  in  pace  le  tue  fami  >. 
Virgilio  inverso  me  queste  cotali 
parole  usò,  e  mai  non  furo  strenne 
120       olle  fosser  di  piacere  a  queste  eguali. 
Tanto  voler  sopra  voler  mi  venne 
dell'esser  su,  eh* ad  ogni  passo  poi 
123       al  volo  mi  sentla  crescer  le  penne. 
Come  la  scala  tutta  sotto  noi 
fu  corsa,  e  fummo  in  sul  gprado  superno, 
126        in  me  ficcò  Virgilio  gli  occhi  suoi, 
e  disse:  «  Il  temperai  foco  e  F etemo 
veduto  hai,  figlio,  e  sei  venuto  in  parte 
129        ov'io  per  me  più  oltre  non  discemo. 
Tratto  t'ho  qui  con  ingegno  e  con  arte; 
lo  tuo  piacere  omai  prendi  per  duce: 
132       fuor  sei  dell'erte  vie,  fuor  sei  dell'arte. 
Vedi  là  il  sol  che  in  fronte  ti  riluce; 
vedi  l'erhetta,  i  fiori  e  gli  arbuscelli, 
135        che  qui  la  terra  sol  da  sé  produce. 


tur  perrenire  :  id  aatem  Mt  bonam  quo  qnU 
adepto  nihil  olterìiis  desiderale  qaeat  >.  — 
dele«  pome:  è  il  sommo  bene,  in  quanto 
Bodiafsoendo  all'umano  desiderio  dà  all'  nomo 
la  boatitadine,  oome  il  pomo  appaga  il  desi- 
derio del  Dandollo  (cfr.  y.  46)  :  si  veda  an- 
che Inf,  xn  61  e  Pwrg,  xzxn  74.  —  116.  la 
Mira  iti  mortali:  gli  nomini  che  pongono 
enrm,  ohe  stodiano  di  trovare  eoo.  Cosi  il 
Petrarca,  caos.  Lzzm  8S  disse  «  l' indn- 
strÌA  d' alquanti  nomini  »,  ciod  alcuni  pochi 
uomini  ingegnosi.  —  119.  e  mal  nen  faro 
eco.  •  mai  non  furono  doni  ricevuti  con  tanto 
piacere  quanto  mi  procurò  l'annunzio  di  Vir- 
gilio. I  più  dei  commentatori  antichi  e  mo- 
derni spiegano  ttrwn»  nel  senso  di  don/i,  r&- 
gaU,  a^ggiungendo  alcuni  che  cosi  si  chia- 
massero i  regali  fatti  nell'occasione  di  solenni 
feetiTità  :  altri  spiegano  ttrmmé  per  aniMinxl, 
fhuitendendo  la  chiosa  del  Lana  :  «  ttrmme 
cioè  noreUe  »,  la  quale  s' intende  benissimo 
chi  pensi  che  il  dono  fktto  da  Virgilio  a  Dante 
fa  l' annunzio  che  era  per  airiyare  nel  para- 
diso terrestre.  —  122.  dell*  esser  eco.  di  per- 
venire alla  cima  del  monte  sacro.  —  123.  al 
velo  eoo.  mi  sentiva  crescere  la  lena  al  sa- 
lire ;  cfir.  dò  ohe  Virgilio  dice  in  Pwrg,  xu 
121-126.  —  124.  Come  la  scala  ecc.  Com- 
piuta la  salita  della  scala  o  giunti  all'ultimo 
gradino,  all'entrata  doò  del  paradiso  terre- 
stre, Virgilio  guarda  fiso  negli  occhi  il  suo 
discepolo  0  gli  dice  le  ultime  parole  di  con- 
gedo, perché  qui  cessa  la  sua  autorità  e  in- 
comincia quella  di  Beatrice  :  chó  ove  finisce 


r  opera  della  ragione  o  della  sdenza  umana 
comincia  quella  della  fede  o  della  sdenza 
divina.  Virgilio  però  quind'  innanzi  accompa- 
gna Dante  senza  pid  parlare  (cfr.  iWy.  xxvm 
145  e  segg.  e  xxix  65  e  segg.)  e  scompare 
al  venir  di  Beatrice  (.Pvrg,  xxz  49).  —  127. 
n  temporal  eoe  0  figlio,  io  ti  ho  condotto, 
secondo  la  mia  promessa  (Jnf,  i  112-120),  a 
traverso  il  purgatorio,  luogo  di  pena  transi- 
toria, e  a  traverso  l'inferno,  luogo  di  pena 
etema;  cfr.  Tomm.  d'Aq.,  Stmmd^  p.  JR, 
sappi.,  appendice  qu.  i,  art  2  :  e  Poena  dam- 
natorum  est  aetema,  ut  didtur  Matth.  zxv  : 
Ibufd  hi  in  ign&m  aettmum  ;  sed  purgatorius 
ignis  est  temporalis  ».  ->  128.  sei  venato 
ecc.  sei  giunto  nd  paradiso  terrestre,  in  luogo 
doò  ove  la  ragione  non  basta  pid  a  discemere 
le  cose,  che  sono  opsra  di  fede  (Aivy.  xvm 
48).  — 130.  ooB  Ingegno  ecc.  :  cfr.  Inf.  n  67. 

—  131.  lo  tuo  piacere:  la  toa  vdontà,  la 
tua  naturale  disposizione  verso  il  sommo  beno 
sia  quind'  innanzi  la  guida  che  tu  seguirai. 

—  132.  fnor  ecc.  ormai  sd  ftiori  da  ogni  dif- 
ficoltà, cosi  dalle  vie  ripide  come  dalle  stret- 
te :  cfr.  Inf,  xra  26.  —  arte:  cfr.  Bir.  xxvm 
83.  —  133.  Tedi  là  U  sol  ecc.  Butì  :  e  Se- 
condo la  lettera,  stava  volto  inverso  l' oriente 
d  che  il  raggio  li  perooteva  la  ftonte  ;  et  alle- 
goricamente dà  ad  intendere  che  la  grazia  di 
Dìo  riluce  nella  fronte  sua,...  e  per  tanto  vuol 
dire:  Spenti  sono  in  essa  li  segni  dd  pec- 
cati, per  ohe  tu  sei  purgato  d'esd,  si  che 
la  grazia  di  Dio  ti  riluce  nella  fh>nte  ».  — 
135.  sol  da  §i:  cfr.  Purg,  xxvm  69.   — 


496 


DIVINA  COMMEDIA 


Mentre  ohe  vegnan  lieti  gli  occhi  belli, 
ohe  lagrimando  a  te  venir  mi  fenno, 
138       seder  U  puoi  e  puoi  andar  tra  elli. 
Non  aspettar  mio  dir  più  né  mio  cenno: 
libero,  dritto  e  sano  è  tao  arbitrio, 
e  €ei11o  fora  non  fare  a  suo  senno: 
142    perch'io  te  sopra  te  corono  e  mitrio  >. 


136.  leatre  che  eoe.  Fino  a  die  ti  apparinui- 
nu  lietamente  i  belli  occhi  di  Beatrice  (iVy. 
XXX  28  e  seggOf  i  V^^  piangendo  mi  mossero 
a  venire  in  tao  soccorso  nella  selva  selva^ 
già  (ofr.  Inf,  n  116),  sei  Ubero  di  sederti  o  di 
andare  tra  i  fiori  e  gli  arboscelli  di  questo 
laogo,  sei  libero  di  scegliere  tra  la  vita  con- 
templativa {federe)  e  la  vita  attiva  (andare). 
—  189.  Non  aspettar  eoo.  Non  aspettare  pi6 
mie  parole  o  miei  cenni:  la  tua  volontà  d 
libera  da  ogni  influenza  degli  appetiti,  è  dritta 
ossia  oonforme  alla  giustizia  divina,  è  sana 
ciod  non  più  impedita  nelle  sue  operazioni; 
e  però  sarebbe  errore  non  operare  secondo 
essa  volontà.  —  142.  perch'Io  te  eoo.  per- 
ché io  ti  costituisco  libero  signore  di  te  stes-  ' 
so.  La  ragione  umana,  la  qualo  ha  guidato' 
l'uomo  alla  virtó,  lo  costituisce  signore  del 


proprio  volere,  lo  mette  doò  in  oondizione 
di  non  vros  più  bisogno  di  awertimèoti  al- 
trui («  non  adottar  mio  dir  pi6  nò  mio  oen- 
no  >),  ma  di  operare  secondo  l' arbitrio  suo 
«  libero,  dritto  e  sano  ».  Alcuni  interpreti, 
Ott,  Buti,  Land,  tra  gli  antichi,  Vent., 
Lomb.,  Tomm.,  Bianchi  tra  1  moderai,  videro 
distinte  nei  verbi  corono  e  mUrio  (ohe  espri- 
mono con  ripetizione  intensiva  la,fto88a  idea) 
due  autorità,  por  dir  cosi,  conferite  d*  Vir- 
gilio a  Dante  :  la  temporale  (corono)  e  la  ^»i- 
rituale  (mUrio)  ;  ma  è  un*  interpretazione  die 
mal  risponde  al  concetto  fondamentale  del 
poema,  per  cui  la  ragione  non  può  essere 
guida  ali*  uomo  se  non  al  conseguimento  deDa 
felidtà  temporale,  bisognando  la  fede  oom* 
guida  alla  félidtà  spirituale  o  etorna. 


CANTO  xxvin 

Entrato  nel  paradiso  terrestre,  Dante  giunge  alle  sponde  del  fiume  Lete 
e  al  di  là  vede  Matelda  ;  la  quale  conversando  con  lui  e  rispondendo  a  una 
sua  domanda  espone  qual  sia  la  condizione  del  luogo  e  qua!  sia  Porigìne 
delP  aria  che  agita  le  fì-onde  e  dell*  acqua  che  scorre  per  la  deliziosa  pia- 
nura [18  aprile,  dalle  sei  alle  sette  antimeridiane  circa]. 

Vago  già  di  cercar  dentro  e  dintorno 

la  divina  foresta  spessa  e  vìva, 
3       eh'  agli  occhi  temperava  il  nuovo  giomO| 
senza  più.  aspettar  lasciai  la  riva, 

prendendo  la  campagna  lento  lento 


XXVm  1.  Tage  già  eco.  Desideroso 
oramai,  per  le  parole  di  Virgilio  (Purg,  xxvn 
116  e  segg.),  di  percorrere  per  mezzo  e  al- 
l'intomo  la  foresta  del  paradiso  terrestre. 
Dante  procede  innanzi  seguito  dai  due  poeti. 
—  2.  divisa  foresta  ecc.  È  il  paradiso  terre- 
stre, che  già  i  teologi  avevano  iinaginato  sulla 
cima  di  un  monte  altissimo  nelle  partì  orien- 
tali della  terra  (  p.  es.  Tommaso  d'Aquino, 
SummOt  p<  Il  qu.  cn,  art.  1-4):  cfr.  E.  Coli, 
Il  paradUo  Urreetre  danteeeo,  Firenze  1897,  e 
F.  Flamini,  BuU,  V  9-14.  Ma  Dante  collo- 
candolo sopra  la  mon  tigna  che  forma  il  r^^o 
della  penitenza  ha  fantasticamente  compiuto 


e  determinato  dò  òhe  innanzi  a  lui  era  stato 
imaginato  in  modo  generico  ed  ha  collegato 
insieme  il  luogo  dell*  espiazione  delle  anime 
con  quello  ove  avviene  la  sua  purificazione 
individuale  per  mezzo  dell' immersione  nei 
due  fiumi  divini  (Pwrg,  xxn  91-102,  «««m 
142-145).  —  8.  eh*  agli  occhi  ecc.  la  quale 
foresta  con  i  rami  spessi  e  verdeggianti  tem- 
perava, rendeva  meno  vivi  ai  miei  oodd  i 
raggi  del  sole  reoentemente  sorto.  —  4.  seisa 
pld  aspettar  ecc.  senz'attender  parola  o 
cenno  di  Virgilio  (cfr.  Pwrg,  xxvn  139),  Dante 
lascia  la  ritti  o  estremo  confine  del  luogo, 
l'ingresso  del  paradiso  terrestre,  e  incornino 


PURGATORIO  -  CANTO  XXVm 


497 


6       su  per  lo  suol  che  d'ogni  parte  oliva. 
Un'aura  dolce,  senza  mutamento 
avere  in  sé,  mi  feria  per  la  fronte 
9       non  di  più  colpo  che  soave  vento, 
per  cui  le  fronde,  tremolando  pronte, 
tutte  quante  piegavano  alla  parte 
12        u'  la  prim'  ombra  gitta  il  santo  monte  ; 
non  però  dal  lyr  esser  dritto  sparte 
tanto  che  gli  augelletti  per  le  cime 
15       lasciasser  d'operare  ogni  lor  arte: 
ma  con  piena  letizia  Pdre  prime, 
cantando,  ricevieno  intra  le  fogb'e, 
18       che  tenevan  bordone  alle  sue  rime  ; 
tal  qual  di  ramo  in  ramo  si  raccoglie 
per  la  pineta  in  sul  lito  di  Chiassi, 
21        quand'Eolo  Scirocco  fuor  discioglie. 
Già  m'avean  trasportato  i  lenti  passi 
dentro  alla  selva  antica  tanto  ch'io 
24        non  potea  rivedere  ond'io  m'entrassi: 
ed  ecco  più  andar  mi  tolse  un  rio, 


da  a  eamminare  lentamente  soli'  odoroso 
iQolo.  —  6.  allTai  mandava  graditi  odori, 
per  le  erbe  e  i  fiori  ond'  era  adomo.  ~  7. 
•cmsa  wvtaataito  eco.  lenz*  avere  in  sé  al- 
cuna di  quelle  pertorbaiioni,  coi  è  foggetta 
l' atcia  filila  terra.  «  9.  boi  di  ^tf  eoe  ool 
solilo  leggiero  di  nn  soave  venticello.  — 10. 
per  tmì  eoo.  per  la  qnale  aura,  le  firande  de- 
gli alberi  senza  opporre  resistenza  piegavano 
tutte  vem  occidente,  da  quella  parte  ove  il 
■Mwta  glttava  la  soa  ombra  in  quell'ora  mat- 
tutina. —  18.  aea  perd  eoe  le  fronde  per 
tàò  non  si  piegavano  tanto  dal  ìor  eastr  dritto^ 
dalla  loro  naturale  posizione,  che  gli  nooelli 
lasciassero  d' operam  ogni  lor  arU^  di  volare 
di  ramo  in  ramo  cantando  e  sollazzandosi. 
Ynol  dire  che  il  movimento  dei  rami  era 
doloe,  perché  se  fosse  stato  violento  gU  no- 
eelli  non  sarebbero  rimasti  a  scherzare  e  a 
cantare  sui  ramL  —  16.  ma  con  pleaa  ecc. 
ma  cantando  accoglievano,  bevevano,  re- 
spiravano le  9n  prinUf  le  anretto  mattati- 
ne, in  mezzo  alle  fog^,  le  quali  leggermente 
agitato  accompagnavano  il  loro  canto.  —  Ore: 
aore;  questa  voce  (Va,  che  alcuni  riconoscono 
in  Pk»y.  I  116,  si  trova  qualche  volta  nogii 
antichi  poeti,  p.  es.  Petrarca,  son.  clxxvi  9  : 
«  Farmi  d' udirla,  udendo  i  rami  e  l' Ore  E  le 
frondi  e  gli  sugei  lagnarsi,  e  l'acque  >  eoo.  — 
IS.  tOMvan  lardone:  accompagnavano  stor- 
mendo, doò  con  suono  uguale  e  continuato, 
il  canto  degli  uoceDi,  le  sus  rime,  —  19.  tal 
«Mi  eoe  nello  stesso  modo  che  lo  stormire 
xisoona  nella  grande  pineta  di  Bavenna,  al- 

Damti 


lorquando  spira  il  vento  di  Scirocco.  Ventini 
60,  ponendo  a  riscontro  della  desorisione  dan- 
tesca luoghi  oonsimiU  d' altri  poeti  (Ovidio, 
MtL  zv  60B;  Poliziano,  OrftOt  i;  Ariosto, 
Ork  XLv  112;  Tasso,  0§r,  Kb,  m  6),  osserva 
ohe  e  Dante,  meglio  di  tutti,  dice  che  quel 
mormorio  si  raoooglie  di  ramo  in  ramo,  con 
che  esprime  quasi  ogni  minimo  suono  di 
fronda,  prima  òhe  si  faccia  tutto  un  rumo- 
re». —  20.  lite  di  CUassl:  è  la  porzione 
della  spiaggia  adriatica,  presso  Bavenna,  oo- 
cupata  da  un  grande  bosco  di  pini,  di  mera- 
vigliosa beOezza  ;  designata  qui  da  Dante  col 
nome  dell'antica  borgata  di  Classe  (lat.  Olaa" 
si»),  ohe  vi  sorgeva  sino  dal  tem^  dell'impero 
romano  e  ohe  era  una  forte  stallone  navale, 
a  difesa  dell' Adriatico:  cfr.  Bassermann,  pp. 
218-226.  —  2L  «uand'  Eolo  eoo.  Eolo,  re  dei 
venti,  secondo  la  fontasia  virgiliana  {Bfn,  i 
62  e  segg.)  tiene  chiusi  in  una  grande  ca- 
verna i  suoi  sudditi  che  poi  sprigiona  a  suo 
volere  sulla  terra  e  sui  mari.  —  22.  €Uà 
m*  avean  eoe.  Dante,  procedendo  lento  lento, 
s'era  ormai  addentrato  tanto  nella  selva  del 
paradiso  che  non  vedeva  più  il  luogo  ond'era 
entrato.  Si  noti  la  conformità  di  pensiero  e 
di  espressione  con  la  terzina  àsSVÌnf,  zv  13- 
16.  —  28.  selva  antica  i  cfr.  Virgilio,  En, 
VI  179  :  e  itur  in  antiquam  sUvam  >.  —  26. 
ed  ecco  ecc.  U  flumioello  di  Letd,  ohe  scor- 
rendo alla  sinistra  di  Dante,  gli  impedi  di 
procedere  oltre  per  la  selva  del  paradiso  ter- 
restre, fn  da  lui  imaginato  in  conformità  di 
dò  ohe  si  legge  nella  bibbia  (  Gmeti  n  10-14) 

82 


498 


DIVINA  COMMEDIA 


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C6 


che  in  vèr  sinistra  con  sue  picciolo  onde 
piegava  l'erba  che  in  sua  riva  uscio. 

Tutte  l'acque  che  son  di  qua  più  monde 
parrieno  avere  in  sé  mistura  alcuna, 
verso  di  quella  che  nulla  nasconde; 

avvegna  che  si  mova  bruna  bruna 
sotto  l'ombra  perpetua,  che  mai 
raggiar  non  lascia  sole  ivi  né  luna. 

Coi  piò  ristetti  e  con  gli  occhi  passai 
di  là  dal  fiumicello,  per  mirare 
la  gran  variazion  dei  fìreschi  mai  ; 

e  là  m'apparve,  si  com'egli  appare 
subitamente  cosa  che  disvia 
per  maraviglia  tutt' altro  pensare, 

una  donna  soletta,  che  si  già 


•al  flame  che  e  osava  d' Eden,  per  adacquare 
il  giardino,  e  di  là  si  spartiya  in  qoattro  capi 
(Piaoni  Ghinon,  Hiddechel,  Eaù-ate)  »  :  ma 
Dante  poee  due  soli  fiumi  nel  sao  paradiso 
terrestre,  procedenti  da  ona  stessa  sorgente 
•  finenti  in  direzione  opposta,  l' nno  verso 
sinistra  e  l' altro  verso  destra  ;  e  a  questi 
fiumi  pose  il  nome  di  Letd  e  di  Eunoò,  a  si- 
gnificare ohe  il  primo  porta  con  sé  la  dimen- 
tioanxa  del  peccate  espiato  e  il  secondo  la 
memoria  del  bene  operato  (ofr.  vr.  127-132). 
—  27.  FerkA  eoo.  le  erbe  nate  eolie  sue 
sponde.  —  28.  Totto  1*  acqve  eco.  Tutte  le 
acque  più  limpide  della  terra  (e  sicot  aoqoa 
Ticini  i^d  Papiam  et  aqoa  Benad  apud  Ve- 
ronam  »,  chiosa  Benv.)  parrebbero  vren  in 
sé  qoalche  torbidezza,  essere  doò  alqoanto 
torbide,  al  oonftonto  della  limpidissima  aoqoa 
di  Lete.  —  8L  avregoA  eke  eoe  sebbene 
scorra  via  oscora  sotto  l'eterna  ombra  degli 
alberi,  che  non  lascia  ponotrar  mai  in  quel 
luogo  raggio  alcuno  di  sole  nò  di  luna.  Fit 
tosto  che  correr  cogli  interpreti  al  significato 
allegorico  di  questi  particolari,  molto  dubbio 
e  incerto,  ammiri  il  lettore  la  meravigliosa 
descrizione  di  un  singolare  fatto  naturale, 
che  Dante  potò  osservare,  meglio  che  altrove, 
nelle  solitudini  malinconiche  e  insieme  gran- 
diose della  pineta  di  Ravenna,  attravenata 
da  canali  di  limpide  acque  che  brune  brune 
si  muovono  sotto  V  ombra  degli  alberi  seco- 
lari. —  88.  raggiar  eoe  Ricorda  il  Salmo 
cxn  6:  e  di  giorno  il  sole  non  ti  ferirà  né 
la  luna  di  notte  »  :  cfr.  Moore,  I  61.  —  84. 
Col  pie  ristetti  eco.  Fermandosi  alla  riva 
del  fiumicello  e  drizzando  gli  occhi  al  di  là 
per  osservare  la  gran  varietà  degli  alberi  fio- 
riti. Dante  vede  oltre  Lete  una  giovine  donna, 
che  va  cantando  e  raccogliendo  fiori,  e  attira 
a  sé  tutta  l'attenzione  del  poeta.  —  86.  gran 
Tarlnzlon  ecc.  molta  varietà  delle  pianta  fio- 


rite :  maioj  attesta  il  Buti,  si  chiamano  «  Il 
rami  dalli  arbori  che  arrecano  molte  persone 
a  casa  la  mattina  di  calendimaggio  per  po- 
nere  a  la  finestra  o  inanti  all'uscio  »;  e  cosf 
erano  detti  appunto  perché  destinati  a  festeg- 
giare il  principio  del  mese  di  maggio.  ^  87.  sf 
com'egli  eco.  come  un'improvvisa  appari- 
zione, ohe  distene  l' uomo  meraviglila  da 
ogni  altro  pensiero  ;  ofr.  questa  similitadin» 
con  quella  del  J\irg.  vn  10-12.  —  40.  «Ha 
deaaa  eoe  Questa  donna,  che  dalle  paiole 
di  Beatrice  in  Pmg.  zzxm  118-119  appare 
essere  Matelda,  è  una  delle  figure  pifi  sin- 
golari introdotte  da  Dante  nel  suo  poema,  e 
le  discussioni  fSstte  dagli  interpreti  intorno 
al  significato  storico  e  allogorioo  di  lei  sono 
state  tante  che  riassumerle  in  breve  q»axio 
à  impossibile.  L' officio  di  questa  donna  ò  di 
esplicare  a  Dante  la  condirione  del  paradiso 
terrestre  (w.  88-144),  di  guidarìo  a  osservare 
la  processione  che  simboleggia  il  trionfo  della 
Chiesa  (cfr.  Pttrg.  xxix  16,  61,  rsxi  108  e 
segg.),  di  immergerlo  nei  fiumi  di  Lete  e 
d' Eunoè  (cfr.  Purg,  zxxi  91  e  segg.,  *««iii 
127  e  segg.)  :  Matelda  Insomma  guida  Denta 
dal  momento  in  cui  Virgilio  l' ha  dichiarato 
libero  signore  di  sé  stesso  (iVy  xxvu  e  segg.) 
sino  a  quello  in  cui  egli  si  sente  «  puro  e  di- 
sposto a  salire  con  Beatrice  al  pazadÌM 
{Purg.  nini  145).  Storicamente,  la  donna 
apparsa  a  Dante  oltre  il  fiumiceUo,  è  per 
tutti  i  commentatori  antichi  e  per  molti  mo- 
derni la  contessa  Ustilde  di  Toscana  (n.  1046  - 
m.  1116),  grande  propugnatrice  de^  interessi 
deUa  Chiesa  nella  lotta  deUe  investitore  (cfr. 
A.  Overmann,  Oragfki  MaOdUé  vm  TSuiimn, 
Innsbruok  1895)  ;  ma  a  qussta  interpretaaiime 
si  oppongono  ragioni  assai  Ibrti  (ofr.  special- 
mente U  Fan>di,  BwO.  VI  166-169  eU  D'Ovi- 
dio, pp.  878-879).  Meglio  fondata  appare  oca 
1*  ipotesi,  secondo  la  qoale  Matelda  sarebbe 


PURGATORIO  -  CANTO  XXVIH 


499 


cantando  ed  iscegliendo  fior  da  fiore, 
42        ond'era  pinta  tutta  la  sua  vìa. 

€  Deh,  bella  donna,  ch'ai  raggi  d'amore 
ti  scaldi,  s'io  vo'  credere  ai  sembianti 
45       che  soglion  esser  testimon  del  core, 
yegnati  voglia  di  trarreti  avanti 
diss'io  a  lei,  verso  questa  riviera, 
48        tanto  ch'io  possa  intender  che  tu  canti. 
Tu  mi  fai  rimembrar,  dove  e  qual  era 
Proserpina  nel  tempo  che  perdette 
51        la  madre  lei,  ed  ella  primavera  >• 
Come  si  volge,  con  le  piante  strette 
a  terra  ed  intra  sé,  donna  che  balli. 


onm  delle  donne,  di  coi  Dante  parla  nella 
VUa  Nuoca^  lebbene  prà  gran  disaooordo  d 
lia  nel  determinale  quale  di  esse;  al  qnal 
proposito,  otterrà  11  Parodi  ohe  e  in  quella 
diTina  gioia  primayerile,  i  rioordi  rampollano 
in  mente  all'  inebriato  poeta  che  mole  con- 
ooncaao  tatti  a  dir  finalmente  di  Beatrice 
qmeUo  éhB  mai  wm  fi»  detto  d'aleuna»  e  però, 
qoanto  a  Matelda,  e  non  resta  quasi  ohe  fi- 
gnrarcéla  come  una  leggiadra  donna  floren- 
tin»,  ricordo  gentile  della  giorinezza  del  poe- 
ta, e  pid  laminoso  degli  altri,  porche  Intima- 
nente  legato  in  alcun  modo  col  più  intenso 
e  pid  splendido  ricordo  di  Beatrice  ».  Nessun 
serio  fondamento  ha  invece  l'opinione  che  si 
tjBttì  di  una  tanta  donna  tedesca  (Matilde, 
figlia  di  Arrigo  I,  Tissuta  nel  secolo  x,  o  pure 
y^iAfc  di  HacJcenbom,  ohe  scrisse  il  libro 
IMtta  ftaxia  tpbrUwUey  morta  intomo  al  ISIO 
eoo.).  Allegoricamente  poi  Matelda  è  per  gli 
antii^^*  e  per  i  più  dei  moderni  il  simbolo  dolla 
vita  attiva,  appunto  come  per  i  teologi  ò  Lia, 
apparsa  in  sogno  a  Dante  quasi  a  preannnn- 
eiare  l' incontro  con  la  donna  del  paradiso 
ttsieatie  (cfr.  IStrg.  xzm  101):  alcuni  in- 
vece tengono  che  simboleggi  l' amore  della 
Chiesa,  altri  V  innocenza,  altri  infine  il  mini- 
stero ecclesiastico.  Si  cf^.,  oltre  lo  Scart  che 
la  ona  lunga  analisi  della  questione,  M.  A. 
Caetani,  Ojaue,  doni,  n.»  11  ;  S.  Betti,  La 
MaL  deUa  Duo,  Om,^  Boma,  1858  ;  A.  Lubin, 
La  Mal,  di  DomU^  Graz,  1860  ;  S.  B.  Minich, 
SuUa  MaL  di  Dante^  Venezia,  1862  ;  S.  Ba- 
stiani.  La  Mài,  e  lo  Siaxio  natta  D.  C,  Na- 
poli 1865  ;  A.  Borgognoni,  Maietda,  Città  di 
Castello,  1887  ;  K  Dal  Bò,  Mot.  studio  dant., 
Catania,  1894.  —  43.  Deh,  bella  ecc.  Dante 
invita  Matelda  ad  accostarsi  alla  riva  del  fiu- 
mioello  perché  desidera  d' intendere  il  suo 
canto,  ed  ella  si  avvicina  sorrìdente  e  splen- 
dida di  belleTza  incoraggiando  il  poeta  a 
chiedere  ciò  che  egli  desidera  sapere.  —  44. 
t*  lo  ve'  erodere  eco.  se  posso  erodere  al  tuo 
wpetto,  che  mi  dimostra  il  sonti monto  di  di- 


vino amoro  dal  quale  sei  riscaldata.  —  46. 
che  ecc.  :  cfir.  T.  ^.  zv  26  :  e  Lo  viso  mo- 
stra lo  color  del  core  ».  —  46.  regnati  ecc. 
compiaciti  di  accostarti  eoe  —  49.  Tn  mi 
fai  ecc.  Tu  mi  richiami  alla  mente  Proser- 
pina (cfr.  B%f.  IX  44),  allorquando  fu  rapita 
da  Plutone  sf  che  Cerere  sua  madie  perdette 
lei  ed  ella  perdette  l  fiori  ohe  aveva  raccolti  ; 
cfr.  Ovidio,  Met.  v  891  :  e  Quo  dum  Proser- 
pina luco  Ludit,  et  aut  violas  aut  candida 
lilla  carpit,  Dumque  puellari  studio  calathos- 
que  sinumquo  Implet,  et  aequales  certat  su- 
perare legende,  Paone  simul  vìsa  est  diloo- 
taqne  raptaque  Diti  :  Usque  adeo  est  prope- 
ratos  amor.  Dea  torrita  maesto  Et  matrem 
et  comltes,  sed  matrem  saepins,  ore  Clamat  : 
et  ut  summa  vostem  laniarat  ab  ora,  Col- 
lecti  flores  tunicis  cecidore  remissis».  — 
dove  e  qua]  :  per  il  luogo  e  per  V  aspetto 
giovenile  e  giocondo.  —  61.  primavera:  l 
pi6,  dal  Lana  al  Tomm.,  intendono  l  fiori 
raccolti  già  da  Prosorpina  e  caduti  a  terra 
con  gran  dolore  doUa  giovinetta;  altrì  come 
Buti,  Lomb.,  Biag.,  Cos.,  il  luogo  amono  e 
la  primavera  etema  del  luogo  donde  Proser- 
pina fu  rapita  (Ovidio,  Met.  v  391  :  «  Porpo- 
tuum  ver  est  »)  ;  altri  finalmente,  la  von^- 
nità.  La  prima  interpretazione  è  la  miglioro 
(cfìr.  Paar.  xxx  63),  anche  per  la  conlspou- 
donza  coi  versi  d'  Ovidio,  Met.  v  397  :  «  Ma- 
trem saepius  ore  clamat...  Collocti  flores  tu- 
nicis eccidere  remissis  »  :  cCr.  Moore,  I  43, 
223.  —  52.  Come  ti  Tolge  ecc.  Notano  i 
commentatori  la  singolare  bellezza  di  questo 
luogo,  ove  il  muoversi  di  Matelda  ò  para- 
gonato a  quello  di  una  donna  che  nel  dan- 
zare compio  mnli  e  leggieri  movimenti,  stri- 
sciando a  terra  le  piante  dei  piedi  insieme 
congiunto  e  avanzando  a  brevissimi  passi,  e 
il  volgersi  di  loi  a  Dante  ò  paragonato  al- 
l' atto  verecondo  di  una  vergine,  che  pur  ac- 
costandosi ad  alcuno  abbassa  gli  occhi  por 
segno  di  pudore.  —  le  piante  ecc.  le  pianto 
doi  piedi  cho  strisciano  sul  suolo  e  sono  strette 


500 


DIVINA  COBIMEDIA 


54        e  piede  innanzi  piede  a  pena  mette, 
yolsesi  in  sui  vermigli  ed  in  ani  gialli 
fioretti  Terso  me,  non  altrimenti 
57       che  Tergine  ohe  gli  occhi  onesti  aTrallI: 
e  fece  i  preghi  miei  esser  contenti, 
si  appressando  sé  che  il  dolce  suono 
60       Teniva  a  me  co'  suoi  intendimenti 
Tosto  che  fu  là  dove  l'erbe  sono 
bagnate  già  dall'onde  del  bel  fiume, 
63        di  levar  gli  occhi  suoi  mi  fece  dono: 
non  credo  ohe  splendesse  tanto  lume 
sotto  le  ciglia  a  Venere  trafitta 
66        dal  figlio,  fuor  di  tutto  suo  costume. 
Ella  ridea  dall'altra  riva  dritta, 
traendo  più  color  con  le  sue  mani, 
69        che  l'alta  terra  senza  seme  gitta. 
Tre  passi  ci  facea  il  fiume  lontani; 
ma  Ellesponto,  dove  passò  Xerse, 
72        ancora  freno  a  tutti  orgogli  umani, 


insieme,  unite,  come  volevano  le  leggi  della 
danza  osata  ai  tempi  di  Dante.  —  64.  e  piede 
eoe  :  cfr.  Purg.  zxix  7.  —  67.  che  gli  oeehl 
eoo.:  eh,  i  versi  di  Stazio  (cit.  da  Dante  nel 
Oom.  IV  26)  solle  figlie  di  Adrasto  {Téb.  n 
SO):  e  Ibant  insignoe  valtnqne  habitaque  vo- 
lendo, Candida  poipnream  fosae  saper  ora 
mborem,  Deiectaeqne  genas  >.  —  69.  U  dolet 
su  OMO  eoe  U  dolce  canto,  del  quale  pzima 
sentiva  sola  l'armonia,  perveniva  ai  miei 
orecchi  in  modo  che  io  distingueva  chiara- 
mente le  parole.  —  60.  InteadlMeatl  :  dò 
che  s' intende.  —  61.  Tosto  che  eoe  Giunta 
sol  margine  erboso  del  fiume  Leto,  Matelda 
alzò  gli  occhi  sino  allora  tenuti  bassi  per  ve- 
recondia. —  64.  aoa  credo  eco.  non  credo 
ohe  sfavillassero  tanto  gli  occhi  di  Venere, 
che  pur  dovettero  rìsplendere  d' insolita  vi- 
vacità, allorquando  ferita  a  caso  dal  figlio 
Cupido  si  senti  presa  d' amore  per  Adone  ; 
cfir.  Ovidio,  MtL  x  626:  e  Kamque  pharetra- 
tus  dum  dat  pner  oscula  mairi,  Inscius  extanti 
dostrinxit  harundine  pectus  >.  —  66.  fior  di 
tatto  ecc.  contro  ogni  costume  di  Cupido,  cho 
non  soleva  ferire  a  caso,  come  fece  con  la 
madre  :  cfr.  Moore,  I  226.  —  67.  Ella  ridea 
000.  Matelda  mi  sorrideva  dalla  destra  riva 
di  Leto,  continuando  a  raccogliere  i  fiori 
svariati  che  quella  terra  produce  da  sé.  Il 
Buti,  seguito  da  alcuni  moderni,  riferisce 
dritta  ali*  atteggiamento  di  Matelda;  pud  es- 
sere, anid  sarebbe  assai  meglio  :  ma  bisogne» 
rebbe  anche  al  v.  seguente  leggere,  come  han- 
no alcuni,  trattando  più  color  eoo.  cioò  tra» 


scegliendo  o  intrecciando  1  fiori,  o  pensare 
che  li  venisse  staccando,  mentre  avaiiza;vB, 
dai  freschi  mai  ossia  delle  fiorite  piante  (ef^. 
PuU.  n  27).  —  69.  l*alto  terra  ecc.:  lo  st8»- 
so  ha  detto  Dante  in  I\grg,  xxvn  tS6,  ap- 
plicando al  paradiso  terrestre  dò  ohe  1  poeti 
l&volegglarono  della  terra  nell'  età  dell'  oro 
(Ovidio,  M«t,  I  101-102):  cfir.  Mooie,  I  218. 
—  70.  Tre  passi  eco.  Dante  vuol  dire  che 
quanto  minore  era  la  distanza  che  lo  sepa- 
rava da  Matolda,  tanto  pifi  vivo  era  n  suo 
desiderio  d*  esserle  vicino  ;  non  crederei  quin- 
di col  Buti  e  con  alcun  moderno  cho  1  in 
passi  abbiano  un  determinato  senso  allegorioo, 
corrispondendo  quasi  ai  tre  gradini  per  cui  si 
sale  al  purgatorio,  simbolo  dd  tre  atti  della 
penitenza  (cfr.  Jhirg.  tx  64).  —  71.  ma  Klle- 
sponto  ecc.  Allude  alla  favola  di  Leandro  di 
Abido  sull*  Elloeponto,  il  quale  innamorato 
di  Ero,  fìftndulla  di  Sesto  sull'altra  riva  dello 
stretto,  soleva  traversare  a  nuoto  ogni  notte 
il  canale,  finché  vi  si  annegò:  all'odio  di 
Leandro  per  l'Ellesponto  accenna  Ovidio 
{Eyoid,  xvm  139  e  segg.),  ondo  Dante  attinse 
per  questa  fàvola.  —  dove  passò  eco.  per  il 
quale  passò  sovra  un  ponto  oon  tutto  l'eser- 
dto  il  re  Serse  (ofr.  Fair,  vm  124%  la  cui 
sconfitta  per  opera  dei  gred  dovrebbe  essere 
ancora  esempio  efficace  a  flrenare  ogni  umano 
orgoglio,  n  concetto  di  Sorse  oome  tipo  del- 
l'orgoglio umano  ò  forse  derivato  da  un  passo 
di  Lucano,  Fbrs.  n  672  (ctnmidum  super 
sequoia  Xeixem  Construxisse  vias  »),  che 
Dante  dta  nd  De  mon.  n  9  :  cfr.  Moore,  I 


PUEGATORIO  -  CANTO  XXVHI  501 

più  odio  da  Leandro  non  soflferse, 
per  mareggiare  intra  Sesto  ed  Abìdo, 
75        che  quel  da  me,  perché  allor  non  s'aperse. 
€  Voi  siete  nuovi,  e  forse  perch'io  rido, 
cominciò  ella,  in  questo  loco  eletto 
78        all'imiana  natura  per  suo  nido, 
maravigliando  tienvi  alcun  sospetto: 
ma  luce  rende  il  salmo  DeUdastiy 
81        che  puote  disnebbiar  vostro  intelletto* 
E  tu,  che  sei  dinanzi  e  mi  pregasti, 
di'  s'altro  vuoi  udir,  ch'io  venni  presta 
84       ad  ogni  tua  question,  tanto  che  basti  >. 
€  L' acqua,  diss'  io,  e  il  suon  della  foresta, 
impugnan  dentro  a  me  novella  fede 
87        di  cosa,  eh'  io  udì'  contraria  a  questa  >. 
Ond'  ella  :  €  Io  dicerò  come  procede 
per  sua  cagion  ciò  ch'ammirar  ti  face, 
90        e  purgherò  la  nebbia  che  ti  fiede. 

Lo  sommo  Ben,  che  solo  esso  a  sé  piace, 
fece  l'uom  buono  e  a  bene,  e  questo  loco 
93        diede  per  arra  a  lui  d' etema  pace. 
Per  sua  diffalta  qui  dimorò  poco; 
per  sua  diffalta  in  pianto  ed  in  affanno 
96        cambiò  onesto  riso  e  dolce  gioco. 
Perché  il  turbar,  che  sotto  da  sé  fanno 

282.  —  Ti.  per  fluuregglar*:  per  il  movi-  rendogli  che  qaelli  fossero  effetti  di  altera- 

mento  delle  sue  onde,  che  impedlya  a  Leanr-  doni  atmosferiche  ed  acquee  ;  e  però  ne  ri- 

dro  di  recarli  a  trovare  la  soa  donna.  -*  76.  chiede  subito  Matelda.  —  88.  Io  dietro  eoe. 

percM  eec  peiobé  m' impedf  di  passar  oltre,  Ti  spiegherò  quale  sia  la  causa  di  quest'acqua 

•ino  a  Matelda.  —  76.  Voi  slote  eco.  Voi  e  di  questo  vento,  di  che  tu  ti  meravigli,  o 

ignonte  la  condizione  di  questo  luogo,  e  oosf  ti  libererd  dal  dubbio  ohe  ti  offende.  —  91. 

lìaiso  perché  io  vi  apparisco  ridente  siete  me-  Lo  sombo  ecc.  Dio,  che  esso  solo  piace  a 

xmvigliati  e  insieme  dubitosi  ;  ma  sappiate  che  sé,  che  non  si  compiace  che  di  sé  stesso,  creò 

io  sono  Ueta  per  1'  opera  mirabile  della  crea-  l' uomo  buono  e  perché  operasse  il  bene;  cfr. 

stono  divina.   —    77.  ««esto  loco  eco.  il  Genesi  i  81  :  «  Iddio  vide  tutto  quello  ch'egli 

paradiso  tenestre,  ohe  Dio  creò  corno  sede  avea  fatto;  ed  ecco  era  molto  buono».  -~ 

destinata  all'  uomo  (of^.  v.  92-93).  ^  80.  Ma  92.  e  fnesto  loeo  eco.  e  all'uomo  assegnò  il 

loco  ecc.  ma  vi  può  chiarire  il  salmo  Deleo-  paradiso  terrestre,  come  pegno  della  beatitu- 

Uutif  nel  quale  è  detto  (8ahn,  zen  6):  «Per  dine  che  gli  avrebbe  ooncossa  nel  paradiso 

eiò  che,  o  Signore,  tu  mi  hai  rallegrato  colle  coleste  (  eh,  Omesi,  n  8-26).  —   98.  arra  : 

tao  opere,  io  giubbilo  ne'  fktti  delle  tue  ma-  cfir.  Inf,  zv  94.  —  94.  Per  sna  diffalta  eoo. 

ni  ».  —  83.  eh'  lo  voaii  eoo.  ohe  io  sono  Per  il  suo  peccato  dimorò  brevissimo  tempo 

Tonata  al  tuo  invito,  pronta  a  rispondere  ad  nel  paradiso  terrestre  (cfr.  Ptar.  zzvi  189)  ; 

ogni  domanda  sino  a  ohe  tu  sia  sodisfatto,  per  il  suo  peccato  l'onesto  piacerò  e  la  dolco 

—  86.  Ii'Aoqva  eoo.  Dante  aveva  sentito  giocondità  dell'uomo  si  cambiarono  nel  pianto 

diro  a  Stazio  {Putg,  zzi  48  e  segg.)  ohe  al  e  nel  dolore  (cfir.  Oenesi  mie  segg.).  — -  97. 

di  iopra  della  porta  del  purgatorio  non  era  Perché  11  tirbar  eec.  Affinché  poi  l' uomo 

akmna  alterazione  di  aria  e  di  acqua:  ve-  non  fosse  molestato  dalle  perturbazioni  che 

donde  il  fiume  Lete  e  udendo  stormire  gli  sotto  da  aé^  sotto  questo  monto  ossia  nelle 

albati  della  selva,  ta  novelia  fede,  la  recente  regioni  della  terra,  producono  le  o»ilazio- 

cpiaiono  oh'  oi  s' ora  formata,  fa  scossa  pa-  ni  dell'acqua  o  della  terra  dipendenti  dalie 


502 


DIVINA  COMMEDIA 


Pesalazion  dell'acqua  e  della  terra, 
99        che,  quanto  posson,  retro  al  caler  yanno, 
all'uomo  non  facesse  alcuna  guerra, 
questo  monte  salio  verso  '1  ciel  tanto; 
102        e  libero  n'è  d'indi,  ove  si  serra. 
Or,  perché  in  circuito  tutto  quanto 
l'aer  si  volge  con  la  prima  volta, 
105        se  non  gli  è  rotto  il  cerchio  d'alcun  canto; 
in  questa  altezza,  che  in  tutto  è  disciolta 
nell'aer  vivo,  tal  moto  percote, 
108        e  fa  suonar  la  selva  perch'è  folta; 
e  la  percossa  pianta  tanto  puote, 
che  della  sua  virtute  l'aura  impregna, 
111        e  quella  poi  girando  intomo  scote; 
e  l'altra  terra,  secondo  eh' è  degna 
per  sé  e  per  suo  ciel,  concepe  e  figlia 
114        di  diverse  virtù  diverse  legna. 
Non  parrebbe  di  là  poi  maraviglia, 
udito  questo,  quando  alcuna  pianta 


mutazioni  di  temperatura  ecc.  Questa  d  dot- 
trina di  Aristotele,  Meteor,  n  4  :  cfir.  Moore, 
1 131,  e  F.  Angelitti,  Ia  regioni  deWarìa  netla 
P.  C,  Palermo  1899.  —  99.  die,  qaaBto  poi- 
lOB  eco.  Io  quali  esalazioni  sono  dipendenti 
dal  calore,  seguitano  le  vicende  di  caldo  e  di 
freddo.  —  101.  fneito  aoBte  ecc.  questo 
monte  fcL  elerato  tanto  verso  il  cielo  e  Ai 
creato  libero  dalle  perturbazioni  atmosferi- 
ohe ,  da  quel  punto  ove  s'  apre  la  porta  del 
purgatorio  sino  alla  cima:  cTr.  Aristotele, 
Met,  X  8.  —  102.  B'  è  d*  Udi  ecc.  doò  daUa 
porta  del  purgatorio  in  su.  —  103.  Or,  f«r- 
ehi  ÌM  eirealto  eco.  Matelda  sinora  ha  con- 
fermato a  Dante  ciò  che  già  egli  aveva  sa- 
puto da  Stazio  (Purg,  zxi  43-54):  ora  passa 
a  dichiarare  l' origine  del  vento,  che  fa  stor- 
mire le  fronde  (w.  103-120),  e  dell'acqua, 
che  forma  il  fiume  di  Leto.  —  perché  la 
eireaito  ecc.  Scart.  :  e  La  terra,  secondo  la 
falsa  astronomia  di  quei  tompi,  rimane  ferma 
nel  centro  dell'  universo.  L' aria  si  gira  con 
la  prima  rolto,  cioò  col  Primo  Mobile  e  con 
tutti  i  cioli  a  quello  sottoposti  da  oriente  a 
ponente,  poiché  girando  il  Primo  Mobile  fa 
girare  anche  l' aere  sottoposto.  I  vapori  che 
fanno  il  vento  danno  quaggiù  molte  volte 
all'  aria  altro  moto  che  non  quello  da  oriente 
a  occidente.  Lassù  i  vapori  non  salgono: 
dunque  l' aria  vi  gira  sempre  col  Primo  Mo- 
bile, se  non  ò  in  qualche  parte  interrotta  da 
impeto  estraneo.  Movendosi  dunque  da  oriente 
ad  occidente  l'aria  trova  lassù  resistenza 
nella  spessezza  della  solva,  e  ciò  produce 
quel  suono  udito  da  Dante  e  di  cui  egli  di- 


mandò Matelda  >.  —  105.  te  bob  eco.  se  fl 
movimento  rotatorio  non  ò  in  qualche  parto 
interrotto.  ^  106.  eàe  1b  latto  eco.  che  spa- 
da interamente  libera  nell'aria  poriadma.  — 
107.  tal  moto;  il  movimento  dell'aria  de- 
scritto nei  versi  precede&li.  — 109.  •  la  ptr- 
ooita  plaata  eco.  e  le  piante  oosf  perooese 
dall'aria  hanno  potere  di  impregnar  l'aria  della 
loro  virtù  vegetativa;  e  l'aria  rotando  ìb- 
tomo  alla  terra  §eoU  imtomo  fusUs,  diifonda 
per  le  regioni  terrestri  tale  virtù  vegetatira. 
—  112.  e  V  altra  terra  ecc.  e  la  tetra  di* 
versa  dal  paradiso  terrestre,  doò  quella  delle 
regioni  abitate  dagli  uomini,  secondo  che  è 
atta  per  sé  e  p«r  tuo  eiel^  per  la  eoa  paitieo- 
lare  natura  e  per  il  suo  particolar  dima,  oon- 
cepisoe  e  produce  secondo  le  varie  spedo  della 
virtù  vegetativa  le  varie  spedo  di  piante. 
Alcuni  leggono  aUa  terra,  riferendo  anche 
questi  versi  al  paradiso  torrestre  ;  ma  bene 
è  stato  osservato  in  contrario  òhe  il  concetto 
di  Dante  d  allarga  anche  alla  terra  abitata 
dagli  uomini,  in  quanto  egli  spiegando  oome 
d  diffondono  i  semi  arriva  a  oondudere  non 
essere  meraviglioso  che  nascano  piante  e  sen- 
za seme  palese  »:  fenomeno  ohe  accade  sulla 
tona,  non  per  virtù  vegetativa  dell'aria,  ma 
per  semi  che  l'aria  trasporta  di  luogo  in 
luogo.  — 114.  legaa:  piante,  alberi;  secondo 
il  valore  scritturale  del  lat  tignum  (cfr.  Imf. 
Tui  73,  J^.  mv  116,  xxxu  44,  Piar,  xra 
70  eoe.).  —  116.  Kob  parrebl^  eoo.  Kob  do- 
vrebbe quindi  nd  mondo  parer  cosa  aata- 
vigliosa,  ohi  avesse  udito  dò  eh'  io  ti  ho 
detto,  il  veder  germogliare  qualdie  pianta 


PURGATOETO  -  CANTO  XXVHI 


603 


117       senza  seme  palese  vi  s'appiglia. 
E  saper  dèi  che  la  campagna  santa, 
ove  tn  sei,  d'ogni  semenza  è  piena, 
120       e  frutto  ha  in  sé  che  di  là  non  si  schianta. 
L'acqua  che  vedi  non  surge  di  vena, 
che  ristori  vapor  che  gel  converta, 
12B       come  fiume  ch'acquista  e  perde  lena, 
ma  esce  di  fontana  salda  e  certa, 
che  tanto  dal  voler  di  Dio  riprende, 
126        quant'ella  versa  da  due  parti  aperta. 
Da  questa  parte  con  virtù  discende, 
che  toglie  altrui  memoria  del  peccato; 
129        dall'altra,  d'ogni  ben  fatto  la  rende. 
Quinci  Lete,  cosi  dall'altro  lato 
Eunoè  si  chiama,  e  non  adopra, 
132        se  quinci  e  quindi  pria  non  è  gustato. 
A  tutt' altri  sapori  esto  ò  di  sopra: 
ed  avvegna  ch'assai  possa  esser  sazia 
135       ia  sete  tua,  perch'io  più  non  ti  scopra, 
darotti  un  corollario  ancor  per  grazia; 


•enea  che  alcuno  n'  abbia  gittate  il  seme. 

—  118.  la  campagna  eoo.  il  paradiso  tei^ 
reatre,  nel  qoale  ta  ora  ti  trovi,  è  pieno 
d^ogni  amMrwa,  cioè  di  ogni  specie  di  alberi, 
ed  ba  tali  fratti  die  non  si  spiccano  dagli  al- 
beri deUe  regioni  terrestri.  —  119.  d*  egnl 
•eBeasa:  Benr.:  csoilioet  in  ea  snnt  ger- 
mina omniom  arboram,  idest,  yirtatam  et  vir- 
taosanim  operationtun  >  ;  e  Bnti  :  «  la  santa 
acrittnra  questo  dice  che  '1  paradiso  terrestre 
è  pieno  d*  arbori  e  d' erbe  odorifere,  et  alle- 
gorice,  pieno  d' ogni  Tirtà  >:  cfr.  QmeH  n  9. 

—  120.  si  schianta:  si  coglie,  si  stacca; 
cfir.  Purg,  zx  46.  —  121.  L'aeqva  che  Tedi 
ecc.  L' aoqna  che  ti  scorre  innanzi  in  questo 
ilamicello  non  sorge  da  alcuna  polla  alin^en- 
tats  dal  Tepore  convertito  in  pioggia  per  ef> 
fetto  di  abbassamento  della  temperatura:  cfr. 
Oemtsi  u  6-6  :  »  H  Signore  Iddio  non  aveva 
ancora  Datto  piovere  in  su  la  terra  »  ; . . .  or 
un  vapore  saliva  dalla  terra,  che  adacquava 
tutta  la  faccia  della  terra  »  :  dallo  quali  pa- 
role scrittniali  Dante  trasse  V  idea  dell'  orì- 
gine dei  fiumi  del  paradiso  terrestre.  — 128. 
fmt  flniM  eoe  come  V  acqua  di  un  fiume, 
il  quale  si  gonfia  o  si  dissecca  secondo  che  le 
sue  sorgenti  sono  alimentate  o  no  dalla  piog^ 
già:  anche  questo  ò  detto  secondo  la  dot- 
trina aristotelica,  Meltor,  i  13  ;  cfjr.  Moore,  I 
1S4.  —  1^  ma  elee  ecc.  ma  deriva  da  una 
fonte  immutabile  e  durevole,  la  quale  dalla 
volontà  divina  riprende  tanta  acqua,  quanta 
essa  ne  riversa  nei  due  fiumi  che  bagnano 
questa  campngna.  —  126.  da  d«e  parti  :  per- 


ché 1  due  fiumi,  che  hanno  comune  la  sorgen- 
te, procedono  in  direzione  opposta.  —  130. 
({aiBci  Lete:  il  fiume  che  eoone  da  questa 
parte  ha  il  nome  di  Lete,  ohe  fti  già  per  ^i 
antichi  uno  dei  mitologici  fiumi  delle  regioni 
averne.  Dante  lo  là  nascere  sulla  cima  del 
monte  sacro,  finire  traverso  la  pianura  del 
paradiso  terrestre,  e  cadere  al  piedi  del  monte 
e  di  li  per  la  «  buca  d' un  sasso  oh'  e^  ha 
róso  »  al  centro  della  terra,  dove  porta  le 
memorie  del  peccato  (cfr.  Bìf.  nv  186  e  segg., 
xxziv  180,  i^.  I  40).  —  181.  Enneè:  ò  U 
nome  formato  da  Dante  (sul  greco  EùnouSf 
di  buon  sentimento)  per  designare  il  fiume 
imaginario  che  ravviva  la  memoria  del  bene 
operato  (cfr.  Purg,  zxxni  127  e  segg.).  —  e 
non  adopra  ecc.  Il  soggetto  d  sempre  Toc* 
qua  del  v.  121;  e  Dante  vuol  dire  che  quo- 
st*  acqua  del  paradiso  terrestre  non  porta  il 
suo  effètto,  che  d  di  render  l' anima  degna 
di  salire  al  dolo,  se  questa  non  gusta  il  sa- 
pore di  Leto  e  quello  di  £unod,«cioè  se  non 
perde  la  memoria  delle  operazioni  cattive  e 
se  non  acquista  quella  delle  operazioni  buone. 
—  133.  À  tntt'altrl  ecc.  L'elTetto  di  queste 
acque  ò  superiore  a  qualunque  altro,  è  il  più 
benefico  per  le  anime,  poiché  le  rende  pure 
e  disposte  al  salire  al  cielo  (cfr.  Purg,  zrzm 
142-146).  —  134.  awegoa  ch'assai  ecc.  seb- 
bene il  tuo  desiderio  di  sapere  possa  esser  so- 
disfatto anche  so  lo  non  ti  manifesti  altre  cose, 
voglio  senza  tua  domanda  aggiangere  un'al- 
tra dichiarazione,  che  ò  una  conseguenza 
delle  cose  dette  sinorar  —  136.  ^rellar|Q^ 


604  DIVINA  COMMEDIA. 


né  credo  che  il  mio  dir  ti  aia  men  caro, 
138       se  oltre  promission  teco  si  spazia. 
Quelli,  che  anticamente  poetaro 
l'età  dell'oro  e  suo  stato  felice, 
141       forse  in  Parnaso  esto  loco  sognaro. 
Qui  fu  innocente  l'umana  radice; 
qui  primavera  è  sempre,  ed  ogni  frutto; 
144       nettare  è  questo  di  che  ciascun  dice  >. 
*  Io  mi  volsi  di  retro  allora  tutto  • 

a'  miei  poeti,  e  vidi  che  con  riso 
udito  avean  l'ultimo  costrutto: 
148    poi  alla  bella  donna  tomai  il  viso. 

d  tarmine  matematioo  per  dgnifloue  un»  con-  tendo  ;  appunto  perché  fl  fenteima,  ohe  pren- 

dnsione  seoondaiiA,  che  li  licaTE,  oltre  le  de  tignn  e  realtà  nell'  opera  del  poeta  è 

principale,  da  una  dimoitrasioiie  geometrica:  oome  l' effètto  di  una  intema  Tiiione.  — 142. 

nel  linguaggio  flloeoiloo  o  dottrinale  fa  naato  <^  fk  ecc.  Nel  paradiao  terreetre  li  rsrrisa 

in  genere  a  indicare  una  giunta  qualunque  a  tutto  dò  ohe  i  poeti  fmagjnarono  dall'  età 

un  pracedento  ragionamento.  Boedo,  Oon8.ph,  ddl'  oro  :  che  in  eaaa  gli  uomini  ftinmo  pari 

m  prof.  10:  «vduti  geometrae  aolent,...  ita  d'ogni  colpa  («fine  lege  fldem  raotmnque 

ego  quoque  tibi  Yeluti  oorollarium  dabo  >.  —  colebat  >,  Ovidio,  ÌÙL  X  90),  in  eaaa  fa  etar- 

187.  Btf  erede  ecc.  e  credo  die  il  mio  diaoor-  na  primayera  («  Ter  erat  aetemum  > ,  Mèi. 

80  non  ti  aarà  meno  gradito  per  a  Catto  ohe  x  107),  la  terra  producera  da  aó  ogni  fimtto 

eaao  d  allarghi  oltre  la  mia  promeaaa.  Ma-  («  frugea  talloa  inarata  ferebat  >,  MèL  x  109), 

tdda  aveva  promesao  a  Danto  di  a^egargli  e  acoirava  d' ogni  parto  il  nàttare  («  iaa 

le  origini  dd  vento  e  dei  fiumi  dd  paradiao  flnmina  nectarlB  ibant  >,  MeL  i  IH).  — 144. 

terraetre  :  aggiunge  ora  die  i  poeti  cantando  mèttart  ecc.  il  nettare,  dd  quale  parlano 

in  verd  la  iéUdtà  ddl'  età  dell'  oro  ebbero  tutti  i  poeti,  è  l' acqua  di  queati  due  fiumi 

quad  una  vìdone  làntaatica  dd  paradiao  divinL   —   145.   le  ai  velai  ecc.    Danto 

terrestre,  l' imaginarono  conforme  allo  atato  volgendod  indietro  d  due  poeti  ohe  l'aooom- 

della  aanta  campagna.  —  139.  Quelli  eco.  pagnavano  vede  die  le  parole  di  Katelda 

Odoro  che  già  poetarono  aulla  feUdasima  aull*  età  dd}'  oro  hanno  fatto  una  grata  im- 

età  ddl'  oro  :  Danto  allude  apedalmento  alla  preadone  aovra  di  eaai,  Impraarione  che  ap- 

deacridone  ovidlana,  Met,  i  89-112;  cfr.  Inf.  pare  nd  aorrieo  con  che  aoodgono  <'  ultùm 

zvi  106,  Ptirg,  xzn  148.  ~  141.  forae  eoe:  ooafmtto,  l'ultima  parto  del  diaoorao  della  don- 

iognaré  in  Pianuuo  vuol  dire  imaginare  poe-  na.  —  148.  teraal  eco.  mi  dvold  a  Hatdda. 


CANTO  XXIX 

Dante  e  Matelda  avanzano  ciascono  longo  una  delle  rive  di  Lete,  quando, 
preceduta  da  un  grande  splendore  e  da  un  dolcissimo  canto,  appare  nna 
mistica  processione  formata  da  sette  ardenti  candelabri,  da  ventiquattro 
seniori  coronati  di  gigli,  da  quattro  animali  che  circondano  nn  carro  trion- 
fale tratto  da  un  grifone,  accompagnato  alla  destra  da  tre,  alla  sinistra  da 
quattro  donne,  e  seguito  da  sette  seniori  coronati  di  fiori  yermigli  [18  aprile, 
dalle  sette  antim.  circa  alle  otto}. 

Cantando  come  donna  innamorata, 
continuò  col  fin  di  sue  parole: 

ZXIX  1.  Caatande  ecc.  Uatdda,  finito  contro  il  coxao  del  fiume  :  Danto  d  muove 
il  suo  discorso,  riprende  a  cantare,  e  a'  av-  nella  atesaa  diredone  aulla  riva  ainistrm,  caa- 
via  a  brevi  paad  auUa  destra  riva  di  Lete      minando  di  pari  paaao  con  la  donna.  Il  primo 


PURaATORIO  -  CANTO  XXIX 


505 


8  €  Beati,  quorum  tecta  sumt  peccata  >. 
E  come  ninfe  che  si  givan  sole 

per  le  salvatiche  ombre,  disiando 
6       qual  di  veder,  qual  di  fuggir  lo  sole, 
allor  si  mosse  contra  il  fiume,  andando 
su  per  la  riva,  ed  io  pari  di  lei, 

9  picciol  passo  con  picciol  seguitando. 
Non  eran  cento  tra  i  suo'  passi  e  i  miei, 

quando  le  ripe  igualmente  dièr  volta, 
12       per  modo  eh' a  levante  mi  rendei; 
né  ancor  fu  cosi  nostra  via  molta, 

quando  la  donna  tutta  a  me  si  torse, 
15       dicendo  :  «  Frate  mio,  guarda  ed  ascolta  >. 


▼eno  ricorda  qaello  di  B.  CaTsloanti  (balL 
TV)  :  «  CantaTm  come  fosse  'naiAprata  ».  —  8. 
Beati  eoo.  Sono  le  parole  del  Salmo  zzzn 
1  :  «  Beato  oolni,  la  cid  trasgressione  è  ri- 
e  il  eoi  peccato  è  coperto  t  »  ;  parole 
,  opportime  a  questo  momento,  poiché 
Dante  era  per  passare  il  fiume  che  toglie  la 
BBomoria  del  peccato.  —  i.  K  come  alafe 
eoo.  Ventari  666  :  «  Continoa  la  descrizione 
di  Katelda;  e  qui  il  poeta  la  paragona  alle 
ninfe  della  farcia,  per  mostrare  la  vereconda 
leggiadria  del  muoversi  di  lei  lungo  la  riva 
del  flondoello,  quasi  in  luogo  ad  essa  sacro  ; 
conforme  al  virgiliano  :  Nympluuque  Moront, 
Cmtum  guM  sUwu,  cenimn  quas  flxtmina  s&T" 
vani  {Georg,  iv  882)  ».  —  6.  qnal  di  Teder 
eco.  alcune  nei  luoghi  aperti,  altre  nei  bo- 
schi ombrosi.  —  7.  centra  11  flamei  risa- 
lendo il  corso  di  Lete  (cfir.  Purg,  x  40),  òhe 
in  quel  punto  finiva  verso  settentrione  :  dun- 
que Hatelda  s' avviò  nella  direzione  dol  mez- 
sogiomo.  ~  8.  ed  le  pari  ecc.  ed  io  mossi 
nella  stessa  direzione,  sulla  riva  sinistra,  mi- 
surando i  miei  passi  coi  brevi  passi  di  Ma- 
telda.  —  10.  Hen  eran  ecc.  Non  avevamo 
fatto  ancora  ciascuno  cinquanta  passi  che 
le  rive  di  Lete  piegarono  a  sinistra,  si  eh'  io 
mi  trovai  con  la  faccia  volta  a  oriente.  — 
18.  mt  ancor  eoo.  e  non  avevamo  ancora 
percorsa  molta  strada  in  questa  direzione, 
quando  Katelda,  volgendosi  tutta  a  me,  ri« 
chiamò  la  mia  attenzione  su  ciò  che  era  per 
apparire.  —  16.  Frate:  anche  qui  non  ha 
altro  valore  che  quello  dichiarato  in  Purg, 
IV  127.  —  gnarda  ed  ascolta  ;  Blatelda  am- 
monisce Dante  di  prestare  attenzione  alla 
visione,  che  ora  egli  deve  avere  del  trionfo 
della  Chiesa.  È  questo  uno  del  luoghi  più 
singolari  del  poema,  e  a  dichiarare  questa 
visione  s'affaticarono  assai,  oltre  i  commen- 
tatori, molti  studiosi  di  Dante  ;  i  piò  note- 
v<di  lavori  su  questa  materia  sono  quelli  di 
V.  Barelli,  AU^oria  deUa  Din,  Oom.,  Firenze, 
186Ì,  pp.  148-168,  241-293,  e  di  G.  A.  Scar- 


tazzini,  DamU't  VisUm  im  trditókm  Bmh 
diete  und  die  bibtttohe  ApooaiyfHk  nel  Jakf" 
huh  d&r  deuttehen  Dante- OeeeUschaftf  a.  1869, 
voi.  n,  pp.  99-160  :  U  migUore  di  tutti  è  lo 
studio  di  e.ehiraidini,  DeUa  vitione  tU  DanU 
nel  paradiso  terretire  nel  Bxpi^notors,  a.  1877- 
78,  voL  X,  p.  n,  pp.  1^-227.  e  voL  XI, 
p.  I,  pp.  27-76.  Dal  lavoro  del  Ohirardini 
tolgo  la  seguente  esposizione  generale  della 
visione  e  della  sua  importanza.  <  Dante  s'in- 
cammina con  ICatUde  :  vede  subitamente  un 
grande  fulgore  diffondersi  per  la  selva  ;  oda 
una  melodia  soave  ;  ecco  :  s'apre  la  visione, 
n  poeta  ha  da  descriver  oose  si  alte,  ohe 
avanzano  di  tanto  l'umana  natura,  ohe  gli 
è  bisogno  aflhmcare  la  sua  poetica  virtù  e 
chiede  mercede  alle  muse.  Gli  appaiono  sette 
accesi  candelabri,  le  cui  fiammelle  più  chiare 
assai  ohe  la  luna,  lasciano  dietro  per  l'aria 
sette  liste  di  luce  dipinte  ne'  colori  dell'  iride. 
Seguono  ventiquattro  seniori  biancovestiti  e 
coronati  di  giglio;  quattro  animali  dnti  di 
verdi  fronde  con  sei  ali  ciascuno,  e  nel  mezzo 
un  carro  trionfale,  splendido  e  maestoso,  tratto 
da  un  grifone,  òhe  solleva  le  ali  tra  mezzo 
alle  strisele  di  luce;  alla  destra  ruota  del 
carro  li  fanno  innanzi  carolando  tre  donne, 
l'una  rossa,  verde  l'altra,  l'ultima  candida 
come  neve,  e  altre  quattro  dal  lato  sinistro, 
vestite  di  porpora;  dietro  due  vecchi,  l'uno 
dei  quali  ha  sembianza  di  medioo,  l'altro  di 
guerriero  ;  poi  quattro  d' umile  aspetto,  e  per 
ultimo  un  altro  vecchio  dormente,  ma  col 
volto  vivo  e  animato  [o.  xxix]...  In  mezzo 
una  nuvola  di  fiori  scende  Beatrice  e  si  pone 
sul  carro;  riprende  acerbamente  a  Dante  i 
suoi  trascorsi:  Dante. li  confessa;  è  tulEato 
in  Leto  da  Matilde  ;  obblia  ogni  colpa,  e  poi 
che  Beatrice  si  togUe  il  velo  dal  viso,  egli 
vede  maravigliando  la  seconda  bellezza  di 
lei,  lo  splendore  della  eterna  luce  [e.  xxz* 
xxxi].  La  gloriosa  schiera  ed  il  carro  volgono 
a  destra  e  si  drizzano  tutti  verso  oriento; 
giungono  presso  un  albero  altissimo,  spoglio 


506 


DIVINA  COMMEDU 


Ed  ecco  un  lustro  sùbito  trascorse 
da  tutte  parti  per  la  gran  foresta, 
18       tal  che  di  balenar  mi  mise  in  forse; 
ma  perché  il  balenar,  come  vien,  resta, 
e  quel  durando  più  e  più  splendeva, 
21        nel  mio  pensar  dicea:  €  Che  cosa  è  questa?  > 
Ed  una  melodia  dolce  correva 
per  l'aer  luminoso;  onde  buon  zelo 
24       mi  fé*  riprender  l'ardimento  d'Eva, 
che,  là  dove  ubbidia  la  terra  e  il  cielo, 
femmina  sola,  e  pur  testé  formata, 
27       non  sofferse  di  star  sotto  alcun  velo; 
sotto  il  qual,  se  devota  fosse  stata, 
avrei  quelle  ineffabili  delizie 
80       sentite  prima,  e  più  lunga  fiata. 


di  foglie  e  fiori,  al  quale  il  grifone  lega  il 
carro;  e  a  vn  tratto  l'alberD  germogUA  e 
a'  adoma  di  fiori  Termigli.  Dante  a'  addor- 
menta :  riacoiao  dal  aonno  Tede  atargU  presso 
Matilde,  e  Beatrice  sedani  in  sa  la  radice 
dell'  albero.  U  grifone  e  gli  altri  tatti  aal- 
gono  al  cielo,  tranne  le  ninfe  che  con  i  can- 
delabri Iknno  corona  a  Beatrice.  Scende  nn*a- 
qoila  dall'alto;  ferisce  l'albero  e  il, carro; 
a'  avventa  aorr*  esso  nna  yolpe,  che  Beatrice 
pone  in  sùbita  itiga;  riscenda  l' aquila  e  ]a> 
acia  al  cano  delle  sue  penne;  apresi  la  terra 
e  n'esce  un  drago,  cho  protendendo  la  coda 
snl  carro  trae  a  so  parte  del  fondo.  S  allora 
ecco  apparire  nn  nuovo  spettacolo:  il  carro 
ai  ricopre  tatto  delle  piume  ;  mette  fìiori  sette 
teste  cornute:  sopra  s'asside  una  meretrice 
e  allato  a  lei  un  gigante,  che  pieno  di  so- 
spetto trascina  per  la  selva  il  mostruoso  si- 
mulacro [e  xxzn].  Nell'ultimo  canto  Bea* 
trice  annunzia  a  Dante  che  non  rimarrà  senza 
erede  l' aquila  c^e  lasciò  il  carro  pennato  e 
che  un  inviato  da  Dio  ucciderà  la  meretrice 
e  il  gigante  ;  gli  tiene  discorso  dell'  albero  e 
gli  dice  di  scrivere  quel  che  ha  veduto.  Di 
poi  lo  fa  immergere  nell'acqua  dell'Eonoò, 
dond'  egli  esce  puro  e  diapoito  a  talirB  alte 
tióUé  [e  xxxin].  Da  questa  brevissima  espo- 
sizione appare  la  vastità  della  fantasia  di 
Dante.  "Egli  è  mosso  da  due  fini  :  vuole  rap- 
presentare dall'  un  lato  sé  dirimpetto  a  Bea- 
trice, l'uomo  che  si  lova  dal  peccato,  che 
s'appura  e  rinnova  col  sentimento  e  col  ri- 
tomo alla  scienza  divina  ;  dall'  altro  delineare 
la  storia  deUa  Chiesa,  la  origine,  il  progresso 
di  essa,  il  suo  stato  presente  e  le  sorti  fu- 
ture. £  che  la  egli  ?  I  suoi  concetti  trasforma 
in  imagini  simboliche  e  ne  intesso  il  quadro 
meraviglioso  della  visione.  Quanto  alla  parte 
pi6  universale  che  si  contiene  in  ispeoie  nel 
G.  jxoi,  nel  xxiii  e  noi  primi  cento  versi 


del  xzxm,  trascorrendo  il  meglio  ddle  r^- 
presentanze  dei  profeti  Ezechiele  e  Daniele 
e  dell'  apostolo  Oioranni,  fa  rinverdire  ancora 
tante  imagini  avvizzite,  le  rinnovella,  le  svol- 
ge, le  colora  qilendidamente  ;  le  intreccia,  le 
rannoda  in  una  grandiosa,  fantastica,  sva- 
riata unità,  e  eolia  potenza  dell'ingioino  e 
dell'  arte  adopera  si  che  quelle  meraviglie  ti 
rapiscano,  ti  attraggano  a  a6,  ti  tengano  l'a- 
nimo religiosamente  attento  e  raccolto,  quasi 
che  atieno  da  vero  innanzi  ai  tuoi  ocdii  >. 
—  16.  Ed  eeeo  eco.  Improvvisamente  si  dif- 
tuae  per  tutte  le  parti  della  selva  una  gran 
luco,  la  quale  mi  fece  dubitare  che  fosse  ba- 
lenato. —  19.  MA  pereké  eoe  ma  perché  la 
luce  del  baleno  cessa  nello  stesso  momento 
in  cui  appare  e  invece  la  luce  apparaami 
durava  e  a'  avvivava  sempre  pi6,  io  pensava 
meco  stesso  che  cosa  mai  fosse  questo  splen- 
dore. —  22.  Ed  «na  ecc.  E  insieme  con  la 
luce  si  diifose  per  l'aria  una  dolce  melodia, 
la  quale  a  Dante  fece  sentire  vivissimo  rin- 
crescimento della  perdita  che  l'uomo  fece 
del  paradiso  terrestre  a  cagione  del  peccato 
di  Eva.  —  28.  buon  sele  ecc.  l'amore  del 
prossimo  mi  fece  rimproverare  Eva,  la  quale, 
femmina  aotOf  non  eccitata  da  alcun  senti- 
mento di  emulazione,  e  pur  lesti  formaiA, 
creata  aolamente  allora,  non  ancora  scaltrita 
dall'  esperienza  della  vita,  non  tollerò  di  star 
setto  al  vdOf  di  essere  sottoposta  alla  volontà 
divina,  là  dove  ubbidia  la  terra  e  U  eiffe,  noi 
paradiso  terrestre  ove  tutto  il  creato  ubbi- 
diva a  Dio.  —  27.  aotte  alcun  velo:  non  il 
velo  dell'ignoranza,  come  intendono  i  più 
dei  commentatori,  ma  qneDo  dell'  ubbidienza, 
coi  Eva  si  sottrasse  contravenendo  al  divino 
precetto  di  non  mangiare  il  frutto  dell'  albero 
della  scienza  (cfir.  Osn,  u  17,  m  5-6).  —  26. 
aotte  il  qaal  ecc.  che  se  Eva  fosse  stata 
ubbidiente  al  precetto  del  Signore,  1'  i 


PURGATORIO  -  CANTO  XXIX 


607 


Mentr'io  m'andava  tra  tante  primizie 
dell'eterno  piacer,  tutto  sospeso, 
83       e  disioso  ancora  a  più  letizie, 

dinanzi  a  noi  tal,  quale  un  foco  acceso, 
ci  si  fé*  l' aer  sotto  i  verdi  rami, 
36       e  il  dolce  suon  per  canto  era  già  inteso. 
0  sacrosante  vergini,  se  fami, 
freddi  o  vigilie  mai  per  voi  soffersi, 
39        cagion  mi  sprona,  ch'io  mercé  ne  chiami. 
Or  convien  ch'Elicona  per  me  versi, 
ed  Urania  m'aiuti  col  suo  coro, 
49        forti  cose  a  pensar  mettere  in  versL 
Poco  più  oltre  sette  arbori  d'oro 
falsava  nel  parere  il  lungo  tratto 
45        del  mezzo,  ch'era  ancor  tra  noi  e  loro; 
ma  quando  fui  si  presso  di  lor  fatto, 
che  l'obbietto  comun,  che  il  senso  inganna, 
48        non  perdea  per  distanza  alcun  suo  atto, 
la  virtù,  eh' a  ragion  discorso  ammanna, 
si  com'elli  eran  candelabri  apprese, 


non  sarebbe  stato  cacciato  dal  paradiso  ter- 
restre e  lo  arrei  sino  dalla  nascita  e  per  pift 
lungo  tempo  godnto  le  indicibili  delizie  di 
qnel  luogo  felice.  —  81.  Bentr'!*  eco.  Men- 
tre io  procedeva  tra  quella  Ince  e  quella  me- 
lodia, primi  segni  della  beatitudine  etema, 
tutto  pieno  di  stupore  e  desideroso  di  mag- 
giori piaceri  eoo.  —  83.  ^tf  letlsle  :  queste 
letìzie  maggiori,  delle  quali  Dante  era  an« 
sioeo,  s' assommayano  tutte  nel  piacere  del« 
V  imminente  apparizione  di  Beatrice.  —  84. 
dlaansl  a  noi  eco.  la  luce  primamente  ap- 
parsa incominoid  a  rosseggiare  per  l' aria  sotto 
le  verdi  piante,  come  viva  fiamma:  effetto 
dell' aTTÌdnarsi  dei  sette  candelabri  ardenti 
(rv.  49-54).  -^  86.  e  11  dolce  ecc.  e  la  me- 
lodia sino  allora  indistìnta  si  senti  essere  un 
canto  formato  di  parole  :  ere  il  canto  d'  0- 
aanna  dei  ventiquattro  seniori,  che  si  avvi- 
cinavano sempre  piti  al  fiume  (w.  61,  85-87). 

—  87.  0  saerosante.eoc.  Come  già  verso  la 
fine  della  prima  cantica  {Inf,  xxzn  10  e  segg.), 
cosi  verso  la  fine  della  seconda  U  poeta  si 
raccomanda  novamente  alle  Muse,  già  da  lui 
invocate  da  principio  (I\trg,  i  7  e  segg.)»  af- 
finché lo  aiutino  a  mettere  in  versi  la  grande 
visione  con  la  quale  il  I^trgcUorio  si  chiude. 

—  se  fami  eco.  se  psr  voi,  per  cagione  di 
studio,  sopportai  ogni  disagio  di  fame,  di 
fiieddo,  di  veglia,  on  la  necessità  m'induce 
a  chiedere  11  compenso  del  vostro  aiuto.  Dante 
stesso,  Com,  ni,  1  dice  :  e  Oh  quante  notti 
furono,  òhe  gli  occhi  dell'  altre  persone  chiusi 
dormendo  si  posavano,  che  li  miei  nell'abi- 


tacolo del  mio  amore  fisamente  miravano  t  >  ! 
e  il  Bocc,  Vita  di  DanU^  §  2:  «  Non  curando 
né  caldi  né  freddi,  vigiUe  né  digiuni,  né  al- 
cuno altro  corporale  disagio,  con  assiduo  stu- 
dio pervenne  a  conoscere  »  ecc.  e  $8:  »  Ninno 
altro  tu.  piti  vigilante  di  lui  e  negli  studi  e 
in  qualunque  altra  sollecitudine  il  pugnesse  » . 
—  40.  Or  coBTlen  eco.  Ora  bisogna  che  il 
monte  Elicona,  sede  delle  Muse,  versi  larga- 
mente le  sue  acque  in  mio  soccorso,  e  che 
Urania,  la  musa  che  reppresenta  la  scienza 
delle  cose  celesti,  mi  aiuti  con  le  sue  com- 
pagne a  mettere  in  versi  cose  che  sono  dif- 
ficili pure  a  pensare;  cfr.  Virgilio,  En,  vn, 
641,  X  163  :  «  Bandite  nunc  Helicona,  doae, 
cantusque  movete  ».  —  43.  Poco  pld  ecc. 
Al  di  là  dello  splendore  rosseggiante,  la  grande 
distanza  fdlaava  nel  parere,  faceva  falsamente 
apparire  sette  alberi  d'oro.  —  44.  11  lungo 
ecc.  il  lungo  spazio  intermedio  tra  il  luogo 
ov'  erano  Dante  e  Matelda  e  quello  delle  lu- 
minose apparizioni.  —  47.  elie  Pobbletto  eoo. 
che  la  somiglianza  (cioè  le  qualità  sensibili 
comuni  agli  alberi  e  ai  candelabri),  la  quale 
Inganna  il  senso,  per  la  minore  distanza  non 
m' ingannava  piti,  non  perdea  aieu/n  tuo  atto^ 
mostrava  le  qualità  sensibili  sue  particolari 
(cioè  la  forma  di  candelabri,  e  non  di  alberi). 
Si  cfr.  nel  Conv,  iv,  8  :  e  sensibili  comuni, 
là  dove  il  senso  spesse  volte  ò  ingannato»; 
che  risale  ad  Aristotele,  De  anima  n  6  (Mooro, 
I  112).  —  49.  la  Tirtd  ecc.  il  discernimento, 
che  propara  la  materia  al  raziocinio  umano, 
mi  fece  capire  cho  erano  candelabri.—  50.  ea«- 


508  DIVINA  COMMEDIA 


61        e  nelle  voci  del  cantare,  €  Osanna  ». 
Di  sopra  fiammeggiava  il  bello  arnese 
più  chiaro  assai  die  luna  per  sereno 
54       di  mezza  notte  nel  suo  mezzo  mese. 
Io  mi  rivolsi  d'ammirazion  pieno 
al  buon  Virgilio,  ed  esso  mi  rispose 
57        con  vista  carca  di  stupor  non  meno. 
Indi  rendei  l'aspetto  all'alte  cose, 
che  si  i^oveano  incontro  a  noi  si  tardi 
00       che  fòran  vìnte  da  novelle  spose. 
La  donna  mi  sgridò  :  «  Perché  pur  ardi 
si  nell'aspetto  delle  vive  luci, 
63        e  ciò  che  vien  di  retro  a  lor  non  guardi  ?  > 
Gfónti  vid'io  allor,  com'a  lor  duci, 
venire  appresso,  vestite  di  bianco; 
Q6       e  tal  candor  di  qua  giammai  non  fùcL 
L'acqua  splendeva  dal  sinistro  fianco, 
e  rendea  a  me  la  mia  sinistra  costa, 
69        s'io  riguardava  in  lei,  come  specchio  anco. 
Quand'io  dalla  mia  riva  ebbi  tal  posta 
che  solo  il  fiume  mi  facea  distante, 
72        per  veder  meglio  ai  passi  diedi  sosta, 
e  vidi  le  fiammelle  andar  davante, 

delabri:  i  sette  laminosi  candelabri  d'oro,  abbandonandola  oasapatema  e  andando  Terso 
coi  qoali  comincia  la  processione,  simbolep-  la  casa  ooniogale.  —  60.  che  fbraa  eoe.:  si- 
giano, secondo  l' interpretazione  più  comune,  militndine  esplicata  ood  dal  Frexzi,  Quadrir, 
che  per  tatta  la  visione  è  anche  la  più  ra-  i,  16:  e  E  come  ra  per  via  sposa  novella  A 
gionevole,  1  sette  doni  dello  Spìrito  Santo  :  passi  rari,  e  porta  gli  occhi  bassi  Con  fàccia 
pietà,  timore,  fortezza,  scienza,  consiglio,  in-  vergognosa,  e  non  favella.  —  61.  ■!  tgrldò  : 
telletto,  sapienza  (of^.  Conv,  zz  21)  ;  o  l' idea  cfir.  Inf,  xvm  118.  —  PereM  p«r  eco.  Per- 
d  tolta  dai  sette  candelabri  àeW Apocalisse,  che  guardi  con  tanto  ardore  solamente  allo 
I  12,  IV  6.  —  5L  e  nelle  voci  ecc.  è  il  canto  spettacolo  dei  sette  candelabri,  e  non  gnardi 
dei  ventiquattro  seniori,  i  qnaU  cantavano  a  dò  òhe  viene  dietro  ad  essi?  Cfir.  Psr. 
Osanna  (of^.  Bar.  vn  1)  e  la  salntazione  che  xxm  70-72.  —  64.  Genti  eco.  Reso  più  at- 
Dante  riferirà  più  innanzi  (w.  85-87).  —  52.  tento  dall'avvertimento  di  Matelda,  Dante 
W.  fopr*  eco.  L' ordine,  l' insieme  dei  sette  vede  nna  schiera  di  persone  vestite  di  bianco, 
candelabri  nella  soa  parte  superiore  fiammeg-  che  segoivano,  come  loro  goide,  i  candelabri  : 
giava  più  chiaramente  che  non  fiMscia  la  Iona  chi  fossero  dirà  nei  w.  82-87.  —  66.  e  tal 
quando  è  nel  suo  maggior  lame,  cioè  allor-  ecc.  e  nna  cosi  viva  bianchezza  non  ci  /k  mai, 
ohe  la  lana  ò  in  tatta  la  sua  pienezza  e  si  non  appsive  giammai  ad  aloano  nel  nostro 
mostra  nell'aria  limpidissima,  nel  momento  più  mondo.  —  fdel:  ci  fu;  cfir.  Parodi,  ButL  IH 
osoaro  della  notte.  —  66.  Io  mi  rivolsi  eoe  108.  —  67.  L'aeqaa  eoo.  L'acqoa  del  fiamo 
Dante  si  rivolge  a  Virgilio  qaasi  per  chie-  Leto  per  il  flammeggiaie  dei  candelabri  ri- 
dergli con  lo  sguardo  pieno  di  stupore  la  ra-  splendeva  alla  sinistra  di  Dante,  e  se  egli  ri- 
glone  di  tante  meraviglie  ;  ma  Virgilio,  giunto  guardava  in  essa  l'acqua  gli  riJSetteva,  come 
onnai  in  luogo  ove  più  oltre  per  lai  non  ai  specchio,  il  fianco  sinistro.  —  70.  Qma«d*lo 
disceme  (cf^.  Puirg,  xxvn  129),  non  pud  dar-  ecc.  Quando  presso  la  riva  sinistra  del  fiume 
gli  alcuna  spiegazione  e  gli  risponde  con  uno  ebbi  tal  posia^  ebbi  occupato  tal  luogo,  tid 
sguardo  altrettanto  stupefatto.  —  58.  rendei  giunto  tanto  vicino  ad  essa  ohe  solamente  il 
ecc.  volsi  novamente  il  viso  a  quelle  mera-  corso  dell'acqua  mi  separava  dalla piooeesione, 
viglio  che  si  movevano  verso  di  noi  più  len-  mi  fermai  per  osservaria  meglio.  —  73.  le 
tamente  che  non  sogliono  fare  le  nuove  spose  flammelle  andar  ecc.  le  fiamme  dei  oaade> 


^r— T-^ 


PURGATORIO  —  CANTO  XXIX 


509 


lasciando  retro  a  sé  l'aer  dipinto, 
75        e  di  tratti  pennelli  ayean  sembiante; 
si  che  li  sopra  rimanea  distinto 
di  sette  liste,  tutte  in  quei  colori, 
78       onde  fa  l'arco  il  sole  e  Delia  il  cinto. 
Questi  ostendali  retro  eran  maggiori 
che  la  mia  vista;  e,  quanto  al  mio  ayyiso, 
81        dieci  pABBÌ  distavan  quei  di  fuori. 
Sotto  cosi  bel  ciel,  com'io  diviso, 
ventiquattro  seniori,  a  due  a  due, 
84        coronati  venlan  di  fiordaliso. 


labri  aTanarano  in  testa  alla  prooessioiie, 
lasciando  dietro  a  so  strisce  luminose  per  l'a- 
ria, si  che  areano  aspetto  di  tratU  ptnnellL 
In  queste  Uste  laminose  alcuni  commentatori, 
Bati,  Land.  VelL  ecc.,  vedono  simboleggiati 
i  sette  sacramenti  della  Chiesa  ;  meglio  s'hanno 
da  intendere  i  doni  dello  Spirito  Santo  con- 
siderati nei  loro  benefici  effètti.  —  76.  e  di 
tratti  eoo.  Questa  similitudine  ha  dato  luogo 
a  grandi  discussioni  tra  i  moderni  interpreti, 
la  quali  si  sono  aggirate  specialmente  sopra 
&  ralore  della  parola  jMfinsUi.  La  pi6  comune 
intarpretarione  d  quella  degli  antichi  com- 
montatori,  Ott,  Buti,  Benr.,  Land.,  Veli., 
accolta  poi  dal  Vent,  Lomb.,  Biag.,  Ges., 
0iul.,  per  i  quali  Dante  avrebbe  paragonate 
la  strisce  luminose  dei  candelabri  che  si  mo- 
vevano ai  tratti  di  pennello  che  i  pittori  con- 
ducono sulle  loro  tele.  L'altra  interpretazione, 
confermata  dal  v.  79,  fa  data  gìk  dal  Dan., 
che  spiegò  ÈratH  pmneUi  per  «  portati  sten- 
dardi et  gonfaloni  >,  e  ravvivata  da  V.  Monti, 
Pnpoeta  di  ahuns  eorr,  ed  aggiunta  al  Voeab, 
delia  Omtea,  Milano  1824,  voL  II,  p.  Il,  pp. 
88-48,  e,  sebbene  combattuta  da  F.  Del  Fa- 
ria,  Esame  della  epiegax,  data  dal  Dan.  e  da 
aUri  modani  ad  unpaaso  del  o,  uax  del  Purg. 
negU  AtU  dell' L  e  R.  Aeoad,  della  Omsea, 
voL  m,  pp.  868-872,  fa  accettata  da  molti, 
come  Costa,  Tomm.,  Bianchi,  Frat.  eco.  e  nao- 
vamente  dìfeea  dal  Del  Lungo,  DarUe^  U  623- 
626  :  secondo  questi  interpreti,  Dante  avreb- 
be paragonato  le  strisce  dei  candelabri  a  pic- 
cole bandiere  spiegate  al  vento;  e  veramente 
pmtruUo  ebbe  nella  nostra  lingua  antica  (es. 
Guido  delle  Colonne  in  Val.  1 197  ;  Ohr,  par- 
Msns.  in  Mur.,  Bar.  itoj.  IX  834  ecc.)  U  si- 
gniflcato  di  banderuola.  Altri,  come  l'An.  fior., 
loasero  panelU,  che  sarebbero  fiochi  messi  ad 
ardere  snlle  lumiere,  in  cima  delle  torri  per 
segnali  o  per  allegrezza,  o  portate  in  asta 
nelle  processioni,  nelle  marce  notturne  ecc. 
(cfir.  r  lllustrarione  storica  del  loro  oso  in 
Del  Lungo,  Dante,  H  614-619).  —  76.  s(  che 
Il  sopra  eco.  di  guisa  che  Tana  rimaneva 
distinta  da  sette  liste  laminose,  ohe  avevano 
in  sé  tutti  i  colori  dell'arcobaleno  e  dell'alo- 


ne. —  78.  e  Delia  11  eUto  :  la  luna  o  Diana, 
nata  nell'  isola  di  Dolo,  dipinge  della  sua  luce 
l'alone,  che  è  poeticamente  chiamato  U  suo 
cinto.  —  79.  iresti  «steadall  ecc.  Questi 
stendardi,  questi  tratH  pennelU,  ossia  le  liste 
laminose  che  tenevano  dietro  ai  candelabri,  si 
allungavano  tanto  nella  lontananza  ohe  la 
mia  vista  non  ne  disoemeva  la  fine.  Allego- 
ricamente vuol  dire  che  i  benefici  effietti  del 
doni  dello  Spirito  Santo  sono  infiniti  e  innu- 
morevolL  —  80.  e,  qaaato  ecc.  e,  secondo 
il  mio  giudirio,  le  due  Uste  estreme  distavano 
fia  loro  dieci  passi;  si  che  questa  era  la  lar- 
ghezza del  fascio  luminoso  formato  dalle  sette 
liste.  Allegoricamente  significa  che  gli  effetti 
del  doni  dello  Spirito  Santo  illuminano  e  san- 
tificano la  Chiosa  compiutamente  e  perfetta- 
mente; e  ciò  in  relazione  al  valore  simbolico 
del  numero  dieci  considerato  come  perfetto  e 
compiuto  in  so  stesso  :  1  più  degli  interpreti 
per  altro  vedono  nei  dieoi  poeti  simboleggiati 
i  died  comandamenti,  l'osservanza  dei  quali  ot- 
tiene all'  nomo  i  doni  dello  Spirito  Suito.  — 
82.  di  ri  so  :  dico  descrivendo  e  raocontando. 
—  83.  ventiquattro  seniori:  l'idea  di  que- 
sti seniori  procedo  dall'iljwea/issf  iv  i,  ove 
è  detto  ohe  intomo  al  trono  di  Dio  sedevano 
e  ventiquattro  vecchi,  vestiti  di  vestimenti 
bianchi,  ed  aveano  in  su  le  lor  teste  delle 
corone  d' oro  »  ;  e  quasi  tutti  i  commentatori 
s'  accordano  ned  riconoscervi  simboleggiati, 
come  già  san  Girolamo  nel  Prologui  gcUeatue 
alla  Bibbia  aveva  dichiarato  dei  seniori  del- 
VApoc.f  ventiquattro  libri  del  vecchio  testa- 
mento 0  i  loro  autorL  I  commentatori  discorw 
dano  nella  enumerarione  di  questi  libri,  ma 
d  ragionovole  credere  che  Dante  avesse  la 
mente  all' interpretarione  di  s.  Girolamo,  il 
quale  cosi  li  rassegna  :  1.  Genesi,  2.  Esodo, 
8.  Levitloo,  4.  Nameri,  6.  Deuteronomio,  6. 
Giosuè,  7.  Giudici,  8.  Samuele,  9.  Be,  10. 
Isaia,  11.  Geremia,  12.  Ezechiele,  18.  Profeti 
minori,  14.  Giobbe,  16.  Salmi,  16.  Proverbi, 
17.  Ecclesiaste,  18.  Cantico  dei  Cantici,  19. 
Daniele,  20.  Croniche,  21.  Esdra,  22.  Ester, 
23.  Rath,  24.  Cinoth.  —  84.  41  flordaUto* 
qaesti  seniori  erano  incoronati  di  gigli  a  si- 


BIO 


DIVINA  COMMEDIA 


Tutti  cantavan:  «Benedetta  tue 
nelle  figlie  d'Adamo,  e  benedette 
87       sieno  in  etemo  le  bellezze  tue  !  » 

Poscia  die  i  fiori  e  l'altre  fresche  erbette, 
a  rimpetto  di  me  dall'altra  sponda, 
90       libere  flr  da  quelle  genti  elette, 
si  come  luce  luce  in  elei  seconda, 
vennero  appresso  lor  quattro  •  animali,  * 

93       coronato  ciascun  di  verde  fronda. 
Ognuno  era  pennuto  di  sei  ali, 
le  penne  piene  d'occhi;  e  gli  occhi  d'Argo, 
96       se  fosser  vivi,  sarebber  cotali 

A  descriver  lor  forme  più  non  spargo 


1 


gnificare  la  parexza  della  dottrina  oontenata 
D6i  libri  dei  vecchio  teetamento.  —  85.  Be- 
nedetta eoe  Queste  paiole  dei  seniori,  dirette 
a  lodare  ICaiìa  Vergine,  teoondo  il  Bnti,  o 
Beatrice,  leoondo  il  Lana,  1*  ano  e  l'altro  ee- 
goiti  nella  rispettiTa  opinione  da  molti  mo- 
derni, eono  qaelle  con  le  quali  Gabriele  ed 
Elisabetta  salutarono  la  madre  di  Cristo  (Laca 
I  28  e  42):  e  Benedetta  sii  ta  fra  le  donne  », 
aggiontavi  nna  benedizione  alla  bellezza  della 
donna  divina.  —  88.  Pesela  eoo.  La  proco»* 
sione  contìnua  ad  avanzare  e  appena  sono 
passati  1  ventiquattro  seniori,  lasdando  libero 
per  un  momento  lo  spazio  fiorito  ed  erboso 
di  fronte  a  Dante  dall'altra  riva,  appariscono 
quattro  animaU.  —  91.  si  eeme  Uee  ecc. 
come  nel  cielo  una  stella  succede  a  un'  altra 
occupandone  il  luogo.  Ant.  :  «  A  dipingere 
l'ordine,  la  maestà  del  movimento,  la  bellezza 
Q  la  giocondità  dei  personaggi  che  passavano 
dinanzi  al  poeta,  in  piccola  distanza  sull'altra 
riva,  non  si  poteva  scegliere  imagine  pi6  con- 
veniente di  quella  del  passeggio  degli  astri 
ad  un  oerohio  celeste,  cui  sia  rivolto  lo  sguar> 
do  d' esperto  osservatore  ».  —  92.  ^nattre 
iBlmall  :  V  idea  di  questi  quattro  animali  pro- 
cede anch'  essa  da  fonti  bibliche,  dalle  visioni 
doò  di  Ezechiele,  iv  4-14  (cfr.  v.  100),  o  di 
Giovanni,  ApoeaL  iv  6  (cfr.  v.  104),  nelle 
quali  sono  descritti  con  gii  stessi  caratteri 
dati  loro  da  Dante.  Quanto  al  valore  simbo- 
lico dei  quattro  animali,  tutti  i  commentatori 
antichi  e  molti  moderni  fturono  concordi  nel 
rioonoecerri  simboleggiati  gli  autori  dei  quat- 
tro evangeli  canonici,  Matteo,  Marco,  Luca 
e  Giovanni:  alcuni  moderni  per  altro,  come 
Lomb.,  Biag.,  Costa,  Giul.,  Scart  vorrebboro 
che  fossero  penoniflcazioni  dei  libri  evange- 
lici, non  degli  evangelisti,  per  la  ragione  che 
Luca  e  Giovanni  ri^parirebbero  pi6  innanzi, 
l'uno  in  àbito  di  medico  (w.  136-138)  e  l'al- 
tro m  umile  patruta  (v.  142)  e  poi  solitario 
oon  la  faccia  arguta  (w.  143-144)  ;  se  non 
che  in  queste  ultime  figure  sono  da  ricono- 


scere Luca  e  Gbvannl,  ma  non  come  evan- 
geUsti,  si  bene  come  autori  l' uno  degli  Atti 
degli  Apostoli  e  l'altro  delle  due  Epistole  e 
mVApoeaiiMm.  —98.  41  verde  froada:  di 
alloro  eternamente  verdeggiante  come  la  dot- 
trina evangelica.  —  94.  Ogaim«  eco.  CSaacuno 
dei  quattro  animali  aveva  sei  ali,  come  quelli 
dell'^poeaiissi,  iv  8;  le  quali  significano,  se- 
condo Pietro  di  Dante,  le  sei  leggi  (naturale, 
mosaica,  profetica,  evangelica,  apostolica,  ca- 
nonica), e  secondo  Lana,  Buti,  An.  fior.,  1*»- 
stendersi  della  parola  evangelica  in  lunghezza, 
larghezza  e  profondità.  —  96.  le  penne  ecc. 
le  peone  piene  di  occhi  significano,  secondo 
s.  Girolamo,  Prologus  galeatu»  cìt.,  la  cono- 
scenza delle  cose  passate  e  delle  future  ;  e  a 
questo  senso  ebbe  certo  il  pensiero  il  poeta. 
—  0  gli  eceki  ecc.  gii  occhi  di  queste  penne 
erano  in  atto  di  continua  vigilanza,  come 
quelli  di  Argo,  l'oodiiuto  custode  di  Io,  in- 
gannato da  Morourìo  (cfr.  Ovidio,  MeL,  1 625 
e  segg.).  —  97.  ▲  descrlrer  eco.  Dante,  stretto 
dal  bisogno  di  non  allargarsi  a  una  doecri- 
zione  partìoolareggiata,  che  sarebbe  stata  spro- 
porzionata all'economia  del  poema,  rimanda 
U  lettore  alla  sua  fonte  principale,  ove  i 
quattro  animali  sono  descrìtti  cosi  (Ezechiele 
X  4  e  segg.)  :  e  Io  adunque  vidi;  ed  ecco  un 
vento  tempestoso,  òhe  veniva,  dal  settentrione, 
e  una  grossa  nuvola,  e  un  Aioco...  Di  mezzo 
di  quello  ancora  appariva  la  sembianza  di 
quattro  animali.  E  tale  era  la  lor  forma:  aveono 
sembianza  d' nomini  ;  ed  a  veano  ciascuno  quat- 
tro facce,  e  quattn  oM;  e  i  lor  piedi  orano 
diritti,  e  la  pianta  de'  lor  piedi  eia  come  la 
pianta  del  piò  d' un  viteUo;  ed  erano  sfavil- 
lanti, quale  ò  il  colore  del  rame  lìorbito;  ed 
aveano  delle  mani  d' uomo  di  sotto  alle  loro 
ali,  ne'  quattro  lor  lati  ;  e  tutti  e  quattro  avea- 
no le  lor  fàcce,  e  le  loro  ali.  Le  loro  ali  si 
accompagnavano  l'una  l'altra;  essi  non  si 
volgevano  camminando  ;  ciascuno  camminava 
diritto  davanti  a  s6.  Ora,  quanf  è  alla  sem- 
bianza delle  lor  fàcce,  tutti  e  quattro  aveano 


PURGATORIO  -  CANTO  XXIX 


511 


rìme,  lettor;  ch'altra  spesa  mi  strigne 
9D       tanto  che  a  questa  non  posso  esser  largo: 
ma  leggi  Ezechiel,  che  li  dipigne 
come  li  vide  dalla  &edda  parte 
102       venir  con  vento,  con  nube  e  con  igne; 
e  quali  i  troverai  nelle  sue  carte, 
tali  eran  quivi,  salvo  eh*  alle  penne 
105       Giovanni  è  meco,  e  da  lui  si  diparte. 
Lo  spazio  dentro  a  lor  quattro  contenne 
un  carro,  in  su  due  rote,  trionfale, 
108        ch'ai  collo  d'un  grifon  tirato  venne. 
Esso  tendea  in  su  l'una  e  l'altr'ale 
tra  la  mezzana  e  le  tre  e  tre  liste, 
IH        si  eh' a  nulla  fendendo  facea  male. 
Tanto  salivan  che  non  eran  viste; 
le  membra  d'oro  avea,  quanto  era  uccello. 


una  faccia  d' uomo,  e  una  faccia  di  leone,  a 
destra;  parimente  tatti  e  quattro  ayeano  una 
Cmcìa  di  boe,  e  una  Caccia  d'aquila,  a  sini- 
•tza.  £  le  loro  facce,  e  le  lor  ali,  erano  divise 
di  sopra;  dasonno  area  due  ali  che  si  accom- 
pagnayano  Tana  l'altra,  e  dne  altre  ohe  co- 
prìrano  i  lor  corpi...  E  qnant'  d  alla  sembianza 
degli  animali,  il  loro  aspetto  somigliava  alle 
braee  di  fuoco  ».  — 104.  salvo  che  eoe  Dante 
si  allontanò  dalla  descrizione  di  Eseohiole 
quanto  al  numero  delle  ali,  per  il  quale  se- 
gni Oiovanni,  ohe  neUTApoóoL  rv  6^  cosi  do- 
■odw  i  quattro  animali:  «  S  quivi  in  mezzo 
il  tiono,  e  d'intorno  ad  esso  quattro  animali, 
■gieaì  d'occhi  davanti  e  di  dietro.  £  il  primo 
animale  era  simile  ad  un  leone,  e  il  secondo 
animr'^  simile  ad  un  vitello,  od  il  terzo  animale 
avea  la  fsooia  come  un'  uomo,  e  il  quarto  ani- 
mala era  simile  ad  un'aquila  volante.  £  i  quat- 
tro animali  aveano  per  uno  sn  o^  d' intomo, 
9  dentro  erano  pieni  d'occhi  ».  —  106.  filo- 
vaasl  eec  Giovanni  li  descrive  con  sei  ali, 
oonko  ho  iìktto  io,  e  discorda  in  ciò  da  Eze- 
chiele. —  106.  Le  ipaslo  eco.  Lo  spazio  ohe 
rimase  tok  i  quattro  animali  tu  occupato  da 
un  carro  trionfale  a  due  ruote,  che  avanzò 
tirato  da  un  grifone.  —  107.  uà  earro  ;  la 
prima  idea  di  questo  carro  venne  certamente 
a  Dante  dal  passo  di  Ezeohielo,  1 16-21,  che 
seguita  a  quello  sui  quattro  animali,  poiohó 
Il  profeta  continua  dicendo  ohe  presso  a  da- 
Msmo  vide  una  ruota  e  ohe  tutte  quattro  si 
mavevaao  insieme  con  gli  animali  ;  se  non 
che  il  poeta  nostro  did  forma  più  determinata 
alla  biblica  IkntasUi  imaginando  un  carro,  cho 
lioorda  quelli  dei  trionfi  romani.  Tutti  l  com- 
mantatori  antichi  e  i  più  dei  moderni  rìcono- 
•ooao  in  questo  carro  la  Chiesa;  e  solamente 
Il  Lomb.,  al  quale  consentono  parecchi  in- 


terpreti posteriori,  intende  rappresentata  nel 
carro  la  cattedra  pontificia  :  ad  ogni  modo 
le  due  spiegazioni  non  si  escludono  a  vicenda, 
perché  la  sede  papale  rappresenta  appunto  tra 
gli  uomini  la  Chieea;  ma  la  prima  ò pi6  esatta 
perché  nelle  vicende  del  carro  (Airy.  xrxii 
1-12S)  sono  figurate  le  vicende  della  Chiesa, 
non  quelle  del  pontificato.  —  due  rotet  l'Ott., 
Pietro  di  Dante,  il  Bati  e  tutti  i  commenta- 
tori posteriori  vedono  in  queste  ruote  simbo- 
leggiati il  Vecchio  e  il  Nuovo  Testamento, 
che  sono  appunto  i  fondamenti  su  cui  poggia 
la  Chiesa  :  soli  il  Lana,  l' An.  fior,  e  Benv. 
intendono  le  ruote  per  la  vita  attiva  e  la 
contemplativa,  che  nel  poema  dantesco  sono 
altrimenti  simboleggiate.  —  106.  ma  grifoa 
ecc.  Tutti  gl'interpreti,  antichi  e  moderni, 
sono  concordi  nel  riconoscere  in  questo  ani- 
male che  trae  il  carro,  col  corpo  di  leone  e 
la  testa  e  le  ali  d' aquila,  Gesù  Cristo,  fon- 
datore e  duce  della  Chiesa,  essere  di  doppia 
natura,  divina  e  umana:  l'idea  di  figurare 
in  tal  modo  il  Redentore  era  antica,  trovan- 
dosi già  in  Isidoro,  Orig.^  vn  2  :  e  Christus 
est  leo  prò  regno  et  fortitudine,...  aquila  prop- 
ter  quod  post  rosurrectionem  ad  astra  remoa- 
vit  ».  —  109.  Essa  ecc.  n  grifone  teneva  al- 
zate r  una  e  l'  altra  deUe  sue  ali  negli  spazi 
ohe  rimaneT;|uio  liberi  tra  la  media  lista  lu- 
minosa e  i  due  fasci  formati  dalle  tre  listo 
esteme  di  destra  e  di  sinistra:  insomma,  delle 
sette  listo  luminose  lasciate  dietro  a  sé  diii 
candelabri  quella  di  mezzo  passava  tra  lo  ali 
del  grifone,  tre  passavano  alla  destra  e  tre 
alla  sinistra.  —  HI.  ti  eh*  a  nulla  ecc.  cosi 
ohe  il  grifone  non  turbava  col  movimento 
delle  sue  ali  alcuna  delle  Uste  luminose.  — 
113.  le  membra  ecc.  la  testa  e  le  ali  erano 
d'oro,  simbolo  della  natura  divina;  le  altre 


512  DIVINA  COMMEDU 


n 


114       e  bianche  l'altre  di  vermiglio  miste. 
Non  cHe  Boma  di  carro  cosi  bello 
rallegrasse  Afi&icano  o  vero  Augusto, 
117        ma  quel  del  sol  sarla  pover  con  elio; 
quel  del  sol,  che  sviando  fu  combusto, 
per  Porazion  della  Terra  devota, 
120       quando  fu  Giove  arcanamente  giusto. 
Tre  donne  in  giro,  dalla  destra  rota, 
venian  danzando:  Tuna  tanto  rossa 

128  eh' a  pena  fora  dentro  al  foco  nota, 
l'altr'era  come  se  le  carni  e  l'ossa 

fossero  state  di  smeraldo  fatte, 
126        la  terza  parea  neve  testé  mossa; 
ed  or  parevan  dalla  bianca  tratte, 
or  dalla  rossa,  e  dal  canto  di  questa 

129  l'altre  togliean  l'andare  e  t€u:de  e  ratte. 
Dalla  sinistra  quattro  facean  festa, 

in  porpora  vestite,  retro  al  modo 
132        d'una  di  lor,  ch'avea  tre  occhi  in  testa. 
Appresso  tutto  il  pertrattato  nodo, 

vidi  due  vecchi  in  abito  dispari, 
185        ma  pari  in  atto,  ed  onesto  e  sodo: 

membxm  erano  di  colore  misto  di  bianco  e  ver-  cadata  di  fresco:  ofr.  Par.  xm  16.  —  127. 

miglio,  ilmbolo  della  natoirn  umana.  L'idea  ed  or  eoo.  ora  aembraTano  guidate  dalla  fede 

procede  anohe  qtii  dalle  carte  bibliche,  Cant.  che  genera  néll'  nomo  la  carità  e  la  spenna; 

dg'  OanL  r.  10-11:  <  n  mio  amico  d  bianco  ora  dalla  carità,  ohe  genera  la  fede  e  la  spe- 

e  TermigUo,  portando  la  bandiera  fra  dieci-  sanxa;  e  to^ermo  Tandare,  dee  regolaTaiko 

mila.  B  suo  capo  è  oro  finissimo».  —  116.  la  loro  danza  sol  canto  dell*  oarità,  cfaemoore 

Nen  eke  eoo.  Non  solamente  il  oano  tirato  lealtre  dne Tixt6.  — 180.  IMla  finistr»  eoo. 

dal  grifone  era  più  bello  di  qnelli  onde  Boma  Le  quattro  donne,  restite  di  porpora,  dan- 

oelebrò  i  tdonfl  di  Scipione  Albicano  (ofr.  santi  alla  sinistra  del  cario,  sono  le  Tirtd  oar- 

Valerio  Massimo,  ir  1,  6)  e  di  Angnsto  (cfr.  dinali  (ofr.  Purg,  x  22),  che  operano  guidate 

Tirg.  En,  xm  714-728,  Suetonio,  TU,  Avg.  dalla  pindpale  di  esse,  la  prudenza.  Le  fl- 

22),  ma  anohe  di  quello  del  sole.  — 117.  sa-  gure  di  queste  yirtd  sono  restite  di  porpora, 

rfa  pOTer  ecc.  apparirebbe  porero  di  bellezza  del  colore  cioè  della  carità,  e  guidate  dalla 

e  di  splendore  al  confronto  di  quello.  — 118.  prudenza,  per  la  ragione  detta  da  Tommaso 

4eel  del  sol,  che  sriaide  eco.  il  bellissimo  d' Aquino,  Sufmma^  p.  I  2^,  qu.  lxv.  art.  2, 

carro  solare  (Ovidio,  Mtt.,  n  107-110),  òhe  che  «  virtutes  morales  sino  charitate  eeee  non 

disviatosi  per  opera  di  Fetonte  (ofr.  ^i/l,  zm  possnnt  »,  e  «aliaevirtutso  morales enim  non 

106)  fa  bruciato  (IM.  n  229-290),  per  le  de-  poosunt  esse  sino  prudeutia»;  ofr.  Dante  stee- 

Tote  preghiere  della  Terra  {Mei,  n  278-800),  so,  Omv.  ir  17,  ore  scrive  che  la  prudena  4 

allorquando  Giove  con  arcano  giudizio  punì  «  oondudtrice  delle  morali  virtù,  e  mostra  la 

nel  figliuòlo  la  colpa  del  padre.*—  121.  Tre  via  per  ohe  elle  si  compongono  e  senza  quella 

donne  ecc.  Le  tre  donne,  che  danzando  in  essere  non  possono».  —  182.  eh' area  tre 

cerchio  procedono  alla  destra  del  carro,  sono  ecclil  ecc.  :  a  simboleggiare  ohe  la  prudenza 

le  virtù  teologali  :  la  carità  simboleggiata  nella  (Onip.  rv  27)  <  richiede  buona  memoria  deQe 

donna  rossa  più  della  fiamma,  la  speranza  vedute  cose,  e  buona  oonoocensa  delle  pre- 

nella  donna  verde  come  lo  smeraldo,  e  la  fede  senti,  e  buona  prowedenza  delle  fritoie  >•  — 

nella  donna  candida  più  che  neve.  —  123.  188.  Appresse  tutto  ecc.  Dietro  al  gruppo 

eh*  a  pena  eoe  che  essendo  d'un  rosso  flam-  già  descritto  (cario,  grifone,  sette  donne)  ven- 

mante  non  si  sarebbe  distinta  in  mezzo  a  vivo  gono  due  veoohi  in  abito  dUferente,  ma  simili 

fuoco.  —  126.  smeralde:  ofr.  Pwrg,  zn  75.  nell'atteggiamento  onesto  e  dignitoso  ésUa 

—  126.  neve  testé  messa:  neve  purissima,  persona:  sono  Luca,  in  quanto  era  tsnnto 


PURGATORIO  -  CANTO  XXIX 


B13 


138 


141 


144 


147 


150 


l' un  si  mostraya  alcun  de*  £unigliarì 
di  quel  sommo  Ippocràte,  che  natura 
agli  animali  fé*  eh' eli' ha  più  cari; 

mostrava  l'altro  la  contraria  cura» 
con  una  spada  lucida  ed  acuta, 
tal  che  di  qua  dal  rio  mi  fe' paura. 

Poi  vidi  quattro  in  umile  paruta, 
e  di  retro  da  tutti  un  veglio  solo 
venir,  dormendo,  con  la  £Etcoia  arguta. 

E  questi  sette  col  primaio  stuolo 
erano  abituati;  ma  di  gigli 
dintorno  al  capo  non  fietcevan  brolo, 

anzi  di  rose  e  d'altri  fior  vermigli: 
giurato  avrla  poco  lontano  aspetto 
che  tutti  ardesser  di  sopra  dai  ciglL 

E  quando  il  carro  a  me  fu  a  rimpetto, 
un  tuon  s*udi;  e  quelle  genti  degne 


ratoro  dagU  ÀtU  dtgU  ApotUU,  e  PmIo,  au- 
tor» dèli»  Epidotè,  — 196.  l*u  ti  ««ttniTA 
oeo.  L«ea  appariya  alle  retti  eeeere  uno  dal 
fkadliarl  d'Ippocnt»,  reetito  eloè  da  medi- 
oo;  in  nlaiione  a  eid  ohe  dice  Paolo,  Epiti, 
ai  OoJMtmit  IT  IB  :  «  n  diletto  Lnoa,  il  me- 
dico, e  Deaa  fi  salatane  >.  —  187.  di  qvel 
■•■SM  eoe.  del  grandiedmo  ^pocrate  di  Coo 
(n.  460,  m.  866  circa  a.  C.))  ohe  renne  al 
Bondo  per  la  nlnte  degli  nomini.  —  188. 
aalfluli  s  essere  animati:  efr.  Inf.  r  88.  — 
189.  mettraTE  eoo.  Paolo  appaiirm  invece  in 
Teste  di  gneniero,  mostrando  contraria  em% 
non  di  sanare  ma  di  ferire,  con  sna  spada 
loBlnosa  e  aonta,  si  che  Dante  n'ebbe  paora 
sebbene  da  lai  lo  separasse  il  flame  Lete.  — 
140.  non  spaia  s  Paolo,  prima  d' essere  oon- 
Tertito  alla  fede,  ta  nomo  d'armi  e  perseco- 
tore  dei  cristiani;  ma  la  spada  ohe  Dante, 
se^oende  la  leggenda  medierale,  gli  attribai- 
soe  d  <  la  spada  dello  spirito  tjh'  è  la  parola 
di  Dio  »,  di  eoi  paria  lo  stesso  Paolo,  S^iti, 
lyli  JB/M,  ^  17.  - 143.  Pel  Ti41  eoe  I  qaat- 
tro  im  mnOi  panda,  doè  di  amile  apparensa, 
sono,  secondo  la  maggior  parte  degli  inter- 
preti, gli  aaftori  delle  quattro  epistole  cano- 
niche, Qiaoomo,  Pietro,  Oioranai  e  Giada, 


antichi.  Lana,  Pietro  di  Dante,  Benr.,  An. 
il<ff.  Ti  riconobbero  Inreoe  i  qnattro  princi- 
pali dottori  della  Chiesa,  Gregorio  Magno, 
Girolamo,  Ambrogio  e  Agostino  ;  altri,  anti- 
chi e  moderni,  Imaginarono  altre  spiegasioni, 
ma  tntte  sono  poco  sloare  al  conftonto  della 
più  cornane.  —  148.  nn  Teglie  eoe  n  reo- 
Ohio  sditario  che  Tiene  innansi  dormendo  con 
la  ÈÈOtia  aigata  è,  secondo  i  più,  Gioranni 
eonslderato  come  antere  dell'^poca/isM,  ohe 

Pants 


è  nna  serie  di  Tislonl  (dormendo)  e  fti  scritta, 
come  si  legge  nel  principio  di  essa,  <  per  fiur 
sapere...  le  cose  ohe  debbono  aTrenire  in 
brere  tempo  »  (/beote  argtUa),  — 146.  qaeitt 
sette  eoe  qaesti  aitimi  sette  personaggi  (tt. 
138-144)  aTOTano  lo  stesso  abito  bianco  dei 
Tentiqoattro  seniori  della  prima  schiera  (r. 
65),  se  non  che  inreoe  d'essere  coronati  di 
gigli  (r.  84),  erano  incoronati  di  rose  e  di 
altriflori  remigli;  a  significare  l'ardore  della 
oarità  onde  sono  arrirate  le  scrittore  del 
Naoro  Testamento.  —  147.  nen  faeerra 
brele  :  non  arerano  ornamento  di  gigli  ;  il 
nome  brolo  significa  propriamente  Inogo  pian- 
tato di  molti  piccoli  alberi,  più  tosto  Tiralo 
e  boschetto  che  giardino  (cfr.  Dies  69,  Zing. 
146,  Parodi,  BuU.  UI  148),  e  qai  per  trulato 
qoalanqoe  ornamento  o  corona  &  fiori.  — 
149.  givrate  arrf a  ecc.  61  costraisoa  :  appetto 
poco  ioniano  aoria  giumUo  eh»  eco.  e  si  spie- 
ghi :  ana  rista  poco  lontana,  doè  on  nomo 
par  redendoli  da  ricino  arrebbe  giarato,  tanto 
fiamoiante  era  il  rosso  delle  lor  oorone,  che 
tatti  qaesti  sette  ardessero  salle  loro  fronti. 
—  161.  I  «BMde  il  earre  eoo.  Gianto  il 
carro  darantl  a  Dante,  si  senti  on  taono  e 
tatta  la  processione,  dalle  jwims  teMyns  o  can- 
delabri sino  alle  genU  degne,  agli  aitimi  per- 
sonaggi, si  formò  come  se  fosse  stato  proibito 
di  oontinaare  più  oltre.  B  tuono,  che  nelle 
fantasie  dantoeehe  accompagna  sempre  le 
azioni  più  solenni  (cfr.  Inf,  in  180  e  iegg.), 
quasi  fosse  nna  rooe  di  Dio  dà  alla  procee- 
sione  il  segno  d'arrsetarsl:  cosi  si  compie  la  ' 
prima  parte  della  rlsione,  In  onl  la  Chieea 
Tiene  incontro  all'uomo  pcmitente,  come  quella 
che  custodisce  i  misteri  dlrini  e  i  messi  per 
coi  egli  pud  conseguire  la  grazia  del  Signore. 


514  DIVINA  COMMEDIA 


parvero  aver  l'andar  più  interdetto, 
154    fermandoB'iyi  con  le  prime  insegne. 


CANTO  XXX 

Fermatasi  la  processione,  appare  tra  ginlive  acclamazioni  Beatrice  e 
scompare  silenziosamente  Virgilio  :  allora  Beatrice  si  manifesta  e  rimpro- 
vera a  Dante  piangente  i  traviamenti  e  gli  errori  di  lai;  e  poi,  volgendosi 
agli  angeli  che  dimostrano  compassione  al  penitente,  espone  loro  tntta  r  in- 
gratitudine e  r  infedeltà  di  lai  (18  aprile  dalle  otto  antimer,  circa  alle  nove]. 

Quando  il  aettentrion  del  primo  delo, 
che  nò  occaso  mai  seppe  né  orto, 

8  né  d'altra  nebbia  che  di  colpa  velo, 
e  cbe  fiBMseva  li  ciascuno  accorto 

di  suo  dover,  come  il  più  basso  face 
6       qual  timon  gira  per  venire  a  porto, 
fermo  si  affisse,  la  gente  verace, 
venuta  prima  tra  il  grifone  ed  esso, 

9  al  carro  volse  sé,  come  a  sua  pace: 
ed  un  di  loro,  quasi  da  ciel  messo, 

«  Vtfni,  sponsa,  de  Libano  >  cantando, 
12       gridò  tre  volte,  e  tutti  gli  altri  appresso. 
Quali  i  beati  al  novissimo  bando 
surgeran  presti  ognun  di  sua  caverna, 

ZXX  1.  QaaBdo  «oo.  Qoando  li  ftDono  innanii  al  gilftmo  (iVy.  zza  64  «  wgg.), 

farmati  i  aette  oandélabrì,  detti  tettenirim  <M  ai  Tòlse  indielxo  a  ricwdare  il  cario,  ooaie 

primo  oMo  oioè  ooatellacione  laminoaa  Tenuta  il  fine  dei  aool  desideri.  —  9.  eoat  a  ns 

nel  paradiso  tenestre  dal  cielo  empireo,  il  paets  Bnti:  «come  a  eoo  fine:  ciò  cba  si 

quale  settentrione  non  fa  mai  soggetto  alle  fece  nel  Vecchio  Testamento  si  fsoe  a  ine 

Ticende  dell'  apparire  e  scomparire  soli*  ori»-  di  costituire  la  santa  Chiesa,  e  Gkisto  %  quel 

lonto  e  non  fti  mai  nascosto  allo  spirito  urna-  fine  Tenne  ».  —  10.  im  di  ler»  eco.  «no  dai 

no  da  altro  Telo  che  quello  della  oolpa,  e  che  Tentiquattro  seniori,  cioè  la  figura  rappre- 

rispetto  alla  processione  del  paradiso  torre-  sentante  il  OamH»  ed  OcmUoi  di  SaknaoBe, 

atre  CaceTa  offlào  di  guida,  come  Upiù  tesso  come  se  a  ciò  fosse  deputata  da  Dio,  aliò  la 

settentrione  dod  la  costellazione  dell'  Orsa  toos  gridando  tre  Tolte  un  inTito  a  Beatrice 

minore  d  guida  al  nocchiero  che  si  Tolge  al  dlTeniie;  e  le  parole  dell* iaritoftooDo  quelle 

porto  eco.  —  2.  che  mi  eeease  eoe  il  quale  del  OcmL  dd  OanL,  xt  S  :  <  Vieni  meco  dal 

settentrione  :  cosi  intesero  gli  antichi  com-  libano,  o  sposa.  Tieni  meco  dal  libano  ». 

mentetori,  e  ntgioneTolmento,  poiché  Danto  —  12.  e  tutti  ecc.  ed  i  seniori  dalla  sua 

Tuol  dire  che  i  doni  dello  Spirito  Santo  sono  schiera  ripeterono  osntando  fiuTito.  —  18. 

sempre  manifesti  ai  buoni  e  non  appariscono  Quali  I  Ideati  eco.  Come  all*inTito  oIm  sarà 

ai  peocatorL  Molti  moderni  inTece,  Lomb.,  fatto  nel  giorno  del  giudisio  finale  I  beati 

Oes.,  Costa,  Bianchi  ecc.,   filérisoono  tutto  sorgeranno  presti  dalle  loro  tombe  cantando 

ciò  al  primo  ekio,  —  i.  faetra  li  daseune  alleluia  con  te  «ow  WeisMto,  con  la  Toce  dsi 

ecc.  guidsTa  tutti  i  componenti  la  processione,  eorpt  eh'  essi  arranno  lipnsi,  oosi  all'  inTito 

—  6.  qual  tlmoB  eoo.  qualunque  nocchiero  del  seniore  si  lerd  sul  carro  una  moltitadiae 
che  Tolga  il  timone  per  giungere  in  posto,  di  angeU.  Venturi  660:  <  Bello  il  paxacoBare 

—  7.  si  affisse  s  cfr.  A/I  zn  116.  —  la  gente  l'agilità  del  sorgere  e  il  tripudio  di  quelU 
Teraee  eca  la  schiera  dei  Tentiquattro  se-  angeli  od  subito  lerarsi  degli  eletti  dal  loro 
niori,  che  «la  Teaula  dietro  ai  candelabri  e  sepolcro  nel  di  del  Oludiilo,  e  osa  la  gkla 


PUEGATORIO  —  CANTO  XXX  516 

15        la  rivestita  yooe  alleluiando, 
cotali,  in  su  la  divina  basterna, 
si  levftr  cento,  ad  vocem  tanti  seniSf 
18        ministri  e  messaggier  di  vita  eterna. 
Tutti  dicean  :  €  Benedictus,  qui  venia  >  ; 
e  fior  gittando  di  sopra  e  dintorno: 
21        <  Manibus  o  date  lilia  plenis  ». 
Io  vidi  già  nel  cominciar  del  giorno 
la  parte  orientai  tutta  rosata 
24        e  l'altro  del  di  bel  sereno  adomo, 
e  la  &coia  del  sol  nascere  ombrata, 
si  che  per  temperanza  di  vapori 
27        Pocoliio  la  sostenea  lunga  fiata; 
cosi  dentro  una  nuvola  di  fiori, 
che  dalle  mani  angeliche  saliva 
80       e  ricadeva  in  giù  dentro  e  di  fuori, 
sopra  candido  vel  cinta  d'oliva 
donna  m'apparve,  sotto  verde  manto, 
88       vestita  di  color  di  fiamma  viva. 
E  lo  spirito  mio,  che  già  cotanto 
tempo  era  stato  che  alla  sua  presenza 
86       non  era  di  stnpor,  tremando,  affranto, 

éi  che  questi  saranno  compresi  ».  —  16.  Ui  Aurora  foree,  et  piena  rosanun  Atria  ».  — 
rlrcstlta  ecc.  mentre  la  yooe  dei  corpi  rive-  24.  l'altro  elei:  le  altre  parti  del  cielo.  -~ 
etiti  canterà  allelnia  (ofir.  Apocal,  to.  1).  —  26.  if  elle  per  eoo.  di  golM*  ohe  per  esser 
allclvlaado:  il  yb.  oiMuiorv  significa  can-  coperta  da  un  tenne  yelo  di  yi^oil,  gli  oo- 
tare  alleluia,  come  osannare  cantare  osanna  chi  poteano  lungamente  contemplarla.  —  28. 
{Baer.  xxyin  94).  —  16.  testeraa  :  carro  ador-  cosf  dsHtro  eoo.  Beatrice  apparve  a  Dante, 
nato  di  panni  preziosi  ;  d  yoce  lat.,  cosf  di-  circonfusa  da  una  ^invola  di  fiori,  i  quali  sa- 
chiarata  da  Beny.,  Pietro  di  Dante,  Cass.,  lendo  dalle  mani  degli  angeli  rioadevano  den- 
An.  fior.  ecc.  —  17.  cento  :  un  gran  numero  tro  e  intomo  al  carro,  yeetita  coi  oolori  della 
di  angeli,  ministri  e  messaggieri  del  Signore;  fode,  della  speranza  e  della  carità  (candido 
die  sono  poi  più  chiaramente  accennati  noi  yelo,  yerde  manto,  rosso  yestinento)  e  oo- 
y.  82.  —  a4  Tocem  ecc.  all'inyito,  ohe  fu  renata  dell' uliyo,  simbolo  della  pace  e  della 
fSatto  dal  yecchio  venerando  :  Veni^  tponsa^  sapienza.  —  81.  sopra  eaa41d«  eoo.  :  dalla 
eoe  ;  cfir.  y.  10  e  segg.  —  19.  Tatti  eco.  V.  ^.  i  12,  m  10,  mix  4  appare  ohe  Bea- 
011  angeli  salutano  Beatrice,  ohe  è  per  ap-  trìce  vivendo  fòsse  solita  di  veetlre  di  rosso; 
polire,  con  le  stesse  parole  con  le  quali  CM-  bianca  era  la  vette  di  lei,  quando  Dante  là 
sto  entrando  in  Gerusalemme  fu  salutato  d»-  vide  la  seconda  volta  (F.  J/.  n  6)  e  bianco 
gli  ebrei  (  Matteo  zxi  9,  Marco  xi  9,  Luca  il  velo  di  cui  in  visione  gli  parve  die  la  oo- 
XIX  38,  Giovanni  zn  18)  :  «  Benedetto  colui  prìssero  le  sue  compagne  (F.  N,  mn  48):  di 
che  viene  nel  nome  del  Sigrnorel  ».  —  20.  e  verdi  manti  non  d  alcun  accenno  nel  libro 
flor  ecc.  e  spargendo  fiori  al  di  sopra  e  all'  in-  giovenile.  —  84.  E  lo  spirito  eoo.  L'effetto 
tomo  del  carro  si  confortavano  l'un  l'altro  dell'apparizione  di  Beatrice  nel  paradiso  ter- 
a  spargere  gigli  a  piene  mani  con  le  parole  reslre  ò  lo  stesso  eh'  ella  prodneeva  vivente 
stesse  di  Virgilio  {En.  vi  888)  :  «  Manibus  suil'  innamorato  poeta  ;  come  si  ha  dal  oon- 
date  lilia  plenis  ».  —  22.  la  vidi  eoo.  Yen-  tmnìù  con  la  F.  N.  i  14-28,  xi  1-7,  ziv  is- 
tori 6  :  «  Con  una  similitudine  tratta  dal  na-  87,  xxiv  1-6.  ~  eoUato  teapo  eoo.  Beatrice 
soer  del  sole,  e  die  d  fira  le  pid  belle  dd  mori  nd  giugno  1290  (efr.  F.  N,  zxxx  1-10), 
poema  per  verità  di  colore  e  dolcezza  di  versi,  e  l' apparizione  presente  d  ddl'  aprile  1800  : 
narra  come  gli  apparve  Beatrice  nd  Paradiso  died  anni  adunque  erano  panati  senza  che 
terrestre  ».  Bioorda  1  versi  d' Ovidio,  IM.  n  Dante  vedesse  la  sua  mirabile  donna.  —  86. 
112:  «BntUo  patefeoit  ab  ortn  Pnrpurefts  eh«  ali»  taa  eeo.  die  non  «la  ttsto  vinto 


516 


DIYIKA  COMMEDIA 


senza  degli  ooolù  aver  più  conoscenzai 
per  occulta  virtù  che  da  lei  mosse, 
89       d'antico  amor  senti  la  gran  potenza. 
Tosto  che  nella  vista  mi  percosse 
l'alta  virtù,  che  già  m*avea  trafitto 
42       prima  ch'io  fiior  di  puerizia  fosse, 
volsimi  alla  sinistra  col  rìspitto 
col  quale  il  £uitolin  corre  alla  mamma, 
45        quando  ha  paura  o  quando  egli  ò  afflitto, 
per  dicere  a  Virgilio  :  €  Men  che  dramma 
di  sangue  m*ò  rimase,  che  non  tremi; 
48       conosco  i  segni  dell'antica  fiamma  >• 
Ma  Virgilio  n'avea  lasciati  scemi 
di  sé,  Virgilio  dolcissimo  padre, 
61        Virgilio  a  cui  per  mia  salute  dièmi: 
né  quantunque  perde  l'antica  madre 
valse  alle  guance  nette  di  rugiada, 
64       che  lagrimando  non  tornassero  adre. 
«  Dante,  perché  Virgilio  se  ne  vada, 


dalla  meraTii^  iremando  alla  Tifta  di  laL 
—  87.  ■•Hia  def  11  oceU  eoo.  iODsa  ayeme 
né  pure  una  maggior  oonoaoenza  dagli  ooohi, 
oioò  aenza  diatingaerla  oon  la  vifta  perohó 
era  Telata,  ma  aolameiite  per  una  Tirtd  di- 
Tina òhe  da  lei  prooedette,  senti  gli  effetti 
dell'  antloo  amore.  —  dO.  Tolto  eoo.  Appena 
gli  Al  appena  Beatrice,  Dante  quasi  smar- 
rito e  oonftoso,  si  Tolse  dalla  parte  ore  cre- 
doTa  d' aTore  Virgilio  per  dirgli  1*  impressione 
rioemta  da  tale  apparidone  ;  ma  Virgilio, 
ehe  già  gli  aTOTa  fatto  da  padre  amoroso  e 
da  guida  fedele,  era  soomparso.  —  42.  prima 
eh'  le  eoo.  Dante,  F.  iiT.  1 1  e  aegg.  xaooonta 
il  sno  primo  inoontro  con  Beatiioe,  ponen- 
dolo all'anno  1274,  quand'egli  aTOTa  noTe 
anni,  e  altroTO,  zn  42,  Amore  Io  oonsigUa 
di  dire  in  Tersi  oom*  ei  fosse  innamorato  di 
lei  «  tostamente  da  la  sna  pnerixia  ».  —  48. 
eoi  rlspltt«  eoo.  oon  quell'espressione  di 
ftdaoia  con  la  qnale  il  bambinp,  spaTontato 
da  qualche  sabita  apparizione  o  tubato  da 
qualche  male,  corre  Terso  la  madre:  cfr. 
Par,  zxn  2-8.  Parodi,  BuU.  m  94:  «L'«- 
vprtukfm  di  fiduoia  non  d  Teramente  qnolla 
che  ho  notato  nei  bambini,  che  corrono  stiz- 
ziti o  spsTentati  dalla  mamma;  ed  io  penso 
che  Dante  abbia  Telato  piuttosto  alludere 
all'  atteggiamento  e  dirrt  quasi  alla  curiosa 
contrazione  e  ai  sussulti  del  loro  Tolto  lagii- 
mo8o,  che  suscita  nella  madre  un  inteneri- 
mento, misto  di  riso.  In  tal  caso  sarebbe 
tornato  al  lat.  reapicere^  e  riapttio  signlfLohe- 
rebbe  aguardo  o  con  senso  un  po'  pi6  gene- 
rale, atUggimmUo  del  voUo  >  :  però  gli  esempi 


antichi  di  rùpitto  raccolti  dal  Parodi  steao 
hanno  il  senso  di  rispetto,  rigaardo,  e  andie 
quello  di  Indugio.  —  46.  ■•■  «he  4raama 
eoo.  Non  mi  rimane  pur  una  dramma,  ««» 
piccola  quantità  di  sangue,  ohe  non  sia  agi- 
tato dall'  improTTiso  apparire  di  questa  mi- 
rabile donna.  —  48.  eonoie*  eoe  eanto  in 
me  gli  effstti  dell'  antico  amore.  Bimembranza 
Tirgiliana,  delle  parole  di  Didone  innamorata 
di  Snea  {En.  ir  28)  :  «  Adgnosoo  Tetscis  Te- 
stigia  flammae  ».  —  49.  la  Virgilio  ecc.  Ha 
Virgilio  ci  aTcra  lasciati  priTi  di  s6,  egli  che 
mi  era  stato  amorosissimo  padre  (ofir.  Purg, 
xxm  4),  egli  cui  io  mi  era  affidato  nella  selTa 
selTBg^  (cfr.  Li^,  I  180  e  segg.,  n  139  e 
segg.).  Lo  scomparire  di  Virgilio  daTanti  a 
Beatrice  slgniUca  che  OTe  termina  l'opera 
della  ragione  Incomincia  quella  della  fiade, 
OTe  finisce  la  sdenia  umana  ha  suo  principio 
la  scienza  diTina.  —  61.  Virgilio  a  «al  ecc. 
La  triplice  ripetizione  del  nome  di  Virgilio  ri- 
corda quella  del  nome  di  Eurìdice  nella  (Ttory. 
IT  625  (cfr.  licore,  121).  —  62.  ad  «uaataa- 
qae  ecc.  né  tutte  quante  le  beDezze  del  pa> 
radiso  terrestre  mi  trattennero  dal  piangere 
per  la  disparisione  di  Virgilio.  —  1*  aatlea 
madros  STa,  cfr.  Purg,  zzn  28  e  aegg.  — 
63.  Tolse  alle  guaaee  eco.  potè  alle  mie 
guance,  ohe  all'  usdr  dall'  Inferno  Virgilio 
aTOTa  purificate  con  la  ragiada  (efr.  Purg, 
I  96  e  segg.),  impedire  ohe  per  pianto  tor- 
nassero fosche  e  cacare.  —  66.  Daate  eoo. 
Sinora  11  poeta  ha  descritto  l'i^iparizlone  di 
Beatrice;  adesso  Tiene  a  rappresentare  U  ri- 
Tslazione  della  donna  diTiim,  la  qualo  to- 


PURGATORIO  —  CANTO  XXX 


B17 


non  pianger  anco,  non  pianger  ancora; 
57        che  pianger  ti  convien  per  altra  spada  ». 
Quasi  ammiraglioi  ohe  in  poppa  ed  in  prora 
viene  a  veder  la  gente  che  ministra 
60       per  gli  altri  legni,  ed  a  ben  far  la  incuora, 
in  su  la  sponda  del  carro  sinistra 
quando  mi  volsi  al  suon  del  nome  mio, 
63       che  di  necessità  qui  si  registra, 
vidi  la  donna,  che  pria  m'appario 
velata  sotto  l'angelica  festa, 
66        drizzar  gli  occhi  vèr  me  di  qua  dal  rio. 
Tutto  ohe  il  vel  che  le  scendea  di  testa, 
cerchiato  dalla  fronde  di  Minerva, 
69        non  la  lasciasse  parer  manifesta; 
regalmente  nell'atto  ancor  proterva 
continuò,  come  colui  che  dice 
72       e  il  più  caldo  parlar  di  retro  serva: 


dondolo  piangere  g^  rirolge  il  ditcozeo,  cU»- 
■landolo  per  nome  e  ammonendolo  di  oonte- 
neare  le  lagrime  e  di  ■ertarle  a  migliore  oo- 
oaaione.  Dante,  ella  gli  dioe  in  modo  idlenne 
e  Inaieme  affettnoeo,  perché  Virgilio  ti  abbia 
abbandonato  non  piangere  ancora,  lerba  le 
tao  lagrime  per  nn  dolore  più  forte  che  ta 
dorrai  loppoitare.  —  67.  per  altra  apada: 
a  maggior  dolore  die  Beatrioe  annnnria  a 
Oftate  4  quello  dei  rimprorexl  che  or  ora  easa 
•teen  gU  Ikrà  ;  zimproyeii  ohe  egli  accoglierà 
piangendo  (tt.  97-09).  —  68.  Qnail  aaaa- 
rftSlle  eoo.  Ck»me  nn  ammiraglio  che  a'aggira 
dalla  poppa  alla  prora  della  nave  capitana  per 
ueeoTvaie  i  sooi  sottoposti  ohe  operano  sólle 
minori  navi  della  squadra,  e  li  incoraggia  a 
ben  fare  eoe  Ventori  869  :  «  La  similitudine, 
OQA  la  dignità  dell'  officio  e  del  personaj^o, 
accenna  alla  dignitosa  nobiltà  di  Beatrice  ;  e 
toccando  le  onre  e  le  parole  benigne  Tolte 
dA  un  ammirsglio  alla  gente  degli  attri  legnif 
delle  altre  nari  minori,  per  incoraggiarla  a 
fsr  il  dorar  suo,  mostra  ohe  dagli  atti  e  dallo 
sgnardo  di  Boatrioe  trsspaiira  altezxa  d' af- 
fetto. Anche  il  carro  misterioso,  sa  coi  ella 
si  posa,  ha  qualche  analogia  con  la  nare  mag- 
giore, ore  l'ammiraglio  risiede.  Ma,  se  ragioni 
di  oonrenerdecza  non  mancano  in  questa 
oompazazione,  nemmeno  può  dirsi  delle  pi6 
felici  del  poema  >•  —  69.  Ministra  :  remioi- 
soenia  rirgiliana  {Bn,  n  802),  di  Caronte: 
<  ^ee  latem  conto  subigitrelisque  ministntt  ». 
—  68.  ehe  di  neeessltà  eco.  Dante,  Conv,  i 
2  dioe  ohe  «  perisse  di  sé  medesimo  pare  non 
licito  »  e  ohe  pstoid  €  non  si  concede  per  U 
retodd  alcuno  di  86  medesimo  senza  neces- 
saria cagione  parlare  ».  Qui  la  necessità  c'era, 
trattandosi  di  zifedre  le  proprie  parole  di  Bea- 


trioe, la  quale  area  ohiamato  Dante  col  suo 
nome:  <  per  due  cagioni,  dioe  l'Ott;  l'una, 
perché  certa  fosse  la  persona,  intra  tante, 
alla  quale  dirixzarm  il  suo  sermone;  l' altra 
però  che  come  piti  addoldsoe  neUo  umano 
parlare  il  nomare  la  persona  per  lo  proprio 
nomo  in  dò  che  pi6  d'affezione  si  mostra, 
cosi  più  pugne  il  reprensiro  quando  la  per- 
sona riprosa  dalla  riprendente  ò  nomata  >  (of^. 
BuU,  TEL  62).  Circa  la  questione  se  questo  sia 
il  solo  luogo  del  poema  ore  Danto  nomina 
sé  stesso  c£^.  la  nota  al  Bar,  zxn  104.  — 
64.  ridi  la  donna  eco.  Beatrice,  ohe  prima 
mi  era  apparsa  Telata  dentro  la  nurola  dei 
fiori  gittati  dagli  angeli  (r.  28  e  segg.),  drizzò 
gli  ocelli  suoi  Terso  di  me,  che  ero  ai  di  qua 
del  fiume  Leto.  —  67.  Titto  ohe  U  rei  eoo. 
Sebbene  il  relo  candido,  che  le  scenderà  dal 
capo  ed  era  droondato  da  una  oorona  di  uliro, 
non  Insci  asse  apparire  apertamente  il  rolto 
di  Beatrioe,  ella  continuò  a  parlarmi  serbando 
un  atteggiamento  di  serera  alterezza.  —  68. 
dalla  fronde  ecc.  dai  rami  dell' uliro,  sacro 
a  Minerra.  —  70.  regalmente  eoo.:  bellis- 
sima espressione  per  significare  la  sererità  e 
l'alterezza  dell'atto  col  quale  Beatrice  accom- 
pagnò le  sue  parole  rolte  a  rimprorerar 
Dante;  e  opportuno  riscontro  a  tale  espres- 
sione 6  questo  passo  del  Oonv,  m  16:  «Dal 
prìndpio  essa  filosofia  parerà  a  me,  quanto 
dalla  parte  del  suo  corpo  doò  sapienza,  fiera, 
ohe  non  mi  rìdea  in  quanto  le  sue  persua- 
sioni ancora  non  intendea;  e  disdegnosa,  ch6 
non  mi  rolgea  l'occhio,  doò  eh'  lo  non  potea 
rodere  le  sue  dimostrazioni  ».  —  71.  come 
colui  eco.  come  la  chi  parlando  si  riserba  a 
dire  per  ultime  e  con  calore  le  ooee  di  mag- 
gioro importanza  ;  cfr.  Oono,  n  9  :  €  sempre 


518 


DIVINA  COMMEDIA 


€  Guardami  ben  :  ben  son,  ben  son  Beatrice  ! 
Come  degnasti  d'accedere  al  monte? 
75       non  sapei  tu  ohe  qui  è  l'uom  felice?» 
Gli  occhi  mi  cadder  giù  nel  chiaro  fonte; 
ma,  veggendomi  in  eBso,  i  trassi  all'erba, 
78       tanta  vergogna  mi  gravò  la  fronte. 
Cosi  la  madre  al  figlio  par  superba, 
com'ella  parve  a  me;  per  che  d'amaro 
81        senti'  il  saper  della  pietade  acerba. 
Ella  si  tacque,  e  gli  angeli  cantaro 
di  subito  :  €  In  te,  Damine,  speravi  >, 
84       ma  oltre  pedee  meoa  non  passare. 


quello  oh»  imuwìmammté  di»  intande  lo  di- 
citore, 8i  dee  riservale  di  dietro;  per6  ohe 
qaello  ohe  ultimamente  il  dioe,  più  rimane  nél- 
ranimo  dell'  uditore  >.  —  78.  UvardaaU  eoo. 
Onardami  pnre  attentamentee  riconosoerai  che 
io  tono  Beatrioe.  Alcuni  testi  hanno:  Chtardtui 
ben:  ben  smu,  ben  $9mBealrioeJf  ohe  sarebbe, 
secondo  gl'interpreti,  miglior  lesione  per  la 
maggiore  oonveniensa  ohe  è  tra  il  parlare  in 
plorale  e  ratteggiarai  regakuunU  :  se  non  ohe 
più  testo  ohe  aUa  sublimità  deDa  dignità  re- 
gia, qnesf  arrerbio  aooenna  alla  severità  o 
oompoetecza  qoasi  solenne  con  la  qnale  al- 
oono  parla  (ofir.  Par,  zi  91),  senza  bisogno 
che  parli  in  plorale,  come  fanno  1  re.  Note- 
vole invece  d  che  il  modo  Insistente  col  qnale 
Beatrice  richiama  Tattenzione  di  Dante  e  il 
ripetersi  della  dichiarazione  dell'esser  suo  mo- 
strino già  in  queste  prime  parole  l' intenzione 
di  rimproverare;  e  osservabile  ò  la  confor- 
mità di  questa  situazione  <ion  quella  di  Boeiio 
all'apparirgli  della  filosofia  {Oona.  phiL  i,  pr. 
2):  «  Àgnoscisne  me?  quid  taoes?  pudore  an 
stupore  siluisti  ?  mallem  pudore  ;  sed  te,  ut 
video,  stupor  oppressit  »  ecc.:  ofir.  Moore,  1 286. 
—  74.  Gemo  degnasti  ecc.  Questo  verso,  riu- 
scito molto  oscuro  ai  moderni,  pareva  chia- 
rissimo ai  commentatori  anticèi,  tanto  che 
dal  Lana  a  Benr.  nessuno  pensò  pure  a  spio- 
garìo;  e  fìt  primo  il  Buti  sd  apporvi  una 
chiosa  :  «  Come  f  hai  tu  fatto  degno  merìte- 
vilmente  di  venire  al  monte  del  Purgatorio?  » 
Agli  antichi  era  chiaro,  perché  conoscevano 
il  porticolaie  valore  del  vb.  degnare  nel  lin- 
guaggio nostro  poetico,  nel  quale,  come  il 
prov.  denJuer,  significò  nient'altro  ohe  potere, 
come  ha  dimostrato  A.  Gaspary,  La  ecuoìa 
poetìeatieU.  trad.  it ,  Livorno,  1882,  p.  289-290. 
Beatrice  adunque  md  dire  a  Dante:  Come 
hai  potuto  venire  al  monte  sacro  (d^.  Inf.  n 
83),  se  non  eri  meritevole  della  beatitudine 
che  r  uomo  vi  gode  ?  Intendendo  in  tal  modo 
si  noti  per  altro  ohe  Beatrioe  non  ignorava 
che  Dante  aveva  potuto  fkre  il  viaggio  per 
grazia  divina  (cflr.  tv.  186-141),  ma  gli  volle 


eoli  richiamale  al  pensiero  psf  xla^rove- 
raiio  tutti  i  traviamenti,  dei  quali  gli  par- 
lerà in  seguito.  Oli  altri  interpreti  dal  Land, 
e  dal  VeD.  al  Tomm.  e  al  Bianchi,  pie- 
gando degnatUf  nel  senso  moderno,  per  H 
degnatUf  devono  ammettere  ohe  Beatrioe  qui 
parli  con  ironia,  che  sarebbe  del  tatto  inop- 
portuna. —  al  monte:  ofr.  SalM.  zxiv  8-4 : 
«  Chi  salirà  al  monte  del  Signore  ?  e  chi  sta- 
rà nel  luogo  suo  santo?  L* uomo  innocente 
di  mani  e  puro  di  cuore  ».  —  76.  CUI  «edd 
eco.  Dante,  punto  dalle  amare  parole  della 
sua  donna,  abbassa  gli  ooohi  a  guardare  nelle 
nitide  acque  di  Lete  :  ma  vedendosi  in  qoaUe 
cosi  conftuo  0  vergognoeo  li  rivolge  altroive, 
fermandoli  solla  verde  pianura,  oioè  senza 
avere  il  coraggio  di  rialzarli.  —  77.  1  :  cfir. 
Inf.  V  7S.  —  79.  Cosi  la  madre  eoe.  Bea- 
trice, riprendendomi  in  tal  manina,  mi  sem- 
brò severa,  come  sembra  la  madre  al  figlio 
da  lei  rimproverato  ;  e  perdo  il  sapore  ddla 
piebUe  acerba,  della  pietà  di  Id  ohe  non  era 
molle  ma  rigida,  mi  sembrò  amaro,  disgustoeo. 
Altri  leggono  eent»  U  eapor  eoe,  che  in  so- 
stanza sard>be  la  stessa  cosa,  sdvo  che  Dante 
esprimerebbe  non  una  esperienza  propria  e 
particolare,  ma  una  legge  generale.  —  82. 
Ella  si  tacine  eco.  Appena  Beatrioe  n  tac- 
que, gli  angeli  inoomindarono  a  cantan  il 
salmo  xzzi,  quad  per  risponderie  in  nome 
di  Dante,  fbrmandod  a  qud  versetto  ohe  nella 
bibbia  Tolgata  finisce  con  le  pszde  jMdst  «Mot. 
—  88.  IM  te  ecc.  Le  parole  cantate  dagli  an- 
geli fluono  dunque  le  seguenti  iSahn.  zzxi 
1-9):  «Signore,  io  mi  son  confidato  in  te; 
fa'  òhe  io  non  sia  giammai  oonfoso,  liberami 
por  la  tu»  giustizia.  Inchina  a  me  il  tuo  oreo- 
chio,  aibwttati  di  liberarmi;  siimi  rocca  forte, 
e  un  luogo  di  fortezza  per  salvaimL  Per  ciò 
che  tu  sd  la  mia  roooa  e  la  mia  fortezza  ;  e 
per  amor  dd  tuo  nome,  guidami,  e  oondndmL 
Trammi  ftior  della  rete  die  mi  ò  stata  tesa 
di  nascosto  ;  pdohé  tu  sd  la  mia  fortezza.  Io 
rimetto  il  mio  spirito  nelle  tao  mani;  tn  mi 
hai  riscattato,  o  Signore  Iddio  di  verità.  Io 


PURGATORIO  —  CANTO  XXX  519 

Si  come  neve  tra  le  vive  travi 
per  lo  dosso  d'Italia  si  congela, 
87        soffiata  e  stretta  dalli  venti  sdiiavii 
poi  lique&ktta  in  sé  stessa  trapela, 
pur  che  la  terra,  che  perde  ombra,  spiri, 
90       si  che  par  foco  fonder  la  candela; 
cosi  fili  senza  lagrime  e  sospiri 
anzi  il  cantar  di  quei,  che  notan  sempre 
93        retro  alle  note  degli  etemi  girL 
Ma  poi  che  intesi  nelle  dolci  tempre 
lor  compatire  a  me,  più  che  se  detto 
96        avesser:  <  Donna,  perché  si  lo  stempre?  » 
lo  gel,  che  m'era  intomo  al  cor  ristretto, 
spirito  ed  acqua  féssi,  e  con  angoscia 
99       per  la  bocca  e  per  gli  occhi  usci  del  petto. 
Ella,  pur  ferma  in  su  la  detta  coscia 
del  carro  stando,  alle  sustanzie  pie 
102       volse  le  sue  parole  cosi  poscia: 
<  Voi  vigilate  nell*  etemo  die, 
si  che  notte  né  sonno  a  voi  non  ftira 
105       passo,  che  faccia  il  secol  per  sue  vie; 
onde  la  mia  risposta  ò  con  più  cura 

odio  quelli  obe  attendono  alle  yanità  di  men-  ha  né  pnr  pregio  di  originalità.  —  92.  di  f  mei 
sogna  ;  m»  io  mi  confido  nel  Signore.  Io  fé-  ecc.  degli  angeli  ohe  cantano  tempre  in  oon- 
ategge«ò  e  ni  raUegierò  della  toa benignità;  formità  all'armonia deDe  afere  celeetL  —  94. 
per  dò  che  tu  avrai  rodata  la  mia  afflizione,  pel  cke  lateal  eoo.  qnando  inteai  che  nel 
ed  avrai  pieaa  ocaioeoenza  delle  tribolasioni  loro  doldaalmo  canto  esprimevano  nn  lenti- 
deU'anima  mia;  e  non  mi  avrai  mesio  in  man  mentodioompaaeioneper  me,più  chese  aves- 
del  nemico;  ed  avrai  Datto  star  ritti  i  miei  aero  chiesto  alla  mia  donna  perché  mi  con- 
piedi al  largo  ».  —  86.  8f  come  seve  eoo.  somasse  in  tal  goisa.  —  96.  ttempre  t  il  vb. 
Como  la  neve  si  congela  nei  boschi  dell' Àpen«  tttmpmim,  che  vale  propriamente  consnmare, 
nino  qnando  è  percossa  e  stretta  dai  venti  in  senso  morale  ha  qnasi  il  senso  di  mortl- 
bonaU,  e  poi  Uqnefatta  penetra  negli  strati  fioare«  avvilire.  —  97.  Io  gel,  elle  m' era  ecc. 
inferiori  allorché  spirano  i  venti  africanii  cosi  il  dolore,  che  mi  s'era  raccolto  nel  onore,  si 
Dante  prima  del  canto  degli  angeli  rimase  fé'  spinto  ed  aoqva,  sospiri  e  lagrime,  e  pro- 
come ghiacciato  senza  poter  piangere  né  so-  mppe  angosciosamente  per  la  bocca  e  per  gli 
spirare,  e  qnando  intese  il  dolce  canto  prò-  occhi.  —  100.  Ella,  pnr  eoe  Beatrice,  sem- 
rappe  in  sospiri  e  in  lagrime.  Ventori  114:  pre  ferma  sopra  la  sponda  sinistra  del  carro 
«  Tenero  il  concetto,  ma  lunga  la  simllitadine,  (cfr.  v.  61),  volge  ora  il  discorso  agli  angeli, 
e  non  espressa  con  la  schiettezza  consueta»,  per  esporre  loro  i  traviamenti  di  Dante.  — 
—  vive  travi  t  gli  alberi  verdeggianti  nelle  101.  snstansle  pie  t  esseri  pietosi  e  santi, 
selve.  —  87.  venti  schiavi  :  i  venti  boreali,  gli  angeli  che  avevano  dimostrata  la  loro  oom- 
che  soffiano  di  verso  la  Schiavonia.  —  88.  passione  per  Dante,  cantando  le  parole  del 
la  wé  slesn  ecc.  Descrive  con  mirabile  bre-  salmo.  —  106.  Voi  vigilate  eco.  Voi  vegliate 
vita  il  gocciolare  dell'acqua  dagli  strati  sa-  noll'etemalnce,  contemplando  continuamente 
periorì  della  nevo  agi'  inferiori.  —  89.  pnr  l'aspetto  di  Dio  nel  quale  vedete  tutte  le  cose, 
eke  ecc.  solo  che  incominci  a  soffiare  U  vento  di  modo  che  né  notte  né  sonno  vi  nasconde 
d' AMca,  di  qnella  terra  ovo  alonna  volta  alcnna  delle  opere  degli  nomini.  È  conforme 
i  oorpi  non  proiettano  sul  suolo  la  loro  om-  alla  dottrina  di  Tommaso  d'Aquino,  Ammo, 
Iwa,  perché  il  sole  ò  perpendicolare  sopra  di  p.  I,  qn.  Lvn,  art.  1-2.  —  106.  11  leeol  t  il 
essi.  ~  90.  s(  ehe  par  ecc.:  e  comparazione  mondo  degli  nomini,  l'nmanità;  cfr.  F.  N, 
indnaa,  che  poco  aggiunge  »,  nota  il  Venturi,  xm  1  :  «  Poiché  la  gentilissima  donna  tà. 
e  che  essendo  frequente  nei  poeti  antichi  non  partita  di  questo  secolo  ».  —  106.   onde  la 


520 


DIVINA  COMMEDIA 


che  m'intenda  colai  che  di  là  piagne, 
108       perché  aia  colpa  e  duci  d'una  misura. 
Non  por  per  opra  delle  rote  magne, 
che  drizsan  ciascun  seme  ad  alcun  fine, 
Ili       secondo  che  le  stelle  son  compagne; 
ma  per  larghezza  di  grazie  diTine, 
che  si  alti  vapori  hanno  a  lor  piova 
114       ohe  nostre  viste  là  non  van  vicine, 
questi  fii  tal  nella  sua  vita  nuova 
virtualmente  ch'ogni  abito  destro 
117       fatto  averebbe  in  lui  mlrabil  prova. 
Ma  tanto  più  maligno  e  più  silvestre 
si  fa  il  terren  col  mal  seme  e  non  cólto, 
120       quant'egli  ha  più  del  buon  vigor  terrestro. 
Alcun  tempo  il  sostenni  col  mio  volto; 
mostrando  gli  occhi  giovinetti  a  lui, 
123       meco  il  menava  in  dritta  parte  volto. 
Si  tosto  come  in  su  la  soglia  fui 


mìm  eoo.  per  la  ^rud  cosa  la  mia  dspoeta  è 
eon  più  filmi,  è  Catta  più  odi  Une  ohe  V  intenda 
Dante  che  piange  al  di  là  del  flnme,  afllnchó 
il  ano  dolore  sia  pari  alla  oolpa.  — 109.  Non 
fir  eoo.  Non  solamente  per  le  natorali  in- 
flnenxe  dei  deli,  ohe  dispongono  oiascnn  es- 
sere a  nn  deterniinato  fine  seoondo  la  virtd 
del  pianeta  sotto  il  qnale  esso  nasce  (cfr.  Purg. 
zn  78  e  segg.)t  in*  anche  per  abbondanza  di 
grazie  dlTlne,  le  qoali  hanno  cagioni  cosi  alte 
che  la  nostra  mente  non  pnd  aTTidnarsi  a 
comprenderle  eco.  —  113.  cke  si  alti  eoe  i 
rapori  sono  la  cagione  della  pioggia;  perd  gli 
aia  vapori  della  piova  di  grazie  divine  sono 
le  profonde  cagioni,  per  le  quali  Dio  è  largo 
della  sua  grazia  agli  nomini.  — 114.  che  no- 
stre ecc.  che  le  intelligenze  nmane  non  s'av- 
vicinano  nò  pnre  a  tanta  altezza.  — 116.  f  me- 
sti fÉ  tal  eoo.  Dante  nella  sna  vita  giova- 
nile fu  tale  che  virluaim&nU,  per  le  disposi- 
zioni natniali.e  per  le  grazie  divine,  ogni  mi- 
gliore tendenza  avrebbe  fatto  in  Ini  mirabile 
prova,  tale  insomma  ohe  egli  per  natorali  at- 
titudini sarebbe  rinsoito  a  qualunque  più  me- 
ravigliosa opera.  —  vita  aaova  t  tutti  i  mi- 
gliori interpreti,  dal  Lana  al  Tomm.,  inten- 
dono questa  vita  nuova  per  V  età  giovenile 
0  Tadoleeoenza  di  Dante,  ciod  secondo  la  teo- 
ria del  Oonv.  iv  34  sino  all'anno  ventesimo 
quinto,  ossia  per  il  poeta  sino  al  1290.  Dei 
resto  anche  su  questo  verso  si  è  riflessa  la 
questione  agitata  intomo  al  significato  del  ti- 
tolo della  Viia  Nuova,  volendo  alcuni  che  pur 
in  bocca  di  Beatrice  vita  nuova  voglia  dire 
vita  di  nomo  rigenerato  dall'amore:  della 
quale  questione  si  ofr.  la  notizia  promeeaa 
alla  F.  i^.  I  4.  —  118.  Ma  tante  ecc.  MaU 


terreno  incolto  e  sparso  di  cattivi  nmi  d  fa 
tanto  più  cattivo  e  sdvatico,  quanto  maggiore 
d  il  suo  vigore  naturale;  doè  l'animo  del- 
l' uomo,  nd  quale  manchi  il  germe  della  virtù 
e  sia  gittate  quello  dd  vizio,  diventa  tanto 
più  cattivo  e  alieno  dd  bene,  quanto  mag^ 
glori  e  migliori  erano  le  dispoeidoni  natnralL 
—  lai.  Aleui  (empe  eoo.  Nd  tempo  in  coi 
egli  mi  amò,  doò  dd  nostro  primo  incontro 
(1274)  sino  alla  mia  morte  (1390),  lo  lo  ao- 
stonni  col  mio  vdto,  e  moetnndomi  di  quando 
in  quando  a  lui  lo  guidava  per  la  via  della 
virtù,  n  comoiento  a  queste  parole  è  nd  luo- 
ghi della  Vita  Nuova^  ove  Dante  mostra  quali 
fossero  1  benefici  effètti  mondi  dell'amore  di 
Beatrice:  ood  F.  ^T.  xi  1  :  e  Dico  che  quaii- 
d'ella  apparfa  da  alcuna  parte,  per  la  spe- 
ranza de  la  mirabile  sdute  neun  nemioo  mi 
rimanea,  and  mi  giugnea  una  fl*mm^  ^  ^^^ 
ritade,  la  quale  mi  fàoea  perdonare  a  chiun- 
que m'avesse  olfeeo  »  ;  zzi  8  :  <  Negli  oochi 
porta  la  mia  donna  Amore  Per  ohe  d  ta  gen- 
til dò  oh'  ella  mira  ; . .  Fugge  dinand  a  Id 
supeibia  ed  ira . .  Ogni  dolcezza  e  ogni  pen- 
derò umile  Nasoe  nel  oore  a  chi  parlar  la 
sente  »  ;  zzvi  1  :  «  Questa  gentilissima  donna 
venne  in  tanta  grazia  de  le  genti,  che  quando 
passava  per  via  le  persone  oonreano  per  ve- 
dere lei  ;  onde  mirabile  letizia  me  ne  ginngaa. 
B  quando  ella  fosse  presso  d' donno,  tanta 
onestade  ginngea  nd  cuore  di  quello  che  non 
ardia  di  levare  li  oochi  nò  di  rispondere  al 
suo  sduto...  Io  dico  ch'ella  d  mostrava  si 
gentile  e  d  piena  di  tutti  li  piaceri,  ohe  quelli 
ohe  la  miravano  comprendeano  in  loro  una 
dolcezza  onesta  e  soave  tanto  che  ridire  noUo 
sapeano  >  eoo.  —  124.  Si  toste  eoo.  Appena 


PURGATORIO  -  CANTO  XXX 


521 


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136 


188 


di  mia  seconda  etade  e  mutai  vita, 
questi  si  tolse  a  me,  e  diessi  altrui. 

Quando  di  carne  a  spirto  era  salita 
e  bellezza  e  virtù  cresciuta  m'era, 
fu'  io  a  lui  men  cara  e  men  gradita; 

e  Tolse  i  passi  suoi  per  via  non  vera, 
imagini  di  ben  seguendo  false, 
che  nulla  promission  rendono  intera. 

Nò  impetrare  spirazion  mi  valse, 
con  le  quali  ed  in  sogno  ed  altrimenti 
lo  riyocai;  si  poco  a  lui  ne  calse. 

Tanto  giù  cadde  che  tutti  argomenti 
alla  salute  sua  eran  già  corti, 
fuor  che  mostrargli  le  perdute  gentL 


ftd  glanta  pnmo  allA  Moonda  età  della  Tita, 
aloè  rkiao  ai  reatloinqiie  anni  (ofr.  Ootw.  ir 
ai),  •  paMai  dalla  Tita  terrena  alla  oeleeta, 
Duàta  et  tolae  a  me  e  d  die  ad  altra  donna. 
Nella  f.  N^  zzxt-zxxyu,  Dante  raooonta 
eone,  dopo  arar  pianto  la  morte  di  Beatrloo 
aeeatfnta  nel  giugno  dal  1290,  gli  appaiiase 
wtM  émma  g$nUI$,  per  la  qnale  si  aentf  inU- 
tanattte  inoUnato  e  in  brere  d  laedd  yinoere 
dan'amoie  per  lei.  A  qneeta  donna,  cho  le- 
ooodo  alooni  eaie1>be  la  Gemma  Donati  che 
Dante  apoed  apponto  in  qnéDi  anni,  aooenna 
qtil  Beatrice,  per  dd  che  rigoarda  il  senso 
lettenle  deUe  eoe  parole  :  allegoricamente  poi, 
tiooome  Dente  medeaimo  a'  ingegnò  di  dimo- 
strare nel  Cbne.  n  18,  làdormagmMeò sim- 
bolo della  fllosofla,  agli  stadi  della  qoale  egli 
d  Tolae  con  maggiore  intendtà  dopo  la  morte 
A  Beatrice.  —  127.  Qaaade  di  earae  eoe. 
Anoiqaando  dalla  Tita  terrena  io  ftii  salita 
aQa  oeleete,  dalla  Tita  trandtoria  dolla  carne 
a  qaeUa  etema  dello  spirito,  e  m' era  cro- 
sdvta  la  beUena  e  la  Tirtd,  egli  mi  ebbe 
meno  cara  e  meno  gradita,  e  qoad  mi  dimen- 
tiod.  (faceto  rimproTerod  riferisce  anch' esso 
dl'epteodio  éòìit^  doima  gentiU,  ma  è  espresso 
in  maniora  più  temperata  che  non  il  prece- 
dente; forse  per  attenuare  Timpresdone  che 
qneete  riprendoni  doroTano  (ìsre  soli*  animo 
di  Dante.  — 180.  e  Tolse  eoo.  e  s'incamminò 
per  nna  Tia  non  Tara,  seguendo  quelle  tal- 
lad  parrenm  di  bene,  ohe  non  mantengono 
mai  intersmente  alcuna  promessa;  dod  Dante 
d  disriò  dietro  d  piaceri  terreni,  che  sono 
imagini  fldae  dd  Toro  bene  (ofr.  ISirg.  xvi 
91  e  segg.).  n  poeta  appropria  qui  a  sé  d- 
eani  concetti  di  Boedo,  Obnt.  pML  m,  pr.  8  : 
«  HUdl  igttur  dnUam  eet,  quin  hae  ad  bea- 
titadlnem  Tiae  deria  quaedam  lint,  neo  per- 
duoecequemquam  eo  Taleant,  ad  qnod  se  per- 
daetaraaessepromittnnt»,em,pr.9:  cHaec 
igitar  Td  imaginea  Tari  boni  Td  impeifKta 


quaedam  bona  dare  mortalibus  Tidentur;  Tenun 
autem  atque  perfeotum  bonum  oonférro  non 
possunt  ».  — 188.  Ild  Impetrare  eoo.  N6  gioTÒ 
ch'io  gì'  impetrasd  da  Dio  sante  insplradoni, 
con  le  quali  e  apparendogli  in  Tidone  (ofr. 
V,  N,  xxnz)  e  in  dtra  maniera  cerod  di  ri- 
chiamarlo sulla  buona  Tia.  —  185.  if  pece 
eoe  tanto  pooo  importò  a  Dante  dd  mld  ri- 
chiami. Veramente  nel  cit  luogo  della  V,N. 
dice  che,  essendogli  apparsa  in  Tidone  «  que- 
sta gloriosa  Beatrice  >,  egli  corninolo  a  pen- 
sare di  lei  e  il  suo  cuore  e  d  comindò  dolo- 
rosamente a  pentire  de  lo  dedderio,  a  cui  d 
yilmente  s' aToa  lasciato  prendere  dquanti  die 
contra  la  ooetanda  de  la  ragione»;  nelle  quali 
parole  è  da  Todere  l'eiretto  ultimo  di  Tarie 
apparizioni  di  Beatrice  rappresentato  da  Dante 
come  oonseguenza  di  una  yidone  sola  :  e  cosi 
d  toglie  l'apparente  contradizione  tra  la  T. 
i^.  e  il  poema.  —  186.  Tante  gld  eoe  Fra 
i  traTiamenti,  d  quali  accenna  Beatrice,  ol- 
tre l'amore  che  dopo  la  morte  di  Id  Dante 
portò  ad  altre  donne,  sono  certo  da  compren- 
dere anche  tutte  le  piccolo  colpe  di  una  vita 
leggiera  e  Tana,  i  piaceri  sensuali,  1  centra- 
sti  con  amici  e  parenti,  tutti  quei  trascorsi 
insomma,  dei  quali  un'  eco  è  pervenuta  a  noi 
nella  tenzone  con  Forese  Donati  (cCr.  Purg, 
xxin  48)  e  per  i  quali  fiere  cose  scriyera  a 
Dante  l'amico  suo  G.  Cardcanti  (son.  zx)  : 
«  r  TOgno  '1  giorno  a  te  'nflnite  ToUe  E  tro- 
vati pensar  troppo  vilmente  :  AUor  mi  dol 
della  gentil  tua  mente  £  d' assd  tue  virtù 
che  ti  son  tdte.  Soleranti  spiaoer  persone 
molte,  Tuttor  foggiTi  la  noiosa  gente...  Or 
non  m'ardisco,  per  la  tU  tua  Tita,  Far  mo- 
stramento  che  tu'  dir  mi  piaccia...  Se  *1  pre- 
sente sonetto  spesso  leggi.  Lo  spirito  noioso 
che  ti  caoda  Si  partirà  da  l'anima  iuTilita». 

—  187.  eortl:  spropordonati,  insuiBdentL 

—  188.  fner  che  ecc.:  afBnchó  Dante  con- 
siderasse 1  tristi  effetti  dd  peooaio  e  avendone 


522  DIVINA  COMMEDIA 


n 


Per  questo  yisitai  l'oBcio  dei  morti, 
ed  a  colui  che  l'ha  qua  su  condotto 
141        li  preghi  miei,  piangendo,  foron  porti. 
Alto  fato  di  Dio  sarebbe  rotto, 
se  Lete  si  passasse,  e  tal  vivanda 
fosse  gustata  sensa  alcuno  scotto 
145    di  pentimento  che  lagrime  spanda  ». 

onore  si  dlsponeBae  a  penitenza.  —  188.  Per  ftiano,  ooef  diohiaiato  da  Tommaso  d'Aquino, 

4«esto  eoo.  Peràd  discesi  nell'inferno,  en-  Annmo,  p.  I,  qo.  ozn  art.  4:  e  Fstom  est 

trando  nel  primo  oerchio,  e  piangendo  pregai  ordinatio  secondanun  cansanim  ad  efléctns 

Virgilio  di  aoconere  in  soo  ainto  (ofr.  JiA  n  diTinitns  prorisos  ; . .  refertor  ad  Tolimtaftea 

62  e  segg.).  —  141.  plaageado  t  cfir.  bìf.  n  et  potsstatem  Del,  skmt  ad  prìmui  piinci- 

116.  —  142.  Alto  fiate  eoo.  L'ordine  mera-  piom  »  :  ofr.  anche  Boedo,  Qm».fML  iy,  pr. 

Tiglioso  volato  dalla  pronridenxa  divina  sa-  6,  e  Agostino,  Dt  do,  dei,  y,  8-9.  —  144. 

rebbe  distratto,  se  si  potessero  obliare  i  peo-  seasa  aleaBO  eoo.  senza  alcun  pagamento  di 

oati,  se  r  nomo  potesse  assorgere  alla  beati-  penitenza,  senza  pagare  il  flo  col  pianto  del 

todine,  senza  il  pianto  della  penitenza.  Il  pontlmento. 


faio  ò  osato  qoi  nel  senso  teologico  cri- 


CANTO  XXXI 

Beatrice,  continaando  a  rimproverare  a  Dante  i  suoi  filili,  lo  induce  a 
confessarli  egli  stesso  e  a  compiere  gli  atti  necessari  alla  pnriilcasione  :  poi 
Matelda  lo  immerge  nel  ilame  Leto  e  lo  gnida  in  mezzo  alle  virtù  cardinali, 
che  lo  traggono  più  vicino  al  carro  :  allora  Beatrice,  a  preghiera  delle  virtù 
teologiche,  si  svela  del  tatto  al  suo  fedele  [18  apiìle,  dalle  nove  antfan. 
circa  alle  dieci]. 

€  0  tu,  che  sei  di  là  dal  fiume  sacro  >, 
volgendo  suo  parlare  a  me  per  punta 
3        che  pur  per  taglio  m'era  parato  acro, 
ricominciò;  seguendo  senza  cunta: 
«Di*,  di',  se  questo  è  vero;  a  tanta  accusa 
6       tua  confession  conviene  esser  congiunta  >. 
Era  la  mia  virtù,  tanto  confusa 
che  la  voce  si  mosse  e  pria  si  spense, 
9        che  dagli  organi  suoi  fosse  dischiusa. 
Poco  sofferse,  poi  disse  :  <  Che  penso  ? 

XXXI  1.  O  tu,  eco.  Dopo  avere,  disoor-  eodtamento  alla  confessione.  —  seasa  eaatas 
rendo  agli  angeli,  esposto  qoali  fossero  stati  senza  indugio  ;  Pietro  di  Dante:  e  sine  dabia 
i  traviamenti  di  Dante,  Beatrioe  si  relge  a  sospensione  ».  —  6.  DT  dC  eoo.  ittspondi,  rì- 
loi  stesso  otdedendogli  che  oonfermi  Tao-  spondi,  se  è  vero  dò  ohe  io  ho  detto  (Air|7.xzz 
cosa  con  la  soa  propria  confessione.  —  2.  108-188)  :  alla  mia  severa  accasa  bisogna  che 
volgeado  eoo.  volgendo  a  me  direttamente  il  s'accompagni  la  toa  esplicita  confessione.—  7. 
discorso,  ohe  m' era  sembrato  pungente  anche  Era  la  mia  eoo.  Danto  era  rimasto  tanto  oon- 
pw  taglio,  cioè  qoando  Beatrice  parlava  agli  foso  per  i  ximprovori  di  Beatrioe  ohe  la  voce 
angeli:  si  rioordi  ohe  già  in  Pwg,  xzz  67  soa  si  mosse  per  rispondere,  ma  si  spense 
Beatrioe  ha  chiamato  attra  tpada^  il  dolore  prima  d' osoirgli  dalla  bocca.  —  9.  dagli  ar- 
che Danto  avrebbe  provato  per  il  rimprovero  gaal  laoi  :  dalla  gola  e  dalla  bocca,  che  sono 
dei  soci  fisllL  —4.  segaeado  eoo.  segoitando,  gli  oigani  della  voce.  —  10.  Peee  •òffteraa 
dopo  le  parole  vocative  (v.  1),  oon  altre  di  eoe  Beatrice  aspettò  un  momento,  poi  insi- 


PURGATORIO  -  CANTO  XXXI 


523 


Rispondi  a  me;  che  le  memorie  triste 
12       ia  te  non  sono- ancor  dall'acqua  offense  ». 
Confosione  e  paura  insieme  miste 
mi  pinsero  un  tal  «  si  »  fuor  della  bocca, 
15        al  quale  intender  far  mestier  le  viste. 
Come  balestro  frange,  quando  scocca 
da  troppa  tesa,  la  sua  corda  e  Parco, 
18       e  con  men  fòga  l'asta  il  segno  tocca; 
si  scoppia' io  sott'esso  grave  carco, 
fuori  sgorgando  lagrime  e  sospiri, 
21        e  la  voce  allentò  per  lo  suo  varco. 
Ond'  ella  a  me  :  <  Per  entro  i  miei  disiri, 
che  ti  menavano  ad  amar  lo  bene 
24       di  là  dal  qual  non  ò  a  che  s'aspiri, 
quai  fossi  attraversati  o  qua!  catene 
trovasti,  per  che  del  passare  innanzi 
27        dovessiti  cosi  spogliar  la  spene? 
E  quali  agevolezze  o  quali  avanzi 
nella  fronte  degli  altri  si  mostrare. 


stendo  chieae  a  Dante  ohQ  cosa  pensane  in- 
Teoe  di  zupondare,  oom'  era  tao  debito.  — 
U.  !•  Menarle  eoo.  le  rioordanze  delle  male 
opere,  dei  peccati,  non  sono  ancora  state  can- 
celiai»  daU'ao^na  di  Leto.  —  12.  offéue: 
ofr.  Inf,  ▼  109.  —  13.  Confailoae  eoo.  La 
eonfoaione  cegionatami  dalla  vergogna  e  il  ti- 
■loce  della  pena  meritata  coi  miei  i!&lli  mi 
caoeianmo  fOoridolla  bocca  nn  ti  debole  e  ilo- 
OD,  tanto  die  a  sentizlo  fu  necessario  l' aiuto 
deg^  ooehL  Beatrice  insomma  potò  capire  la 
parola  proferita  da  Dante,  non  per  il  snono 
che  gliene  giungesse  distinto,  ma  dallo  sgnar- 
do  col  quale  egli  aooompagnd  la  sna  afferma- 
none.  lAqnesto  stato  di  perturbazione  morale 
e  n^  pianto  e  nei  sospiri  che  seguitano  d  da 
ravrisaxe  il  priko  atto  della  penitenza  di  Dan- 
te, la  oonirU¥>  eordts  (ofr.  fWy.  ix  94).  — 16. 
Cerne  balestre  ecc.  Come  nn  balestro,  quando 
scocca  di  per  s4  a  cagione  della  tensione  eo- 
ceesiTa,  rompe  la  corda  e  l'arco,  e  per  tal 
guisa  la  freoda  t«  a  colpire  il  bersaglio  oon 
minore  impeto.  —  17,  tesa  :  tensione.  —  19. 
■f  seopyla'  le  eoe  cosi  io,  sotto  l'eocessiTo 
peso  della  oonAuione  e  della  paura,  proruppi 
affannosamente  in  pianto  e  sospiri,  e  per  tal 
guisa  la  mia  Tooe  oUattfd  ptr  lo  tuo  varco. 
Tenne  meno  atrarecso  la  bocca,  mi  mori  sulle 
labbra;  la  Tira  pittura  dantesca,  alla  quale 
eccreeoe  efficacia  la  similitudine  del  balestro, 
ricorda  i  Tersi  di  VlrgiUo  {En.  n  160),  di 
Evandro  <  laerimansque  gemensque.  Et  via 
tìx  tandem  Todlaxata  dolore  est».  — 22.  Oa- 
4'ella  eco.  Beatrice,  Todendo  la  confusione 
del  suo  fedele,  non  gli  fe  per  ora  nuovi  rim- 


proTori,  come  dicono  alcuni  commentatori; 
si  inveoe  con  opportune  domande  drea  le 
cause  dei  suoi  traviamenti  cerca  d' indurlo 
alla  confessione.  —  Per  eatre  eco.  €n  mezzo 
ai  desiderf  miti,  cioè  da  me  suscitati  nel- 
Tanimo  tuo,  i  quali  ti  guidaTano  ad  amare 
il  sommo  bene,  quali  impedimenti  o  ostacoli 
trovasti  ohe  avessero  ferza  di  toglierti  ogni 
fiducia?  —  23.  le  bene  di  là  eco.  il  bene 
sommo,  Dio,  oltre  il  quale  non  è  maggior 
bene  cui  1'  uomo  possa  aspirare;  ofr.  Boezio, 
Cona,  phiL  iq,  pr.  10  :  «  Deum  rerum  om- 
nium prìncipem  bonum  esse  communishuma- 
norum  oonceptio  probat  animorum  :  nam,  oum 
nihil  Deo  melius  exoogitari  queat,  id  quo 
méliuB  nihil  est  bonum  esse  quls  dubitet  ?  » 
25.  fossi  eoe  fossi  aperti  trasversalmente  alla 
via;  catene  poste  a  chiudere  la  via:  sono 
impedimenti  di  due  maniere,  dod  negativi  e 
positivi,  quelli  creati  dalla  debolezza  di  animo, 
questi  posti  innanzi  dal  mondo;  tra  i  primi, 
p.  es.,  il  raffreddarsi  dell'amore  di  Dante  per 
Beatrico  (cfr.  Purg,  xxz  129);  tra  gU  altri, 
le  cattive  amicizie,  i  piaceri  sensuali  ecc.  — 
attraversati  t  aUraotrtato  è  dò  eh'  ò  posto 
a  traverso  (cfr.  Jnf,  zzm  118),  e  parlandosi 
di  fosso  vorrà  dire  :  aperto  in  senso  trasver- 
sale alla  via  percorsa  da  alcuno.  —  26.  per 
ehe  eco.  per  i  quali  impedimenti  tu  dovesd 
cosi  subitamente  perdere  la  flduda  di  conti- 
nuare per  il  cammino  della  virtù.  —  28.  B 
qaall  agevelezze  ecc.  £  quali  allettamenti 
o  vantaggi  vedesti  nelia  fìwUt  degli  aUrij  nel- 
l'aspetto degli  altri  beni,  dd  beni  mondani; 
per  i  quali  allettamenti  o  vantaggi  tu  dovessi 


524 


DIVINA  COHUBDU 


n 


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per  che  dovessi  lor  passeggiare  anzi  ?  » 

Dopo  la  tratta  d'un  sospiro  amaro, 
a  pena  ebbi  la  voce  clie  rispose, 
e  le  labbra  a  fatica  la  formare. 

Piangendo  dissi  :  «  Le  presenti  cose 
col  flEtlso  lor  piacer  yolser  miei  passi, 
tosto  cbe  il  vostro  viso  si  nascose  ». 

Ed  ella  :  <  Se  tacessi,  o  se  negassi 
ciò  che  confessi,  non  fora  men  nota 
la  colpa  tua;  da  tal  giudice  sassi. 

Ma  quando  scoppia  dalla  propria  gota 
l'accusa  del  peccato,  in  nostra  corte 
rivolge  sé  centra  il  taglio  la  rota. 

Tuttavia,  perché  mo  vergogna  porte 
del  tuo  errore,  e  perché  altra  volta 
udendo  le  sirene  sie  più  forte. 


lor  passeggiar»  anxif  —  90.  pMieggimre  Mil 
eoo.  Questa  loonzione,  che  è  Terunente  pooo 
perspicna,  pud  ayeie  direni  significati;  le- 
oondo  il  Bati,  rale  farsi  inooiUro,  e  oosl  Bea- 
trloo  rimpioTererebbe  a  Dante  d'arer  oercato 
di  sua  deliberata  volontà  i  piaceri  terreni  : 
aeoondo  il  Dan.,  eogofto  dai  più  d^  moderni, 
Tale  quanto  vagheggitWf  tolta  l'idea  dagl'in- 
namorati «  i  quali  hanno  in  costume  di  pas- 
seggiare dinanzi  la  casa  delle  amate  loro  », 
e  cosi  il  rimprovero  sarebbe  più  temperato  : 
secondo  Benv.  vorrebbe  dire  ssguirsy  ma  que- 
sto non  pud  essere  il  senso  della  locuzione 
passeggiare  anxi^  si  più  tosto  quello  generale 
che  risulta  dal  complesso  di  questi  versi,  ove 
Beatrice  ripete  dò  che  ha  detto  in  Purg.  txx 
190  e  segg.,  che  Dante  volse  i  passi  fbor 
della  verace  via,  «  imagini  di  ben  seguendo 
false  ».  —  81.  Dopo  la  tratta  ecc.  Dopo  aver 
mandato  ftiori  un  doloroso  sospiro,  raccolsi  a 
stento  la  voce  a  rispondere  e  a  fatica  le  lab- 
bra la  formarono  :  viva  rappresentazione  del 
perturbamento  dell'animo  che  impediva  a 
Dante  di  parlare.  —  88.  e  le  labbra  eoo.  : 
ctt.  le  parole  del  Booc,  riferite  in  Jnf.  vn 
126.  —  9i.  Piangendo  ecc.  Confermando  l'ac- 
cusa di  Beatrice,  Dante  compie  il  secondo  atto 
della  penitenza,  la  eonfessù)  oris,  —  I^e  pre- 
senti eoe  I  beni  terreni  con  il  loro  falso  pia- 
cere mi  volsero  fuori  della  retta  vìa,  poco 
dopo  che  voi  foste  morta.  Beatrice  mori  nel 
1290  e  l'apparizione  ^éÙA  dorma  gentile  tu.  nel 
1292  (cfr.  F.  N,  xzxv);  e  in  questi  due  anni 
Dante  pianse  sempre  la  morte  di  Beatrice  e 
fti  fedele  alla  memoria  di  lei  :  perciò  le  pa- 
role tosto  ehs  ecc.  s' hanno  a  intenderò  con 
discrezione,  nel  senso  che  non  passò  lungo 
tempo  dalla  disparlzione  di  Beatrice  ohe  Dante 


«  si  tolse  a  lei  e  dieesi  altrui  >.  Il  dolore  per 
la  morte  della  sua  donna  avrebbe  dovuto  do- 
rare lungamente,  e  invece  si  calmò  in  due 
anni:  in  un  tempo  dunque  rebUvainaite 
troppo  breve;  e  ciò  basta  a  giuatifloare  il 
e  tosto  che  il  vostro  viso  si  nascose  ».  —  87. 
Ed  ella  eoo.  Beatrice  riprende  a  oensasar 
Dante  ikcendogli  vedere  tutto  il  male  dai  soci 
falli,  non  più  per  farlo  vergognare  o  oonfe^ 
Bare,  si  per  trarlo  al  sodisfiMdmento  dòl  pec- 
cato, mediante  il  terzo  atto  della  penitenza, 
la  satisfaeHo  operi»,  —  89.  da  tal  eoo.  perché 
la  tua  colpa  è  conosciuta  da  Dio,  eh'  è  lai 
giudice  che  non  ha  bisogno  della  oonfiBesione 
per  conoscere  il  male  operato  dall'uomo.  — 
40.  Ma  f  aaade  ecc.  Ha  quando  i'aocoaa  del 
peccato  viene  dalla  propria  bocca  dal  pecca- 
tore per  mezzo  della  confessione,  nella  corte 
celeste  la  giustizia  divina  mitiga  la  sua  seve- 
rità. —  seoppiat  prorompe,  per  nn  intimo 
impulso.  —  42.  rivolge  eoe  D  senso  è  chiaro, 
ma  la  ragione  deU'imagine  no,  e  già  gh.  an- 
tichi commentatori  si  contentarono  di  spiegare 
superficialmente  questo  verso:  a  chiarirla 
valga  l'osservazione  già  fktta  da  altri,  cbe  la 
metafora  è  tolta  dalla  mote  o  ^etca  dell'ai^ 
rotino,  la  quale  volgendosi  contro  il  tag^ 
della  spada  lo  smussa  e  g^  toglie  la  capacità 
di  ferire  :  cosi  la  divina  giustizia,  ponendosi 
essa  stessa  contro  il  proprio  xlgora,  lo  atte- 
nua in  grada  della  oonfaasione.  »  48.  Tet- 
tovla  ecc.  Pure,  affinché  oca  tn  ti  vergogni 
dei  tuoi  peccati  e  un'altra  volta  sii  più  fòrte 
contro  i  piaceri  mondani,  smetti  di  fangose 
e  ascoltamL  —  46.  adeade  le  sirene  :  il  oanto 
delle  sirene  simboleggia  l'allettamento  dei 
piaceri  mondani  (cfr.  iWy.  zix  19);  dunque 
esser  più  forte  udendo  questo  oanto  tuoI  dire 


PURGATORIO  -  CANTO  XXXI 


525 


pon  giù  il  seme  del  piangere,  ed  ascolta; 
si  udirai  come  in  contraria  parte 
48       mover  doyeati  mia  carne  sepolta. 
Mai  non  t'appreeentò  natura  o  arte 
piacer,  quanto  le  belle  membra  in  ch'io 
51        rinchiusa  fui,  e  sono  in  terra  sparte; 
e  se  il  sommo  piacer  si  ti  falUo 
per  la  mia  morte,  qual  cosa  mortale 
&4       dovea  poi  trarre  te  nel  suo  disio? 
Ben  ti  doveri,  per  lo  primo  strale 
delle  cose  fallaci,  levar  suso 
57        di  retro  a  me  che  non  era  più  tale. 
Non  ti  dovean  g^var  le  penne  in  giuso, 
ad  aspettar  più  colpi,  o  pargoletta 
60       o  altra  vanità  con  si  breve  uso. 


iwlstora  agli  aUettamentt  dei  ùlA  beni,  deUe 
«  preeenti  cose».  —  46. 11  teme  del  plaageres 
Toppressioiie  della  oonAuioiie  e  della  pania, 
ehe  arerà  tratto  Dante  al  pianto  (ofr.  tt. 
18-21).  Infatti  Beatrice  mole  oon  qnoete  pa- 
iole richiamar  1*  attenzione  di  Dante,  tatto 
eonfoeo  e  sparentato,  a  dd  ch'ella  gli  dirà 
onu  Qoanto  all' eepreesione,  il  Ifoore,  I  68 
nota  il  riflcontro  col  Sabn.  czxn  6  :  «  Quelli 
ehe  aeminano  oon  lagrime  mieteranno  con 
canti  ».  —  49.  Mal  aen  eoo.  La  natora  o 
l'arte  non  ti  moetrarono  mai  nelle  loro  crea> 
rioni  una  bellezza  ooai  grande  come  quella 
del  corpo,  ore  io  M  rinchinaa  nella  prima 
rita.  —  50.  piaceri  la  bellezza  corporea,  la 
beOa  persona  :  in  tal  aenao  Dante  nsò  qnesta 
rooe  anche  in  Inf,  ▼  104  e  F.  X  iz  46.  ~ 
f  «aste  le  belle  eoo.  Della  bellezza  corporea 
di  Beatrice  eono  pochi  e  délioati  accenni  nelle 
poesie  di  Dante,  ma  tatti  ce  la  presentano 
eome  aorrnmana  o  straordinaria;  basti  ricor- 
dar» i  reni  della  F.  ^.  nz  68  :  «  Color  di 
pelle  ha  qnaai  In  forma,  qaale  Coarene  a 
donna  acrer,  non  ftir  misnia;  Ella  è  quanto 
di  ben  pnò  bi  natora;  Per  esempio  di  lei 
bietta  si  prora.  Degli  occhi  suoi,  come  ch'ella 
li  mora,  Escono  spirti  d'amore  inflammati... 
Voi  lo  rodete  Amor  pinto  nel  riso  ».  —  61.  e 
sene  la  terra  sparto  i  e  qaeeto  membra  sono 
ora  sepolto  in  terra  ;  cosi  intende  il  Butl,  ma 
Benr.  e  alooni  moderni  spiegando  :  sono  ri- 
dotte in  terra,  sono  direnate  cenere,  trorano 
in  qneet»  parole  nn  ricordo  dell'ammonimento 
biblico  (Om.  ni  19)  :  «  Per  dò  che  ta  sei  pol- 
rere,  te  ritornerai  altresi  in  polrere  ».  —  62. 
e  le  il  sommo  piacer  ecc.  e  se  questa  di- 
ritta bellezza  ti  renne  a  mancare  per  la  mia 
morte,  quale  altra  cosa  mortale  poterà  pa- 
rerti tanto  bella  da  suscitare  in  te  il  desiderio 
di  pceaederla?  —  66.  Bea  ti  doreri  eoe.  GU 
antiohl  danno  di  questi  rersi  spiegazioni  poco 


sodisHacenti  e  par  quasi  che  non  li  abbiano 
intesi  ;  solamente  l' OtL  scrire  :  «  Qaeeto  testo 
è  chiaro;  dice  Beatrice  :  Poiché  la  mia  carne 
e  le  belle  membra  ohe  tanto  piacere  ti  rap- 
presentarono erano  fìallite  (il  quale  fi  il  primo 
tirale  deUt  eo8$  foMaoi  che  pid  ti  punse),  tu 
non  doreri  attendere,  né  operare  si  che  un 
altro  te  ne  fosse  saettato.  E  dice  che  né  quella 
giorane  la  quale  olii  nelle  sue  rime  chiamò 
Pargoletta,  né  quella  Lisetta,  né  quell'altra 
montanina,  né  quella  né  quell'altra  li  dore- 
rano  grarare  le  penne  delle  ale  in  giù,  tanto 
eh'  olii  fosse  ferito  da  uno  simile  o  quasi  si- 
.mile  strale  ».  La  chiosa  dell'Ott,  lasciando 
stare  dò  eh'  ei  dice  delle  donne  amate  da 
Dante,  contiene  in  sé  la  spiegazione  rera  di 
queste  parole  di  Beatrice,  la  quale  in  sostanza 
dice  a  Dante:  Già  che  tu  t'ori  innamorato 
di  me  quando  ero  donna  terrena  (e  queef  in- 
namoramento fa  per  te  il  prvmo  atraU  deità 
0080  faUacf),  ben  doreri  assorgere,  dopo  la 
mia  morte,  all'amore  ài  me  ehe  non  era  più 
tate,  cioè  ohe  essendo  salita  al  dolo  non  ero 
più  cosa  fallace,  ma  dirina.  I  moderai  inter- 
preti parafrasano,  ma  non  ispiegano  questo 
passo.  —  68.  Hen  ti  dereaa  ecc.  Non  do- 
rori  permettere  che  ti  tenessoro  stretto  al- 
l'amore dei  boni  terreni,  «  delle  cose  fallad  », 
quasi  in  aspettazione  dì  altri  colpi,  giorini 
donne  o  altro  ranità  di  brere  durata.  —  69. 
pargoletta  :  glorinetta.  È  chiaro  che  qui  Bea- 
trice parla  in  genere  di  donne,  dietro  l'amore 
delle  qoali  Dante  trarlo  dopo  la  morte  di  lei  ; 
inrece  alcuni  interpreti  trorano  in  questa  pa- 
rola un  accenno  a  determinate  porsene  :  Ott. 
e  An.  fior,  (ctt,  Purg.  n  76)  a  una  donna  di 
nome  Pargoletta,  che  sarebbe  poi  quella  della 
ballata  e  Io  mi  son  pargoletta  bella  e  nuora  » 
{Ckmx,  p.  166);  Benr.  inrece  aGentucca  (cAr. 
Pu>rg,  xxir  87),  e  scrire  :  «  pargoletta  :  ista 
fuit  iurencula  rirgo  de  dritate  Lucana,  cuius 


526 


DIVINA  COMMEDIA 


Nuovo  angelletto  due  o  tre  aspetta; 
ma  dinanzi  dagli  ooolii  dei  pennuti 
63       rete  si  spiega  indamo  o  si  saetta  >. 
QuaU  i  fitneiulliy  vergognando  muti, 
oon  gli  occhi  a  terra,  stannosi  ascoltando, 
66       e  sé  riconoscendo,  e  ripentuti, 

tal  mi  stav'  io  ;  ed  ella  disse:  «  Quando 
per  udir  sei  dolente,  alza  la  barba,    . 
69       e  prenderai  più  doglia  riguardando  >. 
Con  men  di  resistenza  si  dibarba 
robusto  Cerro,  o  vero  al  nostral  vento, 
72       o  vero  a  quel  della  terra  di  larba, 

ch'io  non  levai  al  suo  comando  il  mento; 
e  quando  per  la  barba  il  viso  chiese, 
75       ben  conobbi  il  velen  dell'argomento. 
E  come  la  mia  faccia  si  distese, 
posarsi  quelle  prime  creature 
78       da  loro  aspersion  l'occhio  comprese; 
e  le  mie  luci,  ancor  poco  sicure, 
vider  Beatrice  volta  in  su  la  fiera, 
81        eh'  è  sola  una  perdona  in  due  nature. 


^ 


amore  eaptns  esc  «Uqnando  post  mortam  6e»> 
trids  ».  —  61.  Hmoto  eoo.  Opportona  a  chia- 
xize  il  eenio  dei  lìmproreri  di  Beatrice  Tiene 
questa  limilitadine  :  l'angeUino  imphime,  ine- 
■perto,  non  sa  eritare  per  due  o  tre  Tolte  le 
insidie  del  cacciatore;  ma  qnando  è  pennato 
inTaao  il  cacciatore  dispiega  innanzi  a  Ini  le 
sue  reti  0  scocca  gli  strali.  Cod  se  poterà  ee- 
sere  sensato  oon  V  ine^eriensa  il  primo  inna- 
moramento di  Dante,  non  potarano  essere  sen- 
sati gli  altri  soci  amori,  ohe  soraero  quando 
egli  aTera  già  esperimentata  la  flUlada  dei 
beni  tarreoL  —  63.  dlmanxl  eoe  È  tradosione 
del  biblico  (Broo.  i  17)  :  «  InTano  si  tende  la 
rete  dinanzi  agli  occhi  d'ogni  nocelletto  [toI- 
gata  :  tuUe  oeulo§  prnmatonm]  »  :  ofir.  If  ocre, 
I  66.  —  64.  Tsrgogaando  t  cfr.  Cotw.  it  19  : 
«  Ottimo  segno  di  nobiltà  ò  neUi  pargoli  e  im- 
perfetti d'etade,  qnando  dopo  il  fallo  nel  tìso 
loro  Tergogna  si  dipinge  ».  —  66.  wi  rle*- 
neseendo  eoo.  riconoscendosi  oolpevoli  dei 
falli  sd  essi  rimproTerati,  e  mostrandosi  pen- 
titi. —  67.  Qvab'*  P^  "dir  «00.  Poiché  so- 
lamente a  udire  i  mioi  rimproTori  prori  tanto 
dolore  da  star  od  tìso  basso  come  un  fiui- 
cìollo  Tergognoso,  alza  U  Tolto  non  più  di 
fandollo,  e  rignardandomi  proTerai  un  ddore 
più  grande.  —  70.  Con  aei  eco.  Ai  rimpro- 
Terì  di  Beatrice  Dante  aTOTa  tenuto  gli  oc- 
chi a  terra;  inTitato  da  lai  a  krar  sa  la  fac- 
cia, egli  compie  quest'atto  a  malincuore,  £»- 
cendo  a  so  stesso  una  grande  Tidenza.  Von- 


tori  129  :  «  Paxagona  la  tetica  di  quest'atto 
alla  resistenza  di  robusto  oezre  ad  eaeere  sbar- 
bicato :  e  la  similitudine  racchiude  l' idea  mo- 
rale delle  profonde  xadid  che  già  amm.  gettato 
il  rimorso  nel  cuore  di  lui  ».  —  71.  mttnX 
Tento:  Tento  di  tramontana  o  Borea,  dia 
spira  di  Terso  le  regioni  settantrionalL  —  72. 
quel  della  terra  eoe  Tento  australe,  ohe  spira 
di  Terso  l'Africa,  detta  la  tarrm  di  Inba,  che 
tu.  figlio  di  OioTo  Ammonio  e  re  di  Ldbia  (ofh 
Vixgilio,  JEH.  IT  196).  —  74.  e  faaada  eoe. 
e  allorohé  Beatrice  Tolendo  che  io  alzassi  il 
tìso  disse  che  alsasd  la  barba,  ben  conobbi 
U  fstei  deU'arffommUo,  il  pungente  e  aottila 
concetto  ch'ella  aTOTa  ssprosso  con  quelle 
parole,  quad  Tolesae  dirmi  :  tu  non  sei  più 
un  fanciullo  imberbe,  che  possa  essere  aou- 
sato  dd  sud  fidli;  sei  un  uomo  maturo,  cui 
non  può  essere  scusa  degli  errori  l'ina^a- 
rienza.  —  76.  B  eame  eco.  E  quando  la  mia 
faccia  si  Iotò  in  alto,  i  mid  occhi  Tldero  che 
gli  angeli  aTOTano  smesso  (a  loro  aopmrmomt^ 
il  getto  dd  fiori  che  prima  spaigoTano  intomo 
a  Beatrice  :  cfr.  IVy.  zzz  28-30.  ~  77.  ^rime 
ereature:  gli  angeli;  cf^.  Jnf,  to  96,  iWy. 
ZI  8.  —  79.  •  le  mie  luel  ecc.  e  i  miei  oo- 
ohi,  ancora  timidi  per  la  Tergogna,  Tidaro 
Beatrice  Tolta  dall'alto  Terso  il  mistioo  ani- 
male, il  grifone.  —  81.  sola  una  eco.  una 
sda  figura  nelle  due  nature  di  leone  e  di 
aquila  (ofir.  Purg,  xzix  108),  che  siwbolog 
giano  la  duplice  natua,  amaaa  e  diTlna,  di 


PURGATORIO  -  CANTO  XXXI 


527 


Sotto  suo  Telo  ed  oltre  la  risiera 
▼ìncer  pareami  più  sé  stessa  antica, 
84        die  yinoer  l'altre  qui  quand'olia  c'era. 
Di  pentòr  si  mi  punse  ivi  l'ortica 
die,  di  tutt' altre  cose,  qnal  mi  torse 
87       più  nel  suo  amor,  più  mi  si  &' nimica. 
Tanta  riconoscenza  il  cor  mi  morse 
ch'io  caddi  yinto,  e  quale  allora  fammi, 
90       salsi  colei  che  la  cagion  mi  pone. 

Poi,  quando  il  cor  di  fuor  virtù  rendemmi, 
la  donna,  ch'io  avea  trovata  sola, 
93       sopra  me  vidi,  e  dicea:  «  Tiemmi,  tiemmi  >. 
Tratto  m*avea  nel  fiume  infino  a  gola, 
e^  tirandosi  me  retro,  sen  giva 


Cristo.  —  83.  8«tU  no  ?•!•  «oc.  Beatrice, 
■ebbene  ricoperta  dal  Telo  e  lontana  da  me 
per  eeMT  di  là  dal  fiume,  mi  parerà  obe  di 
leOetii  fapenaee  tanto  al etetM  ontfoo,  doè 
a6  stoan  qnale  en  atata  al  mondo,  quanto 
■d  parerà  eapecaie  le  aKie  donne  della  tana, 
quuìdo  een  Ttrera.  La  lententa  è 
■a  il  coatfullo  è  nn  poco  involnto  per  la 
Horte  etUeri  del  r.  84,  obe  ai  dere  compiere 
eoaf  :  dka  non  mi  pazea  einoar  f  ottre  eco.;  e 
jSA  poi  roacoxaronoi  copisti  e  gli  editori  leg- 
gendo oon  nna  Uere  traapoairione  :  Vinctr, 
afte  PaUn  qmi  eoo.  ;  o  ancbe  altrimenti,  oon 
pi6  forti  altemloni  del  teeto.  La  lezione  adot- 
tate qni  è  data  da  Benr.  e  dal  Bati,  dna  dei 
pt6  antoreroli  commentatori.  —  84.  ehe  Tla- 
eer  eco.  DI  Beatrice  Tivente  eorivera  Dante, 
Fi.  N.  zm  62  :  e  Vede  perfettamente  ogne 
aafatte  Chi  la  mia  donna  tra  le  donne  vede; 
Quelle,  obe  vanno  oon  lei,  aon  tenute  Di 
baD»  grazia  a  dio  render  merzede.  B^sna  bel- 
tada  è  di  tante  rertate  Gbe  nilla  inridia  a 
l'altre  ne  procede,  Ànsi  le  fue  andar  teco 
Testate  Di  gentHeani  •  d'amore  e  di  fede  ». 
^  85.  m  pentbr  ecc.  In  tale  litaarione  U 
pentimento  mi  pnnae  tanto,  fui  Jneomma  cosi 
pentito  dei  miei  ftJli,  cbe  pid  m'inorebbero 
le  ooae  cbe  pld  m' arerano  tratto  a  16,  di^ 
sriandomi  da  Beatrice.  Bene  l' Ott:  «  Dice 
l'antoce  cbe  qnaado  il  ano  tìso  porae  in  quello 
di  Beatrice,  cbe  allora  al  riderò  cblari  ed 
aperti  U  tool  peccati,  aggrarati  di  tutte 
drocstaaae  di  condirione,  di  peraona,  di 
luogo  e  di  tempo,  cbe  elli  fti  di  tanta  peni- 
teaaaperoeaM  •  punto,  cbe  quanto  daacuna 
eoaa  teaiponle  o  mondana  infine  allora  phi 
l'areTa  torto  nel  ano  amore,  cotanto  li  renne 
in  maggiore  odio  ;  per6  cbe  cotanto  per  quella 
canti  maggiora  affliziona,  per  ciò  obe  al  ftOlo 
fb  data  eone^ondente  pena:  onde  per  non 
eame  mai  più  cobÌ  punto,  dice  aó  odiarle  da- 


Bonna  aeoondo  il  grado  cb'ei^  l'amd».  — 
l'ertleat  lo  stimolo,  il  pungolo  della  peni- 
tenza; traslato  beDo  ed  efficace,  suggerito 
dall'idea  del  pungere.  —  88.  Tanta rieene- 
aeensa  eco.  Dante,  riconoecendo  sé  colperole 
dei  fidli  rimproraratlgli  da  Beatrice  •  san- 
ità pentito  di  essi,  tu  preao 
da  ooaf  Tiro  dolore  obe  cadde  a  terra  priro 
diaentimento  :  durante  questo  tramortimento 
Matelda  lo  taadnò  nel  fiume  di  Lete,  in 
meizo  al  quale  eg^  ritornò  in  aò.  —  89.  e 
f  naie  ecc.  e  in  quale  stato  io  mi  riducessi 
allora,  bea  lo  aa  Beatrice  cbe  a  dò  diede  ca- 
gione col  suoi  giusti  rimproreri.  —  01.  fuaaie 
eco.  Tutti  i  cooimentatrai  spiegano  :  quando 
il  onore  mi  reee  di  Itiori  la  rirtd,  doè,  come 
dichiara  il  Buti,  quando  «  la  rirtd  ritale  e 
sensitlTa,  eh'  era  corsa  od  sangue  al  cuora, 
.tornò  di  fuori  a  le  membra»  :  solo  il  Tomm., 
costruendo  :  quando  etrtf  di  fitor  rmdMiwd  U 
eoT,  spiega  :  quando  rirtd  Tenuta  da  Beatrice 
mi  rendo  il  cuore,  mi  fece  riarare  ;  ma  giu- 
stamente queeta  sua  intecpietazione  fti  giu- 
dicata troppo  ingegnooa  e  aottile.  —  92.  la 
densa  ecc.  Matelda,  cbe  a  Dante  era  apparaa 
cadetta»  nd  suo  primo  entrare  nd  paradiso 
terrestre  (cf^.  Puitg,  zxnn  87-42).  —  SS.  se* 
pra  WM  eco.  Dante  ritornando  In  sé  d  trorò 
nd  mezzo  dd  fiume,  trattori  da  Matdda  cbe 
ae  n'  andara  a  fior  d'acqua  (e  perdo  gli  stara 
sopra)  e  gli  dicera  di  attenerd  a  lei,  per  non 
esser  trardto  dalla  corrente.  —  94.  Tratte 
m' area  eoo.  Matdda  arerà  già  apiegato  a 
Dante  qud  fosse  la  natura  dd  due  fiumi  del 
Paradiso  terreetre  e  gli  arerà  detto  cbe  Lete 
e  tog^  dtrul  la  memoria  dd  peccato  »  (Aifp. 
zxnn  128)  :  è  manifèsto  adunque  cbe  l' Im- 
merdone  preaente  ft  per  toglierò  a  Dante  ogni 
rioordana  delle  colpe,  ohe  egli  ba  confessate 
e  delle  quali  d  è  mostrato  pentito  ;  e  dò  ò 
confermato  anche  dalle  pardo  del  salmo  che 


628 


DIVINA  GOMMEDU 


96       sopr'esso  l'acqua,  lieve  come  spola. 
Quando  fui  presso  alla  beata  rivai 
€  Asperges  mey  wi  dolcemente  udissi 
99       ch'io  no  '1  so  rimembrari  non  ch'io  lo  scriva. 
La  bella  donna  nelle  braccia  aprissi, 
abbracdommi  la  testa,  e  mi  sommerse 
102       ove  convenne  ch'io  l'acqua  inghiottissi 
Indi  mi  tolse,  e  bagnato  m'offerse 
dentro  alla  danza  delle  quattro  bellCi 
106       e  ciascuna  del  braccio  mi  coperse. 

€  Noi  Siam  qui  ninfe,  e  nel  del  siamo  stelle; 
pria  che  Beatrice  discendesse  al  mondo, 
108       fummo  ordinate  a  lei  per  sue  ancelle. 
Menrenti  agli  occhi  suoi;  ma  nel  giocondo 
lume  ch'ò  dentro  aguzseranno  i  tuoi 
111       le  tre  di  là,  che  miran  più  profondo  >• 


1*  intona  durante  il  passaggio  di  Dante  per 
il  fiume  Lete.  —  96.  lleTe  e^me  ifoU:  Ven- 
tali 606  :  e  Ben  tolta  la  ilmilitadine  da  lil^ 
ftttto  litremento,  il  qoale  si  gitta  con  gnn 
leggerena,  perohó  non  si  rompano  le  fila  nel 
tessera  della  tela  >.  —  9S.  Asperges  mt  eoo. 
Mentre  ICatelda  fs  passare  Dante  dalla  sini- 
stra alla  destra  riva  di  Lete,  gli  angeli  can- 
tano le  parole  del  Salmo  u  8  :  <  Purgami 
con  Isopo,  e  sarò  notte;  larami,  e  sarò  più 
bianco  ohe  nere  »  (mlgata,  l  9  :  ABp&rgm  wé 
hystopot  d  fmmdabor;  laeàbii  «m,  §t  tuptr 
fiivtm  àtaibabor),  a  significare  che  il  pecca- 
tore si  monda  delle  soe  colpe  compiendo  l'o- 
pera della  penitenta.  —  99.  eh'  lo  ne  1  eco. 
il  canto  angelico  era  di  tanta  doloexza  da  non 
poter  essere  non  pure  deociittO)  ma  nò  anche 
rimembrato  ;  donqne  direrso  da  quello  di  Ca- 
sella (ofr.  FStrg.  n  118)  che  per  qoanto  dold»- 
simo  era  por  sempre  umano,  mentre  il  canto 
angelico  era  di  dolcecsa  diTina. — 100.  La  hel- 
la  eoe  Matelda  aprendo  le  braoda  dnge  con 
esse  il  oKgo  di  Dante  e  glielo  immerge  nelle 
acque  di  Letft  sino  al  ponto  che  egli  ò  costretto 
a  inghiottirne:  l' immersione  ft  il  laracro  pu^ 
rifioatore,  V  inghiottire  l'acqua  è  simbolo  del 
compirti  della  puiifloaslone  ;  poiché  V  effetto 
di  Letft  non  si  fa  sentire  se  non  a  ehi  gusta 
il  sapore  delle  sue  acque  (cfr.  Awy.  zxnn 
131-182).  —  108.  Udì  mi  tolse  eco.  Matelda 
togliendo  Dante  dalle  acque  del  fiome  lo  col- 
loca in  messo  alle  quattro  donne  danzanti, 
simbolo  delle  quattro  virtù  cardinali  (cfr.  Pmy, 
xzix  180),  ciascnns  delle  quali  lo  ricopre  d'un 
braccio,  a  significare  che  l'uomo  puro  è  di- 
feso da  esse  quattro  virtù  contro  gli  assalti 
dei  Tizi  contrari.  —  106.  Hot  slam  eoe  Le 
quattro  virtù  cardinali,  che  nel  paradiso  ter- 


rsstrs  hanno  figura  di  belle  donna  dannati 
ar  guisa  di  ninfe  alla  sinistra  del  mistioooano, 
hanno  nel  cielo  la  figura  di  stelle:  qiaOe 
stelle  ohe  Dante  vide  rlsplendere  eotrando 
nel  purgatorio  •  illuminare  la  Ihoda  di  Ca- 
tone (cfr.  I\irg,  I  22,  87).  Scart:  «  Seooodo 
questo  passo  la  virtù  cantiaali  aooo  neUo 
stesso  tempo  in  tmna  e  in  cielo,  ma  non  ve- 
stono in  ambedue  luoghi  la  medésima  fionaa: 
in  terra  sono  wStifh,  genii  di  salutevole  oon^ 
sigilo;  in  cielo  sMk,  esaeii  illuminanti  la  coi 
luce  non  è  né  per  loro  medesime  nò  per  fl 
cielo  dove  dimorano,  ma  per  questa  terra.  D 
concetto  di  questo  verso  ne  sembra  pertanto 
essere,  che  le  virtù  cardinali  splendono  in 
cielo  quel  luce  che  illumina  il  mondo  e  aono 
nello  stesso  tempo  in  terra  le  consJgHalrioi 
degli  nomini  ».  —  107.  ^la  ehe  Beatrice 
ecc.  prima  che  Beatrice,  «  cosa  venuta  dal 
cielo  in  terra  a  miraool  mostrare  »  (FI  N. 
zxvi  84),  fosse  discesa  al  mondo,  noi  fomme 
deputate  a  servirla  come  ancelle  :  in  cfó,  ol- 
tre il  concetto  che  Beatrice  fosse  signora  delle 
virtù  (cfr.  Jbif.  n  76,  F.  J^.  X  10),  è  indose 
anche  quello  che  le  virtù  oaidinali  flueno  or- 
dinate nel  mondo  a  preparare  il  trionfò  deDa 
religione,  deUa  quale  sono  fondamento  le 
virtù  teologalL  —  109.  Menrtntt  eoo.  Notti 
guideremo  innansi  agli  occhi  di  Beatrice;  ma 
a  penetrare  col  tuo  sguardo  nel  giocondo  lume 
eh'  ft  dentro  a  quelli  occhi  ti  guideranno  il 
Irt  A  tt^  le  tre  donne  alla  destra  del  carro 
(cfr.  w.  127-188).  —  111.  le  tre  eoo.  le  tra 
donne  simbolo  delle  virtù  teologali,  «  per  le 
quali  tre  virtù  (cosi  Dante,  CbMt.  m  U)  si 
sale  a  fllosofkre  a  quella  celeste  Atene,  dove 
gli  stoici  e  peripatetici  ed  epicurei,  per  l'arte 
et^na,  la  m  volare  conoorSe- 


PUEGATORIO  -  CANTO  XXXI 


529 


Cosi  cantando  cominciaro;  e  poi 
al  petto  del  grìfon  seco  menarmi, 
114        ove  Beatrice  volta  stava  a  noi. 

Disser  :  «  Fa  ohe  le  viste  non  risparmi  ; 
posto  t'avem  dinanzi  agli  smeraldi) 
117        ond' Amor  già  ti  trasse  le  sue  armi  >. 
Mille  disiri  più  che  fiamma  caldi 
strinsermi  gli  ocelli  agli  ocelli  rilucenti, 
120        che  pur  sopra  il  grifone  stavan  saldi. 
Come  in  lo  specchio  il  sol,  non  altrimenti 
la  doppia  fiera  dentro  vi  raggiava, 
123        or  con  uni,  or  con  altri  reggimenti 
Pensa,  lettor,  8*io  mi  maravigliava 
quando  vedea  la  cosa  in  sé  star  queta, 
126        e  nell'idolo  suo  si  trasmutava. 

Mentre  che,  piena  di  stupore  e  lieta, 
P  anima  mia  gustava  di  quel  cibo, 
129        che,  saziando  di  sé,  di  sé  asseta; 
sé  dimostrando  di  più  alto  tribo 
negli  atti,  P  altre  tre  si  firo  avanti, 
182        danzando  al  loro  angelico  caribo. 


Tolmente  ooncorrono  ».  — 112.  Cosi  eMituido 
•oe.  Coflf  \»  qnattro  donne  diaaero  a  Dante 
m  Tooe  di  canto;  •  poi  lo  trassero  vicino  al 
grifone,  ore  Beateice  stara  rolta  reno  di  InL 
—  116.  Fa  eke  le  riste  eoo.  Non  risparmiare 
ormai  gli  sgnardi,  poiché  t'abbiamo  tratto  di- 
nanzi agli  occhi  sfarinanti,  dai  qnali  già  Amore 
•ooooò  i  dardi  ohe  ti  colpirono.  ~- 116.  gae- 
raMl  :  coti  chiama  gli  occhi  di  Beatrice,  non 
già  per  il  colore,  ma  perché  rilnoerano  come 
lo  Bmexaldo,  per  dire  dnnqne  «occhi  riln- 
ceati  »  (r.  119).  — 117.  end*  A«er  ecc.  cfir. 
DwKte  stesso  nel  Oanx,  p.  119  :  <  Dagli  oc- 
chi della  mia  donna  si  mnore  Un  lume  si 
gentil,  ohe  dorè  appare  Si  redon  cose,  ch'nom 
non  pud  ritrare  Per  loro  altezza  e  per  loro 
esser  noore  »  ;  e  nella  F.  ?/!.  xxi  8  :  <  Ne  li 
occhi  porta  la  mia  donna  Amore  ».  <-*  118. 
Mille  distri  eco.  lOlle  desideri  ardentissimi 
raccolsero  la  forza  dei  miei  occhi  a  fissani  in 
q«dli  sCsriUantl  di  Beatdce,  ohe  li  tenera 
formi  sopra  il  grifone.  —  121.  Cene  In  lo 
speeeklo  eco.  Come  nello  specchio  1  raggi  so- 
lari appariscono  in  rarie  e  molteplici  morenze 
di  Ince  e  di  colore,  cosi  negU  occhi  di  Bea- 
trioe  la  ilgnra  del  grifone  apparirà  ora  con 
atti  propri  alla  sna  nato»  di  aquila,  ora  con 
atti  di  leone.  Il  germe  della  similitadine  è  in 
Gridio,  ohe  dice  degli  occhi  di  Salmace  (Mei, 
ir  847):  <  flagiant  qnoqne  lumina  nymphae, 
Non  aUter  qnam  com  poro  nitidissimQs  orbe 
Opposita  specoli  refsritorimagine  Fhoebns  ». 

Dahts 


—  128.  or  eoa  ani  ecc.  or  con  atti  d*nna 
natura,  ora  con  atti  d' un'altra:  perché  Cristo, 
r  uomo-dio,  nelle  sue  operazioni  ora  dimostrò 
natura  umana,  ora  natura  dirina.  —  124. 
Pensa  eoo.  Verso  che  per  la  forma  ricorda 
quel  dell*  Jnf,  nn  94.  ~  126.  qaaade  redca 
ecc.  rodendo  il  grifone  star  fermo  e  immobile 
nella  sua  reale  figura  e  inreoe  trasmutarsi  e 
muorersi  in  direrse  guise  netl'itMo  iuo^  nel- 
rimagine  sua  quale  apparirà  negli  occhi  di 
Beatrice.  —  128.  di  qael  cibo  ecc.  della  con« 
templazione  degli  occhi  di  Beatrice,  che  men- 
tre mi  sodisfàcora  susdtara  in  me  più  riro 
desiderio  di  sé;  cfir.  neW Ebotesùuticua.,  zxir 
29,  le  parole  della  sapienza  :  «  Qui  edunt  me 
adhnc  esurient:  et  qui  bibunt  me  adhuc  si* 
tient  ».  —  180.  ni  dimostrando  ecc.  le  altre 
tre  donne,  simboli  delle  rirtd  teologali,  si  fe- 
cero aranti  con  atti  che  dimostrarano  come 
esse  fossero  di  pid  nobile  condizione  che  le 
qnattro  donne,  simboli  delle  rirtd  cardinali. 

—  di  pid  alto  tribo  t  il  nome  tribOf  foggiato 
sul  lat.  tribut  (otr.  Parodi,  BulL  HI  119),  ha 
qui  il  eignifllcato  di  ordine,  grado.  —  182. 
danzando  ecc.  regolando  la  loro  danza  se- 
condo il  canto  degù  angelL  La  difficoltà  di 
questo  rexBO  consiste  nel  determinare  il  ra- 
lore  del  nome  earibOy  òhe  pur  dorerà  esser 
noto  agli  antichi  commentatori  Lana,  Ott., 
Pietro  di  Dante,  Cass.,  An.  fior.,  ohe  non 
s'indugiarono  a  spiegarlo;  Benr.  i^ega  tutto 
il  rerso,  cosi  :  <  danxando  ecc.  Idest  ad  gra- 

81 


630 


DIVINA  COMMEDIA 


«  Volgi,  Beatrice,  volgi  gli  ocelli  santi, 
era  la  lor  canzone,  al  tuo  fedele 
135       che,  per  vederti,  ha  mossi  passi  tanti. 
Per  grazia  fa  noi  grazia  che  disvele 
a  Ini  la  bocca  tua,  si  che  discema 
138        la  seconda  bellezza  che  tu  cele  >. 
0  isplendor  di  viva  luce  eternai 
chi  pallido  si  fece  sotto  l'ombra 
141        si  di  Parnaso,  o  bevve  in  sua  cisterna, 
che  non  paresse  aver  la  mente  ingombra, 
tentando  a  render  te  qual  tu  paresti 
là  dove  armonizzando  il  eie!  V  adombra, 


-1 


n 


i. 


tnlstioiieiii  et  oantionem  aogelioam  ipsamm 
Tel  ad  cantam  angelorom,  ita  qnod  oonfor- 
mabant  motam  saom  vod  snae  vel  voci  an- 
gelomin,  slcat  solent  faoere  trìpndiantea  «t 
cantantea  simal  »  ;  Inrece  il  Bati,  segniito  poi 
dal  Land.,  Veli,  e  Dan.,  spiegò  caribo  oga^ 
r^,  per  garbo^  modo  :  gli  accademici  della 
eroica  nella  loro  edizione  del  poema  (Firenze, 
1596,  p.  829)  dettero  al  nome  canJbo  il  senso 
di  hiUo,  •  precisamente  di  bdUo  tondo  o  rigo- 
letto,  e  la  loro  interpretazione  tu.  accettata  dal 
Vent.  e  dal  Lomb.,  ma  oombattata  vigorosa- 
mente  da  V.  Monti,  I^roposta,  ecc.  yol.  I,  p. 
II,  pp.  142  e  segg.,  il  quale  ritornò  alla  spie- 
gùione  del  BatL  Finalmente  M.  A.  Parenti 
(nell'ediz.  della  Div.  Ckrnm,,  FadoTa,  tip. 
Hinerya,  1822,  voL  II,  pp.  787  e  segg.),  ri- 
chiamando a  questo  Inogo  1  versi  del  Purg, 
xzix  128-129,  zmi  88,  e  la  chiosa  di  Benv., 
spiegò  caribo  come  hcMata  o  canzone  che  si 
oanta  ballando,  e  la  sua  intezpretazione  trovò 
molto  favore  tra  i  commentatori  venati  di 
poi;  nò  se  ne  allontanò  sostanzialmente  L. 
Biadene,  Varietà  Idter,,  Padova,  1896  (  cfr. 
BulL  V  80),  che,  fondandosi  sopra  una  defi- 
nizione data  da  Francesco  da  Barberino,  spie- 
gò caribo  per  «  aria  di  ballo  accompagnata 
col  canto  »,  quindi  «  canto  ohe  si  faceva  dan- 
zando coli' accompagnamento  della  musica»: 
certamente  ò  la  più  vicina  al  vero,  poichó 
anche  in  una  poesia  di  Giacomo  Pugliese, 
rìmatoro  pi4  antico  di  Dante,  la  voce  caribo 
è  usata  nel  senso  di  canto  che  serve  a  re- 
golare una  danza  (D'Ano.  I  888  ;  cfr.  V  351)  : 
sull'etimologia  di  questa  voce  cfr.  Gt.  I.  Asco- 
li, Areh,  gloUoL  XTV  846-51.— 188.  Volgi  ecc. 
Le  tre  virtù  teologiche  pregano  Beatrice  a 
volger  gli  occhi  santi  al  suo  fedele,  che  per  ve- 
deria  aveva  compiuto  U  difficile  viaggio  per 
V  inferno  e  11  purgatorio,  e  a  togliersi  il  velo 
dalla  bocca,  affinché  egli  possa  vedere  la  sua 
teoonda  beUexxfO,''  184.  canzone  :  parole  dette 
cantando  ;  perché  cosi  parlavano  tutte  queste 
figure  divine  del  paradiso  terrestre  (cfr.  Purg. 


zxix  1,  85,  xxz  11,  82,  xzxi  112).  —  136. 
Per  grazia  ecc.  per  grazia  verso  Dante  tk  a 
noi  la  grazia  ecc.  cfr.  Inf,  zm  25.  —  138. 
la  f  eeoBda  bellezza  eoo.  Dante  nel  Cbnr.  m 
8,  spiegando  i  versi  d*una  sua  canzone: 
<  0)80  appariscon  nello  suo  aspetto.  Che  mo- 
stran  do'  piacer  del  Paradiso,  Dico  negli  v:ic- 
chl  e  nel  suo  dolce  riso  »,  scrive  :  «  però  che 
nella  faccia  massimamente  in  due  luoghi  ado- 
pera l'anima,...  cioè  negli  occhi  e  nella  bocca, 
quelli  massimamente  adoma  >  ;  vale  a  dire  le 
due  bellezze  della  faccia  sono  gli  oodd  e  la 
bocca.  Le  quattro  virtù  cardinali  guidano 
Dante  dinanzi  agli  occhi  di  Beatrice,  alla  prima 
bellezza  di  lei  (cfr.  w.  109, 116);  le  in  virtù 
teologiche  pregano  la  santa  donna  a  moetraz^ 
gli  la  seconda  bellezza,  ancora  nascosta  dal 
velo,  cioè  a  mostraxis^  ^  «  suo  dolce  riso  ». 

—  139.  0  isplender  eco.  Beatrice,  alla  pre- 
ghiera delle  tre  virtù,  si  dimostra  tatta  sor- 
ridente  al  suo  fedele;  e  Dante  non  descrive 
nò  pure  U  solenne  momento,  perché  nessuna 
parola  umana  potrebbe  degnamente  descri- 
verlo, ma  prorompe  in  un'esclamazione  che 
è  essa  stessa  la  più  mirabile  delle  deeerfadoni. 

—  140.  ehi  pallido  ecc.  qual  poeta  mai,  per 
quanto  studio  egli  avesse  posto  nell'arto  della 
parola  e  per  quanto  viva  fosse  la  sua  imagi- 
nazione, potrebbe  tentare  la  rappresentazione 
del  divino  sorrìso  di  Beatrice?  -~  14S.  qmmà 
tu  pareiU  eco.  quale  tu  mi  apparisti,  o  mia 
donna,  allorohé  togliendoti  il  velo  mi  soni- 
dosti  nel  paradiso  terrestre.  —  144.  là  dove 
eoe  Varie  interpretarioni  sono  state  date  di 
questo  verso  abbastanza  oscuro:  la  più  co- 
mune opinione  degli  interpetri,  dal  Bnti  al 
Tomm.,  è  che  qui,  come  gii  in  ISirg,  xxx  98, 
sia  accennata  la  dottrina  platonica  dell'  ar- 
monia prodotta  dai  dell  nel  loro  movimen- 
to, e  che  il  verso  significhi  :  là  nel  paradiso 
terrestre ,  ove  le  sfere  risonando  oon  la  loro 
armonia  ti  circondavano.  Ila  1*  Ant. ,  gìn- 
stamente  osservando  ohe  In  questo  caso  il 
poeta  avrebbe  detto  adombrova,  propone  on'al- 


PURGATORIO  -  CANTO  XXXI  G31 

145    quando  nell'aere  aperto  ti  solTesti? 

tra  spiegadone  :  eg&  dà  al  rb.  adombrtart  U  la  tena  dell'innooonza,  ronde  appena  con  la 
■enso  di  xappreientare,  rendere  imagine,  e  eoa  belleBa  m' imaglne  della  tua  bellezza 
intAde:  là  ore  il  cielo,  armonizsaado  oon      dMna. 


CANTO  XXXII 

Bichiamato  dalle  virtA  teologiche,  Dante  volge  la  sna  attensione  alla 
processione,  la  qnale  si  maoye  Terso  oriente  sino  ad  nn  albero  che  rifiorisce 
al  eontatto  del  carro  trionfale  :  Dante  s'addormenta;  e  svegliato  da  Matelda 
assiste  alle  simboliche  vicende  del  carro,  nelle  qnali  sono  rappresentate  le 
vicende  della  Chiesa  [18  aprile,  dalle  dieci  antim.  circa  alle  ondici]. 

Tanto  eran  gli  ocelli  miei  fissi  ed  attenti 
a  disbramarei  la  decenne  sete 
8       die  gli  altri  sensi  m'eran  tutti  spenti; 
ed  essi  quinci  e  quindi  avean  parete 
di  non  caler,  cosi  lo  santo  riso 
C       a  sé  traeali  con  l'antica  rete; 

quando  per  forza  mi  fu  yolto  il  viso 
vdr  la  sinistra  mia  da  quelle  dèe, 
0       perch*  io  udia  da  loro  un  €  Troppo  fiso  >. 
£  la  disposizion,  ch'a  veder  èe 
negli  occhi  pur  testé  dal  sol  percossi, 
12       senza  la  vista  alquanto  esser  mi  fèe; 
ma  poi  che  al  poco  il  viso  riformossi 
(io  dico  al  poco,  per  rispetto  al  molto 

XXXII  1.  Taato  eco.  Dante  contempla  per  farsa  eoo.  Dante  era  innanzi  al  carro 
limgamente  Beatiiee,  flnohó  le  tre  donne,  ohe  trionfliae  contemplando  Beatrice,  quando  lo 
■lBilM»b^ei1iino  le  Tirt6  tedoglohe,  lo  riòhia-  richiamarono  allo  spettacolo  deUa  processione 
nanoa  rigoardare  la  processione.  •  2.  la  de-  le  parole  delle  donne  diTine  che  starano  alla 
«•■■e  setes  il  desiderio  di  Tederò  Beatrioe,  destra  del  csrro,  e  consegnentemente per  rol- 
che  Dante  areva  cimai  da  dieoi  anni,  essendo  gersi  ad  esse  e^  dorette  Tòttarsi  yerso  la 
eOa  morta  nel  1290  e  la  presente  visione  soa  sinistra  parte  :  ne  segoe  che  le  <i0f  sono 
areodo  hiogo  nel  1900:  efr.  ISirg,  xxx  126.  le  tre  donne  rafflgoranti  le  virtd  teologali 
—  8.  gli  altri  scasi  eco.  gli  altri  mìei  sensi  (cfr.  Purg,  xzdc  121).  —  9.  Troppo  fise:  con 
erano  sopiti,  perché  tatta  la  forza  dell'anima  troppa  attenzione,  oon  <  troppo  di  vigore  » 
mia  era  raccolta  in  qnello  del  vedere  :  cfr.  (AÌfy.  zvn  96)  tn  guardi  alla  toa  donna.  — 
IStrff.  IT  1  e  segg-  —  4.  ed  essi  ecc.  ed  essi  10.  B  la  dlsposlzlea  ecc.  E  quella  tUtpoti- 
oodii  da  ogni  parte  trovavano  ostacolo,  rioe-  x4ow  a  veder  che  ò  negli  occhi  percossi  pur 
verano  impedimento  dalla  noncuranza,  dod  ora  dai  rsggt  solari,  cioè  TimpossibUitàdi  ve- 
non  curavano  nulla,  tanto  li  traeva  a  sé  oon  dere  per  l'abbagliamento  prodotto  dalla  so- 
la forza  dell*antioo  amore  il  etaUo  riso  di  Bea-  verchia  luce,  mi  fece  rimanere  alquanto  tompo 
trìce,  la  aee(mda  béUtnxa  di  lei  {Pwy.  xxxi  senza  la  vista.  Danto  vuol  dire  che  rivolgendo 
1.38)  pur  ora  svelata.  Nota  il  Buti  che  «  quo-  gli  occhi  da  Doatrioe  alle  altre  cose  si  trovò 
sta  panU  era  la  coetanzia  dell'animo  ohe  lo  nolla  condizione  di  chi  rivolge  gli  occhi  dal 
fÌMsea  star  fermo  in  quello  a  che  s'era  dato,  sole  a  corpi  mono  luminosi  :  tanto  vivo  era 
ai  die  non  si  curava  de  le  cose  prospere  del  lo  splendore  della  sua  donna.  —  èe:  cfr.  Inf, 
mondo  significato  per  la  parto  destra,  né  deUe  xxiv  90.  —  13.  pel  che  al  poco  eoo.  poiché 
eoee  avverse  significato  per  la  parto  sinistra»:  la  mia  vista  si  Ai  abituata  alla  minore  luce 
di  non  eoier  usato  sostantivamento  per  non-  della  processione.  —  14.  dice  al  poco  ecc. 
mttamxa  ò  esempio  in  un  sonetto  di  Danto  dico  alla  poca  luce,  rispetto  a  quella  grandis- 
{Owm,  9lar,  delia  leti,  U,  U  342).  —  7.  quando  sima  del  volto  di  Beatrice,  dal  oontemplare 


632 


DIVINA  COMMEDIA 


15       sensibile,  onde  a  forza  mi  rimossi), 
vidi  in  sul  braccio  destro  esser  rivolto 
lo  glorioso  esercito,  e  tornarsi 
18        col  sole  e  con  le  sette  fiamme  al  volto. 
Come  sotto  gli  scudi  per  salvarsi 
volgesi  schiera,  e  sé  gira  col  segno 
21        prima  che  possa  tutta  in  sé  mutarsi; 
quella  milizia  del  celeste  regno, 
che  precedeva,  tutta  trapassonne 
24       pria  che  piegasse  il  carro  il  primo  legno. 
Indi  alle  rote  si  tornar  le  donne, 
e  il  grifon  mosse  il  benedetto  carco; 
27        si  che  però  nulla  penna  croUonne. 
La  bella  donna  che  mi  trasse  al  varco 
e  Stazio  ed  io  seguìtavam  la  rota, 
30       che  fé'  l'orbita  sua  con  minore  arco. 
Si  passeggiando  l'alta  selva,  vOta 
colpa  di  quella  ch'ai  serpente  creso, 
83       temprava  i  passi  un'angelica  nota. 
Forse  in  tre  voli  tanto  spazio  prese 


U  qtuJe  mi  rimossi  a  fona  (ofr.  r.  7).  — 16. 
ieulbilex  Bati  :  e  ■plendor»  che  per  gli  oo- 
chi  ò  atto  ad  essere  sentito  ».  — 16.  fidi  U 
■«1  braeele  eco.  vidi  il  glorioso  eeeicito, 
dod  la  procenione  già  descritta  (iVy.  xzix 
64-160X  Toltusi  a  mane  destza  e  xttrooedere 
camminando  Terso  oriente  con  i  sette  cande- 
labri in  testa.  La  processione  morendo  in- 
contro a  Dante  avera  camminato  yerso  ocd^ 
dente  :  ora  toma  indietro  eoi  toU  al  voUo  dod 
camminando  verso  orienti;  al  quale  proposito 
scrive  Ant.:  <  Se  pongasi  mente  ai  fatti  nar- 
rati in  questa  giornata,  dal  salire  della  scala 
dn  qni,  ne  indorremo  die  In  questo  punto 
dovevano  ivi  eesere  droa  le  ore  died  della 
mattina.  Nel  voltard  dunque  la  maestosa  pro- 
cessione in  sul  braodo  destro,  fìw)eva  un  se- 
miceichio  da  ponente  a  levante  per  tramon- 
tana, e  qnindi  i  personaggi  che  la  compone- 
vano erano  feriti  al  volto  dai  xaggt  solari, 
sebbone  un  poco  in  disparte  svila  sinistra 
quando  Q  cambiamento  di  direrione  tu.  com- 
piuto, e  ripresero  la  via  sulla  destra  dd  rio, 
a  ritroso  della  corrente  ».  —  19.  Ceae  eoe 
Come  una  schiera,  protetta  dagli  scadi  con- 
tro le  offese  del  nemid,  d  vdta  e  prima  d'aver 
cambiato  la  direzione  gira  sé  stessa  con  la 
bandiera  in  testa.  Venturi  854  :  «  Nella  simi- 
lìtadine  dantesca  l'imagine  di  schiera  mili- 
tare consuona  a  quella  che  il  poeta  chiama 
milixia  dsl  cdUsU  regno  \  ed  è  ginstissima  nd 
suoi  particoIarL  Una  schiera  lunga  deve  fue 
più  risvolte  innanri  ohe  tutta  sia  mutata  di 
direzione:  prima  infatti  d  muove  la  fronte 


od  Mj^tio,  la  bandiera;  poi  a  grado  a  grado 
il  corpo,  e  da  ultimo  la  retrognardia.  Ood 
qui,  prima  1  candelabri  che  precedono,  poi  la 
schiera  de'  santi,  •  ultimo  Q  carro  ».  —  22. 
qaella  mlllsla  eoo.  i  ventiquattro  seniori, 
che  andavano  tnnanil  al  oaao  (Avy.  -r^nx 
83),  passarono  dtre  prima  ohe  il  oazro  inoo- 
mfnHsBse  a  voltarsi,  piegando  a  destra  a  ti- 
mone. —  25.  alle  rete  eoo.  le  donne  si  riac- 
costarono alle  mote;  pdché  le  quattro  di  si- 
nistra avevano  lasdato  il  lor  luogo  per  guidare 
Dante  a  veder  gli  occhi  di  Beatrice  ( A»y. 
zzxi  109),  e  le  tre  di  destra  s'erano  fatte  un 
po'  avanti  dansando  per  pregarla  a  disvelard 
{Puirg,  xrn  180-188).  -  26.  11  grirdB  eoo. 
il  grifone  trasse  nella  nuova  direrione  il  carro, 
su  cni  stava  Beatrice,  senta  far  oadero  pur 
una  delle  proprie  penne  di  aquila  (c£r.  Pmg, 
zzxx  109  e  segg.).  —  28.  La  Isella  deaaa 
eoo.  Matdda,  che  aveva  f&tto  varcare  a  Dante 
il  finme  di  Lete,  Stario  e  Dante  seguitano  il 
carro,  tenendod  diotio  la  ruota  destra,  quella 
ohe  nd  volgerd  del  carro  a  destra  aveva  de- 
scritto un  arco  minore.  •  31.  vdta  colpa  ecc. 
U  quale  fa  deserta  di  abitatori,  per  colpa  di 
Eva  ohe  prestò  lìicile  asodto  alle  lusinghiere 
paiole  dd  serpente  tentatore  (ofr.  Pvarg.  ttit 
23  e  segg.).  —  82.  erese:  credette;  forma ar- 
cdca,  rimasta  viva  In  quddie  dialetto  (cfr. 
Nannuod,  FarN  544  e  Parodi,  Bictt.  m  132). 
—  83.  tenpraTa  eoo.  un  canto  angelioo  re- 
golava il  passo  di  coloro  che  formavano  la 
procesdone.  —  Bota:  canto,  parola  oaata- 
te:  ofr.  Inf.  zvi  127.   —  34.  Forse  te  tn 


PUEGATORIO  —  CANTO  XXXH 


533 


disfrenata  saetta,  quanto  eràmo 
86       rimossi  quando  Beatrice  scese. 

Io  sentii  mormorare  a  tutti  :  <  Adamo  >  ; 
poi  cerchiaro  una  pianta,  dispogliata 
89        di  fiorì  e  d'altra  fronda  in  ciascun  ramo: 
la  coma  sua,  che  tanto  si  dilata 
più  quanto  più  ò  su,  fora  dagrindi 
42       nei  boschi  lor  per  altezza  ammirata. 
€  Beato  sei|  grifon,  che  non  discindi 
col  bécco  d'esto  legno  dolce  al  gusto, 
45       poscia  ohe  mal  si  torce  il  ventre  quindi  >. 
Cosi  d'intorno  all'arbore  robusto 
gridaron  gli  altri;  e  l'animai  binato: 


eoo.  AverKino  i^penA  peroozso  tanto  spulo 
qaanto  una  Creooia  «ooocata  pud  peroonere 
in  tre  volte,  dod  eraramo  i^pena  a  tre  tizi 
d'arco  dal  ponto  di  partenza,  allorché  Bea- 
trice dieoeae  dal  oano  trionftJe.  —  87.  Io 
MBtfl  eoo.  Al  disoendere  di  Beatrice  dal  carro 
tutta  Ift  oomitiTa  mormora  il  nome  d' Adamo, 
lamentando  ooei  il  peccato  del  primo  nomo  e 
ÙK)endone  limproTero.  Bianchi:  <  È  qni  nn 
tacito  conlhmto  tra  il  peccato  d'Adamo,  che 
poeto  nel  Paradiso  terrestre  tocca  la  pianta 
dirietatada  Dio,  sommo  imperatore,  e  il  papa, 
die  posto  in  Boma  e  raccomandato  al  trono 
imperiale  si  sottrae  all' abbidienza  dell'impe- 
ratore, la  coi  autorità  rien  da  Dio,  e  mette 
mano  sa  la  secolaie  ginrisdizione  di  lui,  con- 
tro l'espresso  comando  di  Czisto  ».  —  88.  poi 
cereliUro  ecc.  La  pianta  senza  fiori  né  fo- 
glie, aooeroliiata  dalla  mistica  processione,  ò 
letteralmente  l'albero  della  sdenza  dd  bene 
e  del  male  che  Dio  oollood  nel  paradiso  ter- 
restre (ofr.  Puirg,  zznr  116).  Il  signifloato  sim- 
bolico di  questa  pianta  è  Tane,  secondo  1  dl- 
Terd  interpreti  :  mdti  per  altro  degli  antichi 
e  dei  moderni  s' accordano  nd  riconoscerri  il 
eimbolo  dell'obbedienza:  dal  Lomb.  in  poi 
prorale  invece  on'altm  interpretazione,  se- 
condo la  qnale  quest'dbero  sarebbe  l'ima- 
gine  dd  romano  impero  o  di  Boma  in  quanto 
4  sede  di  esso.  La  conTonienza  tra  la  forma 
dell'albero  e  il  simbolo  ò  cosi  didiiarata  dd 
Bati  :  «  Secondo  l'allegoria  dà  ad  intendere 
che  quell'arbore,  che  significava  l'obedienza 
de  la  quale  d  parti  l' omo,  lù  spogliata  prima 
dd  800  fratto,  ch'era  la  beatitodine,  e  de  le 
follie  proprie,  dod  dell'opere  virtoose  che  ve- 
gnono  dall' omilità  e  da  l'obedienzia  ; ...  im- 
però che  per  qodla  disobedlenda  l'omo  fa 
privato  de  la  grada  di  Dio,  d  che  non  po- 
tette md  Care  c^era  per  la  qode  d  rioond- 
liaase  con  Dio,  infine  che  non  venne  Cristo 
die  con  la  soa  d)edienzia  d  rioonoilid  oon 
Dio,  et  aUosm  d  zivestitte  la  pianta,  come 
apparxà  di  sotto  >  :  efr.  w.  68-60.  DeUe  qoe- 


stioni  relative  a  questo  dmbolo  ha  trattato 
oompiotamente  D.  Benzeni,  Pagim  «porss  di 
tL  doni.,  Monza,  1901,  pp.  78-100.  —  4a  la 
coma  eco.  il  giro  dd  soci  rami,  i  qoali  tanto 
più  d  allargano  qoanto  più  d  elevano,  era 
tanto  dto  che  sarebbe  parso  mirabile  per 
tozza  anche  nei  boschi  dell'India  ove  sono 
altissime  piante.  Boti  :  e  Per  qoesto  dà  ad 
intendere  ohe  la  sdenzia  è  infinita  ;  che  quanto 
l' omo  più  va  in  so  in  essa  tanto  più  d  stende, 
e  più  d  trova  ad  ampUard  e  dilatard  ne  la 
soa  amplitudine;  ma  ne  la  sua  lung^iezza  s'i- 
nalza infine  a  Etto  :  più  su  non  pud  montare, 
perch'olii  è  prindplo  e  fine,  ma  dilatare  d 
pud  in  infinito,  cercando  la  creatura  nd  suo 
essere,  che  è  come  uno  mare  ohe  non  à  fon- 
do »  ;  e  aggiunge,  riguardo  d  vdore  simbo- 
Uoo,  ohe  «l'obedienzia cresce  tanto  in  dto  che 
adiunge  infine  a  Dio,  e  dilatad  in  infinite  virtù 
quanto  più  va  in  su,  tanto  che  la  latitudine 
sua  non  d  comprende».  —  41.  daglMndi 
eoe.  :  Virgilio,  Ooorg,  n  122  :  «  gerit  India  lu- 
cos  Extremi  sinus  orbis,  ubi  aera  vincere 
summum  Arboris  haud  ullae  iactu  potuere  sa- 
gittae  »;  dir.  Mooro,  I  186.  ~  48.  Beato  sei 
ecc.  I  componenti  la  prooesslone,  come  ave- 
vano rimproverato  Adamo  che  gnstò  il  fratto 
dell' dbero,  cod  lodano  il  grifone  ossia  Gesù 
Cristo  che  col  bécco  non  distacca  il  frutto  di 
quest'dbero  proibito:  lodano  insomma  l' ob- 
bedienza costante  di  Gesù  (ofr.  Paolo,  Ep,  ai 
FUippen  u  8,  Ep.  ai  Romani  v  19,  Èp,  agli 
Ebrei  v  8),  in  antited  alla  disobbedienza  del 
primo  uomo.  —  45.  posda  ecc.  poiché  ohi 
ne  ha  gustato  d  dibatte  in  fieri  dolori,  torce 
il  ventre  contro  sua  voglia  da  questo  albero, 
per  questo  dbo.  Cod  intendono  rettamente  i 
commentatori  modemi  ;  gli  antichi  invece  spie- 
gano: chi  assapora  dd  fratto  di  qoest'dbero 
volge  l'appetito  soe  d  male.  -  46.  arWr e  roba- 
■te:  rimembranza  biblioa,  die  Daniele,  iv  17, 
chiama  cod  l'albero  vedato  in  sogno  da  Na- 
bucoodonosor.  —  47.  l'aaimal  binate  i  il  gri- 
fone, animale  di  duplice  natura  (cfr.  iWy. 


534 


DIVINA  COMMEDIA 


48 


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63 


<  Si  8Ì  conserra  il  seme  d*ogiii  giusto  >. 

E  vòlto  al  temo  ch'egli  avea  tirato, 
trasselo  al  pie  della  vedova  frasca 
e  quel  di  lei  a  lei  lasciò  legato. 

Come  le  nostre  piante,  quando  casca 
giù  la  gran  luce  mischiata  con  quella 
che  raggia  retro  alla  celeste  lasca, 

turgide  fansi,  e  poi  si  rinnovella 
di  suo  color  ciascuna,  pria  che  il  sole 
giunga  li  suoi  corsier  sott' altra  stella; 

men  che  di  rose  e  più  che  di  viole 
colore  aprendo,  s'innovò  la  pianta, 
che  prima  avea  le  ràmora  si  sole. 

Io  non  lo  intesi,  e  qui  non  si  canta 
l'inno  ohe  quella  gente  ali  or  cantaro, 
né  la  nota  soffersi  tutta  quanta. 


XXXI  81).  L' Ott,  segofto  d*  pareoehi  mo- 
derni, intende  binato  per  nato  dm  votU,  doè 
e  una  ante  toècula,  l'altn  ^nando  prese  cerne 
umana  di  Nostra  Donna  >.  —  48.  8<  si  eea- 
•erra  eco.  Cosi,  cioè  seitando  l'obbedienza 
dorata  a  IMo,  si  mantiene  il  principio  d'ogni 
Tirtà.  Bnti:  e  Come  la  snporbia  è  madre  e 
radice  di  tutti  U  Tizi  e  peccati;  cosi  l'umi- 
lità  è  radice  e  seme  d'ogni  atto  virtnoso,  e 
r  nmilitìi  non  si  pad  consenrare  se  non  con 
l'obedienza  ».  —  49.  B  Tòlte  eoe  H  grifone 
trae  e  lega  fl  timone  del  carro  alla  pianta, 
la  qoale  sabitamente  rifiorisce.  »  60.  tras- 
selo ecc.  trasselo  ai  piedi  dell'  albero  tatto 
spogliato  di  fiori  e  di  fronde  (r.  88).  Bati: 
«  Come  lo  dimenio  separò  l'omo  da  l'obedien- 
na  di  Dio,  finendoli  mangiare  del  pomo  di 
quella  pianta  vietatoli;  cosi  Cristo  tirò  l'omo 
a  l'obedieniia  di  Dio,  ponendo  l' umanità  sua 
a  morire  per  la  verità  ».  —  61.  e  «sei  di  lei 
ecc.  Letteralmente  si  danno  tre  spiegazioni 
di  questo  Terso  ;  una  di  Benv.,  il  quale  in- 
tende: il  grifone  legò  a  M,  alla  pianta  il  ti* 
mone,  di  M,  con  un  ramo  della  pianta  stessa 
(«  cum  ramo  arboris  alligaTit  oorrum  arbori  >); 
un'altra  del  Buti,  ohe  spiega:  il  grifone  legò 
alla  pianta  il  timone  di  lei  doè  fittto  con  le- 
gno della  pianta  stessa,  con  che  sarebbe  ac- 
cennata l'origine  leggendaria  del  legno  della 
croce,  fatta  appunto  con  legno  dell'albero 
della  sdenza  (cfr.  A.  Mussafia,  SuOa  leggenda 
del  legno  delia  oroee^  atudio^  T^enna,  1870);  e 
finalmente  una  terza,  dd  commentatori  mo- 
derni, Lomb.,  Biag.,  Costa,  Blandii,  Frat 
ecc.,  secondo  1  quali  s*  ha  da  spiegare  :  il 
grifone  legò  alla  pianta  il  timone,  ohe  era  di 
leiy  era  cosa  appartenente  alla  piaAta  stessa. 
La  prima  interpretadone  è  la  piti  semplice, 
e  bene  s'accorda  col  senso  allegorico,  por  cui 


Dante  volle  dire  ohe  OesA  Cristo  legò  la  CbicBa 
all'obbedienza  con  l'obbedienza  stessa,  doè 
con  l'esempio  d'obbedienza  dato  da  bÓL  — 
laielè  legato  :  il  grifone,  legato  il  «ano  al- 
l'alboro,  sali  al  delo,  seguito  dall' sasroau  irto- 
riooo  (cfr.  V.  89).  —  62.  Cene  le  aMtreeoo. 
Come  le  pLsate  deDa  terra  ndla  prtmvnoL, 
allorché  il  ade  è  ndla  coeteUadoae  ddl'Aiiete 
ohe  tien  dietro  a  quella  dd  Pesci,  d  rigon- 
fiano per  gli  umori  assorbiti  e  poi  oiaacona 
d  riveste  dd  propri  colori,  verdeggia  •  fio- 
risce, prima  che  £1  sole  inoomind  il  suo  viag- 
gio diurno  sotto  la  ooeteDadone  del  Toro 
che  tien  dietro  a  qudla  ddl' Alieta  «oo.  — 
64.  celeste  laseas  costdladone  dd  Fani; 
cfr.  Pmg.  IX  6,  ove  è  detta  flreddo  tmiemah. 

—  66.  targide  flaad:  cfir.  Virgilio,  Bue.  vn 
48:  «lam  laetotuigent  in  palmite  gemma»  >, 
e  Oeorg,  i  816  :  e  Frumenta  in  viridi  stipula 
lactentia  turgent  >.  —  67.  glvaffa  eoe.  con- 
giunga,  attacchi  i  cavalli  che  traggono  il  ano 
carro  ecc.:  anche  qui  o'è  una  rimembcanza 
virgiliana,  JH^i668:  cNectamaversns  equoa 
Tyìda  sol  iungit  ab  urbe  ».  ~  68.  stti  cii« 
di  rese  eco.  la  pianta,  die  dapprima  eca  ooaf 
dispogliata  di  fiori  e  di  toglie,  d  zinnovelld 
mettendo  Aiori  dd  fiori  di  un  odora  tra  il 
roseo  e  fi  videtto;  ilori,  dunque,  d' un  colore 
misto,  come  il  fiore  virgiliano  delle  €hory, 
IV  274  :  e  Àureus  ipso,  sed  in  follia,  qoae  plu- 
rima droum  Funduntur,  violae  sublooet  pur^ 
pura  nigrae».  n  colore  dd  fiori  mead  dalla 
pianta  è,  secondo  il  Buti  seguito  dalla  mag^ 
gior  parte  degli  interpreti,  quello  del  sangue 
sparso  da  Qesd  per  rioonolliare  l' uomo  a  Dio, 

—  60.  ramerà:  rami;  fonaa  di  neolzo  plu- 
rale, frequente  negli  aatidii  (efr.  Namraod, 
Nomi  868-862).  ->  (1.  la  mas  la  lateal  eoe 
Al  rifiorire  della  i^anta  tutta  la  gente  della 


PURGATORIO  -  CANTO  XXXTL 


635 


S'io  potessi  ritrar  come  assoxmaro 
gli  oochi  spietati  adendo  di  Siringa, 
66       gli  occhi  a  coi  più  yegghiar  costò  si  caro; 
come  pittor  che  con  esemplo  pinga, 
disegnaci  com*io  m'addormentai: 
69       ma  qnal  vuol  sia  che  l'assonnar  ben  finga. 
Però  trascorro  a  quando  mi  svegliai, 
e  dico  ch'nn  splendor  mi  squarciò  il  yelo 
72       del  sonno,  ed  xm  chiamar:  <  Snrgi,  che  fai?  » 
Quale  a  veder  dei  fioretti  del  melo, 
che  del  suo  pomo  gli  angeli  &  ghiotti 
75       e  perpetue  nozze  fa  nel  cielo, 

Pietro  e  Giovanni  e  Iacopo  condotti, 
e  vinti  ritornare  alla  parola, 
78       dalla  qual  furon  maggior  sonni  rotti, 
e  videro  scemata  loro  scuola, 
cosi  di  Moisé  come  d'Elia, 
81       ed  al  maestro  suo  cangiata  stola; 
tal  toma' io,  e  vidi  quella  pia 


processione  intooa  un  inno,  ohe  Dante  non 
intende  perché  non  ò  ano  éì  quelli  ohe  il 
cantano  tza  noi  :  •  prima  anooza  ohe  il  canto 
dell*  inno  da  compiato  eg^  il  addormenta.  ~ 
64.  8*  la  peteial  eoo.  Se  lo  potessi  ritrarre 
come  al  canto  di  Meroorio,  die  racoontarale 
arfentore  di  Siringa,  si  chioserò  al  sonno 
gii  occhi  di  Argo,  il  fiero  costode  di  Io  (cfr. 
Ihtiy,  znx  95),  Iktto  aoddere  da  Giove  per- 
ché la  rigorosa  vigilanza  di  lai  impediva  al 
re  degli  dèi  di  avvicinarsi  all'amata  Io  ecc.: 
efr.  Ovidio,  3iàL  i  668-747.  —  66.  Siringa: 
ninlk  amata  da  Pane,  della  qoale  Mercario 
eantd  le  avventore  per  ingannare  Argo  (cfr. 
Or.  Mét.  X  689  e  segg.).  —  67.  come  eoo.  come 
fa  il  pittore,  cioè  con  la  stossa  fift^ilità  del 
pittore  ohe  dipinga  copiando  o  tenendo  in- 
nanzi on  modello.  Oosl  Giacomo  da  Lentini 
(VaL  I  257):  e  Gom'omo  che  pon  mente  In 
altee  esemplo  e  pinge  »  eoo.  ^  69.  ma  qaal 
eco.  ma  altri  ritragga  fedelmente  l'atto  del- 
l'addormentarsi, òhe  io  non  saprei  farlo.  — 
70.  Però  traseorro  eco.  Essendo  di£Qcile  il 
descrivere  come  io  m'addormentai,  passo  ol- 
tre sino  al  momento  in  coi  mi  svegliaL  —  71. 
e  dlee  eoo.  Dante  è  svegliato  da  on  vivo 
splendore,  qoello  della  lominosa  processione 
che  sale  verso  il  cielo,  e  dal  chiamare  di  Ifa- 
telda,  la  qoale  g^  grida  di  levarsi  in  piedi 
per  vedere  il  noovo  spettacolo.  —  73.  Qaale 
a  veder  ecc.  Ventori  546  :  e  La  slmilitodine 
è  tolta  dal  Catto  dei  tre  Apostoli  ohe  forono 
presenti  alla  trasfigorarione  di  Cristo.  Co- 
m'esd  caddero  a  terra,  e  poi  riavotisi  alla 
parola  di  Geed  non  videro  pid  né  Mosè  né 
Ella,  cosi  Dante  riscosso  non  trovò  Beatrice. 


Longa  oltre  H  solito  e  delle  meno  limpide  è 
questa  similitadine,  della  qoale  belli  sono  i 
concetti  ma  velati  da  troppi  modi  allegorici  ». 
—  floreld  del  melo  :  sono  i  saggi  della  bea- 
titodine  che  gli  apostoli  provarono  alla  vista 
del  corpo  glorioso  di  Gesù  nella  soa  trasfigo- 
rarione. —  74.  che  del  tao  poso  eco.  ohe 
della  soa  beatitodine  fa  desiderosi  gli  angeli 
e  festa  perenne  nel  dolo.  — 76.  Pietro  ecc. 
Matteo  xvn  1-8  racconta  :  e  Gesd  prese  seoo 
Pietro,  e  Giacomo,  e  Giovanni,  soo  fratello  ; 
e  li  oondosse  sopra  on  alto  monte,  in  disparte  ; 
e  fa  trasfigorato  in  lor  preeensa;  e  la  soa 
faccia  risplendé  oome  il  sole,  e  1  soci  vesti- 
menti divenner  candidi  oome  la  loco.  Ed  ecco, 
apparver  loro  Mese  ed  Elia,  ohe  ragionavano 
con  lai...  Mentre  egli  parlava  ancora,  ecco, 
ona  nuvola  looida  gli  adombrò  ;  ed  ecco  ona 
vooe  venne  dalla  novola,  dicendo;  *  Qoesto 
è  il  mio  diletto  Figlinolo,  in  coi  ho  preso  il 
mio  compiacimento;  ascoltatelo'.  E  i  disce- 
poli, adito  dò,  caddero  sopra  le  lor  facce,  e 
temettero  grandemente.  Ma  Gesd,  accostatosi, 
li  toooò,  e  disse  :  *  Levatevi,  e  non  temiate  '• 
Ed  essi,  alzati  gli  occhi,  non  videro  alcono, 
se  non  Gesd  solo  ».  —  77.  vinti  eoo.  già  tra- 
mortiti per  la  loco  e  per  l' ignota  vooe,  ri* 
tornarono  in  sé  allo  parole  di  Gesù.  ^  78. 
dalla  qial  eoo.  dalla  qoale  parola  di  Cristo 
forono  rotti  sonni  maggiori,  doò  il  sonno 
della  morte  dal  qoale  Cristo  risvegliò  Lazzaro 
(ofr.  Giovanni  xi  43,  Loca  vn  11).  —  79. 
seaola:  compagnia:  cfr.  Inf»  iv  94.  ~  81.  ed 
al  maestro  eoo.  perché  Gesù  aveva  ripreso 
le  abitoali  sembianze.  »  82.  tal  eoo.  cosi  io 
mi  svegliai  olle  parole  di  Matelda  e  vidi  che 


536 


DIVINA  COMMEDIA 


Bopra  me  starai,  ohe  conducitrice 
84       fa  de*  miei  passi  lungo  il  fiame  pria. 

E  tutto  in  dubbio  dissi  :  <  Ov*  è  Beatrice  ?  > 
ond'  ella  :  <  Vedi  lei  sotto  la  fronda 
87       nuoya  sedersi  in  su  la  sua  radice. 
Vedi  la  compagnia  ohe  la  circonda; 
gli  altri  dopo  il  grifon  sen  yanno  suso, 
90       con  più  dolce  canzone  e  più  profonda  >. 
E  se  più  fu  lo  suo  parlar  diffuso 
non  so,  però  che  già  negli  occhi  m'era 
93       quella  eh*  ad  altro  intender  m'avea  chiuso. 
Sola  sedeasi  in  su  la  terra  vera, 
come  guardia  lasciata  li  del  plaustro, 
96       che  legar  vidi  alla  biforme  fiera. 
In  cerchio  le  facevan  di  sé  claustre 
le  sette  ninfe,  con  quei  lumi  in  mano 


elU  era  sopra  di  me,  cioè  levata  in  piedi  ao- 
oanto  a  me.  —  83.  «oadacltrlee  eoe:  si  ri- 
cordi che  Dante,  prima  di  passare  il  flome 
di  Leto,  era  andato  camminando  lungo  una 
delle  sponde  aooompa^andod  a  Hatelda  che 
avanzava  Inngo  l'altra  :  cfr.  iVfy.  xsx  7  e 
segg.  —  86.  S  tatto  ecc.  Dante,  temendo 
che  Beatrice  lo  abbia  novamente  abbandonato, 
chiedo  subito  di  lei  a  Matelda,  la  quale  lo 
rassicura  indicandogli  ove  sia  la  sua  donna. 
86.  Tc41  lei  eco.  Beatrice,  al  zisvogliarsi  di 
Dante,  gli  appare  seduta  sotto  le  fronde  del- 
l'albero recentemente  spuntate  e  sulla  radice 
di  esso,  n  valore  simbolico  di  questo  stato  di 
Beatrice  non  è  ben  chiarito  dai  commenta- 
tori: forse  Dante  volle  significare  che  la 
scienza  delle  cose  divine  ha  il  suo  fonda- 
mento e  insieme  U  suo  compimento  nell'u- 
miltà (radioé)^  e  nell'  obbedienza  (pianta)  e 
nelle  opere  virtuoso  (fronda)  che  ne  derivano. 

—  88.  Tedi  la  eompagnfa  ecc.  Beatrice  era 
rimasta  con  la  compagnia  delle  sette  donne, 
le  quattro  virtù  cardinali  e  le  tre  teologali, 
le  quali  tenevano  in  mano  ciascuna  uno  dei 
sette  candelabri  :  w.  97-99.  —  89.  §11  altri 
ecc.  tutti  gli  altri  componenti  la  processione, 
cioò  i  ventiquattro  seniori  ohe  precedevano 
il  carro  e  i  sette  che  lo  seguivano,  se  ne  an- 
davano su  dietro  al  grifone,  cantando  una 
canzone  più  dolce  o  pid  profonda  di  quella 
intonata  al  rinverdire  della  pianta  (v.  61-63). 
Buti  :  e  Per  questo  dà  ad  intendere  l'autore 
corno  elli  considerò  e  rividde  noi  suo  studio 
la  resurrezione  di  Cristo  e  Tascensione  e  li- 
berazione dei  santi  Padri  e  dei  salvati  per  la 
passione  di  Cristo  ».  —  90.  pld  dolce  ecc.  di 
musica  pi&  soave  e  di  concetti  pid  profondi. 

—  91.  E  se  pld  fa  ecc.  Dante  fu  cosi  attratto 
noUa  coutomplazione  di  Beatrice  che  non  badò 


se  Matelda  pronunciasse  altre  paiole  ;  poiché 
anche  questa  volta  guardando  la  sua  danna 
non  potè  attendere  ad  altro  :  cfr.  i  w.  1-6. 
—  94.  SoU  stdeasl  eco.  Beatzioe  stava  se- 
duta sulla  terra  twm,  doò  alle  radici  dell'al- 
bore e  sotto  le  2h>nde,  oome  se  fosse  stata 
posta  in  quel  luogo  a  guardia  del  carro  che 
il  grifone  aveva  legato  alla  pianta.  —  terra 
vera  :  grande  divergenza  d'opinioni  ò  nrà  com- 
mentatori riguardo  a  queste  parole  ;  nxK  oei^ 
tamente  Dante  ha  voluto  designare  in  tal 
modo  il  suolo  del  paradiso  terrestre,  onde  sorge 
la  pianta  dell'ubbidienza;  poro  la  miglior 
chiosa  d  quella  dell'  Ott.:  e  si  vedea  in  su  la 
terra  vera,  cioò  verace  e  ubbidiente  al  suo 
Fattore  ».  Allegoricamente,  non  fa  altro  che 
ripetere  dò  che  ha  detto  neiw.  86  e  segg. 
cioò  che  l' umiltà  e  l'obbedienza  sono  il  fon- 
damento sul  quale  posa  la  scienza  delle  cose 
divine.  —  95.  pian  atro:  il  carro  trìoniSale. 
lat.  plaustrum,  —  96.  biforme  Aera  :  è  il 
grifone,  animai  binato  (v.  47),  che  aveva  le 
due  forme  dell'aquila  e  del  leone.  —  97.  Im 
cerehie  ecc.  Disposte  In  cerchio  la  chiude- 
vano intomo  le  sette  donne  rappresentanti 
le  virtd  cardinali  e  teologali,  ciascuna  delle 
quali  teneva  in  mano  uno  dei  sette  candela- 
bri, simbolo  dei  doni  dello  Spirito  Santo.  — 
98.  ninfe  :  cfìr.  I\trg,  zz:zz  106.  —  eoa  f  ««i 
lami  ecc.  Buti  :  «  iuttixia  tiene  lo  lune  del 
timore  e  scaccia  con  quello  la  superbia;  pm- 
denxia  tiene  lo  lume  della  pi''tà  e  scaoda  oon 
quello  la  invidia;  fortexxa  tiene  lo  lume  deUa 
fortezza,  e  scaccia  con  quello  l' ira  ;  fciiys- 
ranxia  tiene  lo  lume  del  consUio,  e  acaoda 
con  quello  l'avarizia:  fkU  tiene  lo  lame  de 
la  scienza,  e  scaccia  con  quello  1*  accidia; 
speranxa  tiene  lo  lume  della  scienza  e  scac 
eia  con  quello  la  gola;  carità  tiene  lo  Inme 


PURGATORIO  -  CANTO  XXXn 


537 


99        ohe  80n  sicuri  d'Aquilone  e  d'Austro. 
<  Qui  sarai  tu  poco  tempo  silyano, 
e  sarai  meco,  senza  fine,  cive 
102       di  quella  Boma,  onde  Oisto  ò  romano. 
Però,  in  prò  del  mondo  ohe  mal  vive, 
al  carro  tieni  or  gli  occhi,  e  quel  ohe  vedi, 
105       ritornato  di  là,  fa  che  tu  scrive  ». 
Cosi  Beatrice;  ed  io,  ohe  tutto  ai  piedi 
de'  suoi  comandamenti  era  devoto, 
108       la  mente  e  gli  occhi,  ov'  ella  volle,  diedi 
Non  scese  mai  con  si  veloce  moto 
foco  di  spessa  nube,  quando  piove 
111       da  quel  confine  ohe  più  va  remoto, 
com'io  vidi  calar  l'uccel  di  Giove 


dallo  Intelletto,  •  tMOolA  oo&  quello  U  loe- 
Boria  >.  Qneeta  conispondeiiza  Imagiiuita  dal 
Boti  ti*  le  Tirt6  e  i  doni  dello  Spirito  Santo 
è  troppo  sottile,  •  fono  Dante  ti  limitò  al 
ooDoetto  della  ootritpondenia  numerica,  lenza 
oeroare  più  profondi  xapportL  —  99.  elie  ioa 
eoa  che  non  il  ettingaono  mal,  n6  poie  al 
soffio  dei  Tenti  pi6  gagliardi  (otr.  IWy.  xzx 
2).  "  100.  (^  sarai  eoo.  Ta  sarai  per  bieye 
tempo  tikano  in  questo  luogo,  oiod  ayrai  breve 
dimora  in  questa  setra  del  paradiso  terrestre, 
ta  die  ssl  quasi  straniero  a  lei,  e  in  mia  oom- 
pagnia  sarai  eternamente  cittadino  del  para- 
diso celeste,  di  quella  dttà  della  quale  anche 
Cristo  è  cittadino.  Beatrice  vuol  dire,  panni, 
che  la  presente  condizione  di  Dante  ò  tran- 
aitoria,  d  oome  il  passaggio  dalla  terra  per  il 
paradiso  terrestre  al  cielo,  dorè  egli  dovrà 
un  giorno  entrare  per  sempre:  le  altre  inter- 
pretazioni, si  della  lettera  e  si  dell'  allegoria, 
sono  tutte  incompiute;  e  Teramente  il  luogo 
non  è  senza  gravi  difficoltà,  non  essendo  ben 
chiaro  il  valore  deU'sgg.  nlvatio,  ed  essendo, 
per  alcuni,  incerto  se  qui  voglia  dire  in  que- 
sto paradiso  terrestre  o  in  questo  mondo  de- 
gli uomini.  — 102.  di  quella  Berna  eco.  della 
città  di  Dio,  della  quale  egli  stesso  è  citta- 
dino. —  108.  Per6  ecc.  Per  questo,  *  van- 
taggio dell*  umanità  che  d  oppressa  dal  pec- 
cato (cfir.  Purg,  vm  131,  xvi  82),  guarda  al 
carro,  considera  le  vicende  della  Chiesa;  e  ciò 
che  vedrai  scrivilo  a  comune  utilità,  quando 
tu  sarai  ritornato  nel  mondo.  —  Id.  e  quei 
che  fedi  eco.  L'ammonimento  di  Boatrice  ò 
conforme  a  quello  ripetuto  più  volte  nel- 
VApoeaL  i  li:  e  Ciò  che  tu  vedi. scrivilo  in 
un  libro  >  ;  1 19  :  e  Scrivi  adunque  le  cose  che 
tu  hai  vedute,  e  quelle  che  sono,  e  quelle  che 
saranno  da  ora  innanzi»  ;  zxi  6  :  <  Sorivi  per- 
do che  queste  parole  son  verad  e  fedeli  ».  — 
108.  élM  tatto  eoo.  ohe  eia  interamente  di- 
sposto ad  eseguire  ogni  suo  comandamento. 


^  106.  la  mente  eoo.  toU  il  pensiero  e  lo 
sguardo  a  dò  eh'  dia  aveva  detto.  —  109. 
V%m  teete  eoo.  Fobnine  non  discese  mai  tanto 
velocraiente  sprigionandod  dalle  nuvole  con- 
densate, quando  piove  dalle  più  lemote  re- 
gioni ddl'  «tmosflBra.  È  conforme  alla  dottrina 
di  Aristotele,  iùter.  n  9  (cfr.  Moore,  1180). 
Ant:  «La  vdodtà  dd  volo  dell'aquila  era 
più  d'un  Ailmine,  quando  cade  la  pioggia  da 
qudl'  estremo  confine  superiore,  nd  quale  può 
questa  formarsL..  La  ragione  pd  che  questa 
droostanza  nell'intendimento  dd  poeta  par 
debba  accrescere  la  vdodtà  dd  fdmine,  pò- 
trebb' essere  questa  ohe  quando  piove  dalle 
più  remote  regioni  pluviali,  e  però  Tengono 
ivi  a  formard  nuvole,  queste  d  trovano  nd 
massimo  avvicinamento  alla  supposta  sfora 
dd  ftiooo,  la  quale  oredevad  potesse  influire 
su  quelle,  nel  £sr  loro  oonoeplre  e  concentrare 
maggior  copia  di  calore  ;  il  perch6  il  divam- 
pare di  questo  in  luce  e  fuoco,  e  quindi  il 
precipitare  dd  filmine  fosse  in  tal  caso  e  più 
fragoroso  e  più  violento,  in  ragione  appunto 
di  qud  più  grande  conoentramento  per  cui 
doveva  produrd  quella  che  oggi  diremmo 
straordinaria  tendone  »  :  cfir.  anche  Par.  xxm 
40-42.  —  112.  eem*ie  vidi  ecc.  Un'aquila, 
discendendo  dd  ddo  con  straordinaria  vdo- 
dtà giù  per  l'dbero,  ne  rompe  la  scorza,  i 
fiori  0  le  foglie  recenti,  e  dando  di  b^ooo  vio- 
lentemente nd  carro  lo  fa  piegare  sovra  i  suoi 
fianchi,  come  nave  sbattuta  dalla  tempesta. 
Nella  figura  e  negli  atti  di  quest'aquila,  di 
cui  Dante  tolse  l' idea  da  Esoohide,  xvu,  8: 
«  Una  grande  aquila,  con  grandi  ali,  e  lunghe 
penne,  piena  di  piuma  variata,  venne  d  Li- 
bano, e  ne  prese  la  vetta  di  un  cedro  »,  sono 
simboleggiate  secondo  tutti  gl'interpreti  le 
died  persecuzioni  della  Qiiesa  cristiana  per 
opera  degli  imperatori  romani,  da  Nerone  a 
Diodeziano  (64-811  d.  C).  Si  veda  in  san- 
f  Agostino,  ^o»v.  d«i  xvin  62  l'enumorazione 


538 


DIVINA  COMMEDIA 


per  l'arbor  giù,  rompendo  della  scorza, 
114       non  che  dei  fiori  e  delle  foglie  nuove; 
e  feri  il  carro  di  tutta  sua  forza, 
ond*  ei  piegò  come  nave  in  fortuna, 
117       vinta  dall'onde,  or  da  poggia  or  da  orza. 
Poscia  vidi  avventarsi  nella  cuna 
del  trion&l  veiculo  una  volpe, 
120       che  d*ogni  pasto  buon  parea  digiuna. 
Ma,  riprendendo  lei  di  laide  colpe, 
la  donna  mia  la  volse  in  tanta  futa, 
123       quanto  sofferson  l'ossa  senza  polpe. 
Poscia,  per  indi  ond'era  pria  venuta, 
l'aquila  vidi  scender  giù  nell'arca 
126       del  carro,  e  lasciar  lei  di  sé  pennuta. 
£  qual  esce  di  cor  che  si  rammarca, 
tal  voce  usci  del  cielo,  e  cotal  disse: 
129        <  0  navicella  mia,  com'mal  sei  earoa!  > 
Poi  parve  a  me  che  la  terra  s'aprisse 


^  ooteito  p«iieoaxionÌ.  —  VmnMà  41  Oi^Tes 
l'wiaila,  detto  dft  ViigiHo  lovié  «Im  {Xn.  x 
884)  e  dA  Duite  l^wseel  di  Dio  (Ar.  ti  4). 
—  118.  déOft  Mom  eoo.  Secondo  il  Bati  U 
foorxa  tignifloa  I»  oostanu  •  fortomt  dei 
nati,  e  i  /lorileloroorMloaieleAyltfiNioM 
i  loto  atti  virtuosi.  —  116.  eose  mmf  eoo. 
come  un»  nare  peroo«»  daUa  tempoeta  piega 
ora  da  una  parte,  oradaU*altnu  Ventori  806  : 
«  Similitadine  eletta,  axiohe  perché  al  ìmìso 
proprio  s'aggiunge  11  metaforico  dalla  nayi^ 
cella  di  Pietro  simboleggiante  la  chiesa  :  con- 
cetto rioemto  dall'arte  cristiana,  ohe  navi 
chiamò  le  parti  longitadinali  delle  basiliche  >. 
117.  er  da  poggia  eoe:  chiamasi  poggia  la 
corda  ohe  tiene  legala  l'antenna  dalla  destra 
della  nare,  onta  quella  che  la  tiene  dalla  si- 
nistra ;  qui  dunque  significa  :  ora  sur  un  fianco, 
ora  sull'altro.  —  UB.  Peseta  Tlfil  eoe  Al- 
l'aquila tien  dietro  una  volpe,  che  s'arranta 
contro  il  fondo  del  carro  ed  è  messa  in  ftaga 
daUe  parole  di  Beatrice.  La  volpe  simboleg- 
gia, come  già  nella  Bibbia  {Salmi  una  U, 
LammtOKioni  v  18,  Exechiele  zm  4),  l'eresia 
che  venne  a  perturbare  la  Chiesa  dopo  le  per- 
secuzioni imperiali  e  Al  sradicata  dalla  parola 
dei  dottori.  —  emmm  i  la  ouUa  o  il  fondo  del 
carro,  ove  crebbe  la  religione.  —  120.  èhe 
d'egnl  ecc.  perohé  le  eresie  si  fondano  sopra 
dottrine  vane,  e  gli  eretici  sono  privi  del  cibo 
si^ritnale.  —  121.  Ma,  riprendendo  eoo.  Ha 
Beatrice,  rimproverando  alla  Yot^  le  sue  ab- 
bominevoli  odpe,  la  volse  in  ftaga,  quanto 
alla  volpe  oonsenti  la  deboloBa  delle  scarne 
membra,  fi  la  fede  ohe  mostrando  gli  errori 
delle  fttlse  dottrine  e  confatandoli  ottiene  il 
trionfo  del  dogma  e  distraggo  le  eresie.  — 


122.  fteta:  ftiga;  voce  popolare,  della  quale 
non  sono  rari  gli  esempi  negli  antichi  (cfr. 
Firodi,  BulL  ini62).  — 128.4BaKtoseff^r- 
Bon  ecc.;  non  è  ben  chiaro  se  Dante  abbia 
voluto  dire  die  la  volpe  fuggiva  rapidamente 
o  lentamente  ;  ma  poiché  la  delKten,  die 
viene  dall'eccessiva  magrsiza,  non  consente 
un  lapido  cammino,  e  l'eresia  fti  sempre  scac- 
ciata lentamente,  perché  non  pud  estinguersi 
a  un  tratto,  è  da  intendere  còl  Lomb.  :  e  la 
fece  tanto  ftiggiro,  quanta  essa  per  l'estrsma 
sua  magrezza  potè  »,  cioè  con  una  veloeità 
piccola. — 124.  Peseta,  per  indi  eco.  L'aquila 
scende  di  nuovo  lungo  il  tronco  dell'albero 
nell'arca  del  carro,  lasciandola  poi  sparsa 
delle  proprie  ponne.  Cosi  è  significata  la  do- 
nazione di  Ocetantino  imperatore  al  pontefice 
Silvestro  I  (cfr.  B%f.  tst  116),  ohe  ta  come 
una  spoglissione  dell'  bnpero  a  vanteggio  deUa 
Chiesa,  disapprovata  da  Dante  perohé  e  cen- 
tra oiBdum  deputatum  imperatori  est  sotndere 
imperium  >  (D$  mon,  m  10).  —  per  tnfil  eoe. 
cfr.  i.  118.  —  127.  B  qual  eco.  Dal  dolo  ecce 
una  voce  di  dolore,  come  di  persona  ohe  si 
lamenti,  a  deplorare  ohe  la  Chiesa  accettando 
la  donazione  costantiniana  si  sia  addossata  un 
carico  non  conveniente  al  suo  oflìdo  tutto 
spirituale.  Dante  si  valse  opportunamente,  zi- 
mutandolo  a  suo  modo,  di  un  elemento  txadl- 
rionale  contenuto  nella  leggenda  di  Ooetan- 
tino  ;  nella  quale  è  detto  che,  dopo  la  dona- 
zione, fu  udita  nel  cielo  una  voce  gridare  : 
«  Hodie  difTusum  est  venenum  in  iCtv^fÉgfa 
Del  »  :  a  questo  particolare  leggendario  ao- 
cennano  Lana,  Pietro  di  Dante,  Benv.,  An. 
fior,  e  altri  vecchi  commentatori.  —  180.  T%1 
parve  ecc.  Tra  le  due  ruote  del  carro  apreei 


PUBOATORIO  —  CANTO  XXXH 


539 


tr'ombo  le  rote,  e  vidi  uscirne  un  drago, 
182       ohe  per  lo  carro  sa  la  coda  fisse: 
e,  come  vespa  che  ritraggo  l'ago, 
a  sé  traendo  la  coda  maligna 
135       trasse  del  fondo  e  gissen  vago  vago. 
Quel  ohe  rimase,  come  di  gramigna 
vivace  terra,  della  piuma,  offerta 
138       forse  con  intenzion  sana  e  benigna, 
si  ricoperse;  e  funne  ricoperta 
e  l*una  e  l'altra  rota  e  il  temo,  in  tanto 
141        che  più  tiene  un  sospir  la  bocca  aperta. 
Trasformato  cosi  il  difido  santo 
mise  fiior  teste  per  le  parti  sue, 
144       tre  sopra  il  temo,  ed  una  in  ciascun  canto. 


la  tana  •  n*e0ce  an  dngo,  il  quale  oonflggo 
la  coda  Bai  carro  a  saoo  ne  trae  nna  parte 
del  fondo.  L'idea  di  qaeito  drago,  animale, 
ftiirtaattoo  di  aona  a  ipaTantosa  Agora,  è  tolta 
ùàìVJpoeaL  zn  8:  c£d  aooo  un  gnn  drar 
goae  HMM,  ohe  avaa  aetta  teste,  e  died  coma  ; 
•  in  aa  le  soateiieT'eran  sette  diademi»: 
Il  quale  per  gì'  interpreti  moderni  della  Bibbia 
xafflgnia  T  Impero  romano  peneontore  della 
C^saa  oziatiana,  ma  secondo  gl'interpreti 
BMdioerali  sarebbe  simbolo  dell' Anticristo  o 
di  Satana.  Quanto  al  drago  della  visione  dan- 
tesca tre  principali  interpretazioni  tengono  il 
campo  :  quella  dal  Lana,  accettata  da  Benv., 
Bati,  Land,  a  da  molti  moderni,  Ti  ravrisa 
simboleggiato  Maometto  {Bif,  xxvu  81),  come 
fondatore  della  religione  ohe  tanti  popoli  sot- 
trasse alla  fede  cristiana;  qoella  di  Pietro  di 
Danto,  accolta  da  molti  moderni,  che  t1  rar- 
Tisa  l'Anticristo  oppnre  la  ci^idigia  dei  beni 
taaiporali,  primo  fomite  alla  rovina  della 
Chiesa  ;  e  quella  formnlata  dal  Lomb.  e  difesa 
dallo  Scart.,  per  i  quali  il  drago  non  ò  altro 
che  Satana,  che  con  le  sne  lusinghe  produce 
tanto  male  alla  religione.  —  132.  per  lo  carro 
eco.  conflcoò  la  sua  coda  su  per  il  carro.  ~ 
138.  eaaie  faspa  ecc.  come  una  vespa  che 
ritragga  il  ano  pungiglione,  cod  il  drago  trasse 
indietro  la  coda  traadnando  seco  una  parte 
del  fondo  del  carro.  —  185.  a  gissen  ?ago 
vaga  !  se  ne  andò  vagando  da  una  ialsa  dot- 
trina a  un'altra  (cosi  Land.,  YelL,  Dan.),  o 
moetrandoel  Usto  e  baldo  per  l'ottenuto  trionfo 
(coal  Lemb.,  Biag.,  Costa,  Tomm.,  Bianchi),  o 
pare  non  ancora  sodisfatto  del  danno  recato 
alla  Chiesa  e  avido  di  farle  più  gran  male 
(cod  Scart).  »  186.  ({ael  elM  ecc.  La  parto 
del  ftMidt»,  ohe  era  rimasta,  si  copri  dello 
peone  lasciatevi  con  buona  intenzione  dal- 
l'aquila,  come  la  terra  fèrtile  si  ricopre  di 
gramigna:  e  r^idamente  si  ricoprirono  di  co- 
»  anche  le  due  ruote  del  carro. 


Comincia  cosi  la  trasformazione  del  carro, 
che  via  via  si  cambierà  in  un  orribile  mo- 
stro :  a  in  questo  primo  momento  della  me- 
tamorftei  è  simboleggiato,  coma  ben  vide  il 
Lana,  che  1  cristiani,  rimasti  fedeli  pur  nelle 
persecuzioni  e  nelle  eresie,  incominciarono  ad 
amare  i  beni  temporali,  e  che  la  donazione 
di  Costantino,  se  anche  tu  fktta  con  intendi- 
mento di  aiutare  e  beneficare  la  Chiesa,  pro- 
dusse la  sua  rovina  (cf^.  Jnf.  mx  115).  ~  di 
gramigna  eoe  :  opportuno  termine  di  para- 
gone a  tal  intendere  come  nelle  accresciute 
ricchezze  la  Chiesa  intristissa  e  cadesse  nella 
rovina.  ^  140.  U  tanto  eoe  in  tempo  cosi 
breve,  che  più  lunga  è  la  durata  di  un  so- 
spiro. —  142.  Trasformala  ecc.  Continua  la 
trasformarione  del  carro  alno  a  prendere  la 
figura  del  mostro  descritto  da  Qiovanni  nel- 
VApoùoL  xvn  1  e  segg.  (riferito  in  Inf,  xix 
106)  :  spuntano  le  sette  teste  del  mostro,  tre 
daUa  parte  anteriore  del  timone  e  quattro 
dagli  angoli  del  carro;  e  queste  teste  s' inco- 
ronano di  coma,  le  tre  prime  con  due  coma 
e  le  altre  quattro  con  uno  solo,  si  che  in  tutto 
si  vedono  spuntare  died  coma.  Oli  antichi 
commentatori  Lana,  Ott,  Benv.  apiegarone 
cotale  tramutazione  dicendo  che  le  teste  sono 
i  sette  peccati  capitali  (superiùa,  ira  e  invì- 
dia hanno  due  coma  perché  offèndono  Dio  e 
il  prossimo  ;  gli  altri  quattro,  un  ade  corno, 
porche  sono  rivolti  solamente  contro  il  pros- 
simo); Pietro  di  Dante  invece  intende  per  le 
sette  teste  le  sette  virtù  o  1  sette  doni  dello 
Spirito  Santo  e  por  le  died  coma  i  died  co- 
mandamenti; e  il  Buti  e  il  Land.,  modifioano 
questa  interpretazione  sostituendo  per  le  sette 
teste  i  sette  sacramenti  (battesimo,  cresima, 
penitenza  sul  timone;  gli  altri  quattro  sul 
carro).  La  prima  interpretazione  ò  la  minoro. 
»  diflela  sante  :  il  carro  trionfale  (ofir.  Inf. 
XXXIV  7).  —  144.  ad  «na  ecc.  e  una  testa 
sopra  citueun  canto,  sopra  ognuno  dei  quat- 


B40 


DIVIKA  COMMEDIA 


Le  prime  eran  cornute  come  bue; 
ma  le  quattro  un  sol  corno  avean  per  fronte: 
147       simile  mostro  visto  ancor  non  fae. 
Sicura,  quasi  ròcca  in  alto  monte, 
seder  sopr'esso  una  puttana  sciolta 
150       m'apparre  con  le  ciglia  intomo  pronte: 
e,  come  perdio  non  gli  fòsse  tolta, 
yidi  di  costa  a  lei  dritto  un  gigante, 
153       e  badayansi  insieme  alcuna  yolta. 
Ma,  perché  l'occhio  cupido  e  vagante 
a  me  rivolse,  quel  feroce  drudo 
156       la  flagellò  dal  capo  infin  le  piante. 
Poi,  di  sospetto  pieno  e  d'ira  crudo, 
disciolse  il  mostro,  e  traessi  per  la  selva 
tanto  che  sol  di  lei  mi  fece  scudo 
160    alla  puttana  ed  alla  nuova  belva. 


tro  angoli  del  oano.  —  146.  «•nmte  «•■!• 

bie  :  bioornnte.  —  148.  Sleir*  eoo.  Sopra 
il  mostro  Dante  redo  sedata  una  meretrioe 
e  an  gigante,  che  si  baciano;  e  con  questa 
fantasia  egli  Tool  rappresentare,  dopo  le  vi- 
oende  della  Chiesa  primitiYa,  lo  stato  della 
Chiesa  nei  suoi  tempi.  Tutti  1  oommeotatori 
sono  oonoordi  nel  riconoscere  in  questa  donna 
licenziosa,  della  quale  l'idea  d  tolta  dal  oit. 
luogo  dell'^jxwa^  xm  1  e  segg.  e  anche  dalla 
tradizione  medioevale  (ofr.  U.  Cosmo,  Qiùm. 
da9U,f  Vm  103  e  segg.),  la  Chiesa  romana 
degenerata  e  corrotta  durante  i  pontificati 
di  BenÌ£uio  Vm  e  di  demente  V.  —  «masi 
ròeea  eoo.:  similitudine  ohe  aooenna  come 
la  Chiesa,  per  quanto  corrotta,  riposasse  so- 
pra salde  basi  e  oome  la  sua  degenerazione 
fosse  manifesta  a  tutti  ;  cfir.  Uatteo  ▼  14  : 
<  La  dttà  posta  sopra  un  monte  non  pud  es- 
ser nascosta  ».  —  149.  selelta  !  dissoluta,  li- 
cenziosa. —  160.  eem  le  elgUa:  eoo.  mo- 
vendo lasolTsmente  gli  occhi  in  qua  e  in  là; 
ofr.  EoelM.  xzYi  12  :  e  Fomiottio  mulleris  in 
extoDentia  ooulorum,  et  in  palpebris  Olius 
agnosoetur».  —  161.  e,  eeme  ecc.  e  oome 
per  vignarla  affinché  nessuno  la  rapisse,  stava 
in  piedi  accanto  alla  meretrioe  un  gigante. 
In  questo  è  raffigurato,  secondo  una  parte 
degli  interpreti,  il  re  di  Francia  Filippo  il 
bello  (ofr.  IStrg.  zz  86),  seoondo  altri  invece 
i  re  di  Frauda  in  genere.  —  168.  e  baela- 
vaasl  eoo.  e  alcuna  volta  dimostravano  di 
essere  animati  dallo  stesso  sentimento;  oome 
veramente  fu  qualche  volta  nelle  relazioni 
tra  il  papa  e  il  re  di  Francia.  ~  164.  Ma, 
pereh<  eco.  La  meretrioe  rivolge  V  occhio  de- 
sideroso e  mobile  a  Dante,  quasi  per  espri- 


mere la  vdontà  di  Uberaal  dal  gigante;  ma 
questi  la  flagella  tutta  quanta,  poi  sciogliendo 
il  mostro  dall'albero  la  trascina  kmtano  per 
la  selva  sino  al  punto  ohe  disjpaie  daDa  vista 
di  Dante.  In  questi  assono  adombrati iton- 
tatìvi  di  Bonifazio  Vm  di  souotoire  la  pre- 
ponderanza della  casa  di  Franala,  le  violenae 
ch'egli  ebbe  a  suUre  per  opera  di  Fililo  0 
beUo,  e  finalmente  la  traslazione  dèDa  sede 
pontificia  da  Boma  ad  Avignone  nella  ele- 
zione di  Oemente  V  (ofr.  Inf,  ziz  88,  85, 
Purg,  XX  87).  »  156.  a  me:  me^  di  tutti, 
il  Lana  considera  Dante  in  questo  momento 
oome  rapproeentante  dèi  popolo  cristiano,  cui 
la  Oiiesa  si  volge  per  aiuto  :  «  Ogni  fiata, 
egli  scrive,  ohe  li  papi  hanno  guardato  vene 
lo  popob  cristiano,  oioò  hanno  vohito  rimuo- 
versi e  asteneni  da  tale  adulterio,  li  detti  gi- 
ganti, doè  quelli  della  casa  di  Francia  hanno 
flagellatoli  e  infine  mortoli  •  ridotteli  a  suo 
volere>.  ^  168.  dlsdelit  eoo.  HgzifboA  aveva 
legato  all'albero  il  carro  (v.  61);  poi  questo, 
trasformatosi  in  mostro  (t.  186  e  segg.),  eia 
rimasto  attaccato  alla  pianta;  doè  la  Cblesa 
romana  sebbene  degenerata  non  s'era  ancora 
distolta  dall' obbedienza  a  Dio.  H  gigante  ora 
sdoc^  il  mostro  e  lo  trasdna  per  la  selva,  na- 
scondendoto  agli  oochi  della  cristianità,  doò 
distoglie  la  Chiesa  dalla  sua  sede  di  Roma, 
assegnatale  per  divino  volere  (ofr.  Bif.  n  e 
segg.),  trasportandola  in  Avignone,  ftioii  del 
luogo  ove  per  ubbidienza  a  Db  avrebbe  do- 
vuto restare.  —  160.  tanto  «he  eoo.  tanto 
lontano  che  nella  selva  rimasero  oeenhate 
la  meretrice  e  la  miooa  Mio,  il  mostro.  — 
scade:  in  quanto  è  mezzo  d'impedire  la 
vista. 


PURGATORIO  -  CANTO  XXXIH  541 


CANTO  XXXIII 

Mentre  Dante,  In  eompagnia  di  Beatrice,  di  Matelda  e  di  Stazio,  si  al- 
lontana dall*  albero,  Beatrice  gli  annunzia  la  prossima  vennta  di  nn  messo 
dÌTÌD0  che  ucciderà  la  meretrice  e  11  gigante,  lo  esorta  a  raccontare  ciò 
ehe  ha  yednto  e  gli  parla  della  mistica  pianta  :  cosi  la  comitiva  perriene  al 
fiome  Bnnoè,  nel  quale  Dante  è  Immerso  da  Matelda,  uscendone  puro  e  di- 
aposto  a  salire  al  paradiso  [18  aprile,  dalle  undici  antimer.  circa  sino  oltre 
il  mezzogiorno].    ' 

<  Deus,  venerunt  gentes  >  alternando, 
or  tre  or  quattro,  dolce  salmodia 
3       le  donne  incominciaro,  e  lagrimando; 
e  Beatrioe  sospirosa  e  pia 
quelle  ascoltava,  si  fatta  che  poco 
6       più  alla  croce  si  cambiò  Maria. 
Ma  poi  ohe  l'altre  vergini  dier  loco 
a  lei  di  dir,  levata  dritta  in  pie, 
9        rispose,  colorata  come  foco: 
€  Modicum,  et  non  videbitis  me, 
et  iterunif  sorelle  mie  dilette, 
12       modicum,  et  vos  videbitis  me  >. 
Poi  le  si  mise  innanzi  tutte  e  sette, 
e  dopo  sé,  solo  accennando,  mosse 
15       me  e  la  donna  e  il  savio  che  ristette. 
Ck>sl  Ben  giva,  e  non  credo  che  fosse 
lo  decimo  suo  passo  in  terra  posto, 

^x  XIII  1.  Dna,  vmtrurU  eoo.  Le  sette  di  naoro,  fra  poco  voi  mi  redrete».  Oosf 

donne,  che  raffignnno  le  Tlrt6  teologali  e  car-  Beatrioe  viene  a  dire  :  Io  mi  allontano  da  voi 

dinali,  inoominciano  una  doloe  salmodia  alter»  per  pooo  tempo,  non  disanimatevi  vedendo  i 

nando  ì  Tenetti  del  Salmo  t.tttt  (<  0  Dio,  mali  ohe  affliggono  la  Chiesa,  poiché  sarà 

le  nazioni  sono  entrate  nella  toa  eredità,  fatta  giustizia  e  presto  la  Chiesa  sarà  rifor- 

hanno  contaminato  il  tempio  della  toa  Santi-  mata  e  corrotta.  Lana  :  «  Con  queste  parole 

tà  >  eoo.)  e  piangendo  di  dolore,  peroh6  ve-  intende  l'autore  che  awegna  che  la  Chiesa 

dono  la  Chiesa  dipartini  dall'obbedienza,  —  sia  in  privazione  d'obbedienzia  al  tempo  pre- 

2.  «r  trt  eoo.  Ott  :  e  dioeano  a  verso  a  verso,  sente,  el  verrà  tompo  che  essa  sarà  In  abito 

però  che  le  tre  dioeano  l'uno  verso,  e  le  quat-  di  obbedienzia,   e  cosi  si  mostrerà  a  tutti  >. 

tro  dioeano  l'altro  verso  con  pianto  e  canto»  :  È  dunque  significata  in  questi  versi  l'idea  di 

ofr.  /V)0r.  V  24.  ~  4.  e  Beatriee  eoo.  e  la  una  riforma  morale  della  Chiesa*,  e  accanto 

mia  donna,  sospirando  e  dolendosi  del  mali  a  questo  concetto  principale,  potè  bene  il 

della  Chiesa,  le  ascoltava  con  atteggiamento  poeta  nascondere  anche  quello  della  restitu- 

doloroeo,  quasi  come  Ai  quel  di  Maria  Ver-  dono  della  Chiesa  da  Avignone  a  Roma,  da 

gine  quando  vide  in  crooe  U  divino  figliuolo,  lui  sperata  prossima,  come  intendono  Veli., 

—  7.  Ma  poi  eoo.  Quando  le  sette  donne  eb-  Dan.,  Vent,  Biag.,  Costa,  Tomm.,  Bianchi, 

bero  commuto  11  canto  del  Salmo,  lasciando  Frat  eco.  —  18.  Po!  le  si  mise  ecc.  La  co- 

coef  a  Beatrioe  agio  di  parlare,  ella  levan-  mitiva  si  mette  in  cammino  allontanandosi 

desi  dritta  in  piedi  e  ardendo  di  santo  zelo,  dall'  albero  :   innanzi  vanno  le  sette  donne, 

rispose  eoo.  •—  10.  Modlcmm  eoo.  Sono  le  pa-  poi  seguita  Beatrice  sola,  e  dietro  a  lei  Dante, 

iole,  ooo  le  quali  Cristo  annunziò  ai  suoi  di-  Katelda,  Stazio.  —  16.  il  savio  eoo.  Stazio, 

scepoli  la  sua  morte  e  risurrezione  (Giovanni  il  poeta  che  non  si  era  allontanato  con  Vir- 

XVI  16)  :   «  Fra  pooo  voi  non  mi  vedrete,  e  gilio  (ofr.  Purg,  zzx  49).  —  17.  le  deeine 


542 


DIVINA  COMHEDU 


18  '     quando  con  gli  ocohi  gli  occhi  mi  percosso; 
e  con  tranquillo  aspetto  :  <  Yien  più  tosto, 
mi  disse,  tanto  che,  s'io  parlo  teco, 
21        ad  ascoltarmi  tu  sie  ben  disposto  ». 
Si  com'io  fui,  com'io  doveva,  seco, 
dissemi:  «Frate,  perohó  non  ti  attenti 
24       a  domandarmi  omai  venendo  meco  ?  > 
Come  a  color,  che  troppo  reverenti 
dinanzi  a' suoi  maggior  parlando  sono, 
27       che  non  traggon  la  voce  viva  ai  denti, 
avvenne  a  me,  che  senssa  intero  suono 
incominciai  ;  <  Madonna,  mia  bisogna 
80       voi  conoscete,  e  ciò  eh'  ad  essa  è  buono  ». 
Ed  ella  a  me:  <  Da  t^ma  e  da  vergogna 
voglio  che  tu  omai  ti  disviluppe, 
83       si  che  non  parli  più.  com'  uom  ohe  sogna. 
Sappi  che  il  vaso,  che  il  serpente  ruppe, 


-1 


ecc.  :  sebbene  sia  forse  àk  ammettere  un  Benso 
allegorico  anche  in  qiiasti  dieci  passi  che  Bea- 
trice fa  prima  di  rhràgere  a  Dante  lo  sgoardo 
e  la  parola,  non  è  ben  chiaro  qoale  possa  es- 
sere ;  forse,  Io  stesso  dei  died  passi  del  I\bv- 
TOT  80.  —  19.  tran«alllo  aspetto  s  perohó 
Beatrice  non  sospirara  nò  piangeva  pi6  per  i 
mali  della  Ohiesa  nella  certezsa  del  Tidno 
rinnoTamento.  —  Tlen  eoo.  Affretta  il  passo  e 
Tienimi  a  paro,  si  che  parlando  io  possa  es- 
sere intesa  da  te.  —  22. 8f  eemUo  eco.  Appena 
Dante,  come  doveva  fare  per  obbedienza,  si 
Al  messo  di  fianco  a  Beatrice,  la  sua  donna 
gli  chiese  come  mai  non  avesse  animo  a  in- 
tsrrogazla,  ora  che  avanzava  in  sna  compa- 
gnia. —  26.  Come  a  aolor  eco.  A  Dante,  in- 
vitato da  Beatrice  a  padare,  arvenne  come 
a  quelli  che  si  trovano  a  parlare  con  persona 
di  grande  autorità,  i  qnali  per  la  molta  rive- 
renza non  riescono  a  pronunziare  distinta- 
mente le  psiole.  Ventali  262  osserva  che  e  da 
un  atto  oomnnissimo  trae  la  similitudine 
schiettezza  di  forme  e  venustà  di  odore  >,  e 
ne  illustra  i  particolari  con  due  riscontri,  uno 
d'Omero,  Od,  m,  ove  Télemaoo  dice  a  Men^ 
toro  :  «  Esperto  Non  sono  ancor  del  livellar 
de'  saggi,  Né  consente  pudor  che  a  far  parole 
Cominci  col  pid  vecchio  il  men  d'etado  »,  e 
uno  deli' Ariosto,  Or{.ZLn96:  cSpessolavoce 
dal  desio  cacciata  Viene  a  Rinaldo  fin  presso 
alla  bocca  Per  domandarlo,  e  quivi  raffre- 
nata Da  cortese  modestia  fbor  non  scocca». 
Nella  similitudine  dantesca  la  situazione  dub- 
biosa e  riverente  di  chi  parla  innanzi  a  per- 
sona di  maggior  grado  d  resa  stupendamente 
nel  suo  effetto  finale,  nella  parola  die  non  per- 
viene viva  sino  alla  bocca,  ma  si  spegne  per 
via.  ~  28.  senza  Intere  suones  senza  pro- 


nunziare compiutamente  le  parole.  —  29.  Ma- 
4oBMa  eoe.  Voi  oonosoete  ogni  mia  neoessità, 
voi  conoscete  tutto  dò  che  pud  essermi  utile 
di  sapere,  senza  bisogno  ohe  io  vi  domandi 
nulla.  ^  81.  Ba  téma  eco.  Voglio  che  tn  or- 
mai ti  liberi  da  ogni  timore  e  vergogna.  S 
ricordi  che  Dante,  poco  tempo  innanzi,  quan- 
do Beatrioe  lo  rimproverava  dei  suoi  fallì  ^ 
era  stato  cdto  da  e  confluione  e  paura  insieme 
miste  »,  si  che  aveva  oarlato  in  modo  non  in- 
telliglbUe  (efr.  i\ir7.  mi  18-16). — 88.  sf  Ae 
ecc.  si  die  tu  non  parli  pid  con  parole  tron- 
che e  confuse,  come  &  chi  paria  dormendo. 
Ddl' espressione  dantesca  d  ricordarono  il 
Fetrsrca,  son.  xux  7:  «se  parole  Cd,  Son  im- 
perfètte e  quad  d'uom  che  sogna  »,  e  il  Tasso, 
Oer,  tib.  zm  80  :  «  ^  ragiona  in  guisa  d*uom 
ohe  sogna  ».  —  84.  Sappi  ehe  U  vas*  eoo. 
Sappi  che  il  carro  che  Ai  rotto  dal  drago 
iPÌìrg,  zzxn  180-136)  fu  9  non  k  Al  carro, 
che  simboleggia  la  Chiesa,  Dante  i^lica  le 
parole  di  Oiovanni  nell' JjwocU.  xvn  8  :  «  La 
bestia  che  tu  hd  veduta  era  a  non  è  pii  »,  per 
significare  ohe  la  Chiesa  era  degenerata  ddla 
primitiva  purezza  •  però  non  esisteva  più  per 
sé  stessa,  ma  sdamante  contaminata  dai  tìzL 
Lana  :  «La  Chiesa  fi»  già,  doè  f^  in  suo  ar- 
bitrio, ma  ora  non  i,  doè  ohe  è  saddita  e 
serva  di  quelli  della  casa  di  Franda,  s£  che 
d  può  dire:  la  Chiesa  non  ò,  e  quelli  della 
casa  di  Franda  sono»;  Ott  :  «  Dice  che  1  car- 
ro, Il  qude  il  serpente  passò  con  la  ooda,  fu 
già,  ma  non  è  ora,  però  che  ò  trasmutato  >  ; 
Buti  :  «  Allegoricamente  intende  ohe  la  Chiesa 
di  Roma  non  sia  pid  intera  e  però  non  è  vaso, 
che  '1  vaso  de'  essere  intero  dtramenta  non 
è  vaso  ;  perché  non  ò  unita  insieme,  ma  di- 
visa, et  è  fatta  per  la  maggior  parte  di  spi- 


PURGATORIO  -  CANTO  XXXIH 


613 


fa  e  non  ò,  ma  chi  n'ha  colpa  creda 
86       che  vendetta  di  Dio  non  teme  suppe. 
Non  sarà  tutto  tempo  senza  reda 
l'aquila  che  lasciò  le  penne  al  carro, 
89       per  che  divenne  mostro  e  poscia  preda; 
eh'  io  veggio  certamente,  e  però  il  narro, 
a  dame  tempo  già  stelle  propinque, 
42       sicure  d' ogni  intoppo  e  d' ogni  sbarro, 
nel  quale  un  cinquecento  diece  e  cinque, 
messo  da  Dio,  anciderà  la  foia 
45       con  quel  gigante  che  con  lei  delinque. 
E  forse  che  la  mia  narrasion,  buia 


zitaale  oaniala,  e  di  vlrtaosa  yiziosa  ».  —  86. 
mm  eU  eoo.  ma  òhi  ò  oolperole  dal  travia- 
BAnto  déUa  Ghien  M^pU  ohe  presto  o  tardi 
la  Tiad^la  di  Dio  lo  oolpirà,  pndié  il  rigore 
deOa  dlTina  giustizia  non  Tien  meno  per  nes- 
sona  maniera.  —  86.  TSiietia  41  IMo  eoe.  È 
VA  Tecso  di  signiflcato  ohiacissimo,  ma  ohe 
por  die  molto  da  fue  agli  interpreti.  Oli  an- 
timi sebbene  non  tatti  oon  la  stessa  chia- 
rezza, attestino  ohe  in  Firenze  era  naanza 
che,  se  nn  omicida  riosolTa  a  mangiare  ona 
znppa  sul  ootpo  o  snlla  tomba  dell*ncoiso  nel 
primi  nove  giorni  dal  misfatto,  nessono  dei  pa- 
renti potesse  Dune  Tendetta:  cosi  ohe  il  man- 
giar la  zoppa  sarebbe  stato  un  modo  d'espia- 
skme  della  colpa  ciommessi  e  insieme  un 
m«sBo  per  disumare  1  patenti  dell'aooieo 
pronti  a  fame  vendetta;  e  neUa  frase  dantesca 
mtfp$  Terrebbe  a  signifioare  i  modi  coi  qnali 
1  eotptffod  cercano  di  plaoare  la  giostizla  di- 
Tlma.  Ooe(  anohe  intesero  i  migliori  interpreti 
moderni (efr.  Del  Lungo,  DmUé,  n  121-126): 
InTeoe  il  Dan.  yoUe  Tedere  in  quelle  parole 
un*  aUuirioBe  al  saoriilsio  deUa  messa  :  e  non 
tmm  tuippé  {ùOfd  egli  spiega)  doè  ohe  i  sacri- 
fici che  si  fumo  oon  l'hostia  e  od  Tino,  non 
sono  bastanti  a  fwe  ohe  la  maestà  di  Dio 
s'astenga  per  essi  dalla  Tondetta  ohe  ha  desti- 
nato far  centra  quelli  ohe  cosi  male  hanno 
trattato  la  sua  Ohieea  »  ;  e  altri  moderni 
imaginarono  altre  e  pi6  strane  spiegazioni. 

—  87.  Hea  sarà  eoe  Non  sarà  sempre  senza 
ecedo  l'aquila  ohe  lasciò  nel  carro  le  penne, 
per  le  quali  esso  fti  trasformato  in  un  mostro 
e  direnne  preda  del  gigante;  cioè  T impero 
non  sarà  sempre  Tacente.  SI  ricordi  che  Danto 
considerò  come  Tacente  l'impero  dalla  morto 
di  Federigo  n  all'  elezione  di  Arrigo  VII, 
non  già  perché  In  quel  periodo  di  tempo  man- 
cassero gl'imperatori,  ma  perché  nessuno  di 
essi  si  occupò  ddl'  Italia  (cfr.  Oom,  it  8). 

—  88.  lesela  ecc.  efr.  PÙirg.  zxzn  126.  — 
89.  llTeane  ecc.  cfr.  Pwg,  zxzn  186  e  segg. 

—  40.  lo  TSggle  eoo.  te  Ttdo  la  Dio  con 


certezza,  e  per  questo  lo  manifesto,  aTTid- 
narri  già  stelle  libere  da  ogni  impedimento 
e  da  ogni  oetaoolo,  le  quali  d  porteranno  un 
tempo  in  cui  un  messo  del  Signore  uoddeià 
la  meretrioe  e  il  gigante.  —  4L  ttolle  eoe 
una  costoUaslone,  la  quale  opererà,  eserdtoià 
la  sua  Influensa  Ubersmente,  esima  trenre  ne> 
gli  nomini  alcun  impedimento  alla  sua  azione. 
—  48.  dnqeeeeBte  dleee  e  etafues  oca  que- 
ste cifre,  al  modo  stseso  ohe  neU'^fMeal.  zni  18 
ò  designato  od  numero  sdoentoeessantasd  11 
nome  di  Nerone  Imperatore,  eredono  tutti  f^ 
antichi  Interpreti  e  motti  modeni  che  Dante 
abbia  Tolnto  esprimere  l'idea  deUa  perda  stx 
considerato  nd  Talcre  numeiloo  ddle  lettere 
end'  è  formate;  cosi  adunque  è  indicato  un 
due»,  ohe  doTrà  Tonlre  sulla  terra  mandato 
da  Dio  a  punire  la  Corto  pontiflda  e  la  Osea 
di  Francia.  Litomo  alla  persona  di  questo 
duoe  liberatore  si  sono  ripetute  tutte  le  opi- 
nioni già  eepresse  a  propcelte  dd  véUm  (Inf.  i 
lOlX  ool  qudelo  identifloano  la  maggior  paóto 
dd  oommentetoci;  e  Teramente  pare  oheDante 
anohe  qui  non  abbia  fatto  dtro  ohe  ripetere 
sotto  dtra  forsia  dò  che  di  queetopersonaggio 
augurato  egli  aTora  detto  nell'  introduzione 
d  suo  poema.  Per  dtre  spiegazioni  cfr.  E. 
Moore,  The  DXV  frophMy^  Oxford,  1801  e 
B.  DaTidsohn,  Bvtf.  IX  129  e  eegg.,  209. 
->  44.  la  faiat  ola  m^rékiM  (/Vy.  xzzn 
148),  che  già  sederà  sul  mostro,  doè  la  Ohie- 
ea degenerata,  la  qude  aTora  ceciato  il 
luogo  della  pura  e  Tirtnoea  Chiesa  dd  tempi 
prìmitìTi,  e  perdo,  con  parola  popolare  (ofr. 
Parodi,  BM,  HI  162),  è  chiamate  fuia  doò 
ìadra  (ofr.  Inf,  xn  90)  In  quanto  aTora  usur- 
pato un  luogo  non  suo.  »  46.  quel  gigan- 
te eoo.  Il  giganto  ohe  pecca  insieme  con  la 
meretrioe,  doè  il  re  di  Frsnda,  che  abusa 
della  sua  preponderanza  sopra  la  Chiesa.  -^ 
46.  B  fórse  eoo.  B  forse  il  mio  Tatldnlo, 
oecuro  come  gtt  oraooU  di  Temi  e  gli  enigmi 
ddla  Sfinge,  non  è  inteso  da  to,  perché  entra 
nella  tua  Intdllgensa,  solo  d  modo  dì  qudli 


544 


DIVINA  COMMEDU 


48 


61 


61 


67 


60 


qual  Temi  e  Sfinge,  men  ti  persuade^ 
perch'a  lor  modo  lo  intelletto  attuia; 

ma  tosto  fien  li  fatti  le  Naiàde, 
che  solveranno  questo  enigma  forte, 
senza  danno  di  pecore  o  di  biade. 

Tu  nota;  e,  si  come  da  me  son  porte, 
cosi  queste  parole  segna  ai  vivi 
del  viver  eh*  ò  un  correre  alla  morte  ; 

ed  abbi  a  mente,  quando  tu  le  scrivi, 
di  non  celar  qual  hai  vista  la  pianta, 
ch*ò  or  due  volte  dirubata  quivi 

Qualunque  ruba  quella  o  quella  schianta, 
con  bestemmia  di  fatto  offende  a  Dio, 
che  solo  all'uso  suo  la  creò  santa. 


oracoli  od  enigmi,  cioò  incomprensibilmente. 
—  47.  Temi  :  la  figlia  di  Urano  e  della  Terra, 
considerata  dagli  antichi  come  personiflcadone 
della  giasti2ia  •  lìrelatrioe  dèi  futuro  :  Dante 
accenna  apeoialmente  alla  lifposta,  oh'  élla 
détte  a  Denoalione  •  a  Pizia  dopo  11  diluTlo 
e  ohe  fa  interpretata  da  Prometeo  (ofir.  Ovidio, 
Ma,  1 847-416). — Sflage  t  eeaere  moitraoio  di 
feroce  natura  e  di  faccia  femminina,  ohe  abi- 
tando preaao  Tebe  proponera  al  Tiandanti  vn 
diffloilo  enigma,  edolto  poi  da  Edipo  che  oo- 
Btrinse  ooel  la  Sfinge  a  noddersi  (ofr.  Stazio, 
m^.  X  60).  —  48.  attala!  U  Tb.  oMcters  è 
■piegato  da  Beny.  per  obturare^  e  ta  aempre 
inteao  nel  aenao  di  annebbiare,  oscurare  ;  ma 
il  Parodi,  BuU,  m,  137  ha  dimostrato  come 
esso  derivi  dal  pron.  tu  (formazione  analoga 
a  qaella  del  vb.  kiiuarai  del  Fair,  ix  81),  col 
senso  di  entrare,  penetrare,  adattani  a  te  o 
al  tao  intelletto.  —  49.  ma  toste  ecc.  ma  pre- 
sto i  fatti  verranno  a  spiegare  le  diflScoltà 
delle  mie  parole.  Dante  aveva  letto  in  Ovidio, 
Md.  vn  769  e  segg.  :  «  Carmina  Naiadst  non 
intelleota  priorom  SohmU  ingenils,  et  prae- 
oipitata  iaoebat  Inmemor  ambagnm  vates  ob- 
scnra  soarom ...  Protinns  Aoniis  inmittitar  al- 
tera Thebis  Pestis,  et  ezitio  molti  pecoram- 
qne  snoqne  Barigenae  pavere feram  >  ecc.;  e 
avea  inteso  che  le  Naiadi,  ninfe  delle  fonti, 
sapessero  spiegare  gli  enigmi,  e  ohe  questa 
spiogarione  fosse  stata  cagione  di  mortalità  al 
bestiame  e  di  danno  alle  mèssi.  Se  non  che  il 
testo  d' Ovidio  ora  corrotto,  dovendosi  leg- 
gere: «Carmina  Laiadó»  non  intellecta  prio- 
mm  Solverai  ingeniis»  eoo.,  perché  in  qnesto 
passo  si  parla  invece  di  Edipo,  figlio  di  Laio, 
esplicatore  dell'enigma  proposto  dalla  Sfinge. 
Si  cfr.  V.  Monti,  Saggio  d&i  motti  •  gravi  «r- 
roritravwrsiinhUUletdi»,  del  Oonv,  di  Dani«t 
Milano,  1823,  pp.  96-96,  e  il  Moore,  I  216.  — 
60.  questo  enigma  forte  ;  il  difficile  enigma 
contenuto  nell'accenno  al  cinquecento  iiece  e 


eìngue  ossia  al  meuo  da  Dio  per  pulire  la 
/Ma  e  il  gigante.  —  62.  Tu  nota  eoe  Tu  non 
dimentioMe  dò  oh'io  ti  ho  detto  ;  e  oosf  oome 
lo  te  r  ho  dette  ripeti  queste  parole  a^^  «o- 
mini  della  terra.  —  68.  al  tItI  del  viver  eoo. 
agli  uomini  ohe  vivono  la  prima  vita,  quella 
vita  brevissima  ohe  è  un  passaggio  aUa  morte 
(ofr.  Purg,  zx  89).  Lo  stesso  oonoetto,  sebbene 
pifi  rozzamente  espresso,  s'incontra  in  Q  oli- 
tone d'Arezzo  (Bim,  Firenze,  IS^d,  I  44): 
«  Legno  quasi  digiunto  È  nostro  core,  in  mar 
d'ogni  tempesta,  Ov*  uomo  frigge  porto  e  in- 
contra scoglia,  £  di  correr  v6r  morte  ora  non 
resta  ».  — 66.  ed  abU  eoo.  e  ricordati,  quando 
tu  ripeterai  le  mie  parole,  di  dsiotiveve  tutto 
ciò  ohe  hai  visto  della  mistioa  pianta.  —  66. 
qual  hai  eco.  Lomb.  :  <  la  di  lei  altesza,  il 
modo  di  QMUidere  i  rami  e  fl  dispogliamento 
in  cai  si  trovava  di  fiori  e  di  ihmdi  prima  ohe 
ad  essa  fosse  legato  U  trlonftde  carro  ».  ^ 
67.  eh'è  or  eoo.  La  pianta  fi  privata  delle 
sue  foglie  due  volte.  Tona  da  Adamo,  quando 
assaporò  il  frutto  pìroibito,  l'altra  dal  gigants 
quando  trasclnd  via  la  meretrice  :  cosi  Inteee 
il  Lana,  seguito  da  altri  ;  oontraria  opinione 
tennero  Ben.  e  il  Buti,  pur  essi  seguiti  da  an- 
tichi e  moderni  interpreti,  tribuendo  una  delle 
spogliazioni  all'aquila,  la  quale  veramente  la 
danneggiò  contro  sua  intenzione,  ma  non  spo- 
gliò la  pianta.  —  68.  i^aluqae  eoe  Chiun- 
que spoglia  delle  lìronde  e  staoca  i  frutti  di  quel- 
la pianta  pecca  contro  Dio  con  offésa  di  fatto, 
poiché  egli  la  creò  sacra  e  inviolabile,  come 
imagine  della  sua  potestà  sulla  terra.  —  69. 
bestemmia  ecc.  offesa  di  Catto,  assai  più  grave 
che  non  sia  qualunque  offesa  di  par^  Buti  : 
«  blastoma  è  detrazione  e  mancamento  d'ono- 
re, e  però  una  blastoma  è  H  ditto  et  altra  è 
di  fatto:  . .  .blastoma  di  fiitto  è  quando  coi 
fatti  manchiamo  l'onore  d'Iddio,  e  perché  lì 
fatti  son  maggior  cosa  che  li  ditti,  però  dice 
l'autore  con  biastema  di  faUo  a  dimoetxare 


PUHGATORIO  -  CANTO  XXXIII 


645 


Per  morder  quella,  in  pena  ed  in  disio 
cinquemiP anni  e  più  l'anima  prima 
€3       bramò  colui  che  il  morso  in  sé  punio. 
Dorme  lo  ingegno  tuo,  se  non  estima 
per  singular  cagione  essere  eccelsa 
66       lei  tanto,  e  si  travolta  nella  cima. 
£  se  stati  non  fossero  acqua  d'Elsa 
li  pensier  vani  intomo  alla  tua  mente, 
69       e  il  piacer  loro  xm  Piramo  alla  gelsa, 
per  tante  circostanze  solamente 
la  giustizia  di  Dio,  nello  interdettO| 
72       conosceresti  all'arbor  moralmente. 
Ma,  perch'io  veggio  te  nello  intelletto 
fittto  di  pietra  ed,  impietrato,  tinto, 
75       si  che  t'abbaglia  il  lume  del  mio  detto, 
voglio  anche,  e  se  non  scritto,  almen  dipinto, 
che  il  te  ne  porti  dentro  a  te,  per  quello 
78       che  si  reca  il  bordon  di  palma  cinto  ». 
Ed  io  :  <  Si  come  cera  da  suggello. 


mt^on  offendoiM  oh»  tue  ti  poHa  >.  — 
6L  Por  morder  qvellA  eoe.  Adamo,  anima 
prima,  per  arar  mono  del  fratto  di  quella 
pianta,  dorette  ftare  in  pena  faori  del  para- 
diso tametxe  e  pd  noi  limbo  In  desiderio  oon- 
tinno  di  Dio  (cfr.  Inf,  ir  41),  per  oltre  dn- 
qoemila  anni.  —  62.  eìaqneaill'  aaal  eoo.  : 
propriamente  990  sulla  terra  e  4302  nel  limbo  ; 
cfr.  Bar.  XXVI  118  e  segg.  —  anlaift  prima: 
Adamo,  chiamata  ooif  anche  in  Par,  xxn  83 
(tsfr.  De  vu^.  etoq,  i  6  :  «  oertam  formam  lo- 
ontionis  a  Deo  cnm  anima  prima  ooncrea- 
tam  »  eoe).  —  68.  colai  eoo.  Cristo,  ohe  poni 
in  a6  stesso  il  fiJlo  del  primo  nomo.  »  64. 
Dorale  ecc.  Ben  deve  essere  assopito  il  tao 
ingegno,  se  non  argomenta  per  qnale  singo- 
lare cagione  qnella  pianta  sia  tanto  alta  e  la 
tua  diioma  ood  laiga  nel  ponto  pi6  eccelso 
(efr.  Purg,  xxxn  40-42).  »  67.  B  se  stati  eco. 
E  te  i  rani  pensieri  non  aressero  indorata  la 
toa  intelligenza  e  il  loro  diletto  non  ne  aveo- 
80  macchiato  il  candore,  da  ciò  che  hai  veduto 
scrresti  inteso  la  ragione  per  la  qoale  la  di- 
Tina giustizia  vietò  di  manomettere  qoella 
pianta.  —  acqaa  4'Klia!  l'acqoa  del  fiome 
Elsa,  che  nascendo  nel  territorio  senese  va 
a  floire  nell'Amo  presso  Empoli,  essendo 
ricca  di  carbonato  di  calce  ha  la  proprietà 
d'incrostare  di  ono  strato  pietroso  i  corpi  ohe 
sono  immersi  in  essa.  Questa  proprietà,  nota 
già  ai  contemporanei  di  Dante  (cfr.  F.  Uberti, 
Dittam.  m  8,  Q.  Booc,  Ih  morUibut  ecc.), 
gU  snggerf  1'  ardita  similitodine  di  qoesti 
versL  ->  69.  e  il  piaeer  ecc.  Piramo,  ooci- 

DAmn 


dendosi  presso  on  gelso  (cfr.  A«ry.  xxvn  S7)^ 
ne  bagnò  del  soo  sangue  1  rami,  che  d'allora 
in  poi  produssero  frutti  vermigli,  e  cod  Dante 
vuol  dire  che  il  diletto  dei  vani  pensieri  mao- 
dìia  il  candore  della  mente.  —  70.  per  tante 
eoo.  per  tutto  quello  che  hai  visto,  avresti 
conceduto  moralmmUef  la  morale  significa- 
zione della  giustizia  divina  nello  inierdeUOf 
nel  precetto  da  Dio  Cstto  all'  uomo  di  non 
toccare  l' albero  della  sdenza  del  bene  e  del 
male.  —  78.  Ma,  pereh'io  ecc.  Ha  perché  io 
vedo  che  nella  mente  tu  sei  indurato  come 
pietra  e  posda  oscurato  per  i  vani  pensieri, 
s(  che  non  puoi  intendere  1  profondi  con- 
cetti del  mio  discorso  eoo.  —  74.  fktto  di 
pietra  ecc.  :  sono  anche  qui  accennate  due 
condizioni  succesdve,  già  espresse  con  le  si- 
militudini dell'acqua  d'Elsa  e  del  gelso  di  Pi* 
ramo  :  prima  l' indurimento  dell'  intelletto,  e 
poeda  l'oscuramento,  che  ne  è  come  la  conse- 
guenza. —  76.  voglio  anclie  ecc.  voglio  anco- 
ra che  tu  rechi  nell'animo  tuo,  se  non  scritto 
almeno  adombrato,  il  mio  disoono,  affinché 
tu  porti  teoo  un  segno  di  dò  che  hai  veduto, 
come  i  pellegrini  recano  di  Terrasanta  il  bor- 
done coronato  di  palma  per  segno  della  vi- 
sita fatta  ai  luoghi  santi.  —  78.  che  al  reea 
eoo.  An.  fior.  «  Il  bordone  si  reca  d'oltremare 
cinto  di  palma  da'pellegrini,  a  mostrare  che 
sono  stati  al  Sepolcro,  et  hanno  avuto  vit- 
toria di  loro  viaggio  ».  —  79.  8C  eome  ecc. 
Come  dal  suggello  ò  segnata  la  cera,  che  serba 
inalterata  la  figura  impressa  in  essa,  cosi 
dalle  vostre  parole  d  segnato  ora  il  mio  in- 

85 


546 


DIVINA  COMMEDIA 


olle  la  figura  impressa  non  trasmuta, 
81        segnato  è  or  da  voi  lo  mio  cervello. 
Ma  perché  tanto  sopra  mia  veduta   ^ 
vostra  parola  disiata  vola, 
84        ohe  più  la  perde  quanto  più  s'aiuta?  > 
€  Perché  conoschi,  disse,  quella  scuola 
e*  hai  seguitata,  e  veggi  sua  dottrina 
67        come  può  seguitar  la  mia  parola; . 
e  veggi  vostra  via  dalla  divina 
distar  cotanto,  quanto  si  discorda 
90        da  terra  il  del  che  più  alto  festina  >. 
Ond'io  risposi  lei:  «Non  mi  ricorda 
oh*  io  straniassi  me  giammai  da  voi 
93        né  honne  coscienza  che  rimorda  >. 
«  E  se  tu  ricordar  non  te  ne  puoi, 
sorridendo  rispose,  or  ti  rammenta 
96        come  bevesti  di  Lete  ancoi; 
e  se  dal  Aimmo  foco  s'argomenta. 


1 


telletto.  La  simUitadine  sviluppa  quella  del 
Purg,  X  45  ;  e  il  Venturi  S46,  ricordando  al- 
tre imagini  ■imili  di  Dante  (Oono.  1 8,  n  10, 
D6  man,  n  2  )  oeaerra  ohe  quella  e  del  sigillo, 
del  segno  e  dell'  impressione  d  familiare  al 
poeta,  come  non  poteva  non  essere  a  Ini  del 
quale  ogni  parola  d  segno  scolpito  della 
cosa  >.  Del  resto  l'idea  di  paragonare  l'inge- 
gno alla  oera  d  già  In  san  Girolamo,  nell'epi- 
stola a  Paolino  ohe  precede  la  Bibbia  :  e  Hol- 
lis  cera,  et  ad  formandum  fiudlis,  etiam  si 
artiflcis  et  plastae  oessent  manus»;  si  cfr., 
su  questo  proposito,  BuU,  IX  42.  —  82.  Ha 
pereli<  eoo.  Ma  come  mai  arriene  che  la 
vostra  parola,  da  me  tanto  desiderata,  si  leva 
cosi  alta  sopra  la  mia  intelligenza,  che  meno 
la  intende  quanto  piti  si  sforza  ad  intender- 
la? —  85.  Pereh<  ecc.  Due  ragioni  dà  Bea- 
trice del  suo  altissimo  parlare,  dicendo  ch'ella 
vuole  con  tal  mezzo  fiur  conoscere  a  Dante 
che  la  filosofia  umana  d  insufficiente  a  cono- 
scere il  mistero  della  fede  e  ohe  il  procedi- 
mento della  scienza  umana  dista  tanto  da 
quello  della  scienza  divina,  quanto  dalla  terra 
è  lontano  il  primo  mobile,  il  cielo  che  ruota 
piò  rapidamente  degli  altri.  —  lenola  ecc. 
La  scuola  se^afta  da  Dante  era  quella  dei  filo- 
sofi e  dei  poeti,  la  cui  dottrina  può  avviare, 
ma  non  condurre  alla  piena  cognizione  di  Dio. 
Scait  :  e  Dante,  ohe  un  d£  credeva  poter 
giungere  mediante  la  ragione  naturale  e  gli 
studi  filosofici  a  conoscere  l'essenza  della  di- 
vinità, a  mirare  noi  sole  dell'eterno  vero,  si 
accorge  ora  e  confessa  falsa  essere  la  ^a 
della  speculazione  per  la  quale  si  d  messo. 
Egli  che  un  di  nel  filosofico  suo  orgoglio  si  lu- 


singava non  essergli  d'uopo  della  dottrina  ri- 
velata, al  accorge  ora  e  confessa  ohe  la  filo- 
sofica speculazione  non  d  capace  di  compren- 
dere le  dottrine  della  rivelazione,  non  die  di 
giungere  ad  investigare  e  rioonotcere  l'eterno 
vero.  I^gli  ohe  volse  un  df  le  spalle  alle  dot- 
trine della  fede  e  le  oonsldersva  con  un  tal 
qual  dispregio,  riconosce  ora  quanto  esse  sono 
e  pifi  alte  e  piti  profonde  delle  dottrine  deHa 
filosofia  umana  >.  —  88.  e  itggl  ecc.  :  ò  il 
concetto  del  profeta  Isaia  lv  8  :  ci  miei  pen- 
sieri non  sono  i  vostri  pensieri,  né  le  mie 
vie  le  vostre  vie,  dice  il  Signore.  Con  eiò 
sia  che,  quanto  i  cieli  son  piti  alti  che  la  terra, 
tanto  sieno  piti  alto  le  mie  vie  che  le  vostre 
vie,  b  i  miei  pensieri  che  1  vostri  pensieri  ». 
—  vostra  via:  la  e  via  non  rera  »  dtH 
Purg,  XXX  130.  —  90.  11  eie]  ecc.  cf^.  Par. 
xxvn  99.  —  91.  Ifon  mi  eoo.  Non  mi  ri- 
cordo d'essermi  mai  allontanato  da  voi,  per 
seguire  altre  compagnie,  né  la  ooedenza  mi 
rimorde  d'avervi  abbandonata.  —  04.  ■  te 
tv  ecc.  E  se  tu  non  puoi  ricordarti  d'osserti 
staccato  qualche  volta  da  me,  ricorda  almmo 
che  oggi  bevesti  le  acque  del  fiume  Lete  e  che 
toglie  altrui  memoria  del  peccato  »  (Ihtrg. 
zxviii  128).  Cosi  Beatrice  risponde  a  dò  che 
Dante  ha  detto  nei  w.  91-92  —  96.  bevesti 
ecc.  cf^.  iVfy.  XXXI  94-102.  —  aaeol:  cf^. 
Puirg,  xm  62.  —  97.  e  le  dal  fiMmo  eoe. 
e  come  dalla  vista  del  fumo  s'argomenta 
l'esistenza  del  fuoco,  cosi  da  eotésta  oMwiofis 
si  conohiude  che  rivolgendo  altrove  la  tua 
volontà  tu  fosti  colpevole  :  infktti  1*  acqua 
di  Leto  toglie  la  memoria  delle  sole  opere  pec- 
caminose. Cosi  Beatrice  risponde  alle  perde 


PURGATORIO  -  CANTO  XXXIH 


B47 


ootesta  oblivion  cliiaro  oonchiude 
99       colpa  nella  tua  voglia  altrove  attenta. 
Veramente  oramai  saranno  nude 
le  mie  parole,  quanto  conyerrassi 
102        quelle  scoprire  alla  tua  vista  rude  ». 
E  più.  corrusco,  e  con  più.  lenti  passi, 
teneva  il  sole  il  cercliio  di  merigge, 

105  che  qua  e  là,  come  gli  aspetti,  fassi, 
quando  s*afiisser,  si  come  s'afSgge 

clii  va  dinanzi  a  gente  per  iscorta, 

106  se  trova  novitate  o  sue  vestigge, 

le  sette  donne  al  fin  d'un' ombra  smorta, 
qual  sotto  foglie  verdi  e  rami  nigri 
Ili        sopra  suoi  freddi  rivi  l'Alpe  porta. 
Dinanzi  ad  esse  Eufrates  e  Tigri 
veder  mi  parve  uscir  d'una  fontana, 
114        e  quasi  amici  dipartirsi  pigrL 


dal  T.  98.  —  98.  eoa€lilv4«  s  il  vb.  wneìUu- 
dtn  qui  e  in  Par,  zziy  9A  ha  il  signiftcato 
•eolMtico  di  rmnaté^  éimottran  por  meczo  di 
un  ragionamento.  ~  100.  VttaoMnte  oco. 
Ma  d'ora  innanzi  le  mie  parole  saranno  aperte 
e  chiare  quanto  bisogna  peroh4  siano  intese 
dallA  toa  mente  incapace  di  comprendere.  — 
ice.  E  pitf  eorniiee  eoo.  La  oomitiTa  giun- 
gendo innanzi  al  fiome  Eonoè  si  ferma,  por- 
che Dante  deve  gustare  di  quell'acqua  si  che 
si  compia  la  sua  purificazione.  D  momento 
dell'arrìTo  alle  sponde  d' Eonoè  d  il  mezzo- 
giorno del  18  aprile  (cfr.  Pitrg,  zxvn  109), 
ultimo  accenno  eronologioo  relativo  alla  per- 
manenza di  Dante  nel  paradiso  terrestre,  seb- 
bene si  debba  ritenere  che  egli  vi  restasse 
per  tutto  quel  giorno  (ofr.  Fair.  1 87);  e  que- 
sto momento  è  determinato  dal  poeta  dicendo 
che,  quando  la  compagnia  si  formò,  il  sole  es- 
sendo pofrenuto  al  meridiano  appariva  più 
fiammeggiante  e  pld  lento  nel  suo  corso. 
L'Ant,  mettendo  in  relazione  questo  passo 
con  quello  del  Pmg,  zxvn  89-90,  spiega  il  sug- 
giore  splendore  del  sole  con  la  minor  distanza 
di  esso  e  con  la  maggior  purezza  dell'aria  at- 
traversata dai  suoi  raggi,  e  spiega  la  minore 
nudità  con  il  fiuto  che  in  primavera  il  sole 
va  via  via  Csoendosi  pld  boreale  ogni  giorno, 
in  virtd  del  suo  moto  apparente  annuo,  e  cosi 
sooatandosi  dall'equatore  presenta  meno  rapi- 
do Tapparente  moto  diurno  fatto  su  un  paral- 
lelo più  vicino  al  polo  :  ma  il  Moore,  p.  128, 
pìfi  semplicemente  osserva  che  e  la  maggiore 
lucentezza  e  la  maggiore  lentezza  sono  due 
caratteristiche  assai  comuni  del  sole,  allorché 
trovasi  in  queir  ora  e  in  quella  posizione  >. 
—  eea  pld  lenti  ecc.:  ofir.  Poir.  xxm  la.  ^ 
106.  che  qia  e  là  ecc.  :  l'interpretazione  co- 


mune di  questo  verso  ò  cosi  formulata  dal 
Lomb.  :  e  il  qual  mBHgg$  non  si  ila  a  tutte  le 
regioni  in  un  luogo,  ma  a  ohi  qua,  a  chi  là, 
secondo  i  gradi  dell'Equatore  ohe  le  regioni 
co' loro  vari  meridiani  intersecano  >.  L'Ant. 
invece,  richlamandoii  per  l'uso  degli  aw.  qua 
e  a  ai  luoghi  deU'^.  xzxiv  118,  Pmrg.  xv 
6,  Par.  1 48,  e  dando  un  valore  più  eeteao  al 
nome  atpttti,  spiegherebbe:  e  il  quale  merig- 
gio ai  fa  in  questo  e  nell'  altro  emisfero  se- 
condo le  reiasioni  di  posizione»;  oppure  (scrì- 
vendo chS):  e  perciocché  in  questo  e  nell'al- 
tro emisfero  avviene,  seoondo  le  relaiioni  di 
posizione  »,  dalle  quali  dipendono,  seoondo 
lui,  i  due  fenooieni  notati  nel  v.  108.  »  106. 
sf  come  ecc.  come  si  formano  coloro  che  pre- 
cedono una  compagnia  per  assicurarsi  della 
via,  se  trovano  qualche  novità  o  indizio  di 
novità.  — 106.  •  tae  vtstlffgts  o  indizi  di  no- 
vità. Altri  leggono  in  «ut  ots^^,  riferendolo 
al  soggetto  dki  e  spiegando  :  se  inoontraqualche 
novità  sulla  sua  strada,  sui  suoi  passi.  Sulla 
forma  col  raddoppiamento,  accanto  a  tutige 
del  Par,  xzxi  81,  ctr.  Parodi,  BM,  m  106, 
122.  —  109.  al  fia  eoo.  al  terminare  della  sel- 
va, ove  l'ombra  di  essa  assomigliava  quella 
dei  boaohi  verdeggianti  delle  montagne  d'Ita- 
lU  sopra  i  freddi  ruscelU.  —  110.  qual  sotto 
eoe  ricorda  il  virgiliano,  Qwrg.mSS&i  e  si- 
cubi  nigrum  Ilioibus  orebris  suora  nemus  ao- 
cubet  umbra».  — 112.  Dlaaasi  eco.  Nel  luo- 
go, ove  si  fermò  la  compagnia,  Dante  vide 
uscire  dalla  stessa  fontana  due  fiumi  come 
l'Eufrate  e  il  Tigri,  ohe  scorrevano  lentamente 
in  direzione  opposta,  quasi  incresoeese  loro  di 
allontanarsi  l'un  dall'altro.  Boezio,  Ckm»,pML 
V,  oarm.  1  :  «Tigris  etEuphrates  uno  se  fonte 
resolvunt  Et  moz  abiunotis  dissodantnr  a- 


648  DIYIKA  COìfMEDIA 


<  0  luce,  o  gloria  della  gente  umana, 
che  acqua  è  questa  che  qui  si  dispiega 
117        da  un  principio,  e  sé  da  so  lontana?  > 
Per  cotal  prego  detto  mi  fu  :  <  Prega 
Matelda  che  il  ti  dica  »;  e  qui  rispose, 
120       come  fa  ohi  da  colpa  si  dislega, 

la  bella  donna:  «  Questo,  ed  altre  oose 
dette  gli  son  per  me;  e  son  sicura 
123       che  l' acqua  di  Leto  non  gliel  nascose  >. 
E  Beatrice:  «  Forse  maggior  cura, 
che  spesse  volte  la  memoria  priva, 
126        fatto  ha  la  mente  sua  negli  occhi  oscura. 
Ma  vedi  Eunoè  che  là  deriva: 
menalo  ad  esso,  e,  come  tu  sei  usa, 
129        la  tramortita  sua  virtù  ravviva  ». 
Com' anima  gentil  che  non  fa  scusa, 
ma  fa  sua  voglia  della  voglia  altrui, 
132       tosto  eh' eli' ò  per  segno  fuor  dischiusa; 
cosi,  poi  che  da  essa  preso  fui, 
la  bella  donna  mossesi,  ed  a  Stailo 
135        donnescamente  disse:  e  Yien  con  lui». 
S'io  avessi,  lettor,  più  lungo  spazio 

qoif  >;  cfr.  Moore  I  284.  —  116.  0  Ibm  eco.  Torita  dallA  aeri*  di  itraordinaxi  qwttaooli 
ctr,  le  parole  di  ViigUio  ia  Inf,  n  76-78.  —  offertisi  a  Dante  nel  paradiso  teoestre.  — 
116.  che  aeqnA  eco.  ohe  acqua  d  questa  che  127.  Ma  Te^i  eoo.  ]£a  vedi  il  ftome  Ennoè, 
esce  da  una  sola  fontana  e  si  diparte  in  due  ohe  uscendo  dalla  fontana  soone  rvm  quella 
corsi  distinti  f  —  118.  Per  eetal  ecc.  Alla  parte  :  conduci  Dante  al  fiume,  e,  oome  è  tuo 
domanda  di  Dante,  Beatrice  risponde  riman-  officio,  immergilo  neU'aoqua  si  ohe  la  flusoltà 
dandolo  a  Matelda,  la  quale  ayendo  l'officio  della  memoria  sta  in  lui  ravriyata  ed  egH 
di  Care  assaggiare  quelle  acque  ha  anche  riacquisti  la  coscienza  del  bene  operato.  — 
quello  di  dichiararne  11  nome  e  il  Talore:  cosa  128.  eeme  tu  ael  sta  :  accenna  all'  officio  già 
che  per  Dante  ha  già  fatta  (cfr.  Purg.  xxrm  esercitato  da  Matelda,  quando  immerse  Dante 
121-182).  —  119.  MateMa:  qui  per  la  prima  neU'aoqua  di  Lete.  —  ISO.  Com'aniwi  eoo. 
e  sola  Tdta  è  detto  il  nome  della  donna  ap-  Come  un'  anima  yirtuosa  non  si  schennisce 
parsa  a  Dante  nel  paradiso  terrestre.  —  120.  dal  sodisfare  l'altrui  desidorìo  e  conforma  la 
eoMe  fa  ecc.  con  la  prontessa  che  l' uomo  sua  rolontà  a  quella  degli  altri,  ^pena  le 
innocente  mette  nel  discolparsi  dalle  accuse,  sia  manifestata  per  segno  di  paiole  o  di  attL 
—  121.  ireste  eco.  Quale  acqua  sia  questa  — 188.  cesi  eoo.  cosi  Matelda,  conformando 
e  quali  siano  le  condizioni  del  paradiso  terre-  la  sua  volontà  a  quella  di  Beatrice,  mi  prese 
stre,  io  l'ho  già  detto  a  Dante  (Purg.  xxm  per  mano  e  si  mosse  Terso  il  fiume  invitando 
88  e  segg.),  e  sono  certa  che  T  immersione  Stazio  a  seguirci.  —  ISfi.  dOBueseaMemu  : 
nel  fiume  di  Lete  non  gliene  ha  tolto  il  ri-  con  la  grazia  e  gentilezza,  ohe  le  donne  poa- 
cordo.  —  124.  Forse  Maggior  ecc.  Forse  gono  nel  porgere  i  loro  inviti.  —  136.  8*1« 
qualche  maggior  cura,  una  di  quelle  che  avesil  eco.  Dante  ormai  è  pervenuto  alla  fine 
spesso  privano  la  memoria  della  sua  virtd,  della  sua  peregzinarione  nei  paradiso  tecre- 
ha  ottenebrato  la  sua  mente  si  oh'  egli  non  stre  :  avrebbe  per  altro  da  descrivere  la  sua 
ricorda  più  i  tuoi  ammaeetramentL  —  mag-  immersione  nel  fiume  Eunoè  e  anche  come 
glor  cara:  qual  fosse  questa  maggior  cura  egli  e  Beatrice  si  congedassero  dalla  comitiva 
non  dicono  gli  antichi  commentatori;  dei  per  salire  al  dolo.  Se  non  che  egli  è  giunto 
moderni  U  Iiomb.  la  riconosce  nella  soUed-  ormai  a  tal  punto  che  il  canto  xzxiu  deve 
tedine  in  che  Dante  era  di  contemplare  Bea^  essere  chiuso,  e  poiché  la  legge  impostasi  di 
trice,  e  questa  interpretazione  pud  compiersi  non  concedere  a  ciascuna  cantica  più  di  tran- 
osservando  che  la  dimenticanza  era  stata  fi»-  tatr4  canti  gU  vÌ9^  di  allaigarsi  in  ootatta 


PURGATORIO  -  CANTO  XXXITI 


549 


da  scrivere,  io  pur  canterei  in  parte 
188        lo  dolce  ber  che  mai  non  m*  ayria  sazio  ; 
ma  perché  piene  son  tutte  le  carte 
ordite  a  questa  cantica  seconda, 
141        non  mi  lascia  più  ir  lo  fren  dell*  arte. 
Io  ritornai  dalla  santissim*  onda 
rifatto  si,  come  piante  novelle 
rinnovellate  di  novella  fronda, 
145    puro  e  disposto  a  salire  alle  stelle. 


descrizione,  egli  ohiode  rapidamente  la  se- 
oondA  parte  del  ano  poema,  con  un  brere 
aooenno  agli  effetti  mirabili  die  sopra  di  lai 
produsse  l' immeisione  nel  fiume  Ennoò.  — 
137.  la  parte  :  in  nn  canto  spedale,  oye  de- 
soriTord  in  tutti  i  saoi  particolari  la  mia  im- 
menione,  della  quale  non  sarei  mai  stato  sazio. 
—  1S9.  plepe  sei  ecc.  sono  compinti  i  tien- 
tatré  canti  destinati  alla  seconda  cantica.  ~ 
140.  eaatlcft:  cfr.  Inf,  zx  8.  —  141.  le  frea 
dell'arte:  la  legge  imposta  a  sé  dal  poota  che 
daacnna  cantica  fosse  composta  di  txentatró 
canti,  s(  che  con  quello  d' introdazione  il 
poema  rinsdsse  in  tatto  di  cento  canti.  Oltre 
che  dello  stesso  nomerò  di  canti,  ogni  can- 
tica  ò  formata  da  un  nomerò  qoad  ogoale  di 
rerd  :  infatti  dei  14283  yersi  che  compongono 


il  poema,  4?J0  formano  la  prima  cantica, 
4756  la  seconda  e  4768  la  terza  ;  e  anche 
l'estensione  di  dascon  canto  ò  poco  dirersa, 
Tarlando  dai  116  ai  160  Tersi.  Totte  qoeste 
leggi  Dante  s' era  proposto  di  osservare,  af- 
finché anche  nella  conformazione  esteriore  il 
sao  poema  mostrasse  qoella  proporzionata  ar- 
monia delle  parti,  che  consnona  mirabilmente 
con  l'armonia  e  con  la  dmmetria  delle  inven- 
zioni singole  e  dd  concetto  generale.  —  142. 
lo  riterBai  ecc.  Ritornai  dalle  acqoe  di  Eo- 
noè,  alle  qoali  m'aveva  guidato  Matelda, 
tatto  rinnovato  come  le  giovini  piante  rin- 
Terdite  alla  primaTera,  e  poro  onnai  da  ogni 
macchia  dd  peccato  e  digesto  a  segoire  la 
mia  donna  nel  deb.  —  146.  stelle  :  cfr.  Inf, 
xxxiv  186. 


PARADISO 


CANTO  I 


Dalla  cima  del  monte  del  Purgatorio  Dante  e  Beatrice  8*  innalzano  verso 
la  sfera  del  ftaoco  con  moto  yelooissimo;  e  la  donna,  sciogliendo  al  poeta 
i  saoi  dnbbt  eirca  l'armonia  e  la  Ince  dei  cieli  e  il  modo  del  salire,  gli  di- 
chiara Pordine  dell'universo  [14  aprile,  ore  antimeridiane]. 

La  gloria  di  colui,  che  tutto  move, 
per  1*  universo  penetra,  e  risplende 
8       in  una  parte  più,  e  meno  altrove. 
Nel  ciel  che  più  della  sua  luce  prende 
fu'  io  ;  e  vidi  cose  che  ridire 
6       né  sa  né  può  qual  di  là  su  discende; 

I  1.  La  gloria  eoo.  La  terxa  oantioa,  come 
già  le  due  precedenti,  si  apre  con  una  ma- 
gnifica proposizione  dell'argomento  e  oon  ona 
calda  invocazione  ad  Apollo;  e  nella  solen- 
nità di  questa  protasi  appare  sabito  la  gran- 
dezza  del  ooncepimento  e  dell'arte  ohe  Dante 
esplicherà  nel  suo  <  nltimo  lavoro  ».  —  eolvt 
eoo.  Dio,  primo  motore  {Purg,  zxv  70)  di  tutte 
le  ooee,  oon  la  Inoe  della  sna  grazia  e  della 
SUA  sapienza  penetra  per  1*  nniverso  e  risplende 
rariamente  alle  cose  secondo  la  loro  maggiore 
o  minore  attitudine  a  comprenderlo  :  cft.  Par, 
zm  22-28.  Questo  concetto,  espresso  tante 
volta  nella  Bibbia  e  nei  Padri,  ricorro  spesso 
neDe  <^ere  di  Dante  {Dt  vutg,  $loq,  1 16,  Oonv. 
m  7,  14  eoo.)»  U  qnale  nell'Epist.  a  Can- 
grande,  §  28  spiega  il  vb.  penetra  <  qoantom 
adeseentiam  >, eU  vb.  riepUnde  <  qoantam  ad 
aase  >,  doò  la  divina  virtù  penetra  tatto  le  cose 
quanto  all'essenza  perché  ogni  essenza  e  virtù 
procede  da  Dio,  essenza  prima,  e  rispetto  al- 
redstenza  perché  ogni  cosa  che  è  ha  il  suo 
essere  da  Dio,  primo  principio  e  caosa  di  tatto. 
SoDa  prima  terzina  di  questo  canto  disserta- 
rono F.  Verini  {LeUioni  d*aceademiei  fioren- 
tmi  sopra  DanU  pabbl.  da  ▲.  F.  Doni,  Flr. 
1547,  pp.  14-20),  e.  Bianchini  {Tre  lezioni 
détU  neUTAMod.  fior.,  Fir.  1710)  e  G.  O. 
Gissi  {Qiom.  danL  I  877-887);  e  più  lar- 
gamente sul  primo  e  secondo  canto  B.  Vai^ 
chi  (Lesioni  md  Dante,  Fir.  1841,  voL  I,  pp. 
187-604):  per  dò  che  riguarda  V  arte  d  da 
Todflire  V.  Capetti,  Osatrvax.  tul  Paradiso  dan- 
iitmo,  Venezia,  1888,  pp.  1  e  segg.  —  8.  in 


«na  eco.  Infatti  noli'  Empiroo  risplende  più 
ohe  ne'deli  sottostanti  (cfr.  v.  seguente).  — 
4.  Nel  elei  ecc.  Neil*  Empireo,  dolo  di  pura 
luce  (ftir.  zxz  89).  H  paradiso  di  Dante  è  ima- 
ginato,  in  relazione  al  sistema  cosmico  di  To- 
lommeo  e  alle  dottrine  teologiche  (cfr.  Tom- 
maso 5timm.  P.  m,  suppL  qu.  lxxxv,  art  1 
e  segg.),  come  1*  insieme  del  deli  che  ruo- 
tano intomo  alla  Terra  immobile  nel  centro 
dell'  universo  :  1  nove  deli  mobili  (Luna,  Mer- 
curio, Venere,  Sole,  Blarte,  Giove,  Saturno, 
stelle  fisse,  primo  mobile)  sono  tutti  compresi 
nel  dolo  Empireo,  il  quale  è  immobile;  in 
esso  hanno  loro  dimora  i  beati,  che  appari- 
scono a  Dante  nd  vari  deli  secondo  1*  inten- 
sità della  loro  beatitudine  :  quelli  del  primo 
cido  in  figura  umana  raggiante  di  luce  di- 
vina; e  gli  altri  in  forma  di  splendori  (globi, 
sdutiUe,  gemme,  fiaccole)  che  d  ravvivano 
parlando.  Fra  i  molti  studi  sull'ordinamento 
astronomico  e  morale  del  paradiso  dantesco 
d  possono  leggere  oon  profitto:  A.  Galassinl, 
1  cieli  danle$ehiy  Firenze  1894  ;  B.  Gatta,  il 
paradiso  danUsoo,  Torino  1895;  A.  Scrocca, 
il  ei^ama  dantesco  dei  deli  e  delle  loro  in- 
fluenze, Napoli  1895  ;  F.  P.  Luìso,  (httrwUone 
morale  e  poetica  del  parad,  dant,,  Firenze 
1898  ;  S.  Ferrari,  il  Paradiso  di  Dante,  Bo- 
logna 1900.  —  5.  vidi  cote  ecc.  vidi  cose  tanto 
meraviglioae  che  alcun  mortale,  discendendo 
dal  delo  in  terra,  non  sa  né  pud  ridire:  non 
sa,  perché  non  se  ne  ricorda  ;  non  può,  perché 
la  parola  umana  d  insuflSdente  a  dame  un'idea 
adeguata  (cft*.  Epist.  a  Cangrande,  $29).  B  oon- 


&o2 


DIVINA  COMMEDIA 


perché,  appressando  sé  al  suo  disìre, 
nostro  intelletto  si  profonda  tanto 
9        che  retro  la  memoria  non  può  ire. 
Veramente  quant*io  del  regno  santo 
nella  mia  mente  potei  far  tesoro, 
12        sarà  ora  matera  del  mio  canto. 
0  buono  Apollo,  all'ultimo  lavoro 
fammi  del  tuo  valor  si  fatto  vaso, 
15        come  domandi  a  dar  Pamato  alloro. 
Infino  a  qui  l*un  giogo  di  Parnaso 
assai  mi  fu,  ma  or  con  ambedue 
18       m*ò  uopo  entrar  nell'aringo  rimaso. 
Entra  nel  petto  mio,  e  spira  tue 
si  come  quando  Marsia  traesti 
21        della  vagina  delle  membra  sua 


oetto  dantesco  ò  in  germe  neUe  parole  di  Paolo 
apoitolo  riferite  nella  nota  all' Jfi/1  ii  28  ;  a  pro- 
poiito  delle  quali  Tommaso  d'Aqoino,  Summ,, 
P.  n  a^,  qn.  olxxt,  art  8,  ayrerte  appunto 
che  €  tertinm  coelnm  dicitar  ooelnm  empy- 
renm  >•  »  7.  appreasjuido  odo.  il  nostro  in- 
telletto aTTidnandosi  a  Dìo,  ultimo  fine  dei 
suol  desidait  (cfr.  Pmrg,  zzzi  34,  Bar,  xraa 
46),  si  profonda  tanto  nella  oognixlone  di  esso 
ohe  la  memoria,  Csooltà  umana  o  limitata, 
non  pud  seguitarlo,  e  però  mancano  le  parole 
a  rendere  compiutamente  il  pensiero.  —  0. 
cke  retre  eoo.  cfr.  Cbfw.  m  8  :  e  La  lingua 
non  d  di  quello  che  lo  intolletto  Tede  com- 
piutamente seguace  >.  —  10.  Veramente  ecc. 
Ma  pure  quel  tanto  che  del  paradiso  io  potei 
raccogliere  e  fermare  nella  mia  memozia  sarà 
l'argomento  della  mia  ultima  cantica.  —  11. 
■MBtot  o£r.  ^.  n  6.  —  12.  Malent  cfir. 
Pury,  xvm  87.  »  18.  0  bnoae  Apollo  ecc. 
Neil'  Epist  a  Cangrande  9  81  n  distinguono 
due  partì  di  questa  inrocazione:  i'una  per 
chiedere  l'aiuto  d'ApoUo  (▼▼.  18-21),  l'al- 
tra per  persuaderlo  alla  oonoessione  (▼▼.  22- 
86);  e  cosi  r  inyocazione  si  distende  per  otto 
tendne,  che  a  taluno  sono  parse  eooessìTe, 
in  confronto  alla  brevità  osserrata  rivolgen- 
dosi alle  Muse  nell'/n/'.  n  7-9  e  nel  ^trg,  i 
7-12.  —  all'nltimo  lavore  :  alla  terza  can- 
tica; cfir.  Virgilio,  Buo,  z  1  :  <  Extremum 
huno,  Arethusa,  mihi  concede  làborem  >.  — 
14.  fammi  eoe  fammi  essere  ricettacolo  di 
tanto  valore  poetìoo,  suscita  in  me  tanta  virtù 
di  pensiero  e  di  arte,  quanta  esigi  per  acoor- 
daro  la  gloria  dell'  inooxonazione.  — 15.  amato 
altere  :  fl  lauro  da  te  amato,  perché  in  lauro 
fn  trasformata  la  tua  Dafne  (oftr.  Ovidio,  Mei, 
I  462  e  sgg.).  —  16.  Ialino  eco.  A  cantare  1 
regni  del  peccato  e  della  penitenza  mi  è  ba- 
stato l'aiuto  delle  Muse  ^  generale,  Inf,  u  7, 
zxxn  10  ;  in  particolare,  Calliope,  Purg.  1 8, 


o  Urania,  JWy.  zza  87-43);  ma  per  caatare 
il  regno  della  beatitudine  ho  bisogno  che  al- 
l'aiuto delle  Muse  si  congiunga  quello  di 
Apollo,  n  monte  Parnaso  ha  due  vertici  («Parw 
nassus  gmnino  petit  aethera  ootts  »,  Lucano 
Fan,  T  72,  efkr.  Moore,  I  288)  che  sono  va- 
riamente denominati  dagli  scrittori  antichi  : 

<  Oinha  et  IHsa  snnt  ooUes  Parnassi  et  est 
umu  ApoiUni,  alter  Libero  oonsecratus  »  (oosi 
un  commentatore  medioevale  di  Lucano,  Fbn. 
m  172);  ma  Dante  sostìtni  a  Bacco  le  Muse, 
alle  quali  presso  fl  Parnaso  era  consacrato 
U  fonts  Castalio.  Allegoricamente  i  due  gioghi 
sono  intesi  dalla  maggior  parte  dei  commenta- 
tori come  la  scienza  umana  e  la  scienza  di- 
vina. — 18.  nell'aringo  ecc.  nella  trattazione, 
che  mi  rimane  a  fare,  della  beatitudine  dol 
paradiso.  Varchi  238:  < Come eurrieuhan nella 
lingua  latina  significa  non  solamente  quello 
che  i  gred  dicevano  ttadio,  doè  il  luogo 
dove  s' esercitavano  alla  lotta,  ed  a  correre 
cosi  gli  uomini  oome  i  cavagli,  ma  anoozm 
esso  corso;  cosi  aringo  nella  nostia  significa 
non  solo  lo  spazio  dove  si  corre,  ma  ancora 
il  corso;  onde  si  dioe  corrtre  U  primo  aringo 
o  il  Beoondo  ».  —  19.  spira  tife  eoe.  inspi- 
rami a  cantare  con  quella  stessa  eooellenza 
di  arte  che  tu  dimostrasti  nella  gara  oon 
Marsia.  — >  20.  qnando  ecc.  Marsia,  satiro 
firigio,  essendo  venuto  in  possesso  d' un  flauto 
già  usato  da  Minerva,  ne  traeva  dolcissimi 
suoni,  e  montato  in  superbia  osò  sfidare 
Apollo  a  una  gara  musicale:  Apollo  sonando 
la  cetra  e  cantando  riportò  a  giudizio  delle 
Muse  la  vittoria,  e  potendo  secondo  1  patti 
far  del  vinto  dò  ch'd  voleva,  lo  legò  a  un 
albero  e  lo  scortioò  (cfr.  Ovidio,  M«L  vi  382- 
400).  —  2L  della  vagina  eoo.  dalla  peUe 
ohe  avvolgeva  le  sue  membra.  Venturi  671  : 

<  Invocando  le  Muse  fl  poeta  rioord*  fl  ca- 
stigo delle  Piche;  invocando  Apollo,  U  sup- 


PARADISO  -  CANTO  I 


B53 


0  divina  virtù,  se  mi  ti  presti 
tanto  che  T  ombra  del  beato  regno 
24        segnata  nel  mio  capo  io  manifesti, 
Tenir  vedrà'  mi  al  tuo  diletto  legno 
e  coronarmi  allor  di  quelle  foglie, 
27        che  la  matera  e  tu  mi  farai  degno. 
Si  rade  volte,  padre,  se  ne  coglie 
per  trionfÌEure  o  Cesare  o  poeta, 
80       colpa  e  vergogna  dell'umane  voglie, 
che  partorir  letizia  in  su  la  lieta 
delfica  deità  dovria  la  fronda 
83        peneia,  quando  alcun  di  sé  asseta. 
Poca  favilla  gran  fiamma  seconda: 
forse  retro  da  me  con  miglior  voci 
86        si  pregherà  perché  Cirra  risponda. 
Surge  ai  mortali  per  diverse  foci 


plizfo  di  llaraU:  punizioni  ambedue  dell'  igno- 
ranza aadaoe  e  nialigna  >.  —  22.  0  dlTina 
•oo.  O  diTina  TirtA  di  Apollo,  le  ta  yerrai  a 
me  in  quella  misora  che  bisogna  per  espri- 
nMie  coi  Tersi  qoella  pallida  idea  del  para- 
diso, die  io  bo  potuto  imprimere  nella  mia 
mente,  mi  redrai  oercare  l'onore  della  ooro- 
naziono  pootioa  eoo.  ~  26.  e  eeronaral  eco. 
Dante  dedderò  certamente  la  laurea  di  poeta, 
come  appare  dalla  prima  edoga  a  Giovanni 
del  Viigilio,  oye,  rispondendo  al  retore  bo- 
lognese che  l'aTOTa  invitato  a  recarsi  nella 
sua  città  per  essere  incoronato  d'alloro  nella 
f&rnosa  università,  scrisse  (w.  48-50):  «  Quum 
mandi  oircumflna  corpora  cantu  AstrìooUe- 
que  meo,  velut  infera  regna,  patebunt,  De- 
vincire  caput  hedera,  lauroque  iuvabit  >  ;  ma 
pensò  e  sperò  sempre  d' ottenere  questo  onore 
nella  patria  sua,  riapertagli  in  grazia  del  suo 
poema  :  cfr.  Pasr,  xxv  1-9.  ~  27.  che  la  na- 
tera  ecc.  delle  quali  sarò  fatto  degno  per 
l'altezza  dell'argomento  trattato  nel  mio  poe- 
ma e  per  l'eccellenza  di  arte  dispiegatavi  col 
favore  d'Apollo.  —  28.  Si  rade  ecc.  Cosi  rv 
ramente  avviene  che  un  Imperatore  o  un 
poeta  meriti  la  coronazione,  cho  la  fronda  pé- 
«eia,  l'alloro,  quando  susdta  desiderio  di  sé 
in  alcuno,  dovrebbe  produrre  nuova  letizia 
nella  già  lida  deità  delfica.  Due  spiegazioni 
si  danno  di  questa  deùà  d$lfiea:  secondo  la 
maggior  parte  dei  commentatori,  dal  Buti 
e  Benv.  al  Lomb.,  sarebbe  Apollo  stesso  o 
meglio  la  sua  natura  divina;  secondo  altri, 
dal  Varchi  al  Fanfìani,  sarebbe  il  luogo  sacro 
di  Delfo,  ove  ApoUo  era  adorato  :  comun- 
que s*  intenda,  la  sentenza  generale  del  passo 
resta  la  medesima,  avendo  Dante  voluto  dire 
che  il  suo  desiderio  di  meritare  la  laurea  poe- 
tica doveva  muovere  Apollo  a  inspirarlo  de- 


gnamente in  quest'ultima  parte  del  suo  la- 
voro. Per  altre  spiegazioni  si  of^.  BulL  III 
180,  X  86.  —  29.  per  trionfare  ecc.  per  il 
trionfo  d' imperatori  o  la  coronazione  di  poe- 
ti; ci^.  Stazio,  Ttb.  vi  73:  <  Yatum  dncum- 
quo  deous  laurus  >,  e  AohilL  i  15  :  e  Cui  gè- 
minae  florent  vatnmque  ducumque  ...  lau- 
rus »,  e  il  Petrarca,  son.  ccLzm  2:  «  Gnor 
d' imperadori  e  di  poeti  ».  Si  noti  che  quando 
Dante  scriveva  doveva  esser  fkesco  fl  ricordo 
dell'incoronarione  di  Albertino  Mussato  cele- 
brata in  Padova  nel  1316  ;  unico  esempio 
nell'  età  dantesca  di  simile  onoranza  resa  a 
un  poeta.  —  80.  eelp*  eoo.  a  cagione  del 
vergognoso  traviamento  che  ha  orìgine  dalle 
passioni  umaRO.  —  82.  la  fronda  ecc.  il 
lauro,  cosi  detto  da  Dafhe  Peneia,  o  figlia 
di  Penco,  amata  da  ApoUo  e  trasformata 
in  quella  pianta  (cfr.  Ovidio,  MèL  i  452-576). 
—  34.  Poca  faiilla  ecc.  A  una  piccola  fa- 
villa tien  dietro  una  gran  fiamma,  che  di 
quella  si  accende  ;  cosi  al  mio  esempio  segui- 
terà l'opera  di  poeti  migliori  di  me.  —  se- 
conda :  cf^.  Purg,  XVI  23.  —  85.  forse  ecc. 
forse  dopo  di  me  Apollo  sarà  invocato  dalla 
voce  di  poeti  più  eocellentL  —  86.  Clrra: 
quello  dei  gioghi  del  monte  Parnaso  che  era 
consacrato  ad  Apollo,  preso  qui  per  la  divi- 
nità stessa  :  cfr.  sopra  la  nota  al  v.  16.  — 
87.  Sarge  ecc.  Come  già  ha  fatto  per  gli  al- 
tri due  regni  (cfir.  Jnf,  n  1  e  segg.,  IStrg.  i 
18  e  segg.),  Dante  incomincia  la  descririone 
del  suo  viaggio  per  il  paradiso  determinando 
il  momento  in  cui  egli  v'  entrò,  il  momento 
in  cui  sali  dalla  dma  dd  monte  sacro  verso 
il  ddo.  Questi  versi  hanno  dato  origine  a 
lunghe  discussioni  astronomiche  e  cronologi- 
che, per  le  quali  cti,  Ddla  Valle,  il  sento 
gtogr.  ecc.  pp.  101-106,  SuppU  al  libro  eco. 


651 


DIVINA  COMMEDIA 


la  lucerna  del  mondo;  ma  da  quella, 
89        che  quattro  cerchi  giunge  con  tre  croci, 
con  miglior  corso  e  con  migliore  stella 
esce  congiunta,  e  la  mondana  cera 
42       più.  a  suo  modo  tempera  e  suggella. 
Fatto  avea  di  là  mane  e  di  qua  sera 
tal  foce  quasi,  e  tutto  era  là  bianco 
45        quello  emisperio,  e  Taltra  parte  nera, 


-1 


pp.  10-19,  làtove  Hhutrox.  dtUa  D.  (7.,  Faenza, 
1877,  pp.  96-97;  Antonelli,  Studi  particolari 
tutta  D,  C,  pp.  21-26;  YAOoheii  e  Bertao- 
chi.  La  viBkm  d<  D.  ^  pp.  20S  •  Mgg.  ; 
Finchexle,  A  eh»  ora  taK  Dante  ai  eielo,  Fir., 
188S.  Dico  Dante  stsaeo  (i^.  min  106  • 
segg.)  ohe  al  mesogiomo  (IS  aprile)  egli  ai 
troTava  in  quel  ponto  dal  paradiso  terreatie 
ove  acatoiisoono  Letd  ed  Eonoè:  Matelda 
lo  guidò  ad  immeigenl  in  Bonoè,  e  il  poeta 
accenna  rapidamente  d'euer  tornato  a  Bea- 
trice rinnorellato  per  quella  immersione  e  di- 
oliiara  in  modo  esplicito  di  non  deecrivere 
partitamente  qnel  dolet  ber,  pecche  gli  manca 
lo  spasio  •  non  lo  laada  pia  gir  lo  fren  del- 
Varte*  Qaesta  dichiarasione  presuppone  una 
certa  materia  da  deocrìrere,  e  questa  materia 
sono  i  fhttl  snooeesi  dopo  il  mezsogiomo,  sui 
quali  Dante  trapassa  •  che  noi  non  possiamo 
con  certezza  sapere  quali  fossero  (forse  il  con- 
gedo da  Matelda,  la  separazione  da  Stazio 
eoe).  Secondo  alcuni  interpreti  (Benassuti, 
Yaocheri  e  Bertacchi,  Pincherle  eccX  Dante 
sarebbe  salito  immediatamente  Terso  il  cielo, 
nell'ora  del  mezzogiorno,  e  ora  perfetta,  lu- 
minosa, in  cui  O  sole  occupa  il  posto  più  su- 
blime, come  quel  luogo  celestiale  >  ;  biveco, 
socondo  FAntoneUi  e  il  Della  Valle,  il  mo- 
mento dell'ascensione  ta  l'alba  del  giorno  se- 
guente (per  noi,  14  aprile),  e  Dante  sarebbe 
rimasto  nel  paradiso  terrestre  tutto  il  pome- 
riggio o  la  notte  dopo  l'immersione.  Questa 
seconda  opinione,  conftKrtata  dal  senso  che 
quasi  tutti  i  commentatori  danno  al  t.  i3,  a 
me  sembra  la  più  probabile,  sebbene  recen- 
temente combattuta  da  paieoohi  (cfr.  BuU,  X 
80-81).  —  88.  la  Ueena  ecc.  B  sole  (fam- 
pada  immdi,  Lucrezio  t  406;  e  è,  in  questo 
mondo  come  la  huenta  nella  casa  >,  Bistoro 
d'Arezzo,  Cbmpos.  del  mondo,  i  18)  appare 
agli  uondni  sorgendo  da  diversi  punti  del- 
l'orizzonte, secondo  le  Tarie  stagioni  ;  e  nel- 
la primarera  sorge  da  quel  punto  dell'oriz- 
zonte che  è  determinato  dall'incontro  simul- 
taneo di  quattro  cerchi  (orizzonte,  equatore, 
eclittica,  coluro  equinoziale),  dei  quali  i  tre 
ultimi  intersecando  il  primo  formano  tre  croci. 
AntoneUi  :  <  È  indicato  il  punto  cardinale  di 
levante;  ma  siccome  per  tal  foce  sorge  il 
Sole  due  ToHe  l'anno  ai  mortali,  il  Poeta  to- 
glie l'ambiguo  notando  la  droostanza  del  mi- 


glior corso  del  Sole  stesso  e  della  sua  con- 
giunzione con  stella  migliore,  drcostasza  oho 
addita  la  primarera,  nella  quale  il  grande  lu- 
minare è  con  le  stelle  d'Ariete,  IkToiisoe  le 
nostre  regioni  di  maggior  luce  e  calore,  è  in 
▼la  di  recarci  l'estats,  e  con  questa  la  ma- 
tuiadoM  delle  Uade  e  dei  fruttL  Issomma 
il  Poeta  ha  voluto  significare  come  al  gran 
volo  che  imprende  a  narrarci,  oonconerano 
le  migliori  condizioni,  che  la  natura  potesse 
officirgli  :  o  per  tal  modo  riconfermasi  la  spe- 
ranza da  lui  concepita  allorché  gli  fa.  dato 
uscire  dalla  selva  csou^  ».  F.  Angelitti,  BuU. 
yn  188,  dà  questa  spiegazione:  cB  ade  sor- 
ge per  diversi  punti  dell'orizsonte  (/bei);  ma 
quando  sorge  dal  punto  Est  (da  qmOa  eoe.), 
esce  congiunto  con  mlg^or  oorso  (pentbè  per- 
corre r  Equatore)  e  con  migliore  stella  (col 
primo  punto  d'Ariete)  >.  —  89.  maitre  cer- 
eht  ecc.  Alcuni  commentatori.  Lana,  OtL, 
Oass.,  Benv.  ecc.  credono  che  l  cerdit  accen- 
nino allegoricamente  le  virtù  «t«wiiw«  e  le 
croci  le  teologiche,  a  signilcare  ohe  la  grazia 
divina  rlsplende  più  viva  e  propizia  là  ove  so- 
no insieme  congiunte  le  virtù.  —  40.  eoa  mi- 
glior ecc.  col  oorso  della  primavera,  ohe  reca 
i  giorni  più  belli  dell'anno,  e  con  la  oostsl- 
lazlone  d'Ariete,  che  è  la  migliore  di  tutte  per- 
ché congiunta  al  sole  al  momento  della  crea- 
zione del  mondo,  della  nascita  di  Gdsto  eoe 

—  41.  la  mouAaaa  eco.  esercita  meglio  la 
sua  influenza  e  imprime  più  efficacemente  la 
sua  virtù  nella  materia  terrsna;  feconda  in- 
somma deDa  sua  luce  e  del  suo  calore  la  terra. 

—  48.  Fatte  ecc.  Questa  foee  ossia  punto  car- 
dinale di  levante  aveva  già  dato  origine  nel- 
l'emisfero del  Purgatorio  alla  mattina  e  nel 
nostro  alla  sera;  e  perciò  in  quello  il  dnAo 
era  bianco  per  la  luce  del  sole  già  sorto,  in 
questo  invece  era  oscuro  perché  U  sole  era 
già  tramontato.  Ant.  :  <  S' intende  come  es- 
sendo tutto  bianco  l' emisperìo  celeste  del  Pu> 
gatorio,  l'altra  parte,  doò  l'emisperlo  opposto, 
Il  cui  colmo  d  sopra  (Gerusalemme,  Ibsee  tutta 
nera,  dovendosi  riferire  a  tal  fbee  l'avverbio 
guati,  come  attesta  11  &tto  che  il  Sde  aveva 
già  una  declinazione  boreale  di  parecchi  gradi, 
il  perché  non  sorgeva  in  quel  di  per  tal  /boi, 
che  è  fl  punto  cardinale  di  levante  >.  Ange- 
Utti,  1.  dt  :  <  B  guati,  riferito  a  fbee,  sta- 
rebbe a  dinotare  1*  amplitudine  ortiva,  csia 


PARADISO  -  CANTO  I 


555 


quando  Beatrice  in  sul  sinistro  fianco 
vidi  rivolta,  e  riguardar  nel  sole: 
43        aquila  si  non  gli  s'affisse  unquanco. 
£  si  come  secondo  raggio  suole 
uscir  del  primo,  e  risalire  in  suso 
51        pur  come  peregrin  che  tornar  vuole; 
cosi  dell'atto  suo,  per  gli  occhi  infuso 
nell'imagine  mia,  il  mio  si  £dce, 
54        e  fissi  gli  occhi  al  sole  oltre  a  nostr'uso. 
Molto  ò  licito  là,  che  qui  non  lece 
alle  nostre  virtù,  mercé  del  loco 
57       fìitto  per  proprio  dell'umana  spece. 
Io  no  '1  soffersi  molto  né  si  poco 
ch'io  no  '1  vedessi  sfiavillar  d' intomo, 
60       qual  ferro  ohe  bogliente  esce  del  foco;  * 
e  di  subito  parve  giorno  a  giorno 
essere  aggiunto,  come  quei  che  puote 
63       avesse  il  ciel  d'un  altro  sole  adomo. 


Tarco  di  orizzonte  tra  il  ponto  Est  •  il  ponto 
in  eoi  il  sole  sorger»  quel  giorno  ».  —  46. 
qmmi0  eoo.  Beatrice  xigosidaT»  nel  sole, 
stando  Toltata  dalla  soa  parta  sinistra;  poi- 
tàé  neU'endafBro  anatrale  ohi  goarda  ad  oriente 
ha  U  sole  alla  sinistra.  —  48.  afaUa  t  né 
Bai  aqoHa  fissò  con  tuita  sicoresxa  gli  oochi 
nel  disco  solare.  La  sJmiUtndlne  si  fonda  solla 
cndenxa  degli  antichi  ohe  l'aqolla  ayrezzi  i 
saol  figli  a  sostenere  la  Tista  del  sole;  ore- 
danza  coi  accennano  molti  trattatisti  (da  Ari- 
stotela,  D$  mimoL  cap.  84  a  B.  Latini,  Ta- 
taro m  8)  e  non  di  rado  anche  i  poeti  p.  es. 
LMaao,  Fan,  iz  903  :  <  Utqoe  loris  rolo- 
osK^  oalido  oom  protolit  oro  Implomes  natos, 
soUs  eenrertit  in  ortos;  Qoi  potoore  pati  ra- 
dloa,  et  lamine  recto  Snstinoere  diem  ooeli  >  : 
e£r.  andie  Bar,  zzi  8L  —  naf  aaneo  :  cfir. 
Airy.  IT  76.  —  48.  I  sf  eome  eoo.  Come  il 
raggio  riflesso  si  genera  dal  raggio  diretto  e 
risaie  Terso  Tatto  in  contraria  direzione,  a 
gnisa  di  on  pellegrino  che  gionto  al  termine 
di  eoo  Tiaggio  rifa  in  senso  opposto  la  strada 
per  tonare  in  patria  eoe  La  comparazione 
è  la  stsssa  del  Airy.  zt  16-21  ;  se  non  che 
qvi  il  &tto  fisico  è  rappresentato  con  franca 
e  sioara  parola  non  impedita  da  frange  so- 
perfloe  di  sdentiflca  erodixione,  e  qoasi  ani- 
mato dalla  similitodine  inchioBavi  del  pelle- 
grino. —  51.  par  eoaM  eco.  Nota  il  Parodi, 
Batf.  m  85  che  Dante  €  Tede  e  sente  per 
t«— ptwi  o  anche  ona  semplice  parola  e  an- 
che il  pensiero  pi4  estroso  o  più  impalpabile 
e  il  n^onamento  più  astratto  assome  sabito 
neDa  soa  stente  ona  forma  concreta  di  cosa 
sottoposta  ai  sensi,  e,  per  esprimerci  al  mo- 
do antico,  9'  ineama  >;  e  cita  come  esempi 


questo  Terso  e  gli  altri  del  Par,  u  35-36, 
z  89-90,  zm  130  esegg.  — 52.  easf  ecc.  cosi 
dall'atto  di  Beatrice,  che  per  mezzo  del  senso 
tVL  percepito  dalla  mia  mente,  si  generò  Tatto 
mio,  e  anch'io  fissai  gli  occhi  nel  sole.  >  54. 
oltre  a  aestr'aso  t  poiché,  come  Dante  dice 
nel  Con»,  n,  14,  €  proprietà  del  sole  è  ohe  Too- 
ohio  no  '1  possa  sostenere  >,  TafiSsarsi  in  eaM> 
d  atto  soperiore  all'  oso  omano,  atto  soprsna- 
torale,  del  qoale  il  poeta  s'affretta  a  rendere  la 
ragione.  —  55.  Molto  ecc.  Nel  Paradiso  ter- 
restre, dato  già  da  Dio  al  primo  nomo  come 
pegno  dell'eterna  beatitodine(cfr.  Pmg,  zznu 
92),  le  facoltà  omane  per  Tinfloenza  eseroi- 
tata  dalla  perfezione  del  loogo  sono  oapad 
di  molti  atti,  che  qoi  nel  nostro  mondo  non 
sono  concessi.  —  58.  Io  ae  1  eoo.  Non  so- 
stenni la  Tista  del  sole  molto  longamente, 
ma  né  por  cosi  poco  tempo  ch'io  non  aTOssi 
agio  di  Tederlo  sfaTillare  nel  cielo,  con  qoella 
stessa  intensità  di  loco  che  appare  nel  ferro 
osdto  bollente  dai  fboco.  —  60.  qaal  ferro 
eoe  ofr.  Piar,  zznn  89-90.  —  boglieate  :  bol- 
lente ;  ofr.  Purg.  zzto  48.  —  6L  41  saMto 
ecc.  a  on  tratto  parre  raddoppiarsi  U  loca 
del  giorno,  cernesse  Dio  sTesse  dato  al  dolo 
on  allzo  sole.  Qoesto  accrescimento  della  loco 
significa  TaTTidnarsi  di  Dante  alla  sfera  del 
f^ooo,  prìndpio  dei  regni  soperiori  alla  terra, 
e  della  soa  trasomanazione  :  cfr.  t.  79  e  segg., 
oTe  la  condizione  di  qoesta  sfera  è  più  com- 
piotamente  descrìtta,  mentre  qoi  è  solo  ac- 
cennata. —  62.  qoel  ehe  paete  :  Dio,  ohe  poò 
creare,  se  Toole,  on  altro  sole.  —  68.  sTesse 
eco.  Di  qoesto  Terso  si  ricordarono  opporto- 
namente  l'Ariosto,  OrL  z  109  :  <  E  par  che 
aggiunga  on  altro  sole  al  cielo  »,  e  il  Tasso 


556 


DIVINA  COMBfEDU 


Beatrice  tutta  nell* eteme  rote 
fìssa  con  gli  occhi  stava:  ed  io  in  lei 
66       le  luci  fissi,  di  là  su  remote. 
Nel  suo  aspetto  tal  dentro  mi  fei, 
qual  si  fé'  Glauco  nel  gustar  dell'erba, 
69       che  il  fé'  consorto  in  mar  degli  altri  dei. 
Trasumanar  significar  ptr  x>wba 
non  si  porla;  però  l'esemplo  basti 
72       a  cui  esperienza  grazia  serba. 
S'io  era  sol  di  me  quel  ohe  creasti 
novellamente,  Amor  che  il  ciel  governi, 
75       tu  il  sai,  che  col  tuo  lume  mi  levasti. 
Quando  la  rota,  che  tu  sempiterni 
desiderato,  a  sé  mi  fece  atteso 
78       con  l'armonia  che  temperi  e  discemi. 


:i 


Qw,  <t&.  XIV  6  :  <  Qael  novo  aspetto,  Che 
por  d'un  sol  mintbllmente  adorno  >.  —  64. 
Beatrice  ecc.  Beatrice  tenera  attentamente 
gli  occhi  nei  deli,  ed  io  rimorendo  i  miei 
occhi  dal  sole  li  fissai  nel  Tolto  di  lei.  Cosi 
la  grazi*  divina  trapassando  per  l'aspetto  di 
Beatrice  a  Dante  lo  innalzava  alle  sfere  ce- 
lestL  —  67.  Kel  sa»  ecc.  Qnardando  cosi  nel 
volto  di  Beatrice  passai  aX  divk»  dall'umanot 
(M'eterno  dal  tempo  {Pur.  xxn  87),  provai  in 
me  quella  stessa  tramntazione  dallo  stato 
omano  al  divino  che  provd  01aaco.  —  68. 
qaal  il  fé*  eoo.  Olanco,  pescatore  della  Beo- 
zia, vedendo  che  i  pesci  al  contatto  di  un* 
oerta  erba  riprendevano  la  vita,  volle  assag^ 
giamo  e  diventò  un  dio  del  mare.  Dante  lesse 
la  liavola  in  Ovidio,  il  quale  descrive  oosf  il 
tn^asso  di  Glauco  dallo  stato  umano  al  di- 
vino {Mei,  xm  944)  :  <  Vlx  bene  combiborant 
ignotos  guttura  succos,  Cum  subito  trepidare 
intus  praocordia  sensi,  Alteriusque  rapi  na- 
turae  pectus  amore.  Nec  potui  restare  din, 
*  Bepetendaque  nunquam  Terra,  vale  '  disi, 
oorpusque  sub  aequore  mersi.  Di  maris  excep- 
tum  socio  dignantur  honoro,  Utque  mihi,  quae- 
cunqne  feram  mortalia,  demant,  Oceanum  Te- 
thynque  rogant».  —  70.  Trasamanar  ecc. 
Non  si  pud  significar  con  parole  il  passaggio 
dallo  stato  umano  allo  stato  divino,  il  €  mon- 
tare dalla  umanità  alla  diviiJltà  »,  dice  il  Buti; 
di  che  la  ragione  ò  data  da  Tomm.  d' Aq., 
Summ.  P.  I,  qu.  xn,  art  6  :  «  Facultas  vi- 
dendi  Deum  non  competit  intellectui  creato 
secundum  suam  naturam,  sed  per  lumen  glo- 
riae,  quod  intellectum  in  quadam  doiformitate 
oonstituit».  —  71.  però  eco.  per  questo  ba- 
sti Tesempio  di  Glauco  a  coloro,  ai  quaU  la 
grazia  divina  riserba  di  sperimentare  in  sé 
stessi  cotale  tramutazione.  ~  73.  8'  lo  era 
ecc.  Secondo  che  intesero  rettamente  quasi 
tutti  i  commentatori  antichi  e  moderni,  è  ma- 


nifesto òhe  Dante  vuol  esprìmere  qui  lo  stono 
pensiero  delle  parole  di  Paolo  apostolo  rife- 
rite in  ^.  n  28  ;  <  se  fu  in  corpo,  o  ftaor 
del  corpo,  io  non  so  >.  Dice  adunque  :  Se  io 
era  solamente  anima  o  se  saliva  verso  il  cielo 
col  mio  corpo  (cfr.  Bar,  n  87),  lo  sai  tu,  o 
Signore,  che  con  la  tua  grazia  mi  aoUevssti 
ecc.  —  q«el  die  eoo.  <  soilioet  anima  >  po- 
stilla il  Oass.;  infatti,  secondo  le  dottrine  pro- 
fessate da  Dante  {Fitrg,  xxv  61-78),  Dio  in- 
fonde Tanima  nel  ooxpo  umano  nettUammàe, 
cioè  da  ultimo,  quando  questo  è  già  Ibnnato. 

—  74.  Ànor  ecc.  Forse  d  ricordo  di  Boesio, 
ohe  chiama  Bio  (PhìL  eonM.  n,  poeaiaS)  «  ooelo 
Imperìtans  amor»  (cfr.  Moore  I  284).  —  76. 
QaAido  ecc.  Allorehé  il  movimento  dal  deli, 
che  tu  rendi  etemo  per  il  desiderio  eh*  essi 
hanno  di  te,  attirò  a  sé  la  mia  attanrione  con 
l'armonia  che  tu  regoli  e  distinguL  —  77.  dail- 
derato:  U  desiderio  di  rìoongiungani  con  Dio 
è  il  prindpio  motore  dei  deli;  come  Dante 
stesso  accenna  nel  Cbnv.  n  4,  icriva&do  ohe 
r  Empireo  «  è  cagione  al  primo  mobile  per 
avere  velocissimo  movimento,  ohe  per  lo  fer> 
vontìssimo  appetito  che  ha  ciascuna  sua  parte 
d'esser  congiunta  con  ciascuna  parte  di  quello 
divinissimo  dolo  quieto,  in  quello  d  rivolve 
con  tanto  detiderio  ohe  la  sua  relodtà  è  quasi 
inoomprendbile  ».  —  78.  Panttoala  eoo.  Tai^ 
monia  deUe  sfere  celesti  (aooennata  anche  in 
PuTff.  XXX  96)  fu  ammeasa  già  da  Pitagora, 
da  Platone,  da  Oicerone  e  da  altri  filosofi  ; 
ma  Dante  sembra  che  ne  attingeaso  l' idea 
da  Oicerone,  presso  il  quale  Kasdniasa  qdaga 
aSdpione  l'origine  del  suono (flòmwfcaii  So^}, 

—  temperi  a  dlseemli  i  commentatori  non 
sogliono  essere  molto  eaatti  nella  spiaga- 
rione  di  questi  due  verbi,  suggeriti  maail<»- 
staments  a  Dante  dalle  parole  di  Gioerone  : 
<  Eie  [dulcis  sonus]  est,  qui  intervaliia  oo- 
niunctus  imparibus,  sed  taman  pro  rata  par- 


PARADISO  —  CANTO  I 


557 


parvemi  tanto  allor  del  cielo,  acceso 
dalla  fiamma  del  sol,  che  pioggia  o  fiume 
81        lago  non  fece  mai  tanto  disteso. 
La  novità  del  suono  e  il  grande  lume 
di  lor  cagion  m'accesero  un  disio 
84       mai  non  sentito  di  cotanto  acume. 
Ond*ella,  che  vedea  me,  si  oom'io, 
a  quietarmi  l'animo  commosso, 
87        pria  eh*  io  a  domandar,  la  bocca  aprio; 
e  cominciò  :  <  Tu  stesso  ti  fai  grosso 
col  falso  imaginar,  si  che  non  vedi 
90       ciò  che  Tedresti,  se  1*  avessi  scosso. 
Tu  non  se' in  terra,  si  come  tu  credi; 
ma  folgore,  fuggendo  il  proprio  sito, 
93        non  corse,  come  tu  eh'  ad  esso  riedi  ». 
S'io  fui  del  primo  dubbio  disvestito 
per  le  sorrise  parolette  brevi, 
96       dentro  ad  un  novo  più  fui  irretito; 
e  dissi  :  «  Qià  contento  requievi 
di  grande  ammirazion;  ma  ora  ammiro 
99       com'  io  trascenda  questi  corpi  lievi  ». 


tiam  imtion»  HatindU,  impolnictmotaipao- 
nun  orbium  conflcitiir;  qui  aonta  oom  gm- 
TUms  Uffiperantt  Tuios  aequabiliter  ooncen- 
tas  effidt  >.  Onde  •! lioava oh»  il  vb.  iemptrar» 
signiflcA  rtgolant  aecordaré;  e  Q  Tb.  ditotmere 
significa  disimiffueny  dùtribuin  :  poiohé  Dio 
dictribnisoe  i  tuoni  tr»  le  Tuie  sfere  e  li  «o- 
oocdA  foinuuìdo  l'etamA  annonia.  —  79.  par- 
Tead  eco.  ai  apparre  una  parte  ooei  grande 
della  slÌBra  dal  ftiooo  che  mai  d  formò  ooei 
ampio  lago  per  pioggia  caduta  o  per  fiume 
straripato.  0ià  nei  tt.  61-68  Dante  ha  accen- 
nato alla  sfera  del  faoco,  la  quale  secondo  le 
teoriche  da  Ini  professate,  sta  in  mezzo  fra 
la  tena  e  il  dolo  deUa  Inna  :  qni,  dopo  la 
brerre  digressione  sol  trosuirumarv,  speoifioala 
condizione  di  qoesta  sfera  dicendo  che  in  essa 
risonava  Tarmonia  dei  deli  e  rifrigera  una 
luce  abballante  eome  di  eMo  aeeeao  dalla 
fiamma  dA  mL  Erronea  d  Topinione  del  Bntì, 
seguito  da  parecchi,  che  il  grtmd^  kmè  sia 
qneflo  ddla  hma;  né  ha  snifidente  fonda- 
manto  la  tendenza  di  alooni  moderni  a  ne- 
gale dia  Dante  accenni  alla  sfera  dd  fboco. 
—  88.  di  lev  eagloa:  di  conoscere  la  ca- 
gione ddl'  annonia  e  ddlo  splendore.  —  84. 
sisl  naa  eco.  ooei  forte,  che  io  non  arerà  md 
sentito  l'ognale.  —  86.  ella,  oke  eoe  Beatrice 
conosoera  i  pensiert  di  Dante,  senza  eh'  egli 
avesse  bisogno  di  manifestarli,  poichó  li  Te- 
derà in  Dio  (ofr.  Fair,  n  27,  xr  70,  xxi  49, 


zzm  106,  zxnn  97,  zxix  11).  —  86.  eeih 
stessa  :  agitato  dal  dedderio  di  conoscere  la 
cagione  del  snono  e  del  lomo.  —  88.  Ta  stesso 
eoo.  Tn  stesso,  imaginando  dò  che  non  è,  pen- 
sando di  essere  ancora  sulla  terra,  ti  rendi 
incapace  ad  intendere  quello  ohe  ISsdlmente 
capiresti,  se  tu  aresd  rimossa  da  te  ootesta 
fdsa  idea.  —  92.  ma  folgore  eco.  ta  corri 
Torso  il  ddo,  che  è  il  tuo  proprio  luogo,  oon 
Tdodtà  maggiore  di  quella  ddla  folgore  che 
abbandonando  la  sfera  dd  fuoco  da  lanciata 
Terso  la  terra.  —  98.  ad  esse  rledl  t  al  dolo, 
«proprio  dto»  delle  anime,  ritomi;  poichó 
r  anima  usdta  dalle  mani  di  Dio  sos^ra  sem- 
pre di  ricongiungerd  a  lui  (cfr.  Pmrg,  xti  85 
e  segg.).  Dante  stesso  scriTo  nel  Gmv.  it  28: 
«  La  nobile  anima  ritorna  a  Dio,  d  come  a 
quello  porto,  ond'dla  d  partio  quando  Tenne 
a  entrare  nel  mare  di  questa  Tita  >.  —  91. 
primo  dubbie  :  droa  la  cagione  dd  suono  e 
dd  lume.  —  96.  per  le  sorriso  eoe  per  il  bre- 
re  discorso  (tt.  88-93)  olio  Beatrice  mi  fece 
sorridendo.  —  96.  dentro  eco.  mi  troTd  aT- 
Tolto  dentro  a  un  dubbio  più  grare  e  strin- 
gente. —  97.  Già  contento  eoe  Sodisfatto 
dalle  tue  parole,  mi  sono  già  calmato  per  dò 
che  riguarda  il  suono  e  il  lume;  ma  orami  me- 
raTìglio  come  io  essendo  ancora  aom  tìto 
possa  attraTorsare  sdendo  questi  corpi  leg- 
gieri, la  regione  dell'aria  e  del  fàooo.  —  99. 
cori4   fieri  :   gli  elementi  dell'aria  e  del 


568 


DIVINA  COMMEDIA 


Ond'ella,  appresso  d'un  pio  sospiro, 
gli  occhi  drizzò  vèr  me  con  quel  sembiante 
102       che  madre  fa  sopra  figliuol  deliro; 
e  cominciò  :  <  Le  cose  tutte  quante 
hann' ordine  tra  loro;  e  questo  è  forma 
105       che  l'universo  a  Dio  fa  simigliante. 
Qui  veggion  l'alte  creature  l'onna 
dell'eterno  valore,  il  quale  è  fine, 
108       al  quale  ò  £B.tta  la  toccata  norma. 
Nell'ordine  ch'io  dico  sono  accline 
tutte  nature,  per  diverse  sorti, 
111       più  al  principio  loro  e  men  vicine; 
onde  si  movono  a  diversi  porti 
per  lo  gran  mar  dell'essere,  e  ciascuna 
114       con  istinto  a  lei  dato  che  la  portL 
Questi  ne  porta  il  foco  in  vèr  la  luna, 
questi  nei  cor  mortali  è  permotore, 
117       questi  la  terra  in  sé  stringe  ed  aduna. 
Né  pur  le  creature,  che  son  fnore 
d'intelligenza,  quest'arco  saetta, 
120       ma  quelle  e' hanno  intelletto  ed  amore. 


ftaooo.  »  100.  pio  toiplro  t  segno  dellA  oom- 
puslone  ohe  Beatrice  proTava  dell'  ignoranza 
di  Dante.  —  101.  cea  quéi  eoo.  con  qnel- 
V  affettaoeo  atteggiamento  del  toHo  ohe  ha 
la  madre  quando  contempla  11  figlinolo  de- 
lirante per  malattia.  Queste  medoeima  si- 
militudine ricorre  oon  più  abbondanza  di  pa- 
role, ma  non  oon  maggiore  efficacia,  nel  jRir. 
zxn  4-6.  —  108.  •  eoatlaelè  :  Beatrioe  espo- 
ne a  Dante  1*  ordine  dell'  unirerso,  per  chia- 
rirlo del  dubbio  da  lui  concepito  riguardo  alla 
sua  ascensione  Terso  i  cieli;  e  sebbene  la  ma- 
teria sia  puramente  scolastica  e  teologica  e 
dedotte  in  gran  parte  dalla  Summa  di  Tom- 
maso d' Aquino,  pur  ò  notebile  il  modo  onde 
11  poete  ha  saputo  renderìa  agevole  e  de- 
scriverla con  forma  elegante:  perd  a  ragione 
note  il  Varchi  840  :  <  Beatrice  fa  un  discorso 
tanto  dotto,  tanto  breve  e  tanto  sottile  circa 
l'ordine  dell'  universo,  che  a  me  pare  impos- 
sibile che  tante  cose  e  si  grandi  si  potessero 
ristrignere  in  tanto  pochi  versi  e  cosi  leggia- 
dre parole  >.  —  I^e  eose  eco.  Tutte  le  coso 
create  sono  ordinato  tra  loro,  le  une  rispet- 
tivamente alle  altre,  e  quesf  ordine  è  il  prin- 
cipio che  dà  unità  alle  cose  create  renden- 
dole simQl  a  Dio  :  cfr.  Tomm.  d' Aqu.,  Stmtm.^ 
P.  I,  qu.  XV,  art.  1  :  <  Quia  mnndus  non 
est  casu  foctus,  sed  est  factns  a  Deo  per 
intellectum  agente,  neoeese  est  quod  in  mente 
divina  sit  forma  ad  simiHtudmem  cuìtu  mun- 
àu$  ttt  faetua  ».  —  106.  Qui  Teggloa  ecc. 
In  questo  ordine  dello  cose  create  gli  es- 


seri superiori  (gli  angeli,  secondo  alcuni; 
gli  uomini,  secondo  altri;  gli  angeli  e  gli 
uomini  insieme,  secondo  parecchi  oommeB- 
tetori  antichi  e  moderni)  rioonoocono  il  se- 
gno della  sapienza  di  Dio,  che  è  11  fine  ul- 
timo cui  ò  subordinato  l'ordine  accennato. 
— 109.  H ell'ordlM  eoo.  In  quetf  ordine  tutto 
le  cose  create  sono  disposte  ricetto  a  Dio, 
ultimo  fine,  in  diversa  maniera,  alcune  es- 
sendo più,  altro  meno  vidne  a  Dio  stesso. 
—  aeeliae:  queste  forma  di  plurale  (cft.  I^, 
XV  9)  era  prevalente  nell'uso  comune,  anche 
della  prosa  (ofr.  Parodi,  BuiL  JH  122).  — 
110.  per  dlTsrse  sortii  sono  distinte  da 
Tomm.  d'Aqu.,  Summ,,  P.  I,  qu.  ux,  art  1, 
ove  dice  che  procedendo  tette  lo  cose  da 
Dio  tutte  sono  inclinate  al  bene,  alcune  per 
appetito  natarale,  altre  per  appetito  sensttiTo, 
altre  per  la  ragione.  —  112.  oaée  ecc.  però 
nell'immensità  dell'esistenza  lo  coso  cnate 
sviluppano  ciascuna  la  lor  propria  tendenza, 
in  oonformità  al  partioolare  istinto  che  la  tne 
al  suo  proprio  fine;  ofr.  i  w.  180  e  sogg. 
~  116.  (jnevtt  ecc.  Questo  istinto  solleva  il 
fuoco  verso  la  sua  sfera  tn  la  terra  e  la  luna, 
questo  istinto  muove  agli  atti  loro  gli  aaifflalì 
irrazionali  {oor  «nortali),  questo  istinto  è  la 
forza  di  coesione  che  raccoglie  e  tiene  insieme 
le  parti  della  terra. — 118.  lU  por  eco.  E  questo 
naturale  istinto  (cfir.  v.  125)  domina,  non  solo  le 
creature  irrazionali,  ma  anche  gli  angoli  e  gli 
uomini.  —  120.  f«elle  ecc.  Varchi  :  «  Oli  an- 
geli non  muovono  ad  altro  oUctto  cho  por  as- 


PARADISO  -  CANTO  I 


659 


La  provvidenza,  che  cotanto  assetta, 
del  suo  lame  fa  il  del  sempre  quieto, 
123       nel  qual  si  volge  quel  e' ha  maggior  fretta. 
Ed  ora  11,  com*a  sito  decreto, 
cen  porta  la  virtù  di  quella  corda, 
126        che  ciò  che  scocca  drizza  in  segno  lieto. 
Ver  ò  che  come  forma  non  s'accorda 
molte  fiate  alla  intenzion  dell'arte, 
129       perché  a  risponder  la  matera  è  sorda; 
cosi  da  questo  corso  si  diparte 
talor  la  creatura,  o'  ha  potere 
132        di  piegar,  cosi  pinta,  in  altra  parte 
(e  si  come  veder  si  può  cadere 
foco  di  nube),  se  l'impeto  primo 
135        a  terra  è  torto  da  falso  piacere. 
Non  dèi  più.  ammirar,  se  bene  estimo 
lo  tuo  salir,  se  non  come  d'un  rivo 
138       se  d'alto  monte  scende  giuso  ad  imo. 
Maraviglia  sarebbe  in  te,  se  privo 
d'impedimento  giù  ti  fòssi  assiso. 


umUf^ianA  »  Dio,  oh'  è  il  lor  fine;  e  gli  no- 
■iolf  M  non  foMOO  tn,TÌati  dai  pi«o«ri  mon- 
dani, aomprt  si  lirolgerebbeio  a  Dio,  da  coi 
tono  aempra  chiamati,  ed  in  nn  oerto  modo 
dal  dolo».  — >  121.  La  proTrliensa  eoo.  Dio, 
ehe  hn  dato  qoeaf  ordine  all'  nnireno,  oomn- 
Bioa  immediatamente  la  eoa  hioe  al  dolo  Em- 
pireo, nel  quale  d  volge  il  Primo  mobile,  il 
pid  Télooe  di  tattt  —  122.  fa  U  tìék  eoo. 
Dante,  Oom.  n  4  :  «  Qaesto  quieto  e  pacifico 
eielo  iy  Empireo]  è  lo  luogo  di  qoella  somma 
deità,  ohe  sé  sola  oompintamente  redo  >.  — 

126.  Ed  em  eoo.  Ora  la  forza  di  qnell'  istinto 
natozale,  il  coi  line  è  sempre  lieto  perché  se- 
gnato da  Dio,  d  porta  Terso  fl  cielo  Empireo, 
eome  a  laogo  determinato,  doè  direttamente. 
—  125.  di  ^ella  eerda  eoo.  Continua  1*  ima- 
gine  dell'arco  (ofr.  t.  119),  suggerita  forse  a 
Dante  da  Tomm.  d'Aqu.,  Summ,,  P.  I,  qu. 
ixm,  art.  1  :  <  Ad  illud  autem  ad  qnod  non 
potsat  aliquid  virtuto  suae  naturae  pervenire, 
oportet  qnod  ab  alio  transmittatur,  siout  sa- 
gitta  a  sagittante  mittitur  ad  signum  >.  ~ 

127.  cerne  fema  eoo.  come  spasso  accade 
che  all'intendono  dell'artista  non  risponda 
la  forma,  perché  la  materia  non  ò  disposta 
ad  atteggiarsi  in  questa  forma,  cosi  ayyiene 
alcuna  volta  ohe  l' uomo  per  la  libertà  del- 
Faibitrio  s'allontana  dalla  via  del  bene  e 
prende  quella  del  male.  Venturi  889  :  <  Con 
sottile  concetto  paragona  l'amore  del  bene, 
spirato  da  Dio  nel  cuor  dell'  uomo,  all'inten- 
dimento ohe  ha  l'artista  di  fu  buona  l'opera 
sua;  e  0  mal  tuo  della  volontà,  la  quale  deve 


tradune  in  atto  quella  indinadone,  alla  forma, 
per  cui  l'intendimento  dell'artista  d  fa  opera 
d'arte  ».  —  129.  perché  eoe  Dante,  Oom,  u 
1  :  «  Impossibile  ò  la  forma  venire,  se  la  ma- 
teria, dod  Io  suo  soggetto,  non  è  prima  di- 
sposta ed  apparecchiata  >  ;  ove  è  ripetuto  dò 
che  già  aveva  detto  Tomm.  d'Aqu.  8mmn,f 
P.  I  2^t  qu.  IV,  art  4  :  «  materia  non  potest 
consequi  formam,  nid  dt  debito  modo  dispo- 
dta  ad  ipsam  ».  —  180.  dm  qneste  eorso  t 
dalla  via  dd  bene.  —  131.  la  ereatvra  eoe 
r  uomo,  die  per  il  libero  arbitrio  (ofr.  Purg. 
zvi  61-81)  pud,  sebbene  naturalmente  tratto 
al  bene,  prendere  la  via  dd  male,  quando  la 
naturale  tendenza  sia  vdta  alla  tùia,  al  peo- 
oato,  dalle  fslse  parvense  di  bene.  —  186. 
Hon  dèi  eco.  Non  devi  quindi  meravigliarti 
per  il  tuosalire  verso  il  ddo,  oome  non  ti  m^ 
raviglieroeti  ohe  le  acque  d' un  fiume  scen- 
dano dal  monte  alla  valle  :  per  te,  ormai  pu- 
rificato oon  l'immerdone  in  Eunoè,  è  atto 
naturale  il  salire  dalla  terra  al  ddo,  oome 
per  le  acque  dd  fiume  U  discendere  dall'alto 
al  basso.  —  se  bene  ostine:  se  sono  riu- 
sdta  a  dimostrarti  la  ragione  del  tuo  salire.  <— 
189.  Maraviglia  eco.  Sarebbe  cosa  meravi- 
gliosa in  te,  dovrebbe  ecdtare  la  meraviglia 
degli  altri  rispetto  a  te,  se  trovandoti  ormai 
libero  da  ogni  morale  impedimento,  essendo 
<  puro  e  disposto  a  salire  alle  stelle  >  (ISurg, 
min  145),  fosd  rimasto  giù  in  terra,  invece 
di  innalzarti  al  dolo.  —  140.  gld  ti  fessi  as- 
siso :  0  vb.  assiderti  esprime  l' idea  dd  pre- 
paiaid  a  rimanere,  oon  ogni  agio,  lungamente 


560 


DIVINA  COHMEDIi. 


142 


come  a  terra  quiete  in  fòco  vivo  ». 
Quinci  rivolse  in  vèr  lo  cielo  il  viso. 


in  un  dato  luogo;  quasi  Beatrice  dioeiee  a 
Dante  :  so  ta  non  ayeasi  abbandonato  più  il 
luogo  ove  s'era  compiuto  il  tuo  rinnoTamento 
morale.  Questo  passo  quindi  non  contrasta, 
come  a  prima  Tista  potrebbe  sembrare,  con 
r  interpretazione  dei  vr.  87  e  segg.,  riatto 
al  momento  in  cui  oominda  l'ascensione  di 
Dante.  —  141.  cerne  a  terra  eoo.  come  sulla 
terra  farebbe  meravigliare  la  quiete  nel  taooo 
Tiro,  n  fboco  d  quieto  nel  suo  stato  perfetto, 
cioè  quando  ò  nella  sua  sfera  (cfr.  Tomm. 
d'Aqu.  Sìimm.f  P.  I,  qu.  ti,  art.  8:  e  Peifectio 
ignis  est,  secundum  quod  in  looo  suo  quie- 


idt»):  questa  perfezione  non  pu6  cesoie  ta 
terra  ore  il  faooo,ò  ftaori  del  luogo  suo;  per- 
do in  terra  sarebbe  meraviglioso  che  il  ftiooo 
fosse  in  uno  stato  di  quiete.  L'idea  che  il 
ftiooo  folla  terra  abbia  sempre  la  twnienma 
a  saUre  è  propria  di  Aristotele,  jn».  n  l,AÌ0a 
Nio,  n  1,  2  e  Dante  la  enundd  ripstot»- 
mente  (Pitrg,  xvm  28,  Ar.  ir  77,  zzxn  40, 
Cam,  vr  9  ecc.).  — 142.  Quisei  eco.  Ooapiuto 
il  suo  ragionamento,  Beatrice,  che  prima  di 
oomindario  aveva  rivolti  afléttnosameate  gli 
ooohi  a  Dante  (cfr.  w.  100-102),  li 
novamente  verso  0  dolo. 


CANTO  n 

Oltrepassata  la  sfera  del  ftioco.  Beatrice  e  Dante  salgono  al  primo  cielo, 
qnello  della  Luna;  e  appena  yi  sono  ginnti  Beatrice  dimostra  a  Dante  la 
folsità  dell*  opinione  da  Ini  professata  oirca  le  macchie  Innari  e  gli  espone 
la  vera  ragione  di  questo  fenomeno  [14  aprile,  ore  antimeridiane]. 

0  voi,  ohe  siete  in  piocioletta  barca, 
desiderosi  d'ascoltar,  segniti 
8       retro  al  mio  legno  che  cantando  varca. 


n  1.  0  Tel  eco.  Prima  di  procedere  oltre 
nella  descrizione  del  suo  fantastico  viaggio. 
Dante  rivolge  un  ammonimento  ai  lettori,  por 
avvertirli  che  la  materia  della  terza  cantica 
d  tanto  alta  e  solenne  ohe  a  comprenderla 
pienamente  non  bastano  le  cognizioni  ristrette 
della  più  usuale  ooltura,  ma  bisogna  un  largo 
e  profondo  corredo  di  scienza,  che  non  è  di 
tutti  gli  uominL  Nò  questo  ammonimento  èf 
come  parve  a  taluno,  pomposa  e  superba 
ostentazione  di  sapienza,  si  bene  l'espressione 
sinoeta  e  opportuna  dell'alto  concetto  ohe 
Dante  aveva  dell'  opera  sua  :  egli  sentiva  be- 
nissimo come  pur  gli  uomini  comuni  potes- 
sero commuoversi  innanzi  alle  scene  passio- 
nate e  terribili  dell'  inferno  e  come  le  anime 
buone  potessero  seguire  con  un  continuo  so- 
spiro di  desiderio  la  salita  del  poeta  per  le 
dold  mitezze  del  purgatorio  ;  ma  anche  in- 
tendeva che  delle  difflcili  questioni  sdentifiche 
e  delle  alte  trattazioni  teologiche  della  terza 
cantica  non  potessero  renderd  ragione  sicura 
se  non  le  menti  nutrite  per  tempo  col  pan$ 
degU  angeU;  però  l'avvertimento  salutare  a 
non  tentare  il  difficile  cammino  era  opportuno 
e  doveroso.  Si  ofir.  questo  avvertimento  col 
proemio  del  Cknw,  i  1,  ove  Dante  con  più 
temperato  linguaggio  enuncia  gli  stessi  con- 
cetti. —  ehe  slete  ecc.  che,  desiderosi  di 
ascoltare,  avete  tenuto  «lietro  allo  svolgimento 
dell'opera  mia  con  piccolo  corredo  di  cogni- 


zioni flloeoiiohe  e  teologiche.  L' ìmagty^  ^^jq^ 
navigazione,  per  esprimere  l' idea  della  trat- 
tazione e  dello  studio  di  un  difficile  argo- 
mento, era  abbastanza  usuale  anche  prima  di 
Dante  (cfr.  BulL  IX  202).  —  8.  retr^  eoo. 
dietro  al  mio  poema  che  si  viene  eepUcando 
ed  assurge  sempre  più  alto.  Osserva  giusta 
mente  C.  Balbo,  Vita  di  DemU,  FIr.,  1868, 
p.  898  :  <  L' ultima  Cantica  d  tra  le  tre  parti, 
tutte  difficili  e  sovente  oscure  della  Oonmm 
ita,  quella  che  ha  nome  di  più  dUBdle  e 
oscura.  N6  il  nome  ing^nnA^  e  invano  afòr- 
serebbed  chicchessia  di  ridestar  nel  comuae 
de'  lettori  l'attenzione  che  Dante  non  procao- 
dd  a  sé  stesso.  D  comune  de'  lettori  è  e  sarà 
sempre  trattenuto  dagli  ostacoli  e  dalle  alle- 
gorie qui  crescenti,  dall'ordine  de*  deli  dispo- 
sto secondo  il  dimenticato  dstema  di  Tokaieo, 
e,  più  di  tutto,  dalle  esposizioni  di  filosofia 
e  teologia,  cadenti  sovente  in  ted  quad  sco- 
lastiche. Eccettuati  i  tre  canti  di  Caodaguida, 
ed  alcuni  altri  episodii,  ne'  quali  d  zitona 
in  torra,  e  i  fluenti  ma  brevi  verd  in  che 
di  nuovo  rìsplende  l'amore  a  Beatrice,  0  Ai- 
radiso  sarà  sempre  meno  lettura  piacevole  al- 
l' universale  degli  uomini,  ohe  non  ricreasioBe 
speciale  di  coloro  a  cui  giovi  ritrovare  eepresss 
in  altissimi  verd  quelle  contemplazioni  ao- 
pranaturali  che  fkirono  oggetto  de'  loro  stadi 
di  filosofia  e  di  teologia.  Ma  questi  stndiod 
di  filosofia  e  teologiai  ohe  sempre  saran  pò- 


PARADISO  -  CANTO  U 


561 


tornate  a  riveder  li  vostri  liti: 
non  vi  mettete  in  pelago;  ohe  forse, 
6       perdendo  me,  rimarreste  smarriti. 

L'acqna  ch'io  prendo  giammai  non  si  corse: 
Minerva  spira,  e  condncemi  Apollo, 
9       e  nove  Muse  mi  dimostran  l'Orse. 
Voi  altri  pochi,  che  drìszaste  il  collo 
per  tempo  al  pan  degli  angeli,  del  quale 
12       vìvesi  qui,  ma  non  sen  vien  satollo, 
metter  potete  ben  per  l'alto  sale 
vostro  navigio,  servando  mio  solco 
15        dinanri  all'acqua  che  ritoma  equale. 
Quei  gloriosi  che  passare  a  Coleo 
non  s'ammiraron,  come  voi  farete, 
18        quando  Giason  vider  fatto  bifolco. 


chi,  e  quelli  principalmente,  ohe  por  troppo 
SODO  ancora  poohissinii,  a  coi  quelle  dne  scienze 
appariscono  qnasi  ona  sola  cercata  con  dae 
metodi  diTeni:  questi  troTeranno  nel  Para- 
dito  di  Dante  un  tesoro,  oh'  io  mal  dissi  di 
ricreacioni,  ed  d  anzi  d'altissime  e  soavi  oon- 
solaiioni,  annunziatrld  di  quelle  del  vero  pa- 
radiso >.  —  4.  tenfttt  eoo.  rimanete  con- 
tenti aUn  lettura  delle  due  prime  eantiche,  le 
qoaU  non  eorpasMino  la  rostra  capacità,  e 
non  oeate  d'affrontare  la  terza  che  d  tanto  più 
diiBcile  ed  atta.  —  6.  perdeade  ne  t  non 
aTeado  fune  sufficienti  per  tenermi  dietro. 
—  7.  L' eeqma  eoo.  La  materia,  che  io  intra- 
prendo a  cantare  in  questa  cantica,  non  tu. 
mai  da  alcuno  trattata  poeticamente.  Dante, 
si  Tede,  non  oonoseera  i  tentativi  di  rappre- 
sentazioni poetiche  del  paradiso,  fatti  prima 
di  lui,  come  ò  per  esempio  il  poemetto  di  0ia- 
oomino  da  Verona  deDa  Chmtatmmne  oeUsU  : 
ma,  se  andhe  li  oonobbe,  non  poteva  giudi- 
carli degni  della  solenne  materia.  —  0.  e  neve 
Saie  eoo.  e  mi  segnano  la  direzione  del  cam- 
mino le  nove  Muse,  le  protettrici  dell'arte  e 
della  poesiSL  Goti  intesero  gli  antichi,  dal 
Lana  al  VélL;  primo  il  Dan.  dubitò  se  col 
«ose  s'indicasse  il  numero  deUe  Muse  o  non 
pid  tosto  delle  nuova  Muae,  diverse  da  quelle 
degli  antiehL  Dai  moderni,  alcuni  accettarono 
la  pld  usuale  spiegaziotte  ;  e  altri  sviluppa- 
rono la  seeonda  accennata  dal  Dan.  ammet- 
tendo ohe  Minerva  sIgnHIohi  qui  la  sdenza 
delle  cose  sacre,  ApoUo  lo  spirito  santo,  e  le 
«Niose  Muse  siano  oome  personificazioni  dei 
sentimenti  e  delle  idee  cristiane.  È  ragione- 
vole oredaro  che  Dante,  parlando  da  poeta, 
intendesse  di  parlare  deUe  nove  dee  di  Par- 
naso, già  da  M  invocate  collettivamente  nel- 
Vlnf.  n  7  eee.  —  ad  dimoitraa  eoo.  Varchi: 
€  Seguita  meravigliosamente  la  presa  meta- 

DAim 


fora,  perciocché  oome  ciascuna  nave  ha  bi- 
sogno di  tre  cose  a  salvamente  giungere  in 
porto,  dei  venti  favorevoli  che  la  spingano, 
d' un  piloto  pratico  ohe  la  regga  e  governi, 
e  di  chi  ne  dimostri  l'Orse,  cioè  Q  polo  me- 
diante il  quale  si  naviga  oggi  :  ooei  ciascun 
poeta  ha  bisogno  di  tre  cose  principalmente, 
della  invenzione  ovvero  subbietto,  della  di- 
sposizione ovvero  ordine,  déU'eloonalone  ov- 
vero ornato  parlare  ».  —  10.  drizzaste  eco. 
che  sino  da  giovani  alzaste  la  mente  alla 
scienza  delle  cose  divine.  — 11.  pan  degli  an- 
geli t  è  locazione  scritturale  (Solm.  Lzxvn 
26,  8op(«n.  zvi  20)  già  usata  da  Dante  nel 
Ooiw.  1 1  :  <  Oh  beati  que'  pochi  che  seggiono 
a  quella  mensa  ove  il  pane  degli  angeli  si 
mangia,  e  miseri  quelli  che  oolle  pecore  hanno 
comune  cibo  I  >  —  del  quale  ecc.  del  quale 
pane  situale  l' uomo  può  in  terra  cibarsi, 
ma  non  saziarsi,  perché  la  oompiuta  cogni- 
zione di  Dio  si  ha  solo  nel  delo.  — 18.  alto 
sale  t  mare  profondo,  pelago  :  moU  in  questo 
senso  è  latinismo  non  usuale.  —  14.  navigio  x 
Varchi  :  <  non  disse  barchtttaf  ma  navigiOt  per 
dimostrare  che  essendo  in  gran  legno  e  siddo, 
cioè  usati  a  specolare,  non  portano  pericolo 
di  rimanere  indielzo  e  smarrirsi  come  qnoi 
primi  ».  —  servando  eoo.  seguitando  passo 
passo  il  mio  cammino,  tenendo  dietro  al  solco 
della  mia  nave,  innanzi  alla  superUde  delle 
acquo  tornata  piana.  — 16.  Quel  gloriosi  ecc. 
Voi  vi  meraviglierete  assai  pid  die  gli  Argo- 
nauti, passati  per  mare  nella  Colohlde,  non 
fecero  allorché  videro  Giasone  (cfr.  £»/.  xvxn 
86)  che  arava  il  campo  coi  due  tori  spiranti 
fla.mf»>a.  dalle  narL  A^"'^*^  alla  deeorizione  ohe 
della  meraviglia  degli  Argonauti  fa  Ovidio, 
MèL  vn  100  e  segg.  :  <  Suppodtoque  iugo 
pondus  grave  oogit  aratri  Ducere,  et  insuetum 
ferro  prescindere  oampum.  Mirantur  Colchi  :  » 

86 


562 


DIVINA  COMMEDIA 


La  concreata  e  perpetua  sete 
del  deiforme  regno  cen  portava 
21        veloci,  quasi  come  il  ciel  vedete. 

Beatrice  in  suso,  ed  io  in  lei  guardava; 
e  forse  in  tanto,  in  quanto  un  quadrel  posa 
24        e  vola  e  dalla  noce  si  discbiava, 
giunto  mi  vidi  ove  mirabil  cosa 
mi  torse  il  viso  a  sé;  e  però  quella, 
27        cui  non  potea  mia  opra  essere  ascosa, 
volta  vèr  me  si  lieta  come  bella: 

<  Drizza  la  mente  in  Dio  grata,  mi  disse, 
80       che  n*ha  congiunti  con  la  prima  stella». 
Pareva  a  me  che  nube  ne  coprisse 
lucida,  spessa,  solida  e  polita, 
83       quasi  adamante  che  lo  sol  ferisse. 
Per  entro  sé  l'eterna  margarita 
ne  recepette,  com'acqua  recepe 
86        raggio  di  luce,  permanendo  unita. 


ofr.  Moore,  I  227.  —  19.  La  Miereato  eoe 

Dante  riprende  U  descrizione  della  sua  ascen- 
sione  dioendo  che  l'istinto  di  salire  al  cielo 
Empireo  portara  st  Ini  e  Beatrice  con  quella 
stessa  Telodtà  con  la  quale  si  mnore  il  dolo 
stellato  ;  doè,  secondo  1  calcoli  dell'Ani,  rag- 
goagliatì  alle  cognizioni  astronomiche  degli 
antichi,  con  la  Telodtà  di  oltre  84  mila  mi- 
glia al  minuto  secondo,  maggiore  di  quella 
della  folgore  (cfr.  Bir,  1 92).  —  seU  del  del- 
ferae  eco.  il  dedderio  istintÌTo  di  salire  al- 
l' Empireo  fitto  a  imagine  di  Dio,  dedderio 
innato  (Mmomato)  nell'animo  umano  e  ineetin- 
guibUe  (perpttua  :  ofr.  Purg.  xn  1).  —  22. 
Beatrice  ecc.  ofr.  Bsr,  i  li2.  —  28.  In  tanto 
ecc.  nd  brevisBimo  spedo  di  tempo  in  che 
uno  strale  s' appunta  nel  segno  e  trascorre  e 
d  stacca  dalla  balestra  eoo.  La  similitudine 
è  frequente  nd  poeti  nostri,  e  in  Dante  stesso 
{bif,  Tm  18,  xvu  183,  Bar,  t  91);  ma  quid 
di  singolare  efficacia  per  la  novità  e  rapidità 
delle  ospresdoni  corrispondenti  alla  suooee- 
done  delle  adoni  realL  —  yosat  sta  fermo 
ndla  balestra,  dal  momento  in  cui  t'  d  po- 
sato a  quello  in  cui  scocca;  che  è  appunto 
U  tempo  necessario  al  balestriere  per  mirare 
d  segno.  —  24.  dalla  noee  eco.  d  stacca 
dall'osso  ddla  bdestra,  ore  lo  strde  d  pone 
ed  è  fissato,  prima  di  soocoare  :  si  di$ehiana, 
d  dischioda,  d  sdoglìe,  come  $i  dwima  del 
Bar,  zza  86.  —  25.  ève  alrabU  eoo.  ove  la 
luna,  con  il  suo  temperato  splendore,  attirò  a 
sé  il  mio  sguardo  che  prima  «ra  fisso  in  Bea- 
trice. —  26.  f  nella  ecc.  Beatrice,  cui  non  era 
ascoso  dcun  atto  della  mia  mente.  —  28.  reità 
ecc.  volgendosi  a  mo,  poiché  prima  guardava 
iu  ciolu.  —  SI  lieta  eowf  bella  :  gaudiosa  per- 


ché mi  traeva  Terso  la  sede  di  Dio,  e  fdgente 
della  etema  bellezza  dd  bestL  —  29.  Drlssa 
ecc.  Rivolgi  la  mente  con  gratitudine  d  Si- 
gnore, che  d  ha  liattl  salire  sino  alla  Luna, 
il  printo  dei  pianeti  nd  sistema  di  Tdomeo, 
rispetto  alla  Terra.  —  81.  Pareva  eoe  Dante 
e  Beatrice  entrano  nella  sostanza  lunare,  come 
d  ricava  dd  rerd  ohe  seguono;  però  al  poeta 
sembra  di  ossero  avvolto  da  una  nube  nitida, 
densa,  solida  e  liscia.  —  82.  Inelda  eoe  Os- 
serva l'Ant.  die  Dante,  attenondod  alle  oo- 
gnidoni  scientificbe  dd  suo  tempo,  dà  aOa 
Luna,  tre  attributi  conrenienti  (iueida^  tp»- 
«a,  dansa)  e  uno  improprio  {foÙta\  essendo 
la  fÌMCia  di  essa  assd  scabra  e  frastagUats. 
^  83.  qnad  ecc.  comò  un  diamante  esposto 
d  raggi  del  sole.  —  84.  Per  entro  eoe  La 
luna,  corpo  luminoso  ed  inoorruttibUe,  d  ac- 
colse ndla  sua  massa,  oome  la  massa  dell'ac- 
qua accoglie  f  raggi  luminod  senza  disgxe- 
garsL  Ant.:  «  L' imagine  dd  raggio  dì  Joos 
che  penetra  una  massa  d'acqua  senza  disu- 
nirla, ò  felicissima,  e  l'unica  che  la  fidcad 
somministri  per  rodere  oome  eendbilmoate 
possa  venire  un'  occedone  ad  una  delle  leggi 
ddla  natura,  la  impenetrabilità  de'  corpi.  Con 
quella  imagine  viene  a  ritrard,  meglio  cbs 
con  lunga  dissertadone  filoeofioa,  la  folice  tn- 
sformadone  arrenuta  nd  corpo  suo  :  e  4s 
questa  spedo  di  miracolo,  dd  penetrare  b 
sostanza  di  qud  pianeta  senza  disunirla,  li 
là  strada  a  eontempladone  di  più  ahi  mistsii, 
e  al  desiderio  di  eonoeoere  quid  die  ooocenw 
l'ineffabile  inoarnadone  dd  Vsrto  divino». 
—  Marff arlU  s  cfr.  Par,  n  127.  —  86.  rt- 
•epetto  t  riceré,  dall'arodoo  riotpsrf,  foggiate 
sul  lat  ffc^pen.  —  eem*a«f •*  «oc.  Cfr.  Tos- 


PARADISO  -  CANTO  U 


663 


S*io  era  corpo,  e  qui  non  si  còncepe 
com'nna  dimension  altra  patio, 
89       ch'esser  convien  se  corpo  in  corpo  repe, 
accender  ne  dovria  più  il  disio 
di  veder  quella  essenza,  in  che  si  vede 
42       come  nostra  natura  e  Dio  s'unio. 
LI  si  vedrà  ciò  che  tenem  per  fede, 
non  dimostrato,  ma  fia  per  sé  noto, 
45        a  guisa  del  ver  primo  che  Puom  crede. 
Io  risposi  :  <  Madonna,  si  devoto, 
quant*  esser  posso  più,  ringrazio  lui 
4B       lo  qual  dal  mortai  mondo  m*  ha  remoto. 
Ma  ditemi,  che  son  li  segni  bui 
di  questo  corpo,  che  là  giuso  in  terra 
51        fJEm  di  Gain  favoleggiare  altrui  ?  » 

Ella  sorrise  alquanto,  e  poi  :  <  S' egli  erra 
r  opinion,  mi  disse,  dei  mortali, 
54  '     dove  chiave  di  senso  non  disserra, 
certo  non  ti  dovrien  punger  gli  strali 
d'ammirazion  omai;  poi  retro  ai  sensi 
57        vedi  che  la  ragione  ha  corte  l'alL 
Ma  dimmi  quel  che  tu  da  te  ne  pensi  ». 


Mrraxione  del  Parodi  in  Ptir,  i  61.  —  87. 
8*lo  cr»  ecc.  cfr.  Pur,  i  78.  ~  e  qal  ecc. 
•  dato  eh'  io  fossi  corpo,  non  si  concepisce 
eome  dae  dimensioni  potessero  compenetrarsi 
in  una,  la  qnal  cosa  deve  di  necessità  ac- 
cadere se  un  corpo  penetra  in  nn  altro.  La 
questione,  «  ntnim  dao  corpora  possint  simiU 
esse  in  eodem  loco  >,  era  stata  trattata  da 
Tomm.  d'Aquino,  il  qnale  crederà  (Summ.^ 
P.  UT,  snppl.  qn.  LTTim,  art  8)  clie  <  vir* 
tate  diTina  fieri  potest,  et  ea  sola,  qaod  cor^ 
pori  xemaneat  es$$  distinctom  ab  alio  corpo- 
re,  qoannris  eins  materia  non  sit  distincta  in 
sita  ab  altarios  oorporìs  materia;  et  sic  mira- 
euloss  fimi  polMi  quod  duo  wrpara  tfnt  simul 
tfi  »odam  loeo»,  —  eoncepe;  latinismo,  che  oc- 
eofie  anche  nel  Oorw.  i  2.  —  89.  repe  :  pe- 
netra, dal  lat.  npere  —  41.  quella  ecc.  Cristo, 
nel  quale  si  Tede  come  s' onissero  insieme  la 
natala  umana  e  la  divina  ;  ofìr.  I\ir.  zxxm 
127-188.  —  48.  li  il  ?edrà  ecc.  Nel  cielo 
comprenderemo  quei  misteri  che  in  terra  te- 
niamo Tori  per  fede,  e  li  comprenderemo  non 
per  meno  di  dimosfa«zioni  radunali,  ma  por 
intaiaBone;  allo  steso  modo  che  per  intoizione 
ai  eomprende  l'idea  di  Dio,  che  è  la  verità 
iandftmantali».  —  46.  Io  risposi  ecc.  Dopo  la 
pceoadent»  digressione  Dante  ritorna  all'in- 
vito rivoltogli  da  Beatrice  nei  vv.  29-80.  — 
47.  liagraalo  ecc.  rendo  grazie  a  Dio  che 
■i  ha  allontanato  dal  mondo  degli  nomini.  — 


49.  li  segni  ecc.  le  macchie  oscure  del  corpo 
lunare,  che  giù  in  terra  gli  uomini  volgari 
credono  essere  il  fiisoio  delle  spine  di  Caino. 

—  61.  di  Cala  :  per  la  credenza  popolare  già 
altrove  accennata  da  Dante  (cft.  Inf,  zx  126) 
si  veda  St.  Prato,  Caino  9  U  spine  secondo 
Dante  e  la  tradixwms  popoUxrty  Ancona,  1881  : 
ivi  ò  riferita  la  novella  toscana  che  dice  come, 
dopo  avere  ucciso  U  fratello,  «  Caino  cercò 
di  scusarsi,  ma  allora  Iddio  li  rispose  :  *  Abele 
sarà  con  me  in  Paradiso,  e  ta  in  pena  della 
tu' colpa  sarai  confinato  nella  luna,  e  con- 
dannato a  portare  etomamento  addosso  un 
fiiscio  dì  spine  '.  Appena  detto  questo  parole 
da  Dio,  si  levò  un  fortissimo  vento  e  trasportò 
Caino  in  corpo  e  anima  nella  luna,  e  d'allora 
in  poi  si  vede  sempre  la  su'  faccia  maledetta, 
e  il  fardello  di  spine  che  ò.  obbligato  a  reg- 
gere insino  alla  fin  del  mondo,  indizio  della 
vita  disperata  che  li  tocca  trascinare  ».  —  64. 
dove  ecc.  in  argomenti  nei  quali  i  sensi  non 
bastano  a  dare  cognizione  esatta  dello  cose. 

—  56.  eerto  ecc.  tu  non  dovresti  per  certo 
trovare  ormai  alcun  motivo  di  meraviglia, 
poiohó  la  ragione  quando  si  affida  ai  sensi 
non  ha  potenza  di  alzarsi  alla  cognizione  dei 
fenomeni  soprasensibili.  —  66.  poi  :  poiché; 
cAr.  Pwrg.  x  1.  —  68.  cke  tn  ecc.  Danto  nel 
Cknw,  n  14,  seguendo  la  dottrina  averrolstìca, 
aveva  espressa  roplnione  che  le  macchie  la- 
nari dipondessero  dalla  maggiore  o  minore 


564 


DIVINA  COMMEDIA 


Ed  io:  «  Ciò  che  n'appar  qua  su  diverso, 
60       credo  che  il  fasmo  i  corpi  rari  e  densi  ». 
Ed  ella  :  €  Certo  assai  vedrai  sommerso 
nel  £bJ80  il  creder  tuo,  se  bene  ascolti 
63       l'argomentar  ch'io  gli  farò  awerso. 
La  spera  ottava  vi  dimostra  molti 
lumi,  li  quali  nel  quale  e  nel  quanto 
66       notar  si  posson  di  diversi  voltL 
Se  raro  e  denso  ciò  facesser  tanto, 
una  sola  virtù  starebbe  in  tutti, 
69       più  e  man  distributa,  ed  altrettanto. 
Virtù  diverse  esser  convengon  frutti 
di  princìid  formali,  e  quei,  fuor  ch'uno, 
72        seguiterieno  a  tua  ragion  distrutti. 
Ancor,  se  raro  fosse  di  quel  bruno 
cagion  che  tu  domandi,  od  oltre  in  parte 
75        fora  di  sua  materia  si  digiuno 
esto  pianeta,  o,  si  come  comparte 


densità  dell*  Tarlo  parti  della  snpeiflcl»  (efr. 
In  proposito  P.  Toynbee,  Bie.  I  81-86).  Ora 
egli  dichiara  erronea  questa  opinione  e  pone 
in  boooa  a  Beatrice  nn  lungo  ragionamento 
per  oonfatazla  (ofr.  anche  Piar,  zxn  140).  — 
59.  Ciò  che  m'appar  ecc.  Le  diversità,  le 
macchie  che  noi  vediamo  neUa  fkooia  della 
lon*  credo  che  dipendano  dalla  minore  e  dalla 
maggior  densità  delle  sne  partL  —  61.  vedrai 
ecc.  lioonoBcerai  come  sia  del  tatto  fìslsa  la 
tua  opinione,  se  porrai  atteniione  agli  argo- 
menti coi  qnali  m' accingo  a  confutarla.  — 
63.  l'arffomeBtor  eoe  H  ragionamento  di 
Beatrice  4  diviso  in  doe  parti,  la  confata- 
none  dell'  errore  (w.  64-106)  e  la  dimostra- 
xione  della  yerità  (w.  106*148);  e  la  confu- 
tazione si  svolge  cosi  :  Astrattamente  non  può 
ammettersi  la  tua  opinione,  perché  contradioe 
alla  legge  che  diverse  virt&  devono  proce- 
dere da  diversi  principi  formali  (w.  64-72); 
nò  può  ammettersi  concretamente,  perché  o 
la  minore  densità  di  certe  parti  s' astende  a 
tatto  lo  spessore  della  lana  o  solo  sino  a  on 
certo  panto  (v.  78-78),  e  nella  prima  ipotesi 
la  lana  dovrebbe  nei  panti  di  minor  densità 
apparire  diafana  nell'eclissi  solare  (vr.  79-83), 
nella  seoonda,  i  raggi  sebbene  riflessi  da  parti 
pili  lontane  non.  mancherebbero,  e  non  ci  po- 
tzebbero  essere  le  macchie  (w.  88-90),  come 
ti  dimostrerà  l'esperimento  dei  tre  specchi, 
sol  quali  lo  stesso  lume  si  riflette  nella  stessa 
maniera  e  senta  produrre  alcuna  maofihia 
(w.  91-105  ).  Qli  argomenti  di  Beatrice  ri- 
salgono per  gran  parte  al  trattato  di  Alberto 
Magno,  De  coda  ti  «mmiìo,  n  2, 8  (oi^.  Toyn- 
bee, p.  83).  —  64.  La  spera  ecc.  H  dolo 
ottavo  vi  presenta  multe  stollo  fisse,  le  quali 


i^parisGOBO  diiforenli  per  la  qualità  e  quan- 
tità della  luce.  —  65.  ael  qaale  ecc.  cfir.  Par. 
xxnx  92.  —  67.  Se  rare  ecc.  Se  questa  dif- 
ferenza procedesse  oome  da  unica  causa  dalla 
minoro  o  maggiore  densità  dei  corpi  oelestì, 
in  tutti  1  pianeti  sarebbe  una  sola  viitd  va- 
riamente distribuita.  —  tanta:  solamente, 
cfr.  Parodi,  BulL  TEL  185.  —  68.  ed  altret- 
tanto :  Bua  :  «  distribuita  ne'  corpi  oquali 
equalementa  >.  —  70.  Tirttf  ecc.  Le  divene 
virtù  delle  stelle  devono  dipendere  da  diversi 
prindpt  formali,  e  invece  secondo  il  tuo  ra- 
gionamento questi  prindpt  formali  sarebbero 
distrutti  tutti  fuor  che  uno,  quello  della  den- 
sità, ohe  sarebbe  cagione  d' ogni  varietà.  ~ 
71.  prlaelpt  feriali  :  la  filosofia  scolastica 
distingue  nei  corpi  il  frmdfiMm  wialmak 
doè  la  materia  prima,  la  stessa  in  tatti  i'oorpi, 
e  il  pnmoipiium  formai^  che  ò  la  forma  so- 
stanziale costituente  la  spedo  e  le  yirtd  dei 
singoli  corpL  —  72.  sefulterfeae:  sarebbero 
conseguentemente.  —  78.  se  raro  eoe.  se  la 
minore  densità  fosse  la  cagione  delle  macchie 
lunari,  la  quale  tu  vai  ricercando,  potrebbero 
darsi  due  cad,  o  che  questo  pianeta  fosse 
manchevole  di  sua  materia  per  tutto  il  suo 
spessore,  fosse  insomma  in  certi  punti  forato 
dall'una  parte  all'altra,  oppure  che  gli  strati 
dend  e  rari  fossero  distribuiti  oome  nel  oocpo 
umano  le  parti  grasse  e  le  parti  ma^re.  — 
74.  oltre  la  parte  ecc.  in  alcun  punto  sa- 
rebbe manchevole  sino  al  di  là,  sino  alla  parte 
opposta.  —  76.  sf  ee«e  eomparte  ecc.  come 
il  corpo  umano  ò  formato  di  parti  fiassii  e  di 
parti  magre,  oome  nel  corpo  umano  sono  vi- 
dne  certe  parti  piò  rilevate  e  certe  altre  de* 
presse  ;  cosi  nella  massa  della  luna  d  sarsb* 


PARADISO  -  CANTO  II 


665 


lo  grasso  e  il  magro  un  corpo,  cosi  questo 
78       nel  suo  Tolume  cangerebbe  carte. 
Se  il  primo  fosse,  fora  manifesto 
neir  eclissi  del  sol,  per  trasparere 
81        lo  lume,  come  in  altro  raro  ingesto. 
Questo  non  è;  però  è  da  vedere 
dell'altro,  e,  s'egli  awien  ob'io  l'altro  cassi, 
84       falsificato  fia  lo  tuo  parere. 

S'egli  6  che  questo  raro  non  trapassi, 
esser  conviene  un  termine,  da  onde 
87        lo  suo  contrario  più  passar  non  lassi; 
ed  indi  l'altrui  raggio  si  rifonde 
cosi,  come  color  toma  per  vetro 
90       lo  qual  di  retro  a  sé  piombo  nasconde. 
Or  dirai  tu  cli'ei  si  dimostra  tetro 
quivi  lo  raggio  più  cbe  in  altre  parti, 
93        per  esser  li  rifratto  più  a  retro. 
Da  questa  instanzia  può  diliberarti 
esperienza,  se  giammai  la  provi, 
96        ch'esser  suol  fonte  ai  rivi  di  vostr'arti. 
Tre  specchi  prenderai;  e  due  rimovi 


boro  dei  tmtti  piA  denti  e  dei  tratti  piti  rari. 
—  79.  Se  11  primo  ecc.  Se  fosse  la  prima 
oondixione,  apparirebbe  dorante  l'eclissi  so- 
lare, poiché  i  raggi  luminosi  del  iole  intro- 
daoendosi  per  le  parti  meno  dense  della  massa 
hmare  trasparirabbero  Tenendo  sino  a  noi.  — 
80.  traaparere  :  «  4  nn  latinismo,  col  quale 
è  da  oonfirontare  U  nostro  jNMiartf,  e  V  appo- 
rtn  del  Petrarca,  son.  112  [csliy  U],  e  tanti 
altri  esempi  del  tempo  >  (Parodi,  BulL  m 
ia&).  —  SL  eeiM  ÌM  altro  raro  :  come  s*  in- 
trodnoe  in  ogni  altro  oorpo  raro.  —  lagesto  : 
introdotto,  lat  i^ffutiu,  —  82.  Questo  bob  è: 
questo  introdorsi  dei  raggt  solari  per  il  corpo 
dfiOa  luna  non  accade,  e  perciò  la  prima  ipo- 
tesi non  ò  ammissibile.  —  è  da  rodere  eoe 
ò  da  oonsiderara  la  seconda  ipotesi,  e  se  io 
potrò  diaioetrarti  che  non  ò  possibile,  la  toa 
opinione  sarà  provata  erronea.  —86.  S'egli 
è  eoe.  8e  la  minore  densità  non  si  estende  a 
tutto  lo  qwssore  del  oorpo  Innare,  deve  es- 
serci UB  limite,  di  là  dal  quale  la  densità  mag- 
giore non  lasd  pi&  continnare  la  minore  ;  e 
da  questo  limite  il  raggio  laminoso  d' on  altro 
oorpo  si  deve  riflettere,  come  fanno  le  ima- 
gin!  dalle  cose  in  ano  specchio.  —  87.  lo  me 
eentrnrio  eoe  la  densità  maggiore  non  lasci 
paaser  oltre  la  densità  minore.  Qnesta  è  la 
giusta  interpretazione,  data  già  dal  Dan.  ed 
aooolt»  da  parecchi  moderni;  1  più  dei  com- 
mentatoli intendono  invece  :  la  densità  mag- 
giore non  lasci  passar  oltre  il  raggio  laminoso; 


che  sarebbe  erronea  anticipazione  d*an'idea 
estranea  per  ora  al  ragionamento  di  Dante. 
—  88.  indi  !  da  qnesto  ponto  di  separazione 
tra  il  raro  e  il  denso.  —  si  rifonde:  si  ri- 
flette; non  ò  congiontivo,  come  parve  a  pa- 
recchi commentatori,  né  dipende  dal  vb.  00»- 
rtm0,  ma  indicativo  volato  dalla  oostrozione 
coordinata.  —  89.  esme  color  eco.  come  i 
colorì  delle  cose  sono  riflessi  dallo  spocchio, 
dall'  impiombato  wiro  (Inf.  xxm  25).  —  91. 
Or  dirai  ecc.  To  potresti  opporre  che  in  qoel 
ponto  di  separazione  il  raggio  appare  meno 
laminoso,  perché  si  riflette  da  on  ponto  più 
lontano  che  non  siano  i  ponti  della  soporficie 
lonare,  da  on  ponto  interno.  —  94.  Da  qnesta 
eoo.  Dalla  difficoltà  contenota  in  qoesta  obbie- 
zione ti  potrà  liberare,  se  vorrai  farlo,  l'espe- 
rimento che  or  ti  soggerirò.  —  96.  eh*  esser 
ecc.  che  è  spesso  principio  alla  conoscenza 
amane.  È  notevole  certamente  U  latto  che 
Danto  trìboisse  all'esperienza  tanta  impor- 
tanza, per  la  determinazione  della  verità  scien- 
tifica, da  chiamarla  fonte  ai  rivi  delle  arti 
ornane  :  ma  non  bisogna  esagorame  il  valore, 
celebrando  il  poeta  per  qoesto  solo  fatto,  come 
propognatore  del  metodo  sperimentale,  inteso 
nel  senso  moderno  :  Dante  non  fa  altro  che 
ripetere  poeti(»mente  on  concetto  aristotelico 
{MdafU.  I  1  ;  cfr.  Moore,  I  838,  871).  —  97. 
Tre  specchi  ecc.  «  A  me  pare  che  Dante,  col- 
l'eeempio  dei  tre  specchi,  ha  volato  segnalare 
il  principio  che  le  soperficio  piane  laminose, 


5G6 


DIVINA  COMMEDIA 


da  te  d'un  modo,  e  Paltro  più  rimosso 
99        ir*  ambo  li  primi  gli  occhi  tuoi  ritrovi 
BiTolto  ad  essi  fa  che  dopo  il  dosso 
ti  ^a  un  lume,  che  i  tre  specchi  accenda 
102       e  tomi  a  te  da  tutti  ripercosso. 

Benché,  nel  quanto,  tanto  non  si  stenda 
la  vista  più  lontana,  li  vedrai 
105       come  convien  ch'egualmente  risplenda. 
Or,  come  ai  colpi  delli  caldi  rai 
della  neve  riman  nudo  il  suggetto 
108       e  dal  colore  e  dal  freddo  primai; 
cosi  rimase  te  nello  intelletto 
voglio  informar  ^  luce  si  vivace, 
111       che  ti  tremolerà  nel  suo  aspetta 


od  illaminate  in  egtuì  grado,  appaiono  della 
stessa  chiarena  a  qualnn^oe  distanza  siano 
poste,  perché  la  grandezza  dell'  imagrine  e  la 
quantità  di  Inceche  rioeve  la  papilla  da  ciascon 
punto  diminaendo  Tona  e  l'altra  nella  ragione 
inversa  del  qoadntto  della  distanza,  vi  d  nn 
compenso,  ed  ogni  elomento  d'egaal  esten- 
sione dell' imagine  apparente  è  sempre  rap- 
presentato da  ona  stessa  quantità  di  laoe  nel- 
l'ooohio  a  qualunque  distanza  si  osaerri  la 
superficie  >  (F.  Mossotti,  Opu$e,  damL  n.»  7, 
p.  85  ).  —  •  dae  eco.  poni  dae  di  questi 
specchi  equidistanti  da  te,  e  il  terzo  più  lon- 
tano e  in  mezzo  ai  due  primi  ~  100.  Bl- 
Tolto  eoo.  Dietro  le  tue  spalle  poni  un  lume 
rivolto  Terso  gli  specchi  in  modo  che  illumini 
la  saperfìcie  degli  specchi  medesimi  e  si  ri- 
fletta la  luce  Terso  di  te.  —  101.  aceoida: 
illumini;  ricordo  virgiliano  delle  Oéorg.  i  251: 
€  mie  sera  rubens  accendit  lamina  Tosper». 

—  102.  ripercosso  t  riflesso  ;  anche  questo  à 
forse  ricordo  d' una  locuzione  virgiliana,  En, 
vin  22  :  e  Sicut  aquae  tremulum  labrìs  ubi 
lumen  aenis  Sole  repercussum  aut  radiantia 
imagine  lunae  »,  e  dell'ovidiana,  Mei.  u  110: 
e  Clara  reporcnsso  reddebant  lumina  Phoebo  » . 

—  103.  BeBchtf  eco.  Lo  specchio,  posto  nel 
mezzo  0  più  lontano,  rifletterà  U  lume  più  pio- 
colo,  non  presenterà  una  imagine  luminosa 
estesa  corno  quella  dei  due  specchi  latorali  ;  ma 
la  qualità  della  luce  sarà  la  stessa  in  tutti  e 
tre,  e  in  tutti  e  tre  egualmonte  l' imagine  dol 
lume  sarà  senza  macchia.  —  104.  la  vista: 
ciò  che  si  vede  nello  specchio  più  lontano.  — 
106.  come  ai  colpi  eco.  Nota  il  Venturi  115 
che  la  comparazione  è  «  comunissima  a  quasi 
tutti  i  poeti  >,  e  dta  gli  osempt  d'Ovidio,  Met. 
n  806  :  «  Liquitur  ut  glades  incerto  saudo 
solo,  di  Cine  da  Pistoia:  «Se  solo  un  po- 
chettin  sorride,  Qoale  il  sol  neve,  strugge 
i  miei  pensieri  »,  del  Petrarca,  canz.  xxiu 


116  :  4  Né  già  mai  novesotto  al  sol  dlsparre 
Gom'  io  senti'  me  tutto  venir  meno  »  eoe  — 
107.  dtlla  aere  eoo.  tutte  le  coi»  sottostanti 
restano  libere  dalla  neve,  e  insieme  daUa  bian- 
chezza e  dal  freddo  ohe  avevano  piinuu  Coei 
va  inteso  il  passo,  dando  a  auggdt»  un  sento 
comprensivo  e  generico  :  del  solo  tmrmio  in- 
tendono i  più  degli  interpreti  antiohi  e  mo- 
derni; e  il  Lomb.  seguito  da  pareechi  altri. 
Costa,  Tomnu,  Bianchi,  Frat.,  Andr..  spief^ 
erroneamente  :  il  mggitto  o  la  sostanoa  della 
neve  perde  il  odore  eoe;  ma  questa  termi- 
nologia aoolastìoa  in  una  similitudino  dedotta 
con  si  vivo  sentimento  della  realtà  da  un  fe- 
nomeno naturale  sarebbe  del  tutto  inoppor* 
tuna.  — >  109.  eos<  riouMO  eoo.  ood  adesso 
che  tu  tei  rimasto  libero  dall'errore  che  ri- 
copriva il  tno  intelletto,  voglio  oomunicarti 
una  verità  ooaf  grande  che  nel  suo  appazire 
ti  scintillorà  di  luoe  divina.  —  HO.  Um  si 
vlvaet:  è  la  dimostrazione  die  segue  della 
causa  delle  macchie  lunari  :  dasouna  sfora  è 
governata  da  un'  intelligenza  beata,  die  ma- 
nifesta le  sue  virtù  noli'  astro  cui  presiede, 
come  l'anima  umana  esplica  le  sue  facoltà 
nelle  varie  membra  dd  oorpo  da  eesa  infor- 
mato (w.  112-188);  queste  virtù  celesti  pro- 
duoono  diversi  effetti  oon^ungendoai  od  vari 
corpi,  e  da  questa  unione  nasce  una  virtù 
mista  ohe  per  la  lieta  natura  da  cui  deriva 
risplende  nd  oorpo,  come  la  letizia  umana  d 
palesa  nelle  mosse  degli  occhi  (w.  139-144>  : 
da  questa  virtù  mista  deriva  dd  ohe  par  dif- 
ferente da  luce  a  luce,  e  questa  virtù  è  SI 
prindpio  formale  della  apparenza  luminosa  o 
oscura  dd  corpi  odeeti  (w.  145-148).  —  lU. 
ti  tremolerà:  Venturi  115;  «1S  sointiUesà 
nel  presentartid  davanti.  Ma  il  verbo  dan- 
tesco esprime  qud  brillare  tremulo  e  goii- 
zante  che  ò  proprio  delle  stelle;  o  ood  allo 
splendore  della  promessa  verità  oongionge 


PARADISO  -  CANTO  U 


B67 


Dentro  dal  ciel  della  divina  pace 
si  gira  un  corpo,  nella  coi  viriate 
114       l'esser  di  tutto  suo  contento  giace. 
Lo  ciel  seguente,  o'ha  tante  vedute, 
queir  Qsser  parte  per  diverse  essenze 
117       da  lui  distinte  e  da  lui  contenute. 
Gli  altri  giron  per  varie  differenze 
le  distinzion,  che  dentro  da  sé  hanno, 
120       dispongono  a  lor  fini  e  lor  semenze. 
Questi  organi  del  mondo  cosi  vanno, 
come  tu  vedi  ornai,  di  grado  in  grado, 
123       che  di  su  prendono,  e  di  sotto  fanno. 
Riguarda  hene  ornai  si  com*  Io  vado 
per  questo  loco  al  ver  che  tu  disili, 


r  idoa  di  ooM  oeleite  >.  —  112.  Diatro  eoo. 
Nel  cielo  Empireo  nel  qoale  fi  volge  U  primo 
MobUe,  nellA  rirti  dei  quale  ita  l'eeeenn 
di  tatto  ciò  die  4  oontenato  entro  di  eeeo. 
—  118.  «■  eorpe  eoo.  Dante,  Oom,  n  16  : 
€  Lo  cielo  oiistallino,  ohe  per  primo  mobile 
dinanzi  è  contato,  ordina  col  suo  movimento 
la  cotidiAna  rerohizione  di  tutti  gli  altri  ;  per 
la  quale  ogni  di  tutti  quelli  rioerono  e  man- 
dano qoa  giù  la  Tirtd  di  tatto  le  loro  parti. 
Che  ee  la  revolndone  di  qnesto  non  ordinasee 
dò,  poco  di  loro  Tirtd  qoa  gid  Terrebbe  o  di 
loro  vista,...  non  sarebbe  qua  giù  generazione 
né  vita  d*animale  e  di  piante,  notte  non  sa- 
rebbe né  df  né  settimana  né  mese  né  anno; 
ma  tutto  r  oniverso  sarebbe  disordinato  e  '1 
movimento  degli  astri  sarebbe  indamo  ».  ~ 
115.  Le  elei  eco.  L'ottaTo  dolo,  qnello  delle 
stelle  fisse,  distribnisoe  quella  viitd,  che  ri- 
ceve dal  nono,  per  diverse  stelle  oontennte 
in  esso,  ma  da  esso  distinte.  Questo  concetto 
è  òhiaiito  dalle  segnenti  parole  del  Corw.  n 
4  :  e  Qnesto  dolo  di  coi  è  fotta  menzione, 
cioè  Tepidclo  nel  quale  è  fissa  la  stella,  è  uno 
dolo  per  sé  ovvero  spera  ;  e  non  ha  una  es- 
senza con  quello  che  '1  porta,  awegna  che 
pid  sia  connatorale  ad  esso  ohe  agli  altri,  e 
oon  esso  ò  chiamato  uno  dolo,  e  dinominand 
Tono  •  Taltro  dalla  stella».  —  Tedate:  le 
stelle,  che  d  ofbono  agli  occhi  degli  uomini; 
cfir.  Par,  xxx  9.  —  116.  parte  :  comparto, 
distribuisce  ndlé  diverse  essenze  o  stelle.  — 
118.  Gli  altri  eco.  Oli  altri  sette  deli  dispon- 
gono variamente,  in  differenti  maniere,  ai 
loro  fini  e  ai  loro  effetti  le  distinte  virtù  che 
hanno  in  sé,  ohe  sono  loro  proprie.  Bene  il 
Land.  :  «  Geme  U  seme  del  grano  produce  l'ef- 
fetto, doò  fl  grano,  il  quale  di  poi  d  seme  a 
un  altro  grsno  ;  cosi  i  corpi  celesti,  che  sono 
causa  de^  effetti  inferiori,  sono  ancora  effetto 
delle  cause  superiori  a  loro.  Adunque  il  primo 
mobile  ha  virtù  inftisa  da  Dio  e  da'  motori 


suoi,  la  quale  ha  a  conservare  reeser  tao  • 
di  tutti  i  deU  •  dogU  elementi,  1  quali  con- 
tiene in  sé.  Questa  è  virtù  motiva  ed  efllet- 
tiva,  die  muove  tutti  gli  altri  deli  ed  ele- 
menti, e  causa  in  loro  vazt  eflètti,  secondo 
le  loro  varie  potenzie.  E  ood  sempre  la  virtù 
superiore  a*  infonde  in  tatti  gli  inferiori,  • 
cagiona  diverd  effètti,  secondo  che  sono  di- 
verti i  corpi  inferiori,  ma  più  efficacemente 
nel  più  propinquo  inferiore,  e  mutad  secondo 
che  è  differente  1*  uno  dall'altro.  Adunque  il 
nono  delo  più  efficacemente  inf<mde  la  virtù 
sua  essenziale  motiva  e  conservativa  nell'ot- 
tavo che  negli  altri,  e  quello  la  virtù  mu- 
tata in  lui  più  infonde  nd  settimo  che  negli 
altri  ».  —  120.  semenie  i  gli  eflètti,  ohe  pos- 
sono alla  loro  volta  essere  cause  effettive.  — 
121.  Questi  eco.  I  deli,  quad  organi  dd- 
l'universo,  vanno  ood  di  grado  in  grado,  da- 
scuno  ricevendo  l'influenza  dd  delo  imme- 
diatamente superiore  ed  eserdtando  l'influenza 
su  quello  immediatamente  inferiore.  —  122. 
eomt  eoo.  come  oramai  tu  devi  aver  inteso 
dal  mio  ragionamento.  —  124.  Big  iarda  eoo. 
Adesso  ohe  ti  ho  esposto  il  prindpio  fonda- 
mentale, al  quale  d  deve  ricorrere  per  avere 
la  spiegazione  dd  fenomeno  delle  macchie 
lunari,  devi  ben  considerare  ormai  con  quale 
motodo  io  proceda  alla  determinasione  della 
verità,  affinché  pd  tu  possa  da  solo  giungere 
a  conoscere  il  vero.  L'ornai,  che  alcuni  di- 
cono vana  ripetizione,  ò  legame  logico  neces- 
sario per  oongiungere  all'esposizione  prece- 
dente l'avvertimento  di  metodo  che  Beatrice 
or  dà  a  Dante  :  inutile  sarebbe  la  variante 
a  ms,  da  molti  p^erita,  perché  a  sé  stessa, 
al  suo  procedimento  dimostrativo  Beatrice 
richiama  abbastanza  chiaramente  dicendo  :  Bl> 
guarda  oom'  io  vado  ecc.,  mentre  sarebbe  su- 
perfluo dire  :  Riguarda  a  ms,  come  io  vadoeoo. 
125.  questo  loeo:  ordine  di  ragionamento, 
dod  ponendo  un  principio  fondamentale,  a) 


568 


DIVINA  COMMEDIA 


126        8Ì  che  poi  sappi  sol  tener  lo  guado. 
Lo  moto  e  la  virtù  dei  santi  giri, 
come  dal  fabbro  l'arte  del  martello, 
129        dal  beati  motor  convien  che  spiri; 
e  il  cieli  cui  tanti  lumi  fanno  bello, 
dalla  mente  profonda  che  lui  Tolve 
132       prende  Timage,  e  fassene  suggello. 
E  come  Palma  dentro  a  vostra  polve 
per  differenti  membra  e  conformate 
105       a  diverse  potenze  si  risolve; 
cosi  1*  intelligenza  sua  bontate 
multiplioata  per  le  stelle  spiega, 
138       girando  sé  sopra  sua  unitate. 
Virtù  diversa  £&  diversa  lega 
col  prezioso  corpo  eh*  eli*  avviva, 
141        nel  qual,  si  come  vita  in  voi,  si  lega. 
Per  la  natura  lieta  onde  deriva 
la  virtù  mista  per  Io  corpo  luce,  ' 
144       come  letizia  per  pupilla  viva. 

Da  essa  vien  ciò  cbe  da  luce  a  luce 


i 


qua!»  ti  riooUdghi  ogni  partioolare  propoli* 
zione.  —  126.  teaer  !•  gmado  :  pasur  oltxe, 
Avannra  fino  alla  cognizione  del  reto,  — 127. 
Lo  Moto  eoo.  n  morimento  e  l' influenza  dei 
cieli  prooedono  di  necessità  dalle  beate  intel- 
ligenze. —  tanti  girl t  i  deli;  ofr.  JWy.xxx 
98,  Par,  m  76,  xzrm  189  eoo.  —  128.  eome 
dal  f  aM>re  eoo.  come  l'arte  del  martello  non 
produce  i  suoi  efEotti  per  sé  stessa,  ma  per 
opera  del  fabbro.  È  nna  similitadine  ohe  da 
Aristotele,  D$  gm,  anim,  ▼  8,  passò  a  parec- 
chi scrittori  del  medioevo:  e  Dante  se  ne 
Talsepnrenell>0jl<m.in6:  cQnemadmodom 
malleos  in  sola  Tirtate  iàbri  operator,  sic  et 
nnndos  solo  arbitrio  eins  qni  mittit  illom  », 
e  nel  Oono.  r7  4:  d  colpi  del  martello  so- 
no oagione  stromentale  del  coltello,  e  Tani- 
ma  del  fabbro  ò  oagione  efficiente  e  moren- 
te >  :  ofr.  anche  Com,  i  18.  —  129.  beati 
Metors  ofr.  le  parole  del  Ooiw,  n  6  riferite 
in  ^f,  TU  74.  —  180.  il  elei,  eil  tasti  eoo. 
il  dolo  delle  stalle  fisse  riceve  l'impronta 
dell'intelligenza  ohe  lo  mnove  e  la  imprime 
nelle  soe  stelle.  Oli  antichi  commentatori  e 
alooni  moderni  intesero  per  la  nrnuUfiro fonda 
quella  di  Dio;  meglio  il  Varchi,  segolto  da 
tatti  quasi  i  moderni,  vide  accennata  qui 
l'Intelligenza  motrice  di  questo  dolo;  poiché 
appunto  Dio  comunica  la  propria  Tirtd  ai 
deli  per  mezzo  delle  Intellig«ìze  o  angeli  (ofr. 
Bur,  xxvm  89):  e  questa  interpretadone  ò 
la  sola  ammissibile  in  rapporto  col  verso  136. 
—  183,  come  Talma  ecc.  come  l'anima  finché 


è  nel  corpo  umano  opera  per  mezzo  dei  vai! 
organi,  i  quali  sono  conformati  per  l'eeerd- 
do  di  varie  fsodltà,  cosi  l'intelligenza  che 
governa  il  dolo  deUe  stelle  fisse  diifonde  la 
sua  virtd  sulle  stelle  e  conserva  intatta  la 
sua  unità.  —  vostra  polve  :  il  corpo  umano  ; 
locudone  biblioa  dell'  Eoek»,  xn  7  e  dd  Om. 
m  19,  e  anche  dd  poeti  dasdcL  —  185.  a 
diverse  potenze:  ai  diverd  send  dd  tatto, 
della  vista,  dell'udito  eco.  —  si  risolve: 
ò  lo  stesso  che  tpiega  dd  t.  187,  doò  esplica 
in  atto.  —  188.  girando  eoo.  ofr.  Bar,  zm 
60.  —  189.  Vlrfttf  eco.  La  diversa  virtA  del- 
l'Intelligenza  o  angelo  che  muove  un  ddo 
produce  diverd  effetti  nd  pianeta  di'dla  av- 
viva, oh'  eUa  mette  in  movimento.  —  140. 
prealeso  eorpe  :  corpo  celeste,  inoornittibile, 
etemo  e  perdo  predoso.  —  141.  nel  ^nal 
eoe  od  qud  corpo  odeste  d  congiunge,  come 
la  vita  in  voi  uominL  -^  142.  Per  la  natara 
eoe  Questa  virtù  dell'  Intelligenza  infusa  nella 
stoUa  sfavilla  nd  corpo  odeste  in  grazia  della 
lieta  natura  divina,  di  Dio  (ofr.  Buy.  svi  89), 
da  cui  procede.  -^  143,  la  vlrtd  adsta  x  os- 
serva il  Tomm.  ohe  questa  virt6  è  mista  del 
divino  potere  e  ddl' angelico,  e  delle  proprietà 
di  ciascun  corpo  e  di  quelle  che  ad  esso  ven- 
gono da  tutti  i  corpi  superiori.  — 144.  eoaM 
letizia  eco.  come  nell'occhio  umano  d  ma- 
nifesta la  letizia  dell*  animo  nella  vivadtà 
della  pupilla.  —  146.  Da  essa  ecc.  Da  questa 
virtó,  che  l' Intelligenza  motrice  esplica  varia- 
mente, procede  la  varietà  di  luce  tra  stella  e 


PARADISO  -  CANTO  II 


569 


par  differente,  non  da  denso  e  raro: 

essa  è  formai  principio  che  produce, 

148    conforme  a  sua  bontà,  lo  turbo  e  il  chiaro  ». 


stells,  non  già  come  tn  credi,  dalla  maggiore 
o  minore  densità.  —  147.  oma  è  eco.  e  qae- 
sta  Tirt6  à  il  principio  formale  (ofr.  sopra  t. 
71)  die  prodnoe  Voecnrità  e  la  lucentezza  della 
stélla,  secondo  ohe  ai  oonglange  con  eesa  con 
minore  o  maggiore  intensità.  Dnnqne,  le  mao- 
diie  della  Inna  procedono  da  diyexBi  gradi 
d'iniluenza  esercitata  dall'Intelligenza  mo- 
tzioe  di  esso  pianeta.  H  Yarohi,  pp.  602-606, 
oseenr»  ohe  Dante  in  qoesta  trattazione  «  pi- 
glia da  Aristotile  ohe  le  Intelligenze  siano 
forme  dei  ooipi  celesti,  come  Tintelletto  umano 
è  toma  degli  nomini,  cioè  dà  loro  l'essere  e 
ropesaze  ;  dai  teologi  piglia  che  l'nltimo  dolo 
o  piuttosto  il  primo  sia  immoUle,  la  qnal  cosa 
è  tmpoasibileappresso  Aristotile;...  dagli  astro- 
loga piglia  l'inflaenza;  da  Platone  piglia  il 
nono  cielo,  nel  qnale  dice  esser  tatto  le  cose 
Tixtoalmente,  a  simiUtadine  deU' Intelletto 
che  poneya  Fiatone;  e  finalmente  soggiunge 
l'opinione  soa,  la  qnale  è  in  somma,  ohe  le 
macchie  che  d  veggono  nella  lana  Vi  siano 
dentro  sostanzialmente.  Onde  bisogna  sapere, 
che  non  solo  ogni  dolo,  secondo  Dante,  ò  dif- 


ferente di  spezie  da  tatti  gU  altri,  ma  aneoca 
dasoan  dolo  ha  dlTerse  parti  qnale  pid  per- 
fetta e  qoale  meno,  onde  tatte  le  stelle  sono 
dilferenti  di  spezie,  perché  prodncendo  diversi 
effetti  non  possono  avere  1  principi  medesimi, 
e  questo  viene  loro  dalle  Intelligenze;  onde 
quelle  parti  che  sono  pid  perfette  pigino 
più  e  meglio  ricevono  la  virtd  dei  loro  mo- 
tori, e  per  questo  sono  pid  lucide  e  produ- 
cono migliori  effsttt.  E  perché  ciascuno  dolo 
e  dasouna  Intelligenza  ò  tanto^  meno  nobile, 
quanto  pid  d  discosta  da  Dio,  seguita  die  il 
ddo  e  r  Intelligenza  ddla  luna  siano  men 
perfetti  di  tutti  gli  altri,  e  quind  ò  che  non 
pure  il  diafano  del  dolo  della  luna  ò  diffe- 
rente dal  corpo  lunare,  ma  anche  le  parti  di 
essa  luna  sono  diitérenti  l' una  dall'  altra  di 
perfezione,  e  conseguentem^ite  di  chiarezza, 
non  ricevendo  egualmente,  non  la  luce  del 
sole  come  dicono  l'altro  opinioni,  ma  la  virtd 
dell' Intdligenza».  —  148.  tmrboi  torbido, 
oscuro;  pid  ohe  latinismo  ò  forma  propria 
dell'uso  comune  antico  (ofr.  Parodi,  BulL 
mi44). 


CANTO  m 

Nel  cielo  della  Iona  appariscono  a  Dante  le  anime  di  coloro  che  per 
violenza  altrui  non  compirono  1  vóti  religiosi  :  tra  esse  si  manifesta  Pie- 
carda  Donati,  che  chiarisce  al  poeta  un  dubbio  e  gli  parla  a  lungo  di  sé  e 
di  CkMtanza  imperatrice  [14  aprilCi  ore  antimeridiane). 

Quel  sol,  che  pria  d'amor  mi  scaldò  il  petto, 
di  bella  yerità  m'avea  scoperto, 
8       provando  e  riprovando,  il  dolce  aspetto; 
ed  io,  per  confessar  corretto  e  certo 
me  stesso,  tanto  quanto  si  convenne 


m  1.  Qael  sol  ecc.  Poiché  Beatrice  ebbe 
compiuto  il  ragionamento  intomo  alle  mac- 
chie Innari,  Dante  alzò  il  capo  per  oonfeesare 
enonee  le  dottrine  sino  allora  professate  e 
per  didiiaraxd  convinto  della  verità  esposta 
dalla  sua  donna  :  ma  una  nuova  apparizione 
lo  attirò  a  sé,  tanto  da  fargli  dimenticare  la 
ocmfeeniono  oh'  ei  volea  fare.  —  sol  che  pria 
•ce.  Beatrice,  che  sino  dalla  mia  puerizia 
m'avea  innamorato  di  sé  (cfr.  Purg,  xxx  42). 
n  poeta  diiama  moU  la  sua  donna,  qui  ed  al- 
trove {Par.  TEL  76),  per  signifloare  oom'ella 
eonglungesse  in  sé  le  doti  della  sapienza  e 
deQa  virtd  e  diffondesse  sopra  di  lui  la  luce 
yiviaslaa  della  verità  e  del  bene.  ^  ^  41 


bella  ecc.  mi  aveva,  col  precedente  ragiona- 
mento, fatto  conoscere  una  bella  verità  circa 
le  macchie  lanari  e  l' influenza  dei  deli, 
prima  riprovando  ossia  confutando  la  mia  falsa 
opinione,  e  poi  firovando  doò  dimostrandomi 
qoale  fosse  la  vera.  —  4.  per  eoaflsssar  ecc. 
per  dichiararmi  convinto  del  vecchio  errore 
e  persuaso  della  nuova  verità.  ~  5.  tante 
qiauto  ecc.  Secondo  il  Giuliani  sarebbe  da 
riferire  al  oor^istarf  perché  v*  ha  sempre  con- 
venienza del  manifestarsi  corretto  dell'errore 
e  convinto  ddla  verità,  ma  non  cosi  del  par- 
are con  la  faoda  pid  levata,  quando  1'  ab- 
bassarla sarebbe  atto  d'umiltà  e  di  riverenza 
(cfr,  Inf,  zv  45):  ma  ò  da  oiserrare  che  in 


570 


DIVINA  COMMEDU 


6        levai  lo  capo  a  proferer  più  erto. 
Ma  visione  apparve,  ohe  ritenne 
a  sé  me  tanto  stretto,  per  vedersi, 
9        che  di  mia  confession  non  mi  sovvenne. 
Quali  per  vetri  trasparenti  e  tersi 
o  ver  per  acque  nitide  -e  tranquille, 
12        non  si  profonde  che  i  fondi  sien  persi, 
toman  dei  nostri  visi  le  postille 
debili  si  che  perla  in  bianca  fronte 
15        non  vìen  men  tosto  alle  nostre  pupille; 
tali  vidMo  più  facce  a  parlar  pronte, 
per  ch'io  dentro  alPerror  contrario  corsi 
18       a  quel  ch'accese  amor  tra  l'uomo  e  il  fonte. 
Subito,  si  com'io  di  lor  m'accorsi. 


questo  CASO  Dante  avrebbe  detto  qwmdo  tS 
eonvtnira^  e  che  11  passato  indicativo  «m- 
wnM  deve  di  necessità  essere  in  rapporto 
logico  con  U  termine  analogo  levai  lo  capo. 
Vuol  dnnqoe  dire  il  poeta  ohe  nell*  alzare  il 
volto  per  chinarlo  poi  in  segno  d'affermazione 
non  fece  atto  che  potesse  sembrare  di  super* 
bia,  ma  atto  modesto  e  rignardoso;  non  passò, 
come  dice  il  Bnti,  «  lo  modo  >.  —  7.  visione  l 
quale  sia  questa  apparizione  d  descrìtto  n^ 
rv.  10  e  segg.  —  8.  per  vedersi  :  per  essere 
veduta  da  me,  perché  lo  la  vedessi.  —  9.  di 
mia  eoo.  Dante  attratto  dalla  improvvisa  vi- 
sione dimentica  di  oonfessare  l'errore,  come 
già  giungendo  nel  terzo  girone  del  pnigato- 
rìo  si  scordò  di  proferire  le  parole  di  ringra- 
ziamento a  Virgilio,  già  venutegli  alla  bocca 
(cfr.  Puirg.  xv  83  e  segg.).  —  10.  Quali  eco, 
Como  le  imagini  dei  volti  umani  vedati  at- 
traverso vetri  trasparenti  e  tersi  o  attraverso 
limpide  e  quiete  acque  si  presentano  alquanto 
attenuato  e  però  si  percepiscono  meno  pron- 
tamente, alla  stossa  guisa  che  non  si  distin- 
gue subito  una  perla  sopra  una  ftonte  bianca 
ecc.  Dant»  volendo  descrìvere  l' apparizione 
delle  anime,  ohe  nel  delo  della  luna  gli  si 
mostrano  in  figura  corporea  indistinta  per  la 
luce  onde  sono  circonfuse,  non  avrebbe  po- 
tuto scegliere  una  similitudine  più  appropriata 
e  pittoresca  della  presente;  la  quale  perciò, 
quando  sia  intesa  con  predsione  nei  minixoi 
particolari,  non  può  non  parere  una  delle  pid 
belle  ed  effload  del  poema.  ~  12.  B«n  si  eoo. 
pur  che  la  massa  dell'acqua  non  eia  cosi 
grande  che  non  si  veda  più  li  fondo.  Quando 
r  imagine  à  riflessa  dal  fondo,  per  esempio, 
di  un  pozzo,  d  assai  netta  o  distìnta;  se  in- 
vece l'oggetto  ò  posto  a  poca  profondità  dalla 
superficie,  l' imagine  ò  meno  determinata,  per*  • 
che  circondata  dai  raggi  luminosi  che  traver- 
sano tuttala  massa  acquea.  — 13.  le  postille: 
e  postilla,  dice,  l'OtL,  è  quella  imagine  nostra 
che  sì  rappresenta  in  acqua  o  in  ispecchio  o 


altro  corpo  trapassante,  o  vuoli  l'iroscin* 
della  cosa  specchiata  della  materia  ».  H  Blano 
ricorda  che  questa  voce  nel  lat  del  medioevo 
significava  una  nota  marginale  a  spiegnàone 
d'un  testo  qualunque  e  specialmente  della 
Bibbia;  e  soggiunge  :  e  Dante  usa  questa  voce 
con  ardita  metafora  p«  quella  debole  e  im- 
perfetta imagine  d'un  oggetto  che  ti  riflette 
in  un  vetro  o  in  acqua  limpida  ma  poco  pro- 
fonda ;  e  probabilmente  vuol  dire  che  quelle 
deboli  imagini  sono  all'.imagine  perfetta  ri- 
flessa in  uno  specchio  ciò  che  le  noto  suc- 
cinte sono  al  testo  d'un  libro  ».  ~  14.  «he 
perla  ecc.  Venturi  164  :  «  Leggiadra  simili- 
tudine a  mostrare  il  bianco  sul  bianco.  Essa 
rammenta  quella,  non  mono  bella,  dell'Ario- 
sto [OrU  fuir,^  XXIV  66],  ove  dice  che  la  bian- 
chezza deUa  mano  della  sua  donna  non  si 
poteva  distinguere  dalla  bianchezza  doUa  tela 
argentea  che  le  vestiva  il  braccio  infino  al 
polso,  se  non  per  mezzo  del  nastro  porporino 
legato  per  maniglia  al  polso  medesimo  ».  — 
16.  Ben  tolte  i  questa  lezione  è  assai  bella 
ed  efficace  ;  perché  con  essa  ai  ha  una  com- 
parazione tra  la  poca  vivacità  delle  imagini 
riflesse  da  vetro  o  acqua  e  la  peroettìbilltà 
pooo  pronta  della  perla  in  bianca  fh>nto  ;  con 
un  trapasso  doò  da  un  effetto  di  luce  a  un 
altro,  tutti  e  due  per  altro  dipendenti  dal- 
l' intensità  della  luce  stessa.  La  variante  msn 
forUf  accettata  da  alcuni  antichi  e  moderni, 
ò  manifesta  correzione  suggerita  dal  débUi  dol 
V.  14.  —  16.  tali  eco.  cosi  mi  iqiparvero  in- 
distìnte sembianze  di  anime,  che  si  dimostm- 
vano  desiderose  di  parlare  con  me.  —  17. 
dentro  ali*  error  ecc.  caddi  subito  in  un  er^ 
rore  contrario  a  quello  di  Narciso  (cf^.  J»i/. 
XXX  128),  il  quale  vedendo  nell'aoqua  l'ima- 
gine  del  suo  volto  credette  ohe  fosse  volto 
altrui  e  se  ne  innamorò  (Ovidio,  UéL  m  417  : 
«  corpus  putat  esse,  quod  umbra  est  »),  men- 
tre io  credetti  che  fossero  imagini  quelle  sem- 
bianze che  erano  veri  volti.  —  19.  di  l«r  : 


PARADISO  —  CANTO  IH  571 

quelle  stimando  specchiati  sembianti, 
21        per  veder  di  cui  f esser  gli  occhi  tòrsi; 
e  nulla  vidi,  e  ritorsili  avanti 
dritti  nel  lume  della  dolce  guida, 
24        che  sorridendo  ardea  n^li  occhi  santi 
€  Non  ti  maravigliar  perch'  io  sorrida, 
mi  disse,  appresso  il  tuo  pueril  coto, 
27        poi  sopra  il  vero  ancor  lo  pie  non  fida, 
ma  ti  rivolve,  come  suole,  a  vóto: 
vere  sustanzie  son  ciò  che  tu  vedi, 
80        qui  rilegate  per  manco  di  vóto; 
però  parla  con  esse,  ed  odi  e  credi, 
che  la  verace  luce  che  le  appaga 
83        da  sé  non  lascia  lor  torcer  li  piedi  ». 
£d  io  all'ombra,  che  parca  più  vaga 
di  ragionar,  drizza'  mi,  e  cominciai, 
86        quasi  com'uom  cui  troppa  voglia  smaga; 
€  0  ben  creato  spirito,  che  ai  rai 
di  vita  eterna  la  dolcezza  senti, 
C9        che  non  gustata  non  s'intende  mai, 
grazioso  mi  fia,  se  mi  contenti 
del  nome  tuo  e  della  vostra  sorte  ». 
42        Ond'ella  pronta  e  con  occhi  ridenti  : 
«  La  nostra  carità  non  serra  porte 

di  quelle  sembianze.  —  20.  qaellt  eoo.  ere-  alto  ohe  quello  degli  altri  spiriti  beati  :  cflr. 
dondole  imagìni  di  yoltì  ohe  fossero  dietro*  Par.  rv  28-89.  —  82.  la  rermee  eoe.  Dio,  noi 
me,  mi  voltai  indietro  por  vedere  di  quali  quale  trovano  Tappagamento  d'ogni  loro  do- 
esseri  fossero.  —  23.  della  dolce  gvida  eoo.  siderio,  non  le  laseia  allontanare  da  sé,  non 
di  Beatrioe,  che  sorrìdeva  e  aveva  gli  occhi  consente  loro  di  parlare  altro  che  la  verità. 
sCavillanti  di  laob  divina.  Qnesto  aspetto  di  ~  34.  Ed  le  eco.  Dopo  l'avvertimento  di  Bea- 
Beatrìoe  ricorda,  in  parte  almeno,  il  virgi-  trìce,  Dante  si  volge  a  Picoarda  Donati,  ohe 
liano.  Eh.  b  405  :  e  Ad  ooelnm  tendens  ar-  tra  le  altre  anime  si  mostrava  più  desiderosa 
dentia  lumina».  ~  24.  occhi  santi:  ò  la  di  parlare  con  lui;  e  nell'atto  di  indirizzarle 
stessa  espressione  già  usata  in  Pitrg,  xxxi  la  parola  si  sento  quasi  conftiBo  e  turbato  per 
138.  —  26.  appreiso  eoo.  in  seguito  al  tuo  Teocessivo  desiderio  di  conversare  con  quel- 
fianciulleeoo  pensioro:  perla  voce  ooto  ofr.  la  l'anima.  —  86.  qaasl  eco.  La  similitudine 
nota  all'  Btf.  xxn  77.  —  27.  pei  eco.  poi-  dantesca  ricorda  l'espressione  del  Petrarca, 
che  il  tuo  pensiero  non  si  ferma  ancora  con  ball,  xi  8:  «  il  gran  desio  Ch'ogni  altra  vo- 
siourezsa  sulla  verità,  ma  ti  fa  vaneggiare  af-  glia  d' entr*  al  cor  mi  sgombra  ».  —  smaga: 
adandoei  ai  sensi.  Buti  :  «  Tu  sei  usato  di  perturba;  ctr.  Inf.  xxv  146.  —  87.  0  bea  eoe. 
rìconeie  alla  fisica  per  le  cagioni  delle  cose  0  anima  eletta  alla  beatitudine,  ohe,  oontom- 
naturaH,  e  oosi  vi  ricorri  ora  per  cagione  piando  la  luce  etoma  del  paradiso,  gusti  quel- 
delie  cose  sopra  natura,  ed  a  questo  non  è  l' ineffabile  gioia  che  non  può  essere  conce- 
sufficiente  la  fisica,  ma  la  teologia  ».  —  29.  pita  se  non  da  chi  la  prova.  —  89.  che  non 
vere  eoo.  qu^le  ohe  tu  vedi  in  questo  cielo  gustata  eco.  cf^.  Dante,  V,  N,  xxvi  87  di 
non  sono  imagini,  ma  vere  ombre  che  sono  Beatrioe,  «  dà  per  li  occhi  una  dolcezza  al 
assegnate  a  questo  luogo  perché  mancarono  coro  Che  'ntender  nolla  può  ohi  nolla  prova  >. 
«  all'adempimento  dei  loro  vóti.  Queste  anime,  —  40.  graziose  eoo.  mi  sarà  greto  (cfr.  Purg. 
come  tutte  le  altre  dei  beati,  hanno  il  lor  xm  46)  se  tu  mi  dirai  il  tuo  nome  e  qaale 
luogo  nel  cielo  Empireo  ;  ma  appariscono  nel  sia  la  vostra  condizione.  ~  48.  La  nostra 
cielo  della  Luna  per  dimostrazione  sensibile  ecc.  Lo  spirito  di  carità  ondo  siamo  animate 
che  il  grado  della  loro  beatitudine  ò  meno  non  nega  sodisfazione  a  un  giusto  desidorio. 


572 


DIVINA  COMMEDIA 


a  giusta  voglia,  se  non  come  quella 
45       che  vuol  simile  a  sé  tutta  sua  corte. 
Io  fui  nel  mondo  vergine  sorella; 
e  se  la  mente  tua  ben  si  riguarda, 
48       non  mi  ti  celerà  l'esser  più  bella, 
ma  riconoscerai  ch'io  son  Hccarda, 
che,  posta  qui  con  questi  altri  beati, 
61        beata  sono  in  la  spera  più  tarda. 
Li  nostri  affetti,  che  solo  infiammati 
son  nel  piacer  dello  Spirito  Santo, 
54       letiaian  del  su' ordine  informati 
E  questa  sorte,  che  par  giù  cotanto, 
però  n'ò  data,  perché  fQ.r  negletti 


*  quel  modo  che  U  dirina  carità  mole  si- 
mile a  sé  tatto  il  regno  della  beatttadine.  — 
44.  f  e  ■•>  eoo.  appunto  oome  non  le  chiude 
eoo.  —  46.  Io  fai  eoo.  Qi6  nel  rostro  mondo 
io  M  monaca,  e  se  la  toa  mente  si  raoooglie, 
si  ripiega  attentamente  sa  sé  stessa,  non  taiv 
deni  a  rioonosoenni  anohe  in  qnesto  nooro 
stato,  in  questa  beatitadine  della  quale  io  go- 
do. —  47.  ben  il  riguarda  t  Tatto  della  mente 
per  cui  oi  ritornano  innanzi  le  memorie  del 
passato  ò  oome  un  riguardare  oh'  ella  fk  en- 
tro so  stessa  per  ritroraro  quelle  imagini  o  ri- 
membranze  die  or  non  sono  pld  presenti, 
senza  però  ohe  siano  spente  del  tutto.  —  49. 
le  son  Pieearda:  Piooarda  Donati  tu.  figlia 
di  Simone  (cfr.  Inf,  xxx  82)  e  sorella  di  Fo- 
rese (Ptirg.  xzni  48)  e  di  Corso  (Purg.  xzrv 
82);  di  lei  racconta  il  Lana  :  e  Fue  Pieearda 
sororo  di  m.  Corso  dei  Donati  di  Firenze,  la 
qualo  entrò  noi  monasterio  di  Santa  Chiara 
dell'ordine  dei  minori  :  ftie  bellissima  donna. 
Stata  questa  donna  nel  ditto  monastero,  con- 
corse al  ditto  m.  Corso  bisogno  di  fare  uno 
parentado  in  Firenze,  non  area  né  chi  dare 
né  chi  tórre,  si  ohe  fbe  consigliato,  *  Tdi  Pie- 
carda  dal  monistero,  e  fa  tale  parentado'. 
Credette  costui  a  tal  consiglio,  e  sforzosa- 
mente  la  trasse  dal  monisterio  e  fé'  tale  pa- 
rentado >.  L'Ott  aggiunge  che  fu  tratta  di 
monastero  per  essere  data  in  moglie  a  Boa- 
sellino  della  Tosa  florentiao,  ohe  fu  confinato 
con  altri  di  parte  donatesca  nel  ISOl  (Del 
Lungo  n  115)  e  tu.  uomo  yiolento  e  fazioso, 
usurpatore  di  diritti  altrui  (D.  Compagni,  Or. 
m  2)  e  promotore  d' incendi  e  ferito  nei  con- 
trasti cittadineschi  del  1304  (ìtì,  m  8):  se, 
oome  aggiunge  l'Ott.,  la  violenza  di  Corso 
Donati  per  dare  a  Bossellino  la  sorella  tu.  nel 
tempo  «  oh'era  al  reggimento  della  città  di 
Bologna  »,  dovette  accadere  nel  1288  o  nel 
1288,  che  ftarono  gli  anni  di  podesteria  bolo- 
gnese del  Catilina  fiorentino.  —  61.  in  la 
spera  eoo.  nel  cielo  della  luna,  ohe  essendo 
il  più  piccolo  ha  anche  il  movimento  pid  lento 


che  gli  altri.  Della  risposta  di  Piooarda  oa- 
serva  acutamente  il  Capetti,  op.  eit.,  p.  9  : 
«  Piooarda  risponde  colla  soavità  d'una  donna 
gentile,  d'una  vergine  suora  e  d' un'  anima 
beata  :  la  sua  cortesia  chiama  carità  che  si 
conforma  alla  carità  divina  :  anch'  ella,  oome 
Francesca  parla  per  amore,  ma  per  un  amore 
puro  e  universale.  Non  dice  subito  il  suo 
nome,  ma  crede  che  la  cresciuta  bellezza  della 
vita  beata  non  impedirà  a  Dante,  ohe  la  co- 
nobbe nella  vita  terrena,  di  riconoeoerla  qui. 
Ha  poiché  il  poeta  non  à  /Mino  a  rwnem- 
brarla,  la  pietosa  che  non  vuole  indugiargli 
nemmeno  d'un  istante  l'adempimento  del  de- 
siderio, proferisce  il  sao  nome,  ripetendo  due 
volte  la  parola  che  esprime  la  sua  felicità  ». 
—  52.  li  nostri  ecc.  I  nostri  affetti,  che 
sono  infiammati  dalla  beatitudine  ohe  a  Dio 
piace  di  concederci,  gioiscono  di  quella  fieli- 
cita  che  ò  da  lui  ordinata,  conformandosi  ad 
essa.  —  65.  B  qaesta  eco.  E  questo  minor 
grado  di  beatitudine  che  sembra  tanto  infe- 
riore agli  altri  ci  ò  assegnato  per  questo  che 
i  nostri  vèti  ftirono  in  parte  trascurati  e  in 
parte  mancantL  Capetti,  op.  cit.,  p.  10  :  «  Op- 
portunamente il  poeta  ci  dipinge  Rocarda  in 
tal  modo  :  come  dei  sembianti  umani  resta  in 
queste  anime  beate  appena  un'  ombra,  ooei 
del  mondo,  dei  suoi  dolori  e  delle  sue  eolpe 
rimane  un  debole  vestigio,  una  vaporosa  me- 
moria nel  loro  spirito.  Vergini  sorelle  riso- 
spinte a  forza  nel  mondo  non  amarono  il 
mondo;  serbarono  la  verginità  del  cuore  • 
della  mente,  ma  non  ebbero  la  fona  di  lot- 
tare e  di  resistere  alla  violenza;  e  per  questa 
debolezza,  quantunque  non  colpevoli,  quan- 
tunque nella  vita  perfetta,  mancarono  :  Iddio, 
giusto  nel  premiare  come  nel  punire,  le  ha 
poste  nell'ultimo  grado  della  beatitudine, 
sotto  a  quelli  stessi  che  vissero  nel  mondo, 
che  ne  desiderarono  la  gloria,  ma  ftarono  forti. 
Non  ò  dunque  per  sottigliezza  teologica,  ma 
per  un  alto  concetto  della  vita  cho  il  poeta 
colloca  in  basso  luogo  questi  spiriti  miti  e 


PARADISO  -  CANTO  HI 


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li  nostri  TÓti|  e  TÒti  in  alcnn  canto  ». 
Ond'io  a  lei:  €  Nei  mirabili  aspetti 

vostri  risplende  non  so  ohe  divino, 

che  vi  trasmuta  dai  primi  concettL 
Però  non  fui  a  rimembrar  festino  ; 

ma  or  m'aiuta  ciò  che  tu  mi  dici, 

si  ohe  raffigurar  m*ò  più  latino. 
Ma  dimmi:  voi,  che  siete  qui  felici, 

desiderate  voi  più  alto  loco 

per  più  vedere  o  per  più  farvi  amici  ?  » 
Con  quelle  altr' ombre  pria  sorrise  un  poco; 

da  indi  mi  rispose  tanto  lieta 

ch'arder  parea  d'amor  nel  primo  foco: 
€  Frate,  la  nostra  volontà  quieta 

virtù  di  carità,  che  fa  volerne 

sol  quel  ch'avemo,  e  d'altro  non  ci  asseta. 
Se  disiassimo  esser  più  superne, 

fòran  discordi  gli  nostri  disiri 

dal  voler  di  colui  che  qui  ne  cerne, 


famocenti,  traaoinati  dalla  lapina  dei  violenti 
di  quel  aeoolo  ».  ^  67.  lóti  •  TÒtl  i  cfr.  Inf, 
1  86.  —  66.  Hei  virabUl  eoo.  NeUe  to- 
itr»  maxarigliofle  sembiaiue  xisplende  qualche 
eoaa  di  dirino,  ohe  altera  le  sembiaiize  pri- 
nitire,  quelle  ohe  aveste  giù  in  terra.  ^  61. 
IImUb*  t  pronto,  sollecito  ;  lat  futimM,  Dante 
l'un  anche  in  Par.  vm  28,  e  piA  volte  ha 
anche  il  vb.  derivato  ftdinam,  ^  68.  if  ehe 
eoe  di  modo  ohe  mi  rieeoe  pili  agevole  il  rav- 
visare in  te  la  primitiva  sembianza.  L*  agg. 
laUno  in  senso  di  focile,  agevole  (cfr.  Cbnv. 
n  8:  e  A  pift  ìatìnammU  vedere  la  sentenza 
littende  »  eoo.),  si  trov»  qualche  volta  negli 
antichi,  p.  es.  Ci.  Villani,  O.  xi  20:  «  assai 
era  latino  di  dare  audienza  »,  e  vive  nei  dia- 
letti lombardi  :  e  pare  che  qnest'  uso,  almeno 
per  la  frase  ì/càimé  toqui^  fosse  già  presso  i 
romani,  onde  Cicerone,  FiUpp.,  vn  6  diceptott^ 
d  laimB  1oq%$i  a  proposito  dei  parlatori  focili  e 
alU  buona.  —  64.  Mn  dimmi  eoo.  Dante,  desi- 
derando che  Fiocazda  gli  spiegasse  meglio  ciò 
Qh6  aveva  accennato  oirea  la  conformità  del 
volere  dei  beati  al  volere  divino,  le  chiede  co- 
la che  altrimenti  sarebbe  superflua,  cioò  se 
beati  del  primo  cielo  aspirino  di  salire  a  un 
luogo  più  alto.  —  66.  per  pld  vedere  occ  La 
magg^  parte  dei  commentatori  intendono: 
Per  vedere  più  da  vidno  la  divinità,  in  cui 
consiste  ogni  beatitudine,  d  per  rendervi  più 
foodgliari  a  Dio;  ma  già  il  Tomm.  e  poi  più 
piMisamente  lo  Scart,  considerando  questa 
iiff**»^*^  in  rélasione  alle  precedenti  parole  di 
Fiocarda  (w.  62-6A)  e  a  dò  che  Tomm.  d' A* 
q[oÌno,  Smmn,  p.  I  2>*,  qu.  rr,  art  8,  dice 


della  necessità  che  le  anime  beate  hanno  del- 
l'amicizia, spiegarono:  Deiiderate  voi  di  es- 
sere in  luogo  più  alto  per  vedere  più  amid  òhe 
lassù  si  ritrovano  o  per  forvi  un  maggior  nu- 
mero di  amid  tra  i  beati?  La  quale  spiega- 
done  d  confermata  dal  Catto  che  Dante  non  sa 
ancora  tutte  le  anime  elette  essere  nel  dolo 
Empireo. — 68.  da  indi  :  quindi,  appresso,  lat. 
deinde.  —  69.  eh'  arder  occ  che  sembrava 
ardesse  nd  veemente  ftiooo  d'un  primo  amore. 
Venturi  254  riavvicina  questa  similitudine 
a  quella  del  Boar,  ix  70-71  e  la  loda  come 
«  nuova  forma  ad  esprimere  lo  stesso  con- 
cetto», notando  ohe  in  entrambe  è  espressa 
ridea  di  letizia  che  viene  da  un  ardente  sen- 
timento di  carità.  —  70.  Frate  :  continua 
nella  tersa  cantica,  sebbene  meno  frequente, 
r  uso  di  questa  voce  ud  rivolgerti  a  una  per- 
sona cara:  cfr.  Far.  vn,  68,  180,  zxu  61  e 
la  nota  al  Purg.  iv  127.  —  la  nostra  ecc.  la 
nostra  volontà  ò  appagata  dalla  virtù  della 
cariti,  la  quale  limita  i  nostri  deddexl  a  dò 
che  abbiamo  e  non  d  invoglia  di  altro.  ^ 
78.  Se  ecc.  Se  nd  avessimo  U  desiderio  di  es- 
sere in  un  delo  più  alto,  questo  dedderio 
sarebbe  discorde  dal  volere  di  Dio,  che  ci  ha 
assegnato  questo  ddo.  —  76.  eht  ^li  ne 
eemti  i  più  dd  commentatori  antichi  e  mo- 
derni spiegano  quest'espressione  vagamente, 
senza  precisare  il  significato  del  vb.  e$m»  : 
il  Vent.,  seguito  da  mdti,  l'intende  per  sos- 
giiéj  ditknffMj  eepara  ;  lo  Scart  per  vede  ;  ma 
forse  à  da  preferire  la  ddosa  dd  Buti,  che 
diede  al  vb.  eem»  U  valore  di  gtudteoy  inten- 
dendda  un  po'  largamente  nel  senso  che  Dio 


574 


DIVINA  COMMEDIA 


che*  yedrai  non  capere  in  questi  giri, 
s'essere  in  caritate  è  qui  necesse, 
78        e  se  la  sua  natura  ben  rimirL 
Anzi  è  formale  ad  esto  beato  esse 
tenersi  dentro  alla  divina  voglia, 
61        per  ch'una  fan  si  nostre  voglie  stesse. 
Si  che,  come  noi  sem  di  soglia  in  soglia 
per  questo  regno,  a  tutto  il  regno  piace, 
84        come  allo  re  eh' a  suo  voler  ne  invoglia; 
e  la  sua  volontate  è  nostra  pace: 
ella  è  quel  mare,  al  qual  tutto  si  move 
87        ciò  eh'  ella  crea  e  che  natura  face  ». 
Chiaro  mi  fu  allor  com'ogni  dove 
in  cielo  è  paradiso,  e  si  la  grazia 
90       del  sommo  ben  d'un  modo  non  vi  piove. 
Ma  si  com'egli  awien,  se  un  cibo  sazia 
e  d'un  altro  rimane  ancor  la  gola, 
93        che  quel  si  chiede  e  di  quel  si  ringrazia; 
cosi  fec'io  con  atto  e  con  parola. 


assegna,  per  suo  giadizio,  alle  anime  la  sede 
In  questo  cielo.  —  76.  che  reAral  eoo.  la 
qoal  c(»a  intenderai  ohe  non  può  aver  luogo 
in  paradiso,  se  ò  necessario  die  qui  si  sia 
dominati  dalla  carità  e  se  consideri  che  l'è»- 
senza  della  carità  ò  appunto  nel  conformarsi 
alla  volontà  divina.  —  78.  e  se  la  s«a  eoo. 
La  natura  della  carità  4  cosi  dichiarata  da 
Tomm.  d'Aquino,  Summ,^  p.  I,  2*«,  qu.  cix, 
art.  3  :  e  Chaiitas  diligit  Deom  ...  seoundnm 
quod  est  obiectum  beatitudinis,  et  secundnm 
quod  homo  habet  quandam  iocietatem  spiri- 
tualem  cum  Deo.  Addit  etiam  oharitas  supor 
naturalem  dilectionem  Del  promptitudinem 
quandam  et  delectatloneni,  lioat  habitus  qui- 
libet  virtntis  addit  super  actum  bonum  qui 
flt  ex  sola  naturali  ratione  hominis  yirtutis 
habitum  non  babentis  ».  —  79.  Amai  eoo.  Anzi 
^  essenziale  a  questa  vita  di  beatitudine  il 
tenersi  entro  i  limiti  della  volontà  divina, 
nella  quale  si  concentrano  tutte  le  nostre 
volontà.  La  volontà  di  Dio,  secondo  TomM. 
d'Aquin.,  Summ,  p.  II*«,  qu.  civ,  art  1,  è 
e  prima  regula  qua  regulantur  omnes  ratio- 
nales  voluntates  ».  —  82.  Si  che  eoe  Di 
modo  che  la  nostra  distribuzione  per  1  vari 
cieli  di  questo  regno  piaoe  a  tutti  i  beati, 
come  place  a  Dio  che  suscitò  in  noi  la  volontà 
conforme  alla  volontà  sua.  —  di  soglia  ìm 
soglia:  di  grado  in  grado,  di  cielo  in  cielo; 
cfr.  Par.  xxxn  13.  —  85.  e  la  laa  eoo.  e  la 
volontà  divina  ò  cosi  il  principio  della  nostra 
beatitudine,  è  quel  fine  ultimo  cui  sono  di- 
retto tutto  lo  coso  creato  dirottiimonto  «la  Dio 
0  por  mozzo  dulia  natura.  —  8ti.  e^ai  dove 


•oc  ogni  parte  del  cieli  ò  luogo  di  boatitn- 
dine,  e  pur  tuttavia  la  grazia  divina  d  dispen- 
sata leoondo  l  mariti  nelle  varie  parti  in  ▼»- 
ria  misura.  È  oonforme  alla  dottrina  t»ologfca 
esposta  da  Tomm.  d'Aqo.,  Smnm,  p.  XIL 
suppL,  qu.  xom,  art.  2,  8:  «  Diversi  modi 
oonsequendi  finem  ultimum  diversae  manaio- 
nes  dicuntor;  ut  sic  unitas  domnt  re^on- 
deat  unitati  beatitudinis,  quae  est  ex  part* 
obieoti,  et  pluralitas  mansionum  lespondaat 
diiferentiae,  quae  in  beatitudine  inveoitor  ex 
parte  boatorum...  Prinolpiam  distìnctivom 
mansionum  slve  gzaduum  beatitudinis  est  du- 
plex, scilioet  proplnqiuiffl  et  ranotam  :  ^ropin- 
quum  est  diversa  dispositio  quae  erit  in  bes- 
tia, ex  qua  oontinget  divenitas  peifeotionis 
apud  eoe  in  operatione  beatitudinis  ;  sed  prin- 
oipium  remotum  est  meritnm,  qao  talem  be»- 
titudinem  conseouti  sunt  >.  ^  89.  e  si  :  e  por 
essendo  cosi,  •  dò  non  ottante.  Questo  ò  il 
preciso  senso  della  locuzione  dantesca,  nelU 
quale  erroneamente  si  d  volato  vedere  dai 
pid  un  riflesso  del  lat  itei,  coi  quale  nulla 
ha  di  comune.  —  91.  «mi'  «gli  nvTlen  ecc. 
oome  suole  accadore,  quando  di  un  cibo  si  ò 
sazi  e  di  un  altro  resta  desiderio,  ohe  di  que- 
sto se  no  domanda  ancora  •  di  quello  si  rin- 
grazia. —  93.  ^nel.-  qnel:  oeMrvail  GioL 
ohe  Dante  usò  avvertitamente  q%t§Oo  e  qmlh 
in  vece  di  quitto  e  ^vsUo,  perché  si  V  ano 
che  l'altro  cibo  sono  del  pari  indeterminati 
nel  caao  generale  qui  aooennato.  "  94.  Use' le 
eco.  con  atti  e  con  parole  ringraziai  F&ocarda 
d'avermi  illuminato  sopra  uno  dei  punti  dub- 
biosi e  la  pregai  di  chiarirai  sopra  on 'altre. 


PARADISO  -  CANTO  IH 


575 


per  apprender  da  lei  qual  fu  la  tela, 
96        onde  non  trasse  insino  a  co'  la  spola. 
€  Perfetta  vita  ed  alto  merto  inciela 
donna  più  su,  mi  disse,  alla  cui  norma 
99        nel  vostro  mondo  giù  si  veste  e  vela, 
perché  in  fino  al  morir  si  vegghi  e  dorma, 
con  quello  sposo  ch'ogni  vóto  accetta, 
102        che  cantate  a  suo  piacer  conforma. 
Dal  mondo,  per  seguirla,  giovinetta 
fuggi'  mi,  e  nel  suo  abito  mi  chiusi, 

105  e  promisi  la  via  della  sua  setta. 
Uomini  poi,  a  mal  più  ch'ai  bene  usi, 

fuor  mi  rapiron  della  dolce  chiostra; 

106  e  Dio  si  sa  qual  poi  mia  vita  fusi. 


'  95.  per  spprtader  ecc.  per  sapore  da  lei 
qnal  fòsse  il  vóto  oh'  ella  non  potè  ossenrare 
eompintamente,  come  fti  eh'  ella  non  con- 
dusse sino  alla  Une  la  vita  xeligiosa  da  lei  in- 
eomindata.  Land.  :  e  Qaeeto  secondo  dtibb\o, 
del  quale  volea  essere  chiarito,  era  d'inten- 
dere qnal  fa  la  flta  sna  ohe  essa  cominciò 
nella  religione,  ma  non  la  fini  ;  e  parla  per 
trasladone  chiamando  la  yita  Ma,  della  quale 
«sa  non  trasse  la  spola  inaino  al  eo',  cioè 
insino  al  capo,  doò  insino  alla  fine,  per  ciò 
che  la  spola  ò  quella  che  condnce  il  filo  della 
trama  di  qoa  in  là  tanto  che  la  tela  s'empie  >. 
—  96.  eo*  :  cCr.  Piirg.  m  128.  —  97.  Perfetta 
•ce.  L'alto  merito  di  nna  vita  di  perfezione 
(Tomm.  d'Aqn.,  Summ.  P.  I  2»*,  qu.  xcix, 
art  6  :  «  P^feeUo  hominis  est  nt,  contemptis 
tamporalibos,  splrìtnalibos  inhaereat  »,  e  P. 
II  2m,  qn.  ctv,  art.  8  :  «  Meritum  Tirtaosi 
actos  consistit  in  hoc  qood  homo,  contemptis 
bonis  creatis,  Deo  inhaeret  siont  fini  »)  hanno 
collocato  in  nn  cielo  più  alto  nna  donna  santa 
eoo.  —  96.  donna  eco.  Qnosta  donna,  secondo 
la  coi  regola  gid  nel  mondo  nostro  si  pren- 
dono gli  abiti  religiosi  e  il  velo  monacale,  ò 
santa  Chiara  d'Assisi,  nata  nel  1194  e  morta 
nel  1258,  la  qnale  per  divozione  al  suo  con- 
cittadino san  Francesco  si  dio  alla  vita  di  pe- 
nitenza, e  per  i  consigli  di  Ini  eresse  nel  1212 
nn  monastero  per  le  donne  e  fondò  una  re- 
gola monastica,  che  presto  si  diifose  in  tatta 
ritelia  (cfr.  J.  Orsbach,  Lebm  dar  heiUgen 
Clara,  Aqoisgrana,  1844;  Demore,  Léban  dar 
haiL  Clara  9on  Aaaiai,  Begensborg,  1857). 
Dante  non  dice  in  qnal  cielo  di  paradiso  avesse 
soo  luogo  questa  santa  donna.  —  100.  perche 
ecc.  con  vóto  di  serbarsi  contìnuamente  fe- 
deli a  Dio,  a  quello  sposo  che  accetta  ogni 
promena  die  nasca  dalla  carità  e  sia  conforme 
al  suo  volere.  —  si  vegghi  e  dorma  :  si  stia 
giorno  e  netto,  continoamonte.  —  101.  sposo  : 
Oes6  Cristo  ;  locuziono  evangelica  (oCr.  Matteo 


n  15,  XXV  1,  6;  Marco  n  19;  Luca  v  84; 
eiovanni  m  29).  ~  106.  Dal  mende  eco.  Es- 
sendo ancora  giovinetta  abbandonai  il  mondo 
per  seguire  l'eeempio  di  santa  Chiara,  e  ve- 
stii l'abito  monacale  e  twA.  promessa  di  os- 
servare la  regola  francescana.  —  106.  la  via 
ecc.  la  regola  dell'ordine  fondato  da  santa 
Chiara.  —  ietta  :  compagnia,  ordine.  —  106. 
Uomini  eoe.  Piccarda  accenna  non  propria- 
mente agli  esecutori  materiali  della  violenza 
compiuta  contro  di  lei,  ma  a  quelli  che  l'or- 
dinarono, cioè  al  fratello  Corso  e  ad  altri  pa- 
renti delia  casa  dei  Donati  detta  fiorentina- 
mente dei  Ifalefami  (cfr.  Q,  Villani,  Cr,  vai 
89),  e  fors' anche  a  Bossellino  della  Tosa, 
che  non  potè  rimanore  estraneo  al  fatto.  — 
107.  faer  ni  rapiron  eco.  Bodolfo  da  Tossi- 
gnano,  Histor.  sèraph,  religùmia,  P.  I,  p.  188, 
raccogliendo  forse  nna  tradizione  viva  in  Fi- 
renze, racconta  ooef  il  ratto  e  la  vita  poste- 
riore di  Piccarda  :  «  Corsus  fhiter  adversus 
sororem  virginem  ira  perdtus,  assumpto  se- 
cum  Farinata  sicario  famoso  et  aliis  duodecim 
perditissimis  STOophantis,  admotisque  paxie- 
tìbus  schalis,  ingressus  est  septa  monaaterii: 
captamque  per  vim  sororem  ad  patemam  do- 
mum  secum  adduxit,  et  sacris  disdssis  vesti- 
bus,  mundanis  indutam,  ad  nuptias  ooegit. 
Antequam  sponsa  Christi  cum  viro  conveni- 
ret,  ante  imaginem  crucifixi  virginitatem  snam 
spense  Christo  oommendavit  Mox  totum  cor- 
pus eius  lepra  peronssum  Aodt,  ut  cementibus 
dolorem  incuteret  et  hoirorem  :  itaque,  Deo 
disponente,  post  aliquot  dies  cum  palma  vir- 
ginitatis  migravit  ad  Dominum  >.  Alcuni  an- 
tichi commentatori,  Ott.,  Cass.,  Benv.,  accen- 
nano anch'  essi  a  questa  fine  di  Piccarda  :  ma 
sembra  una  leggenda  posteriore,  rifiorita  in- 
tomo al  fitto  delle  violente  nozze  e  della  do- 
lorosa vita  della  forzata  sposa.  ~  108.  e  Dio 
ecc.  Dante  ricopro  come  d'un  velo  la  vita  di 
Piccarda  dopo  die  tu.  costretta  a  uscire  dal 


576 


DIVINA  COMMEDIA 


E  quest'altro  splendor,  che  ti  si  mostra 
dalla  mia  destra  parte,  e  che  s'accende 
111        di  tatto  il  lume  della  spera  nostra, 
ciò  ch'io  dico  di  me  di  sé  intende: 
sorella  fa,  e  cosi  le  fa  tolta 
114       di  capo  l'ombra  delle  sacre  bende. 
Ma  poi  che  pur  al  mondo  fa  rivolta 
contra  suo  grado  e  centra  buona  usanza, 
117        non  fu  dal  Tel  del  cor  giammai  disciolta. 
Quest'ò  la  luce  della  gran  Ck)stanza| 


diiofltro  ;  o  cosi  noUa  indetenninatazza  di  que- 
sto TeiBO  lasci*  al  lettore  d'imaginaro  i  mo- 
rali tonnentl  della  infelloe  donna,  ooetxetta  a 
Tivere  aceantó  ad  nn  nomo  non  amato  e  con 
lo  strazio  d'ayer  mancato  ai  sacri  vóti  :  arte 
maravigUosa,  che  qni  e  negli  episodi  di  Fran- 
cesca e  di  Pia,  ore  piare  e*  ammira  qnesta 
poesia  del  mistero  (cfr.  Inf,  ▼  188,  Btrg,  ▼ 
484),  tocca  e  scuoto  il  onore  Taramento  nmano 
per  intima  tìM  della  parola  dominata  dai 
pili  delicati  sentlmentL  —  ^al  poi  ecc.  qnale 
si  fu  la  mia  vita  dopo  U  ratto.  Sorire  in  pro- 
posito di  qnssti  versi  Q,  Todesohini,  BmM 
su  DamUy  toL  I,  p.  887:  e  Ohi  legge  atton- 
tamento  il  terso  •  il  quarto  canto  del  Paradiso 
soorge  maaiiésto,  essere  stata  ferma  persoa- 
sione  di  Dante,  che  Ficcarda  non  mai  si  ao- 
condasse  con  animo  rolonteroso  alla  condi- 
ilone  Tiolentomento  impostale  dal  ihitéllo,  ma 
pare  non  osasse  di  sciogliersene  per  timore 
di  nooyi  danni  ;  eh'  ella  conservasse  Tamore 
della  soa  professione  religiosa,  ma  poro  non 
avesse  il  coraggio  di  rompere  risolatamento 
gli  ostacoli,  che  il  mondo  avea  fin^poeti  al- 
l'osservanza de'  snoi  v6ti.  Le  parole  di  Danto 
ci  lasdano  campo  a  credere  die  fosse  abbre- 
viata la  vita  di  Piccaxda  dal  vivo  contrasto 
sorto  nell'animo  di  lei  :  ma  oh'  ella,  appena 
data  a  nutrito,  ardentomento  pregasse  e  pro- 
digiosamente ottenesse  di  essere  immantiaento 
sottratta  agli  effètti  della  violenza  osatale  da 
messer  Corso,  ciò  deve  mettersi  senza  fallo 
per  nna  di  quelle  narrazioni  raccolte,  non  so 
s'io  dica,  dalla  bonarietà  o  dalla  imprudenza, 
che  8'  acquistarono  il  titolo  di  leggende.... 
Danto  considerava  bensi  Ficcarda  come  vit- 
tima dell'altrui  violenza,  ma  pure  non  iscema 
affatto  di  colpa,  né  certamente  di  virtd  straor- 
dinarie dotata,  o  per  grazie  segnalate  di- 
stinte >.  —  109.  fnest'altre  ecc.  quest'altra 
anima,  ohe  rifùlge  qui  alla  mia  destra  e  che 
s'accende  di  tutto  il  lume  della  sfera  lunare, 
intende  come  detto  di  sé  quello  oh'  io  dico 
di  me,  doò  fta  soggette  alle  stesse  vicende 
cui  fui  soggette  io.  —  110.  s*  accende  eco. 
l'anima  di  Costanza  rifulge  più  che  le  altre 
del  primo  cielo  o  per  avere  un  maggior  grado 
di  beatitudine  coirispondonto  alla  maggiore 


virtù  sua  o  perché  conserva  ancora  qialcba 
cosa  della  dignità  imperiale  eh'  ebbe  nel  mon- 
do :  la  prima  ragione  ò  da  preferire  perckó  con- 
forme alla  dottrina  di  Tomm.  d'A^,  fltoiiiw. 
P.  m,  suppl.  qu.  Lzxxv,  art.  1  :  €  8ecnn- 
dum  quod  anima  erit  maioxis  daritatis  secun- 
dum  maius  meritum,  ite  etiam  erit  diffweiitte 
daritatis  in  oorpore  ».  ^  118.  terella  eoe. 
fsL  monaca  anch'  essa,  e  anche  a  lei  furono 
tolto  di  capo  le  sacre  bende,  come  a  me,  doè 
con  violenza.  —  116.  Ma  pel  eoo.  ICa  dopo 
die  fu  ritornate  alla  vite  secolare  contro  la 
sua  volontà  e  contro  ogni  buona  usanza,  die 
ò  di  rispettare  iv6ti  religiosi,  ella  rimase  sem- 
pre in  cuor  suo  fédde  a  Dio,  come  era  state 
nd  monastaro.  —  117.  bob  Ul  ecc.  Espres- 
sione di  grande  eiBcada,  che  il  Lana  spiega  : 
e  Awegna  che  fosse  in  privazione  dell'  àbito 
estrinseco,  sempre  lo  suo  cuore  to»  chiuso  o 
velato  dalle  sopradetto  sacre  bende,  quasi  a 
dire  che  sempre  ebbe  l'animo  e  la  voglia  alla 
vite  promessa  per  suo  v6to  ».  —  118.  graa 
Costanza  :  Costanza,  ultima  figlia  di  Bug- 
giero  K  re  di  Sicilia,  nacque  nd  1164  e  sposò 
nd  1186  Arrigo  VI  di  Svezia,  end  1189,  alla 
morto  di  Guglielmo  n  ultimo  re  della  casa 
Normanna,  ereditò  e  transferi  nd  marito  i 
diritti  della  sua  fàrni^^  sopra  il  regno  di  ^ 
dlia  :  rimaste  vedova  nd  1197,  tenne  la  reg- 
genza dd  regno  e  la  tutda  dd  figlio  Fede- 
rico n,  fino  alla  sua  morte  avvenute  nd  di- 
cembre noe.  Al  tempo  di  Dante  correva  in- 
tomo a  Id  un  racconto  leggendario,  raocdto 
e  diffuso  dagli  storia  guelfi  in  obbrobrio  di 
Federico  II  :  si  diceva  che  Gostanza,  già  mo- 
nacatad  contro  sua  voglia,  era  state  tratta  di 
diiostro  in  età  di  62  anni  dall'arcivescovo  di 
Fdermo  e  data  in  moglie  ad  Arrigo  VI  por 
toglierò  cosi  il  regno  a  Tancredi  di  Taranto, 
e  che  il  figliuolo  Federico  II  era  perdo  stato 
generato  contro  le  leggi  naturali  (madre  vec- 
chia) e  divine  (madre  già  consacrata  a  Dio); 
o£r.  la  versione  più  usuale  di  questa  leggenda 
in  O.  Villani,  Or,  v  16.  Danto  accolse  la  vd- 
gare  credenza  che  (k>8tanza  fosse  stata  mo- 
naca, ma  la  purificò  di  tutte  le  false  •  ca- 
lunniose invenzioni  dei  guelfi,  facendo  di  Id 
una  sante  donna,  dogua  compaj^iia  in  Para- 


PARADISO  -  CANTO  HI 


577 


che  del  secondo  vento  di  Suave 
120       generò  il  terzo,  e  V  ultima  possanza  ». 
Cosi  parlommi,  e  poi  cominciò  «  Ave, 
Maria  >,  cantando;  e  cantando  vanio 
123       come  per  acqua  cupa  cosa  grave. 
La  vista  mia,  ohe  tanto  la  seguio 
quanto  potsibil  fu,  poi  che  la  perse 
126       volseei  al  segno  di  maggior  disio, 
ed  a  Beatrice  tutta  si  converse; 
ma  quella  folgorò  nello  mio  sguardo 
si  che  da  prima  il  viso  non  scvfferse, 
130    e  ciò  mi  fece  a  domandar  più  tardo. 


dito  ali*  poriniiiia  Piooard»  Donati.  — 119. 
clit  4«1  MMBd*  eoo.  la  quale  da  Arrigo  VI, 
Moondo  imperatole  della  casa  di  Sreria  (n. 
1166,  re  del  Bomani  1169,  imperatore  1191, 
m.  1197),  generò  il  teno  ed  ultimo  impera- 
tole, Fededoo  n  (ofr.  i%f,  x  119).  —  rtate 
di  fluTei  Blano:  e  la  potenza  impetaoia  e 
peMeggiara  del  principi  della  casa  di  Srevia 
paragonata  aooondamente  ad  un  Tento  impe- 
tooso  >•  8uam  4  riduzione  italiana  (astai  n- 
raale  negli  antichi,  ofr.  Parodi,  BuU,  m  148) 
del  ted.  Sehitabm,  lat  Stmia»  prorinoia  ger- 
manica onde  traeva  origine  la  caia  degli  Ho> 
henstanfen.  ^  121.  eomlneiò  eoo.  oomindò 
a  oantare  VAm  Maria,  e  cantando  disparte  : 
cfìr.  Virgilio,  £h.  oc  668  :  «  Sio  onos  Apollo 
Mortalia  medio  aspectiu  sermono  reliqoit  Et 
pcoonl  in  tonoem  ex  oeolii  erannit  aoram  ». 
— 128.  €•«•  eoo.  Compazaiioiie  delle  pid  belle 


ohe  liano  nel  poema,  perché  laochlnde  In  na 
fol  reno  inteesnto  con  mirabile  artlflcio  d'ao- 
oenti  e  di  oeeore  la  pittura  yiya  ed  efficace 
di  un  fatto  naturale^  che  cade  fiMsilmento  cotto 
gli  occhi  di  tutti,  ma  pochi  saprebbero  de- 
sortrere  con  tanta  brerità  di  discorso.  D  Ven- 
turi  lOa  ayyerle  che  rammenta  quella  del- 
VStodo  XT  10:  «sono  stati  affondati  come 
piombo  in  acqne  grosse >;  ma  qui  il  Iktto  4 
considerato  come  compiuto,  in  Danto  4  rap- 
prseentato  nel  momento  stesso  in  cui  ayyiene. 
—  126.  pel  che  la  eoo.  poiché  l'ebbe  perdute, 
quando  non  la  soorse  pid.  —  126.  al  segue 
eoo.  all'  oggetto  del  mio  desiderio  più  intenso, 
a  Beatrice.  —  128.  quella  folgorò  ecc.  mi 
appi^rre  tanto  sfolgorante  di  luoe,  al  con- 
fronto delle  ani  Ole  di  quel  dolo,  che  alla  prima 
la  mia  viste  non  potè  sostenere  tanto  splen- 
dore: cfr.  Par,  ir  189  e  segg. 


CANTO  IV 


Beatrice  Indovina  e  icioglie  dnc  dnbbf  di  Dante,  constando  la  dottrina 
platonica  sopra  U  ritorno  delle  anime  alle  stelle,  ove  abitavano  prima  di 
scendere  in  terra,  e  spiegandogli  porche  non  sia  pieno  il  merito  di  coloro 
ehe  forzatamente  ruppero  i  vóti  religiosi  :  Dante  la  ringrasia  e  la  prega  di 
chiarirgli  un  altro  dubbio  [14  apriU%  ore  antimeridiane]. 

Intra  due  cibi,  distanti  e  moventi, 
d*an  modo,  prima  si  morria  di  fame, 


TV  1.  Intra  due  ecc.  Le  parole  di  Pi»> 
carda  hanno  susdteto  due  dubbi  nell'animo 
di  Danto,  ed  egli  mosso  dall'  uno  e  dall'altro 
in  egoal  modo  si  trova  nella  necessità  di  ta- 
eere,  non  sapendo  a  quale  dei  due  dare  la 
preferenza.  Spiega  adunque  la  situazione  sua 
eoa  sioiilitadini  dicendo:  Un  nomo  libero, 
posto  in  mezzo  a  due  cibi  equidistanti  ed 
egualmente  appetibili,  si  morrebbe  piuttosto 
di  teme  prima  di  scegliere,  come  un  agnello 

Danti 


temeiebbe  egnalmento  di  due  fluneUd  lupi 
sensa  decidersi  a  fuggirne  uno  e  un  cane  re- 
storobbe  immobile  tra  due  damme  senza  git> 
tarsi  dietro  ad  alcuna  delle  due.  D  germe  della 
comparazione  e  del  concetto  dantesoo  é  in 
Tommaso  d'Aqu.,  Antwi.  P.  I  2^,  qu.  zm, 
art.  6  :  «  Si  aliqua  duo  sunt  penitus  acqualJa, 
non  magia  movetur  homo  ad  unum  quam  ad 
aliud  ;  slcut  famelicus  si  habet  dbnm  aeqoa- 
liter  appetibilem  te  divenis  partibus,  ot  se- 

87 


578  DIVINA  COMMEDIA 


8  che  liber  nomo  l'un  recasse  ai  denti: 
si  si  starebbe  un  agno  intra  due  brame 

di  fieri  lupi,  egualmente  temendo; 
6       si  si  starebbe  un  cane  intra  due  dame. 
Per  che,  s'io  mi  iacea,  me  non  riprendo, 
dalli  miei  dubbi  d'un  modo  sospinto, 

9  poich'era  necessario,  né  commendo. 
Io  mi  iacea;  ma  il  mio  disir  dipinto 

In' era  nel  yiso,  e  il  domandar  con  elio, 
12       più  caldo  assai  che  per  parlar  distinto. 
Fé'  si  Beatrice,  qual  fé'  Daniello 
Nabuccodonosor  levando  d'ira, 
15       che  l'avea  fatto  ingiustamente  fòlio; 
e  disse  :  t  Io  veggio  ben  come  ti  tira 
uno  ed  altro  disio,  si  che  tua  cura 
18        sé  stessa  lega  si  che  fuor  non  spira. 
Tu  argomenti:  *  Se  il  buon  voler  dura, 
la  violenza  altrui  per  qual  ragione 
21        di  meritar  mi  scema  la  misura?' 
Ancor  di  dubitar  ti  dà  cagione, 
parer  iomarsi  l'anime  alle  stelle, 
24        secondo  la  sentenza  di  Platone. 

Queste  son  le  question,  che  nel  tuo  velie 
pontano  egualemente;  e  però  pria 

oandain  «equalem  distantiam,  non  mogis  mo-  aogno  per  rivolaàone  divina,  ootf  Beatrice 
retar  ad  nnom  qnam  ad  altomm  »;  ma  per  conosceva  i  dabbt  di  Dante,  senza  che  qneetì 
lo  svolgimento  flgnrativo  dato  a  qnesto  oon-  glieli  avesse  espostL  —  15.  fèllo  :  enidele, 
cotto  Dante  si  ricordò  fono  d'nn  passo  d'Ovi-  empio  (ofr.  Inf,  zzvm  81).  —  16.  Io  Tt^» 
dio,  Ud,  T  164:  «  Tigris  nt,  anditis  direisa  eco.  Intendo  bene  come  do»  dssidext  ti  eccitì- 
valle  dnontm  Extimnlata  ftune  mngitibas  ar-  no  ognalmente  a  chiedere,  in  modo  ohe  la  tua 
mentomm,  Neaoit  atro  potlos  roat,  et  mere  anima  preoccapata  Impedifloe  coti  s6  stossa 
aidet  vtroqne;Sio  dobias  Feneni  >.  ~  8. 11-  che  la  toa  Teglia  non  si  manilésta.  — 10.  ar- 
ker  «eMe  i  nomo  dotato  di  libero  arbitrio.  ~  gomenil  :  fid  qnesto  ragionamento.  —  8«  il 
4.  agno  :  agnello  ;  latinismo  freqnente  (cfr.  kaoB  eco.  Se  in  me  rimane  il  bnon  voletre  di 
Post,  ix  181,  x  94).  —  intra  dne  eoo.  fìra  osservare  i  vóti  profévati,  per  qnal  ragione 
dne  bramcai  Inpi  iérod.  —  6.  da«et  damme,  la  violenxa  esercitata  da  altri  diminnirà  U  ai- 
daini,  lat.  dama,  -^  7.  Per  che  ecc.  Per  la  sarà  del  mio  merito  apprcMO  Dio?  —  22. 
qnale  legge  naturale  non  mi  rimprovero  né  Ancor  eco.  Land.:  «  n  secondo  dnbbio  4  ohe, 
mi  lodo  se  egaalmento  sospinto  dai  dne  miei  veduto  Dante  qneeti  spirti  nel  globo  lanare, 
dnbbt  io  taceya,  poiché  il  silenrio  era  nna  quasi  s'inclina  in  opinione  ohe  le  anime  degli 
necessità.^  11.  il  domandar  eoe  la  domanda  nomini  ascendo  dai  corpi  tomaasero  alle  stel- 
oh'  io  fsoeva  con  l'atteggiamento  del  volto  era  le  ».  —  24.  leeondo  ecc.  La  dottrina  di  Pla> 
più  fervida  che  se  fosse  statafttttaoon  aperte  tono,  che  le  anime  fossero  create  prima  dei 
parole.  —  18.  Fa'  if  ecc.  Beatrice  fece  oon  corpi  e  distribuite  nelle  stelle,  alle  quali  poi 
me  come  il  profeta  Daniele  oon  Nabuccodo-  ritornavano  dopo  la  morte  corporea,  A  esposta 
nosor,  àUorchó  dichiarandogli  il  significato  del  nel  Tiimn^  41 D  e*segg.,  ed  era  nota  a  Dante 
sogno  già  dimenticato  (cfr.  Inf.  xiv  106)  calmò  (cfr.  Oom,  n  14,  xy21)  per  meso  di  Agostino, 
lo  sdegno  che  aveva  tratto  U  re  a  ordinare  De  eie.  Dd,  zm  19  e  di  Toma.  d'Aquino, 
la  morte  di  tutti  i  savi  di  Babilonia  (ofr.  Da-  OmmvM  miéra  $mA,  n  47,  48,  m  78,  84:  efr. 
niele  n  12-46).  La  oompararione  ò  tra  due  Ifoore,  I  167.  ^  26.  <}neste  ecc.  Questi  eoao 
termini  ohe  si  corrispondono  perfettamente,  i  dubbi  che  s'appuntuio,  insistono  ralla  tua 
poiché  come  Daniele  conóbbe  11  segreto  del  volontà,  stiiiolandola  ugaalmente.  —  felle  i 


PARADISO  -  CANTO  IV 


579 


27       tratterò  quella  che  più  ha  di  felle. 
Dei  serafin  colui  che  più  s'india, 
Moieè,  Samuely  e  quel  Giovanni, 
30        quàl  prender  vuoli,  io  dico,  non  Maria, 
non  hanne  in  altro  cielo  i  loro  scanni 
che  quegli  spirti  che  mo  t'apparirò, 
83       nò  hanno  all'esser  lor  più  o  meno  anni. 
Ma  tutti  ifanno  bello  il  primo  giro, 
e  differentemente  han  dolce  vita, 
86       per  sentir  più  e  men  l'eterno  spiro. 
Qui  si  mostraron,  non  perché  sortita 
sia  questa  spera  lor;  ma  per  far  segno 
39       della  celestial  e' ha  men  salita. 

Cosi  parlar  conyiensi  al  vostro  ingegno, 
però  che  solo  da  sensato  apprende 


rol«re,  volontà:  tarmine  loolastioo,  usato  an- 
che in  Air.  TKTm  143,  —  27.  èhe  pltf  eoo. 
che  è  piùreleno»,  che  d  contraria  più  i^rt»- 
ment»  alla  fede  cristiana.  Soart:  e  Si  potrebbe 
chiedete,  se  il  poeta  intende  che  l'opinione 
platpnire  sia  più  pericolosa  in  generale,  oprin- 
cipehBente  per  Ini  medesimo,  e  neU'nltimo 
c«eo  si  avrebbe  qui  nna  sua  oonfassione  arer 
egli  dubitato  vn  tempo  droa  Tanima  nmana. 
Vecamente  tale  d  sembra  essere  il  senso  prin- 
cipale fi  qnesti  TersL  Imperooohó  1  dnbbt  ohe 
e^  Ta  manifestando  e  fttoendosi  sciogliere 
dft  Beatrice,  TOgUonsi  considerare  come  reali, 
nxm  solamente  come  poetiche  flnxitmL  Ve- 
demmo più  sopra  (Air.  n  46-148)  che  Dante 
per  bocca  di  Beatrice  confetta  nna  sna  opi- 
nione emessa  nel  OomtMo,  Ed  anche  qni, 
denudate  dalla  loro  reste  poetica,  le  parole 
di  Dante  significano  semplicemente  ohe  egli 
dabitò  un  tempo  se  forse  Tera  fosse  la  dot- 
trina platonica  droa  le  anime,  ma  che  più 
tardi  e*  riconobbe  tal  dottrina  ossero  assai 
pericolosa  e  per  tanto  da  non  accettarsi  ». 
—  28.  Bel  serafln  eoo.  n  primo  dei  serafini, 
Moeè,  Samnele,  l'ano  o  l'altro  dei  doe  Oio- 
Twmi,  la  stessa  Maria  Vergine  hanno  la  loro 
sede  in  qnel  mededmo  ddo  Empireo  nd  qnale 
risiedono  le  anime  che  ora  ti  appanrero  nel 
ddo  della  lana.  ~  eelnl  ecc.  n  maggiore 
degli  angeli,  colai  ohe  fissando  di  più  l'ooohio 
in  Dio  è  avrivato  da  maggior  amore  (cfr.  Par, 
xxi  93).  ~  s*indlas  d  fk  divino  (ofr.  Pa- 
rodi, Bull,  m  138).  Lana:  €  è  rerbo  infor- 
maUro  da  Dio,  qoad  informatimi  a  Dw  ».  — 
29.  Helsè  :  il  maggiore  dei  profèti  {DenUmm. 
xxxnr  10).  —  Samadt  profeta  e  oltimo  dei 
gindid  che  ressero  gli  Ebroi,  creatoro  della 
monarchia  per  rolera  di  Dio  (cfr.  Ih  man,  n 
8,  m  6).  —  e  fnel  OieTaaal:  e  qndlo  che 
ta  Tooi  dd  doe  CKoranni,  il  Battista  o 
r  ErangeUsta.  —  80.  i^f  a  Mnrla  :  non  eccet> 


tonta  né  pare  la  Vergine,  madre  di  Dio.  — 
82.  qiegll  spirti  t  le  anime  apparse  a  Dante 
nel  ddo  della  lana.  —  8S.  mi  hanno  eoe  e 
la  loro  beatitodine  è  egnalmente  eterna  per 
tnttL  Cod  in  modo  indirotto  Dante  riprora 
nn'dtra  opinione  platonica,  per  la  qaale  le 
anime  tornando  did  corpi  loro  alle  stelle  ri 
sarebbero  rimaste  più  o  meno  longamente  a 
seconda  dd  loro  meriti.  ~  84.  Ma  tatti  eoo. 
Tatti  gli  spiriti  beati  adomano  deUa  lor  pre- 
senza il  ddo  Empireo  e  proTano  differente 
ddoeoa  perdio  sentono  ^  o  meno  la  bea- 
titodine difhisa  da  Dio,  non  già  per  ossero 
in  dlTecddelL  —  prime  glres  l' Empireo; 
la  stessa  espressione,  ma  con  direrso  signi- 
ficato, in  Pm$,  1 16.  —  87.  <2nl  si  mestraren 
ecc.  Le  anime  di  coloro  che  mancarono  ai  lor 
▼óti  ti  i^parvaro  nd  ddo  della  lana,  non 
perché  questo  sia  il  laogo  swiegnito  a  qnelle 
in  sorte,  ma  perché  ta  aTSsd  nna  dimostra- 
zione sensibile  dd  minor  grado  di  beatitodine 
che  esse  godono.  —  89.  della  ealestial  ecc. 
della  sfera  o  beatitadine  odestiale,  nella  qnale 
esse  oocopano  il  più  basso  grado  e  ohe  per- 
dd  ha  per  esse  la  minoro  salita.  —  40.  Cesf 
eoe  Dice  parlar  non  sansa  forse  an  accenno 
all'  insa£Bdensa  della  parola  nmana,  secondo 
il  concetto  ohe  poi  sarà  srolto  più  larga- 
mente in  Par,  zr  73-85.  —  41.  perà  che 
eoe  imperocché  l' intelletto  nmaao  apprende 
eolamente  dagli  oggetti  sensibili  dò  ohe  poi 
diviene  dottrina  intelligibile  :  ofr.  Tomm. 
d'Aqo.  Ammii.  P.  I,  qn.  i,  art  9:  <  Conve- 
niens  est  sacrae  Soriptorae  divina  et  spiri- 
toalia  sub  dmilitadinem  corporaliom  tradero. 
Deos  enim  omnibos  providet,  seoondnm  qaod 
competit  eonim  natorae.  Ert  antem  natarale 
homini  nt  per  sendbilia  ad  inteUigibiUa  ve- 
niat:  qoia  omnia  nostra  oognitio  a  seasn  ìni- 
tiom  habet.  Unde  convenienter  in  saosa  Scrip- 
tnra  tradantor  nobis  spiritaalia  sub  metaphoris 


580 


DIVINA  COMMEDU 


42        ciò  che  ùk  poscia  d'intelletto  degno. 
Per  questo  la  Scrittura  condiscende 
a  vostra  facultate,  e  piedi  e  mano 
45        attribuisce  a  Dio,  ed  altro  intende; 
e  santa  Chiesa  con  aspetto  umano 
Gabriel  e  Michel  vi  rappresenta 
48       e  l'altro  che  Tobia  rifece  sano. 

Quel  che  Timeo  dell'anime  argomenta 
non  è  simile  a  ciò  che  qui  si  vede, 
61       però  ohe,  come  dice,  par  che  senta. 
Dice  che  l'alma  alla  sua  stella  riede, 
credendo  quella  quindi  esser  decisa, 
64        quando  natura  per  forma  la  diede. 
£  forse  sua  sentenza  ò  d'altra  guisa 
che  la  voce  non  suona;  ed  esser  puote 
67        con  intenzion  da  non  esser  derisa. 
S'egl' intende  tornare  a  queste  rote 
l'onor  dell'influenza  e  il  biasmo,  forse 
60       in  alcun  vero  suo  arco  percote. 
Questo  principio  male  inteso  tòrse 


corpoialiam  ».  —  48.  e«B4lMeBd«  eoe  adatta 
il  sao  linguaggio  alla  natora  della  Tostia  in- 
telligenxa,  e  quando  attribaiace  a  Dio  e  piedi 
e  mani  intonde  delle  ine  potenze  :  cfr.  Ago- 
■tino,  in  Oman,  xvn  :  e  Omnes,  qni  spixitaliter 
intelUgont  Soriptoiaa,  non  membra  ooirporea 
per  lata  nomina,  aed  ipixitalea  potentiaa  ao- 
dpere  didioenmt,  liont  galeaa  et  acntom  et 
gladinmet  ali*  mnlta»,  e  Tomm.  d'Aqn., 
aumwL  P.  I,  qo.  I,  art  10  :  «  Per  rooee  ai- 
gnillcatar  aliqidd  proprie  et  aliquid  figniattre. 
Neo  est  litteralia  aenana  ipsa  flgnn,  aed  id 
qnod  eit  figoratnm.  Non  enim  cnm  Soiptora 
nominat  Dei  braohium,  est  litteralia  eensoa 
qnod  in  Deo  sit  membmm  hninsmodi  corpo- 
rale: sed  id  qnod  per  hoo  membnim  signific»- 
tnr,  ioilioet  rirtos  operatiTa  >.  —  47.  Gabriel 
eoo.  i  tre  arcangeli,  Gabriele,  Micbele  e  Baf- 
Daele,  ohe  rese  la  rista  al  Tecohio  Tobia  (cfr. 
Lnoa  I  19,  36,  ApoooL  xn  7,  8,  Tobia  m  26). 
—  49.  Qvel  eoe  Old  ohe  Platone  espone  dolle 
anime  nel  Tmto  (L  dt.  nella  nota  al  ▼.  24) 
non  è  come  qnello  che  si  Tede  nella  lana, 
non  d  nna  maniera  figurata  per  esprìmere  idee 
astratte  ;  perocchó  sembra  ohe  il  filosofo  ero- 
desse ciò  die  le  sue  parole  letteralmente  prese 
significano.  —  62.  DIee  eoe  D  passo  di  Pla- 
tone, cni  accenna  Dante,  è  qnesto  (tradoz.  di 
S.  Erizzo):  e  Avendo  [l'eterno  Fattore]  oosti- 
tuito  l'aniyerso,  divise  l'anime  pari  di  nomerò 
alle  stelle,  a  dasohedona  assegnando  dascn- 
na ...  et  qoeUo  veramente,  il  qnale  il  corso 
della  sna  vita  trapasserà  dirittamente,  da  capo 
a  quella  stella  ritornando,  alla  quale  fb  ao- 


oomodato,  menerà  un»  vita  beata.  Et  da  que- 
ste ooee  mancando,  sarà  oostretto  nella  se- 
conda generaiione,  di  trasmotazsi  in  natura 
di  femina  >.  —  68.  eredea4e  eoo.  credendo 
l'anima  esser  stata  tolta  dalla  sua  stalla,  al- 
lorchó  la  natura  la  dette  a  un  corpo  come 
forma  di  esso.  ~  deelsa:  cfr.  JWy.  xvn  lU. 
Erronea  mi  sembra  la  spiegazione  del  Blano  : 
e  latinismo,  per  caduta,  discesa,  dal  lat  d^ 
eiden ».  —  64.  forma:  nel  solito  senso soo- 
lastioo  di  prindpio  vitale,  essenza  eoo^  cft. 
Tomm.  d'Aqu.  Svmm,  P.  Il  2^,  qn.  clxiv, 
arti:  e  forma  hominis  est  anima  n^onaUs». 

—  66.  E  forse  eoo.  Potrebbe  essere  p«  altro 
che  il  concetto  di  Platone  fosse  divano  da 
qud  che  suonano  le  sue  parole  preee  alla  let- 
tera, e  che  l'intendimento  suo  fosse  molto 
serio  e  profondo.  Quale  potesse  eesere  que- 
st'altro senso  d  spiegato  nei  versi  die  seguono. 

—  67.  da  non  esser  derisa:  immeritevole 
di  derisione,  seria,  profonda.  —  68.  8* egli 
ecc.  Se  Platone  intende  die  alle  rivoluzioni 
degli  astri  dono  da  riferire  la  lode  e  U  bla- 
almo  dello  influenze  die  eserdtano  aopia  le 
anime,  movendole  al  bene  o  al  male,  forse 
s' appone  in  qualche  parte  al  vero.  Biguardo 
ai  limiti,  entro  i  quali  Dante  ammetteva  Tin- 
flnsso  delle  stdle  sull'uomo,  cfir.  la  nota  al 
J^.  XVI  78.  —  60.  In  alean  eco.  Oes.:  «  fe- 
risce in  qualdie  oosa  4i  ▼no:  questa  meta- 
fora dell'arco  è  assai  cara  a  Dante,  come  eo- 
lui  ohe  ama  molto  le  pi4  vive,  e  die  piA  ri- 
traggono dalla  oosa  significata  ». — 61.  Qnasta 
eoo.  Questa  dottrina  platonica  naia  intesa 


PARADISO  —  CANTO  IV 


681 


già  tatto  il  mondo  quasi,  si  ohe  Giov6| 
63       Merourio  e  Marte  a  nominar  trasoorse. 
L'altra  dubitazion  che  ti  commove 
ha  men  velen,  però  che  sua  malizia 
66       non  ti  porla  menar  da  me  altrove. 
Parere  ingiusta  la  nostra  giustizia 
negli  occhi  dei  mortali,  ò  argomento 
69        di  fede,  e  non  d'eretica  nequizia. 
Ma,  perché  puote  vostro  accorgimento 
ben  penetrare  a  questa  veritate, 
72       come  disirì,  ti  farò  contento. 

Se  violenza  ò  quando  quel  che  paté, 
niente  conferisce  a  quel  ohe  isforza, 
75       non  flr  quest'alme  per  essa  scusate; 
che  volontà,  se  non  vuol,  non  s'ammorza, 


tmriò  già  quasi  tatti  i  popoli  della  terra  e  li 
trave  a  dare  ai  pianeti  il  nome  delle  loro 
dirinità.  ^  Male  IstMes  Lomb.:  «  intesa  in 
direcsa  maniera  da  qoella  nella  qnale  ora  ha 
detto  poterai  intendere  ».  —  62.  if  ehe  GIoto 
eoo.  detten>  ai  pianeti  i  nomi  di  Giove,  Mor- 
enrio,  Harte,  Satono  e  Venere,  credendo  che 
dasoono  di  essi  eeeroitasse  l*inflaenza  pro- 
pri* di  qnelli  deL  Questa  è  la  più  semplioe 
interpretaùone  di  questo  passo  assai  oontro- 
Teno,  oo|fermata  da  dd  Dante  stesso  dioe  di 
Venere,  quasi  a  oompimento  di  questa  ter- 
zina, in  P».  ym  1-12.  Ma  molti  commenta- 
tori intesero  nomiaMr  nel  senso  di  invocare, 
adoxmro,  ohe  non  altererebbe  punto  la  sen- 
tenza generale  del  passo.  —  64.  L*altra  ecc. 
L'altro  dubbio,  ^ItAìra  agli  effetti  dell'infra- 
zione dei  T6ti  per  Tiolenza  altrui  (cfr.  vr. 
19-21),  è  meiy  pericoloso,  perché  il  male  ch'esso 
contiene  non  è  tale  da  rimuovere  gli  animi 
dalla  vera  fede,  dalla  dottrina  cristiana.  —  67. 
Parere  eoe.  Che  la  giustizia  divina  sembri  in- 
giusta agli  uomini  è  argommUo  di  fede  e  non 
di  eresia.  L' interpretazione  di  questa  terzina 
ha  dato  assai  da  Dare  ai  commentatori  antichi 
e  moderni,  che  in  proposito  espressero  le  opi- 
nioni più  disparate;  tutte  le  spiegazioni  pos- 
sono per  altro  ridursi  a  una  di  queste  tre  : 
che  in  qualche  caso  particolare  la  divina  giu- 
stizia appaia  ingiusta  d  prova  di  fede  in  que- 
sta giustìzia  in  generale  (Ott,  Buti,  Land., 
Dan.,  Vent,  Andr.,  eoo.);  ohe  la  giustizia 
divina  sembri  ingiusta  è  una  questione  dì  fede, 
oh»  la  fiide  stessa  deve  sciogliere,  non  la  ra- 
gione umana  (Cee.  e  pochi  altri);  ohe  la  di- 
vina giostizia  appaia  ingiusta  è  un  motivo 
per  noi  di  credervi  (Lomb..  Biag.,  Costa, 
Tomm.,  Birp^'**,  Frat.  ecc.).  Quesf  ultima  ò 
la  migttore,  e  fti  bene  illustrata  dallo  Scart. 
ohe  ricordando  una  deflnirione  tomistica  del- 


Vargmmiwn  (Summ,  P.  m,  qu.  lv,  art  6 
e  aliquod  sensibile  signum  quod  inducitur  ad 
aliouius  veritatis  manifestattonem»)  eie  pa- 
role di  san  Paolo  (ai  Rom.  zi  83)  sull'  impene- 
trabilità dei  giudizi  divini  (ofjr.  Ar.  zix40- 
90),  cosi  dichiarò  il  passo:  «Se  la  giustizia 
divina  pare  ingiusta  nen^  occhi  dei  mortali, 
tale  apparenza  dovila  condurli  alla  fède,  non 
alla  miscredenza,  sapendo  essi  cho  incompren- 
sibili sono  i  giudica  del  Signore.  Pensando 
a  tale  incomprensibilità  tu  già  dovresti  ap- 
pagarti senza  pretendere  di  voler  oomprendere 
r  incomprensibile.  Ma  trattandosi  in  questo 
caso  spedale  di  oosa,  alla  quale  può  l'umano 
intendimento  penetrare,  io  sodiafiuò  ai  tuo 
desiderio  ».  —  mostra  glvstisUt  la  giustizia 
divina,  quella  che  si  eeeroita  nella  nostra 
beata  oorte  ;  olr.  Tomm.  d*  Aqu.,  Summ,  P.  UE, 
suppL  qu.  Lzxziz,  art.  1  :  <  Uli  qui  oonsen- 
tient  Christo  iudid,  eins  sententiam  appio- 
bando,  indicare  dioentur;  et  aio  indicare  erit 
omnium  electorum  ».  —  70.  neeorglmeates 
intelligenza.  —  72.  cose  distri  eoo.  secondo 
il  tuo  desiderio  ti  chiarirò  del  dubbio.  --  73. 
8e  Tlelenza  ecc.  Se  la  violenza  è  quando 
chi  la  sofl!re  non  concorre  minimamente  a  ciò 
che  fa  il  violento,  queste  anime  non  possono 
avere  scusa  d'essere  state  costrette  a  rompere 
i  vóti,  poiché  la  volontà  umana  non  può  es- 
sere costretta  se  in  qualche  modo  non  con- 
sente. Versifica  scolasticamente  la  dottrina  di 
Tomm.  d'Aqu.,  Summ,  P.  n  2^,  qu.  OLZzv, 
art.  1  :  €  Violentum  dicitur  ouius  prinoipinm 
est  extra,  nil  conferente  eo  quod  vim  patitur. 
Confort  autem  unumquodque  ad  id  in  quod 
tendit  secundum  propriam  indinationem  voi 
voluntariam  vel  naturalem  ».  ~  p*te:  pati- 
sca, latinismo  usuale  (Parodi,  BtUL  m  124), 
che  d  anche  in  Coiw,  m  11,  Par.  zx  31  ecc. 
—  75.  qnest*  alme  :  quelle  apparse  noi  delo 


582 


DIVINA  COMMEDIA 


78 


81 


84 


90 


93 


ma  fa  come  natura  face  in  foco, 
se  mille  volte  violenza  il  terza: 

per  che,  s'ella  si  piega  assai  o  poco, 
segue  la  forza;  e  cosi  queste  fòro, 
possendo  ritornare  al  santo  loco. 

Se  fosse  stato  lor  volere  intero, 
come  tenne  Lorenzo  in  su  la  grada 
e  fece  Muzio  alla  sua  man  severo, 

cosi  le  avria  lipinte  per  la  strada 
ond'eran  tratte,  come  fCtro  sciolte; 
ma  cosi  salda  voglia  ò  troppo  rada. 

£  per  queste  parole,  se  ricolte 
l'hai  come  devi,  è  l'argomento  casso, 
che  t' avria  fatto  noia  ancor  più  volte. 

Ma  or  ti  s'attraversa  un  altro  passo 
dinanzi  agli  occhi,  tal  ohe  per  te  stesso 
non  usciresti,  pria  saresti  lasso. 

Io  t'ho  per  certo  nella  mente  messo 


della  lana.  —  77.  ma  f»  eoo.  ma  esplica  la 
sua  forza  oontro  tatto  le  violonze,  oome  il 
fbooo  manifesta  sempre  la  sua  natórale  ten- 
denza all' insù,  anohe  te  infinite  volte  d  pie- 
gato Tiolentemento  ali* ingiù.  —  78.  tersa! 
torca;  è  dal  vb.  (oroars,  osato  a  signifioare 
l'azione  ripetuta  e  violenta:  quanto  alla  foi^ 
ma,  d  nna  ridazione  della  primitÌTa  torcia^ 
oome  twwa,  faxa  ecc.  (ofir.  Parodi,  BulL  Ul 
102).  —  79.  per  che  ecc.  per  la  qoal  regione, 
doò  cho  e  la  volontà,  se  non  vacÀ,  non  s'am- 
morza >.  ~  s'ella  eoo.  se  la  volontà  oede, 
sia  poi  che  essa  ceda  molto  o  pooo,  conferisce 
ad  ogni  modo  alla  violenza.  Osserva  il  Tomm.: 
e  II  poeta,  con  la  finezza  eh'  è  propria  dell'  in- 
gegno e  degli  animi  dirittamente  severi,  co- 
nosce ona  colpa  attenaata  si,  ma  tuttavia 
colpa,  in  coloro  che,  coetrotti,  cedono  al  male 
senza  acconsentire,  si  piegano  con  ribrezzo; 
ma  a  tatti  gli  spiragli  di  libertà...  non  pon- 
gono mente  per  profittarne,  temono  insieme  e 
il  male  a  coi  sono  forzati  e  lo  sforzo  neces- 
sario a  prosciogliersene;  e  ool  gemere  e  col 
fremere  si  credono  conservati  o  rifittti  inno- 
centi». —  81.  al  santa  loeot  al  monastero, 
dal  quale  erano  state  tratte  per  forza.  —  83. 
eone  teane  eoo.  come  lù  piena  e  costante  la 
volontà  di  san  Lorenzo  e  di  Muzio  Scevola. 
—  I^reazo  :  il  martire  san  Lorenzo,  romano, 
diacono  e  tesorìero  della  Chiesa  nel  secolo  m, 
sofl!ri  il  martirio  per  l'editto  dell'imperatore 
Valeriano  noli' a.  268:  avendo  distribuito  ai 
poveri  il  tesoro,  porche  non  se  ne  impadro- 
nissero i  ministri  imperiali,  fxk  straziato  a  colpi 
di  frusta  e  poi  posto  a  bruciare  sopra  una 
graticola,  e  mori  invitto  e  forte  senza  dar  se- 
gni di  dolore.  —  84.  Mazlo:  C.  Muzio  Cordo 


Scovolo,  giovine  romano,  die  tentò  di  liberar 
Boma  da  gravi  pericoli  ocddendo  Porsenna, 
re  etrusco  che  assediava  la  dttà  :  fallitogli  il 
oolpo,  per  punire  la  mano  destra  del  suo  er- 
rore la  pose  a  bruciare  sur  un  bradere  che 
ardeva  innanzi  al  re  e  gli  aifermò  che  altri 
giovini  romani  avevano  giurata  la  morte  del 
nemico  della  patria  (ofr.  Livio  ii  12  e  segg.): 
Dante  loda  la  fermezza  di  Mnrio  anohe  nel 
Oom.  IV  6  e  nel  i>t  man.  ii  5.  —  85.  le  avn'a 
eco.  le  avrebbe  ricondotte  all'osservanxa  dì 
qud  vóti,  non  appena  si  trovarono  libere  di 
tornare  al  monastero.  Di  Costanza  dò  si  po- 
teva dire,  perché  rimasta  vedova  di  Arrigo  VI 
si  trovò  libera  di  sé;  non  di  Piocardo,  che 
premori  certamente  al  marito  :  m|  forse  Dante 
accennava  per  la  infelice  sua  condttadina  a 
qualche  partioolar  fatto  rimasto  ignoto  ai  più 
antichi  interpreti.  —  88.  se  rieolte  ecc.  se  ne 
hai  ben  penetrato  il  senso,  prestandovi  la 
debita  attenzione.  —  89.  è  l'argameaio  eoe. 
resta  confutato  il  tuo  ragionamento  (quello 
dei  w.  19-21),  ohe  in  altre  oocasioni,  durante 
questo  viaggio,  ti  avrebbe  fatto  dubitare.  — 
casso  t  cf^.  Jbr.  n  88.  —  91.  Ma  er  occ  Ma 
ora  si  presenta  alla  tua  mente  un'  altra  dif- 
flooltà,  cosi  grande  che  da  te  stesso  non  po- 
tresti chiarirtene,  poiché  non  avendo  forze 
snfScienti  a  superarla  ti  stancheresti  prioia 
di  sdoglierla.  La  diifiooltà  ò  l'apparento  con- 
tradizione  fra  le  parole  di  Beatrice,  che  ha 
detto  quelle  anime  esserri  coaforaiate  in  qual- 
che modo  alla  violenza,  e  quelle  di  Piocarda, 
la  quale  ha  affermato  che  Costanza  «  non  to. 
dal  vel  del  cor  giammai  di8ci(dta  ».  (Ar,  in 
117)  :  la  contradirione  è  esposta  nei  w.  94-99 
e  spiegata  nei  w.  100-U4.  —  9*.  la  t*  ho  eco. 


PARADISO  -  CANTO  IV 


583 


ch'alma  beata  non  porla  mentire, 
96       però  ohe  sempre  al  primo  vero  è  presso  : 
e  poi  potesti  da  Piccarda  adire 
che  Paffezion  del  vel  Costanza  tenne, 
99        si  ch'ella  par  qui  meco  contradire. 
Molte  fiate  già,  frate,  addivenne 
che,  per  fuggir  periglio,  contro  a  grato 
102       si  &'  di  quel  che  far  non  si  convenne  ; 
come  Almeone,  che,  di  ciò  pregato 
dal  padre  suo,  la  propria  madre  spense, 
105        per  non  perder  pietà  si  fé'  spietato. 
A  questo  punto  voglio  che  tu  penso 
che  la  forza  al  voler  si  mischia,  e  fanno 
108       si  che  scusar  non  si  posson  l'offense. 
Voglia  assoluta  non  consente  al  danno, 
ma  consentevi  in  tanto  in  quanto  teme, 
111        se  si  ritrae,  cadere  in  più  affanno. 
Però,  quando  Piccarda  quello  espreme, 
della  voglia  assoluta  intende,  ed  io 
114        dell'altra;  si  che  ver  diciamo  insieme  ». 


Io  ti  lu>  già  detto  ohe  le  anime  beate  di  que- 
sto regno  non  possono  mentile  :  efr.  le  parole 
di  Beatrice  in  P»,  m  81-88.  —  96.  perd 
che  eoo.  per  questo  ohe  ogni  anima  beata, 
qoalnnqae  sia  il  grado  della  sua  beatitndine, 
è  sempre  Ticina  a  Dio,  fonte  della  rerità.  — 
97.  poteeil  eoo.  hai  potato  ndir  da  Piooaida 
die  r  imperatiioe  Costanza  oonserrò,  anche 
dopo  la  Tlolenca  fattale,  l'amore  del  Telo,  os- 
servando in  cuor  sno  i  T6ti  professati.  —  99. 
si  eh*éDa  eoo.  di  guisa  ohe  sembra  ohe  Fio- 
cardA  oontradioa  a  quel  ohe  ho  detto  io,  doè 
ohe  queste  anime  in  parte  si  conformarono 
alla  Tiolensa  fatta  loro.  —  100.  Molte  eoo. 
Molte  Tolte  è  accaduto  ohe  per  ftiggire  un  pe- 
rloolo  si  è  fktto  oontro  yogUa  quatohe  atto  ohe 
non  sarebbe  stato  conTeniente  di  fiue.  —  103. 
eewe  eoo.  Accenna  al  fiitto  dichiarato  nella 
nota  al  I^tirg.  xn  tf ,  di  Akmeone  ohe  per  pre- 
ghiera del  padre  Amflarao  ucdse  la  madre 
ErifUe.  —  105.  per  nea  eco.  per  non  man- 
care al  rispetto  doruto  al  padre  si  foce  cru- 
dele Terso  la  madre.  È  un  ricordo  oyidiano, 
MeL  TX.  407:  «Ultnsque  parente  parentem 
Nates,  orit  fhcto  plus  et  sceleratns  eodem  »: 
efr.  anòhe  le  osserTazioni  del  D^Oridio,  p.  79. 
Scart.  notava  che  il  paragone  <  non  è  qui 
troppo  fdioe  »,  perché  Alcmeone  si  trovò  in 
coìlìrione  di  doveri,  dovendo  disubbidire  al 
padre  o  incrudelir  nella  madre  ;  ma  il  termine 
(dndpale  non  è  11  contrasto  dei  doveri,  si 
piA  tosto  11  timore  ohe  da  quello  si  generava: 
timoce  die  risponde  a  quello  ohe  Dante  pone 
some  cagione  di  certi  atti,  ai  quali  ranimo 


ripugnerebbe.  —  106.  À  queste  eco.  ▲  tal 
proposito  considera  ohe  in  simili  casi  la  vo- 
lontà dell'uno  e  la  violenza  dell'altro  non 
sono  disgiunte,  ma  operano  insieme;  e  perold 
le  ofTese  che  ne  derivano  non  possono  avere 
scusa.  ~  109.  Voglia  ecc.  Butl,  attenendosi 
alla  dottrina  tomistica  (SummOt  P.  I  ^,  qu. 
VI,  art  i-6),  commenta:  «Dobbiamo  sapere 
che  sono  due  volontà  :  l' una  assoluta,  la  quale 
non  pud  Tolere  lo  male  ;  e  l'altra  respettiva, 
la  quale  vuol  minor  male  per  cessare  lo  mag- 
giore: e  cosi  può  l'uomo  volere  con  volontà 
respettiva  quel  ohe  non  vorrebbe  secondo  la 
volontà  assoluta.  Ma  può  essere  ohe  l'uomo 
s' inganni  nel  dlsoemere  qual  sia  maggior  male 
e  quale  minore,  e  allora  si  fa  quello  ohe  non 
si  deve,  come  fece  Gostanza,  che  elesse  lo 
minor  bene  parendole  ftiggire  maggior  male 
che  non  foggi  e  ohe  non  avrebbe  fuggito  se 
avesse  seguitato  lo  maggior  bene.  E  però  Ò 
vero  ohe  Gostanza  colla  volontà  assoluta  sem- 
pre tenne  la  religione;  ma  colla  respettiva 
no  ;  e  però  vero  dico  io  Beatrice,  che  intendo 
della  volontà  respettiva,  e  vero  disse  Pio- 
carda,  che  intese  della  volontà  assoluta:  e 
cosi  è  soluto  lo  dubbio  ».  —  bob  eoBseate 
ecc.  non  acconsente  al  male  in  modo  assoluto, 
ma  solo  in  modo  relativo.  In  quanto  tome  di 
cadero,  lìacendo  resistenza,  in  male  peggioro. 
—  112.  teaado  ecc.  quando  dice  di  Gostanza 
che  non  si  conformò  alla  violenza,  intende 
ecc.  Sulla  forma  esprwn»  per  eaprim»t  ofir.  Pa- 
rodi, BuU,  m  151.  —  U4.  deU*  altra  :  deUa 
volontà  «  respettiva  » ,  dee  oondisionata.  — 


684  DIVINA  COMMEDIA 


Cotal  fu  l'ondeggiar  del  santo  rio, 
ch'usci  del  fonte  ond'ognì  ver  deriva; 
117        tal  pose  in  pace  uno  ed  altro  disio. 
<  0  amanza  del  primo  amante,  o  diva, 
diss'io  appresso,  il  cui  parlar  m'inonda, 
120        e  scalda  si  che  pi  il  e  più  m'avviva, 
non  è  l'affezion  mia  tanto  profonda 
che  basti  a  render  voi  grazia  per  grazia; 
123        ma  quei  che  vede  e  puote  a  ciò  risponda. 
Io  veggio  ben  che  giammai  non  si  sazia 
nostro  intelletto,  se  il  ver  non  lo  illustra, 
126        di  fuor  dal  qual  nessun  vero  si  spazia. 
Posasi  in  esso,  come  fera  in  lustra, 
tosto  che  giunto  l'ha:  e  giugner  puollo; 
129        se  non,  ciascun  disio  sarebbe  frustra. 
Nasce  per  quello,  a  guisa  di  rampollo, 
a  pie  del  vero  il  dubbio:  ed  è  natura, 
132        che  al  sommo  pinge  noi  di  collo  in  collo. 
Questo  m'invita,  questo  m'assicura, 
con  riverenza,  donna,  a  domandarvi 
*'  135        d'un' altra  verità  che  m'è  osciu*a. 

Io  vo' saper  se  l'uom  può  satis&rvi 
ai  vóti  manchi  si  con  altri  beni, 

l\b.  Cétol  fa  eoe  Qaesto,  ohe  ho  riferito,  in  coi  gianse  a  riooTenni:  e  l' intalletto  in 
fu  0  lagionamento  di  Beatrice,  prooedente  da  quol  tao  rìfagio  difende  sé  stesso  dagl'inganni 
Dio  fcat»  di  ogni  verità.  —  117.  tal  eoo.  que-  dell'errore,  oome  la  belTa  nel  suo  covile  di- 
sto fìi  il  ragionamento,  ohe  chiari  i  miei  dubbt  fonde  sé  e  i  figli  dal  cacciatore  ohe  la  inse- 
(d!t.  i  T.  16-34>.  —  118.  0  amasia  eco.  0  gae  >.  —  128.  e  giagser  ecc.  e  ti  deve  ere- 
donna  amata  da  Dio,  o  donna  divina,  le  «mi  dere  ohe  possa  raggiongere  il  vero,  altrimenti 
paiole  entrando  ed  operando  nell'animo  ndo  tdascnn  desiderio  sarebbe  vano.  È  anche  qae- 
Io  Avvivano  sempre  pid.  —  121.  bob  è  eoe  »ta  dottrina  di  Tomm.  d'Aqa.,  Srnnmi.  P.  I, 
to  non  sono  atto  a  rendervi  degne  grazie,  ina  qn.  xn,  art.  1  :  e  Si  intellectos  rationalis  crea- 
prego  Dio  onniveggente  e  onnipotente  ohe  vi  torse  pertingere  non  possit  ad  primam  can- 
dì mostri  la  mia  gratitudine.  È  rifatto  cristi»-  sam  remm,  remanebit  inane  desiderinm  na- 
niuDdate  e  ridotto  a  pi6  artistica  brevità  il  tnrae  >.  —  IBO.  Nasce  eco.  Per  questo  desi- 
vii^lano,  JE^.  i  600  :  e  grstes  persolvere  di-  derio  dell'udmo  di  conoecere  la  verità  nasce 
gnas  Non  opis  est  nostrae,  Dido,  nec  qnid-  accanto  al  vero  il  dubbio,  ed  ò  la  natura  del- 
qtild  nbiqne  est  (Mentis  Dardaniae,  magnam  l'intelletto  che  ci  inalza  di  verità  In  verità, 
qnsfl  iparsa  per  orbem.  Dt  tibi,  si  qna  ]iios  Tomm.:  «  II  dubbio  buono  e  fecondo,  quello 
respeclant  numina,  si  qnid  Usquam  iustttia  ohe  viene  da  istinto  di  natura  e  ohe  aervo 
est  «t  mens  sibi  conscia  recti,  Praemia  dlgna  all'  ascensione  dell'anima  umana,  è  il  dubbio 
farant  *.  —  126.  il  ter  eoe.  Dio,  prima  e  che  nasce  a'  piedi  del  vero  ed  è  gsrme  di 
somma  verità,  all'inftiori  del  quale  non  pud  quello  ».  —  a  gvlsa  di  ram polle:  come  ai 
msQT9  altra  verità.  —  127.  Pesasi  eoo.  Dante,  piedi  degli  alberi  sorgono  i  rampolli^  — 182. 
Conv.  n  16  :  «  La  scienza  divina  perfetta-  di  eolio  ecc.  dalla  cima  d' una  verità  alla 
monta  ne  fa  il  Vero  vedere,  nel  quale  si  cheta  cima  d' un'  altra  :  la  voce  ooUo,  usata  qui  fi- 
r anima  nostra».  —  come  fera  in  lastra:  guratamente,  d  nel  senso  di  culmine,  cima 
oome  l'animale  feroce  nel  suo  covo.  Venturi  in  Inf.  zxn  116,  xzm  43.  —  133.  (gasate 
393  :  e  Stupenda  comparazione,  ove  sono  da  ecc.  Tutte  queste  ragioni  m' invitano  e  mi 
QQlAre  due  sensi,  analoghi,  ma  distinti.  La  danno  animo  ecc.  —  196.  le  vo*  eco.  Desi- 
Vflrità  è  riposo  all'intelletto  ohe  l' ha  cono-  doro  di  sapere  se  chi  d  venuto  meno  ai  vóti 
teista,  come  riposo  è  all'errante  belva  la  tana,  professati  possa  compensare  il  difetto  con  al- 


PARADISO  -  CANTO  IV  585 

188       ch'alia  vostra  staterà  non  aien  parvi  ». 
Beatrice  mi  guardò  con  gli  ocelli  pieni 
di  faville  d'amor  cosi  divini, 
ohe,  vinta,  mia  virtù  diede  le  reni, 

142    e  quasi  mi  perdei  con  gli  occhi  chini. 

tn  boons  opere,  le  qaaXL  a  toÌ  betti  non  lem-  canto  segoenta  —  189.  eon  gli  ùtékì  eoo. 

brino  icane.  —  1S8.  alla  Tettra  eoo.  ap*  con  gli  ooohi  ood  divinamente  pieni  di  fftTille 

prezzati  dal  voetro  giudizio  sembrino  adegoati  d' amoie.  —  UL  ekt,  Tlata,  eoe  ohe  il  mio 

al  fine.  U  problema  proposto  da  Dante  a  Bea-  sgoardo  dovette  sfuggire  V  inoontro  oon  anello 

txìoe  d  trattato  da  Tomm.  d'Aqn.,  Bmmm,  P.  di  Beatiloa,  e  abbawiado  gli  ooohi  mi  trovai 

n  2m,  qn.  Lzzvm,  art  10  e  legg.,  mlnm  qoaii  smaoito. 
potrà  tu  foto  ({upanMri  :  il  poeta  lo  svolge  nel 


CANTO  V 

Beatrice,  data  la  ragione  del  ano  fiammeggiare,  dimostra  a  Dante  la  san- 
tità del  vóto,  la  necessità  di  osservarlo  e  i  limiti,  entro  i  quali  può  essere 
permutato.  Salgono  ed  arrivano  quindi  nel  cielo  di  Mercurio,  ove  appari- 
scono le  anime  di  coloro  che  adoperarono  l' ingegno  al  bene,  e  si  manifesta 
a  Dante  1*  imperatore  Oinstiniano  [U  aprile,  ore  antimeridiane]. 

<  S'io  ti  fiammeggio  nel  caldo  d'amore 
di  là  dal  modo  che  in  terra  si  vede 
8       si  che  degli  occhi  tuoi  vinco  il  valore, 
non  ti  maravigliar;  chó  ciò  procede 
da  perfetto  veder,  che  come  apprende, 
6        cosi  nel  hene  appreso  move  il  piede. 
Io  veggio  hen  si  come  già  risplende 
nello  intelletto  tuo  l'eterna  luce, 
0        che,  vista  sola,  sempre  amore  accende; 
e  s' altra  cosa  vostro  amor  seduce, 
non  ò  se  non  di  quella  alcun  vestigio 
12        mal  conosciuto,  che  quivi  traluce. 
Tu  vuoi  saper,  se  con  altro  servigio, 

V  1.  8*le  eco.  Se  io  mi  mostro  a  te  ri-  rono  da  questa  spiegazione  il  Boti,  Land., 
splendendo  dei  raggt  dell'amore  divino  in  ma-  Dan.,  Tomm.  e  altri,  riferendo  il  perfetto  veder 
njexa  sopranatorale,  tanto  da  vincere  la  forza  a  Dante.  —  6.  nel  bene  ecc.  avanza  nell'a- 
de] tao  sgoardo,  die  non  può  resistere  a  more  di  Dio,  del  quale  d  venuto  a  oognizione. 
tanta  hioe  (efr.  Bstr.  rv  189  e  segg.).  —  8.  ~  8.  Peteraa  ecc.  la  luoe  divina,  ohe  sola- 
degU  eeeld  eoo.  ofir.  Par,  rv  142,  cui  Beatrice  mente  a  vederla  suscita  negli  animi  amore 
si  riporta  inoominoiando.  —  6.  da  perfetto  etemo;  cfr.  Oonv,  m  li:  «Si  come  il  divino 
eoo.  dalla  perfezione  della  mia  vista,  la  quale  amore  è  tutto  etemo,  oosf  conviene  che  sia 
quanto  più  contempla  Dio,  tanto  pi4  se  ne  il-  eterno  lo  suo  oggetto  di  necessità,  si  ohe  eter- 
hmina,  quanto  piA  percepisce  di  luoe  divina  ne  cose  siano  quelle  ch'egli  ama  ».  — 11.  nea  è 
tanto  piA  avanza  nell'adomarsene.  Tale  è  la  ecc.  d  solamente  perché  traluoe  in  questa  cosa 
ratta  spiegazione,  oonfìBrmata  da  ciò  ohe  di  qualche  vestigio  mal  oonoeduto  o  qualche 
Mosè  si  legge  nei  Ubrl  biblici  (Eeod.  xxxiv  segno  fallace  della  divina  luce:  dice  poetica- 
84  e  segg.,  Deuteron.  zxziv  10),  ove  è  detto  mente  dò  che  scolasticamente  è  esposto  nel 
che  il  fiammeggiare  del  suo  volto  insosteni-  pasw)  del  Conv.  rv  12,  riferito  nella  nota  al 
We  ai  BortaU  derivava  dell'aver  egli  veduto  Furg.  xvi  88.  —  18.  Tu  viel  ecc.  Tu  desi- 
la fiuda  il  Signore  ;  male  però  si  allontana-  dori  di  si^re  (cfir.  Air.  tv  186:  «  Io  vo'  sa- 


586 


DIVINA  COMMEDIA 


per  manco  vóto,  si  può  render  tanto 
15       che  l'anima  sicuri  di  litigio  >. 
Si  cominciò  Beatrice  questo  canto; 
e  si  com'uom  che  suo  parlar  non  spezza, 
18       continuò  cosi  il  processo  santo: 

€  Lo  maggior  don,  che  Dio  per  sua  larghezza 
fésse  creando,  ed  alla  sua  bontate 
21        più  conformato,  e  quel  ch'ei  più  apprezza, 
fu  della  volontà  la  libertate, 
di  che  le  creature  intelligenti, 
24       e  tutte  e  sole  f^o  e  son  dotate. 
Or  ti  parrà,  se  tu  quinci  argomenti. 
Paltò  valor  del  vóto,  s'è  si  fatto 
27        che  Dio  consenta  quando  tu  consenti; 
che,  nel  fermar  tra  Dio  e  l'uomo  il  patto, 
vittima  £EtBsi  di  questo  tesoro. 


per  i)  ae  in  altra  maniera,  oon  altie  Imone 
opere  si  pad,  quando  ai  ria  rotto  il  TÓto  pro- 
fessato, acquistar  merito  sufficiente  a  libeiar 
l'anima,  ad  ottenere  raasoluzione.  —  lA.  inui* 
eot  mancato,  Inadempiuto.  —  rem4ers  pro- 
priamente restitniie,  e  per  estensione  di  si- 
gnificato dare  la  dorata  ricompensa,  ricompen- 
nare;  olir.  Any.  zi  125.  —  16.  sicari  eoo. 
garantisca,  assicuri  l'anima  da  ogni  contrasto  ; 
da  ogni  contrasto  con  la  dirina  giustizia, 
spiegano  generalmente  i  commentatori:  ma 
fu  giustamente  oeserrato  (cfr.  Bulk  VII  117) 
che  qui  forse  sono  enumerati  i  contrasti  tra- 
dizionali che  11  demonio  mooye  per  le  ani- 
me da  lui  ritenute  sua  preda  (cfr.  Inf.  zzvn 
112,  PuTff.,  T  104).  —  16.  8f  comlaelò  eoe. 
Oon  questa  formula  interrompe  Dante  il  di- 
scorso di  Beatrice  come  per  avvertire  il  let- 
tore che  i  versi  precedenti  formano  quasi  un 
proemio  al  ragionamento  che  segue  :  e  l'os- 
servaziono  del  Tomm.  circa  l' inutilità  di  que- 
sta terzina  pare  superflua.  —  17.  eo«*  1001 
ecc.  senz'  alcuna  interruzione,  come  U  V  uomo 
che  parla  seguitatamente.  Osserva  giusta- 
mente il  Venturi  208  che  Tespressiono  dan- 
tesca ricorda  quella,  in  senso  inverso,  di  Vir- 
gilio, iSn.  IV  888:  <His  medium  dictìs  ser- 
monem  abrum^t  >  ;  ma  a  torto  dice  che  la 
similitudine  spiegando  <  il  medesimo  con  il 
medesifio  »  non  aggiunge  nulla:  la  similitu- 
dine non  deve  aggiungere,  basta  che  chiari- 
sca e  illustri,  e  tale  pregio,  ohi  ben  guardi, 
d  anche  in  questa  di  Dante.  — 18.  proeetse 
sante  s  santo  ragionamento.  D  discorso  ohe 
segue  di  Beatrice  si  svolge  cosi  :  Massimo  dei 
doni  di  Dio  all'  uomo  è  il  libero  arbitrio,  però 
il  vóto  liberamente  profBssato  è  sacro  e  il 
mancarvi  non  pud  essere  compensato  (w.  19- 
83):  per  quello  che  riguarda  la  dispensa  e  la 


permutazione  dei  vóti  (w.  84-42),  è  da  os- 
servare che  all'essenza  dri  vóto  si  richieggono 
due  condizioni,  la  materia  e  il  patto,  questo 
immutabile  e  Incancellabile,  quella  possibile 
a  mutarsi  daUa  volontà  della  GUesa  (w.  43- 
54):  ogni  permutazione  deve  quindi  essere 
fatta  oon  licenza  deU'autorità  eodeeiastica  e 
sostituendo  alla  precedente  una  cosa  maggiore 
(w.  65-68):  da  questo  si  vede  quanto  gli  uo- 
mini debbano  andar  cauti  nello  soegliere  e  nel 
professare  i  vóti  (w.  64-84).  —  1».  Le  mag- 
gior eoe  D  Ubero  arbitrio  tra  i  doni  fttti  da 
Dio  agli  uomini  è  il  più  grande,  il  |d&  con- 
forme alia  divina  bontà  e  il  più  apprezzato 
da  Dio  stesso  eoe  cfir.  De  mon,  1 12  :  <  Haec 
libertas  [arbitrii],  slve  piindpium  hoc  totios 
libertatis  nostzae,  est  matriimm  doimm  hu- 
manae  natuiae  a  Deo  ooUatum;  qulaperipeum 
hic  felidtamur  ut  homines,  per  ipsum  alibi 
feUdtamnr  ut  dii  >.  —  22.  «ella  volenU 
ecc.  Per  la  dottrina  dantesca  del  libero  arbi- 
trio cfir.  Rny.  XVI  67-81,  xvm  49-76.  —  23. 
di  che  ecc.  del  quale  tutte  le  creature  intel- 
ligenti (angeU  e  uomini)  e  solamente  esse  Iti- 
rono  dotate  prima  del  peccato  originale  e  sono 
rimaste  dotate  anche  dopo  la  colpa  del  primo 
padre  (cfr.  Tomm.  d'Aqu.,  Summ.  P.  I.  qu. 
Lxxzm,  art  2).  —  25.  se  tv  eoo.  ee  tu  sa- 
prai argomentare  la  natura  del  vóto  da  dò 
che  ti  ho  detto  del  libero  arUtrio,  che  per  il 
vóto  resta  obbligato  a  Dio.  —  26.  Palte  ecc. 
la  santità  del  vóto,  se  ò  tale  ohe  al  oonsenso 
dell'uomo  s'unisca  il  consenso  di  Dio  (cfir. 
Tomm.  d'Aqu.,  Summ,  P.  II  !>•,  qu.  Lzxxvm, 
art.  1  e  2).  —  28.  eh4»  nel  ferautf  eoo.  poi- 
ché, quando  l' uomo  promette  di  osservare  un 
vóto,  sacrifica  a  Dio  il  tesoro  della  libera  vo- 
lontà, che  è  cosi  prezioso  oome  ho  detto,  e 
questo  sacrifido  si  compie  oon  un  atto  della 


PARADISO  -  CANTO  V 


687 


80       tal  qual  io  dico,  e  fassi  col  suo  atto. 
Dunque  olie  render  puossi  per  ristoro? 
Se  credi  bene  osar  quel  e*  hai  offerto, 
83        di  maltolletto  vuoi  fiax  buon  lavoro. 
Tu  se'  ornai  del  maggior  punto  certo  ; 
ma,  perché  santa  Chiesa  in  ciò  dispensa, 
86       che  par  centra  lo  ver  eh* io  t'ho  scoperto, 
convlenti  ancor  sedere  un  poco  a  mensa, 
però  che  il  cibo  rigido  e' hai  preso 
39        richiede  ancora  aiuto  a  tua  dispensa. 
Apri  la  mente  a  quel  ch'io  ti  paleso, 
e  fermalvi  entro;  che  non  fa  scienza. 
42       senza  lo  ritenere,  avere  inteso. 
Due  cose  si  convengono  all'essenza 
dì  questo  sacrificio:  l'una  ò  quella 
45       di  che  si  fa,  l'altra  ò  la  convenenza. 
Quest'ultima  giammai  non  si  cancella, 
se  non  servata,  ed  intomo  di  lei 
48       si  precìso  di  sopra  si  favella; 
però  necessità  fu  agli  ebrei 
pur  l'ofiferère,  ancor  che  alcuna  offerta 


ttatsa  libera  rolontà.  —  80.  eoi  tao  ftttot 
Tomm.  d'Aqn.,  L  dt.  €  Ad  rotam  tria  ex  ne- 
eewitiite  reqairnntiir  :  primo  qnidem  delibe- 
ratio  ;  eeoondo,  propositum  «oJuntotit;  tertio, 
prominio  in  qna  perfidtnr  ratio  roti  ».  —  81. 
D«B^«o  eoe.  Donqne  neesona  opera  bnona 
pad  oompeneaie  l' inoasorvanza  dei  roti.  — 
82.  8«  credi  eoe.  Se  ondi  di  poter  nsare  a 
fin  di  bene  quella  libera  volontà  che  hai  of- 
Jérta  a  Dio,  tn  rooi  Dare  opere  baone,  opere 
di  carità  eoa  ooea  tolta  indebitamente  ad  al- 
tri. MiaUoOittto  o  maUoUo  (lat.  med.  maìetoM' 
tmm)  ai  diaae  nel  medioevo  il  fratto  delle  (of- 
Mto,  doè  deUe  rapine,  delle  eetoraioni,  delle 
troffé  (cfir.  Inf,  xi  86),  e  però  Dante  osò  as- 
Mù  a  propoeito  qaeeta  Tooe,  nella  qaale  e'  in- 
clude una  spedo  di  oompanzione:  fai  come 
coloro  die  credono  ottenere  il  perdono  di  Dio 
impiegando  in  opere  di  carità  quello  cho  hanno 
rapito  o  troflàto  agli  altri.  —  84.  Ta  ee*  eoe. 
Oramai  ta  tei  certo  del  panto  capitale,  doò 
che  il  Tóto  per  eó  stesso  non  paò  essereoom- 
penaato  da  altre  baone  opere.  —  85.  la  eiò 
élspenta  ecc.  accorda  dionee  dai  roti  pro- 
messi, e  dò  sembra  essere  in  opposizione  con 
qoeUo  che  ti  ho  detto  ecc.  —  87.  sedere  «a 
pece  eoe  prestare  per  nn  altro  poco  atton- 
zkwe  al  mio  ragionamento,  pdchó  la  materia 
che  liai  presa  a  considerare  ò  ood  difficile, 
che  a  intenderla  pienamente  ti  bisogna  ancora 
il  mio  aiate.  —  88.  disfeasa:  ò  l'atto  della 
digestionw,  per  la  quale  le  sostanze  nutrienti 
li  issimilaQo  alle  varie  parti  del  corpo,  ven- 


gono distiibaite  nd  vart  organi:  detto  deW 
l'atto  intellettivo,  significa  1*  intendere  pie- 
namente, senza  die  nulla  resti  oseoro  e  dub- 
bio. —  Al.  e  fermalvi  eoo.  e  ferma,  ritieni 
bene  nella  toa  mento  dò  oh*  io  ti  vengo  di- 
cendo. —  Bea  Cs  scleaia  eco.  a  costitaire 
il  sapere  non  bastano  le  notizie  del  vero,  si 
bisogna  anche  la  memoria  che  le  ritenga.  Stu- 
penda e  vera  sentenza,  ohe  nella  sua  brevità 
ha  efficacia  e  solennità  maggiore  d' ogni  piti 
minuzioso  avvertimento,  ed  ò  di  quelle  in  cui 
Danto  sdo  sa  scolpire  le  più  usuali  verità  in 
maniera  inimitabile.— d8.  Due  cose  eoo.  Duo 
condizioni  essenziali  sono  necessarie  al  v6to  ohe 
ò  sacrifizio  del  libero  arbitrio  :  Tana  d  la  ma- 
teria o  soggetto  dd  vóto  (verginità,  digiuno 
ecc.),  l'altra  d  la  forma  o  convenzione  o  patto, 
per  cui  si  obbliga  la  libera  volontà.  —  45. 
convenenza:  atto  del  convenire,  patto,  con- 
venzione (cfr.  V.  28):  sopra  questa  parola 
ctt.  Parodi,  BoU.  m  150.  —  46.  Quest'alttaia 
ecc.  La  convenzione  non  d  cancella  se  non 
quando  d  stata  osservata.  —  48.  di  sopra  i 
nei  w.  81-83,  ove  d  detto  che  il  patto  non 
pad  essere  rotto,  nò  la  rottura  compensato 
d'alcun'altra  gruisa.  —  49.  però  eoo.  per  que- 
sta ragione  agli  Ebrd  fu  pieeoritto  che  le 
offerto  al  Signore  non  potessoro  cessare,  seb- 
bene fosse  ammesso  il  riscatto  e  la  permuta- 
zione delle  porsone  e  ddle  cose  consacrato  a 
Dio,  eccettuato  le  bestie  e  le  cose  offerto  per 
intonletto.  —  60.  offerire  :  forma  arcaica  del 
vb.  offrire^  che  ricorre  in  Fuor,  zm  140.   — 


588 


DIVINA  COMMEDIA 


51        si  permutasse,  come  saper  dèi 
L'altra,  che  per  materia  t*ò  aperta, 
puote  bene  esser  tal  che  non  si  falla, 
61       se  con  altra  materia  si  converta. 
Ma  non  trasmuti  carco  alla  sua  spalla 
per  suo  arbitrio  alcun,  senza  la  volta 
57       e  della  chiave  bianca  e  della  gialla; 
ed  ogni  permutanza  creda  stolta, 
se  la  cosa  dimessa  in  la  sorpresa, 
60       come  il  quattro  nel  sei,  non  ò  raccolta. 
Però  qualunque  cosa  tanto  pesa, 
per  suo  valor,  che  tragga  ogni  bilancia, 
G3       satis£Eur  non  si  può  con  altra  spesa. 
Non  prendan  li  mortali  il  vóto  a  ciancia: 
siate  fedeli,  ed  a  ciò  far  non  bieci; 
66       come  leptò  alla  sua  prima  mancia, 


61.  fmt  iftp«r  eoe  dal  LtvUh,  xxvn  1-29. 

62.  L*altrft  eoo.  L'altra  ooadixioiie,  ohe  ti  ho 
dichiarato  esser  la  matoria  del  T6to  (v.  45 
e  di  ohe  si  &  »X  pad  essere  pennntata  senza 
ohe  si  oada  in  peooato.  Anohe  Tomm.  d'Aqn., 
Sunmn.  P.  II  2m,  qiu  umvm,  art  10-12, 
ammette  ohe  la  oommutasione  e  la  dispensa 
dai  vóti  in  oerti  oasi  sieno  ledte,  le  esolnde 
per  il  vóto  di  oastità,  e  diohiara  che  por  Tona 
e  per  l'altra  oooorre  sempre  V  interrento  del- 
l'autorità eoolesiastioa:  Dante  seg:ae  qoaai  in 
tatto  l'Aqoinate,  salyo  in  aleoni  particolari 
che  Terrò  indicando.  —  66.  Ma  boi  trasaatl 
eoo.  Ott:  e  Mostrato  ohe  il  TÓto  non  si  pad 
dimettere,  ma  ohe  la  cosa  di  ohe  si  £s  il  vóto 
si  può  permutare,  ora  mostra  ohe  d  nooee- 
sarìo  a  tBX9  la  permutazione.  S  dice  ohe  sono 
dae  cose:  l'ona  è  l'autoritade  del  pastore 
che  abbia  a  dò  podestade,  e  però  dice  oh'elli 
dee  essere  tale  ohe  possa  prosciogliere  e  le- 
gare, sf  che  ogni  pastore  non  ha  questa  ba- 
lia, e  dice  che  nessuno  ardisca  per  suo  ar> 
bitrio  permutarsi  il  TÓto;  l' altra  è  che  la 
cosa,  nella  quale  tu  permuti  la  cosa  rotata, 
sia  maggiore  di  quella,  si  che  contenga  in  sé 
quella  e  la  metà  di  quella,  si  come  il  numero 
del  sei  contiene  il  numero  del  quattro  e  la 
metà  più,  o  almeno  sia  maggiore  di  quella  ». 
~  66.  senza  la  Tolta  eco.  senza  l'autorizza- 
zione pontificia.  —  67.  della  ehlATt  eoe  ott, 
Purg,  IX  117.  —  68.  ed  ogni  eoo.  e  tenga  per 
fallace  ogni  commutazione,  se  l'oggetto  del 
secondo  vóto  non  ò  maggiore  assai  di  quello 
del  primitiTO,  se  la  cosa  ohe  si  dimette,  si 
abbandona  non  è  inferiore  a  quella  ohe  si 
prende  di  poL  —  60.  carne  11  qvattro  eco. 
La  legge  mosaica (Ltfrifio.  xxvu  15:  e . . .  so- 
pn4,^uuga  olla  tua  ostinazione  il  quinto  del 
prezzo»)  può  ben  ayer  suggerita  a  Dante 


l'idea  di  questa  oomparazione  mmende;  ma 
certo  egli  non  die  al  quattro  e  al  sei  il  ra- 
lore  quantitativo  determinato,  e  intese  dir  solo 
di  quantità  minore  e  maggiore.  —  61.  Pere 
eco.  Perdo  ogni  oosa,  ohe  pesa  tanto  per  sé 
stessa  da  non  arere  equiTalente,  non  può  es- 
sere commutata,  come  materia  di  reto,  eoa 
alcun'  altra.  L'oggetto  di  vóto  ohe  non  ha  equi- 
Talente è  la  rerginità,  la  quale  dunque  non 
può  lioerere  oonunutazioBe  o  dispoiaa:  la 
dottrina  di  Dante  è  un  po'  dlTena  da  quella 
dell' Aquinate,  in  quanto  il  poeta  la  fonda  so- 
pra 1' arg<unento  della  «ancania  d'equiva- 
lente, ohe  al  tedogo  sembrava  rsgiaiie  insuf- 
fidente.  —  62.  tragga  eoe  fhocia  traboccale 
per  il  suo  peso  qualunque  bilancia.  —  64. 
Non  eco.  Oli  uomini  dunque  wm.  devono  pien- 
dere  con  leggerezza  i  v6tL  Del  varao  dante- 
sco d  ricordò  F.  Ubarti,  DitL  n  80:  «  Noa 
prendan  li  signor  le  imprese  a  olanda  ».  — 
66.  slate  eoo.  è  bene  ohe  vd  siate  itodeli,  ma 
non  dovete  soonsideratamente  correre  a  tax 
vóti  eoo.  Anche  qui  Dante  d  scosta  un  po'  da 
Tomm.  d'Aqu.,  che  insegnava  (Annai.  P.  n 
2m,  qn.  Lxxxvnx,  art  6):  «  fìueia  idem  opus 
voto  est  melins  et  magia  meritorinm  quam 
ùMoro  sino  voto  >  ;  ma  il  poeta,  ohe  Tisee  va- 
ramente la  vita  del  suo  tempo,  non  quella  dd 
conventi  o  delle  sonde,  sentiva  e  sapeva  di 
quanti  mali  pubblid  e  privati  fosse  cagione 
l'aboso  delle  proUssdoai,  speoialment»  dd  v6tt 
religiosi,  che  oondnoevano  ad  oonvanti  tanti 
uomini  e  tante  donne,  sottcaaadott  ood  alla 
patria  e  alla  Csmiglia.  —  bled  s  Uecài,  senza 
vista  sioaxa,  e  ilgnratamente,  ■oonsidscati, 
leggieri  nd  propositi;  ofir.  Ar.  vi  186.  —  66. 
coma  leptè  eoo.  La  oomparaslona  è  tratta  dd 
fatto  di  leftè  di  Galaad,  il  quale,  chiamato  a 
condurre  la  gnetza  degli  Israditi  contro  gli 


PARADISO  -  CANTO  V  589 

cui  più  si  oonvenla  dicer:  '  Mal  feci  ', 
che,  servando,  &r  peggio;  e  cosi  stolto 
69       ritrovar  puoi  lo  gran  duca  dei  greci, 
onde  pianse  Ifigenia  il  suo  bel  volto, 
e  fé'  pianger  di  sé  li  folli  e  i  savi, 
72       ch'adir  parlar  di  cosi  ^Eitto  cólto* 
Siate,  cristiani,  a  movervi  più  gravi, 
non  siate  come  penna  ad  ogni  vento, 
75       e  non  crediate  ch'ogni  acqua  vi  lavi. 
Avete  il  vecchio  e  il  nuovo  testamento, 
e  il  pastor  della  Chiesa  ohe  vi  guida: 
78       qnesto  vi  basti  a  vostro  salvamento. 
Se  mala  cupidigia  alt:o  vi  grida, 
uomini  siate,  e  non  pecore  matte, 
81        si  che  il  giudeo  di  voi  fra  voi  non  rida. 
Non  fate  come  agnsl  che  lascia  il  latte 

Ammoniti,  <  votò  onróto  al  Signore,  e  disse,  forma  popolare  per  euOo^  ohe  secondo  alcuni 
Se  por  ta  mi  dai  i  figUnoli  d' Ammon  nelle  tosti  sarebbe  anche  in  B»,  zzn  45  ;  olir.  Pa- 
mani,  quando  io  ritornerò  in  pace....  dò  ohe  iodi,  BulL  m  96.  —  78.  a  morerrl  eoo. 
nsouà  dell'uscio  di  casa  mia  sarà  del  Signore,  più  considerati,  più  attenti  nel  £ue  del  vóti, 
ed  io  1* offerirò  in  olocausto  »  :  ottenuta  vitto-  74.  non  slate  eoo.  non  siate  leggieri,  come 
ria,  «  leltè  ritomara  a  casa  sua  in  Ifispe,  eo-  le  piume  che  si  muorono  ad  ogni  vento,  né 
00,  la  sua  figliuola  gli  usci  incontro  con  tam-  crediate  che  ogni  offerta  riesca  grata  al  Si- 
buri  e  con  flauti  >,  ed  egli  per  osserrare  la  gnore  e  Taiga  a  ottenervi  il  perdono  delle  re* 
promessa,  la  saoiiiod  (OUidioi  n  80-40).  ~  atre  colpe.  —  76.  ATeto  eoo.  A  eonduiri  aU 
ana  saa  prlsui  manda  :  alla  figliuola  ch'egli  Tetoma  salute  non  bisognano  tanti  TÒti,  ba- 
saorificò  per  osserranza  al  TÓto  fatto  di  sacri-  sta  l'csserranza  della  Sacra  Scrittura  e  l' ub- 
floare  colui  che  per  piimo(c  quicumqueprMmw  Udiensa  al  Pontefice  ;  ti  ctr.D$  mon,  in  16  : 
fneiit  egroosus  »  eoe,  la  vulgata;  ofr.  Moore,  e  Opus  ftait...  summo  pontifico,  qui  seoundum 
I  62)  gli  sarebbe  uscito  incontro  dalla  porta  lerelata  humanum  genus  perduoeret  ad  Tltam 
della  sua  casa;  la  locuzione  dantesca  s'in-  aetemam  i.  —  79.  Se  «ala  eoe  Se  la  mal- 
tende  benissimo,  dando  al  nome  mancia  il  vagia  cupidigia  dei  religiosi  vi  spinge  ai  vóti, 
senao  di  offerta  (cfir.  Inf.  zzxi  6)  e  ammet-  vi  fa  credere  che  non  ci  sia  salute  per  òhi 
tendo  che  Danto  l'abbia  detta  prima,  in  quan-  non  fk  offerte,  date  ascolto  alla  voce  della  ra- 
to doveva  easore  costituita  da  quel  che  pri-  gione  e  non  seguite  l'usansa  comune  per  cui 
wia  sarebbe  venuto  incontro  a  leftò.  Alcuni  si  abusa  del  vóto.  Secondo  il  Gasa,  sijavrebbe 
oommentatori  Cuitastioano  di  un  significato  di  qui  una  speciale  allusione  ai  tntà.  Antoniani 
figlia^  ohe  la  parola  numeia  non  può  avere  {ott.  Fiat,  xxa  124)  detti  dalle  campanelle, 
né  pur  metaforioamente;  poiché  la  sacrificata  i  quali  a  poco  prono  assolvevano  da  ogni  vóto  ; 
da  leltè  era  unica,  nò  poteva  esser  detta  cfir.  su  dò  0.  Beccaria,  Di  ahimi  ktoffìd  diffSó. 
prima.  — 67.  evi  pldeoo.il  quel  leftò  avrebbe  o  controverti  della  Din.  Omm,,  Savona,  1889, 
flttto  meno  male  a  riconosoece  d'avere  errato  pp.  193-196.  —  80.  pecore  matte  t  nomini 
a  tàxe  un  tal  vóto,  die  a  commettere  un  de-  senza  discernimento  proprio,  che,  come  Dante 
Htto  per  osservarlo.  I  padri  della  Chiesa  con-  dice  nd  Obtie.  i  11,  e  sono  da  chiamare  pe- 
dannano  il  vóto  di  leftè  come  stolto  e  lisa-  core  e  non  uomini >.  —  8L  sf  ohe  ecc.  in 
eiifido  come  empio  (cfr.Tomm.d'Aqu.,  Summ,  modo  che  1  giudd  non  traggano  da  dò  azgo- 
P.  n  2^,  qu.  T.mvm,  art  2).  —  69^  le  mento  a  schemirvL  Tomm.  :  €  Acconciamente 
fnw  eoo.  Agamennone,  re  di  Argo  e  '^iio9'*"Xìiominato  il  Giudeo,  per  intendere  che  nella 
supremo  della  spedizione  dd  gred  contro  vecchia  legge  la  religione  della  promessa  era 
Troia,  impedito  a  sdpare  da  Aulide  dai  venti  sacra  e  dùs  nella  nuova,  la  quale  ò  legge  di 
sfavorevoli  votò  e  sacrificò  agli  dd  la  figlia  libertà,  le  promesse  debbond  e  fiue  e  osser- 
Ifigenia:  ofr.  Cicerone,  De  o/fie.  m  26,  donde  vare  ndlo  spirito  che  vivìfica,  non  nella  let- 
Bttiaae  Dante  (Moore,  I  268).  —  71.  li  folli  torà  che  spegne  o  illangruidisoe  la  vita  ».  — 
eoo.  tutti  gli  uomini  che  udirono  parlare  di  82.  Nea  fate  eoo.  Venturi  410  :  e  L' uomo  ohe 
un  sacrifizio  ood  empio,  di  un  «  tam  tetrum  abbandona  l'autorità  della  Chiesa  e  dei  libri 
fiidnus  »,  come  dico  Cioerone.  —  72.  etfUo  i  sacri,  è  come  agnello  che  lasda  il  latte,  • 


590 


DIVINA  COMMEDIA 


della  sua  madre,  e  semplice  e  lascivo 
84       seco  medesmo  a  suo  piacer  combatte  ». 
Cosi  Beatrice  a  me,  com'ìo  scrivo; 
poi  si  rivolse  tutta  disiante 
87        a  quella  parte  ove  il  mondo  è  più  vivo. 
Lo  suo  tacere  e  il  trasmutar  sembiante 
poser  silenzio  al  mio  cupido  ingegno, 
90       che  già  nuove  questioni  avea  davante. 
E  si  come  saetta,  che  nel  segno 
percote  pria  che  sia  la  corda  queta, 
03       COSI  corremmo  nel  secondo  regno. 
Quivi  la  donna  mia  vid'io  si  lieta, 
come  nel  lume  di  quel  ciel  si  mise, 
96       che  più  lucente  se  ne  fé*  il  pianeta; 
e  se  la  stella  si  cambiò  e  rise, 
qual  mi  fec'  io,  che  pur  di  mia  natura 
99       trasmutabile  son  per  tutte  guise! 

Come  in  peschiera,  eh' è  tranquilla  e  pura, 
traggonsi  i  pesci  a  ciò  che  vien  di  fuori, 


imbizzarrito  qua  •  là  lal telando,  noooo  a  sé 
tteeto.  Nota  come  bene  al  oonoetto  risponda 
ogni  parola  della  limJlitwdiiw» .  —  88.  iaiclfo  ; 
petolaato,  di«ohito,  come  il  lat  la»owua  :  Y. 
Monti  (Avfmteo,  toI.  UE,  p.  I,  p.  18)  lo  ipiaga 
nel  senso  di  esultante,  allegro,  Ttraoe,  e  ooel 
dietro  a  Ini  Bianòhi,  Frat,  Andr.,  eco.  ~ 
86.  pel  il  rlTOlae  eoo.  Finito  il  suo  discorso, 
Beatrice  si  volge  piena  dì  desiderio  Terso 
quélia  parte  ove  U  wumdo  è  pid  vko,  poiché 
essa  e  Dante  devono  ora  salire  si  secondo 
dolo,  quello  di  Merouio.  Ma  quale  è  cotesta 
parte?  Non  l'oriente,  come  spiegano  Ott, 
Batl,  Land.,  YelL,  Yent.,  Coste,  poiché  non 
se  ne  vedrebbe  la  ragione;  non  la  parte  equi- 
noziale, come  intendono  Dan.,  Biag.  e  altri, 
perché  il  vioo  accenna  piuttosto  a  intensità  di 
splendore  che  di  movimento;  ma  Tequatore, 
ove  trovai  in  questo  momento  il  sole,  come 
spiegano  Bianchi,  Fret,  Ant.,  o  il  cielo  Est- 
piieo,  come  intendono  Cass.  Benv.,  Lomb., 
Ges.,  Andr.  ecc.  :  tra  le  quali  ultime  inter- 
pretazioni non  è  alcuna  contradizione,  poiché 
Beatrice  doveva  guardare  dalla  parte  equa- 
toriale al  sole  ohe  era  alto  e  perciò  guardava 
anche  ali'  Empireo.  Si  avverte  ad  ogni  modo 
che  la  salite  a  Mercurio  non  può  eesere 
disforme  da  quella  alla  Luna  (cb-.  Par,  1 47), 
e  si  ricordi  che  la  parto  piA  alto  del  para- 
diso è  quella  «  che  pi6  ferve  e  più  s' avviva 
Nell'alito  di  Dio  e  nel  costumi  >  {Par.  zxin 
118).  —  88.  trasmatar  sembiante  :  Beatrice 
man  mano  die  saliva  si  faceva  pia  bella  e  pid 
splendento.  —  90.  mnoTe  questioni:  quali 
potessero  essere  cereo  già  il  Buti,  ma  inutil- 


mento,  una  volte  che  Danto  non  lo  ha  dotta 
—  91.  E  si  eome  ecc.  Yentori  i88:  «  Andie 
qui  la  celerite  dell'ascensione  ò  espressa  oca 
la  mededma  similitudine  della  freccia  [cfr. 
Ar.  n  22],  ma  con  variate  d' imagina.  La 
saette  ha  già  cólto  nel  segno,  e  la  corda  del- 
l'arco tremola  ancora.  Ylrgilio,  delle  api: 
*Ut  nervo  pulsanto  sagittae.  Prima  leves 
Ineunt  si  quando  proelia  Parthi'  (Geor^,  ir 
818)  ».  —  92.  pria  ecc.  prima  che  sto  ces- 
sate la  vibrazione  della  corda.  —  98.  ael  se- 
«ondo  regia  :  nel  cielo  di  Moronrio,  nel  quale 
appariscono  le  anime  di  coloro  ohe  sono  stati 
attivi  per  lasciare  al  mondo  buona  tema  di 
sé.  —  91.  i^lfi  eoo.  Beatrice,  giunte  al  se- 
condo cielo,  si  fa  pid  lieta,  e  deOa  ereeoiute 
beatitudine  di  lei  si  avviva  ed  aocresoe  il 
lume  del  pianeta.  —  97.  e  se  la  stella  ecc. 
e  se  la  benefica  influenza  di  Beatrice  si  fece 
sentire  ed  apparve  nel  pianeta,  che  di  sua 
natura  ò  immutebile,  quanto  più  si  fece  sra- 
tire  in  me,  che  per  mia  natura  sono  soggetto 
a  tutto  le  impressioni  I  ~  100.  Oobm  eoa  Come 
nell'acqua  limpida  e  quiete  d'una  peechieiai 
pesci  accorrono  a  ciò  che  v'  è  gittate  dentro  se 
stimano  che  sia  il  loro  pasto,  cosi  verso  di  noi 
accorsero  pid  di  mUle  anime  risplendenti,  da- 
souna  delle  quali  diceva:  Ecco  eoe  Yenturi 
419  :  «  Note  nella  comparazione  bellezza  e  pro- 
priete  di  consonanze.  I  duo  epiteti  irangmUa 
e  pura  rispondono  alla  quieto  somma  e  alla 
serenite  della  sfera  celesto;  e  l'imagine  dei 
pesd,  che  si  volgono  a  dò  che  stimano  cosa 
di  lor  pastura,  concorda  col  desiderio  che 
hanno  quelle  anime  di  psscersi  di  carità.  Dt 


PARADISO  -  CANTO  V  591 

102        per  modo  che  lo  Btimin  lor  pastura; 
si  vìd'io  ben  più  di  mille  splendori 
trarsi  v6r  noi,  ed  in  ciascun  s'ndia: 
105        <  Ecco  chi  crescerà  li  nostri  amori  >• 
£  si  come  ciascimo  a  noi  veniai 
yedeasi  1*  ombra  piena  di  letisia 
108        nel  fulgor  chiaro  ohe  da  lei  uscla. 
P^iisa,  lettor,  se  quel  che  qm  s'inizia 
non  procedesse,  come  tu  avresti 
111        di  più  sapere  angosciosa  carizia; 
e  per  te  vederai,  come  da  questi 
m'era  in  disio  d'udir  lor  condizioni, 
114       si  come  agli  occhi  mi  fldr  manifesti. 
€  0  bene  nato,  a  cui  veder  li  troni 
del  trionfo  eternai  concede  grazia, 
117       prima  che  la  milizia  s'abbandoni, 
del  lume  che  per  tutto  il  ciel  si  spazia 
noi  ^mo  accesi:  e  però,  se  disii 
120        di  noi  chiarirti,  a  tuo  piacer  ti  sazia  >. 
Cosi  da  un  di  quelli  spirti  pii 
detto  mi  fu;  e  da  Beatrice:  <  Di',  di', 
123       sicuramente,  e  credi  come  a  dii  >. 
<  Io  veggio  ben  si  come  tu  t' annidi 

piA  :  eoa»  i  peid,  1  quii  risti  in  fondo  alla  nato  la  nota  al  Aif^r.  y.  60.  —  a  evi  eoe.  al 
pwritiiora  al  diatingaono appena,  lalitlal  oom-  quale  la  grada  dirlna  oonoede  di  vedere  il 
no  ai  veggono  chiaramente;  ooet  quei  beati  delo  Empiieo  prima  d'abbandonare  la  vita 
via  via  al  ftumo  pi&  risplendenti  per  la  oa-  terrena.  Sopra  Tordine  angelico  dei  troni  cfr. 
rità  èhe  gl'inflaBUBa,  e  che  nell'  ayridnarai  Par.  ix 61,  zxyni  106.  —  117.  la  mlHila:  la 
a  Dante  ra  cveeoendo  ».  —  106.  Keee  eoo.  rita  della  ten»,  aeoondo  la  definidone  biblica 
VelL  :  «  Eooo  Dante,  il  qnale  aumenterà  la  (lob  vn  1):  <  Non  ha  1*  nomo  nn  termine  della 
Tirtd  della  carità  in  noi,  perché  di  quella  nel  sua  milizia  snlla  tona  ?»  —  118.  del  lame 
•otrare  i  noi  dnbbt  potremo  usare  ».  Altri  eoe  noi  siamo  accesi  dall'ardente  carità  di- 
riferiacono  l'esdamaxione  dei  beati  alla  sola  Tina,  dilTusa  per  tutto  il  paradiso;  però  se  hai 
Baatrioe,  e  altri  a  Beatrice  e  Dante  insieme  ;  desiderio  di  sapere  qualche  cosa  intomo  a  noi, 
mM  quella  del  Veli,  d  la  più  ragionerole  spie-  sarai  a  tuo  piacere  sodisCstto.  — 121.  aa  di 
gasiona.  —  106.  I  ti  ease  eoe  Mano  mano  quelli  eoe  CHustlniano;  cfr.  Far.  n  10.  — 
eha  ciaaeuno  dai  beati  s'ayrioinava  a  noi  si  122.  e  da  Beatrlee  eoo.  Beatrice  eccita  Dante 
Todara  l'anima  piena  di  beatitudine  nello  ad  accettare  rolTerta  di  quelle  anime,  doman- 
spleadore  luminoeo  che  da  essa  raggiava.  —  dando  dd  ohe  desiderava  sapere  e  prestando 
Ila  eawt  ta  eoo.  come  sentiresti  angoodo-  loro  credensa,  come  a  persone  divine.  —  Df*, 
aamenta  la  manoanxa  di  sapere  il  rimanente,  df*  :  cfr.  Inf.  vn  28.  —  128.  eome  a  dll  : 
La  voce  oarMa  è  dai  moderni  ooncordemente  Boezio,  Cont,  PhU.  m,  pr.  10  dice  ohe  «  di- 
spiegata per  caieetia,  penuria  (ofr.  earo  in  vinitatem  adeptos  deos  fierL...  neoesse  est  », 
Airy.  zxn  141),  ma  <  vale  senza  dubbio  mi-  e  siccome  la  beatitudine  è  divinità,  oosf  i 
Bmria  nelle  sue  varie  sfumature  di  senso»  beati  sono  come  dei;  ma  forse  Dante  ebbe 
(Ferodi,  BmìL  VI  16):  alcuni  antichi  vi  trova-  la  menta  al  vangelo  (Giovanni  x  84),  che 
imo  ptuttoato  V  Idea  di  desiderio.  — 112.  per  nella  vulgata  suona:  <  Nonne  scriptum  est 
ta  eoe.  da  te  stesso  intenderai  quanto  desiderio  in  lege  vostra  quia  ego  dixi  *dii  estis'?». 
lo  prvrassi  di  sapere  da  cotesti  spiriti  eoo.  —  dil  :  dei,  iddiL  —  124.  Io  veggio  eoo. 
—  116.  0  Iberna  eoo.  Si  ofr.  le  parole,  con  le  Io  vedo  come  tu  sd  circondato  dal  tuo  pro- 
q;aaU  ai  volge  a  Dante  anche  Piccarda  Donati  prio  splendore  e  che  lo  effondi  per  gli  occhi, 
la  Bar.  m  87  e  segg.,  e  per  l'epiteto  di  b&nc  poiché  essi  corruscano,  scintillano  quando  tu 


592  DIVINA  COMMEDIA 


nel  proprio  lame,  e  che  dagli  ooclii  il  traggi, 
126       perch'ei  corruscali  bì  come  ta  rìdi; 
ma  non  so  chi  tu  sei,  nò  perché  aggi, 
anima  degna»  il  grado  della  spera, 
129        che  si  vela  ai  mortai  con  altrui  raggi  >. 
Questo  diss'io  diritto  alla  lumièra 
ohe  pria  m'avea  parlato,  ond*ella  féssi 
182       lucente  più  assai  di  quel  eh' eli*  era. 
Si  come  il  sol,  che  si  cela  egli  stesai 
per  troppa  luce,  come  il  caldo  ha  róse 
135       le  temperanze  dei  vapori  spessi  ; 
per  più  letizia  si  mi  si  nascose 
dentro  al  suo  raggio  la  figura  santa, 
e  cosi  chiusa  chiusa  mi  rispose 
189    nel  modo  che  il  seguente  canto  canta. 

ridi.  Cet.  :  €  A  me  par  veder  troppo  più  prò-  che  «  più  ra  Telato  de'  ra^  del  «de  che 

fonda  ed  alta  sentensa  in  questa  terdna,  ohe  nnll'altra  tteDa  »  {Gono,  n  14).  ~  ISl.  tini 

non  videro  i  cementatori,  i  qnali  nnlla  ci  no-  eoo.  si  fece  anoor  piA  laminosa,  perché  eia 

tarono  di  singolare:  lo  dird  quello  che  me  ne  per  eserdtare  la  sua  carità  Terso  di  me.  — 

sento.  Io  Teggo  bene,  che  ta  ti  riposi,  come  138.  SI  cerne  ecc.  Come  il  sole  resta  Telato 

nella  toa  nicchia,  nel  lame  di  carità  che  hai  dalla  troppa  luce,  allorquando  il  calore  dei 

detto  testé,  e  che  è  ora  tuo  proprio.  Ora,  se-  suoi  raggt  ha  consumato  i  TaporL  »  egU 

gue  Dante,  di  dò  m'accorgo  io  bene,  al  se-  stessi  t  forma,  popolare  di  singolare,  asni  u- 

gno  ohe  me  ne  danno  i  tuoi  occhi,  per  li  suale  CP^rodi,  Bulk  m  128);  cf^.  Inf,  iz68. 

quali  tu  trai  del  cuore  il  ftioco  dell'amor  tuo  —  186.  le  iemperanse  eoe  i  fitti  Tapcri, 

d'entro;  ond'essi  corruscano  e  brillano  se-  ohe  Telando  il  sole  ne  temperavano  agii  oc* 

condo  la  tua  letizia,  oTvero  il  ridere  della  tua  ohi  noetri  lo  splendore  :  cfr.  Aifjr.  zxz  26- 

bocoa.  Voi  udiste  eh'  io  leggo  oomuetm,  e  non  27.  —  136.  per  pltf  ecc.  cosi  risplendende 

oorrusea,  come  mi  dà  qualche  codice;  e  mi  maggiormente  per  la  cresciuta  letizia,  l'anima 

pare  aggiustatamente,  condossiaché  per  gli  di  Giustiniano  mi  si  nasoose  dentro  alla  luce 

occhi  sopratutto  si  sfogano  i  movimenti  del  che  da  lei  raggiava.  —  188.  eUasa  eklvsa: 

cuore,  e  meglio  l'allegrezza  che  altro  ».  —  interamente  nascosta,  tutta  velata  dal  suo 

128.  11  grado  eoo.  la  beatitudine  rispondente  splendore.  —  eanto  eoo.  ofr.  inf.  i  86. 
al  dolo  di  Mercurio,  die  ò  tra  i  pianeti  quello 


CANTO  VI 

Giustiniano  imperatore  rivelandosi  a  Dante  gli  parla  prima  di  sé  e  poi 
rìtesse  a  larghi  tratti  la  storia  deir  Impero  romano  dai  tempi  d*  Enea  a 
quelli  di  Carlomagno  ;  gli  espone  di  poi  quali  anime  beate  siano  assegnate 
al  cielo  di  Mercurio  e  gli  parla  di  Romeo  di  Tillanova  suo  compagno  di  bea- 
titudine [14  aprile,  ore  antimeridiane]. 

e  Poscia  che  Costantin  l'aquila  volse 
centra  il  corso  del  ciel,  che  la  seguio 

VI  1.  Poscia  eco.  Dante  aveva  rivolto  al-  parti  dei  ghibellini  e  dei  guelfi  (w.  93-lll> 

l'anima  cortose  due  domande  :  chi  fosse  e  per-  —  Costantin  ecc.  Costantino  I  (ef^.  Imf,  xa. 

chó  appaxìBse  nel  ddo  di  Mercurio  {Par,  v  115)  trasportò  la  sede  imperiale  da  Roma 

127-129),  e  Giustiniano  risponde  all' una  (w.  a  Bisanzio,  volgendo  cosi  l'aquila  romana 

1-27)  e  all'altra  (w.  112-126),  interponendo  da  oocidente  ad  oriente,  in  senso  contrario 

tra  osso  una  lunga  digressione  (v.  80  alcuna  al  movimento  del  dolo ,  che  è  da  oriente 

yiunto)  sull'Impero  romano  (w.  28-97)  e  sulle  ad  occidente.  —  2.  chela  segvfe  ecc.  il 


PARADISO  -  CANTO  VI 


593 


8  dietro  ali*  antico,  che  LaTÌnia  tolse, 
cento  e  cent'anni  e  più  Puccel  di  Dio 

nell'estremo  d'Europa  si  ritenne, 
6       vicino  ai  monti  de'qoai  prima  uscio; 
e  sotto  l'ombra  delle  sacre  penne 
governò  il  mondo  li  di  mano  in  mano, 

9  e  si  cangiando  in  su  la  mia  pervenne. 
Cesare  fui,  e  son  Giustiniano, 

che,  per  voler  dei  primo  amor  ch'io  sento, 
12       d'entro  le  leggi  trassi  il  troppo  e  il  vano. 
E  prima  ch'io  all'opra  fossi  attento, 
una  natura  in  Cristo  esser,  non  piùe, 
15       credeva,  e  di  tal  fede  era  contento; 
ma  il  benedetto  Agapito,  che  fue 
sommo  pastore,  alla  fede  sincera 
18       mi  dirizzò  con  le  parole  sue: 

io  gli  credetti,  e  ciò  che  in  sua  fede  era 


qiuUo  cono  del  dolo  avey»  segroito,  avera 
accompagnato  il  cammino  deU'aqaila  fatto  con 
Enaa,  quando  da  Troia  Tenne  in  Italia,  da 
oriento  in  ocddento.  Altri  leggono  eh*  Ma 
mguSo,  teeto  pi&  ftoile  oertamento,  ma  per 
qoeeta  ite— i  lagione  sospetto.  —  8.  antico 
eoe.  Enea  ohe  ebbe  in  moglie  Larinia,  figlia 
del  Te  Latino  (Inf,  ir  126).  —  4.  «ente  eoe 
Danto,  eogoendo  Brunetto  Latini,  poneva  al 
833  d«  C.  la  traslazione  della  sede  imperiale 
in  Rsanzio  o  l'assonzione  di  Giustiniano  al 
trono  nel  689  (ofr.  BuU,  VI  196);  si  ohe  tra 
i  doe  arrenimenti  troTSTa  nn'interrallo  mag- 
giore del  Tero,  dod  appunto  piA  di  dugento 
annL  ~  l*Meel  eoo.  l'aquila  (oftr.  Purg. 
xzzn  112),  insegna  del  romano  impero.  — 
6.  mdl'Mtreaie  eoo.  oontinud  ad  arere  la 
sua  sede  in  Bisanzio,  estremo  confine  orien- 
tale dell'Europa,  Hon  lungi  dai  monti  della 
Troade,  onde  V  aquila  era  usdto  con  Enea. 

—  7.  •  sotto  eoe  e  in  Bisanzio,  per  una  lunga 
serio  d' imperatori,  goremò  il  mondo  oon  l'au- 
torità del  santo  impero.  Notano  i  commen- 
tatori oho  so<(o  t'omòra  (M2S  soorsjMnfis  è  frase 
suggerita  a  Danto  da  oonsimili  espressioni 
dei  Salmi  zvi  6,  xxxv  6,  lxii  8,  ore  si 
paria  sempre  di  aK  :  e  questo  può  essere  il 
Talore  della  parola  ptnna,  —  9.  e  8<  ecc.  e 
cosi  pasoando  da  un  imperatore  a  un  altro, 
r  insegna  dell'  impero  pervenne  in  mia  mano. 

—  10.  Cesare  eoo.  Giustiniano  I,  nato  nel 
483,  era  nipote  di  Giustino  I  e  fa  eletto  im- 
peratore nel  627,  mori  nel  666,  lasciando  un 
solenno  monumento  del  suo  regno  nel  Oodice 
che  porta  il  suo  nome.  Di  questo  rerso  os- 
serra  U  Cee.  :  e  Bella  questa  notazione  del 
/W  o  del  tono  I  Cesare,  doò  imperatore  fui, 
oho  ora  non  sono  pi6,  essendo  eoUa  morto 

Diinv 


finiti  gì*  imperi  ed  i  re  :  Giustiniano  fui  e  sono, 
percnó  l'essere  personale  eoi  nome  dura,  an- 
che appresso  alla  morto  ».  —  11.  pof  Toler 
eoo.  per  ispirazione  dello  ^irito  Santo;  ofir. 
T.  23.  —  12.  d*aitro  eoo.  riordinai  la  giuri- 
sprudenza romana,  togliendo  dal  oofpo  delle 
leggi  quelle  che  erano  superflue  riferendosi  a 
usi  e  instituti  del  passato  o  essendo  simili  ad 
altre,  e  quelle  ohe  erano  inutili  peroké  discor- 
danti dalle  nuoye.  Danto  ha  colto  eresoss- 
sai  bene  il  concetto  fondamentale  della  rifórma 
giustinianea  significato  nelle  parole  del  decre- 
to che  precede  il  oodioe,  |  1:  <  omni  super- 
Taeua  similitudine  et  iniquiasima  discordia 
absolutae  •.  —  18.  I  frisa  eoo.  E  prima  di 
volgermi  a  quest'opera  di  riordinare  le  leggi, 
crederò  che  in  Dio  fosse  una  sola  natura  od 
ero  sodisf)»tto,  tranquillo  in  questa  credenza. 
L'eresia  nella  quale  era  oadnto  Giustiniano 
è  quella  di  Entiohe,  che,  in  opposiaioiie  alla 
dottrina  nestoriana  delle  due  persone  di  Cri- 
sto, sostenoTa  una  essere  la  natura  di  Cristo 
e  questo  essere  la  divina,  ohe  oongiungen- 
dosi  all'umana  l'aveva  annientoto:  erronea- 
mente alcuni  commentatori  dicono  che  se- 
condo l'eresia  eutiohiana  si  ammettesse  in 
Cristo  la  sola  natura  umana  ;  ofr.  Beccaria,  op. 
dt,  pp.  198-199.  —  16.  Agapito  s  Agapito  I 
pontoflce  dal  686  al  686  :  mandato  a  Costan- 
tinopoli da  Teodato  re  degli  Ostrogoti  per  ot- 
tenere pace  dall'  imperatore,  ebbe  a  dlaoutaro 
oon  Giustiniano  in  materia  di  religione  e  lo 
persuase  e  dominum  nostrum  Jesus  Christnm 
deum  ti  hominem  Mm,  hoo  est  Atos  natura» 
•sst  in  uno  Christo  »,  secondo  la  testimonianza 
di  Anastasio  bibliotecario  {Lh  mOtpoiUif,,  s. 
Agap.  oap.  68).  --  19.  e  ei6  eoo.  ed  ora  vedo 
ehiaramento  la  verità  di  dò  ch'egli  affermava, 


B94 


DIVINA  COMMEDIA 


veggio  ora  chiaro,  si  come  tu  vedi 
21        ogni  contradizion  e  falsa  e  vera. 
Tosto  che  con  la  Chiesa  mossi  i  piedi, 
a  Dio  per  grazia  piacque  di  spirarmi 
24        l'alto  lavoro,  e  tutto  a  lui  mi  diedi; 
ed  al  mio  Bellisar  commendai  l'armi, 
cui  la  destra  del  ciel  fu  si  congiunta 
27        che  segno  fu  ch'io  dovessi  posarmi. 
Or  qui  alla  question  prima  s'appunta 
la  mia  risposta;  ma  sua  condizione 
80        mi  stringe  a  seguitare  alcuna  giunta, 
perchó  tu  veggi  con  quanta  ragione 
si  move  contra  il  sacrosanto  segno 
83       e  chi  '1  s'appropria  e  chi  a  lui  s'oppone. 
Vedi  quanta  virtù  l' ha  fatto  degno 
di  reverenza!  »  E  cominciò  d'allora 
86       che  Fallante  mori  per  dargli  regno. 
<  Tu  sai  che  fece  in  Alba  sua  dimora 


cioè  della  doppia  natoza  di  Ciisto,  oon  qnéUa 
stessa  oertewa  oon  coita  intendi  oome  in  nn 
giadizb  oontraditozio  neoessariamente  1*  ano 
dei  tannini  i  fìEdso  e  l'altro  i  vero.  —  22. 
Tosto  eoo.  Appena  che  Itd  rientrato  nel  grem- 
bo della  Chiesa,  accettando  la  dottrina  della 
doppia  natala  di  Cristo,  Dio  m' ispird  la  grande 
opera  di  riordinare  le  leggi  e  mi  raccolsi  tatto 
in  qnesta.  —  25.  eé  al  »ie  ecc.  e  affidai  il 
comando  delle  armi  imperiali  al  fedele  Beli- 
sario, che  combatto  i  miei  nemid  con  tanto 
fttyore  del  dolo,  da  parer  manifesto  che  la 
Tolontà  divina  mi  yclera  occapato  nell'opera 
legislatiTa,  paciflca  ed  aliena  dal  romore  delle 
armL  —  BeUlsar  t  Belisario  (490-666),  U  più 
grande  dei  capitsni  dell'  impero  orientale,  Is- 
moso  spedalmento  per  la  spedizione  in  Italia 
contro  gli  Ostrogoti  :  pare  che  Dante,  come 
Q.  Villani  {Or,  u  6)  e  altri  storici  medioe- 
yali,  non  conoscendo  le  opere  di  Prooopio 
ignorasse  i  torti  di  Oiostiniano  verso  il  sno 
generale.  —  26.  evi  la  destra  ecc.  si  ofr. 
nel  Oonc,  ir  5,  ove  i  romani  sono  detti 
e  stramenti,  colli  quali  procedette  la  divina 
Provvidenza  nello  romano  imperio,  dove  più 
volto  parve  le  braccia  di  Dio  ossero  presen- 
ti >.  —  28.  Or  fai  ecc.  Sino  a  qoi  ho  ri- 
sposto alla  toa  prima  domanda:  ma  la  qua- 
lità della  risposta,  l'averti  detto  oh'  io  fìii  im- 
peratore, mi  trae  ad  aggiongere  qualche  altra 
cosa  intomo  all'  impero,  affinché  tu  vegga 
quanto  errino  contro  di  esso  e  i  ghibellini  e 
i  guelfi.  —  81.  con  qoaata  ecc.  con  quanta 
ingiustizia,  con  quale  offesa  del  diritto  impe- 
riale operino  da  nemid  dell'  impero,  e  i  ghi- 
bellini ohe  s'appropriano  oome  insegna  l'a- 


quila, e  i  guelfi  ohe  a  quesf  insegna  si  oppon- 
gono. Buti,  con  linguaggio  del  tempo:  <  las- 
sano signore  e  nessuno  comune  dovrebbe  i^ 
propriard  lo  segno  dell'aquila  per  riverenzia 
do  lo  imperio,  se  non  l'avesse  già  di  grazia 
dallo  imperadore»;  doè  se  non  gli  è  stato 
concesso  per  privilegio  imperiale  (oone  a 
Pisa  ecc.).  —  Si,  Tedi  eco.  CossÙaca,  t»- 
nendo  dietro  alla  mia  espodzioiie,  quanto 
valorose  azioni  hanno  Catto  degna  questa  ìa- 
segna  della  riverenza  degli  uomini.  —  36.  B 
eoMlnelò  eoe  E  d  rifece  dd  tempi  remoti 
nei  quali  Pallante  mori  nella  lotte  combattuta 
per  dare  un  regno  ad  Enea,  portatore  del- 
l'aquila. Non  ostante  le  obbiezioni  dd  Tor- 
nea e  di  dtri  (ofir.  BM,  VIU  824)  seguito 
nell' interpundone  e  nella  spiegazione  do» 
commentetori  moderni,  Tomm.  e  Soart.;  a 
noto  che  i  più  dogli  interpreti  tengono  an- 
che questo  ultime  parole  oome  detto  da  Qia- 
stiniano,  a  significare  ohe  la  virtù  dell'aquila 
oomindò  dd  tempi  remoti  di  Pallante.  —  86. 
Fallante:  fu  flgUo  di  Evandro,  re  dd  Ledo, 
e  mandato  dd  padre  in  soccorso  di  Enea  mori 
combattendo  contro  Turno,  re  dd  Rutuli. 
—  87.  Ta  sai  eco.  Tu  sd  (da  Livio,  i  8  e 
segg.)  che  l'autorità  simboleggiate  dall'  aquila 
risedette  nella  dttàdi  iiba,  fondate  da  Asca- 
nio  e  retta  dd  discendenti  d' Enea  per  dtie 
tre  secoli,  sino  alla  cadute  di  quella  dttà 
ohe  fu  allorquando  per  quell'autorità  com- 
batterono i  tre  Orad  con  i  tze  Curiazi  (cfir. 
Livio  1 24-27).  La  presente  terzina  d  illustrate 
da  ciò  ohe  d  legge  nel  Ih  mon,  n  10:  e  Coa- 
que  duo  populi  ex  ipsa  troiana  radice  in  Ita- 
lia germinassent,  Bomanus  viddicet  popnlos 


PARADISO  -  CANTO  VI 


595 


per  trecent'aimi  ed  oltre,  infino  al  fine 
89        che  i  tre  ai  tre  pugnar  per  lui  ancora; 
e  sai  ch'ei  fé'  dal  mal  delle  Sabine 
al  dolor  di  Lucrezia  in  sette  regi, 
42       vincendo  intomo  le  genti  vicine. 
Sai  quel  ch'ei  fé*,  portato  dagli  egregi 
romani  incontro  a  Brenne,  incontro  a  Pirro, 
45       e  centra  gli  altri  prine^Ki  e  collegi: 
onde  Torquato  e  Quinzio,  che  dal  cirro 
negletto  fu  nomato,  i  Deci  e*  Fabi 
48        ebber  la  fama  che  volontìer  mirro. 
Esso  atterrò  l'orgoglio  degli  Arabi, 
che  di  retro  ad  Annibale  pass&ro 
61        l'alpestre  rocce,  di  che,  Po,  tu  labi. 


•t  Albannt,  atqoe  dà  tigno  aquila»  deqnepe- 
natibas  diis  Troianoròiii  atque  dignitat»  pK»- 
eipandi  longo  tempo»  intw  M  difloeptetam 
«■et;  ad  oltimom,  oommuni  Msensa  par- 
tiiB,  proptar  imtwntliHn  oognotoendam,  per 
tret  Hosatioe  firatree,  et  per  totidem  Cnria- 
tioe  ficatrea,  inde  in  oonspeota  regom  et  po- 
polonim  altrimeoni  ezpoctantiam  deoertatom 
eet  :  ubi  tribos  pngHibns  Albanoram  peremp- 
tis,  BomaBoroB  dnoboa,  palma  viotorìae  sub 
Hostilio  rege  oeaiit  Bomanii  >.  —  88.  p«r 
trcetBt'aaal  eoo.  Segoita  anohe  qui  ia  cro- 
nologia di  B.  Titfini,  ohe  pone  la  fondazione 
di  Roma  818  anni  dopo  U  oadata  di  Troia 
inrece  dai  tradizionali  481  (olir.  BuU,  VI  196). 

—  40.  e  tal  eoo.  e  sai  dò  che  esso  segno  ope- 
rd  dal  rmtto  delle  Sabine  sino  alla  morte  di 
Lucrezia,  dorante  il  goremo  di  sette  re  (Ro- 
molo, Nnma,  Tallo  Ostilio,  Anco  Mando,  Tar- 
qoinio  Prisco,  Servio  Tullio,  e  Tarqoinio  Su- 
perbo), soggiogando  i  popoli  finitimi  a  Roma: 
cfr.  Oomf.  nr  6.  —  41.  Laerezla  t  ofr.  Inf,  iv 
128.  —  48.  Sai  eoo.  Sai  dò  ohe  esso  segno 
opoò  portato  dai  Tolorod  Romani  contro  i 
Galli  ^dati  da  Brenne  loro  capo,  contro  i 
Tarantiiìi  gnidati  da  Pirro  re  d' Epiro,  e  con- 
tro gli  altri  nemid  di  Roma,  re  e  repubbliche. 

—  46.  «•llegl  :  collegT,  piar,  di  ooUegio,  nel 
senso  di  repubblica,  governo  impersonale  (ofir. 
Parodi,  BulL  m  160);  non  già  per  eoli»- 
gkL  —  46.  eade  ecc.  nelle  quali  guerre  T. 
Jlanllo  Torquato,  yindtore  dei  Galli  e  dei 
Latini  (ofr.  Omo.  vr  6),  Quinzio  Cincinnato 
il  dittatore  (cfr.  Como,  iv  6,  IH  man.  n,  6),  i 
due  Ded  sacrificatisi  agli  Dd  per  avere  la 
vittoria  (P.  Dedo  Mure  il  padre  nella  guerra 
contro  i  Latini  dd  840,  P.  Dedo  Mure  U  figlio 
in  quella  dd  812:  ofir.  De  man.  n  6,  Conv. 
IV  6)  e  i  F^  (i  trecento,  e  Q.  Fabio  Mas- 
simo,  viadtore  d'Annibale)  acquistarono  la 
celebrità.  —  dal  eirre  ecc.  ebbe  il  sopra- 
nome di  (Sndnnato,  perché  portava  la  ohi  »ma 


arruffata  e  trascurata  (lat  ekrru»  óMifmaUut), 

—  48.  eke  Tolontler  ecc.  Due  interpretazioni 
già  dettero  gli  antichi  del  vb.  mirro.  L'una  è 
del  Lana  :  e  à  da  sapere  che  li  antichi  usa- 
vano d' ungere  di  mirra  li  eorpi  morti  ch'olii 
voleano  die  d  conservassono,  d  ooma  li  mo- 
derni usano  d'imbalsamare;  onde  l'autore... 
dice  la  fama  oht  voimUitr  narro,  doà  ungo  di 
tale  mixra  ohe  la  conserverà  per  lo  tempo  fti- 
turo  »;  e  fu  certo  la  più  comune  nd  trecento, 
poiché  d  trova  in  Pietro  di  Dante,  Ott,  Cass., 
An.  fior.  L'dtra  é  dd  Buti  :  e  mirro  doà  miro, 
lodo,  ma  é  scritto  per  due  r  per  la  oonsonan- 
sia  doUa  rima  ».  Queef  ultima  ta  aooolta  da 
mdti  altri  commentatori,  Dan.,  Lomb.,  Biag., 
Costa  eoo.  ;  mentze  V.  Monti  (Propotta,  voi. 
m,  p.  I,  pp.  182  e  segg.),  M.  Q.  Penta  (Otor- 
naia  Arcadi»,  a.  1848,  voL  XCV,  pp.  261- 
262)  e  pd  anohe  U  Parodi  {BìiU.  TU  Ul) 
sostennero  1*  interpretadone  più  comune,  nd 
senso  di  incensare  con  mina,  onorare.  •— 
49.  Esso  eoo.  L'aquila  romana  fiaooò  l'orgoi^o 
dd  Cartaginesi,  ohe  seguendo  Annibde  pas- 
sarono le  Alpi,  onde  scende  il  Po.  —  AràM  t 
Dante,  Ih  man,  n  10  chiama  Afrieani  i  sol- 
dati d' Annibde;  e  qui  indétto  oerto  dalla 
neceedtà  della  rima  dà  loro  il  nome  di  .iroM, 
che  d  suoi  tempi  era  dato  genericamente  alle 
popoladoni  dell'  Afirica  settentrionale;  ab- 
biamo insomma  in  questa  denominadone  lo 
stesso  processo  ideologioo,  per  cui  sono  d- 
trove  chiamati  ìamba/rdi  i  genitori  di  Virgilio 
{bif.  I  68)  ;  non  già,  come  vogliono  Lomb., 
Tomm.,  Andr.,  eco.  un  accenno  a  comunanza 
di  origine  dei  Cartaglned  e  degli  ArabL  Quan- 
to all'  accento,  d  veda  Parodi,  BuU,  m  107. 

—  61.  l'alpestre  eoo.  la  catena  ooddentalo 
ddle  Alpi,  dondo,  o  Po,  tu  discendi.  Si  noti 
l'apostrofe  d  Po,  suggerita  forse  anohe  questa 
dalla  rima,  né  senza  esempi  nd  olasaid  ;  per 
OS.  Ovidio,  Met.  v  360  :  e  Dextra  sed  Ausonio 
manna  eat  subieeta  Pelerò;  Lomo,  Paehynéf 


596 


DIVINA  COMMEDIA 


Sott'esso  giovinetti  trionfaro 
Scipione  e  Pompeo,  ed  a  quel  colle, 
54        sotto  il  qual  tu  nascesti,  parve  amaro. 
Poi,  presso  al  tempo  che  tutto  il  ciel  volle 
ridur  lo  mondo  a  suo  modo  sereno, 
57        Cesare,  per  voler  di  Roma,  il  tolle  : 
e  quel  che  fé*  da  Varo  infino  al  Reno, 
Isara  vide  ed  Era  e  vide  Senna 
60       ed  ogni  valle  onde  Rodano  è  pieno. 
Quel  che  fé',  poi  eh*  egli  usci  di  Ravenna 
e  saltò  Rubicon,  fu  di  tal  volo 
63        che  no  '1  seguitarla  lingua  né  penna. 
In  vèr  la  Spagna  rivolse  lo  stuolo  ; 
poi  v6r  Duraszo;  e  Parsali  i  percosse 
66        si  ch'ai  Nil  caldo  si  senti  del  duolo. 
Antandro  e  Simo  anta,  onde  si  mosse, 
rivide,  e  là  dov*  Ettore  si  cuba, 


(tM  ».  —  62.  Sott'MM  eoo.  Coin1»att8ioiio  fo- 
lioemonto  sotto  il  sepo  dell' «qaiU,  essendo 
•noora  gìovini,  Soipione  e  Pompeo.  —  63. 
Self  lene  :  P.  Ckurnelio  SàpioDe  AMoano  mag^ 
giore  oombattó  d*  gioTinetto  ti  Ticino  e  a 
Oanne  ;  a  Tent*aimi  conquistò  la  Spagna,  a 
trentatié  riportò  la  vittoria  dedsiTa  sopra  i 
CartaginesL  —  Poapeo  t  Gn.  Pompeo  Magno 
da  giorine  combatto  per  Siila  contro  i  parti- 
giani di  Ilario,  riportò  vittorie  nella  Oallia 
asalpina,  nella  Sicilia  e  nell'Africa,  e  a  ven- 
tidnqoe  anni  ottenne  il  trionfo.  —  eé  a 
fael  eco.  e  quando  il  console  Fiorino  vinse 
i  Fiesolani  il  segno  dell'aquila  parve  amaro 
a  quel  colle,  sotto  U  quale  ò  la  città  di  Fi- 
renze, toa  patria.  Si  riferisce  alle  fkvole  in- 
torno alla  dirtniiiotte  di  Fiesole,  raccontate 
da  Q.  Villani,  O.  i  87  e  segg.  —  66.  Poi 
eco.  Di  poi,  avvicinandosi  il  tempo  in  cai  il 
cielo  volle  ohe  tatto  il  mondo  fosse  ordinato 
a  ano  modo,  Giulio  Cesare  per  volere  del  se- 
nato e  del  popolo  tolse  in  mano  il  segno  del- 
l'aquila, inoomlneiò  ad  esercitare  il  comando. 
A  iilustradone  di  questa  terzina  si  ricordino 
le  parole  del  Omv.  iv  6  :  c  però  che  nella  sua 
venuta  [di  Cristo]  nel  mondo,  non  solamente 
il  dolo,  ma  la  terra  conveniva  ossero  in  ot- 
tima dìsposirione,  è  la  ottima  di^osiziono 
della  terra  sia  quando  ella  è  monarchia,  cioò 
tutta  a  un  principe  soggetta  ;  ordinato  lù  per 
lo  divino  provvedimento  quello  popolo  e  quella 
città  che  ciò  dovoa  compiere,  cioè  la  gloriosa 
Boma  »  :  dalle  quali  lupare  chiaramente  ohe 
in  questi  versi  è  accennato  il  ridursi  del  mondo 
sotto  il  governo  monarchico  degli  imperatori, 
come  più  conforme  al  governo  del  cielo,  alla 
monarohia  divina  ;  interpretazione  confermata 
da  ciò  che  scrive  Tomm.  d'Aqo.  gmmn.  P. 


m,  qu.  XXXV,  art  8:  « Congruebat  etiam ut 
in  ilio  tempore,  quo  unns  princepe  domina- 
batnr  in  mundo,  Qiristas  nasceretur,  qui  ve- 
nerat congregare  snos in  unum  ».  —67.  t«lle; 
prende  ad  eeeroitare  l'autorità  del  sacro  segno. 
—  68.  e  f  sei  ecc.  Allude  alle  g««m  vitto- 
riose di  Q.  Cesare  nella  Oallia  transalpina, 
designata  appunto  con  i  suol  principali  ftami. 
Varo,  Beno,  Isara  (Isère),  Era(lat.  Arar,  oggi 
Sttom\  Senna,  e  i  minori  ohe  conflaisoooo 
nel  Bedano  :  cfir.  Lucano  Fìar».  1 88d-43A.  — 
61.  QmI  eoe  L' impreca  che  l'aqniln  ronuna 
fece  nella  guena  civile,  da  quando  G.  Cesate 
nsc£  di  Bavennn  e  passò  il  fiume  BubicoM 
sino  al  trionfo  finale,  fu  cosi  rapida  che  nes- 
suna lingua  e  nessuna  penna  saprebbe  ade- 
guatamente descriverla.  P.  Toynbee,  Rie  I 
24  ha  dimostrato  che  Dante  in  questi  veni 
ha  riassunta  e  seguita  la  narrazione  di  ere- 
sio, VI  16,  16.  —  62.  fÉ  di  tal  vele:  si  compi 
con  tanta  celerità;  cfir.  A09.  xvui  lOL  — 
64.  In  vSr  eoo.  L'aquila  guidò  l'eeenàto  di 
Cesare  nella  Spagna,  contro  i  legati  pom- 
peiani, Petreio,  Afkanio  e  Varrone.  —  66.  pel 
vlr  eco.  poscia  a  Durazso  (lat.  Dyrrkaekimn) 
sull'Adriatico  e  a  Parsalo  nella  Toasaglis. 
ove  Cesare  riportò  su  Pompeo  la  vittckcia  de- 
cisiva, nel  48  a.  Cr.  —  66.  ti  che  eoo.  in 
modo  che  persino  in  Egitto  se  ne  sentirono 
i  dolorosi  effètti  :  allude  all'  uocisiono  di  Pom- 
peo, per  opera  di  Tolomrooo  XH  re  d*  E^tto, 
presso  il  quale  egli  cercava  asilo  dopo  la  bat- 
tagUa  di  Farselo.  —  67,  Intaadre  eco.  L'a- 
quila rivide  i  luoghi  onde  s'era  partita  (cfr. 
V.  2):  Antandro,  città  marittima  della  Frigia, 
onde  Enea  salpò  per  venire  in  ooddente  (JS^ 
m  6):  Simoenta,  piccolo  fiume  ohe  nasce  sol 
monte  Ida  e  scorre  presso  Troia;  e  1*  tomba 


PARADISO  —  CANTO  VI 


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e  mal  per  Tolommeo  poi  si  riscosse: 

da  indi  scese  folgorando  a  Giuba; 
poscia  si  volse  nel  vostro  occidente, 
dove  sentia  la  pompeiana  tuba. 

Di  quel  eh'  ei  fé*  col  baiulo  seguente, 
Bruto  con  Cassio  nello  inferno  latra, 
e  Modena  e  Perugia  fé'  dolente. 

Plangene  ancor  la  trista  Cleopatra, 
che,  fuggendogli  innanzi,  dal  colubro 
la  morte  prese  subitana  ed  atra. 

Con  costui  corse  infino  al  lito  rubro; 
con  costui  pose  il  mondo  in  tanta  pace 
che  fu  serrato  a  Giano  il  suo  delubro. 

Ma  ciò  che  il  segno,  che  parlar  mi  face, 
fatto  avea  prima,  e  poi  era  fatturo, 
per  lo  regno  mortai  eh' a  lui  soggiace, 

diventa  in  apparenza  poco  e  scuro, 
se  in  mano  al  terzo  Cesare  si  mira 


d*  Ettore  (Eh.  t  871:  «  tamnlam  quo  maxi- 
mas  oooabtt  Hector  »):  Dante  segno  Lucano, 
.Fbrv.  iz  960  e  seggr.,  il  qnale  racconta  come 
Oeene,  dopo  la  battaglia  di  Farsalo»  appro- 
dane al  lidi  dell'Asia  minore  per  Tisitare  le 
xDTine  di  Troia.  —  69.  e  mal  eco.  e  riprese 
il  ano  Tolo,  con  danno  del  re  Tolommeo,  coi 
Cesare  tolse  il  regno  dandolo  a  Cleopatra  (inf. 
▼  63),  sorella  di  Ini.  —  70.  da  Indi  ecc.  Dal- 
TE^tto  piombò  con  la  yelocità  della  folgore 
sopra  Oiaba,  re  della  HAnritania,  caldo  soste- 
nitore di  Pompeo  e  della  soa  parte,  spogliato 
da  Coeare  del  trono  e  morto  di  disperazione 
dopo  la  battaglia  di  Tapso.  —  71.  poscia  eco. 
e  poi  si  Tolse  ad  occidente,  alla  Spagna,  ove 
i  pompeiani  guidati  dai  6gli  di  Pompeo  s'orano 
afforzati,  e  ftirono  sconfitti  da  Cesare  nella 
battaglia  di  Monda.  ~  73.  DI  qoel  ecc.  Di 
dò  che  l'aqnila  fece  portata  da  Ottaviano  Au- 
gusto danno  segno  Bruto  e  Cassio,  divinco- 
landosi rabbiosamente  in  bocca  a  Lucifero  (Inf, 
zxziT  64-67),  poiché  Tuno  e  l'altro  caddero 
nella  battaglia  di  Filippi  vinta  da  Ottaviano. 
—  eoi  baialo  ecc.  Il  nome  baiulo^  lat  baiu' 
buj  significa  propriamento  portatore,  e  per 
estonsione  di  significato  vale  reggitore,  totore, 
govomatoro,  sia  nella  forma  piena,  sia  nelle 
accordato,  baiio  e  balio;  onde  Danto,  Oorw. 
IV  6  chiama  <  ball  e  totori  della  sua  puerì- 
zia >  i  setto  re  di  Boma,  e  neU'Epiat  ai  Fio- 
rentini, S  6  chiama  <  Romanae  rei  baiulos  > 
r  imperatore  Arrigo  VII.  È  chiaro  quindi  che 
ti  baiulo  $eguenU  ò  Ottaviano  Augusto  con- 
sidersto  come  secondo  imperatore,  rispetto  a 
O.  Cesare.  —  74.  latra:  ò  vero  che  al  mo- 
monto  in  cui  Danto  visito  il  cerchio  dei  tra- 


ditori Bruto  non  fa  motto  {Inf.  xzziv  66),  ma 
dò  non  oostitoisce  una  oontradizione;  poidié 
il  vb.  latrar*  è  da  intendere  qui,  oome  ben 
fece  Pietro  di  Danto,  per  attestare;  attestare 
doè  col  fatto  e  con  la  disperato  loro  condi- 
zione. —  76.  e  Modeam  eoo.  Accenna,  oome 
già  Lucano  {Fan.  1 41  :  <  His,  Caesar,  Peru- 
sina  fames,  Mntinaeqne  labores  Acoedant  Cn- 
tis  >),  alla  disfatto  di  M.  Antonio  presso  Mo- 
dena e  all'assedio  e  silo  stragi  di  Perugia 
dell'a.  41  a  C.  —  76.  Plaageae  ecc.  AUude 
al  suicidio  di  Cleopatra,  la  qoale  dopo  la  di- 
sfotto di  Azio  e  la  morto  di  Antonio,  non  es- 
sendo rìusdto  a  sedurre  il  vindtore  Ottoviano, 
si  tolse  la  vito  col  veleno  di  un  aspide.  — 
78.  atra;  atroce;  Orazio,  Od.  i  87,  27,  pro- 
prio di  Cleopatra:  «  ut  atrum  Corpore  oombi- 
beret  venenum  ».  —  79.  Con  eostai  eoo.  Sotto 
Ottoviano  corse  sino  al  Mar  Rosso,  per  la  con- 
quisto dell'  Sgitto:  è  rimombranxa  del  virgi- 
liano, En,  vtn  686  :  «  Victor  ab  Auroxae  po- 
pnlis  et  lUon  rubro  ».  —  81.  cke  fa  ecc.  che 
sotto  di  lui  fu  chiuso  il  tompio  di  Giano,  che 
si  serrava  quando  i  Romani  non  erano  in 
guerra  con  alcuno  ;  cft.  De  mon,  1 16  :  «  non 
inveniemus,  nisi  sub  divo  Augusto  monarcha, 
existonto  monarchia  peifeota,  mundum  un- 
dique  frisse  quietum  *.  —  82.  Ma  «16  ecc.  Ma 
totto  le  imprese,  alle  quali  fti  segnacolo  l'a- 
quila romana,  quelle  Catto  sino  a  quel  tompo 
e  quelle  che  dovevano  ossero  di  pd,  per  il 
regno  torrone  che  a  quell'aquila  ò  assegnato, 
appariscono  di  piccola  o  nessuna  importanza 
al  confronto  di  dò  che  successe  sotto  Tiberio. 
—  86.  torzo  Cesare  :  Tiberio,  genero  di  Au- 
^usto  e  imperatoro  dal  U  al  37  d.  C;  sotto 


598 


DIVINA  COMMEDIA 


87        con  occhio  chiaro  e  con  affetto  puro; 
chó  la  viva  giustizia  che  mi  spira 
gli  concedette,  in  mano  a  quel  ch'io  dico, 
90       gloria  di  far  vendetta  alla  sua  ira. 
Or  qui  t'ammira  in  ciò  ch'io  ti  replico; 
poscia  con  Tito  a  far  vendetta  corse 
93       della  vendetta  del  peccato  antico. 
E  quando  il  dente  longobardo  morse 
la  santa  Chiesa,  sotto  alle  sue  ali 
96        Carlo  Magno,  vincendo,  la  soccorse. 
Omai  puoi  giudicar  di  quei  cotali, 
ch'io  accusai  di  sopra,  e  di  lor  £b.11ì, 
99        che  son  cagion  di  tutti  vostri  mali. 
L'uno  al  pubblico  segno  i  gigli  gialli 
oppone,  e  l'altro  appropria  quello  a  parte, 
102        si  che  forte  a  veder  ò  ohi  più  ùiUL 
Faccian  li  ghibellin,  &ccian  lor  arte 
sott' altro  segno;  che  mal  segue  quello 
105       sempre  chi  la  giustizia  e  lui  diparte: 


U  ino  regno  tu,  la  morte  di  Cristo.  —  87.  eoa 
oeeliio  ecc.  con  la  mente  illuminata  dalla  fede 
e  con  linceiìtà  di  spirito.  —  88.  la  TiTa  eoo. 
la  giostixia  divina,  dalla  quale  io  sono  ispi- 
rato, ooncedett»  alla  potenza  romana,  dorante 
il  regno  di  Tiberio,  la  gloria  di  divenire  lo 
Btnimento  del  sacrifizio  di  Cristo,  Tenore  di 
sodisfjue  oon  la  passiono  e  morto  di  Cristo 
allo  sdegno  divino  per  il  peccato  originale.  A 
intondere  bene  il  concetto  dantesco  giova  dò 
che  il  poeta  scrive  nel  D»  man,  n  U:  e  8L.. 
snb  ordinario  indice  Ghristos  passos  non 
foiaset,  illa  poena  ponitio  non  ftiisset  :  et  in- 
dex ordinarins  esse  non  poterat,  nisi  sapra 
totnm  hnmannm  genns  inrisdictionem  habens, 
cnm  totnm  hnmannm  genns  in  carne  illa  Christl 
portantis  dolores  nostros  (nt  alt  propheta)  vel 
snstinentis,  pnniretnr.  Et  snpra  totnm  hn- 
mannm genns  Tiberins  Caesar,  cnins  vicarins 
erat  Pilatns,  inrisdictionem  non  habnisseC, 
nisi  romannm  imperinm  de  inre  Aiisset.  Hino 
est  qnod  Herodes,  qnamvis  ignorans  qnid  fa- 
cerei,  sicnt  et  Gaiphas,  cnm  vemm  dixit  de 
ooelesti  decreto,  Christam  Pilato  remisit  ad 
indicandnm,  nt  Laoa  in  sno  Evangelio  tradit 
Erat  enim  Herodes  non  vicem  Tiberli  gerens 
sub  tigno  aquiloè,  vel  snb  signo  Senatns,  sed 
rex,  regno  singnlari  ordinatna  ab  eo,  et  snb 
BigQO  regni  sibi  commissi  gnbemans.  Desinant 
if^tnr  imperinm  exprobrare  romannm,  qni  se 
filios  Ecclesiae  flngnnt  :  cnm  vldeant  sponsnm 
Chrìstnm  Ulnd  sic  in  ntroqne  termino  snae 
militiae  comprobasse  ».  —  91.  Or  qnl  ecc. 
La  ragione  dell'ammirazione  dovrebbe  essere 
qnosta,  che  fa  giiuata  vendetta  la  morto  di  Cri- 


sto Bgiusta  mndeUa  la  pnnizione  inflitta  a  Ge- 
msalemme  per  qnella  morto;  ofir.  Por.  vn  19 
e  segg.  ove  è  a  Inngo  trattata  la  questione. 

—  re^fee  :  replico,  più  od  senso  di  spiegare 
ohe  oon  quello  di  ripetere;  quanto  aU' ac- 
cento spostato,  ofir.  Parodi,  BuiL  IH  106.  — 
92.  posola  eco.  più  tardi,  per  opera  di  Tito, 
che  fti  poi  imperatore  (79-81  d.  C.)»  la  potenza 
romana  fti  strumento  a  vendicare  la  morto  di 
Cristo,  ohe  era  stota  la  vendetta  del  peccato 
originale.  La  distruzione  di  Oemsalemme  per 
opera  di  Tito,  figlio  dell'  imp.  Vespasiano,  fti 
noi  70  d.  C,  e  «  vendicò  le  f&ra  ond'  usci 
il  sangue  per  Qiuda  venduto»  (Aiv^.  xxi 
88).  —  94.  E  quando  eoo.  E  allorquando  i 
Longobardi  perseiruitorono  la  Qiiesa  romana, 
Carlo  Magno  re  dei  Franchi  {P».  xvnx  43) 
la  soccorse  vincendo  Desiderio,  ultimo  re  lon- 
gobardo (a.  774),  con  il  favore  dell'aquila, 
segno  dell'  impero  che  egli  era  destinato  a 
ricostituire.  —  98.  di  sopra  t  nei  veni  81-33. 
100.  L'uno  eco.  La  parte  guelfa  oppone  al- 
l'aquila, emblema  dell'impero  ossia  della  le- 
gittima monarchia,  i  gigli  d'oro  che  sono  in- 
segna della  casa  di  Frauda.  —  101.  raltro 
ecc.  la  parto  ghibellina  restringe  il  signifi- 
cato dell'aquila,  connderandola  oome  emblema 
proprio.  —  102.  forto:  difficile;  oo«£  anche 
in  Purg,  n  66,  xxix  42,  xxxm  60  eoe.  —  104. 
sott'  altro  ecc.  sotto  un'altra  insegna.  Boti  : 
«  Non  iMmsino  e  non  riouoprano  la  loco  mala 
intenzione  dell'odio  ohe  hanno  al  vicino  e 
al  cittadino  e  prossimo  suo,  sotto  questo  aeado 
dicendo:  Egli  i  rubello  al  santo  impecio». 

—  mal  segie  eoe  non  si  pu6  diro  seguace 


PARADISO  —  CANTO  VI 


699 


e  Don  l'abbatta  esto  Carlo  novello 
coi  guelfi  suoi,  ma  tema  degli  artigli 
108       eh*  a  più  alto  leon  trasser  lo  vello. 
Molte  fiate  già  pianser  li  figli 
per  la  colpa  del  padre;  e  non  si  creda 
111        che  Dio  trasmuti  l'arme  per  suoi  giglL 
Questa  picciola  stella  si  correda        ' 
dei  buoni  spirti,  che  son  stati  attivi 
114       perché  onore  e  fama  li  succeda; 
e  quando  li  dlsiri  poggian  quivi 
si  disviando,  pur  convien  che  i  raggi 
117        del  vero  amore  in  su  poggin  men  vivL 
Ma,  nel  commensurar  dei  nostri  gaggi 
col  merto,  ò  parte  di  nostra  letizia, 
120       perché  non  li  vedem  minor  né  maggi. 
Quindi  addolcisce  la  viva  giustizia 
in  noi  l'affetto,  si  che  non  si  puote 
123        torcer  giammai  ad  alcuna  nequizia. 
Diverse  voci  fan  giù  dolci  note; 
cosi  diversi  scanni  in  nostra  vita, 
126        rendon  dolce  armonia  tra  queste  rote. 
E  dentro  alla  presente  margarita 


d*  impero  chi  di^giongt  sempre  1*  giostizU 
dall'Insegna  imperiale.  —  106.  e  non  l'ab- 
tetta  «00.  Cario  II  d'Angiò  (nato  nel  1248, 
re  di  Napoli  1286|  morto  1809),  che  ora  d  0190 
in  Italia  della  parto  gaelfi&,  non  ti  losinghi 
di  abbattere  l'aquila  imperiale.  — 107.  degli 
artigli  ecc.  deUa  potenza  imperiale,  ohe 
ilaocò  già  lignori  più  forti  di  lai.  —  109. 
Malte  ecc.  E,  per  quasi  tatti  i  commentatori, 
k  generale;  solo  il  Boti  Titrora 


una  profezia,  tcrirendo  :  «  lo  detto  re  Cario 
in  86  non  Iti  punito,  ma  d  nel  suo  figliuolo, 
cioè  Filippo  [di  Taranto,  m.  nel  1882],  che 
ta  preso  dal  re  d'Aragona  e  tenuto  in  pri- 
gione »  :  ma  Danto  non  alluderà  oerto  a  que- 
sto UgUo  di  Cario  IL  Migliore,  in  ogni  caso, 
sarebbe  l'ipotesi  del  Capetti  (op.  dt,  p.  80) 
ohe  qui  si  alluda  alle  sventure  di  Cario  Mar- 
toUo,  il  ^ù  buono  dei  figli  di  Carlo  H  (ofir. 
Fùr.  vm  81).  —  111.  eke  IMo  ecc.  ohe  Dio 
eambl  l'insegna  sua  dell'aquila  (o£r.  ▼.  4)  in 
quella  *"g*"*"«  dei  gigli,  ossia  ohe  trasferisca 
in  lui  0  nella  sua  casa  i  diritti  imperiali  alla 
monarchia  uaiTorsale,  la  sola  che  sia  legittima 
rappreeentanza  in  terra  del  regno  dei  deli. 
—  112.  Qaetla  eco.  Bispondendo  ora  alla  se- 
conda domanda  di  Danto,  (Hustiniano  gli  dice 
che  Mercurio,  tapiApieoola  iUlla  del eieio (Cono, 
n  14),  è  adornato  delle  anime  beato  di  coloro 
ohe  riTolsere  la  propria  operodtj^  a  cQosoguir^ 


nomo  onorato  e  buona  fiuna  tra  gli  uomlnL 

—  U6.  0  f  Bande  ecc.  e  quando  i  dodderf 
degli  uomini  mirano  a  questo  fine,  deyiando 
in  tal  modo  dal  fine  prindpale  che  è  Dio, 
oonyiene  di  necessità  che  l'amore  per  le  cose 
divine  sia  meno  intenso.  È  seguita  anche  qui 
la  dottrina  di  Tomm.  d'Aqu.,  gmmn.  P.  n, 
2m  qn.  czzzn,  art.  1-4,  ohe  considera  come 
peccato  Toniale  l'amore  della  gloria  umana, 
pur  che  non  repugni  alla  carita  e  sia  volta 
alla  saluto  del  prossimo.  —  118.  nel  eom- 
meniurar  eoe  nella  giusta  commisurazione, 
proporrione  dd  nostri  premi  od  meriti  con- 
sisto u)ia  parto  della  nostra  beatitudine,  per- 
ché vediamo  che  quelli  non  sono  minori  116 
maggiori  di  questi.  —  gagffl  s  U  nome  gag- 
gio^  foimato  sul  tr,  gag$y  dal  ted.  latinizzato 
wtùUuuif  mercede,  pegno,  ha  qui  il  senso  di 
premio,  ricompensa  (Dies  161,  Zing.  124,  Pa- 
rodi, UuU,  m  146).  —  120.  maggi  t  cfr. 
Inf.  VI  48.  —  121.  Quindi  ecc.  Per  questo 
mezzo  ta  giustizU^vina  purifica  cosi  i  nostri 
sentimonti,  ohe  questi  non  possono  mai  es- 
sere trnviati  al  male,  all'  invidta  ecc.  cfi.  Pur, 
ni  70-37.  —  124.  mverse  eoo.  Como  nella 
tona  diverse  vod  umane  producono  accordo 
di  dolcissime  note,  cosi  in  paradiso  diversi 
gradi  «li  beatitudine  costituiscono  la  ddoe  ar- 
monU  degli  spiriti  detti  :  cfr.  anche  Par,  1 18. 

—  1!^.  «Ila  pretepto  Barbarità  x  al  cielo  4| 


600 


DIVINA  COMMEDU 


luce  la  luce  di  Eomeo,  di  cui 
120       fu  Topra  bella  e  grande  mal  gradita; 
ma  i  provenzali  che  fòr  centra  lui 
non  hanno  riso,  e  però  mal  cammina 
182        qual  si  &  danno  del  ben  fare  altrui. 
Quattro  figlie  ebbe,  e  ciascuna  regina, 
Ramondo  Beringhieri,  e  ciò  gli  fece 
135       Bomeo  persona  umile  e  peregrina; 
e  poi  il  mosser  le  parole  biece 
a  domandar  ragione  a  questo  giusto, 
188        che  gli  assegnò  sette  e  cinque  per  diece: 
indi  partissi  povero  e  vetusto; 


Meroorio;  ofir.  Air.  n  Si.  —  128.  Bobmi 
Bomieu  de  VilleneaTe,  nato  Torso  il  1170,  fa 
ministro  e  gran  slnisoaloo  di  Baimondo  Berin- 
ghieri rV,  ultime  conte  di  Provenza,  e  alla 
morte  di  lai,  avvenuta  nel  1246,  restò  ammi- 
nistratore della  contea  e  tutore  di  Beatrice, 
ultima  figlia  del  conte  suo  signore  e  moglie 
di  Carlo  I  d'Angiò  (cfr.  PuKrg,  vii  127,  xz  61): 
morì  nel  1260.  Questa  la  storia;  ma  al  tempo 
di  Dante  correva  su  Bomeo  una  leggenda  ohe 
il  poeta  accolse  e  ohe  è  cosi  narrata  da'G. 
Villani,  O.  VI  91  :  «  n  conte  Baimondo  Ber- 
linghieri  di  Provenza  tu  gentile  signore  di  le- 
gnaggio...  Arrivò  in  soa  corte  uno  Bomeo 
che  tornava  da  San  Iacopo,  e  udendo  la  bontà 
del  conto  Baimondo,  ristette  in  sua  corte,  e 
fu  s(  savio  e  valoroso,  e  venne  tanto  in  gra- 
zia al  conte,  che  di  tutto  U  fece  maestro  e 
guidatore  ;  il  quale  sempre  in  abito  onesto  e 
religioso  si  mantenne,  e  in  poco  tempo  per 
sua  industria  e  senno  raddoppiò  la  rendita  di 
suo  signore  in  tre  doppi,  mantenendo  sem- 
pre grande  ed  onorata  corte  »  ;  e  detto  par- 
titomente  delle  quattro  figliuole  maritate  a 
quattro  gran  principi,  seguita  :  «  Avvenne  poi 
per  invidia,  la  quale  guasta  ogni  bene,  eh'e' 
baroni  di  Provenza  appuosono  al  buono  Bo- 
meo, ch'egli  avea  male  guidato  il  tesoro  del 
conto,  e  feciongli  domandare  conto.  II  valente 
Bomeo  disse:  *  Conte,  io  f  ho  servito  gran 
tempo,  e  messo  di  picciolo  stato  in  grande,  e 
di  ciò  per  lo  falso  consiglio  di  tue  genti  se' 
poco  grato:  io  venni  in  tua  corte  povero 
Bomoo,  e  onestamente  dol  tuo  sono  vissuto; 
fammi  dare  il  mio  muletto  e  il  bordone  e  scar- 
Bolla  com*io  ci  venni,  e  quetoti  ogni  servi- 
gio *.  n  conte  non  volea  si  partisse;  egli  per 
nulla  volle  rimanere,  e  «m*  tra  vmuio  coti 
86  n*  andò^  cK»  mai  rum  H  aepp6  onde  n  foÈ»% 
né  dove  andasse  :  owisossi  per  motti  che  foste 
santa  anima  la  sua  ».  Tale  ò  anche  press'  a 
poco  il  racconto  dei  commentatori  antichi,  ai- 
cani  dei  quali,  come  il  Buti,  recano  altri  mi- 
nori particolari  della  legj^nda,  che  forse  pro- 
cede da  qualche  antica  novella  provonzalo.  — 


190.  a*  1  provMsall  eoo.  ma  1  signori  pro- 
venzali ohe  per  invidia  lo  perseguitarono  non 
hanno  riso,  perohó  dal  mite  governo  fi  Bai- 
mondo  sono  passati  sotto  quello  più  aspro  e 
tirannico  degli  angiolnL  —  182.  fmal  eoo. 
ohiunque  ò  róso  dall'invidia,  e  reputa  danno 
proprio  il  bene  degli  altri.  ^  1S3.  QnnUro 
eoo.  Le  quattro  figUe  di  Baimondo  BeiingUeri 
rV  ftirono:  Margherita  (n.  1221,  m.  1296), 
mo^  nel  1234  di  Luigi  IX  U  Santo,  re  di 
Frauda  (ofir.  nota  al  JfW^.  xz  60)  ;  Elaonocn 
(m.  1291),  moglie  nel  1236  di  Arrigo  m  re 
d*  Inghiltona  (ofir.  Purg.  vn  130)  ;  Sanda  (m. 
1261),  moglie  nel  1248  di  Biccardo  conte  di 
Comovaglia,  eletto  re  dei  Bomani  nel  1267; 
e  Beatrice,  erede  della  contea  e  moglie  À 
Cario  I  d'Angiò  (cfr.  Pmg,  vn  127).  — 186. 
anrile  e  peregrino  t  senza  superbia  e  «tca- 
niero,  perdo  uon  obbligato  a  opere  di  fedeltà 
veno  il  conte.  —  136.  le  parole  Meoe  :  le 
calunniose  parole  degli  invidiosi.  La  forma 
Maof,  ohe  ò  anche  in  Inf,  zzv  81,  e  eos(  il 
bieei  del  Par.  v  66,  sono  proprie  della  lingua 
antica,  né  infirequenti  nd  trecentisti:  cit, 
Parodi,  BuiL  HI  121.  —  188.  ehe  gii  asse- 
gna eco.  che  nel  rendere  i  conti  gli  mostrò 
ohe  l'avere  di  Baimondo  ere  oresdoto  sotto 
la  sua  amministrazione.  ~  139.  Indi  ecc.  Il 
Parodi,  BulL  VH  8  nota  su  questi  vord: 
«  Le  inaili  parole,  note  a  noi  did  VUlani  (e»- 
m'tra  venuto  ecc.),  d  trasformano  con  incon- 
parebile  semplidtà  di  mezri  in  altissima  li- 
rica, animandod  di  dolorosa  simpatia  usuLoa; 
codesti  verd  racchiudono  band  nd  loro  in- 
timo tutto  U  dramma  d' un  cuore,  ma  qud 
che  sappiamo  di  Bomeo  non  ò  sufBdente  per 
fsrnelo  scaturire.  Ma  appena  il  nostro  pon- 
dero d  rivolge  al  poeta,  rioonosoendo  findl- 
mente  la  somiglianza  delle  due  situazioni, 
r  intimo  contenuto  trabocca  :  una  malinconi- 
ca fierezza  della  lotta  angosdosa,  sostenuta 
dignitosamente  contro  la  povertà,  una  riven- 
dicadone  di  s6  stesso  dalle  umiliazioni,  in- 
vano scongiurate  con  tutte  le  energie  ddlo 
spirito,'  un  ajppeilo  triste^  n^a  non  sfiduciato, 


PARADISO  -  CANTO  VI 


601 


e  86  il  mondo  sapesse  il  cor  ch'egli  ebbe 
mendicando  sua  vita  a  frusto  a  frusto, 
142    assai  lo  loda  e  più  lo  loderebbe  ». 


•n*  gingtizia  fatar»  degli  aomini.  Qoi  dove 
non  e*  d  contrasto  del  poeta  col  sao  peiso- 
naggrio,  dora  U  dramma  è  tatto  nel  senti* 
mento,  dove  le  situazioni  sono  identiche,  noi 
trasrormiamo  senza  sforzo  alcano  e  senza  ar- 
rederoene  Bomeo  in  Dante,  ohe  d  appare 
come  ona  delle  più  belle  creazioni  dell*  arte 
propria  >.  ->  poTero  e  reUisto:  rimasto  po- 
rero  e  divenato  vecchio  nel  serrire  il  conte. 
^  140.  e  se  U  aioado  eco.  Dante,  di  s6  stesso 


nel  Qmv,  1 8:  «  Per  le  parti  quasi  tntte,  alle 
qoall  questa  lingua  si  stende,  peregrino,  quasi 
mendicando,  sono  andato  mostrando,  contro 
a  mia  voglia,  la  piaga  della  Tortona  che  snole 
ingiostamente  al  piagato  molte  volte  essere 
imputata  »  :  e  si  ricordino  anche  i  versi  del 
Btr,  zvn  68-60.  —  11  eor  ecc.  la  magna- 
nimità e  fortezza  di  caore  dimostrata  da  Bo- 
meo nella  sinistra  fiortana.  —  141.  a  fraste 
eco.  a  un  tozzo  di  pane  alla  volta. 


CANTO  vn 

Allontanatosi  Ginstiniano  con  le  altre  anime,  Beatrice  scioglie  alcnnl 
dnbbt  di  Dante,  ragionando  a  Inngo  salla  morte  di  Cristo,  salla  redenzione 
deir  nomo  dal  peccato  originale  e  sali'  incormttibilità  di  ciò  che  è  creato 
immediatamente  da  Dio  (U  aprile,  ore  antimeridiane]. 

€  Osanna  sancitis  Deus  Sabaoth, 
superillustrans  claritate  tua 
8       felices  ignea  horum  malachoth  !  » 
Cosi,  volgendosi  alla  nota  sua, 
fu  viso  a  me  cantare  essa  sustanza, 
6        sopra  la  qual  doppio  lume  s'addua: 
ed  essa  e  P  altre  mossero  a  sua  danza, 
e,  quasi  velocissime  faville, 


vn  1.  OtaavA  ecc.  Oiostlniano,  nell'atto 
di  aUontanarsi  da  Dante,  prende  a  cantare  on 
tamo  latino  mescolato  di  vtxd  ebraiche  il  quale 
aigniflca:  Salvo,  santo  Dio  dogli  eserciti, 
che  col  tuo  splondore  illumini  dall'alto  1  beati 
fuochi  di  questi  regni.  La  voce  ebraica  Oatu^ 
no,  che  Damte  trovò  nella  bibbia  (Blatteo  xn 
9,  16;  Kaioo  zi  9;  Giovanni  xn  13),  Iti  U 
saluto  del  popolo  a  Gesd,  nella  sua  entrata 
in  Gerusalemme,  significa  Oh  sofea  e  tu,  for- 
mula di  acclamazione:  Dante  la  pone  sempre 
sulle  Ubbra  degU  angeU  e  degU  spiriti  beati 
(Pkffy.  ZI  U,  zziz  61,  Av.  vili  29,  zzvm 
118,  zzzn  187),  come  un  saluto  al  Signore. 
—  Sabaoth:  voce  ebraica,  che  significa  degli 
tsercUi  :  è  neU'Epist.  di  s.  Iacopo,  v  4  (in 
amnt  éomimi  Sabaoth).  —  8.  ignea  :  fiochi  : 
gli  angeli  e  i  beati,  detti  da  Dante  fochi 
(Air.  iz  77,  zvm  108,  zx84,  zzn  46,  zzrv  81, 
zzv  87  ecc.)  —  Malachoth  s  voce  ebraica, 
che  significa  rtgnorum  e  che  cosi  ò  riferita 
•  spiegata  da  san  Girolamo,  nel  Brologu»  gtk- 
leotMs  alla  bibbia  (  la  forma  vera  di  qaeeta 
voce  è  memdaehtifh^  cfr.  Moore,  I  60).  —  4. 
t9%i  eoe  Queste  parole  mi  sembrò  che  di- 


cesse Giustiniano  nel  volgerai  al  suo  canto, 
dod  cominciando  a  cantare,  intonando  un 
canto.  —  6.  sopra  la  ««al  ecc.  sulla  quale 
s'era  raccolto  un  duplice  lume,  quello  delU 
sua  beatitudine  e  quello  della  carità  eser- 
citata verso  Dante.  Gli  antichi  Lana,  Ott, 
Gass.  videro  in  queste  parole  accennate  le  due 
autorità  della  legge  e  dell'impero,  ricordan- 
dosi forse  delle  parole  che  si  leggono  nel 
proemio  delle  IttMiiUiut,  hutmiaH»  :  <  Impera- 
toriam  maiestatem  non  solum  armis  deoora- 
tam,  sed  etiam  legibus  oportet  esse  aimatam ». 
Secondo  G.  Brognoligo  (cfr.  BuiL  V  196)  il 
doppio  lume  sarebbe  <  quello  della  beatitudine 
celeste  e  quello  ohe  viene  a  Giustiniano  dal- 
l'opera sua  di  legislatore  ».  —  s' aédaa  t  si 
accoppia,  si  congiunge  (dal  numerale  dtM,  cit. 
Parodi,  B\M,  m  136)  :  meno  esattamente  si 
suole  spiegare  questo  vb.  con  raddoppiair§^  che 
accanto  al  doppio  Ums  costituirebbe  una  ripe- 
tizione illogica.  —  7.  essa  eoo.  Giustiniano 
e  le  altre  anime  ripresero  Uloro  giro  droolare 
e  disparvero  allontanandosi  da  me.  —  8.  f  nasi 
ecc.  come  faville  mosse  v^ocissimamente.  Ven- 
turi 7Q  :  «  in  questa  parola,  favillò^  ò  oom- 


602 


DIVINA  COMMEDIA 


9       mi  8i  velftr  di  sùbita  distanza. 
Io  dubitava,  e  dicea:  <  Dille,  dille  », 
fra  me,  <  dille  »,  diceva,  <  alla  mia  donna 
12       che  mi  disseta  con  le  dolci  stille  »; 
ma  quella  riverenza  che  s'indonna 
di  tutto  me,  pur  per  'be'  e  per  *ice', 
15       mi  richinava,  come  Puom  ch'assonna. 
Poco  sofferse  me  cotal  Beatrice, 
e  cominciò,  raggiandomi  d'un  riso 
18       tal  che  nel  foco  farla  l'uom  felice: 
«  Secondo  mio  infallibile  avviso, 
come  giusta  vendetta  giustamente 
21        vengiata  fosse,  t'ha  in  pensier  mise; 
ma  io  ti  solverò  tosto  la  mente: 
e  tu  ascolta,  che  le  mie  parole 
24       di  gran  sentenza  ti  faran  presente. 
Per  non  sofPrire  alla  virtù  che  vuole 
freno  a  suo  prode,  quell'uom  che  non  nacque, 
27        dannando  sé,  dannò  tutta  sua  prole; 
onde  l'umana  specie  inferma  giacque 
giù  per  secoli  molti  in  grande  errore. 


piew  l'idea  del  iUmmeggiaie  di  qaelli  spiriti, 
e  insieme  del  loro  sparir  sabitaneo  >.  —  9.  41 
B  Alta  ecc.  per  lunga  distanza  peroona  in  bro- 
ylBsimo  tempo.  —  10.  Io  d«bltaTa  eco.  Io 
era  agitato  da  nn  dabUo  (tt.  19-21)  e  fra  me 
stesso  pensava  di  dirlo  alla  mia  donna,  o»* 
pace  di  sodisfare  la  mia  oariodtà  con  le  grate 
parole  della  verità.  —  Dille  ecc.  Df  a  lei,  a 
Beatrice.  —  18.  Ma  «nella  eoo.  ma  quella 
riTorenza,  ohe  s'impadronisce  di  tutto  il  mio 
essere  solamente  a  sentire  U  nome  di  Bice, 
tanti  sono  i  ricordi  ohe  quel  nome  suscita  in 
me  :  si  richiamino  qui  le  descrizioni  che  Dante 
(à  nella  F.  N,  xi,  xrv,  xr,  xn,  zvn  del  ml- 
rabiU  effetti  moraU  della  sua  Beatrice.  — 
14.  per  'he*  ecc.  Bice:  nome  ool  quale  anche 
nelle  rime  giovenlli  di  Dante  {Canx,  p.  80, 
r.  N.  zxnr  46)  ò  chiamata  Beatrice  Porti- 
nari.  Booc,  VUa diD.iS:  «  il  cui  nome  era 
Bice,  come  ohe  egli  sempre  dal  suo  primitiTO, 
cioè  Beatrice,  la  nominasse  ».  —  16.  mi  ri» 
ehlnaTa  eoe.  mi  faceva  tenere  il  capo  chino, 
come  tien  l' uomo  oh'  ò  preso  dal  sonno  :  viva 
ed  efficace  imaglne,  nella  quale  non  è  affatto 
la  sconvenienza  ohe  vi  trova  11  Venturi  225. 
—  16.  Peeo  eoo.  Beatrice  per  poco  tempo  mi 
lasciò  eotaUf  doè  incerto  tra  il  chiedere  o 
no  la  spiegarione  del  mio  dubbio.  —  17.  rag- 
glandoinl  eoo.  sorridendomi  con  tanta  beati- 
tudine che  sarebbe  bastevole  a  far  felice  uno 
che  fosse  nelle  fiamme.  — 19.  Secondo  eoe 
Secondo  il  mio  infsllibìlo  giudìzio,  ti  ha  i 


in  pensiero,  ti  tk  stu  dubitoso  dò  olie  in- 
dirottamente  ha  detto  Qtostiniano  (Av.  vi 
88-98),  vale  a  diro  oome  mai  una  giusta  ven- 
detta (la  morte  di  Cristo)  fesse  vendicate  giu- 
stamente (con  la  distruzione  di  Oerosalemme). 

—  21.  venglatat  cfr.  Jn/l  iz  64.  —  22.  ma 
lo  ecc.  Scart  :  <  Dimostra  Beatrice  che  tn.  giu- 
sta la  morte  di  GHsto,  e  che  giustamente  f^ 
tono  puniti  gli  autori  di  essa.  Oiustn  la  morte, 
perché  avendo  Cristo  assunta  l'umana  natura 
dannata  nel  padro  oomune,  essa  natora  fu 
giustamente  punita  sulla  croce,  lia  «VBndo 
Cristo  conservata  la  sua  natora  divina  accanto 
alla  umana,  essa  natura  divina  te  mMolleg^ 
mente  perseguitata  ed  oflissa.  Con  altre  parole  : 
la  morte  di  Cristo  era  giusta  in  quanto  «1^  età 
uomo,  sacrìlega  in  quanto  Dio.  È  un'ar- 
guzia scolastica,  che  dimentioa  Punita  della 
peiBona.  Non  ftirono  due,  un  uomo  ed  nn  Dio, 
ohe  morirono  sulla  croce,  ma  una  aoln  per- 
sona, cioò  l'Uomo  Dio  ».  —  24.  di  gran  eoo.  ti 
faranno  dono  d'una  profonda  sentenza.  —  26. 
Per  non  soffHre  ecc.  Adamo,  l'uomo  creato 
immediatamente  da  Dio,  per  non  aver  eoffìRtD 
a  suo  vantaggio  un  freno  alla  vidontà,  dan- 
nando s6  stesso  daond  tutto  il  genero  umano. 

—  virM  eco.  la  virtd  del  volere  ;  cfr.  IWy. 
xzi  106.  —  26.  f  utIPnem  eco.  Adamo,  e  vìr 
sino  matre,  vir  sino  lacte»  (Ds  9u^,  Moqu,  i 
6).  —  28.  onde  eoo.  però  l'umanità  giacque 
inferma  sulla  terra  per  molti  secoli  in  istato 
di  peccato,  finché  Cristo  s'incamé.  —  39,  •#• 


PARADISO  —  CANTO  VH  603 

80       fin  ch'ai  Verbo  di  Dio  di  scender  piacque, 

u'  la  natura,  che  dal  suo  fattore 

s'era  allungata,  unio  a  sé  in  persona 

83        con  l'atto  sol  del  suo  etemo  amore. 

Or  drizza  il  viso  a  quel  ch'or  si  ragiona: 

questa  natura  al  suo  fattore  unita, 

86        qual  fu  creata,  fil  sincera  e  buona; 

ma  per  sé  stessa  fu  ella  sbandita 

di  Paradiso,  però  che  si  tòrse 

89        da  via  di  verità  e  da  sua  vita. 

La  pena  dunque  che  la  croce  pòrse, 

s'alia  natura  assunta  si  misura, 

42        nulla  giammai  si  giustamente  morse; 

e  cosi  ilulla  fu  di  tanta  ingiura, 

guardando  alla  persona  che  sofferse, 

45       in  che  era  contratta  tal  natura. 

Però  d'un  atto  uscir  cose  diverse; 

che  a  Dio  ed  al  giudei  piacque  una  morte: 

48       per  lei  tremò  la  terra  e  il  ciel  s'aperse. 

Kon  ti  dèe  oramai  parer  più  forte, 

quando  si  dice  che  giusta  vendetta 

51        poscia  vengiata  fu  da  giusta  corte. 

Ma  io  veggi' or  la  tua  mente  ristretta 

fAll  molti  :  cflr.  Pur.  xm  118.  —  80.  Vtrbo  via,  da  verità  $  da  tua  vita  (cfr.  Moor»,  I  60). 
di  Pio:  Cristo;  poiché,  oomo  soiiye  Tomm.  —  89.  na  Tit«i  quella  di  paradiso;  ofr. 
d'Aqn.,  5iiifMn.F.I.qQ.  xxxrv,  art  2,  «Ver-  J^.  zxvni  92.  —  41.  s'alia  eco.  ■•  si 
bara  proprio  dictam  in  dÌTinis  personaliter  considera  rispetto  alla  natura  amana  asson- 
acdpitiir,  et  «tt  propri  um  nomen  porsonae  ta  da  Cristo,  non  poterà  essere  più  giosta, 
Filii:  iignilloat  enim  qnandam  emanationem  fa  giostissima.  —  48.  e  eos(  eco.  e  nello 
intellectas  ».  —  81.  n'  la  Batara  eoo.  in  stesso  tempo  neesnna  la  pareggiò  d'ingiasti- 
terra,  ore  per  Tirt6  dello  Spirito  Santo  con-  da,  se  si  considera  la  persona  di  Cristo,  nella 
gianse  alla  propria  natura  diTina  in  nnità  di  qoale  era  congianta  la  natura  umana.  —  la- 
persona  la  natura  umana,  che  si  era  allenta-  giara  :  ingiuria,  ingiustiria,  lat  immia.  — 
nata  da  Dio  per  il  peccato  originale  —  88.  46.  Però  eco.  Lana  :  «  Della  morte  di  Cristo 
eoa  Patto  ecc.  Tomm.  d'Aqu.  Summ,  F.  m,  nasco  due  considerazioni,  l'una  lo  piacere  di 
qo.  zxxn,  art.  1  :  «  Conceptionem  oorporis  Dio  a  redimere  Fumana  generazione  per  tal 
Christi  tota  Trinitat  est  operata  :  attribuitur  modo,  Taltra  la  iniquitade  dell!  Giudei  a  fare 
tamen  hoo  Spiritai  Sancto  »  ;  e  ne  dà  tre  ra-  patire  pena  a  persona  innocente,  per  inridia». 
gioni,  oh'ò  inutile  riferire.  —  86.  «aesta  ecc.  —  48.  per  lei  eco.  Dice  che  per  la  morte  di 
q  ueata  umana  natura  in  quanto  fu  congiunta  Cristo  tremò  la  terra,  con  allusione  al  noto  rec- 
ai suo  creatore,  assunta  dod  da  Cristo  quale  conto  erangelioo  (of^.  Inf,  xn  41,  xn  112), 
era  stata  oreata.  Iti  pure  e  sincera,  senza  ^  U  eiet  t^aperee,  perché,  dice  Tomm.  d'Aqu., 
peccato  originale.  Tomm.  d' Aqu. ,  Swnm.  Summ,  F.  ni,  qu.  xlix,  art  6  :  «  per  pas- 
F.  m,  qu.  ZT,  art  1:  «Christus  non  peccavlt  slonem  Christi  aperta  est  nobis  ianua  regni 
in  Adam,inquofnitsolumproptermateriam».  coelestis».  —  49.  forte:  ofr.  Par,  yi  102. 
—  87.  m  per  sé  eco.  ma  per  s6  medesima  —  60.  si  diee  :  of^.  tv.  20-21.  —  61.  da  gia- 
ta  sbandita  dal  paradiso.  Iti  ritenuta  colpe-  sta  corte:  da  Tito  imperatore,  spiegano  Lana, 
vola  dal peooato  originale,  perocché  doTiò dalla  Ott.,  Case.,  BenT.,  Bnti,  An.  fior.,  Voli.,  Dan., 
■tzada  della  rarità  e  dalla  Tita  felice  del  para-  Vent  ;  dal  giusto  tribunale  di  Dio,  inten- 
diao  terrestre.  Alcuni,  ricordando  l'oTange-  dono  meno  bene  Tomm.,  Bianchi,  Frat.,  Andr. 
lioo(QloTanni  zjt6):  «Ges6  gli  disse.  Io  sono  Blano  e  altri  :  ò  manifesto  che  Dante  si  ri- 
la  Tia,  la  rarità  o  la  rita  »,  preferiscono  di  ferisce  qui  al  Par.  n  92.  —  62.  Ma  lo  reg- 
leggere,  né  senza  autorità  di  buoni  tosti  :  Da  gi*  or  ecc.  Beatrice  scioglie  un  altro  dubbio 


G04 


DIVINA  COMMEDU 


di  penaier  in  pensier  dentro  ad  un  nodo, 
64        del  qual  con  gran  disio  solver  s'aspetta. 
Tu  dici:  *  Ben  discemo  ciò  eh'  i'  odo; 
ma,  perché  Dio  volesse,  m'ò  occulto, 
67        a  nostra  reienzion  pur  questo  modo  '. 
Questo  deoretO|  frate,  sta  sepulto 
agli  o:chi  di  ciascano,  il  cui  ingegno 
60       nella  fiamma  d'amor  non  ò  adulto. 
Veramente,  però  eh' a  questo  segno 
molto  si  mira  e  poco  si  disceme, 
63       dirò  perché  tal  modo  fu  più  degno. 
La  divina  bontà,  che  da  sé  speme 
ogni  livore,  ardendo  in  sé  scintilla 
66       si  che  dispiega  le  bellezze  eteme. 
Ciò  che  da  lei  sema  mezzo  distilla 
non  ha  poi  fine,  perché  non  si  move 
69        la  sua  impronta,  quand'olia  sigilla. 
Ciò  che  da  essa  senza  mezzo  piove 
libero  è  tutto,  perché  non  soggiace 


n 


di  Dante  :  per  qnal  ragiooo  Dio  rolene  qaosto 
modo  di  redenzloiie.  La  questione  fa  disonssa 
largamente  dai  teologi  medioerali  (otr,  F.  C. 
Saar,  Di»  ehri$a,  Léhn  von  dtir  Vtnohmmg^ 
TaUnga,  1888),  e  ipecialmente  da  Anselmo 
d'Aosta  nel  trattato  Ouir  Dmm  homo?  e  da 
Tomm.  d' Aqn.,  Amimi.  P.  m,  qn.  zlti-xlix  : 
Dante  si  mostra  in  più  ponti  seguace  della 
dottrina  di  Anselmo.  —  63.  deatro  eoe.  den- 
tro a  un  dubbio,  dal  quale  aspetta  con  gran 
desiderio  d'essere  liberata  :  cfr.  l'espressione 
oon  quella  deìVBtf.  z  96.  —  66.  T«  dici 
eoo.  Tu  hai  compreso  ciò  che  ti  ho  detto,  nuk 
non  intendi  perché  Dio  abbia  voluto  usare 
solo  questo  modo,  la  morte  di  Cristo,  per  re- 
dimere l'umanità.  —  68.  Investo  deereto 
eoo.  La  ragione  di  questa  deliberaziono  di  Dio 
è  nascosta  a  ohi  non  ha  educato  l'ingegno 
all'amore  divino,  a  chi  non  ha  profonda  e  si- 
cura cognizione  delle  cose  sacre.  ~  frate  :  cfr. 
iV.  tu  70.  —  61.  Venuaente  eco.  Ma  poiché 
molti  si  aflistloano  a  spiegare  perché  Dio  a 
redimere  l'uomo  si  Talesse  della  morte  di  Cri- 
sto e  non  riescono  a  vedeme  la  ragione,  dirò 
io  perché  questo  messo  fosse  il  migliore.  — 
62.  rnolt*  ecc.  Altri  teologi  che  trattarono 
la  questione  dell'incarnazione  e  della  reden- 
zione: Pietro  Lombardo,  lÀber  Sentent.  lib.  m 
distinz.  19  e  segg.;  Alessandro  di  Halos,  Summ. 
P.  m,  qu.  1  ;  Bonaventura,  Oper,,  voi.  V, 
pp.  191  e  segg.,  218  e  segg.;  Ugo  da  S.  Vittore, 
Op,  voi.  m,  p.  68  e  segg.,  ecc.  —  63.  dirò  ooc 
n  ragionamento  di  Beatrìce  ò  questo  :  l'anima 
umana,  essondo  creata  immediatamente  da 


Dio,  è  etoma,  libera  e  oonfoime  alla  natura  di- 
vina (w.  64-78)  ;  il  peccato  le  toglie  libertà 
e  conformità  a  Dio,  si  òhe  essa  non  ziaoquista 
questa  dignità  se  non  oon  giusta  penitenza 
(79-84)  :  in  Adamo  peccò  tutto  l'uman  genere, 
il  quale  non  poteva  esser  redento  che  per 
grazia  di  Dio  o  per  virtù  propria  (86-88).  Ma, 
se  ben  si  guarda,  da  sé  non  era  oapaco  di 
redimersi  (97-102),  perdo  Dio  dovette  volgere 
a  questo  fine  la  sua  misericordia  e  la  sua  giu- 
stizia (103-114)  :  oos(  Dio  dio  sé  stoseo  in  ro- 
denzione  dell'  uomo,  oompiendo  il  solo  atto 
adeguato  al  bisogno  (116-120).  —  64.  La  di* 
Tina  ecc.  La  bontà  del  Signore,  aliena  da  ogni 
passione  contraria  alla  carità,  ardendo  in  sé 
medesima  risplende  in  maniera  da  nuuiife- 
stare  esteriormente,  nelle  sue  creature,  le 
eteme  bellezzo  che  le  sono  proprie.  —  da  sé 
eoe  rimove,  rigetta  da  sé  ogni  passione  ;  cfr. 
Boezio,  Oon».  phil.  m,  metr.  9  :  «  verum  in- 
sita summa  Forma  boni  livore  carens  ».  —  67. 
Ciò  ecc.  Ciò  che  ò  creato  immediatamente 
da  lei,  senza  U  concorso  delle  cause  seconde  o 
accidentali,  dura  in  etemo,  perché  l'impronta 
della  mano  divina  ò  immutabile  nei  suoi  effet- 
ti, produce  opere  eteme.  —  69.  impresta: 
nome  foggiato  sul  vb.  impri$n»r»]  ricorre  più 
volte,  in  I\ar.  xvm  144,  xz  76,  come  n  vK  de- 
rivato imprmUar»  in  Bw,  vn  109,  z  29,  zxm 
86,  con  significazioni  varie  che  per  sltro  si 
riconducono  sempre  alle  fondamentali  di  «m- 
prestion»  o  impnmtr»,  —  70.  Ciò  eoe  dò 
ohe  ò  creato  immediatamente  da  essa  bontà 
divina,  ò  Ubero,  perché  non  è  sottoposto  al* 


PARADISO  -  CANTO  VH  605 

72        alla  virtute  delle  cose  nuove. 

Più  Pè  conforme,  e  però  più  le  piace; 
che  l'ardor  santo,  ch'ogni  cosa  raggia, 
75        nella  più  simigliante  è  più  vivace. 
Di  tutte  queste  cose  s'avvantaggia 
l'umana  creatura,  e,  s'una  manca, 
78        di  sua  nobilita  convien  che  caggia. 
Solo  il  peccato  è  quel  che  la  disfranca, 
e  &lla  dissimile  al  sommo  bene, 
81        perché  del  lume  suo  poco  s'imbianca; 
ed  in  sua  dignità  mai  non  riviene, 
se  non  riempie  dove  colpa  vota, 
84        centra  mal  dilettar,  con  giuste  pene. 
Vostra  natura,  quando  peccò  tota 
nel  seme  suo,  da  queste  dignitadi, 
87        come  da  Paradiso,  fu  remota; 
né  ricovrar  poteansi,  se  tu  badi 
ben  sottilmente,  per  alcuna  via, 
90        senza  passar  per  l'un  di  questi  guadi: 
o  che  Dio,  solo  per  sua  cortesia, 
dimesso  avesse;  o  che  l'uom  per  sé  isso 
CB        avesse  satisfatto  a  sua  follia. 

Ficca  mo  1'  occhio  per  entro  l' abisso 
dell'eterno  consiglio,  quanto  puoi 

l'infltionza  doUe  eaiue  leoonde,  ohe  tono  ma-  oho  vaio  contrapponendo,  o  ristorando  il  mal 

tabili.  —  72.  eoie  nnoTe  :  secondo  gli  antichi  diletto  con  giusta  penitenza  :  prese  il  contra 

commentatori  sono  i  deli  e  i  pianeti  ;  se-  per  ex  oàmnoy  a  anodo  di  xìcompensazione  e 

condo  l  moderni,  e  meglio,  le  cause  seconde,  di  cambio  ».  Si  ossenri  anche  che  il  mai  dilel- 

che  si  rinnovano  oontinnamente.  —  78.  Pl^  ter  rende  1*  idea  del  virgiliano,  En,  vi  279  : 

eoe.  Qnanto  più  la  cosa  creata  ò  conforme  alla  «  mala  gandia  mentis  ».  —  86.  Vettrm  eco. 

bontà  diTina,  tanto  più  piace  ad  essa  ;  poiché  La  natura  uinana  allorché  peccò  tntta  in 

la  bontà  stessa  ohe  illumina  ogni  cosa  è  più  Adamo  perdette  queste  condizioni  di  libertà  e 

Intensa  in  ciò  che  ad  essa  è  più  somigliante.  conformità  a  Dio,  come  perdette  il  paradiso. 

—  76.  di  t«tlt  eoo.  L'anima  umana  ò  privile-  —  tota  t  è  latinismo,  che  ricorre  pur  in  rima 

giata  di  tutte  queste  condizioni  (eternità,  li-  in  Pur.  xx  ld2,  e  in  altri  antichi  poemi 

berta,  conformità  a  Dio),  che  nascono  dalla  (F.  Uberti,  Diti,  i  23;  Frezzi,  Quadr,  n  8).  — 

creazione  immediata  ;  e  se  una  di  esse  viene  88.  mi  rleovrar  ecc.  e  queste  dignità  non  po- 

a  mancare,  è  neceesario  che  l'anima  umana  teano  essere  ricuperate  in  maniera  alcuna, 

decada  dallo  stato  privilegiato.  —  79.  Solo  Itior  di  queste  due.  —  90.  OMtl  gaadl  t  quo- 

eoe  D  peccato  è  quello  ohe  toglie  all'  anima  sti  passi,  dal  peccato  alla  grazia,  sono  il  per- 

umana  la  libertà  e  la  conformità  a  Dio,  poichò  dono  di  Dio  e  la  penitenza  dell'uomo.  •—  91. 

nello  stato  di  peccato  l'anima  non  ò  illuminata  eorteila  :  liberalità.  Cosi  nella  V.  N.  xLn  9 

A^Wn.  grazia  divina.  —  élsfraaea  :  toglie  la  Dio  ò  «  sire  de  la  cortesia  »,  liberale  donatore 

libertà,  lo  ttaio  fnsnoo  (Inf.  xxvii  54).  —  82.  alle  anime  dei  suoi  beni  (<ott,  Oom.  iv  20, 


ed  !■  sua  ecc.  e  non  ritorna  mal  nello  stato  Inf,  xvx  67,  I\arg,  xvi  116).  —  i 

privilegiato,  nella  grazia  del  Signore,  se  non  avesse  i  avesse  perdonato.  —  per  té  Iste  t  per 

riempie  il  ruoto  della  colpa  con  adeguata  sé  medesimo  ;  Ì880  ò  forma  arcaica,  dal  lat. 

penitenza  in  ricambio  del  cattivo  diletto  del  ipeum:  cfr.  Nannuod,  FarM  227.  —  96.  a  s«a 

peccato.  ~  88.  dove  eolpa  eco.  dove  il  pec-  feUfa:  alla  sua  colpa,  al  peccato.  —  94.  mo  : 

cato  fa  un  vuoto  nel  dovere.  —  84.  eoatra  ofir.  Inf,  xzvn  20.  —  entro  PaMsiO  eoo.  nella 

ecc.  Oes.  :  cnota  la  forza  di  questo  eontra,  profondità  degli  eterni  deoreti  divini  (of^.i\iry. 


606 


DIVINA  COBfMEDIA 


96        al  mio  parlar  distrettamente  fisso. 
Non  potea  l*uomo  nei  termini  suoi 
mai  satisfSax ,  per  non  poter  ir  giuso 
99        con  umiltate,  obbediendo  poi, 

quanto  disobbediendo  intese  ir  suso; 
e  questa  è  la  cagion  j)er  che  l'uom  fue 
102        da  poter  satisfar  per  sé  dischiuso. 
Dunque  a  Dio  convenia  con  le  vie  sue 
riparar  V  uomo  a  sua  intera  vita, 
105;      dico  con  Tuna  o  ver  con  ambedue. 
Ma  perché  V  opra  ò  tanto  più  gradita 
dell'operante,  quanto  più  appresenta 
108       della  bontà  del  core  ond'  è  uscita, 

la  divina  bontà,  che  il  mondo  imprenta, 
di  proceder  per  tutt-^  le  sue  vie 
111        a  rilevarvi  suso  fu  contenta; 

né  tra  l'ultima  notte  e  il  primo  die 
si  alto  e  si  magnifico  processo, 
114        o  per  l'una  o  per  l'altra  fu  o  fie: 


TI  121),  tenendoti  stretto,  per  quanto  pool, 
al  mio  ragionamento.  —  97.  Non  potéa  ecc. 
L*aomo,  nella  sna  condizione  di  ente  finito, 
non  ayrebbe  potato  far  mai  adeguata  peniten- 
za, perché  ubbidendo  non  poterà  discendere 
a  tanta  umiltà,  quanta  eia  stata  la  superbia 
coi  era  salito  disubbidendo.  Land.  :  e  La  ra- 
gione, perché  non  potea  satisfare  in  quanto 
uomo,  è  ohe  egli  avendo  peccato  per  superbia 
per  voler  ^pareggiarsi  a  Dio,  per  dò  che  vo- 
lendo sapere  il  bene  ed  il  male  era  aggua- 
gliarsi a  Dio,  egli  non  potea  ubUdiendo  di- 
scendere in  tanta  bassezza  che  fosse  pari  all'al- 
tezza di  Dio,  alla  quale  disubbidiendo  era  vo- 
luto salire  ;  per  dò  che  l'altezza  di  Dio  ò  in- 
finita, ma  nessuna  bassezza  si  trova  ohe  non 
sia  finita  ».  —  101.  questa  eoe  questa  ò  la 
cagione,  per  la  quale  l'uomo  ta  esduso  dal 
poter  sodisfare  per  sé  stesso  alla  propria  col- 
pa. —  108.  Dunque  eco.  Se  l'uomo  non  po- 
teva per  sé  stesso  rendere  questa  sodisfiszio- 
ne,  conveniva  dunque  che  Dio  a  redimerlo 
usasse  i  sud  attributi  di  misericordia  e  di  giu- 
stizia. Si  ofr.  Tomm.  d'Aqu.,  Summ,  P.  m, 
qu.  xLvi,  art.  1  e  Hominem  liberali  per  pas- 
sionem  Christì,  conveniens  fkiit  et  miserioor- 
diae  et  iustitiae  elus.  lustitiae  quidem,  quia 
per  psssionem  suam  Qiristns  satisfedt  prò 
peccato  humani  generis  ;  et  ita  homo  per  iusti- 
tiam  Ghristi  liberatus  eet:  miserioordiae  vero, 
quia  oum  homo  per  se  satisfsoere  non  posset 
prò  peccato  totius  humanae  naturae, ...  Deus 
ei  satisfactorem  dedit  Filium  suum  ; ...  et  hoc 
foit  abundantioris  miserioordiae  quam  d  pec- 
cata absque  satlsCsotionem  dimislsset  > .  f— 104. 
riparar  eoo.  La  redenzione  f^  qnad  una  re- 


integrazione dell'uomo  nelle  dignità  perdute, 
perché  gli  rose  la  libertà  e  la  conformità  a 
Dio.  —  106.  dleo  ecc.  voglio  dire  o  per  sola 
miseiicordia,  o  per  miserioordia  o  ^ostizia 
indeme.  —  106.  Ma  pereM  eco.  Ha  perdié 
l'atto  di  chi  opera  rieece  tanto  più  grato  agli 
altri,  quanto  pi6  dimostra  della  bontà  del- 
l'animo onde  procede.  — 107.  openutie  :  co- 
lui che  Y>pera,  l'autore  :  é  voce  «n^^^^tiftu,  che 
ricorre  anche  nd  Oom,  m  9  :  «  puote  l'uomo 
dire  sorella  quell'  opera  che  da  uno  mede- 
simo operante  d  operata  ».  —  appressata  :  tà 
presente,  dimostra;  senso  che  d  rioav»  dal 
oonfh)nto  con  Pmg,  zxn  49,  Far.  x  SS,  ed  é 
da  preferire  a  quello  di  donare,  largire  dato  a 
questo  vb.  da  alooni  interpreti.  — 109.  ehe  U 
mop'Vo  ecc.  la  quale  imprime  in  tutto  il  croato 
il  suggello  proprio,  infonde  la  sua  carità  in 
tutte  le  cose;  cfr.  Qmv,  m  12  :  «Iddio  tutte  le 
cose  vivifica  in  bontà,  e  se  alcuna  n'è  rea,  non 
ò  della  divina  intenzione,  ma  conviene  per 
qualche  aoddente  essere  lo  processo  dello'nte- 
so  dfetto  ».  — 110.  di  proceder  eoo.  volle  a 
redimere  l'umanità  adoperare  tutti  e  due  i  mez> 
zi,  la  miserioordia  e  la  giustizia.  —  UL  a 
rilsTarvl  ecc.  a  rialzarci  su,  a  rimettervi 
nello  dignità  perdute.  —  112.  né  tra  eoe  e  dal 
piindpio  dd  mondo  sino  al  giorno  del  giu- 
dido  universale  non  fu  o  sarà  mal  aloun'opera 
della  misericordia  o  ddla  giustizia  divina  cod 
grande  e  magnifica  come  la  redenrione  dd- 
l'uomo.  —  l'ultima  eco.  Sono  i  termini  estre- 
mi ddla  vita  dell'  umanità,  il  primo  giorno 
4ella  creazione  e  l'ultima  notte  dd  giudizio 
finde.  —  113.  processo  :  procedimento,  atto. 
— 114.  fle  :  fia,  sarà  ;  forma  frequente  negli  an- 


PARADISO  -  CANTO  VII 


r.07 


che  più  largo  fu  Dio  a  dar  sé  stesso 
a  far  1'  uom  sufficiente  a  rilevarsi, 
117        che  s*egli  avesse  sol  da  so  dimesso; 
e  tutti  gli  altri  modi  erano  scarsi 
alla  giustizia,  se  il  figliuol  di  Dio 
120        non  fosse  umiliato  ad  incarnarsi 
Or,  per  empierti  bene  ogni  disio, 
ritorno  a  dichiarare  in  alcun  loco, 
123       perché  tu  veggi  li  cosi  com'io. 

Tu  dici  :  *  Io  veggio  V  acqua,  io  veggio  il  foco, 
V  aere,  la  terra  e  tutte  lor  misture 
12G        venire  a  corruzione  e  durar  poco; 
e  queste  cose  pur  f  Qx  creature  *  : 
perché  se  ciò  e' ho  detto  è  stato  vero^ 
129        esser  dovrien  da  corruzion  sicure. 
Gli  angeli,  frate,  e  il  paese  sincero 
nel  qual  tu  sei,  dir  si  posson  creati, 
132        si  come  sono,  in  loro  esser  intero; 
ma  gli  elementi  che  tu  hai  nomati, 


tichl,  anche  in  prosa  (Nannucd,  Verbi  464).  — 
115.  ektf  pU  largo  eca  perché  Dio  fa  più  mi- 
sericordioso a  dare  sé  stesso  per  la  redenzione 
dell'uomo  ohe  se  egli  avesse  solo  perdonato 
per  t6  mederimo  il  peccato.  —  116.  a  tu  eco. 
a  metter  Taomo  in  grado  di  rialzarsi  dalla  oa- 
data.  —  118.  •  tatti  ecc.  e  ogrni  altro  modo  di 
redenzione  sarebbe  stato  inadegoato  per  ciò 
che  rìgnarda  la  giustizia  diyina,  se  il  figliuolo 
di  Dio  non  si  fosse  abbassato  a  prendere  uma- 
na natura.  —  120.  bob  fosse  ecc.  Espressione 
biblica  ;  Paolo,  Epi$L  ai  FiUpp,  n  8  :  «  [Cristo] 
trorato  nell'esteriore  simile  ad  un  uomo, 
abbassò  [yulg.  humUiavU]  sé  stesso,  essendosi 
fatto  ubbidiente  infine  alla  morte,  e  la  morte 
della  orooe  ».  —  121.  Or,  per  eoo.  Beatrice, 
per  sodisfare  compiutamente  la  curiosità  di 
Dante,  ritoma  indietro  a  chiarirgli  un  punto 
solamente  accennato  nel  suo  ragionamento 
colla  redenzione.  Nei  ir.  67-69  ha  detto  ohe 
le  cose  create  immediatamente  da  Dio  sono 
eteme,  e  imagina  ohe  Dante  pensi  come  mai 
aleno  oormttibili  gli  elomenti  e  le  loro  com- 
binazioni, dal  momento  che  anch'  essi  sono 
creazioni  di  Dio  :  a  sciogliere  questo  dubbio 
eoggionge  però  il  ragionamento  ohe  segue 
sulla  oorrattlbilità  e  incorrattibilità  dolle  cose 
create,  dimostrando  ohe  sono  eteme  quelle  che 
Dio  crea  immediatamente,  oormttibili  inveoo 
quelle  ohe  egli  orea  per  operazione  di  natura. 
—  128.  pereM  eoe  affinché  anche  su  cote- 
sto punto  tu  conosca  chiaramente  la  rerìtA, 
come  la  conosco  lo.  —  124.  Tu  dio!  eco.  Tu 
ossenri  ohe  l'acqua,  U  ftiooo,  l'aria  e  la  terra 
•  tutte  le  composizioni  dei  quattro  elementi 
■i  corrompono  e  durano  poco  tempo,  sebbene 


sieno  pur  creazioni  dìrino.  —  128.  pereM 
ecc.  e  fki  questa  osservazione,  perché,  se  è 
vero  dò  eh*  io  ho  detto,  gli  elementi  e  le 
loro  composizioni  non  dovrebbero  essere  sog^ 
getti  a  corruzione.  —  180.  GII  angeli  eco. 
Oli  angeli  e  i  deli  furono  creati  immediata- 
mente da  Dio,  però  sono  incormttlblll.  Tomm. 
d'Aqu.,  Stmm.  P.  I,  qu.  xcvn,  art  1  :  «  Ali- 
quid  potest  did  inoormptibile  triplldter,  uno 
modo  ex  parte  matenae,  eo  sdllcet  qued  voi 
non  habet  materiam,  dout  Angelus,  vdhabet 
materiam  quae  non  est  in  potentla  nld  ad 
unam  formam,  slout  corpus  coeleete  »  :  ib.  P.  I. 
qu.  Lzvi, art  2:  « Cum  enlm  corpus  ooeleste 
habeat  naturalem  motum  dlversum  a  natu- 
rali motu  dementorum,  sequltur  quod  eius 
natura  dt  alia  a  natura  quatuor  elementorum. 
Et  dcut  motus  drcularis,  qui  est  proprius 
corporis  oodostis,  caretcontrarletate:  motus 
autem  elementorum  sunt  invioom  oontrarii, 
ut  qui  est  sursum  et  qui  est  deorsum;  ita 
corpus  codeste  est  absque  oontrarietate,  cor- 
pora  vero  dementarla  sunt  cum  contraxietate. 
Et  quia  oorraptio  et  generatio  sunt  ez  oontra- 
rils,  sequitur  quod  secundum  suam  naturam 
corpus  codeste  dt  Incorraptlblle,  dementa 
vero  slnt  oormptlbllla  ».  —  frate  t  clr.  sopra, 
V.  68.  —  il  paese  eco.  l  dell,  che  sono  costi* 
tniti  di  pura  materia.  ^  182.  la  loro  eoo.  Bnti: 
e  in  quello  essere  intero  che  ora  sono  :  imperò 
che  Iddio  indeme  creò  la  materia  loro  e  la 
forma,  H  come  mmo^  doò  per  quel  modo  ohe 
ora  sono;  e  però  d  può  conohludere  che 
debbono  eesere  perpetui  e  Uberi,  imperò  che 
senza  mezzo  dependono  da  Dio  ».  -^  188.  bu 
gli  clomeati  ecc.  ma  l  quattro  elementi  e  le 


608 


DIVINA  COMMEDIA 


e  quelle  cose  cbe  di  lor  si  fànnoi 
135        da  creata  virtà  sono  informatL 
Creata  fa  la  materia  eli'  egli  hanno  ; 
creata  fa  la  virtù,  informante 
188        in  queste  stelle,  che  intorno  a  lor  vanno. 
L'anima  d'ogni  bruto  e  delle  piante 
di  complession  potenziata  tira 
141        lo  raggio  e  il  moto  delle  luci  sante. 
Ma  vostra  vita  senza  meizo  spira 
la  somma  beninaaza,  e  la  innamora 
144        di  sé,  si  che  poi  sempre  la  disira. 
E  quinci  puoi  argomentare  ancora 


cose  compoete  degli  olementi  lioeyono  la  loro 
formai  sono  oostìtuiti  nella  loro  essenza  dalla 
natura,  ohe  è  Tirt&  oreata  da  Dio  •  opera 
come  oansa  seconda:  dunque  non  sono  creati 
immediatamente,  e  però  sono  soggetti  a  corra* 
none.  —  1B6.  Citata  eoo.  Creata  immediata* 
mente  da  Dio,  e  perciò  etema  ta  la  materia 
degli  elementi  :  e  tale  tu  croata  la  virtù  che 
U  informa^  dà  loro  l' essenza  distribuita  in 
questi  pianeti  che  notano  intomo  agli  ele- 
menti. ~  189.  li'aaiaia  eoo.  L'anima  sensitÌTa 
{d'ogni  bruto)  e  la  vegetatiTa  {driìa  piemie)  sono 
oostitnito  nei  loro  essere  daUUnflaenza  delle 
stelle,  essendo  di  lor  natura  capaci  di  rice- 
vere tale  inflaenza.  Questo  pare  essere  il 
senso  della  presente  tetzina,  delle  più  oscure 
del  poema;  ma  la  costruzione  può  fiftrsi  in 
più  modi.  La  più  semplice  sarebbe  questa  :  Lo 
raggio  «  il  molo  dell»  tuoi  aanté  tìra,  trae  al 
loro  essere,  informa  l'anima  d' ogni  brvto  e 
delle  pianUt  ohe  sono  di  eomplestion  potm- 
xiaia  a  ciò  ;  cosi  pross'a  poco  intesero  Lana, 
Ott,  Bonv.,  Buti,  An.  fior.,  Land.,  Vent., 
Ges.,  Biag.,  Tomm.,  Bianchi,  Frat.,  Andr., 
Blanc.  ecc.  Il  Torraca,  richiamando  un  passo 
di  Ristoro  d'Arezzo,  vn  2,  4  ove  eompleMùm» 
significa  il  maseotofs»  ùtsiema  degli  elementi 
pgr  la  virtuU  del  cielo  $  del  mio  movimento^ 
costruisce  invece  «  lo  raggio  e  il  moto  delle 
Ivei  aante  tira  di  (doò  da)  oompleeeion  poten- 
xiata  V  anima  d'ogni  bruto  e  delle  piante  ;  e 
spiega:  i  brati  e  le  piante  vivono  quando  le 
stollo,  col  raggio  e  col  moto  loro,  hanno  me- 
scolato gli  elementi  e  postili  in  quelle  con- 
dizioni in  cui  bruti  e  piante  possono  vi- 
vere >.  Altra  costrazione,  ohe  dà  tutt'  al- 
tra sentenza,  d  questa:  L'anima  d'ogni  bruto 
e  delle  piante  tira  dalle  turi  eante^  trae  dalle 
stelle,  lo  raggio  e  il  fnoto,  Tessere  e  l'azione, 
per  mezzo  di  eomplestion  polenxiata  ;  ma  non 
risponde  al  concetto  dantesco,  ohe  ò  di  signi- 
ficare la  corruttibilità  dell'anima  sensitiva  e 
della  vegetativa  conforme  alla  dottrina  di 
Tomm.  d'Aqu.,  iSumm.  P.  I,  q.  lxxv,  art.  3, 
6  e  qu.  cxviii,  art.  1,  2.  —  li2.  Ma  TOifcra 


ecc.  Ma  la  divina  bontà  crea  la  vostra  anima, 
l'anima  razionale,  immediatamente,  porcid 
questa  ò  eterna.  Anche  questa  è  dottrina  di 
Tomm.  d'Aqu.  Summ.^  P.  L  qu.  xl,  art  2, 
8  :  e  Anima  ratìonalis  non  potast  fieri  ni^ 
per  creationem  ;  quod  non  est  verum  do  aliis 
formis . . .  Anima  autem  rationalis  est  forma 
subsistens.  linde  ipsi  proprio  oompetit  osse 
ot  fierL  Et  quia  non  potest  fieri  ex  materia 
praeiaoente  neque  corporali,  quia  sic  esset  na- 
turae  oorporeae,  neque  spirituali,  quia  sic 
snbstantiae  spirituales  invicem  transmutaron- 
tur  :  neceise  est  dicere  quod  non  fiat  nisi  per 
creationem. . .  Quidam  posuerunt  quod  Angeli, 
seoundum  quod  operantnr  in  virtute  Dei,  cau- 
sant  aoimas  rationalee.  Sed  hoc  eet  omnìno 
impossibile,  ot  a  fide  alienum.  Ostensum  est 
enim  quod  anima  rationalis  non  potest  prodocì 
nisi  per  creationem.  &dlus  autem  deus  po- 
test creare;  quia  solius  primi  agentis  est 
agere  nullo  pxaesupposito,  cum  semper  agens 
secundum  praesnpponit  aUquid  a  primo  agen- 
te. Quod  autem  agìt  aliquid  ex  aliquo  prae- 
suppoeito,  agit  transmutando  ;  et  ideo  nnllum 
aliud  agens  agit  nisi  transmutando,  sed  soins 
Deus  agit  creando.  Et  quia  anima  rationalis 
non  potest  produci  per  trausmutatìonein  ali- 
cuius  materiae,  ideo  non  potest  prodnd  nisi  a 
Dee  immediate  »  :  cf r.  Arg.  zvi  85.  —  143. 
kenlBaaaa:  bontà,  benignità,  come  in  I^ar. 
xz  99.  È  voce  frequente  negli  antichi  e  si  suol 
derivare  dal  prov.  benenanea  (Nannnoci  Fere» 
87,  Zing.  119),  se  bene  possa  essere  anche 
di  formazione  italiana  (ofir.  Oaspary,  La  semola 
poetiea  sia.,  pp.  272  e  seg.).  —  e  In  Imna- 
aiera  eco.  e  in  essa  anima  Dio  infonde  L'amo- 
re di  sé  stesso,  9Ì  che  poi  1'  anima  desidera 
sempre  di  rìoongiungersi  a  luL  —  146.   B 
f  uUci  :  eoo.  E  da  questo  principio,  che  ciò  cha 
Dio  crea  immediatamente  ò  etemo,  puoi  de- 
durre ancora  la  necessità  della  resnnexiooe 
della  came  umana,  se  tu  ripensi  che  la  cane 
umana  tu.  creata  da  Dio  nella  oreazioike  di 
Adamo  e  d'Eva.  Tomm.  d'Aqu.,  Sumen,  p.  I, 
qo.  xci,  art  2,  insegna  che  «  prima  fozma- 


PARADISO  -  CANTO  VH 


609 


148 


vostra  resurrezion,  se  tu  ripensi 

come  l'umana  carne  féssi  allora 

clie  li  primi  parenti  intrambo  fénsi  >. 


tio  kamaiki  oorpoxis  non  potnit  eue  per  ali- 
qaan  Yìrtatem  creatam,  sed  immediate  a  Deo» 
e  dimostra  Qh.  qo.  zovn,  art.  1)  clie  il  oorpo 
dei  primi  parmiH  era  incormttibQe  ed  im- 
mortale, e  che  Cih.,  p.  m,  qo.  xuz  art  8) 
tal  dignità  tn.  perduta  per  il  peccato  origi- 


nale e  liconqniatata  per  il  sacrifizio  di  Cristo. 
— 147.  aller*  eco.  nella  creaadono  dell'uomo. 
— 148.  primi  parenti  |  Adamo  ed  Era  ;  cfr. 
jBi/I  IT  66.  —  intzmnbo  :  entrambi,  forma  ar- 
caica, di  cui  in  Jnf.  xix  25  si  ha  il  plurale 
femm.  ^  finti:  si  fenno,  ftuono  ereati. 


CANTO  Vili 

Beatrice  e  Dante  ascendono  nella  sfera  di  Venere,  ove  appariscono  ad  essi 
le  anime  di  coloro  che  sentirono  fortemente  Tamore  :  Carlo  Martello  parla 
a  lungo  al  poeta  di  sé  e  del  fìratello  Roberto  e  poi  gli  spiega  come  ayyenga 
che  i  figlinoli  sieno  degeneri  dai  padri  e  quanto  sieno  prorridi  gli  ordina- 
menti della  natura  (14  aprile,  ore  antimeridiane]. 

Solea  creder  lo  mondo  in  suo  periclo 
clie  la  bella  Ciprigna  il  folle  amore 

8  raggiasse,  volta  nel  terzo  epiciclo: 
per  che  non  pure  a  lei  facean  onore 

di  sacrificio  e  di  votivo  grido 
6       le  genti  antiche  nell'antico  errore, 
ma  Dione  onoravano  e  Cupido, 

quella  per  madre  sua,  questo  per  figlio, 

9  e  dicean  ch'ei  sedette  in  grembo  a  Dido; 


Vm  1.  Stlen  eoo.  Mentre  è  per  entrare 
neUn  afera  di  Venere,  Dante,  per  {spiegare 
eoa»  fosse  dato  questo  nome  al  pianeta  ri- 
pena»  •  applica  al  caso  particolare  dò  che  in 
general»  gli  ha  detto  Beatrice,  Bir.  rv  61- 
68;  e  dice  che  gli  antichi  credevano  che  Ve- 
nere, Tolgendoai  nel  tono  epiddo,  infondesso 
negli  animi  umani  la  passione  dell'amore  sen- 
soalo.  —  in  sne  perlelo  i  con  proprio  perì- 
colo, con  periodo  della  dannadono  delle  ani- 
me. Cosi  spiegano  Ott.,  Butl,  Land,  e  dd 
moderni,  Vent,  Lomb.,  Andr.;  ma  già  Lana 
e  An.  fior,  e  quad  tutti  1  moderni  intendono 
accennato  H  paganesimo,  come  se  Dante  di- 
cesse :  nd  tempo  in  cui  gli  uomini  vivevano 
neU' errore  ;  ma  p&iooh  non  ò  srrore,  e  d'altra 
parte  ai  avrebbe  in  questo  verso  un  concetto 
eh»  sarebbe  pd  ripetuto  inutilmente  nd  v.  6. 

—  2.  Ciprigna:  Venere,  cosi  detta  perché 
nata  e  adorata  in  Cipro  (cfr.  Ov.,  MeL  x  270). 

—  8.  raggiasse  s  infondesse  per  messo  dei 
nggf;  cfr.  Cono,  n  7:  €  sapere  dvudeche 
li  laggt  di  dasouno  delo  sono  la  via  per  la 
quale  discende  la  loro  virtd  in  queste  cose  di 
qua  gi6».  —  nel  tene  epiciclo:  Vepioielo 
è,  nd  sistema  di  Tdomeo,  un  piccdo  circolo, 
il  col  centro  ò  sulla  drcosferenza  del  cerchio 


d'ogni  pianeta  e  nel  quale  d  volge  U  pia- 
neta ;  e  tu  imaginato  per  dar  ragione  dello 
stazioni  e  retrogradazioni  planetarie.  D  terxo 
tpioiclo  ò  quello  dd  terzo  pianeta,  cioè  di  Ve- 
nere (ott.  Omv.  n  A).  —  4.  per  die  eco.  per 
la  quale  credenza  le  genti  pagane  onoravano 
Venere  con  sacrifizi  e  con  preghiere  votive. 
~  6.  antleo  errore:  le  credenze  anteriori  d 
cristianesimo,  considerate  dalla  Chiesa  come 
enonee.  —  7.  Mene  :  figliuola  di  Teti  e  dd- 
l'Oceano  e  madre  di  Venere,  e  come  tde  ado- 
rata dagU  antichi  (cfir.  Stazio,  SMm  i  1,  84). 
—  Caplde:  figliuolo  di  Venere,  personifica- 
zione dell'amore  ;  cfr.  Oonv. n 6:  cFerohó gli 
antichi  s' accorsone  ohe  qud  ddo  e»  qua 
gi6  cagione  d'amore,  dissono  Amore  essere 
flgliudo  di  Venere;  d  come  testimonia  Vir- 
gilio nel  primo  néìTEtmda  [v.  665],  ove  dice 
Venere  ad  Amore:  FigUo,  vùrtA  mia,  figlio  del 
nmmo  Piadr$,  che  li  dardi  di  Tyeo  nonouri'i  e 
Ovidio,  nd  quinto  di  AMamorfoteoe  [v.  866], 
quando  dice  che  Venere  disse  ad  Amore  :  .FV- 
gtio,  anni  mie,  potenxa  mia  ».  —  9.  dleeaa 
ecc.  Virgilio,  En.  1 657  e  segg.  racconta  come 
Venere  mandò  Cupido,  sotto  le  sembianze  di 
Ascanio,  a  susdtare  in  Didone  la  pasdone 
amorosa  per  Enea;  Dante  accenna  special* 


Dante 


610 


DIVINA  COMMEDIA 


e  da  costei|  ond*io  principio  piglio, 
pigliavan  il  vocabol  della  stella 
12       che  il  sol  vagheggia  or  da  coppa,  or  da  ciglio. 
Io  non  m'accorsi  del  salire  in  ella; 
ma  d'esservi  entro  mi  fece  assai  fede 
15       la  donna  mia,  ch'io  vidi  hx  più  bella. 
E  come  in  fiamma  favilla  si  vede 
e  come  in  voce  voce  si  disceme, 
18       quando  una  è  ferma  e  l'altra  va  e  riede, 
vid'io  in  essa  luce  altre  lucerne 
moversi  in  giro  più  e  men  correnti, 
21       al  modo,  credo,  di  lor  viste  eteme. 
Di  fredda  nube  non  disceser  venti, 
0  visibili  0  no,  tanto  festini, 
24       che  non  paressero  impediti  e  lenti 
a  chi  avesse  quei  lumi  divini 
veduti  a  noi  venir,  lasciando  il  giro 
27       pria  cominciato  in  gli  alti  serafini; 


mento  alle  parole  dei  w.  718-719  :  «  Inter- 
dun  ftemlo  foret,  insoU  Dido,  Iniidat  quan- 
to! misera*  Deoa  I  ».  —  10.  dA  coatti  eoo. 
dalla  Dea  Venere,  dalla  quale  ho  Inoominciato 
questo  canto,  preeexo  la  denominazione  del 
pianeta  :  ofir.  Bar,  ir  62.  —  oad'  lo  eoo.  ofir. 
le  cipxMiioni  TirKiliane  delle  Gtorg.  it 816: 
«  nnde  nova  IngieaioB  hominnm  experientia 
oepit?  »  e  dell'£H.  it284 :  «qnaa priina cxor- 
dia  iomat?  ».  ~  12.  che  U  sol  eoo.  la  quale 
ftella  contempla  il  iole  ora  precedendolo  nel 
mattino  (LnciferoX  ora  segoendolo  nella  sera 
(Esperò)  :  da  coppa  (ofr.  Inf,  zxr  22)  significa 
dalla  parte  posteriore  e  indica  la  posizione 
di  Venere  rispetto  al  Sole  che  tramonta;  da 
eigUo  significa  dalla  parte  anteriore  e  designa 
la  posizione  del  pianeta  che  precede  il  sole 
nel  mattino.  —  18.  Io  aon  eoe  L'ascensione 
di  Beatrice  e  di  Dante  è  cosi  rapid*  che  il 
poeta  non  s'avrede  di  salire  da  Heroniio  a 
Venere:  ma  giunto  in  questo  pianeta,  mira 
Beatrice  sfhTillare  di  pi6  Tivid*  loco,  e  cosi 
s'accorge  d'esser  passato  a  una  sfera  supe- 
riore (cfr.  FtMT.  ▼  9i).  — 16.  E  cosM  eco.  Le 
anime,  che  a  goisa  di  Inceme  appariscono  a 
Dante  néllA  sfera  di  Venere,  scintillando  si 
distinguono  nollo  splendore  del  pianeta  come 
nelle  fiamme  si  Tcdono  le  fìftville  e  nel  canto 
di  più  Tod  si  distingue  dasounA  voce  del 
coro:  le  due  similitudini,  stupende  per  effi- 
cace e  pittosesca  brevità,  si  ccmipiono  a  vi* 
oenda  e  rispondono  esattamente  alla  condi- 
zione di  queste  anime,  che  non  solo  erano 
luminose,  ma  anche  cantayano.  —  17.  come 
la  Toeo  ecc.  Venturi  74  :  «  Due  Toci,  che 
cantino  all'unisono,  paiono  una  sola.  Ma  se 
una  tenga  ferma  la  nota,  e  l'altra  gorgheggi. 


si  disceme  questa  da  quella  t.  —  19.  alCrt 
laeerae  eoe  Sono  le  anime  beat»  di  coIqko, 
che  sentirono  fortemente  l'amore  e  che  da  tale 
sentimento  sono  ancora  dominate  nel  dolo 
(cfr.  T.  88  e  FtKT,  IX  88, 96-102).  —  20.  morenl 
ecc.  eh»  si  moTorano  in  giro  più  o  meno  ▼»- 
looomente,  a  seconda  del  loro  eterno  vedere, 
dod  secondo  ch'era  maggioro  o  minore  la  loro 
etema  beatitadine  o  Timone  di  Dio.  Altri  te- 
sti abbastanza  autoreroli  leggono  «iste  iwtoms, 
che  Torrobbo  diro,  a  seconda  deOe  intome  vi- 
sioni, della  contemplazione  spiritnalo  di  Dio 
propria  di  dasoun  beato:  ohe  poi  in  foadoè 
lo  stesso  concetto,  significato  un  pò*  dtrecsa- 
mente.  ~  22.  Di  fredda  eoa  A  rendero  oon- 
piutamento  l'idea  della  velodtà  di  queste 
anime  nel  voniro  verso  di  lui,  U  poeta  la  pa- 
ragona a  quella  delle  correliti  aereo  ohe  daUo 
alte  regioni  dell'atmostea  (frtdda  mtb»)  di- 
scendono a  terra,  sia  che  si  vedano  perché 
spingono  innanzi  a  s6  la  pdvero  o  lo  nuvole, 
sia  che  restino  invisibili  e  sdo  d  sentano 
per  il  commovimento  dell'aria.  Nello  sviluppo 
di  questa  similitudine,  nella  quale  da  un  fatto 
reale  espresso  in  forma  negativa  (non  di- 
seeser  vmtì  tanto  fettinii  d  passa  per  meczo 
di  un  apprezzamento  ipotetico  della  sua  en- 
tità (ehi  non  parmmn  imptdìH  §  Imti)  a  do- 
terminaro  il  valoro  comparativo  del  temine 
prindpale  (a  eM  tMMtm  quei  hmti  vednH  vmir 
eoe),  abbiamo  lo  stesso  procedimento  che  d 
può  osservaro  nella  similitudine  del  JViy.  v 
87-40.  ~  Ttatl  ecc.  Sopra  la  roUdone  di 
questo  concetto  con  le  dottrine  aristotellcte 
ctr.  Mooro,  I  182.  ~  28.  f estlal  :  cf^.  iW.  m 
61.  —  26.  lasdaado  ecc.  interrompendo  la 
danza,  il  movimento  circdare,  già  incomin- 


PARADISO  -  CANTO  VH! 


611 


e  dentro  a  quei  che  più  innanzi  apparirò 
sonava  e  Osanna  »  si  che  unque  poi 
80       dì  riudir  non  fui  senza  disiro. 
Indi  fiì  fece  l'un  più  presso  a  noi, 
e  solo  incominciò  :  <  Tutti  sem  presti 
88       al  tuo  piacer,  perché  di  noi  ti  gloL 
Noi  ci  Yolgiam  coi  principi  celesti, 
d'un  giro  e  d'un  girare  e  d'una  sete, 
06       ai  quali  tu  del  mondo  già  dicesti: 

'  Voi  che  intendendo  il  terzo  ciel  movete  ' 


dato  Bel  delo  Emfiito,  nel  dolo  ove  sono  i 
Semflni,  la  piA  alta  gerarchia  angelica.  —  28. 
f  destre  eoo.  e  in  mexzo  a  qneUe  anime  beate 
che  per  prime  d  apparrero,  riaomara  nn  canto 
d'Otanna,  oosf  doloemente  che  da  qnel  mo* 
mento  lo  non  ho  mai  lasciato  il  desiderio  di 
rindirlo.  —  29.  Osami*  t  eoo.  cfr.  Bar,  yn  1. 
—  81.  !*■■  eoo.  Lo  spirito  che  si  avvicina  a 
Dante,  ofEerendosi  pronto  a  sodisfSue  ogni 
soo  desiderio,  è  qnello  di  Oarlo  ICartéllOi  fi- 
glio primogenito  di  OailoU  d' Angld  (ab.  Par, 
VI  106)  e  di  Maria,  sorella  di  Ladislao  IV  ni- 
timo  dalla  prima  linea  dei  reali  d'Ungheria: 
nato  nel  1271,  questo  prindpo  crebbe  amante 
delle  arti  deDa  paoe  e  a  sedid  anni  sposò  Cle- 
menza llglia  di  Bodolfo  d'Asburgo:  nel  set- 
tembre del  1289  Al  in  Napoli  armato  eavallere 
e  pid  taxdi  tu  coronato  solennemente  re  d'Un- 
gheria, credendod  devoluto  a  lui  quel  regno 
per  la  morte  di  Ladislao  lY,  al  quale  però 
suoeoeee  di  fatto  Andrea  m  detto  il  veneziano, 
di  un  rmmo  secondario.  Nei  primi  med  del 
129i  Cado  l£artello  d  reoò  da  NapoU  a  Fi- 
renze  per  incontrare  il  padre  e  la  madre  che 
tornavano  di  Francia,  e  in  quell'occasione 
potè  oonosoexe  l' Alighieri  (cfr.  la  nota  al  v. 
66).  Mori  nd  1296,  lasdando  due  figliuole, 
Beatzioe  e  Clemenza,  e  un  figlio,  Oarlo  n 
Boberto  (n.  1288,  re  d'Ungheria  1906,  m. 
Idi2).  SuluivedadM.8chipa,air2oifori0Uo 
néirAreh,  tior,  naptA.,  a.  1889,  voL  XIV,  pp. 
17-88,  201-64;  O.  Todeschini,  Di  O,  Mcart, 
n  iiiotain  d'Ungh.  •  dòtta  eorri$p,  fra  qussto 
friMBife  •  DatiU  negli  ScritH  tu  Dante,  voL  I, 
pp.  171-210;  e  U  Dd  Lungo  n  498-501.  — 
82.  Tnttl  eoe  «  Nessuno  degli  spiriti  celesti, 
quantunque  tutti  benevoli  e  disposti  a  fu 
oontento  ogni  dedderio  dol  poeta,  gli  d  pre- 
senta e  gli  d  porge  più  affettuoso  e  pi6  caro. 
Paria  egli  a  nome  delle  dtre  anime,  mosse 
valodedmamente  incontro  a  Dante  e  Beatricef 
paria  colla  carità  di  ohe  sfavilla  quel  delo, 
e  ooUa  delicatezza  d'un  amico  saluta  indeme 
r  amico  e  il  poeta,  ricordandogli  il  primo 
verso  d'una  canzone  amorosa,  d'una  canzone 
udita  forse  in  Firenze,  quando  vi  foce  il  breve 
soggiorno,  e  vi  oonobbe  il  giovane  poeta. 
Cosi  anche  in  questa  parte  remota  dalla  tona. 


la  terra  non  ò  dimenticata  :  Dante,  compla- 
duto  nel  suo  amor  proprio  di  post»  sente 
risvegliarsi  la  memoria  della  gio^ezza  e  del- 
l'arte amorosa,  e  al  sduto  gentile  e  alla 
larga  promessa  risponde  con  grande  affetto  e 
con  insolita,  ma  qui  naturde  vìvadtà  >  (Ca- 
petti, op.  dt,  p.  26).  ~  88.  ti  gioì  :  ti  raUegri, 
prenda  gioia  dd  nostro  parlare  :  è  forma  dd 
vb.  gMaré,  non  raro  negli  antichi  (cfr.  Nan- 
nucoi.  Verbi  19).  —  84.  Kol  eco.  Nd  d  mo- 
viamo indeme  col  coro  angelico  dd  Prind- 
pati,  ohe  sono  1  motori  di  questo  ddo  di  Ve- 
nere: cfr.  Far.  ix  61  e  per  la  corrispondenza 
tra  le  nove  gerachie  angeliche  e  i  nove  cer- 
chi, Far,  xxvni  40  e  segg.  ~  86.  d'nn  gire 
ecc.  Lana:  <  a  quello  moto  a  che  d  muo- 
vono li  angeli  di  questo  delo  mosd  da  amore 
etemo,  il  qude  d  regola  d'una  medesima 
misura,  d'uno  mededmo  dedderio,  d'uno  me- 
desimo affètto;...  e  però  seme  simili  ad  essi  ». 
Si  noti  che  d*un  giro  d  dotto  rispetto  allo  spa> 
do  (in  moto  circolare)  e  d'un  girare  rispetto 
d  tempo  (con  moto  etemo);  e  d'una  aete^  ri- 
guardo all'intendtà  dell'amore  divino.  —  86. 
al  qnali  eoe  d  quali  principati  o  «intelli- 
genze ovvero  per  pi6  usato  modo  vdemo  diro 
angeli,  li  quali  sono  alla  revoludone  del  delo 
di  Venere  d  come  movitori  di  quello  {Conv, 
u  2)  >,  tu  già  volgesti  il  discorso  nella  can- 
zone Voi  che  intendendo  eco.  —  tu  del  mondo  : 
tu  che  sei  dttadino  del  mondo;  oppure,  es- 
sendo gid  nel  mondo,  parlando  dd  mondo  d'v 
gli  uomini  agli  abitatori  del  delo.  —  87.  T«  l 
eoo.  £  il  prindpio  d'una  canzone  di  Dant^ 
scritta  nel  1294  e  commentata  poi  nel  Com-, 
n  2-16:  in  essa  il  poeta  rappresenta  il  con- 
trasto di  sentimenti  prodotto  nel  suo  anlm  • 
dall'amore  per  la  dmna  gentile  (cfr.  Puri/. 
xrx  124)  e  dalla  memoria  di  Beatrice  doAint^  ; 
e  nella  chiosa  del  (Jone,  vud  dimostrare  ohe 
essa  donna  gentile  è  «  la  bellissima  e  onestis- 
sima figlia  dello  imperadore  dell'universo, 
alla  qude  Pitagora  poso  nomo  filoeofia  >.  la 
questa  canzone  Dante  paria  die  intelligenze 
o  angeli,  che  muovono  il  dolo  di  Venere, 
perché  d  quello  che  lo  ha  tratto  ndla  condi- 
zione di  spirito  rappresentata  nel  suoi  verd  ; 
cfr.  conz.  dt,  v.  4  e  segg.  :  <  U  ^'eì  che 


612 


DIVINA  COMMEDIA 


e  86m  si  pien  d'amor  che  per  piacerti 
89        non  fia  men  dolce  un  poco  di  quiete  ». 
Poscia  che  gli  occhi  miei  si  faro  offerti 
alla  mia  donna  riverenti,  ed  essa 
42       fatti  gli  avea  di  sé  contenti  e  certi, 
rivolsersi  alla  luce,  che  promessa 
tanto  s'ayea,  e:  <  Di',  chi  siete?  >,  fde 
45        la  voce  mia  di  grande  affetto  impressa. 
£  quanta  e  quale  vid'io  lei  fax  piùe 
per  allegrezza  nuova  che  s'accrebbe, 
48        quand'io  parlai,  all'allegrezze  sue! 
Cosi  £Eitta,  mi  disse:  <  Il  mondo  m'ebbe 
giù  poco  tempo  ;  e  se  più  fosse  stato, 
61        molto  sarà  di  mal,  che  non  sarebbe. 


MCQ0  lo  Tottro  Talora...  Mi  traggo  nollo  stato, 
or*  io  mi  tioTo  ;  Onde  il  parlar  della  Tita 
dà'  io  prore  Far  che  li  diìxzi  degname&te  a 
voi»  (Ckmx,  p.  188).  —  88.  e  tea  eoo.  Bipete 
in  altra  forma,  lo  eteoso  oonoetto  dei  tv.  83- 
83  :  per  parlare  a  Dante,  questi  spiriti  doTe- 
Tano  interrompere  la  loro  danza  e  ilioro  oanto, 
signifloaxlone  dell'anune  di  Dio  nel  qnale  è 
la  loro  beatitndine;  ma  quest'amore  dÌTÌno 
non  eedade,  anzi  comprende  ed  aTTiva  l'a- 
more del  prossimo,  e  peroid  l' interrozione  d 
gradita  alle  anime  quanto  il  canto  e  la  danza. 
—  40.  PoseU  eoe  U  desiderio  di  Dante  di 
parlare  all'anima  beata  e  il  oonsenso  di  Bea- 
tiioe  non  aTrebbero  potuto  esser  significati 
in  modo  pid  gentile  e  insieme  perspicuo;  al 
qual  proposito  d  da  notare  ohe  ai  primi  in- 
contri del  poeta  con  le  anime  beate  è  la  donna 
stessa  ohe  lo  incoraggia  a  parlare  e  a  cre- 
dere (ofr.  Fùr.  DI  31  e  segg.,  t.  121-122)  : 
ma  qui  nel  dolo  dell'amore  basta  che  Dante 
Tolga  gli  occhi  in  segno  di  domanda  a  Bea- 
trice e  che  questa  pur  con  gli  occhi  dimo- 
stri il  suo  consenso,  perché  egli  parli  franca- 
mente ai  beati  (cfr.  Far.  ix  16-18).  —  42. 
fatti  oco.  sodisfece  il  mio  desiderio  (fionimti), 
assicurandomi  del  suo  consenso  (emii),  —  43. 
alla  laee  ecc.  all'anima  di  Carlo  Ifartello, 
che  aveva  Cstto  cosi  esplicita  promessa  d'es- 
sere disposta  a  parlare.  —  44.  Di*,  cài  alete  I 
GIÙ  sei  tu  e  chi  sono  le  altre  anime  che  ti 
fanno  compagnia  ?  A  questa  lezione  e  a  que- 
sta semplicissima  interpretazione  il  Dan.,  se- 
guito poi  dal  Lomb.,  Biag.,  Cos.,  Tomm., 
Andr.,  obbietta  :  «  Qui  è  da  aweitir  ohe  il 
testo  ò  corrotto;  et  voi  dir,  non  IH*,  ehisieUf 
ma  Di'  ehi  t$'  (u,  doè  dimmi  chi  tu  sei,  come 
io  leggo  in  un  antico  testo;  però  che  il  poeta 
non  parla  che  a  Carlo  Martello  solo,  e  non 
agli  altri  spiriti  che  erano  con  esso,  die  saxla 
stato  troppo  U  voler  intendere  il  nome  e  le 
quiJità  di  tutti;  oltra  ohe  fon  stato  errore  di 
grammatica,  ad  usare  in  un  medesimo  tempo 


il  numero  del  meno  e  quello  del  pi6,  dicendo 
dT  e  »itté  ».  Ma  1  dubbi  del  Dan.  non  poe- 
iono  aver  valore  di  fronte  alla  ooooorde  au- 
torità dei  testi  antichi  e  al  fatto  che  un'ana- 
loga espieeiione  usa  Dante  con  Fiooarda  ia 
Par.  m  40-41  («nome  tuo...  Tostra aorte»), 
trsttandosi  di  diiedere  ad  una  data  anima 
ohi  sia  essa,  e  qual  sia  la  ooadixJone  di  lei 
e  dei  compagni  di  beatitudine.  €  Fooo  importa 
poi  (osserva  il  Beccaria,  op.  dt.,  p.  201)  ohe 
Carlo  Martello  entri  a  parlar  subito  di  sèi,  ed 
esplicitamente  non  risponda  alla  liToltagli 
domanda,  poiché  da  quello  dxe  e'  ragiona,  e 
da  dò  che  dopo  di  lui  dicono  altri  giriti. 
Dante  riman  ben  chiarito,  essere  state  quelle 
anime,  mentre  TiTevano  nel  mondoi,  impresse 
del  lume  di  Venere  ».  •—  4fi.  E  qaaat*  ece. 
La  loco  di  Carlo  Martello  ai  ingrandisce  e  si 
avviva  alla  domanda  di  Dante  per  significa- 
zione dell'  allegrezza  nuova  che  si  ò  aggiunta 
alla  gioia  della  sua  beatitudine,  nel  sentire  la 
voce  nota  di  un  caro  amico.  Kel  movimento 
della  tnae  E  quanta  $  quote  eoo.  Dante  si  ri- 
cordò forse  di  due  luoghi  virgiliani,  10».  n  274: 
«  Hei  mihi  1  qualis  erat,  quantum  mutatns  ab 
ilio  »  e  n  690  :  «  in  luce  refkilsit  Alma  pareas, 
confessa  deam,  quallsque  videri  Coeliootis  et 
quanta  sdet  ».  —  49.  Cosf  fattn  eco.  Poiohó 
ta  divenuta  pid  ampia  e  più  luminosa,  la  luce 
mi  disse.  ^  Il  HOBdo  eco.  Io  vissi  poco 
tempo  nd  vostro  mondo  (ofr.  la  nota  al  ▼. 
81),  e  se  il  tempo  della  mia  vita  terrena  fosse 
stato  maggiore  d  eviterebbero  molti  amU  die 
pur  dovranno  accadere.  H  male  che  si  sa- 
rebbe evitato  se  Carlo  Martello  non  fosse 
m^orto  ood  presto  sarebbe,  secondo  11  Lana, 
il  cattivo  governo  dell'avaro  Boberto  (cfr. 
w.  76  e  segg.);  secondo  l'Ott  invece,  sa- 
rebbe la  disastrosa  guerra  tra  gli  angioini  e 
gli  aragoned  per  il  possesso  della  Sicilia  (cfr. 
Purg,  vn  115)  :  ma  forse  Dante,  pid  ohe  a  nu 
f&tto  determinato,  pensava  all'insieme  dei 
mali  ohe  afflissero  il  regno  di  Niq^  sotto 


PARADISO  -  CANTO  Vin 


613 


La  mìa  letizia  mi  ti  tien  celato, 
che  mi  raggia  dintorno  e  mi  nasconde 
54        quasi  animai  di  sua  seta  fasciato. 
Assai  m*  amasti,  ed  avesti  bene  onde; 
che,  s*io  fossi  giù  stato,  io  ti  mostrava 
57        di  mio  amor  più  oltre  che  le  fronde. 
Quella  sinistra  riva,  che  si  lava 
di  Rodano  poi  eh' è  misto  con  Sorga, 
CO       per  suo  signore  a  tempo  m'aspettava; 
e  quel  corno  d'Ausonia,  che  s'imborga 
di  Bari,  di  Gaeta  e  di  Catena, 
68^       da  ove  Tronto  e  Verde  in  mare  sgorga. 
Fnlgeami  già  in  fronte  la  corona 


Cario  n  e  Boberto  (cfr.  anche  Br.  rv  6).  — 
S2.  La  Bla  eoe  La  laoe  onde  tono  ciroonfoso 
mi  oela  a  te,  ai  ohe  ta  non  mi  rioonoad,  poi- 
ché So  aono  nascosto  in  essa  oome  nn  baco 
nel  ano  boztolo.  Venturi  460  :  <  Nnoro  e  in- 
gegnoao  11  paragone  dei  ricchi  e  lucenti  stami, 
di  cui  si  cinge  il  haoo  d»  seta,  con  la  fiam- 
meggiante letizia,  onde  sono  droondati  i  ce- 
lesti per  ricchezza  di  subliipata  natura  >  — 
65.  Àasai  eco.  Questi  Tersi  contengono  una 
manifesta  allusione  a  rapporti  d'amicizia  fra 
Cario  Martello  e  Dante;  la  quale  amicizia  tea 
i  due  giovani  potè  ben  nascere,  come  credono 
1  pi6,  nel  1294,  quando  Cario,  recatosi  a  Fi- 
rensa  con  una  bella  sompagnia  di  dugento  ca- 
Taliari  francesi  e  napoletani,  «  vi  stette  pia 
di  Tenti  di...  e  da'  fiorentini  gli  ta  fatto  grande 
onore,  ed  egli  mostrò  grande  amore  a'  fioren- 
tini, ond'ebbe  molto  la  grazia  di  tutti  (Q.  Vil- 
lani, Or.  vm  IS)  >.  Ma  non  sappiamo  altro, 
e  r  ipotesi  del  Todeechini  (op.  dt,  p.  201  e 
tegg.),  secondo  cui  Dante  si  sarebbe  recato 
a  Napoli  negli  ultimi  mesi  del  1294,  dopo  aver 
conosdiito  Carlo  Martello,  sebbene  il  fatto 
non  sia  impossibile,  non  pud  ammettersi  per 
m^Y^i«^««ii  di  attestazioni  dirette  (cfr.  Del 
Lungo,  n  499).  —  ATt  stl  eoo.  aTesti  ben  ra- 
gione d'amarmi,  corrispondendo  cosi  all'af- 
fetto òhe  io  aTora  posto  in  te  e  che,  se  fossi 
risento  pia  a  lungo,  ti  arrei  dimostrato 
quanto  fosse  profondo  e  durorole.  —  68. 
4^11a  iUlstra  ecc.  La  contea  di  Provenza, 
che  ai  stende  ad  ocddente  sulla  sinistra  riva 
del  fiume  Bedano,  dopo  che  questo  ha  rice- 
vuto le  acque  del  fiume  Sorga,  mi  aspettava 
a  suo  tempo  come  signore,  essendo  retaggio 
della  mia  famiglia  (cfr.  iVy.  xx  61,  Ar.  vi 
128  e  segg.).  —  61.  e  «ael  eorae  ecc.  e  quella 
parte  estrema  dell'  Italia,  l' Italia  meridionale, 
la  quale  alle  sue  estremità  haBari  nella  Pu- 
glia, Gaeta  neUa  Campania  e  Catena  nella 
Calabria,  e  dalla  quale  corrono  il  Tronto  al 
mare  Adriatico  e  il  Verde  al  Tirreno.  Circo- 
scrìve cosi  quello  ohe  gli  antichi  dissero  la 


Puglia  o  il  Bagno,  onia  la  parie  ooatliientele 
del  Begno  di  KapoU,  dal  quale  al  tempo  di 
Cario  MarteUo  già  s' era  distaceata  la  Sidlla. 
~  i*  imh^rgu  i  per  borghi  s*  intendevano  nel 
medioevo  i  gruppi  di  case  posti  alle  estremità 
delle  dttà,  friori  delle  mura  e  in  corrispon- 
denza delle  porte;  il  Tb.  imborgani  dovrebbe 
dunque  significare  arere  a  modo  di  borghi, 
dee,  nel  nostro  caso,  svere  per  estremi  oon- 
fini  (e  U  Bnti  dice:  «  s'indttadinesea  ed  ha 
per  borghi  »,  e  l'Ott,  riferendo  al  corno  d'Au- 
sonia quel  che  dovrebbe  riferirsi  ai  luoghi  di 
Bari,  Gaeta  e  Catena;  €sta  a  modo  d'uno 
borgo  »,  dod  agli  estremi  del  Begno).  Ma  la 
maggior  parte  dei  commentatori  spiega  questo 
vb.  nel  senso  di  avere  per  dttà:  inesatta- 
monte,  perohó  né  Bari  e  Gaeta  erano  le  sole 
città  del  Begno,  né  dttà  ta  mai  il  piccolo 
paese  di  Catena,  sull'estrema  punta  della  Ca- 
labria di  focda  alla  Sidlia.  —  62.  Catena  : 
luogo  suU'  estremità  meridionale  della  Cala- 
bria, abbastanza  noto  nel  medioevo.  La  le- 
zione GaUma  sostenuta  egregiamente  da  8. 
De  Chiara,  (Tiom.  stor.  d0tta  M<.  «.  voi.  XXX, 
pp.  214-226,  è  ormai  preferita  dai  pid  (cfr. 
BuU,  V  27,  40,  VI  189,  VIH  111),  anche  dopo 
la  strenua  difesa  che  il  Bassermann,  pp.  275- 
278,  631,  ha  tentata  della  tradirionale  lezio- 
ne OroUma,  —  68.  da  ove  ecc.  dalla  quale 
parte  dell'  Italia  corrono  al  mare  il  fiume 
Tronto,  che  passa  da  Ascoli  e  sgorga  nel- 
l'Adriatico, segnando  il  confine  tra  le  Mar- 
che e  U  regno  di  Napoli,  e  il  fiume  Verde  o 
Liri  ohe  attraversa  la  Campania  e  sbocca  nel 
Tirreno.  Anche  qui,  come  in  Purg,  ni  181, 
molti  interpreti  prendono  il  Verde  per  un  af- 
fluente del  Tronto;  interpretazione  sostenuta 
dal  Bassermann,  pp.  269-272  :  ma  se  per  il 
passo  del  Purg,  ò  preferibile  quest'ultima  in- 
terpretazione, per  il  passo  del  Ar.  può  am- 
mettersi col  Blano  che  si  tratti  del  Liri.  Il 
caso  del  nome  mededmo  dato  a  due  fiumi  di 
diverso  regioni  ò  frequente  in  Italia.  —  64. 
Fnlg«anil  ecc.  Io  era  già  stato  incoronato  re 


614 


DIVINA  COMMEDU 


66 


69 


72 


76 


dì  quella  terra,  che  il  Danubio  riga 
poi  che  le  ripe  tedesche  abbandona; 

e  la  bella  Trinacria,  che  caliga 
tra  Pachino  e  Peloro,  sopra  il  golfo 
che  riceve  da  Euro  maggior  briga, 

non  per  Tifeo,  ma  per  nascente  solfo, 
attesi  avrebbe  li  suoi  regi  ancora, 
nati  per  me  di  Carlo  e  di  Ridolfo, 

se  mala  signoria,  che  sempre  accora 
li  popoli  suggetti,  non  avesse 
mosso  Palermo  a  gridar:  'Mora,  mora'. 

E  se  mio  frate  questo  antivedesse, 
Pavara  povertà  di  Catalogna 


d'TTnghAEia,  paese  bagnato  dal  fiame  Danubio, 
dopo  ohe  qneeto  flome  è  uaoito  dai  paesi  ger- 
manid:  ofr.  lanota  al  t.  81.  —  67.  e  la  1^11* 
eoe  e  U  bel  paese  di  Sicilia  avrebbe  aruto  in 
me  il  suo  legittimo  pzindpe,  se  non  si  fosse 
sottratto  alla  signorìa  angioina.  —  Trio*- 
cria  t  notevole  ohe  per  l'isola  di  Sidlia  Dante 
usò  qni  il  nome  antico,  ohe  nel  1302  fa  ri- 
oonosdnto  oome  officiale  nel  titolo  di  re  di 
TrinacriA  oonfexmato  a  Federico  II  d'Amgo- 
na  (ofr.  Purg,  vn  116).  —  che  eallga  eoe  la 
quale  nella  oosta  orientale,  sopra  il  golfo  di 
Catania  dominato  dal  vento  di  scirocco  o  Eu- 
ro, per  la  vidnansa  dell'  Etna  spesso  è  offa* 
scata  di  caligine  e  di  fomo.  —  68.  Pachino 
e  Pelerò  t  doe  promontori  tra  i  quali  d  com- 
presa la  cotta  orientale  della  Sicilia,  Pachino 
ossia  il  capo  Passare  al  sud,  Pelerò  ossia  il 
capo  Faro  ai  nord;  cfr.  Ovidio,  MeL  v  846  : 
«  Vasta  giganteis  ingesta  est  insula  membris 
Trinacris...  Destra  sed  Ausonie  manna  est 
subiecta  Pelerò;  Laeva,  Pachyne,  tibi».  — 
sepr*  il  golfo  :  «  Noi  vediamo  chiaramente 
stendersi  l' ampio  seno  di  Catania,  e  dal  gi- 
gantesco cono  dell'  Etna  sovra  di  esso  dila- 
tarsi con  le  loro  ombre  poderose  le  nubi  » 
(Bassermann,  p.  280).  —  70.  non  per  Tifeo 
eco.  non  a  cagione  del  gigante  che  fu  sepolto 
nell'Etna  secondo  le  favole  mitologiche,  ma 
a  cagiono  delle  eruzioni  vulcaniche,  dipen- 
denti dalla  natura  sulftirea  di  quel  terreno. 
Le  cause  naturali  di  questi  fenomeni  Dante 
potè  trovarle  additate  da  Isidoro,  J)$  natura 
reruntf  oap.  xLvn.  —  Tifeo:  già  ricordato 
col  nome  di  Tifo  in  £*f,  zzxi  124:  d  uno 
doi  giganti  della  favola,  erroneamente  chia- 
mato centimane  da  Ovidio,  Md,  m  808  e  da 
Claudiano,  BelL  g«L  Ce  e  segg.,  e  si  agita 
sotto  li  peso  della  Sicilia,  dove  f^  sprofon- 
date da  Giove  (Ovidio,  il»,  v  864)  :  cfr.  Virg. 
En.  m  670  e  segg.,  a  proposito  dei  commo- 
vimenti dell'Etna  prodotti  da  oorpi  di  giganti. 
->  71.  attesi  eoe.  avrebbe  aspettati  ancora  i 
suoi  legittimi  signori  noi  miei  discendenti,  nei 


principi  che  nati  da  me  sarebbero  stati  discen- 
denti di  Carlo  II  mio  padre  e  dell'  impeiatoro 
Bidolfo  d'Asburgo  (cfr.  IStrg,  vn  M)  padx» 
di  mia  meglio.  —  78.  se  aala  eco.  te  a  cat- 
tivo governo  degli  angioini  neU' isola  non 
avesse  eccitato  la  sollevazione  di  Palermo  e 
della  Sicilia  (81  mano  1282),  ohe  gridando  1& 
morte  ai  francesi  si  staccò  dal  Bagno  fi  Ka- 
poiL  M.  Amari,  La  gtmra  d$l  fwpro  sietL, 
voL  I,  ha  dimostrato  in  tutti  i  partioolari 
quanto  cattivo  governo  facesse  doD*  Sicilia 
Cario  I  d'Angiò,  si  da  trapassare  ^  abusi 
della  dominazione  sveva,  e  ha  provato  ^e  il 
Vespro  siciliano  tn.  una  sommoess  ia^rorviaa, 
non  preparata  da  alcuna  oongiur»  ^*^*^nfllt. 
ma  fatta  subitamente  dal  popolo  ollian  dagli 
oltraggi  degli  officiali  francesi.  —  th%  sfpn 
ecc.  ohe  addolora,  affligge  gli  animi  dei  sud- 
diti, e  cosi  li  trae  alla  ribellione.  ^  76.  Mora, 
morat  «  muoiano  i  Franceschi  »,  fu  il  grido 
della  sommossa  palermitana,  comò  d  lifiarìto 
da  O.  Villani,  O.  vn  61  e  dagli  altri  cronisti 
indicati  dall'Amari,  op.  dt.,  voL  I,  p.  196.  — 
76.  E  se  mio  ecc.  E  se  mio  firatollo  Roberto 
(cfr.  V.  147)  vedesse  sino  da  ora,  prima  di  sa- 
lire al  trono,  che  il  cattivo  governo  inaspri- 
sce i  popoli,  già  allontanerebbe  da  sé  gli  arari 
e  bisognosi  officiali  catalani  perché  non  effioa- 
dessero  con  le  loro  estorsioni  e  rapino  i  sud- 
diti. —  77.  l'avara  eoe  Roberto  o  Lodovico 
d'Angiò,  minori  f^ateUi  di  Cario  ICartaUo,  fu- 
rono tenuti  in  ostaggio  dagli  Aragonesi  in 
Catalogna  dal  1288  al  1296,  doò  dalla  libeia- 
rione  del  padre  loro  Carlo  II  fktto  piigioaM 
nella  battaglia  di  Napoli  (cfr.  Fitry,  zx  79) 
all'accordo  d'Anagni  conduso  da  Bcmifazio 
Vin.  Durante  questa  prigionia  Boborto,  se- 
condo la  testimonianza  d'alcuni  antiohi  oo»- 
montatori,  conobbe  molti  catalani,  che  pd  con- 
dusse seco  a  Napoli,  come  e  offldaU  e  provì- 
gionati  e  soldati  »  ;  e  veramente  di  e  oarafisKi 
catalani  »  al  servizio  di  Boborto  anche  pid  tarfi 
troviamo  memoria  nd  cronisti  (O.  Villani,  Olr. 
rm  82,  Ec  89,  z  17).  A  questi  offldaH  e  sol- 


PARADISO  -  CANTO  Vni 


616 


78       già  fuggirla,  perché  non  gli  offendesse; 
che  veramente  provveder  bisogna, 
per  lui  o  per  altrui,  si  eh' a  sua  barca 
81        carcata  più  di  carco  non  si  pogna. 
La  sua  natura,  che  di  larga  parca 
discese,  avria  mestier  di  tal  milizia 
84       che  non  curasse  di  mettere  in  arca  >. 
«  Però  eh'  io  credo  che  l'alta  letizia 
ohe  il  tuo  parlar  m'infonde,  signor  mio, 
87        là  've  ogni  ben  si  termina  e  s'inizia, 
per  te  si  veggia,  come  la  vegg'io, 
grata  m'ò  più;  e  anco  questo  ho  caro, 
90       perché  il  dlscemi  rimirando  in  Dio. 
Fatto  m'hai  4ieto,  e  cosi  mi  fa  chiaro, 
poiché,  parlando,  a  dubitar  m'hai  mosso, 
93       come  uscir  può  di  dolce  seme  amaro  >. 


dati  di  Catalogna,  ayari  e  cupidi,  come  è  nar 
tura  di  quella  popolazione,  accennerebbe  qui 
Dante,  come  a  nno  degli  strumenti  del  malgo- 
remo  angioino  :  coef  intendono  1  più,  mentre 
il  Lana,  segnlto  da  pochi  altri,  ritiene  che  t'al- 
luda  alla  cnpidigia  del  solo  Boberto,  che 
avrebbe  appresa  tale  arte  nella  sua  prigionia 
catalana.  —  79.  ehtf  Teramente  ecc.  poichó 
Teramente  bisogna  che  egli  o  altri  provredano 
affinché  il  Begno  abbastanza  grarato  per  l'a- 
varìzia soa  non  sia  ancor  più  oppresso  per  le 
estorsioni  dei  suoi  ministri.  Carlo  Martello  con 
le  parole  borea  oaroala  si  riferisce  a  Boberto 
e  al  suo  goTomo,  senza  cadere  in  incongnienza 
cronologrica;  poichó  se  Boberto  sali  al  trono 
pur  nel  1909,  ben  avera  manifostata  sino 
dalla  gioventù  la  sua  natura  e  aveva  dimo- 
strato da  principo  quale  sarebbe  riuscito  da 
re.  —  80.  barea  ecc.  c£r.  Par,  xvi  95.  —  82* 
La  sua  ecc.  Essendo  Boberto,  se  bone  nato  di 
padre  liberale,  avarissimo  di  natura,  avrebbe 
bisogno  di  officiali  che  attendessero  al  buon 
govomo  del  Beg^no,  non  a  estorcere  denari  ai 
sadditi.  Dell'avarizia  di  Boberto  abbondano 
le  testimonianze  negli  scrittori  del  suo  tempo 
(cfir.  A.  Mussato,  De  gestia  italieorwn^  v  2; 
Q,  Vili.,  Cr.  xu  10),  e  basterà  ricordare  che 
un  poeta  guelfo  in  xm  lamento  sulla  battaglia 
di  Montecatini  scriveva  :  €  il  re  Boberto,  fonte 
d^aoorixiOy  Per  non  scemar  del  colmo  della 
Bruna  Passerà  està  fortuna  E  smaltirà  il  di- 
snor,  tornendo  '1  danno  »  (in  Rim»  di  m.  Oino 
da  Pialoia  $  d'altri  del  aee.  xvi,  ordinate  da 
a.  Carducci,  Firenze,  1862,  p.  606).  ^  larga: 
liberale  si  può  ben  chiamare  Carlo  II  («  uno 
de'  più  larghi  e  graziosi  signori  »  del  suo  tem- 
po, secondo  Q.  Villani)  rispetto  all'  avarissi- 
no  figliuolo,  sebbene  anch'  egli  non  fosse  del 
tutto,  immune  dn  questo  vizio:  di  che  vedi 


Purg. XX  79:  of^.  Moore,  n  269  e  segg.  —88. 
milizia  t  è  V  insieme  degli  officiali  del  Begno, 
tutti  per  lo  più  deU'ordino  del  cavalieri  (mi- 
lites),  —  85.  Però  eco.  Alle  parole  di  Carlo 
Martello  un  dubbio  sorge  nella  mente  di  Dan- 
te, il  quale  prima  di  esporlo  all'anima  beata  per 
averne  la  spiegazione  premette  queste  paiole 
di  ringraziamento,  non  esattamente  intese  da- 
gli interpreti  e  censurate  perciò  di  InutUe  ri- 
petizione. Dice  adxmque  il  poeta  :  Poiché  io 
credo,  o  signor  mio,  ohe  la  gioia  profonda  ca- 
gionatami dalle  tuo  parole  eia  da  te  conoeciu- 
ta  in  Dio,  quale  io  stesso  la  provo,  essa  gioia 
mi  ò  tanto  più  grata;  ed  anche  ho  caro  che 
tu  la  conosca  rimirando  ìi^  Dio,  anzi  oho  di- 
rettamente leggendo  nell'animo  mio.  «Due 
coee  (cosi  il  Beccaria,  op.  dt,  p.  208)  dice 
Dante,  e  non  una  sola,  ripetuta  due  volte. 
Dice  che  la  sua  letizia  gli  è  più  grata,  perché 
Carlo  Martello,  vedendola  in  Dio,  la  conosco 
proprio  tal  quale  essa  è  realmente,  ed  ag«- 
giunge  d'aver  caro  altresf  che  tale  esatta  e 
compiuta  visione  egli  l'abbia  rimirando  in 
Dio,  specchio  di  verità  e  fonte  d'ogni  perfetta 
conoscenza;  ma  perché  Dio  T  ha  di  già  con 
una  perifhisi  designato  sopra,  vi  ritoma  a 
modo  di  ripresa,  qnal  chiaramente  si  rileva 
dallo  parole  e  anche  questo  ho  earo  ».  —  87. 
là  >ve  ogni  ecc.  in  Dio,  che  è  principio  e 
fine  d'ogni  bone.  —  92.  parlaido  eco.  con  le 
tue  parole  su  Boberto  mi  hai  mosso  a  dubi- 
tare come  mai  da  un  dolce  seme  possa  uscire 
un  fhitto  d'amaro  sapore.  Il  dubbio  di  Dante 
ò  naturalissimo,  se  si  consideri  eh'  egli  doveva 
aver  presenti  le  parole  di  Cristo  riferite  nel 
vangelo  (Matteo  vii  17-18,  Luca  vi  48):  e  Ogni 
buon  albero  fa  buoni  frutti,  ma  l'albero  mal- 
vagio Cs  frutti  cattivi:  l'albero  buono  non 
può  far  frutti  cattivi|  né  l' albero  malva^Q 


616 


DIVINA  COMMEDIA 


Questo  io  a  lui;  ed  egli  a  me  :  «  S'io  posso 
mostrarti  un  yero,  a  quel  che  tu  domandi 
96        terrai  il  viso  come  tiezd  il  dosso. 

Lo  ben,  che  tutto  il  regno  che  tu  scandi 
volge  e  contenta,  fa  esser  virtute 
99        sua  provvidenza  in  questi  corpi  grandi; 
e  non  pur  le  nature  provvedute 
Bon  nella  mente  eh' è  da  sé  perfetta, 
102        ma  esse  insieme  con  la  lor  salute: 
per  che  quantunque  questo  arco  saetta 
disposto  cade  a  provveduto  fine, 
105        si  come  cosa  in  suo  segno  diretta. 

Se  ciò  non  fosse,  il  ciel  che  tu  cammino 
producerebbe  si  li  suoi*  effetti, 
108        che  non  sarebbero  arti,  ma  ruine; 
e  ciò  esser  non  può,  se  gl'intelletti 
che  movon  queste  stelle  non  son  manchi, 
IH        e  manco  il  primo  che  non  gli  ha  perfetti. 
Vuoi  tu  che  questo  ver  più  ti  s'imbianchi?  » 


Hu  fratti  buoni  »,  e  qoeUe  dell' Epist.  di  s. 
,  Iacopo,  m  11  :  «  La  fonte  sgoiga  ella  da  una 
medeeiina  baca  il  dolce  e  l'amaro?  Pad,  fra- 
telli miei,  un  fico  fare  oIìto,  od  ona  Tito  fi- 
,  chi  ?  cosi  ninna  fonte  può  gittare  aoqna  salsa, 
e  dolce  ».  —  94.  S' io  posto  ecc.  Se  io  riesco 
a  chiarirti  di  ona  yerità  fondamentale,  ti  sarà 
manifesto  dò  che  ora  ti  d  ignoto,  n  ragio- 
namento di  Carlo  Martello  si  svolge  oosl:  Dio 
conferì  ai  deli  la  yirtd  d'infloiie  salla  terra 
e  volle  che  tale  inflaenza  tenesse  luogo  dolla 
sua  immediata  provvidenza,  perdo  gli  effetti 
dell'influenza  celeste  riescono  tutti  a  un  fine 
ultimo,  prestabilito  nella  mente  divina:  se 
fosse  altrimenti  la  sodetà  non  potrebbe  esi- 
stere, ma  si  dissolverebbe  (w.  97-112).  Ma 
pdchó  alla  società  bisogna  la  diversità  delle 
professioni  e  degli  olBd,  è  necessario  anche 
che  gli  uomini  nascano  con  diverse  disposi- 
zioni e  attitudini,  come  in  realtà  accade  (w. 
113-126):  né  in  dò  la  influenza  dei  deli  ha 
riguardo  alcuno  alle  varie  condizioni  degli  uo- 
mini, che  se  fosse  altrimenti  la  natura  sarebbe 
uniforme  nd  suoi  prodotti,  dai  buoni  nasce- 
rebbero sempre  altri  buoni,  dai  cattivi  altri 
cattivi  (w.  127-186).  Posto  dò,  ne  viene  come 
conseguenza  che  bisognerebbe  secondare  le 
naturali  disposizioni,  mentre  invece  gli  uomini 
fanno  il  contrario,  trascinando  a  una  profes- 
sione 0  stato  chi  ò  naturalmente  inclinato  a 
tutf  altro  (w.  136-148).  —  96.  terrai  ecc.  cfr. 
V.  186.  —  97.  Lo  ben  ecc.  Dìo,  bone  sommo, 
che  muove  e  fa  lieti  i  cieli,  per  i  quali  tu  sali 
all'Empireo.  —  scandi  :  sedi,  foggiato  sul  vb. 
lat  acandere,  —  98.  fa  esser  ecc.  fa  in  modo 


che  la  sua  provvidenza  in  questi  grandi  corpi, 
i  pianeti,  prenda  forma  di  una  vlrt6,  di  un'In- 
fluenza eserdtata  da  ciascuno  di  essL  —  100. 
e  non  pir  ecc.  e  nella  perfettissinia  mente 
divina  non  solo  si  provvede  alle  varie  na- 
ture per  dò  che  rigaarda  la  loio  tirftriiTn, 
ma  insieme  si  provvede  al  loro  ordinamento 
rispetto  al  fine  ultimo;  cfr.  Tomm.  d'Aqu., 
Stimm,  P.  I,  qu.  zxn,  art  1  :  «  In  rebus  craa- 
tis  invenitur  bonum  non  solum  quantum  ab 
substantiam  rerum,  sed  etlam  quantum  ad  or- 
dinem  earum  in  finem,  et  praedpue  in  finen 
ultimum,  qui  est  bonitas  divina  ».  —  102.  lor 
salite  :  è  l'ordine  delle  varie  nature  disposte 
a  un  determinato  fine,  dal  quale  ordine  di- 
pende la  stabilità,  la  durevolezza  delle  ooae. 
—  108.  per  che  eoe  per  la  qual  ooea  tutti  gU 
effetti  di  questa  influenza  dei  deli  riescono  di- 
retti a  un  fino  provveduto  da  Dio.  —  qaaa- 
tnnqne:  tutto  quello  che  :  cosi  anche  in  Air. 
xni  43,  zzu  82,  xnv  79,  zxxn  66.  —  105. 
eomt  cosa  ecc.  come  qualunque  ooea  lanciata 
riesce  al  segno,  al  bersaglio  ove  è  stata  di- 
retta. —  106.  Se  elò  ecc.  Se  le  influenze  ce- 
lesti non  fossero  ordinate  a  un  line,  il  dolo 
che  tu  percorri  porterebbe  i  suoi  effetti  in 
modo  che  non  sarebbero  produzioni,  ma  di- 
struzioni delle  cose.  —  109.  e  elò  eco.  e  qu»- 
ste  distrurioni  non  possono  essere,  se  le  In- 
telligenze motrid  ddle  sfere  (cfr.  Bar,  n  127  e 
segg.)  non  sono  difettose  e  difettoso  il  primo 
motore.  Dio,  che  in  tal  caso  non  le  avrebbe 
create  perfette.  — 112.  Ynol  ecc.  Carlo  Martello 
viene  a  dire:  ò  tanto  manifesta  questa  fonda- 
mentale verità,  che  non  ha  biseco  d'e 


PARADISO  -  CANTO  Vili 


617 


Ed  io  :  <  Non  già,  perché  impossibil  veggio 
che  la  natura,  in  quel  eh'  è  uopo,  stanchi  ». 

Ond'egli  ancora:  <  Or  di',  sarebbe  il  peggio 
per  l'uomo  in  terra  se  non  fosse  cive?  > 
«  Si,  rispos'io,  e  qui  ragion  non  cheggio». 

«  E  può  egli  esser,  se  giù  non  si  vive 
diversamente  per  diversi  offici? 
No,  se  il  maestro  vostro  ben  vi  scrive  ». 

Si  venne  deducendo  insino  a  quici; 
poscia  conohiuse  :  «  Dunque  esser  diverse 
convien  dei  vostri  effetti  le  radici: 


114 


117 


120 


123 


126 


129 


per  che  un  nasce  Solone  ed  altro  Xerse, 
altro  Melchisedech  ed  altro  quello 
che  volando  per  l'aere  il  figlio  pèrse. 

La  drcular  natura,  eh' è  suggello 
alla  cera  mortai,  ùk  ben  sua  arte, 
ma  non  distingue  l'un  dall'altro  ostello* 

Quinci  addivien  eh' Esaù  si  diparte 
per  seme  da  Giacob,  e  vien  Quirino 


«herloniMiita-diiBOctimta.  ^  113.  lf«B  9là  eoo. 
KoA  mi  UngBA  altm  dlmofltxaxione,  poiché 
tbAo  ohIarawMmt»  CMexe  impoeiibilo  die  la 
nstazs  Ttns»  BMBoneUe  ooM  neoemile.  Bati  : 
«  la  wirtiirti  natuanta  che  è  Iddio,  itonoM, 
eioè  ragna  itaBo,  i»  qud  ck§  èopo  doè  nelle 
coaa  necawaria.  St  aaoo  qneeto  ò  veio  della 
natura  natorata,  oome  dioe  lo  Filoiofo  [Ari- 
■toMe]:  NaMm  mmquam  dtfioU  in  iwommi- 
rtff,  a  ae  aleana  volta  il  troora  renize  meno, 
quarto  è  par  difetto  della  materia  *,  —  116. 
Or  di'  eoo.  Gredi  ta  ohe  i'  nomo,  te  non  tì- 
▼eaae  in  aodetà,  il  trorerebbe  in  peggiore 
ooadixione  f  —  116.  ciré  :  qui  propriamente  ò 
raoBK>  in  qnaato  fa  parte  della  aooietà  dille. 
—  117.  fai  ragion  eoo.  è  ooia  tanto  mani- 
léata,  ahe  non  tento  bisogno  d'alcona  dimo- 
stnxione.  —  118.  I  pad  eoo.  La  lodetà  d- 
Tile  non  potrebbe  esistere  se  gli  nomini  non 
eaaiuitsiworo  nd  mondo  divorse  arti  ed  offici, 
sa  BOD  d  troraasero  inaomma  in  direrse  con- 
dixioni:  ciò  ò  oonforme  alle  dottrine  di  Ari< 
stotsla  nella  FotìUoa,  alle  qnali  Dante  aooen- 
na  nel  Cbnv.  nr  4.  —  120.  11  auestre  eco. 
Aliatotela,  «maestro  dell'umana  ragione» 
(Cbnv.  IT  2).  ~  ferire:  nella  Fblii.  i  2  e 
nd  De  anima  m  9  ;  ofr.  Moore,  1 99.  —  121. 
8f  Tesse  eoo.  Ood  Oarlo  Martello  renne  ar- 
gomentando sino  a  qneeto  pnnto,  pd  trasse 
la  aegnente  oondodone.  —  122.  esser  ecc. 
è  pewanario  ohe  gU  nomini  nascano  atti  a 
Tuie  opesadoni,  che  1  prindpl  onde  proce- 
dono le  loro  attitodini  siono  direrd.  —  124. 
va  a  affo  eoo.  degli  nomini  nno  nasce  con 
la  qualità  proprie  d'  nn  grande  legislatore 
ì  SolonOi  nn  diro  bellicoso  come  Serse, 


nn  dtro  adatto  d  saoerdoalo  oome  Mdad- 
sedech,  e  nn  dtro  ingegnoeo  e  indnstrs  oome 
Dedalo.  —  Soloae:  famoso  legislatore  (638- 
668  a.  C),  il  fondatore  della  demooaxia  in 
Atene  :  Dante,  Clone,  ni  U,  lo  ricorda  oome 
il  primo  dei  sette  sari  della  Oreoia,  onde  d- 
onni  rorrebbero  che  qui  fosse  posto  come 
tipo  del  filosofo:  ma  d  poeta  stuÀoso  d'Ari> 
stotde  non  poterano  easere  ignoti  i  meriti 
di  Solone  oome  legislatore  (ofr.  Arist,  i^ 
n  9).  ~  Xerse:  Serse,  flgUo  di  Dario,  tu 
n  di  Perda  dd  486  a.  C.  d  472  :  Danto  lo 
ricorda  oome  tipo  degli  orgogliod  nd  Airy. 
xxym  71  ;  ma  a  questo  luogo  dd  Par,  pare 
che  lo  accenni  come  potontisdmo  in  guerra 
e  di  spiriti  beUiood,  come  ft  nd  J)$  man.  ii 
9.  —  125.  HdeUsedeeh  :  re  di  Sdem  o  Qe- 
rusdemme  e  sacerdote  d  tempo  di  Abramo  ohe 
Al  da  lui  benedetto  (ofr.  Ometi  nr  18  e  segg.). 
—  qaeUo  ecc.  Deddo,  padre  di  Icaro  :  cfr. 
Lif.  xvu  109.  —  127.  La  elrcnlar  ecc.  L'in- 
fluenza dei  dell,  che  imprimono  negli  uomini 
la  propria  rirtd  attira,  produce  i  suoi  effetti, 
senza  fu  donna  distinzione  di  Cuniglie  :  «  fa 
bene  l' uffido  suo,  dice  il  Tomm.,  ma  non  di- 
stingue casa  di  re  da  casa  di  porero  >.  — 
eh'  è  suggello  eco.  cfr.  Par.  xir  138,  ore 
perciò  i  cieli  sono  detti  vM  tuggelUf  e  Par, 
I  41,  ore  d  ha  un'  espresdone  assd  oonforme 
a  quella  di  questo  passo.  -~  190.  ({alael  ecc. 
Per  questa  legge  può  accadere  che  due  fra- 
telli sieno  d' indole  diversa,  oome  furono  Esaù 
e  Giacobbe  nati  ad  un  solo  parto  e  pur  dif- 
ferenti, poiché  il  primo  Ai  bdlicoso,  il  secondo 
pacifico  (cfir.  GenestTxv  21-27).  — 181.  e  rlea 
eco.  e  un  eroe  può  nascere  di  rili  genitori. 


-7-^ 


618 


DIVINA  COMMEDIA 


182        da  si  vii  padre  che  si  rende  a  Marte. 
Natura  generata  il  suo  cammino 
simil  farebbe  sempre  ai  generanti, 
135        se  non  vincesse  il  provveder  divino. 
Or  quel  che  t'era  retro  t*è  davanti; 
ma  perché  sappi  che  di  te  mi  giova, 
138        un  corollario  voglio  che  t' ammanti 
Sempre  natura,  se  fortuna  trova 
discorde  a  sé,  come  ogni  altra  semente 
141        fiior  di  sua  region,  fa  mala  prova. 
£  se  il  mondo  là  giù  ponesse  mente 
al  fondamento  che  natura  pone, 
14d        seguendo  lui,  avria  buona  la  gente. 
Ma  voi  torcete  alla  religione 
tal  che  fia  nato  a  cingersi  la  spada, 
e  fate  re  di  tal  eh' è  da  sermone; 


oome  Romolo,  il  quale  nacque  da  givilpadrt 
che  la  gloria  d'avergli  dato  la  rlta  tn.  trfbuita 
a  Marte  al  fine  di  nobilitare  coii  il  fondatore 
di  Roma  (  ofr.  Lìtìo,  i  A  e  Orosio,  ti  ).  •» 
1B8.  Nalira  eoo.  La  natura  del  figlinoli  pro- 
cederebbe conforme  a  quella  dei  genitori,  te 
la  divina  prorvidenxa  non  avesse  altrimenti 
ordinato  per  mezzo  delle  inflnenze  celesti. 
—  186.  M  aoB  ecc.  se  non  vincesse  la  ten- 
denza naturale,  per  coi  forma  gmirati  $it 
oonfàirmiM  farma/t  g«ruranti$  (Tomm.  d'Aqu., 
P.  n  »•,  qn.  I,  art  3).  —  186.  Or  qit  1  eco. 
Dopo  la  mia  esposizione  vedrai  chiaramente 
dò  ohe  prima  ti  era  ignoto;  ofr.  la  stessa 
frase  al  v.  96.  —  187.  di  te  mt  flOTA  :  mi 
piace  r  intrattenermi  teco.  ^  188.  nn  corol- 
lario ecc.  voglio  arricchirti,  adomarti  d'tm 
corollario  :  cfr.  J^.  xxvra  186.  — 139.  Sem- 
pre eco.  La  natura  sempre  tk  mala  prova,  se 
le  si  oppone  la  fortuna;  a  qael  modo  che  ogni 
seme  intristisce,  se  d  gittate  in  terreno  non 
adatto.  Venturi  138  notali  riscontro  fra  que- 
sta similitudine  e  un  passo  di  Boezio,  Cona, 
phil,  lib.  ni,  pr.  11  :  <  Non  est  quod  de  hoc 
possis  ambigere,  cum  herbas  atque  arbores  in- 
tuearis,  primum  sìbi  convenientibus  innasol 
locis,  ubi  quantum  earum  natura  quoat  cito 
exarescere  atque  interire  non  possint.  Nam 
aliae  quldem  campis,  aliae  montibus  oriuntur, 
alias  ferunt  paludes,  allae  saxis  haerent,  alia- 
rum  fecundae  sunt  sterìles  harenae,  quas  si 
in  alia  quispiam  loca  transferre  conetur,  aro- 
scunt  >,  e  uno  del  Chtw.  ni  8:  «  Lo  piante 
che  sono  prima  animate  hanno  amore  a  certo 
luogo  pid  manifestamente,  secondo  che  la 
complessione  richiede;  e  però  vodemo  certe 
piante  lungo  Tacque  quasi  sempre  staisi,  e 
certo  sopra  1  gioghi  dolio  montagne,  e  certe 
nelle  piagge  a  piò  de'  monti,  le  quali,  se  si 
trasmutano,  o  muoiono  del  tutto  o  vivono 


quasi  triste  ».  — 142.  m  11  meado  eoe.  m  gli 

uomini  ponessero  mente  alle  naturali  iiidin»> 
doni  proprie  di  ciasouno  e  quelle  ivolgoisoiu 
con  ì*  educazione,  la  società  sarebbe  buona  e 
felice.  —  145.  Ha  voi  eoe.  Invece  voi  trMt» 
al  saoerdozlo  e  agli  ofBct  eocìeeJastid  uà  tal* 
che  sarà  nato,  poniamo,  per  la  vita  militare, 
e  Cate  re  un  altro  ohe  abbia  attitudine  aCue 
il  predicatore.  Carlo  Martello  emmeia  la  sua 
conolusione  in  fbrma  d'esempio  generico;  ma 
è  manifesta  l'allusione  a  persone  della  ma  fi- 
miglia:  chó  se  non  ò  certissima  T  opinione 
dello  Scart.  ohe  l'uomo  fiato  a  eimgtrti  ìa  apada 
e  tratto  invece  aJOa  rtHgiom  eia  il  ftatrilo  di 
Ini  Ludovico  (n.  1275,  m.  1298),  che  Ubecato 
dalla  prigionia  aragonese  fti  eletto  veeoovo 
di  Tolosa  nel  1296,  non  si  pud  dubitare  che 
il  110  da  mmumé  sia  l'altro  fMello  Roberto. 
—  147.  e  fate  re  eco.  Quasi  tutti  i  commen- 
tatori trovano  in  queste  parole  un'aUnaione 
a  Roberto,  altro  figlio  di  Oailo  II  d'Angid, 
che  nacque  nel  1277,  ti  lungamente  prigio- 
niero nella  Spagna,  succedette  nel  regno  al 
padre  nel  1809,  e  morf  nel  18IS  :  «  questo  re 
Roberto  (cod  e.  TiUani,  O.  zn  10)  (te  il  più 
savio  re  che  fosse  tra'  cristiani  g^  sono  oia- 
queoento  anni,  e  di  senno  naturale  e  di  eden- 
zia,  oome  grandissimo  maestro  in  teologia, 
e  sommo  filosofo,  e  fb  ddoe  signore  •  amo- 
revole, e  amichissimo  del  nostro  Onnnne  di 
Firenze,  e  f\i  di  tutte  le  virtd  dotato  »  :  pid 
enfatiche  aneora  e  straordinarie  lodi  di  Ro- 
berto fecero  il  Petrarca  e  il  Boocaodo  ((Tt- 
ndol.  deor,  xiv  9),  ma  Dante  n'ebbe  poca 
stima,  come  appare  da  tutto  questo  canto  (cfr. 
M.  Murena,    Viia  di  Boberto  re  di  Ntioli, 
Napoli,  1770).  Né  i  sermoni  del  re  angkino 
meritano  d'essere  tenuti  in  gran  oonto,  poi^é 
non  sono  che  misere  compilazioni  dotbrinaB, 
senza  pregio  alcuno  di  originalità  e  di  forma; 


PARADISO  -  CANTO  VIH 


619 


148    onde  la  traccia  vostra  è  fuor  di  strada  ». 


Jf.  Fara^^  Baròaio  di  Suknona  eoo.  nell'^lr- 
eJL  ti,  itaL,  a.  1889, 6^  serie,  voi.  m,  p.  816, 
parlando  dei  sermoni  di  Bobertosorire:  «Que- 
sti ci  riToIano  chiaramente  l'indole,  l'inge- 
gno,  gli  stadi  di  Ini  :  fireddo  e  misórato,  or 
sottiliiza  e  li  perde  in  aride  e  lunghe  disoet- 
tazioni  morali,  or  all'autorità  del  libri  biblid 
aggiunge  q[aella  di  Aristotele,  alla  sentenza 
d«i  sa  Padri  l'altra  di  Seneca.  Se  eelebra 
un  santo  o  una  solennità  religiosa,  se  ammo- 
niaco i  baroni  al  quali  concede  feudi,  se  ra- 
giona ai  sindaci  delle  città  che  prestano  giu« 


ramento  di  fedeltà  a  Giovanna  ancor  fianduUa, 
se  recita  le  lodi  della  medicina  innanzi  al 
dottori  di  Salerno,  se  condona  innanzi  un 
capitolo  di  frati  minori  o  innanzi  il  maestro 
generale  del  frati  predicatori,  si  dilunga  e 
perde  sempre  nelle  ted  genenli  di  teologia  e 
di  morale.  Chi  ha  durato  l'eroica  fistica  di 
leggere  qualcuno  di  qud  sermoni  sconfortato 
ripete  Jkfa  voi  torceU  eco.  ».  — 148.  oade  eoo. 
e  però  il  rostro  cammino  è  friori  ddla  retta 
ria,  che  sarebbe  q;uella  di  seguire  le  naturali 
InclinazionL 


CANTO  IX 

Dopo  Carlo  Martello,  si  manifestano  a  Dante  Canizza  da  Romano,  che 
gli  parla  di  sé  e  della  Marca  Triyigiana,  e  Folco  da  Marsiglia,  che  ragiona 
del  sno  ardor  d^amore  e  di  Raab,  e  poi  fa  nn'inYettiTa  contro  la  malcelata 
ararizia  degli  ecclesiastici  [14  aprile,  ore  antimeridiane]. 

Da  poi  che  Carlo  tuo,  bella  Clemenzai 
m'ebbe  chiarito,  mi  narrò  gl'inganni 
8       che  ricever  dovea  la  sua  semenza; 

ma  disse:  e  Taci,  e  lascia  volger  gli  anni  »; 
si  ch'io  non  posso  dir  se  non  che  pianto 
G        giusto  verrà  di  retro  ai  vostri  danni. 
£  già  la  vita  di  quel  lume  santo 
rivolta  s'era  al  sol  che  la  riempie, 


IZ  1.  Da  pei  eoe.  Carlo  Martello,  dopo 
arer  spiegato  a  Dante  come  l  figli  possano 
eosere  degeneri  dai  genitori  {FtKr,  Tin  94  e 
aegg.),  ayera  continuato  il  suo  disoorso  prean- 
nunziando «  gi*  inganni  >  che  arrebbe  rice- 
vuti «la  SUA  sementa»,  dod  la  successione  di 
Boberto  a  Carlo  II  nel  trono  di  Napoli,  che  se- 
condo ghutlria  sarebbe  toccato  Inveoe  a  Carlo 
Boberto  (cfr.  note  al  Bar,  vm  81, 147).  Dante 
accennando  a  questo  vaticinio  rivolge  le  sue 
parole  alla  <  bella  Clemenza  »,  che  non  può 
oiere  la  moglie  di  Carlo  Martello,  come 
intendono  alcuni  commentatori  e  11  Todesohinl 
(op.  dt  I  206  e  segg.),  perché  essa  mori  nel 
làs,  pia  anni  adunque  prima  della  visione 
dantesca  (cfr.  BuU,  Vn  8^);  ma  è  la  figlia  di 
Carlo  Martello,.  Clemenza,  nata  intomo  al  1290, 
maritata  a'Luigi  X  re  di  Francia  nel  1816  e 
morta  nel  1328,  come  rettamente  intesero  la 
maggior  parte  dei  commentatori  antichi  (La- 
na, Benv.,  Case.,  Enti,  An.  fior.,  Land., 
Yen.,  Dan.)  e  1  ^ù  autorevoli  tra  l  moderni 
(Vent.,  Lomb.,  Blag.,  Costa,  Ces.,  Bianchi, 
Andr.,  Scart).  —  8.  la  sua  semenza  :  gene- 
ricamente, l  figli  di  Carlo  Martello  ;  ma  in  par- 
tieolare  U  figlio  niaschio,  Cado  Boberto.  — 


4.  ma  disse  eco.  Carlo  Martello  aggiunse  al 
vatldnlo  la  raccomandazione  di  non  propa- 
larlo, ma  di  lasciare  al  tempo  la  cura  di  pa- 
lesare gV  inganni  di  cui  doveva  esser  vit- 
tima il  figliuol  suo.  —  6.  non  passo  ecc.  non 
posso  dire  se  non  in  generale  che  al  vostri 
danni,  agl'inganni  fatti  a  voi  figliuoli  di  Carlo 
Martello,  segoiterà  il  e  giusto  pianto  »  delle 
disgrazie  angioine,  quasi  a  punire  11  re  Bo- 
berto dello  sue  colpe.  Giustamente  U  Cam.  fra 
queste  disgrazie  crede  doversi  riconoscere  la 
morte  di  Pietro  e  di  Carlotto,  l'uno  fratello 
e  Taltro  nipote  di  Boberto,  cadati  nella  batta- 
glia di  Montecatini;  erroneamente  per  altro 
egli  vi  congiunge  dei  fatti  posteriori  alla  morte 
di  Dante,  come  la  fine  immatura  di  Carlo  di 
Calabria  (1298-1828),  figlio  primogenito  di  Bo- 
berto, e  tutte  le  disavventure  angioine  dei 
tempi  di  Giovanna  I  (1826-1882),  sebbene  vi 
si  potesse  davvero  vedere  come  una  prosecu- 
zione fatale  del  vaticinio  di  Carlo  Martello.  — 
7.  la  vita  ecc.  l'anima  beata  di  Cario  Mar- 
tello :  cosi  Dante  chiama  sperao  le  anime  bea- 
te, cfr.  Ptsr,  zn  127,  ziv  6,  zx  100,  xxi  56, 
zzv  29.  —  8.  al  sol  ecc.  a  Dio,  che  della 
sua  grazia  riempie  quell'anima,  essendo  quel 


620 


DIVINA  COMMEDIA 


9        come  quel  ben  eh' ad  ogni  cosa  è  tanto. 

Ahi,  anime  ingannate  e  fattare  empie, 

che  da  si  fatto  ben  torcete  i  cori, 

12  drizzando  in  vanità  le  vostre  tempie! 
Ed  ecco  nn  altro  di  quelli  splendori 

vèr  me  si  fece,  e  il  suo  voler  piacermi 
15        significava  nel  chiarir  di  fuori. 
Gli  occhi  di  Beatrice,  ch'eran  farmi 
sopra  me,  come  pria,  di  caro  assenso 

13  al  mio  disio  certificato  férmi. 

«  Deh  metti  al  mio  voler  tosto  compenso, 
beato  spirto,  dissi,  e  fammi  prova 
21        eh*  io  possa  in  te  rifletter  quel  eh*  io  penso  ». 
Onde  la  luce,  che  m*era  ancor  uuovai 
del  suo  profondo,  ond'ella  pria  cantava, 
24       seguette,  come  a  cui  dì  ben  far  giova: 
«  In  quella  parte  della  terra  prava 
italica,  che  siede  tra  Bialto 
27        e  le  fontane  di  Brenta  e  di  Piava, 
si  leva  un  colle,  e  non  surge  molt'alto, 
là  donde  scese  già  una  fÌEusella, 


sommo  bene  ohe  basta  a  aodìsfàre  qualunque 
desiderio.  — 10.  Ahi  eoo.  Ahi,  anime  ingan- 
nate dal  peooato,  creature  malrage,  ohe  al- 
lontanate 1  cuori  dal  aommo  bene,  volgendovi 
alle  vanità.  —  13.  un  altre  ecc.  un*  altra 
anima  beata  si  avvicinò  a  me,  dimostran- 
domi nel  suo  esterno  splendore  il  desiderio  che 
aveva  di  compiacermi  :  è  l'anima  di  Gunizza 
da  Bomano  (cfr.  v.  82).  —  16.  eh'  eraa  ecc. 
che  mi  guardavano  immobili.  — 17.  come  pria 
ecc.  come  prima,  allorché  col  mover  degli  oc- 
chi  mi  permise  di  parlare  a  Carlo  Martello  (cfr. 
Pwrg,  vm  40-42).  —  di  care  ecc.  mi  fecero 
certo  che  Beatrice  dava  il  desiderato  consen- 
so aIl*adempimento  dol  mio  desiderio.  ~  19. 
Deh  eco.  0  anima  beata,  compiaciti  di  so- 
disfare subito  il  mio  desiderio  (di  conoscere 
chi  tu  sei),  e  in  tal  modo  dimostrami  che  il 
mio  pensiero  d  a  te  manifesto.  —  22.  la  Ivee 
ecc.  quell'  anima,  che  a  me  era  ancora  scono- 
sciuta, dal  suo  intemo  onde  prima  cantava 
Osomna  (cfr.  Par,  vm  28-30)  continuò  con  ac- 
cento di  compiacimento  e  disse  eoo.  —  24.  co- 
me a  eni  ecc.  come  fti  Tuomo,  al  quale  piace  di 
far  il  bene,  cioè  con  la  prontezza  propria  della 
carità  operosa.  Questa  similitudine  dice  con 
efficace  brevità  ciò  che  ò  espresso  più  a 
lungo  in  Purg,  xzxm  180-132,  e  fti  imitata 
da  F.  Uberti,  DiU,  m  18  :  e  Poi  si  com'uom, 
che  pensa  e  s'argomenta  D'altrui  piacer,  mi 
disse  »,  e  da  F.  Frezzi,  (ìuadr.  i  11:  e  Come 
persona  a  compiacer  disposta  A  chi  la  prega  >. 
—  26.  !■  fvella  ecc.  Kella  Uarca  Trivigia- 


na,  che  si  stende  tra  Venezia,  a  mezzogiorno, 
e  le  Alpi  del  Trentino  e  del  (Cadore,  a  set- 
tentrione, sorge  il  piccolo  coUe  di  Bomano, 
patria  e  sede  degli  EzzelinL  Su  tutto  il  pano 
(w.  26-60)  si  veda  il  Bassermann,  pp.  432- 
448.  —  terra  prafa  eoo.  ritali»,  o  fórse  an- 
che la  sola  Italia  superiore  o  Lombardia:  ofir. 
Pwg,  XVI 116  e  segg.—  26.  Rialto  :  una  delle 
isole  su  cui  sorge  la  dttà  di  Venezia,  11  terri- 
torio deDa  quale  era  oonUne  meridioiiale  deOa 
Marca  Trivigiana.  —  27.  le  feataae  eoe.  le 
sorgenti  della  Brenta  {Inf,  z  9)  e  della  Piave 
nolle  Alpi  del  Trentino  e  del  Cadore,  confine 
settentrionale  della  Marca  di  Treviso.  —  28. 
■n  eolie  eoo.  il  colle  di  Bomano,  sol  quale 
sono  già  il  castello  degli  Ezzelini,  ò  posto  fra 
Vicenza  e  Treviso,  non  lungi  da  Bassano  e 
presso  la  Brenta.  Bassermann,  p.  433:  «D 
contrasto  fra  il  poderoso  baluardo  alpino  e  il 
colle,  ohe,  non  quale  contrafforte,  ma  affistto 
indipendente  s' innalza  a  podii  minuti  dalle 
falde  dei  monti  sulla  pianura,  è  cosi  singo- 
lare che  la  poca  altezza  può  realmente  giu> 
dicarsi  il  contrassegno  più  oaratterìstioo  del 
colle  ».  —  29.  là  doade  eoo.  dal  quale  già  di- 
scese a  tiranneggiare  il  paese  droostaate  Ez- 
zelino m  da  Bomano  :  cfr.  Inf»  zn  UO.  Dante 
chiamando  Ezzelino  m  una  foMlla  ecc.,  allude 
senza  dubbio  a  una  tradizione  raccolta  in  Tre- 
viso da  Pietro  suo  figlio,  Q  quale  raceonta  che 
la  madre  del  tiranno  «  dum  paztal  eiui  easet 
vicina,  somniabat  quod  parturiebat  una  &oem 
igneam  quae  oomburebat   totam  Handiiam 


PARADISO  -  CANTO  IX 


621 


30        clie  fece  alla  contrada  un  grande  assalto. 
D'una  radice  nacqui  ed  io  ed  ella; 
Cunìzza  fui  chiamata,  e  qui  refulgo, 
83       perché  mi  vinse  il  lume  d*  està  stella. 
Ma  lietamente  a  me  medesma  indulgo 
la  oagion  di  mia  sorto,  e  non  mi  noia, 
86        che  parria  forse  forte  al  vostro  vulgo. 
Di  questa  luculenta  e  cara  gioia 


TnviBanaoi  ;  et  ite  fedi  sua  hoiribUi  tyraii- 
làÓB  ».  Qaeste  tradizione  rimaM  ignote  agli 
altri  eommentatori  a  anche  al  Brentaii,  dili- 
gente illnstratore  della  leggenda  d'Sizelino, 
ntila  quale  il  tiranno  è  per  lo  piA  piesenteto 
come  figlio  del  diavolo  e  d'ona  strega.  —  80. 
•he  f eee  eoe.  ofr.  Petrarca,  cans.  Q%ul  tf  Aa 
WMtnwdmal\.\  <  E  la  bella  contrada  di  Tre- 
Tìgi  Ha  le  piaghe  ancor  freeohe  d'Azzoli- 
no  ».  ^  81.  D'ina  radice  eco.  Dagli  ateasi 
genitori,  Etzelino  n  il  Monaco  e  Adelaide 
degli  Alberti  eignori  di  Mangona,  nacquero 
Enelino  m  e  Conixza.  —  82.  Cvalna:  ultima 
figlia  di  Ezzelino  n,  nacque  vem  il  1196,  e 
fti  maritate  al  conte  Biocardo  di  S.  BonilÌBaio, 
signore  di  Verona,  nel  1222  :  nella  casa  del 
marito  conobbe  ed  amò  Sordello  da  Qoito,  fo- 
moao  trovatore  (ofr.  Pmrg.  ti  74),  il  quale  la 
rapi  d'accordo  col  padre  di  lei  e  seco  oon- 
Tiese  qualche  anno  ndla  Marca  Trevisana. 
Abbandonate  da  Sordello,  Cunizza  s'innamorò 
di  Bonio,  cavaliere  trivigiano,  col  quale  foggi 
dalla  casa  patema  et  e  mundi  partes  plu- 
rimas  drouivit,  multe  habendo  solatia  et  maxi- 
man  fedendo  expensa»,  come  atteste  un  oro- 
aiate  contemporaneo  (Bolandino,  Oìmm  lib.  m, 
eap.  1,  in  Mnr.  "Rtir  ital,  Vm  178).  Ritor- 
nata da  questi  viaggt,  Cunizza  sposò  Aimo- 
rio  dei  conti  di  Breganzo,  e  rimaste  vedova 
passò  ad  altre  nozze  con  un  veronese.  Dopo 
il  1260,  cadute  con  la  morto  di  Ezzelino  m 
e  di  Alberico  la  fortuna  della  sua  stirpe,  Cu- 
nizza andò  ad  abitare  in  I^nze;  ove  nel 
1265,  trovandosi  in  casa  di  Cavalcante  Caval- 
canti (cfr.  Jn/l  X  62),  restituì  la  liberte  agli 
uomini  di  masnada  della  sua  fiuniglia  eooet- 
toati  quelli  ohe  avevano  tradito  Alberico; 
nel  1279  nel  castello  della  Cerbate  testò  do- 
nando i  suoi  beni  al  figli  del  conto  Alessandro 
Alberti  di  Mangona  (cfr.  ^f,  xxxn  57)  e  que- 
ste è  l'ultima  memoria  che  sia  rimaste  di 
leL  Si  cfr.  e.  B.  Verd,  St,  degH  EeeL  voi.  I, 
pp.  114-128-,  E.  Salvagnini,  Cfun,  da  Eom, 
ecc.  nel  voL  Dante  $  Padova^  pp.  407-449  ; 
F.  Zamboni,  Oli  Exxelini,  Dante  e  gli  eehiaoiy 
nuova  ediz. ,  Firenze  1897;  Qiomale  stor, 
degH  arehwi  tosoom,  a.  1858,  voi.  U,  p.  290. 
—  88.  fercli4  mi  vinse  ecc.  Che  Cunizza 
fosse  dominate  daU*  amorosa  passione  lo  di- 
mostrano i  casi  della  sua  vite  avventurosa, 
la  testimonianza  concorde  degli  antichi  oom- 


mentetori  e  gli  aneddoti  riferiti  da  Benv.  e 
dall' An.  fior.,  ohe  qui  per  decenza  si  omet- 
tono. Aleoni  veeohi  commentetori,  Cass.,  Buti 
ecc.  accennano  che  Cunizza  negli  ultimi  anni 
della  sua  vite  si  penti  e  rivolse  a  Dio  il 
cuore  già  steto  in  dominio  delle  amoroee  pas- 
sioni: e  si  può  ocedere  che  in  Firenae  élla 
facesse  una  vite  di  eepiasione  e  di  carità,  la 
quale  alla  mento  di  Danto  dovetto  presen- 
tarsi tanto  più  meritoria,  quanto  maggiore  eia 
il  contrasto  tra  U  penitente,  ohe  aveva  ve- 
duto il  dissolvimento  della  potenza  della  sua 
stirpe  ed  era  morte  lontana  daUa  patria  in 
doloroso  esilio,  e  la  tirannide  piena  di  cacm- 
dolte  e  di  violenze  eserdtete  dal  fìrateUi  di  lei, 
EEzeUno  m  e  Alberico,  e  i  delitti  che  Inne- 
starono la  casa  dei  suoi  parenti  toscani,  1  conti 
Alberti  di  Mangona.  Sulle  altre  opinioni  oàroa 
la  convenienza  d' aver  posto  Cunina  in  pa- 
radiso si  cfr.  A.  BartoU,  St,  delia  UtL  itoL, 
voL  VI,  p.  n,  pp.  114  e  segg.  — 84.  ■*  Ile- 
tameate  ecc.  La  più  comune  spiegaziono  di 
questi  versi  ò  cosi  formulate  dal  Lomb.  :  «  Ma 
con  sante  allegrte  perdono  a  me  steasa  te  ca- 
gione di  queste  sorto  mia,  nò  punto  per  casa 
mi  rammarico  ;  cosa  che  al  volgo  vostro,  non 
intondondo  come  possa  la  memoria  di  perduto 
bene  riuscire  senza  rammarico,  parrà  carte- 
mente  strana  » .  È  spiegazione  troppo  tevolnta, 
che  non'chiarisoe  abbastanza  il  concetto  del 
poete;  il  quale  volle,  sembra,  accennare  allo 
stato  in  cui  si  trovano  rispetto  alla  lor  vite 
passate  le  anime  dei  beati,  conforme  a  dò 
che  scrìve  sant'Agostino,  De  cMC  Dei  xxn 
80  :  €  Voluntas  libera,  ab  omni  malo  liberate 
et  implete  omni  bone,  fruens  indeainenter 
aetomorum  iuounditato  gaudiorum,  oblite  poe- 
narum,  tamen  nec  ideo  suae  llberationis  obli- 
ta,  ut  liberatori  dt  ingrate  ».  In  relazione  a 
queste  dottrina,  le  parole  di  Cunizza  signifi- 
cano :  Sebbene  giù  in  terra  fòsd  dominate  daUa 
pasdone  dell'amore  mondano,  or  qui  io  ho 
ragione  di  compiacermi  della  mte  forte  dispo- 
sizione ad  amare,  che  volgendod  all'amore  di 
Dio  mi  ha  procurato  queste  beatitudine,  ed 
è  lungi  dall'eesermi  cagione  di  dolore  (fiofi  mi 
noia)  :  te  qual  cosa,  doè  come  te  pasdone 
amorosa  ste  per  me  riusdte  prindpio  di  bea- 
titudine parrebbe  difficile  a  tetondere  agli  no- 
mini volgari.  —  87.  DI  questo  ecc.  Cunizr.i, 
volendo  passare  dal  pai  lar  di  so  a  parlai  doi 


022 


DIVINA  COMMEDIA 


del  nostro  cielo,  che  più  m*ò  propinqua, 
39        grande  fama  rimase,  e,  pria  che  moia, 
questo  centesim* anno  ancor  s'incinqua. 
Vedi  se  far  si  dèe  l'uomo  eccellente, 
42        si  ch'altra  vita  la  prima  rellnqua! 
E  ciò  non  pensa  la  turba  presente, 
che  Tagliamento  ed  Adice  richiude, 
45       né  per  esser  battuta  ancor  si  pente. 
Ma  tosto  fia  che  Padova  al  Palude 
cangerà  l' acqua  che  Vicenza  bagna, 
48       per  essar  al  dover  le  genti  crude. 
E  dove  Sile  e  Cagnan  s'accompagna. 


fatd  della  Marca  di  Treriso,  aooenna  alla  buo- 
na e  dxuBTole  fama  dì  Folohetto  da  Maniglia 
(▼.  97),  rao  compagno  di  beatitadine,  per  trar- 
ne oooMione  a  rìraproyerare  gli  abitanti  doUa 
Marca,  alieni  dal  oonsegoimento  della  gloria 
per  mezzo  di  opere  buone.  —  laevleata  eoo. 
anima  luminosa  e  beata;  cl^.  Br.  z  71.  —  88. 
0  pria  eco.  e  prima  che  la  fiuna  di  Folchetto 
venga  a  mancare  hanno  a  passale  molti  secoli, 
l'anno  ultimo  del  secolo  come  è  questo  1300 
ritornerà  anoor  dnque  Tolte.  S'intende  che  il 
numero  dnque  qui  sta  a  indicare  una  quantità 
indeterminata,  Tolendo  Dante  significare  ohe 
la  celebrità  di  Folchetto  non  sarebbe  venuta 
meno  se  non  dopo  molti  secoli.  -~  41.  Tedi 
eco.  redi  dunque  che  l'uomo  deve  con  opere 
d'ingegno  o  di  mano  fusi  eccellente,  sf  che 
d<^  layita  terrena  resti  di  lui  buona  memoria, 
buona  fama,  che  è  quasi  una  seconda  vita.  — 
43.  E  éib  ecc.  Ma  a  dò  non  pensano  i  presenti 
abitatori  della  Marca  Trivigiana,  noncuranti 
d'acquistarsi  buon  nome  con  egregio  opere, 
e  per  quanto  essi  siano  stati  colpiti  da  oppres- 
sioni tiranniche  (gli  Ezzelioi,  gli  Scaligeri, 
i  Caminesi)  non  si  sono  pentiti  ancora  dei  loro 
errori.  —  44.  che  Tagliamento  ecc.  Designa 
la  Marca  di  Treviso  dai  due  fiumi  che  la  limi- 
tano, il  Tsgliamento  a  oriente,  e  l'Adige  a 
occidente;  corno  pochi  versi  prima  1'  ha  indi- 
cata per  gli  altri  due  confini,  settentrionale  e 
meridionale  (cfr.  w.  25-27).  —  46.  Ha  toste 
fla  ecc.  Ma  persistendo  le  genti  della  Marca 
nei  loro  errori,  presto  accadrà  che  i  Padovani 
cangino  «  al  Palude  di  Brusegana,  con  la  sosti- 
tuzione dell'acqua  del  Brenta,  l'acqua  del  Bac- 
chlglione,  per  continnare  la  guerra,  doò  per 
non  essere  costretti  dalla  mancanza  dell'acqua 
a  venire  a  pace  co'  Vicentini  >  :  cosi  ò  spie- 
gato questo  passo  da  A.  Gloria,  ohe  sostenne 
la  sua  interpretazione  in  parecchi  opuscoli 
iDiaquisixùm»  intorno  alfxuso  della  D.  O.  *  Ma 
iosio*  ecc.,  Padova  1869;  Ulteriori  eoneid^ 
fazioni  intorno  alla  iar%.  16^  ddcvLàél  Par.f 
Pad.,  1871;  Uh  errore  nelle  edix.  della  D,  C, 
Pad.,  1885),  contro  le  obbiezioni  di  F.  Lam- 


pertioo  {Delta  inUrpr,  della  terx.  tendete. a. 
del  Bar,,  Venezia,  1870).  Secondo  la  spiega- 
zione del  Gloria,  Dante  accennerebbe  i  fatti 
prindpali  della  lotta  fra  Vioensa  e  Padova 
al  tempo  di  Arrigo  VII  :  nel  ISU  i  vicentini 
si  ribellarono  ai  padovani  e  si  dettero  al- 
l' imperatore  e  al  vicario  di  lui  Cane  della 
Scala  ;  nel  '12  i  padovani  si  sottomisero  an- 
ch' essi  all'  imperatore,  ma  dopo  poohi  mesi 
si  ribellarono;  dal  '12  al  '14  si  inasprì  per 
tale  rivolta  la  lotta  fra  le  due  dttà,  e  i  vi- 
centini per  domare  i  nemid  sviarono  le  acque 
del  Bacchigliene  ;  ma  1  padovani  non  d  det- 
tero per  vinti,  e  immettendo  nel  letto  del 
Baoohiglione  lo  acque  della  Brenta  continua- 
rono la  guerra  contro  i  nemid.  Tutti  i  com- 
mentatori invece  credono  che  Dante  abbia 
voluto  dire  ohe  i  padovani  avrebbero  can- 
giate in  rosse  le  aoque  del  palude  che  il  Bac- 
chigìione  forma  presso  Vicenza,  che  non  può 
essere  perohó  nelle  lotte  tra  le  due  dttà  dal 
1312  in  pd  non  accaddero  combattimenti  tanto 
sanguinod  da  giustificare  il  senso  tribuito  alla 
frase  dd  poeta,  la  quale  inveoe  d  adatta  be- 
nissimo all'imndssione  delle  acque  d'un  fiume 
nd  letto  d'un  altro.  —  al  Palide  :  ood  scrivo 
col  Gloria  ;  perché  d  ha  qui  il  nome  proprio 
di  qud  tratto  di  territorio  di  Brusegana  ove 
la  Brentella  sbocca  nd  Bacchigliene  :  in  que- 
sto territorio  detto  il  Palude  i  padovani  nel 
1314  fecero  scendere  da  Limona,  allargando 
e  prdungando  la  Brentella,  una  parte  della 
Brenta  ndl'dveo  del  Baoohiglione  rimasto 
asdutto,  perchó  i  vicentini  per  privare  di 
acqua  i  nemid,  avevano  sviato  il  fiume  a 
Longare.  —  48.  per  esser  ecc.  È  manifesto 
che  il  rimprovero  tocca  cod  i  vicentini  per 
aver  deviato  il  corso  dd  Baoohiglione,  come 
i  padovani  por  aver  provveduto  al  lor  biso- 
gno con  l'acqua  della  Brenta  :  poÌdx4  cotesto 
opere  idrauliche  dimostravano  la  tenadtà  de- 
gli odi  fintomi,  la  persistenza  nell' errore 
delle  lotte  munidpali.  ~  49.  E  4ove  eco. 
E  a  Treviso,  ove  indeme  d  oongiungono  l 
fiumi  Sile  e  Cagnano,  signoreggia  superh»- 


PARADISO  -  CANTO  IX 


623 


tal  signoreggia  e  va  con  la  testa  alta, 
51        che  già  per  lui  carpir  si  fa  la  ragna. 
Piangerà  Feltro  ancora  la  diffalta 
dell'empio  suo  pastor,  che  sarà  sconcia 
54        si  che  per  simil  non  s' entrò  in  Malta. 
Troppo  sarebbe  larga  la  bigoncia 
che  ricevesse  il  sangue  ferrarese 
57       e  stanco  chi  il  pesasse  ad  oncia  ad  oncia, 
che  donerà  questo  prete  cortese, 
per  mostrarsi  di  parte;  e  cotai  doni 
60        conformi  fieno  al  viver  del  paese. 
Su  sono  specchi,  voi  dicete  troni, 


mente  un  tale,  eoi  già  i  nemici  prepanno 
la  rete  per  coglierlo.  —  Slle  ecc.  o£r.  F.  For- 
leti  (Ferrazxi  V  437)  :  «  Et  rabito  cnisn 
flninen  se  iongit  utromqoe  Adiiaooqae  mail 
•odo  Tehit  amne  carina»,  Fertqne  f  nom  no- 
mea Silos,  hand  Cagnanns  in  aeqnor».  U 
Bassermann,  p.  4S7,  nota  come  per  lungo 
tratto  le  acque  dei  due  fiumi,  limpidissima 
quella  del  Silo  e  torbida  quella  del  Oagnano 
o  Botteniga,  si  distinguono  non  mescolate 
nel  letto  comune;  fenomeno  ohe  pud  aver 
mggeiito  a  Dante  Teepressione  ti  aeeompoffna. 
—  60.  tal  eco.  Bizzardo  da  Camino,  figlio  del 
buon  Gherardo  (ofr.  iVy.  xri  124)  e  marito 
di  Oioivanna  Visconti  (cfr.  J\trif,  wm  71),  suc- 
cedette al  padre  nella  signoria  di  Treviso  nel 
1306  e  fu  ucciso  da  un  famiglio  mezzo  scemo 
nel  1812,  mentre  giocara  a  scacchi  in  una  log- 
gia del  suo  palazzo  con  Alteniero  degli  Azzoni, 
il  quale  aveva  ordita  e  compi  con  le  proprie 
mani  questa  uccisione  per  Tendioar  1*  onore 
della  sua  donna  e  di  altro  offese  da  Bizzardo 
(fiul.  Oortu8Ìanm  in  Hur.  R&riUU.XrL  783- 
784).  —  61.  la  ragna  eoe  «  Bagna,  veramen- 
te ;  ohe  vuol  dire,  rete  da  uccellare:  perché 
quell'agguato  domestico,  teso  su  quella  loggia, 
dove  giocavano  a  scacchi  la  vittima  e  l'ofFceo 
che  ha  ordita  la  propria  e  l'altrui  vendetta,  e 
un  povero  idiota  n'è  strumento  come  zimbello 
alla  tesa,  rende  tutta  la  imagine  della  cosa 
significata  da  Dante  »  :  cod  U.  Del  Lungo, 
JDonto,  I,  826.  —  52.  Piangerà  eoo.  La  dttà 
di  Feltre  piangerà  il  tradimento  del  suo  ve- 
scovo. Si  allude  al  vescovo  Alessandro  No- 
vello (1298-1820),  il  quale  nel  1314,  a  richie- 
sta di  mesBor  Rno  della  Tosa  vicario  pon- 
tificio in  Ferrara  fece  prendere  e  consegnare 
alooni  fuorusciti  ferraresi  riparatisi  presso 
di  lui  (Antoniolo,  Lancillotto  e  darucdo  da 
Fontana),  ohe  furono  decapitati  come  ribelli  : 
questo  il  £fttto,  quale  appare  dalle  chiose  di 
Benv.  e  del  Cass.  e  dai  documenti  (ofir.  For- 
nati V  4S7-4B8);  mentre  altri  antichi  com- 
mentatori, Lana,  Pietro  di  Dante,  An.  fior.,  e 
quasi  tutti  i  moderni  parlano  di  fuorusciti 


consegnati  agli  Estensi,  che  forse  ftuono  estra- 
nei al  Catto.  —  dlflalta:  nel  Airy.  xxvxn  94 
ha  il  aenso  generioo  di  colpa,  peccato,  ma  qui 
esprime  più  tosto  l'idea  di  mancanza  al  dovere, 
tradimento,  come  in  Q.  Vili.,  Or.  vin  6  :  «  Lo 
re  Manfredi,  sentendo  la  venuta  del  re  Cario 
e  come  la  sua  gente  era  passata  per  difllalta 
della  sua  grande  oste  oh'  era  in  Lombardia 
alla  guardia,  tu.  molto  cruccioso  > .  —  63.  sarà 
ecc.  sarà  tanto  enormo  da  non  trovar  riscontro 
nelle  più  orribili  colpe.  —  64.  Halta  :  è  mani- 
festo ohe  questo  dev'eesere  il  nome  di  una  pri- 
gione destinata  ai  rèi  di  gravissime  colpe  e  fa- 
mosa al  tempo  di  Dante;  ma  non  d  ben  chiaro 
ove  fosse  cotesta  prigione  :  i  commentatori 
antichi  e  la  maggior  parte  dei  moderni  di- 
cono accennata  qui  una  torre  della  Ifalta  nel 
lago  di  Bolsena,  nella  quale  e  lo  papa  mette 
li  cherid  dannati  senza  remisslotte  >  ;  una 
torre  dello  stesso  nome  in  Vitorbo  Ai  adattata 
a  prigione  per  gli  ecdesiastioi  nel  1266  {Oron, 
di  mcoold  della  Tuccia  in  Ferrazzi  V  438);  un 
tnortalit  earoer  nominatus  la  Matta  ta  fatto 
edificare  da  Ezzelino  m  nel  castello  di  Citta- 
della nel  1261  {Chnm.  palav,  in  Mur.,  Ant, 
UaL  TV  1139).  Se  consideriamo  ohe  il  ricordo 
è  sulle  labbra  di  Cunizza,  parrebbe  ohe  l'al- 
lusione fosso  alla  prigione  di  Cittadella,  più 
tosto  che  alle  carceri  ecclesiastiche  di  Bolsena 
e  di  Viterbo;  ma  ora  i  più  inclinano  a  rico- 
noscere la  Malta  nel  castello  di  Marta  o  nd« 
r  isola  Mattana  del  lago  di  Bolsena  (Basser- 
mann, p.  296;  V.  Clan,  La  Matta  danUioa, 
Torino  1894).  —  66.  Troppo  ecc.  Insiste  il 
poeta  a  dimostrare  l'enormità  del  tradimento 
del  vescovo  di  Feltre  dicendo  ohe  il  sangue  da 
lai  donato  per  mostrarsi  fedele  alla  parte 
guelfa,  dod  versato  dai  ferraresi  da  lui  tra- 
diti, ta  tanto  ehe  troppo  grande  bigoncia  sa- 
rebbe bisognata  a  raccoglierlo,  e  troppo  gran- 
de fatica  sarebbe  stata  a  pesario  a  onda  a 
oncia.  ~  69.  e  cotai  eco.  e  consimili  doni  non 
saranno  disformi  dai  costumi  della  Marca 
Trevigiana,  paese  di  stragi  e  di  tradimentL  — 
61.  Su  sono  ecc.  Cunizza  per  assicurar  Dante 


624 


DIVIKA  COMMEDIA 


onde  rifulge  a  noi  Dio  giudicante, 

68  si  che  questi  parlar  ne  paion  buoni  ». 
Qui  ai  tacette,  e  fecemi  sembiante 

che  fòsse  ad  altro  volta,  per  la  rota 
66       in  che  si  mise,  com'era  davante. 
L*  altra  letizia,  che  m' era  già  nota 
preclara  cosa,  mi  si  fece  in  vista 

69  qual  fin  balascio  in  òhe  lo  sol  percota. 
Per  letiziar  là  su  fulgor  s'acquista, 

si  come  riso  qui;  ma  giù  s'abbuia 

72        l'ombra  di  fuor,  come  la  mente  è  trista. 

€  Dio  vede  tutto,  e  tuo  veder  s' inluia, 

diss'io,  beato  spirto,  si  che  nulla 

75        voglia  di  sé  a  te  puote  esser  fuia. 

Dunque  la  voce  tua,  che  il  ciel  trastulla 
sempre  col  canto  di  quei  fochi  pii 
78       che  di  sei  ali  £annosi  cuculia, 
perché  non  satisfeM^e  ai  miei  disii? 
Già  non  attenderei  io  tua  domanda, 
81        s' io  m' intuassi,  come  tu  t' immii  ». 


flollA  Tiriiidtà  del  no  TBtLdAio  1^  diàhian 
di  «Ter  ooiM»ol«to  in  Dio  qiiafto  Ttiilà  per 
mora  dtl  Troni  (IntolligenM  motzid  dal  oi«lo 
di  Vmmm,  sMondo  nn*  dottiinn  dn  Danta 
Mgaitn  ntl  Cbnv.  n  6  e  dn  Ini  ripndinte  in 
Air.  zxrm  97  •Mgg.)*  fthÌMi»*i  iptoehi  pw- 
ohó  riocmno  dn  Dio  In  loM  •  In  tnoMttono  ai 
bMtt.  —  62.  Mèi  eoo.  efr.  Jbr.  sx  2&-80. 
—  68.  ^«Mtl  pnrlnr  eoo.  qnoito  mio  predi- 
zioni snlln  Maron  Trivigian»  riapondono  alla 
realtà.  —  64.  liceali  eoo.  mi  dimoatcd  di  ri- 
Tolgeni  ad  altro  pensiero  (ofr.  bif,  iz  101), 
poiohA  xipteeeagbaxeoonlealtraanime,  00- 
me  faoom  prima  di  Tenire  a  pailar  meoo  (ofr. 
Air.  Tm  10-21,  8A-86>.  —  66.  roU:  oenhio 
di  anime  beate  obe  dannno  ;  ofr.  Air.  z  145, 
ZTT  20,  xrr  107  e  anehe  h^»  xn  21.  —  67. 
L'altra  lettala  eoo.  L'altra  anima  beata,  oh'io 
sapeva  già  eoser  di  penona  d*iUnitre  memoria, 
incominoiò  a  sdntfllafe  eoo.  Seguito  nel- 
rinterpondoneensUa  splegaiiQae  il  Witte  e 
lo  Soart.,  scostandomi  dagli  altri  oommen- 
tatori,  i  qaaU  ponendo  Tixgola  in  fine  del  t. 
intendono  :  L'altra  anima,  ohe  lo  già  oono- 
soevarinofwninfflA  a  mostraiai  splendente  eoea 
eoo.  Ala  Dante  non  sapera  anootn  oàe  qoesta 
era  Tanimn  di  Folohetto  da  MaitigUa,  e  solo 
sapera  obe  anrera  lasciato  di  s6  bnona  e  dn- 
rerole  memoria  (ofe.  tt.  87-40)  :  a  oelebrità, 
meglio  ohe  a  splendore,  accenna  l'esprassione 
pnelara  eoea,  e  a  aigaiftnai»  l' idea  del  oor- 
rosoar  di  quell'anima  basta  la  oomparaaione 
che  segae.  —  69.  qnal  fin  eoo.  come  nn  poro 
baiaselo  (specie  di  rubino)  meeso  a  sdntil- 


Isre  al  sole.  —  7(K  Per  letlilar  eoe.  Come 
sulla  terra  la  letfada  si  manifissta  nel  riso,  ood 
in  delo  si  dimostra  oaU'aTTiTnrsi  delln  Inoe; 
a  quel  modo  obe  gii  noli'  inferno  le  oasbre 
sono  ostsduunente  oJ^Mcate  per  la  tiìsteiia 
ohe  domina  le  aalme  :  ofr.  Air.  m  69,  t  126. 
—  71.  tf  cene  eoo.  ofr.  Obne.  m  8;  e  obe 
è  rideve,  ee  non  nn*  oorrascaiioae  delln  di- 
lettaaione  dell'anima,  cioè  nn  lame  apparente 
di  ftioit,  secondo  che  sta  dentro?».  —  78. 
e  tne  TOder  eoe  e  la  ton  cognizione  Tede  in 
lai  tatto  le  cose,  di  modo  ohe  iiwssnna  -volantà 
pad  sottrarsi  al  tao  oonosoimento.  —  stnlnlns 
Blano:  •inMani  da  in  lui,  Tb.  lonnato  dn 
Dante  per  dire  trasfondeni,  profondarsi  con 
la  medituione  in  una  eoea  ».  —  74.  nalln 
ecc.  nessuna  volontà  poA  esser  /Ma  o  ladm 
(ofr.  ^.  xn  90,  Pmg.  xzzm  U)  di  a4  me- 
desima a  te,  pad  sftiggireaDa  ton  oonceoensa. 
»  76.  la  vece  ecc.  In  tna  toco,  che  canta 
ssmpre  Osanna  insieme  oci  Serafini  :  dCr.  Ah". 
yxn  26  e  segg.  —  77.  feebl  eco.  angeli  lì- 
Testiti  di  sei  ali,  cica  i  Serafini  ;  ofr.  Isnin 
▼x  2-8:  ci  Serafini  staTano  di  sopra  ad  esso,  e 
daeoane  d'essi  aven  sei  ale:  con  dna  oofcira 
la  sna  Dmoìa,  e  con  doe  coprtra  1  snoi  piedi, 
e  oon  dna  TolnTa.  S  l'ano  gridnvn  all'altro, 
e  dicoTa,  Santo,  Santo,  Santo  è  il  Signor  deUi 
eseroiti  :  tutta  la  tona  è  piena  della  eia  ^ 
ria  ».  Gli  angeli  e  i  beati  sono  spesM  chia- 
mati /bsW(cfr.  F»,  X9m  106, 2x84,  zzn  4A, 
xziT  81«  zxT  87, 121).  ^  78.  enenllni  Teste 
monacale,  cocolla  (ofr.  Air.  uat  77).  —  81. 
8*ie  eoo.  ee  io  potessi  oonosoere  il  tno  pensiero 


PARADISO  —  OANTO  IX 


626 


€  La  maggior  valle  in  che  V  acqua  si  spanda, 
incominciaro  allor  le  sue  parole, 
84       fuor  di  quel  mar  che  la  terra  inglurlanda, 
tra  i  discordanti  liti,  centra  il  sole 
tanto  sen  va  che  fa  meridiano 
87       là  dove  1*  orizzonte  pria  far  suole. 
Di  quella  valle  fti*io  littorano 
tra  Ebro  e  Macra,  che,  per  cammin  corto, 
90       lo  genovese  parte  dal  toscano. 
Ad  un  occaso  quasi  e  ad  un  orto 
Bùggea  siede  e  la  terra  ond'io  fui, 
98       che  fé'  del  sangue  suo  già  caldo  il  porto. 
Folco  mi  disse  quella  gente,  a  coi 


eam«  ta  oonotd  0  mio  :  i  rb.  immlarti  (ere- 
àat  me  éL  oom'io»,  Par,  1 85)  e  Mmni  tono 
fonnati  tni  pronomi  pononali,  oome  Vinktiani 
del  T.  78,  l'MiMar»<dolBBr.zxiil27.-82. 
IM  MftgflMr  000.  Fdchetto  da  Maniglia  noi 
derignar  la  ma  patria  poita  rallo  rìTo  del 
MéditeRaneo  nea  nn  modo,  ohe  ha  loioitato 
ami  questioni  fra  gì'  interpreti  ;  il  passo  è 
chiaro  :  H  Meditenaneo,  ii  maggiore  dei  mari 
intacoi  in  coi  si  spande  Tsoqua  dell'Ooeano 
ohe  oizoonda  la  tscxa,  fta  le  ooste  litorali 
d'Europa  e  d'AMoa  si  estende  tanto  da  ood- 
dente  a  oriente,  ohe  da  una  parte  ha  per  me- 
ridiano il  osrohio  stesso  che  rispetto  sll'sltia 
fsoera  da  orizzonte.  Ma  dò  di  coi  si  disonte  è 
oome  mai  Dante  imaginasse  qnesta  condizione 
di  cose,  Is  quale  presuppone  ohe  il  Mediterra- 
neo s'estenda  da  occidente  a  oriente  per  90 
gradi,  mentrs  in  reaUà  non  si  estende  che  42 
gradi  alcuni  credono  ch'egli  fosse  tratto  in 
errore  da|^  astronomi  e  geografi  del  suo  tem- 
po, e  reramente  nelle  carte  nantlche  del  se- 
colo zr?  il  Mediterraneo  ha  l' estensione  di 
circa  90  gradi  di  longitudine  (cfr.  F.  Ange- 
litti,  BmU,  Vm  206);  altri  inyeoe  cercano  di 
ginstiflcare  le  parole  di  Dante,  come  s' egli 
avesse  roluto  dire  che  in  corte  circostanze 
all'estremo  orientale  è  mezzodì,  quando  spunta 
il  sole  per  l'estremo  occidentale  del  Mediter- 
raneo: eit.  DeUa  Valle,  il  mn$o  geogr.  attr, 
pp.  lOSeseg^e  Airipfam.eccpp.46esegg.; 
Antonelli,  Studi  partieolati  tuUa  D,  a,  pp.  29 
e  segg.  ;  OsTemi,  nel  periodico  la  amuÀa^ 
ToL  I,  pagg.  176  e  segg.  —  86.  diseordanti 
Utl:  quelli  d'Xuropa  e  d' Africa,  che  sono  op- 
posti fxtk  laro;  cfir.  Virg.,  ^.  ir  628:  «Li- 
tosa  litorfhus  contraria  >.  —  «entra  11  sele  t 
da  occidente  Terso  oriente,  «centra  U  corso 
del  del»  (Air.  n  2).  —  88.  Di  «nella  eco. 
Io  M  d'un  luogo  posto  sul  litorale  del  Medi- 
terraneo, fra  l'Ebro,  fiume  di  Spagna  che 
soende  in  questo  mare  presso  Tortoea,  e  la 
Magra,  che  per  brere  tratto  diride  la  Liguria 

DanvB 


dalla  Toscana.  ~  89.  per  eammln  eorto  :  nel 
breye  tratto  più  Ticino  al  mare,  lungo  i  monti 
di  Lerid  (cfr.  Bassermann,  p.  849).  ~  91.  Ad 
va  oeeasa  eco.  La  dttà  ot*  io  nacqui,  Marsi- 
glia, ha  quad  la  stossa  longitudine  di  Bdgia, 
dttà  deU' Algeria,  per  l'una  e  per  l'altra  il  sole 
si  loTa  e  tramonta  quad  nello  stesso  momento. 
—  92.  Btf ggea  :  B6gia  ;  la  forma  dantesca  è 
anche  in  G.  YilL,  O.  xn  IDI.  —  98.  che  fé' 
ecc.  Allude  alla  strage  che  dd  dttadini  di 
Marsiglia  fece  D.  Bruto,  quando  conquistò  la 
dttà  per  G.  Oesare  :  cfr.  Ih  bello  oi»,  n  4-6,  e 
anche  Lucano,  l^tart.  m,  672  :  <  Cmor  altus 
in  nndis  Spumat,  et  obducto  ooncrescunt  san- 
guine fluctns  ».  —  94.  Folco  eco.  Folchetto  da 
Marsiglia,  figliuolo  d'  nn  mercante  genoTOse 
dimorante  in  quella  dttà  franceee  (cfr.  Pe- 
trarca, Trionfo  d'Am,  ir  48-50),  nacque  poco 
dopo  la  metà  del  secolo  xn  :  Ita  dd  prindpali 
troTatori  proTonzali  e  di  lui  e'  è  rimasto  un 
buon  numero  di  poede  composte  all'  indroa 
fra  U  1180  e  U  1196.  <  BeUo  dd  corpo  (dice 
l' Ott  dertrando  dalle  antiche  biografie  tro- 
Tadoriche)  ornato  parlatore,  cortese  donatore, 
e  in  amare  acoeso,  ma  coperto  e  saTio  »,  amò 
e  cantò  Adalasia  di  Boquemartine  moglie  di 
Barrai  du  Bauz  Tisconte  di  Marsiglia,  e  pose 
tanto  ardore  nel  celebrarla  che  doTotte  al* 
lontanard  dalla  corte.  Morta  la  Tiscontessa 
Adalasia  e  altri  prindpi  ohe  arerano  pro- 
tetto Fdchetto,  questi  d  fece  monaco  dd- 
l'ordine  dsteroiense,  e  nd  1201  fri  fritto  abate 
del  monastero  di  Toxronet  e  nd  1206  TeeooTO 
di  Tdosa;  nd  qude  oflldo  fri  sdantiadmo 
a  perseguitare  èii  eretid  alMgesl,  organizsò 
potentemente  l' inquisizione  e  non  risparmiò 
né  pure  Baimondo  YI  conte  di  Tolosa,  figlio 
d'uno  dd  suoi  protettori  (cfr.  Par,  zn  101)  : 
mori  nd  1281.  Su  Folchetto  cfr.  F.  DIm, 
JJbm  «.  Wwk$  d&r  TVoMòckf.,  pp.  198-206; 
E.  PratMsh,  Biogroph,  d$»  Trmib,  Folqutt  von 
Uaromìk,  Berlino  1878;  N.  ZingaidU,  La 
pertonalUàatorioadiFiM^diM<ursiglia,2^9d,t 

40 


626 


DIVINA  COHHEDIA 


:^ 


fu  noto  il  nome  mio,  e  questo  cielo 
96       di  me  s'impronta,  compio  fei  di  lui; 
che  più  non  arse  la  figlia  di  Belo, 
noiando  ed  a  Sicheo  ed  a  Creusa, 
99       di  me,  in  fin  che  si  convenne  al  pelo; 
né  quella  Bodopeìa,  che  delusa 
fu  da  Demofoonte,  né  Alcide 
102       quando  Iole  nel  cor  ebbe  richiusa. 
Non  però  qui  si  pente,  ma  si  ride; 
non  della  colpa,  eh' a  mente  non  toma, 
105       ma  del  valor  ch'ordinò  e  provvide. 
Qui  si  rimira  nell'arte  che  adoma 
cotanto  effetto,  e  discemeei  il  bene 
108        per  che  il  mondo  di  su  quel  di  già  toma. 
Ma  perché  le  tue  voglie  tutte  piene 
ten  porti,  che  son  nate  in  questa  spera, 
111        procedere  ancor  oltre  mi  conviene. 
Tu  vuoi  saper  chi  è  in  questa  lumiera, 
che  qui  appresso  me  cosi  scintilla, 
114        come  raggio  di  sole  in  acqua  mera. 
Or  sappi  che  là  entro  si  tranquilla 


Bologna  1899;  M.  SdieziUo,  BuU.  IV  65-76, 
cfr.  VII  225.  —  95.  f  netto  eoe  il  delo  di 
Venere  s' imprime  della  mia  luce,  come  io 
nel  mondo  m' improntai  della  ina  influenza, 
ohe  dispone  gli  nomini  ad  amare.  •>  96.  iMin- 
VMBtas  cfr.  Piar,  vn  69.  —  97.  pltf  non  ar- 
te eoe.  io  ani  d'amore,  flnohó  ti  oonvenne 
all'età  più  ohe  Didone  non  ardesse  per  Enea  : 
ar*0,  detto  di  Didone,  è  rimembranza  di  pa- 
recchie locazioni  Tirgiliane  (Bn.  ir  2, 68, 101); 
ma  fors'  anche  dell'ardore  e  del  fitooo  d' amore 
di  eoi  speteo  perla  Folohetto  nelle  tne  poe- 
tie.  —  96.  aelanéo  eoo  recando  col  tao 
amore  per  Enea  dispiacere  a  Sicheo,  il  tao 
defonto  marito  (ofr.  Inf,  t  62),  e  a  Creata,  la 
morta  moglie  di  Enea.  —  100.  me  f  velia  eco. 
Accenna  a  Fillide,  la  figlia  di  Sitone  ohe 
abltara  pretto  il  monte  di  Bodope  nella  Tra- 
cia :  di  lei  racconta  la  CtTola  che  dopo  aver 
ttpettato  inrano  U  tao  amante  Demofoonte, 
fl^o  di  Teseo  e  di  Fedra,  ohe  dorerà  tornare 
da  Atene  per  itpotarla,  credendoti  tradita  ti 
die  la  morte  (Oridio,  Eroid.  u).  —  101.  ÀI- 
•ide  ecc.  Ercolo,  che  ardendo  d' amore  per 
Iole,  figlia  del  re  di  Tessaglia,  la  rapi  e  spotò, 
tasdtando  cosi  la  gelosia  di  Deianira  che  per 
meno  della  camicia  di  Nesso  Io  fece  morire 
(ofir.  Inf.  xu  67).  ^  108.  Nea  pere  eoo.  Qui  in 
peradiso  non  si  conosce  il  dolore  del  penti- 
meato,  ma  la  gioia  della  beatìtadine;  nò  già 
della  colpa  cancellata  dall'acqua  di  Lete 
Purg.  zxviu  127  e  segg.X  e  perciò  dimenti- 


cata, ma  della  divina  Tirtd  ehe  ordinò  l*  ia- 
floensa  dei  pianeti  e  provvide  alla  nostra  sa- 
late. È  ripetuto,  in  altra  forma,  ciò  che  già 
ha  detto  Oanizia  nel  vr.  84-85.  —  106.  Qal 
ti  rimira  eoe  <  Qal  si  contempla  U  divin 
magistero  che  abballa  qnetta  grand'opera  deDa 
tua  creazione,  e  ti  conosce  la  sigiente  prov^ 
videnza  per  coi  il  mondo  di  so,  cioè  i  cieli, 
influendo  sue  virtd  nel  mondo  di  gid,  viene 
in  certo  modo  a  risolverai  in  questo,  riduoen- 
dolo  a  sua  similitudine  >.  Cosi  VAndr.,  rife- 
rendo con  la  solita  lucidità  l' interpretazione 
più  comune  ;  ma  altri  testi  autorevoli,  leggono 
la  terzina  diversamente:  QmHHmbrm  ntU*vl$ 
eh»  adonM  Con  tanto  affetto,  s  cfi'awriisif  Ubm$ 
Fw  ohe  al  mondo  di  ou  quii  di  giù  toma;  oSìa 
qual  lezione  la  più  conveniente  sposizlone  è 
dello  Soart  :  e  Qiii  nel  Paradiso  ti  oontidert  e 
vede  addentro  nell'arte  del  creatore  che  con 
tanto  amore  ogni  cota  adorna  ;  e  qui  ti  rico- 
nosce il  fine  ultimo  dell'amore,  oioò  il  sommo 
Bene,  che  riconduce  le  anime  dalla  tana  al 
cielo,  loro  vera  patria  >.  •>  109.  ferehé  eco. 
affinché  siano  soditCattl  tutti  1  deeidert  torti 
in  te  in  questo  cielo  di  Venere  —  112.  tkì 
è  eoo.  quale  anima  sia  dentro  alla  laoe  die 
tointilla  accanto  a  me.  — 114.  ceoM  eoe.  come 
un  raggio  di  t^e  nell'tcqua  limpida  ;  cfir.  Ovi- 
dio, Aro.  am,  n  721  :  e  oculot  tremulo  fol- 
goro mioantet,  Ut  tol  in  liquida  taepe  ref\ikl- 
get  equa».  —  115.  ti  traifulllax  gode  la 
beatìtadine  della  perfetta  pace  ;  ofr.  Toabl 


PABADISO  -  CANTO  IX 


627 


Baaby  ed  »  nostr*  ordine  congiunta 
117        di  lei  nel  sommo  grado  si  sigilla. 

Da  questo  cielo,  in  cui  1* ombra  s'appunta 
che  il  vostro  mondo  face,  pria  eh'  altr'  alma 
120        del  trionfo  di  Cristo  fu  assunta. 

Ben  8Ì  convenne  lei  lasciar  per  palma 
in  alcun  cielo  dell'  alta  vittoria, 
123        che  s'acquistò  con  l'una  e  l'altra  palma; 
perch'olla  favorò  la  prima  gloria 
di  Giosuè  in  su  la  Terrasanta, 
126        che  poco  tocca  al  papa  la  memoria. 
La  tua  città,  che  di  colui  è  pianta 
che  pria  volse  le  spalle  al  suo  fattore 
129        e  di  cui  è  la  invidia  tanto  pianta, 
produce  e  spande  il  maledetto  fiore 
e' ha  disviate  le  pecore  e  gli  agni, 
182       però  che  &tto  ha  lupo  del  pastore. 

Per  questo  l'Evangelio  e  i  dottor  magni 


d'Agli.,  Smnm,  P.  II  2»*,  qu.  zzix  art  2  : 
«  p«x  perfecta,  qnae  ooBsistit  in  per£ecta  frai- 
tion*  sommi  boni,...  mt  ultimai  finii  oreata- 
I»»  ntioniUi».  —  116.  BMbs  meretrice  di 
Gezioo,  In  qonle  toodìae  e  nascose  le  spie  in- 
Tiate  daGiosne  ad  wploiar  la  dttà,  e  in  premio 
oCtenna  d'esser  salva  ella  e  i  suoi  nell'eccidio 
th»  segni  la  presa  di  Qerico  (Oiosne  n  1-21, 
▼I  16-25).  Presso  g^  scrittori  saeri  (cfr.  Isi- 
doro, Qiia«$tiom$  in  vel.  TutemL;  Pietro  Co- 
■Mstore,  Hiakfria  aehokuUea  eoe.)  Baab  fa 
eonsideiata  come  il  tipo  della  Chiesa  (cir. 
BmIL  n  9i),  e  l'elogio  di  lei  snUe  Ubbra  di 
Volebetto  è  tanto  idd  opportano  in  qaanto 
già  i  ooatemporand,  oome  ha  notato  lo  Zin- 
g;miBlli,  ziaYTloinarono  le  dae  impreee  ster- 
minatrid  animate  dal  fanatismo  religioso: 
BélU  crociata  albigese  la  fortezza  di  Lavaor 
eadde  il  8  maggio  1211  al  canto  dogli  ecdo- 
siastid  guidati  dal  yesoovo  di  Tolosa,  come 
al  saono  delle  trombe  sacerdotali  era  ca- 
duta Oerioo.  —  117.  di  lei  ecc.  ed  essendo 
Baab  oonghinta  al  nostro  coro,  questo  s'im- 
pronta dello  splendore  di  Id  che  ò  in  sommo 
grado  di  beatitudine.  —  118.  Da  qnesto  delo 
eoe  Baab  ta.  prima  d'ogni  altra  anima  beata 
aoeolta,  rioeruta  da  questo  ddo,  nd  qaale 
▼iene  a  terminare  (secondo  la  teoria  di  Al- 
lagano, cfr.  JButf.  y  28)  la  ponta  del  cono 
d'ombria  dalla  terra.  —  119.  alma  del  trionfo 
eoo.  anima  beata,  appartenente  alle  «schiere 
dd  trlonib di  Cristo»  (Ar.  xxn  19).  —  121. 
Bea  il  «Mireue  eoo.  Fu  giusto  lasdar  Baab 
in  UBO  dd  deli  di  paradiso  oome  testimonianza 
daQ'alta  rittozia  riportala  da  Oicsue  con  la 
pina  di  Oeiioo.  Ood  press'  a  pooo  spiegano 
•  giastamente  gii  antichi  ooomeotatori  e  dei 


moderni  l'Andr.  e  lo  Scart;  gli  dtri  inten- 
dono che  Baab  sia  posta  in  cielo  oome  segno 
della  vittoria  di  Cristo,  il  quale  morendo 
crocifisso  «  con  Pana  e  l'altra  palma  »  salvò 
il  genere  umano.  Ma  tutte  le  anime  del  pa- 
radiso sono  testimonianze  viventi  del  trionfo 
di  Cristo,  e  il  poeta  parlando  di  una  vittoria 
ottenuta  con  la  preghiera  accenna  manifesta- 
mente al  modo  singolare  con  cai  Giosuè  oon- 
qoistò  Qerioé,  secondo  il  racconto  biblico  (Gio- 
suè VI  1-20;  cfr.  BeeUaioiL  xlvi  S:  <  ...quam 
gloriam  adeptos  est  in  Mkndo  fnanua  tua»  >). 
—  124.  fìSTOrò  ecc.  favori  la  prima  impresa 
di  Giosuè,  la  presa  di  Gerico.  — 126.  elie  poeo 
eoo.  La  menrione  della  Terrasanta  sugge- 
risce a  Dante  un'invettiva,  ch'ei  pone  sulle 
labbra  a  Folohetto,  vescovo  e  persecutore  di 
eretici,  contro  i  pontefid  e  i  cardinali  che  th- 
vece  di  attendere  alle  cose  della  religione  si 
affannano  all'acquisto  delle  ricchezze.  —  127. 
La  tua  città  eco.  Firenze,  toa  patria,  ohe 
per  esser  «  piena  d'invidia  si  che  già  trabocca 
il  sacco  »  {Inf,  vi  49)  e  piena  d'  ogni  dtro 
vide  peggiore  (Jnf,  xv  68)  d  pad  ben  dire 
figliuola  di  Lucifero,  l' angelo  che  primo  si 
ribellò  a  Dio  e  che  con  la  sua  Invidia  (In/,  i 
111)  produsse  tanti  maU  aU'umanità.  —  180. 
produce  eco.  produce  e  diffonde  il  maledetto 
fiorino  (cfr.  Par,  xviii  133-136),  che  ha  sviati 
i  ciistìani  esperti  ed  inosperti  («  gli  grandi  e  li 
piccoli  »,  dico  il  Boti)  poiché  ha  trasformati 
gli  ecdedastid  da  curatori  in  distruggitori  dei 
fedeli.  —  188.  Per  f  nesto  ecc.  Per  questo 
amore  dei  fiorini  gli  eodesiastid  trascurano 
i  libri  dei  Vangeli  e  le  scritture  dd  Padri 
ddla  Chiesa  (Agostino,  Ambrogio,  Gregorio 
Magno,  Dionigi  ecc.),  e  attendono  solamente 


628 


DIVINA  COMMEDIA 


Bon  derelitti,  e  solo  ai  Decretali 
185       ai  stadia  si  ohe  pare  ai  lor  vivagni 
A  questo  intende  il  papa  e  i  cardinali: 
non  vanno  i  lor  pensieri  a  NazEarette, 
188       là  dove  Ghibriello  aperse  l*ali 
Ha  Vaticano  e  l'altre  parti  elette 
di  Boma,  che  son  state  cimiterio 
alla  milizia  che  Pietro  segnette, 
142    tosto  libere  flen  delP  adulterio  ». 


•Ho  stadio  delle  Deoxetali.  Lo  etieaeo  lamento 
faoer»  Dante  nell'Epist.  ai  Oaidinali  fi  7  :  <  la- 
oet  OregozioB  tane  in  télia  anmearom  ;  iacet 
Ambzosliit  in  neglectia  olexioomm  latlbnlii; 
iaoet  AngostinoB  ;  àUeotoa  DionyiiQS  Dama- 
■oenoB  et  Beda;  et  neaoio  quod  Speonlom,  In- 
nooentliim  et  Ostieneem  deolaaant.  Cor  enim  ? 
nii  Demn  qnaeiebant,  ut  flnem  et  optimum  ; 
isti  oensos  et  beneficia  oonsequnntor  ».  I  tre 
deoretalisti  aooennati  da  Dante  sono  nnvesoo- 
To,  Guglielmo  Dorante  (m.  1296),  aatoie  dello 
8p9euUim  l^cUorume  dello Speeutum iudMate 
(cfr.  F.  Scholte,  OtaeMehI»  dm  ecmonitekm  £•- 
cfUa  n  144-166)  ;  nn  oaidinale,  Enrioo  Ostiense 
(ofr.  Far,  xn  88)  ;  e  nn  pontefice,  Innocenxo  IV 
(124S-1251)  aatoie  àéirjppanim  ossia  oom- 
mentario  ai  dnqne  libii  delle  Decretali  raccol- 
te, come  corpo  del  diritto  canonico,  da  papa 
Gregorio  IX  (1227-1241):  cfr.  Scholte,  Il 
91-94.  — 134.  DeerttaU:  libri  deUe  costita- 
doni  pontificie  ordinate  come  fondamento  del 
ginre  canonico:  •  scieniia  IncratiTa  e  oon^ 
tnmeliosa  »,  dice  il  Lana,  por  messo  della 
qnale  <  ogni  parte  con  fàllaoie  si  può  sost^ 
nere,  et  di  vero  non  se  ne  hae  espressa  ve- 
ritade  ».  —  186.  il  stadia  ecc.  si  stadia  tanto 
sai  Decretali  che  le  tracce  di  qaesto  stadio 
appariscono  nei  margini  (vivagni^  estremità: 
cfr.  Inf.  XIV  128)  dei  libri.  Allade  senza  dab- 
bk)  all'oso  generale  nel  secolo  xm  di  chio- 


sare con  note  marginali  il  testo  delle  De- 
cretali, che  essendo  state  ordinate  di  recente 
erano  materia  soggetta  a  Tarie  e  disparate 
interpretazioni:  onde  i  dottori  di  diritto  ca- 
nonico abbondarono  in  qoel  secolo  special- 
mente neOe  scade  di  Bologna,  ove  oonte- 
sero  il  primato  a  quelli  di  diritto  dyìle.  — 
136.  A  f  veste  ecc.  Al  consegoimento  di  rio- 
ohesse  attendono  il  papa  e  i  cardinali,  aenra 
darsi  aloon  pensiero  della  Terrasanta.  —  138. 
là  dOTe  ecc.  dove  Taroangelo  Gabriele  roìd 
ad  annonsiare  aDa  Yscgine  Maria  eoo.  — 
189.  Xa  Tatieaao  eoe  Ma  U  Vaticano  e  gii 
altri  looghi  sacri  di  Roma,  ove  sono  sepolti 
i  corpi  dei  santi  martiri  e  confessori  della 
fede,  presto  saranno  liberati  dall*  immorale 
governo  dei  pontefici.  Si  allade  o  alla  morte 
di  Bonifazio  VIU  (cfr.  Inf,  xcx  63,  Pmrg,  xx 
86)  0  alla  traslazione  ddla  ooria  pitale  in 
Avignone;  o  meglio  forse  si  pud  vedere a<^ 
connata  anche  qoi  la  speranza  di  Aitoro  li*' 
beratore,  ohe  avrebbe  parificata  l'Italia  dalle 
brattare  che  la  macchiavano.  —  141.  aOa 
mlUsia  eco.  cfr.  Air.  xi  102.  —  142.  adal- 
terie:  accenna  alla  cagione  principale  del 
cattivo  governo  fatto  della  Chiesa  dai  pon- 
tefici, i  qoali,  come  dice  altrove  (Inf.  xix  1-4) 
<  per  oro  e  per  argento  >  fMdìdttrimm»  €  le 
cose  di  Dio». 


CANTO  X 

Beatrice  e  Dante  salgono  al  quarto  cielo,  quello  del  Sole,  e  appena  ^nntl 
la  donna  eccita  il  poeta  a  ringraziare  il  Signore  d'averlo  levato  a  qnella 
sfera,  il  ohe  egli  £à  con  grande  ferrore.  Intanto  appariscono  anime  beale 
di  teologi,  e  formano  nna  prima  corona  di  dodici  spiriti,  uno  del  quali, 
Tommaso  d*Aqnino,  riyela  a  Dante  i  nomi  degli  nndiei  oompagni  [14  aprile, 
ore  antimeridiane]. 

Guardando  nel  suo  figlio  con  l'amore 


X  1.  Gnardande  ecc.  Prima  di  procedere 
oltre  nella  descrizione  della  saa  sscensione 
f9T  i  deli  il  poeta  parla  dell'arte  divina  nel- 
l'ordine del  creato,  invitando  il  lettore  a  le- 
var seco  lo  sgaaxdo  alle  sfere  sopeiiori.  E 


incominda  dicendo  ohe  lo  prkm  td  imtffàbùt 
takn  doè  il  Padre  (potenza)  per  meno  dei 
Figlio  (scienza)  e  dello  Spirtto  Santo  (vlrti), 
che  è  l'smora  procedente  dall' ono  e  dall'attn,  \ 
oreò  roniverso,  tatto  dò  die  edste  neU'ia- 


PAHADISO  —  CANTO  X 


629 


12 


15 


che  l'uno  e  l'altro  etemalmente  spira, 
lo  primo  ed  inefEabile  valore 

quanto  per  mente  o  per  loco  si  gira 
con  tanto  ordine  fé*  ch'esser  non  puote 
senza  gustar  di  lui  chi  ciò  rimira. 

Leva  dunque,  lettor,  all'alte  rote 
meco  la  vista,  dritto  a  quella  parte 
dove  l'un  moto  e  l'altro  si  peroote; 

e  li  comincia  a  vagheggiar  nell'arte 
di  quel  maestro,  che  dentro  a  sé  l'ama 
tanto  che  mai  da  lei  l'occhio  non  parte. 

Vedi  come  da  indi  si  dirama 
l'obbliquo  cerchio  che  i  pianeti  porta, 
per  satis&re  al  mondo  che  li  chiama: 

e  se  la  strada  lor  non  fosse  torta. 


tdletto  (ooM  spixltaali)  e  nello  ipazio  (coae 
mataìali),  con  tanto  ordino  cho  ohi  lo  oon- 
tampU  deve  sentire  in  §é  con  piacere  quel  Ttf- 
loro  diTino.  Tatto  qneeto  ò  secondo  la  dottrina 
di  Tomm.  d'Aqu.,  Smmn,  P.  I,  qn.  zLT,*<art 
6,  0  quale  dioe  che  il  creare  appartiene  in 
oomvne  a  tntta  la  Trinità,  poiché  il  padre 
crea  per  mezzo  del  Verbo  o  sapienza  ohe  è  il 
Figlio  (Oioranni  1 8:  e  Ogni  cosa  ò  stata  ftitta 
per  eeeo  »,  doè  per  mezzo  del  Verbo  :  cfr. 
Fado  Ep,  ai  OoL  il^  Ep.  agU  Ebrei  i  2, 
ZI  8  eoe.),  e  dell'amore,  che  è  lo  Spirito  Santo; 
e  ooRchide:  <  Patii  attribnitnr  et  appropria- 
tnr  potentia,  qvae  maxime  manifDstatar  in 
exestione;  et  ideo  attribnitor  Patri  creatorem 
esse,  mio  antem  appropriator  siq>ientia,  por 
qnam  agens  per  intelleotom  operator,  et  ideo 
dicitar  de  Filio:  iV  qutm  omnia  /boto  awd 
[Job.  I  8].  Spiritai  sancto  antem  appropriator 
bonitaa,  ad  qoam  pertinet  gnbematio,  de- 
dooens  rea  in  debitos  flnes,  et  vlTiflcatlo  ». 

—  2.  éke  l'vBO  eoo.  Tomm.  d'Aqn.,  L  dt 
<  Filiiia  acdpit  natoram  divinam  a  Patre,  et 
Spiritos  sanotos  ab  ntroqae  ».  —  6.  di  lai  i 
dal  valore  dirino  che  ha  ereato  tatto  con  tanto 
ordine.  Altrimenti  si  pad  intendere  dell'ordine 
gteeeo,  di  coi  Taomo  gosta  i  mirabili  effetti. 

—  7.  Lera  eoe  Ant  :  «  0*  invita  il  poeta  a 
levar  aeoo  la  vista  alle  sfere  saperiori  e  sp- 
pimto  a  qaella  parte  dove  peroaotonsi  i  dae 
Bovimentt  opposti,  il  diamo  eqaatoriale  da 
levante  a  ponente,  e  il  planetario  o  zodiacale 
da  ponente  a  levante;  e  per  tal  modo  fissa 
la  nostra  attenzione  al  panti  equinoziali,  ove 
lo  Boontro,  per  la  opposizione  de'  dae  moti, 
si  là  [w.  7-9].  Da  qoei  ponti  vnole  che  abbia 
prine^o  la  nostra  oonsideraiione  rispetto  al- 
l'arte del  divino  Maestro  nell'arohitettara  del 
noado  [w.  10-12):  d  viene  ricordando  come 
da  esso  diramasi  l'oblìqao  cerchio  che  porta 
i  pianeti,  doò  b  zodiaco  [w.  13-16]...  Passa 


indi  a  lisroi  ammirare  l'altissima  importanza, 
che  qaella  zona  sia  obliqaa,  e  di  qaella  de- 
terminata obliquità  ch'ella  ha  rispetto  all'e- 
qaatore,  o  al  movimento  dell'alte  spere;  ao- 
cennando  con  rettissimo  gindizio  alle  infiilicl 
oondizioni  in  coi  saremmo  quaggiù  se  qaella 
strada  planetaria,  o  non  fosse  torta,  o  fosse 
più  o  meno  di  quel  eh' eli' è  (w.  16-21]».  — 
9.  l'ma  moto  ecc.  il  moto  eqaatoriale  e  il  moto 
zodiacale  s'incontrano  nei  punti  equinoziali, 
nei  punti  ove  il  sole  si  trova  nogli  equinozi. 
—  11.  di  «nel  maestro  :  di  Dio,  creatore  del- 
l'universo, che  ama  tanto  l'arte  propria,  la 
creazione,  da  non  levar  mai  lo  sguardo  da  lei, 
da  provvedere  insomma  alla  conservazione 
dell'universo.  ~  18.  eosie  da  lodi  eoe  come 
da  quel  pnnto  dell'equatore  si  diparte  lo  zo- 
diaco che  porta  i  pianeti:  e  con  altezza  di  con- 
cetto, ossei  va  Ant,  giusta  lo  stato  dell'astro- 
nomia di  quel  tempo,  manifesta  il  suo  pen- 
siero circa  la  ragione  por  la  quale  da  que- 
sta obliqua  zona  sono  portati  i  pianeti,  sup- 
ponendflìa  nella  convenienza  di  sodisfare  al 
mondo  cho  la  chiama,  dod  alla  terra  e  a  dò 
che  vive  sulla  superfide  di  lei,  credato  abbi- 
sognare delle  influenze  varie  che  a  quei  corpi 
celesti,  in  quella  inversa  direzione  recati  in 
giro,  si  attribuivano  ».  —  16.  se  la  strada 
ecc.  se  lo  zodiaco  non  fosse  obliquo,  1  pianeti 
influirebbero  tutti  sopra  i  medesimi  punti  e 
perdo  molta  parte  della  loro  virtù  sarebbe 
superflua  rispetto  a  quelli,  e  negli  altri  man- 
cando l' influenza  mancherebbe  ogni  vitalità. 
Ant  :  <  Se  l'edittica  coinddesse  con  l'equa- 
tore, e  quindi  corresse  paralldo  al  mededmo 
lo  zodiaco,  pd  solo  lìettto  della  costante  per- 
manenza del  sole  a  perpendicolo  nella  linea 
equinoziale  terrestre,  anche  senza  tener  conto 
delle  credute  inflnenze  degli  altri  pianeti,  sa- 
rebbe davvero  ogni  potmwa  qtia  gi&  morta; 
perdooché  nelle  regioni  prossime  aU'equa- 


630 


DIVINA  COMMEDIA 


molta  virtù  nel  ciel  sarebbe  in  vano, 
18        e  quasi  ogni  potenza  qua  giù  morta; 
e  se  da  dritto  più  o  men  lontano 
fosse  il  partire,  assai  sarebbe  manco 
21        e  giù  e  su  dell'ordine  mondana 

Or  ti  riman,  lettor,  sopra  il  tuo  banco, 
retro  pensando  a  ciò  che  si  preliba, 
24       s'esser  vuoi  lieto  assai  prima  che  stanco. 
Messo  t'ho  innanzi:  ornai  per  te  ti  ciba; 
che  a  sé  torce  tutta  la  mia  cura 
27        quella  materia  ond'io  son  fatto  scriba. 
Lo  ministro  maggior  della  natura, 
che  del  valor  del  cielo  il  mondo  impronta 
80       e  col  suo  lume  il  tempo  ne  misura, 
con  quella  parte  che  su  si  rammenta 
congiunto,  si  girava  per  le  spire 
83       in  che  più  tosto  ognora  s'appreeenta. 


toro  sTiemmo  una  estate  perpetua  e  un  ao- 
onmnlamento  ecceeeiTo  di  calore,  ohe  le  ren- 
derebbe inoapad  di  yegotazione  e  Inabitabili; 
le  ione,  che  ora  diciamo  temperate,  avrebbero 
una  contìnua  primaTeia  incipiente,  e  quindi 
non  Todiebbero  matoradone  di  biade  e  di 
fratti;  le  polari  larebbero  immerse  perenne- 
mente in  nn  rigido  inremo,  e  ooei  tatta  la 
tetra,  nella  e^oaglianxa  tra  i  giorni  e  le  notti, 
olbirebbe  nn  miserabile  toggiomo,  improprio 
allo  svolgimento  di  quei  germi  presioei  che 
il  Oreatore  ■«»*«*»— imn  b^  posto  qoaggiù  ne- 
gli nomini  •  nelle  cose  ».  ^  19.  ese  da  dritto 
ecc.  e  se  lo  todiaco  fòsse  rispetto  all'  equa- 
tore più  o  meno  inclinato  di  qnel  che  è,  sar 
rebbe  alterato  tatto  ciò  ohe  riguarda  i  climi 
dei  due  emisferi  terrestri,  doè  la  distribuzione 
delle  stagioni,  della  temperatura,  dei  vontì 
e  delle  pioggie,  dei  giorni  e  delle  notti  eoo. 
~  21.  •  gltf  e  su  s  nei  due  emisferi  terrestri, 
tra  i  quali  il  sole  continuamente  sale  e  di- 
scende. Cosi  spiega  B.  CaTemi,  nel  periodioo 
la  soMoIo,  a.  1873,  p.  61;  rettamento,  parmi, 
poiché  la  comune  interpretazione:  giù  e  su, 
in  terra  e  nei  deli,  non  risponde  al  concetto 
dantesco  delle  alterazioni  climatiche  che  sa- 
rebbero prodotte  da  una  maggiore  o  minore  in- 
clinazione dello  todiaco.  —  22.  Or  ti  ecc.  Nota 
l'Angelittì,  BmXL  VII  129,  questo  severo  av- 
vertimento col  quale  Dante  conchiude  una 
di  quelle  che  possono  dirsi  «vere  lezioni 
di  astronomia».  —  il  tao  feaneos  Bntì: 
«  nello  quale  tu  stai  a  studiare  questo  mio 
libro  ».  —  28.  retro  eco.  meditando  intomo 
sUa  materia  ohe  ti  ho  messa  innanzi  :  il  vb. 
pnXObvn  da  alcuni  è  preso  nel  suo  senso 
più  usuale  di  assaggiar  prima,  pregustare; 


meglio  fosse,  ncm  sean  il  \ 
ragione  etimologica  (iftors,  oAriiv,  prsoauta- 
reX  è  spiegato  dal  Boti  quale  sinonimo  di 
msttsn  ifMOfMi,  come  si  ha  dal  t.  25,  ove 
Danto  ripeto  in  forma  più  breve  dò  ohe  ha 
detto  nd  w.  22-24.  —  24.  ■*ooMr  oee.  se 
vuoi  provaro  quel  sodisfadmento  doUo  stadio 
che  non  Ca  sentirò  la  stanchesza,  ma  allsg- 
gerisoo  la  fiitioa.  —  SS.  Misso  eoo.  Io  ti  ho 
presentato  materia  opportona;  or  meditala  da 
tostssBo,  senza  la  mU  guida.  — as.  die  a  stf 
eoo.  poiché  rargomento  dd  mio  poema  ri- 
ohiama  a  sé  tutta  la  mia  attenzicMW.  —  2S. 
LOBdBlftrooccnSolOjChoè  «padro  d'ogni 
mortsl  vita  »  (JRir.  zxn  U6X  fimte  doUa  laee 
0  misuratore  dd  tempo.  —  29.  oho  eoi  valor 
ecc.  of^.  Onio.  m  14:  <  D  8de,  disoendeado 
lo  raggio  suo  qua  giù,  riduco  lo  oooo  a  sua 
similitudine  di  lume,  quanto  esso  p»  dispo- 
siziono della  loia  virtù  possono  lumo  rioerreo»  », 
e  Osfw.  p.  204:  «  Al  gran  pianeta  è  tatta  sl- 
miglianto.  Che...  Oon  li  bd  rsggt  infóndo  Vita 
e  virtù  qua  giuso  NeUa  materia,  d  com'è 
disposta  ».— 80.  e  eoi  eoo.  ofir.  Dionigii  Axeo- 
pagita,  Ih  dm.  nom.,  oap.  iv:  <  faimon  [soUs] 
mensura  est,  atque  numoms  honrum,  dioram, 
totìuaqno  nostri  temperie  »  ;  cado  il  Fotr.  oo- 
minda  il  son.  iz:  <  Quando  1  pianeta  che 
distìngue  l'ore»,  e  Obio  daPSstda:  «La  bella 
stella  che  '1  tempo  misura  ».  —  81.  aom  qMl- 
la  eoo.  congiunto  con  la  oostsllasiono  di  Arie- 
te, gimva  perle  spiro  asoendontì  (qvoOo por 
cui  possa  dall'equatore,  ov*  è  neQ'oqoinoaio  di 
primavera,  d  tròpico  dd  Gancio,  0T*è  al  pdn- 
dpio  ddl'  estate),  nello  quali  <«ni  gtomo  d 
preeenta  più  presto  saU'orizzonto,  poidié  dal- 
l'equinozio di  primavera  in  pd  i  giorni  ^ 


PARADISO  -  CANTO  X 


631 


Ed  io  era  con  lui;  ma  del  salire 
non  m'accora' IO,  se  non  com'uom  s'accorgOi 
86       ansi  il  primo  pensier,  del  suo  venire. 
È  Beatrice  quella  che  si  scorge 
di  bene  in  meglio,  si  subitamente 
89       cbe  Patto  suo  per  tempo  non  si  sporge. 
Quant' esser  convenia  da  sé  lucente 
quel  ch'era  dentro  al  sol  dov'io  entrami, 
42       non  per  color,  ma  per  lume  parvente! 
Perch'io  lo  ingegno,  l'arte  e  l'uso  chiami| 
si  no  '1  direi  die  mai  s'imaginaase, 
45       ma  creder  puossi  e  di  veder  si  brami 
E  se  le  fSantasie  nostre  son  basse 
a  tanta  alteaza,  non  ò  maraviglia, 
48       ohe  sopra  il  sol  non  fu  occhio  ch'andasse* 
Tal  era  quivi  la  quarta  famiglia 
dell'alto  padre  che  sempre  la  sazia, 
61       mostrando  come  spira  e  come  figlia; 
e  Beatrice  cominciò  :  <  Bingrazia, 
ringrazia  il  sol  degli  angeli,  eh' a  questo 
54        sensibil  t' ha  levato  per  sua  grazia  ». 
Cor  di  mortai  non  fu  mai  si  digesto 


a— pre  oveeoendo.  —  84.  Bé  lo  eoo.  Io  eia 
già  nel  Sole,  ma  deU'aioendeie  non  m'aoooni 
se  non  quando  fui  giunto;  tanto  rapida  Ita  la 
salite.  —  86.  te  non  eoo.  Ott:  <  a  gniea  del 
liifiarn  ohe  vieoe  noli' nomo,  del  coi  venire 
il  pennate  non  4  aooorge,  ma  bene  il  sente 
quando  è  in  lai  >.  —  86.  ansi  il  primo  eco. 
Ventar!  475  :  <  ben  dioe  primo,  perché  se  ò 
tale,  non  pnd  l'uomo  aver  avnto,  avanti  di 
qneUo,  l'altro  dell'accorgersi  di  esso  pensie- 
ro ».  —  87.  È  Beatrice  eoo.  Dante  vnol  dare 
la  ragione  per  cui  non  s*  accorgeva  di  salire 
da  nn  cielo  all'  altro,  e  viene  a  dire  :  S' io 
non  m*  accorsi  eco.  d  da  cercarne  la  ragione 
neUa  aia  goida  :  era  Beatrice  ohe  mi  guidava, 
Beatiioe,  la  quale  in  tal  maniera  sa  guidare 
da  an  dolo  all'altro,  con  tanta  rapidità  che 
l'atto  del  muovere  non  si  estende  nel  tempo, 
ma  è  istantaneo,  e  perdo  impercettibile.  È 
insomma  la  sdonza  divina  che  di  verità  in 
'  verità  trae  gli  uomini  al  vero  ultimo,  sonza 
^0  ead  s'accorgano  dd  passaggi  intermedi. 
—  40.  i^aaat'  esser  ecc.  Quanto  luminose  do- 
vevano essere  per  so  mededme  le  anime  ch'e* 
rano  nd  Sole,  le  quali  apparivano  distinte 
net  pianeta,  non  già  per  differenza  di  odore, 
ma  per  intendtà  maggiore  di  luce.  Nd  Sole 
appariscono  a  Dante  le  anime  dd  tedogi,  che 
bene  imagind  itilgentissimi,  come  li  predice 
Daniele  xu  8,  secondo  la  vulgata:  «  Qui  docti 
tasrint,  fulgebunt  quad  splendor  Armamenti; 


et  qui  ad  iustitiam  erudiunt  multos,  quad 
stellae  in  perpetnas  aetemitates  ».  —48.  Per- 
ca'lo  eco.  Per  quanto  io  mi  sforzasd  con  l'in- 
gegno, con  l'arte,  con  l'abitudine  ohe  ho  dello 
scrivere,  non  saprd  rappresentar  md  qud- 
r  intendtà  di  folgore  in  modo  che  dtri  se  ne 
facesse  un'idea:  basterà  dunque  credere  e  de- 
dderaro  di  vederla  un  giorno,  nella  gloria 
dei  deU.  —  46.  ma  creder  eoo.  Si  ofr.,  per 
una  certo  conformità  di  pondero,  dò  che  dice 
in  Par,  i  70-72.  —  46.  ion  basse  ecc.  sono 
ind^Mid  di  imaginare  uno  splendore  piùgiande 
di  queUo  dd  Sole.  —  48.  éki  sopra  eco.  nes- 
sun occhio  umano  vide  mai  luce  più  intensa 
della  luce  solare.  —  49.  la  f  sarta  faslglia: 
le  anime  beate  dd  teologi,  ohe  appariscono 
nel  quarto  ddo,  quello  dd  Sole.  —  61.  mo- 
strando eoo.  facendo  veder  loro  come  da  lui 
sia  generato  il  Figlio,  e  da  entrambi  lo  Spi- 
rito Santo  ;  ohe  è  il  grado  più  dto  della  co- 
gnizione teologica.  —  53.  il  sol  ecc.  Dio,  sole 
spiritnde,  che  ti  ha  concessa  la  grazia  di  sa- 
lire d  Sole  sensibile.  Dante  stesso,  Cotw,  m 
12  :  «  Nullo  sensibile  in  tutto  '1  mondo  ò  più 
degno  di  fard  esemplo  di  Dio,  che  '1  Sole,  lo 
quale  di  sensibile  luce  sé  prima  e  poi  tutti  i 
corpi  celestiali  ed  dementali  allumina;  cod 
Iddio  sé  prima  con  luce  intellettuale  allumina, 
e  poi  le  odestiaU  e  l'dtre  intelligibiU  ».  — 
65.  Cor  di  mortai  eoe  Nessun  animo  umano 
fu  mai  ood  disposto  alla  devodone  e  pronto 


632 


DIVINA  COMUEDIA 


a  divozione  ed  a  rendersi  a  Dio 
57       con  tutto  il  suo  gradir  cotanto  presto, 
com'a  quelle  parole  mi  féc'io; 
e  si  tatto  il  mio  amore  in  lai  si  mise 
€0       che  Beatrice  eclissò  nell*obblio. 
Non  le  dispiacque;  ma  si  se  ne  rìse 
òhe  lo  splendor  degli  occhi  suoi  rìdenti 

68  mia  mente  unita  in  più  cose  divise. 
Io  Tidi  più  fulgor  yivi  e  vìncenti 

fax  di  noi  centro  e  di  sé  £9ir  corona, 
66       più  dolci  in  voce  che  in  vista  lucenti 
Cosi  cinger  la  figlia  di  Latona 
vedem  talvolta,  quando  l'aere  ò  pregno 

69  si  che  ritenga  il  fil  che  &  la  zona. 
Nella  corte  del  ciel,  ond'io  rìvegno, 

si  trovan  molte  gioie  care  e  belle 


ft  Tolgenl  con  ogni  dilotto  a  Dio.  — difetto  s 
disposto;  Ventali  260:  <  B  glgniflcato  mato- 
liale  di  questo  Tooe  non  discorda  dal  morale, 
essendo  la  digestione  T  ultima  perfezione  del 
dbo  preparato  al  nutrimento  ».  —  60.  ehe 
Beairlee  eoo.  oho,  essendo  tatto  raccolto  in 
M  doò  in  Dio,  dimenticai  per  on  momento 
Beatrioe.  —  61.  Hon  le  dispiacine  eoo.  Bea- 
trice non  si  sdegnò  di  questa  dimenticanza, 
ma  gnaidandomi  con  gli  occhi  sfavillanti  del 
suo  liso  divino  (cfir.  Par,  vn  17-18,  rv  84  e 
segg.)  mi  distolse  dal  raccoglimento  in  col  ero. 
•>  68.  mia  eoo.  la  mia  mento  che  era  onlto 
a  Dio,  raccolta  tatto  in  Ini,  distrasse  ad  altri 
oggetti,  doò  ag^  spiriti  beati  del  quarto  cielo. 
—  64.  Io  Tldl  eoo.  Vidi  delle  anime  fulgidis- 
sime, di  luce  viva  e  più  intonsa  della  solare 
(cfr.  T.  40-42),  le  quali  formarono  una  corona 
0  roto  (oCr.  Inf,  xn  21)  intomo  a  noi,  can- 
tando con  voce  d' indidbilo  dolcezza  (ofr.  ▼. 
78).  Sono  le  anime  di  dodid  teologi,  die  fa- 
cendo cerchio  intomo  a  Danto  e  Beatrice  in- 
tonano un  dolce  canto,  col  quale  accompa- 
gnano il  triplice  giro,  proprio  come  le  schiere 
di  danzatrid  facevano  movendosi  al  suono 
delle  canzoni  a  ballo.  F.  Tocco,  Cànf,  mU, 
n  180  e  segg.  ha  dimostrato  come  dascuna 
delle  corone  di  questo  ddo  oonisponda  a 
una  delle  grandi  correnti  dd  pensiero  fllo- 
Boflco  nd  secolo  zm.  «  U  cerchio  intomo  (e- 
gli  dice)  dei  primi  dodid  s' impernia  in  san 
Tommaso  [v.  99] ...  Accanto  a  san  Tommaso 
è  il  suo  maestro  Alberto  Magno  [v.  98]  da 
un  lato  e  Sigieri  [v.  186]  daU' altro;  tutti  e 
tre  aristotelid,  che  d  valsero  del  magistero 
peripatetico  per  mettere  ordine  e  ridurre  a 
forma  sistematica  U  sapere  dd  loro  tempo, 
come  molto  prima  di  loro  avea  tontoto  di 
ftxe  il  venerabile  Beda  [v.  181].  Ad  una  con- 


simile sistemazione  intese»  Ondano  (t.  106) 
per  le  leggi  canoniche,  Botro  Lombardo  [v. 
107]  per  le  dottrine  sodactiohe,  Orosio  [V.  119] 
•  Iddoro  [V.  181]  per  i  fatti  stozid  •  linr 
guistid,  il  pseudo  Dionigi  l' Areopagito  [r.  115] 
per  le  essenzo  angeliche  e  gli  attributi  me- 
desimi della  divinità.  Simbolo  di  codesto  sa- 
pienza ordinatrice  è  il  gran  Salomone  [v.  109], 
aDa  cui  mente  sovrana  nessun  rvto  è  sftig* 
gito;  e  ministro  se  ne  pud  dire,  almono  per 
Tooddento,  Severino  Boezio  [v.  128],  il  quale, 
volgendo  in  latino  mdto  opere  di  Aiistotde, 
salvò  la  cultura  ooddentale  ddla  rovina  che 
era  per  travolgerla.  In  questo  cerchio  d' or- 
dinatori e  di  sistematori  ò  strano  Inoontiaie 
Blccardo  di  S.  Vittore  [v.  181]  »,  ma  dò  si 
spiega  col  fktto  ohe  Biocardo  néUo  svolgere 
le  dottrine  mistiche  di  Ugo  suo  maestro  (cfr. 
Par,  zn  188)  e  n  serve  delle  dividonl  •  snd- 
dividoni  peripatotiche,  come  molto  prima  di 
lui  se  n'era  giovato  lo  stesso  Dionigi,  che  per 
quanto  ordini  e  distingua  le  schiere  celesti, 
non  è  meno  mistico  d'  Ugo  e  di  Biedudo  >: 
itnafanento  è  giustificato  1*  accoppiamento  di 
Dionigi  e  Boerio,  <  perché  entrambi  appar- 
tengono a  quell'indirizzo  neoplatonioo  cho  è 
un  odettìsmo  non  sempre  ben  riuscito  di  Pla- 
tone con  Aristotele  non  solo,  ma  purandie 
della  sapienza  e  tradizione  ellenica  con  To-' 
rientale  ».  —  67.  Oosf  eoe  La  oorona  la- 
minosa dei  beati  d  droondava  come  talvolto 
l'dono  dnge  la  luna,  allorohó  l'atmoslìBa 
piena  di  vapori  trattiene  i  raggi  che  for- 
mano tale  aureola.  Altre  simUitudini  tratto 
dall'alone  lunare  sono  in  Airy.  xttx  78,  JF^. 
zxvm  22  e  segg.  —  la  figlia  eoo.  la  luna  o 
Diana,  figlia  di  Giove  e  di  Latona  (cfr.  A«y. 
zx  laO).  —  70.  Nella  eorte  ecc.  Nel  Para- 
diso, donde  io  sono  tornato  in  terra  (ofr.  Ar. 


PARADISO  -  CANTO  X 


633 


72       tanto  die  non  d  posson  trar  del  regno, 
e  il  canto  di  quei  lumi  era  di  quelle: 
ohi  non  e*  impenna  si  che  là  su  voli, 
76       dal  muto  aspetti  quindi  le  noyeUe. 
Poi|  si  cantando,  quegli  arde^nti  soli 
si  fùr  girati  intomo  a  noi  tre  volte, 
78       come  stelle  vicine  ai  fermi  poli; 
dobne  mi  parver,  non  da  ballo  sdolte, 
ma  che  s'arrestin  tacite  ascoltando 
81       fin  che  le  nuove  nòte  hanno  ricolte. 

E  dentro  all'  un  senti'  cominciar  :  <  Quando 
lo  raggio  della  grazia,  onde  s'accende 
84       verace  amore,  e  che  poi  cresce  amando 
multipUcato,  in  te  tanto  risplende 
che  ti  conduce  su  per  quella  scala, 
87       u'sensa  risalir  nessun  discende. 


I  4  e  Mgg.),  li  trorano  molte  oom  tanto  sin- 
golsrl  •  minbOi  ohe  non  m  ne  può  arer  on'idea 
se  non  in  quel  beato  regno.  —  73.  11  eaato 
•00.  di  queste  ooee  che  non  ai  poMono  descii- 
TQie  era  il  canto  delle  anime  beate  del  quarto 
cielo.  —  74.  chi  non  eoo.  chi  non  ti  prepara 
a  salir  tanto  nella  grazia  da  giungere  sino  al 
paradiso,  non  potrà  sapor  mai  nulla  di  queste 
canto»  ò  come  ohi  aspettasse  le  notizie  di  fatti 
0  di  cose  da  un  muto.  —  s'Impenna  i  pro- 
priamente si  fomisoe  di  penne,  di  ali  ;  e  per 
traalato,  si  prepara,  si  acquista  con  opere 
buone  il  merito  della  beatitudine.  —  76.  Poi 
eoe  Poiché  quelle  anime,  cantando  cosi  dol- 
oemonte,  ebbero  fatto  tre  girl  intomo  a  noi 
che  stavamo  flsrmL  —  78.  eosie  stelle  eoo. 
eioò  descrivendo  un  cerchio  perfetto,  conser- 
vando sempre  la  stessa  distanza  da  noi  ch'era- 
vamo Cenni  nel  centro.  —  79.  donne  ecc.  Per 
intender  bene  questa  similitudine,  che  ò  delle 
più  belle  ed  efficaci  del  poema  dantesco,  fa 
d'uopo  conoscere  con  quali  norme  era  gover- 
nata la  danza  di  donne  al  tempo  del  poeta. 
Si  ballava,  spedalmente  in  Toscana,  al  canto 
deUe  baUaU  (cfr.  la  mU  Noiixia  iutte  formò 
metr,  UaL^  cap.  n,  e  anche  una  postilla  di 
y.Borghini,£wil.IV  180):  la  danza  si  apriva, 
appena  formato  U  cerchie,  cantando  o  la  guida 
o  le  danzatrici  la  rifrtm  o  strofetta  iniziale 
della  ballata,  alla  quale  ripresa  corrispondeva 
vn  giro  intiero;  poi  seguitava,  cantando  la 
guida  una  stonxa  (due  fmitaMoni  e  una  «otta) 
e  Uscendo  le  danzatrici  un  mezzo  giro  in  un 
senso  (1*  mutazione),  un  mezzo  giro  nel  senso 
opposto  (2*  mutazione),  e  un  giro  intero  (vol- 
ta) ;  poi  tutte  le  danzatrici  prendevano  a  ri- 
cantare la  ripresa  e  Csoevano  cosi  un  altro 
giro  :  con  lo  stasso  procedimento  si  ballava  e 
cantava  la  seconda  stanza,  la  terza,  e  vìa  sino 
al  compimento  della  danza  e  della  poesia.  Po- 


sto ciò,  ò  manilìBSto  che  Dante  paragona  l'at- 
teggiamento dei  dodici  teologi  a  quello  d'una 
corona  di  danzatrici,  che  finito  il  canto  d'una 
stanza  si  fermano  senza  Interrompore  il  ballo, 
ma  pronte  a  rimettersi  in  movimento  appona 
sentano  intonare  alla  guida  il  canto  della  se* 
guanto  stanza.  Coni  intesa,  la  comparazione 
acquista  una  nuova  bellezza,  perché  il  poeta 
ci  rappresenta  in  pochi  tratti  scultorii  la  si- 
tuazione Aiggerble  e  direi  quasi  la  sospen- 
sione di  movimento  dolio  danzatrici  o  insieme 
la  prontezza  loro  a  riprendere  il  ballo;  fìacen- 
doci  cosi  intendere  che  la  corona  dei  dodiol 
beati  s' eia  fermata  momentaneamente  per  la 
presenza  di  Dante,  e  doveva  poco  dopo  rico- 
minciar la  sua  danza  (cft.  w.  146  o  segg.), 
—  82.  dentro  all'  un  ecc.  dentro  ad  uno  di 
quelli  e  ardenti  soli  »  :  ò  Tommaso  d'Aquino, 
U  quale  conoscendo  il  desiderio  di  Dante  si 
dispone  ad  appagarlo  col  dirgli  chi  sieno  gli 
spiriti  beati  di  questa  corona.  —  Quando  ecc. 
Poiché  il  raggio  della  grazia  divina  risplendé 
tanto  in  te  che  ti  fa  salire  per  la  scaia  del 
paradiso  eco.  —  83.  onde  s'accende  eco.  rag- 
gio della  grazia,  per  il  quale  s' accende  il  ve- 
race amore  e  che  si  moltiplica  nell'amore 
stesso.  —  87.  ■'  senza  eoo.  per  la  quale  scala 
nessuno  discende  mai  senza  poi  risalire,  dod 
chi  d  stato  in  cielo,  come  te,  quando  sarà 
ritornato  in  terra  non  potrà  più  peccare  e 
perdo  risalita  dopo  morto  al  paradiso.  Buti: 
e  Nessuno  toma  dalla  contemplazione  della 
vita  beata,  a  la  quale  è  montamento  co'  la 
scala  di  virtù  mentre  che  d  stato  in  questa 
vita,  che  non  vi  tomi  dopo  questa  vita;  im- 
però ohe  senza  grande  grazia  da  Dio  conce- 
duta non  d  fa  ^  fatto  montamento,  e  però 
non  pud  essere  che  chi  ha  gustato  d  fatti  di- 
letti, che  non  ritenga  sempre  b  deddeiio 
d'essi,  lo  quale  tenendo  d  conviene  che  la  sua 


634 


DIVINA  COMMEDIA 


qual  ti  n^asse  il  vin  della  sua  fiala, 
per  la  tua  sete,  in  libertà  non  fora, 
90       se  non  com' acqua  oh*  al  mar  non  si  cala. 
Tu  vuoi  saper  di  quai  piante  s'infiora 
questa  ghirlanda,  che  intomo  vagheggia 
93       la  bella  donna  eh*  al  del  V  avvalora. 
Io  fui  degli  agni  della  santa  greggia, 
che  Domenico  mena  per  cammino, 
96       u*  ben  s'impingua,  se  non  si  vaneggia. 
Questi,  che  m*ò  a  destra  più  vicino, 
irate  e  maestro  fummi,  ed  esso  Alberto 
99       fu  di  Colonia,  ed  io  Thomas  d'Aquino. 


▼ita  lift  santa  e  buona».  -^  88.  ^«al  eoe. 
ohionqne  non  •odisfkcoMe  ai  tool  deùderi  di 
oonoeoere  eco.  doTxebbe  eneze  impedito  da 
qnalobe  altra  fona  a  legaiT  la  ma  naturale 
disposixione,  ohe  è  appnnto  di  ohiaiirti  di  ciò 
ohe  non  tal;  come  raoqna  che  non  va  a  fi- 
nire al  mare,  der'  enere  trattenuta  per  via. 
*^  90.  se  BOB  eom'aeqaa  eoe  cfir.  Ptur,  i  51. 
—  91.  Ta  Tael  eoo.  Tu  desideri  di  conoscere 
ohi  sono  le  anime  di  questa  corona,  che  va- 
gheggiano Beatrice.  —  piante  :  cfir.  Air.  xn 
96.  —  98.  eh*  al  del  ecc.  che  ti  dà  valore, 
ti  rende  capace  di  salire  pei  deli.  —  91.  Io 
fai  eoo.  Fui  frate  dell'  ordine  doi  Predicatori, 
fondato  da  san  Domenico  (ofr.  Bar,  xn  46  e 
segg.)  con  una  santa  regola,  ohe  bene  osser- 
vata conduce  alla  perfezione  cristiana.  —  96. 
n*  bea  eco.  cf^.  Par,  zi  23  e  segg.,  ove  que- 
sto verso  è  ampiamente  diohianito.  —  98.  Ai- 
berte  eoe  Alberto  Magno,  della  nobile  fami- 
glia di  Bollstadt,  nacque  nel  1193  in  Lauin- 
gen,  nella  Svevìa  bavarese  :  recatosi  a  Pa- 
dova a  studiare,  si  volse  alla  filosofia  e  alla 
teologia  e  riusci  dottissimo  nell'  una  e  nel- 
l'altra, tanto  da  meritare  il  nome  di  Doetor 
univtnali».  Nel  1222  entrò  nell'ordine  dei 
Domenicani,  e  più  tardi  insegnò  a  Colonia 
e  a  Parigi  ;  nel  1264  ta  eletto  provinciale  del 
suo  ordine  a  "Worms,  e  nel  1260  vescovo  di 
Batisbona;  mori  a  Colonia  nel  1280.  Lasciò 
un  gran  numero  di  opere  (ed.  critica  del 
Jammy,  Lione,  1661,  21  volumi),  tra  le  quidi 
è  famosa  l'esposizione  delle  sentenze  di  Pietro 
Lombardo,  e  coi  suol  scritti  s'adoperò  a  met- 
tere d'accordo  le  dottrine  di  Aristotele  eoi 
cristianesimo  e  ad  abbattere  l' interpretazione 
aristotelica  dei  filosofi  arabi.  Su  Alberto  Ma- 
gno si  vedano  J.  Quetlf  e  J.  Echard,  Sori- 
ptoreg  ordinia  JVtMÙoatorufn,  Parigi  1719,  voi. 
I,  pp.  162  e  segg.  ;  O.  De  Ferrari,  Vita  del 
b,  AUf.  Mag,t  Boma  1847;  F.  A.  Pouchet, 
HiaL  dm  tcimee»  naturelÌM  au  mcym-^ga  cu 
Albart  té  Grand  d  son  Bpoqoé^  Parigi  1868, 
J.  Sìghart,  Aìb,  Mag,,  sein  Lebm  %ind  sevu 


ITisaMMoboA,  Batisbona  1857;  0.  d'Assamy, 
AUftrt  U  Onmd,  Parigi  1870;  R.  de  Liechtj, 
Alberi  U  Grand  d  M,  Thom.  d'Aqukt,  Pftrigi 
1880;  B.  Hauiéas,  HitL  d$  ìa  pidh».  sools- 
ttìqm,  Parigi  1880,  voi.  H,  p.  I,  pp.  214- 
887.  —  99.  le  Tliomas  ecc.  TommaBo,  deDa 
famiglia  dei  conti  d'Aquino,  nacque  a  Boo- 
caseoca  nella  Terra  dì  Lavoro  nel  1225  :  stn^ 
dio  prima  sotto  la  disciplina  dei  benedettini 
cassinesi  e  poi  nell'  università  di  Napoli;  en- 
trò nel  1248  nell'ordine  Domenicano,  e  poi 
si  recò  a  Colonia  e  a  Parigi,  nelle  quaU  dttà 
compi  i  suoi  studi  sotto  la  guida  di  Alberto 
Magno.  Nel  1248  incomindò  a  insegnare  nel 
collegio  di  Colonia;  nel  1258  passò  a  Parigi, 
ove  lesse  pubblicamente  nella  celebre  uni- 
versità: pia  tardi  tornò  in  Italia  e  per  due 
anni  insegnò  teologia  nell'università  di  Na- 
poli; ma  nel  1274,  Invitato  dal  papa  al  con- 
cilio di  Lione,  si  mise  in  cammino  e  mori 
per  vìa,  dicono  avvelenato  (dr,  J\my,  zx 
69).  Tommaso  d'Aquino,  chiamato  ai  sud 
tompi  il  Doetor  angeiioua  e  santificato  nd  1323, 
ta  il  più  grande  filosofo  e  tedogo  dd  suo 
secolo  e  compose  un  gran  numero  di  open 
(odlz.  migliori  :  Boma,  1570, 18  vdl.  ;  Parigi, 
1660,  23  voli.;  Venezia,  1745-60,  28  vdL), 
allo  quali  e  spedalmente  alla  ammna  tkeoh' 
giea  Dante  attinse  largamente.  Su  Tomm. 
d'Aqu.  si  vedano  A.  Touron,  Lat4»d$tL  Tho- 
mas d'Aquin,  Parigi  1787;  B.  de  Babds,  Ih 
geaHt  et  eoriptit  ae  dodritia  $.  Thomae  Afwm. 
diseertaiionea  xxx  erU,  apolog,,  Yeneda  1760; 
H.  Hortel,  Thomas  wn  Aquino  tmd  some 
Zea,  Augusta  1846;  C.  Jourdan,  La  fìmkh 
Sophie  de  sL  Thom,  d'Aqu,,  Parigi  1868;  C 
Werner,  Der  heU,  Thomas  von  Aquino,  Ba- 
tisbona 1868;  0.  OibelU,  VUa  di  s.  Tomenato, 
Bologna  1862;  J.  Baiellle,  MsL  de  sL  Thom. 
d'Aqu,,  4.^  edlx.,  Lovanio  1862;  B.  Hau- 
réau,  op.  dt,  voL  II,  p.  I,  pp.  8S8-4A3  ;  G. 
Marietti,  San  Franoeseo,  san  TVmwnoso  •  DtmU 
nella  civiltà  cristiana  e  te  relaxionl  tra  loro, 
Yeneda  1888;  17.  Chevalier,   8L   f%omas 


PARADISO  -  CANTO  X 


635 


Se  si  di  tutti  gli  altri  eBser  vuoi  certo, 
di  retro  al  mio  parlar  ten  vien,  col  viso 
102       girando  su  per  lo  beato  serto. 

Quell'altro  fiammeggiare  esce  del  riso 
di  Graaian,  clie  l'uno  e  l'altro  fòro 
106       aiutò  si  che  piace  in  paradiso. 

L'altro,  ch'appresso  adoma  il  nostro  coro, 
quel  Pietro  fu,  che  con  la  poverella 
108       offerse  a  santa  Chiesa  suo  teserà 
La  quinta  luce,  eh' è  tra  noi  più  bella, 
spira  di  tale  amor  che  tutto  il  mondo 
111       là  giù  ne  gola  di  saper  novella: 
entro  v'ò  l'alta  mente,  u'  si  profondo 
saper  fu  messo  che,  se  il  vero  è  vero, 


ifAqMàh,  ibtglfa»w»m,  MoAlMIiud  1868. 
—  100.  8«  if  eoo.  &•  ood  come  ho  ftktto  di 
■•  •  4el  iimutTO  aio  Tuoi  imwg  inlòr- 
■sto  d«l  nome  e  Mie  qudHà  degU  Altri  beati 
di*  «t  «toooBdaDo,  legoi  il  nio  piriftre,  gnw- 
dukdo  Tia  Tia  a  quelli  oh'  io  ti  neodneid.  — 
101.  ftM»t  cfr.  W*  !▼  !!•  —  KML  GrailaB 
eoo.  6iaiiaiH>  naoqae,  teeondo  i  pM,  a  Ghinii, 
■e^iBdo  attii  a  Ouiaia  nel  tenitoiio  d' Or- 
vieto, Tene  la  ine  del  eoo.  xi:  li  fece  bene- 
dettiao  oaiaaMoleee,  fono  nel  monastero  di 
Qaase  pn»o  RaTonna,  e  poi  panò  ad  abitale 
in  Bologna  nel  monaetero  di  8.  Felice,  dello 
■teaao  ordine:  iriineegnò, e oompoie intomo 
al  1140  0  ftonoao  JDMritem  oMia  CbfioorvUa 
iiaoarémMmm  eanoniim,  oon  la  qoale  operai 
oeiinaade  piA  tasionalmente  i  oanoni  dei  oon- 
cUt,  delle  deoretali  e  delle  «me  ■crittoze, 
IbIsIò  la  soienia  del  dizitto  canonioo(ed.  ezi- 
tla»,  Boma,  1660,  per  ofdine  di  Qiegorio  Xm; 
altra  del  Bichter,  Lipda  1886).  Sopra  Gra- 
ibuio  efr.  S.  Friedberg,  Dm  Ikonbum  Qn^ 
ltoi<,  Lipsia  1876;  O.  CaHani,  DaftmMeo 
a$mitto  4i  Bohp^t  BoL  1888,  eapp.  x  e  zm  ; 
H.  Sarti,  Di  efoiit  ankifffmn,  botun.  prùfm., 
BoL  1889,  ToLI,p^  880-864;  Sdralte,  (TmqI^ 
éU§am.  BeektB,  146-76.—  l'ino  e  l'altre  eoo. 
Lana:  « setisse  il  Deorsto  e  Deoretali,  e  fSlli 
sf  perfetti  oàe  plaoe  alla  ragione  e  alla  gin.- 
stiaia»;  Bnt^  meglio:  e peiohé  nel  decreto 
dimostra  come  si  convegna  e  concordi  la 
legge  chrile  ooUa  eodesiastioa  et  e  contra- 
ilo ».  —  107.  Pietro  eco.  Pietro  Lombardo 
naofM  a  LoaeUogno,  nel  territorio  di  No- 
▼aia,  al  principio  del  secolo  zn,  di  funiglla 
porerissima:  studiò  da  prima  in  Novara  e 
poi  a  Bologna;  tìcso  11 1147  andò  in  Francia, 
pdma  a  Belms  poi  a  Parigi,  della  qnale  dttà 
ta  JMto  reeooTO  nel  1168:  mori  nel  1160. 
Dotttai^  nsBe  sdense  saore  e  proAme  eom- 
pcee  i  quattro  Dbil  StiUmtiainim,  nel  quali 
trattò  di  Dio  nno  e  trino,  della  creasione. 


della  redsnsione  e  della  Chissà  cristiana;  di 
qnesf  opera,  càe  meritò  a  Pietro  il  nome  di 
M^itttr  SmUmMmum  ed  ebbe  infiniti  com- 
mentatori nei  seooU  di  poi,  si  che  ▼enunente 
si  pnò  oonsldersre  oome  nn  inoro  di  sacra 
dottrina,  dà  ei^  stesso  nn'idea  nel  prologo, 
seriTondo  :  «  In  laboie  mnito  ao  sodoie  toIu- 
men,  Deo  praestante,  oompegimns  ex  testimo- 
niis  Teriti^  in  aetwnnm  Aindatis,  in  qoa- 
taor  llbris  distinetom,  in  quo  maiorom  exem- 
pla  dootrinamqne  reperies...  breri  volamine 
oomplicans  Patnun  sententias,  i^positis  eomm 
testimoniis,  nt  non  sitnecesseqaaerentl  libro- 
nim  nnmerositatem  erdrere,  coi  bcevitas  col- 
lecta  qnod  qnaeriter  oiEort  sino  labore  ».  8a 
Pietro  Lombardo  cfr.  F.  Protois,  PStmLom-' 
hard,  Mqué  d$  PlaHa,  dU  k  MalUn  d§9  m^ 
t0ihom,  mm  •poqm,  m  vU,  t»  ioriU,  mm  in- 
/hisiws,  Parigi  1881;  padri  Ifauini,  QaUia 
OkriiUana,  Parigi  1744,  roL  VII,  n.  72;  H. 
Sarti,  op.  dt,  toI.  I,  pp.  621-628  ;  e  0.  No- 
groni,  BAMa  votgan,  Bologna  1884,  toL  V, 
pp.  Tn-xm.  —  che  een  la  poTcrella  eoe 
Nel  prdogo  al  libri  8$nlmU,  Pietro  Lombardo 
scriTO  di  Tder  oArire  alla  Chiesa  il  soo  tri- 
buto, oome  la  Todova  porerdla,  di  eoi  rac- 
conta rerangelista  Loca  xxi  1-4,  che  oiErf  a 
Dio  tntto  U  soo  avere,  dae  piccole  monete  : 
e  Capientes  aliqnid  (dioe  Pietro)  de  tennitate 
nostra  01101  poMfWVMfo  in  gaaophyladom  Do- 
mini mittere  ».  A  queste  parole  allude  mani- 
festamente la  preeente  terxina.  —  100.  La 
qalnta  luce  eoo.  È  quella  di  Salomone,  figlio 
di  Davide  e  re  d'Israele,  autore  dd  Cantieo 
iti  mnIM,  pieno  di  calda  passione  d'amore. 
—  111.  gola  :  il  Tb.  gdkxréy  forse  coniato  da 
Dante  (la  lingua  antica  ha  invece  il  vb.  yo- 
Kors,  dedderare,  appetire),  significa  dedderare 
ardentemente.  —  118.  se  11  vere  ecc.  se  la 
sacra  scrittura  non  erra  (e  non  può  errare 
perché  ò  la  verità  essa  stessa)  nessuno  Ai  mai 
pid  sapiente  di  Salomone.  S'allude  al  passo 


636 


DIYIKA  COMMEDU 


114       a  veder  tanto  non  sorse  il  secondo. 
Appresso  vedi  il  lume  di  quel  cero 
che,  giuso  in  carne,  più  addentro  vide 
117       l'angelica  natiira  e  il  ministero. 
NelPaltra  piccioletta  luce  ride 
quell'avvocato  dei  tempi  cristiani, 
120       del  cui  latino  Angustin  si  provvide. 
Or,  se  tu  l'occhio  della  mente  trani 
di  luce  in  luce,  retro  alle  mie  lode, 
128       già  dell'ottava  con  sete  rimani: 


del  JÌZp,  m  12,  ove  Dio  dio»  a  Salomone! 
«  Ecco,  io  fo  eecondo  la  toa  parola  :  eooo,  lo 
ti  do  vn  cuor  eaTio,  ed  intendente  :  tabdie  né 
davanti  a  te  è  itato,  nò  dopo  te  aoigerà  al- 
cun pari  a  te  >  :  ofr.  B»t.  zm  81-111.  — 116. 
11  lane  eoo.  l'anima  Inminoea  di  quel  maestro 
delle  cose  Bacre  ohe  fa  Dionigi  Axeopagita,  il 
qoale,  oonvertito  ai  cslftianeeimo  nel  62  da 
san  Paolo  e  no  disoepolo  (F\M  dtgìi  ApotL 
zvn  84),  ta.  il  primo  reeeoro  di  Atene  emoif 
di  martìrio  vereo  il  96  d.  0.  OU  eono  attri- 
buite pareoofaie  opere  in  greoo,  le  qvali  ora- 
mai sono  tenute  per  apoorife  :  traesse  Dante 
stimaya  molto  quella  DMa  gmwrckia  oafasto, 
da  lui  ricordata  nell'  Bpist.  a  Oangiande,  fi  21 
e  accennata  nel  P»,  xzvm  180.  Su  Dionigi 
ofr.  L.  Cozza,  F8fwiMa«  Ar$opagiiioaé,  Roma 
1702;  0.  Vogt,  UfdmwehmgmiOfer  diòoyù- 
hi/Uhm  Sehrifìm  Ditmygitt»  dm  Artopagitén, 
Berlino  1B86;  L.Montet,rtoMerMduA0wdo- 
Dén^  l'Arèóptigitét  Parigi  1848;  C.  Sohnei- 
der,  Areopagittea  :  die  SehHftm  dm  h»iL  Dim, 
«om  Armpaffi  eim  Vérthéidig%utg  Hwtir  JBoAi^Mf, 
Batisbona  1884.  —  116.  pitf  addentro  eoo. 
intese  e  spiegò  me^o  d'ogni  altro  la  natura 
e  l'officio  deg^  angeli  :  infatti  i  più  grandi 
teologi,  come  Giovanni  Damasceno,  Pietro 
Lombardo,  Tommaso  d'Aquino,  seguirono, 
quanto  agli  angeli,  la  dottrina  di  Dionisio.  >- 
119.  o«ll'*vroM^  *oo.  Paolo  Orosio,  sacer- 
dote spagnuolo  vissuto  tnt  la  fine  del  ir  e  il 
prind^o  del  v  secolo  d.  0.,  scrisse  per  ecci- 
tamento di  sant'Agostino  sette  libri  EùfUh 
riamm  oAmnu»  pagano»  (ed.  critica  di  G. 
Zangemelster,  Lipsia  1889),  una  storia  uni- 
Tersale  dai  tempi  primitivi  sino  al  417,  con 
parzialità  in  favore  dei  cristiani  e  con  errori 
(ofr.  T.  M6mer,  JM  OrotU  vUa  itnuquB  Mdo- 
rianm  Ubri$,  Berlino  1844).  Di  quest'opera 
assai  conosciuta  nel  medioevo  (ta  tradotta  in 
volgare  da  Bono  Giamboni,  alla  fine  del  s»- 
colo  X3nX  Dante  aveva  molta  stima,  tanto  da 
rassegnare  Qrosio  con  Gioeione  e  Livio  fra 
i  migliori  prosatori  latini  (ofr.  De  vuig.  eìoq, 
n  6)  e  da  citarlo  abbastanza  spesso  (cfr.  Cbnv. 
m  11,  i>9  mon,  n  8,  9, 10  ecc.)  ;  nò  deve  pa- 
rer singolare  ch'egli  l'abbia  messo  tnt  i  cam- 
pioni  della  fsde  cristiana,  sebbene  per  la  fama 


minore  lo  rappresenti  come  «  ploololetta  luce»: 
ofr.  P.  Toynbee,  Bk,  1 18-29.  Alcuni  oom- 
mentatoiri  antloU,  Lana,  Pietro  di  Dante, 
(]ass.,  An.  fior.,  orsdettero  che  questo  ossi»* 
coto  (M  tempi  erieètemi  fosse  sanf  Ambrogio, 
arcivescovo  di  MUano  (840-897)  ;  ma  già  l*Ott 
oonobbe  e  il  Bntl  ammise,  seguito  da  tutti  i 
moderni,  l'opinione  migliore  òhe  in  tad  rieo- 
nosce  Orosio:  0.  Fea,  ìhiova  interpreiaxSam 
<ii  Ufi  «0nod(i>.^.,Boma  1829,*  A.  Man- 
cini, Giom,  dmL^  U  888-842,  sostonneio  che 
questo  oesoooto  fosse  TiattanzJo  Firmiano,  au- 
tore di  sette  libri  DMnarmn  intHMioimm, 
apologia  del  crirtlanesimo.  — 120.  del  eal  ecc. 
delle  opere  del  quale  molto  si  valse  sant'Ago- 
stino nel  suo  libro  De  àktUaU  Dei  (ofr.  Baehr, 
Die  ehrieU.  rSm,  7%aoI(y.,  pp.  260  e  segg.).  Di 
Orosio  dice  s.  Agostino  nel  libro  De  raUcm 
animae:  «Ecce  venit  ad  me  reUgioue  iurenis, 
catholica  pace  frater,  aetate  filius,  honoreeom- 
presbyter  noster,  Oxosius,  vigil  ingenio,  paia- 
tus  eloquio,  flagrane  studio,  utile  vaa  in  domo 
Domini  esse  desiderans  ad  reflèUeBdas  fidsss 
pemidosasque  doctrinss,  quae  animaa  Hispa* 
norum,  multo  infelidus  quam  ooipata  barba- 
ricus  gladius,  truddarunt  ».  —  121.  trani: 
trasporti,  trascini;  ò  vb.  non  usuale  né  pare 
negli antidki(cfr.  G.  VllL,  Or.  vm  89).  — 122. 
retre  ecc.  seguendo  con  io  sguardo  le  anime 
che  io  vado  encomiando.  —  128.  dell' ettava 
ecc.  Questa  è  l'anima  di  Anido  Manlio  Tor- 
quato Severino  Boezio,  senatore  romano,  nato 
intomo  al  470  d.  0.,  elevato  alle  pifi  alte  di- 
gnità, e  poi  imprigionato  e  condannato  a  morte 
da  Teodorico  nel  624:  delle  sue  opere  fri  ed 
è  famosa  sopra  tutte  il  libro  De  eoneotatkfne 
philoeopkiae,  scritto  in  carcere  e  misto  di  pro- 
sa e  poesia,  ove  nppresenta  la  filosofia  che 
lo  oonforta  delle  sue  disavventure,  e  ove 
per  la  prima  volta  appare  l'accordo  tra  la  fi- 
loaofia  antica  e  la  dottrina  cristiana.  S  dir 
sputa  se  Boezio  fosse  convertito  alla  nuova 
religl<me,  ma  certo  ta  cristiano  di  spiriti,  sia 
per  il  calore  del  sentimento  reUgioeo,  aia  per 
Urigidità  ortodossa  delle  dottrine  :  tale  lo  ore- 
dette  il  medioevo,  onorandolo  del  titolo  di  santo 
e  del  culto  prestato  ai  martiri;  e  tale  lo  cre- 
dette Dante,  ohe  ebbe  carissime  le  opere  sue 


PARADISO  -  CANTO  X 


b37 


per  vedere  ogni  ben  dentro  vi  gode 
l'anima  santa,  ohe  il  mondo  fallace 
126       &,  manifesto  a  chi  di  lei  ben  ode; 
lo  corpo  ond'ella  fu  cacciata  giace 
giuso  in  Gieldauro,  ed  essa  da  martiro 
129        e  da  esilio  venne  a  questa  pace. 

Vedi  oltre  fiammeggiar  l'ardente  spiro 
d'Isidoro,  di  Beda  e  di  Eiccardo 
182       che  a  considerar  ^  più  che  viro. 

Questi,  onde  a  me  ritoma  il  tuo  riguardo, 
ò  il  lume  d'uno  spirto,  che  in  pensieri 
135       gravi  a  morir  gli  parve  venir  tardo: 
ò  la  luce  etema  di  Sigieri, 

H.  HeizbeiKi  Dm  HiiloriMunddie  Cffmmiken 
dM  IMcfer  «on  iS^vtUs,  Gottiiiga  1874.  —  B«4ft  s 
Beda  detto  il  Tenembile  nacque  a  Veiemath, 
in  Ingliilterra,  nel  674,  ta  fatto  prete  a  tren- 
f  anni  e  passò  tutta  la  sna  Tita  negli  stadi  e 
nelle  pratiche  religiose  :  mozlnel  735,  lasciando 
moltissime  opera  delle  più  srariate  materie 
(ediz.  critica  di  J.  A.  Giles,  Londra,  1848-44, 
12  volL),  tra  le  qnali  sono  molto  Importanti 
la  Hutoria  soototiortico  genti»  Angìonmn  e  le 
OwmUm.  Si  cfr.  H.  Gbhle,  De  Beda»  «ensrafr. 
rrttb,  Anfflo-eaa,  vita  et  «ori^pti»,  Lndg.  Batar. 
1888,  e  C.  Werner,  Beda  der  Ehniàrdige  und 
teine  Zeit^  Vienna  1876.  —  Bleeardo:  questo 
nomo  di  soyromana  dottrina  ò  lo  scozzese  Bio- 
cardo  de  St  Victor,  cosi  detto  dal  nome  della 
celebre  abbazia  di  'Parigi  nella  quale  egli  ta 
prima  discepolo  di  Ugo  de  St  Victor  e  poi 
priore  dal  1162  sino  alla  sua  morte,  ayyenuta 
nel  1178:  ta  fiorissimo  oppositore  del  razio- 
nalismo e  per  le  sue  tendenze  mistiche  ebbe 
il  nome  di  Magnue  eontemplator  :  scrisse  mol- 
tissime opere  teologiche  (ed.  critica,  Bouen, 
1660),  tn  le  quali  sono  più  note  il  Benkmiin 
maior  e  il  Bentamin  minor  o  i  libri  De  trini- 
to^  Si  ofr.  0.  T.  Liebner,  .BicAonit  a  ^.  FMorv 
de  eontempUUiom  dootrina^  Gottinga  1887;  O. 
EauUch,  Die  Léhre  wn  Ugo  %md  IHehard  von 
8t.  Tietor,  Praga  1864.  ~  188.  ({vesti  ecc. 
Quest'anima,  con  la  quale  si  compie  il  giro 
dalla  mia  parte  sinistra,  si  che  tu  guardando 
lei  ritomi  oon  la  vista  a  me  ecc.  —  184.  ehe 
Ìb  pensieri  eoe  il  quale  meditando  grave- 
mente sulle  cose  mondane  desiderò  di  morire 
per  sottrarsi  a  queste  Hallaoie.  — 136.  Slgierl 
eco.  Sigieri  di  ^abante,  nato  nella  prima  metà 
del  secolo  zm,  ta  discepolo  di  Boberto  di  Sor- 
boa  e  si  hanno  memorie  eh'  egli  avesse  parte 
nei  contrasti  deU'  università  di  Parigi  nel  1266 
e  nel  1276:  ti  uno  dei  principali  autori  delle 
proposizioni  condannate  nel  1277  da  Ste£uio 
Templario,  e  perseguitato  come  eretico  fini  i 
suoi  giorni  in  Orvieto,  verso  il  1288,  di  morte 
violanta.  Del  resto  intomo  a  lui  è  molta  oscu- 


(cfr.  (Jone.  1  2,  U,  n  8,  11,  13,  16,  m  1,  2, 
IV  12,  18;  De  man,  1 11,  u  9  ;  Inf,  v  128).  Su 
Boedo  cfr.  S,  Comi,  Mèm.  etor,  eopra  Severino 
Boezio,  Venezia  1812;  A.  Beale,  Rieordarwe 
della  vita  e  dette  opere  eoe  Pavia  1841;  L  0. 
Suttner,  BoetMue  der  ìetKor  Sdmer,  Eichsadt 
1862;  F.  Nitach,  Dae  Bgsltm  dee  BoeOme, 
Badino  1860;  F.  Pucdnotti,  n  Boezio  ed 
aOri  eeritU  etoriei  e  fUoeofioi,  Fir.  1864;  O. 
▲.  L.  Baor,  Bo<<MiM  «nd  jDorUs,  Lipsia  1878; 
L.  C.  Bourquard,  i>9^.  Jf.  8.  Boetio  ohrietiano 
viro,  philoeofo  ao  teologo,  Angers  1877;  A. 
Hildebiand,  BoAMus  und  eeine  SteUung  xum 
OtrietenUmme,  Batisbona  1886;  B.  Peiper, 
pcelìazione  al  libro  De  ooneol.  pML ,  Idpsia, 
ijBTl.  ~  124.  per  vedere  eco.  poiché  vede  Dio, 
■oou&o  bene,  ò  beata  in  quella  luce  eco.  — 
126.  éhe  il  mondo  eco.  che  a  chi  ne  considera 
bene  la  vita  e  le  opere  fa  vedere  quanto  sia 
ingannevole  il  mondo.  — 128.  glnso  ecc.  nella 
hasilioa  di  San  Pietro  in  Ciel  d'oro  (e  S.  Petrl 
in  Godo  Aureo  »,  dice  l'Anon.  Tidn.,  De 
knuL  PbpJM  in  Mur.,  JZff*.  Oot  XI18)  di  Pa- 
via, ove  Boezio  fu  sepolto  e  ove  Liutprando 
le  longobardo  avrebbe  fatto  erigere  un  sepol- 
cro per  lui  e  per  sant'Agostino  (ofir.  A.  Qraf, 
Soma  netta  memoria  ecc.  dt.,  voL  n,  pp.  843 
e  segg.).  ~  da  martire  ecc.  oCr.  Far,  ^  148> 
— 181.  Islderox  Isidoro  di  Siviglia,  oosl  detto 
perché  Al  vescovo  di  questa  città,  nacque  a 
Oartagena  intomo  al  670  e  mori  nel  686  ;  fu 
nono  dottissimo  e  scrisse  opere  svariate  di 
storia,  di  grammatica  e  di  teologia,  che  nel 
medioevo  fbxono  molto  stimate  (ediz.  delle 
Oper.omeeSa,  Boma,  1797-1808,  quattro  volL); 
principali  di  esse:  i  venti  Ubri  Originum eeu 
éymtkgkwym,  ^ede  d'Enciclopédia  conte- 
nente l'esposizione  delle  sette  arti  liberali. 
deOa  medicina,  della  giurisprudenza,  della  sto- 
ria religiosa  •  in  fine  molte  questioni  di  lin- 
gua, importante  per  le  mdte  notizie,  e  i  tre 
IShii  SmimUanm  eke  de  smumno  tono,  opera 
tedogioa,  per  la  quale  specialmente  Dante  lo 
pose  tra  ^  wj&AM  di  questo  cielo.  Su  lui  cfr. 


638 


DIVINA  COMMEDIA 


elle,  leggendo  nel  vico  degli  strami, 
138       sillogizzò  invidiosi  veri  >. 

Indi  come  orologio,  ohe  ne  chiami 
nell'ora  che  la  sposa  di  Dìo  sarge 
141        a  mattinar  lo  sposo  perché  Tami, 
che  Pana  parte  l'altra  tira  ed  urge, 
<tin  tin'  sonando  con  si  dolce  nota 
144       che  il  ben  disposto  spirto  d'amor  targo; 
cosi  yid'io  la  gloriosa  rota 
moversi,  e  render  voce  a  voce  in  tempra 
ed  in  dolcezza,  ch'esser  non  paò  nota 
148    se  non  colà  dove  gioir  s'insempra. 


lità  •  gnade  disparità  d'opinioni;  ma  or- 
mai dopo  gli  stadi  di  C.  Baenmlrar  e  di  F. 
Mandonnet  (sui  quali  ofir.  F.  Toooo,  Bull.  VI 
161-168,  Vn  86-88,  49-69)  €  non  è  pi6  dnb- 
bio  che  SIgieri  di  Brabante,  professore  a  Pa- 
rigi, fosse  ano  schietto  avenoista,  che,  ar- 
▼alendosi  della  famosa  distinzione  delle  dae 
verità,  come  credente  ammetteva  la  crea- 
Kione  dal  nalla,  oome  filosofo  la  negava  po- 
nendo con  Aristotele  il  mondo  etemo  »  (Tocco, 
Cfonf,  mil,  n  200).  È  poi  accertato  in  modo 
indubitabile  che  il  Sigieri  dantesco  d  una 
stessa  persona  con  quello  del  Fiore  (poema 
antico,  pubbL  da  F.  Castets,  Montpellier  1881, 
e  meglio  da  0.  Mazzatinti,  ManoaeritH  UaL 
dM»  bOfUot,  di  JTVanoa,  voi.  Ili,  Boma  1888), 
ove  si  legge  (son.  xcu)  :  e  Mastro  Sighier  non 
andò  guari  lieto  :  A  ghiado  il  fé'  morire  a 
gran  dolore.  Nella  corte  di  Boma,  ad  Orbi- 
vieto  ».  Sulla  questione  si  vedano  anche  G. 
Cipolla,  Sigieri  nella  div,  Comm.  nel  Oiom, 
sUrr.  della  leU.  Hai.,  a.  1886,  voL  Vm,  pp. 
63-140;  a.  Paris,  nella  Romaniay  a.  1887, 
voL  XVI,  p.  611;  e  0.  Mazzoni,  Buìl.  U 
118.  —  187.  leggendo  ecc.  insegnando  nel- 
l'univexsità  di  Parigi.  Il  vtoo  degli  strami  è 
la  rus  dt»  J^bMorrs,  detta  dal  Petrarca  /hi- 
go8U9  tbraminum  viéu»  (5mi.  ix  1),  nella  qua- 
le erano  le  scuole  di  filosofia.  —  188.  slllo- 
flKsò  eco.  dimostrò  coi  suoi  sillogismi  delle 
verità  0  proposizioni  filosofiche,  le  quali  gli 
partorirono  odio,  gli  suscitarono  oontro  degU 
oppositori  :  la  frase  invidiosi  veri  è  da  parago- 
nare con  quella  del  Petrarca,  Trionfo  della 
Fama,  in  87  :  «  Credendo  averne  invidiosi 
patti  >.  —  189.  Indi  ecc.  Appena  Tommaso 
d'Aquino  ha  finito  di  dire  l  nomi  dei  compa- 


gni, questi  riprendono  0  loro  giro  •  Il  canto, 
e  poi  si  fermano  ailindió  l'Aqoinate  poesa  ri- 
parlando sciogliere  i  dubbi  di  Dante.  —  fwa» 
orologio  eoo.  oome  nell'orologio  a  sveglia, 
che  suona  nelle  ore  mattutine,  pare  per  fi 
movimento  simultaneo  delle  varie  mote  ohe 
Tona  tiri  e  spinga  l'altra  e  cosi  si  produce 
il  tintinnio  del  campanello  eoo.  -^  140.  mI- 
l'ora  ecc.  nel  principio  del  mattino,  quando 
la  C^esa  o  la  comunione  dei  fedeli  sorge  a 
recitare  {«eghiere  per  acquistarsi  ramore  di 
Dio.  Borgh.,  a  proposito  di  chi  spiega  maUi' 
nare  por  dire  mattOino,  osserva  giustamente: 
«  Si  potrebbe  tollerare:  ma  pur  non  è  proprio 
suo  significato,  perché  poteva  dire  altre  ora- 
rioni,  e  non  sol  matutino:  e  mattinate •  «ar»- 
nate  son  propriamente  canti  die  si  Canno  fi 
notte  alle  dame,  e  a  questo  ebbe  l'oocUo  il 
poeta:  e  a  quelle  usanze  risgnardd  con  b^ 
lissima  e  prettissima  similitudine  ;  Q  die  non 
solo  ò  facile  ad  intendere,  ma  ha  anoor  seco 
una  propria  e  singoiar  efficacia,  ohe  diletta 
col  ridurli  a  memoria  quell'usanza,  che  non 
può  r  uditore,  e  comprende  più  col  seneo  che 
non  suonano  le  parole;  e  tutto  questo  In  si- 
mili esposirionl  si  perde,  e  l'arguzia  del  poeta 
non  si  vede  >.  —  144.  il  ben  eoo.  riempie 
d'amore,  di  religioso  fervore  gli  animi  dei  cre- 
denti, disposti  aUa  preghiera.  —  145.  eesf 
vid'ie  ecc.  cosi  si  mosse  la  corona  del  do- 
did  spiriti,  i  quali  tanevansl  per  mano,  e 
oosf  daacuno  tirava  a  sé  il  compagno  di'  em 
dall'una  parte  e  sospingeva  quasi  n  com- 
pagno che  aveva  dall'altra.  —  146.  rwder 
ecc.  cantare  con  accordo  e  ddcezza  di  pam- 
dlso.  —  148.  s' Intempra:  si  perpetua,  di- 
viene etemo. 


PARADISO  -  CANTO  XI 


639 


CANTO  XI 

Tommaso  d*  Aquino,  incominciando  a  spiegare  i  dne  dnbbt  sorti  nel- 
Inanimo  di  Dante,  parla  dei  dne  campioni  della  fede,  san  Francesco  e  san 
Pomenioo,  e  descritta  largamente  la  yita  dell'  ano  lamenta  con  grari  parole 
la  decadenza  dell'ordine  monastico  fondato  dall'altro  [14  aprile,  ore  anti- 
meridiane]. 

O  insenaata  cura  dei  mortali, 
quanto  son  difettivi  sillogisini 
3        quei  che  ti  fanno  in  basso  batter  Talil 
Chi  retro  a  iura,  e  chi  ad  aforismi 
sen  giva,  e  chi  seguendo  sacerdozio, 
6        e  chi  regnar  per  forza  o  per  sofismi, 
e  chi  rubare,  e  chi  civil  negozio, 
chi  nel  diletto  della  carne  involto 
9        s'affaticava,  e  chi  si  dava  all'ozio; 
quando,  da  tutte  queste  cose  sciolto, 
con  Beatrice  m'era  suso  in  cielo 
12        cotanto  gloriósamente  accolto. 
Poi  che  ciascuno  fa  tornato  ne  lo 

punto  del  cerchio,  in  che  avanti  s'era, 


XI  1.  0  ÌBieaMU  eoo.  Lomb.:  cCom- 
prendoBO  questi  primi  quattro  tenetti  non  al- 
tro ohe  una  digxessione,  oolla  qoale  oompiange 
fl  poeta  la  oeoitàde'  mondani  ohe  si  trovavano 
in  oniociose  oooapazioni  dica  le  oose  delia 
terra,  mentr'ee^  goderà  delle  delizie  oeleetl  > . 
La  mossa  di  questa  digressione  ricorda  il 
Teno  di  Lucrezio  n  21:  e  0  miseras  hominum 
me&tea,  o  pectora  ooeoa  »,  e  quello  di  Persio 
I  1:  «  O  curas  hominumi  o  quantum  est  in 
rebus  inane  !»  —  2.  quanto  eoo.  quanto  sono 
ertone  i  ragionamenti  che  fumo  volger  gli 
animi  degH  uomini  alle  oose  terrene.  —  4. 
imrtkz  le  scienze  giuridiche,  il  inu  ckUe  e  il 
«M  etmonhum,  •  leggi  e  decretali  »,  nota  il 
Lana. — aforismi  :  la  medicina,  cosi  designata, 
per  1^  Aforismi  d' Ippoorate.  —  6.  sacerdo- 
ilo:  offioi  ecclesiastici  lucratìTi,  «prebende 
e  prelazioni  »,  dice  il  Lana.  —  6.  regnar  ecc. 
esercitare  la  signoria  o  la  preponderanza  nel 
goreimo,  o  con  la  violenza  o  per  gli  Inganni  : 
€  ^esto,  dice  l' Ott.,  ò  quando  la  cittade  ò 
commessa  al  governo  di  alquanti  pochi,  11 
quali  per  persuasioni  e  per  pulite  dicerie  in- 
gannano tutta  Feltra  cittadinanza,  traspor- 
tandoli bene  comune  in  sua  propria  utilitate  ». 
Dante  pensava  certo  scrivendo  questo  e  i  se- 
guenti varai  a  tutti  i  fibooendieri,  spedalmente 
gli  uomini  di  legge  Iktti  a  posta  a  parlare,  che 
nei  eonsigtt  della  sua  Firenze  traevano  alle 
ter  sentenze  i  pid  dei  cittadini:  di  taU  fào- 
i  furono -Corto  Donati,  «  piacevole,  sa- 


vio e  ornato  parlatore  »  (D.  Compagni,  Or,  n 
21),  Baldo  d'AgugUone  e  Fazio  da  Signa  ba- 
rattieri grandi  e  giudici  (ctr.  Bar,  xvi  66),  e 
molti  altri  loro  simili  ohe  vivono,  sinistre  fi* 
gure,  nelle  pagine  del  cronista  dei  Bianchi. 
—  7.  ehi  cirll  ecc.  si  cfr.  per  altro  dò  che 
Dante  scrive  nel  Oom.  il:  «La  cura  fami- 
liare e  civile  eonomevobnmU  a  sé  tione  de- 
gli uomini  il  maggior  numero,  si  che  in  ozio 
di  speculazione  essere  non  possono  ».  —  10. 
da  tutte  queste  cose  eco.  Buti  :  «  Ecco  ohe  ha 
contato  lo  nostro  autore  nuove  cure  e  soUi- 
dtudinl  che  gli  uomini  mondani  pigliano  in- 
gannati dall'amore  mondano,  cioè  dei  beni 
mondani,  doò  li  ludid  delle  leg^  canoniche 
e  dvUi,  li  medid  dolla  fisica  e  della  dmgfa, 
li  cherid  dell!  ordini  ecclesiastld  e  de'  bene- 
fld,  li  signori  di  signoria,  li  rubbatorì  in  rub- 
baro,  li  artefld  nei  loro  artifid,  11  carnali  e 
lussuriosi  nd  diletti  carnali  e  lussurie,  e  U 
pigri  ne  Tozio;  onde  ha  toccato  quasi  tutte 
le  diversità  degli  esercizi  degli  uomini  mon- 
dani, da  li  quali  dimostra  sé  essere  libero  por 
lo  studio  preso  de  la  santa  teologia  ».  — 12. 
cotanto  ecc.  Si  avverta  che  il  verso  d  da  leg- 
gere distinguendo  le  due  parti  dell'avverbio, 
gìoriisa-^nmte;  come  in  quello  del  Petrarca, 
canzone  zxvm  60  :  «  Nemica  naturalmente 
di  pace  ».  —  13.  Poi  ecc.  Appena  dasonna 
delle  dodid  anime  ebbe  ripreso  luogo  nel 
punto  del  cerchio,  ov'era  prima  di  rimettersi 
in  moto  {Fttr,  z  79-81,  146-146),  si  fermò. 


640 


DIVINA  COMMEDIA. 


15       £anno88Ì  come  a  oandelier  oandelo; 
ed  io  Benti'  dentro  a  quella  lamiera, 
che  pria  m'avea  parlato,  sorridendo 
18       incominciar,  &cendo8Ì  più  mera: 
<  Cosi  com*  io  del  suo  raggio  risplendo, 
si,  rignardando  nella  luce  etema, 
21        li  tuoi  pensieri,  onde  cagioni,  apprendo. 
Tu  dubbi,  ed  hai  voler  ohe  si  discema 
in  si  aperta  e  in  si  distesa  lingua 
24       lo  dicer  mio,  oh*  al  tuo  sentir  si  stema, 
ove  dinanzi  dissi  :  '  u'  ben  s' impingua,  ' 
e  là  u*  dis9i  :  '  non  surse  il  secondo;  * 
27        e  qui  ò  uopo  che  ben  si  distiiìgna. 
La  provvidenza,  che  governa  il  mondo 
con  quel  consiglio  nel  quale  ogni  aspetto 
90       creato  è  vinto  pria  che  vada  al  fondo, 
però  che  andasse  v6r  lo  suo  diletto 
la  sposa  di  colui,  eh*  ad  alte  grida 
88        disposò  lei  col  sangue  benedetto, 
in  sé  sicura  ed  anco  a  lui  più  fida, 
due  principi  ordinò  in  suo  favore, 
86        che  quinci  e  quindi  le  fosser  per  guida. 
L*un  fu  tutto  serafico  in  ardore. 


^ 


rimanando  ImmobiU.  —  m»  lox  rima  compo- 
sta, ofr.  Jnf,  vn  28.  — 15.  eoma  eoo.  nell'ii»- 
mobiUtà  propxia  della  candela  llMata  nel  oan- 
delieie.  —  oaadel^s  cfr.  Bar,  xxx  64.  — 
16.  a  f  «ellA  eoo.  a  quella  looe  ohe  arrol- 
gev»  l'anima  di  Tommaao  d'Aquino,  ohe  già 
m'aTera  pedate  (iV.  z  82).  — 18.  fkeenOoil 
eoo.  perché  al  nnoro  aidore  di  oaiità,  ohe 
morera  quell'anima  a  sdoglien  i  dnbbt  di 
Danto,  doTera  oozxispondere  on  aooreeoisianto 
della  luce.  —  19.  Coil  eoo.  Lana  :  €  Com'  io 
zispleodo  del  radio  di  Dio,  oosi  in  eiio  veggio 
quello  àbé  penai  >.  ^  21.  11  Inoi  eoo.  ap- 
prendo da  ohe  tu  tnggi  cagione  ai  tuoi  pea-^ 
siezi  dubUoaL  —22.  eke  il  diaeerma  eoo.  ohe 
il  mio  disoozao  aia  chiarito  oon  pid  manifBsto 
e  largo  parlare  tanto  ohe  ai  Ikcoia  piano  alla 
tua  intelliganza,  riapetto  a  due  punti  eoo.  — 
24.  il  iteraa  t  il  Tb.  tttrntn  è  usato  da  Danto, 
oon  effloaoe  traalato,  nel  senso  di  render 
piano,  fiMsUe,  chiarire,  anche  in  Ar.  zxri  87, 
40,  4S.  —  25.dlnaailsGfr.JPbr.z96.  — 26. 
là  «*  eoo.  ofr.  Fùr.  x  114.  —  27.  •  q«l  eoo. 
•  a  proposito  di  questi  due  dubbt  è  necessario 
£tt  una  buona  distinsione,  doè  trattarne  ao- 
curatamente  perché  d  materia  di  molta  imporr 
tanza.  Sul  primo  dubbio  Tommaso  s'intza;^ 
tiene  pariando  di  san  Franoesoo  e  san  Dome- 
nico (YT.  28-42),  della  Tita  del  primo  (tt.  48- 


117),  dell'ordine  fondato  dal  secondo  (tt.  118- 
189);  sull'altro  dubbio  parla  in  Bar,  zm  Si- 
ili. —  28.  Il»  yraTTldensa  ecc.  La  prorfi^ 
densa  dirina,  la  quale  gorenia  il  mondo  oon 
ai  profondo  consiglio  ^e  nessuna  mentemnana 
pud  penetrarlo,  ^e  ogni  sguardo  è  abballato 
prima  di  giungere  a  Tederà  il  segreto  p— »^^I1^ 
della  divinità.  —  81.  per^  eoo.  nflinohé  la 
Chiesa  persistesse  nell'unione  oon  Orìato  pad 
siouza  di  sé  e  pid  fodele  a  lui  eco.  laoopo  de 
Vitry,  £Ìifor{aoo0Uffi<alit,cap.zzzn  (ed.  A 
Donai,  1697,  p.  848):  €  ut  contra  Antiohristi 
perioulosa  tempora  novos  athletas  praepararet 
et  eodeeiam  praemuniendo  foloiret  »:  efr.  an- 
che Par.  zn  87-45.  —  82.  di  eol«l  eoe  di 
Cristo,  ohe  si  disposò  alla  Chiesa  ▼usando  il 
suo  sangue  nella  passione  e  gridando  nel  mo- 
mento di  rendere  lo  spirito  (ofr.  Ifatteo  zzm 
60,  Marco  zr  87,  Luca  zzm  46).  —  88.  eel 
sangue  eoo.  ofr.  Fatti  dt§U  À^otL  zz  28:  €  La 
chiesa  di  Dio  la  quale  egli  ha  anquistata  col 
proprio  sangue  >.  ^  86.  dM  eco.  oidind  in 
aiuto  dalla  Chiesa  due  c^  san  Frmnoeeoo  e 
san  Domenioo,  i  quali  le  fosser  guida,  quAnA 
•  quUmàt,  cioè  nel  renderia  piA  sioum  di  sé 
accendendola  di  mrafiioo  orvlorf,  e  più  fodele 
a  Dio  aiutandola  della  tikmyòioa  tiipimre.  — 
87.  L'uB  eoo.  San  f^anosaoe  flt  tutto  acceso 
nell'ardore  della  carità,  e  però  é  detto  «ro- 


PARADISO  —  CANTO  XI 


641 


l'altro  per  sapiensa  in  terra  fde 
89       di  oherubioa  luce  uno  splendore. 
Dell*  un  dirò^  però  che  d'ambedue 
si  dice  l'un  pregiando,  qual  oh'uom  prende, 
42       perché  ad  un  fine  fXir  l'opere  sue. 
Intra  Tupino  e  l'acqua  che  discende 
del  colle  eletto  del  beato  Ubaldo, 
45       fertile  costa  d'alto  monte  pende, 
onde  Perugia  sente  freddo  e  caldo 
da  porta  Sole,  e  di  retro  le  piange 
48       per  grave  giogo  Noeera  con  Gualdo. 


fiooy  poiché  «SarapMmiiitarpretetorardMitM... 
et  denominatar  ab  udore  chaiitatte  >  (Tomm. 
d'Aqn.,  Amnm.  P.  I,  qo.  Lzm,  art  7).  «  88. 
I*altr«  eco.  san  Domeoieo  per  la  sua  lapieiaa 
fa  come  uno  ^lendore  di  chtrybiM  luce  mila 
terra;  poiché  e  Okmibm  intarpretatar  flmk- 
tmdo  «ntutfcM....  et  do  patet  qnod  Chembin 
denominetor  a  toientia  »  (Tomm.  d'Aqu.,  L 
dt,),  —  da  Dell'vB  eco.  Io  pallerò  di  lan 
Franceeoo,  perché  enoomiando  uno  dei  due, 
qnalanqoe  poi  li  prenda,  si  fi  l'elogio  d'en- 
trambi, avendo  evi  operato  aUo  steeeo  fine 
d'aiutare  la  Ghieea.  Tommaso  d'Aquino,  del- 
l'ordine  domenicano,  prende  a  lodare  san 
Frmnoesoo  e  a  deplorare  la  decadenza  del 
proprio  ordine;  come  poi,  per  simmetria,  Bo- 
BaTantora  da  Bagnorea,  dell'ordine  france- 
scano, farà  r.elogio  di  San  Domenico  e  la- 
menterà la  decadenia  dei  frati  minori  (ofr. 
Bmt,  xn  4A  e  segg.).  —  dirò  x  nel  ritessore 
la  rtta  di  san  Francesco,  che  nacque  in  Assisi 
nel  1182,  da  giovane  si  ritrssse  a  vita  reli- 
gioea  e  fondò  il  sno  ordine,  e  moil  nel  1226, 
Dante  si  attenne  ai  più  antichi  biografi  e  spe- 
cialmente a  Tommaso  da  Gelano  (Viia  F)rttnoi- 
mi  nei  BoUandisti,  Aela  tanetorum  Oetobrig^ 
ToL  n,  pp.  688-72S),  ai  tre  soci  (AppencUa  ad 
home  eitom,  anctor.  tribos  Sancti  sociis,  Leone, 
BuAqo  et  Angelo,  L  dt.,  pp.  723-742,  e  La 
leggenda  di  s.  t^raneeieo  teriOa  da  tre  tuoi 
wmpoffni,  Boma  1899),  e  a  s.  Bonareotora 
iVUa  FrwM.,  L  dt,  pp.  742-798  0  Legenda» 
duo»  de  Vito  s.  FmiUei^  Qnaraoohi  1898): 
a  illostcaxione  di  questo  fonti  d  cfr.  i  Bol- 
laadiati,  L  dt,  pp.  646-688;  F.  0.  Chalippe, 
Fii  4if  «.  Fnmfoiè  d*Aiaiu,  Parigi  1727;  J. 
Ooerrss,  Der  htiL  F^raiwffonJMisiein  TVkn*- 
badour^  Strasbnrgo  1826;  E.  Yogt,  Ikt  hML 
W)rm».9mAm.,Txk}Aaga  1840  ;  F.  £.  Chavin 
de  ìSaìaxi,maUfkÉd§t.t)rtÈn.d'At»„  Parigi, 
ì8il;T.U(a\ik,8L  Frantoi»  d^Aa9,d  Ut  Flw^ 
eitoaint,  Parigi  1868;  0.  Base,  F^raiw  von 
Aat^  lipda  1866;  B.  Bonghi,  5.  Froinù.  d*At- 
titi.  Città  di  Castello  1882;  Q.  Di  Oiovanni, 
S.  FmnfOtteo  d'JLttiti  Oirgenti,  1888;  P.  Sa- 
batier,  n$  d$  ti.  Fran^oit,  Paris  1892:  e  M. 

DAirrv 


Barbi,  BmO.  Vn  78-101.  -  43.  ptrelid  eoe 
ofr.  Far,  m  86.  —  48.  Intra  eoe  CircosoriTe 
e  con  la  consueta  fedeltà,  la  quale  è  la  più 
inftdlibile  testimoniaaa  della  sua  personale 
Tidone  (Bassennann,  p.  266)»,  la  posisione 
di  Assisi,dttà  deU'Umbria,  posta  sul  pendio 
ooddentale  del  monte  Subado  ohe  sorge  fra 
due  piccoli  fiumi,  fl  Tupino  e  il  Chìasdo, 
i  quali  discendono  dall' Apennino  e  congiun- 
gendod  poi  prssso  a  Bosdano  portano  le 
loro  acque  al  Tevere.  ~  l'acfaa  ecc.  il  Chia- 
sdo  die  scaturisce  dal  monte  Ansdano,  uno 
dd  piccoli  monti  di  Gubbio  che  stanno  intomo 
al  CatrU  (cfr.  Ar.zxi  100);  ivi  U  beato  Ubaldo 
Baldasdni  eugubino  (n.  10B4,  vescovo  di  Gub- 
bio 1129-1160)  d  ritrssse  a  vivere  nella  sua 
giovineacsa,  o  secondo  altri,  pensò  di  ritrard 
più  tardi  sema  pd  attuare  il  suo  pensiero; 
cfr.  Teobaldo  da  Gubbio,  Vita  di  taiW  Ubaid^ 
trad.  comment  e  aocresduta  da  B.  Bc^osati, 
Loreto,  1760;  L.  Giampaoli,  8.  Ubaldo  oano- 
nieo  rtgotam  laitr,  ecc.  Bocca  8.  Casdano, 
1886-1886;  G.  Haszatinti  nell'ilraà.  tior.ptr 
U  Marche  §  fUmbriOt  voL  IH,  pp.  226  e  segg. 
—  46.  fertile  ecc.  pende  verso  Perugia  la 
costa  ooddentale  dd  monte  Subado,  fertile 
di  viti  e  d'olivi.  —  46.  Pengla  eoe  ladttà 
di  Perugia,  che  è  posta  a  poca  distanza  dal 
monte  d'Assid,  risente  dalla  parte  d'oriente, 
dalla  parte  della  porta  Sole,  Q  freddo  e  il  caldo 
che  le  viene  dal  Subado.  —  47.  porta  Selet 
una  delle  porte  di  Perugia,  nella  parte  orien- 
tale della  dttà;  da  essa  d  stacca  la  vU 
che  conduoe  ad  Asdd  ;  €  questa  porta  (nota 
il  Bassermann)  è  ugualmente  onesta  agli 
aspri  venti  come  ai  riflesd  solari  dd  Suba- 
do ».  —  di  retro  ecc.  la  costa  orientale  del 
monte  Subado  scende  ripida  e  incòlta  verso 
le  dttà  di  Noeera  e  di  Gualdo  Tadino,  le  quali 
perdo  sono,  rispetto  a  qud  monte,  in  condi- 
done  di  clima  e  di  territorio  assd  peggiore 
che  Perugia,  fl  gnwt  giogo  d  deve  intendere, 
come  bene  spiegarono  Benv.,  Oass.,  Pietro  di 
Dante  e  altri,  in  senso  geografico,  come  un'aa- 
;it8d  alla  ftrlilt  eotta  ooddentale  (  ofr.  Basser- 
mann, p.  266  e  629):  erronea  à  la  spiega- 


642 


DIVINA  COMMEDIA 


Di  questa  costa,  là  dov'ella  frange 
più  sua  rattezza,  nacque  al  mondo  un  sole, 
51        come  ùl  questo  talvolta  di  Grange. 
Però  chi  d'esso  loco  ùl  parole 
non  dica  Ascesi,  che  direbbe  corto, 
54       ma  Oriente,  se  proprio  dir  vuole. 
Non  era  ancor  molto  lontan  dall'orto, 
ch'ei  cominciò  a  &r  sentir  la  terra 
57        della  sua  gran  virtute  alcun  conforto; 
che  per  tal  donna  giovinetto  in  guerra 
del  padre  corse,  a  cui,  com'alla  moi*te, 
60       la  porta  del  piacer  nessun  disserra; 
e  dinanzi  alla  sua  spiritai  corte 


liono  flA  oomouMtente  data  dalla  maggior 
parto  dei  eonuaentotod;  1  quali,  prandeado  il 
gnw$  giogo  in  Mnao  pdlitioo,  dlaaaro  ohe  Nooe- 
ra  e  Onaldo  piangeraiio  per  la  tixaimiea  li- 
gnorta  deipenigini,  o  peggio  aneora,  degli  an- 
gioini: ofir.  L.  laoobmi,  Di  NooeranM' Umbria 
•  tua  «Uoomi  éitoono  kialtr,^  Foligno,  1668,  pp. 
1-4» •TUi  di' 9miH$h9aH  di  Gualdo  edMa 
ngion»  di  Ttiito  mUfZMbria,  Foligno,  1688, 
pp.  U-26  e  M.  Molici,  Cfiom,dant.  vn258- 
870.  —  49.  Di  f  «eflta  eoo.  NéQa  ooeta  oo- 
ddentole  del  Sabasio,  proprio  là  dove  il 
pendio  è  pld  doloe,  oloè  in  Aiaifli,  Tenne 
alla  Inoe  nn  iole  splendidiMlmo,  san  Fran- 
oeeeo.  Bernardo  da  Bona,  oonpagno  di  san 
BonaTontnra,  iciiaM  nn  oompendio  della  Tita 
di  s.  Franoeeoo  di  TommaBo  da  Celano,  il 
quale  oompendio  oominda  oon  qneato  parole 
(BollandiBti,LQÌt,p.66a):  €  Qnaai  eoi  ariana 
in  mondo  beatoa  Franciacoa  Tita,  doclzina 
et  miraonUa  claniit  >  ;  e  BonaTentnra,  Fitto 
(L  olt.  p.  742):  e  Vidi altenim  angelnm  aaoen- 
dentom  ab  ortn  aoUa,  habentom  aignnm  Dei 
tìtì,  et  damaTit  Tooe  magna  >,  ohe  aono 
paroìe  dell' J|»oa2.  tu  2.  —  61.  aoMi  eoo. 
oome  qneeto  aole,  nel  qnale  ora  aiamo,  tal- 
Tolta  aoigo  ooei  Inminoao  dal  fiume  Gange, 
dall'Oriente;  e  dioe  taknìia  perché  non  in 
tutte  le  atagioni  il  aole  nascente  d  appare 
TÌTÌdo  e  aplendento  :  coai  intendono  i  ^4, 
rl«ax«ndo  il  takroUa  alla  stagione  eatlTa.  Altri 
Ti  troTa  un  aooenno  alla  diatansa  di  90  gradi, 
ohe  Danto  ponera  tra  (Hmsalemme  e  la  foce 
del  Oange  (ofr.  Iharg.  n  4,  zxm  8),  ohe  non 
ai  Tede  ohe  ooaa  abbia  a  fttre  in  questo  passo. 
—  62.  Peri  eoo.  per  queato  ohe  Ti  nacque 
aan  Franoeeoo,  ohi  parla  di  questo  luogo  non 
si  contenti  di  ehiamario  od  suo  nome  di  Aa* 
aid,  ohe  direbbe  troppo  poco,  ma  ae  Tuole 
adeguatamento  parlare  lo  ohianii  Oriento,  per- 
ché ìtì  aorae  queato  mirabile  ade  della  ori- 
atiana  carità.  —  68.  Aaceaii  forma  arcaica 
per  Aotitif  lat.  ilasMum;  ricorre  apeaaiaaioio 
in  tutti  gli  aoittori  antichi,  anche  nella  forma 


iSetsi:  and,  ae  d  foaae  certessa  ohe  Danto 
aTeaee  uaato  qneaf  ultima  (che  è  per  ea.  nd 
codice  di  Boriino)  d  aarebbe  una  acata,  aeb- 
bene non  bella,  antitsd  tra  l'Idea  (di  sewiiitr») 
contenuto  nd  nome  deUa  dttà  e  quella  della 
parola  Oriento.  Sullo  studio  di  Danto  di  cer- 
care aigniflóadoni  ripoato  nd  nomi  propoct  (efr. 
le  noto  dia  V,  N.  i  6,  xzit  18  e  d  Bar,  zn 
67.  —  eortet  agg.  uaato  a  eaprimeie  l' iaaaf- 
fldenxa  della  parola  andie  in  Btr,  aimi  106. 

—  66.  Hea  era  eoo.  Non  era  ancor  moKo  lon- 
tano dd  ano  naadmento,  non  arerà  <dtiepaa 
aato  la  ana  giorinena,  ^e  inoomind»  a  ope- 
rare in  modo  die  la  terra  aanttnae  fvalohe 
conforto  deUa  aua  grande  Tiité,  doè  eke  gli 
uomini  neQ'eoempio  della  ana  eaillà  trorne- 
aero  la  ragicme  a  conforaurd  nella  fede.  Dd 
primi  gicrenili  atti  di  lììilntiioaae  e  d'amore 
alla  povertà  parlano  1  MograS  di  aan  Fraa- 
ceeoo  (Tomm.  da  Gelano,  p.  686;  Tre  aod,  p. 
736;BoaaTentura, pp.  744-746).  —  arto:  na- 
admento, oriento.  -*  66.  eeadnelè  eoo.  Ao- 
cenna  aln  d'ora  alla  profaarione  d'amore  alla 
poTertà,  die  FranoeaoofMe  nell'età  di  24  anni, 
apogUandod  ddle  riooheiae,  aottraandori  par 
aempre  agli  agi  e  d  piaceri  e  Infilando  oorag- 
gioaamento  il  ano  apoatolato.  —  68.  par  tal 
donna  eoo.  glorinetto  ancora  ineorae  neQa  di- 
aapproradone  dd  padre  per  aTer  dinMMtrato 
il  ano  amore  alla  poTertà;  pddié,  raoeontano 
i  biografi,  die  Franoaaoo  tu.  limprorecato  e 
punito  dd  padre  allorché  per  la  ripancloBe  H 
una  chieaa  oBti  il  denaro  ricarato  daOa  t«r- 
dite  dd  panni  e  d'un  cavallo  (Tona,  da  Ce- 
lano, i^  686  e  aegg.;  Tre  aod,  p.  728;  Bo- 
naTontuRh  pp.  746  e  aegg.).  —  68.  a  ani  eoo. 
alla  quale,  oome  alla  morto,  neaennu  tk  buona 
accogiiensa,  ma  tetti  l'odiano  e  la  ^ttitatantr 

—  61.  e  dinanai  eoe  Narrano  i  blograft  A 
san  Franoeaoo  (JL.  dt)  die  il  padre  di  ini  le 
traaae  daTanti  a  Guido,  Teeooro  di  Aaalal,  a 
fttf  solenne  rinunala  dd  beni  patoni;  H  che 
il  gioTane  foce  aaad  Tdentieri,  paieadogli  oad 
di  conglungerd  degnamento  alla  poTvrtà  oà'f» 


PARADISO  -  CANTO  XI 


643 


et  coram  patre  le  si  fece  unito; 
63       poscia  di  di  in  di  l'amò  più  forte. 
Questa,  privata  del  primo  marito, 
mille  e  cent'anni  e  più  dispetta  e  scura 
66       fino  a  costui  si  stette  senza  inrito; 
né  yalse  udir  che  la  trovò  sicura 
con  Amlclate,  al  suon  della  sua  voce, 
69        colui  oh'  a  tutto  il  mondo  fé'  paura; 
né  yalse  eeser  costante  né  feroce, 
si  che,  doTe  Maria  rimase  giuao, 
72       ella  con  Cristo  salse  in  su  la  croce. 
Ma  perch'io  non  proceda  troppo  chiuso, 
Francesco  e  Porertà  per  questi  amanti 
75       prendi  oramai  nel  mio  parlar  diffuso. 
La  lor  concordia  e  i  lor  lieti  sembianti 


gii  aasra.  Lamm  jpHtei  eorU  è  adiuqae  U  oa- 
riaepisoopale  d'Asdii,  loa  patria,  nel!»  quale 
coram  patr»,  al  cospetto  del  padre  (non  del 
rmearo,  padre  qtiritnale,  oome  intendonoBati, 
Land.  YeU.  e  altri),  rinnudd  ad  ogni  poe- 
•6180.  —  68.  pei eU  eoo.  e  da  quél  momento 
amO  w&mpiB  più  la  povertà  tino  a  ridoni  aa- 
èhm  nel  Taetize  alla  più  miaeia  oondidone: 
e  Solrit  protlnna  caloeamenta  de  pedilms,  et 
toxiioa  una  oontentng,  pio  oonigia  tanionlom 
tearataiTit»  (Tomm.  da  CeL  p.  690)  «  64. 
4|Mata  eoo.  La  povertà,  dopo  oh'  ebbe  per- 
duto Cristo  ino  primo  sposo,  rimase  dis^ei- 
nta  e  ignorata,  senza  ohe  alonno  la  rioeroasse, 
sino  a  ohe  le  si  oonglnnse  spontaneamente 
san  Franoseoo  ;  ohe  fti  nel  1207,  doè  più  d'un- 
dld  secoli  dopo  la  morte  di  disto.  La  le^- 
gasda  delle  mistiche  nozze  di  Francesco  con 
la  Fotrertà,  osi  si  riferisce  lo  scritto  di  tn 
Oioranni  da  Panna  pubblicato  da  S.  Alvisi, 
O^HSO.  danL  n.*  12,  è  stata  iUnstnta  da  tJ. 
Cosmo,  Oiom.  «toni.,  VX  49-81.  —  67.  mi  vai- 
•e  eoo.  né  era  tbIso  a  inspirare  aei  cri- 
stiaiii  Famose  drila  povertà  il  fatto  del  pe- 
soatora  Amfdate,  tanto  Udente  nella  sua  po- 
vertà da  laadar  tranquillamente  aperta  la  sua 
essa  w&L  torbidi  tempi  della  guerra  civile  tn 
Penpeo  e  Cesare,  e  da  rimanere  impertur- 
hato  «Uoidió  essate  gli  capitò  improrViso  in 
essa  :  ofir.  lineano.  Fan.  v  619  e  segg.  Dante, 
Come,  IV  18:  €  Quanta  paura  è  quella  di  colui 
ohe  appo  sé  sente  ricchezza...  S  però  dice  il 
Savio  (Boedo,  Con»,  pkiL  n  pr.  6,  o  meglio 
Giovenale,  8<U,  x  22]:  *  Se  vóto  cammina- 
tole entrsese  nel  eammino,  dinanri  a'  ladroni 
esaftarebbe '•  E  ciò  vuole  dire  Lucano  nel 
quinto  libro,  quando  oommenda  la  povertà  di 
sieozmnza,  dicendo  [w.  627-681]  :  *  Oh  sionra 
faooltà  della  povera  vita!  oh  stretti  abitaooli 
»  I  oh  non  ancora  intese  ricchezze 


deDi  Dei  I  a  quali  tempii  e  a  quali  muri  po- 


téo  questo  «weniie,  doè  non  teoMre  con  al 
Guno  tumulto,  bussando  la  mane  di  Cssaie  f  * 
E  quello  diee  Lucano  quando  ritne  oome 
Cesare  di  notte  alla  ossetta  del  pseoatore 
Amiolas  venne  psr  passare  Q  mare  Adriano  ». 
—  70.  ad  valse  eoo.  e  neppure  bastò  alla  po- 
vertà, per  rendersi  agli  uoarini  aeeetta,  l'es- 
sere stata  ooatante  e  coraggiosa  a  segno  di 
salire  con  Gesù  Odsto  iln  su  la  eroce,  mentro 
Maria  Vergine,  sebbene  amofoslaBima  madre 
di  Qesù  Cristo,  rimase  giù.  Questa  idea  della 
Povertà  che  sale  suQa  oroce  è  esprssea  nella 
Vita  di  san  Bonaventura  :  ma  il  oontrasto  un 
po'  artificioso  del  w.  71-72  risale  piuttosto 
a  un  passo  dell'after  etto*  onuifimo  di  Uber- 
tino da  Casale  (cfr.  Bar,  zn  124),  oome  ha 
dimostrato  U.  Cosmo,  Qiom.  damL  VX  72.  — 
78.  ékimàt  :  ofir.  Airy.  zn  87.  —  74.  Fraa- 
eesee  eco.  intendi  ormai  che  i  due  amanti,  di 
cui  ti  ho  a  lungo  parlato  (w.  68-72X  sono 
Franossoo  e  la  Povertà.  —  76.  La  ler  eoo.  La 
concordia  tra  Franoeeoo  e  la  Povertà  e  i  loro 
lieti  sembianti  faoevano  si  che  l'amore,  la 
meravii^  e  la  oontemplaaiene  dolce  ohe  ne 
nascevano  fossero  cagione  di  santi  pensieri  eco. 
Tale  è  la  miglioro  spiegasione  di  questi  versi 
data  dal  Butt  con  queete  parole  :  €  Con  tanta 
pace  santo  Franoeeoo  stava  nella  povertà  e 
oca  si  lieta  flaoda  viveva  oon  essa  ch'olii  fa- 
ceva ogniuno  inamerare  e  meravigliare  di  lui 
e  guardare  oon  doleecza  la  sua  santa  vita,  e 
per  questo  venire  in  pensieri  di  fare  lo  si- 
mile e  seguitario  >.  Degna  di  nota  è  per  al- 
tro la  spiegazione  inversa  di  L.  Filomusi 
Cuelfl  (cfr.  BuU,  U  27):  e  San  Franoesoo 
era  povero,  per  mmon  senza  conine  di  Dio 
e  del  prosrimo;  la  sua  povertà  e  il  suo  lieto 
sembiante  eran  mermiigUa  al  mondo; ...  il 
suo  ddoe  sguardo'era  testimone  dell'  intema 
dolcezza  dell'  animos ...  tutto  questo  faoowt 
oieho  laamcordia  e  U  Mo  oombianio  da' chio 


644 


DIVINA  COMBfEDU 


amore  e  marariglia  e  dolce  sguardo 
78       faoeano  esser  oagion  di  pensier  santi; 
tanto  che  il  venerabile  Bernardo 
si  scalzò  prima,  e  retro  a  tanta  pace 
81        corse,  e  correndo  gli  parr' esser  tardo. 
0  ignota  riochezza,  o  ben  ferace! 
scalzasi  Egidio,  scalzasi  Silvestro 
84       retro  allo  sposo,  si  la  sposa  piace. 
Indi  sen  va  quel  padre  e  quel  maestro 
con  la  sna  donna  e  con  quella  famiglia, 
87       che  già  legava  l'umile  capestra 


tpoH  fornirò  oagiom  di  tanti  ptnneri;  — 
78.  MttrMfidBi  cagione  oh»  KiigMsecoeoo. 
Aooenna  all'offetto  prodotto  dall'  idealo  di  la- 
orìfizio  e  di  generosità  piofeesato  e  piodioato 
da  san  Franoeeco;  ofr.  Bonarentaxa  (Ftfo,  p. 
751):  €  Fadebat  namqne  sancta  panpertas... 
ipeoa  ad  omnem  obedentiam  prontot,  loimstos 
ad  laborea  et  ad  itìneia  expeditoo.  Et  qaia 
nihil  terronnm  habebant,  nihil  amabant,  nihil 
qne  timebant  amitterOi  iicnxi  erant  nbiqne, 
nollo  parore  anspensif  nulla  cara  distraoti, 
tamqnam  qni  abéque  mentìs  tubatione  tìt»- 
bant,  et  alno  aoUidtadine  diem  crastìnomet 
aerotìnon  hospitlam  ezpectabant  >.  ~  79.  U 
▼enerabile  ooo.  n  primo  aegnaoe  di  aan  Fran- 
cesco tu.  Bernardo  da  Onintavalle  d'Aaaiai,  il 
qnale  distriboiti  i  auoi  beni  ai  poreri  si  acalzò, 
come  già  arerà  fatto  il  maeatro  (cfr.  r,  69), 
e  divenne  tanto  fervido  amatore  della  povertà 
che  gli  parve  d'aver  tardato  ad  abbracciarla. 
Tomm.  da  Celano  (Ftto,  p.  681)  dioe:  e  Fra- 
tor  Bemardoa  legatam  paoem  amplectona,  ad 
mercandom  regnnm  co^omm  post  Sanotom 
Dei  [Francesco]  cncorxitalacriter»,  delle  quali 
parole  al  ricordò  oerto  Danto;  ctt,  anche  gii 
altri  biografi  (Tre  acci,  p.  781;  Bonaventoxa, 
p.  748).  È  falso  ciò  ohe  raccontano  i  Fiontti 
di  san  Frano^t  oap.  n,  e  la  Oronaoa  dèUe  tri- 
bolaxioni  (cfir.  Tocco,  L*  eretta  fiel  medioevo^ 
cit.,  p.  43S)  ohe  Bernardo  foaae  deeignato  da 
aan  Francesco  moribondo  come  ano  anooea- 
sore  nel  governo  dell'ordine.  —  82.  0  Ignota 
ecc.  Quella  della  povertà  ò  ricchezza  spiritoale 
ignota  agli  nomini  mondani  (cfr.  il  passo  del 
Cóm,  riferito  nella  nota  al  v.  67),  ò  bene  f»- 
condo  di  beatitudine  etoma.  —  88.  scalzali 
eoo.  L'eaempio  di  aan  Franoeeco  fi  presto  se- 
guito da  altri  :  dopo  Bernardo  da  Qnintavalle, 
gli  scrittori  dell'ordine  pongono  subito  tra  1 
primi  seguaci  tnAe  Pietro,  ohe  premorì  al  fon- 
datore (forse  Danto  ne  tace,  perché  ooei  fk 
Bonaventura,  p.  748,  e  Tommaso  da  Celano, 
p.  691,  lo  accenna  aenza  dirne  il  nome),  poi 
frate  Egidio  d'Assisi,  frate  Filippo  e  finalmente 
finto  Silvestro.  Danto  ricoiftUuido  E^dio  e  811- 
veatio  non  Inteee  nominare  quelli  che  a*  ag- 
gregarono a  san  Francesco  subito  dopo  Ber- 


nardo, ma  per  questi  nomi  volto  fanttoare  l 
primi  ^e  oostitoirono  alno  alla  approvadone 
dilnnooeosonito/tiiM^KadéQ'vmaf  eapetin 
(w.  86-87),  e  fbron  cotesti  cinque  a  altri  lai 
compagni.  —  Egidio  t  ta  di  Aaaial  a  moil 
nel  1272,  lasciando  U  libro  Vèrba  tutna  :  Tob- 
maao  da  Celano,  p.  681,  lo  dioe  €  yir  aim- 
plex  et  reotua  ao  timens  Deum,  qui  longo 
tempore  durana,  sanoto,  insto  ao  pie  vivendo, 
perfectae  obedientiae  sanctaeque  oootempla- 
tionis  nobis  reliqnit  exemplum  »  ;  e  Bonaven- 
tura, p.  748,  «  sanctus  pater  Àegidlos,  vir 
ntique  Deo  plenus  et  celebri  memoria  dignns». 
—  811veatro:  prete  d'Assisi,  •  honestae  oon- 
veraationia  viro  »  (Bonav.  p.  748),  il  quale 
avrado  aogiato  ohe  un  dragone  mlnaociava  la 
sua  dttà  0  n'era  cacciato  da  una  crooe  che 
usciva  dalla  bocca  di  san  Francesco,  subito  si 
fìBce  seguace  del  santo  :  altri  scrittori  (Tra 
soci,  p.  782)  racconteno  di  lui  come  recò  a 
concordia  i  cittadini  d'Arezzo  lacerati  da  in- 
teme discordie,  per  ispirazione  avutane  da  san 
Franoeeco.  —  84.  retro  ecc.  diefoo  a  Franca- 
eoo,  per  amore  della  povertà.  —  86.  latfl  eoe. 
Dato  ai  suoi  compagni  la  regola  (ai  veda  in 
L.  Wadding,  AnnaUt  winomin,  Roma,  1731- 
40,  voL  I,  pp.  67-79  ;  cfr.  voi.  II,  pp.  64-68), 
san  Francesco  si  recò  con  ead  a  Boma  nal 
1210  eohleaea  Innocemoin  i'approva&oaa 
della  regola  ateaaa  e  dell'ordine  :  dapprima 
Franoeaco  trovò  opposixioni  nella  Corte  roma- 
na e  il  pontofloeai  achermiva  di  oonoed«re  l'ap- 
provazione, con  la  aouaa  ohe  la  regola  eia  trop- 
po rigida;  ma  poi  quando  ebbe  nna  vlaioDe, 
in  cui  vide  la  baaittoa  di  San  Giovanni  in  La- 
terano  (la  (yhieaa)  minaeoianto  rovina  •  un 
uomo  r^ligioeo,  mendico  •  disprexzatD  (aaa 
Franceaoo)  ohe  la  reggeva  aulle  apalle,  al  piegò 
ad  approvarla  verbalmente,  aeasa  oonoedare 
una  bolla  regolare  (ofir.  Tre  aod,  p.  787;  Bo- 
naventura, p.  7fiO).  A  questi  flatti  allude  Danto 
in  questo  e  nelle  segg.  terzine.  —  87.  l'madle 
eapeatro  :  la  corda,  della  quale  i  firanoeacani, 
seguendo  l'eaempio  del  maestro,  al  cinsero  per 
segno  di  umiltà  e  di  castità  (€  vivendo  In  obe- 
dientia,  sino  proprto,  et  in  caititato  »,  dioe 
la  Begvta  tt  vite  fr,  wfciorin,  eap.  i):  d^ 


PARADISO  -  CANTO  XI 


645 


Né  gli  gravò  viltà  di  cor  le  dglia, 
per  esser  fi'  di  Pietro  Bemardone, 
90       né  per  parer  dispetto  a  maraviglia; 
ma  regalmente  sua  dura  intenzione 
ad  Innocenzio  aperse,  e  da  lui  ebbe 
93       primo  sigillo  a  soa  religione. 
Poi  che  la  gente  poverella  crebbe 
retro  a  costui,  la  cni  mirabil  vita 
96       meglio  in  gloria  del  ciel  si  canterebbe, 
di  seconda  corona  redimita 
fa  per  Onorio  dall'eterno  spiro 
99       la  santa  voglia  d'esto  archimandrita. 
E  poi  che,  per  la  sete  del  martire, 


Inf,  xzyn  90,  e  anche  xn  108.  —  8S.  M  f  11 
graTÒ  eeo.  S  non  prord  dal  nto  nnoro  ttato 
Targogna  ohe  lo  ooatiingeasa  ad  abbaiaar  gli 
ooehi,  par  qnanto  tornò  Aglio  d'nn  liooo  mor- 
oanta  •  per  quanto  fomb  in  àbito  coa(TÌle  da 
fkr  menrigfiara  1  riguardanti.  ~  89.  per  #•- 
ter  eoo.  La  ftaae  danteaoa  ricorda  le  parole 
di  san  Franoeaoo  riferito  dai  biografi  (Tomm. 
da  Gel.,  p.  678:  Bonay.,  p.  767)  :  e  Talla  enim 
licet  aadire  fllinm  Petii  de  Bemardone», 
con  le  qnali  il  santo  accennaTa  sé  stosso.  — 
V  :  forma  tronca  di  figìAo^  frequente  nei  to- 
scani antichi,  p.  «a.  B.  Latini,  Te9(ifrttto  zìi  9  : 
€  Disse  :  Fi'  di  Latino  >,  A.  Pacd,  Ctnii' 
hq.  Lxxzym  66  :  e  Che  il  A'  di  measer  Pino 
ta  collato  >  eoo.  —  Pietre  BeraardOBei 
padre  di  Franoesoo  d'Assisi,  fa  ricco  citta- 
dino, che  alconi  dicono  esercitasse  l'arto  della 
lana.  —  91.  mm  regalmeato  ecc.  sebbene 
fosse  ooaC  vile  all'apparenza,  Francesco  con 
dignitoso  parlare  manifesto  al  pontefice  il  sno 
arduo  proposito  e  da  lai  ottonne  ona  prima 
approvazione  al  soo  ordine  monastico.  Del- 
l'approrazione  d' Innocenzo  m  (1198-1216)  fa 
menzione  Onorio  m,  nella  sua  bolla  che  cito 
pi6  aranti  (t.  96)  ricordando  la  regola  e  a 
bonae  memoiiaelnnoceotio  papa  approbatam  » , 
e  Bonareutora,  p.  789,  dice  esplicitamento  : 
«  Licet  praefatoa  dominas  Innocentias  tor- 
tine ordinem  et  regalam  approbasset  ipso- 
rum,  non  tamen  hoc  sois  littoria  confirmavit». 
—  darai  ardaa,  difficile  a  praticare;  cCr. 
Bonaventoia,  p.  789,  il  quale  dice  che  Inno- 
cenzo m  ex»  repognanto  ad  approvare  la  re- 
gola francescana,  perché  ad  sJoani  cardinali 
sembrare  «  noram  aiiqoid  et  sapra  rires  ha- 
manae  arduum»,  e  i  tre  soci  che  riforisoono, 
p.  786,  parole  del  papa  medesimo  che  dicera 
ai  francescani  :  «  rita  vostra  videtor  nobis 
nimis  dura  tt  aapera  ».  —  94.  Poi  che  eoe. 
Della  straordinaria  ed  immediato  diifasione 
dell'ordine  francescano  scrive  an  contompo- 
laneo,  Iacopo  de  Yitry,  Eùknria  oeeident., 
eap.  xzxn  (ed.  dt.,  p.  853ì  :  «  Non  solam  an- 


tem  praedicatione,  sed  et  ezemplo  vltae  san- 
ctae  et  oonversationis  perfsctae,  mnltos  non 
solnm  inferioris  ordlnis  hominea,  sed  genero- 
eoe  et  nobiles  ad  mondi  oontomptom  invltant, 
qai,  reliotis  oppidis  et  casalibos  et  amplissl- 
mis  possessionibos,  tomporalee  dlvitiaa  et  spl- 
ritaalea  felici  oommercio  commatantea,  habi- 
tam  fkatram  minoram,  ideet  tnnicam  vilis  pre- 
tii,  qna  indonntor,  et  fanem,  qao  aodngnntar, 
assompseront.  Tempore  enim  modico  adeo 
moltiplicati  sont,  qood  non  est  aliqoa  Chri- 
stianorom  provincia,  in  qoa  aliqoce  de  fratri- 
boa  sois  non  habeant  »  ;  e  Bonaventora,  p. 
761  :  e  Molti  etiam  non  solom  devotione  oom- 
poncti,  sed  et  perfectionis  Christi  desiderio  in- 
fiammati, omni  mandanorom  vanitoto  contom- 
ta,  Frandsoi  vestigia  seqoebantor;  qoi  qoo- 
tidianis  socorescentes  profectibos  osqoe  ad  fi- 
nes  orbis  torrae  celeriter  pervenerant  ».  —  96. 
la  cai  ecc.  la  coi  rito  miraooloea  meglio  che 
a  gloria  della  soa  persona,  4  canterebbe  a 
gloria  del  dolo.  Qiostamento  si  vede  da  alconi 
commentetorì  in  qoeeto  parole  on  ricordo  di 
qoelle  del  SaJm,  oxv  1  :  e  Non  a  noi,  Signore, 
non  a  noi,  anri  al  too  nome,  dà  gloria,  per 
la  toa  benignità  e  verità  >.  —  97.  di  seconda 
eoe  l'ordine  francescano  fa  approvato  solen- 
nemento  dal  pontofioe  Onorio  III  (1216-1227), 
ministro  in  qoeeto  atto  della  bontà  divina:  La 
bolla  pontificia  di  approvarione  ò  del  29  no- 
vembre 1223  (cfr.  A.  Potthast,  Begeata  ponti- 
fioumromem., n.«  7108).  Alconi  commentotori, 
Pietro  di  Danto,  Oass.,  Boti  ecc.  riferendo 
per  errore  ad  Onorio  m  il  sogno  di  Innocenzo 
m  (cfr.  la  noto  al  v.  86),  intondono  le  parole 
cUUl'elemo  «pi'ro,  corno  on  accenno  all'  ispira- 
zione divina  venato  al  papa  dalla  pretesa  vi- 
sione. —  99.  la  santo  ecc.  il  santo  intendi- 
mento di  Francesco  d'Assisi,  il  fine  ch'egli  si 
proponeva  con  la  fondazione  del  soo  ordine. 
—  100.  E  pel  ecc.  San  Francesco,  per  eston- 
dere  11  suo  ordine,  si  recò  nel  1219  in  compa- 
gnia di  dodid  frati  (cfr.  Pur.  zn  180)  in  Oriento, 
e  a  8.  Giovanni  d'Acri  fa  fatto  prigioniero  dal 


646 


DIVINA  COMMEDIA 


nella  presenza  del  Soldan  superba 
102       predicò  Cristo  e  gli  altri  che  il  seguirò, 
e  per  trovare  a  conversione  acerba 
troppo  la  gente,  per  non  stare  indamo, 

105  reddissi  al  frutto  dell' itaUca  erba, 
nel  crudo  sasso,  intra  Terero  ed  Amo, 

da  Cristo  prese  l'ultimo  sigillo, 

106  ohe  le  sue  membra  due  anni  port&mo. 
Quando  a  colui  eh*  a  tanto  ben  sortillo 

piacque  di  trarlo  suso  alla  mercede, 
111       ch'ei  meritò  nel  suo  &rsi  pusUlo, 
ai  frati  suoi,  si  com^a  giuste  rede, 
raccomandò  la  sua  donna  più  cara, 
114       e  comandò  che  P  amassero  a  fede; 
e  del  suo  grembo  l'anima  preclara 
mover  ai  volle,  tornando  al  suo  regno, 
117        ed  al  suo  corpo  non  volle  altra  bara. 


Sanoeni  :  li  provò  inatUmente  a  oonTBrtiie  al 
cristianosimo  il  Soldano,  nella  ond  presen2a 
predicò  di  Ciiito  e  degli  ÀpoetoU  e  dei  mar- 
tiri, e  liberato  per  1  miraooli  compiliti,  ritornò 
in  Italia.  Tommaso  da  CeL,  p.  699,  dice  ehe 
ean  Franoetoo,  trattato  male  dai  soldati,  <  a 
Soldano  honoriiloe  plnrlmnm  est  snsoeptns», 
e  BonaTenton,  p.  767,  aggiunge  che  al  Sol- 
dano €  intrepido  corde  leeponditsennu  Fxan- 
dsoos,  non  ab  homine,  sed  a  Deo  altìssimo 
se  ftiisse  transmissnm,  nt  ei  et  popolo  sooriam 
sàlntis  ostenderet  et  annonoiaxet  ISrangeliom 
Teritatis  ».  Dante  accenna  invece  ad  nn'  ao- 
eoglienza  ostile,  e  si  tenne  forse  a  Iacopo 
de  Vitry,  il  quale  (op.  cit,  p.  858)  racconta 
che  quando  Francesco  fa  tratto  davanti  al 
Soldano  «  videns  eom  bestia  orudeU$,  in  aspeo- 
ta  viri  Dei  in  tnanguetudirum  conMTM,  per 
dies  aliqnot  Ipsnm  sibi  et  saia  Ohristì  fidem 
prsedicantem  attentissime  andlvit  ».  —  102. 
gli  sltrl  ecc.  cfr.  Par,  ix  141.  —  103.  per 
trovare  ecc.  avendo  trovato  qael  popolo  non 
ancora  disposto  a  convertirsi,  per  non  predi- 
care inutilmente,  ritornò  in  Italia,  dove  gli 
animi  erano  pronti  a  ricevere  la  sua  parola. 
—  106.  He!  erodo  eco.  Nell'anno  1224,  se- 
condo i  più  antichi  biografi  (Tomm.  da  Cel., 
p.  709;  Tre  Soci,  p.  741;  Bonaventura  pp. 
777-779),  san  Francesco  trovandosi  sul  monta 
della  Vemia  a  far  penitenza,  chiese  a  Qesd 
Cristo  che  gli  facesse  provare  i  dolori  della 
sua  passione:  Cristo  gli  apparve  in  figura  di 
un  serafino,  e  11  santo  si  trovò  subito  nelle 
mani,  nei  piedi  e  nel  costato  le  Mere  etin^ 
nuUet  ì  sogni  delle  piaghe,  ch'ei  portò  sino 
aDa  morte,  quasi  dimostrazione  dell'amore  di- 
vino. —  erodo  sasso  ecc.  l'arduo  giogo  del- 
l'Alvomia  o  Vomia,  monto  doll'Apennino  to- 


scano tra  le  sorgenti  del  Tevere  e  dell'Amo, 
nel  quale  san  Francesco  s'era  ridotto  a  far 
un  digiuno  di  quaranta  giorni:  cfk'.  Bassor- 
mann,  pp.  108-110,  266.  —  109.  Qaando  ecc. 
Allorohó  Dio,  òhe  aveva  eletto  san  Francesco 
a  tanto  bene,  volle  chiamarlo  alla  beatitudine 
del  paradiso,  ch'egli  aveva  meritata  oon  la 
professione  d'umiltà  e  di  povertà.  —  110. 
■lereedet  cfr.  ICatteo  v  12:  «  Ballegratevi  e 
giubilate,  per  dò  che  il  vostro  premio  [vuUr. 
tnsfOM  veetra]  è  grande  nei  deli  >.  —  HI. 
pisllloi  piccolo,  umile.  ~  112.  rede  :  feram., 
plur.  di  reda  ;  cfr.  Riiy.  vn  118.  — 113.  raeea- 
nuuidò  ecc.  raccomandò  ai  suoi  frati  di  amare 
sinceramente  la  povertà  ;  nel  testamento  di 
san  Francesco  si  leggono  (BoUandìsti,  op.  dt., 
voi.  n,  p.  663)  vivissime  raccomandazioni  a 
tutti  i  frati  dell'ordine  a  non  derogare  alla 
lettera  della  regola  in  dò  che  riguarda  la  po- 
vertà, e  Bonaventura,  p.  781,  racconta  :  €  Bora 
denique  sui  transitus  propinquante,  fedt  fra- 
tres  omnes  ezistentes  in  looo  ad  se  rocarì, 
et  eoa  consolatoriis  verbls  pro  sua  morta  de- 
mulcens,  paterno  affectu  ad  divinum  est  hor- 
tatus  amorem.  De  patientla  et  paupertate  et 
sanctae  romanae  eodesiae  fide  servandis  Ber> 
monem  protraiit,  ceteris  instìtotìs  sanctom 
Evangelium  anteponens».  —  115.  d^  sao 
grembo  ecc.  l'anima  santa  volle  per  tornare 
al  paradiso  partirsi  dal  grembo  della  povertà 
e  al  corpo  non  volle  altra  bara  che  la  nudità 
del  terrone.  Allude  a  dò  che  raccontano  gii 
antichi  biografi  (Tomm.  -da  Gel.,  pp.  713-714  ; 
Tro  sod,  p.  740  ;  Bonaventura,  pp.  780-781), 
come  san  Francesco  vidno  a  morta  si  facesse 
portare  nella  sua  diletta  chiesa  di  8.  Maria 
degli  Angeli,  e  ivi,  dispogliatosi  per  ultinso 
segno  d'amore  alla  povertà,  esalasse  l'anima 


PARADISO  -  CANTO  XI  647 


Pensa  oramai  qual  fd  colui,  che  degno 
collega  fu  a  mantener  la  barca 
120       di  Pietro  in  alto  mar  per  dritto  segno! 
E  questi  fu  il  nostro  patriarca; 
per  che  qual  segue  lui,  com'è!  comanda, 
123       disoerner  puoi  ohe  buone  merce  carca. 
Ma  il  suo  peculio  di  nuova  vivanda 
è  fatto  ghiotto  si  ch'esser  non  puote 
126       che  per  diversi  salti  non  si  spanda; 
e  quanto  le  sue  pecore  remote 
e  vagabonde  più  da  esso  vanno, 
129       più  tornano  all'ovil  di  latte  vote. 

Ben  son  di  quelle  che  temono  il  danno, 
e  stringonsi  al  pastor;  ma  son  si  poche 
132       che  le  cappe  fornisce  poco  panno. 
Or,  se  le  mie  parole  non  son  fioche, 
se  la  tua  audienza  è  stata  attenta, 
135        se  ciò  e' ho  detto  alla  mente  rivoche, 
in  parte  fia  la  tua  voglia  contenta, 
perché  vedrai  la  pianta  onde  si  scheggia, 
e  vedrai  il  coreggièr  che  argomenta, 
139     'XJ'ben  s'impingua,  se  non  si  vaneggia  '  >. 

saUft  nuda  terra,  nel  luogo  stesso  ore  ta  poi  fondatore,  ritornano  all'ordine  tanto  pÌ6  man* 
innalzato  O  magnifico  tempio  in  soo  onore.  —  drevoli  di  quella  dottrina  teologica,  che  lor 
118.  P«Bsa  ecc.  6e  tale  fa  san  Francesco,  bisogna  a  confermare  nei  cristiani  la  fede  in- 
imagina  qoal  fosse  san  Domenico,  che  gli  fa  tepidita.  —  ISO.  Ben  sen  eco.  Sono,  è  vero, 
dato  come  collega  a  salvare  la  Chiesa  in  mezzo  alcnni  domenicani  che  temono  1  danni  di  qne* 
al  pericoli  delle  eresie,  indirizzandola  alla  pra-  sta  violazione  della  regola,  e  perciò  s'atten- 
Hca  della  pnia  fede.  —  121.  il  nestro  ecc.  gono  strettamente  ad  essa;  ma  sono  cosi  pò- 
san  Domenico,  fondatore  dell'ordine  coi  ap-  chi  che  a  vestirli,  a  fiff  le  loro  cappe,  non 
partenni  io.  —  122.  per  ehe  ecc.  per  la  qnal  bisogna  molto  panno.  —  18S.  flddie:  deboli, 
cosa  puoi  intendere  òhe  ohinnqne  segane  i  suoi  inefficaci  a  dimostrarti  ciò  che  mi  ero  propo- 
precetti,  senza  alterarli,  opera  santamente,  sto.  —  184.  se  la  Ina  eoe  se  hai  attenta- 
aoqnista  meriti  alla  beatitadine  celeste.  —  mente  prestato  ascolto  al  mio  dire.  — •  186. 
124.  Ma  il  n%Boo,  ICa  i  frati  domenicani  in  parte:  per  ciò  che  riguarda  il  primo  dei 
sono  diventati  oeslderosl  di  alte  dignità  eo-  taci  dnbbt  ;  cfr.  sopra  w.  22-27.  —  187.  ve- 
deslastiche,  di  modo  che  socoede  che  la  loro  dral  eoo.  intenderai  qnal  sia  la  pianta  da  coi 
operosità  si  svolga  faorl  dei  limiti  segnati  io  levo  le  schegge,  o  ftior  di  metafora,  inten- 
dalla  regola  dell'ordine.  —  peenlie  :  gregge  ;  dend  a  chi  sia  rivolto  il  biasimo  mio.  Cosi 
in  questo  senso  è  qui  e  in  I\srg,  zxvn  83  intendono,  a  un  dipresso,  Ott,  Benv.,  Buti, 
usata  una  voce  formata  sul  lat.  peouUum^  Lomb.,  Biag.,  Ces.,  Costa,  Andr.,  Scart.;  in- 
del  quale  ritiene  solo  il  significato  stimolo-  veoe  altri,  come  Vent.,  Tomm.,  Frat.  ecc. 
gioo.  —  Baova  Tiranda:  ò,  secondo  la  giusta  spiegano  :  l'ordine  domenicano  da  cui  si  di- 
interpretazione  dei  più,  il  godimento  di  alti  staccano  i  più  valenti  uomini  per  fune  ve- 
offlcf,  di  vescovadi,  di  prelature  ecc.  ;  alcuni  scovi,  prelati  ecc.  —  188.  e  Tedrai  ecc.  e 
podd  commentatori,  come  Case,  e  Pietro  di  intenderai  che  cosa  abbia  voluto  dire  il  do- 
Dante,  intendono  degli  studi  profuii,  cui  molti  menioano  che  ti  parla,  doè  che  cosa  abbia 
domenicani  si  dettero  sino  dai  primi  tempi,  voluto  dir  io,  con  le  parole  u*  ben  s*  imptf»- 
inveoe  di  tenersi  agli  studi  teologioL  ~  126.  gua  ecc.:  cfr.  Potr.  z  96.  ~  coreggièr  :  frate 
salti  :  pascoli  montani  e  boschivi.  —  127.  domenicano,  cosi  detto  per  la  coreggia  ond'è 
qwuktù  :  ecc.  quanto  pi6  1  domenicani  s' al-  cinto,  come  eortUgìi&ro  ò  chiamato  il  firance- 
lontanano  ed  errano  fuori  della  regola  del  scano  (cfr.  Inf.  zxvn  67). 


613 


DIVINA  COMMEDIA 


CANTO  xn 


Alla  prima  si  agrfirion^  una  Moonda  corona  di  spiriti  beati,  uno  dei 
quali,  Bona^entara  da  Bagnorea  fhmcescano,  fa  un  lungo  elogio  di  san  Do- 
menico, e  poi  deplora  la  decadenza  dell*  ordine  monastico  fondato  da  san 
Francesco  e  dice  a  Dante  i  nomi  dei  soci  ondici  compagni  di  beatitudine 
[U  aprile,  ore  antimeridiane]. 

Si  tosto  come  1*  ultima  parola 
la  benedetta  fiamma  per  dir  tolse, 

8  a  rotar  cominciò  la  santa  mola; 
e  nel  suo  giro  tutta  non  si  volse 

prima  oh' un' altra  di  cercHio  la  chiuse, 
6       e  moto  a  moto,  e  canto  a  canto  colse: 
canto  che  tanto  vince  nostre  muse, 
nostre  sirene,  in  quelle  dolci  tube, 

9  quanto  primo  splendor  quel  ch'ei  refuse. 


xn  L  8f  totU  eoo.  Non  appena  Tommaso 
d*Aq[aino  ebbe  pronunziata  l'nltiffla  parola, 
la  corona  dei  dodiol  beati,  ohe  arerà  lospesa 
la  eoa  danxa  (cfr.  Par,  n  13-15),  riprose  a 
morenl  in  oenthio;  e  non  aveva  ancora  oom- 
pioto  on  giro,  che  aU'  estemo  di  essa  si  fonnd 
un'altra  corona  di  beati,  iqoaliproeero  a  dan- 
noe  e  a  cantaro  d' accordo  con  quel  primi. 

—  2.  la  benedetta  ecc.  1*  anima  laminosa  di 
Tommaso  d' Aqnino,  detta  fiamma^  come  al- 
tre anime  di  paradiso  (cfr.  Par.  znr  66,  xxn 
2).  ~  per  dir  tolse:  tolse  a  diro,  pronnn- 
dd.  —  8.  la  tanta  mola  t  la  prima  corona 
del  dodici  beati,  che  girava  circolarmente, 
come  fa  la  madna;  cfr.  Ootw,  ni  6,  del  sole 
che  gira  €  non  a  modo  di  vite,  ma  di  mola  ». 

—  6.  va'  altra  eoe  un'  altra  corona  la  cir- 
condò di  eereMot  in  giro,  circolarmente.  F. 
Tocco,  Conf»  n  181  scrive  :  e  n  perno  del 
cerchio  esterioro  ò  Bonaventura  [v.  127],  che 
in  Babano  Haoro  del  secolo  vnx  [v.  189]  e 
in  Ugo  da  S.  Vittore  del  sec.  xn  [v.  188] 
ebbe  1  suoi  precursori  ....  Accanto  a  questi 
filosofi  mette  Dante  Anselmo  d'Aosta  [v.  187], 
il  che  mostre  come  egli  sappia  veder  adden- 
tro nelle  correnti  del  pensiero  medioevale, 
perché  Anselmo,  non  meno  del  mistid,  s'op- 
pone a  Boscellino,  come  pi4  tardi  fìarà  Dune 
Scoto  a  san  Tommaso.  Né  occorre  spiegare 
perché  con  san  Bonaventore  vadano  insieme 
Illuminato  ed  Agostino  [v.  180],  fkati  minori, 
che  furono  i  primi  a  mettersi  per  quella  via, 
che  il  Serafico  percorse  tutta.  B  sarà  pure 
chiaro  come  con  questi  firatl  si  aooompagnino 
1  profèti  e  gii  oratori.  La  visione  mistica 
spiana  la  via  alla  profetica,  quale  1'  ebbero 
Natan  [v.  186]  e  Gioacchino  [v.  140],  e  solo 


l'éloquenia  d*iin  QioTaimi  Orisostomo  [r.  ISS] 
ò  buona  ad  impennare  le  ali  per  si  alti  volL 
E  poiché  con  l'eloquenza  va  unita  Tefflcaoia 
del  dire  •  la  parità  •  l'eleganza  del  dettato, 
non  flnremo  le  menviglie  se  della  mistica 
ghirlanda  entri  a  far  parte  quél  Donato,  6b» 
alla  prim'arU  degnò  por  la  fnano  [v.  1861  >• 
Spiega  poi  come  Pietro  Gomestore  [v.  134] 
sia  qui  come  autore  di  «  una  storia  dell' an- 
tico e  nuovo  Testamento,  ...  accompagnata 
sempre  da  un  commento  o  intezpretaxions 
allegorica  secondo  il  costume  dei  mistici  »,  e 
Pietro  Ispano  [v.  184],  non  per  Le  opero  di 
medicina,  ma  jìt.  tosto  per  1*  indirizro  neo- 
platonico del  suo  tnttato  di  logica  e  perdié 
come  papa  promosse  nel  1277  la  condanna 
di  dottrine  averroistiohe  professate  nell'uni- 
versità di  Parigi;  da  che  si  vede  coome 
Dante  veda  ben  addentro  nell'opposizione 
fondamentale  del  tempo  su<f  tra  la  corrente 
aristotelica  e  la  mistica»,  la  quale  nltina 
«  assume  la  forma  piti  perfetta  in  san  Bona- 
ventun  »  [v.  127].  —  6.  colse;  prese  ad  ao- 
cordaro,  accordò  il  proprio  moto  e  canto  a 
quello  della  prima  corona  (cfr.  Par.  x  78).  ~ 
7.  eante  ecc.  il  canto  del  beati  supera  tanto 
di  dolcezza  il  canto  umano  o  imagi  nato  dagli 
uomini,  quanto  il  raggio  luminoso  vince  di 
splendoro  il  raggio  riflesso:  nosire  mua»  e  no- 
stre airm»  sono  secondo  i  plA  degli  inter^eti 
i  poeti  e  le  cantatrid  (cfr.  Virgilio,  nostra 
maggior  musa  In  Poar.  xv  26),  cioè  quelli  che 
pid  dolcemente  usano  dell'  umana  favella;  se- 
condo altri,  sarobbero  proprio  le  Muse  e  le 
Sirene  della  mitologia.  ~  9.  f  naato  eoo.  ^ 
militudine  care  a  Dante,  cfir.  Piarg,  zv  16, 
Par.  I  49,  xxxnx  128.  —  refkise:  da  r«/b»- 


PARADISO  -  CANTO  XH 


649 


Come  si  Yolgon  per  tenera  nube 
due  arolli  paralleli  e  concolorì, 
12       quando  Giunone  a  sua  ancella  iube, 
nascendo  di  quel  d'entro  quel  di  fuori, 
a  guisa  del  parlar  di  quella  raga, 
15       ch'amor  consunse  come  sol  vapori; 
e  fanno  qui  la  gente  esser  presaga, 
per  lo  patto  ohe  Dio  con  Noò  pose, 
18       del  mondo  che  giammai  più  non  si  allaga: 
cosi  di  quelle  sempiterne  rose 
volgeansi  circa  noi  le  due  ghirlande, 
21        e  si  l'estrema  all'ultima  rispose. 

Poi  che  il  tripudio  e  l'alta  festa  grande, 
si  del  cantare  e  si  del  fianmxeggiarsi 
24        luce  con  luce  gaudiose  e  blande, 
insieme  a  punto  ed  a  yoler  quotarsi, 
pur  come  gli  occhi  ch'ai  piacer  che  i  move 


den^  lai.  rtfumden^  In  Mnio  di  rifUtUn  :  ofr. 
iW.  n  88.  —  10.  Como  eoo.  Como  doo  archi 
paralloli  o  di  vario  coloro  si  vodono  riftd- 
gore  attniTono  una  nuvola  trasparente,  allor- 
qoando  Qionono  manda  sulla  terra  Iride  sua 
meoBaggera,  e  l' arco  estemo  è  prodotto  dalla 
riflessione  dei  raggt  dell'arco  intemo,  cosi 
le  due  corone  di  spiriti  eoo.  Ant.  :  «Nel  ^trg. 
zzv  91  e  segg.  il  poeta  accennò  in  generale 
alla  natura  dei  fenomeni  lucidi  degli  aloni  e 
dell'iride;  qui  specialmente  a  quest'ultima 
descrìvendola  quando  ci  si  presenta  pi6  bella 
in  arco  duplice  e  bene  determinato  >.  —  11. 
eoBoolorl:  non  del  medesimo  colore,  come 
molti  spiegano,  ma  di  colori  diversi  bene  ar* 
Bionizzati  tn  loro.  —  12.  a  sua  aacelU  eco. 
a  Iride  (cfr.  J^uy.  zxi  60),  e  nuntia  Innonis 
varios  induta  colores»,  come  dice  Ovidio, 
MàL  I  270  (ofr.  anche  Viig.,  JH.  iv  698,  v 
606).  —  13.  BASceBdo  ecc.  Ant  :  «  Avendo 
posto  mente  11  nostro  attento  osservatore, 
che  l'arco  esteriore  ò  meno  vivace  dell'in- 
teriore, e  inversamente  colorato,  ha  supposto 
che  quel  di  fuori  nascesse  per  riflessione  di 
quel  di  dentro,  prendendo  similitudine  dal- 
l' esempio  dell'  eoo  ; . . .  ma  veramente  e  l'uno 
e  l'altro  arco  si  origina  dal  sole  nelle  stesse 
drooetanze  generali  di  Unenxxa  di  nube,  doò 
di  nuvolo  disteso  risolveotesi  in  pioggia;  se- 
nonchó  nei  raggt  dell'  estremo  segue  una  dop- 
pia riflessione  »  :  cfr.  anche  Q,  Della  Valle, 
Memorie  aopn  dué  luoghi  della  D.  (7.  epiigati 
eolla  fisica  moderna.  Faenza,  1874.  —  14.  a 
gvisa  eoo.  come  il  suono  dell'  eoo  ò  prodotto 
dal  rifletteni  della  voce.  Soo,  secondo  la  fa- 
vola (Ov.,  Met.  n  889-610X  ta  figlia  dell'Aria 
•  dell»  Terra,  e  per  una  dielle  tante  vendette 
della  gelosa  Óiunone  Ai  privata  della  favella, 


concessole  sol  di  ripetere  le  ultime  sillabe 
delle  parole  dette  da  altri  ;  innamoratasi  di 
Narciso  e  disprezzata  da  lui,  si  consumò  d'af- 
fanno e  fu  trasformata  in  un  sasso  ohe  ripe- 
teva le  paiole  dette  da  altri.  Dante  si  vale 
qui  d'una  similitudine  indusa  nella  princi- 
pale, e  quasi  non  bastasse,  n'aggiunge  una 
terza  a  chiarire  il  vanire  di  Eoo  :  non  ò  su- 
perfluità come  giudica  il  Tomm.,  ma  ricchesza 
di  fantasia,  per  cui  il  poeta  ottiene  nella  bre- 
vità del  suo  dire  effètti  d' arte  meravigliosi, 
rivolgendo  l'attenzione  del  lettore  a  fenomeni 
svariatL  —  15.  amor  eco.  amore  consumò 
Eoo,  come  il  sole  consuma  1  vapori.  Nota  il 
Venturi  85  che  il  vb.  eoimmee  compendia  la 
narradone  che  Ovidio  fk  della  morte  di  quella 
ninfa  :  «  Attanuant  vigiles  corpus  miserabile 
curae  :  Addudtque  cutem  mades;  et  in  aera 
succus  Corporis  omnis  tAAt»  (Met.  m  896). 
—  16.  e  tàmmo  eoe  e  questi  archi  dell'iride 
assicurano  gli  uomini  che  la  terra  non  sarà 
più  esposta  al  diluvio,  per  il  patto  fermato 
tra  Dio  e  Noè.  —  17.  per  lo  patte  eoe  cfr. 
Òenesi  ix  8-17.  —  19.  cosf  ecc.  cosi  le  due 
corone  formate  di  spiriti  beati  danzavano  in- 
torno a  noi,  e  l' esteriore  si  accordò  cantando 
e  girando  a  quella  di  dentro.  —  22.  Poi  ohe 
eco.  Dopo  che  la  danza  e  quella  grande  si- 
gnificazione di  beatitudine  ch'era  nel  canto 
e  nel  vicendevole  fiamm^:giare  di  quelle  ani- 
me gaudiose  e  caritatevoli,  si  formarono  per 
concordia  di  volontà  in  un  medesimo  mo- 
mento. —  23.  flaameggiarsi :  Buti:  «ri- 
spondere lo  splendore  dell'  una  a  lo  splendore 
dell'  altra,  che  era  segno  d' awicendevole  ca- 
rità »  :  cfr.  Purg,  xv  75.  —  26.  pur  come 
ecc.  nella  stessa  guisa  che  gli  occhi  si  chiu- 
dono o  si  levano  a  guardare  con  atto  simul- 


660 


DIVINA  COMMEDIA 


27        conviene  insieme  cliiudere  e  levarsi, 
del  cor  dell'una  delle  luci  nuove 
si  mosse  voce,  che  Pago  alla  stella 
80       parer  mi  fece  in  volgermi  al  suo  dove; 
e  cominciò  :  <  L*amor  che  mi  fa  bella 
mi  traggo  a  ragionar  dell*  altro  duca, 
88       per  cui  del  mio  si  ben  ci  si  favella. 
Degno  ò  che  dov'è  l*un  l'altro  s'induca, 
si  che  com'eUi  ad  una  militàro, 
86       cosi  la  gloria  loro  insieme  luca. 
L'esercito  di  Cristo,  che  si  caro 
costò  a  riarmar,  retro  all'insegna 
C9       si  movea  tardo,  suspiccioso  e  raro, 
quando  lo  imperador,  che  sempre  regna, 
provvide  alla  milizia  ch'era  in  forse, 
42       per  sola  grascia,  non  per  esser  degna; 
e,  com'ò  detto,  a  sua  sposa  soccorse 
con  due  campioni,  al  cui  fìire,  al  cui  dire 
45       lo  popol  disviato  si  raccorse. 

In  quella  parte,  ove  surge  ad  aprire 


^ 


tanao,  Moondo  cho  U  muore  il  deddoiio.  — 
28.  d«l  cor  eco.  dall'  Interno  d'ima  delle  luci 
della  seconda  corona  li  moise  ima  TocOt  ohe 
mi  flBoe  enbtto  Tolger  al  luogo  ore  cesa  lieo- 
nara.  È  la  rooe  di  nn  BonaT«ntnra  da  Ba- 
gnorea,  Sranoeaoano  :  ofr.  t.  127.  —  29.  éhe 
l'aye  eco.  che  mi  fece  rolgere  a  lei  oon 
quella  pronteEia,  con  coi  l' ago  calamitato  si 
Tolge  alla  stella  polare.  Dalla  bussola,  inTen- 
tata  poco  innand  da  Flario  0ioia  amalfitano, 
aroYano  deriTato  colori  e  imagini  altri  poeti 
del  secolo  un,  per  es.  O.  Qninitelli  (Rime 
MpoMboL,  ed.  dt.,  p.  20):  cSlohe  Pago 
li  drixza  vèr  la  stella  >.  —  81.  e  eominelò 
ecc.  Bonarentiira,  arendo  sentito  il  domeni^ 
cano  Tommaso  lodare  san  Francesco,  inter- 
viene per  lodare  san  Domenico,  poiché  l'elo- 
gio d' uno  dei  due  campioni  della  Chiesa  trae 
seco  di  necessità  quello  dell'altro  (tt.  81- 
45);  per&  egli  dlBoorre  a  lungo  la  vita  di  san 
Domonioo  (vr.  48-106)  e  ne  trae  ocossione 
a  deplorare  la  deoadenza  deU'  ordine  france- 
scano (w.  106-126),  e  poi  enumera  a  Dante 
le  anime  beate  della  seconda  corona  (w.  127- 
146).  —  82.  dell'altre  eoo.  di  san  Domenico, 
r  altro  fondatore  d' ordini  monastici,  per  ca- 
gion  del  quale  Tommaso  d'Aquino  ha  parlato 
cosi  bene  di  san  Francesco.  Questa  è  la  spie- 
gazione pid  comune,  ma  il  Buti  intese  diver- 
samento, chiosando  :  e  L'amore  dello  Spirito 
Santo,  die  mi  fi  beata,  tira  me  a  ragionare 
di  san  Domenico,  per  lo  quale  amore  ci  si 
favella  s(  bene  del  mio  campione  >;  e  il  Ges. 


in  un  tento  modo  :  e  La  cui  umiltà  e  earità 
[di  s.  Dom.]  insegnò  a  s.  Tommaso  eoo  al- 
lievo a  parlar  ti  bene  del  mio  patrian»  ». 

—  84.  Degno  ecc.  È  oonveniento  ohe  quaado 
si  fknno  le  lodi  dell'uno  si  fÌMoiaiio  anohe 
dell'altro,  si  ohe  oome  ebbero  oomune  H  fine, 
la  difesa  della  CTiiesa,  abbiano  oomune  anche 
lo  splendor  della  gloria.  «  87.  L'eaerclte 
eoo.  La  cristiani^  che  ta  costituita  col  sa- 
crillcio  del  Bedentore,  si  moveva  dietro  alla 
croce  oon  lentscza  e  incostanza,  e  poco  nu- 
merosa; doè  i  cristiani  erano  ormai  tnàéi, 
dubbiosi  0  ridotti  a  scarso  numero  per  le 
grandi  eresie.  —  40.  lo  Imperader  eoe  Dio; 
ofr.  Inf.  I  12d,  Piar,  xxv  41.  —  41.  pr«v. 
Tl4e  eoe  al  bisogno  dei  cristiani  ohe  enne 
cosi  vacillanti  nella  fede  provvide  per  la  eola 
sua  grada,  non  per  loro  merito.  —  43.  eeai'i 
dette  :  cfr.  Pctr,  zi  81-86.  —  a  sua  tpeaa 
eco.  venne  in  aluto  alla  Chiesa  oca  due  cam- 
pioni, i  quali  col  loro  oeompio  e  oon  la  loro 
predioarione  fiecero  ravvedere  i  cristiani  di- 
sviati. —  46.  fi  raeeorse:  si  ravvide  ;  è  dal 
vb.  raeeorgwai,  oome  ben  inteeero  i  pìt  dei 
commentatori  (ofr.  Parodi,  BulL  IH  164), 
non  dal  vb.  roeùcgUtni,  oome  parve  ad  al- 
ttL  —  46.  Ih  f  iella  eoo.  NéDa  Spagna,  ove 
sorge  il  vento  di  Zefiro  ohe  porta  in  tutta 
l'Buropa  la  primavera,  non  lungi  dal  golfo 
di  Guascogna,  è  la  patria  di  san  Domeoioo. 

—  surge  ad  aprire  ecc.  Accenna  oca  fUi- 
dsaima  pittura  alla  fecondità  tribuita  dagli 
antichi  poeti  al  dolce  Zefiro  o  Favonio  (cfr. 


PARADISO  -  CANTO  XH 


651 


Zefiro  dolce  le  novelle  fronde, 
48       di  che  si  vede  Europa  rivestire, 
non  molto  lungi  al  percoter  dell'onde, 
retro  alle  quali,  per  la  lunga  foga, 
61        lo  sol  talvolta  ad  ogni  uom  8i  nasconde, 
siede  la  fortunata  Calaroga, 
sotto  la  protezion  del  grande  scudo, 
54       in  che  soggiace  il  leone  e  soggioga. 
Dentro  vi  nacque  l'amo  roso  drudo 
della  fede  cristiana,  il  santo  atleta, 
57       benigno  ai  suoi,  ed  ai  nemici  crudo; 
e,  come  fu  creata,  fu  replsta 
si  la  sua  mente  di  viva  virtute 
60       che  nella  madre  lei  fece  profeta. 
Poi  che  le  sponsalizie  fur  compiute 
al  sacro  fonte  intra  lui  e  la  fede, 
63        u'si  dotar  di  mutua  salute; 


Luciexio,  I  11,  Oridio,  JM.  i  63,  107).  — 
£0.  retro  eoo.  dietro  alle  quali  onde  del  golfo 
di  Ouaaoogna  par  ohe  il  sole  rada  a  nasoon- 
deni  Bel  eoUttado  d' tetate,  quasi  stanco  della 
fanifa  e  rapida  eom  diurna.  —  52.  aledt 
eoe.  è  Oalarnega  e  Oalaroga  (non  Oalahorra, 
Omiagunit),  borgo  della  CastigHa,  fortunata 
pataia  di  san  Domenioo.  —  68.  lette  eoo.  la 
quale  appartiene  alla  famiglia  reale  di  Casti- 
glia,  che  porta  per  insegna  nno  scudo  ore 
sono  inquartati  due  leoni  e  due  castelli:  dal- 
runa  parte  il  leone  è  nel  quarto  inferiore, 
togffiac»  cioè  sta  sotto  al  oasteUo,  dall'altra 
è  nel  quarto  superiore,  e  quindi  toggioga  oioò 
sta  aopra  al  oastollo.  Quando  nacque  san  Do- 
menico era  le  di  CastigUa  Alfonso  Vm  (1168- 
1214X  ilglio  di  Bianca  di  Nararra,  la  quale 
diaoradeva  da  Bamiro,  stato  signore  di  Cala- 
Toega  nel  seeolo  n.  —  66.  Deatre  eoe  Per 
la  rita  di  san  Domenioo,  ohe  nacque  In  Ca- 
laruega  nel  1170,  fondò  l'ordine  dei  predica- 
tori nel  1216  e  mori  nel  1221,  Dante  si  at- 
tenne oome  già  per  san  Francesco  agli  antichi 
Mogiaii,  che  sono  Bernardo  di  CHaido  (Quetif 
e  Echard,  SeripL  ord,  Praed,,  dt  rol.  I,  pp. 
44-60X  Goetantino  d'OrTieto  (U  dt.,  toI.  I, 
pp.  26-4AX  il  beato  Giordano  (Bollandisti, 
AdM  Stmetonm  AitgutH,  toL  I,  pp.  546-569), 
Bartolommeo  da  Trento  (op.  dt,  voi.  I,  pp. 
669-662)  e  Teodozioo  d'Appoldia  (op.  dt., 
ToL  1,  pp.  668-682).  Fra  i  mod^  basti  ri- 
eordare  i  Bollandisti,  ròL  I,  pp.  858-545  ; 
T.  Bottoni,  Vita  di  e.  Domònieo,  Venezia 
1669;  H.  GastUlo  e  L  Lopes,  Eid.  gmtnl 
ed  «.  Domhiigo  g  d$  m  onUn  d$  Bredioado- 
MS,  Valladolid  1612-1622;  F.  PoUdori,  Vita 
di  «.  Domenioo,  Boma  1777  ;  E.  D.  Lacor- 
daire.  Vis  do  d.  Dondniquo,  Parigi  1840.  — 


tI  aaeqoe  eoe.  vi  nacque  noi  1170  il  Anrido 
amatore  e  santo  campione  della  religione  cri- 
stiana. —  érado  t  roce  d' origine  germanica, 
che  significò  dapprima  amante  fedele  (Diex 
122,  Nannuod,  VtrH  115),  posda  nella  no- 
stra lingua  prsee  il  senso  cattilo  che  lia  in 
3iA  rnn  184,  Atfy.  xzzn  155.  ~  67.  bt> 
aigne  eoo.  È  quasi  traduzione  del  y,  809 
della  ifod^  di  Euripide,  che  Dante  potè  leg- 
gere tradotto  in  qualche  iioiilegio  mediooTale 
di  sentenze  (ofir.  Moore,  1 16).  ~  58.  eeme 
eco.  appena  Ai  creata,  l'anima  di  san  Dome- 
nico fu  ripiena  di  tanta  virtd  che  essendo 
ancora  nel  seno  della  madre  la  fece  profe- 
tessa. Dante  s'ò  ricordato  qui  dell'evangelioo 
(Luca  I  15):  e  [Qiovanni]  sarà  ripieno  dello 
Spirito  Santo,  fin  dal  yentie  di  sua  madre  », 
a  proposito  della  Tìsione  arata  dalla  madre 
di  san  Domenioo;  la  quale  sognò  di  portare 
in  seno  un  csgnolino  che  teneva  una  Tuce 
in  bocca  e  che  Tenuto  alla  luoe  con  la  Tace 
incendiava  la  terra,  a  significare  ohe  11  figlio 
con  Io  splendore  della  santità  e  della  dottrina 
avrebbe  Infiammato  le  genti  alla  fede  cri- 
stiana (Bartolom.  da  Trento,  p.  569,  e  Teo- 
dorico  d' App.,  p.  566  :  il  b.  Giordano,  p.  546, 
attribuisce  invece  alla  madre  il  sogno  della 
matrina,  cfir.  v.  64).  —  60.  eke  sella  madre 
ecc.  Gran  divergenza  è  tra  gl'interpreti  a 
proposito  di  questo  verso,  e  specialmente  del 
M,  che  alcuni  riferiscono  a  monto,  altri  a  mr- 
tute  ;  mentre  è  da  riferire  a  madro,  spiegan- 
do: la  qual  mente  o  anima,  essendo  noUa 
maén,  fece  M,  la  madre,  profota,  —  61.  Pel 
ehe  ecc.  Posda  che  fu  battezzato,  oompintosl 
cosi  il  suo  sposalizio  con  la  fede  con  vantag- 
gio d'entrambi,  perché  egli  ti  liberato  dal 
peccato  originale  e  la  fede  acquistò  in  lui  un 


652 


DIVINA  COMMEDIA 


la  donna,  che  per  lui  l'assenso  diede, 
vide  nel  sonno  il  mirabile  frutto 
C6        ch'uscir  dovea  di  lui  e  delle  rede; 
e  perché  fosse,  quale  era,  in  costrutto, 
quinci  si  mosse  spirito  a  nomarlo 
€9       del  possessivo  di  cui  era  tutto. 
Dominico  fii  detto;  ed  io  ne  parlo 
si  come  dell'agricola,  che  Cristo 
72       elesse  all'orto  suo  per  aiutarlo. 

Ben  parve  messo  e  famigliar  di  Cristo; 
che  il  primo  amor  che  in  lui  fri  manifesto 
75       fu  al  primo  consiglio  che  dio  Cristo. 
Spesse  fiate  fu  tacito  e  desto 


efflcaoe  difensore.  —  6A.  Ui  dOBMft  eco.  la 
matrina,  che,  secondo  il  rito,  si  era  obbligata 
ìb  nome  del  bambino,  ride  in  sogno  il  fratto 
meraviglioso  che  uscir  doveva  da  Domenico 
e  dai  suoi  segoacL  Allude  alla  visione  della 
matrina,  che  sognò  di  vedere  U  fancinllo  con 
ona  stella  in  fronte,  segno  ch'egli  sarebbe 
stato  gnida  e  direzione  alle  anime  verso  l'e- 
terna salute  :  cft.  Teodorioo  d'App.,  p.  566, 
e  Vincenzo  di  Beanvais,  Spaculum  historiaté^ 
llb.  xxnc,  cap.  94.-66.  deUe  r«4e:  dai 
suoi  frati  ;  cftr.  Par.  xi  112.  —  67.  e  pereh¥ 
eoo.  e  perché  anche  nel  nome  apparisso  quale 
era  realmente,  dal  cielo  discese  l'ispirazione 
a  dargli  per  nome  il  possessivo  {dominieus) 
derivato  dal  nome  del  Signore  {Lhminus),  di 
cui  egli  era  interamente.  Appare  qui  mani- 
festa la  tendenza  di  Dante  a  ricercare  una 
particolare  significazione  nei  nomi  propri  delle 
persone  :  il  poeta  nostro  professava  la  dottrina 
che  nomina  »unt  eonsequeniia  rerum  (K.  N, 
xm  16);  e  perdo  nel  nome  di  Beatrice  tro- 
vava specialmente  l'idea  della  beatitudine 
(F.  N»  1  6-6)  e  nel  nome  e  nel  sopranome 
della  donna  del  Cavalcanti  il  concetto  di  una 
precorritrice  (F.  N.  xxrv  15-29),  e  si  com- 
piaceva di  antitesi  come  quella  tra  non  smria 
e  Sttpfa  (Pitrg,  zm  109)  e  forse  anche  tra 
Sessi  e  Oriente  (Par.  zi  52-58).  Cosi  qui  per 
il  nome  Domenico,  e  più  innanzi  (w.  79-81) 
por  quelli  dei  suoi  genitori  ;  al  qual  propo- 
sito ò  da  avvertire  che  Dante  potò  trarre 
l'idea  di  questo  significazioni  dai  biografi  del 
santo,  perché  in  Bartolom.  da  Trento,  si  leg- 
ge, p.  569  :  e  Dominicus,  qui  Domini  custos 
voi  a  Domino  oustoditus  etymologicatur  vel 
quia  praocepta  Domini  oustodivìt,  vel  quia 
Dominus  custodivit  eum  ab  inlmicis  >,  e  in 
Teodorìco  d'App.,  p.  666:  e  Generatur  a  pa- 
tre  Felice;  parturitur,  nutritur,  fovetur  a 
lohanna  Dei  gratìa  matre  ;  renascitur  et  Do- 
minico nomine  insignitur,  gratiae  alnmmus, 
divinitatis  oupidus,  aetomaeque  felioitatis  he- 
res  futurus  >.  ~  la  costritto  :  in  parole,  nel 


discorso  (c£r.  ISurg,  zzvm  147,  Ar.  zzm 
24).  —  69.  del  posiessire  eco.  of^.  Toam. 
d'Aqu.,  Summ»  P.  m,  qu.  svi,  art.  3:  «  Do- 
minieus  non  didtur  de  his  de  quibus  Opm»- 
mu  praedioator,  non  enim  consoevit  dici  qaed 
aliquis  homo  qui  est  dominus  slt  dominkm»; 
sed  illnd  quod  qualiteronmque  e«t  Donini, 
daminiicmn  dioitur,  sicut  dominloa  voluitu, 
vel  domlnica  manus,  voi  dominioa  passio». 
—  71.  dell' agTlesla  eoe  dén'agriooltaie, 
die  Cristo  scelse  per  l'inoremeato  dell'orto 
suo,  doè  della  Chiesa  cristiana  (cfir.  Rv.  zzvi 
64).  —  Cristo  s  a  significare  che  nesson*  al- 
tra idea  pareggia  quoUa  della  divinità,  Danto 
non  accompagna  mai  altre  pardo  in  rima  od 
nome  di  Cristo,  ma  lo  ripete  in  tatte  e  tre 
le  sedi  (ofir.  lo  stesso  in  Par,  ziv  104,  xix, 
104,  zzzii  68).  n  D'Ovidio,  pp.  216-224,  ha 
sostenuto  la  geniale  ipotesi  die  in  questo 
modo  Danto  abbia  vduto  fkre  ammenda  di 
un  piociol  fallo,  quello  d'aver  nominato  Cristo 
in  uno  del  suoi  sonetti  burieschi  scambiati 
con  Forese  Donati  (cAr.  I^trg,  zznx  48).  — 
78.  Bea  parve  ecc.  Domenico  si  dimostrò 
subito  nunzio  e  discepolo  di  Cristo,  p<Adié 
il  primo  sentimento  oh'  d  manifestò  fti  l'  »- 
more  alla  poverià,  che  Cristo  avwa  consi- 
gliata al  giovine  desideroso  della  vita  etama 
(Matteo  zix  16-21):  allude  al  ftitto  hmcob- 
tato  dai  biografi,  che  In  tempo  di  oarestU  Do- 
menico vendè  i  sud  libri  e  distribuì  al  povorì 
il  denaro  ricavato  dalla  vendita.  —  76.  SpMst 
eoe  Baooontano  1  biografi  che  sin  da  Ikndal- 
^tto  san  Domenico  dimostrò  il  suo  amoro  a 
Dio,  abbandonando  di  netto  il  letto  e  atten- 
dendo alle  preghiere  ;  ma  Danto  par  obe  ab- 
bia pid  tosto  avuto  innansl  Vinoenso  di  Bean- 
vais, Speo,  kisL  thx  94,  il  quale  parla  di 
questo  abbandono  dd  letto  come  di  im  atto 
d'umiltà  •  di  penitenza,  mirabile  in  on  te^ 
dullo  ;  ecco  le  sue  parole  :  «  Nato  igitvr  sx 
pile  parentibus  et  religiose  viventibus,  in  iUa 
puerili  aetato  sua  oor  d  senile  iam  Insnt, 
et  sensus  veneranda  canities  teneUa  sub  £a- 


PABÀDISO  -  CAKTO  XII 


653 


trovato  in  terra  dalla  sua  nutrice 
78        come  dicesse  :  *  Io  son  venuto  a  questo  \ 
0  padre  suo  veramente  Felice! 
o  madre  sua  veramente  Giovanna, 
81        se  interpretata  vai  come  si  dice! 

Non  per  lo  mondo,  per  cui  mo  s'affanna 
di  retro  ad  Ostiense  ed  a  Taddeo, 
84        ma  per  amor  della  verace  manna, 
in  picciol  tempo  gran  dottor  si  feo, 
tal  che  si  mise  a  circuir  la  vigna, 
87        che  tosto  imbianca,  se  il  vignaio  è  reo; 
ed  alla  sedia,  che  fu  già  benigna 
più  ai  poveri  giusti,  non  per  lei, 


de  Istitabat:  oam  enim  aesot  adhnc  pnero- 
hu,  nondun  a  màriùb  diHgmttia  tegregÀtot, 
d^prtkmmu  tti  9tup$  tootnm  dimittere,  quasi 
iam  caniia  deUdas  abhorreret,  et  eUgebat 
potius  ad  ttmm  aocnmbere  >  :  cfr.  andie 
Teodorioo  d'App^  p.  666.  —  78.  Io  sea  eoo. 
Io  80B0  nato  per  TiTeie  nell'umiltà,  perii» 
penitenza.  —  79.  0  padre  eoo.  Felioe,  non 
por  di  nomOi  na  anohe  di  fatto»  per  arer 
dato  al  mondo  san  Domenioo.  B  padre  del 
santo  fa,  secondo  alooni,  Felioe  di  Onzman; 
molti  per  altro  negano  ohe  fosse  di  tale  Ca- 
mifflia.  —  80.  e  madre  eoo.  La  madre  Ai 
Giovanna  d'Asa,  e  nel  nome  di  lei  Dante 
troyaT»  l'idea  di  graziosa,  piena  di  grada, 
secondo  l' intsrpretadone  data  dai  teologi  e 
dei  lesdoografl  medioerali  dell'  ebraico  nome 
Giovanna,  spiegato  da  esd  come  dombn  ffrth 
tìa  {ott.  BulL  V  199%  —  82.  Hon  per  lo 
«MNide  eoo.  Non  d  dio  agli  stadi  per  amore 
di  locro,  oome  fìuino  quelli  che  or  s'afEati- 
cano  nel  diritto  canonico  e  nella  medicina, 
ma  per  nn  dto  ideale  religioso  eoo.  —  88. 
reire  eco.  cfir.  Far.  z  14.  —  Ostiense:  En- 
rico di  Snsa,  n.  d  prindpio  dd  secolo  zra, 
stadio  in  Bdogna  sotto  lacobo  Baldoini  e  poi 
insegnò  il  diritto  canonico  .a  Bologna  stessa, 
a  Parigi  e  forse  anche  in  Inghilterra,  ore 
passò  qiuJche  tempo  in  gran  favore  presso 
«  n  re  della  semplice  vita  >  (Btrg.  vn  180)  : 
tornato  nel  continente,  fa  nel  1244  creato 
resooTO  di  Sisteron,  nd  1260  ardresooro  di 
Embron  e  nel  1261  cardinale  e  vesooro  di 
Ostia,  onde  fti  detto  senz'  dtro  il  cardi  nrie 
Ostieiise  :  moil  nel  1271,  lasciando  gran  fluna 
di  canonista,  scqaistatacon  la  Laetura  in  Dò- 
entaieB  e  spedalmento  con  la  Smrnna  tuptr 
HhUiB  Decntaikm  detta  anche  Summa  J9b- 
disusis,  die  divennero  sabito  libri  di  testo 
nelle  eoade  gividiehe.  Si  cfr.  Sarti,  op.  dt 
I,  489-445,  e  Sdiolto,  op.  dt.,  n,  123-129. 
—  Taddeo  t  Taddeo  d'Alderotto,  nato  in  Fi- 
ranae  intorno  d  1216,  d  recò  da  giovine  a 
stadiare  in  Bologna  e  diede  opera  asddoa 


alla  filosofia  e  alla  medicina:  intomo  d  1260 
d  die  all'  insegnamento,  nd  qoale  applicando 
1  prindpt  fllosofid  alla  sdenta  della  sdato 
fondò  la  scuola  medica  di  Bologna  e  xinnovò 
lo  dottrine  d'Ippoorato  e  di  Gdeno.  Eser- 
citò andie  laigiunento  e  con  lauti  gnadagni 
la  medicina  pratica,  e  fti  primo  dd  medid 
a  gtovard  dell'arto  propria  per  raccogliere 
nn  gran  patrimonio.  Mori  nd  1296,  e  lasdò 
molto  opere,  e  tra  esse  le  Expoaiiione»  degli 
scritti  d'Ippoonte,  U  IÀbeUu9  tandUOia  com- 
mrvanda»  e  i  OomiUa  fnedMnalùi,  che  di- 
vennero i  Ubri  dasdd  ddla  medicina  medioe- 
vale. Fa  anohe  oaitore  ddla  naova  llngna 
italiana  e  gli  ^  attriboito  on  vdgarizzamento 
ddl'JEXiM  d'Aristotde,  oensorato  da  Danto 
nd  Cbne.  i  10.  Si  ofr.  oltre  U  Stfti,  op. 
dt.,  I,  664-664,  F.  Paodnottì,  Storia  dsUa 
nudMna,  livomo  1885,  voi.  II,  p.  I,  pp.  289 
e  segg.  e  G.  Finto,  Taddeo  da  Fiqmixa  e 
la  medioina  in  Bokgna  nel  xni  mo.,  Roma 
1883.  —  84.  veraee  manna:  ofr.  iWp.  xx 
18.  —  86.  In  picelo!  eoe.  in  poco  tompo 
divenne  dottore  profondissimo  di  teologia, 
d  ohe  potò  volgere  la  soa  dottrina  a  bone- 
fldo  ddla  Chiesa;  la  qaale  ò  qaella  vigna 
die  sabito  d  dissecca  se  cade  nelle  mani 
di  cattivo  vigndo,  ovvero  ò  nn' istitadone 
ohe  rovina  se  1  saoi  ministri  non  sono  dotti 
e  virtood.  ~  86.  si  Mise  eoo.  B  primo  af- 
fido ecdeslastico  di  san  Domenioo  fa  il  ca- 
nonicato di  Oxma,  datogli  nel  1199.  —  la 
▼lyaa  eco.  L'idea  di  qaesta  perifrad  ò  deri- 
vata dalle  pardo  di  Geremia  n  21  :  «  Or  f  a- 
vea  io  piantota  di  viti  nobili,  d'on  seme  vero 
tetto  quanto  :  e  come  mi  ti  sd  to  malata  in 
trdd  trdignatl  di  vito  strana?  »  e  da  tetto 
il  oap.  V  di  Isaia.  —88.  aUa  sedia  eco.  alla 
sede  pontificia,  che  nel  passato  fa  aasd  più 
benigna  d  poveri  giostL  San  Domenico  d 
recò  a  Roma  nel  1206,  e  inoomindò  la  soa 
predicadone  oontro  gli  Albiged  nd  1207.  — 
89.  non  per  lei  ecc.  non  per  vide  proprio, 
ma  per  la  persona  dd  papa  ohe  non  eserdta 


654 


DIVINA  COMMEDIA 


90       ma  per  colui  che  siede,  che  traligna, 
non  dispensare  o  due  o  tre  per  sei, 
non  la  fortuna  di  prima  vacante, 
93       non  dednuts,  quae  sunt  pauperum  Dei, 
addomandò;  ma  contro  al  mondo  errante 
licenza  di  combatter  per  lo  seme, 
96        del  qual  ti  &8cian  ventiquattro  piante. 
Poi  con  dottrina  e  con  volere  insieme 
con  Poffioio  apostolico  si  mosse, 
99       quasi  torrente  ch'alta  vena  preme; 
.  e  negli  sterpi  eretici  percosse 

l'impeto  suo,  più  vivamente  quivi 
102       dove  le  resistenze  ersm  più,  grosse. 
Di  lui  si  £dcer  poi  diversi  rivi, 
onde  Porto  cattolico  si  riga, 
106        si  che  i  suoi  arbuscelli  stan  più  vivL 


ooB«  èonebbe  U  loo  mSnlstoio  di  oadtà  • 
d'amore.  —  9i.  bmi  dlaptuart  eoo.  non 
domandò,  come  fiuino  gli  nomini  di  chiosa, 
di  dare  in  open  pie  il  tono  o  la  metà  delle 
rendite  a  ciò  eBoognete,  né  di  ottenere  il 
primo  benefioio  ohe  ibeie  vacante,  né  di  per* 
oepiie  le  decime  che  aono  del  poreri  di  Dio 
eoo.  CkmdMua  in  nna  terzina,  di  itraordinik 
ria  etHoacia  deriTata  dal  lingnaggio  proprio 
dei  canonisti  e  degù  ecdeaiaitioi  del  sno  tem* 
pò,  tatto  dò  die  si  potava  dire  della  onpidi^ 
già  dai  prelati  ;  contro  i  qnali  gridò  già  nel 
Oom,  r?  27  :  <  Ahi,  malastmi  e  malnati,  die 
disertate  vedove  e  pupilli,  ohe  rapite  aUi 
meno  possenti,  ohe  forate  ed  eocopate  Tal- 
troi,  e  di  quello  corredate  conviti,  donate 
cavalli  e  arme,  robe  e  danari,  portate  le  mi- 
rabiU  vestimanta,  edificate  li  mirabili  edifldi; 
e  credetevi  larghessa  fare:  e  che  ò  qvesto 
altro  fine  che  levare  U  dr^po  d' in  sa  1*  al- 
tare, e  ooprime  a  ladro  e  la  saa  mensa?» 
D'Ovidio,  p.  417:  cLo  spirito  danteooo  è  ao- 
coiato  rimpianto  della  sablime  povertà  degli 
Apostoli,  angosoia  ineffabile  per  la  monda- 
nità della  Chiesa,  ranooie  malinconico  per 
qoell*  tmpecaton  che  ve  l'aveva  avviata  con 
nn'improwida  cessione,  condanna  acerba  per 
tatti  i  sintoni  di  cupidigia  e  di  tenestri  ar- 
dori nei  sacerdoti  e  nd  loro  capo,  rampogna 
aoerbiasima  porqndla  ohe  era  la  cassa  ultima 
dd  aule,  aspirarione  smaniosa  all'aooordo 
fta  le  dee  podestà,  a  prò  della  pace  terrena 
doli'  Oman  genere  ».  —  92.  prima  vaeaate  t 
la  pieiadone  o  U  ^eneftdo,  che  prima  fosse 
per  rendsnl  vacante.  ^  98.  deelmaa  eoo. 
ofr.  san  Bsmardo,  Dtotamat.  xvn  :  e  Patrimo- 
nia  sont  paapernm  Cunltates  eodesiaron  ». 
->  94.  ma  eontre  eco.  ma  domandò  11  per- 
messo di  combattwe  contro  gli  eretid  In  di- 


fésa deOa  fede,  deUa  qoale  noi  spiriti  «  queste 
dee  eorone  d  siamo  nutriti.  —  vonAo  eiraa- 
te  t  sono  gli  eretici,  e  spedahnente  gli  iJU- 
gesi,  contro  i  quali  saa  DooMnioo  fonde  l'or- 
dine dd  predicatori  e  chieea  l' i^provadone 
al  pontaAoe  Innooenso  m  :  ma  non  rottsane 
ohe  pid  tardi,  da  Onorio  IH,  con  boDn  dd 
22  dicembre  1216  (Potthast,  op.  dt.  n.*  6403), 
nella  qude  i  domenicani  sono  detti  e  pogUss 
fldd  et  vera  mundi  lumina  ».  —  97.  Fai  eoa. 
Accenna  al  mead  od  quali  san  TTniaiilLo 
propugnò  la  fede  oontro  gli  evetloi,  dee  la 
dottrina  teologica,  lo  ado  religioso  e  l'auto- 
rità conferitagli  dd  pontefice.  —  99.  ^nasl 
eco.  La  similitudina  dd  torrente  olia  preci- 
pita dalle  alture  dimostra  l'impeto  oca  eoi  fi 
santo  d  pose  all'  opera  ;  e  ricorda  pd  nel  eon- 
oetto  il  virgiliano  àeWBn,  n  806:  «  Inddit 
aut  rapidus  montano  ftumine  torrens  Stmult 
agros,  stemit  sata  laeta  boumqua  laborea  », 
pittura  troppo  partlodareggiata  e  però  meno 
efBcaee  della  dantesca.  —  IOOl  e  Begli  atarpl 
eco.  e  oombatté  oontro  gli  eretici,  pid  viva- 
mente in  Frauda,  nd  territorio  di  Toloaa, 
ove  l'eresia  degli  Albiged  aveva  posta  pi« 
salde  radid.  Ddl' opera  di  san  Domenico  otm- 
tro  questi  eretifli,  a  combattere  i  quali  non 
ftarono  risparmiati  1  mead  più  violanti  •  inu- 
mani, d  veda  dò  che  serivone  i  biografl  dd 
santo,  gii  storid  ddla  Chiesa,  e  modalmente 
J.  J.  Bamu  e B.  Darragon,  HUioin  éé^cni" 
mdm  efmbTB  Im  AlbigtoU,  Fferigi,  184a  — 
aterpl  ereCldt  Bnti:  €tlmy9  d  dice  legno 
bastardo,  non  ftnttifero,  a  ood  soma  gU  e», 
tid;  e  cena  lo  starpo  impaeda  a  stroppia 
l'albero  che  fk  firutto,  cod  gii  eretid  Impao. 
dano  li  vari  cristiani  e  non  gli  ìansomo  Ihre 
flutto  ».  —  108.  m  lui  eoe.  San  Demenloo 
ò  paragonato  a  un  torrente;  I  lin'dnhilpc» 


PARADISO  -  CAKTO  XU 


655 


108 


111 


114        si 


117 


Se  tal  fa  l'una  rota  della  biga, 
in  che  la  santa  Chiesa  si  difese 
e  vinse  in  campo  la  sua  civil  briga, 

ben  ti  dovrebbe  assai  esser  palese 
r eccellenza  dell'altra,  di  cai  Tonuna 
dinanzi  al  mio  venir  fii  si  cortese. 

Ma  Forbita,  che  fé*  la  parte  somma 
di  soa  circonferenza,  è  derelitta, 
eh*  è  la  mofEa  dov*era  la  gromma. 

La  saa  fiEuniglia,  che  si  mosse  dritta 
coi  piedi  alle  sae  orme,  ò  tanto  volta 
che  quel  dinanzi  a  qael  di  retro  gitta; 

e  tosto  si  vedrà  della  ricolta 


cedenti  mmmo  dunque  i  snoi  segmeii  U  eoi 
pcedtoasioiie  fecondò  U  ohieia  oriiHenei  oon- 
totmaJBOo  I  fedeli  neDe  leeo  oradenae,  Inlgd, 
per  efeer  nella  aetafoim,  l'orto  oettoUoo  e  fece 
TvdeggUie  1  looi  eiteeceUi.  ^  106.  Se  tei 
eoo.  efr.  Ar.  n  118  e  tegg.  —  l'nen  eoo. 
l'ima  delle  due  ntote  del  oeno,  in  eoi  le 
OhieM  oomtetté  e  flnee  gl'interni  diaridt 
eoQflivsa  delle  eette  eretiohe,  tu  nn  Done- 
■ioo.  —  klgns  il  oecro  delle  Ghieea,  ofr. 
A»y.  zxix  107.  — 106.  dfU  telgnt  l'eneU 
portava  li  dinidio  nel  gxeabo  della  religione, 
eoaie  Io  epizito  di  parte  lo  poitaTa  nelle  ei^ 
émAiw^mmw^  dgU0  cepabUiolke  medioeTali;  per- 
oid  Dante  chiama  cob£  le  diMXMdle  celigioee, 
in  quanto  pertorbayano  la  mità  della  dt- 
*r**^**«^  o  ooiBUiità  oiiatiana.  —  110.  del- 
1*  altra  eoo.  dell'  altra  mota,  dell'  altro  eo« 
ategiio  della  Chiesa,  lan  Franoeaoo.  —  di 
««1  eoo.  del  qnale  Tomnaio  d'Aquino  fooe 
l'dogio  pdaia  della  mia  Tennta.  —  112.  Ha 
rerUte  eoo.  Ma  la  txMxda  aegnata  dalla 
parte  somma  eoe,  dal  cerchio  della  mota,  è 
abbandonata,  l'orma  di  san  Frenoeeoo  non  è 
pM  eegoita  dai  fooi  firati.  H  Lana,  die  tÌmo 
qoando  erano  reoenti  i  diesidl  fhacesoeni, 
BOfCa:  «Qoi  tocca  fra  Bonayentora  aloona 
ooea  deUo  diaordine  che  è  in  li  frati  minori, 
e  dio»  ch'éDl  eono  tuito  oreeohiti  in  numero 
e  la  aoritadl  di  Tita  che  quasi  quello  ordine 
bae  llitto  moto  droolare  e  Tao  mo  centra 
qnello  ohe  in  prinoipio  olii  endava,  si  che 
qnfJH  che  eono  moderai  gittano  doè  contra- 
diceno  alU  antichi  e  prbai.  Or  qui  taknUr 
l'autore  tocca  di  qnella  setta  che  ftie  tra  essi, 
che  ei  appeUsTano  firaU  deUapov&ra  vita;  e 
perft  dice  :  dor*  era  in  prindpio  la  gromma, 
doè  la  fratemitade  e  la  nnitada,  mo  si  gli 
è  la  mnlEa,  doè  la  discordia  e  la  dirisione  >. 
ì  maaiteto  per  questa  chiosa  che  Dante  al^ 
Indavra  al  dissidio  dell'ordine  fhmoeecano, 
tra  i  cosi  detti  apkHuaU  o  segoad  di  Pier 
Oioranni  Oliyi  (1247-1297),  propngnators  della 
stratta  oeseirnnrs  della  redola  francescana  in 


dd  ohe  oonoeme  la  poTortà,  e  l  owwwwfcwH, 
ohe  attenendod  a  una  più  larga  interpreta* 
done  della  regola  ammettevano  il  posseeso  e 
il  godimento  dei  beni,  Il  consegnUaento  11 
affici  eoo.  Questa  disoordia  dar6  con  Tarie 
ricende  per  tutto  U  tempo  della  rlta  di  Dante, 
che  vide  giustamente  U  danno  arrecete  da 
essa  ella  santità  dell'  ordine  e  insieme  quanto 
fbese  d'esagerazione  noli'  una  e  nell'altra  dot- 
trina. Su  questa  matnia  cfr.  F.  Tocco,  L'«- 
retfa  nd  medùmo,  dt,  pp.  449-665.  -  114. 
è  la  «HRi  eoo.  c'è  11  male  dove  prima  era 
U  bene  :  è  imagine  tdta  dalle  botti,  che  ben 
curate  producono  la  gruma  atta  a  consenrare 
il  vino,  traeeurate,  ftuiao  la  muffa  che  Io 
guasta.  —  116.  La  sea  eoo.  I  franoescanl, 
die  già  seguirono  la  via  additata  dai  santo 
fondatore,  ora  camminano  per  via  dd  tutto 
direcsa,  non  praticano  più  la  carità  e  l'amore 
della  poTortà.  Questo  è  il  concetto,  ma  la 
frase  qnd  Onaiwi  eoo.  è  pi6  tosto  oscura, 
né  i  commentatori  d  sono  dati  pondero  di 
chiarirla:  credo  ohe  Dante  abbia  voluto  dire 
che  quelli  dd  francescani  che  sono  più  in- 
nand  nei  cammino  della  virtù  d  trovano  in 
contrasto  con  quoQi  ohe  son  più  indietro,  in* 
somma  che  c'è  vivissima  lotta  fra  spiritudl 
e  conventuali.  La  spisgadone  comune,  for- 
mulata dd  Lomb.  cod:  e  pone  cesa  le  dita 
de'  piedi  a  quella  parte  dove  e.  Francesco 
impresse  le  cdcagna,  cammina  d  contrario  », 
non  rende,  parmi.  Interamente  il  penderò 
dd  poeta,  che  è  tutto  sulle  discordie  ddl'or- 
dine:  dd  resto  soyr'eesa  d  ofr.  BhU.  I  97. 
-~  IIS.  e  teste  eoo.  e  presto  d  vedrà  qud 
sia  il  frutto  di  una  cattiva  odtivadone, 
quando  il  loglio  d  lagnerà  d'esser  esodato 
ftaori  dd  grando,  doè,  friori  di  metafora,  d 
vedranno  i  tristi  sflbtU  di  tdi  disddt  allora 
ohe  la  parte  più  misera  dd  francescani  sarà 
bandita  dall'ordine.  È  una  terdna  di  assd 
dilDdle  inteipretaslono  storica;  ma  poiché 
Dante  allude  a  un  fatto  non  mdto  posteriore 
d  1900,  d  qude  per  qud  che  d  pud  arguire 


656 


DIVINA  COMMEDIA 


della  mala  coltura,  quando  il  loglio 
120        bì  lagnerà  che  l'arca  gli  sia  tolta. 
Ben  dico,  chi  cercasse  a  foglio  a  foglio 
nostro  volume,  ancor  troveria  carta 

128  u*  leggerebbe  :  'Io  mi  son  quel  ch'io  soglio  '; 
ma  non  fia  da  Casal,  né  d'Acquasparta, 

là  onde  yegnon  tali  alla  scrittura, 
126       che  l'un  la  fugge  e  l'altro  la  coarta. 
Io  son  la  vita  di  Bonaventura 
da  Bagnoregio,  che  nei  grandi  offici 

129  sempre  posposi  la  sinistra  cura* 
Illuminato  ed  Augustin  son  quici, 


dai  versi  •egnenti  larebbeio  rimasti  estranei 
Ubertino  da  Gasale  e  Matteo  d'Aoqnaspaita, 
parmi  che  si  possano  riferire  le  parole  del 
poeta  alla  oostltazione  di  Gioranni  XXII, 
dell'aprile  1817,  contro  gli  spiritoali,  oon  la 
quale  tu.  ordinato  che  una  delle  questioni  più 
vivamente  discasse  in  questi  contrasti,  doè 
se  i  francescani  dovessero  e  habere  granaria 
et  oellaria  »,  fosse  rimessa  nei  superiori  dei 
conventi,  e  cosi  si  venne  a  dar  torto  agli  spi- 
rituali professanti  la  più  stretta  povertà.  Si 
cfr.  Toooo,  op.  cit,  p.  616.  —  121.  Ben  dico 
ecc.  cfir.  Par.  xi  180  e  segg.  —  ehi  eereasse 
ecc.  se  alcuno  essmlnssne  foglio  per  foglio 
U  volume  dell'ordine  francescano,  conside- 
rasse un  per  uno  1  singoli  frati,  ne  trove- 
rebbe ancora  dei  fedeli  alla  regola  del  santo 
fondatore.  —  128.  Io  ecc.  Io  sono  quale  so- 
levano essere  1  francescani  primitivi  :  del  vb. 
miglio,  usato  In  fonzione  d'imperfetto,  si  ve- 
dano eeempi  antichi  nella  nota  all'In/,  zzvn 
48.  —  124.  ma  bob  Ha  eco.  ma  questi  fedeli 
osservatori  della  regola  francescana  non  sa- 
ranno n6  gli  spirituali  né  i  conventuali,  1 
quali  falsano  la  regola,  quelli  facendola  più 
rigida,  questi  interpretandola  troppo  mite* 
mente.  —  4a  Casal  :  allude  a  Ubertino  d'Illa 
da  Gasale,  nato  nel  1269,  entrato  nell'  ordine 
francescano  nel  1278,  passato  noli'  ordine  be- 
nedettino nel  1817,  morto  nel  1888:  fri  per 
nove  anni  lettore  nell*  università  di  Parigi,  e 
tornato  in  Italia  si  dio  alla  prodicaiione,  pro- 
pugnando le  idee  di  Pier  Giovanni  Olivi,  alla 
morte  del  quale  rimase  capo  dolla  fioione 
degli  spirituali:  trionf5  momentaneamente 
durante  il  papato  di  Gremente  V  (1806-1814  ; 
cfr.  Inf.  XIX  82)  e  scrisse  allora  l'^rftor  vita» 
oruetfixoB,  ma  eletto  Giovanni  XXII  (cfr. 
Par.  xvm  180)  camUò  ordine  e  si  astenne  da 
ogni  questione  :  cfr.  U.  Goemo,  Oiom.  dami, 
VII  68-78.  —  d'AeqaasparUt  Hatteo  da 
Acquasparta,  castello  presso  Todi,  entrò  pre- 
sto nell'ordine  francescano,  del  quale  fri 
fatto  generale  nel  1287  :  nel  1288  fti  creato 
cardinale  e  nel  1291  vescovo  di  Porto,  fu 


mandato  più  volte  da  Bonifszio  Vm  come 
legato  apostolioo  in  Firenze  durante  i  cen- 
trasti del  Bianchi  e  dei  Neri,  e  moff  nel  1802  : 
Ikvorf  durante  il  suo  generalato  Tinterpreta- 
done  mite  della  regola  franoesoana,  •  perdd 
Dante  lo  oonslderò  come  rappresentante  della 
fsxione  dei  conventuali.  —  126.  eoartat  lat 
eoareUU;  restringe,  iirigidiBoe.  — 127.  le  sea 
eco.  Io  sono  l'anima  di  Bonaventaza  da  Ba- 
gnorea,  ohe  nell'esercizio  dei  più  alti  offici 
ecclesiastici  posposi  sempre  la  enza  tempo- 
rale alla  spirituale.  San  Bonaventura,  al  se- 
colo Giovanni  di  Fidanza,  nacque  in  Bagno- 
rea  nel  1221,  entrò  nell'ordine  fraaoeeeaao 
nel  12A8  e  ne  fri  fritto  generale  nel  1266;  fli 
creato  aioiveeoovo  di  York  nel  1266,  cardi- 
nale e  vescovo  di  Albano  nei  1272,  e  mori 
in  Lione  nel  1274.  Fu  chiamato  il  doohr  «> 
raphioit  e  in  molteplici  opore  oontinoò  H  mi- 
sticismo di  Ugo  e  Biocardo  da  8.  Vittore,  in 
opposizione  alla  flllosofia  tomistioa:  tra  i  sud 
scritti  i  più  noti  sono  i  OomimmUaria  ai  libri 
delle  Sentenze  di  P.  Lombardo  e  il  Bnmkh 
gvium  (ed.  crìtica  delle  Op.  omniaf  Venezia, 
1768-66,  14  voU.,  e  altza  migliore,  Quarao- 
chi,  1882-96).  Si  cfr.  A.  M.  da  Vicensa, 
VUa  di  »,  Bofuwmtero,  2^  ed.,  Monza  1879  ; 
A.  de  Uargerie,  Essai  tur  la  pKUomjpìm  à$ 
ti,  Bonav,^  Parigi  1866;  G.  A.  HoUenbetg, 
Studim  Ku  BonmmL,  Boriino  1863;  D.  Bor^ 
gognoni.  Li  dottrim  di  »,  Bom»,^  Bona, 
1374  ;  M.  da  GIvezza,  DtUa  ter»  fUoaofia  e 
della  doUri$ta  filosofica  di  s.  Bonas,^  Genova 
1874.  »  129.  seapre  eoe  Una  bella  prova 
di  dò  si  ha  nella  stupenda  lettera  di  san  Bo- 
naventura su^  abusi  dell'  ordine  ^anoeeoaao, 
del  22  aprile  1267  fWadding,  op.  càt.,  voi.  IV, 
pp.  68-60).  —  180.  lllnmlnalo  eoo.  fkate  D- 
Inminato,  detto  comunemente  da  Bieti,  tu.  al 
secolo  Accarino  della  Bocca,  di  una  fluniglia 
di  feudatari  ohe  si  assoggettarono  al  oomuns 
di  Spoleto  nel  1288  (cfr.  A.  Sansi,  Skiria  dsl 
Com,  di  SpolOo,  I  62  e  Doeum.  stoHoi^  p.  260) 
e  compagno  di  san  Francesco  in  Oriente  (cfr. 
Par,  XI 100);  frate  Agostino  di  Assisi  Ai  eletto 


PARADISO  -  CANTO  XU 


657 


ctie  fìr  dei  primi  scalzi  poverelli, 
182       che  nel  capestro  a  Dio  si  fero  amici. 
Ugo  da  San  Vittore  è  qui  con  elli, 
e  Pietro  Mangiadore,  e  Pietro  Ispano 
135       lo  qnal  giti  luce  in  dodici  libelli; 
Natan  profeta,  e  il  metropolitano 
Crisostomo,  ed  Anselmo,  e  quel  Donato 
138       ch'alia  prim*arte  degnò  por  la  mano; 
Babàno  ò  qui,  e  lucemi  da  lato 


Biniatro  d*n' ordine  in  Ttna  di  Lstoio  nel 
1216  :  li  iieoero  fhaceeceni  nel  1210  (Wad- 
ding,  I  M,  248).  —  ««lei:  ofir.  Pmjf.  tu 
66.  —  188.  Uffe  te  Sem  Tlttore  eoo.  M»- 
tqQB  pnno  Ipxee,  in  Fiandn,  Tono  il  1097, 
•Btxù  dsonloo  legoUxe  a  St.  Yiotor  di  Pft- 
zigl  nel  1188,  e  mod  nel  UH:  oomlMitté 
il  ndonaliemo,  e  oompoee  molte  opere  (ed. 
cntica,  Booen,  1648,  tre  voli.),  fra  le  qnali 
le  pl6  iaportenti  sono  VAuditio  dida$ealiiea, 
D»  taarmmmUU  fldti  ckrittimaé,  D$  laud$  oa- 
ritaii»,  lodate  da  Tommaso  d'Aquino  oome 
magìstarali  e  antorevod.  81  rodano  sopra  Ugo 
G.  Kaoliah,  DU  Leknn  dt.  in  Par.  x  181; 

A.  Liebner,  Evgo  vm  8L  Vidorund  di»  in- 
kìfi9e^  RióMmig,  miner  Zmi,  Lipda  1882; 

B.  Hanxéaa,  Lsf  osneriM  d»  Hu^im  de  8U 
Vietar,  2»  ediz.,  Faxigi  1886.  —  184.  Ple- 
tf  Maaglaieres  teologo  fhmoeee,  detto  la- 
tinamente Fàrm  ComeaUnr,  nacque  in  Troyes 
«1  principio  del  seo.  zn,  fti  decano  della  cat- 
todimle  in  patria  nel  lli7  e  cancelliere  della 
oniTenità  di  Parigi  nel  U64,  poi  si  ritiid 
nel  monastero  di  8.  Vittore,  ore  mori  nel 
1179  :  scrisse  parecchie  opere,  delle  quali  la 
pU  nota  è  V  EitUiHa  teholadioay  ricompila- 
siono  dei  libri  biblicL  8i  ofr.  Bxial  neU'HM. 
hUér,  de  la  Franee,  toL  XIV,  pp.  12-17.  — 
Pietre  Ispane  t  Pietro  di  Giuliano  da  Li- 
sbona, nato  intomo  al  1226,  fti  prima  arci- 
diacono  e  poi  ardTescoro  di  Braga,  e  poi  fti 
creato  eardinsle  e  TesooTO  di  Frssoati  nel 
1278:  elette  papa  1*8  settembre  1276  prese 
il  nome  di  Giovanni  XXI  e  mori  il  20  mag^ 
gio  1277.  Nella  gioventù  coltivò  la  medicina, 
la  insegnò  nello  Studio  di  Siena  e  scrisse 
di  queeta  materia  nel  Thesaurus  pauperìintf 
e  poi  di  flloeofla  nei  dodici  Ubri  delle  Sum- 
wmta»  logieae.  Si  veda  sui  suoi  studi  J.  T. 
Koehier,  VoUtiàndiff»  NaehrieJU  vom  Fapst 
Johmm  XXI  ecc.,  Gottinga  1760,  e  più  utU- 
mente  i  moderni  lavori  di  B.  Stapper  e  Q. 
PeteDa  (cfr.  BuU.  VH  269.  Vm  263).  — 
186.  Kataat  il  profeta  Natan,  ohe  rimproverò 
al  le  Davide  il  peccato  commesso  con  la  mo- 
glie di  Uria;  cfr.  n  Sanrn^  xn  1  o  segg. 
—  Il  metropoli  tane  ecc.  Giovanni  Crisosto- 
mo, nato  in  Antiochia  nel  S47,  ordinato  proto 
nel  886,  eletto  patriarca  metropolitano  di  Co- 

Daim 


stantinopoli  nel  898,  deposto  nel  408  e  morto 
in  esilio  nel  407  :  fo  il  più  eloquente  dei  pa- 
dri della  Ohiesa  greca  e  iasoiò  molti  scritti 
nella  sua  lingua  (odia,  critica  di  B.  Montteu- 
con,  Parigi  1718-84,  18  voU.):  si  vedanoG. 
B.  Bergier,  fiM.  d»  si,  Jètm  OkrysosUmst 
airélm.  ds  OmstanHnopI»,  Parigi  1866;  J. 
Luti,  OkrysottomiM  und  die  Ubrigm  btrUim 
tsstsn  kMUUm  Bsdnsr,  2»  ed.,  Tnbinga 
1869.  —  187.  AsielMf  :  Anselmo  d'Aosta, 
nato  nel  1088,  monaco  di  Beo  nel  1060  e 
abate  nel  1078,  ardveeooTO  di  Oanterbnrj 
nel  1098,  morto  nel  1100  :  fb  profondissimo 
teologo  e  saisse  molte  opere  (ed.  critica,  Pa- 
rigi 1721),  tra  le  quaU  è  celebxe  il  trattato 
sul  mistero  dell'  incamaiione,  OurDmts  homo  f 
Si  vedano  P.  0.  Botile,  D$  tOa  d  gestis  Af^ 
sebni  arokiep.  Ocmtuar,,  Hauniae  1840;  B. 
Basse,  Anssbn  von  OmUsrburf,  i  Lsbsn,  n 
Lehrs,  Lipsia  1848-62;  0.  B^musat,  Ano.  ds 
OatU.,  iabìeau  ds  ta  wiomstiq%is  ecc.,  2»  ed., 
Parigi  1869;  B.  Bauréau,  Hisk  ds  la  ph, 
seotasl,,  voi.  I,  pp.  266-267.  •-  f  ael  Denate 
eoe  Elio  Donato  fiori  intomo  alla  metà  del 
IV  secolo  d.  C.  e  insegnò  in  Boma:  oltre  un 
commentario  su  Terenzio  e  l' introdusione  a 
un  commentario  su  Virgilio,  oi  è  rimasta  di 
lui  l'^rt^meimaMoa  (ed.  ciit.  inXeil,  (Tramili. 
ìat.y  TV  868-408),  ohe  nel  medioevo  ta  Ikmo- 
sissima.  —  188.  prl»*artet  ò  la  grammatica, 
la  prima  delle  sette  arti  del  trivio  e  quadri- 
vio; cfr.  Oot»,  n  li.  —  189.  Babànet  Ba- 
bàno  Uauro  di  Magonza,  nato  droa  nel  776, 
fa  educato  nel  monastero  benedettino  di  Ful« 
da,  del  quale  ta  abbate  dall' 822  all' 842:  nel« 
r  847  ta.  fatto  arcivescovo  di  Magonxa,  e  mori 
a  Winfel  nell'866,  lasciando  molte  opere  teo- 
logiche e  specialmente  d'eeegesi  biblica  (ed. 
crit  del  Oolvener,  Colonia  1627):  cfr.  J.  0. 
Dahl,  Lebm  und  Sehrifìm  dss  Erxbisehofs 
Rab,  Maurus,  Fulda  1828;  N.  Bach,  fira- 
banus  Maurus,  dsr  Sòhòpfsr  dss  dsutsehsn 
Schuhesssnst  Fulda  1886;  F.  Xunstmann, 
Hrabanus  MoffnenHus  MatmUf  Magonza  18il; 
T.  Splenger,  Lsòsn  dss  hML  Hrab,  Maur., 
Batisbona  1866  ;  B.  Hauróau,  Eist,  ds  ta  ph. 
sooL,  voi.  I,  pp.  88-47;  B.  Serio,  Rabano 
Mauro  abats  di  l^^ìda  s  Jkmts  AUghisH  nel- 
l'uso deU'arU  càbaUsUoa,  Modena  1866.  — 

42 


j 


658 


DIVINA  COMMEDU 


141 


145 


il  calabrese  abate  Gloacohino, 

di  spirito  profetico  dotato. 
Ad  invéggiar  cotanto  paladino 

mi  mosse  la  infiammata  cortesia 

di  fra  Tommaso,  e  il  discreto  latino; 
e  mosse  meco  questa  compagnia». 


140. 11  eàlakreM  eoe  Gioacchino  da  Colico  in 
Calabria,  nato  intono  al  1190,  In  un  peUegri- 
n  aggio  in  Torrasanta  foca  il  proponimento 
di  dedicarsi  tutto  alla  religione:  tornato  In 
patria,  entrò  Terso  il  1158  nel  monastero  clr- 
sterdense  di  Sambnoina,  e  nel  1176  ta  Iktto 
abate  del  monastero  di  Ceraso,  dignità  che 
accettò  renitente  :  abbandonò  pooo  dopo  l'a- 
bazia per  attendere  con  pi6  sgio  agli  stadi 
biblici,  e  nel  1189  fondò  in  meno  alle  fore- 
ste della  Sila  la  congregazione  e  il  monastero 
di  Fiore,  ottenendone  Tapprorazione  pontifi- 
cia nel  1196  :  mori  nel  1209.  Con  le  sne  ope- 
re, la  Concordia  veUri$  H  novi  TedamtnH 
(Venezia  1617),  VExpotitìo  in  ApooaUpgim  e 
il  PÉaUmum  dee$m  oordarvm  (Venezia  1527), 
egli  valendosi  di  nna  mistica  interpretazione 
biblica  propugnò  un  rinnovamento  sodale  e 
religioso,  derivando  molta  idee  dalle  dottrine 
dei  Catari:  di  modo  ohe  alonne  delle  sne 
proposizioni  furono  condannate  solennemente 
nel  condilo  Lateranense  del  1216,  e  altre  da 
nna  commissione  cardinalizia  nel  1264,  quando 
le  idee  gioachimite  s'erano  largamente  dif- 
fase,  massime  tra  i  Arancesoani.  Dante,  col- 
locandolo tra  i  beati,  dimostrò  insieme  T  in- 
dipendenza del  suo  gindizio  e  il  desiderio  di 
qael  rinnoramento  della  Chiesa,  ohe  (Hoac- 
chino  aveva  predicato.  Soli'  abate  calabrese 
si  vedano  O.  de  Lanro,  Apologia  $  vita  di 
Oioaeh.  abate,  NapoU  1660;  F.  ▲.  (Hrvaise, 
JSittotrv  de  Vabht  Jòathim,  ntmonmé  U  Pro- 
phèU,  Parigi  1745  ;  X.  Ronsselot,  Etude  d'Mat. 
r$tig,»  Jòaehim  de  JPÌor$,  Jean  de  Parme  et  la 
doetrine  de  VEvongiU  itemela  2»  ed.,  Parigi 
1867;  e  spedalmente  F.  Tocco,  L'eresia  nel 
fnedioevo,  pp.  261-409.  -  141.  di  spirito  ecc. 
L'abate  Gioacchino,  dotato  d'on  profondo 
sentimento  dell' infelidtà  presente  e  d'una 


viva  aspirazione  ad  un  migliore  avvenire, 
propugnando  il  rinnovamento  della  Chiesa 
par  che  facesse  veramente  alcune  previsioni, 
che  non  sono  profezie  nel  senso  stretto  della 
parola,  sulla  lotta  che  doveva  accadere  tra  i 
pontefld  e  gli  svevi,  sull'esito  inféUee  deOa 
terza  crodata  e  sulla  fine  della  dinastia  aor^ 
manna;  previsioni  ohe  non  trascendono,  co- 
me dice  il  Tocco,  p.  284,  i  limiti  deU'aoeorw 
gimento  umano:  più  tardi  poi  s'andò  for- 
mando una  vera  letteratura  gioachimita  di 
visioni  e  proflKie,  ohe  non  procedono  mini- 
mamente dalle  opere  dell'abate  calahnse, 
ma  ohe  pure  al  tempo  di  Dante  gli  erano 
attribuite  dai  più.  — 142.  ▲«  Invegglar  ecc. 
A  celebrare  san  Domenico,  strenuo  propu- 
gnatore della  fede,  io  Bonaventura  fbanoe- 
scano  sono  stato  mosso  dall'  eeem^  del  do- 
menicano Tommaso,  che  ha  detto  !•  lodi  di 
san  Francesco.  Questo  ò  certamente  il  sanso 
doUa  tellina,  ma  gran  difficoltà  nell'Inter^ 
pretadone  letterale  adduce  a  vb.  itmggian^ 
che  essendo  foggiato  sul  nome  mteggiet  {et. 
Purg.  VI  20)  significa  propriamente  imiàian. 
La  minore  spiegadone,  pur  dopo  tante  di- 
spute originate  da  questo  vb.  (ofir.  Ztng.  148- 
161),  è  quella  dell' Ott:  «prendi  questo  in- 
veggiare,  doè  invidiare,  in  buona  parte:  biiona 
d  invidia  che  procede  in  avanzare  aloono  in 
bene  operare  >  ;  alla  quale,  del  resto,  acce- 
dono i  più  dd  commentatori  antichi  e  mo- 
derni. —  144.  fra  ToaMaso  :  l'Aquinate,  ^e 
fti  santificato  solo  dopo  la  morte  di  Dante, 
nel  1828.  —  diserete  latine:  ò  U.  disooiso 
di  Tomm.  d'Aquino  in  lode  di  san  Francesco 
(Phr.  XI  48-117).  —  146.  t  nosae  eoe  e 
come  mosso  me  a  pariare,  cod  mosse  i  sdd 
compagni  alla  danza  e  al  canto  (cf^.  w. 
19-21). 


CANTO  XIII 

Dopo  che  le  anime  beate  hanno  compiuto  cantando  an  altro  giro  di 
danza,  riprende  a  parlare  Tommaso  d^Aqnino  e  fa  a  Dante  una  lunga  espo- 
sizione dottrinale  intorno  alla  sapienza  di  Adamo,  di  Cristo  e  di  Salomone, 
traendone  Paramaestramento  che  è  pericoloso  il  far  giudizi  affrettati  e  che 
r  nomo  savio  deve  sempre  gindicare  riposatamente  [14  aprile,  ore  antim.]. 
Imagini  chi  bene  intender  cupe 

Xni  1.  Imaglnl  eoo.  Finito  il  discorso  di      corona  riprendono  la  loro  danza  droolare; 
Bonaventora,  le  anime  luminose  della  doppia      della  quale  Dante  volendo  dare  un'  idea  ade* 


PARADISO  -  CANTO  XIII 


659 


quel  ch'io  or  vidi  (e  ritenga  Pimage, 

8  mentre  ch'io  dico,  come  ferma  rupe) 
quindici  stelle,  ohe  in  diverse  plage 

lo  cielo  avvivan  di  tanto  sereno 
6       che  soperchia  dell'aere  ogni  compage; 
imagini  quel  Carro,  a  cui  il  seno 
basta  del  nostro  cielo  e  notte  e  giorno, 

9  si  ch'ai  volger  del  temo  non  vien  meno; 
imagini  la  bocca  di  quel  corno, 

che  si  comincia  in  punta  dello  stelo 
12       a  cui  la  prima  rota  va  dintorno, 
aver  fatto  di  sé  due  segni  in  cielo, 
qual  fece  la  figliuola  di  Minòi 
15        allora  che  senti  di  morte  il  gelo; 
e  l'un  nell'altro  aver  li  raggi  suoi, 
ed  ambedue  girarsi  per  maniera 
18       che  V  uno  andasse  al  prima  e  l'altro  al  poi  : 
ed  avrà  quasi  l'ombra  della  vera 


guata  inrita  il  lettole  ad  imaginaro  le  quin- 
dici stella  di  prima  grandezza,  le  tette  splon- 
didSesime  dell'  Orsa  maggiore  e  le  dne  pid  la- 
minose dell'Orsa  minore  raooolte  insieme  a 
fonnare  doe  costellazioni  circolari  concentri- 
che, le  quali  rotassero  in  senso  opposto;  e 
cosi  potrà  arer  l'ombra  della  danza  del  ven- 
tiquattro spiriti  beati  nel  delo  del  Sole.  —  2. 
e  rlteiff  A  eco.  e  tenga  ben  ferma  nella  mento 
r  idea  delle  due  Imaginarie  costellazioni.  — 
8.  cane  fenu  rape:  Vontarl23:  «Compa- 
razione indosa.  Parlando  di  cosa  Imaglnata, 
egli  vuole  che  il  lettore,  il  quale  eupe^  desi- 
dera, d'intender  bene,  tenga  ferma  innanzi 
alla  mento  l' imagine  nnora.  E  se  in  tutte 
le  similitodini  dantesche  si  userà  cosi  com'egli 
in  questa  mole,  si  scopriranno  rispondenze 
più  intime  e  sempre  nuore  bellezze  ».  —  4. 
fvlBdlel  eco.  Le  quindici  stelle  di  prima  gran- 
dezza, secondo  Tolomeo,  le  quali  si  trovano 
sparse  per  diverse  plagho  di  cielo  e  rìsplen- 
done  tanto  luminosamente  da  vincere  ogni 
densità  dell'atmosfera.  —  4.  plage:  plaghe, 
regioni  ;  cfr.  Purg.  xxv  80,  Par.  vi  136.  — 
7.  qael  Carro  eco.  Accenna  alle  sette  stelle 
del  Carro  di  Boote  o  dell'  Orsa  maggiore  (cfr. 
JH/l  XI 114,  Purg,  i  80),  nella  quale  costella- 
zione Danto  non  comprendeva  Arturo  (cfr. 
Canx.t  p.  176,  ove  parla  del  <  paese  d' Eu- 
ropa, che  non  perde  Le  setto  stollo  gelide  un- 
que  mai  »).  -^  a  eal  11  seno  eoo.  alla  quale 
costellazione  baste  sempre  l' emisfero  boreale 
oelesto,  si  ohe  al  voltare  del  timono  non  spa- 
risce, poiché  gira  intomo  alla  stella  polare. 
—  9.  teme  t  ott,  Pwg,  xzu  119.  —  10.  la 
àeeea  eco.  La  costollszione  doli'  Orsa  minore 
presente  rimale  d' un  corno,  che  comincia 


presso  la  stella  polare,  all'  estremità  dell'asse 
intorno  a  cui  ruote  U  Primo  Uoblle:  dal- 
l'altra parto,  cioò  alla  bocca  del  corno,  sono 
due  stelle  di  terza  grandezza,  introdotte  da 
Dante  nelle  sue  imaginarie  costellazioni.  ^ 
18.  aver  fatte  eoo.  Imagini  cioè  che  questo 
ventiquattro  stelle  abbiano  formato  nel  delo 
due  costollazionl,  In  ognuna  dolle  quali  sieno 
dodici  stelle  disposto  in  circolo,  come  sono 
le  stelle  della  Clorona.  —  segai  :  cfr.  Por. 
xxn  110.  —  14.  qasl  fleee  eco.  Alludo  allfi 
fkvola  mitologica  della  trasformazione  operate 
da  Bacco  della  corona  fiorita  d' Arianna  mo- 
rento  (figlia  di  Minos,  cfr.  Inf,  v  4,  xii  17) 
in  una  costollaziono  ciroolare,  ohe  preeo  il 
nome  di  Corona  (cfr.  Ov.  Mei.  viii  177-181). 

—  Mlnòl  :  Hinos  ;  ò  una  forma  derivate  dal 
casi  obliqui,  secondo  11  Parodi,  BttU,  m  107. 

—  16.  e  l'an  eoo.  imagini  ohe  questo  due  co- 
stollazionl abbiano  i  raggi  coincidenti,  cioò 
sieno  concentriche,  e  si  movano  in  direziono 
contraria  l'una  all'altra.  —  18.  al  prima  e ... 
«1  pel  :  espressione  poco  perspicua,  intosa  dai 
pifi  nel  senso  ohe  l'una  delle  costellazioni  giri 
in  moto  circolare  Inverso  a  quello  dell'altra  : 
alcuni  commontetori  per  altro  spiegano,  gi- 
rando in  modo  da  accompagnarsi  via  via  le 
dodid  stollo  della  estoriore  con  le  dodld  della 
intorìore,  stando  doò  sempre  dasouna  coppia 
di  stollo  sul  medesimo  raggio;  e  altri,  stando 
le  stollo  estome  sul  raggrio  Intormedio  fra 
ciascuna  coppia  di  raggi  della  costellazione 
interna  :  ma  per  analogia  con  la  danza  pre- 
cedente par  da  preferire  la  pld  comune  Inter- 
pretazione (cfr.  Par.  XII  6,  21).  —  19.  Sem- 
bra s  idea  pallida.  Incompiuta,  Inferiore  sem- 
pre al  vero  ;  cfr.  Par,  1 28.  —  della  tera  eco. 


660 


DIVINA  COMMEDIA 


costellazion  e  della  doppia  danza, 
21        che  circulava  il  punto  dov'io  era; 
poich'ò  tanto  di  là  da  nostra  usanza, 
quanto  di  là  dal  mover  della  Chiana 
24        si  move  il  del  che  tutti  gli  altri  avanza. 
Li  si  cantò  non  Bacco,  non  Peana, 
ma  tre  persone  in  divina  natura, 
27        ed  in  una  persona  essa  e  l' umana. 

Compiè  il  cantare  e  il  volger  sua  misura, 
ed  attesersi  a  noi  quei  santi  lumi, 
30        felicitando  sé  di  cura  in  cura. 
Ruppe  il  silenzio  nei  concordi  numi 
poscia  la  luce,  in  che  mirabil  vita 
83        del  poverel  di  Dio  narrata  fami, 
e  disse  :  €  Quando  V  una  paglia  è  trita, 
quando  la  sua  somenza  è  già  riposta, 
36        a  batter  l'altra  dolce  amor  m' invita. 
Tu  credi  che  nel  petto,  onde  la  costa 
si  trasse  per  formar  la  bella  guancia, 
89        il  cui  palato  a  tutto  il  mondo  costa. 


delle  rentiqnattro  anime  beate,  ohe  in  dnplioe 
corona  danzavano  intorno  a  me,  férmo  nel 
centro.  —  21.  clreiUTai  il  vb.  ojrtwtorv,  gi- 
rare ciroolannente,  è  la  forma  etimologica  del 
pi6  nsvale  eenMcsn  {Pmy*  n  4,  zir  1,  xiz 
69,  zxn  98,  Par.  xxx  26  eoe).  22.  poleh*  è 
eco.  Spiega  perché  abbia  dotto  omòro,  e  non 
proprio  idea,  imagm»  :  il  moTimento,  lo  splen- 
dore e  il  oanto  di  quelle  anime  saperano  tanto 
ogni  oso  umano,  qoanto  il  movimento  del 
Primo  Mobile,  del  «  del  che  pift  alto  festina  » 
{IStrg,  XXXIII 90),  avanza  il  lento  movimento 
della  Chiana.  —  28.  Chlaaas  fiume  nel  ter- 
ritorio aretino,  ridotto  a  canale  per  moderne 
opere  idraoliche;  il  sno  corso  era  lentissimo, 
per  la  natara  paludosa  del  saolo  che  attra- 
versava, tanto  ohe  potò  mediante  ano  spar- 
tiaoqne  artificiale  esser  distinto  in  dne,  rane 
dei  quali  continuò  a  finire  nel  Tevere  e  l'al- 
tro fu  immesso  nell'Aiuo,  cambiandogli  af- 
fatto direzione;  cf^.  Bepetti,  I,  684  e  Bas- 
sermann  pp.  299-901.  —  24.  11  elei  ecc. 
cfr.  Par,  xxvn  99.  —  26.  Li  si  eantò  eco. 
n  canto  dolle  anime  beato  era  rivolto  alla  ve- 
race divinità,  era  purissimo  canto  di  fede  cri- 
stiana ;  non  era  come  i  carmi  rituali  degli  an- 
tichi in  onore  di  Bacco  e  di  Apollo,  ohe  si 
dicevano  nelle  feste  e  nei  conviti,  ma  cele- 
brava i  misteri  della  Trinità  e  dell'  Incarna- 
zione, la  cui  cognizione  è  propria  dei  beati. 
—  26.  tre  persene  ecc.  cfr.  Pxr.  xzxm  109- 
126.  —  27.  In  nna  ecc.  ctr.  Par.  xxxni  127- 
189.  —  essa:  la  divina  natura;  cf^.  Purg. 
XXXI  SU  -^  28.  Compiè  ecc.  Il  canto  e  la 


danza  oomptrono  tua  mùtmi,  cioò  tanuna- 
rono,  quando  ta  finito  1*  inno  e  il  giro  ciroo- 
laie.  —  29.  sltesenl  :  oft.  In/l  xvx  IS.  — 
90.  f  eUeltaado  eoo.  lieti  di  passare  dal  canto 
e  dalla  danza  a  un'  opera  di  oaiità»  Ia  00- 
disfàsione  del  desiderio  di  Dante;  oppue  di 
passare  dallo  scioglimento  del  primo  dubbio, 
quello  sulle  paiole  m' ftsn  t*  «mpMi^iM  eoe.,  allo 
sdogiimento  del  seoondo  relativo  a  Salomone 
(ofir.  Par.  xi  25-27).^  81.  nnnd  :  i  beati,  che 
sono  «  come...  dii  >  (Par.  v  128).  —  82.  Im 
Ivee  ecc.  l'anima  di  Tommaso  d'Aquino,  die 
m' aveva  Baciato  la  mirabile  vita  di  san  Fraa- 
cesoo,  il  poverello  di  Dio.  -«  84.  Quasée  eoe. 
Chiarito  il  primo  dubbio,  entrata  già  la  ve- 
rità nella  tua  mente,  vengo  ora  al  aecmdo 
dubbio.  Lomb.  :  <  Parla  di  cotale  già  fatta 
dichiararione  come  di  grano  di  già  battuto  • 
riposto;  e  della  dichiararione  oh*  è  or»  per 
fare,  come  di  grano  anooi  da  battersi  ;  egio- 
diriosamente,  imperocché,  sieoome  per  la  bat- 
titura sdogliesi  e  tnggesi  U  grano  dalla  acom 
e  paglia  ohe  lo  nasconde,  cosi  per  la  dichia- 
razione sdoglieei  e  traggesi  il  senso  dall'o- 
scuro paiiare  che  lo  tiene  oriate  ».  —  37. 
Ti  eredi  ecc.  Tu  credi  che  Adamo  e  Cristo 
abbiano  avuto  tanta  sapionza  quanta  pud  ee» 
sere  in  un  uomo,  e  peroid  ti  meravigli  di  ciò 
eh'  io  ho  detto  di  Salomone,  aifenaando  d» 
«  a  veder  tanto  non  surse  il  seoondo  »  (Ar. 
X  114).  —  eade  ecc.  dal  quale  Adamo  fo  tratta 
la  costa  per  formare  la  bella  Bva  (d^.  Osms» 
n  21, 22),  che  mangiando  il  pomo  ta  oagiona 
di  tanto  male  all'  umanità  (cfr.  Any.  xxix  24- 


PARADISO  -  CANTO  Xin 


661 


ed  in  quel  che,  forato  dalla  lancia, 
e  poscia  e  prima  tanto  satisfece 
42       che  d'ogni  colpa  vince  la  bilancia, 
quantunque  alla  natura  umana  lece 
aver  di  lume,  tutto  fosse  infuso 
45       da  quel  valor  che  Puno  e  l'altro  fece: 
e  però  ammiri  ciò  ch'io  dissi  suso, 
quando  narrai  che  non  ebbe  secondo 
48        lo  ben  che  nella  quinta  luce  è  chiuso. 
Ora  apri  gli  occhi  a  quel  ch'io  ti  rispondo, 
e  vedrai  il  tuo  credere  e  il  mio  dire 
51       nel  vero  iaxai  come  centro  in  tondo. 
Ciò  ohe  non  more  e  ciò  che  può  morire 
non  è  se  non  splendor  di  quella  idea 
54        che  partorisce,  amando,  il  nostro  sire; 
che  quella  viva  luce,  che  si  mea 
dal  suo  lucente  che  non  si  disuna 


aOf).  —  40.  qi«l  eoo.  GmA  Oxirto,  trafitto  in 
pcito  dalla  landa  di  Longino  (Qioranni  xix 
81),  con  la  vita  d'espiazione  e  con  la  morte 
Baila  croce  liberò  l'aomo  dal  peccato  origi- 
nale. —  41.  e  HMl*  •  pria»  i  e  dopo  eswie 
ftaio  trafitto,  cioè  con  la  crocifissione,  di  coi 
qnallA  trafittora  fa  T  ultima  olTesa,  sebben 
Oliato  foew  già  morto,  e  prima  d'easer  trafitto, 
cioè  con  tutti  gli  atti  della  sna  vita  e  con  lo 
strazio  solferto  nella  passione.  Altri  intendono 
inrece,  prima  di  morire  e  dopo  ;  altri  ancora, 
riferendo  qnesto  parole  alle  colpe  espiato  da 
Oliato,  piegano  :  redense  V  nomo  dal  pec- 
cato originale  •  da  qnelli  commessi  in  tempi 
posteriori.  —  48.  f  laBtaaqne  eoa  quanto 
mai  di  sapienza  è  permesso  avere  all'omana 
natura.  —  46.  4a  f  «el  ecc.  dalla  potenza  di- 
Tìna,  che  li  creò.  —  46.  ìbbo  :  nel  mio  pre- 
cedente discorso  ;  in  Par,  x  112-114.  —  47. 
■•■  thhB  eoe  la  beata  anima  di  Salomone, 
quinta  nella  prima  corona  di  spiriti  apparsa 
a  to,  non  ebbe  pari  di  sapienza.  —  49.  Ora 
apri  eco.  Or  presta  attenzione  a  ciò  eh'  io  op- 
pongo al  tuo  dubbio,  e  Tedrai  che  la  tua  opi- 
nione e  le  mie  paiole  s'incontreranno  nella 
TeritA,  intenderai  come  questo  e  quella  siano 
Tare.  —  lo  ti  rlspoado  ecc.  L'esposizione  di 
Tommaso  d'Aquino  (fondate  proprio  su  ciò 
che  intomo  alla  siq>ienza  di  Adamo  e  di  Cristo 
si  legge  nella  Smmn,,  P.  I,  qu.  xciy,  e  P.  HI, 
qu.  ix-zu)  è  la  seguente  :  Tutto  il  creato  pro- 
cede da  Dio  uno  e  trino,  per  l'emanaziono 
dell*  sua  bontà  nei  cori  angelici  (tt.  52-60), 
per  i  quali  essa  discende  sino  alla  creazione 
dalle  cose  corruttibili  (tv.  61-66)  ;  ma  questo 
aooolgonol'  idea  della  bontà  divina  pi6  o  meno, 
secondo  la  disposizione  della  materia,  e  però 


gli  uomini  sono  di  vario  ingegno  (tv.  67-72). 
Se  la  materia  fosse  perfette  e  massima  l'in- 
fluenza, le  creature  mostrerebbero  tutte  l' idea 
divina,  di  cui  la  natura  può  dar  solo  nn'om- 
bi»  (w.  78-78)  :  ciò  accado  quando  Dio  crea 
immediatamente,  come  fece  con  Adamo  e 
Cristo,  che  furono  di  perfette  sapienza  (w. 
79-87).  Ciò  non  è  in  contrasto  con  quello  ohe 
io  ho  detto  di  Salomone,  intendendo  che  fu 
il  più  sapiente  dei  re,  poiché  a  Dio  chiese 
appunto  la  sapienza  dvile,  non  quella  delle 
scienze  (w.  88-196):  le  mie  parole  possono 
stare  adunque  con  il  tuo  giudizio  drn  la  sa- 
pienza di  Adamo  e  di  Cristo  (w.  109-lllì.  — 
50.  U  alo  dire:  non  quello  che  sogue,  ma 
quello  del  Piar,  x  114.  —  61.  eoae  eeatrt  ecc. 
perché  rispetto  al  centro  tutti  i  punti  della 
circonferenza  simiU  modo  m  habent  (F.  N.  xii 
24),  e  cosi  ogni  verìte  è  riqwtto  alla  verità 
assoluta.  —  62.  Ciò  ecc.  Le  creature  incor- 
ruttibili e  le  corruttibili  sono  emanasioni  di 
quell'idea  o  forma  che  Dio  genera  perla  sua 
bontà  nella  creazione.  —  58.  Idea  :  la  forma 
«  che  l' universo  a  Dio  fa  simiglianto  >,  intesa 
nel  senso  spiegato  dall' Aquinato  con  le  pa- 
role riferite  in  Par.  i  108.  —  65.  ehé  ecc. 
poiché  la  viva  luce  del  Verbo  divino,  che  de- 
riva dall'eterno  Padre  senza  separarsi  da  lui 
né  dallo  Spirito  Santo,  che  con  essi  forma  la 
Trinità,  per  effetto  della  sua  bontà  aduna  i 
suoi  raggt,  come  se  questi  si  specchiassero,  in 
nove  sussistenze,  gli  ordini  angelici  càe  muo- 
vono 1  cieli,  conservando  eternamente  la  pro- 
pria unità.  —  Hea  :  U  vb.  nuarej  che  ricorre 
sempre  in  fine  di  verso  (Pur.  xv  65,  xxiii  79), 
è  un  latinismo,  e  significa  uscire,  derivare.  — 
56.  lucente  :  la  fonte  della  luce,  l'eterno  Fa- 


662 


DIVINA  COMMEDIA 


n 


57        da  lui,  né  dall' amor  che  a  lor  s'intrea, 
per  sua  bontate  il  suo  raggiare  aduna, 
quasi  specchiato,  in  nove  sussistenze, 
60        etemalmente  rimanendosi  una. 
Quindi  discende  all'ultime  potenze 
giù  d'atto  in  atto,  tanto  divenendo 
63       che  più  non  £&  che  brevi  contingenze; 
e  queste  contingenze  essere  intendo 
le  cose  generate,  che  produce 
66        con  seme  e  senza  seme  il  oiel  movendo. 
La  cera  di  costoro,  e  chi  la  duce, 
non  sta  d'un  modo,  e  però  sotto  il  segno 
69       ideale  poi  più  e  men  traluce: 

ond'egli  avvien  eh' un  medesimo  legno, 
secondo  specie,  meglio  e  peggio  frutta; 
72        e  voi  nascete  con  diverso  ingegno. 
Se  fosse  a  punto  la  cera  dedutta 


dre,  dal  qnale  nasce  U  Figlio  o  la  loco  d«l 
Verbo.  —  67.  t'iatrea;  ai  oongiiiiige  come 
terzo;  ò  yb.  foimato  ani  nomerale  frv,  come 
inoinqttarH  {Par.  a  iO)  ani  otfnque,  :  altrove 
(Par,  zxvm  120)  abbiamo  in  senso  analogo 
t'inuma  (ofr.  Parodi,  BulL  m  199).  —  69. 
aoTe  ecc.  Qaesto  ansidstenze  sono  per  la  mag- 
gior parte  del  commentatori  i  nere  deli;  me- 
glio Ott,  Land.,  Dan.,  Veli,  e  alooni  moderni 
intendono  i  nove  cori  angelici  o  delle  Intel- 
ligente motrici  dei  deli,  per  il  pieno  riscontro 
di  questo  passo  con  Par.  xzxz  142>146,  e  per 
la  definizione  tomistica  della  sussistenza,  che 
è  la  BuManHa.,.  tenundum  qwtiptr  m  miistU, 
d  non  in  alio  {Summ,f  P.  I,  qn.  znx  art  2). 
—  60.  etenalmeate  eco.  efr.  Par,  n  188,  zxiz 
145.  —  ei.  <{«lndl  ecc.  Per  qoesto  mezzo, 
per  le  nove  MittùfmM,  il  raggiare  della  viva 
laoe  discende  giù  d'odo  in  atto^  passando  di 
delo  in  dolo  (cfir.  Par.  ii  121  e  segg.),  sino 
alle  potenze  inferiori,  tanto  dkenendo^  sino  a 
diventar  tale  che  non  produce  più  ohe  crea- 
ture corruttibili.  Per  la  relazione  di  questo 
concetto  con  le  dottrine  aristoteliche  si  ctt, 
Moore,  I  110.  —  68.  brevi  eonUngense  i 
cose  contingentt  e  di  breve  durata,  creature 
corruttibili  :  «  contingens  (cosi  Tomm.  d*Aq., 
iSumm.,  P.  I,  qu.  Lxxxvi,  art  8)  est  quod 
potest  esse  et  non  esse  ».  —  66.  cke  prodife 
eco.  che  U  moto  dei  deli  produce  con  seme 
0  senza;  secondo  la  teoria  esposta  in  Pwrg. 
zxvm  108-117.  ~  67.  La  cera  eoe  La  mar 
toria  delle  cose  generate  e  l' influenza  celeste 
che  l'avviva  variano,  e  perdo  essa  materia 
risplende  più  o  meno  pur  essendo  sempre  in- 
formata dal  aegno  ideala^  dalla  luce  dell'eterna 
idea  ;  cfr.  Otmv.  ni  7  :  «  La  divina  Bontà  in 
tutte  le  cose  discende,  o  altri  monti  essere  non 


potrebbono;  ma  awegna  ohe  questa  bontàsi 
muova  da  semplidssimo  prindpio,  diversa- 
mente si  riceve,  secondo  il  più  e  meno  della 
loro  virtute  >  ;  e  anche  la  nota  al  I^ar,  i  8. 
F.  Tocco,  Oonf,  miL  n  192,  a  propoaito  di 
questi  vorsi  osserva  :  <  Kon  men  grave  d^ 
senso  nasceva  intorno  al  oontrastato  concetto 
d' individuazione.  Secondo  la  dottrina  della 
maggior  parte  degli  aristotelid,  tra  i  quali 
san  Tommaso  e  con  lui  Dante,  la  diifereinza 
tra  questo  e  quell'  individuo  è  data  solo  dalla 
materia,  la  forma  d  comune  a  tutti;  ma  U  è 
meglio  impressa  e  qui  peggio,  secondo  la  mi- 
nore 0  maggior  resistenza  ohe  incontra  nella 
materia.  Quindi  le  animo,  disgiunte  dal  corpo, 
non  avrebbero  individualità  ;  il  che  era  re- 
dsamente  negato  dai  platonici,  la  coi  sen- 
tenza ò  che  il  prindpio  più  universale  sta 
nella  materia,  comune  a  tutti  gli  esseri,  cosi 
spirituali  come  materiali  ».  —  70.  va  mede- 
simo ecc.  una  medesima  spedo  di  piante  pro- 
duce frutti  buoni  o  cattivi,  secondo  le  parti- 
colari  condizioni  sue.  —  72.  e  vai  eoo.  e  gli 
uomini  nascono  con  diverso  ingegno  :  diverto 
ò  detto  tanto  per  la  fona  dell'  ingegno,  che 
non  d  la  stessa  in  tutti  gli  uomini,  quanto 
per  le  varie  attitudini  degli  ingegni  aàngoIL 
—  78.  Se  fosse  eco.  Se  k  matorìa  fosso  ela- 
borata sino  alla  perfezione  e  il  delo  operasse 
in  tutta  la  sua  virtù,  nelle  creature  si  mani- 
festerebbe tutta  la  looe  dell*  idea  o  forma  di- 
vina :  bene  n  Lana,  con  un  esempio  :  «  Se  la 
disposizione  dd  delo  fosse  a  prodooere  un 
accula,  e  la  materia  ftisse  a  dò  disposta, 
allora  nella  detta  ocra,  doò  materia,  i^rpa- 
rerebbe  tutta  la  forma  del  suggèllo,  cioè 
quella  virtù  celeste  ;  e  sarebbe  perfetto  agri- 
cola ».  —  a  piato:  a  punto  di  perfezione. 


""■v 


PARADISO  -  CANTO  Xm 


663 


e  fosse  il  cielo  in  sua  virtù  suprema, 
75       la  luce  del  suggel  parrebbe  tutta; 
ma  la  natura  la  dà  sempre  scema, 
similemente  operando  all'artista, 
78        o*ha  1*  abito  dell'arte  e  man  che  trema. 
Però,  se  il  caldo  amor  la  chiara  vista 
della  prima  virtù  dispone  e  segna, 
81        tutta  la  perfezion  quivi  s'acquista. 
Cosi  fu  fatta  già  la  terra  degna 
di  tutta  l'animai  perfezione; 
84        cosi  fu  ùitta  la  Vergine  pregna. 
Si  ch'io  commendo  tua  opinione; 
che  l'umana  natura  mai  non  fue, 
87       né  fia,  qual  fu  in  quelle  due  persone. 
Or,  s'io  non  procedessi  avanti  piùe, 
*  Dunque,  come  costui  fu  senza  pare?' 
90       comincerebber  le  parole  tue; 

ma,  perché  paia  ben  quel  che  non  pare. 


porfettamente.  —  U  Mr»  eco.  Qaesta  im*- 
gioe  della  cera  improntata  dal  sigillo  ò  fre- 
quente in  Dante,  ohe  Tosa  pid  volte  per  xen- 
dorè  ^d  perspicui  dei  oonoetti  Ulosoftci  (ofr. 
P^iy,  z  d6,  xym  88-89,  zzxui  79,  Par.  i 
41-42,  Tm  127-128  eoa);  ed  è  stato  osser- 
vato che  essa  risale  assai  probabilmente  ad 
alconi  passi  di  Aristotele  (cfr.  K  Bostagno, 
Bulk  IX  42).  —  74.  e  fesse  ecc.  come  ò 
quando  Dio  opera  immediatamente.  —  76.  la 
Inee  eoo.  qnella  viva  kiee  del  v.  66.  —  76. 
ma  la  nainra  eoe  ma  la  natora,  quale  istni- 
xnento  della  creazione  (ofr.  Par.  vin  94),  pre- 
senta sempre  imperfettamente  la  loco  dell'idea 
divina,  pache  opeilt  come  Tartista,  ohe  ha  la 
oognidone  dell'arte,  ma  è  impotente  a  rap- 
presentare come  vorrebbe  i  sud  concetti: 
cfr.  Moore,  I  164.  —  scema:  incompiuta.— 
77.  ■ImUeueate  ecc.  Venturi  840  osserva  che 
questa  similitudine  compie  il  concetto  di  quella 
del  Ar.  I  127-129  :  e  Là,  all'  intenzione  del- 
l'arte non  risponde  la  materia  che  è  sorda; 
qui,  non  risponde  la  mano  dell'artista  ohe  è 
manchevole.  Ha  in  questa  mano  che  trema  si 
Torzà  egli  intendere  solamente  quella  ohe  è 
resa  impotente  per  naturale  infermità?  Non 
crediamo;  e  ci  pare  ohe  in  essa  s' adombri 
anco  lo  sgomento  profondo,  di  cui  non  vanno 
■oevre  le  anime  grandi,  come  si  sa  di  Lio- 
nardo  e  di  Michelangiolo  :  sgomento  che  fa 
trinaie  la  mano,  ed  è  alla  stanai  mente  ri- 
poso, e  spesso  umiltà  feconda  di  opere  im- 
mortali ».  —  78.  abito  dell'arte  t  disposiziono 
all'arte  e  insieme  cognizione  di  tutte  le  sue 
parti  (ofr.  ciò  che  degli  àbiti  intellettuali  Dante 
dice  nel  Ckmv.  ni  13).  —  79.  Però  ecc.  Scart.: 
«  Avendo  mostrato  sin  qui  che  quando  Dio 


opera  mediante  lo  cause  seconde,  ossia  quando 
opera  la  natura,  l'effetto  che  ne  rione  non 
è  mai  nella  pienesca  della  sua  perfezione, 
passa  a  dimostrare  ohe  quando  Dio  opera  im- 
mediatamente 0  da  so,  senza  valersi  delle 
cause  seconde  e  della  natura,  l'effetto  ohe  ne 
riesce  è  pwfettissimo...  Volendo  qui  esprimere 
l'atto  creativo  unioo,  ma  al  quale  concorrono 
tutte  tre  le  divine  persone  (cfr.  Bi/1  in  4-6, 
Air.  zie  segg.),  d  dà  in  un  sol  giro  di 
frase  le  tre  distinte  operazioni  creative,  di- 
cendo: Però  se  lo  spirito  Santo  (tfooido  amor) 
dispone  e  segna  l' Idea,  U  Verbo  (fai  eMara 
vista)  coli' impronta  del  Padre  onnipotente 
(della  prima  virtù;  cfr.  Par.  zxvi  84),  in  al- 
lora si  acquista  tutta  la  perflszione  pomibile  ». 

—  82.  Oosf  eco.  Per  atto  immediato  di  Dio 
fu  creato  Adamo,  formato  di  terra  ohe  cosi 
divenne  capace  della  massima  perfezione  spi- 
rituale, e  fu  dalla  Vergine  concepito  Oesd 
Cristo.  —  86.  eommeado  eoe  lodo  ed  ap- 
provo la  tua  opinione  (cfr.  i  w.  87-46),  poi- 
ché la  natura  umana  non  ta.  e  non  sarà  mai 
cos(  perfetta  come  fri  in  Adamo  e  in  Cristo. 

—  88.  Or  s'if  eoe  Se  io  non  aggiungessi 
altro,  tu  avresti  ragione  di  chiedermi  come 
mai  io  abbia  detto  che  Salomone  fu  imwaparet 
non  fti  ancor  pareggiato  da  alcuno  di  sapienza. 

—  91.  ma  perché  eco.  ma  affinché  sia  chiaro 
ciò  che  non  appare,  pensa  in  quale  condi- 
zione egli  era  e  la  cagione  che  lo  mosse  a  do- 
mandare, allorché  Dio  gli  disse  che  chiedesse 
ciò  che  voleva.  Si  riferisce  al  racconto  biblico, 
I  Ré  m  6-10  :  «  Ed  U  Signore  apparve  a  Sa- 
lomone in  Qabaon,  di  notte,  in  sogno.  E  Iddio 
gli  disso,  *  Chiedi  ciò  che  tu  vuoi  che  io  ti 
dia  '.  £  Salomone  disse, . . . .  '  Signore  Iddio 


664 


DIVINA  COMMEDU 


pensa  chi  era  e  la  cagion  che  il  mosse, 
93        quando  fu  detto  :  '  Chiedi  \  a  domandare. 
Non  ho  parlato  si  che  tu  non  posse 
ben  veder  ch'ei  fu  re,  ohe  chiese  senno, 
96        acciò  che  re  sufficiente  fosse; 

non  per  saper  lo  numero  in  che  ènno 
li  motor  di  qua  su,  o  se  neeessé 
99        con  contingente  mai  neeesse  fenno; 
non,  H  eH  dare  primum  motum  esse, 
o  se  del  mezzo  cerchio  far  si  puote 
102       triangol  si  eh' un  retto  non  avesse. 
Onde,  se  ciò  ch'io  dissi  e  questo  note, 
regal  prudenza  e  quel  vedere  impari, 
105        in  che  lo  strai  di  mia  intenzion  percote; 
e  se  al  ^surse'  drizzi  gli  occhi  chiari, 
vedrai  aver  solamente  rispetto 
108        ai  regi,  che  son  molti,  e  i  buon  son  rari. 
Con  questa  distinzion  prendi  il  mio  detto, 
e  cosi  puote  star  con  quel  che  credi 


mio,  ta  lial  ooetltaito  re  »•,  tao  Mrvitore 
in  hiogo  di  David,  mio  padro  :  ed  k>  sono  un 
piooiol  fimdallo,  e  non  so  né  uscire  né  en- 
trare. Ed  il  tuo  territore  è  in  meoxo  del  tuo 
popolo,  olle  tu  hai  eletto,  ohe  è  un  popolo 
grande,  U  quale,  per  la  moltitudine,  non  ti 
pud  oontaie  né  annoTorare.  Dà  adunque  al 
tuo  eeirTitore  un  cuore  intendente,  per  giu- 
dicare il  tuo  popolo,  per  dieoemere  tra  il  bene 
e  U  male  ;  per  dò  ohe,  ohi  potrebbe  giudicare 
questo  tuo  popolo,  ohe  d  in  oosi  gran  numero? 
£  questo  piacque  al  Signore  >.  —  94.  Hea  ho 
eoo.  Non  ho  parlato  cosi  osouratamente  ohe  tu 
non  possa,  ricordando  il  racconto  biblico,  in- 
tendere che  Salomone  essendo  re  cUeso  a  Dio 
li  dono  di  quella  sapienza  ohe  gli  bisognava 
a  reggere  il  suo  popolo,  non  già  il  sapere  teo- 
logico o  fllosoflco  0  matematico.  ~  97.  le  ■■• 
mero  eoo.  quante  sono  le  Intelligenze  motrici 
dei  deli.  È  un  problema  metaflsico  accennato 
da  Dante  nel  Oom.  n  5-6,  ore,  riferite  le 
opinioni  ohe  ebbero  in  proposito  Aristotele, 
Platone  e  altri,  oonchinde  essere  in  numero 
grandissimo,  indeterminato  (si  otr,  io  propo- 
sito Moore,  1 116  e  168-164).  Lo  Scart  è  in  er-- 
Tore  trovando  nei  versi  del  poema  una  ritrat- 
tazione di  Dante  rispetto  a  dò  ohe  aveva 
scrìtto  nel  Cbnv.,  perché  egli  in  quest'opera 
non  cercò  di  determinare  il  numero  dei  mo- 
tori colesti,  anzi  esplicitamente  dichiarò  non 
essere  possibile  il  determinarlo.  —  96.  se  ne- 
ceste  ecc.  se  da  due  premesse,  l'una  neces- 
saria e  l'altra  oontingonte,  si  possa  trarre  una 
conseguenza  necessaria.  È  un  problema  di  lo- 
gica discusso  da  Aristotele,  AnalU,  prior,  1 16, 


che  oondude  negativamente,  mentre  Platone 
aveva  rispoeto  aiEsrmativamente  (cftr.  Mootei, 
1 117).  —100.  si  est  ecc.  se  è  necessario  eon- 
cedere  che  esista  un  moto  primo,  indipen- 
dente da  ogni  altro  moto.  Altra  questione  nK>> 
taflsica,  già  discussa  dai  filosofi  peripatetid 
(p.  OS.  da  Aristotele,  Firioa  vm  1)  e  dai  t»o- 
logl  cristiani,  perché  si  ricollega  oon  qaelUt 
dell'eternità  del  mondo.  — 101.  ae  del  ■§•«- 
ze  ecc.  se  in  un  semlcerohio  d  possa  inscd- 
vere  un  triangolo  che  non  da  rettangolo. 
—  108.  Onde  ecc.  Da  che,  se  paragoni  ciò  che 
ho  detto  prima  (Par,  x  114Xe  dò  ohe  ho  detto 
ora  (w.  96  e  segg.),  tu  impari,  vieni  a  cono- 
scer la  rtgal  pmddHxa  e  quel  etdare,  cui  anodo 
io,  vieni  a  intendere  doè  che  q%isl  vedere  di 
cui  parlai  e  la  regal  prudenza  di  Salomone 
sono  una  sola  cosa.  —  106.  e  ae  al  sarae 
ecc.  e  se  badi  attentamente  alla  parola  nirss 
da  me  usata,  vedrai  ohe  può  rlferird  sola- 
mente al  re  (che  s*  innalzano  sopra  i  sudditi)  ; 
e  inCstti  intesi  di  dir  ohe  Salomone  fti  il  pìd 
sapiente  fra  i  re,  non  in  generale  fra  gli  no- 
mini. —  106.  ehe  som  metti  eoe.  Tanto  rari 
sono  i  buoni  re  che  nessuno  di  sapienza  d* 
vile  ha  mai  pareggiato  Salomone.  Dante  par- 
lava con  la  mente  d  principi  del  suo  tempo, 
dei  quali  poi  descrisse  i  dispregi  nd  Air.  zxx 
115  e  segg.  —  109.  Coi  fveit»  «co.  Prandi 
le  mie  parole  (del  I\ur.  x  114)  fooendo  questa 
distinzione,  tra  uomini  rivestiti  della  raitìa 
autorità  e  uomini  oomuni,  e  cod  vedrai  oome 
s'accordino  oon  la  tua  opinione  drca  la  sa- 
pienza di  Adamo  e  di  Cristo.  —  110.  e  coaf 
eco.  È  quasi  ia  spiegazione  dd  w.  60-51.  — 


PARADISO  -  CANTO  XIH 


665 


111        del  primo  padre  e  del  nostro  diletto. 
£  questo  ti  sia  sempre  piombo  ai  piedi, 
per  farti  mover  lento,  com*  aom  lasso, 
114       ed  al  si  ed  al  no,  ohe  tu  non  Tedi: 
che  quegli  ò  tra  gli  stolti  bene  abbasso, 
che  senza  distinzion  afferma  o  nega, 
117       nelPun  cosi  come  nell'altro  passo; 
perch*  egP  incontra  che  più  volte  piega 
l'opinion  corrente  in  falsa  parte, 
120       e  poi  l'affetto  lo  intelletto  lega. 
Vie  più  che  indamo  da  riva  si  parte, 
perché  non  toma  tal  qual  ei  si  move, 
123       chi  pesca  per  lo  vero  e  non  ha  l'arte; 
e  di  ciò  sono  al  mondo  aperte  prove 


111.  Mftro  dU«tt«t  Cristo,  ooal  detto  dal- 
r«vaiigelista  Matteo  m  17  e  da  mi  Paolo, 
S^.  agU  Efmi  i  6.  —  112.  K  qiatto  eoo. 
Ghiazito  onnai  il  dubbio  di  Danto,  Tommaso 
d'Aquino  aggiunge  un  arrertimento  dica  la 
oonTonienza  di  procedora  tontamonto  nel  tai 
giudizio  delle  ooie  osoue,  ralle  quali  non  bi- 
sogna pronnnziani  in  un  senso  o  in  un  altro, 
Bonza  prima  avenie  fittto  z^osato  e  calmo 
esame.  Danto  non  tk  altro  che  espone  sotto 
altra  fonna  rammaeetramento  srolto  da  Q. 
OninizeUinel  funoso  sonetto  <  Omo  oh'  ò  sag- 
gio non  ooixe  leggero  >,  che  fb  assai  divul- 
gato nel  dogento  e  nel  trecento  e  rìproso,  nel 
suo  concetto  fondamentale,  da  altri  poeti  (c£r. 
ì2mìm  ddpodi  botcgn,,  ed.  cit.  p.  40,818).  — 
qnesto  ecc.  questo  esempio,  del  prócipitoso 
gìodizio  da  to  £atto  delle  mie  parole,  ti  rat- 
tenga  per  Tavreniie  dal  giadicaro  alla  lesta 
eoe  —  113.  €•■'  nt m  lasso  :  la  stessa  simì- 
litadine  ò,  in  senso  materiale,  in  ^t/l  xzxit  83. 
—  114.  ed  al  sf  eoe.  quando  non  ò  ben  chiaro 
se  si  debba  rispondere  affermatiTamento  o  ne- 
gatÌTamento.  —  115.  thè  f  negli  eco.  poichó 
si  può  dire  stoltissimo,  disceso  all'  ultimo  grado 
della  stoltezza,  colni  che  tanto  nel  caso  di  af- 
fermare, quanto  in  quello  di  negare  afferma 
o  nega  senza  prima  fare  le  necessarie  distia- 
doni.  — 116.  senza  distinzion  s  la  distinzione 
tra  i  ossi  in  eoi  una  stessa  proposizione  pnò 
essere  vera  e  quelli  in  cui  può  esser  falsa  d 
neoessariaperlsre  retti  giudizi  ;  chi  non  bada 
a  questo  distinzione,  avrento  giudizi  scon- 
sideiati,  sia  ohe  affermi,  sia  che  neghi  una 
qualsiasi  proposizione,  die  dato  certo  condi- 
zioni sia  vera,  dato  certo  altre  sia  falsa.  — 
117.  passo  :  conservando  il  traslato,  àìoe  passo 
Tatto  del  dir  si  o  no,  l'affermare  e  il  negare. 
US.  perch' egl*  Incentra  ecc.  perché  accade 
die  spesso  il  giudizio  predpitoso,  non  pondo- 
rato,  è  ammeo,  e  poi  l'amore  della  propria 
opinione  impedisce  all'intelletto  di  discemere 


il  vero.  Cosi  intondono  la  maggior  parto  dei 
conmentatMi  :  altri  invece,  come  Dan.,  Vent, 
Biag.,  Blane  ecc.  seguendo  il  VelL  spiegano 
opbtion  mrrmU  per  opinion»  soimms,  opinione 
dei  idù,  verso  la  quale  1'  u<nno  d  di  sua  na- 
tura inclinato;  ma  non  pare  ohe  questo  spie- 
gazione risponda  al  concetto  dantesco,  andie 
psfohé  distougge  l'antitesi  col  mover  tonto  del 
T.  113.  Bene  il  Buti,  se  anche  con  troppe 
parole:  «L'opinione  oorrento,  ohe  non  si 
ferma  a  distinguere,  pM  volto  piega,  a  falsa 
parto  che  a  la  vera  parto  ;  e  la  cagione  si  è 
che  de  le  cose  non  certo  6  opinione,  imperò 
che  de  le  certo  è  sdenzia,  e  quando  l'opi- 
nione si  dirizza  a  la  verità  non  è  pld  opi- 
nione, imperò  ohe  divento  sdenzia:  s(  die, 
stanto  l'opinione  che  ò  credere  ohe  cosi  sia 
senza  certezza,  piega  lo  'ntolletto  a  la  falsità, 
perché  a  la  verità  non  adiunge  e  però  pie- 
gasi a  quel  che  crede  essor  vero  ».  —  120. 
l'affètte  ecc.  la  predilezione  naturale  che  cia- 
scuno ha  per  il  proprio  giudizio  tiene  l' in- 
tolletto  nell'errore,  gì'  impedisce  di  discernere 
la  verità;  cfr.  Cicerone,  Aoad,  iv  :  «  Nihil  est 
turpius  quam  cognitioni  et  perceptioni  affeo- 
tionem  approbationemque  praecuirere».  — 
121.  Tle  |dtf  ecc.  Si  costruisca:  Ohi  pesca 
per  lo  vero  e  non  ha  l'arte  ei  parte  da  riva  vie 
pvi  ohe  indamo,  perché  non  toma  tal  qual  ei 
8i  moM,  cioè  chi  si  pone  alla  ricerca  della 
verità,  senza  poosedere  n  metodo,  l'arto  del- 
l'acquistare il  sapere,  si  metto  in  un'opera 
più  che  inutile,  dannosa,  poichó  giunto  alla 
fine,  non  solo  non  avrà  conceduto  il  vero, 
ma  si  troverà  involto  nell'errore.  La  simìlito- 
dlne,  non  tratto  a  compiuto  sviluppo,  ò  tolto 
dall'jarto  del  pescatore,  senza  la  cognizione 
della  quale  chi  si  avventura  in  mare  non  so- 
lamento  non  torna  carico  di  pescagione,  ma 
ha  perduto  il  suo  tompo  e  ne  prova  ramma- 
rico. —  124.  al  mende  eoo.  manifesti  esempi 
agli  uomini  :  ra  questi  esempi  si  veda  Moore, 


666 


DIVINA  COMMEDIA 


Parmenide,  Melisso,  Brisso  e  molti 
12G       i  quali  andavano,  e  non  sapean  dove: 
si  fé'  Sabellio  ed  Amo  e  quelli  stolti, 
ohe  furon  oome  spade  alle  scritture 
1*29        in  render  torti  li  diritti  voltL 

Non  sien  le  genti  ancor  troppo  sicure 
a  giudicar,  si  come  quei  che  stima 
132        le  biade  in  campo  pria  che  sien  mature: 
ch'io  ho  veduto  tutto  il  verno  prima 
il  prun  mostrarsi  rigido  e  feroce, 
135       poscia  portar  la  rosa  in  su  la  cima; 
e  legno  vidi  già  dritto  e  veloce 
correr  lo  mar  per  tujbto  suo  cammino, 
188       perire  al  fine  all'entrar  della  foce. 


I  U7.  —  125.  PAmeidde:  flloMfo  ele*- 
tloo,  discepolo  di  Senofane  :  floii  nella  prima 
metà  dol  y  leo.  tu  0.,  foiisse  poemi  didasca- 
lici e  con  lottili  nfiooamenti  toitenera  dne 
toU  elomenti  oostitoire  il  mondO|  doè  il  Aiooo 
e  la  terra,  e  il  fole  essere  principio  di  tatte 
le  cose  :  étt.  Diogene  Laerzio,  oc  21-28.  — 
■ellsso:  altro  filosofo  eleatloo,  discepolo  di 
Parmenide,  rissato  intomo  alla  metà  del  t  seo. 
a.  C;  ofir.  Diog.  Laersio,  ix  24.  Dante  nel  D$ 
mon,  m  i  lo  ricorda  insiome  ool  maestro  tra 
i  filosofi,  ai  qnali  Aristotele  apponeva  di  er- 
rare sia  nella  forma,  sia  nella  sostanta  delle 
argomentaslonL  —  Brlsst  t  Brison,  figlio  di 
Eroderò,  nacque  in  Eraclea  e  diventò  ftunoso 
per  essere  stato  dei  più  tenaci  ricercatori  della 
quadratura  del  droolo;  cfir.  Aristotele  AnalU. 
Potter.  I  9.  ^  f  Mf  IH  eoe.  e  molti  altri  filo- 
sofi, ohe  crearono  teoriche  e  dottrine,  senza 
fondamento  di  yerità,  e  però  furono  oome  1 
ciechi  ohe  camminano  senza  saper  dove  ranno. 
—  127.  SabelUet  nato  a  Pentapoli  in  Africa, 
al  principio  del  m  secolo  d.  0.,  ta  autore  di 
una  dottrina  eretica  fondata  sulla  negazione 
della  Trinità  e  condannata  nel  concilio  d'Ales- 
sandria deU'a.  261:  mori  nel  266  circa.  — 
Arrlo  :  Ario,  altro  promotore  di  eresie,  nato 
nella  Libia  Terso  il  280  d.  0.  e  morto  a  Co- 
stantinopoli nel  886:  le  sue  dottrine  sulle 
persone  della  Trinità  furono  oondannate  nel 
concilio  di  Nicea  del  825.  —  fieli!  stetti  eco. 
tutti  quelli  stoltissimi  oppugnatori  della  fede 
cristiana,  i  quali  oon  false  interpretazioni  dei 
libri  biblici  ne  fìidsarono  agli  occhi  dei  er»' 
denti  le  dottrine.  —  128.  faroa  come  ecc. 
fecer  come  le  spade,  che  siterano,  rendono 
torti,  gli  aspetti  naturaU,  U  dkitU  voUi,  di 
coloro  che  si  specchiano  nello  lucide  lame. 
Cosi  intesero  i  commentatori,  sino  al  Lomb., 
il  quale  iti  poi  seguito  dalla  maggior  parto 
dei  moderni  nello  spiegare  :  fecero  corno  spade 
nel  mutilare  le  scritture  sacre  e  con  tale  mu- 


tllaziene  Ikrle  apparire  fkToreroIi  agfi  efrocl 
che  eese  inrece  condannano:  ma  è  un' intera 
protezione  stentata  e  falsa.  —  180.  He«  sl*a 
eoe  Tommaso  d'Aquino  dà  a  Dante  un  altro 
ammaestramento,  dicendo  ohe  gli  uomini  de- 
Tono  astenersi  dal  dare  giudizio  drca  la  dan- 
nazione 0  la  salute  delle  anime  altrui.  Que- 
sto avvertimento,  che  già  ò  in  germe  nella 
bibbia  (Paolo,  I J^.  ot  Oorinti  iz  5  :  «  Kob 
giudicate  di  nulla  innanzi  al  tempo  »  ;  Iacopo, 
JSpiat.  IV  11  :  «  Ma  tu  chi  sei,  ohe  tu  giu- 
dichi altrui?»),  è  esposto  pid  generalmente 
nel  Oonc.  iv  15  :  «  Sono  molti  tanto  presun- 
tuosi ohe  si  credono  tutto  sapera;  e  per  qne> 
sto  le  non  certe  cose  afiìBrmano  per  certe  : 
lo  qual  vizio  Tullio  massimamente  abbondna 
nel  primo  degli  UffM,  e  Tommaso  nel  suo 
Oontra  gmUiU  dicendo  :  *  Sono  molti,  tanto  di 
loro  ingegno  presuntuosi,  che  credono  ool  suo 
intelletto  potere  misurare  tutte  le  oooe,  sti- 
mando tutto  vero  queUo  die  a  loro  pare,  e 
falso  quello  ohe  a  loro  non  pare  '  ».  —  IBI. 
•ome  eoe  come  colui  ohe  fa  il  :>Tezzo  alle 
biade  che  sono  ancora  nel  campo,  prima  che 
Siene  giunte  a  maturità.  ~  188.  ck*le  ecc. 
poiché  l'apparenza  inganna  tanto  ohe  io  ho 
visto  w%pnmOf  una  pianta  spinosa,  mostrarsi 
pungente  e  selvaggio  per  tutto  l' inverno  e 
poi  nella  primavera  produrre  delle  rose.  — 
134.  rigido  e  feroce:  Venturi  827:  «  I  due 
epiteti  fan  pifi  viva  l'antitesi  delle  punte  sel- 
vatiche ed  aspre  del  pruno  oon  la  roea  geo- 
tile  ».  L' imagine  del  pruno  e  della  rosa  ò 
frequente  nei  nostri  rimatori  idfi  antichi  (cfir. 
D'Ano,  n  409,  lY  188,  287,  839  eoe).  — 
136.  e  legno  eoo.  e  vidi  deOe  navi  die  dopo 
aver  veleggiato  fdioemente  e  velocemente 
per  tutto  il  loro  viaggio  affondarono  ali*  en- 
trare in  porto.  È  un' imagine,  die  trovasi 
già  nei  rimatori  più  antidii  di  Dante,  p.  es. 
in  Monte  Andrea  di  Firenze  (D'Ano,  HI  213): 
«  Di  che  nave  talora  giunta  a  porto,  Di 


PARADISO  -  CANTO  XHI 


667 


Non  creda  donna  Berta  o  ser  Martino 
per  vedere  un  furare,  altro  offeròre, 
vedergli  dentro  al  consiglio  divino; 
142    che  quel  può  surgere,  e  quel  può  cadere  ». 


gnu  tempesta  pére,  e  va  a  fondo  >,  e  speaso 
poi  nei  poeti  posteriori  (Poliziano,  Open  voi- 
garl,  baU.  xti;  L.  Pald,  Morg,  zzr  276,  T. 
Tasao,  Oar.  xi  84  eoo.)*  —  189.  Hon  creda 
eco.  Non  credano  gli  ii(»nini  e  le  donne  Tol- 
gali, vedendo  un  tale  dato  al  mbare,  e  un 
altro  A  opere  di  divozione,  conoscere  il  giu- 
dizio dÌTino  rispetto  a  quei  doe,  conoscere 
che  il  primo  sarà  dannato  e  il  secondo  beato; 
perché  il  ladro  può  salvarsi,  il  religioao  in- 
vece può  perdersL  ~  dosBa  Berta  eoo.  Que- 
sti noni  doverano  essere  al  tempo  di  Dante 
osati  oomnnemente  a  indicare  donne  e  nomini 
da  pooo,  che  volessero  dir  la  loro  opinione  e 
sputar  sentenze  su  ogni  cosa;  e  la  prova  Tab- 
bìamo  in  un  passo  di  I.  Passavanti,  Specchii) 
di  tera  peniUnx<tf  dist  vm,  cap.  5,  ove  si 
legge  :  <  De'  sogni,  che  sono  dal  dolo,  dee 
dalla  influenzia  delle  stelle  e  dellepianete,e 
dalla  disposidono  e  impressione  degli  elementi, 
se  sorto  buoni  filosofi  naturali  e  buoni  astro- 
laglii,  possono  ùa  buona  interpretazione,  ma 
e'  sono  ben  pochi  que'  ootali.  E  quelli  cotanti, 
che  bene  sanno,  più  dubiterebbono  die  gli 
altri  di  giudicare,  temendo  di  non  errare,  che 
non  farebbono  coloro  ohe  pooo  sanno.  Onde 
Ber  Martino  daWaia  é  donna  Berta  dal  muUno 
pi6  arditamente  si  mettono  ad  interpretare  i 
sogni,  che  non  farebbe  Socrate  e  Aristotele, 


maestri  sovrani  della  naturale  filosofia  >.  An- 
che nel  Obne.  x  8  Dante  usa  cotesto  nome 
Martino  in  luogo  d*  una  dodgnazione  generica, 
ma  par  che  sia  senza  alcuna  idea  di  sprezzo. 
—  140.  eDerèret  dErire,  fare  demosina  in 
chiesa;  cfr.  Par.  v  60.  —  14L  vedergli  eoo. 
vederli  giudicati,  vedere  quale  giudizio  ne  tao- 
da  Dio  nella  profonditi  dd  suo  condglio  ;  cfr. 
Boezio,  Con»,  PhU,  it  6  :  «  De  hoc,  quem  tu 
iustisdmum  et  aequi  servantissimum  putas, 
omniasdenti  providentiae  diversum  yidetur  >, 
e  Dante  stesso,  Cbnv.  iv  6  :  <  0  istoltissime 
e  vilissime  bestiuole  ohe  a  guisa  d' uomini 
pascete,  che  presumete  contro  a  nostra  fede 
parlare  e  vdete  sapere,  filando  e  zappando, 
dò  che  Iddio  con  tanta  provvidenza  ha  ordi- 
nato 1  maledetti  siate  voi  e  la  vostra  presun- 
zione !  ».  —  142.  fisi  ecc.  V  uno,  il  ladro, 
pud  col  pentimento  rialzarsi  e  acquistare  la 
grazia  dd  Signore  :  Taltro,  il  pio,  può  Cadore 
in  peccato  e  perdere  la  edule  dell'anima.  Ott: 
<  San  Brandano  fa  sommo  ladrone,  e  pd  per 
le  finali  opere  piacque  a  Dio  ;  cosi  san  Paulo, 
e  molti  altri:  ed  U  Lucifero  ta.  il  pi6  bello 
ddle  creature  angeliche,  e  cadde,  per  la  sua 
superbia,  di  ddo  in  tenebre  eterne;  e  Giuda 
fu  quello  discepolo  a  cui  Cristo  commise  il 
camarlingato  e  cadde,  come  ò  manifesto  ». 


CANTO  XIV 

A  richiesta  di  Beatrice,  una  delle  anime  espone  che  lo  splendore  dei 
beati  sarà  più  viro  dopo  la  risurrezione  dei  corpi  ;  poi  Beatrice  e  Dante  sal- 
gono al  quinto  cielo,  quello  di  Marte,  nel  quale  appariscono  disposti  in  forma 
di  croce  luminosa  le  anime  di  coloro  che  pugnarono  per  la  religione  di 
Cristo  [14  aprile,  ore  antimeridiane]. 

Dal  centro  al  cerchio,  e  si  dal  cerchio  al  centro, 
movesi  l'acqua  in  un  ritondo  vaso, 
8       secondo  eh' è  percossa  fuori  o  dentro. 
Nella  mia  mente  fé'  sùbito  caso 


XrV  1.  Bai  centro  eco.  Sinora  ha  parlato 
Tommaso  d'Aquino,  che  sta  nella  jaima  co- 
rona dd  beati  ;  or  prende  a  parlare  Beatrice, 
che  è  nd  centro  Indeme  con  Dante  :  al  poeta 
il  morimento  della  voce  dell'  Aquinate  verso 
il  centro  e  il  morimento  della  voce  deUa  sua 
donna  verso  la  corona  dei  boati  richiamano 
dia  mente  i  movimenti  inverd  dell'  acqua  in 
un  vaeo  circolare  ;  la  qude,  se  il  vaso  ò  por- 
cosso  esternamente,  d  muove  in  drcoli  die 


via  via  diminuiscono  dall'estremità  verso  il 
centro,  e  se  invece  sia  essa  percossa  nell'in- 
terno dd  vaso  d  muove  in  drcoli  che  via  via 
ingrandiscono  dd  centro  verso  l'estremità. 
Si  noti  che  dal  eerUro  al  eerofUo  risponde  a 
percossa  dentro;  dal  oerehio  al  emirot  a  per- 
cossa fuori,  —  8.  percossa  :  perché  l'dfetto 
ò  sempre  risentito  dall'acqua  anche  se  non 
questa,  ma  il  vaso  sia  percosso  esternamente. 
—  4.  MeUa  mU  eoo.  Questo  effètto  d'in- 


668 


DIVINA  COMMEDIA 


questo  ch'io  dico,  si  come  si  tacque 
6        la  gloriosa  vita  di  Tommaso, 
per  la  similitudine  che  nacque 
del  suo  parlare  e  di  quel  di  Beatrice, 
9        a  cui  si  cominciar,  dopo  lui,  piacque: 
«  A  costui  &  mestieri,  e  no  '1  vi  dice 
né  con  la  voce  né  pensando  ancora, 
12        d*un  altro  vero  andare  alla  radice. 
Ditegli  se  la  luce,  onde  s'infiora 
vostra  sustanzia,  rimarrà  con  voi 
15       eternamente  si  com'ella  è  ora; 
e,  se  rimane,  dite  come,  poi 
che  sarete  visibili  ri£atti, 
18       esser  potrà  ch'ai  veder  non  vi  nói  >• 
Come  da  più  letizia  pinti  e  tratti 
alla  fiata  quei  che  vanno  a  ròta 
21        levan  la  voce  e  rallegi-ano  gli  atti, 
cosi  all'orazion  pronta  e  devota 


reno  moTimento  dell'  acqiia  nel  tuo  mi  s'af- 
facciò labito  al  pensiero  per  la  oonformità 
con  l'inreisa  direzione  drà  parlare,  appena 
ohe  tacintoei  Tommaso  prese  a  discorrere 
Beatrice.  —  fé*  idklto  ecc.  Quasi  tatti  com- 
mentatori spiegano  coso  per  oadnta,  si  ohe 
ftf  COBO  Tonrebbe  dire  cadde  (cfir.  Monti,  Pro- 
pofta,  roL  I,  parte  n,  pp.  144  e  segg.);  ^ 
antidìi  per  altro  par  die  intendessero  on 
po'  diTorsamente,  massime  l' Ott  che  spiega  : 
«  feoe  sùbito  caso,  dod  dedusse  in  volere  sa- 
pere »,  o  in  altri  termini,  feoe  impressione, 
SQsdtò  on  dubbio.  Il  senso  ò  manifestamente 
quello  veduto  dai  piò  ;  ma  certo  l'espressione 
è  poco  perspicua.  —  6.  tIU  :  cfr.  Par,  xx  7. 
-~  7.  per  la  ecc.  porche,  allo  stesso  modo 
dell'acqua,  il  discorso,  che  con  Tommaso 
s' era  volto  dalla  corona  al  centro,  con  Bea- 
trice si  indirizzò  dal  centro  alla  corona  dei 
beati.  —  9.  a  cai  ecc.  Beatrice  parla  per 
esporre  ai  beati  il  dubbio  nascente  in  Dante 
circa  l'intensità  del  loro  splendore  dopo  la 
risurrezione  dei  corpi  e  la  possibilità  che  gli 
occhi  corporei  sostengano  tanta  luce.  È  una 
questione  trattata  dagli  scolastici,  della  quale 
Dante  era  informato  per  dò  che  ne  scrive 
l'Aquinate,  Summ,  F.  Ili,  suppl.,  qu.  lxzxv, 
art.  1-4;  ove  si  dimostra  che  i  corpi  dei 
beati  saranno  laminosi  dopo  la  risonezione, 
e  saranno  più  o  meno  luminosi  secondo  il . 
maggiore  o  minor  merito  dell'anima,  ti  che 
«  in  corpore  glorioso  cognoscetur  gloria  ani- 
mae,  sicut  in  vitro  cognosdtur  color  oorporis 
quod  oontinetur  in  vaso  vitreo  >  ;  e  quanto 
al  secondo  punto  della  questione,  si  oondode 
che  potranno  gli  occhi  sopportare  tal  looe, 


perdio  «  magnitodo  daritaiii  In  papilla  ■»- 
gis  £M>iet  ad  aoamen  visus  qoaa  ad  eios  ie- 
fectum  ».  —  10.  A  eeitai  eo&  ▲  Dani»  im- 
porta di  oonoaoere  a  fondo  un'altea  Tariti, 
sebbene  egli  non  ve  lo  dica  né  anootm  abbia 
nettamente  formolato  nel  suo  pensiero  11  dub- 
bio che  or  gli  sorge.  —  18.  Ute^  eoo.  Pri- 
ma domanda  :  ae  la  luce,  onde  sono  adooiata 
le  anime  beate,  resterà  tale  in  etemo.  — 16. 
e  se  rUiane  eoo.  Seconda  domanda:  se  la 
luoe  rimarrà  tale,  come  potrà  esaer  ohe,  al- 
lorquando le  anime  avranno  ripreso  i  laro 
corpi,  non  offenda  loro  la  vista.  —  17.  tm- 
rete  eco.  dascuno  avrà  ripigliate  «  aoa  carne 
e  sua  figura  >  {Inf,  vi  98),  nel  giorno  del 
giudizio  univexùle.  —  18.  ael  :  cfir.  Inf.  xxm 
16,  I\irg.  TX  87  eco.  ;  ma  qui  ò  in  senso  stret- 
tamente flsieo  (cfir.  affcMeamé  del  v.  68).  — 
19.  CoaM  te  pM  eoo.  Come  accade  nel  baDo, 
che  spinti  e  trascinati  da  letizia  maggiore 
della  solita  tatti  i  danzatori  insieme  contano 
con  più  vìvadtà  e  fiumo  segno  d' allegrezza 
coi  loro  atteggiamenti.  È  una  simUitadine 
che  si  ricollega  con  quella  del  Pnar,  x  79-81, 
dipingendo  con  vivissimi  tratti  un'  altra  eoena 
di  danza,  il  momento  dod  in  cui  i  danaatorì 
ecdtati  dalle  parole  della  ballata  esprinionti 
un  sentimento  più  lieto  o  un  penaieso  di  ma^ 
gior  interesse  cantano  e  ai  muovono  oon  pid 
vivadtà,  per  dimostrasione  deDa  loco  leti^ 
»  20.  alla  iato:  talvolta (ofr. Parodi,  BuU. 
m  146  e  Barbi,  ivi  X  6);  eoomaaoato  è 
spiegato  nd  senso  di  insiem 
tempo,  à  la  fai»,  —  vasne  a  rota: 
in  giro  ;  cfr.  Pofr.  x  146,  zzv  107.  —  22.  oasi 
ecc.  in  tal  modo  alla  pronta  o  rispettosa  in- 


PARADISO  -  CANTO  XIV 


669 


li  santi  cerchi  mostrar  nuova  gioia 
24        nel  tornear  e  nella  mira  nota. 
Qual  si  lamenta  perché  qni  si  moia, 
per  viver  colà  su,  non  vide  quive 
27        lo  refrigerio  dell*  etema  ploia» 

Quell'uno  e  due  e  tre  che  sempre  vive, 
e  regna  sempre  in  tre  e  due  e  uno, 
80        non  ciroonsoritto,  e  tutto  circonscrive, 
tre  volte  era  cantato  da  ciascuno 
di  quegli  spirti  con  tal  melodia 
83        eh' ad  ogni  merto  saria  giusto  mono. 
Ed  io  udì'  nella  luce  più  dia 
del  minor  jsrchio  una  voce  modesta, 
86        forse  qual  fu  dall'angelo  a  Maria, 
risponder:  <  Quanto  fia  lunga  la  festa 


tenogftzione  di  Beatrice  le  dae  oorone  di 
beati  feoer  dimoetraiione  di  naova  allegrezia, 
movendosi  in  rapido  giro  e  cantando  mirabil- 
mente. ~  38.  Beo?»  gleUt  ofr.  Par,  ym 
46-48.  —  34.  ttiveare  t  maorersi  in  giro  con 
rivaeità,  come  nella  danza.  ~  mirai  mira- 
bile; qui  è  detto  del  canto  dei  beati,  come 
attróre  sempre  di  cose  o  persone  divino  (Rir. 
jarr  86,  zznn  S8,  xxx  68).  —  25.  <{aal  eco. 
Oli  si  lamenta  perché  mnóiono  al  mondo  gli 
nomini  merlteroli  dell'eterna  rita  non  ha 
mai  considerato  la  felioità  che  nasce  dalla 
graxia  dirina.  Goci  mi  par  da  intenderò  con 
roti.,  ohe  chiosa  :  e  ehi  qua  giti  piange  quando 
di  questa  misera  vita  si  parto  alcuno,  li  coi 
atti  ragionerohnente  sieno  giudicati  giusti  * 
eco.;  gli  altri  interpreti  non  distinguono  le 
persone  che  si  lamentano  da  quelle  che  !»• 
sdaiio  la  terra  per  salire  alla  beatitudine  ce- 
leeta,  le  quaK  ultime  naturalmente  non  pos- 
eono  esser  quelle  die  non  riderò,  non  con- 
siderarono io  refrigerio  ecc.  ~  27.  Peteraa 
flelat  come  in  Bear,  xxiv  91  e  la  larga  ploia 
dello  Spirito  Santo»,  è  la  grazia  dell'eterno 
Dio  die  si  diffonde  sui  beati  faeondoli  lieti 
4'ineAabile  gioia.  Quanto  alla  forma,  pMa  è 
dal  lat.  pktriay  per  l' intermezzo  del  frane. 
fkri»  e  del  pror.  fUoja  (Zing.  ISl,  Parodi, 
BmO.  m  100).  —  28.  QueU*  ubo  ecc.  Lomb.  : 
e  Qoell'  uno  ohe  sempre  rive  e  regna  in  tre 
(doè  quell'uno  Dio  ohe  Tirerà  e  regnerà 
eempTO  in  tre  Persone);  quel  due  che  rire 
sempre  e  regna  in  due  (quello  dì  due  nature 
dirina  e  umana,  Gesù  Cristo,  che  nelle  me- 
desime rirerà  e  regnerà  eternamente)  ;  quel 
tre  che  rire  sempre  e  regna  in  uno  (quelle 
txe  dirine  persone  che  rireranno  e  regne- 
ranno sempre  in  unità  di  natura)  > .  È  la  mi- 
glior chiosa,  perché  mette  in  eridenza  il  pa- 
rallelismo simmetrico  delle  espressioni  usate 
da  Dante  per  significare  la  Trinità.  —  80. 


BOB  eircoBserltte  eoe.  cfr.  Purg,  xi  2.  « 
81.  tre  TolU  ecc.  Gli  spiriti  beati  delle  due 
corone  cantarono  per  tre  rolte  una  lode  alla 
Trinità,  forse  U  Gloria  patri  d  fiiio  d  tpkritui 
sanato  della  liturgia  cristiana.  —  88.  eh*ad 
egal  eco.  che  sarebbe  stata  degna  ricom- 
pensa a  qualsiroglia  merito.  —  mnae:  lati- 
nismo, da  «mm»,  dono,  remunerazione.  — 
84.  Bella  Inet  eoo.  L'anima  che  ora  prende 
a  parlare  è,  secondo  tutti  1  commentatori, 
quella  di  Salomone,  arrolta  nella  hue  più 
beltà  (Bir,  x  109)  delle  dodid  che  formarano 
la  prima  corona  di  beati.  Dall'opinione  co- 
mune s' allontana  il  Land,  scrirendo  :  e  Que- 
sta roce  finge  il  poeta  ohe  fosse  del  Maestro 
delle  sentenze  [Pietro  Lombardo,  cfir.  Pur,  x 
107],  perché  inrero  qui  solre  questo  dubbio 
nella  forma  che  il  Alacstro  delle  sentenze  lo 
solve  nel  suo  quarto  libro».  E  reramente 
non  s' intende,  perché  di  una  questione  teo-> 
logica  sia  introdotto  a  parlar  Salomone,  se 
non  s'ammette  con  lo  Scart.  che  sia  bello 
e  artifizio  poetico  il  ùa  parlare  noli'  eternità 
in  modo  s(  sublime  dei  misterii  della  risur- 
rezione chi  nel  tempo  parlò  qud  linguaggio 
soettico  che  si  legge  negli  ultimi  rersi  del 
cap.  m  àéìV  Eeelesiastej  il  cui  autore  erede- 
rasi  Salomone  ».  —  dia  :  dira,  dirina,  e  per- 
do luminosa,  splendente  ;  come  in  Par,  xxni 
107,  xxn  10.  —  86.  forse  eco.  forse  comò 
fti  la  roce  che  mosse  dalla  bocca  dell'angelo 
Gabriello  quando  salutò  la  Vorgine,  dicendo  : 
Ave  Maria  ecc.  cf^.  Purg.  x  40.  Venturi  646  : 
e  Soare  concetto  in  Boarissime  parole  ».  — 
87.  risponder  ecc.  La  risposta  dell'anima 
beata  allo  domande  fatte  per  Dante  da  Bea- 
trice ò  conforme  alla  dottrina  tomistica  già 
richiamata  nella  nota  al  r.  9.  Dice  quell'a- 
nima: La  nostra  luce  durerà  eternamente, 
con  intensità  proporzionata  al  merito  di  da- 
scuno  (jr,  87-42):  dopo  la  resurrezione  dd 


670 


DIVINA  COMMEDIA 


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54 


di  paradiso,  tanto  il  nostro  amore 
si  raggerà  d'intorno  cotal  vesta. 

La  sua  chiarezza  seguirà  l'ardore, 
l'ardor  la  visione,  e  quella  è  tanta, 
quanta  ha  di  grazia  sopra  il  suo  valore. 

Come  la  carne  gloriosa  e  santa 
fia  rivestita,  la  nostra  peraona 
più  grata  fia  per  esser  tutta  quanta; 

per  che  s'accrescerà  ciò  che  ne  dona 
di  gratuito  lume  il  sommo  bene, 
lume  eh' a  lui  veder  ne  condiziona: 

onde  la  vision  crescer  conviene, 
crescer  l'ardor  che  di  quella  s'accende, 
crescer  lo  raggio  che  da  esso  viene. 

Ma  si  come  carhon,  ohe  fiamma  rende, 
e  per  vivo  candor  quella  soperchia, 
si  che  la  sua  parvenza  si  difende. 


corpi  noi  saramo  in  uno  stato  di  maggior 
grazia,  perdo  zisplenderemo  di  più  vira  Inoe 
(4S-51)  ;  e  ciò  non  impedirà  la  Tiata  del  corpi 
glorìoai,  né  i  nostri  occhi  saranno  incapaci 
di  mirare  cosi  grande  splendore  (w.  62- 
60).  —  Qvaato  Ha  ecc.  Per  quanto  durerà 
la  beatitudine  del  paradiso,  cioò  eternamente, 
tanto  oontìnnerà  la  nostra  carità  a  manire- 
starsi  nello  splendore  ondo  siamo  circonftisL 
—  40.  La  ina  ecc.  Lo  splendore  procede  dal- 
l'ardore di  carità,  e  questo  dalla  visione  o 
cognizione  di  Dio;  e  questa  cognizione  ò 
proporzionata  alla  grazia  concessa  al  merito 
indiyiduale  :  che  vuol  dire  che  la  luce  dei 
beati  ò  maggiore  o  minore  secondo  il  merito 
di  ciascuno  ;  cfr.  Pwrg,  xy  70  e  segg.  —  43. 
Come  ecc.  Quando  nella  risurrezione  ciascuna 
di  noi  avrà  rirestito  il  corpo  glorificato  e 
santificato,  la  nostra  persona  essendo  nella 
saa  integrità  sarà  pi&  perfetta,  sarà  in  quello 
stato  in  cui  pia  MmU  il  b&né  (Inf.  vi  106). 
Dante  qui  e  nel  cit.  luogo  dell'In^,  si  rife- 
risce alle  dottrine  di  Tommaso  d'Aquino,  il 
quale  teneva  in  generale  {Sumnt.  P.  I,  qu. 
xc,  art.  4)  che  l' anima  e  cum  sit  pars  hu- 
manae  natorae,  non  habet  natnralem  perfe- 
ctionem,  nisi  secunduro  quod  est  oorpori  uni- 
ta >,  e  in  particolare  poi^  per  ciò  che  riguarda 
la  fruizione  della  beatitudine,  poneva  dopo 
lunga  dimostrazione  {Summ.  P.  1 2^,  qa.  iv, 
art.  6),  che  e  corpore  resumpto  beatitudo  cre- 
8cit9.  —  45.  pltf  grata  Ila:  sarà  in  uno 
stato  di  maggior  perfezione  ;  non  più  cara  a 
Dio,  0  più  cara  all'anima  stessa,  come  in- 
tendono molti  commentatori.  —  46.  per  che 
ecc.  per  la  quale  perfezione  si  accroscerà  ciò 
che  Dio  ci  dona  ^t  gratuito  (urne,  vale  a  dire 
la  grazia  divina  a  noi  concessa  sarà  mag- 


giore. —  48.  !•■•  eoOb  la  qual  graiia  d 
mette  in  condizione  di  vedane  Iddio,  ò  fonte 
della  cognizione  di  Dio.  —  49.  «adt  eoe.  e 
eoe!  con  la  grazia  oresoerà  la  oogniriona  di 
Dio,  con  la  cognizione  l'ardore  di  carità  die 
da  quella  procede,  e  oon  l'ardore  di  carità 
la  luoe  che  ne  è  emanazione.  Biflt,  par  dir 
oosi,  li  cammino  peroono  innanzi  ;  onde  aono 
da  paragonare  i  w.  40-42  eoi  vr.  43-61,  in 
quanto  al  valore  del  v.  42  oonisponde  lo 
stato  di  perfezione  descritto  nei  tv.  43-45, 
alla  graxia  del  v.  42  U  grakàto  hmm  dai  w. 
47-48,  aUa  «inona  del  v.  41  U  Im  «sder  e  U 
vinone  dei  w.  48-49,  all'ardori  dei  w.  40-41 
quello  del  v.  60,  e  finalmente  alla  dùamuia 
del  V.  40  io  raggio  del  v.  61:  parallelismo 
manifesto,  ohe  qui  era  opportono  a  ribaJirs 
nella  mente  del  lettore  i  successivi  trapassi 
da  una  a  un'  altra  delle  idee  eepresae.  ~  62. 
si  eoaie  eco.  come  il  carbone  che  produce  la 
fiamma  la  vince  di  intensità  luminosa,  si  che 
pur  in  mezzo  alla  fiamma  mantiene  la  sna 
apparenza,  continua  a  esser  visibile.  La  si- 
militudine, che  a  torto  U  Venturi  83  dice 
e  non  spiegata  con  locurione  felice»,  rende 
assai  bene  il  concetto  di  Dante,  circa  la  lu- 
minosa parvenza  dei  corpi  glorificati,  la  quale 
sarà  tale  da  vincere  la  luce  che  drconfonda 
le  anime:  Tommaso  d'Aquino  (ott.  nota  al 
V.  9)  si  valse  a  questo  proposito  della  simi- 
litudine del  vaso  di  vetro;  ma  già,  nello 
stosso  luogo,  egli  espresse  il  suo  pensiero 
con  imagini  che  possono  aver  soggerito  la 
comparazione  della  fiamma  a  Dante:  «  Omne 
corpus  laddum  oocoltat  (cosi  l'Aquinate)  il- 
lad  quod  est  post  se  :  unde  unum  luminare 
post  aliud  edipsatur;  fiamma  etiam  ignis 
prohlbet  videri  quod  est  post  se.  Sed  ooxpora 


PARADISO  -  CANTO  XIV 


671 


cosi  questo  fulgor,  ohe  già  ne  cerchia, 
fia  vinto  in  apparenza  dalla  carne 
67        che  tutto  di  la  terra  ricoperchia; 
né  potrà  tanta  luce  affaticame, 
che  gli  organi  del  corpo  saran  fòrti 
60       a  tutto  ciò  che  potrà  dilettarne  >. 
Tanto  mi  parver  sùbiti  ed  accorti 
e  l'uno  e  l'altro  coro  a  dicer  :  «  Amme  >, 
63       che  ben  mostrar  disio  dei  corpi  morti.; 
forse  non  pur  per  lor,  ma  per  le  mamme, 
per  li  padri  e  per  gli  altri,  che  fOLr  caii 
€6       anzi  che  fosser  sempiterne  fiamme. 
Ed  ecco  intomo,  di  chiarezza  pari, 
nascere  un  lustro  sopra  quel  che  v'era, 
69       a  guisa  d'orizzonte  che  rischiari: 
e  si  come  al  salir  di  prima  sera 
comincian  per  lo  ciel  nuove  parvenze, 
72       si  che  la  vista  pare  e  non  par  vera; 
parvenu  li  novelle  sussistenze 
cominciar  a  vedere,  e  fare  un  giro 
75        dì  fuor  dall'altre  due  circonferenze. 


gloriosa  non  occnltabnnt  illnd  qnod  intra  ea 
oontinetiir  >.  —  66.  cotC  qveito  eoo.  cod  la 
carne  doi  nostri  corpi  rincora  in  apparmxay 
di  splendore,  il  fulgore  onde  noi  siamo  ora 
circonftise:  e  cosi  apparirà  la  sembianza  cor- 
porea sttrayerso  la  laminosa  emanazione  della 
carità.  —  67.  ehe  tatto  eco.  la  qnale  è  an- 
cora sepolta  in  terra.  —  68.  né  potrà  eoo. 
né  tanta  luce,  qnanta  sarà  qneUa  delle  no- 
stre persone,  potrà  offendere  i  nostri  occhi, 
perchó  gli  organi  sensitiri  saranno  idonei  a 
percepire  tatto  qaello  ehe  possa  esserci  ca- 
gione di  beatitadine.  —  61.  TaBto  eco.  Le 
anime  beate  delle  due  corone  furono  tanto 
pronte  e  arredate  a  manifestare  la  loro  ap- 
proyazione,  dicendo  amen  o  cosi  sia,  che  ben 
mostrarono  il  tìto  desiderio  di  ricongiongorsi 
coi  loro  corpi.  —  62.  Amme:  rìdarione  po- 
polare toscana  dell' omm,  asato  nelle  pre- 
ghiere cristiane  come  esclamarione  ilnale  di 
approradone.  Boti  :  e  amm»  dice  lo  volgare, 
ma  la  grammatica  dice  amen  >  ;  Ott.  :  e  !o 
qoale  amen  importa  qoi  tre  signiUcati  :  af- 
ferma il  detto  di  Salomone,  desidera  perfe- 
zione, comunica  con  U  beati  allegrezza  *»  — 
6A.  forte  eco.  forse  non  solamente  per  so 
stessi,  ma  per  le  madri  e  per  i  padri  loro,  e 
per  tatto  le  altre  persone  care,  parenti  ed 
amid,  amate  da  questi  beati  prima  ch'essi 
salissero  alla  gloria  del  paradiso.  —  66.  seai- 
pitene  llamme:  splendori  ohe  dorenumo 
cqaaoto  la  festa  di  paradiso  9  (t.  87).  — 
67.  K4  eeeo  eoe.  Improvrisamente  una  la- 


minosa corona  di  beati,  di  ohiarexxa  pari^  In 
ogni  saa  parte  rilacente  di  pari  splendore,  ti 
forma  al  di  tosai  delle  dae  corone  preceden- 
temente apparse.  Sono  le  altre  anime  di  teo- 
logi del  dedo  del  Sole,  delle  quali  Dante  non 
fk  distinta  menrione,  limitandosi  a  dire  come 
gli  si  mostrassero  mentre  egli  era  per  abban- 
donar quella  sfera,  disposte  in  piti  ampio  cir- 
colo intomo  alle  due  corone  prindpaU.  — 
68.  ■■  lastro:  una  luce  diffusa  per  largo 
spario  {att,  Purg,  xxdc  16).  Primo  il  Lomb., 
segufto  da  pochi  commentatori,  intese  che 
questo  splendore  nuovo  fosso  la  luce  del  pia- 
neta Marte,  cui  Dante  s'avvicinasse:  erro- 
neamente, come  mostrano  1  w.  78-76,  e  per- 
chó l'ascensione  in  Marte  è  accennata  pur 
nd  w.  82  e  segg.  —  69.  a  guisa  eco.  come 
la  luce  ohe  ri  diffonde  e  rischiara  l'orizzonte 
innanri  al  sorgere  del  sole:  la  similitudine, 
d  noti,  serve  a  chiarire  quale  fosse  quel  hk" 
8tr0y  non  l'atto  della  sua  apparirione.  —  70. 
t  s(  come  eco.  e  come  al  prindpio  della  sera 
incominciano  a  mostrard  nuove  stelle,  ma 
per  la  luce  solare  che  tuttora  resta  sull'oriz- 
zonte non  si  vedono  ancora  distintamente, 
sembrano  apparire  e  poi  scomparire.  —  72. 
pare  ecc.  cfr.  Puiy.  vn  12.  —  78.  parveml 
eco.  mi  sembrò  d' incomindare  a  vedere  H^ 
in  quel  huirot  in  quella  luce  diffusa,  novelle 
eussistenxet  altre  anime  beate,  e  formare  al 
di  fuori  delle  due  prime  corone  una  terza 
ghirlanda.  —  sasslsteasex  cfr.  Par,  xm  59. 
—  76.  elreoafereaze  t  i  due  gruppi  delle 


672 


DIVINA  COMMEDIA 


0  vero  isfavillar  del  santo  spiro, 
come  si  fece  sùbito  e  candente 
78        agli  occhi  miei,  che  Tinti  non  soffrirò  I 
Ma  Beatrice  si  bella  e  rìdente 
mi  si  mostrò,  che  tra  quelle  vedute 
81        si  vuol  lasciar  che  non  seguir  la  mente. 
Quindi  ripreaer  gli  occhi  miei  virtute 
a  rilevarsi,  e  vidimi  translato 
84        sol  con  mia  donna  in  più.  alta  salute. 
Ben  m*accors'io  ch'io  era  più  levato, 
per  l'affocato  riso  della  stella, 
87        che  mi  parea  più  roggio  che  l'usato. 
Con  tutto  il  core,  e  con  quella  &vella 
eh' è  una  in  tutti,  a  Dio  feci  olocausto, 
90        qual  convenlasi  alla  grasia  novella; 
e  non  er'anoo  del  mio  petto  esausto 


Tentiqtuittro  anime  disposte  in  dne  cerchi 
intorno  a  Dante  e  dette  perciò  ooron»y  ghir» 
kmdé,  —  76.  0  Tero  ecc.  0  veraoe  splen- 
dore dello  Spirito  Santo  I  oome  apparve  im- 
proyyiflo  e  infocato  ai  miei  occhi,  i  quali, 
vinti  dalla  grande  e  sùbita  laoe,  non  ne  so- 
stennero l'impressione.  -^  79.  Ma  Bealriee 
ecc.  Ma  io  Tolgendo  gli  occhi  a  Beatrice,  la 
vidi  cosi  bella  e  sorridente  di  nuova  gioia  e 
di  naoTa  Ince,  che  l'impressione  è  indicibile 
e  poro  dere  esser  lasciata  con  le  altre  appa- 
rizioni che  non  si  impressero  nella  mia  mente, 
che  io  non  posso  ricordare.  Questo  nnoro 
splendore  di  Beatrice  è,  al  solito,  il  segno 
dell' asoonsione  incominciata  Terso  il  cielo 
superiore,  quello  di  Marte  :  c&.  Par.  ▼  94, 
TU]  15.  —  80.  che  tra  qoelle  eco.  Land.  : 
e  accrebbe  la  belletza  ed  il  gaudio  tanto  in 
Beatrice  che  il  poeta  non  lo  pud  esprimere, 
e  per  questo  lo  lascia  tra  quelle  Tedute  cose, 
ohe  non  seguono,  anzi  abbandonano  la  mente, 
quando  le  Tuole  doscrivere  >.  —  82.  Qalndl 
ecc.  Guardando  in  Beatrice  i  miei  occhi  rii 
presero  rigore  a  fissarsi  nuoTamente  ai  ciel- 
luminod.  Alcuni  pochi  commentatori,  riferen- 
dosi al  Pur,  xzm  47-Ì8,  intendono  il  quindi 
un  po'  diversamente  :  non  già  dal  contemplare 
Beatrice,  ma  dalla  forza  fisica  e  che  acquista- 
rono realmente  gli  occhi  suoi  a  sostener  quella 
luce  dopo  aTerne  una  maggiore  sofferta  >  ; 
ma  non  ò  necessario  forzare  le  parole  di  Dante 
a  questa  spiegazione  piti  oscura  del  testo.  — 
83.  vidimi  ecc.  mi  trorai  con  sola  la  mia 
donna  in  un  piti  alto  grado  di  salute,  cioò 
nel  quinto  delo,  di  Marte.  ~  85.  Bea  m*  «e- 
eors'lo  ecc.  Mi  avridi  d'essermi  sollevato  a 
un'altra  sfera  per  l'infocato  splendore  del 
pianeta,  che  mi  pareva  più  rosseggiante  del 
solito.  ~  87.  che  mi  parea  ecc.  Intorno  al 


rosseggiare  di  Marte,  cfr.  le  parole  di  Dante 
stesso  nel  Oorw,  n  14,  riferite  in  I\ay,  n  14. 
Nota  l'Ant  che  Dante,  pervenuto  improvvi- 
samente in  Marte,  e  non  ci  dice  di  questo 
pianeta  so  non  che  gli  pareva  piti  roteo  del 
solito,  0  tace  dei  suoi  periodi,  delle  sue  di- 
stanze e  delle  sue  dimensioni,  sebbene  ààl- 
VAbnagetto  e  dagli  astronomi  arabi  ne  poteva 
certamente  raccogliere  qualche  coca  ».  —  rag- 
gio :  forma  toscana  dal  lat  rubmu^  afibie  a 
roblno  del  v.  94  (Zing.  188)  e  frequente  la 
Dante  per  esprimere  un  rosso  fiammante  {Inf. 
u  71,  I\irg,  ni  16).  A  proposito  di  questa 
voce  osserva  il  Borgh.  :  e  Tib  colori  abbia- 
mo :  rosso  ch'ò  quello  del  cinabro;  vtrmigiio 
eh' ò  dal  verzino  e  della  lacca;  roggio  di' è 
del  fooco  rovente  e  che  tende  al  colore  della 
raggino  >,  e  aggiunge  :  «  perché  questa  voce 
oggi  è  disusata,  non  è  maraviglia  ee  alcuno 
non  l'ha  cosi  bene  intesa  *,  —  88.  €•■  tatto 
ecc.  Senza  aspettare  l'avvertimento  di  Bea- 
trice (cfr.  Par.  II  29-80,  z  62-54),  Dante  rin- 
grazia con  tutto  il  cuore  e  con  orazione  men- 
tale il  Signore  d'averlo  Catto  salire  nel  delo 
di  Marte.  ~  qaella  favella  eco.  è  la  favella 
dell'anima,  gl'intimi  sentimenti  che  tono  gli 
stessi  in  tutti  gli  uomini,  sebbene  a  maniié- 
starli  usino  poi  differenti  linguaggi.  —  89. 
feci  oloeanstot  pòrsi  quel  pieno  ringrazia- 
mento che  era  dovuto  alla  nuova  grazia  ri- 
cevuta. Lana  :  «  Olooausto  si  ò  quando  si  £s 
intero  saorifido  o  vittima,  doò  di  tutta  la 
cosa  ;  sacrìfieio  proprio  si  è  quando  ai  la  vit- 
tima pare  della  parte  :  e  per  mostrare  l'au- 
tore esso  sacrificale  e  fhre  olocausto,  men- 
ziona questi  due  vocaboli  oome  appare  nel 
testo  >.  —  91.  e  non  eco.  e  l'ardore  del  sa- 
crifido  non  era  ancora  esaurito  noli'  animo 
mio,  non  avevo  ancora  compiuto  il  mio  xin- 


i 


PARADISO  -  CANTO  XIV 


673 


Pardor  del  sacrificio,  ch'io  conobbi 
93       esso  litare  stato  accetto  e  fausto; 
che  con  tanto  lucore  e  tanto  rebbi 
m'apparvero  splendor  dentro  a  due  raggi 
96        ch'io  dissi:  e  O  Eliòs,  che  si  gli  addobbi!  » 
Come,  distinta  da  minori  e  maggi 
lumi,  biancheggia  tra  i  poli  del  mondo 
99        Galassia  si  che  fa  dubbiar  ben  saggi, 
ai  costellati  facean  nel  profondo 
Marte  quei  rai  il  venerabil  segno, 
102        che  fan  giunture  di  quadranti  in  tondo. 


gnoiamento,  ohe  oonobU  come  esso  ringra- 
ziamento fo8M  stato  Itene  accetto  a  Dio  e 
feoondo  di  felid  effetti  per  me.  —  98.  Utaret 
sacrificare  ;  è  il  vb.  latino,  éhe  Dante  aveva 
trovato  spesso  in  VligUio  (En,  a  118,  iv  60 
ecc.).  —  91.  ehi  eoa  tanto  eoo.  poiché  dea- 
tro a  dne  Uste  Inminose  disposte  in  croce 
(cfr.  TV.  100-102)  mi  apparvero  degli  splen- 
dori cosi  laoenti  e  rosseggianti  eh*  io  non 
seppi  trattenere  nn'  esdsmazione  di  meravi- 
glia verso  Dio,  fonte  di  tanta  hice.  —  In- 
eore  :  come  huiro  (v.  68),  è  usato  a  signifi- 
care la  luce  diifosa.  —  rebbi  x  rossi,  di  oo- 
lore  di  fkiooo  ;  ofr.  la  nota  al  v.  87,  avver- 
tendo che  secondo  il  Parodi,  BuU,  m  101, 
pinttoato  che  nna  forma  toscana,  sarebbe  nn 
latinismo  dantesco,  da  rubeL  —  95.  splen- 
der :  sono  le  anime  beate  di  qoelli  che  pn- 
gnarono  per  la  fede  cristiana,  alcone  delle 
qnaU  sono  poi  enumerate  da  Dante  stesso  in 
Pur.  zvm  87  e  segg.  —  96.  0  Ellòs  ecc.  0 
Dio,  che  gl'illiunini  di  tanta  Inoel  Quanto 
al  nome  EUott  col  quale  Dante  accenna  Dìo, 
secondo  la  giusta  interpretazione  dei  più,  e 
non  il  Sole  come  vorrebbero  alcuni,  par  che 
sia  una  forma  ibrida  nata  per  confosione  tra 
rebraioo  El  {ett.  Par,  zzvi  186)  e  il  greco 
B0io9f  nome  del  Sole  ;  conftisione  che  per- 
dura negli  antichi  commentatori,  alcuni  doi 
quali  la  dicono  greca,  altri  ebraica,  sempre 
peod  dandole  il  senso  di  Dio  (cfr.  Zing.  166). 
—  a4dobU:  il  vb.  addobbare^  adomare  con 
dzi^pi,  è  tratto  qui  al  significato  di  illumi- 
nai», adomare  di  luce.  —  97.  Come  ecc.  Co- 
me la  Galassia  o  via  lattoa  Appare  quale  una 
striscia  biancheggiante,  distesa  dall' un  polo 
all'  altro  del  cielo,  nella  quale  si  distinguono 
stelle  più  picoole  e  più  grandi,  cioè  di  varia 
grandezza  e  di  varia  luco.  —  maggi:  cfr. 
ifi/.  VI  48.  —  99.  Galassia:  nel  Gonv,  n  15 
Dante  la  definisce  e  quello  bianco  cerchio, 
die  il  vulgo  chiama  la  via  di  Santo  Iacopo, 
e  noctraci  Tuno  de' poli,  e  l'altro  ci  tiene 
ascoso,  e  mostraci  un  solo  movimento,  che 
&  da  oriente  a  occidente,  e  un  altro  che  fa 
da  occidente  a  oriente  quasi  ci  tiene  asooso  >  : 
pi6  poeticamente  Ovidio,  Mei.  i  168:  e  Est 

Dantb 


via  sublimis,  coelo  manifesta  sereno  ;  Lactea 
nomen  habet,  candore  notabilis  ipso».  —  fa 
dubbiar  ecc.  ha  tenuto  e  tieno  in  dubbio  i 
più  dotti  filosofi  circa  la  sua  natura.  Questo 
verso  è  illustrato  da  dò  ohe  Dante  scrive  in 
proposito  nel  Oono,  u  15  :  e  È  da  sapere  che 
di  quella  Qalassia  li  filosofi  hanno  avuto  di- 
verse opinioni  ;  che  li  Pittagorid  dissero  che 
il  Sole  alcuna  fiata  errò  nella  sua  via,  e  pas- 
sando per  altre  parti  non  convenienti  al  suo 
fervore,  arse  il  luogo  per  lo  quale  passò,  e 
rimasevi  quell'apparenza  dell'  arsura  :  e  credo 
che  si  mossero  dalla  fàvola  di  Fetonte,  la 
quale  narra  Ovidio  [Met,  n  47-824]...  Altri 
dissero,  si  come  fu  Anassagora  e  Democrito, 
che  dò  era  lume  di  Sole  ripercosso  in  quella 
parte  :  e  queste  opinioni  con  ragioni  dimo- 
strative riprovarono.  Quello  che  Aristotde  sì 
dicosse  di  dò,  non  d  può  bene  sapere  ;  per- 
ché la  sua  sentenza  non  si  trova  cotale  nel- 
r  una  traslazione,  come  nell'  altra  :  e  credo 
che  fosse  l'errore  de' traslatori,  che  nella 
nuova  pu  dicere  che  dò  sia  un  ragunamento 
di  vapori  sotto  le  stelle  di  quella  parte,  che 
sempre  traggono  quelli;  e  questa  non  pare 
avere  ragione  vera.  Nella  vecchia  dice  che 
la  Qalassia  non  è  altro  che  moltitudine  di 
stelle  fisse  in  quella  parte,  tanto  picdde  ohe 
distìnguere  di  qua  giù  non  le  potemo,  ma  di 
loro  apparisce  quollo  albóre,  il  quale  noi  chia- 
miamo Galassia:  e  puote  essere  che  il  cielo 
in  quella  parte  ò  più  spesso,  e  però  ritiene 
e  ripresenta  quello  lume  ;  e  questa  opinione 
pare  avere,  con  Aristotile,  Avicenna  e  To- 
lommeo  ».  Si  cfr.  in  proposito  P.  Toynbee, 
Rie,  J[  4.  —  100.  sf  costellati  ecc.  quelle 
due  liste  luminose,  cosi  costellate  o  sparse 
di  lumi  minori  e  maggi  comò  la  Galassia,  for- 
marono nel  corpo  del  pianeta  Marte  una  croce 
greca.  —  102.  che  fan  ecc.  Dante  vuol  dire 
che  le  due  liste  erano  della  stessa  lunghezza 
e  s'intersecavano  nel  punto  di  mezzo,  for- 
mando una  croce  a  bracd  uguali  :  a  questo 
fine  ricorre  alla  geometrìa,  la  quale  d  mostra 
che  due  diametri  d'un  cerchio  intersecandod 
ad  angolo  retto  formano  una  croce  perfetta  ; 
e  chiama  giuntwn   di  quadranti  i  diametri, 

43 


674 


DIVINA  COMMEDU 


Qui  vince  la  memoria  mia  lo  ingegno: 
che  qnella  croce  lampeggiava  Cristo, 
105       si  ch'io  non  so  trovare  esemplo  degno. 
Ma  chi  prende  sua  croce  e  segue  Cristo, 
ancor  mi  scuserà  di  quel  ch'io  lasso, 
108       vedendo  in  quell'albór  balenar  Cristo. 
Di  corno  in  corno,  e  tra  la  cima  e  il  basso, 
si  movean  lumi,  scintillando  forte 
111        nel  congiungersi  insieme  e  nel  trapasso: 
cosi  si  veggion  qui  diritte  e  torte, 
veloci  e  tarde,  rinnovando  vista, 
114        le  minuzie  dei  corpi,  lunghe  e  corte, 
moversi  per  lo  raggio,  onde  si  lista 
talvolta  l'ombra,  che  per  sua  difdsa 
117        la  gente  con  ingegno  ed  arte  acquista. 
£  come  giga  ed  arpa,  in  tempra  tesa 


perohé  dasoono  risolta  dall'anione  di  dae 
raggi  doè  di  duo  di  quelle  linee  che  serrono 
a  segnare  nel  droolo  V  estremità  di  on  qua- 
drante (cfr.  Purg,  IT  41).  «  108.  Q«l  Tlnet 
eoo.  Qni  la  mia  memoria  snpera  il  mio  inge- 
gno; poiché  mi  ricordo  ohe  in  qnella  croce 
ridi  lampeggiar  Oristo  in  tal  modo  che  non 
iO  imaginare  similitudine  degna  per  rappre- 
sentare dò  eh'  io  ridi.  —  106.  ìa  ehi  prende 
eoo.  Ma  ohi  è  forte  a  tollerare  le  avversità 
o  costante  propugnatore  della  fede,  e  seguace 
della  legge  cristiana,  salendo  un  giorno  al 
dolo  mi  scuserà  se  non  deocriro  il  lampeg- 
giare di  Oristo  nella  croce  di  Marte,  perohé 
rodendolo  oonoecerà  che  é  indesoriTibile. 
Nelle  parole  ehi  pmuU  tua  eroe»  ecc.  gì'  in- 
terpreti  trovano  accennato  dò  ohe  Oristo  disse 
ai  discepoli  (Matteo  x  88)  :  t  E  chi  non  prende 
la  sua  croce,  e  non  rione  dietro  a  me,  non 
è  degno  di  me  »  (ofr.  anche  Matteo  svi  24, 
Marco  vm  84,  Luca  ne  28,  ziv  27):  sta  bene 
quanto  alle  parole,  ma  quanto  al  senso  si 
può  dubitare  se  in  Dante  sia  proprio  l'evan- 
gelico di  umiliazioni,  aflUzioni,  dolori  che  pu- 
rifloano  l'uomo,  o  non  pi6  tosto  sia  quello 
di  armard  a  difesa  della  religione,  prendere 
la  orooe  o  orooesignard,  espresdone  effica- 
cissima del  linguaggio  delle  crociate  e  bene 
appropriata  in  questo  luogo  ove  si  parla  dd 
beati  del  dolo  di  Marte  ossia  del  propugna- 
tori della  fede.  —  106.  qvell'albért  ò  la  luce 
delle  due  liste  che  formano  la  crooe.  —  109. 
Di  eomt  eoo.  Dall'una  estremità  all'altra 
della  lista  orizzontale,  dall' una  all'altra  della 
lista  verticale  d  movevano  delle  lud,  le  quali 
nell*  inoontrard  e  nell'dtropassardsdnàlla- 
vano  pi6  vivamente.  —  112.  eosf  eoe  ood 
quaggiii  in  terra  vediamo  l  corpuscoli  natanti 
nd  raggio  solare  muoverd  vari  di  grandezza 
in  tutte  le  dizedoni  e  con  differente  velodtà 


per  quella  starisela  luminosa,  che  tntza  In  una 
stanza  oscura  quando  d  apra  uno  spiragtto 
alla  luoe.  Similitudine  stupenda  per  la  pro- 
fondità e  aoouratezza  ddl'osservadone,  oods 
nulla  sfugge  al  poeta  della  condidone  dd 
fenomeno  da  lui  dipinto,  e  più  poi  per  la  pit> 
toresca  precldone  del  linguaggio  che  rende  il 
fatto  fisioo  nd  sud  pid  minuti  partiooiaii 
senza  superfluità  di  parole  ;  ed  è  di  quelle 
ohe  rivelano  in  Dante,  dtre  che  il  grande 
artista,  l'investigatore  fslice  delU  natura 
Venturi  151,  richiamata  la  deeoridone  ehe 
dello  stesso  fenomeno  d  legge  in  Lucrezio  n 
118  e  segg.  :  e  Contemplator  onim,  quum  so- 
lis  lumina,  qunmque  Inserti  fundunt  radii 
per  opaca  domorum:  Multa  minuta,  modis 
multis,  per  inane  videbis  Oorpora  miaoeci, 
radiorum  lumino  in  Ipso;  Et  vdnt  aeterao 
certamlne,  proelia  pugnasque  Edere,  tnnna- 
tim  oortantU;  neo  dare  pausam  ConcUiis  et 
disddiis  ezerdta  crebris  »,  soggiunge  questa 
giusta  osservadone  :  e  Poeti  e  pittori  semai 
ambedue.  Se  in  Lucredo  è  pi6  ifiiocate  l'idea 
dd  oombatterd  ohe  fanno  tra  loro  le  minuzie 
dei  oorpioduoli  ;  in  Dante  con  aiaggiore  evi- 
denza è  deecritto  qud  loro  mostrard  rkmo 
vando  viatOt  apparendo  sempre  nuove;  on 
diritte  e  torte,  ora  vdod  e  tarde,  ora  los- 
ghe  e  oorte  ».  —  116.  rombra  eoo.  l'ombn 
della  stanza,  nella  quale  l' uomo  per  mes» 
di  ripari  da  lui  Inventati  d  difende  artifitiisl- 
mente  dalla  luce  del  sole.  -^  117.  een  li* 
gegno  ed  Arte  t  nota  il  Torraoa  che  e  m^ 
gno  ed  arU  vanno  di  conserva  nelle  rìns 
de'  provenzali  e  de'  nostri  »  :  sono  aii^e  la 
Pitrff,  zzvu  180.  —  118.  I  eesM  giga  eoe. 
E  come  giga  o  arpa  con  le  varie  corde  beas 
armonizzate  fa  sentire  un  dolce  tintinno  s 
tde  che  non  conoeoe  afbitto  la  mudoa  che 
Bull' istnunento  è  sonata.  La  giga  t  l'aips 


PARADISO  -  CANTO  XIV 


676 


di  molte  corde,  fa  dolce  tintinno 
120       a  tal  da  ctd  la  nota  non  è  intesa, 
cosi  dai  lumi,  ohe  li  m'apparinno, 
s'accogliea  per  la  croce  una  melode, 
123        che  mi  rapiva  senza  intender  l'inno. 
Ben  m'accora' io  eh' eli' era  d'alte  lode, 
però  che  a  me  venia  :  €  Bisurgi  e  vinci  », 
126        com'a  colni  che  non  intende  ed  ode. 
Io  m'innamorava  tanto  quinci, 
che  infino  a  li  non  fu  alcuna  cosa 
129        che  mi  legasse  con  si  dolci  vinci. 
Forse  la  mia  parola  par  tropp'  osa, 
posponendo  il  piacer  degli  occhi  belli, 
132        nei  quai  mirando  mio  disio  ha  posa. 
Ma  chi  s'avvede  che  i  vivi  suggelli 
d'ogni  bellezza  più  fieuino  più  suso. 


tono  strumenti  a  corda,  aseai  in  nao  nel  me- 
dSoero.  —  119.  tintinno  t  è  il  tinnitua  yir- 
giliaiio  (Otorg.  ir  64),  U  <m  «in  del  Far,  x 
148,  onde  l'Axioato,  Ori.  tu  19  formòli  rb. 
fkuimtin  per  risonare  di  dolce  armonia.  — 
120.  ft  tnl  da  enl  eoo.  Lana  :  e  avviene  moIt$ 
fiate  obe  lo  suonar  d'alcuno  istrumentu  é 
udito  da  tale  clie  non  lo  intende  per  distin- 
tioni  e  parti  delle  note,  ma  in  universale  sa 
l)ene  quello  suono  essere  dolce  e  melodioso  ». 

—  121.  eotf  eco.  in 'tal  modo  daUe  anime 
beate  ohe  mi  appar^-ero  nel  pianeta  Marte  si 
diffondeva  per  tutta  la  croce  una  dolce  ar- 
monia, che  mi  rapiva  senza  che  io  intendessi 
rinno  cantato  da  quelle  anime.  Nota  il  Ven- 
tori  57  ohe  il  vb.  a'aeeogUea  e  spiega  l'unità 
della  melodia  risonante  nell'immensità  della 
croce  9,  e  il  vb.  rapiva  esprime  e  il  solleva*' 
■mito  dell'anima  per  eccesso  di  piacere  9. 

—  128.  gessa  Intender  eoo.  perché  non  ne 
adira  distintamente  tutte  le  parole  (cfr.  I\Hrg, 
IT  146),  ma  solo  alcune.  —  124.  Ben  ecc. 
Sebbene  io  non  intendessi  distintamente  l'inno 
eaatato  dalle  anime  beate,  pur  m'aooorsi  che 
qneQa  melodia  doveva  esser  di  alte  lodi  a 
Dio,  poioh6  ai  'miei  orecchi  giungevano  le 
pende  :  Biioigi  e  vinci,  come  ad  uomo  che 
ode  qualche  parola  d'un  discorso  altrui  senza 
che  et^  ne  colga  il  nesso.  —  alte  lode  : 
SODO  quelle  delle  anime  beate  innalzate  a 
Dio;  In  conformità  a  dò  che  scrive  Tomm. 
d*Aqu.,  Summ,  P.  I  2»,  qxu  d,  art  2  :  <  In 
atstu  ftatorae  beatitudinis  inteUectus  humanus 
^sam  divlnam  veritatem  in  se  ipea  intuobi- 
tur  ;  et  ideo  ezterior  cultus  non  consistet  in 
aliqna  figura,  sed  solum  in  laude  Dei  >.  — 126. 
Blinrgi  e  vinci  x  Butl  :  e  Questa  ò  parola  del- 
la santa  Scrittura  che  si  dice  di  Cristo  ;  im- 
però che  e^i  risurresse  da  morte  e  vinse  lo 


dimenio  ohe  aveva  vinto  ruomo  ;  e  questo 
bene  è  inteUigibile  a  lo  intelletto  umano  ;  ma 
l'altre  cose  divine,  ohe  (timo  fatte  da  Cristo 
e  in  lui  sono,  et  apprendono  e  dicono  li  beati, 
che  sono  comprensòri,  non  si  possono  inten- 
dere da  noi  che  siamo  viatori  9.  —  127.  qala- 
el  t  della  dolce  melodia.  — 129.  dolci  vinci  ; 
dolci  vincoli,  legami  di  piacere.  Lana:  evinci 
sono  quelli  legami  con  che  comunemente  si 
legano  li  oerohl  delle  botti  >.  —  130.  Forse 
ecc.  Forse  il  pensiero  ch'io  manifesto  sem- 
bra troppo  ardito,  poiché  al  piacere  di  quolla 
melodia  pospongo  quello  degli  occhi  di  Bea- 
trice, nei  quali  il  mio  desiderio  trova  la  sua 
sodisfiudone  :  ott.  Par,  xv  84-86.  —  138. 
Ma  chi  ecc.  Ila  chi  intende  che  l  cieli  acqui- 
stano madore  bellezza  via  via  che  si  sale  e 
che  in  Marte  io  non  m'  ero  ancora  rivolto 
agU  occhi  di  Beatrice,  pud  scusarmi  di  averli 
posposti  alla  melodia  e  conoscere  che  dico  la 
verità  ;  poiché  qui  non  ho  parlato  del  piacere 
di  quelli  occhi,  essendo  sottinteso  nell'accre- 
scimento ohe  riceve  ad  ogni  nuovo  dolo. 
Dante  vuole  giustificare  dò  che  ha  detto  nel 
w.  127-129:  perciò  d  accusa  di  non  aver 
guardato  Beatrice  dopo  il  suo  arrivo  in  Marte 
(v.  186)  ;  di  questa  colpa  erode  d'essere  scu- 
sato perché  a  sé  lo  trasse  la  bellezza  dei  deli, 
che  cresce  via  via  che  si  sale  (w.  183-184); 
e  crede  poi  d'aver  detto  la  verità,  perché  la 
maggior  bellezza  del  dolo  di  Marte  rispetto 
agli  inferiori  non  esclude  la  maggior  bellezza 
degli  occhi  di  Beatrice,  che  cresce  col  salire 
(w.  188-139),  come  d  vedrà  or  ora  (Par,  xv 
82  e  segg.).  —  vivi  suggelli  :  i  ddi,  come 
bene  intesero  i  pi6  dei  commentatori  (cfr. 
Par,  vm  127),  detti  «ri  per  il  loro  movi- 
mento e  la  dipendenza  dalle  Intelligenze  at- 
tive ohe  sono  loro  preposte.  Alcuni  come 


676 


DIVINA  COMMEDIA 


135 


139 


e  ch'io  non  m*era  li  rivolto  a  quelli, 
escusar  paommi  di  quel  ch'io  m'accaso 
per  escusarmii  e  vedermi  dir  vero: 
che  il  piacer  santo  non  è  qui  dischiuso, 
perché  si  fa,  montando,  più  sincero. 


Veli.,  Dan.,  Vent.,  Andr.  ecc.  Intesero  In- 
vece degli  occhi  di  Beatrice.  -^  185.  ana 
■i*erA  ecc.  in  Marte  non  m'era  rivolto  agli 
occhi  della  mia  donna.  —  186.  di  qoel  eco. 
di  ciò  che  io  confesso  spontaneamente,  cioè 
di  non  essermi  rivolto  agli  occhi  ecc.,  al  fine 
di  scusarmi  di  ciò  cho  ho  detto  sopra  (vv.  127 
e  segg.).  —  137.  Tedennl:  vedere  me  che 


dico  eoo.  ;  dipende  dal  può  del  v.  precedente. 
—  188.  il  tùcer  eoo.  non  è  escluso  nel  mio 
discorso,  anzi  v'  ò  incluso  il  santo  piacere  de* 
gli  occhi  di  Beatrice,  porchó  anch'  esso  cresce 
eoi  oresoere  della  bellezza  dei  deli,  vìa  via 
ohe  si  sale.  — 139.  sincero  :  poro,  perfetto  \ 
cosf  in  Piar,  vii  130,  xxxiu  52. 


CANTO  XV 

Tra  l  beati  del  cielo  di  Marte  si  manifesta  a  Dante  il  sno  trisavolo  Cae- 
cia^ida;  il  quale,  descritta  la  vita  costumata  e  virtuosa  della  cittadinanza 
fiorentina  dei  suoi  tempi,  parla  di  sé,  dei  suoi  parenti  e  della  moglie,  e 
racconta  come  morisse  combattendo  per  la  fede  di  Cristo  nella  seconda  cro- 
ciata [14  aprile,  ore  antimeridiane]. 

Benigna  volontade,  in  cui  si  liqua 
sempre  l' amor  che  drittamente  spira, 
3        come  cupidità  £a,  neir  iniqua, 
silenzio  pose  a  quella  dolce  lira, 
e  fece  quietar  le  sante  corde, 
6        che  la  destra  del  cielo  allenta  e  tira. 


XV 1.  BemlgMft  ecc.  Le  anime  beate  della 
croce  di  Marte,  mosse  dallo  spirito  di  carità, 
danno  fine  al  loro  inno  affinché  Dante  possa 
manifostar  loro  i  propri  desideri  :  il  poeta  lo 
esprime  tenendosi  nell'imagine  dell'istromea- 
to  musicale  e  delle  corde,  coi  ha  già  para- 
gonato le  anime  inn^gianti  a  Cristo  vitto- 
rioso {Par.  xpr  118  e  segg.);  e  dice:  La 
volontà  di  fare  il  bene,  la  carità,  in  cui  si 
risolve  sempre  l'amore  divino,  a  qnel  modo 
che  l'amore  mondano  si  risolve  sempre  nella 
volontà  di  far  il  male,  fece  taoore  o  fermare 
quelle  anime  beate,  che  cantavano  e  si  mo- 
vevano per  divina  ispiratone  —  si  ll4|aa  t  ò 
dal  vb.  lat.  liqtuxre^  liquefare,  risolvere,  se- 
condo Cos.,  Blanc,  Zing.  76  e  pochi  altri;  op- 
pure dal  lat.  liqvetf  si  manifesta,  secondo  la 
maggior  parte  dei  commentatori:  il  senso 
toma  bene  ad  ogni  modo.  —  2. 1*  amor  eco. 
l'amore  divino,  che  e  tanto  si  dà,  quanto 
trova  d'ardore»  {Purg.  xv  70):  ofr.  anche 
Par.  XIV  40  e  sogg.  —  B.  eoMS  eoo.  come  la 
cupidigia,  la  cieca  passlune  terrena,  si  risolve 
sempre  nella  dii«ix)sizì()ne  a  far  male,  dispone 
gli  animi  al  peccato  ;  cfr.  Par,  xxvii  121  e 
84  gg.  Bud  :  <  Fa  1'  autoro  similitudine   per 


oontrarìe  cose,  dicendo  ohe  come  ne  la  bnona 
voluntà  si  manifesta  1'  ordinato  •  pedetto 
amore,  cosi  ne  la  ria  volontà  si  dimostra  lo  di- 
sordinato et  imperfetto  amore,  lo  qoale  l*aa- 
toro  chiama  e^/^ridUà  *.  —  4.  silmist*  eoe. 
fece  cessare  il  canto  di  quelle  anime,  dolos 
come  il  snono  della  lira.  —  5.  t  feee  eoe  « 
fece  fermare  quelle  anime,  ohe  sempre  sono 
mosse  e  fermate  dal  divino  volere.  Qui  gì*  in- 
terpreti prendono  qìdttar»  nel  eenso  di  tacere, 
che  sarebbe  inutile  ripetizione  dell' idea  espres- 
sa nel  verso  precedente  e  oso  contrario  al  dan- 
tesco; poiché  questo  vb.  esprime  propriaments 
la  cessazione  del  movimento  (cfr.  t\ur.  svni 
106,  XXV  131  e  anche  Pnrg.  v  48),  non  della 
voce.  La  spiegazione  mia  sta  bene  coH'ima- 
gine  della  deserà  del  culo  che  allanta  »  tìn  : 
trae  cioò  mette  In  movimento,  allenta  doò 
fa  gradatamente  formare  ;  e  risponde  poi  al 
fatto,  perché  le  anime  beate  della  crooe  di 
Marte  stanno  ferme  durante  il  longo  coUoqnio 
di  Dante  con  Cacciaguida  e  ricominciano  a 
muoversi  quando  il  colloquio  ò  finito  :  efr. 
J%r.  xvm  34  e  segg.,  ove  Cacciaguida  dice 
che  le  anime  riprenderanno  a  mooveisl  via  vìa 
ch'egli  le  nominerà:  dunque  bisogna  i 


PARADISO  -  CANTO  XV 


677 


Come  saranno  ai  giusti  pregili  sorde 
quelle  sustanzie,  che,  per  darmi  voglia 
9        ch'io  le  pregassi,  a  tacer  fdr  concorde? 
Bon  è  che  senza  termine  si  doglia 
chi,  per  amor  di  cosa  che  non  duri, 
12        etemalmente  quell'amor  si  spoglia. 
Quale  per  li  seren  tranquilli  e  puri 
discorre  ad  ora  ad  or  sùbito  foco, 
15        movendo  gli  occhi  che  stavan  sicuri, 
e  pare  stella  che  tramuti  loco, 
se  non  che  dalla  parte  ond'ei  s'accende 
18        nulla  sen  perde,  ed  esso  dura  poco; 
tale,  dal  corno  che  in  destro  si  stende, 
al  pie  di  quella  croce  corse  un  astro 
21        della  costellazion  che  li  risplende: 
né  si  parti  la  gemma  dal  suo  nastro, 
ma  per  la  lista  radiai  trascorse, 
24        che  parve  foco  retro  ad  alabastro. 
Si  pia  l'omhra  d'Anchise  si  pòrse. 


tBTB  che  Dante  avesse  gik  detto  che  s' erano 
fiarmate;  e  tale  è  U  senso  di  questo  yerso.  — 
7.  Como  tarasBO  eoe.  Non  potranno  mai  esser 
■orde  a  giuste  preghiere  quelle  anime,  che 
per  dispormi  a  pregarle,  a  manifestar  loro  i 
wM  desidert,  furono  concordi  a  dar  fine  al 
loro  canto.  —  10.  B«B  h  eco.  Ben  si  conven- 
gono le  eteme  pene  dell'  inferno  a  chi  per 
amore  delle  cose  terrene,  fallaci  e  transitorie, 
dlsprezsa  la  vita  etema,  si  priva  per  sempre 
dell'amore  divino.  Dante  sì  riferisce  a  nna  dot- 
trina di  Tomm.  d'Aqu.,  Summ,  P.  Ili  mppl.^ 
qa.  xcix  art.  1,  il  quale  fondandosi  sull'auto- 
rità di  Agostino,  De  oiv.  Dei  xxi  12  e  di  Gre- 
gorio Magno,  Diiìl,  iv44,  dimostra  che  giusta- 
mente «prò  peccato  mortali,  qaod  est  contra- 
rium  ohaxitati,  aliquis  in  aetemum  a  societate 
•anctomm  exclusus,  aetomae  penae  addici- 
tor  ».  —  IS.  Qwale  ecc.  Come  per  la  serenità 
tranquilla  e  pura  del  cielo  trascorre  ogni  tanto 
un  sùbito  fooOf  una  stella  cadente  (crr.  Purg.  v 
87-88),  facendo  batter  gli  occhi  che  prima 
erano  immobili,  e  sembra  quasi  una  stella  che 
muti  suo  poeto  nel  dolo,  se  non  che  dalla 
parte  onde  si  stacca  non  vediamo  mancare 
alcun  lume  e  il  guizzo  del  sùbiio  foco  cessa 
presto,  si  estìngue  dopo  breve  corso.  Franca  e 
magistrale  pittura  d'un  fenomeno  a  tutti  noto; 
da  cfr.  con  i  versi  d'Ovidio,  Mei.  ii  820,  di 
Fetonte  :  <  Longoque  por  aera  tractu  Fertur, 
ut  interdum  de  coelo  stella  sereno,  Etsi  non 
cecidit,  potuit  oeddisse  videri  >.  — 14.  ad  ora 
ecc.  cfr.  Jnf.  xv  84.  — 15.  moTendo  gli  orchi 
ecc.  Venturi  43  :  «  L'idea  cosi  ginsta  dol  bat- 
ter che  fanno  gli  occhi  per  l'inaspettato  giun- 


ger di  quel  lume,  ò  tutta  di  Dante,  il  quale 
cerca  il  vero  nei  suoi  minuti  particolari  e  dal 
vero  trae  la  novità  delle  Immagini  ».  —  16. 
e  pare  ecc.  Cos(  F.  Vmzi  ^^cvì,  i  18:  e  La 
fiamma  corrente  Pare  una  stella  che  tramuti 
loco  ».  — 17.  dalla  parte  ecc.  in  quella  parte 
dol  dolo,  ove  s'accende  11  i&rìto  focOy  non  si 
perde,  non  viene  a  mancare  nessuna  stella. 
—  18.  esse  ecc.  esso  fuoco  ò  di  breve  du- 
rata, si  estingue  dopo  poco  ;  che  se  fosse  stella, 
si  vedrebbe  risplendere  nel  nuovo  luogo.  — 
19.  tale  ecc.  cosi  dall'estremità  dol  bracdo 
destro  un  astro  ecc.  una  di  quelle  anime  lami- 
nose corse  al  piede  della  croce*  —  22.  od  si 
partf  ecc.  e  l' anima  por  discendere  ni  piò 
della  croce,  non  asc(  dalla  croce  stessa,  ma 
trascorse  jtwr  la  lista  radiale  cioè  por  la  Usta 
ad  angolo  retto  formata  dal  destro  braccio  e 
dall'  inferìor  tratto  della  croco.  —  2;^  lista 
radiai  :  cosf  chiama  la  lista  percorsa  dall'ani- 
ma, perché  fatta  come  un  angolo  retto,  che 
nel  cerchio  risulta  dall'unione  dei  ra^  d*  un 
quadrante  (cfr.  Par,  xiv  102)  :  altri  spiegano 
radiale  per  luminosa,  imM^giata  di  luce,  che 
sembrerebbe  oziosa  ripetizione.  —  24.  fhe 
parre  ecc.  e  poiché  l'anima  trascorrendo  por 
la  croco  appariva  più  lucente  della  lista  ra- 
diale, sembrò  come  un  fuoco  ohe  si  mova 
dietro  a  un  trasparente  alabastro.  —  25.  S( 
pia  ecc.  L'anima  di  Cacdognida,  antenato  di 
Dante  (cfr.  v.  135),  si  volge  al  poeta  con  una 
mossa  di  tenerezza  o  un  impoto  d'affetto  che 
gli  ricorda  A  neh  i  se,  quando  nell'  Eliso  rico- 
nobbe il  figlio  Enea  ;  secondo  il  racconto  di 
Virgilio,  £"71.  VI  6Si  :  e  Isquo  ubi  tendentem 


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se  fede  merta  nostra  maggior  musa, 
quando  in  Elisio  del  figlio  s'accorse. 

«  0  sanguis  meus,  o  superinfusa 
gratta  Dei,  sicut  Ubi,  cui 
bis  unquam  coeli  ianua  reclusa  f  » 

Cosi  quel  lume;  ond'io  m'attesi  a  lui, 
poscia  rivolsi  alla  mia  donna  il  viso, 
e  quinci  e  quindi  stupefatto  fai: 

che  dentro  agli  occhi  suoi  ardeva  un  riso 
tal  eh'  io  pensai  co'  miei  toccar  lo  fondo 
della  mia  grazia  e  del  mio  paradiso. 

Indi,  a  udire  ed  a  veder  giocondo, 
giunse  lo  spirto  al  suo  principio  cose 
ch'io  non  intesi,  si  parlò  profondo: 

né  per  elezion  mi  si  nascose, 
ma  per  necessità,  che  il  suo  concetto 
al  segno  dei  mortai  si  soprappose. 

E  quando  Parco  dell'ardente  affetto 
fu  si  sfocato  che  il  parlar  discese 
in  vèr  lo  segno  del  nostro  intelletto, 


advemu  per  gramina  vidit  Aenean,  alacris 
palmas  utrasqae  tetendit,  EffoBaeque  genia 
lacrimae,  et  vox  excidit  ore».  —  26.  acatra 
eco.  Virgilio,  massimo  poeta  della  gente  ita- 
lica (cfr.  Pwrg.  yn  16  e  aegg.)  :  muse  aono  detti 
i  poeti  anche  in  Par.  zn  7,  xvm  83  —  28.  0 
saagnia  eco.  Qaeste  parole  latine  di  Cacda- 
gaida,  con  le  quali  egli  aalata  Dante,  signifi- 
cano :  0  sangue  mio,  o  grazia  divina  infosa 
in  tanta  copia  I  a  chi  mai,  come  a  te,  fa  due 
volte  aporta  la  porta  del  cielo  ?  £  da  notare 
in  ease  il  riscontro  col  virgiliano  e  sanguis 
meus  >  {En,  vi  886),  detto  da  Anchise  rispetto 
a  Giulio  Cesare.  —  80.  bla  ecc.  propriamen- 
te :  fu  concesso  che  la  porta  celeste  si  schiu- 
desse due  volte,  una  per  il  viaggio  cantato 
dal  poeta,  un'altra  quando  la  sua  anima  sa- 
rebbe salita  all'eterna  beatitudine.  È  motivo 
di  dubbio  ai  commontatori  il  saluto  di  Caccia- 
guida,  perché,  dicono,  anche  san  Paolo  sali 
due  volto  al  cielo,  quando  vi  fu  rapito  in  vi- 
sione (cCr.  Inf.  u  28),  e  dopo  morte  ;  ma  mi 
par  chiaro  che  Dante  si  trovava  in  un  caso  ben 
diverso  dall'apostolo:  il  poeta  nostro  ebbe  in 
grazia  di  visitare  1  regni  eterni  per  rendersi  de- 
gno di  salirvi  dopo  morto  (cfr.  Purg.  n  91)  ; 
Paolo  invece  già  meritava  la  beatitudine  pri- 
ma del  rapimento  al  ciolo  ;  e  la  disformità  del 
caso  spiega  le  parole  di  Cacciaguida.  —  81. 
Cosi  ec.  Cosi  parlò  quell'anima  luminosa;  però 
io  vulsi  a  lei  ja  mia  attenzione,  poscia  guar- 
dai a  Boatrice:  e  nell'una  e  nell'altra  vista 
ebbi  ragione  di  stupore,  poiché  accanto  alla 


meraviglia  suscitata  dalle  parole  di  Caociagui- 
da  aorse  quella  prodotta  dallo  splendore  della 
mia  donna.  —  81.  ehé  destro  ecc.  poiché  ne- 
gli occhi  di  Beatrice  afavillaya  una  loca  ooei 
viva  che  io  pensai  di  aver  raggiunto  in  quel 
momento  il  grado  pi6  alto  della  mia  grazia  e 
della  mia  beatitudine.  Si  o£r.  con  la  F.  ^.  u  9  : 
e  [Beatrice]  mi  salutò  molto  Tirtaosamenta, 
tanto  che  mi  parve  allora  vedere  tatti  U  ter- 
mini de  la  beatitudine  >.  Con  questa  terzina 
Dante  scioglie  in  certo  modo  la  promessa  (atta 
in  Par,  xiv  137.  —  86.  paradiso  :  cfr.  Bar.  xvin 
21.  —  87.  Indi  ecc.  Poi  l' anima  di  Caoda- 
guida  con  voce  e  vista  gioconda  aggiunse  al 
suo  saluto  altre  cose  ch'io  non  intesi,  pexxshó 
tanto  profonde  erano  le  sue  parole  da  superare 
ogni  umano  intendimento.  —  a  «diro  ecc. 
Dante  si  compiaceva  del  parlare  e  dell'aspetto 
di  questo  suo  antenato,  non  già  porche  dicesse 
«  cose  dilettevoli  >,  oome  chiosa  il  Buti,  che 
anzi  egli  non  intendeva  le  cose  dette,  ma  per- 
ché e  la  vista  e  le  parole  erano  segno  doU'ar^ 
dente  carità  che  lo  aveva  mosso  a  scendete 
dalla  croce.  —  40.  me  per  ecc.  né  già  Caccia- 
guida  mi  parlò  cosi  oscuramente  per  sua  deli- 
berata volontà,  ma  di  necessità,  perché  il  suo 
concetto  s'  elevò  più  che  non  potesse  alzarsi 
l'umano  intelletto,  sorpassò  il  limite  posto  al- 
l'intelligenza  umana.  —  43.  E  qvaado  ecc.  £ 
quando  l'ardore  della  carità  si  fu  sfogato  tanto 
che  lo  parole  di  Cacciaguida  s'abbassarono  al 
grado  dell'intelligenza  umana,  ciò  ch'io  intesi 
per  primo  ta  un  ringradamento  al  Signoro  por 


PARADISO  -  CANTO  XV 


679 


la  prima  cosa  ohe  per  me  s'intese, 
«  Benedetto  sie  tu,  fa,  trino  ed  uno, 
48       che  nel  mio  seme  sei  tanto  cortese  >. 
E  seguitò  :  «  Grato  e  lontan  digiuno, 
tratto  leggendo  nel  magno  volume 
61        u*non  si  muta  mai  bianco  né  bruno, 
soluto  hai,  figlio,  dentro  a  questo  lume 
in  ch'io  ti  parlo,  mercé  di  colei 
54        eh' all' alto  volo  ti  vesti  le  piume. 
Tu  credi  che  a  me  tuo  pensier  mei 
da  quel  eh' è  primo,  cosi  come  raia 
67        dall' un,  se  si  conosce,  il  cinque  e  il  sei; 
e  però  chi  io  mi  sia,  e  perch'io  paia 
più  gaudioso  a  te,  non  mi  domandi, 
eO        che  alcun  altro  in  questa  torba  gaia. 


la  grazia  oonoeesa  ame.  —  47.  Bnedttto  eoo. 
Benedetto  sii  tu,  Dio  nno  e  trino,  ohe  hai  osa- 
ta tanta  liherdità  a  un  nomo  della  mia  stirpe. 
—  48,  eorteaet  efr.  Par,  vn  91.  —  49.  E  se- 
g«lU  :  Cacciftgnidft  or  si  volge  a  Dante  e  gli 
esprime  il  proprio  oompiaoimento  per  la  sua 
Tenuta,  con  parole  nelle  qnali  è  qnasi  un*  eco 
delle  prime  dette  da  Anchise  ad  Bnea  (Virg.» 
En,  TI  687):  cVenisti  tandem,  toaqae  ezpecta- 
ta  parenti  Vldt  iter  dnmm  pietas?  datar  ora 
toeri,  Nate,  toa  et  notas  andire  et  reddere  to- 
oee?  Sio  equidem  daoobam  animo  rebarqne 
fatomm,  Tempora  dinomerans,  neo  me  moa 
cura  fefellit  ».  Se  non  che  delle  affettuose  pa- 
role d' Anchise  Dante  prese  solo  il  concetto 
principale  e  la  mossa,  svolgendo  poi  il  discorso 
di  Oacdaguida  in  forma  quasi  dottrinale,  e 
però  meno  efficace  e  meno  commovente.  — 
€rat#  eco.  0  figlio,  con  l'aiuto  di  Beatrice  che 
ha  tTM^***  in  te  la  virtù  di  salire  ai  cieli, 
tu  hai  sodisfatto  in  me,  in  questo  splendore 
nel  quale  io  ti  parlo,  un  gradito  e  lungo  de- 
siderio  venutomi  leggendo  nel  libro  immata- 
hile  della  sapienza  divina.  —  lontan  dlglnno  : 
il  desiderio  di  veder  Danto,  nato  in  Caccia- 
guida  fino  da  quando  assurgendo  al  cielo  inco- 
minciò a  vedere  in  Dio  i  fatti  avvenire  ;  desi- 
derio durato  oltre  un  secolo  e  mezzo  (c&.  v. 
185).  L'aggettivo  lontano  ha  qui,  come  in  Inf. 
n  60,  il  significato  di  lungo,  doò  che  dura 
moHo  tempo  ;  cf^.  Parodi,  BìM,  m  113.  ~  50. 
tratte  leggendo  eco.  Bati  :  e  Dice  per  simi- 
litudine, cioè  che,  come  l'uomo  leggendo  cava 
del  libro  ch'egli  legge,  cosi  li  beati  raggoar- 
dando,  come  si  vede  nel  libro  scritto  la  scrit- 
tura, in  Dio  vedono  ogni  cosa,  e  quindi  cavano 
ogni  cosa,  ch'elli  sanno  >.  —  51.  n'non  ecc. 
ove  non  sono  possibili  le  alterazioni  (cfr. 
Pi0^»  xn  106,  Par.  xvra  180),  ove  ò  scritto 
quello  ch«  accadrà,  immutebilmente.  e  (Que- 


ste volume  della  mento  che  mai  non  vfm 
mtno^  e  le  cui  note  sono  eteme,  Immutabili, 
è  una  rappresentazione  grandiosa,  accanto 
alla  quale  sorge  per  contrasto  l' idea  pid  mo- 
desta del  libro  della  mente  nnuma  [cfr.  bìf, 
n  8,  Par,  xvu  91,  zzm  66  eoe]  :  ma  l'nna 
e  l'altra  hanno  una  stessa  origine  fiantastioa 
e  poetica  >  (N.  Zingarelli,  BuU,  1 100).  —  62. 
solato:  sciolto,  sodisfatto;  e  si  dice  propria- 
mente doi  vóti,  ma  qui  per  estensione  di  signi- 
ficato è  detto  del  desiderio.  —  68.  meretf  eoo. 
con  r  aiuto  di  Beatrice,  la  quale  ti  ha  dato 
le  ali  per  fare  cosi  alto  volo,  ti  ha  reso  ca- 
pace di  ascendere  alle  sfere  celesti.  —  65.  ehe 
a  me  eco.  che  il  tuo  pensiero  venga  a  me  da 
Dio,  come  tutto  le  quantità  risultano  dall'uni^ 
tà.  Ventari  833:  e  È  similitudine  ohe  in 
forma  familiare  spiega  altissimo  oonoetto.  Dio 
è  unità  infinite,  e  tutti  i  numeri  infinitamente 
imaginabili  raggiano  dall'uno,  perché  non 
sono  che  aggregati  di  unità  >  ;  meglio  Ani  : 
e  Qui  trae  dall'aritmetica  una  opportuna  di- 
chiarazione a  sublime  concetto,  dicendo  che 
dalla  perfette  cognizione  della  assolute  unità 
si  ha  contezza  delle  cose,  come  dalla  idea 
chiara  dell'  unità  matematica  procede  la  vi- 
sione intollettuale  di  ogni  numero,  indicato 
colla  detormlnazione  del  cinque  •  del  sei. 
Queste  vedute  semplicissima  è  il  fondamento 
della  scienza  dei  numeri  ».  ~  mei:  oCr. 
Par,  xm  55.  —  56.  quel  eco.  Dio,  frima 
m$nU  {Com,  n  4)  ^ prima honià  {Ccnn,  iv  9): 
cfr.  Epist  a  Cangrande,  {  20  :  e  Primo  seu 
Principio,  qui  Deus  est».  —  rata:  raggia, 
deriva;  ò  pid  frequento  riferito  alla  luce 
Purg.  XXI 142,  Par,  xxix  136).  —  67.  dairnn 
ecc.  dalla  oogidzione  dell'unità  la  cognizione 
del  cinque  ecc.  —  68.  e  però  ecc.  e  per  questo 
tu  non  domandi  a  me  chi  io  mi  sia  e  perché  a 
te  apparisca  più  lieto  che  ogni  altro  di  qu^ 


680 


DIVINA  COMMEDIA 


Tu  credi  il  vero;  che  minori  e  grandi 
di.  questa  vita  miran  nello  speglio, 
63        in  che,  prima  che  pensi,  il  pensier  pandi. 
Ma  perché  il  sacro  amore,  in  che  io  veglio 
con  perpetua  vista  e  che  m'asseta 
66        di  dolce  disiar,  s'adempia  meglio, 
la  voce  tua  sicura,  halda  e  lieta 
suoni  la  volontà,  suoni  il  disio, 
69        a  che  la  mia  risposta  è  già  decreta  ». 
Io  mi  volsi  a  Beatrice,  e  quella  udio 
pria  eh'  io  parlassi,  ed  arrisemi  un  cenno 
72        che  fece  crescer  l' ali  al  voler  mio. 

Poi  cominciai  cosi:  e  L'affetto  e  il  senno, 
come  la  prima  equalità  v'  apparse, 
76        d'un  peso  per  ciascun  di  voi  si  fenùo; 
però  che  il  sol,  che  v'allumò  ed  arse 
col  caldo  e  con  la  luce,  è  si  iguali 


1 


sta  gal*  con^agnia.  —  61.  T«  ertdl  ecc.  Tu 
non  t'inganni,  perché  gli  spiriti  beati,  qualun- 
que sia  il  grado  della  lor  beatitudine,  contem- 
plano  tutti  in  Dio,  ohe  ò  lo  specchio  in  ooi  ri- 
veli il  tuo  pensiero  prima  ancora  di  concepirlo. 
—  62.  speglio  :  per  la  forma  ctt.  Par,  xxx  85, 
e  per  il  concetto  Par.  xxn  106.  —  68.  pandi: 
manifesti  ;  ò  voce  del  vh.  pandeny  latinismo 
che  ricorre  in  Par,  xzv  20  e  non  è  infrequente 
negli  antichL  —  64.  ma  perché  eoo.  ma  affin- 
ché l'amore  divino,  nel  quale  io  vigilo  con 
etema  contemplazione  (ctr,  Purg.  xxx  103)  e 
ohe  suscita  in  me  1  pi6  dolci  desidorl,  si 
adempia  meglio,  ove  tu  stesso  esprima  la  tua 
volontà  ecc.  —  67.  U  voee  ecc.  la  tua  voce 
libera  da  ambagi,  franca  e  lieta  manifesti  la 
tua  volontà  e  il  tuo  desiderio,  cui  ò  già  sta- 
bilita la  risposta.  —  70.  Io  mi  Tolil  ecc.  Dante 
si  volse  a  Beatrice  por  chiederle  il  permesso 
di  parlare  ;  ma  ella,  intendendo  senza  che 
egli  aprisse  bocca,  accennò  sorridendo  che 
consentiva  al  suo  desiderio  :  si  cfr.  Par,  viii 
40  e  segg.,  ix  16  e  segg.  —  71.  arrisemi  un 
eenno  :  séguito  la  lezione  vulgata,  allontanan- 
domi dal  Vitte  che  legge  con  tutti  i  migliori 
codici  :  arrosemi,  mi  aggiunse  (dal  vb.  arcaico 
arrogere);  né  solo  perché  la  comune  lezione 
ò  più  bella  e  conforme  al  modo  dantesco  di 
concepirò  (cfr.  le  sorrise  paroletU  in  Par.  1 95), 
ma  anche  perché  non  vedo  rapporto  logico 
tra  Vudif),  atto  intemo,  e  l'aggiungere,  atto 
esteriore,  che  rostorobbo  senza  il  necessario 
tonnine  correlativo:  aggiunse  un  cenno  a  che 
cosa?  a  quale  altra  manifestazione  ?  ma  Dante 
non  ha  detto  altro  so  non  che  ella  intese  il 
suo  ponsioro.  —  72.  che  feoe  ecc.  che  ac- 
crohlto  il  mio  desiderio  di  parlare,  per  la  li- 
cenza concessami  con  amorovole  sorriso  dalla 


mia  donna.  —  78.  Poi  eomlnelal  ecc.  Vem- 
mente  oomincia  con  un  preambolo,  che  mal  ri- 
sponde al  suo  sentimento;  poiché,  volendosi 
scusare  di  non  sapere  esprìmere  ciò  che  prora, 
fa  un  lungo  ragionamento  e  dice  a  Cacciagni- 
da  :  Nei  beati  il  sentimento  e  l'Intelligenza 
sono  di  pari  valore,  perché  li  accende  d'amor» 
e  li  illumina  di  verità  la  prima  eguaglianza. 
Dio;  ma  nei  mortali  c'è  disuguaglianza  tra  il 
sentimento  e  l'intelligenza  :  e  io  che  tono  mor^ 
tale  non  posso  ringraziare  se  non  col  cuore, 
perché  non  ho  la.  mente  sufficiente  al  bisogno. 
—  L'affètto  eoo.  Appena  foste  saliti  in  cielo, 
appena  vi  apparve  Dio,  in  cui  la  sapienza, 
la  potenza  e  l'amore  sono  in  perfetto  equili- 
brìo  essendo  infiniti,  in  ciascuno  di  voi  si  fe- 
cero pari  l'affetto  e  il  senno.  ~  76.  però  cke 
ecc.  perché  Dio,  che  vi  illuminò  con  la  luce 
della  sua  sapienza  e  vi  arse  col  caloro  del  suo 
amore,  ò  cosi  perfettamente  uguale  rispetto  a 
questi  suoi  attributi,  che  qualunque  altra  so- 
miglianza sarebbe  inadeguata  a  render  Tidea 
dì  tale  prima  equalità.  La  lezione  pi&  comune, 
sebbene  non  abbia  por  sé  l'autorità  dei  mano- 
scritti, è  questa:  <  Però  che  al  sol  che  v'allu- 
mò ed  arse  Col  caldo  o  con  la  luce  èn  si  iguali. 
Che  tutte  simlglianze  sono  scarse  »,  od  ò  spie- 
gata :  Perché  alla  presenza  del  sole  divino  che 
vi  allumò  con  la  luce  del  sapere  e  vi  arse 
col  fuoco  della  carità,  il  vostro  affetto  e  il 
senno  sono  tanto  ugnali  che  non  v'ò  altra  si- 
mile uguaglianza.  Ha  cosi  Dante  non  farebbe 
altro  che  ripetere  il  concetto  dei  w.  73-75, 
e  direbbe  cosa  non  vera  nel  v.  78,  poiché 
un'altra  eguaglianza,  più  perfetta  anzi,  è  qu^ 
la  di  Dio,  prima  egitalità.  —  77.  igoall:  egua- 
io ;  conservata  la  terminazione  singolare  (cfr. 
Parodi,  BuU.  UL 117)  del  lat.  aeguaUs^  come  io 


PARADISO  -  CANTO  XV 


681 


78       olie  tutte  simìglianze  sono  scarse. 
Ma  voglia  ed  argomento  nei  mortali, 
per  la  cagion  eh*  a  voi  è  manifesta, 
81        diversamente  son  pennuti  in  ali; 

ond4o  che  son  mortai,  mi  sento  in  questa 
disuguaglianza,  e  però  non  ringrazio 
84       se  non  col  core  alla  patema  festa. 
Ben  supplico  io  a  te,  vivo  topazio, 
che  questa  gioia  preziosa  ingemmi, 
87        perché  mi  facci  del  tuo  nome  sazio  ». 
<  O  fronda  mia,  in  che  io  compiacemmi 
pure  aspettando,  io  fui  la  tua  radice  »; 
90        cotal  principio,  rispondendo,  femnii. 
Poscia  mi  disse:  «  Quel  da  cui  si  dice 


do*  laogfai  di  Oioidano  da  Biralto,  Predi, 
db«,  Firense,  1789,  pied.  88  :  e  n  demonio 
dMiderà  d' anere  iguoH  a  Dio  »;  e  Btdiehe 
ined.^  Bologna,  1867,  pag.  186:  crilieralo 
timiiA  sozzale  e  Allo  iguoH  oo'piincipi  9,  e  in 
nno  di  Antonio  Pood,  CmtUoqtrio  i  64:  <  E 
fa  fl  tao  nome  alla  Prorincla  iguaU  ».  —  79. 
Teglia  ed  argoneatt  :  doè  l'affetto  e  il  mnno 
del  T.  78,  perché  la  volontà  è  atto  del  senti- 
mento, Targomento  è  atto  dell'Intelligenza.  — 
80.  per  la  eagloa  ecc.  per  la  cagione  che  voi 
conoscete,  o  avendone  ftttta  esperienza  nel 
mondo  o  perché  la  vedete  in  Dio.  Ma  qaale  ò 
questa  cagione  i  commentatori  non  dicono:  si 
pad  trovare  in  ciò,  che  secondo  Dante  l'intel- 
letto umano  è  on  tenne  raggio  della  mente 
divina,  quindi  è  limitato,  mentre  Taflètto  non 
ha  confini,  pad  levarsi  a  qnalanqne  più  alto 
desiderio.  —  81.  dlrenameake  ecc.  hanno  ca- 
pacità diversa,  e  il  sentimento  corre  sempre 
innanzi  all'intelligenza.  —  82.  oadMo  ecc. 
poro  io,  che  sono  nomo  mortale,  mi  trovo  in 
questa  disngnaglianza  tra  la  voglia  e  l' argo- 
meniOy  tra  qnello  che  sento  e  il  mozzo  d'espri- 
merlo, e  non  posso  rlngrazisrvi  della  patema 
aocoglienza  so  non  col  cuore.  —  84.  paterna 
festa  :  si  ricordi  che  nolle  brevi  parole  dette 
innanzi  a  Dante  Cacciaguida  l'ha  già  chiamato 
suo  sangue  (v.  28)  e  suo  seme  (v.  48)  e  suo 
figlio  (V.  62).  —  85.  Bea  eco.  Ha  se  non  posso 
esprimere  compiutamente  la  mia  gratitudine, 
ti  supplico,  0  anima  beata,  a  sodisfare  il  mio 
desiderio  di  conoscere  il  tuo  nome.  —  sap- 
pUeo  a  te:  il  vb.  tupplioare^  quasi  domandare 
snpplicemente,  ò  costmito  in  Dante  col  terzo 
caso  {Par.  xsvi  94,  xzxm  25),  al  modo  la- 
tino. —  vivo  tepaile  :  ha  già  chiamato  gemma 
l'anima  luminosa  di  Cacciaguida  (v.  22),  co- 
me anche  altri  beati  spiriti  (cf^.  Par.  zvin 
116)  ;  e  qui  la  dice  vivo  topaxio  ecc.  vivo  splen- 
dore che  adoma  la  croce  luminosa.  Ott  :  e  To- 
pazio ^  una  gemma  intra  l'altre  maggiore,  e 


sonno  di  due  ragioni  :  l'una  ha  colore  d'auro 
purissimo,  l'altro  ha  colore  di  purissimo  aere; 
ed  è  si  perspicacissimo  che  riceve  in  sé  la 
chiarezza  di  tutte  l' altre  gemme  >.  —  86. 
questa  gioia  :  la  croce  luminosa,  non  il  pia- 
neta Marte  come  spiegano  alcuni,  forse  ingan- 
nati dall'apparente  analogia  col  Pbht,  vi  127. 
—  88.  0  fronda  ecc.  Cacciaguida  rispondendo 
a  Dante  non  si  manifesta  subito  per  nomo, 
ma  prima  vuole  far  conoscere  il  grado  di  pa- 
rentela che  lo  Ioga  a  lui  ;  e  innanzi  tutto  gli 
dice  in  modo  generico  d'essere  stato  il  capo- 
stipite della  sua  famiglia,  e  poi  aggiunge  ohe 
gli  Alighieri  trassero  il  nome  da  Alighiero,  suo 
figlio  e  bisavolo  di  Dante.  Cosi  la  sodisfa- 
zione  al  desiderio  del  poeta  ò  gradatamente 
concessa,  ma  per  compenso  pi6  pienamente  e 
con  abbondanza  di  particolari.  —  !■  eke  eco. 
nel  quale  io  mi  compiacqui,  prima  ancora  di 
vederti,  solamente  aspettandoti  ;  ctr.  nel  van- 
gelo (Matteo  ni  17,  Marco  i  11,  Luca  ni  22) 
le  parole  divine  che  risonarono  dopo  il  bat- 
tesimo di  Qes&  :  «  Quosto  è  il  mio  dilotto 
Figliuolo,  nel  quale  io  prendo  il  mio  com- 
piacimento >.  —  89.  la  t«a  radice:  caposti- 
pite della  tua  famiglia  ;  perché  Cacciaguida 
era  il  più  antico  degli  antenati  suoi,  di  cui 
Dante  stesso  e  gli  altri  suoi  parenti  aves- 
sero notizia  (cfr.  Par.  xvi  46).  —  91.  Qoel  ecc. 
Colui  dal  quale  la  tua  parentela  ha  preso  il 
cognome  Alighieri  e  ohe  da  oltre  un  secolo 
ò  in  purgatorio,  nel  cerchio  dei  superbi,  fu 
mio  figliuolo  e  tuo  bisavolo.  Cacciaguida  ebbe 
due  figli,  Preitenitto  ed  Alighiero  ;  e  di  essi 
ò  memoria  in  un  atto  del  1189,  per  cui  pro- 
misero a  Tolomeo,  rettore  della  chiesa  di 
S.  Biartino  in  Fironze,  di  abbattere  ad  ogni 
sua  richiosta  un  fico  esistente  nel  loro  orto 
presso  quella  chiesa:  questo  Alighiero,  che 
dio  il  cognome  alla  famiglia,  era  ancor  vìvente 
il  14  agosto  1201,  in  cui  fu  prosente  come  te- 
stimonio ad  una  quitauza  fatta  da  Iacopo  Rosa 


682 


DIVINA  COMMEDIA 


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tua  cognazion,  e  che  cent'anni  e  piùe 
girato  lia  il  monte  in  la  prima  cornice, 

mio  figlio  fu,  e  tuo  bisavo  fue: 
ben  si  convien  che  la  lunga  fatica 
tu  gli  raccorci  con  l'opere  tue. 

Fiorenza,  dentro  dalla  cerchia  antica, 
ond'ella  toglie  ancora  e  terza  e  nona, 
si  stava  in  pace,  sobria  e  pudica. 

Non  avea  catenella,  non  corona, 


•1  Comxind  di  Firenae  (cfir.  O.  L.  Paneiini, 
La  fa/miglia  AUghiéri,  Ancona,  1881,  pp.  8-9; 
A.  BartoU,  Si,  dtUa  LcU.  Hai,,  toI.  V,  pp.  6  e 
segg.).  Dovette  morir  poco  dopo;  ma  Dante 
medesimo  non  conoecera  oon  pieoiBiono  la 
data  della  ina  morte,  poiché  dice  che  al  tempo 
del  sno  viaggio,  doè  nel  1300,  Alighiero  era 
da  cento  e  pia  anni  nel  purgatorio.  —  98.  gl- 
rslo  eoo.  è  stato  e  sta  a  £ar  penitenxa  di  sua 
superbia  nel  primo  girone  del  porgatorio  (cfr. 
Pirff,  X 101,  ZI  25  e  segg.).  Lana,  Ott.  e  An. 
fior,  dicono  ohe  Alighiero  foese  nell'antipar- 
gatorio,  tra  i  morti  per  fona  (cfr.  IStrg.  y  62), 
e  che  aspettasse  la  vendetta  die  i  snoi  discen- 
denti non  avevano  ancor  fatta  della  sua  mor- 
te :  è  manifesta  la  confusione  oon  Gerì  del 
Bello  {ott.  Inf.  zxiz  18-36),  anche  perchó  eor- 
nict  usa  sempre  Dante  a  indicare  nn  cerchio 
di  purgatorio  (cfr.  Pmrg,  z  27),  non  le  parti 
deU'antipiugatorio.  —  94.  e  tao  bisavo  ecc. 
Da  Alighiero  nacquero  Bello  (del  consiglio 
degli  anziani  nel  1255,  esule  coi  guelfi  nel 
1260,  già  morto  nel  1268)  e  Bellindone  (esule 
nel  1248,  ritornato  nd  1261,  oeuledi  nuovo 
nel  1260,  ancor  vivente  nd  1268);  e  questo 
Bellindone  ebbe  quattro  figli  :  Brunetto  (com- 
batto od  guelfi  a  Montaperti,  fti  dei  consi- 
glieri dd  comune  nel  1278),  Gherardo,  Bello 
e  Alighiero  :  quest'ultimo,  di  cui  non  sappia- 
mo quad  nulla.  Ai  il  padre  di  Dante;  al  quale 
perdo  il  vecchio  Alighiero  di  Caodaguida  ve- 
niva ad  esser  bisavolo  :  Q.  L.  Passerini,  op. 
dt.,  pp.  9-16.  —  95.  ben  si  eenvlen  eco.  a  te, 
come  sno  discendente,  spetta  di  accordargli 
la  fatica  ch'el  dura  da  tanto  tempo,  di  aiutare 
oon  suiEragi  di  opere  religiose  la  penitenza  del 
tuo  Msavolo;  cfr.  Purg.  zi  84-86.  —  97.  Fio- 
reaaa  ecc.  Accennati  i  suoi  rapporti  di  paren- 
tela oon  Dante,  Cacciaguida  prìma  di  parlar 
più  particolarmente  di  sé  (w.  130-148)  fa  una 
larga  desorìzione  dello  stato  morale  della  dt- 
tadinan»a  fiorentina  ai  suoi  tempi,  in  con- 
traposto alle  condizioni  dei  tempi  di  Dante 
(w.  97-129)  :  meravigliosa  pittura,  che  com- 
pie e  dichiara  nel  rispetto  moralo  l'invettiva 
politica  del  Purg,  vi  127-151.  Al  discorso  di 
Cacciaguida  ò  degno  riscontro  dò  che  della 
oittadinaiuca  fiorentina,  a  tempo  del  «  popolo 
vecchio»,  dod  a  mezzo  il  dugento,  scrive 
a.  Villani,  Cr,  vi  70  :  <  Nota  che  al  tempo 


dd  detto  popolo,  e  in  prima  •  pd  a  gran  tem- 
po, i  dttadlnl  di  Firenze  vivevano  sobri!  e  di 
grosse  vivande  e  con  piccole  speee,  e  di  molti 
costami  •  leggiadrie  groed  e  ruddi  ;  e  di  grossi 
drappi  vestfeno,  loro  e  le  loro  donne,  e  molti 
portavano  le  pelli  scoperte  senza  panno,  e  ooUe 
berrette  in  capo,  e  tatti  oon  gli  usatti  in  piede. 
B  le  donne  fiorenUne  oo'  calzari  sansa  orna- 
menti, e  passavansi  le  maggiori  d' una  gon- 
nella assai  stretta  di  grosso  scarlatto  d'Ipro 
o  di  Oamo,  dnta  ivi  sa  d*  uno  scaggiale  al- 
l'antica, e  uno  mantello  foderato  di  vaio  ed 
tassello  sopra,  e  portavanlo  in  capo;  e  le  co- 
muni donne  vestite  d' uno  grosso  veirde  di 
Cambraglo  per  lo  simile  modo:  e  lire  cento 
era  comune  dota  di  moglie,  e  lire  dugento  o 
trecento  era  a  quegli  tempi  tenuta  ìsfolgo- 
rata  ;  e  le  più  delle  pulodle  aveano  venti  o 
più  anni,  anzi  oh'andassono  a  marito.  Di  s£ 
fatto  abito  e  di  grosd  costumi  erano  allora  i 
fiorentini,  ma  erano  di  buona  fé'  •  leali  tra 
loro  e  al  loro  Comune,  e  colla  loro  grossa  vita 
e  povertà  fedone  maggiori  e  più  virtudiose 
cose  che  non  sono  fatte  a'tempi  nostri  oon  più 
mori>idezza  e  con  più  ricchezza  ».  —  deatre 
ecc.  entro  la  cerchia  delle  mura  romane, 
alla  quale  solamente  nd  1178  succedette  la 
seconda  cerchia  che  G.  Villani,  O.  rv  8  per 
errore  o  per  altra  ragione  rifed  al  1078  (cfr. 
BuU,  IV  96)  :  la  tona  dnta,  cho  ò  quella  dd 
tempo  di  Dante,  fu  incominciata  solamente 
nel  1284  e  compinta  nd  secolo  ziv.  —  98. 
end'ella  eoo.  e  Sulle  ditte  mura  vecchie  d  ò 
una  chiesa  chiamata  la  Badia,  la  quale  chiesa 
suona  terza  e  nona  e  l'altre  ore,  alle  quali 
li  lavoranti  delle  arti  entrano  ed  osceno  dal 
lavorio  >  ;  cod  il  Lana,  la  cui  autorevde  te- 
stimonianza è  confermata  dagli  altri  antichi 
commentatori,  Ott,  Buti,  An.  fior.  Benv.  ecc. 
Male  alcuni  pensarono  che  Danto  alludesse 
alla  chiesa  di  S.  OiovannL  —  tersa  e  mena  ; 
otr.  Inf,  zzziv  96;  Purg.  xzvn  4.  —  99.  si 
stava  ecc.  viveva  senza  disddl  dvill,  con  so- 
brietà e  onestà  di  costumi  aliena  insomma 
dalle  pasdoni  che  hanno  cagionato  le  presenti 
discordio  (cfir.  Inf.  vi  74-75).  —  100.  Von 
area  ecc.  Non  usava,  oome  ora,  ohe  le  donne 
andassero  sopracarìche  d' ornamene,  più  vi- 
stosi della  stessa  persona  che  li  porta.  Questo 
è  il  senso  delle  parole  di  Cacciaguida;  «la  tra 


PARADISO  —  CANTO  XV 


683 


non  donne  contigiate,  non  cintura 
102        che  fosse  a  veder  più  ohe  la  persona. 
Non  faceva,  nascendo,  ancor  paura 
la  figlia  al  padre,  che  il  tempo  e  la  dote 
105        non  fuggian  quinci  e  quindi  la  misura» 
Non  avea  case  di  £eimiglia  vote; 
non  v'era  giunto  ancor  Sardanapalo 


grinttrpreti  non  è  pieno  accordo  drcs  i  sin- 
goli ornamenti  qni  ricordati  :  1a  eatmtUa,  se- 
condo la  chiosa  del  Bnti,  sarebbe  nna  specie 
di  collana  o  di  braccialetto  formato  con  botton- 
cini d'argento  dorati  infilati  in  rarie  guise; 
la  corona  era  l'ornamento  nsato  per  il  capo, 
e  si  faoeya  d'oro  e  d'argento  e  di  perle  pre- 
ziose, come  le  corone  che  ancora  si  rodono 
sulle  imagini  della  Vergine,  e  tanto  era  dif- 
fiisa  questa  costumanza  che  bisognò  a  frenarla 
U  legge  suntuaria  del  ISSO  (Q.  Vili.,  Or,  x' 
160X  lo  eonHgie^  onde  è  l' espressione  donnei 
eonHgiaU,  erano  calzature  di  cuoio  trapunto 
o  stampato,  delle  quali  pare  che  primitiva- 
mente Caoessero  uso  spedale  le  meretrid  ;  la 
emiura  o  dntola  era  per  lo  più  di  liste  d'ar- 
gento, delle  quali  le  leggi  suntuarie  limita- 
rono il  numero.  —  102.  che  fosse  eoo.  cfr. 
Ovidio,  Btmed.  amori»  SIS  :  e  Anforimnr  cultu  : 
gommis  auroqneteguntur  Omnia;  pars  mini- 
ma est  ipsa  puella  sui  >.  108.  Kob  faeeva  eoe 
Ai  miei  tempi  non  era  ancor  divenuta  uno 
spavento  per  i  genitori  la  nasdta  delle  figliuo- 
le, non  essendo  ancora  invalso  il  costume  che 
le  donne  si  maritassero  giovanissime  e  con 
grandi  doti.  —  lOA.  elle  11  tempo  eco.  poiché 
l'età  del  matrimonio  non  eccedeva  la  misura 
quinoif  in  un  senso,  doò  neU'esser  troppo  pio- 
cola,  e  la  somma  della  dote  non  l' eccedeva 
quindif  nel  senso  opposto,  doò  per  esser  troppo 
grande.  —  tempo:  età  del  matrimonio,  che  era 
sui  venti  anni  o  pid,  e  di  cui  andò  diminuendo 
il  limite:  cfir.  Del  Lungo,  1 1101.  —la  dote: 
Lana,  con  la  semplidtà  efficace  del  linguaggio 
antico  :  <  non  si  usava  cosi  sfolgorante  dote 
oomo  oggi,  ohe  se  uno  fiorentino  hae  due  figliuo- 
le si  può  tenere  distrutto  9,  e  0.  VUL,  Or.  vi  70 
dice  ohe  al  tempo  dd  popolo  vecchio  e  cento 
lire  era  comune  dota  di  moglie  >.  Se  non  che 
è  da  avvertire  che  dai  documenti  risultano  un 
po' esagerate  le  parole  del  cronista:  molte 
furono  sino  alla  metà  del  socolo  zni  le  doti 
fiorentine  inferiori  a  lire  cento,  ma  già  erano 
frequenti  quelle  di  due  e  trecento  e  anche  più; 
certamente  aumentarono  via  via  con  l'incro- 
mento  della  dviltà  e  della  ricchezza,  e  già  si 
ha  notizia  d'una  dote  di  626  lire  nel  1264,  poco 
innanzi  la  nasdta  di  Dante  ;  e  682  fiorini  d'ar- 
gento ebbe  nel  1289  una  Soderini  sposando 
un  Soldanieri,  725  fiorini  nel  1293  la  sposa  di 
Qaddo  Falconieri,  1350  lire  nel  1295  la  figliuo- 
la del  pudico  Iacopo  da  Certaldo,  gran  fao- 


oondiere  di  parte  Nera;  e  altre  simili  doti 
spesseggiano  quanto  più  d  awioiniamo  al  se- 
oolo  xnr,  e  alcune  sono  davvero  UfolgoraU, 
come  i  mille  fiorini  d'oro  che  Taddeo  d' Aide- 
rotto  (cfir.  Fttr,  xn  88)  assegnò  in  dote  alla 
figlia  Mina,  sposandola  a  unPuld  :  o£r.  su  que- 
sta materia  L.  Zdekaner,  nella  Miaetlkuua  fio- 
rmUna  di  mmdixion»  $  ttoria^  a.  1866,  voi.  I, 
pp.  86  e  97-106.  — 106.  Kob  avea  eoo.  Non 
e'  eran  anoora  le  case  o  palagi  grandisdmi, 
sproporzionati  al  bisogno  delle  famiglio,  e  le 
abitazioni  erano  al  di  dentro  arredate  sempU- 
oemente,  senza  la  mollezza  e  il  lusso  presente. 
—  case  di  fsMlglla  ròtex  ò  frase  ohe  ha  dato 
da  fare  agl'interpetri,  i  più  dd  quali  per  altro» 
da  Lana,  Ott,  Cass.  Pietro  di  Dante,  Benv., 
An.  fior,  sino  ai  moderni  Ces.,  Tomm.,  Bian- 
chi, Andr.,  l'hanno  intesa  rettamente  nel  sen- 
so che  al  tempo  di  Cacdaguida  le  case  erano 
piccole  e  commisurate  al  numero  delle  per- 
sone. Inveoe  al  tempo  di  Dante  le  famiglie 
erano  sparse  in  grandi  edifizi,  tutti  indeme 
uniti  a  formare  dò  che  appxuto  dicevano  e  le 
case  »  dei  Donati,  dd  Cavalcanti,  degli  Adi- 
mari,  del  Frescobaldi  ecc.  ;  ed  erano  raggrup- 
pamenti di  case  per  abitare,  di  torri,  di  logge, 
di  cortili,  di  terreni,  i  quali,  sebbene  vi  avasso 
stanza  per  lo  più  tutta  una  consorteria,  erano 
pur  sempre  assai  vasti  e  troppo  più  ampi  che 
il  numero  delle  persone  non  richiedeva:  come 
esempio  di  queste  grandi  e  case  >  si  possono 
ricordare  quelle  dd  Quidi,  vendute  nel  1280 
ai  Cerchi,  le  quali  d  distendevano  (tra  e  case, 
palazzi,  piazze,  corti,  torroni,  casolari,  toni- 
menti  e  cose  >)  per  tre  parrocchie  della  città 
(cfr.  su  dò  quello  che  scrive  il  Dd  Lungo, 
DanUj  I  42).  Male  U  Buti,  seguito  da  Land., 
Veli.,  Dan.,  Vent,  Lomb.,  Biag.,  Costa, 
Frat,  intose  dolio  case  vuote  per  gli  esili 
cagionati  dallo  spirito  di  parte  ;  e  peggio  an- 
cora O.  Salvagnoli  Marchetti,  Luogo  ùuign» 
della  Dio.  Cbmm.  [Par,  xv  97-135]  nel  Oùyr- 
naie  areadioo,  a.  1824,  voL  XXIV,  pp.  103- 
119,  prese  questo  verso  come  una  alludono  a 
tristi  effetti  di  lussuria,  per  la  quale  fosser  le 
case  vuoto  di  prole.  —  107.  aon  T'era  ecc. 
Storicamente  Sardanapalo  ò  il  penultimo  re 
d'Assiria,  ohe  governò  dal  667  al  626  a.  C.  ed 
estese  la  potenza  assira  fino  nella  Lidia  e  nel- 
l'Arabia: ma  Dante  lesse  di  lui  il  racconto 
leggendario  che  seguendo  gli  storid  greci  fa 
Paolo  Orodo  {Risi,  1 19),  U  quale  dice  che  fu 


684 


DIVINA  COMMEDIA 


108       a  mostrar  ciò  die  in  camera  si  pnote. 
Non  era  vinto  ancora  Montemalo 
dal  vostro  Uccellatoio,  che,  com'è  vinto 
111        nel  montar  su,  cosi  sarà  nel  calo. 
Bellincion  Berti  vid'io  andar  cinto 
di  cuoio  e  d'osso,  e  venir  dallo  specchio 
114       la  donna  sua  senza  il  volto  dipinto; 
e  vidi  quel  del  Nerlo  e  quel  del  Vecchio 
esser  contenti  alla  pelle  scoperta, 


r  allimo  re  assiro  9  Io  descrive  come  nomo 
effeminato,  solito  »  vestirsi  di  porpora  e  d'abi- 
ti moliebri  e  amante  d'altre  delicatezze.  Quin- 
di giostamonte  alcuni  commentatori,  come 
Benv.,  Cass.,  Pietro  di  Dante,  ricordano  a 
questo  proposito  il  verso  di  Giovenale,  Sai.  z 
862:  e  Et  Venere,  et  ooenis,  et  piuma  Sar- 
^^^n^piiii  »,  che  Dante  assai  bone  riassume 
riadduoendo  queste  tre  forme  di  lussuria  al- 
l'espressione in  eamera  (cfir.  Moore,  I  257),  e 
intendono  che  qui  si  aUud»  anche  alle  mor- 
bidezze e  al  lusso  nell'arredare  internamente 
le  case.  Quasi  tutti  gli  altri  interpreti,  anti- 
chi e  moderni,  intendono  invoco  che  con  la 
menzione  di  Sardanapalo  si  accennino  atti 
libidinosi,  compiuti  nella  solltudino  delle  stan- 
ze ;  e  il  Torraca  e  il  Toynbee  (cfr.  BulL  U 
203,  rV  131)  hanno  richiamato  a  questi  versi 
un  passo  di  Egidio  Bomano,  Ih  regimino 
principwny  u  17,  ove  di  Sardanapalo  è  detto: 
€  era  si  non  temperato  ched  olii  s'era  tutto 
dato  ai  diletti  de  le  femmine  e  do  la  lussu- 
ria >.  —  109.  Kob  era  eoe.  Compie  ed  esplica 
con  un  esempio  ciò  che  ha  detto  nella  prece- 
dente terzina,  soggiungendo  che  Montemalo 
o  Monte  Mario,  presso  Boma,  non  era  ancora 
vinto  dal  Monte  Uccellatoio,  presso  Firenze 
(cfr.  lo  osservazioni  di  V.  Cian  riferite  in 
BulL  I  216,  e  quelle  del  Bassermann,  pp. 
176-178),  dod  che  nello  splendore  e  gran- 
dezza d^Ii  edifizl  Firenze  non  aveva  ancora 
superato  Boma.  Lana  :  e  Montemalo  si  ò  nel 
contado  di  Boma,  ed  d  lo  primo  luogo  donde 
si  vede  la  cittade,  lo  quale  Montemalo  al 
tempo  che  i  romani  trionfavano,  era  molto 
bello  luogo  e  adomo  di  mura  e  di  torri  ;  cosi 
nel  contado  di  Firenze  d  uno  luogo,  nome  l'Uc- 
oellatoio,  dal  quale  venendo  di  Bologna  si 
vede  prima  la  dttà  :  or  li  fiorentini  crescendo 
in  superbia  cominciarono  a  far  fortezze  in  con- 
tado, fare  noie  e  oltraggio  alli  suoi  vicini,  si 
che  rinforzoron  di  mura  e  di  torri  lo  detto 
Uccellatoio,  in  tale  modo  che  esso  era  ed  ò 
più  forte  di  Montemalo  ».  —  110.  com'è  ecc. 
oiod  come  Fironze  ha  superato  Boma  nel  sor- 
gere a  grandezza,  cosi  la  oltrepasserà  nel  di- 
scendere a  rovina.  —  112.  BelUnelOB  ecc. 
Bellincione  Berti  dei  Bavignani,  capo  d'una 
delle  grandi  casate  fiorontine  del  secolo  xu 


(cfr.  Par.  XVI  97)  e  padre  della  buona  Guai- 
dirada  (Inf.  xvi  82),  fa  cavaUere  e  cittadino 
dei  principali  al  suo  tempo  e  di  lui  rimasero 
poche  notizie  tradizionali  nei  posteriori  cro- 
nisti (O.  vm.,  O.  IV 1,  V.  37):  della  ma  vita 
pubblica  sappiamo  solo  che  nel  1176  e^li  (Btl- 
Unohnia  Berte  eivis  fior.)  ta  deputato  a  rice- 
vere in  consegna  dai  senesi  la  metà  del  ca- 
stello di  Foggibonzi  oeduta  ai  fiorentini  (II- 
defonso  da  S.  Luigi,  Delizie  degli  erudiii  tote. 
voi.  IX,  p.  4).  —  Tld'lo  eoe  vidi,  coi  miei  oc- 
chi, Bellincione  vestito  assai  unulmente,  poi^ 
tando  una  semplice  cintura  di  cuoio  con  le 
fibbie  di  osso,  senza  tutti  quelli  ornamenti 
che  ora  usano  1  fiorentini.  —  113.  e  venir 
ecc.  e  vidi  sua  moglie  adomarsi  semplicemen- 
te, senza  ricoprirsi  il  viso  di  biacca  e  di  ros- 
setto, come  fanno  ora  le  donne  fiorontine. 
Dell'abuso  che  in  Firenze  le  donne  facevano 
nel  secolo  xrv  di  lisci,  cosmetici  e  altre  soz- 
zure per  dipingere  il  volto  abbiamo  molte  te- 
stimonianze negli  scrittori  del  tempo;  note- 
vole sopra  tutte  quella  di  F.  Sacchetti,  che  in 
una  sua  canzone,  enumerate  cotesto  arti,  la- 
mentava :  «  0  alchimia  maledetta  ohe  la  vera 
Carne  fai  dibucciare.  Pelando  teste  o  ciglia  in 
modo  tale  Che  tormento  non  ò  con  maggior 
male  !  »  {Rime  d.  m.  O.daP.e  d*aìtri^  a  cura 
di  Q.  Carducci,  cit,  p.  544).  —  115.  e  vidi 
ecc.  e  vidi  cittadini  delle  principali  famiglie, 
come  i  Neri!  e  1  Vecchietti,  contentarsi  di 
portare  per  mantello  una  pelle  non  foderata, 
e  le  loro  donne  attendere  ai  più  umili  lavori 
della  casa,  come  d  il  filare.  Ott.  :  <Sono  due  an- 
tiche case  della  dotta  cittade  ;  e  dice  che  vide 
li  maggiori  di  quelle  case  andare,  ed  en  spe- 
ziai grada  e  grande  cosa,  contenti  della  pelle 
scoperta  senza  alcun  drappo  :  chi  la  portasse 
oggi  sarebbe  schernito.  E  vide  le  donne  loro 
filare,  quasi  dica  ;  oggi  non  vuol  filare  la  fante, 
non  che  la  donna  >.  —  del  Kerlo  :  1  Nerli,  an- 
tica famiglia  consolare  del  sesto  d'Oltrarno,  la 
quale  nella  divisione  del  1215  fu  delle  princi- 
pali di  parte  Guelfa,  ma  ebbe  poca  parte  nelle 
posteriori  vicende  di  Firenze  (cfr.  O.  Vili., 
Or.  IV  13,  V  89,  VI  83;  0.  Hartwig,  Quellm 
und  Forechungen^  cit,  II  182,  196).  —  del 
Teeeblo  :  i  Vecchietti,  altra  famiglia  conso- 
lare! del  quartiere  di  porta  San  Brancazio, 


PARADISO  —  CANTO  XV 


685 


117        e  le  sue  donne  al  fuso  ed  al  pennecchio. 
O  fortunate!  ciascuna  era  certa 
della  sua  sepoltura,  ed  ancor  nulla 
120        era  per  Francia  nel  letto  diserta. 
L'una  vegghiava  a  studio  della  culla, 
e  consolando  usava  l'idioma 
123        che  pria  li  padri  e  le  madri  trastulla; 
l'altra  traendo  alla  ròcca  la  chioma, 
favoleggiava  con  la  sua  fiamiglia 
126        dei  Troiani,  di  Fiesole  e  di  Roma. 
Saria  tenuta  allor  tal  maraviglia 
una  Cianghella,  un  Lapo  Salterello, 


guelfi  nel  1216,  neri  nella  divisione  del  1900  e 
assai  foclnoroBi  nel  sormontare  della  loro  fa- 
zione (cfr.  0.  Vili.,  Or.  IV  12,  V  89,  VI  33,  79, 
vm  89).  —  117.  penneeclile:  Lana:  «si  ò 
qnella  manata  di  lana  che  si  fila  a  rócca  »  ; 
ma  si  disse  anche  figuratamente  por  rócca.  ~ 
118.  O  fortanate  ecc.  Accenna  Cacciagoida  a 
dno  cagioni  di  pertorbamento  nelle  famiglio 
fiorentine,  dicendo  che  ai  suoi  tempi  le  donne 
trovavano  un  compenso  alla  frugalità  della 
vita  nella  tranqailla  certezza  di  morire  in  pa- 
tria e  di  non  essere  abbandonate  dai  mariti  ; 
poiché  allora  né  gli  esili,  conseguenza  del  par- 
teggiare, costringevano  le  famiglie  ad  emi- 
grare in  massa  (cfr.  Inf,  x  46,  50),  né  Io  spi- 
rito commerciale,  traendo  1  fiorentini  ad  eser- 
citare la  mercatura  in  Francia  e  in  altri  paesi, 
faceva  rimanere  derelitte  le  spose  nel  letto 
maritale.  —  120.  per  Francia:  perché  in 
Francia  specialmente  accorsero  i  fiorentini 
nei  secoli  xiii  e  dv  a  mereare  e  eambxar»  (cfr. 
Par.  XVI 61),  ma  anche  in  Inghilterra,  in  Fian- 
dra, in  Oriente  e  altrove.  —  diserta  :  cfr.  la 
nota  all'In/',  xxvi  102.  —  121.  L' ana  ecc.  Le 
donne  del  mio  tempo  vigilavano  esse  stesse  i 
loro  figliuoli,  e  attendevano  ai  lavori  domestici, 
contente  alle  gioie  della  maternità  e  al  piacere 
del  raccontare  in  famiglia  lo  leggende  della 
patria.  —  vegghiara  eco.  Ott.  :  «  Dice  che  di 
quelle  alcuna  vegghiava  a  cullare  il  suo  fan- 
ciullo per  addormentarlo,  consolandolo  con 
quelle  materne  e  vezzose  e  dolci  lusinghe  : 
oggi  per  sé  ò  la  cameriera,  per  sé  la  balia, 
per  sé  la  fante».  —  122.  eoniolando  ecc.  in 
questa  dolce  fatica  di  chetare  e  addormentare 
U  bambino  (cfr.  un  simile  uso  del  vb.  consolarò 
in  Purg,  xxni  11)  usava  il  parlare  infantile, 
quello  delle  ninno  nanne,  che  dà  tanta  gioia 
ai  genitori.  Ricorda  i  versi  di  Tibullo  ii  5,  93: 
e  Kec  taedobit  avum  parvo  advigilare  nepoti, 
Balbaque  oum  puero  dicere  verba  senem  ». 
—  124.  rftltra  ecc.  un'altra  seduta  in  mezzo 
ai  snoi  raccontava  filando  le  favole  tradizio- 
nali Bulla  venuta  dei  Troiani  in  Italia,  sul- 
Torìgine  di  Fiesole,  sui  fatti  di  Roma.  Sono  ì 


tre  cicli  di  leggende  italiche  pifi  care  al  popolo 
toscano  in  generale,  e  in  particolare  ai  fioren- 
tini ;  tanto  che  ne  sono  piene  le  storie  delle 
origini  di  Firenze,  anche  in  tempi  posteriori 
a  quelli  di  Dante  :  nella  Or,  di  Q.  Villani  d 
da  vedere  l'atteggiarsi  di  cotesta  materia  leg- 
gendaria nella  forma  storica.  —  ekiomft:  il 
pennecchio  (v.  117)  o  la  conocchia  (I\trg,  xxi  26). 
127.  Sarfa  ecc.  Ai  miei  tempi  sarebbe  sem- 
brato miracolo  la  presenza  in  Firenze  di  una 
donna  scostumata  o  d'un  foccendiere  disone- 
sto, come  or  sarebbe  una  donna  d'illibati  co- 
stumi o  un  intemerato  cittadino.  La  similitu- 
dine dantesca  acquista  sua  efficacia,  pifi  che 
dal  raffronto  con  gli  esempi  romani,  dalla 
scelta  felice  dei  nomi  contemporanei  die  do- 
vevano esser  vivi  e  presenti  con  tutta  la  sto- 
ria delle  loro  brutture  alla  memoria  dei  con- 
cittadini di  Dante  ;  e  cosi  con  un  tratto  di 
semplicità  vigorosa  il  poeta  sa  sempre  otta- 
nero  1  piò  nuovi  effètti  di  arte.  —  128.  aia 
Cianghella:  Cianghella,  figlia  di  Arrigo  della 
Tosa  fiorentino  e  moglie  dell' imolese  Lito 
degli  Alidosi,  tn.  famosa  al  tempo  di  Dante, 
e  anche  sino  al  Boccaccio  (cfr.  Bull.  1214), 
por  ogni  maniera  di  vizi  donneschi,  e  visse 
sin  verso  il  1330:  efficacemente  la  scolpisce 
il  Lana  :  «  Fue  ed  ò  una  donna  di  quelli  della 
Tosa,  la  quale  per  tutta  questa  etade  è  stata 
la  inventrice  di  tutte  le  novitadi  nelli  abiti 
delle  donne;  d  stata  molto  bella  donna,  e  l'al- 
tro, credendo  parer  si  belle,  hanno  voluto  oon- 
trafarla,  onde  sono  venute  in  tanta  inconti- 
nenzia  ch'elio  gli  perdono  le  pubbliche  e  co- 
muni »  ;  e  l'Ott.  :  <  donna  piena  di  tutto  di- 
sonesto abito  e  portamento  e  parlante  senza 
alcuna  f^nte  o  alcuno  abito  o  atto  pertinente 
a  condizione  di  donna  »  :  e  Bonv.  aggiunge, 
sulla  fede  del  padre  suo  che  la  conobbe  di 
persona,  altri  particolari  della  disonestà  ed 
arroganza  di  cotesta  (Cianghella,  degno  esem- 
pio delle  <  sfì&cciate  donne  fiorentine»  (Pitrg. 
XXIII  101).  —  «n  Lapo  SAlterello:  messer 
Lapo  Salterelli  fu  dottoro  di  leg?e  e  poeta  in 
Firenze  nel  tempo  di  Dante  :  gran  f^cendiere 


686 


DIVINA  COMMEDIA 


123        qual  or  saria  Ginoìimato  o  Comiglia. 
A  cosi  riposato,  a  cosi  bello 
Yiyer  di  cittadini,  a  cosi  fida 
182        cittadinanza,  a  cosi  dolce  ostello, 
Maria  mi  dio,  chiamata  in  alte  grida, 
e  nell'antico  vostro  bi^tistéo 
135       insieme  fai  cristiano  e  Gacciagoida, 
Moronto  fii  mio  frate  ed  Eliseo; 

mia  donna  venne  a  me  di  vai  di  Pado, 


•  mestatore,  lo  troriAmo  peitedpe  »  tatti  qua- 
si i  &tti  pubblid  laooesii  in  Fiienie  daU'isti- 
tazione  del  priorato  tino  alla  dispenlone  della 
parto  Bianca,  e  poro  la  menzione  di  Ini  nei 
dooomenti  •  nelle  itoiie  llorontine  è  anai  fre- 
quenta. Fa  ambMotatore  con  altri  fiorentini 
a  Bonifazio  Vm  nel  12M  per  informarlo  della 
Tonata  in  Toscana  di  Giovanni  di  Ghftlons,  e 
fa  anche  dei  Priori  ;  nel  1300,  prima  che  scop- 
piassero apertamente  le  ostilità  fra  Bianchi  e 
Neri,  denanziò  insieme  con  altri  doe  cittadini 
on  trattato  di  aloani  fiorentini  con  Bonifa- 
zio Vm,  il  quale  voleva  impadronirsi  di  Fi- 
renze, ed  incorse  perciò  neU'ira  di  quel  pon- 
tefice :  mal  seppe  destreggiarsi  nell*Ìnfrtriaro 
delle  fazioni,  e  dopo  il  trionfo  dei  Neri  si  na- 
scoso in  casa  dei  Falci,  ma  inatilmente,  poi- 
ché nel  febbraio  del  1S02  fri  colpito  anch'egli 
da  ona  sentenza  di  proscrizione,  motivata  da 
brogli,  baratterie  e  corrazioni  di  processi  gia- 
dizialL  e  0  m.  Lapo  Salterelli  minacdatore  e 
battitore  de*rettori,  ohe  non  ti  servlano  nelle 
qaistioni  tao  I  >,  esclamava  perdo  D.  Compa- 
gni (O.  n  22),  che  bene  doveva  conoscerlo; 
e  Dante  lo  rappresentò  molti  anni  di  poi  come 
tipo  del  cittadino  disonesto  e  corruttore  dei 
pubblici  officiali,  in  antitesi  con  rintegerrimo 
Cincinnato.  Oli  antichi  commentatori  accen- 
nano ch'ei  fosse  di  molli  e  lascivi  costumi,  e 
di  molti  vezzi  e  leggiadrie,  e  par  quasi  che  in- 
tendano ohe  come  tale  sia  ricordato  da  Dante  ; 
ma  sembra  piA  opportuno  riferire  il  rimprovero 
del  poeta  alla  condotta  politica  del  SalterelU  ; 
sul  quale  cfr.  Del  Lungo,  1 48-68, 98, 174-175, 
190, 280-281, 242-245, 268-269,  H  87, 145, 165, 
206,  280  eoe,  e  G.  Levi,  Bonifaxio  Ville  le 
tm  nkurioni  eoi  Ccm,  di  Fir.y  Boma,  1882. 
129.  —  CineiBBate  :  cf.  Poir,  vi  46.  —  Conl- 
gllas  cfr.  Inf.  IV  128.  —  180.  À  cosi  eco. 
Nacqui  in  Firenze,  mentre  sf  tranquilla  e  one- 
sta era  la  vita  dei  dttadini,  confidenti  gli  uni 
negli  altri  e  contenti  perdo  della  loro  patria. 
Continuando  il  tadto  contrapposto  con  la  Fi- 
renze dd  tempi  di  Dante,  questa  terzina  ri- 
sponde ad  altri  luoghi  dd  poema  dove  questa 
dttà  ò  accennata  come  assalito  (ia  tonto  tftsoor- 
dia  {Inf.  VI  68),  o  come  pianta  di  Lucifero 
{Par,  Ez  127),  fiena  d'invidia  {Inf,  vi  49)  e  nido 
di  fnalixia  tanta  {Inf,  xv  78).  —  188.  Maria 
eoo.  la  beata  Vergine,  invocata  da  mia  madre 


nei  ddori  dd  parto,  mi  fece  nascere  ecc.  —  li 
alte  grida  :  cfr.  Purg,  xx  19-2L  ~  184.  ae^ 
l'utiet  ecc.  nd  Battlstwo  di  San  Giovanni 
(cfr.  Ar.  zxv  8)  fili  battezzato  e  mi  fri  impo- 
sto il  nome  di  Caodaguida.  ~  185.  Caeeia- 
gnlda:  di  questo  antenato  di  Dante  l'esistenza 
ò  confermata  dal  documento  già  dt.  dd  1189 
relativo  ai  suoi  figli  (IVsttmittMS  «t  Alaghieri 
fratns  fiUi  dim  Oaeoiciguitda*%  ma  della  sua 
vita  non  saj^iamo  se  non  dò  die  d  laocoglie 
dai  verd  dd  poeta.  Nacque  in  Firenze,  nd 
sesto  di  Porta  San  Piero  {Par,  xvi  40-42),  in- 
tomo al  1)090  (ih.,  84-89),  e  forse  frt  ddla  fe- 
miglia  Elisd  (ib.,  40),  una  ddle  antiche  schiat- 
te fiorentine  che  vantavano  discendenza  ro* 
mana:  sposò  una  donna  della  valle  del  Po,  la 
quale  dio  il  nome  dd  suoi  d  figlio  Alighiero 
(cfr.  la  notadv.  91,  1S7  di  questo  canto)  e 
per  mezzo  di  lui  ella  famiglia  dlstaocatad  dd 
ceppo  originario  ;  ebbe  un  fratello,  Moronto, 
e  secondo  la  pi6  comune  spiegadone  dd  v. 
186,  un  dtro  chiamato  Eliseo;  segai  1* im- 
peratore O)rrado  m  ndla  seconda  erodata 
e  da  lui  fa  armato  cavaliere;  mori  nd  1147 
o  poco  di  poi,  combattendo  contro  gì'  infedeli. 
—  186.  MorÒBtot  nessnna  notizia  d  ha  di 
questo  fratello  di  Cacdaguida  :  un  documento 
fiorentino  dd  2  aprile  1076  ricorda  come  pos- 
sessori di  terreni  presso  la  chiesa  di  San  Mar- 
tino 1  figli  e  nipoti  lùinmii  de  Aroo,  che  sa- 
rebbe Tavo  di  Cacdagdda,  di  Moronto  e  di 
Eliseo,  poiché  anche  pifi  tardi  gli  Elisei  frirono 
detti  de  areu  pietatie  ;  ma  tatto  è  incerto  in 
queste  antichità  geneiilosiche  dantesche,  né 
d  può  recisamente  affermare  o  negare  (cfr.  A. 
BartoU  SL  della  leU.  tt.,  voL  V,  pp.  6-8).  - 
Eliseo:  di  questo  non  d  sa  nulla;  il  suo 
nome  è  come  la  linea  d'unione  per  cui  i  ge- 
nealogisti ricollegano  gli  Alighieri  ag:li  EUsd. 
Secondo  C.  Bicd,  sarebbe  qui  nome  di  casa- 
to; e  tutta  la  terzina  significherebbe:  Mo- 
ronto mio  fratello  mantenne  il  cognome  degli 
Elisei,  fu  Eliseo;  io  invece,  svendo  presa 
per  moglie  una  AUghiera,  fui  prindpio  d  rs- 
mo  degli  Alighieri.  —  187.  oda  donna  ecc. 
io  tdd  in  moglie  una  donna  della  valle  del 
Po  (di  nome  Alighiera?),  che  dio  il  nome  a 
mio  figlio  Alighiero,  qudlo  «  da  cui  d  dice 
tua  cognazione  »  (v.  91).  —  41  vai  di  Pads: 
Ctt.,  parafrasando  le  parole  di  Dante  :  «  ia 


PARADISO  -  CANTO  XV 


687 


138       e  quindi  il  sopranome  tuo  si  feo. 
Poi  seguitai  lo  imperador  Currado, 
ed  ei  mi  cinse  della  sua  milizia, 
141       tanto  per  bene  oprar  gli  venni  in  grado. 
Betro  gli  andai  incontro  alla  nequizia 
di  quella  legge,  il  cui  popolo  usurpa, 
144       per  colpa  dei  pastor,  vostra  giustizia. 
Quivi  fu*  io  da  quella  gente  turpa 
disviluppato  dal  mondo  fietllace, 
il  cui  amor  molte  anime  deturpa, 
148    e  venni  dal  martiro  a  questa  pace  ». 


donna  «u  renne  diyal  di  Po,  doè  di  Fetian, 
U  quale  ebbe  nome  madonna  Alleghiera  »  : 
opinione  Meralta  dai  pift,  massime  dopo  ohe  il 

rara,  Ferr.,  1866,  ha  proTato  coi  dooomenti 
redstenza  di  nna  tale  lìuniglia  in  qoella  città 
nel  seodlo  xi,  e  psrtioolazmente  di  un  Aldi- 
ghiezo  degli  Aidighieri,  Tiyente  nel  1063,  che 
sarebbe  stato  il  snooero  di  GaocUigaida.  Altri 
intendono  di  Panna,  e  altri  ancora  di  Verona, 
senza  troppo  fondamento.  Gli  Aldighieii  di 
Fonica  durarono  in  fiore  sino  a  mezzo  il  se- 
eoto  ziT,  e  Dante  assai  probabUmente  ebbe 
modo  di  riaìlaoclare  con  essi  da  Barenna  gli 
antichi  rapporti  domestici;  cosi  si  spieghe- 
rebbe assai  bene  il  ricordo  di  queste  parti- 
oolarità  genealogiche.  —  1S8.  qnladl:  dal 
nome  della  mia  donna,  spiegano  i  commenta- 
tori; il  Booc,  Vita  di  D.,  §  2,  parlando  dei 
figli  di  Oaodlagnida,  scrire  che  alla  madre 
«in  uno,  sicoome  le  donne  sogliono  esser 
raghe  di  fisre,  le  piacque  di  rinovaie  il  nome 
de'  suoi  passati,  e  nomindlo  Aldighiori  >:  che, 
qualunque  sia  la  rerità  storica,  d  cerio  l'in- 
terpretazione  rispondente  al  concetto  di  Dan- 
te, poiché  questo  Terso  ò  da  mettere  in  reia- 
sione coi  TV.  91-92.  "  189«Pol  segmlUi  ecc. 
Corrado  m  di  Hohenstaufen,  nato  nel  1093, 
eletto  imperatore  nel  1138,  morto  nel  1162, 
prese  parte  alla  seconda  crociata  (1147-1149), 
insieme  oon  Luigi  VII  re  di  Francia:  dopo 
aver  subito  molte  perdite  nell'Asia  minore, 
r  esercito  crociato  essali  nel  1148  Damasco, 
ma  l'impresa  tmrminò  oon  una  disastrosa  ri- 
tirata. Della  partedpaiione  dei  fiorentini  a 
questa  orooiata  non  sappiamo  nulla,  nò  s'in- 
tende come  Oaodaguida  si  mettesse  al  seguito 
di  Corrado  m,  poiché  l'imperatore  non  di- 
scese mai  in  Italia:  pare  quindi  assai  proba- 


bile che  Dante  confondesse  ootesla  impresa 
con  quella  di  Corrado  II  il  Salico,  imperatore 
dal  1024  al  1089,  U  quale  nella  sua  prima  di- 
scesa in  Italia  si  fermò  in  Firenze  e  secondo 
i  cronisti  (Q.  ^^Hll.,  O.,  it  9)  «  pid  cittadini 
di  Firenze  si  fedone  osTalieri  di  sua  mano  e 
furono  al  suo  serTìgio  »,  proprio  nel  tempo 
ch'egli  €  andò  in  CalaTria  contro  a'  Saradni 
oh'  erano  Tenuti  a  guastare  U  paese  e  con 
loro  combatteo  e  con  grande  spargimento  di 
sangue  de'  cristiani  gli  cacdd  e  conquise  >  ; 
tanto  pid  che  anche  Pietro  di  Dante  dice  che 
Cacciaguida  tu.  oon  Corrado  imperatore  «  cum 
in  Calabria  centra  Saracenos  iTÌt  et  bellavit  »  : 
ma  come,  pur  confondendo  i  due  Corradi,  si 
potessero  a  Cacdaguida,  Tissuto  sotto  il  teizo, 
tribuire  fatti  accaduti  sotto  il  secondo,  non 
s'intende  agOTolmente.  — 140.  ni  eimse  eco. 
mi  ftogiò  di  sua  mano  dell'ordine  della  caTalle- 
ria.  ~  141.  tante  ecc.  tanto  gli  piacqui  per  il 
mio  Talore  e  la  mia  Tirtd.  — 142.  Betro  eoe 
Seguitai  l'imperatore  a  combattere  contro 
gl'infedeli,  contro  la  potenza  mussulmana, 
che  per  colpa  dei  pontefici  usurpa  le  ragioni 
della  cristianità  sulla  Terrasanta.  È  rimpro* 
vero  ohe  Dante  riTolge  abbastanza  spesso  ai 
papi  (cfr.  Inf.  zzTD  87  e  segg..  Fot.  a  126), 
di  trascurare  l'impresa  della  liberazione  di 
Terrasanta  per  attendere  a  mondani  interessi. 
—  146.  QaiTl  eoe  In  quella  spedizione  io  fai 
per  mano  degli  infedeli  liberato  dalla  Tita  ter- 
rena; pi  ricordi  ohe  paiia  lo  spirito  di  Cac- 
daguida. —  turpa:  turpe,  perché  iuTolta 
negli  errori  religiosi  ;  sulla  forma  cf^.  Parodi, 
BulL  m  117.  —  146.  Mondo  fallace!  cf^. 
Piar.  X  126.  — 148.  e  Tenni  eco.  e  dal  mar- 
tirio, doò  morendo  per  la  fede  di  Cristo, 
Tenni  alla  beatitudine  del  paradiso  (ofir.  Par. 
X  128). 


688 


DIVIKA  COMMEDU 


CANTO  XVI 

A  richiesta  di  Djmte,  Caceiagaidit  parla  del  tempo  In  cai  florf ,  dei  pro- 
pri antenati  e  della  popolazione  di  Firenie,  distendendosi  lungamente  a 
deplorare  il  mescolarsi  della  gente  nuova  con  le  ?ecchie  schiatte  e  ad 
esporre  i  nomi  e  le  condizioni  delle  principali  fEuniglie  fiorentine  del  primo 
cerchio  [U  aprile,  ore  antimeridiane]. 

O  poca  nostra  nobiltà  di  eangue, 
se  gloriar  di  te  la  gente  fed 

8  qua  giù,  dove  l'affetto  nostro  longue, 
mirabil  cosa  non  mi  sarà  mai; 

chó  là,  dove  appetito  non  si  torce, 
6        dico  nel  cielo,  io  me  ne  gloriai. 
Ben  sei  tu  manto  che  tosto  raocorce, 
si  che,  se  non  s'appon  di  die  in  die, 

9  lo  tempo  va  dintorno  con  le  force. 
Dal  *  voi  *  che  prima  Homa  sofferie. 


-1 


XVI 1.  0  poea  eoe.  Le  parole  di  Caccia- 
goida  soscitaiono  in  Dante  un  senso  di  oom* 
piacimento,  per  arer  trovato  che  la  soa  Cuni- 
glia  areva  avuto  cosi  nobile  principio;  per 
la  qnal  cosa,  ripensando  egli  all'  effètto  che 
sull'animo  sno  produsse  il  discorso  dell'ante- 
nato illastre,  esclama  :  0  piccola  nobiltà  delle 
schiatte  amano  t  Io  non  mi  meravigllerO  mai 
che  ta  Csoda  andar  superbi  di  te  gli  uomini 
quaggid  in  terra,  ove  il  nostro  amore  si  volge 
facilmente  alle  cose  Oallaci;  dappoiché  io  di 
tale  nobiltà  del  sangue  mi  gloriai  su  in  dolo, 
ore  il  desiderio  non  può  essere  traviato  ad 
obbietti  indegni  :  eppure  tu  sei  ornamento  ohe 
vien  presto  a  mancare,  se  non  ò  accresduto 
da  nuove  opere  virtuose.  —  poca  aoitra  eco. 
piccola  d  dotta  la  nobiltà  della  nasdta  al  pa- 
ragone della  grande  e  verace  nobiltà,  che  è 
«perfezione  di  propria  natura  in  ciascuna 
cosa  »  {Cono,  iv  17)  ossia  d  una  oosa  sola  con 
la  Tìrtù,  secondo  la  teorica  dantesca  svolta 
nel  IV  trattato  del  Cor»,  —  8.  laigie  :  d  lan- 
guido, debole,  e  perdo  facilmente  travia,  «  ima- 
gini  di  ben  seguendo  false  »  {Pifsrg,  xkx  131). 
—  6.  là  dove  ecc.  nel  paradiso,  ove  l'animo 
non  può  volgersi  se  non  al  bene,  essendo  nello 
stato  di  compiuta  perfezione.  —  6.  lo  me  ne 
gloriai  :  non  propriamente  mi  sentii  superbo 
delle  nobili  origini,  ma  pld  tosto  provai  un 
certo  oomplaclmento  venendo  a  conoscere  d'a- 
vere tra  1  miei  avi  un  cavaliere  d'impero  e 
martire  della  fede.  —  7.  Bea  sei  eoo.  L'or- 
namento degli  avi  illastri  non  dura  se  non 
continuano  a  esser  virtuosi  anche  l  discen- 
denti: d  come  un  manto  che  presto  si  rao- 
corda  di  guisa  che,  se  non  à  vìa  via  allun- 
gato. Il  tempo  con  le  sue  forbld  lo  va  consu- 


mando. Dante  non  fa  altro  ohe  ndurre  •  pre- 
sentare in  forma  di  dmilitudine,  a  dir  vero 
non  delle  pi6  beDe,  il  concetto  esprosw)  nel 
Omv.  IV  29:  «  0  voi  che  udito  m' avete,  ve- 
dete quanti  sono  odoro  che  sono  ingannati  I 
dod  coloro  che  per  esser  di  &mose  e  antica 
generazioni,  e  per  esser  discesi  di  padri  eo- 
oeUenti,  credono  essere  nobili,  nobiltà  bob 
avendo  in  loro  »,  e  nel  luogo  stesso  oob  in- 
gegnoeo  paragone:  «Siccome  d'una  massa 
bianca  di  grano  si  potrebbe  levare  a  grano  a 
grano  il  fermento  e  a  grano  restituire  meliga 
rossa,  e  tutta  la  massa  finalmente  cangerebbe 
colore  ;  cosi  della  nobile  progenie  potrebbono 
il  buoni  morire  a  uno  a  uno,  e  nascere  la 
quella  11  malvagi,  tanto  che  cangerebbe  11  nomo, 
e  non  nobile,  ma  vile  da  dire  sarebbe  ».  — 
raeeoree  t  è  2*  pers.,  «  tu  sei  manto  che  ti 
raocord  »;  cfr.  Parodi,  BuU,  m  124.  —  8. 
s*appoB  I  s'appone,  s'aggiunge;  efr.  v.  69. 
—  9.  forse  :  forbld,  per  analogia  del  lat.  /W^ 
eoe.  —  10.  Dal  voi  eoo.  Dante  tratta  col  voi 
solamente  Brunetto  Latini  (In/',  zv  80,  86, 80 
ecc.).  Farinata  degU  liberti  {Bif.  z  61,  M, 
110  ecc.).  Cavalcante  Cavalcanti  (bif.  z  63) 
e  Beatrice  {Purff,  tttt  86,  zzzm  80,  SI,  12, 
Par,  u  i9,  IV  122  eoe):  a  Oaodaguida  ha  gii 
parlato  col  tu,  più  ftunlliaro  {Btr.  zv  85),  ma 
ora  che  sa  di  quanto  onore  sia  degno  questo 
suo  antenato  gli  d  rivolge  col  sdì.  —  eh* 
prima  ecc.  Tatti  i  commentatori  antichi  con- 
cordano In  una  comune  sentenza,  cosi  espo- 
sta dall'  Ott  :  <  Tornando  Giulio  Cesare  vin- 
dtore  d'ogni  parte  del  mondo,  e  ricevendo 
gli  onori  de'  trionfi  dell'avute  vittorie,  Uro- 
mani  soflérsono  primamente  di  dire  a  lui,  uno 
uomo,  voi  ;  la  qual  oosa  11  romani  fodoaoplA 


PARADISO  —  CANTO  XVI 


G89I 


in  che  la  sua  famiglia  men  perse vra, 
12        ricominci aron  le  parole  mie; 

onde  Beatrice,  ch'era  un  poco  sceTra, 
rìdendo,  parve  quella  che  teselo 
15        al  primo  fallo  scritto  dì  Ginevra. 
Io  cominciai  :  €  Voi  siete  il  padre  mio, 
voi  mi  date  a  parlar  tutta  baldezza, 
18        voi  mi  levate  si  ch'io  son  più  ch'io. 
Per  tanti  rivi  s'empie  d'allegrezza 
la  mente  mia,  che  di  sé  fa  letizia, 
21        perché  può  sostener  che  non  si  spezza. 
Ditemi  dunque,  cara  mia  primizia, 
quaì  f(ir  li  vostri  antichi,  e  quai  filr  gli  anni 
24        che  si  segnare  in  vostra  puerizia. 


por  paura  e  per  servile  onore,  oho  per  affet- 
tuosa rererenza  »  :  ma  il  vero  d  che  qaesf  oso 
inoomindò  solamente  pi6  tardi,  nel  m  seo.  d. 
C,  e  r  inganno  dei  oommentatori  dipende  da 
una  fialsa  interpretazione  dei  versi  di  Lucano, 
£\»rs,  r  888:  cSummum  diotator  honorem 
Contigit,  et  laetos  iècit  se  oonsule  Cutoe  : 
Namquo  omnes  Tooes,  per  quas  iam  tempore 
tanto  Mentimnr  dominis,  haeo  primum  reppe- 
rit  aetas  ».  —  11.  In  che  eoo.  nel  quale  uso 
del  voi  i  romani  hanno  perseverato  meno  d'o- 
gni altra  cittadinanza  italiana:  ctueggiano 
ogni  persona»,  dice  il  Lana,  e  Sallmbene 
da  Parma,  Fragm,  p.  406,  afferma  ohe  e  Ro- 
mani imperatori  et  summo  pontifici  diount  tu  >  ; 
ed  è  uso  vivo  anche  oggi.  —  18.  ond^  Bea- 
trice eoo.  Beatrice,  ohe  era  alquanto  discosta 
dai  due  Alighieri,  a  sentir  Danto  che  aveva 
cambiato  linguaggio,  sorrise  per  segno  d' in- 
ooraggiamento  :  non  parlò  perché  non  volle 
intarromptte  il  discorso  già  inoomindato  dal 
poeta.  ~  14.  parve  eoo.  Allude  a  un  falto 
caooontato  in  una  redazione  del  romanzo  di 
Lancillotto  (ofr.  ìnf,  v  128;  B.  Benier  nel 
Gior.  ttor,  d$Ua  ÌML  U.,  a.  1884,  voi.  I,  p.  819; 
F.  Novati,  Cimf.  n  282),  nel  quale,  secondo 
il  Lana,  era  detto  che  il  oavaliore  <  stava 
timido  appresso  la  reina  Ginevra,  nò  par- 
lava né  s'argomentava  di  fare  altro:  la  donna 
di  Hanoalt  [meglio,  di  Mallehault],  si  come  ri- 
cordata e  che  conosceva  lo  luogo  e  '1  perché 
doT*  erano,  tosalo,  e  léce  cenno  a  Lanoialotto 
che  dovesse  prendere  alcuno  diletto  ;  ond'ogli, 
cosi  fiivoroggiato,  gittò  le  braccia  al  collo  alla 
reina  e  badolla».  Secondo  gli  altri  com- 
mentatori antichi,  con  pi6  precisa  corrispon- 
denza alle  varie  redazioni  del  romanzo  fran- 
cese, la  cameriera  di  Ginevra,  la  donna  di 
Mallehanlt,  tossf  quando  vide  Lancillotto  ba- 
dare la  rogina,  por  far  vedere  che  s' era  ac- 
corta dd  fallo  :  particolare,  che  s' accorde- 
rebbe meglio  all'interpretazione  die  alcuni 
danno  al  sorriso  di  Beatrice,  come  se  fosse  per 

DAirrx 


segno  eh'  ella  s'era  accorta  del  rane  compia- 
cerd  di  Dante  per  la  nobiltà  del  suo  sangue.  — 
16.  terltto:  nei  romanzi  francesi  d'avventura 
(cfr.  Inf,  V  127).  —  16.  Tel  slete  ecc.  Voi  siete 
il  progenitore  della  mia  stirpe,  voi  m' inco- 
raggiate a  parlare,  yoi  mi  fìtto  assurgere  tanto 
alto  eh'  io  mi  sento  superiore  a  me  stesso,  al 
mio  stato  abituale.  ~  17.  baldezia  :  sicurtà, 
forza  o  coraggio  morale;  cti.  Inf.  vm  119, 
Fior,  xxxn  109.  —  19.  Per  Unti  ecc.  Col 
vostro  discorso  voi  avete  dato  tanti  motivi  di 
allegrezza  all'animo  mio,  che  esso  si  rallegra 
di  sostenere  tanta  gioia  senza  rimanere  vinto. 
La  capadtà  dell'animo  umano  alla  gioia  ò  li- 
mitata (eh,  V.  N,  XI 18-21),  e  Dante  si  com- 
piace d'aver  potuto  gustare  tutta  la  letizia 
cagionatagli  dall'incontro  di  Cacdaguida  e 
da  dò  che  il  suo  antenato  ha  detto  di  sé  e 
dell'  antica  Firenze.  —  20.  di  s4  fa  letizia  : 
ed  rallegra  di  sé  medesima»,  spiega  con 
chiarezza  e  semplidtà  il  Buti  ;  alcuni  moder- 
ni, ingarbugliando,  intendono  :  converte  in  le- 
tizia la  sua  propria  essenza,  e  cosf  non  ò  so- 
prafatta dalla  gioia.  —  22.  Ditemi  ecc.  Qmit- 
tre  sono  le  domande  che  Dante  rivolge  a  Cac- 
daguida e  a  tutte  quattro  risponde  il  beato 
spirito,  sebbene  senza  seguire  l'ordino  delle 
interrogazioni  e  solo  all'  ultima  dando  risposta 
ampia  e  piena;  onde  il  ragionamento  che  or 
seguirà  il  Cacdaguida  d  svolgerà  su  quosti 
punti  :  in  qual  tempo  egli  venne  al  mondo 
(w.  84-89),  quali  ftirono  i  suol  antichi  (vr. 
40-4fi),  quanti  erano  ai  suoi  di  gli  abitanti  di 
Firenze  (w.  46-48)  e  quali  erano  le  famicriio 
prindpali  della  dttà  (tv.  49-154).  —  prl ini- 
zia :  capostipite,  progenitore.  —  28.  qaal  far 
gli  anni  ecc.  quali  furono  gli  anni  della  vo- 
stra puerizia,  in  qual  tempo  precisamente  na- 
sceste. Dante  sapeva  già  quando  Cacdaguida 
fosse  morto  {Par.  xv  135,  146),  dedderava 
conoscere  quando  era  nato,  e  gli  domanda  il 
tempo  della  sua  prima  età,  ohe  <  anni  do- 
mini correa»  al  tempo  ch'd  nacquo:   Cao- 

44 


i 


I 


690 


DIVINA  COMMEDIA 


Ditemi  dell' o vii  di  San  Giovanni 
quanto  era  allora,  e  chi  eran  le  genti 
27        tra  esso  degne  di  più  alti  scanni  >. 
Come  s'avviva  allo  spirar  dei  venti 
carbone  in  fiamma,  cosi  vidi  quella 
80        luce  risplendere  ai  miei  blandimenti; 
e  come  agli  occhi  miei  si  fé'  più  bella, 
cosi  con  voce  più  dolce  e  soave, 
83        ma  non  con  questa  moderna  favella, 
dissemi  :  e  Da  quel  di  che  fu  detto  *  Ave  ' 
al  parto  in  che  mia  madre,  eh'  ò  or  santa, 
86       s'alleviò  di  me  ond'era  grave, 
al  suo  Leon  cinquecento  cinquanta 


dagaido,  rispondondo,  dirà  l' anno  preciso.  — 
25.  deiroTll  eoe  quanto  fosse  grande  la  dttà 
di  Firence»  doè  quanta  fosse  la  soa  popola- 
zione, posta  sotto  la  protezione  di  san  Oio- 
Tannl  Battista  (ofr.  Jkf,  xni  liS).  —  27.  «•- 
^e  ecc.  meriteToli  di  pi6  alti  onori,  pi6 
onorevoli:  è  detto  in  senso  poUtioo,  come  ap- 
pare dalla  risposta  di  Oacdagnida,  special- 
niente  al  TV.  100-101,  107-114.  —  28.  C««s 
ecc.  Ventori  85  osserra  ohe  la  presente  si- 
militudine raochinde  le  ideo  separatamente 
accennate  in  «incile  del  Paf.  xiv  62  e  segg. 
e  zix  e  segg.,  cogliendo  insieme  il  folgore  e 
il  calore  della  fiamma  prodotta  dal  carbone 
acoeso;  ed  è  assai  opportuna  a  signiiScare 
V  intima  letizia  di  Oaociagnida  per  l'ardore  di 
carità  ohe  lo  mnore  a  compiacere  ai  desideri 
di  Dante.  Anche  d  da  avrertire  una  notevole 
conformità  con  la  similitudine  ovidlana,  IM. 
▼n  79  :  e  Ut  solet  a  ventis  alimenta  assumere, 
quaeque  Parrà  sub  induota  latuitsdntilla  fis- 
yilla,  Crescere  et  in  veteres  agitata  resnxgere 
vires  »,  meno  efficace  della  dantesca,  perché 
diluita  in  troppe  parole.  —  80.  «1  misi  blan- 
dimenti :  alle  mie  affettuose  parole  ;  se  non 
che  nel  hUnndire  (cfr.  Paxr,  xu  24,  zzii  86)  d 
r  idea  di  un  affetto  cho  d  dimostra  in  maniera 
lusinghoTole,  con  dold  allettamenti,  come 
quelli  appunto  che  Dante  ha  fatto  precedere 
alle  sue  quattro  domande,  perché  queste  non 
apparissoro  troppe.  —  88.  ma  aom  ecc.  Tra 
i  pochi  che  intendono  ohe  Oaodaguida  par- 
lasse «  con  divina  e  angelica  favella  »  e  i  mol- 
tisdmi  che  tengono  eh'  ei  parlasse  latino,  credo 
cho  la  migliore  spiegazione  da  una  di  quello 
recate  dall' Ott,  il  quale  chiosa:  e  Dice  che 
il  suo  parlare  non  fu  con  questa  moderna  fa- 
vella 0  a  dare  ad  intendere  eh»  gli  antichi  no- 
ttri  ebbono  non  del  Mio  il  nostro  idiomataf  o 
vero  a  dimostrare  che  nell'altro  regno  ò  una 
sola  lingua,  partita  dalla  nostra  ».  Caoda- 
guida  insomma  parlava  il  dialetto  fiorentino, 
né  più  né  meno  degli  altri  condttadini  che 
Dante  incontra  per  i  tre  regni  ;  se  non  ohe, 


essendo  vissuto  quad  due  secoli  innanzi,  il 
sao  linguaggio  era  pid  arcaico  rispetto  a  quello 
dd  tempo  di  Dante,  e  perdo  era  un  po'  di- 
sforme dal  oomnne  padare  dd  fiorentini  dd 
trecento  :  che  Oaodaguida  parlasse  in  latino 
è  opinione  nata  e  divenuta  generale,  perché 
egli  saluta  Danto  con  pardo  latine,  delle 
quali  parecchie  sono  limembcaase  vit^Uìane 
(cf^.  Par,  zv  28-80),  snggadto  a  Dante  dalla 
comparadone  con  Anchise  (ivi,  26-27)  ;  e  per- 
ché d  è  inteso  male  il  latino  del  i^.  zvm 
86.  La  fiorentinità  schietta  dd  disoocso  di 
Oaodagnida  meglio  s'aocorda  dd  resto  con 
la  snpposizione  che  Danto  d  figurasse  l' an- 
tenato suo  aver  parlato  fiorentino,  perdié  la 
latino  molto  ooee  e  idee  tutto  medievali  md 
d  sarebbero  espresse;  e  poi  la  parlato  di  Oso- 
dsgoida  non  era  una  trattadone  dottrìaale, 
cui  convenisse  il  linguaggio  ddla  sdonza,  ma 
una  specie  di  serventese,  quali  d  fecero  an- 
che pi6  tardi,  in  lode  di  Firenae  e  in  bm- 
moria  delle  sue  famiglie.  —  84.  Ba  ^aal  eco. 
Dal  giorno  dell' annnndasione  (fWy.  z  40) 
della  Vergine  ossia  dall'  iacamadose  di  Cristo 
alla  mia  nasdta,  il  pianato  di  Marto,  tmmt 
680  voàa  al  mio  Iaoh  a  rinfiatnmarn  woUo  la 
»ìta  pianta,  —  85.  aOa  madra  ecc.  mia  ma- 
dre, ohe  ora  ò  anch'essa  tra  i  beati,  d  sgravò 
di  me  dei  qude  era  gravida.  —  87.  al  sao  eoo. 
questo  piaaeto  Karto,  compiendo  la  sua  dvo- 
ludone,  d  trovò  680  volto  presso  la  oostd- 
ladone  dd  Leone  ad  aooendsrd  di  naovo,  a 
rawivard  di  Inoa  e  di  odore,  sotto  a  questo 
segno  celesto.  Per  detorminara  l'anno  della 
nasdto  di  Oaodaguida  è  da  notare  ohe  Danto 
nel  Oom.  segna  sempre  per  dd  ohe  riguarda 
i  pianeti  le  dottrine  di  Tdomeo,  il  quale  nd 
lib.  TX  àBWÀlmage§to  pone  la  rìvdudona  di 
Marto  oompird  In  686  giorni  e  94  oentadmi 
o  nel  lib.  in  l'anno  tn^ioo  essere  di  866  gioial« 
3  ore,  66'  e  12"  :  posto  ohe  Danto  abbia  sa- 
gnito  anche  qui  il  suo  antore»  le  680  rivo- 
lodoni  di  Marto  oonispondono  ad  anni  1090, 
giorni  806  o  qudoha  ora;  ossia  OaodagnMs 


PARADISO  —  CANTO  XVI 


691 


e  trenta  fiate  veime  questo  foco 
89        a  rinfiammarsi  sotto  la  sua  pianta. 
Gli  antichi  miei  ed  io  nacqui  nel  loco, 
dove  si  trova  pria  l'ultimo  sesto 
42        da  quel  che  corre  il  vostro  annual  gioco  : 
basti  dei  miei  maggiori  udirne  questo; 
chi  ei  si  flìro,  ed  onde  venner  quivi, 
45        più  è  tacer,  che  ragionare,  onesto. 
Tutti  color  eh*  a  quel  tempo  eran  ivi 
da  poter  arme,  tra  Marte  e  il  Batista, 
48        erano  il  quinto  di  quei  che  son  vivi; 


nacque  nel  1090  o  nel  1091.  Questo  ò  il  oal- 
eoU>  dell'Ant.  ,oonforme  all'opinione  del  Lomb., 
Biag.,  Coeta,  Ces.,  Blanc,  Soart  eoo.;  ma  gli 
antichi.  Lana,  Ott,  Bati,  Land.,  VelL,  Dan. 
eco.,  partendo  dall'idea  che  la  riyolnzlono  di 
Marte  si  oompine  in  due  anni,  posero  come 
data  della  nascita  di  Oaodagnida  il  1160,  er- 
rore manifestissimo  :  e  Pietro  di  Dante  e  Cass. 
leggendo  etnqutc&nto  oinquania  t  tre  fiaUf  la 
pongono  di  oonsegnenza  all'anno  1106,  segniti 
da  Vent,  Bianchi,  Fiat.,  Andr.  e  da  altri.  — 
40.  €01  aatielil  eoe.  Alla  domanda  di  Dante 
e  Qnai  fOr  li  rostri  antichi  ?  »,  Caodagnida 
risponde  dicendo  ohe  essi  nacquero,  come  Ini, 
nel  sesto  di  Porta  San  Piero,  perché  l' avere 
lo  case  entro  la  cerchia  primitiva  ò  s^no  di 
antica  cittadinanza.  Le  case  infatti  di  Cac- 
ciagoida,  quelle  stesse  che  poi  furono  di  Dante 
e  dei  suoi  parenti,  erano  nel  popolo  di  San 
Martino  e  guardavano  da  una  parte  verso 
l'antica  torre  della  Castagna  e  dall'  altra  solle 
vie  Bicdarda  e  Santa  Margherita:  ciò  ap- 
pare dal  documento  cit.  in  Par.  xv  91,  e  da 
quelli  di  tempi  posteriori  raccolti  da  E.  Fral- 
lani  e  0.  Gaxgani,  Della  casa  di  Dante,  re- 
laxione,  Firenze,  1865,  e  La  casa  ài  D.  Al, 
M  jFfrmxs,  Fir.,  1869.  Nel  sesto  di  Porta  San 
Piero  abitavano  anticamente  gli  Elise!  (G. 
Vm.,  Or.  IV  10),  famiglia  alla  quale  secondo 
la  maggior  parte  del  biografi  di  Dante,  a  oo- 
minòare  dal  Boccaccio,  apparteneva  Caccia- 
guida  :  ma  di  dò  nuUa  si  pud  affermare  con 
certezza.  —  41.  dorè  ecc.  Nolla  corsa  al  palio 
che  si  faceva  in  Firenze  nella  festa  di  san 
Giovanni,  annual  giooo^  annua  solennità  prin- 
dpale  dd  fiorentini,  i  cavalli  attraversavano 
la  dttà  e  giungevano  noi  sesto  di  Porta  San 
Fiero  presso  le  case  degli  Alighieri  :  vuol  dir 
dunque  Caodagnida  che  le  sue  case  erano 
all'estremità  di  quel  sesto  dalla  parte  del  cen- 
tro di  Firenze.  Secondo  Bf.  Barbi,  BuU,  IV 
2,  qui  sarebbero  invece  accennate  le  case 
degli  EUaei  al  prindpio  della  via  degli  Spe- 
àalL  ~  43.  basti  ecc.  dd  mid  antichi  non 
dirò  altro,  basti  sapere  che  abitavano  nel- 
r àmbito  ddla  prima  cerchia:  chi  fossero, 


doò  quale  casato  portassero,  e  donde  venis- 
sero ad  abitare  in  Firenze  ò  meglio  tacerlo 
che  dirlo.  —  46.  pld  è  tacer  eco.  Sono  pa- 
role chiarissime,  se  d  confrontino  con  quelle 
dell'  hif,  IV 104-106  ;  dal  quale  confante  esce 
manifesto  U  senso  :  ò  più  conveniente  tacere, 
che  ragionare  intomo  alla  nobiltà  di  mia  stirpe 
e  alla  sua  origine;  «  quad  a  dire,  nota  il 
Lana,  l'autore  parrebbe  ingordo  e  non  con- 
tenente in  vanagloria  se  trattasse  più  di  sua 
antichità».  Non  pare  che  questo  silenzio  di 
Cacdagulda  possa  dipendere  da  sola  modestia 
o  da  dedderio  di  nascondere  ignobili  origini 
e  condizioni  dei  suoi  maggiori,  come  inten- 
dono alcuni;  pud  darsi  che  questo  sia  un  ar- 
tifizio di  Dante  per  coprire  d' un  vdo  l' igno- 
ranza in  che  egli  era  di  questo  punto  della 
sua  storia  domestica  (cfr.  D'Ovidio,  p.  513); 
ma  fon'  anche  è  più  naturale  che  Caodagnida 
non  aggiungesse  altro  perché  gli  paresse  d'aver 
detto  abbastanza,  ricordando  che  i  suoi  erano 
una  delle  casate  più  antiche  di  Firenze,  di 
quelle  che  abitavano  nel  centro  ddla  dttà,  e 
gli  sembrasse  opportuno  di  non  insistere  su 
Godesti  particolari  genealogid.  —  46.  Tatti 
e<».  Bìsponde  alla  terza  domanda  di  Dante 
dicendo  che  tra  Pontevecchio,  ove  sorgeva 
la  statua  di  Marte  (cft*.  v.  146),  e  la  chiesa 
di  san  Giovanni  (cfr.  Par,  zxv  8),  al  suo 
tempo  gli  uomini  atti  alle  armi  erano  un  quinto 
di  quelli  del  tempo  di  Dante.  Nd  1300  Firenze 
aveva  drca  settantamila  abitanti,  trentamila 
dei  quali  atti  alle  armi  :  dunque  la  popola- 
zione dd  tempi  di  Cacdagulda  era  di  quat- 
tordicimila, dei  quali  seimila  capad  di  guer- 
reggiare. È  da  crederò  per  altro  che  Dante 
non  abbia  voluto  far  un  computo  statistico 
esatto,  ma  dire  genericamente  che  la  popola- 
zione era  assai  cresciuta  ai  sud  temjd  rispetto 
a  quelli  di  Cacdaguida.  —  47.  da  poter  arme 
ecc.  da  sostenere  armi,  atti  alla  fatica  delle 
armi;  il  vb.  foicre  non  ò  raro  in  questo  senso, 
per  es.  in  F.  Sacchetti,  Novelle  :  e  Gli  parve 
troppo  giovane  da  non  potere  a'  disagi  del 
mare  »,  doè  da  non  poter  resistere.  —  48.  di 
qnel  ecc.  di  quelli  atti  alle  armi,  che  vivono 


692 


DIVINA  COMMEDIA 


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51 


ma  la  cittadinanza,  eh'  è  or  mista 
di  Campi,  di  Certaldo  e  di  FigHine, 
pura  vedeasi  nell'ultimo  artista. 

O  quanto  fora  meglio  esser  vicine 
quelle  genti  ch'io  dico,  ed  al  (Galluzzo 
ed  a  Trespiano  aver  vostro  confine, 

che  averle  dentro,  e  sostener  lo  puzzo 
del  villan  d'Àguglion,  di  quel  da  Signa, 


adesso  ;  non  già,  di  quei  ohe  Ti  abitano  onu 
—  49.  BUI  la  eiUadinaaza  eco.  Caociagnida 
dice  che  la  piooola  cittadinanza  fiorentina  del 
ano  tempo  era  pnia  anche  neUe  classi  sodali 
inferiori,  era  ancora  immane  dalla  mesco- 
lanza che  s'ebbe  ai  tempi  di  Dante  dell'ele- 
mento cittadino  con  l'elemento  contadino,  con 
ala  gente  nnova»  (Jnf,  xri  78):  dovendo 
riconoscere  la  plcciolezza  del  numero,  l'antico 
cittadino  Tanta  il  purissimo  sangne  fiorentino 
dei  saoi  contemporanei,  cittadinanza  omoge- 
nea, nella  qnalo  ormai  erano  scomparse  le 
distinzioni  delle  origini  romane,  fiesolane  e 
fendalL  Cosi  Oaodagoida  si  Ca  strada  a  rap- 
presentare la  Firenze  del  secolo  zn;  e  la  Fi- 
renze (dice  il  Del  Lungo,  DanU^  I  26)  com- 
presa tra  Marte  s  *l  Bo/ùto,  quadripartita 
di  quartieri  e  di  porte,  da  Por  San  Pietro  a 
8an  Brancazio,  da  Por  del  Duomo  a  Santa 
Maria  ;  e  nell'  elenco  degli  Uhutri  eiitadmi^ 
oome  il  caTsliere  di  Palostina  li  chiama,  altri 
già  nU  eakmt  altri  eo$i  grandi  eom»  antiehi^ 
le  singole  caratteristiche  ad  essi  attribuite 
ci  fanno  pur  fede  di  quella  varietà,  ormai  ri- 
dotta ad  unità.  Unità,  am  riposo,  eon  giu^ 
sHxia,  con  gU/ria,  nella  quale  aocoglieransi  e 
formavano  un  sol  corpo  e  le  casate  antichis- 
sime originali,  della  leggenda  e  fesulea  e  ro- 
mana, e  i  venuti  a  città,  e  fatti  ormai  buoiU 
eUtadiniy  dalle  colline  dove  la  conquista  lon- 
gobarda 0  franca  aveva  impiantato  signori  i 
loro  antenati,  e  1  superbi  che  vantavano  ori- 
gini germaniche  e  spada  buona  a  gran  fatHt 
e  i  discesi  giù  da  Fiesole  nel  fiMfoato,  e  gU 
esercitati  nel  reggimento  de'  nascenti  muni- 
cipi!, e  le  famiglie  consolari,  e  lo  episcopali, 
e  lo  privilegiate  dai  Marchesi  di  Toscana,  e 
le  popolari  o  di  piccola  gente^  e  le  onorate  di 
elsa  e  di  pome  doraiij  ciod  di  cavalleria,  e 
infine  le  famiglie  di  fresco  venute,  le  fami- 
glie nuove  ».  —  60.  di  Camp!  ecc.  doÒ  di  fa- 
miglie venute  dalle  grosse  terre  del  contado 
ad  abitare  in  città.  Campi  in  Val  di  Bisen- 
so, Certaldo  nella  Valdelsa,  Pigline  nel  Val- 
damo  superiore  sono  tre  borgate  del  territo- 
rio fiorentino,  di  qualche  importanza  al  tempo 
di  Dante,  ma  oscure  nel  secolo  di  Cacciaguida 
(cfr.  Bepetti,  I  413,  666,  Il  126)  :  il  che  ac- 
cresce il  significato  dispregiativo  delle  parole 
con  le  quali  l'antico  cittadino  lamenta  l' inur- 
barsi dello  famiglie  contadine.  Nò  la  scelta 


di  queste  borgate  è  senza  ragione:  poiché 
Dante,  sorivendo  questo  verso,  ricordava  c«to 
ohe  da  Figline  erano  Tenuti  quei  ftetelli  Fran- 
tesi, usurai  e  mali  oonsigUeri  del  re  di  Frsn- 
cia  (ol^.  Par,  xb  119),  tornati  in  Firenze  con 
Carlo  di  Valoit  (ol^.  Del  Lungo,  DatUs,  1 54- 
66),  e  andie  quel  Baldo  Fini  dottore  di  legge 
che  i  Neri  mandarono  nel  1311  a  sommuo- 
vere il  re  di  Frauda  contro  1*  imperatore  Ar- 
rigo VII  (D.  Compagni,  Or.  m  82)  :  ricordava 
che  da  Cataldo  era  quél  giudioe  Iacopo  d*£l- 
debrandino,  ohe  Ai  dei  Priori  nel  1289  e  poi 
più  tardi  uno  del  faccendieri  di  parte  Nera, 
e  di  quelli  che  ebbero  voce  d'aver  e  distratto» 
Firenze  (D.  Compagni,  O.  i  8,  n  SO).  —  61. 
■ell*«ltlae  ecc.  non  pure  nd  dttadini  grandi, 
ma  nei  pi6  umili  artigiani.  —  52.  0  qwnte 
eoe  Quanto  sarebbe  meglio  per  Firenze  s'ella 
aTosse  ancora  oome  vidne  le  genti  di'  io  dico, 
doò  se  non  avesse  allargato  il  suo  dominio 
sino  a  compronderri  cotesto  genti  contadin», 
e  se  il  confine  del  territorio  fiorentino  foaso 
ancora  al  Galluzzo  e  a  Trsspiano,  a  poca  di- 
stanza dalla  dttà.  —  63.  flallacso:  è  una 
piccola  borgata,  a  due  miglia  da  Firense  snQa 
strada  di  Siena  (Bepetti,  H  888).  —  54:  Tré- 
spiano  X  altra  borgata  ftiorì  della  dttà,  sulla 
strada  di  Bologna  (Bepetti,  V  697).  —  56. 
ohe  aTerle  ecc.  che  avere  in  dttà  queste 
genti  venute  di  contado  e  tollerare  n«i  con- 
sigli, negli  offid  eoo.  questi  villani  anioohitl 
coi  commerd  e  divenuti  autorevoli  oon  l'easr- 
cizio  del  notariato.  —  66.  del  Tillan  d'iga- 
glion  eoo.  Messer  Baldo,  figlio  di  Ouglielmo 
da  A^^uglione  (castello  in  Val  di  Pesa,  detto 
anche  Aquilone),  fti  uno  degli  uomini  di  ori- 
gine contadina  die  ebbero  maggiore  autorità 
in  Firenze  al  tempo  di  Dante,  il  quale  ha  già 
accennato  in  ISsrg,  zìi  106  all'inganno  d«l 
quaderno  alterato  per  consiglio  di  questo  le- 
gista a  vantaggio  di  Nlcoola  Acciaioli.  Di 
Baldo  scrive  il  Dd  Lungo,  DanU^  1 67:  «  Dal- 
l'agitazione democratica  dd  *93  al  trionfo  di 
parte  Guelfk  contro  l' Impero  nd  1812,  il  non» 
di  messer  Baldo,  ohe  Ite  dd  supremo  ma^ 
strato  sei  volte  e  più  altre  ambaadatore  o  sin- 
daco del  Comune,  e  sempre  de*  piò  operosi  • 
autorevoli  ne'  Consigli,  ricorre  quad  ad  og:ni 
pagina  della  storia  di  Hrenze  guelfa.  In  que- 
sto villan  d' A^^uglicne,  di  fami^ia  ghibeUizia, 
Firenze  guelfa  ebbe  il  fomulatore  dd  suo 


PARADISO  -  CANTO  XVI 


693 


67        che  già  per  barattare  ha  l'occhio  aguzzo! 
Se  la  gente,  ch'ai  mondo  più  traligna, 
non  fosse  stata  a  Cesare  noverca, 
60       ma,  come  madre  a  suo  figliaci,  benigno, 
tal  fatto  è  fiorentino,  e  cambia  e  merca, 
che  si  sarebbe  volto  a  Simifonti, 
63       là  dove  andava  Tavolo  alla  cerca. 
SaHasi  Montemnrlo  ancor  dei  Conti; 


giare  con  gli  Ordinam«nti  di  Oinstiila,  e  Te- 
aocatore  dell»  foe  Tondetta  oon  la  Biform»- 
gion»  contro  coloro  che  maledetti  per  Ghibel- 
lini espiarono  eiei  ioli  i  oomnni  peccati». 
Qneata  dforma  di  Baldo  d'Agoglione,  3  set- 
tembre 18U  (Tedila  in  Del  Lungo,  DeUTuiUo 
di  JDoMlf.  Fir.,  1881,  pp.  107  e  segg.),  tra  i 
nomi  degli  esali  ecoettaati  dal  richiamo  reca 
quello  dell' Alifl^iieri,  e  ta  ano  degli  aitimi 
atti  del  barattiere  legista,  ohe  renne  amorte 
poco  di  poL  —  di  qatl  da  Sigma  occ  Messer 
Tasio  dei  Morabaldini  da  Signa  fu  anoh'egli 
dottore  di  legge  e  gran  faooendiero  nella 
adesione  di  parte  Qaellk:  fa  di  quei  Bianchi 
che  alla  eadata  della  loro  ftoione  passarono 
ai  Neri  e  «  furono  ricedti  solo  per  malfue  » 
(D.  Gompagni,  Or,  n  28);  fu  dei  priori  quat- 
tro Tolte  e  nel  1816  gonfaloniere  di  giasti- 
xia  :  nel  1810  ta  mandato  ambasciatore  al  pon- 
tefice Clemente  V  per  sasdtare  difficoltà  ad 
Arrigo  Vn  e  t1  stette  non  inatUmente  più 
mesi  ;  e  per  qaosto  il  sao  nome  d  segnato 
nella  langa  lista  dei  condannati  dall'  impera- 
tore nel  1818  (cl^.  Del  Lango,  H  209,  891, 
899).  ~  66.  Se  la  gente  ecc.  Se  gli  ecclesia- 
stid,  ohe  più  degli  altri  nomini  sono  dege- 
neri, non  fossero  stati  aTTersari  dell'  impero, 
se  insomma  non  d  fossero  state  le  lotte  tra 
la  OUesa  e  l' Impero,  per  le  qaali  qaesto  per- 
do ogni  autorità  in  Italia  eoe  —  la  gente: 
è  la  gente  che  dorrebbe  «  esser  derota  e  lasciar 
seder  Cesar  nella  seDa  »  (Purg,  ti  91),  il  pon- 
tefice e  gli  altri  dignitari  della  Chiesa.  —  60. 
noTerea  t  matrigna;  e  flgnratamente  nemica, 
malerola.  D  Monti,  iVqpoito,  Tol.  n,  p.  i,  p. 
182  dta  a  riscontro  dne  passi  latini,  di  Pe- 
tronio, 8at^,  zxn  :  e  Mercedibas  emptae  Ac 
Tiles  anima»  qaonim  est  mea  Berna  norer- 
ca  »,  e  di  Yelleio  Pateroolo,  n  4  :  «  Hostiam 
armatornm  totiee  clamore  non  territos,  qoi 
possam  Tetro  moreri,  quorum  noverca  est 
Italia  ».  ~ 61.  tal  fatto  ecc.  sono  direntati  dt- 
tadini  di  Firenie  ed  eserdtano  l'arte  del  cam- 
Uo  e  la  mercatore  tali  che  avrebbero  conti- 
noato  ad  esercitare  più  umile  mestiere  in 
contado,  come  fkoeTano  i  loro  Tocchi.  Questa 
tntexpretazione  generica  è  data  dai  più;  se 
non  che  la  menzione  di  Semifonte  (forte  ca- 
stello nella  Val  d*£lsa,  distratto  nel  1202 
dai  fiorentini;  cl^.  G.  Villani,  O.  t  80;  A. 


H.  Bisdoni,  preflss.  alla  falsa  Storia  tUUa 
gvmrra  <U  SmiifonU,  Fir.,  1768;  Hartwig, 
QMfttm  Mfid  Far9Blmngmj  dt  toL  II,  pp.  100 
e  segg.)  parrebbe  richiamare  ad  una  più  de- 
terminata allusione.  GHà  il  Buti  ne  sospettò, 
chiosando:  €  di  cui  dica  non  ho  trorato;  ma 
certo  è  che  di  qualche  grande  e  noaiinato 
dttadino  intese  qui  l'autore  »  :  ma  tra  le  prin- 
dpali  famiglie  fiorentine  di  mercanti  e  cam- 
biatori ftirono  i  Velluti,  Tenuti  appunto  da 
Semifonte  (cfr.  D.  Velluti,  O.,  p.  2),  e  ben 
potrebbe  il  poeta  alludere  a  uno  di  questa 
famiglia,  come  sarebbe  quel  Lippe  che  fa  ddla 
Signoria  che  mandò  in  esilio  Giano  della  Bella 
(D.  Compagni,  Or,  i  18).  Questa  ipeted,  se- 
condo il  Del  Lungo,  IkmUf  H  479,  ha  otti- 
mi fondamenti  nella  cronaca  di  Donato  Vel- 
lati  :  e  la  esteriore  origine  semifontòa  dei  Vel- 
luti, ricordata  con  qualche  compiacenza  nelle 
prime  linee,  e  che  Dante  inrece  arrebbe,  co- 
me Tanagloria  di  gente  a  lui  malaccetta,  mes- 
so in  canzone;  la  dttadina  origine  tutta  mer- 
cantile deDa  famiglia,  ossia  proprio  il  loro 
sssfrri  fata  fiormOM  appunto  mmmttmdo  e 
cambiaruh',  e  finalmente  la  loro  qualità  di 
parteggianti  co'  Neri,  doò  con  la  parte  a  cui, 
in  quel  corrompimento  della  cittadinanza  la- 
mentato da  Cacdaguida,  tante  e  si  brutto 
cdpe  attribuirà  il  poeta  ».  ~  68.  alla  cerea  x 
per  lo  più  s' intende,  a  mendicare,  a  cercare 
l'elemosina  ;  ma  con  miglior  senso  della  realtà 
spiegarono  alcuni  antichi  commentatori,  per 
andar  nelle  campagne,  a  rirender  le  meroi  ai 
rillani  :  il  Daridsohn  intende  inreoe  dell'an- 
dare attorno  a  riscuotere  le  decime  per  il  re- 
scoro iott.  Bull,  TV  100).  —  64.  Sarfasl  ecc. 
Osserva  il  Del  Lungo,  DanUf  1 41,  che  Cacda- 
guida rimpiange  «che  la  oorrazione  guelfa 
arasse,  oon  quelle  audad  democrazie,  con 
quelle  dttadinanze  di  rentura,  sriato  il  mondo 
dalle  serene  idealità  imperiali  che  inradiarano 
l'anima  superbamente  latina  del  cantore  del- 
l'unirorso  ».  —  Montemnrlo  :  ò  un  castello 
tra  Firenze  e  Pistoia,  antico  possesso  dei  oonti 
Oaidi,  i  quali  mal  potendo  difenderlo  contro 
i  pistoied  lo  cedettero  ai  fiorentini  per  de- 
naro :  nd  1209  dice  0.  ViU.,  O.  r  81,  e  ri- 
petono i  commentatori;  ma  i  documenti  pro- 
rane  che  dò  accadde  nd  1254  (DeUxit  (U- 
gU  ind.,   dt,   Tol.  VH,  pp.  191  e  segg., 


694 


DIVINA  COMMEDIA 


— i«-m 


sarfansi  i  Gerelli  nel  pivier  d'Acone, 
66       e  forse  in  Val  di  Greve  i  BuondalmontL 
Sempre  la  confusion  delle  persone 
principio  fu  del  mal  della  cittade, 
69        come  del  corpo  il  cibo  che  s'appone: 
e  cieco  toro  più  avacoio  cade 
che  1  cieco  agnello,  e  molte  volte  taglia 
72       più  e  meglio  una  che  le  cinque  spade. 
Se  tu  riguardi  Luni  ed  IJrbisaglia 
come  son  ite,  e  come  se  ne  vanno 


Vm,  pp.  186  e  segg.)*  —  66.  larÙMil  eoo. 
I  Oarohi  «rano  dol  ^▼ler»  d'Aoone  in  Val 
di  Stare  e  foroiio  di  quelli  ohe  Tennero  ad 
abitare  in  eittà  a  meno  il  eeeolo  zn,  qoando 
i  fiorentini  preearo  e  diifeoero  il  castello  di 
Monleorooe  :  datiai  al  oommecoio,  aniochirono 
molto  presto,  e  già  erano  tra  le  famiglie  no> 
tabiU  di  Por  San  Piero  allorchó  la  dttadi- 
nania  si  dlTise  per  il  Catto  di  Baondelmonte: 
tennero  parte  gaelCa  e  cresdati  di  numero  o 
di  lioohena  acquistarono  noi  1280  le  oase  dei 
oonti  Onidi,  cioò  una  gran  parte  del  sesto  di 
Por  San  Piero  (ofr.  tv.  9A-96);  e  non  si  spo- 
gliarono mai  di  quella  ruTidità  contadina,  per 
ooi  Dante  chiama  »6ivaffgia  {h%f,  ti  66)  la 
parte  Bianca  o  oerchieeca.  Sopra  questa  fa- 
miglia si  leggano  le  belle  pagine  del  Del 
Lungo,  IkmU,  I  89-6A.  —  plTler  eco.  U  fir 
vùn  o  plebanato  d'Acone,  costituito  da  alcune 
parroodìie  nella  Val  di  SisTe  (Bepetti  I  87). 
—  66.  e  ferie  eoo.  I  Bnondalmonti,  o  Buon- 
delmonti,  «  oattani  e  antiohi  gentili  uomini 
di  contado»,  erano  signori  del  castello  di 
Montebuoni  nella  Val  di  GreTe,  del  quale  fo- 
rono  spogliati  dai  fiorentini  nel  1186  e  co- 
stretti a  Tenire  ad  abitare  in  città  (O.  Vili., 
O.  IT  86):  cfr.  anche  tt.  ISA  e  142.-67. 
Sempre  ecc.  B  meeoolarsi  e  soTrapporsi  deDa 
gente  nuoTa  all'antica  dttadinanxa  Ai  sem- 
pre prindpio  di  mali  dttadini  :  cosi  in  Fi- 
renze r  inurbarsi  delle  famiglie  contadine,  di- 
Tenute  forti  di  sùbiti  guadagni  (cfr.  Inf,  zti 
78  e  segg.)*  •  U  rapido  STilnppo  che  ne  segui 
dell'ordinamento  democratioo  furono  causa 
dei  presenti  mali  della  dttà.  Dante  sTolge  a 
modo  suo  e  con  una  serie  di  paragoni  alcuni 
concetti  d'Aristotele  circa  la  separarione  ne- 
cessaria dei  Tari  ordini  dd  dttadini  {cft,  Po- 
lUiea  m  8,  TI  10  ecc.).  —  68.  eeme  del  eerpe 
ecc.  come  il  dbo  e^  s'appom^  d  soTrappone, 
d  aggiunge  in  soTorchia  misura  (cf^.  t.  8), 
ò  sompre  cagione  di  male  al  corpo  umano.  — 
70.  e  eleee  ecc.  Venturi  287  :  «  Con  le  due 
tTHtnag<nt  dd  toro  e  della  spada  esprime  che 
il  crescere  della  popolazione,  anziché  render 
migliore  e  idfi  forte  la  città,  spesso  nd  dTili 
negozi  la  poggiora  o  la  indebolisce.  B  01000 
toro  rappresenta  la  forza  senza  il  senno;  di 


ohe  nd  SaTio  :  MèUor  ttl  taplentSm  qwm  ei- 
rm,  «tvit  pmdmu  quam  forti»  (Si^  ti  1).  E 
TtHM  tpada  significa  ohe  un  sdo  prode  giora 
meglio  ohe  mdti  man  Tdorod  alla  salute 
della  patria.  Sentenza  non  dissomigUante  nella 
BibUa:  Ab  uno  muoio  inMabUaiur  patria: 
tribm  impiorvm  dtatrékrr  (SocL  xtx  5)  ».  — 
«raeelo:  cfr.  £»/!  xrxm  106.  —  71.  Balta 
Talti  eoo.  cfr.  Orssio,  Sai,  i  10, 16  :  «  Bidi- 
oulum  acri  Fortkt»  tt  wuUu»  magnaa  plecnm- 
que  aoeat  rea  ».  —  73.  le  «Inqne  eco.  usa 
questo  numero  determinato,  aTuto  riguardo 
alla  quintuplicata  popoladooe  di  Flranse  (cfr. 
T.48).  —  78. 8t  t«  eoo.  Se  tu  consideri  coma 
antidie  e  fiorenti  dttàsieno  stata  distratta  • 
altre  dttà  siano  dietro  a  rorinare,  non  ti 
parrà  singolare  a  diAdle  a  intandera  coma 
decadano  le  fàmig^:  di  che  darà  eaem^ 
nella  enumeradone  ohe  segue  (tt.  88  e  aegg.), 
essendo  al  tempo  di  Dante  spente  o  Ticine  a 
spegnerd  molte  sdiiatte,  state  iUnstri  nd 
tempo  di  Oaodaguida.  Su  tutta  la  terzina  ott. 
Bassermann,  pp.  240-244.  —  Lvni:  antica 
dttà  etnisca,  sulla  sinistra  dd  fiume  Magra, 
fhila  Toscana  a  la  Liguria,  era  già  rorinata 
al  tempo  di  Dante,  rimanendo  memoria  di  essa 
nd  nome  di  Luniglana  dato  al  paeae  dioo- 
stante  (ofr.  a.  Jung,  La  eUtà  di  Lma  «  U 
tuo  itrritorio,  Modena  1908)  ;  Q.Vm.,  Or,  1 60, 
ood  ne  parla  :  €  La  dttà  di  Luni,  la  quale 
ò  oggi  disfatta,  fu  mdto  antica,  e,  secondo 
che  troTiamo  nelle  storie  di  Troia,  della  dttà 
di  Luni  t'  ebbe  naTiglio  e  genti  all'duto  dd 
gred  contro  ^  troiani  :  pd  ta  disfatta  per 
gente  dtremontana  per  cagione  d'una  donna 
moglie  d'uno  signore,  che  andando  a  Boma 
in  quella  dttà  fu  conotta  d'aToltèro  ;  ondo 
tornando  il  detto  signore  oon  forza  la  distrusse 
e  oggi  è  diserta  la  contrada  e  malsana».  — 
Urblsaglia:  l'antica  Urbo  iSolsiao  Utiisof- 
via  ricordata  da  Plinio,  EUL  noL  m  13,  già 
fiorente  di  edifld  e  di  abitanti,  aorgOTa  nelle 
Marche,  non  lungi  da  Macerata  (cfr.  M.  Ca- 
talani, Origini  s  anUtìtità  fermam.  Fermo, 
1778,  pp.  84  0  segg.).  Di  questa  dttà  lao- 
conta  Prooopio,  n  16,  che  fri  abbattuta  da 
Alarico  :  <  Ita  OTortit  ut  pristini  deooiis  ni- 
hil  d  supersit,  pnteter  unam  admodum  pocw 


PARADISO  -  CANTO  XVI 


695 


75       di  retro  ad  esse  Chiusi  e  Sinigaglia; 
udir  come  le  schiatte  si  disfanno, 
non  ti  parrà  nuova  cosa  nò  forte, 
78       poscia  che  le  cittadi  termine  hanno. 
Le  vostre  cose  tutte  hanno  lor  morte, 
si  come  voi;  ma  celasi  in  alcuna 
81        che  dura  molto,  e  le  vite  son  corte. 
£  come  il  volger  del  ciel  della  luna 
copre  ed  iscopre  i  liti  senza  posa, 
84       cosi  f&  di  Fiorenza  la  fortuna; 
per  che  non  dèe  parer  mirabil  cosa 
ciò  ch'io  dirò  degli  alti  fiorentini, 
87        onde  la  £una  nel  tempo  è  nascosa. 
Io  vidi  gli  Ughi,  e  vidi  i  Catellinì, 


tam,  et  panoas  strnotnne  paYimenti  reliquiae  »  : 
è  da  «TTertire  per  altro  ohe  al  tempo  di  Dante 
era  por  tempre  na  forte  castello,  come  fi  ha 
da  una  carta  del  1297  per  col  Fldeamido  di 
Pietro  signore  del  luogo  impegna  per  sette- 
cento fiorini  d'oro  e  oastrom  Urbesaliae,  cnm 
borgo,  istone,  torrihos,  palatiis  et  omnibns 
aliis  inribns,  fortellitiis  et  generaliter  cnm 
CHnnibns  alUs  terris,  Tineis,  molendinis  et 
posBOosionibns  et  bonis  qnae  habet  in  dieto 
castro,  girone  et  territorio  et  distriotn  castri 
praedioti  >  (cfr.  T.  Benigni,  San  Oimaio  0- 
ktairata  eoH  euUioh»  k^ridi  $d  antddoU  doou- 
mmUij  Fermo,  1796,  app.,  p.  M).  —  76. 
Ckiul:  nna  delle  principali  dttà  etrosohe, 
che  sorge  sopra  una  collina  all'  estremità  me- 
ridionale della  Toscana  nella  Val  di  Chiana: 
nel  BMdioevo  decadde  molto  ed  anche  oggi  d 
loQgo  di  poca  importanxa  (oftr.  F.  P.  Pizzetti, 
AnUehiUà  toteam  s  m  partieoUm  della  oiUà  s 
oontei  di  Okkui,  Siena»  1771-81).  -  SUlga- 
gttas  l'antica  8mM  GalUoa,  che  Dante  ri- 
corda ad  esempio  di  decadensa,  perché  era 
recente  la  memoria  di  nn  saccheggio  sofferto 
da  qnéUa  città  :  infatti  nel  1264  le  milizie  sa- 
racene di  Manfredi  mandata  in  alato  ai  ghi- 
bellini di  Sinigaglia,  e  ompiamente  la  sac- 
cheggiarono e  la  distrassero,  diroccando  con 
indicibile  cradeltà  ed  atterrando  le  mara,  le 
esbbriche  ed  ogni  altro  nobile  edificio  della 
grandezza  romana,  che  in  qualche  parte  dal 
faror  de'  Goti  eran  rimasti  immani  ed  illesi  » 
(L.  Siena,  Storia  della  eittà  di  Sinigaglia^  Sin. 
1746,  pp.  106  e  segg.).  —  76.  eo«e  le  sekiatte 
•co.  È  stato  notato  il  riscontro  oon  dae  Tersi 
di  Batilio  Namaziano,  Mineranum  :  «  Non  in- 
dignemor  mortalia  corpora  soItì  :  Cemimos 
exemplis  oppida  posse  mori  »  (  cfr.  BttlL  X 
262)  ;  ma  più  utilmente  il  Del  Lungo,  Dante^ 
I  81,  riarÀsina  alle  parole  di  Dante  ciò  che 
un  trecentista  fiorentino,  Lapo  da  Oastiglion- 
chio  (Epistola  o  eia  ragionamento  al  figliuolo^ 
Bologna,  1768,  pp.  61-62),  scriveva  a  propo- 


sito di  due  antiche  famiglie,  quei  da  Volo- 
gnano  e  da  Oaona  :  «  Hanifestamento  si  com- 
prende che  essi  fossero  nobili  e  possenti  uo- 
mini È  vero  che  la  loro  ò  si  antica  schiatta, 
che  erano  prima  diaCstte  e  mancanti,  che  tutti 
questi  altri  quasi,  cha  sono  stati  poi  grandi 
e  possenti  nella  detta  dttà,  fossero  comin- 
ciati. S  per  tanto  la  fiuna  d' esse  due  ftuni- 
glie  ò  quasi  Tenuta  in  oblivione  :  non  dico 
che  sieno  Tenuti  in  oblivione  che  non  sieno 
continuo  durati  e  reputati  antichi  e  gentili 
uomini,  e  cosi  sieno  ancora;  ma  dico  che  la 
loro  grandigia  e  chiara  nobiltà  è  quella  che 
ò  venuta  oggi  in  obUvione,  e  non  d  oggi  nota 
comunemente  tra'  cittadini,  come  ohe  per  al- 
cuni che  sono  cercatori  di  tali  cose  pur  si 
sa  ».  —  78.  poscia  eoe  cfr.  Tomm.  d'Aqu., 
Summ,  P.  m  suppl.,  qu.  zcix,  art.  1  :  <  Per- 
petuo homo  non  manet;  etlam  ipsa  dvitas 
deficit  ».  —  79.  Lt  vastre  ecc.  Tutte  le  cose 
terrene  finiscono  come  la  vita  umana;  se 
non  che  di  alcune,  come  città,  famiglie  ecc., 
le  qusli  durano  molto  tempo,  l' uomo  per  la 
brevità  del  suo  vivere  non  pud  Tederò  la 
fine.  ~  82.  B  c««e  eco.  E  come  il  girare 
del  cielo  della  luna,  produoendo  il  flusso  e 
il  riflusso  del  mare,  copre  e  scopre  di  aoqua 
1  lidi  oon  Ticenda  immutabile;  cosi  il  Tarìar 
della  fortuna  (cfr.  Inf,  Tn  78  e  segg.),  per- 
mutando ricchezze  ed  onori  «  d' uno  in  sJtro 
sangue»,  fis  si  ohe  in  Firenze  le  famiglie 
antiche  si  disfacciano  e  le  nuove  si  formino 
e  si  levino  a  potenza.  —  11  volger  ecc.  Nota 
l'Ant.  che  DÙte  non  ha  prevenuto  il  New- 
ton nel  disooprimento  della  legge  della  gravi- 
tazione universale  (cfr.  Inf,  xxzn  78,  xzxrv 
111),  ma  ha  il  merito  d'aTer  scelto  la  sola 
buona  tra  le  opinioni  discordanti  sopra  la  causa 
del  flusso  e  riflusso  del  mare.  —  86.  degli 
alti  ecc.  dei  grandi  e  illustri  casati  fiorentini, 
dei  quali  col  tempo  ò  venuta  meno  la  fama. 
—  88.  Io  vidi  eoo.  Io  vidi  illustri  cittadini 
incominciare  a  decadere  eoo.  oioà  al  mio  tempo 


G03 


DIVINA  COMMEDIA 


Filippi,  Greci,  Ormanni  ed  Alberichi, 
90        già  nel  calare,  illustri  cittadini  ; 
e  yidi  cosi  grandi  come  antichi, 
con  quel  della  Sannella,  quel  dell'Arca, 
03        e  Soldanieri  ed  ArdingHi  e  Bostichi. 
Sopra  la  porta,  che  al  presente  è  carca 
di  nuova  fellonia  di  tanto  peso 
9G        che  tosto  fia  iattura  della  barca, 
erano  i  Ravignani,  ond'è  disceso 


.  1 


erano  dolle  principali  nella  città,  ma  già  voi- 
gerano  alla  decadenza  le  famiglie  Ughi,  Ca- 
tollini  ecc.  O.  Vili.,  Cr.  ir  11-13  dice  che 
e  gli  Ughi  farono  antichissimi...  e  oggi  sono 
spenti  »  ;  dei  Catellini,  pare  e  antichissimi  » 
attesta  che  «  oggi  non  n'  è  ricordo  >;  e  e  oggi 
sono  niente  »  i  Filippi  già  e  grandi  e  possenti  > , 
e  finiti  e  spentì  »  1  Greci,  tramatati  In  Forar 
boschi  gli  Ormanni,  tre  famiglie  del  qaartìere 
di  Por  Santa  Maria;  e  degU  Alberighi  del 
quartiere  di  Por  San  Piero,  «  oggi  non  n'  è 
nullo  »  :  gli  Ughi  e  gli  Ormanni,  famiglie  con* 
solari,  ebbero  magistrati  anche  nel  secolo  xiii 
(DéL  degU  mtd.  toI.  VU,  p.  141;  voi.  IX, 
pp.  20-21).  —  90.  già  nel  ealare  ecc.  male 
alconi  intendono  che  cotesto  famiglie  fossero 
nel  calare  al  tempo  di  Dante  :  che  anzi  nel 
1900  erano  già  spente,  e  la  decadenza  loro 
era  cominciata  sino  dal  secolo  xn.  —  91.  e 
vidi  ecc.  al  mio  tempo  conservavano  la  gran- 
dezza pari  all'  antichità  le  famiglie  della  San- 
nella, dell' Àrea,  dei  Soldaniorl,  degli  Ardin- 
ghl  e  doi  Bostichi.  Queste  casate  duravano 
ancora  al  tempo  di  Dante  :  quei  della  Sannella 
in  Mercato  Naovo,  ma  ridotti,  dice  l'Ott.,  a 
stato  €  assai  popolesco  »  (cft.  O.  Vili.,  O.  iv 
13),  e  un  dei  loro  fa  consigliere  del  Cornane 
noi  1284  (Del  Lungo  I  36);  di  quol  dell'Arca, 
(lol  quartiere  di  porta  San  Pancrazio,  l'Ott. 
dico  che  «  furono  n(Aili  e  arroganti,  e  fecero 
(li  famose  opere,  de'quali  ò  oggi  piccola  fama, 
sono  pochi  in  persone  e  pochi  in  avere  »,  e 
a  dirittura  «  spenti  »  li  dice  Q.  Vili.,  CV.  iv 
12;  i  Soldanieri,  del  quartiere  di  San  Pan- 
crazio, ghibolUni  nella  divisione  del  1215,  e 
come  tali  esiliati  pi6  volte,  e  ultimamente 
nella  proscrizione  del  1302  :  di  essi  quel  Gianni, 
di  cui  cfr.  Inf,  xxxn  121,  e  quel  Mula  che 
era  dei  capi  ghibolUni  nel  1304  (cfr.  O.  Vili., 
Cr.  IV  12,  V  39,  vi  33,  viu  69;  D.  Compa- 
gni, Cr,  II  25);  gli  Ardinghi,  di  Por  San 
Piero,  guelfi  nel  1215,  sebbene  «  molto  anti- 
chi >  (G.  Vili.,  Cr.  IV  11),  erano  al  tempo 
dolI'Ott.  «  in  bassissimo  stato  e  pochi  >  ;  i 
Bostichi,  che  avevano  le  case  in  Mercato 
Nuovo,  furono  guelfi  noi  1215  e  nella  parti- 
zione del  1300  alcuni  Bianchi,  altri  Neri,  e 
questi  ultimi  incrudelirono  tristamente  con- 
tro gli  avversari  (cfr.  G.  Vili.,  O.  iv  13,  v 
89,  VI  33,  79,  vm  39  ;  D.  Compagni,   Cr.  u 


20)  :  poco  dopo  decaddero,  si  che  POtt  li  dice 
t  di  pooo  valore  e  di  poca  dignitate  ».  —  94. 
Sopra  eoo.  Nel  qaartìere  di  Por  San  Pietro, 
iniu  la  porta  vteehia  (0.  VUl.,  t  87),  eraio 
al  tempo  di  Dante  le  case  dei  Cerchi,  ven- 
dute loro  nel  1280  dai  conti  Gnidi  (cfr.  Jbr. 
XVI  106),  cui  erano  pervenute  dai  Bavignini, 
per  il  matrimonio  del  conte  Guido  Guerra  lY 
con  la  bella  Gualdrada  (cfir.  Inf,  xn  87).  La 
sterminata  ampiezza  delle  case  e  laoghi  ac- 
quistati dai  Cerchi  e  il  passaggio  a  questi 
contadini  di  palagi  e  toni,  cui  erano  legate 
memorie  della  piti  antica  •  illastre  nobOtà 
fiorentina,  dovettero  prodarre  nella  cittadi- 
nanza una  grande  impressione;  della  qoale 
sono  eco  questi  versi  di  Dante.  —  cka  al 
presente  eoo.  che  ora  d  dimora  dei  Cerchi, 
famiglia  di  gente  nuova,  tanto  ricca  e  potente 
che  le  sne  private  discordie  col  Donati  diven- 
teranno presto  discordie  cittadine,  e  saranoti 
la  rovina  di  Firenze  (ctt.  la  nota  all'/n/'.  vi 
64).  —  96.  fellenfa  :  con  qnesta  voce,  ohe 
vale  propriamente  tradimento.  Dante  accenna 
pifi  tosto,  e  la  parola  spregevole  sta  bene  in 
bocca  dell'antioo  Caodagnida,  l' intromettessi 
dei  Cerchi  nelle  coee  pubbliche,  il  trasportar 
eh'  essi  fecero  le  inimicizie  private  noi  mezzo 
della  cittadinanza,  dando  origine  alla  sdfisiono 
della  parte  Guelfa  :  cosi  qaeeta  gente,  venuta 
ff  di  piocolo  tempo  in  grande  stato  e  potere  * 
(G.  VUL,  Cr.  vin  89),  fti  rovina  deUa  città 
e  tradì  i  doveri  della  cittadinanza  di  recente 
acquistata.  —  96.  fla  ecc.  sarà  la  rovina  del 
Comune  di  Firenze,  accennato  con  IMma- 
gino  della  barea^  in  relazione  all'  idea  del  ca- 
rico eccessivo  sovrappostosi  ad  esso,  qnando 
le  gare  tra  Cerchi  e  Donati  diventarono  di- 
scordie cittadine:  nello  steeso  modo  Dante 
chiama  barca  eareata  ecc.  in  Par.  vnt  80  il 
governo  di  Boberto  d'Angiò,  per  la  avarizia 
degli  officiali  e  soldati  catalani  aggiuntasi 
alla  sua.  —  97.  erane  1  Bavigaaal  ;  antica 
e  illustre  famiglia  fiorentina  ;  di  essa  al  tempo 
di  Cacciaguida  era  capo  Bellinoione  Berti 
{Piar.  XV  112),  padre  di  Gualdrada,  la  qaale 
a  Guido  Guerra  IV  partorì  molti  figli,  capi 
alle  varie  linee  dei  conti  Gnidi:  Guido  V 
della  linea  di  Bagno,  Tegzimo  di  quella  di 
Modigliana,  Aghinolfo  di  quella  di  Bomena, 
Marcovaldo  di  quella  di  Dovadola;  di  qne- 


PARADISO  -  CANTO  XVI 


697 


il  conte  Guido,  e  qualunque  del  nome 
99        dell'alto  Bellincion  ha  poscia  preso. 
Quel  della  Pressa  sapeva  già  come 
regger  si  vuole,  ed  avea  Galigaio 
102       dorata  in  casa  sua  già  l'elsa  e  il  pome. 
Grande  era  già  la  colonna  del  Vaio, 
Sacchetti,  Giuochi,  Tifanti  e  Barucci, 
105       e  Gkilli,  e  quei  che  arrossan  per  lo  staio. 
Lo  ceppo,  di  che  nacquero  i  Calfiicci, 
era  già  grande,  e  già  erano  tratti 


•tf  ultimo  naoqo»  Guido  Qaem  VI  (JnA  xn 
33),  detto  qui  per  antonomasia  il  conto  Chiido. 
~  96.  e  qsalnnqi*  eoo.  o  quei  rami  delle 
consorterie  degli  Adimari  e  dei  Donati,  ohe 
ebbero  origine  da  doe  sorelle  di  Onaldrada 
entrato  in  quelle  case  (cfr.  tt.  119-120),  e 
perciò  assnosero  il  nome  di  Bellindone  pa- 
dre di  quelle  donne:  infatti  negli  Adimari 
(ofr.  le  loro  memorie  domestiobe  nelle  Del, 
degU  erud,  toI.  XI,  pp.  219-268)  si  trora  nel 
secolo  zm  questo  nome,  per  esempio  nel  pa- 
dre di  qnél  Boonaooorso,  <  potonto  per  la  sna 
oasa  e  ricco  di  possssoioni  »,  ohe  contro  Toso 
cittadinesco  s' imparentò  nel  1267  con  i  conti 
Gnidi  (cfr.  O.  VilL,  Or.  vn  16,  D.  Comp.  Or, 
I  8);  o  Bellindoni  si  chiamarono  i  discen- 
denti di  Ubertino  Donati,  genero  di  Bellin- 
done BertL  —  100.  Qvel  eoo.  Già  ayera  te- 
nuti offlot  pubblid  quel  della  Pressa  :  «  gen- 
tili uomini  »  dei  quartiere  di  Porta  dei  Duomo, 
cacciati  come  ghibellini  nel  1268  e  traditori 
dei  fiorentini  a  Montaperti  (O.  Yììì,,  Or,  iv 
10,  n  66, 78).  — 101.  ed  ats*  ecc.  e  i  Galigai 
erano  già  fregiati  dell'ordine  della  cavalle- 
ria :  furono  i  Galigai  antichi  dttodini  di  Por 
San  Piero  e  Zibellini  nel  1216  (cfr.  G.  ViU., 
Or,  T  89)  :  esularono  con  la  loro  parto  e  cosi 
Tennero  decadendo,  e  nel  1298,  per  un  omi- 
cidio commesso  in  Frauda  da  uno  dd  loro 
in  persona  d*nn  popolano  fiorentino,  ebbero 
distrutto  le  case  a  tonore  dogli  Ordinamenti 
di  giustizia  contro  i  grandi  (D.  Compagni, 
Or,  t  Ì2).  —  108.  Grande  ecc.  Già  erano 
grandi  parecchie  famiglio  che  ancora  fiori- 
scono :  la  colonna  del  vaio  ossia  la  lista  di 
▼aio  era  l' insegna  dei  Pigli,  di  Porto  san  Pan- 
crazio, €  gentili  uomini  e  grandi  »,  ohe  già 
ebber  consoli  nel  secolo  zn  {Del,  dt,  toI. 
Vn,  p.  189)  e  nel  1216  ftirono  ghibellini  (G. 
Vili.,  Or,  IT  12,  ▼  89);  i  Sacchetti,  fàmigUa 
guelfa,  abitanti  in  Por  Santo  Maria  e  molto  an- 
tichi (G.  Vill.rOr.rv  18,  ▼89),  deiquaU  l'Ott. 
dice  che  e  furono  nimid  dell'autore  (ofr.  Inf, 
xzix  27)  e  sono,  giusto  lor  possa,  disdegnod  e 
superbi  »  ;  i  Giuochi,  antidii  ▼assalii  del  Ve- 
scovo, abitanti  presso  Santo  Margherita,  fa- 
mi^ consolare  nel  xn  sec.  {Del,  ▼ol.  VII, 
p.  188),  di  parto  ghibellina  (cfr.  G.  Vili.,  Or, 


!▼  11,  ▼  89,  VI  83)  e  al  tompo  dell' Ott  «  di- 
venuti al  neento  dell'avere  e  delle  persone  »  ; 
i  FiAtnti,  chiamati  poi  Bogolesi,  àbitovano 
in  Por  Santo  Maria,  e  un  dei  loro  ta  tra  gli 
uccisori  di  Buondelmonto  (cfr.  ▼.  186),  tena- 
cissimi ghibdlini  e  perdo  soggetti  alle  dolo- 
rose vicende  della  loro  parto  (cfr.  G.  Vili., 
IV  18,  V  88,  VI  2,  66;  D.  C:k>mp.,  Or.  n  28); 
i  Barucd,  di  Porto  del  Duomo,  ghibdlini  nd 
1216  e  onorati  alcuna  volto  del  consolato  {Del. 
dt,  voL  vn,  141),  e  sod  sino  al  1248  ddla 
grande  compagnia  commerciale  degli  Scali  (G. 
Vili.,  Or,  IV  10,  V  80,  39,  vi  88;  Del  Lungo 
n  216),  e  furono  pieni  di  ricchezze  e  di  leg- 
giadrie», dice  rott,  ma  «oggi  sono  pochi 
in  numero  e  senza  stoto  d'onoro  dttadino  »  ; 
i  GaUi,  di  Mercato  Nuovo,  di  parto  Ghibd- 
Una  (G.  Vili.,  Or,  iv  18,  v  89),  dd  quaU  dice 
r  Ott  che  «  caddero  al  tompo  dell'autore  in- 
fine all'ultimo  scaglione,  nò  credo  che  mai 
si  rilievino  »,  alludendo,  penso,  alla  distru- 
zione delle  loro  case  fatto  nel  1293  (G.  Vili., 
Or,  vm  1),  primo  disfacimento  ohe  si  facesse 
secondo  i  torribili  Ordinamenti  di  giustizia 
(cTr.  Dd  Lungo  II  53);  e  quei  che  si  vergo- 
gnano dello  staio  falsato  da  un  dei  loro,  cioò 
i  Chiaramontesi,  del  quartiere  di  Por  San 
Piero,  che  ebber  consoli  nd  1202  {Del,  cit, 
vd.  vn,  p.  141),  gudfi  nd  1216,  bianchi  nel 
1300  e  travolti  nella  rovina  della  loro  parto 
(G.  VUl.,  Or.  IV  11,  V  39).  —  106.  the  ar- 
rossan ecc.  cfr.  Purg,  xn  106.  —  106.  liO 
ceppo  ecc.  La  consorteria  dei  Donati  era  gi:\ 
grande  e  divisa  in  più  rami,  i  Donati,  i  Cal- 
fucd,  gli  Uccellini,  i  Bellincioni,  tutti  guelfi 
nel  1216  :  dice  l' Ott  che  «  li  Donati  spen- 
sero li  detti  loro  consorti  Calfuod,  si  che  oggi 
nullo  o  uno  solo  se  ne  mentova  o  pochissi- 
mi »  ;  per  la  quale  testimonianza  .par  che  la 
parola  nacquero  sia  da  intondere  ironicamento, 
come  nuova  censura  che  il  poeto  rivolge  alla 
casato  dd  Malefami  (cfr.  Purg,  xxiv  82,  J^. 
IV  106).  —  107.  erane  tratti  ecc.  già  ave- 
vano ottonuti  i  primi  offid  dd  Comune,  già 
erano  famiglie  consolari  {Del,  dt.  voi.  VUJ, 
pp.  188,  140,  142),  i  SizU  e  gli  Arrìguod,  gli 
uni  e  gli  altri  di  Porto  dd  Duomo  e  di  parto 
guelfa  (G.  Villani.  Or.  iv  10,  v  89);  e  quasi 


698 


DITINA  COMMEDIA 


108       alle  curale  Sizii  ed  Arrigucoi. 

O  quali  io  vidi  quei  die  son  disf&tti 
per  lor  superbia!  e  le  palle  dell* oro 
111        fìorian  Fiorenza  in  tutti  suoi  gran  òAiu 
Cosi  &oean  li  padri  di  coloro 
che,  sempre  ohe  la  vostra  chiesa  yaca, 
114       si  fEuino  grassi  stando  a  consistoro. 
L' oltracotata  schiatta,  che  s*indraoa 
retro  a  chi  fugge,  ed  a  ohi  mostra  il  dente 
117        o  ver  la  borsa  com'agnel  si  placa, 
già  venia  su,  ma  di  picciola  gente, 


spenti  nel  tempo  di  Dante,  secondo  l'Ott: 
uno  del  Sid  to.  loprast&nte  alle  oaxoeii  nel 
1286,  e  uno  degli  Amgoooi  del  conslgUerì 
del  Comune  nel  1282  (Del  Longo  1 80,  n  ICA). 

—  106.  ernie:  sedie  curali,  seggi  del  m»- 
gistntL  —  109.  0  «vali  eoo.  Io  vidi  nel  loro 
splendore  gli  XTberti,  eli  quali,  dice  l'Ott., 
furono  in  tanta  altezza,  infino  a  ohe  non  renne 
la  divisione  della  parte,  ohe  si  potea  dire  che 
quasi  fossero  padri  della  dttade  »  :  parenti 
della  Csnolulla  rifiutata  da  Buondelmonte,  pre- 
sero parte  all'uoolsione  di  lui  e  si  fecero  capi 
di  parte  Ghibellina,  di  evi  seguirono  le  vi- 
oende  dolorose  (cfr.  Inf,  x  46,  60,  61),  eo- 
oettnati  sempre  da  ogni  perdonansa  fatta  agli 
esuli  :  e  erano  stati  (dice  D.  Oomp.,  Or,  n 
29)  rubelli  di  loro  patria,  né  mal  mersó  né 
m^erloordia  trovorono  ;  stando  sempre  fuori 
in  gprande  stato;  e  mai  non  abbassorono  di 
loro  onore,  però  che  sempre  stettono  con  ro, 
e  con  signori  stettono,  e  a  gran  cose  si  die- 
rono  »  :  delle  varie  vicende  di  questa  fiuni- 
glia  neU'esiUo  si  veda  B.  Benier,  LiHeh« 
tdiU9din$d,diF.  degU  I72w«,  Fironze,  1881. 

—  110.  •  le  pali*  eoo.  e  i  Lamberti,  che 
hanno  per  insegna  le  palle  d'oro  in  campo 
azzurro,  illustravano  Firenze  in  ogni  impresa 
della  città.  I  Lamberti,  stirpe  d'origine  ger- 
manica, fturono  di  quelle  fisuniglie  di  cavalieri 
onde  il  Cknnune  s'aiutò  alla  conquista  del 
contado  e  ad  abbattere  la  feudalità  rurale: 
abitarono  in  Porta  San  Pancrazio  ed  avendo 
avuto  mano  nell'uccisione  di  Buondelmonte 
(cfr.  B*f.  zxvin  108,  107),  seguirono  parte 
Ghibellina  e  le  sue  vicende,  e  il  loro  nome 
quasi  scomparve  dalla  storia  fiorentina  (ib. 
109).  —  112.  11  padri  ecc.  gU  antenati  dei 
Visdofflini  e  dei  Tosinghi,  funiglie  di  parte 
guelfe  nel  1216  e  di  parte  nera  nel  1800,  che 
avevano  U  diritto  d'amministrare  1  beni  del 
vescovado  di  Firenze  in  tempo  di  sede  va- 
cante ;  perciò  dice  Dante  ohe  quando  la  chiesa 
fiorentina  ò  vacante  queste  due  femiglie  in- 
graastmo  Hando  a  eonai$hrOf  arricchiscono 
delle  rendite  episoopaU.  Cosi  intendono  gli 
antichi  commentatori  e  aggiungono  ohe  i  To- 
singhi furono  un  ramo  dei  Viìdomini,  oome 


attesta  anche  G.  ^^llani,  O.  ir  10,  die  gli 
uni  e  gli  altri  ehlama  «  padroni  e  difenditori 
del  vescovado  ».  —  116.  X'oltraeetate  ecc. 
L'insolente  consorteria  degli  Adimaii  giàc»- 
scevm,  ma  di  basso  stato.  Gli  Adimaii  (detti 
pximitivamente  d§  Adalmani§),  di  parte  goelfe 
nel  1216,  erano  d'origine  germanioa  e  diveo- 
nero  potenti  per  gli  illustri  parentadi  stretti 
coi  Bavignani,  coi  Guidi,  con  g^  Ubaldiiii  e 
oon  altre  oase  magnatizie  e  feudali:  nella  dt- 
soordia  del  1800  alcuni  tennero  eoi  ™^»y?^it 
altri  ooi  Neri,  ma  tutti  ugualmente  ftueno 
festosi  e  violentL  La  loro  oonsortarCa  era  di- 
visa in  più  rami.  Algenti  (cfr.  Inf,  vm  82), 
Aldobrandi  (cfr.  Inf,  xvi  40),  Oavicctnli  (ofr. 
iV*  xiz  19);  oon  alcuno  dei  qnaU  per  che 
avessero  putioolari  inimicizie  ^  Al^ldoi  o 
almeno  il  poeta  (cfr.  Ittf,  vm  89):  forse  per- 
chó,  oome  attestano  alcuni  degli  antichi  eoai- 
mentatori,  Boocaodo  Cavicduli  (uocisore  di 
Gherardo  Bondoni  nel  1806,  cfr.  D.  Oompa- 
gni,  O.  ni  20)  occupò  i  beni  di  Dante  esule. 
—  s'indraea  eco.  diventa  feroce  oome  drago 
contro  ohi  ftagge  per  paura,  e  si  fia  timida 
come  agnèllo  verso  òhi  le  mostra  i  denti  o 
la  borsa.  —  118.  dì  pleelela  gente  :  eraeo 
gli  Adimari  di  umile  origine,  di  stirpe  oeoum; 
e  perdo  ad  libertino  Donati,  marito  d'una 
Bavignani,  dispiacque  ohe  BeUindone  Berti 
desse  una  figliuola  a  un  Adimari;  il  fetto  ciie 
deve  essere  accaduto  nella  seconda  metà  età. 
secolo  zn,  è  cosi  raccontato  dall' Ott:  «  [QU 
Adimari]  a  tempo  di  messer  Gacdaguìda  eimao 
si  piocoU  e  nuovi  dttadini,  che  non  pSaoquo 
a  messer  Ubertino  Donato  d'essere  loro  p»> 
lente,  quando  egli  volevano  torre  una  de'  Ban 
vignani  per  moglie,  la  òui  airoochia  meessr 
tJberttno  aveva  sposata;  il  quale  messer  Uber- 
tino disse  die  non  voleva  ch'egli  l'avesse, 
si  come  non  tanto  nobile  ».  Biq^etio  allo  stato 
degli  Adiauuri  nd  seodo  xuy  Dante  d  ft*^*BTtit 
a  una  opinione  corrente  in  Firenae  obe  li 
feceva  di  recente  nobiltà,  mentre  erano  no- 
bili assai  antichi,  signori  di  Monte  Gnaleedl 
e  consorti  dei  conti  Alberti  ;  oome  ha  dim^ 
strato  il  Davidsohn,  Chteh.  von  Jfcrsm,  tqL 
I,  il  quale  perdo  dubita  se  questi  i 


PARADISO  -  CANTO  XVI 


699 


si  che  non  piacque  ad  Ubertin  Donato, 
120        che  poi  il  suocero  il  fò'lor  parente. 
Già  era  il  Caponsacco  nel  mercato 
disceso  giù"  da  Fiesole,  e  già  era 
123        buon  cittadino  Giuda  ed  Infieuigato. 
Io  dirò  cosa  incredibile  e  vera; 
nel  piociol  cerchio  s'entrava  per  porta, 
126        che  sì  nomava  da  quei  della  Pera. 
Ciascun  che  della  bella  insegna  porta 
del  gran  barone,  il  cui  nome  e  il  cui  pregio 
129        la  festa  di  Tommaso  riconforta, 
da  esso  ebbe  milizia  e  privilegio; 
avvenga  che  col  popol  si  raduni 


da  lifetlre  agU  Adimarì  (ofr.  BuU.  IV  97). 
—  119.  ata  plMfi«  eoo.  si  intenda:  le  con- 
dizioni dalla  famiglia  Adimaxl  non  sodiaftu»- 
▼mno,  non  piacevano  a  Ubertino  Donati,  il 
qoalA  poi  ta  Ciotto  loro  parente  dal  snooe- 
XD  Belìindone  Berti  :  il  costrutto  ò  secondo 
la  sintassi  antica,  ohe  ammette  la  lipetlsio- 
ne  in  forma  dimostratiTa  (U  f$')  dell'  og- 
getto già  espresso  in  forma  relatlTa  ieh$  il 
BWfetro  fa'  )  :  quindi  non  è  necessario  leg- 
gere, come  fiHmo  i  pi6,  òhe  *l  svooero  il  fch 
0SSJS.  —  121.  CUà  era  eoe.  I  Caponsacchi, 
Tenuti  da  Fiesole,  averano  le  loro  case  sol 
Mercato  Vecchio,  ove  sorse  alta  e  snperba 
la  loro  torre  :  ebbero  consoli  e  podestà  nel 
secolo  xu  {IML  dt,  voL  VII,  p.  188);  nel 
1216  seguirono  parte  Ghibellina,  e  oosi  soom- 
panrero  presto  dalla  scena  della  storia  fioren- 
tina (ofr.  a.  VUL,  Or.  IV  11,  V  89,  VI  8», 
66).  —  122.  già  era  eoo.  già  erano  buonieit' 
l4adini,  nel  senso  statuale  mostrato  dal  Del 
Lnngo,  n  158,  di  cittadini  ragguardevoli,  di 
conto,  specialmente  per  censo  e  offld  soste- 
nntL  "  128.  fliida  eoo.  1  Gladi  e  gì' Infan- 
gati, famiglie  consolari  nel  sec  xu  {Del,  dt 
voi.  Vm,  p.  188;  voi.  IX,  p.  4)  e  nel  1216 
ghibelline,  quelli  abitanti  in  San  Pietro  Sohe- 
raggio,  questi  in  Mercato  Nuovo  :  dei  Giudi 
dice  r  Ott  oh'  erano  e  gente  d'alto  animo  e 
molto  abbassati  d'onore  e  di  persona  »,  e  ohe 
al  tempo  di  Dante  fturono  seguaci  dei  Oerchi 
ed  esuli  con  loro;  degl' Infangati,  ricordati 
tra  i  grandi  da  G.  Villani,  Or,  Vf  18,  dice 
r  Ott  eh'  erano  e  ghibellini  disdegnosi  »,  e  a 
teaupo  suo  e  basd  in  onore  e  pochi  in  nu- 
mero ».  —  124.  Io  dirò  eoo.  Ti  sembrerà  cosa 
incredibile,  ma  ò  pur  vera,  che  una  delle 
porte  della  vecchia  cinta  ebbe  il  suo  nome 
di  porta  Penutxa  da  quei  della  Pera,  famiglia 
che  ora  ò  spenta.  Gosi  spiega  l' Ott,  accura- 
tissimo in  queste  erudizioni  fiorentine;  e  la 
sua  sposizione  ò  confermata  da  un  passo  di 
G.  Villani,  Or,  nr  13,  ove  dice  che  la  po- 
stfaila  dietro  a  San  Pietro  Scheraggio  era 


detta  una  volta  porta  Penuza  perohó  v'erano 
le  case  di  quelli  della  Pera,  onde  secondo  al- 
cuni disceeero  i  Peruzd,  gran  mercanti  e  cam- 
biatoli nel  due  e  trecento.  I  commentatori 
moderni  intendono  quasi  tutti  in  tutf  altro 
senso,  cioè  ohe  in  Fironxo  si  vivesse  tanto 
alla  buona  da  dare  a  una  porta  della  città  il 
nome  d' una  privata  funiglia;  ma  ò  interpre- 
tazione senza  fondamento,  perohó  in  ogni 
tempo  si  usò  di  trarre  dai  nomi  di  funiglia 
gli  appellativi  per  vie,  plasze,  porte  ed  altri 
luoghi  pubblicL  —  127.  Ciaseu  eoo.  Tutte 
le  famiglie  ohe  portano  l' insegna  (quella  cioà 
delle  e  sette  doghe  vermiglie  e  bianche  »,  ofr. 
V.  Borghinl,  Diaoorwiy  H  681),  di  Ugo  il  gran- 
de, marchese  di  Toscana,  Ibrono  da  lui  deco- 
rate della  cavalleria  e  di  privilegi  nobiliari, 
sebbene  alcuno  di  quelle  famiglie  si  sia  mes- 
so a  questo  tempo  col  popolo.  Bacconta  G. 
Villani,  Or,iy  2  che  «  vivendo  il  detto  mar- 
chese Ugo  fece  in  Firenze  molti  cavalieri 
della  schiatta  de*  Giandonati,  de'  Puld,  do' 
Nerli,  de'  conti  da  Gangalandi  e  di  quelli 
della  Bella,  i  quali  tutti  per  suo  amore  riten- 
nero e  portarono  l'arme  sua  addogata  rossa 
e  bianca  con  diverse  intrassegne  »,  e  altrove 
(Or,  IV  18)  registra  tn  questi  privilegiati  da 
Ugo  marchese  anche  i  CXnflisgni:  di  cotesto 
famiglie  parla  qui  Dante.  —  128.  4el  gran 
ecc.  di  Ugo  figlio  del  marchese  Umberto  e 
della  contessa  Villa,  che  ta  marchese  di  To- 
scana prima  del  961,  duca  di  Spoleto  nd989, 
marchese  di  Oamerino  nel  996,  e  mori  il  giorno 
di  san  Tommaso  Apostolo  nel  1001  (ofr.  Har- 
twig,  Quellm  %md  Fonótwmgm^  voL  I,  p.  86) 
e  fu  sepolto  nella  Badia  fiorentina  da  lui  edi- 
ficata, ove  ogni  hanno  si  facevano  nella  fe- 
sta di  san  Tommaso  solenni  esequie  in  sua 
memoria  (ofr.  P.  Pucdnelli,  Istoria  dólUeroi- 
che  aitùmi  di  Ugo  il  grand»,  duca  della  To- 
scana eoe,  Milano,  1643).  —  130.  milizia  e 
privilegio:  l'ordino  deUa  cavalleria  e  la  con- 
cessione di  portare  la  sua  insegna.  -~  181. 
a? f  eaga  «ht  eoo.  sebbene  nel  tempo  presente 


700 


DIVINA  COMMEDU 


132       oggi  colui  ohe  la  fascia  col  fregio. 
Già  eran  Gaalterotti  ed  Importuni; 
ed  ancor  sarla  Borgo  più  quieto, 
135       se  di  nuovi  yicin  fossOT  digiuni 
La  casa  di  che  nacque  il  vostro  fleto, 
per  lo  giusto  disdegno  che  y'ha  morti 
188       e  posto  fine  al  vostro  viver  lieto, 
era  onorata  ed  essa  e  suoi  consorti  : 
0  Buondalmonte,  quanto  mal  fuggisti 
111        le  nozze  sue  per  gU  altrui  conforti I 
Molti  sarebbon  lieti,  Ahe  son  tristi, 
se  Dio  t'avesse  conceduto  ad  Ema 
Id  1       la  prima  volta  che  a  città  venisti  ; 
ma  conveniasi  a  quella  pietra  scema 


abbia  lawslato  la  parta  del  nobili  per  mettersi 
col  popolo  Giano  della  Bella,  che  per  suo 
stemma  porta  le  qoattro  sbarre  dell'insegna 
di  Ugo  maroliese,  oiroondat»  da  un  firegio. 
Oli  antichi  commentatori,  i  più  dd  qnali  in- 
tendono per  a  gran  baione  Cario  I  d'Angiò 
e  per  Tommaso  l'Aqninate,  non  dicono  a  chi 
allnda  Dante  :  solo  Gass.  crede  ohe  accenni 
alla  famiglia  Della  Bella  in  genere;  ma  più 
giustamente  i  moderni  trovano  indicato  Qiano, 
il  gran  cittadino  che  in  vantaggio  del  popolo 
promosse  nel  129S  la  riforma  popolare  degli 
Ordinamenti  di  giustizia  oontro  i  grandi  e  poi 
perseguitato  e  condannato  lasciò  la  patria  e 
andò  a  esercitare  la  mercatora  in  Francia, 
ove  mori.  Si  noti  che  lo  parole  di  Dante 
sono  di  e  vero  e  proprio  rimprovero  verso 
chi,  immemore  d^  sua  antica  nobiltà,  si 
raduna  col  partito  dei  plebei,  e  questo  xìm- 
provero  concorda  perfèttamente  con  tutte  le 
idoe  politiche  di  Dante  »  (O.  Salvemini,  BuU. 
IX  114).  —  ti  ramini:  il  vb.  radunarsi, 
come  presso  altri  antichi  il  vb.  ùceoxxani, 
ha  qui  il  significato  di  mettersi  d'accordo,  te- 
ner la  stessa  parte  d' un  altro.  —  188.  61à 
eran  ecc.  Oià  fiorivano  i  Gualterotti  e  grim* 
portuni,  famìglie  del  Borgo  Santi  Apostoli, 
che  nella  divisione  del  1216  seguirono  parto 
Guelfa  (G.  ViU.,  O.  iv  18,  80):  i  Guaite- 
rotti  per  altro  ebbero  nel  1268  tre  del  loro 
banditi  come  ghibellini  (LM,  cit.,  voL  Vm 
p.  260)  ;  e  al  tempo  dell'  Ott  erano  e  pochi 
in  numero  e  meno  in  onore  »,  e  gì'  Importuni, 
che  avevano  avuto  un  console  nel  1176  {Del. 
cit.,  voi.  IX,  p.  4),  erano  quasi  spenti.  — 
134.  ed  ancor  ecc.  e  il  Borgo  Santi  Apoetoli, 
abitato  dai  Ghialtorotti  e  dagl'  Importuni,  sa- 
rebbe più  quieto  se  essi  non  avessero  avuto 
nuovi  vicini  i  Bnondelmonti,  che  vennero  ad 
abitare  in  città  dopo  la  disfatta  del  loro  ca- 
stello di  Montebuoni  nel  1186  o  che  furono 
cagione  della  partizione  del  1216.  —  186.  La 
eaia  eoe  La  casata  degli  Amidei  onde  nac- 


que con  la  divisione  in  gnélfl  •  ghibelUnJ  Q 
pianto,  la  rovina  della  dttà,  em  onorata  essa 
e  tutta  la  ma  consorteiia.  —  41  tkm  mMitqm* 
eoo.  Accenna  al  fatto  nooontato  dai  oraiìsti 
iWentini  (G.  Villani,  Or,  ▼  88;  D.  Compa- 
gni, Or.  I  2;  P.  Fieri,  Or.  p.  16;  M.  Sta- 
Huil,  M.  n,  64;  Hartwlg,  QutOm  eoo.  voL 
n,  pp.  228,  273  eoe)  dell'  noeisione  fi  Bncm- 
delmonte  Bnondelmonti,  per  opera  dagli  Uter- 
ti,  Lamberti,  Fi£uiti  e  Amidei,  per  l'affronto 
Slitto  a  questi  ultimi  con  l'abbandoiio  d'una 
donsella  degli  Amidei  eh'  egli  aveva  promeasa 
spota  :  questo  fktto  accaduto  nel  1216  tu  oo- 
cMlone  a  una  partizione  della  dttadinanxa 
in  gnélfl  e  ghibellini,  sebbene  1  germi  di  tale 
divisione  fossero  anteiioiL  —  188.  vectre 
virer  liete  :  ctt.  Par.  xv  97  e  aegg.  — 139. 
i«ol  eoBiortl  s  erano  della  oontortecfa  de^ 
Amidei,  secondo  antichi  commentatori,  gli 
Uooellini  e  i  Gherardini.  — 140.  qnaate  eoo. 
oon  quanto  danno  per  te  e  per  Firenze  tog- 
gisti  le  none  con  la  donzella  degfi  Amidei, 
seguendo  l  oonsiglt  di  GnaUrada  dei  Doaiati, 
che  ti  preeentd  la  fissola  sua  e  tn  la  to- 
gUesti  in  mog^e.  —  142.  Malti  eoe.  Molti 
cittadini  rovinati  per  queste  discordie  sareb- 
bero lieti  e  contenti,  se  la  prima  volta  die 
tu  venisti  a  Rrenze  Dio  f  avesse  lasciato  af> 
fogare  nel  fiume  Ema.  Bnti  :  e  Benché  lo  ca- 
sato suo  [di  Buondelmonte]  ftisse  già  dinanti 
in  Fiorenza,  molti  n'  erano  rimasi  anco  oone 
Cattaui  e  gentili  nomini  nel  oontado,  dei  quali 
fu  questo  messer  Buondalmonte,...  che  gio- 
vanetto venne  del  oontado  a  stare  ooOi  altri 
suoi  consorti  in  Fiorenza...  Sbu  ò  uno  ftane 
in  Valdigrieve,  nel  quale  messer  Boondal- 
monte  ta  per  affogare,  quando  lo  pasaò  la 
prima  volta  per  venire  a  Fiorenza  >  :  ò  rao- 
conto  troppo  particolareggiato,  e  foiee  in  gran 
parte  inventato  dal  commentatore;  ma  gli  al- 
tri antichi  non  ne  dicono  nulla.  —  146.  au 
eesTenfatl  eco.  ma  alla  rotta  statua  di  Marta, 
posta  in  oapo  del  Fonte  veoohloCefr.  itf.  xm 


■^"  '■■  ■ 


PARADISO  -  CANTO  XVI 


701 


147 


160 


154 


ohe  guarda  il  ponte,  che  Fiorenza  fesse 
Yitidma  nella  sua  pace  postrema. 

Con  queste  genti,  e  con  altre  con  esse, 
vid'io  Fiorenza  in  si  £Ettto  riposo, 
che  non  ayea  cagion  onde  piangesse; 

con  queste  genti  vid'io  glorioso 
e  giusto  il  popol  suo,  tanto  che  il  giglio 
non  era  ad  asta  mai  posto  a  ritroso, 

né)  per  diyision  fatto  yermiglio  ». 


U6),  ben  si  oonreniTa  ohe  Firanxe  ilieeno 
olooMuto  di  Tittime  nmane  nel  momento  in 
ool  ebbe  termine  il  e  bello  e  riposato  riveie  » 
delU  oittadinan»  antica.  UcoiimUatiàì  Dante 
a  richiama  alla  mente  la  iìMaatà  d'infloni 
tribnita  dal  floxentini  alla  etatoa  di  l£arte, 
fatalità  d*  influssi  coi  il  popolo  oredifTa,  se- 
condo ohe  attesta  l' Ott  scrivendo  :  «  iioona 
idolatria  si  parsa  per  li  cittadini  contenere 
in  qnella  statua»  ohe  craieano  ohe  ogni  mu- 
tamento oh*  ella  avesse  fosse  segno  di  futuro 
mutamento  della  cittade».  —  146.  florenia 
eoe.  L' uccisione  dL  Buondelmonte  accadde  la 
mattina  dsUa  Pasqua  di  Bisuneiione  del  1215, 
sotto  la  statua  di  Marte  in  capo  del  Ponte 
recchio  :  «  in  quello  giorno  si  oomlndò  la  di- 
struzione di  Firenze  >,  dioe  un  cronista  an- 
tico (Hartwig,  QusUmeoo.  dt  roL  II,p. 228), 
•  questo  ripetono  tutti  gli  storici  della  città, 
notando  che  il  Catto  fu  occasione  alladisoor^ 
dia  di  parto  Quelfa,  guidata  dai  Buondel- 
monti,  e  di  parte  Ohlbellina,  capitanata  da- 
gli UbertL  —  US.  Gen  queste  eco.  Con  queste 
famiglie  e  con  altre  ch'io  tralascio  ridi  Fi- 
renze Tivere  in  tale  tranquillità  e  pace  (cfr. 
Par,  TV  180)  ohe  non  aveva  alcuna  cagione 
di  piangere  i  mali  dttadinL  — 161.  eon  que- 


lle eoe  con  queste  fiioiiglle  la  dttadlnanza 
fiorentina  «ra  cosi  gloriosa  e  giusta  ohe  il  gi- 
glio bianco,  antica  insegna  del  Comune,  non 
era  mai  trascinato  dal  nemid  vittoriod  a  ro- 
vesdo  dell'asta,  nò  trasmutato  ancora  per  d- 
viU  discordie  in  giglio  rosso.  — 168.  non  era 
ecc.  Accenna  ad  uno  degli  schemi  che  i  vin- 
dtori  d'un  Comune  solevano  fare  nel  me- 
dioevo, trascinando  pel  campo  di  battaglia 
r insega dd  vinti  con  l'asta  rovesciata:  e  ohe 
ddl' insegna  fiorentina  fosse  fatto  qualche 
volta,  abbiamo  notizia  certa  per  dò  ohe  un 
cronista  antico  (pubb.  da  A.  Ceruti,  nd  iVo- 
pugnaton^  voL  VI,  parte  I,  p.  60)  racconta 
dd  trionfo  dd  Sened  dopo  Montaperti,  che 
«  innanri  a  tutti  andava  uno  delli  ambascia- 
tori de'  Fiorentini, ...  a  cavallo  in  su  uno  asi- 
no, e  strascinava  la  bandiera  ovvero  standar- 
dodel  comune  di  Firenze».  —  164.  né  per 
dlvlslOB  ecc.  n  giglio  bianco  in  campo  roaso, 
antica  insegna  dd  Comune,  dopo  la  gaerra  di 
Pistoia  dd  1261  fu  assunto  dai  ghibellini  come 
segno  delia  loro  parte;  e  i  guelfi  la  muta- 
rono in  quella  del  giglio  rosso  in  campo  bian- 
co, che  al  sormontare  delia  loro  parte  diven- 
ne insegna  dd  Comune  :  ofr.  G.  Villani,  Or, 
VI  43. 


CANTO  XVII 

Dante  domanda  a  Caooiagnida  schiarimenti  intomo  alle  sae  vicende  fu- 
ture; e  Caociagnida  rispondendo  gli  predice  la  sventura  e  i  dolori  delPesilio 
e  lo  esorta  a  non  odiare  per  questo  i  Buoi  concittadini,  poiché  la  sua  no- 
minansa  sarà  etema.  Infine  Dante,  dubbioso  di  manifestare  o  no  agli  uo- 
mini ciò  che  ha  veduto  nel  suo  viaggio  oltremondano,  ò  confortato  da  Cac- 
ciagnida  a  dir  tutta  la  verità  [14  aprile,  ore  antimeridiane]. 

Qual  Tenne  a  Olimene,  per  accertarsi 

dettegU  da  Bronetto  Latini  (Inf,  xv  61-72)  e 
da  altri  {Purg,  vni  188-189,  xi  188-141)  in- 
tomo al  corso  ftituro  della  sua  vita  :  era  natu- 
rale quindi  ch'egli  pensasse  a  chiedere  schia- 
rimenti su  dò  all'antenato  cortese,  dedde- 
randodi  conoscere  da  lai  la  vorìtA,  e  sperando 
che  Caodaguida  gli  potesse  ehiosar  il  testo  (cfr. 
h%f.  XV  89)  delle  profezie  di  Farinata  e  di 


XVn  1.  4ual  vsBue  eoo.  n  discorso  di 
Caodaguida  sopra  l'antioa  Firenze,  essendod 
chiuso  con  un  accenno  alla  partirione  ddla 
dttadlnanza  in  guelfi  e  ghibellini,  richiama 
alla  mente  di  Dante  il  colloquio  con  Farinata, 
il  quale  gli  aveva  predetto  ch'egli  avrebbe 
provato  presto  quanto  pesasse  la  vita  dd  fbo- 
rusdto  (cfr.  Inf,  x  79-81, 121-182),  e  le  parole 


702 


DIVINA  COMMEDIA 


di  ciò  ch'avea  incontro  a  sé  udito, 

8  quei  eh' ancor  fa  li  padri  ai  figli  scarsi; 
tale  era  io,  e  tale  era  sentito 

e  da  Beatrice  e  dalla  santa  lampa, 
6       che  pria  per  me  avea  mutato  sito. 

Per  che  mia  donna  :  €  Manda  fuor  la  vampa 
del  tuo  disio,  mi  disse,  si  ch'eli' esca 

9  segnata  bene  della  intema  stampa; 
non  perché  nostra  conoscenza  cresca 

per  tuo  parlare,  ma  perché  t'ausi 

12  a  dir  la  sete,  si  ohe  l' uom  ti  mesca  ». 
«  O  cara  piota  mia,  che  si  t'insud 

che,  come  yeggion  le  terrene  menti 
15        non  capere  in  triangolo  due  ottusi, 
cosi  vedi  le  cose  contingenti 
anzi  che  sieno  in  sé,  mirando  impunto 

13  a  cui  tutti  li  tempi  son  presenti; 
mentre  ch'io  era  a  Virgilio  congiunto 

su  per  lo  monte  che  l'anime  cura, 
21        e  discendendo  nel  mondo  defunto, 
dette  mi  fClr  di  mia  vita  futura 


Branetto.  Paragona  parò  il  ano  stato  di  ani- 
mo a  quello  di  Fetonte  (cfr.  Inf,  xm  106), 
quando  avendogli  Epafo  figlie  di  Olore  e  di  Io 
affermato  ch'ei  non  era  figlio  del  Sole,  corse 
dalla  madre  Olimene  e  gettandosi  ai  collo  di 
lei  la  scongiurò  a  dirgli  la  rerità  circa  i  snoi 
natali  :  e  traderet,  oravit,  tbtì  sibi  signa  pa- 
rentis  »,  dice  Gridio,  nel  qnale  Dante  lesse 
questo  favola  (3M.  x  748-777).  —  2.  dò 
eh'ftTea  ecc.  le  parole  di  Epafo  :  e  Uatrì  om- 
nia Demens  Credis  ;  et  es  tnmidos  genitoris 
imaglne  falsi»  {Mét,  1 768).  —8.  q«el  eco.  Fe- 
tonte, l'esemplo  del  qnale  rende  ancora  circo- 
spetti i  genitori  nell'  assecondare  le  voglie  dei 
flglittoli  :  seorsi  (ofr.  iVy.  ziv  80),  lenti  a  nn 
atto  qualunque,  a  una  concessione  ecc.,  come 
nell'Ariosto  Ori,  x  6  :  e  Siate  a'  prieghi  ed 
ai  pianti  ohe  vi  fknno.  Per  questo  esempio  a 
credere  piò  scarse  ».  —  4.  e  tale  eoo.  e  que- 
sto mU  condizione,  quest'ansia  di  conoscere 
il  vero  circa  il  mio  avvenire  era  conosciuto 
da  Beatrice  e  da  Cacdaguida.  —  5.  santa 
luipa  ecc.  cfk*.  Par.  xv  19-24.  —  7.  Masda 
ecc.  Manifesto  il  tuo  ardente  desiderio  in 
modo  che  le  parole  ne  rendano  bene  tutto 
r  intensità.  ~  9.  laUna  stampa:  è  il  grado, 
rintensito  del  desiderio  che  domina  l'animo 
ii  Dante.  —  10.  aostra  ecc.  le  tue  parole 
possano  manifestarci  un  pensiero  da  noi  non 
conosciuto,  ma  perché  tu  ti  avvezzi  a  ma- 
nifestare i  tuoi  desideri  in  modo  che  gli  altri 
li  sodisfacciano.  —  11.  atf si  :  c£r.  Inf,  xi  11. 
—  12.  a  dir  ecc.  Av.  x  88  e  segg.  —  13. 


0  cara  ecc.  0  mio  caro  progenitore,  die  ti 
elevi  tanto  da  vedere  con  certeaaa  il  ftitvo. 

—  piota  :  e  voce  eh'  ancor  si  usa  »,  notò  il 
Borgh.,  non  però  nel  senso  che  ha  in  Inf, 
XIX  120,  si  in  quello  di  zolla  erbosa,  cespo, 
e  qui  per  metafora  origine,  principio  della  mia 
stirpe:  si  ricordi  ohe  Oaodagnida  ha  dette 
a  Dante,  Par,  xv  89  :  e  io  f&i  la  tua  radice  ». 

—  t'iasisl:  ti  elevi,  t'inalzi  eoi  penaieco; 
Buti:  e  questo  ò  verbo  preposizionale  flatto 
dall'autore  insto  lo  vulgare  »,  foggiato  doè, 
secondo  le  regole  della  lingua,  snUa  prepo- 
sizione trwuso  (cfr.  Parodi,  BmO.  m  138).  — 
14.  eoflM  eco.  con  quella  stessa  oertesa  con 
la  quale  l'intelletto  «mano  comprende,  per 
dimostrazione  di  geometria,  scienza  «  senza 
macula  d'errore  e  certissima  per  sé  >  (Cbnv. 
n  14),  che  in  un  triangolo  non  povono  ee- 
ssn  contenuti  due  angoli  ottusi  :  è  «na  con- 
seguenza del  noto  teorema,  ohe  in  un  trian- 
golo  rettilineo  la  somma  degli  angoli  equi- 
vale a  due  retti.  —  16.  etff  ecc.  ood  co- 
nosci le  cose  contingenti  (oft.  Par,  xm  63) 
prima  che  siano  attuate,  guardando  in  Dio  che 
vede  il  passato,  il  presento  e  il  futuro.  —  19. 
mentre  ecc.  durante  la  peregiinaxioine  latto 
da  me  insieme  con  Virgilio  giù  per  i  cerchi 
dell'inferno  e  su  per  i  gironi  del  purgatorio 
mi  furono  detto  pi6  volto  (cfr.  i  luoghi  dt 
nella  noto  al  v.  1)  gravi  parole  intono  ai 
miei  casi  avvenire.  —  20.  eara:  punflca, 
sana  dal  peccati.  —  21.  ■onde  defaste:  «lo 
regno  della  morto  gento  »  {Inf,  vm  86).  ~ 


PARADISO  -  CANTO  XVH 


703 


parole  gravi;  avvenga  ch'io  mi  senta 
24        ben  tetragono  ai  colpi  di  ventura: 
per  ohe  la  voglia  mia  saria  contenta 
d'intender  qual  fortuna  mi  s'appressa; 
27        che  saetta  previsa  vien  più  lenta  ». 
Cosi  diss'io  a  quella  luce  stessa, 
che  pria  m'avea  parlato,  e  come  volle 
80        Beatrice,  fu  la  mia  voglia  confessa. 
Né  per  ambage,  in  che  la  gente  folle 
già  s'inviscava  pria  che  fosse  anciso 
83        l'agnel  di  Dio  ohe  le  peccata  toUe, 
ma  per  chiare  parole,  e  con  preciso 
latin,  rispose  quell'amor  paterno, 
86        chiuso  e  parvente  del  suo  proprio  riso: 
€  La  contingenza,  che  fuor  del  quaderno 


28.  aTT6BfA  eco.  sebbene,  per  la  rettìtodine 
dell'animo  e  della  vita,  io  mi  senta  ben  forte 
a  sopportare  i  colpi  della  fortana.  €  Sono  an- 
dato mostrando  contro  a  mia  voglia  la  piaga 
della  fortana  >,  arerà  detto  il  povero  esule 
(Qmv,  I  8),  esprimendo  cosi  nn  pensiero  ohe 
compie  e  iUnstra  il  significato  di  qvesto  reno  : 
oire  UtragonOf  che  è  propriamente  il  tetrae- 
dro o  piramide  triangolare,  solidissima  figura 
geometrica,  ò  tratto  a  significare  lo  stato  del- 
l'animo forte,  immutabile  davanti  alla  sven- 
tura, come  già  la  stessa  parola  esprime  lo 
stesso  concetto  in  Aristotele,  BHea  i  10  :  cfir. 
anche  le  parole  dell'/n/l  xv  91-93.  Il  Moore, 
I  175,  nota  anche  la  conformità  di  questi 
vessi  con  quelli  di  Virgilio,  En.  vi  96  e  segg. 
nel  dialogo  tra  Enea  e  la  Sibilla.  —  25.  per 
eh«  ecc.  per  la  qual  cosa  vorrei  sapere  quali 
sono  le  vicenda  mie  che  s*  avvicinano,  a  che 
fortuna  sono  per  andar  soggetto,  poiché  il 
male  antiveduto  acreca  minor  dolore,  colpi- 
eoe  meno  vivamente.  —  27.  efcé  saetta  ecc. 
Traduce  il  vene  latino:  «Nam  praevisa 
minos  laedere  tela  solent  >.  —  28.  a  quella 
eoo.  a  quell'anima,  ohe  prima  m'aveva  par- 
Iato,  a  Caodaguida.  —  29.  eoaie  volle  :  cfir. 
TT.  7-12.  —  80.  fti  la  aia  eco.  maniiiBstai 
il  mio  desiderio.  —  81.  Ifé  per  ambage  ecc. 
Oaociaguida  non  mi  rispose  con  linguaggio 
eqnirooo,  quale  solerano  usare  gli  antichi, 
prima  ohe  Cristo  renisse  a  redimere  l'uomo, 
ma  con  aperte  parole  e  con  preciso  farellare. 
Queste  ambage^  lat  ambage»  (cfr.  Virg.,  J^ 
▼X  99),  in  cui  s'ifwisotwa  la  gente  pagana, 
sono  le  forme  oscure  ed  equiroohe  di  par- 
lai» dei  responsi  dati  dagli  antichi  sacerdoti 
In  nome  deUe  loro  dirinità,  che  Dante  mette 
in  antitesi  con  il  lucido  e  semplice  ragiona- 
mento di  Oaociaguida,  col  quale  d  enunciata 
una  delle  rerità  manifeste  e  chiare  della  crì- 
stiasa  dottrina. — 83.  l'iaviteara  :  si  lasciara 


prendere,  in  senso  traslato  come  invMwre 
dell'^/*.  xm  57;  questo  stesso  rb.  nel  signi- 
ficato materiale  ricorre  in  Inf.  tu  18,  xxn 
144.  —  ^a  che  ecc.  prima  della  passione  di 
Cristo,  durante  il  preralere  del  paganesimo. 
—  88.  l*agael  ecc.  cfr.  Purg.  xn  18.  —  84. 
ma  per  calare  ecc.  ma  con  parole  chiare  e 
con  linguaggio  distinto,  tale  che  non  si  pre- 
staiva  se  non  ad  una  interpretaiione.  —  85. 
latin  i  alcuni  vogliono  per  questa  parola  in- 
tendere che  Oaociaguida  parlasse  in  lingua 
Utima^  e  che  questa  fosse  la  /omUo,  di  cui 
Dante  tocca  in  Par,  xvi  88,  divena  da  qu^ 
tta  modamo,  dee  da  quella  in  cui  il  poeta 
scrìveva,  e  richiamano  a  conferma  il  salato 
del  Pa^,  XV  27  e  segg.  ;  altri  intendono  latino 
per  italiano,  come  è  frequente  nel  poema  (cfr. 
Inf,  xxn  65)  e  nei  documenti  del  tempo  :  me- 
glio ò  da  prendere  questa  voce  nel  senso  ge- 
nerioo  di  linguaggio,  discorso,  senso  che  ha 
anche  in  Par,  xu  144.  —  86.  ehlaso:  eoe 
avvolto  dallo  q)lendore,  per  il  quale  appariva 
la  sua  beatitudine.  —  87.  La  eoatlageasa 
ecc.  Dovendo  manifestare  a  Dante  il  corso 
della  sua  vita  avvenire,  Caodaguida  premette 
nn  avvertimento  circa  la  prssdenxa  divina, 
la  quale  non  rende  necessari  i  ftituri  avve- 
nimenti e  perdo  non  toglie  all'  uomo  il  libero 
arbitrio  ;  e  dice  :  I  fatti  contingenti,  che  non 
esistono  ftaori  del  mondo  materiale,  sono  tutti 
conceduti  dalla  mente  divina:  ma  da  dò  non 
traggono  alcuna  condizione  di  necessità;  come 
la  nave,  che  discende  gi6  per  una  conente, 
non  trae  il  moto  dall'occhio  di  chi  la  guarda  : 
dalla  mente  divina  viene  a  me  la  cognizione 
della  tua  vita  aweniie.  Dante  toooa  qui  una 
questione  già  trattata  da  Boezio,  Gnis.  phiL 
V  4  e  segg.,  e  da  Tomm.  d' Aqu.,  fumili.  P. 
I,  qu.  XIV,  art  18,  il  quale  ultimo  scrive: 
«Deus  cognosdt  omnia  oontingentla,  non 
iolum  prout  sunt  in  suis  causii,  sed  etiam  prout 


704 


DIVINA  COMMEDIA 


della  vostra  materia  non  si  stende, 
39        tutta  è  dipinta  nel  cospetto  eterno. 
Necessità  però  quindi  non  prende, 
se  non  come  dal  viso,  in  che  sì  specchia, 
42        nave  che  per  corrente  giù  discende. 
Da  indi,  sf  come  viene  ad  orecchia 
dolce  armonia  da  organo,  mi  viene 
45        a  vista  il  tempo  che  ti  s*  apparecchia. 
Qual  si  parti  Ippolito  d'Atene 
per  la  spietata  e  perfida  noverca, 
48        tal  di  Fiorenza  partir  ti  conviene. 


:n 


annmqiiodqne  eomm  est  actmn  in  so  ipso. 
Et  licet  contingontia  fiant  in  acta  snccessive, 
non  tamen  Deus  snccessÌTe  cognoscit  con- 
tingontia,  prout  eont  in  suo  esse,  sicnt  nos, 
•ed  simili;  quia  eins  cognitio  mensnratar  ae- 
temitate,  sicnt  etiam  sanm  esse;  aetemitas 
antem  tota  simol  existens  ambii  totom  tem- 
pns.  Unde  omnia  qnae  sont  in  tempore,  mirU 
Deo  db  aeUmopraesontia,  non  solom  ea  ratione 
qna  habót  rationes  rerum  apnd  se  praeeentes, 
ut  quidam  dicunt,  sed  quia  eius  intuitus  fer- 
tur  ab  aetemo  supra  omnia,  prout  sunt  in  sua 
praesentialitate.  Unde  manifestum  est  guod 
eonUngmtìa  infaUSbiiiter  a  Dw  cognoaountur, 
in  quantum  subdunhir  divino  oonapectui  seoun- 
dam  suam  praeeentialitatem,  et  tamen  sunt 
futura  contingentia,  fuis  causis  proadmis  com- 
parata ».  —  che  fuor  ecc.  i  fatti  contingenti, 
che  possono  essere  o  non  eraere  (ofr.  Far, 
xin  63),  non  hanno  luogo  fuori  del  mondo 
materiale,  poiché,  come  dice  altrove  (Par. 
ic^rm  52),  e  dentro  all'ampiezza  di  questo 
reame  Casual  ponto  non  puote  aver  nto  ». 
Alcuni  antichi,  come  Lana,  Ott.,  Oass.,  An. 
fior.  ecc.  intesero:  che  non  possono  essere 
sapute  per  mezzo  della  scienza  umana  ;  e  fu- 
rono seguiti  da  parecchi  moderni.  —  del  qnft- 
dtrmo  :  ctr,  Bsr.  xv  79,  xzxm  87.  —  39.  t«Ua 
ecc.  concetto  e  forma  suggerite  a  Dante  dalle 
parole  di  Tomm.  d'Aq.,  1.  dt.  —  40.  Ne- 
cessità eco.  Le  cose  contingenti  non  pren- 
dono dalla  prescienza  divina  un  carattere  di 
necessità;  cfr.  Boezio,  Oona,  phil.  v  4 :  <  Si- 
cut  sciontia  praesentium  rerum  nihil  his  quae 
Qunt,  ita  praescientia  ftiturorum  nlhil  his 
quae  ventura  sunt  necessitatis  importai  »,  e 
v  6  :  e  Fient  igitnr  procul  dubio  cunota  quae 
futura  Deus  esse  praenoscit,  sed  eorum  quao- 
dam  de  libero  proficiscuntiur  arbitrio:  quae 
quamvis  eveniant,  esistendo  tamen  naturam 
propriam  non  amittunt,  quae  prius  quam  fie- 
rent  etiam  non  evenire  potuissent  »  :  si  veda 
anche  Tomm.  d' Aqu.,  l.  cit.,  e  Dante,  De  mon. 
I  14.  —  41.  se  non  ecc.  come  la  nave  ohe 
discende  a  seconda  della  corrente  non  trae 
necessità  a  muoversi  dall'occhio  in  cui  im- 
primo la  sua  imagine.  Questa  similitudine, 


che  ricorda  quella  del  Awy.  xv  98,  risponde, 
in  quanto  risulta  dai  concetti  del  moto  e  deUa 
vista,  a  quella  che  Tomm.  d'Aquino,  L  dt., 
adopera  a  chiarire  lo  stesso  penserò  :  v  sicut 
ilio  qui  vadit  por  viam,  non  videi  illos  qui 
post  eum  veniunt;  sed  ilio  qui  ab  allqua  al- 
titudine totam  viam  intuetur,  slmal  videi 
omnes  transeuniee  per  viam  ».  —  vile  :  cfr. 
Inf,  IV  11.  —  43.  Da  Udì  ecc.  Dal  e  co- 
spetto etemo  »,  da  Dio  «ti  vimu  a  viatOt  tzaggo 
la  cognizione  del  tempo  e^  ti  «'apporaocàta, 
delle  prossime  vicende  della  ina  vita.  —  Mme 
ecc.  oome  da  un  organo  d  viene  agli  orecchi  osa 
dolce  armonia.  La  comparazione  d  **i*UTÌggìniià 
per  sé;  ma  non  ò  cosi  manifesto  il  conoetta 
che  Dante  ha  voluto  esprimere  per  mezzo  di 
essa  :  H  Lana  sembra  aver  inteso  die  il  poeta 
significhi  per  tal  modo  la  certezza  dalla  co- 
gnizione di  Cacdaguida,  in  quanto  Ia  traeva 
direttamonte  da  Dio;  l'Ott  invece  vi  trova 
una  ragione  morale,  e  dice  ohe  a  Caociaguida 
e  per  l'affezione  caritativa  che  ha  a  Dante  li 
ò  dolce  ch'olii  sia  corretto  anzi  nd  mortalo 
mondo  che  ndlo  eternale,  ed  anzi  a  tempo 
che  in  iniinito  ».  — >  46.  Il  tooip»  ecc.  Cao- 
ciaguida predice  a  Dante  la  sua  caodata  da 
Firenze  (w.  46-61),  gli  affanni  dell'esilio 
(w.  62-69)  e  la  buona  accoglienza  die  tro- 
verà presso  gli  Scaligeri  (w.  70-96);  profezia 
che  abbraccia  il  tempo  corso  dal  prindpio  dd 
1302  sino  al  momento  in  cui  egli  dimorò  in 
Verona  presso  Cangrande  (cfr.  la  nota  al  v. 
88).  —  46.  qmtkì  II  parti  ecc.  Come  Ippolito, 
non  essendosi  acconciato  ai  deddert  delia 
matrigna  Fedra,  fu  da  Id  Iniquamento  acca- 
sato a  Teseo  di  aver  tentato  di  sedurla  e  per 
quosto  delitto  appostogli  fu  dal  re  suo  padre 
bandito  da  Atene  senza  eh'  egli  meritasse  tato 
pona,  cosi  tu  ecc.  B  fatto  d' Ippolito  Iti  Ietto 
dal  poeta  in  Ovid.  M«L  xv  493  e  segg.,  ove 
il  racconto  si  chiude  con  queste  paiolo  :  t  ^>- 
merUumque  pater  proiecit  ab  urbe  »,  e  prel<»* 
rito  giustamente  come  confronto  d  proprio 
esilio,  poiché  anch' egli,  Dante,  d  affiamo 
sempre  ùnmeritevde  della  pena  inflittagli  dalla 
patria  :  cfir.  Epist.  rv,  «  Sxulanti  ^storieod 
FlorentinuB  exol  tmnwH^  ».  —  48.  Uà  éX 


PARADISO  —  CANTO  XVH 


705 


61 


64 


Questo  si  vuole,  questo  già  si  cerca, 
e  tosto  Terrà  fatto  a  chi  ciò  pensa, 
là  dove  Cristo  tutto  di  si  merca. 

La  colpa  seguirà  la  parte  offensa 
in  grido,  come  suol  ;  ma  la  vendetta 
fia  testimonio  al  ver  che  la  dispensa. 

Tu  lascerai  ogni  cosa  diletta 


l1or«Bia  eoo.  ooil  tu  doTial  senza  colpa  al- 
eanA  laidaie  la  patria.  Al  momento  in  eoi 
■onnontò  in  Firroxe  oon  l' aiuto  di  Owlo  di 
ValoUe  di  BoniUuioVin  la  parte  dal  Neri 
(ofr.  /n/l  Yi  67),  Dante  eia,  secondo  la  testi- 
monianza di  D.  Compagni  {Or,  n  26),  amba- 
eciatoie  a  Boma  per  conto  della  signoria  di 
parta  Bianca  :  la  prima  sentenza  lanciata  con- 
tro Dante,  il  27  gennaio  1802,  lo  condannò 
insieme  oon  Palmiere  AltoTiti,  lippo  della 
Becca  e  Oriandncdo  Orlandi  alla  molta  di 
cinquemila  floxini  piccoli  da  pagare  entro  tre 
giorni,  pena  la  confisoa  dei  bòli,  e  a  doe  anni 
di  oonilne  fbori  di  Toecana,  per  titolo  di  ba- 
ratterie oommssso  nell'  oeeróiiio  del  priorato, 
di  opposizione  fotta  alla  Tenuta  di  Carlo  di 
Valois,  e  di  aver  promossa  la  dirisione  deUa 
cittadinanza  pistoiese  in  Bianchi  e  Neri  e  la 
cacciata  di  questi  dalla  patria  loro  :  la  se- 
conda sentenza,  del  10  marzo,  condannò  Dante 
e  altri  quattordici  cittadini,  tatti  oontomad, 
alla  morte  :  €  si  qois  praedictorom  allo  tem- 
pore in  fortiam  dioti  Commanis  perTonerit, 
talia  penreniens  igne  oomborator  sic  qood  mo- 
riator  »  :  ofir.  Fraticelli,  VUa  di  DciUe,  cap. 
t;  Del  Lango,  L'ttiUo  di  Dante,  cit.  —  49. 
<^eat#:  eco.  La  tua  condanna  ò  già  decre- 
tata e  già  si  cerca  di  ottenerla,  e  presto  lo 
scopo  saia  raggiante,  dai  taoi  nónid  che  sono 
in  corte  di  Boma,  ore  si  fb  sempre  empio 
mercato  deUe  coee  sacre.  Questa  terzina,  doUa 
quale  i  commentatori  danno  solo  una  spiega- 
zione generica,  ricere  una  gran  loco  dalla 
storia  particolareggiata  delle  relazioni  tra  il 
Comune  di  Firenze  e  il  pontefice  Bonilìtzio 
YIIL  Dante,  piò  che  alle  rendette  dei  suoi 
arrersari  di  parte,  si  trorò,  come  altri  cit- 
tadini, eepoeto  a  quelle  del  papa,  del  quale 
arerà  sempre  contrariato  gì'  intenti  di  ren- 
dersi padrone  delle  coee  fiorentine  :  per  que- 
sto fine  Bonifazio  Ym  accordò  per  tempo  la 
sua  protezione  alla  parte  donatesca,  media- 
tori di  dò  gli  Spini,  famiglia  guelfa  di  ban- 
chieri pontifici  ;  per  questo  nell'aprile  del  1800, 
proprio  il  tempo  della  rislone  dùtesca,  Boni- 
Iszio  ym  s'adirò  contro  Lapo  SaltareUi  (ofr. 
Ar.  xr  128)  e  altri  dttadini  denunziatori  dei 
suoi  maneggi  e  formò  contro  di  essi  un  e  aspro 
processo  ».  Dante  ta  dd  priori  dal  16  n^u- 
gno  al  16  agosto,  e  nell'offldo  continuò  l'op- 
podzione  già  fatta  nd  consigli  nel  1296  e  '97 
quando  combatté  stanziamenti  in  fàrore  di 

Danti 


Carlo  n  d' Angiò  ;  e  perdo  sino  dal  primo  in- 
trometterli dd  papa  nelle  coee  fiorentino  do- 
rette  essere  segnato  tra  gli  arrenari  ddla 
politica  pontificia  e  nera.  Dunque  eM  dòpmua 
saranno  Bonifluio  Vm  e  i  fiorentini  di  parte 
donataeca  ch'erano  preeso  di  luL  81  efr.  Dd 
Lungo,  1 174  e  segg.,  212  e  ssgg.,  II 106  ecc.; 
a.  Levi,  BoiiifaxÌ9  Vili  •  k  gm  nl^t,  eoi 
Qnmme  di  Fkr,,  Boma,  1882;  A.  Berteli,  81, 
delia  idi,  «.,  rol.  Y ,  cap.  rL  —  62.  La  eelpa 
ecc.  Tutta  la  colpa  sarà,  seeondo  il  solito, 
tribuita  dalla  Cuna  alla  parte  rinta,  d  Bian- 
chi proecritti  e  disperai  ;  ma  la  rendette  die 
ne  seguirà,  doè  a  malgoremo  òhe  i  Neri  fa- 
ranno di  Firenze,  sarà  tsstimonianza  ddla 
rarità,  dimostrerà  la  fhldtà  delle  colpe  ap- 
poste agli  esuli.  La  parte  offmea  (ofir.  Inf,  r 
109)  è  quella  dd  Bianchi,  cacciati  e  con  mdta 
dfendone  >  e  tenuti  dagli  arrenari  e  sotto 
grari  ped  >  {Inf»  ▼!  66-71),  con  l'duto  dd 
pontefice.  —  68.  come  saolt  perché  è  pro- 
prio della  natura  umana  attribuire  ogni  cdpa 
a  quelli  che  eoccombono  eotto  i  colpi  della 
fortuna.  Anche  qui  Dante  d  ricordò  del  suo 
dottore,  Boedo,  die  arerà  scritto,  Cbnt.  jxài^., 
I  4  :  e  Hoc  tantum  dizerim,  ultimam  esse  ad- 
rersae  fortunae  sardnam,  quod  dum  miseria 
alìquod  crìmen  affingitur,  quae  perferunt  me- 
roisse  oreduntur  »;  cfir.  le  parole  dd  Cbfw. 
I  8  :  e  la  piaga  della  fortuna,  che  suole  in- 
giustamente d  piagato  molte  rdte  essere 
imputata  ».  —  la  readetta  fa  eco.  Dante 
non  allude,  sembra,  ad  dcun  fatto  determi- 
nato; ma  d  complesso  di  quelli  arrenimenti, 
che  dopo  la  cacciata  dd  banchi  contristarono 
Firenze,  i  quali  furono  come  la  rirendioa- 
done  morde  della  parte  rimasta  soccombente. 
—  66.  Ta  lasearal  eco.  Tu  sard  costretto  a 
lasciare  ogni  cosa  più  affettuosamente  amata: 
la  patria,  la  famiglia,  i  parenti,  gli  amid,  le 
case  e  i  beni  dd  tud  maggiori;  e  proreni 
questo  primo  dolore  acutissimo  che  l' esilio 
produce.  L'abbandono  f\i  per  Dante  assd  più 
doloroso  che  per  gli  dtri  sud  compagni  di 
parte,  perché  egli  non  potè  dar  l' ultimo  addio 
alla  cara  patria,  se,  come  pare,  quando  ta 
colpito  dalla  sentenza  d'edlio  egli  era  anoor 
fiiori  come  ambasciatore  presso  il  pontefice; 
ma  su  questo  punto  sono  discordi  le  testimo- 
nianze antiche,  pdché  mentre  L.  Bruni  rac- 
conta che  «  sentita  Dante  la  sua  mina,  subito 
d  parti  di  Boma  dorè  era  ambasciadore  e  cam- 


706 


DIVINA  COMMEDIA 


più  caramente;  e  questo  ò  quello  strale, 

67  che  l'arco  dello  esilio  pria  saetta. 
Tu  proverai  si  come  sa  di  sale 

lo  pane  altrui,  e  com'è  duro  calle 
60        lo  scendere  e  il  salir  per  l'altrui  scale. 
E  quel  che  più  ti  grayerà  le  spalle 
sarà  la  compagnia  malvagia  e  scempia, 

68  con  la  qual  tu  cadrai  in  questa  valle, 
che  tutta  ingrata,  tutta  matta  ed  empia 


minando  con  gran  celerità,  no  renne  a  Siena  > , 
e  e  qniyi  intesa  più  chiaiamente  la  sna  cala- 
mità, non  rodendo  alcnn  riparo,  délibeid  ao- 
oozzani  con  gli  altri  nsoiti  »,  il  Booeacdo  in- 
reco (F.  di  i>.  9  4  e  nel  commento  tSVInf, 
nn  1)  e  i  cronistì  G.  Villani,  O.  ix  134  e 
M.  Stefani,  Iti,  fior,  n  8i0,  dicono  che  Dante 
nsoi  di  Firenze  prendendo  la  ria  dell' esilio 
con  gli  altri  Bianchi,  anzi  €  si  parti  senza 
aspettare  commiato  ».  — >  68.  Tn  prortral  ecc. 
Tu  prorend  le  angustie  e  le  miserie  dell'esi- 
lio, oonosce'rai  alla  prora  quanto  sia  doloroso 
il  rirere  del  pane  altmi  e  nelle  case  degli 
altri;  ridotto  a  mendicare  la  rita,  prorend 
quel  e  tremare  per  ogni  rena  »  che  affligge 
r  nomo  altero  costretto  a  stender  la  mano  per 
aiuto  ai  potenti  e  ai  felici  :  cfir.  iVy.  xi  140 
e  anche  Par,  n  140,  ore  sono  riferito  pa- 
role amare  dèi  Ooiw,  sn  la  miseria  di  Danto 
esale;  parole  che  spiegano  la  flcase  sooltoria 
del  Ccnnpegni,  Or,  u  26,  ore  dice  che  i  Bian- 
chi faomaoiti  e  andomo  stentando  per  lo 
mondo,  chi  qna  e  chi  là  ».  —  if  eome  sa  eco. 
ofr.  la  sentenza  di  Seneca  :  «  Omnium  quippe 
mortalium  rita  est  mìsera;  sed  illorum  mi- 
swrrima,  qui  ad  aìlenum  somnium  dormiunt, 
et  ad  alìorum  appetitum  comedunt  et  bi- 
bnnt  ».  —  61.  B  qiel  eke  ecc.  E  quella  ohe 
più  ti  riuscirà  grarosa  fra  tutto  le  miserie 
dell'  esilio  sarà  la  necessità  di  mescolarti  con 
nomini  malragi  e  sdoochi,  coi  tuoi  compagni 
fuorusciti  di  parto  Bianca,  i  quali  per  loro 
ingratitudine  e  stoltezza  ed  einpietà  si  rirol- 
geranno  tutti  contro  di  te  ;  ma  poco  dopo  ri- 
sentizanno  essi  tutto  il  danno,  e  quando  la 
serie  degli  orrori  commessi  arra  data  la  prora 
della  loro  bestialità,  tu  potrai  rallegrarti  d'es- 
serti astenoto  dai  loro  ultimi  e  infelici  ton- 
tatiri,  facendoti  parto  per  to  stesso.  L' illu- 
strazione storica  di  questo  punto  della  profe- 
zia di  Oacdaguida,  trascurata  dai  commen- 
tatori antichi  e  moderni,  ò  oggi  facilissima 
per  le  belle  indagini  e  osserrazionl  fatto  dal 
Del  Lungo,  n  662  e  segg.,  dalle  quali  è  pro- 
yato  che  dopo  la  proscrizione  del  1902  tre 
principali  imprese  tentarono  i  ftiorusciti  con- 
tro Fìrenfe  morendo  dal  Mugello  :  una  nel- 
l'estato  dello  stesso  anno  1802,  una  nella  pri- 
marera  del  1806  e  una  nel  1806.  Danto,  ohe 
appena  colpito  dalla  sentenza  d'esilio  si  era 


certo  unito  ai  capi  della  parto  Bianca,  ri  tztvTò 
presento  alla  prima,  and  doretto  essere  uno 
dei  promotori  dell'  Impresa,  poiché  fl  ano  nofme 
ò  registiato  insieme  con  quelli  dei  Oorchi, 
lacason,  TTbertini,  Gherardini,  Scolari,  Pazzi, 
del  principali  insomma  tra  i  Bianchi  •  i  Ghi- 
bellini, neU'atto  deU'  8  giugno  1302,  fktto  naIU 
diiesa  di  S.  Godenzo  a  piò  dell'  Appennizio, 
per  cui  i  fuorusciti  prometterano  A  aodiaCar» 
gli  XTbaldini  di  tutti  i  danni  ohe  fbeeero  per 
ricerere  dalla  guerra  eh'  era  per  fusi  contro 
Fironze  dal  loro  castello  di  Montaocenioo. 
Alla  seconda  impresa  pud  credersi  efae  parte- 
cipasse pur  Dante,  perohó  ta  comandata  da 
Scarpette  degli  Ordelaffl,  col  quale  il  poetm 
appare  più  tardi  in  amicherole  relazione.  Fal- 
lite queste  due  imprese.  Dante  assai  proba- 
bilmente si  stacoò  suinto  dai  fuorusciti  ;  certo 
non  appare  ch'egli  aresse  mano  ndle  prmti- 
cfae  del  cardinale  di  Prato  (primarera  1301) 
per  il  ritomo  dei  Bianchi  in  patria,  da  qnél 
prelato  condotte  male  e  dai  fiorentini  non  se- 
condate con  sufficiente  destrezza  e  rigore  ; 
né  nella  impresa  della  Lastra  (estate  1304X 
quando  i  Bianchi  tentarono  contro  la  città 
un  ardito  colpo  di  mano  che  non  riusd  ;  né 
nei  fatti  posteriori  della  parte,  cioò  la  perdita 
di  Pistoia  (aprile  1806),  la  terza  guerra  mu- 
géllana  (estete  1806)  finite  con  la  resa  e  la 
distruzione  di  Montacoenico,  la  legazione  del 
card.  Napoleone  Orsini  in  fhrore  dei  i^^^*»*** 
(1806-1807),  la  infelice  radunate  di  Arsoo 
(1807),  con  la  quale  ebbero  termine  i  tante- 
tiri  dei  Bianchi,  ohe,  come  dice  il  loro  sto- 
rico (  D.  Compagni,  Or.  m  17)  *  seonsolatl 
si  paitimo...  e  mai  si  raanomo  più.  »  —  68. 
con  la  qual  ecc.  con  la  quale  tu  ti  trorerai 
néU'  infeUoità  dell'  esiUo.  —  64.  ohe  tatù  eoo. 
Del  disdegno  dei  ci^  di  parte  Bianca  contro 
Dante  sembra  essere  un  cenno  dò  die  U  poeta 
fb  dire  a  Brunetto  Latini  in  Inf,  xr  70-72, 
sebbene  il  Dd  Lungo,  II  661,  intenda  che  fl 
poeta  fosse  desiderato  e  tardi  ed  inrano  dai 
Guelfl  Bianchi  e  dai  Ghibellini  »,  interpreta- 
zione poco  cauta.  Ha  quali  fossero  le  ragioni 
di  cotesto  disdegno  non  appare  :  se  non  si 
roglia  accettare  per  buona  la  testtmoniansa 
dell'Ott.  e  delle  (Moee  anonime  dd  ood.  pe- 
latine 180  (cfr.  F.  Palermo,  Jmanoierittì  jgo- 
kUkU  di  FIrmxef  Firense,  1880,  rd.  n,  pp. 


PABADISO  -  CANTO  XVH 


707 


66 


69 


si  &rà  contro  a  te;  ma  poco  appresso 
ella,  non  tu,  n'ayrà  rossa  la  tempia. 

Di  sua  bestialitate  il  suo  processo 
farà  la  prova,  si  ohe  a  te  fia  bello 
l'averti  fatta  parte  per  te  steaso. 

Lo  primo  tao  rifugio  e  il  primo  ostello 


716  •  Mgg.),  ohe  raooontano  come  Dani»  oon- 
■1g!i«tw  i  faorascitl  a  rJmimdare  «Uà  prima* 
T»m  on  tentatiro  oh'essi  Tolerano  fue  nel- 
l'inTerno,  e  eome  venuta  la  prìmaTeim,  non 
trorandoBi  più  gli  amid  disposti  ad  aiatare 
come  nel  passato,  si  riTsoassero  sol  poeta 
IcU  odt  e  i  sospetti  :  e  qna  de  re  sospeotos 
faotos  est  Dantes,  ob  oonsiliom,  et  existima- 
tns  qood  a  floxentinis  coiraptns  fnisset  »,  di- 
cono le  Chioee  anon.  ;  e  l'Ott  :  €  moHo  odio 
ed  ira  ne  portarono  a  Dante,  di  che  elll  si 
parti  da  loro  ».  Se  il  fittto  d  rero,  dorrebbe 
TicoUegaisi  con  i  preparatiri  fatti  dai  Bianchi 
in  Arexzo  nel  novembre  del  1806,  accennati 
dal  Compagni,  Or.  n  86  ;  ai  quali  nella  prì- 
marera  del  1904  non  segui  alcuna  impresa 
annata,  ma  la  legazione  del  cardinale  di  Prato. 
—  66.  ■«  poco  appresso  ecc.  ma  poco  dopo 
la  parte  Bianca  arra  rossa  la  toffipùi,  per  il 
sangue  sparso  inutilmente  dai  suoi  nell'Im- 
presa della  Lastra,  e  proverà  tutto  il  danno 
di  simili  tentativi  affrettati  e  intempestivi. 
Fare  indubitabile  Tallusione  in  questi  versi 
al  fatto  della  Lastra  dell'estate  180A,  falUto 
appunto  perché  uno  dei  capi,  Baschìera  della 
Tosa,  «  vinto  piò  da  volontà  che  da  ragione, 
come  giovane,  vedendosi  con  bella  gente  e 
molto  incalciato,  credendosi  guadagnare  il 
pregio  della  vittoria,  chinò  gi6  co'  cavalieri 
alia  terra  » ,  senza  aspettare  l'arrivo  degli  altri 
ftiorusdti  che  dovevano  convenire  nel  giorno 
stabilito  (D.  Compagni,  Or.  m  10)  :  falli  in- 
somma per  quella  fletta  intempestiva,  che 
Dante,  secondo  l' Ott  e  le  Chiose  palatine, 
aveva  sconsigliata  quando  si  preparava  un 
tentativo  consimile  per  l'inverno.  —  67.  Di 
sua  eoe  n  seguito  dei  fiitti  di  cotesta  eom- 
pagnia  malvagia  $  acempia  darà  la  prova  ma- 
nifesta della  sua  bestialità,  cioè  della  malva- 
gità e  stoltezza  dei  capi  di  parte  Bianca. 
Questo  procesao  ò  l' insieme  dei  tentativi  già 
ricordati,  a  cominciare  dalla  legazione  del 
cardinale  di  Prato  sino  alla  radunata  di  Arezzo; 
nei  quali  veramente  i  Bianchi  errarono,  sia  per 
malvagità  (per  esempio,  i  Cavalcanti  che  non 
permisero  ai  capi  di  parte  Bianca  entrati  a 
Firenze  per  trattare  la  pace  di  alforzarsi  nelle 
case  loro  e  restare  in  città,  cfr.  Compagni 
m  7;  il  Baschiera  della  Tosa  che  nell'im- 
presa dell'estate  1804  trasse  a  forza  due  ni- 
poti ricchissime  dal  convento  di  S.  Domenico, 
ctt.  Compagni,  m  10  ecc.),  sia  per  stoltezza 
(come  nell'intempestivo  attacco  dell'estate 
1304,  che  fu  folU  venuta  dice  il  Compagni,  m 


11  ecc.):  ma  i  rimproveri  di  Dante,  più  che  de- 
rivati da  un  sereno  giudizio  degli  uomini  e 
delle  eoa»,  appariscono  pur  sempre  come  sfogo 
di  animo  oifeso  e  perdo  eccessivi  ed  ingiusti  : 
ott,  in  proposito  le  considerazioni  del  Bartoli, 
SL  d$UA  m.  ÌL,  roL  y,  pp.  168  e  segg.  - 
68.  a  te  te  eoo.  ti  sarà  maggior  onore  l' es- 
serti tratto  in  disparte,  l'esserti  astenuto  da 
cotesti  vani  tentativi  :  onorevole  l'atteggia- 
mento solitario  di  Dante  di  fronte  ai  suoi 
compagni  di  parte  (ofr.  fia  beUo  con  tanto 
mar  eoo.  deU'/h/".  xv  70)  poteva  e  doveva 
parere  a  lui,  che  oondannava  dò  ohe  gli  sem- 
brava proM  éi  beattamaUf  gli  errori  doè  dei 
capi  dei  Bianchi  ;  ma  non  meno  onorevolo  il 
sentimenito  che  moveva  gì*  infeUd  esuli  a  ten- 
tare di  riguadagnare  la  patria,  anche  col  peri- 
colo di  riusdrle  irvppo  moteati^  come  già  mezzo 
secolo  innanzi  Farinata  degli  Ubeiti  e  i  tao- 
rusdtl  ghibellini  (cfr.  Inf,  x  27).  —  70.  Lo 
primo  eoo.  Allorché  ti  sarai  separato  dai 
Bianchi,  troverai  primamente  benigna  acco- 
glienza in  Verona,  presso  il  signor  della  Scala, 
il  quale  per  atto  spontaneo  di  naturale  libe- 
ralità ti  oflrixà  i  suoi  benefizi.  Forte  que- 
stione è  fra  gì'  interpreti  drca  la  persona  del 
gran  lombardo^  primo  ad  accogliere  Dante 
esule  ;  ma  la  maggior  parte  dei  commenta- 
tori antichi  e  moderni  riconoscono  in  lui  il 
primo  dei  quattro  figli  di  Alberto  della  Scala 
(cfr.  Airp.  xvm  121),  doè  Bartolommeo,  che 
tenne  la  signoria  di  Verona  dalla  morte  del 
padre  (1801)  alla  propria  (7  mano  1804)  :  e 
a  questa  opinione  accedono  oggi  i  pid  (cfr. 
C.  BelvigUeri,  SeritU  atoHei,  Verona,  1881, 
pp.  188  e  segg.;  Q.  Todeeohini,  SerUH  au  Dante^ 
voi.  I,  pp.  241  e  segg.;  A.  Gaspary,  OeaofU- 
ehtedarital,  LU,,  voi.  I,  pp.  281,  620;  6. 
Biadego,  Dante  e  gU  ScaUgiri^  Venezia,  1899  ; 
A.  Bartoli,  op.  dt.,  voi.  V,  pp.  171  e  segg.,  il 
quale  ultimo  esamina  la  questione  lasciandola 
insoluta).  A  me  sembra  che,  data  la  separa- 
zione di  Dante  dai  Bianchi  dopo  la  seconda 
guerra  magellana  della  primavera  1303  (ofr. 
nota  al  v.  61)  e  dopo  i  preparativi  da  lui  con- 
tradetti nell'autunno  dell'anno  stesso  (cfr. 
nota  al  v.  64),  si  possa  accettare  senz'altro 
l'opinione  dd  più  e  ammettere  ohe  il  poeta 
si  rifugiasse  a  Verona  negli  ultimi  med  della 
signorìa  di  Bartolommeo  della  Scala.  Delle  al- 
tre opinioni  ò  manifestamente  erronea  quella 
del  Boccaccio,  VUa  di  P.  §  5  ohe  fl  gran  lom- 
bardo sia  Alberto  della  Scala,«  morto  prima 
ohe  Dante  fosse  esiliato  ;  e  più  ancora  quella 


708 


DIVINA  COMUEDU 


1 


sarà  la  cortesia  del  gran  lombardo, 
72       che  in  su  la  scala  porta  il  santo  uccello; 
che  in  te  avrà  si  benigno  riguardo 
che  del  fare  e  del  chieder,  tra  voi  due, 
75       fia  primo  quel  che  tra  gli  altri  ò  più  tardo. 
Con  lui  vedrai  colui  ohe  impresso  fue 
nascendo  si  da  questa  stella  forte, 
78       che  notabili  fien  P  opere  sue. 

Non  se  ne  son  le  genti  ancora  accorte, 
per  la  novella  età;  che  pur  nove  anni 
81        son  queste  rote  intomo  di  lui  torte: 

ma,  pria  che  il  guasco  Paltò  Enrico  inganni, 


di  chi  eiode  ohe  da  Oangrande  (cfr.  nota  ai 
T.  76)  :  insottenibile  poi  quella  del  Voli.,  ao- 
colta  da  parecdii  e  difesa  con  glande  afono 
di  eradizioiii  e  di  ragionamenti  dal  Del  Lungo, 
n  678-684,  ohe  il  tiatd  di  Alboino  I,  ohe 
snooedetto  nella  lignoiia  al  fratello  Barto- 
lommeo  nel  mano  1304  e  mori  nell'ottobre 
1311,  poiché,  oomnnqne  t'intendano,  le  pa- 
rola del  Oom,  IV  16  relatire  a  qnesto  Scali- 
gero fnoneranno  tempre  nn  biasimo,  più  o 
meno  forte  teoondo  la  varia  tpiegazione,  ma 
impossibile  a  oonoiliare  con  la  lode  messa  in 
bocca  a  Gaodagoida.  —  72.  che  in  ra  eoo. 
Gli  Scaligeri  portavano  nello  stemma,  insieme 
con  la  scala,  loro  insegna  di  famiglia,  Taqnila 
imperiale,  insegna  di  parte  :  non  si  sa  per 
altro  quando  aggiongeesero  l'aquila,  ma  la  te- 
stifflonianxa  di  Dante  eadude  che  dd  acca- 
desse solo  nel  1811,  quando  divennero  Vicari 
dell'  impero  ;  e  ben  potò  Bartolommeo  portar 
nello  stemma  il  «onto  uooeUo  (cfr.  Par,  vi  4), 
avendo  sino  dal  1291  sposata  Costanza  figlia 
di  Corrado  d' Antiochia  e  pronipote  di  Fede- 
rico n.  —  78.  eke  in  te  eca  che  verso  di  te 
sarà  tanto  benevolo  da  prevenire  le  tue  do- 
mande, da  offrirti  riftigio  e  estollo  nella  sua 
corte  senxa  che  tu  abbia  a  provare  la  vergo- 
gna di  chiederlo.  Ott:  e  Seneca  nel  libro  dei 
Benefizi  (il  quale  il  detto  messer  Bartolommoo 
continuo  praticava)  :  '  Graiiositsimi  sono  li  be- 
nefizi apparecchiati  e  che  agevolmente  si  fanno 
verso  altrui,  ne'  quali  nulla  dimoranza  inter- 
viene, se  non  per  la  vergogna  del  ricevente'  ». 
—  76.  Con  lai  ecc.  Nella  corte  di  Verona 
incontrerai,  oon  Bartolommeo  e  con  gli  altri 
fratelli,  Cangrande,  il  quale  nacque  sotto  l' in- 
flusso di  Marte  e  perdo  riuscirà  valoroso  e 
potente  guerriero.  Cangrande  I  della  Scala, 
terzo  dd  figliuoli  di  Alberto  I,  nacque  il  9 
marzo  1291,  sposò  Ghiovanna  altra  figlia  di 
Corrado  d'Antiochia,  fu  associato  nd  ISll  al 
governo  dal  fratello  Alboino  I  e  indeme  eb- 
bero da  Arrigo  VII  il  titolo  di  Vicari  del- 
l' Impero  ;  morto  Albdno  I,  tenne  solo  la  si- 
gnorìa dd  1812  sino  alla  sua  morte,  che  fb 


in  Treviso  U  22  lugUo  1329;  cfr.  O.Orti  Ma- 
nara,  Ommi  ttoriei  •  docm^nii  cht  naguarde^- 
no  Gamgrani»  Ideila  Scala,  Verona  1853  ;  H. 
Spangenberg,  Ckmgramdé  I  della  Soaia,  Ber- 
lino 1892  ;  Q.  Bolognini,  neU'^raJk.  Mor,  tC, 
6»  serie,  voL  Xm,  pp.  126-149  ;  K.  Oari- 
dni,  Quando  naoqm  Ckmgrtmde  I  delia  Stala 
con  aure  noUxù  della  tua  ffiorinexxa,  Pado- 
va 1892  ;  G-.  Belognini,  Una  queatìone  di  oro- 
nologia  eoaligera  nella  D.  (7.,  Verona  1896. 

—  77. 4a  qaeita  stella:  Uarte,  ohe  espone 
gli  animi  alle  imprese  bellicose.  -~  78.  l'epe- 
re  sa  e  :  Cangrande  I  apparve  a  Dante  e  ai  sod 
oontemporand  come  ristoratore  dd  nome  ghi- 
bdlino  e  deU' autorità  imperiale  nell'ItdU 
superiore:  tanto  che  parecchi,  a  oomindaie 
nel  sec  xrv  da  CUdino  di  Sommacampagna, 
poi  il  Vdl.  e  non  pochi  dtri  commentatori, 
ravvisarono  in  lui  il  veltro  liberatore,  dedde- 
rato  e  augurato  dall'  Alighieri  (cfr.  ih/:  1 101). 

—  79.  Non  se  ne  len  eco.  Di  Cangrande  le 
genti  non  d  sono  ancora  accorte,  perché  egli 
ò  ancora  in  tenera  età,  essendo  nato  solamente 
da  nove  annL  —  80.  noveUa  età  :  la  prima 
età  della  vita,  il  tempo  che  precede  la  virilità  ; 
cfr.  Inf,  min  88,  ove  dà  novella  è  spie- 
gata dall'Ott  per  tenera  etade  —  pur  neve 
eco.  dd  momento  eh'  d  nacque,  queate  refe, 
i  deli,  i'  aggirarono  intomo  a  lui  per  soli 
nove  annL  —  82.  ■«  pria  eoo.  ma  prima  che 
il  pontefioe  Clemente  V,  guascone,  inganni  Ar- 
rigo VH  (cfr.  Fùr,  xzx  142  e  segg.);  doè 
prima  dd  1812,  in  coi  l'imperatore  s'inco- 
ronò in  Boma,  e  Cangrande  divenne  signore 
di  Verona,  d  manifesteranno  i  segni  ddla  soa 
vìrtd  nel  disprezzo  delle  ricchezze  e  deDe  ter 
tiohe  dolla  vita  militare.  Bignardo  al  disprezzo 
delle  ricchezze,  virtù  che  Cangrande  avrebbe 
avuta  comune  od  vdtro  (£i/i.  x  103),  raooonts 
Benv.  che  condotto  da  fandullo  a  vedere  un 
tesoro  €  minxit  super  eum  >,  che  sarà  una 
leggenda,  ma  è  ad  ogni  modo  da  tenerne 
conto,  come  di  cosa  raccontata  nd  seoolo  di 
Dante  ;  il  qude  dd  resto  fa  allo  Scaligero  in 
questi  veld  le  stesse  lodi  che  d  leggono  nel- 


PARADISO  -  CANTO  XVII 


709 


parran  fìiville  della  sua  vìrtute 
84        in  non  curar  d'argento  né  d'affanni. 
Le  Bue  magnificenze  conosciute 
saranno  ancora,  si  che  i  suoi  nimici 
87       non  ne  potran  tener  le  lingue  mute. 
A  lui  t'aspetta  ed  ai  suoi  benefici; 
per  lui  fia  trasmutata  molta  gente, 
90       cambiando  condizion  ricchi  e  mendici; 
e  porteraine  scritto  nella  mente 
di  lui,  ma  no  '1  dirai  »  :  è  disse  cose 
98       incredibili  a  quei  che  fien  presente. 
Poi  giunse:  €  Figlio,  queste  son  le  chiose 
di  quel  che  ti  fu  detto;  ecco  le  insidie 


1*  Bpift  «  Otngnnde,  1 1  :  <  Indyta  yestrtd 
Ma^ifloantiae  bras,  qiuun  Cum  Tigli  roUtena 
dlumnlint.  ito  diftnhit  in  diyena  divenos, 
ut  hot  in  fpem  soAe  prosperitetis  attollat,  hot 
•ztenninii  deiiolat  in  tarrorem.  Hoo  quidam 
proeooninm,  ftkota  modernomm  «zsapenns, 
tnmqnAm  Teri  ezistentia  latios,  arbltnbar  ali- 
qoando  aiipeiflaam.  Y«nim  n*  dintomA  m« 
nimii  inoertitado  raipenderatt...  Veronam  pa- 
tii fldit  ooolii  diaoanarai  andita;  iUqne  m*- 
gnalia  Teitra  vidi,  vidi  benaiioi»  ilmQl  at  t&- 
tigi  ;  at,  qnamadmodom  prina  diotoram  inapi- 
eabar  axoaaaiim,  aio  poateriai  ipaa  teota  axoea- 
aira  oognorL  Quo  ikotom  aat,  ut  az  andita 
aolo,  oom  qnadam  animi  labiaotiona,  banaro- 
Ins  prina  aztitaiim;  aio  az  yiaa  primordii  at 
darotiaaimna  at  arnioni  ».  —  86.  a(  eha  aoc 
in  modo  oha  panino  i  moi  nemioi  non  po- 
tranno taoama.  Non  crado  eha  Danta  allada 
ad  aloon  lìatto  o  persona  datarminata;  ma  più 
tosto  ai  grido  grande  eha  dalle  magnifloanzo 
dello  Scaligaro  corse  di  certo  anche  nelle  città 
guelfa  e  di  oni  rimane  V  eco  nei  cronisti  a 
poeti  dal  tempo  (ofr.  Q.  Villani,  Or.  z  140; 
F.  Ferreti,  in  Mnr.  Btr,  U,  MorìpL  toL  IX; 
carme  lat  In  Orti  Manara,  op.  dt,  pp.  106  e 
segg.;  A.  Medin,  Lar«8adiTnvi$o»lamorU 
di  Cangrandé  I  della  Seala,  eanlar$  d$l  teo. 
ziT,  Yenesia,  1886;  L.  Frati,  FnmmtiUodi 
ttrimiem  d»l  seo.  zir  tu  lode  di  Congrandé  /, 
Bologna,  1887;  Q,  Massoni,  Il  BiMdi$  di  Em, 
Owdóo,  Boma,  1887  ecc.).  —  88.  A.  Ini  eoe 
In  ini  e  nei  snoi  benefizi  riponi  ogni  tna  spe- 
nnz*,  poiché  per  opera  sua  molti  nomini  camr 
bieranno  condizione,  i  ricchi  e  potenti  saranno 
depressi,  ed  esaltati  gli  nmili  e  poveri.  Bene 
oeserra  TOtt  che  «  questo  testo  è  chiaro  in 
parta,  a  nel  rimanente  è  si  oscuro  che  non 
si  pud  chiosare  per  parole  oh'  entro  ▼!  sono  »: 
è  osonro  nd  yy.  89-90,  che  contengono  di 
Cangrande  una  lode  troppo  raga  e  generica, 
per  oni  non  pnò  essere  riferita  ad  alcun  sno 
fatto  determinato;  ò  chiaro  nel  t.  88,  ove 
manifestamente  è  accennata  l'accoglienza  e  la 


protezione  accordata  dallo  Scaligaro  all'ili- 
ghierL  Bignaido  ai  tempo  della  dimora  di 
Dante  In  Verona  presso  Oangrande  regna  la 
più  grande  incertezza:  sarebbe  confermata 
dall'Epist  a  Oangrande  stesso  |  1,  della  cui 
autentidtà  alcuni  dubitano  (cfr.  Q.  Vandelli, 
BulL  Vm,  187-164);  sarebbe  da  porre  nel 
1820,  se  si  potasse  tenera  coma  cosa  dantesca 
la  Qwiedio  sull'acqua  e  la  terra  (cfir.  F.  An- 
gelitti,  Bua,  vm  62-71,  290-296);  si  che 
il  meglio  è  confessare  che  mancano  elementi 
per  determinare  H  tempo  e  la  durata  del  se- 
condo soggiorno  reronese  del  poeta,  sebbene 
sembri  che  del  lìatfeo  non  si  possa  dubitare 
(ofr.  snUa  questtone  A.  BartoU,  St.  della  M. 
«.,  voL  I,  pp.  291  e  segg.).  —  9L  e  porte- 
raine ecc.  e  di  Oangrande  ricorderai,  ma  non 
Io  dirai  ad  alcuno  che  ecc.  —  seritlo  t  nel 
libro  della  memoria,  ofir.  Par,  zzzm  66.  — 
92.  e  éisse  eose  eoe  e  qui  Oacdaguida,  come 
già  poco  prima  Oarlo  Martello  (Par,  iz  4), 
mi  disse  cose  oh'  io  non  posso  ridire,  ma  cosi 
straordinarie  che  parranno  incredibili  a  chi  le 
vedrà  accadere  sotto  i  propri  occhi.  Dante, 
avendo  concepite  grandi  speranze  di  Oangran- 
de, come  ristoratore  del  nome  e  della  potenza 
ghibellina,  adombra  in  questa  reticenza  le  fu- 
ture imprese  di  quel  signore,  ohe  non  poteva 
specificare,  appunto  perché  quando  egli  scri- 
veva erano  solamente  sperate,  ma  non  com- 
piute; e  se  tutto  questo  non  basta  a  fard 
ritenere  che  proprio  in  Oangrande  il  poeta 
vedesse  attuato  il  suo  sogno  dd  vdtro  libe- 
ratore, ò  manifesto  che  egli  sperò  per  un 
momento  che  lo  Scaligero  potesse  farsi  promo- 
tore della  sperata  riforma  (ofir.  la  nota  all'jBi/'. 
I  101).  —  94.  Pel  glnnse  eoe  Fatta  la  pre- 
dizione, Caodagnida  soggiunge  che  q%tette  eon 
UoMoee^  doò  questo  suo  discorso  è  la  dichia- 
razione di  dò  che  a  Dante  fu  aooennato  circa 
il  suo  avvenire  nell'  inferno  e  nd  purgatorio 
(oCr.  la  nota  al  v.  1).  —  ehloia  {  cfir.  Inf,  zv 
89,  Purg.  zi  141.  —  96.  eaao  ecc.  queste  sono 
le  insidie,  che  a  tuo  danno  d  preparano  e  fra 


710 


DIVINA  COMMEDIA 


96        che  retro  a  pochi  giri  son  nascose. 
Non  vo*  però  eh' a*  tuoi  vicini  inyidie, 
poscia  ohe  s' infutura  la  tua  vita 
99       vie  più  là  che  il  punir  di  lor  perfidie  ». 
Poi  che  tacendo  si  mostrò  spedita 
l'anima  santa  di  metter  la  trama 
102       in  quella  tela  ch'io  le  pòrsi  ordita, 
io  cominciai,  come  colui  che  brama, 
dubitando,  consiglio  da  persona 
106       che  vede  e  vuol  dirittamente,  ed  ama: 
€  Ben  veggio,  padre  mio,  si  come  sprona 
lo  tempo  verso  me,  per  colpo  darmi 
108        tal  eh' è  più  grave  a  chi  più  s'abbandona; 
per  che  di  provvidenza  è  buon  ch'io  m'armi 
si  che,  se  loco  m'ò  tolto  più  caro, 
111        io  non  perdessi  gli  altri  per  miei  carmi. 
Giù  per  lo  mondo  senza  fine  amaro, 
e  per  lo  monte  del  cui  bel  cacume 
114       gli  occhi  della  mìa  donna  mi  levaro, 
e  poscia  per  lo  ciel  di  lume  in  lume 
ho  io  appreso  quel  che,  s'io  il  ridico, 
117        a  molti  fia  sapor  di  forte  agrume; 


pochi  anni  ti  colpiranno.  —  97.  Nob  to'  eoo. 
Ma  tn  non  devi  per  qoesto  nntriie  odio  veno 
i  taci  oondttadini,  poiché  il  tuo  nome  si  in- 
ftitora,  dorerà  f)uno90  nell'ayronire,  oltre  il 
tempo  nei  qnale  essi  saranno  paniti  delle  loro 
perfidie.  —  TielBl  :  cfr.  Inf,  xvn  68.  — 100. 
Pel  elM  eoo.  Le  parole  di  Oacdagoida  lofloi- 
tano  nn  dubbio  nell'animo  di  Dante:  dorrà 
egli  tacere  dò  che  ha  reduto  nel  sno  Tiaggio 
per  non  dispiacere  ai  potenti,  o  dorrà  mani« 
restarlo  por  acquistarsi  cosi  etema  fiama? 
Espone  subite^  questo  dubbio  a  Cacdagoida, 
il  quale  con  efficaci  parole  lo  conforta  ad  avere 
il  coraggio  di  dire  tutta  la  rerità,  poiché  in 
tal  modo  renderà  un  grande  servigio  ali*  uma- 
nità. —  101.  di  Metter  ecc.  di  tessere  la  tela 
che  io  gli  aveva  presentata  ordita,  di  rispon- 
dere doè  alla  mia  domanda  :  lo  stesso  traslato 
è  in  Pur,  m  95-96.  —  103.  eome  eolnl  ecc. 
con  la  fiducia  propria  di  colui  che  essendo 
dubbioso  chied#  consiglio  a  persona  assen- 
nata, onesta  e  affszionata.  —  105.  che  vede 
ecc.  In  poche  parole  delinea  il  ritratto  del 
buon  consigliere,  che  deve  essere  persona  sa- 
piente {ehé  vede  dÌHUammUe\  virtuosa  (ohe 
vuoU  dirittammté)  e  amorosa  {eh»  ama)  verso 
colui  che  chiede  consiglio.  —  106.  Bea  veg- 
gio ecc.  Io  intendo  come  il  tempo  s' affretta 
contro  di  me,  per  colpirmi  con  l'esilio  e  con 
le  altre  sventure  da  te  predette,  le  quali  sono 
di  tale  natura  da  riuscire  tanto  più  gravi  al- 


l' uomo,  quanto  più  egli  M'aibbandona,  doè  ri 
lascia  prendere  da  esse  impraparato,  aeua 
aver  fatto  nulla  per  attenuare  tanta  miseria. 
—  109.  per  cke  eco.  per  la  qual  cosa  ò  utUe 
eh'  io  provveda  a  me  stesso,  si  che,  se  nd 
sarà  tolta  la  patria  per  opera  dei  neinid  di 
parte,  io  non  abbia  a  perdere  gli  altri  luoghi, 
in  cui  potrei  rifugiarmi,  a  cagione  dei  versi 
troppo  pungenti.  —  112.  Gli  eoo.  Neil*  in- 
famo, nel  purgatorio  e  nel  paradiso  io  ho  n^ 
preso  cose  che,  s*  io  le  ridico,  a  mfÀtL  riosd- 
ranno  gravi  e  moleste.  —  per  lo  mobAo  ecc. 
Neil'  inferno,  luogo  d'eterno  dolore,  Dante  in- 
oontrd  molti  peccatori,  dei  quaU  i  pareaiti  o 
g^  amid  erano  vivi  nel  mondo  e  oerto  male 
avrebbero  tollerato  le  note  d' infkmia  del  poeta 
esule:  il  f&tto  per  quanto  leggendario,  di 
Branca  Doria  (cfr.  ^f,  zzxm  137),  n*  ò  pro- 
va ;  e  basti  ricordare  old  ohe  nella  prima  can- 
tica Dante  scrive  di  molti  suoi  conoittsdini, 
di  molti  prindpi  e  signori  italiani  e  stranieri, 
e  di  prelati  e  cardinali  e  pontsficL  —  US.  per 
Io  monte  eoe  per  il  monte  del  purgatorio, 
dalla  cui  cima  gli  occhi  di  Beatrice  mi  leva- 
rono su  ai  deli  (cfr.  Par.  1 64).  Nella  seconda 
cantica  molti  pani  potevano  eodtare  odi  con- 
tro Dante,  ma  specialmente  quello  ch'egli 
scrisse  dei  prindpi  del  suo  tempo.  —  115. 
per  lo  elei  eoe  nel  paradiso,  di  pianeta  in 
pianeta.  Dante  d  lifnisoe  specialmente  a  dò 
die  ha  udito  contro  gli  Angioini,  contro  i  si- 


PABADISO  -  CANTO  XVH 


711 


e  s'io  al  vero  son  timido  amico, 
temo  di  perder  vita  tra  coloro 
120        che  questo  tempo  chiameramio  antico  ». 
La  luce  in  che  rideva  il  mio  tesoro, 
ch'io  trovai  li,  si  fé'  prima  corrusca, 
123       quale  a  raggio  di  sole  specchio  d'oro; 
Indi  rispose  :  €  Coscienza  fusca 
0  della  propria  o  dell'altrui  vergogna 
126        pur  sentirà  la  tua  parola  brusca. 

Ma  non  di  men,  rimossa  ogni  menzogna, 
tutta  tua  vision  ùl  manifesta, 
129        e  lascia  pur  grattar,  dov'  è,  la  rogna  ; 
che,  se  la  voce  tua  sarà  molesta 
nel  primo  gusto,  vital  nutrimento 
182        lascerà  poi  quando  sarà  digesta. 
Questo  tuo  grido  farà  come  il  vento, 
che  le  più  alte  cime  più  percote; 
135        e  ciò  non  fa  d'onor  poco  argomento. 
Però  ti  son  mostrate  in  queste  rote, 


gnoil  deOA  Maioa  Tiivigiana,  contro  i  fran- 
oeftofuii  •  domenioani.  —  118.  e  ■'  lo  ecc.  e 
•e  io  tacendo  mi  dimostnsfl  timido  amico 
della  verità,  temo  ohe  non  Tiyrei  od  nome 
tra  i  posteri,  non  acquisterei  la  Cuna  immor- 
tale die  tn  m' hai  profetata.  Dell'  amore  di 
Dante  per  la  rerità,  dtre  ohe  tatta  la  sna 
▼ita  e  tutte  le  sne  opere  ne  sono  una  dimo- 
straxione  oontinna,  d  leggano  cdde  afferma- 
doni  nd  Oonv,  !▼  8,  nd  De  mon,  iii  1,  nd- 
r  Epist  d  oardinaU,  §  6  eoe  —  119.  Tito:  la 
Tito  dd  nome,  la  buona  nominanza,  nella 
quale  l' nomo  tItb  anche  dopo  la  morte  del 
oorpe;  efr.  Bsr,  ix  42.  —  121.  La  lice  eoo. 
Lo  splendore,  nd  qnde  riderà  l'anima  di  Oao- 
i^'ftg""*,  da  me  incontrata  nel  cielo  di  Marte, 
d  iiBoe  più  TiTamente  scintillante,  per  segno 
di  magi^ore  allegrezza  (efr.  Par,  rm  46).  — 

123.  f  aalt  ecc.  come  nn  aoreo  specchio  sol 
qnale  Tenga  a  cadere  nn  raggio  di  sole.  — 

124.  Ootdensa  ecc.  Solamente  chi  abbia  la 
oosdenza  macchiato  o  per  colpa  propria  o  per 
oolpa  dd  snoi  conginnti  sentirà  la  puntura 
della  toa  parola.  —  125.  Tergegaa  :  atto  rer- 
gognoeo,  per  coi  abbia  ad  arrossire  chi  T  ha 
oompinto  (per  es..  Branca  Dona)  o  chi  a  un 
oolperole  ò  legato  da  Tincoli  di  sangue  (per 
ea.  i  Ghiaramonted  che  arros$an  p$r  lo  iiaioy 
cfr.  Par.  STI  105).  —  127.  rUiossa  eco.  te- 
nendoti lontano  da  qudunque  menzogna.  — 
128.  tatto  eco.  Butl  :  e  fa  manifesto  totto 
dò  ohe  hd  Teduto,  o  bene  o  mde  ohed  sia; 
dò  che  hd  pensato  che  fia  da  mettere,  se- 
condo lo  too  gindido,  in  questo  tua  com- 
media ».  —  129.  e  laseto  ecc.  e  laada  pur 


che  se  ne  lamentino  odoro  che  dalle  toe  pa- 
role riceveranno  vergogna.  Il  modo  dante- 
sco, effloacissimo  a  esprìmere  la  noncuranza 
per  i  lamenti  interessati  contro  il  poema, 
spiacque  e  spiace  a  molti  retori,  ohe  non  d 
stancano  di  piangere  sulla  sna  trivialito  e 
•convenienza:  ma,  oltre  che  era  un  detto 
proverbide,  è  di  quelli  che  rivelano  pur  sem- 
pre una  grande  potenza  e  vigoria  di  pen- 
siero e  di  parola,  che  scusa  la  crudezza  di 
questo  e  d'dtre  espressioni  dantesche  (cfr. 
Inf.  zxi  1S9>.  —  190.  che,  se  eoe  poiché,  so 
anche  la  tua  parola  riusoirà  molesto  d  primo 
sentirla,  sarà  dbo  vitde  di  buoni  e  morali 
ammaestramenti  a  ohi  la  mediti  riposatamento. 
—  133.  (^neito  eco.  Le  toe  parole,  risonando 
più  fiere  sopra  1  più  potonti  della  terra,  fa- 
ranno come  vento  che  percuoto  più  impetoo- 
samente  le  dme  dei  monti  più  dti  ;  e  questo 
coraggio  del  vero  ò  sempre  all'uomo  cagione 
di  onore.  —  eeme  Tento  ecc.  Trasferisce  d 
vento  dd  ohe  dtri  poeti  dicono  anche  del 
tolmine;  Orazio,  Od.n  10,  9 :  «  Saepius  ven- 
tis  agitotur  ingens  Pinna,  et  oelsae  graviore 
casu  Deddunt  turres,  ferìuntqne  summos  Fd- 
gura  montes  >,  e  Boezio,  Gbns.  phiL  i,  poesia 
4  :  «  Aut  oelsas  soliti  ferire  turres  Ardentis 
via  fnlminis  movebit  >.  —  136.  Però  ecc.  A 
questo  fine,  che  to  colpisca  i  potenti,  nd  tre 
regni  della  morto  gento  ti  sono  stoto  additoto 
solamento  anime  noto  per  Ccuna  agli  uomini, 
che  sono  ancora  femoee  nd  mondo.  Famose 
o  oonosduto  d  tompo  di  Danto;  anche  se 
per  nd  moderni  sia  spento  la  memoria  d'al- 
cuna di  osse  :  è  però  da  notare  che  Danto 


712 


DIVINA  COMMEDU 


138 


142 


nel  monte  e  nella  valle  dolorosa 
pur  r anime  che  Bon  di  feuna  note; 

che  l'animo  di  quel  ch'ode  non  posa, 
né  ferma  fede  per  esemplo  eh'  àia 
la  sua  radice  incognita  e  nascosa, 

né  per  altro  argomento  ohe  non  paia  ». 


distingue  lo  persone  da  lai  lioonosoiiite,  molte 
delle  qnaÙ  sono  qnasi  ignote  sUa  stoxia,  da 
quelle  di  ooi  dicono  a  Icd  il  nome  Virgilio, 
Beatrice  o  altri  spiriti:  queste  ultime  seno 
per  lo  più  persone  abbastanza  flunoee.  — 189. 
che  eoo.  perobé  l'animo  di  chi  ascolta  non  si 
ferma  e  non  presta  fede  se  non  ad  esempi  di 


cose  manifeste  0  di  persone  cognite  ;  gli  esempi 
tratti  da  fìitti  o  nomi  sconosciuti  sono  inef- 
flcaoL  —  140.  per  esemplo  eoe.  per  alcun 
esempio  di  coi  Teesenza  sia  incognita  e  na- 
scosta. —  àU:  cfr.  £•/:  zxi  60.  — 143.  per 
altro  ecc.  per  qualsiroglia  argomento  ohe 
non  apparisca  laanifesto. 


CANTO  xvin 

Cacciagnida  addita  a  Dante  le  anime  di  Giosoè,  Maccabeo,  Carlo  Xagno, 
Orlando,  e  di  altri  propngnatorl  della  fede;  poi  il  poeta  e  Beatrice  salgono 
al  sesto  cielo,  quello  di  Giove,  ove  appariscono  gli  spiriti  di  coloro  che  in 
terra  amministrarono  dirittamente  la  giustizia  :  da  questa  vista  Dante  trae 
argomento  a  una  invettlTa  contro  V  avariiia  dei  pontefici  [14  aprile,  ore 
antimeridiane]. 

Già  si  godeva  solo  del  suo  verbo 
quello  specchio  beato,  ed  io  gustava 
8       lo  mio,  temprando  col  dolce  l'acerbo; 
e  quella  donna,  eh' a  Dio  mi  menava, 
disse:  €  Muta  pensier,  pensa  ch'io  sono 
6        presso  a  colui  ch'ogni  torto  disgrava  ». 
Io  mi  rivolsi  all'amoroso  suono 
del  mio  conforto,  e  quale  io  allor  vidi 


XVm  1.  6ià  si  godoTa  eoo.  Bisg.  :  e  Ta- 
oeyssi  l'anima  santa,  e  pensava;  e  cosi  Dante  ; 
ma  il  pensiero  di  lei  era,  siccome  quello  con- 
tinuo degli  eletti,  pensiero  di  beatitudine;  e 
queUo  di  Dante,  deUe  cose  testé  dettegU  da 
lei;  però  dice  cìie  quello  spirito  beato  si  go- 
deva del  suo  pensiero,  mentr*  egli  gustava  il 
suo  ch'era  a  un  tempo  dolce  e  acerbo  per  le 
cose  udite,  parte  amiche,  e  parte  nemiche  ». 
—  Tsrbo:  pensiero,  concetto  (cfr.  Tomm. 
d'Aqu.,  Sumnu  P.  I,  qu.  zzxit,  art  1  :  eprimo 
et  principaliter  interior  mentis  oonooptus  twr- 
bum  dioitur  »).  Oosi  intesero  rettamente  la  più 
parte  dei  commentatori,  dall'Ott  allo  Scart.  ; 
ma  già  il  Buti,  pur  conoscendo  questa  sposi- 
sione,  n'  adottò  un'  altra  :  «  si  godeva  dentro 
da  so  solamente  del  suo  sermone,  godeva  della 
bella  dichiarogione  ch'area  lìstto  a  Dante  so- 
pra li  suoi  dubbi  > ,  perohó,  aggiungeva,  €  gode 
la  mente  della  verità,  quando  l' à  manifesta- 
ta >  :  seguono  questa  interpretazione  Land., 
Veli.,  Dant,  Siano  eoo.  —  2.  specchio  eco. 
beato  spirito  luminoso,  quasi  spoeto  del  pen- 


siero divino.  —  8.  temyrM^  «oo.  tsmpe- 
rande,  attenuando  l'acerbità  della  profesia  di 
Oaociaguida,  relativa  all'esilio  e  alle  altre 
mie  sventuró,  con  la  dolce  promessa  delle 
buone  accoglienze  scaligere  e  dell' immorts- 
lità.  Le  parole  detto  dal  suo  antenato  in  Par, 
xvn  70-d2,  124-142  raddolcirono  a  Dante  l'a- 
mara impressione  di  quelle  dei  vr.  46-69.  — 
6.  Mvta  pensier  ecc.  Non  pensare  alle  ven- 
dette dei  tuoi  nemid,  pensa  che  io  sono  già, 
e  tu  con  me,  presso  a  quei  Dio,  coi  appar- 
tiene d'alleggerire  ogni  torto,  punendo  i  col- 
pevoli e  rimunerando  gì'  innocenti.  —  6.  celai 
eco.  cfr.  DmUeronoin,  xzxu  86  :  «  [Il  Signore 
ha  detto  :]  A  me  appartiene  di  fkr  la  rendetta 
e  la  retribuzione  »  ;  Paolo,  Ep,  ai  romam  xn 
19  :  e  Non  fate  le  vostze  vendette,  cari  miei: 
anzi  date  luogo  all'ira:  per  ciò  dta,  egli  è 
scritto,  A  me  la  vendetta,  io  renderò  la  re- 
tribuzione »  ;  Ep,  affli  Ebrd  x  90  :  e  Noi  oo- 
nosciamo  colui  che  ha  detto,  A  me  appartiene 
la  vendetta,  io  Isrò  la  retribuzione».  —  7. 
Io  mi  rlTolsi  eoo.  ofr.  A0y.  v  7.  —  &  ale 


i 


PARADISO  -  CANTO  XVHI 


713 


9        negli  occhi  santi  amor,  qui  l'abbandono; 
non  perch'io  pur  del  mio  parlar  difidi, 
ma  per  la  mente  che  non  può  reddire 
12       sopra  sé  tanto,  s'altri  non  la  guidi. 
Tanto  posa' io  di  quel  punto  ridire 
che,  rimirando  lei,  lo  mio  affetto 
15       libero  fu  da  ogni  altro  disire, 
fin  che  il  piacere  etemo,  che  diretto 
raggiava  in  Beatrice,  del  bel  viso 
18       mi  contentaya  col  secondo  aspetto. 
Vincendo  me  col  lume  d'un  sorriso, 
ella  mi  disse  :  «  Volgiti  ed  ascolta, 
21        che  non  pur  nei  miei  occhi  ò  paradiso  ». 
Come  si  vede  qui  alcuna  volta 
l'affetto  nella  vista,  s'ello  è  tanto 


coafòrU  !  Beatrice,  designata  qui  oon  la  stessa 
parola  ohe  Dante  osa  per  Virgilio  in  ISarg, 
m  22,  1x48.  —  e  «naie  eoe  e  quale  amore 
TBdesd  allora  sAiTlllaie  negli  ooohi  di  Bea- 
trice, non  lo  dirò  qni.  ~  10.  bob  pereh'lo 
eoo.  non  solaniente  perché  io  creda  insaffi- 
dente  a  dò  la  mia  parola,  ma  anche  perché 
la  mia  memoria  non  pad,  tensa  l' alato  di  ana 
spedai  grazia,  ritornare  sopra  sé  stessa  tanto 
quanto  bisogna  per  rappresentarsi  qoellMnef- 
Isbile  amore.  —  U.  reddlrt  i  dal  lat.  rsdtrv, 
di  coi  conserva  il  senso  (cfr.  nddiati  in  Ar. 
n  105,  per  analogia  oon  r$dden).  —  18. 
Tanto  eoe  DI  qoel  momento  io  non  posso 
ridire  se  non  qnesto,  che,  contemplando  Bea- 
trioe,  il  mio  animo  ta  libero  da  ogni  altro 
desiderio,  per  tatto  qad  tempo  oh»  U  piacer» 
damo  della  laoe  divina,  òhe  direttamente  rag- 
giava nella  mia  donna,  oontinaò  a  sodi8£armi, 
apparendo  a  me  riflesso  nei  belli  ooohi  di  Bea- 
trice. La  laoe  divina  raggiava  nella  donna  e 
dagli  ooohi  di  lei  si  rifletteva  a  Dante,  il  quale 
perdo  a  quella  contemplazione  dell'eterno 
piacere  dimentiod  Oaodaguida  e  ogni  terreno 
pensiero:  il  senso  è  cihiarissimo,  ma  V  hanno 
ingarbugliato  gli  editori  mettendo  un  punto 
dopo  il  V.  16  e  una  virgola  dopo  il  v.  18; 
interpandone  manifestamente  erronea.  —  16. 
da  OfBl  eoa  da  tatti  i  sentimenti,  ohe  in 
me  avevano  svegliati  le  parole  di  Caooiaguida, 
quelli  per  cui  io  andava  Umprando  col  dolo» 
Vaombo,  —  17.  del  M  ecc.  mi  contentava 
iW  ateondo  aapetto  del  bel  viaot  oon  ciò  oh'  io 
vedeva  riflesso  a  me  dallo  sguardo  di  Bea- 
trice; il  bel  Vito  non  ò  il  volto,  ma  gli  ooefU 
ÈonUi  dai  quali  procedeva  a  Dante  indiretta- 
mente {teeondo  atpeUo)  la  luce  divina,  il  pio- 
cere  eltmo.  —  19.  TlBCeado  ecc.  Beatrice, 
vincendo  me  oon  lo  splendore  d' un  sorriso, 
e  distogliendomi  (spiega  il  Lomb.)  da  qud 
beato  assorlymento  »,  mi  disse  di  voltarmi  ad 


ascoltare  ancora  Oaodaguida.  Molti  editori 
ooUegano  il  v.  19  od  precedenti,  ponendo  vir- 
gola dopo  atptUo  e  punto  dopo  torrito;  ma 
cod  osserva  a  ragione  il  Bianchi,  e  s' imbro- 
glia e  e'  oscura  maggiormente  il  senso  e  la 
dntasd  ».  Non  solo,  ma  anche  d  tk  dire  a 
Dante  cosa  poco  sensata,  perché  se  dò  ohe 
lo  eotUerUava  era  la  luce  riflessa  dag^  occhi 
di  Beatrice,  come  avrebbe  potato  aggiungere 
che  lo  vinceva  un  sorriso  ?  Invece,  descritta 
nei  w.  18-18  la  dolce  contempladone  del- 
retemo  piacere  nello  sguardo  della  sua  donna, 
sta  bene  ohe  d  continui  dicendo  che  dia  per 
mezzo  di  un  sorriso  o  delle  pardo  soggiunte 
distolse  Dante  da  tale  contempladone  e  lo 
rivolse  novamente  a  Oaodaguida.  —  20.  Vol- 
giti ecc.  Volgiti  a  Oaodaguida  ed  ascolta  dò 
oh'  egli  ti  dirà  ;  poiché  la  beatitudine  non  ò 
solamente  nella  contempladone  dei  mid  oo- 
ohi :  vuol  dire  che  Dante  avrebbe  provato 
un  grande  piacere  nd  vedere  lo  anime  di 
Giosuè,  di  Maccabeo,  di  Oarlo  Magno  e  degli 
dtri  propugnatori  ddla  fede,  che  Cacciaguida 
era  per  mostrargli  ;  poiché  erano  di  quelli 
spiriti  nd  quali  Dante,  buon  cristiano,  do- 
veva esdtard,  come  già  dei  savi  e  degli  eroi 
dell'antichità  (cf^.  Inf,  iv  119).  —  21.  para- 
diso: dolcezza,  beatitudine  di  paradiso;  cod 
anche  in  Par.  xv  86.  —  22.  Come  ecc.  Oome 
negli  uomini  qudche  volta  il  sentimento  d 
manifesta  negli  occhi,  se  quello  ò  tanto  forte 
che  l'anima  ne  sia  tutta  rapita  eoo.  Alcuni 
interpreti  sembra  che  per  vieta  abbiano  inteso 
il  sembiante  in  genere,  l'aspetto  dell'  uomo 
(Lana,  Ott  ecc.);  ma  che  d  tratti  proprio 
degli  occhi  apparo  da  questo  luogo  del  dno. 
m  8  :  e  Difflostrad  [l'&nima]  negli  occhi  tanto 
manifesta  che  conoscer  d  pud  la  sua  pre- 
sente pasdone,  ohi  bene  la  mira.  Onde  oon 
dò  sia  cosa  die  sd  pasdoni  siano  propie 
dell'anima  umana,  delle  quali  Da  menùone  il 


714 


DIVINA  COMMEDIA 


24 


27 


80 


che  da  lui  sia  tutta  P  anima  tolta, 

cosi  nel  fiammeggiar  del  fulgor  santo, 
a  ch'io  mi  volsi,  conobbi  la  voglia 
in  lui  di  ragionarmi  ancora  alquanto. 

Ei  cominciò:  «In  questa  quinta  soglia 
dell'arbore,  che  vive  della  cima 
e  frutta  sempre  e  mai  non  perde  foglia, 

spiriti  son  beati,  che  giù,  prima 
che  venissero  kl  del,  far  di  gran  voce, 
si  ch'ogni  musa  ne  sarebbe  opima. 

Però  mira  nei  comi  della  croce: 
quello  ch'io  nomerò,  li  òak  l'atto 


n 


Filosofo  nella  loa  Batorica,  doè  gnsU,  lelo, 
mlBOiiooidk,  inyidia,  amore  •  Ttigogna,  di 
nalla  di  queste  paote  l'anima  estere  passio- 
nata, ohe  alla  finestra  degli  ooohi  non  regna 
la  semWania,  se  per  grande  virtA  dentro  non 
si  òhiode  »  :  efr.  anche  Aivy.  zn  111.  Del 
resto  qoi  Dante  non  &  che  dare  nn  nuovo 
atteggiamento  al  concetto,  tanto  diffuso  nei 
trovatori  e  nei  nostri  primi  poeti,  degli  occhi 
messaggieri  del  onore  (cfr.  A.  Oaspary,  La 
touola  pottiea  tioiL,  p.  89,  e  Ventori  262).  — 
25.  eos<  eoo.  oosi  nel  fiammeggiare  di  quel- 
l'anima luminosa  (cfr.  Pur,  z  64,  zzz62),  alla 
quale  io  mi  volsi  per  invito  di  Beatrice,  co- 
nobbi n  suo  desiderio  di  parlare  ancora  al- 
quanto con  me.  —  28.  Bl  eeMlBdè  ecc.  Oac- 
daguida  dice  che  nel  quinto  delo  i^»psiiscono 
spiriti  beati  di  uomini  ftimosisslml  nel  mondo 
(w.  28-88)  e  invita  Dante  a  star  attento,  per- 
ché via  via  oh'  ei  ne  dirà  il  nome  ciascuno 
spirito  trascorrerà  per  la  croce  (w.  84-86)  : 
cosi  il  poeta  vede  le  anime  luminose  di  Qio- 
sud,  Maccabeo,  Oario  Magno,  Orlando,  Ou- 
glielmo  d' Orango,  Binoardo,  Qoffiredo  di  Bouil- 
lon  e  Boberto  Guiscardo,  tutti  strenui  cam- 
pioni della  religione.  —  la  questa  ecc.  In 
questo  quinto  cielo  del  paradiso,  die  trae  da 
Dio  la  ragione  della  sua  esistenza  e  acquista 
sempre  nuove  anime  senza  mai  perdome  al- 
cuna eco.  —  soglia:  cfr.  Par,  zzzii  13.  — 
29.  dell'arbore  ecc.  Quesf  albero,  che  trae 
i  succhi  vitali  dalla  dma  e  produce  sempre 
nuovi  frutti  e  mai  non  perde  alcuna  fòglia,  ò 
simbolo  del  paradiso,  nella  parte  piti  alta  del 
quale,  l'Empireo,  sta  Dio,  che  diffonde  la 
sua  grazia  per  i  deli  sottostanti  si  che  le 
nuove  anime  elette  alla  beatitudine  trovano 
inesauribile  quel  piacere  che  durerà  etema- 
mente.  Si  cfr.  per  questa  forma  simbolica  dò 
che  Dante  scrìve  di  altri  alberi  mislid  in 
Pi/trg,  zzn  180  e  segg.,  xxiv  108  e  segg. , 
xzxn  88  e  segg.  —  81.  che  gltf  ecc.  i  quali 
nd  mondo,  prima  di  morire,  furono  di  grandis- 
sima fama  si  ohe  dascnno  darebbe  ricca  ma- 
teria di  canto  a  qualsiasi  poeta.  Opportuna- 


11  Tomm.  :  e  Qui  rinooniriaao 
più  nomi  che  Airone  o  ohe  potevano  essere 
soggetto  a  poema,  Cario  Magno,  Orlando,  Gof- 
fredo, Boberto  Guiscardo...  Non  solo  per  pr»- 
sdenza  di  qud  che  contenevan  di  storico  le 
tradizioni  rsooolte  in  quo'  nomi  il  poeta  U 
pronunziò»  ma  perché  s*  accorgeva  esser  qneOe 
tradizioni  veramente  di  popolo  e  di  naadone, 
onde  la  sua  è  più  testimonianza  del  preeeote 
che  vaticinio  dell'avvenire;  e,  in  quanto  te- 
stimonianza, è  eziandio  vaticinio.  Ma  i  due 
nomi,  ancora  più  che  quelli  di  Qoff^r«do  e  A 
Carlo,  merìtovoli  di  poema,  sono  Giosuè  e  Mao- 
cabeo,  principalmente  il  secondo;  ed  è  ca- 
gione più  di  ddore  che  di  maraviglia  il  ve- 
dere die  fira  tanti  pezzi  di  poeda,  fcM^  • 
corti,  vtiooi  •  tordi,  torti  •  diritti^  oosbub  Ib  «w- 
fmxù  di'  corpi  che  d  muovono  per  un  raggio 
in  camera  buia,  uno  non  ce  ne  sia  oonsacrato 
a  questo  soggetto  di  dvHe  e  religiosa  gran- 
dezza ».  Non  so  quanto  oggi  potesse  piacere 
un  poema  di  materia  biblica,  quale  il  Tomm. 
deddenva;  ma  certo  l'epica  grandezza  dd 
f^tti  dd  Maooabd  non  isKiggi  ai  poeti  me- 
dioevali, e  nella  forma  delle  canzoni  di  gesta 
fri  pur  rilavorata  la  loro  storia  (cfr.  E.  Sten- 
gel  nella  JBip.  di  fU.  romanza,  voL  n,  ^. 
82-90  e  G.  Paris  ndla  Bomama^  voL  TV,  p. 
498).  —  88.  ogni  musa  :  ogni  poeta  (cfr.  P&r, 
zv  26),  0  r  ispirazione  e  l'arte  d'ogni  poeta. 

—  84.  Però  ecc.  Perdo,  se  vud  conoscere 
questi  spiriti  ftunod,  guarda  alle  loaccia 
della  croce  (cfr.  Bir,  zrv  109)  :  ogni  anima, 
di  cui  io  dirò  il  nome,  trascorrerà  da  un  capo 
all'altro  per  la  Usta  radiai  {Pttr,  zv  23),  oon 
lo  vdodtà  del  baleno  per  mezzo  alla  nube. 

—  86.  li  farà  ecc.  Ant  :  «  Il  frioco  veloce 
di  una  nube,  incognito  ndla  sua  natora  a^li 
antichi,  òunasoaricao  sdntQlazbne  dettrioa  ; 
il  quale  non  sempre  passa  da  nube  anube  per 
generare  qud  che  didamo  folgore  o  saetta 
ma  nella  nuvola  stessa  limane,  e  a  un  tratto 
la  illumina.  Questa  imagine  concorre  ooQ'al- 
tra  assai  somigliante.  Par,  zv  24:  cks  jnstm 
fìu)eo  diatro  ad  oioòosfro,  a  indicare  die  in 


PARADISO  -  CANTO  XVIII 


715 


86        che  fa  in  nube  il  suo  foco  veloce  ». 
Io  vidi  per  la  croce  un  lume  tratto 
dal  nomar  Giosuè,  com'ei  si  feo, 
89        né  mi  fu  noto  il  dir  prima  che  il  fatto  ; 
ed  al  nome  dell'alto  Maccabeo 
vidi  moversi  un  altro  roteando, 
42        e  letizia  era  ferza  del  paleo. 

Cosi  per  Carlo  Magno  e  per  Orlando, 
due  ne  segui  lo  mio  attento  sguardo, 
45        com'occliio  segue  suo  falcon  volando. 
Poscia  trasse  Guglielmo  e  Einoardo 


Marte  le  beate  lad  non  ayevano  parrenza 
distinta,  ma  sL  mostravano  incorporate  nelle 
splendenti  liite  della  grande  orooe,  in  coi  vi- 
dea dal  poeta  lampeggiare  Cristo  ».  —  86.  ehe 
fa  eoo.  E  nn  altro  accenno  al  fenomeno  dei 
baleni  estivi,  da  riawicinare  a  qnello  del 
I\trg.  V  89.  —  87.  Io  vidi  eco.  Appena  fa 
pronunziato  da  Cacciagnida  il  nome  di  Giosuè 
(eom*  ei  si  foo\  io  vidi  nn  lame  per  la  croce, 
mosso  appunto  dal  nomar  Oioauè^  dall'  esse- 
re stato  detto  il  suo  nome  ;  e  fa  cosi  pronto 
il  movimento  d»  per  me  fa  nello  stesso 
istante  in  coi  eim  stato  detto  il  nome.  ~  38. 
6io8nè:  Giosoò,  figlio  di  Non,  saccessore  di 
Kosò  nel  regno  d' Israele  (  seo.  xvi  a  C.  ), 
pieee  Gerico  (cfr.  Purg,  xx  109,  Par.  ix  121) 
e  oon  una  sangainosa  guerra  di  esterminio 
oonquistò  le  terre  degli  Amorrei  e  dei  Ca- 
nanei, sulle  rive  del  Giordano:  le  sue  im- 
prese sono  narrate  nel  libro  biblico  che  porta 
il  suo  nome.  —  40.  ed  al  nome  ecc.  L'altra 
anima  che  si  mosse  per  la  croce  volgendosi 
in  giro  fa  quella  di  Giuda  Maccabeo  (morto 
nel  IGO  a  C),  figlio  di  Alatatia,  il  quale  in- 
sieme oon  quattro  fratelli  combatto  felice- 
mente oon  r  aiuto  del  Signore  contro  Antioco 
Epilane  re  di  Siria  (175-163  a  C.)  e  liberò  il 
popolo  ebreo  dalla  tirannide  di  lui:  i  suoi 
fatti  sono  narrati  nei  due  libii  biblici  dei 
Maeeaibri,  che  Dante  ricorda  in  Inf.  xix  85- 
86.  —  41.  roteando  :  «  partendosi  dal  luogo 
sno  e  fare  come  uno  giro,  tornando  al  luogo 
suo  di  prima  »  ;  cosi  il  Buti  :  ma  forse  Dante 
voUe  dire  ohe  nel  passare  dall'uno  all'altro 
corno  della  croce  il  lume  avanzava  moven- 
dosi anche  intomo  a  sé  stesso,  con  doppio 
movimento,  di  traslazione  e  di  rotazione.  — 
42.  e  letlziu  ecc.  la  letizia  di  quell'  anima 
era  il  motivo  del  suo  roteare,  come  la  cordi- 
oella  o  sferza  ò  quella  che  imprime  al  palèo 
il  suo  movimento  rotatorio  :  il  palòo  ò  una 
specie  di  trottola,  n  volubile  bttxum  di  Virg., 
JEn.  vn  882,  che  i  fanciulli  fanno  girare  su 
sé  stessa,  imprimendole  il  moto  con  una  fu- 
nicella fermata  a  una  verga,  a  guisa  di  ferxa 
(cfir.  Jnf,  xviu  36).  —  43.  Carlo  Magno:  fi- 
glio di  Pipino,  nacque  nel  742,  fu  incoronato 


re  di  Nenstila  e  d' Aqnltania  nel  768,  dei  Fran- 
chi nel  771,  dei  Lombardi  nei  774;  restaurò 
r  impero  ooddentale,  prendendo  la  corona  in 
Boma  nel  giorno  di  Natale  dell' 800,  e  mori 
néll'814:  ta  grande  propugnatore  della  reli- 
gione cristiana  e  della  Chiesa  (of^.  Par.  vi 
96)  e  combatté  lungamente  e  felicemente  1 
nemici  del  nome  cristiano;  onde  poi  diventò 
il  centro  delle  leggende  eroiche  medioevali, 
che  diedero  materia  ai  poemi  firanoesi  e  ita- 
liani :  cfr.  G.  Paris,  Hiatoiré  poétique  do  Char^ 
lomoffnoy  Parigi,  1866.  —  OrlSBdo:  storica- 
mente ò  quel  Rolando  (Hruodlandua,  britanr 
mei  lìnUtis  praefeetuo)^  che  Eginardo  ricorda 
tra  i  morti  nella  battaglia  di  BoncisvaUe,  15 
agosto  778;  secondo  la  leggenda,  fu  nipote 
di  Otflo  Magno  e  il  più  valoroso  dei  suoi  pa- 
ladini, e  come  tale  fu  n^presentato  nel  poemi 
medioevali,  ove  appare  come  il  pid  grande 
degli  eroi  cristiani,  morti  combattendo  per  la 
fede:  ob.  L.  Gautier,  Lea ^aopées  fran^iaeo^ 
cit,  voi.  m,  pp.  493-625.  —  45.  eom'oeehio 
ecc.  con  quella  stessa  inazione  con  la  quale 
l'occhio  dol  falconiere  segue  il  falcone  che 
vola.  —  Telando:  gerundio  in  funzione  di 
participio;  c£r.  Inf.  xxxi  14.  —46.  Clngllel- 
mo  :  storicamente  ò  Guglielmo  duca  d'Orango, 
morto  monaco  a  Gellone  nell'812;  nella  leg- 
genda francese  egli  appare  come  figlio  di  Ame- 
rigo di  Karbona  ed  ò  centro  di  una  serie  di 
poemi,  che  costituiscono  la  cosi  detta  géaia 
di  Ovglielmo  e  si  riferisoono  alle  lotte  di  que- 
sto valoroso  principe  contro  i  Saraceni  ;  cfr. 
Bollandisti,  Aeta  aarustomm  ifau,  voi.  VI,  pp. 
798-800;  P.  Paris nell'flW.  Uttir. dolaFranco, 
voi.  XXII,  pp.  435-551;  L.  Gautier,  op.  cit., 
IV  276-30S;  C.  Nyrop,  Storta  doW  epopea 
frane  nel  medioevo^  pp.  124  e  segg.  —  Ki- 
■oardo:  ò  Bainouart,  figlio  di  D^esramó  re 
moro,  venduto  schiavo  ai  firanc^  e  divenuto 
un  valoroso  campione,  ai  servigi  di  Guglielmo 
d' Orango;  si  che  fu  armato  cavaliere  e  sposò 
Aelis  nipote  di  Guglielmo,  e  fini  poi  la  sua 
vita  in  un  convento  :  le  sue  gosta  sono  rac- 
contate in  parecchi  poemi  medioevali  fran- 
cesi, che  Dante  potò  conoscere  :  cf^.  Gautier, 
op.  cit,  voi.  IV,  pp.  4G5-5Ó5  ;  P.  Paris,  nel- 


716 


DIVINA  COMMEDU 


^^ 


e  il  duca  Gottifredi  la  mia  vista, 
48       per  quella  croce,  e  Roberto  Guiscardo. 
Indi,  tra  l'altre  luci  mota  e  mista, 
mostrommi  l'alma  die  m'ayea  parlato, 
51        qual  era  tra  i  cantor  del  cielo  artista. 
Io  mi  rìvolsi  dal  mio  destro  lato 
per  vedere  in  Beatrice  il  mio  dovere, 
hi       0  per  parole  o  per  atto  segnato; 
e  vidi  le  sue  luci  tanto  mere, 
tanto  gioconde,  che  la  sua  sembianza 

67  vinceva  gli  altri  e  l'ultimo  solere. 
E  come,  per  sentir  più  dilettanza, 

bene  operando  l*uom  di  giorno  in  giorno 
60       s'accorge  che  la  sua  virtute  avanza; 
si  m'accors'io  che  il  mio  girare  intomo 
col  cielo  insieme  avea  cresciuto  l'arco, 

68  veggendo  quel  miracol  più  adorno. 

E  quale  è  il  trasmutare  in  picciol  varco 


VHitlor,  UUér,,  yoL  XXII,  638-549.  —  47. 
11  d«e»  Gottifredi:  Ooffi-edo  di  BoviUon, 
nato  noi  1058,  combatta  por  1*  imporo  nolla 
lotta  delle  inyestitiiio  e  fa  fatto  duca  di  Lo- 
rena da  Arrigo  IV  noi  1069;  comandò  la  prima 
orooiata  e  mori  re  di  GeniBalemme  nd  1100  : 
anche  Qofftedo  prima  ohe  ai  Tasso,  ta  argo- 
mento di  poemi  epid  al  troTOii  firanoeei  del 
medioevo;  of^.  J.  B.  d*  EzanTìllez,  Hid,  de 
ChtUfiroff  de  Bouilh%  Toors  1862;  har.  de 
Hodi,  Cfodtfiroi  d$  Bou,  ette»  roit  tatìm  de  J^ 
nuaì&m^  Toomai  1869;  Nyrop,  op.  oit.,  pp. 
214  e  segg.  —  48.  Boberto  Gnlseardo  :  uno 
dei  figli  di  Tancredi  d' Hauteville,  nacque  nel 
1016,  raggiunse  in  Italia  i  frateUi  nel  1047, 
tu  creato  nel  1058  daca  di  Paglia  e  di  Cala- 
bria, e  liberò  il  paese  dai  Saraceni  ;  combatto 
felicemente  contro  Aleeiio  Comneno  impera- 
tore di  Bisanzio  e  contro  Arrigo  IV  impera- 
tore di  Germania  in  difesa  dei  saoi  stati  e 
della  Chiesa;  mori  nel  1085. 1  fiitti  di  Boberto 
furono  cantati  in  un  poema  latino  da  Ga- 
gliolmo  di  Paglia,  suo  contemporaneo  {Qevta 
Roberti  Witeardi  in  Mar.,  Eer,  UaL  aeripl., 
voi.  V).  —  49.  Indi  ecc.  Poi  Panimadi  Cao- 
cisgoida,  ritornando  e  rioongiaDgendosi  alle 
altre  nella  croce,  riprese  a  cantare  con  esse, 
e  cosi  mi  fece  conosceie  quale  ariiata  era  tra 
ioantareelesHj  come  egli  fosse  eccellente  ar- 
tista in  mezzo  a  quei  colesti  cantori.  Bati  : 
e  ancora  si  potrebbe  intendere  in  ohe  ordine 
era  messer  Caociagoida,  terzo  avo  di  Dante, 
che  fa  fatto  cavalieri  per  lo  imperadore  Cor- 
rado e  mori  nella  battaglia  fstta  centra  V  in- 
fedeli che  erano  in  Calavria  >  :  cfr.  Par.  zv 
139.  —  58.  per  vedere  eco.  per  vedere  se 
Beatrice  mi  esprimeva  con  parole  o  con  cenni 


ciò  oh' io  doveva  fiure.  —  66.  e  vlél  ecc.  e 
vidi  i  suoi  occhi  cosi  lietamente  scintillanti 
che  l'aspetto  era  piti  bello  ohe  non  fbese  ststo 
le  altre  volte  e  anche  l'nltima,  quando  la 
contemplai  pximamente  nel  dolo  di  Marte.  — 
■lere  :  pure,  chiare;  detto  degli  occhi  esprime 
a  meraviglia  la  serenità  luminosa  dello  aguardo 
(cfir.  Fttr.  ZI  18).  —  67.  vincerà  eco.  il  vb. 
eolere  ò  usato  sostantivamente,  per  sigiìificsre 
l'aspetto  solito;  tatto  il  verso  dunque  slgni- 
flca:  vinceva  gli  aspetti  soliti  di  Boatadoe 
(quelli  descritti  in  Btr,  n  28,  v  94  e  segg., 
vm  16,  ziv  79  e  segg.)  e  anche  l' ultimo  e 
più  meraviglioso  che  lo  avevo  veduto  nel 
quinto  cielo  (cfr.  Air.  zv  84-86).  »  68.  I 
eeme  ecc.  «  Dante  vedendo  piti  adamo,  ri- 
splendente, il  mamviglioso  volto  di  Beatrice, 
s'accorge  ohe  il  suo  girare  insieme  od  cielo 
aveva  cresciuto  V  areo^  acquistata  pi6  larga  cir- 
oonferenza,  cioò  ch'egli  s'ora  slevato  mag- 
giormente; come  l'amore  della  virtti  produce 
il  diletto,  e  l'accrescimento  del  diletto  è  prova 
di  aumentata  virtù  >  :  cosi  U  Venturi  2S9,  il 
qusle  anche  nota  la  rispondenza  di  concetto 
al  luogo  del  Par,  zxzm  91-98.  —  yer  ses- 
tlr  ecc.  per  l'aocrescimento  del  diletto,  del 
piacere  morale.  ~  61.  che  11  mio  eoo.  che 
io  giravo  in  un  cielo  piti  ampio  del  pieoe- 
dento,  perché  da  Marte  ora  salito  a  Giove. 
—  68.  veggendo  ecc.  vedendo  Beatrice  pid 
risplendente;  ofi:.  della  sua  donna  noUa  F.  N. 
ZZI  19  :  e  Quel  eh'  ella  par  quand'  un  poco 
sorride,  Non  si  può  diro  né  tenere  a  mente, 
Si  ò  novo  miracolo  e  gentile  >  :  e  «wraeojo  è 
pur  dette  Beatrice  nella  F.  ^.  ziz  62,  zsiz 
80,  e  nel  Oorw,  ni  7.  —  64.  E  qmale  ecc.  E 
come  in  brove  spazio  di  tempo  vediamo  sooai- 


PARADISO  -  CANTO  XVm 


717 


di  tempo  in  bianoa  donna,  quando  il  volto 
66       suo  ri  dÌBoarca  di  vergogna  il  carco  ; 
tal  fa  negli  occhi  mieif  quando  fai  volto, 
per  lo  oandor  della  temprata  stella 
69       sesta,  ohe  dentro  a  sé  m'avea  ricolto. 
Io  vidi  in  quella  giovial  &cella 
lo  sfieivillar  dell'amor  ohe  li  era, 
72       segnare  agli  occhi  miei  nostra  favella. 
E  come  augelli  surti  di  riviera, 
quari  congratulando  a  lor  pasture, 
75       fanno  di  "sé  or  tonda  or  lunga  schiera, 
si  dentro  ai  lumi  sante  creature 
volitando  cantavano,  e  £Euuenri 
78       or  di,  or  I,  or  èUe  in  sue  figure. 
Prima  cantando  a  sua  nota  moviensi; 
poi  diventando  Pan  di  questi  segni, 
81        un  poco  s'arrestavano  e  taciensi. 
0  diva  Pegasea,  che  gl'ingegni 


parìre  U  nmon  dal  tìso  d'una  donna  preea 
da  impioTTlia  Toigogna  •  ritornare  il  bianco 
oolor»  natoiale,  ood  appena  mi  ftai  volto  a 
Beatrloe  mi  trorai  non  più  nel  lOMeggiante 
delo  di  ICarte,  ma  nel  bianoo  oielo  di  Qiore. 
«  Similitadine  va^  e  ingegnosa  ;  ma  nella 
quale  alonni  fooni  non  lendon  fone  piena 
oorrispondenfa  all'imaglne»,  oMerra  il  Yen- 
tori  474,  eoi  fone  ipiaoqnoro  gli  eqnirooi  del 
T.  66;  egli  ateeso  poi  nota  la  rimembranza 
dei  bellissimi  Tersi  d'Ovidio,  ove  parla  di  A- 
raooe  al  cospetto  di  Minerva  {MtL  vi  46)  : 
«  Erabnit,  snbitosqiie  invita  notavit  Ora  ra- 
bor,  rarsosqne  evannit;  nt  solet  aer  Pnrpa- 
rena  fieri,  oom  primom  aurora  movetor.  Et 
breve  post  tempns  candesoere  solis  ab  orta  >. 
—  66.  al  disearea  eoo.  si  efr.  Inf.  i  86.  — 
68.  per  lo  eandor  eoo.  per  il  biancheggiare 
del  sesto  pianeta,  Giove,  nel  quale  mi  trovai 
»  nn  tratto  salito  dal  rosseggiante  Marte  (c&. 
Btr.  XIV  87).  —  (MiprftU  sUlla  sesta:  ofr. 
Cotm,  n  14:  «  Oiove  ò  stella  di  (impartita oom- 
pleesione,  in  mezzo  della  freddora  di  Saturno 
e  del  calore  di  Marte  [cfr.  Par.  xxn  146]  ;... 
intr»  tntte  le  stelle  bianoa  si  mostra,  quasi 
argentata  ».  —  70.  Io  vidi  eoe.  Nel  delo  di 
Giove  appariscono  a  Dante  le  anime  beate  di 
coloro  die  in  terra  amministrarono  diritta- 
mente la  giustizia:  queste  anime,  luminose 
oome  tutti  1  beati,  si  dispongono  dapprima  in 
modo  da  formare,  una  dopo  l'altra,  lo  lettere 
di  queste  parole  della  SajrierMa  (i  1):  DiligiU 
nutiHam  qui  iudieotia  terram  (w.  78-09)  ;  poi 
con  rapidi  movimenti  si  ordinano  in  modo  da 
formare  un'aquila,  insegna  dell'impero  (w. 
100-U4).  —  In  qsella  eoe  neUa  stella  di  Gio- 
vo :  0ÌoiriaU  è  termine  astronomico,  lat.  Jovia- 


Uè,  per  indicare  tutto  dò  ohe  appartiene  al 
pianeta  Giove;  e  significò  pd  giooondo,  Ueto, 
per  la  oredensa  ohe  l' influsso  di  tale  pianeta 
disponesse  alla  felidtà:  o  faeeUa  ha  qui  il 
senso  generioo  di  astro,  come  in  IStrg,  vxu 
89.  —  7L  lo  tfaviUar  eoo.  i  beati,  che  ivi 
sfavillavano  per  l'ardore  della  carità,  disporsi 
in  modo  da  formare  lettere  latine,  i  segni  gra- 
fid  nella  nostra  lingua.  —  78.  K  eomo  eoo. 
Venturi  442  :  «  Nella  beUa  similitudine  si  noti 
proprietà  di  corrispondenze.  Come  ausili 
mirti  di  riviera^  doè  saziato  il  desio  della  sete, 
cosi  quelli  spiriti  erano  dlBsetati  nd  fonte 
dell'eterne  delizie  :  e  come  augelli  eofigroàU" 
tondo  a  hr  pagtitr»,  doò  facenti  festa  del  pa- 
sto trovato,  cosi  i  beati  godevano  del  rinve- 
nuto miodo  di  palesare  il  loro  giocondo  affetto, 
quad  dbo  per  esd  di  vita  celeste  ».  —  74. 
eongratalaBdo  eoo.  cantando  per  far  festa 
tutti  indeme  della  pastura  che  hanno  presa. 

—  75.  fanno  ecc.  d  ordinano  In  cerchio  o 
in  altri  diiferenti  raggruppamenti  :  la  tnao 
fixrdi  $éf  a  propodto  dd  dispord  degli  uo- 
celli,  è  anche  in  Inf.  v  46.  —  77.  e  faeiensl 
eco.  e  d  disponevano  in  modo  da  formare 
delle  lettere,  prima  figurando  un  d,  poi  un  t, 
e  poi  un  i.  —  79.  Frisia  eoo.  Volta  per  volta 
ohe  dovevano  formare  una  lettera  queste  ani- 
me cantando  d  movevano  secondo  la  nota  del 
canto,  doò  Csoevano  un  giro  di  danza  rogo- 
landod  secondo  l  tempi  dd  canto  (cfr.  J^tr. 
X  76)  :  poi  quando  s' erano  disposte  ndla  forma 
della  lettera  d  fermavano  e  tacevano  por  un 
breve  tempo,  per  dar  agio  a  Dante  di  veder 
la  lettera  e  riconnettarla  con  le  precedenti. 

—  82.  0  diva  eoo.  0  musa,  ohe  ftd  gloriod 
gì'  ingegni  e  li  rendi  immortali  (ofr.  Pmrg.  xzi 


718 


DITINÀ  COMMEDU 


fai  gloriosi,  e  rendili  longevi, 
84       ed  essi  teco  le  cittadi  e  i  regni, 
illastrami  di  te,  si  ch'io  rilevi 
le  lor  figure  com'  io  l' lio  ooncette  : 
87        paia  tua  possa  in  questi  versi  brevi. 
Mostrarsi  dunque  in  cinque  volte  sette 
vocali  e  consonanti;  ed  io  notai 
90        le  parti  si  come  mi  parver  dette. 
DUigite  iìistiiiam,  primai 
fÙT  verbo  e  nome  di  tutto  il  dipinto; 
93       qui  iudiaxtis  terram^  £^  sozzai. 
Poscia  nell'emme  del  vocabol  quinto 
rimasero  ordinate,  si  che  Giove 
96        pareva  argento  li  d'oro  distinto; 
e  vidi  scendere  altre  luci  dove 
era  il  colmo  dell'emme,  e  li  quotarsi 


85),  mentre  essi  per  tua  inspirazione  eternano 
nei  loro  carmi  le  città  e  i  regni  eoe.  Qnale 
delle  nove  dee  Dante  intendesse  inyooare  non 
è  chiaro;  pegasea  easendo  nome  generico  di 
oiasoona  delle  moie,  ednoatrioi  del  cavallo 
Pegaso  (ofr.  Ovidio,  Efroid,  xw  27  ;  Proper* 
xio  in  1,  19)  :  la  maggior  parte  dei  oommen- 
tatcri  credono  ohe  egli  accenni  OalUope,  paiv 
tioolarmente  invocata  anche  in  Airy.  i  9.  — 
86.  lllsBtraMl  eco.  inspirami  con  la  toa  po- 
tenza ■(  ch'io  possa  rappresentare  le  figure 
formate  da  qnoUe  anime,  come  le  ho  nella 
mente:  la  toa  potenza  si  dimostri  in  qìiedi 
versi  brevi,  «  in  questi  miei  ternari  (chiosa  il 
Bati),  che  sono  brevi  versetti  >.  Perché  Dante 
faccia  qoi  una  particolare  invocazione  alla 
nrasa  non  appare  :  certo  la  materia  eh'  egli 
è  per  descrìvere  non  importa  gravi  e  straor- 
dinarie difiScoltà,  come  quella  d' altri  luoghi 
ove  ei  fa  consimili  raccomandazioni  (ofr.  Inf, 
xxxn  10  e  segg.,  Purg,  xxcc  87  e  segg.);  U 
Biag.  fa  in  proposito  questa  osservazione: 
«  L'anima  del  poeta  rialzasi  per  forte  ima- 
ginare  a  queUe  meraviglie  vedute  quivi  ;  ma 
sente  che  non  ha  lingua  capace  di  poterle 
ritrarre.  Però  invoca  la  più  possente  dello 
Muse,  e  con  versi  ohe  già  lo  dimostrano  del 
sacro  suo  ftioco  ridondante  ».  —  67.  brevi: 
più  che  la  breve  misura,  credo  accennata 
con  questo  aggettivo  l' insuf&cienza  del  verso 
italiano  al  confh}nto  del  latino  più  comprMi- 
sivo  e  significativo  ;  brw$  sembra  usato  nello 
stesso  senso  di  Morso  (ctr.  Par,  vn  118,  xv 
78  ecc.).  —  88.  Mostrarti  eoo.  Quelle  anime 
prendendo  direno  ordinammito  per  trenta- 
cinque voKe  apparvero  in  figura  or  di  vocali, 
or  di  consonanti  ;  ed  io  andai  via  via  notando 
le  lettere,  le  sillabe,  le  paiole,  secondo  che 
mi  parevano  espresse  da  quelle  figurazioni. 
—  91.  DiUgltt  eoo.  Neil'  insieme  di  quelle 


figurazioni  prime  parole  che  apparvero  fti- 
reno  un  verbo  e  un  nome  :  dUigiU  iutHHmH, 

—  prlmal:  formati  dalle  lettere  che  prima 
si  mostrarono.  —  93.  f«l  eoo.  le  vltiiae  pa- 
role che  apparvero  fìirono  qtd  ituHeatit  imrtm. 

—  leszai  s  ultimi;  l'agg.  ««Ksaio,  da  mxMiOy  è 
firequente  negli  antlchL  —  94.  PoseU  eco.  Da 
ultimo  tutte  quelle  anime  rimiiwm  lisnne  e 
ordinate  nell'siMiM  dell'ultima  pazolA  (itmm) 
b(  ohe  la  bianca  stella  di  Giove  in  quél  pasto 
ov' erano  le  anime  luminose  pareva  argento 
intarsiato  d'oro.  Secondo  il  Bnti  gli  qnrìti 
che  si  fermarono  nella  figura  deU'sifims  e  enmo 
li  minori  officiali  e  le  persone  singulari  e  pri- 
vate che  erano  valute  nel  mondo  neUi  atti  e 
nell'amore  della  iustizia ».  —  97.  o  vidi  eoo. 
e  vidi  scendere  altre  anime  luminose,  le  quali 
si  fermarono  dommrmilvotmodett^tmimé,  can- 
tando le  lodi  di  Dio  ohe  le  muove  •  ai,  cioè 
alla  pratica  della  giustizia.  Questi  altri  spi- 
riti, disossi  dall'  empireo,  sono,  secondo  il 
Buti,  e  li  regi  e  l' imperatori  del  mondo,  ohe 
sono  stati  nel  mondo  sopra  li  altri  e  gover- 
natoli oc'  la  iustitia  ».  —  dove  eco.  Dante 
imaginava  ooteste  lettere,  figurate  dai  rag- 
gruppamenti di  spiriti,  secondo  la  scrittura 
epigràfica  che  usava  al  suo  tempo,  càoò  di 
maiuscolo  gotico  :  raiwm  adunque  era  fktto 
con  un'asta  verticale,  dalla  cui  dm*  parti- 
vano due  curve  semioiroolari  rientranti  ;  e  ia 
cotesta  cima  vennero  a  fermarsi  le  anime  di- 
scese dall'empireo,  disponendosi  in  modo  da 
formare  un  giglio  (v.  112):  poi  altre  anime 
formarono  il  oollo  e  il  m^  d' un'  aquila,  di 
oui  il  corpo  era  rappresentato  dall'  asta  me> 
diana  dell'MMas  e  le  ali  dalle  due  curve  la- 
terali. Questi  versi  sono  stati  chiariti  assai 
bene,  con  figure  tratte  dalla  scrittura  e  dsl 
disegno  del  secolo  xm,  da  M.  Oaetani,  fVs 
ehkme  mila  Div.  Oomm.,  2»  ed.,  Bona,  ISTG» 


PABADI80  —  CANTO  XVHI 


719 


99       cantando,  credo,  il  ben  oh' a  sé  le  move. 
Poi,  come  nel  percoter  dei  oiocohi  arsi 
sorgono  innumerabili  £ftYÌlle, 
102        onde  gli  stolti  sogliono  augurarsi, 
risurger  parve  quindi  più  di  mille 
luci,  e  salir  quali  assai  e  quai  poco, 

105  si  come  il  sol,  che  l'accende,  sortille; 
e  quietata  ciascuna  in  suo  loco, 

la  testa  e  il  collo  d'un' aquila  vidi 

106  rappresentare  a  quel  distinto  foco. 
Quei  che  dipinge  li  non  ha  chi  il  guidi, 

ma  esso  guida,  e  da  lui  si  rammenta 
111       quella  virtù  eh' è  forma  per  li  nidi. 
L'altra  beatìtudo,  che  contenta 
pareva  in  prima  d'ingigliarsi  all'emme, 


pp.  69-67  (on  negli  Opuae,  danL  n.*  11).  — 
100.  eo«e  Bel  eoo.  oome  ayriene  alloiqiuuido 
ri  perouote  in  nn  ceppo  ano  dal  ltu>oo,  che 
si  levano  innnmereroli  faville,  dalle  quali 
gli  stolti  iogliono  trarre  angmi  eoe  ^  cioc- 
chi: sono  i  ceppi  o  legni  da  ardere;  la  voce 
oiooeo  è  rimasta  in  questo  senso  n^  dialetto 
toscano  delle  campagne.  —  arti:  Venturi 
76  :  e  me^o  ohe  accesi  o  ordcnH^  perché  e- 
sprime  consumati  già  in  gran  paite  dal  fao- 
00,  <mde  sprigionano,  percossi,  maggior  co- 
pia di  flsTiUe  >.  —  102.  oaée  ecc.  Allnde  a 
nn'osanza  sapersttziosa,  molto  comune  nei 
tempi  antichi,  né  del  tutto  scomparsa;  la 
quale  è  descritta  dal  Lana:  e  Molte  volte  i 
striti  stando  apresso  il  ftiooo  fregano  su  Tarso 
de'  dooofai,  per  la  quale  firicazione  molte  tBr 
ville  appamo,  ed  eUi  s*agurano  dicendo:  co- 
tanti  OffncUi,  cotonM  pcnéUiy  cotcutiU  migliora 
ài  fkHni  d*oro\  o  cosi  passano  tempo*,  e 
dall' Ott.:  «come  quando  l'uomo  percuote 
uno  tinone  di  ftiooo  arso,  e  quindi  ri  escono 
molte  Caville,  onde  gli  sciocchi  si  sogliono 
augurare,  cioè  dire:  cotante  oaateUa  o  cote 
0  eiUadi  aicntf  io  quamle  fwoiUc  vaàinmno  di 
qucalo  iix%om  arto  ;  e  questo  dicono  ansi  che 
il  percuotano  ;  pc^,  secondo  che  n'  escono,  di- 
oono  :  ossili  o  poche  ne  amroi  amdc  ».  —  106. 
rlf«rf«r  ecc.  parve  ohe  dalla  cima  deU'Mnms 
risorgessero  phi  di  mille  anime  luminose  e 
salissero  quaU  piti,  quali  meno,  secondo  che 
dio  loro  in  sorte  Iddio,  quel  sole  che  le  ao- 
oende  d'amore  per  la  giustizia.  — 106. 11  sol 
eco.  efir.  Purg.  vn  26.  —  sortille:  il  vh. 
sofMrs,  oltre  il  senso  di  avere  in  sorto  (Bir. 
zxzii  84)  o  di  sorteggiare  inf,  xiz  96),  ha 
più  ftequentemente  in  Dante  quello  di  dare 
in  socte,  destinare  (Inf,  xn  76,  Pttr,  iv  87, 
xi  109  eoe).  ~  106.  e  «oletata  eco.  o  quando 
ciascuna  si  fa  fermata  al  suo  poeto,  vidi  che 
qnd  ditUvUo  foeOf  il  complesso  fulgidissimo  di 


quelle  anime  rappresentava  la  testa  e  il  collo 
di  un'aquila.  —  106.  distinto  foco:  perché 
il  ftilgore  delle  anime  si  distingueva  netta- 
mente dalla  bianca  luce  di  (Hove.  —  109. 
({nel  che  dipinge  ecc.  Dio,  che  nel  pianeta 
di  Giove  raffigurò  quest'aquila,  non  ha  biso- 
gno di  esemplare,  non  segue  le  forme  della 
natura;  perché  anzi  guida  gli  altri,  e  &  na- 
tura stessa  riconosce  da  lui  ogni  virtà  crea- 
tiva :  si  efir.  con  dò  che  della  natura  e  del- 
l'arte Dante  dice  in  Jn/l  xi  99  e  segg.  —  111. 
«nella  ecc.  quella  virtù  creativa  che  d  essen- 
za degli  esseri  generanti.  La  frase  per  tt  nidi 
appare  oscura  sgli  interpreti,  i  quali  spiegano 
questo  verso  nelle  maniere  più  disparate  :  la 
difficoltà  è  nata,  secondo  me,  daU'aver  inteso 
fama  per  conformazione,  figura,  mentre  se 
si  intenda  nel  solito  senso  dantesco  e  iiloso- 
flco  di  essenza,  natura  ecc.  sarà  facile  co- 
gliere il  significato  della  frase  per  1»  nidi,  poi- 
ché è  appunto  nei  nidi  che  gli  animali,  ra- 
gionevoli o  no,  e^licano  la  virtù  creativa. 
La  comune  interpretazione,  esposta  dal  Bian- 
chi cosi  :  «  da  Dio  medesimo  si  pone  in  mente, 
s'inspira  agli  uccelli  quella  virtù  ond'easi 
dan  forma  ai  loro  nidi  »,  altera  stranamente  - 
H  pensiero  del  poeta  o  sforza  le  parole  a  si- 
gnificazi(mi  non  vere  :  come  mai  virtà  oh'  i 
farma'pjiò-nl«nvirt&  che  dà  forma?  Minore 
sarebbe,  in  caso,  la  spiegadone  del  Tornea: 
«  La  virtù  operando  su  gli  dementi,  dà  vita, 
tra  le  dtie  creature,  anche  a^  uccelli;  per 
entro  i  nidi,  ne'  nidi,  assume  forme  di  uo- 
cdli  »;  ma  anche  questa  è  un  po'  forzata, 
né  riandò  al  linguaggio  dantesco.  — 112. 
L'altra  eoo.  Le  dtre  anime  beate,  che  prima 
erano  venute  a  posard  sul  colmo  ddl'smms 
(v.  97)  formando  come  un  giglio,  con  poco 
movimento  compierono  la  forma  dell'aquila. 
—  118.  Ingigliarsi  :  formare  sall'ammd  una 
punta,  d  che  assumesse  la  figura  del  giglio, 


720 


DIVINA  COMMEDIA 


114       con  poco  moto  seguitò  la  impronta. 
0  dolce  stella,  quali  e  quante  gemme 
mi  dimostrare  che  nostra  giustina 
117        effetto  sia  del  del  che  tu  ingemme! 
per  ch'io  prego  la  mente,  in  che  s' inizia 
tuo  moto  e  tua  virtute,  che  rimiri 
120       ond'esce  il  fummo  che  il  tuo  raggio  vizia; 
si  eh'  un'  altra  fiata  omai  s' adiri 
del  comperare  e  vender  dentro  al  tempio, 
123        che  si  murò  di  segni  e  di  martiri. 
0  milizia  del  ciel,  cu' io  contemplo, 
adora  per  color  che  sono  in  terra 
126        tutti  sviati  retro  al  malo  esemplo. 
Già  si  solea  con  le  spade  far  guerra; 
ma  or  si  fa  togliendo,  or  qui,  or  quivi, 
129        lo  pan  che  il  pio  padre  a  nessun  serra: 
ma  tu,  che  sol  per  cancellare  scrivi, 
pensa  che  Pietro  e  Paolo,  che  morirò 
132        per  la  vigna  che  guasti,  ancor  son  vivi. 
Ben  puoi  tu  dire  :  €  l' ho  fermo  il  disiro 
si  a  colui,  che  volle  viver  solo 


qoale  si  dipIngeTa  ragli  stemmi  medierali. 
— 114.  IwpreBto:  impronta,  figura  (ofr.  Ptur, 
yn  69).  —  Xlb,  0  dolM  eoo.  0  doloe  stella 
di  Qioye,  quali  e  quante  anime  laminose  mi 
dimostrarono  oon  le  parole  DUigiU  eoo.  e  oon 
le  flgnie  del  giglio  e  dell'aquila  ohe  la  giu- 
stizia del  mondo  ò  un  effetto  del  oielo  che  tu 
adorni  I  —  118.  per  eh'  lo  eco.  per  la  qual 
cosa  io  prego  Dio,  che  ti  muove  e  ti  dà  yirtd 
d' influire  sugli  uomini^  ohe  riguardi  da  qual 
luogo  esce  il  vizio  che  guasta  il  tuo  influsso 
di  giustizia.  —  U  mente  eco.  cfr.  Par.  xsc  54, 
xxvn  110-111.  — 120.  ond'esce  eco.  la  corte 
di  Boma,  la  quale  ò  prima  cagione  della  pre- 
sente corruzione  morale  e  dvile,  die  spegne 
la  giustizia,  fondamento  del  retto  Tlrere  :  cCr. 
Inf.  nx  105,  Purg.  xvi  97  e  segg.  —  121. 
ni  ohe  eoo.  afilnohó,  come  già  s'adirò  contro 
coloro  che  fìaceyano  mercato  nel  tempio  di 
Qerusalemme  (cfr.  Matteo  xzi  12  e  segg.  ; 
Marco  zi  15  e  segg.  ;  Luca  zix  45  e  segg.  ; 
Qioranni  n  14  e  segg.),  s*  adiri  un'altra  volta 
del  comprare  e  del  vendere  che  si  fa  nella 
Chiesa  cristiana,  fondata  coi  miracoli  e  ooi 
martirL  —  123.  sogni  :  prodigi,  portenti, 
cioò  i  miracoli  di  Qeefl  Cristo.  — 124.  0  Mi- 
lizia eco.  0  anime  beate  di  questo  cielo,  pre- 
gate per  coloro  che  sono  in  terra,  sviati  tutti 
dietro  al  cattivo  esempio  dato  dal  paalor  che 
precedo  (Purg.  xvi  98).  —  126.  tutti  eoe  ofr. 
anche  Purg.  vin  131.  —  128.  or  si  fa  eoo. 
adesso  si  fa  per  mezzo  dì  scomuniche  e  in- 


ter^tti,  che  impediscono  ai  cristiani  gli  oC> 
fiet  e  le  pratiche  religiooo,  quella  grazia  che 
Dio  non  nega  al  alcuno.  •>  or  qnl  oco.  ora 
in  un  luogo,  ora  in  un  aitato.  —  ISO.  t«,  cke 
eoo.  Allude,  non  agli  eodesiastid  in  oomplesw 
(ood  Lana,  Ott,  Pietro  di  Danto,  Bonv., 
Buti,  Land.,  VolL  eoe.)  né  al  papa  in  genen 
(ood  Case.,  Dan.,  Bianchi,  Andr.  eoe),  o  né 
pure  a  Bonifszio  Vm  (come  intendono  Yont., 
Biag. ,  Costa,  Cee.)  o  a  demento  V  (ooai  Lomb., 
Tomm.  e  altri)  già  morti  quando  Danto  scri- 
veva questi  versi,  ma  al  caorsino  Giovanni 
XXn,  eletto  papa  nel  1316  e  morto  noi  1334; 
il  cui  pontlfloato  ta  tutta  una  sodo  di  aoo- 
municho  e  rioomunicazioni  a  fin  di  guadagno, 
si  ohe  di  lui  ben  si  poteva  dire  oho  aozivosse 
solo  per  cancellare.  —  181.  penta  eko  ooo. 
pensa  che  i  due  apostoU  Pietro  e  Paolo,  morti 
per  la  Chiesa  che  tu  struggi,  vivono  in  pa- 
radiso e  vedono  lo  opere  tuo.  —  Piotro  o 
Paolo:  si  noti  in  booca  al  poeta  la  fonna 
normale  e  latina  dei  nomi  degli  apoctoli  :  la 
bocca  del  papa  invoco,  il  nondgncdo  rdlgars 
di  Pescatore  aU'  uno,  di  Pdo  all'altro  :  anti- 
ted  assai  bella,  che  là  vedere  la  nononranza 
del  papa  per  i  primi  apostoli  della  Qiioaa.  — 
133.  l' ho  fermo  eoo.  Io  ho  messo  ogni  do- 
dderio  in  san  Giovanni  Battista,  impresso  sui 
fiorini  d'oro,  di  modo  dio  non  oonosoo  né  san 
Pietro  né  san  Paolo.  —  184.  coivi  ooc  san 
Giovanni  Battista,  che  amò  di  vivere  nd  de- 
serto (Luca  I  80)  e  fb  ucdio  per  soft»,  por 


PARADISO  -  CANTO  XVm 


721 


e  che  per  salti  fii  tratto  al  martfrOi 
186    oh'  io  non  conosco  il  Pescator  né  Polo  >. 


iar  la  soa  testa  alla  figliuola  di  Exodiade, 
che  Tayera  cbleeta  come  premio  alla  sua 
danza  fatta  innanzi  ad  Erode  (Matteo  znr  1-12, 
Maico  VI  14-28).  Qui  sta  a  indicare  i  fiorini 
fiorentini  (cfr.  h^,  zzx  74,  Par,  ix  13U),  i 
quali  da  una  parte  averano  l'impronta  del 
Battista,  cosi  descritta  da  I.  Orsini  StoHa 
déU»  monti»  delia  repubbl.  fiormima^  Firenze 
1760,  p.  xn  :  <  L'imagine  di  s.  Qio.  Battista ... 
in  piedi,  coperto  di  reste  distesa  fino  al  gi- 
nocchio, sa'  fianchi  legata,...  i  capelli  sparsi 
soUe  Slmile,  in  testa  il  nimbo  o  sia  diadema, 
colla  destra  sta  in  atto  di  bsnediia  all'uso 


greco.  Tale  a  dire  conginngendo  il  dito  pol- 
lice sii' aorìcolare,  Tenendo  gli  sltri  distosi, 
con  la  sinistra  tiene  una  Terga,  che  termina 
in  una  croce  con  lettore  attorno  :  8.  Johann 
nss  B.  >.  L'amore  di  Oiovanni  XXII  per  i 
fiorini  tvL  tale  che  nel  1822  e  fece  fare  in  Avi- 
gnone una  nuova  moneto  d' oro  fatto  del  peso 
e  lega  e  conio  del  fiorino  d'oro  di  Firenze,  se 
non  che  dal  lato  del  giglio  diceano  le  lettere 
il  nome  del  papa  QioTanni  ;  la  qual  cosa  gli  fu 
messa  a  grande  riprensione  >  (O.  Villani,  Or, 
IX  171).  —  186.  11  Psseators  san  Pietro,  cfr. 
Airgr.  xxn  68.  —  Fole  ;  san  Paolo  apostolo. 


CANTO  XIX 

L*  aquila,  Tonnata  dagli  spiriti  beati  nel  cielo  di  Giove,  a  cagione  di  un 
inbbio  di  Dante,  ragiona  a  lungo  intomo  alla  imperscratabilità  della  gia- 
3tìzia  diTina,  parla  della  necessità  di  accompagnare  alla  fede  le  azioni  buone, 
e  lamenta  le  opere  tìH  e  perverse  di  molti  principi  cristiani  di  quel 
tempo  [14  aprile,  ore  antimeridiane]. 

Parea  dinanzi  a  me  con  l'ali  aperte 
la  bella  imago,  che  nel  dolce  frui 

8  liete  facevan  l'anime  conserte. 
Parea  ciascuna  rubinetto,  in  cui 

raggio  di  sole  ardesse  si  acceso 
6        clie  nei  miei  occhi  rifrangesse  lui. 
E  quel  che  mi  oonvien  ritrar  testeso, 
non  portò  voce  mai,  né  scrisse  inchiostro, 

9  né  fu  per  fantasia  giammai  compreso; 


TfX  1.  Parsa  ecc.  La  bella  imagine  del- 
l'aquila, che  era  formato  dalle  anime  rag- 
gruppato, lieto  nel  godimento  della  loro  bea- 
titudine, mi  si  mostrava  con  le  ali  aperto.  -^ 
2.  Image:  imagine,  forma  arcaica,  che  in 
Danto,  si  trova  anche  faori  di  rima  (cfr.  Purg, 
XXV  26,  Fttr.  u  132,  xui  2).  —  finds  lat 
frtd,  1*  infinito  del  vb.  usato  come  sostantivo  ; 
cfir.  Tomm.  d'Aqu.,  iSumm.,  P.  I^,  qu.  xi, 
art.  8:  cQuod  est  simjdioiter  ultìmum,  in 
quo  aliquis  delectotur  sicut  in  ultimo  fine, 
hoc  proprie  dioitur  fhictus,  et  eo  proprie  (U- 
eitur  aliquis  frui  ».  —  3.  lieto  t  Bntì  :  «  erano 
lieto  ne  la  sua  beatitudine,  che  non  ò  altro 
ohe  firuere  Dio  ;  la  quale  cosa  ò  dolcissima  ». 
—  4.  Parea  eco.  Ciascuna  anima  mi  si  mo- 
strava fùlgidissima,  come  se  fosse  un  rubino 
che  accogliendo  in  s6  un  vivo  raggio  di  sole 
lo  riftottooso  negli  occhi  miei.  Vsga  imagine, 
nota  il  Venturi  146,  dichiarato  da  Danto 
Steno,  Oorw,  m  7  :  <  Oerti  oor||,  per  molta 

Damm 


chiarità  di  diafisno  avere  in  s6  mista,  tosto 
che  '1  Sole  gli  vede,  diventano  tanto  lumi- 
nosi che,  per  multipUoamento  di  luce,  appena 
discernibile  è  lo  loro  aspetto,  e  rendono  sgli 
altri  di  sé  grande  splendore  ;  si  come  è  l'oro 
e  alcuna  pietra».  —  6.  lui:  il  raggio;  cosi 
rettamento  intesero  Buti,  VelL,  Yent.  e  al- 
tri; il  Lomb.  lo  riferisce  a  sol»,  seguito  in 
ciò  dall'  Ant.  che  troppo  sottilmento  com- 
mento :  «  Questo  riflessione  era  tanto  accesa, 
tanto  piena,  che  non  l' imagine  del  sole,  ma 
il  sole  istesso  parea  ohe  rendesse  ».  —  7.  E 
quel  eco.  E  ciò  ch'io  ora  debbo  riferire  (doò 
il  discorso  dell'aquila  oelesto)  ò  cosa  tanto 
straordinaria  che  una  simile  non  ta  mai  detto 
né  scritto  e  nò  pure  imaginato  da  alcuno.  — 
tettese;  cfir.  Purg.  xxi  118;  ma  qui  esprìme 
momento  ptosdnuunento  futuro.  —  8.  uen 
portò  eco.  È  il  pensiero  di  san  Paolo,  Ep.  I 
ai  Cor,  u  9  :  e  Le  cose  che  occhio  non  ha  ve- 
duto, ed  orecchio  non  ha  adito,  e  non  son 


722 


DIVINA  COMMEDIA 


ch'io  vidi,  ed  anche  udii  parlar  lo  rostro, 
Q  sonar  nella  Tooe  ed  €  io  »  e  €  mio  », 
quand*  era  nel  concetto  €  noi  >  e  «  nostro  ». 

E  cominciò  :  €  Per  esser  giusto  e  pio 
son  io  qui  esaltato  a  quella  gloria, 
che  non  si  lascia  vincere  a  disio; 

ed  in  terra  lasciai  la  mia  memoria 


:i 


12 


16 


18 


21 


24 


si  fatta  che  le  genti  li  malvage 
commendan  lei,  ma  non  seguon  la  storia  ». 

Cosi  un  sol  calor  di  molte  hrage 
si  fa  sentir,  come  di  molti  amori 
usciva  solo  un  suon  di  quella  image; 

ond'  io  appresso  :  €  0  perpetui  fiori 
dell'eterna  letizia,  che  pur  uno 
parer  mi  fate  tutti  i  vostri  odori, 

solvetemi,  spirando,  il  gran  digiuno 


■ialite  in  onor  d'uomo,  son  quelle  che  Iddio 
ha  prepaiate  a  qaeUi  che  ramano >.  —  10. 
€k*  io  WÌ4Ì  eoe.  ridi  ed  adii  pariar  l'aquila, 
con  yooe  che,  lebbene  foste  di  tatte  le  anime 
(cu*.  20)  e  di  tutte  esprìmeese  il  pensiero  (t¥ìi 
•  no8liro)i  eia  «  solo  un  suono  >  (▼.  21)  e  par- 
lava in  singolare  (io  •  mio).  —  lìàì  ed  nnehe 
eco.  ofir.  ApoooL  vm  18  :  e  Ed  io  riguardai, 
ed  udii  un'aquila  Telante  in  meno  del  olelo, 
che  diceva  con  gran  voce  eoo.  ».  —  restro  t 
il  béooo  dell'aquila,  che  si  apriva  a  parlare. 
—  13.  E  eomlnelò  ecc.  L'aquila  dapprima 
dice  la  condizione  delle  anime  beate,  end'  è 
formata,  e  fugacemente  deplora  che  l'esempio 
di  quei  gloriosi  non  sia  seguito  nel  mondo: 
oosi  sino  dalle  sue  prime  parole  ò  enunciato 
ciò  ohe  sarà  materia  del  pi  6  ampio  discorso 
che  farà  poco  dopo  a  Dante  sulla  imperscru- 
tabile giustizia  divina  (w.  84-99)  e  sulla  per- 
versità dei  principi  cristiani  (w.  116-148).  ~ 
Per  esser  eco.  Ho  meritato  questo  grado  di 
celeste  beatitudine  per  le  mie  opere  di  giu- 
stizia e  di  misericordia.  —  14.  fn«Ua  gloria 
eoo.  la  gloria  del  paradiso.  Questo  ò  il  con* 
cotto,  espresso  con  una  perlfh»i  che  ha  dato 
molto  da  fare  agli  interpreti  :  i  pi4,  dal  Lana, 
Buti,  Land.  eoo.  al  Tomm.,  Bianchi,  Andr., 
spiegando  vkicen  per  superare,  intendono: 
gloria  ohe  è  superiora  ad  ogni  umano  desi- 
derio ;  altri  inveoe,  aooogliendo  l'opinione  del 
Peiazdni,  In  Danti»  Oom.  wmd.  et  aénotat., 
cit  p.  166,  spiegano  vinetn  per  goadagnare, 
conseguire,  e  intendono  :  gloria  ohe  non  si 
può  oonsegmire  eoi  solo  desideiio,  ohe  deve 
essere  oonseguita  per  opere  meritorie.  Questa 
seconda  interpretazione  pare  anehe  a  me  la 
pi6  giusta,  sia  por  la  sua  corrispondenza  alle 
paiole  evangeliche  (Matteo  vn  21):  «Non 
chiunque  mi  dioe.  Signore,  Signore,  entreià 
nel  regno  dei  deli;  ma  ohi  fa  la  volontà  del 


Padre  mio  »  (cfr.  Luca  xin  26),  sia  perché 
questo  concetto  è  poi  svolto  nel  seguito  del 
disoQuo  (TV.  106  e  segg.),  di  cui  questi  veni 
sono  come  la  propoaizione.  — 16.  eé  la  tarra 
ecc.  e  lasciai  di  me  in  tema  oca!  baona  me- 
moria, che  i  malvagi  pur  commendandola  non 
seguono  il  mio  esempio^  — 17.  lo  gesti  ecc. 
gli  uomini  ohe  in  terra  operano  male,  e  ^e- 
oialmento  i  principi,  «  che  son  molti,  o  1  buon 
son  rari  >  (Ar.  xm  106).  —  18.  eevunondaa 
eco.  Dan.  :  <  È  questo  luogo  simile  a  quello 
di  Lucano  [J^lirt.  i  166],  ohe  dico:  /bseunda 
viromoi  Ampwiot  fiigiànr,  iotoqm  aroestibtr 
orb9\  et  il  Petrarca  [cans.  l  2S] :  SèmSH  a 
qwUe  ghiande  L$  quai  fìsffgmdo  iMtte  il  momio 
onora  ».  —  la  otorln:  l'esempio  dello  opere 
mie,  narrato  dalla  storia  ad  ammaestramento 
di  tutti  gli  uomini.  —  19.  Gosf  ooo.  Da 
molti  carboni  accesi  viene  un  solo  calore  : 
nello  stasso  modo  da  quell'aquila  formata  di 
molte  anime  ardenti  di  divino  amoro  aodva 
una  vooo  unica.  -^  22.  ond*  lo  eco.  Dante, 
bene  intendendo  che  quelle  animo  beato  orano 
disposto  a  compiacerlo,  lo  prega  di  scioglier» 
gli  un  dubbio,  die  da  molto  tempo  era  rima- 
sto Inesplicabile  nella  sua  mente:  ma  non 
manifesta  allo  anime  questo  dubbio,  cho  quelle 
conosoono  in  Dio  e  che  esse  stesso  enun- 
ciano nella  loro  risposta  (w.  70-78).  —  0 
perpetnl  ecc.  0  anime  perpetuamente  gio- 
condo per  l'etenia  beatitudine,  le  quali  mi 
parlato  in  modo  cho  tutte  le  Tostro  Tod  si 
raccolgono  in  una  sola,  mi  suonano  come  una 
voo$ 9ota  {Inf,  xt  92).  —  24. 1  Tottrl  oéorl: 
le  Tostro  Tod;  ood  lo  ohiama  il  poeta  per 
non  usdr  dalla  presa  metafora  dd  Hori.  — 
26.  solreleMl  ecc.  oon  lo  Tostre  parole  sdo> 
glietemi  un  gran  dubbio,  dio  lungamente  mi 
ha  tenute  in  desiderio,  poiohé  in  taira  non 
no  ho  trovato  mai  spiegazione  aloana.  —  spi* 


PARADISO  -  CANTO  XTX 


723 


che  lungamente  m'ha  tenuto  in  fame, 
27        non  trovandogli  in  terra  cibo  alcuno. 
Ben  80  io  che,  se  in  cielo  altro  reame 
la  divina  giustizia  fa  suo  specchio, 
80        ohe  *1  vostro  non  l'apprende  con  velame. 
Sapete  come  attento  io  m'apparecchio 
ad  ascoltar;  sapete  quale  è  quello 
33        dubbio,  che  m' è  digiun  cotanto  vecchio  ». 
Qual  il  falcon,  ch'uscendo  del  cappello 
move  la  testa  e  coli' ali  si  plaude, 
86        voglia  mostrando  e  ^Etcendosi  bello, 
vid*io  £&r8i  quel  segno,  che  dì  laude 
della  divina  grazia  era  contesto, 
89        con  canti,  qua!  si  sa  ohi  là  su  gaude. 


nmdos  doè  parlando,  per  oontiiìiuzioiie  di 
metafoxa;  <  ma  latentemente  (nota  il  Buti) 
dice  qnello  che  ò  lo  tbxx>,  doè  :  preste  che 
Iddio  apiil  in  me  la  soliizione  del  dabbio  ». 

—  dtglnM  t  dubbio,  che  è  privasione  della 
Tedtà,  di  coi  Dante  avera  /birw,  doè  deei* 
darlo.  —  27.  non  eoe.  non  avendo  in  terra 
troTSto  dbo  por  tal  digiuno,  doè  cognizione 
atta  a  riempire  la  lamina  intellettnale.  Anche 
qTii  in  delo  per  altro  Dante  non  sdogUe  il 
dubbio,  se  non  è  risolozione  il  rioonosoere 
l'Impenetrabilità  del  giudizio  divino:  i  teo- 
logi del  ino  tempo  credevano  di  scioglierlo 
distfaigoendo  la  fede  esplidta  e  la  fede  im- 
plidta>  e  dichiarando  che  questa  ultima  non 
è  neoeaiBiia  alla  salvazione  (cfir.  Tommaso 
d'  Aqu.,  aumm.t  P.  n  ^,  qu.  n,  art  2-7; 
P.ni,  qu.  ucvi,  art  11;  qu.  Lzvm,  art  2). 

—  28.  Bea  io  eco.  Io  so  che,  se  in  cielo 
v'è  altro  ordine  di  beati  nei  quali  si  spec- 
chia la  divina  giustizia,  voi  non  la  vedete 
meno  di  quelli,  andie  a  vd  appare  distinta- 
mente. Dante  stesso  dice  altrove  (Patr.  ix  61 
e  segg.)  die  Dio  giudietmU  si  specchia  nd 
Troni,  onde  la  giustizia  divina  rifulge  alle 
anime  apparsegli  nd  delo  di  Venere:  qui 
aggiunge  che  questa  ginsttzia  divina  non  ri> 
ftalge  meno  alle  anime  apparsegli  nel  delo  di 
Giove,  poiché  sono  appunto  di  uomini  ohe  am- 
ministrarono dirittamente  la  giustizia  sulla 
terra.  —  che,  ae  la  cielo....,  eke  11  vostro 
eoo.  ^  noti  mia  particolarità  sintattica  della 
lingua  antica,  nella  quale  d  usava  ripetere 
la  ocmginnzione  cfts,  quando  il  discorso  re- 
stava interrotto  da  una  proposizione  sabor- 
dinsta di natora condizionale;  cfìr.  Beco.,  Deo, 
g.  X,  B.  8  :  e  ti  dieo  e  priego  che,  s' ella  ti 
piace,  dM  tu  la  prenda  ».  —  80.  1  vostro 
eoo.  U  vostro  rwniw,  il  vostro  ocdiae  non 
l^apprmtde  om  veiarnSf  non  vede  la  giustizia 
divina  velatamente.  —  82.  qnale  è  ecc.  sa- 
pete qual  sia  il  dmbUo,  ohe  da  tanto  tempo 


mi  tiene  privo  della  verità.  Il  dubbio  di  Dante 
è  questo  :  Se  non  vi  è  salute  fioiori  della  fede 
cristiana  e  senza  il  battesimo,  dovrebbero 
tutti  gli  uomini  essere  in  grado  di  oonosoexe 
queata  fede  e  di  ricevere  il  battesimo  :  se  dò 
non  accade,  non  s'intende  per  quale  colpa 
abbiano  ad  essere  dannati  i  gentiU.  L'aquila 
non  sdoglie  il  dubbio,  sfìiggendo  la  questione 
oon  l'afllMmazione  ohe  la  ginstisia  divina  è 
impersomtabUe.  —  84.  Qaal  11  faleoB  ecc. 
Oome  un  focone,  cui  sia  tolto  il  cappdlo, 
agita  la  testa  e  batte  le  ali,  rallegrandosi  e 
mostrando  coi  suoi  atti  il  dedderio  di  volare 
in  caooia  eco.  Similitodino  assai  appropriata 
a  dipingere  i  festosi  movimenti  dell'  aquila; 
e  piacque  ad  altri  poeti,  che  la  rimutarono 
a  rappresentare  altre  dtoazioni  ooaeimUi  (ofr. 
Potei,  MorgmnU  xi  70,  xvi  64;  Ariosto,  Ori, 
TV  46).  —  eapfelle  t  è  il  ci^pellucdo  o  oo- 
pertina  di  pelle,  che  d  poneva  sul  capo  al 
ftdoone,  perohó  non  d  dibattesse  nell'andare 
e  venire  dalla  cacda,  e  gli  d  toglieva  al  mo- 
mento di  gittarlo  (ofr.  L.  de'  Medid,  La  eoo- 
c<a  col  fàleon»^  st.  22-28,  26).  —  86.  move  eoo. 
cfr.  Ariosto,  OrL  rrtv  96:  « Qualboon astor... 
Leva  la  testa,  e  d  ik  lieto  e  bello  >.  —  col- 
Pali  eoo.  Venturi  427:  %  ptaudtre  petmit  "per 
batter  l'alo  disse  Ovidio  [MtL  vm  288,  xiv 
607];  e  tibipUmdsref  per  oompiaooid,  ò  modo 
oraziano  :  il  »i  plaud»  di  Dante  raoohinde  l'uno 
e  l'altro  senso  >.  —  87.  vld*  lo  eco.  tale  di- 
mostradone  d'allegrezza  fece  con  celesti  canti 
quell'  aquila,  che  era  formata  di  anime  che 
alzavano  inni  di  lode  alla  grada  divina.  Que- 
sta è  la  comune  interpretanone  ;  ma  knuU 
detta  divina  graxia,  oltre  che  nel  senso  di 
anime  lodatrid  di  Dio,  d  può  intendere  an- 
che in  queUo  di  anime  beate,  e,  come  tali, 
lodi  viventi  esse  stesse  della  grada  divina; 
Dante  insomma  pud  aver  chiamato  cod  quelli 
spiriti  perohó  erano  beati,  oome  già  disse  Bea- 
trice «  loda  di  Dio  vera  »  ilitf,  u  108),  non 


724 


DIVINA  COBIMEDIA 


Poi  cominciò  :  €  Colai  che  volse  il  sesto 
ali*  estremo  del  mondo,  e  dentro  ad  esso 
42        distinse  tanto  occulto  e  manifesto, 
non  potè  suo  valor  si  òxe  impresso, 
in  tutto  l'universo,  che  il  suo  verbo 
46        non  rimanesse  in  infinito  eccesso. 
E  ciò  fa  certo  che  il  primo  superbo, 
che  fu  la  somma  d'ogni  creatura, 
48       per  non  aspettar  lume,  cadde  acerbo: 
e  quinci  appar  ch'ogni  minor  natura 
è  corto  recettaoolo  a  quel  bene 
51        che  non  ha  fine,  e  sé  con  sé  misura. 
Dunque  vostra  veduta,  che  conviene 
essere  alcun  dei  raggi  della  mente 
54        di  che  tutte  le  cose  son  ripiene, 
non  può  da  sua  natura  esser  possente 
tanto  che  suo  principio  non  discema 


gtii  perché  lodavano  Dio.  —  40.  Colai  9oo. 
Dio,  ordinatore  dell'  nniToivo  e  creatore  delle 
cose  ooonlte  e  palesi,  non  poterà  infittder 
tanto  il  eno  valore  nell'  nniverBO  che  H  suo 
Verbo  non  rimanesse  infinitamente  laperìore 
alle  intelligenze  create.  —  «ke  Tolse  eoe 
ohe  nella  creazione  volse,  fece  g^irare  il  suo 
compasso  descrivendo  l'estremità  del  mondo. 
È  un  concetto  biblico,  che  Dio  si  valesse  del 
compasso  per  descrivere  l' oniverso  (ofr.  lob, 
xrxvm  6,  proverbi  vin  27);  concetto  svolto 
poi  da  parecchi  poeti  moderni  (p.  es.  Milton, 
Pandito  p&rdMto,  vn  204-281;  Monti,  Jfo- 
tóhmmiana^  i  40^2).  —  41.  e  éentro  ecc. 
e  nel  mondo  distiiból  tante  cose  occnlte  e 
tante  manifèste  all'  uomo.  —  48.  bob  potè 
eco.  non  pot6  Imprimeco  in  tatto  l' universo 
il  sao  valore  talmente  che  non  rimanesse  in 
molte  parti  al  di  sopra  dell'  intelligenza  uma- 
na. —  46.  B  ole  ecc.  Lomb.  :  «  E  che  il  di- 
vino intendere  ecceda  cosi  ogni  intendimento 
creato,  comprovalo  l' avvenimento  del  primo 
wpmho^  di  Lucifero,  che  fu  la  •omma^  la  più 
eccellente  d*  ogni  creatura  ;  impeiocchó  per 
non  aspettar  egli  quel  lume  che  ricevuto 
avrebbe  maggioro,  se  fosse,  come  gli  angeli 
fedeli  ftirono,  stato  confermato  in  grazia,  aowrm 
bOf  immaturo  a  cotale  conforma,  avanti  che 
il  tempo  della  conferma  giugnesse,  eadd»  dal 
cielo  >.  ~  47.  ohe  ffk  ecc.  cfr.  Purg,  xn  26.  — 
48.  per  bob  aspettar  ecc.  non  avendo  aspet- 
tato d'esser  confermato  nella  grazia  divina; 
poiché  Lucifero  e  gli  angoli  ribelli  {Ik  vulff, 
ehq,  t  2)  «  divinam  curam  expectaie  nolue- 
mnt  *  :  su  die  ofr.  le  osservazioni  di  Pio 
Rajna,  BuU.  V  67.  —  49.  e  qnUel  ecc.  e 
da  questo  appare  manifesto  che  ogni  natura 
umana,  inferiore  di  necessità  a  quella  di  Lu- 


cifero, è  insufiOciente  a  oomprendoco  il  Beno 
infinito  e  inoommensuzabilo.  —  60.  oorto  ro- 
oettaoolo  ecc.  piccolo  vaso  rispetto  all'  im- 
mensità divina  è  la  monte  "ma^a^  ail%  q;nale 
peicid  il  giudido  di  Dio  resta  impoaotiabile. 
— *  61.  ohe  BOB  ha  Ubo  t  infinito,  e  non  cit^ 
oosorìtto  »  (IStrg,  xi  2);  altri,  meno  bene,  in- 
tandono  :  che  non  finirà  mai,  cho  durerà  eter- 
no. —  o  ■<  eoo.  Buti  :  «  Iddio  è  bene  infi- 
nito, che  con  niuno  altro  bobe  si  può  misurale, 
80  non  con  sé  modesinK»,  imperò  ohe  ogni  al- 
tro bene  ò  minoro  di  lui;  si  che  con  niuno 
altro  si  può  misurare  :  e  oom'  olii  ò  infinito, 
cosi  le  opere  sue  sono  investigabUl  et  incom- 
prensibili da  l'omo  e  da  ogni  altra  creatura. 
E  cosi  d  dimostrata  la  maggior  proposiziona, 
cioè  che  ogni  creatura  è  corto  reoettacola 
d' Iddio  e  delle  sue  opere;  pud  bone  ricevere 
parte,  ma  non  tutto».  —  62.  lHui««e  ecc. 
Dunque  l' intelligeoia  umana,  la  quale  di  ne- 
cessità ò  solamente  una  parto  della  mente  di- 
vina, non  può  per  sua  natura  ossero  tanto 
potente  ohe  la  mento  divina  non  disooma 
molto  più  in  là  di  ciò  che  apparo  ali*  intel- 
ligenza umana.  —  vostra;  lezione  confort 
mata  dal  vottro  del  v.  6d  e  dal  «oi  dol  v.  83, 
e  sola  ohe  il  senso  generale  giustifichi  ;  V  ho 
accolta  perciò,  sebbene  il  Witte  legga,  coi  pifi 
nostra:  cfr.  Todeschini,  ShuR  m DanU,  voi. 
n,  p.  429.  —  64.  di  ohe  ecc.  della  coi  virtù 
sono  pieno  tutte  le  cose;  cfr.  Air.  xviii  118, 
xzvn  110.  ~  66.  BOB  può  eoo.  Si  noti  il  pa- 
rallelismo di  forma  e  di  pensiero  ft»  qf&esti 
tre  veni  e  i  vr.  48-46,  di  cui  questi  aono 
un'  etpUoaziono  ristretta  ali*  intoUigttUB  uma- 
na. —  66.  che  suo  eoe.  che  la  mento  divina, 
principio  dell'  intelligenza  umana,  non  abbia 
una  oogniiiono  molto  Maggioro  di  queilB  ^s 


PARADISO  -  CANTO  XIX 


725 


57 


60 


66 


molto  di  là  da  quel  che  Pò  parvente. 

Però  nella  giustizia  sempiterna 
la  vista  che  riceve  il  vostro  mondo, 
com' occhio  per  lo  mar,  dentro  s'interna; 

che,  benché  dalla  proda  veggia  il  fondo, 
in  pelago  no  '1  vede,  e  non  di  meno 
è  li,  ma  cela  lui  l'esser  profondo. 

Lume  non  è,  se  non  vien  dal  sereno 
che  non  si  turba  mai,  anzi  è  tenèbra, 
od  ombra  della  carne  o  suo  veleno. 

Assai  t'ò  mo  aperta  la  latebra, 
ohe  t'ascondeva  la  giustizia  viva, 
di  che  &cei  question  cotanto  crebra; 

che  tu  dicevi  :  '  Un  uom  nasce  alla  riva 


è  propria  dell' Intelligenza  nmana.  Sono  oon- 
eetti  di  Tomm.  d'Aqn^  Summ,  P.  I,  qn.  xn, 
art.  2  :  «  Virtas  inteUectnalis  creatnrae  la- 
men  qnoddam  intelligibile  didtor,  qnaii  a 
prima  Inoe  deriratiun...  Per  nnllam  similitn- 
dinem  creatala  Dei  enentia  yideri  poteet... 
Malto  igitar  minas  per  speciem  creatam  qaam- 
camqne  poteet  essentia  Dei  yideri»;  che 
Dante  srili^pa  e  adatta  al  caso  ffno  con  quella 
facilità  e  yarietà  di  parola,  onde  risplendono 
di  yìya  luce  le  sae  trattazioni  dottrinali.  —  57. 
elie  Vh  parreate:  che  ò  parvente  alla  V09tra 
veduta,  die  pnò  eeeere  conosciuto  dalla  mente 
nmana.  ~  68.  Però  eoo.  Per  questo  fovtsia  e^ 
U  vottro  mondo  fictne^  V  intoUigenza  che  voi, 
nomini,  ricevete  da  Dio,  t^iniama  dtwbro  nella 
giuttixia  rnnpUemaj  penetra  nella  cognizione 
della  divina  giustizia  poco  profondamente, 
come  fls  1*  occhio  nel  mare.  —  61.  che  ben- 
ché ecc.  U  quale  occhio,  sebbene  vegga  il 
fondo  del  mare  dal  lido,  non  lo  vede  in  alto 
mare;  eppure  anche  11  è  il  fondo,  ma  celato 
dalla  grande  profondità.  Novissima  e  stu- 
penda ppmpaiazione  per  signifloare  la  natura 
del  divino  giudizio  al  cospetto  dell'umana 
intelligenza  :  la  quale  lo  scorge  nei  fatti  che 
non  superano  la  sua  capacità,  come  quando 
vede  il  prendo  accordato  ai  buoni,  ma  più 
non  lo  discerné  quando  i  fitti  sono  soprana- 
turali. —  62.  pelao:  Venturi  107:  «alto 
mare  :  Dante  sempre  usa  in  cotal  senso  que- 
sta voce  {Inf.  X  28  e  Par.  n  5)  ;  e  qui  ne  fa 
più  chiara  la  distinzione,  dicendo  che  roc- 
chio dalla  proda  del  mare  vede  U  fondo,  cui 
non  vede  U  pelago.  Cosi  nel  proprio  come  nel 
traslato,  mare^  indica  ampiezza  ;  ptlagOt  pro- 
fondità». —  63.  à  If  ecc.  anche  nell'alto 
mare  è  il  fondo,  ma  celato  dalla  profondità 
allo  sguardo  umano.  ~  64.  Lome  eoe  Al- 
l' uomo  non  pud  risplendere  sltra  luce  di  ve- 
rità, se  non  quella  che  procede  da  Dio,  fonte 
eterna  del  vero  ;  dò  che  appare  alla  sua  mente, 


fuori  della  rivelazione  divina,  d  ignoranza  dd 
vero  0  falsa  imagine  dd  send  o  peccato.  —  se- 
reno ecc.  ò  Dio,  in  quanto  è  prindpio,  eter- 
namente uguale  a  b6  steeso,  di  ogni  verità. 
—  66.  assi  à  ecc.  Buti  :  «  senza  la  grazia  il- 
luminante d' Iddio  noi  siamo  dechi,  o  per  lo 
dimenio  che  d  aodeca,  o  per  la  concupi- 
sdenzia  della  carne  che  n'  oifusca,  o  per  pia- 
cere del  mondo  che  d  corrompe;  e  però  ò 
necessaria  la  grazia  illuminante  d'Iddio,  che 
d  difenda  da  queste  tre  occupazioni  ».  ~  67. 
Assai  ecc.  Ormai  ti  deve  essere  palese  ab- 
bastanza dò  che  nascondeva  alla  tua  mente 
la  divina  giustizia,  devi  aver  compreso  ohe 
Puomo  non  pad  penetrarne  i  segreti.  —  mo  : 
cfr.  in/".  xTTn  20.  ~  69.  di  che  ecc.  a  pro- 
posito della  quale  ignoranza  ti  agitava  cosi 
spesso  il  dubbio  :  di  che  è  à&  riforìro  a  late- 
bra^  poiché  Dante  non  dabitava  della  divina 
giustizia,  s(  più  tosto  delle  ragioni  per  cui 
essa  non  appariva  in  slcunl  fatti  (cfìr.  i  w. 
che  seguono).  —  erebni  ;  spessa,  frequente  ; 
esprime  U  rìpetern  e  indeme  il  persisterò  del 
dubbio  nella  mente  di  Dante,  poiché  vera- 
mente esso  ò  di  queUi  che  più  dovevano  af- 
faticare i  pensatori  medioevali,  stretti  tra  il 
sentimento  religioso  e  la  realtà  dei  fatti  umani, 
non  sempre  rispondenti  ai  dogmi  della  fede  (si 
cfr.  le  osservazioni  di  M.  ScheriUo,  BuU.  Vm 
14-16).  —  70.  tn  diesTl  :  l'aquila  enuncia  il 
dubbio  di  Dante,  con  lo  stesso  processo  di  ra- 
gionamento per  cui  cotesto  dubbio  doveva  es- 
serd  svolto  nd  pensiero  di  lui.  —  Un  nom 
eco.  Un  uomo  nasco  nei  paed  asiatid,  ove  non 
ò  chi  predichi  o  legga  o  scriva  di  Cristo  e 
della  sua  religione  :  tutti  i  suoi  sentimenti, 
tutti  i  sud  atti  suono  buoni,  per  quanto  può 
vedere  la  ragione  umana,  senza  peccato  di 
opere  nò  di  parole.  Muore  senza  essere  stato 
battezzato  e  senza  aver  conceduto  la  fede: 
per  qual  ragione  di  giustizia  sarà  condannato, 
qoali  peccati  avrà  commesso  una  volta  eh'  d 


726 


DIVINA  COMMEDIA 


dall'Indo,  e  quivi  non  è  olii  ragwni 
72        di  Cristo,  né  ohi  legga,  né  chi  scriva; 
e  tutti  i  suoi  voleri  ed  atti  buoni 
sono,  quanto  ragione  umana  vede, 
75        senza  peccato  in  vita  o  in  sermoni 
More  non  battezzato  e  senza  fede; 

ov'ò  questa  giustizia  che  il  condanna? 
78        ov'  è  la  colpa  sua,  s' egli  non  crede  ?  * 
Or  tu  chi  sei,  ohe  vuoi  sedere  a  scranna 
per  giudicar  da  lungi  mille  miglia 
81        con  la  veduta  corta  d*una  spanna? 
Certo  a  colui  che  meco  s'assottiglia, 
se  la  scrittura  sopra  voi  non  fosse, 
84        da  dubitar  sarebbe  a  maraviglia. 
0  terreni  animali,  o  menti  grosse! 
la  prima  volontà,  eh'  è  per  sé  buona, 
87        da  sé,  che  é  sommo  ben,  mai  non  si  mosse. 


non  conosoera  la  fede  ?  —  71.  «ob  è  eco.  efr. 
san  Paolo,  Ep.  ai  Rom,  x  li  :  «  Come  dun- 
que invocheranno  essi  cohii,  nel  quale  non 
hanno  oredato  ?  e  come  crederanno  in  colai, 
del  quale  non  hanno  udito  parlare?  e  come  adi- 
ranno, se  non  v'  è  chi  predichi?»  —  7i.  quan- 
to ecc.  per  quanto  la  ragione  umana  può  co- 
noscere, senza  essere  illuminata  dalla  fede.  — 
76.  in  Tlta  ecc.  In  opere  o  in  parole.  —  77. 
OT*  è  questa  eco.  Dante  non  tuo!  negare  la 
giustizia  divina,  ma  solamente  confessare  ohe 
egli  non  la  vede  applicata  nella  dannazione 
dell'  uomo  nato  e  cresciuto  fuori  del  grembo 
della  Chiesa  e  virtuosamente  vissuto  ;  si  che 
le  sue  parole  significano  :  io  non  vedo  per- 
ché la  giustizia  divina  lo  condanni,  una  volta 
che  essendo  queir  uomo  ignaro  della  fede  non 
può  esser  colpevole  di  non  aver  creduto.  — 
79.  Or  ti  ecc.  Tu,  o  uomo,  chi  sei  ohe  osi 
di  impancarti  a  giudicare  ciò  ohe  trascende 
il  tuo  intelletto,  mentre  questo  d  cosi  debole? 
Già  san  Paolo,  Ep.  ai  Rom,  iz  20,  aveva 
scritto  :  «  0  uomo,  chi  sei  tu  che  replichi  a 
Dio  ?  »,  e  l  Ep.  ai  Cor.  ii  16  :  «  Chi  ha  co- 
nosciuta la  mente  del  Signore,  per  poterlo 
ammaestrare?»,  e  Dante  svolgendo  questi 
concetti  lasciò  nel  Conv,  iv  5  le  memorabili 
parolo  riferito  nella  nota  al  Par.  xm  141.  — 
81.  eoa  la  redota  ecc.  con  l'intelletto  che 
non  vede  più  in  là  d' una  spanna,  d' un  palmo. 
—  82.  Certo  ecc.  Certamente  colui  eh»  méoo 
t'assottiglia  avrebbe  cagione  di  meravigliarsi 
molto  di  dò  (ossia  del  fatto  esposto  nei  w. 
70  e  segg.),  se  non  ci  fosse  aopra  voi  uomini 
la  Scrittura  sacra  ecc.  Grave  ^fflcoltà  pre- 
senta la  frase  colui  che  imoo  $*  aswritigliaf  in* 
torno  alla  qualo  gl'interpreti  s'affannarono 
invano  :  Lima,  Ott.  e  altri  antichi  spiegano 


in  modo  pifi  involuto  del  tetto  ;  il  Boti  lo  pa. 
rafrasa  senza  dicUararìo;  primo  Benv.  Io 
spiegò  :  qui  subiiliUr  eonaiur  imoestìffor»  raUo- 
nmnmea6iu8Htia«tÉeilÌMtdvrina»gìaa»mia3BÌHm 
rehicet  in  fm,  cioò  chi  sottilmente  si  afona  di 
spiegare  la  divina  giustizia,  prendendo  «uw 
M*  aatoUiglia  nel  senso  di  s'assottigUa  Momo 
a  me  (chr.  una  espressione  simile  in  Par,  xxvxn 
63).  Data  questa  spiegazione,  colai  che  s'as- 
sottiglia ecc.  sarebbe  l'autore  del  dubbio 
espresso  nei  versi  precedenti  cioè  Danfce  stasso. 
D  Land.,  Veli.,  Dan.  chiosano  su  per  giù  nel 
senso  di  Benv.,  ma  con  più  parole  e  dado 
chiarezza  ;  e  cos(  press'  a  pooo  i  ooaunontar 
torì  moderni,  salvo  il  Bianchi  che  spiega: 
«  Certo  per  colui  che  meco  ragionando  volecsa 
far  l'arguto  e  il  sottile,  sarebbe  a  dubitare  a 
maraviglia,  ossia,  avrebbe  costui  molti  e  molti 
dubbi  da  affisooiare  sulla  giustizia  dai  deoeti 
di  Dio  »  eoe.  La  spiegazione  più  «Aw^più^  è 
pur  sempre  quella  di  Benv.,  sebbene  non  ri- 
mova ogni  difflooltà,  e  specialmente  l' oaea- 
rità  di  quel  meeo,  —  83.  te  la  aeriUara  eoo. 
se  la  sacra  scrittura  non  fosse  H  con  la  sua 
autorità  a  prescrivere  all'  uomo  di  oredeo»  nel- 
l' infallibile  giustizia  di  Dio;  cfr.  Boezio,  Cbiu. 
phil.  IV  5  :  «  Nec  mirum,  si  quis  ordinis  igno- 
rata ratione  temeratium  oonfusumque  credar 
tur.  Sed  tu  quamvis  oausam  tantae  disposi- 
tionis  ignores,  tamen  quoniam  bonns  mundum 
rector  temperat,  recto  fieri  cuncta  ne  dubi- 
tes».  —  84.  a  «araTÌglla:  sino  aUa  mera- 
viglia; cfr.  Par.  xi  90.  —  86.  0  lerr»!  ecc. 
cfr.  Oonc,  nr  6  :  «  0  stoltissime  e  vilissime 
bestiuole  ohe  a  guisa  d' uomini  pasoete,  che 
presumete  contro  a  nostra  fede  parlare  !  >  — 
86.  la  prloia  eoo.  la  volontà  divina,  buona 
per  sé  stessa,  non  cambiò  mai  sua  natala^  ohe 


PARADISO  -  CANTO  XIX 


727 


O>tanto  è  gioBto,  quanto  a  lei  consuona; 
nullo  creato  bene  a  sé  la  tira, 
90        ma  essa,  radiando,  lui  cagiona  ». 
Quale  sopr'esso  il  nido  si  rigira, 
poi  che  ha  pasciuto  la  cicogna  i  figli, 
03        e  come  quei  eh' è  pasto  la  rimira; 
cotal  si  fece,  e  si  levai  li  cigli, 
la  benedetta  imagine,  che  l'ali 
96       movea  sospinta  da  tanti  consigli. 
Roteando  cantava,  e  dioea  :  €  Quali 
eon  le  mie  note  a  te,  che  non  le  intendi, 
99        tal  ò  il  giudizio  etemo  a  voi  mortali  ». 
Poi  si  quetaron  quei  lucenti  incendi 
dello  Spirito  Santo  ancor  nel  segno, 
102        che  &'  i  romani  al  mondo  reverendi, 
esso  ricominciò  :  «  A  questo  regno 


è  natura  di  lommo  bene  ;  olir.  Tonun.  d'Aqn., 
SwmUf  P.  I,  qiL  zix,  art  7  :  «  Tolontas  Dei 
est  omaino  immatabilU  ».  —  88.  Catasta  eoe. 
È  giusto  tutto  oid  che  è  oonibrme  alla  vo- 
lontà diTina;  perdo  a  oonoaoere  ee  una  ooea 
è  giusta  o  no,  basta  ooaoscere  se  oonsaoaa 
o  discorda  dal  dìTlno  rolere.  Cosi  il  dabbio 
di  Dante  ò  spento,  perché  tntto  è  ginsto  oiò 
ohe  Dio  ynole.  —  89.  nnllo  eoo.  nessun  bene 
creato  pad  attirare  a  sé  la  divina  volontà,  ohe 
anzi  essa,  raggiando  la  soa  bontà,  prodnee 
quel  bene  oleato.  Soart.  :  «  Nel  dubbio  esposto 
nel  V.  70  e  seg.  ò  Im^oitamente  contenuto 
l'altro  dabbio,  se  forse  una  gente  non  abbia 
sopra  l'altra  o  prerogative  o  meriti,  per  cui 
ad  essa  è  offerta  la  grazia  in  disto,  all'altra 
no.  E  qui  tronca  qaesto  dubbio,  inssgnando 
oke,  ben  lungi  dall'essere  attirato  da  bene 
delle  creature,  Iddio  è  quegli  ohe  esso  bene 
oi^iona.  È  la  dottrina  di  Paolo,  ud  PhOip,  a 
18:  I)mt$miine$tquiqp9raktrinvobÌ8eiv6lU 
eiperfieen,  prò  bona  voktntate.  £da san  Paolo, 
oioè  dal  cap.  ix  dell'  £p.  ai  Romani  ò  tolta, 
quasi  di  peso,  tutta  Targoiaentazione  del  poeta 
teologo  ».  —  90.  ra41an4e  t  Buti  :  €  gittando 
e  spargendo  li  raggi  della  sua  bontà».  — 
91.  Qnale  ecc.  Come  la  oioogna  dopo  aver 
cibato  i  igli  si  rigira  sopra  il  nido,  cosi 
l'aquila  dopo  il  suo  ragionamento  fece  un 
giro  intomo  a  me;  e  come  il  cicognino  pa- 
sciuto riguarda  amorosamente  la  madre,  cosi 
io  levai  gli  occhi  verso  l' aquila  ecc.  —  si 
rigira  ecc.  Buti  :  «  si  gira  sopra  lo  suo  nido, 
dove  sono  li  suoi  cicognini  »,  i  quali  «  tutti 
stanno  col  capo  alto  a  guardarla  ».  —  94.  eo- 
tal  ti  fsee  ecc.  la  benedetta  imagine  si  fece 
ootale,  e  io  levai  gli  ooohi  oos£  ecc.  :  la  com- 
paradone  ò  doppia,  appropriando  il  poeta  a 
sé  stosso  l'atto  del  doognino  e  all'aquila  l'atto 
della  oioogna  ;  e  il  costrutto  è  spezzato  dal- 


l' intromissione  d'una  proposizione  (•  ti  ìmwl 
li  ùigU)  in  mezzo  a  una  coordinata,  come  in 
B%f,  znx  16-17.  —  96.  la  bsns4etu  eco. 
l'aquila  che  volava  sospinta  da  tutte  le  anime 
dio  la  componevano.  —  96.  da  tanti  eensl- 
gli  t  le  anime  ardenti  di  carità,  i  moUi  amori 
(V.  20)  che  fonaavano  l'aquila  partedpavano 
coi  loro  pensieri  e  sentimenti  al  discorso  e  allo 
mosse  della  benedetta  imagine  ;  perdo  Dsate 
le  chiama  wn$igSl,  in  quanto  erano  le  volontà 
motrid  dell'  aquila.  —  97.  BetMiudoeeo.  L'a- 
quila cantava  roteando  intomo  a  Dante,  che 
la  guardava  estatico.  »  i^maU  eoe  Geme  tu 
non  pud  intendere  il  mio  canto,  ohe  celebra 
l'eterno  bene  (cCr.  Pttr.  xvm  99),  cesi  voi 
mortali  non  potete  intendere  i  giudizi  divini. 

—  98.  eke  uea  le  ecc.  Le  note  o  panie  can- 
tate (cfìr.  Utrg,  xrrn  88)  dall'  aquila  Dants 
le  sentiva,  ma  non  ne  penetrava  la  ragione 
proConda,  tanto  erano  straordinarie  (ofir.  i  w. 
7  segg.).  —  99.  tal  ecc.  Nella  QmaHo  de  ofua 
et  terra  $  22,  ohe  va  sotto  il  nome  di  Dante, 
d  legge  :  «  Desinant  ergo,  desinant  homines 
quaerere  quae  sapra  eos  sunt,  et  quaerant 
usque  quo  possunt  »,  e  seguita  la  dtaeione 
di  parecchi  pasd  biblid,  di  Giobbe,  Isaia,  san 
Paolo  eoo.,  ove  ò  affermata  l' incomprend- 
bilità  del  divino  giudizio:  ofr.  aaohe  Purg, 
VI  121  ecc.  —  100.  Pel  ecc.  Pdché  quelle 
anime  luminose,  ardenti  di  carità,  si  ftirono 
fermate,  rimanendo  disposte  in  figura  di  aquila. 
— 101.  nel  segno  eoo.  nella  figura  dell'aquila, 
r  insegna  che  fece  rispettati  o  temuti  i  romani 
per  tutto  il  mondo  (cfir.  Ar.  vi  4,  7-8,  82). 

—  106.  esso  ecc.  l'aquila  riprese  a  parlare, 
dicendo  ecc.  Quest'altra  parte  del  discorso 
dell'aquila  ò  una  violenta  invettiva  contro  i 
prindpi,  che  invece  di  amministrare  retta- 
mente la  giustizia  d  macchiavano  delle  oolpe 
pili  disonorevoli  :  ndla  rassegna,  che  oompie 


728 


DIVINA  COMMEDIA 


non  Bali  mai  ohi  non  credette  in  Cristo, 

105  né  pria  né  poi  oh'ei  si  chiavasse  al  legno. 
Ma,  vedi,  molti  gridan  '  Cristo,  Cristo,  ' 

che  saranno  in  giudizio  assai  men  prope 

106  a  lui  che  tal  che  non  conosce  Cristo; 
e  tai  cristiani  dannerà  l'etiope, 

quando  si^partiranno  i  due  collegi, 
Ili        l'uno  in  etemo  ricco  e  l'altro  inope. 
Che  pototn  dir  li  persi  ai  vostri  regi, 
come  vedranno  quel  volume  aperto, 
114       nel  qual  si  scrìvon  tutti  suoi  dispregi? 
Li  si  vedrà  tra  l'opere  d'Albeirto 


^ 


qjulÙA  del  iVy.  Tm  91  e  segg.,  Dante  lar- 
gheggia di  nomi  e  di  aUnnoni,  perché  rlma- 
neeee  dimoetrato  coi  tetti  la  Toiità  di  ciò  ohe 
disse  in  Bir.  zin  106;  onde  ricorda  non  pure 
i  principi  più  grandi,  come  V  imperatore  di 
Oennania  e  il  re  di  Franda  (tv.  116-120),  e 
i  ^  Tidnl  come  1  re  di  NapoU  e  di  Sicilia 
(yt.  127-186),  ma  anche  l  re  di  minore  im- 
portanza e  più  lontani  da  Boma,  centro  doUa 
cristianità  (w.  121-126,  196-148).  -  à  «ne- 
•te  ecc.  Alla  beatitadine  del  paradiso  non 
sali  mai  alcuno  ohe  non  fosse  stato  credente 
in  Cristo  yentoro  o  in  Cristo  redentore.  — 
106.  né  yrlft  eoo.  né  prima  nò  dopo  la  eoa 
crocifissione.  Tomm.  d'Aqn.  Summ,^  P.  Ili, 
qn.  Lxvm,  art  1  :  «  Nnnqnam  homines  po- 
taeront  salvari  etiam  anto  Chrisli  adventam, 
nisi  fierent  membra  Chrìsti.  Sed  anto  adren- 
tom  Christl  homines  Christo  inoorporabantor 
per  fldem  ftitori  adventos  >,  e  il  passo  dt.  in 
Bar,  XZ122.  •>  si  eklftTMse  t  ofir.  A/I  xxxm 
46,  Pury,  vm  137.  —  106.  Ha,  Te4I  eoo.  Ma 
molti  gridano  di  continno  il  nome  di  Cristo, 
i  qnali  nel  giorno  del  giudizio  nnirersale  sa- 
ranno assai  meako  vicini  a  lai  ohe  altri  t  quali 
non  lo  oonosoono  nemmeno.  È  manifesto  l'al- 
lusione all' erangelico  (Matteo  vn  21-22): 
e  Non  chiunque  mi  dice.  Signore,  Signore, 
entrerà  nel  regno  dei  cieli  :  ma  chi  Ha  la  fo- 
lontà  del  Padre  mio,  ohe  è  nei  cieli.  Molti 
mi  diranno  in  quel  giorno,  Signore,  Signore, 
non  abbiamo  noi  profetizzato  in  nome  tuo, 
ed  in  nome  tuo  cacciati  demoni,  e  fatto  in 
nome  tuo  molto  potenti  operazioni  ?  Ma  io  al- 
lora protestorò  loro,  lo  non  vi  conobbi  giam- 
mai: dipartitoTi  da  me,  voi  tatti  operatori 
d' iniquità  >  :  cfr.  anche  Luca  xn  42-48.  — 
109.  e  tal  eoe  e  questi  cristiani,  di  nome  ma 
non  di  fatto,  saranno  condannati  dagli  stessi 
infedeli,  nel  giorno  del  giudizio  universale, 
qtiando  si  farà  la  divisione  di  tatti  gli  uomini 
in  due  classi,  quella  dei  beati  e  quella  dei 
dannati.  —  etiope  :  abltanto  dell'  Etiopia  (ofr. 
Par.  zxvi  21),  qui  in  senso  generico  per  in- 
festo, pagano.  — 110.  «uaBdo  eco.  cfr.  Mat- 


teo zzv  81  e  segg.:  «  Or  quando  li  Figlino] 
dell'  uomo  sarà  venuto  nella  sua  g^ria,  eon 
tatti  i  santi  angeli,  allora  egU  sedMà  sopra 
il  trono  deUa  sua  ^oria.  E  tatto  le  genti  sa- 
ranno raunato  davanti  a  lui,  ed  egli  separerà 
gli  oomini  gli  uni  dagli  altri,  oone  SI  pastore 
separa  le  pecore  dai  capretti...  Alloca  il  Be 
dirà  a  ooloio  ohe  saranno  alla  sua  destra,  Ve- 
ulto,  benedetti  del  padre  mto  :  erodate  il  re- 
gno che  vi  è  stato  preparato  fin  daDa  ftmda- 
sion  del  mondo...  Allora  egli  dirà  anooia  a 
coloro  ohe  saranno  a  sinistra.  Andato  via  da 
me,  maledetti,  nel  fàooo  eterno,  ohe  è  pre- 
parato al  diavolo  ed  ai  suoi  angett...  E  que- 
sti andranno  alle  pene  etome,  ed  i  giusti 
nella  vita  etoma  ».  —  111.  1»  «so  eoe.  l'uno, 
de'  beati,  etomamento  ricchi  della  grazia  di- 
vina, e  r  altro,  dei  dannati,  privati  per  mm- 
pie  di  essa.  —  112.  Ohe  potram  eoo.  PerslBo 
e^'  infedeli  potranno  vitapeiare  i  ve  orìstiani, 
quando  vedranno  i^erto  quel  libro  in  eoi  si 
tiene  memoria  di  tatto  le  loro  opere  nefiude. 
—  peni  I  persiani,  genericamente  per  i  po- 
poU  diversi  dai  cristianL  —  113.  qvel  volarne 
eco.  imagine  biblica  ;  ol^.  ApoooL  xx  13  :  «Ed 
lo  vidi  i  morti,  grandi  e  piccoli,  che  stavano 
ritti  davanti  al  trono  ;  e  dei  libri  ftuono  aperti  : 
ed  un  altro  libro  fti  aperto,  ohe  è  il  libro  della 
vite  :  ed  i  morti  fttrono  giudicati  dalle  oose 
scritto  nei  libri,  secondo  le  opere  loro  ».  -> 
114.  tatti  eoe.  le  memorie  di  tutto  le  loro 
cattive  opere,  delle  loro  spregevoli  asioni; 
cfr.  W.  vm  61.  -  116.  li  il  fWrà  eoo.  In 
quel  libro  apparirà  eoe  Si  noti  qui  lo  stesso 
artifizio  osservato  nel  Aivy.  zn  26-60,  per  cui 
tre  torzine  cominciano  allo  stesK>  modo,  oon 
le  parole  U  H  vedrà  (w.  U6, 118, 121)  e  cosi 
altre  tre  con  wsdmssi  (w.  124,  127,  190)  e 
altre  tre  oon  la  congiunzione  s  (w.  188, 186, 
189).  —  tra  Popere  ecc.  Ara  le  altre  opero 
dell'  imperatore  Alberto  I  d'Austria  (cfr.  Avy. 
vt  97)  quella  ohe  presto  moverà  la  mano  di- 
vina a  scriverla  nel  volume,  doò  l' invasione 
della  Boemia,  dell'anno  1904  :  impresa  biasi- 
movole,  sia  per  la  crudele  devastazione  de) 


PARADISO  -  CANTO  XIX 


729 


quella  ohe  tosto  moverà  la  penna, 
117       per  che  il  regno  di  Praga  fia  deserto. 
Li  si  vedrà  il  duol  che  sopra  Senna 
indnoei  fitlseggìando  la  moneta, 
120       quei  che  morrà  di  colpo  di  cotenna. 
Li  si  vedrà  la  superbia  ch'asseta, 
ohe  fa  lo  scotto  e  Pinghilese  folle, 
128       si  che  non  può  soffirir  dentro  a  sua  meta. 
Vedrassi  la  lussuria  e  il  viver  molle 
di  quel  di  l^agna  e  di  quel  di  Buemme, 
126       che  mai  valor  non  conobbe,  né  volle. 
•  Vedrassi  al  ciotto  di  Gerusalemme 


tenutario  l>oomo,  ria  p«roh6  fatte  àbasando 
del  nome  e  dell'autorità  imperlale.  — 117.  U 
regio  eoo.  il  regno  di  Boemia,  di  eoi  Praga 
era  la  dttà  capitale.  —  118.  U  tao!  eoo.  i 
dolori  cagionati  in  Parigi  e  in  tatte  la  Fran- 
cia da  Fh'ppo  11  bello,  con  la  falaiflcaiione 
della  monete.  Baooonte  Q.  Villani,  Or,  mi 
58,  ohe  ànrante  la  gaerra  di  Fiandra,  Filippo 
il  bello,  oonsigliato  a  dò  da.  dne  fiorentini, 
i  firatelli  Franzeai  (c£r.  Par.  zvi  60),  «  feoe 
falsifloare  le  eoe  monete,  e  la  bnona  monete 
del  tomeae  grosso,  ch'era  a  nndid  once  e 
meno  di  fino,  tanto  il  flBoe  peggiorare  che 
tornò  qnad  a  metade,  e  simile  la  monete 
prima  :  e  cosi  qneUe  dell'oro,  che  di  yentitrò 
e  mezzo  carati,  le  recò  a  men  di  venti,  te- 
eendole  correre  per  pid  assai  ohe  non  Tale- 
▼ano  ;  onde  il  re  avanzava  ogni  df  libbre  sei- 
mUa  di  parigini  e  pid,  ma  guastò  e  disertò 
il  paese,  che  la  soa  monete  non  tornò  alla 
▼alate  del  terzo  ».  Di  queste  falsificazione  ri- 
sentirono il  maggior  danno  i  mercanti  e  pre- 
stetori  fiorentini,  e  le  parole  di  Danto  sono 
eco  dei  loro  giusti  lamenti  ;  ofr.  F.  de  Saloy 
nelU  Biblioth.  de  l'éeoU  de»  chartea,  a.  1876, 
voi.  XXXVn,  pp.  146-182.  —  120.  quel  eoo. 
Filippo  il  bello  (cfr.  Purg.  xx  86  e  segg.)  mori 
nel  1314,  <  dlsawenturatemento,  dice  G.  Vil- 
lani, Cfr.  IX  66,  ohó  essendo  a  una  caoda,  uno 
porco  salvatico  gli  s'attraversò  tra  le  gambe 
del  cavallo  in  su  che  era,  e  fecelne  cadere,  e 
poco  appresso  mori  »  :  cfr.  F.  Funok  Bren- 
tano, La  mori  de  Pk,  U  Bel  à  FotUainebleau, 
étttdò  historiq.,  Parigi,  1884.  —  eeteana  s  6  pro- 
priamente la  pelle  del  cinghiale  e  del  maiale, 
qui  poste  a  designare  l'animale  stesso.  •  121. 
la  saperMa  eco.  la  superbia  eccessiva  che 
rende  folli  i  re  di  Scozte  e  d' Inghilterra,  si 
die  r  uno  e  l'altro  è  malcontento  del  proprio 
regno,  e  dascuno  del  due  vorrebbe  estondeilo 
a  danno  del  vidno.  —  eh*  asseta  t  ohe  su- 
sdte  negli  nomini  brame  immoderato  di  po- 
tenza e  di  dominio.  —  123.  lo  scotto  eoe 
Gli  antichi  commentatoci  non  dicono  nulla 
intcnno  a  questi  re,  salvo  l'Ott  ohe  trova 


nelle  parole  di  Danto  aeoennate  «  la  guerra 
ch'è  intra  U  re  Adoardo  d'Inghilterra  e  U 
re  eletto  per  li  Scotti  »  :  il  Lomb.  specifica 
un  po'  pid  dicendo  che  si  tratte  di  Edoardo 
I  re  d' Inghilterra  e  Roberto  re  di  Soozia*; 
ma  è  da  avvertire  che  l' allusione  di  Danto 
parrebbe  megUo  convenire,  non  ad  Edoardo  I 
ohe  in  altro  luogo  del  poema  ò  ricordato  con 
paiole  di  lode  (Purg.  vn  182),  d  al  suo  suc- 
cessore Edoardo  II,  nato  nel  1284,  salito  al 
trono  nel  1807,  morto  od  1827  ;  il  quale  fa 
in  lotte  oon  Roberto  Brace  conto  di  Oarrick, 
nato  nel  1274,  eletto  re  di»  Scoria  nel  1806, 
morto  nd  1829  :  cfr.  A.  Sanquet,  HÌ8t  d$  Rob. 
Bme»,  rcid'Eaeoeséddésea  snoosfSMirf,  Tours, 
1882.  Si  noti  per  altro  ohe  secondo  l' oso  di 
Danto  le  parole  dell'aquila  dovrebbero  rife- 
rirti a  fatti  presenti  al  tompo  deUa  visione: 
d  veda  in  propodto  B.  C.  Barlow,  OrUiealf 
hi8toriealandpMbmphioalOontribuiioMtolh$ 
Study  oftha  DUf.  Cbmm.,  Londra,  1864,  pp. 
486-486.  -  134.  la  lussuria  ecc.  la  vite  los- 
suriosa  e  moUe  di  altri  due  re,  che  non  co- 
nobbero nò  praticarono  mai  le  virtù  degne  dei 
pxlndpi.  ~~  126.  quel  di  Spagna  :  secondo  la 
maggior  parto  dei  commentetori  antichi  e  mo- 
derni sarebbe  Alfonso  X  il  Savio,  nato  nel 
1221,  suocedato  al  padre  come  re  di  Castiglia 
nel  1262,  nominato  imperatore  di  Oermania 
da  una  parto  degli  elettori  ad  1267,  ma  non 
assunto  all'alte  dignità,  e  morto  nel  1284; 
ma  contro  queste  interpretazione  ste  il  tetto 
che  Danto  qui  ricorda  solo  dei  prindpi  vi- 
venti al  suo  tompo,  e  anche  te  buona  tema 
che  Alfonso  X  lasciò  di  s6  tra  gli  uomini  : 
meglio  quindi  alcuni  moderni  tetondono  ohe 
d  tratti  di  Ferdinando  IV,  nato  nel  1286,  re 
di  Castiglte  nel  1296,  morto  nel  1812  ;  del 
quale  dovetto  apparire  miracolosa  te  morto, 
accadute  entro  il  tonnine  di  trente  giorni  as- 
segnatogli per  comparire  innanzi  al  tribunale 
di  Dio,  da  alcuni  che  egli  condannò  a  morto. 
—  quel  di  Baemme:  Venceslao  IV,  re  di 
Boemte  ;  sul  quale  cfr.  Purg.  vn  101.  —  127. 
al  eletto  eoo.  te  bonte  di  Cario  U  d'Angiò, 


730 


DIVINA  COMMEDIA 


segnata  con  un  t  la  sua  bontate, 
129        quando  il  contrario  segnerà  un  emme. 
Vedraisi  l'avarisia  e  la  viltate 
di  quel  che  guarda  l'isola  del  fòco, 
182        dove  Anchise  fini  la  lunga  etate; 
ed  a  dare  ad  intender  quanto  è  poco, 
la  sua  scrittura  fien  lettere  mosse, 
135        che  noteranno  molto  in  parvo  loco. 
£  parranno  a  dascon  P  opere  soaee 
del  barba  e  del  fratel,  che  tanto  egregia 
188       nazione  e  due  corone  han  ùMe  bozze. 
£  quel  di  Portogallo  e  di  Norvegia 
li  si  conosceranno,  e  quel  di  Rascia 


n 


IO  di  Napoli  •  di  Qonualemina  (o£r.  Pwrg,  xx 
79,  Par.  xi  lOSX  notata  ivtl  conto  del  libro 
dÌTi&o  con  il  Mgno  dell'  nnità,  mentre  la  ma 
malTA^tà  Sàxèk  notata  ool  segno  del  migliaio. 
Qaeata  è  la  spiegazione  pi&  aemplice  e  pii 
comune,  essendo  manifosto  tUsui  Dante  roUe 
diie  ohe  per  un  atto  solo  di  bontà  del  re  Caxlo 
n  ne  sarebbero  rostrati  mille  di  malyagità, 
e  per  ognuna  boutade  malizie  mille  »,  dioeil 
Lana:  le  altre  inteipretazioni  che  A  danno 
sono  seosa  fondamento  di  ragione.  —  «tolto: 
zoppo  ;  e  fa  sopranome  di  Carlo  Q  d' Angid, 
derivatogli  da  imperfezione  del  corpo.  — 180. 
PaTarlala  eco.  l'avarizia  e  la  viltà  di  Fede- 
rigo n  d'Aragona,  re  di  Sicilia  (oft.  IStrg.  u 
116,  vn  116).  —  131.  che  giarda  eoo.  ohe 
ha  il  governo  della  Sicilia,  l' isola  volcanioa, 
ove  mori  Anchise  padre  di  Enea.  Virgilio,  J^ 
m  707  0  segg.  racconta  ohe  Andùse  mori  a 
Impani,  città  deUa  Sidlia.  — 183.  od  a  dare 
ecc.  e  perché  si  conosca  quanto  Federico  II 
ò  dappoco,  la  sua  scntturo,  oioò  la  soa  par- 
tita scritta  nel  libro  divino,  sarìk  di  Idisn 
moxx4t  ohe  in  piccolo  spazio  noteranno  moUot 
ossia  i  molti  suoi  vi^.  —  184.  lettore  mone  : 
ò  loonzione  assai  osoora,  perché  s'ignora  se 
Dante  accenni  a  qualche  determinato  fatto  di 
Foderìoo,  o  se  parli  cosi  di  sua  invenzione  : 
i  pi6  dei  oommentatorì  intendono  moxxe  per 
abbreviato,  come  se  Dante  dicesse  che  a  re- 
gistrare nel  libro  divino  tutte  le  male  opere 
del  re  di  Sicilia  bisognerà  scrittura  abbreviata, 
perché  a  scrìverle  distesamente  non  vi  sarebbe 
bastevole  spa^o.  —  136.  porraBoo  eco.  sa- 
ranno palesi  a  tatti  le  opere  malvage  dello 
zio  e  del  fratello  di  Federico  n,  che  hanno 
vituperata  la  loro  illustro  famiglia  e  le  loro 
corone  :  lo  zio  ò  (Hacomo  re  di  Maiorca,  nato 
nel  1243,  eletto  re  nel  1262  e  morto  nel  1311, 
«  ehe,  dico  l' Ott,  n(m  ò  stato  uomo  d'arme,  e 
ciò  dimostrò  apertamente  quando  eUi  si  lasciò 
tórre  al  fratello  [Pietro  UI,  cfr.  Purg,  vu 
112J  r  isola,  la  quale  poi  di  grazia  gli  ristitui  », 
il  fratello  è  Giacomo  II,  re  prima  di  Sicilia 


e  poi  d'Angona  (cfr.  Aoy.  m  116,  vn  llf). 
—  137.  terbo:  voce,  aioor  viva  In  okwii 
dialetti  nostri,  derivata  dal  lat  nodieralo 
bmbat  o  tortomis,  nel  senso  di  zio  (DSoa  865, 
ZLog.  145).  — 188.  aailoMt  oondisioiie noUa 
quale  uno  nasce,  prosi^ia,  stirpe;  sigBiflealo 
Creqoente  negli  antiohi  (p.  es.  D.  Ooapagni, 
Or,  m  22,  M.  Villani,  O.  m  60  eoc>,  eoi 
quale  Dante  volle  qui  aooennaco  la  gloriosa 
famiglia  cai  appartenevano  cotesti  dae  tristi 
re.  —  dao  ecc.  hanno  vitaporate  la  ooroaa 
di  Maiorca  e  quella  d'Aragona;  teMa  signi- 
fica nella  lingua  antica  il  marito  vttaporsto 
dalla  moglie  (ofir.  gli  esempi  indicati  dal  FOre- 
di,  BuiL  m  148),  eDante  con  efficace traalato 
usa  questa  parola  riferendola  alla  ooroiia  o  di- 
gnità regia,  macchiata  dai  due  aragoneaL  — 

139.  qael  di  Portogallo:  Dionisio  detto  l'a- 
gricola, nato  nel  1261,  salito  al  trono  di  Por* 
togallo  noi  1279,  morto  nel  1325,  osa  cogaato 
di  Qiaoomo  e  di  Federioo  d'Aragona  :  gli  sto- 
rici moderni  ne  recano  miglior  glodizio  che 
Dante,  il  quale  dovette  raooogliere  la  fkaa 
che  di  quel  re  correva  in  Italia  e  che  all'Ott 
fece  scrivere  :  «  Biprende  il  re  di  Portogalio, 
che  tutto  dato  ad  acquistare  avaro,  qoasi  come 
uno  mercatante  mena  sua  vita,  e  con  tutti 
li  grossi  mercatanti  del  sao  regno  ha  alEsze 
di  moneta  :  nulla  oosa  reale,  nuUa  cosa  ma- 
gnifica si  puote  scrivere  di  lui  ».  —  di  Hor- 
TOgia  :  al  tempo  della  visione  era  re  di  Nor- 
vegia Aoono  vn  Gambalunga,  ohe  regnò  dal 
1299  al  1319  ;  ma  Dante,  come  gli  altri  ita- 
liani d'allora,  doveva  saperne  ben  poco.  — 

140.  qael  di  Rascia  ecc.  Stefano  II  Uros  Mi- 
lutinus,  re  della  Serbia  orientale  (detta  an- 
che Bascia  dal  fiume  Basca  che  la  bagna) 
dal  1275  al  1381  (cfr.  Bollandistì,  .Aoto  soneto- 
rum  Oetobria,  Bruxelles,  1864,  voL  XI,  p.  26&. 
266),  fjklsiflcò  i  grossi  veneriani,  onde  la  sua 
falsa  moneta  fa  proibita  per  legge  della  Be- 
pubblica  Veneta  nel  1282  :  ma  continuò  a  dif- 
fondersi per  r  Italia  superiore  e  media,  e  ad 
1305  fu  fistto  in  Bologna  un  processo  contro 


PAEADISO  —  CANTO  XIX  731 

141        ohe  mal  ha  visto  il  conio  dì  Yinegia. 
0  beata  Ungheria,  se  non  ai  lascia 
più  malmenare  !  e  beata  Navarra, 
144       se  s' armasse  del  monte  ohe  la  fascia  ! 
£  creder  dòe  oiascnn  che  già,  per  arra 
di  questo,  Nioosia  e  Famagosta 
per  la  lor  bestia  si  lamenti  e  garra, 
148    ohe  dal  fianco  dell'altre  non  si  scosta  ». 

osarti  fowfttori  ohe  n'  avevano  eparaa,  eeeon-  ohe  quaio  mei  1284  ipoeò  Filippo  il  bello  : 

do  la  pubblioa  Tooe»  per  circa  oentomUalire,  alla  morte  di  lai,  nel  1801,  prese  il  titolo  di 

oagionando  ooe£  xm  gran  danno  economico  (ofr.  re  di  Navarra  tao  figlio  Laigi  X.  —  146.  B 

N.  Baroni  in  DcmU  •  U  mto  mooh,  pp.  800  e  eroder  eoe.  E  «i  deve  credere  ohe  nn  segno 

segg.  ;  Tossili,  pp.  886  e  segg.  ;  Balvioni,  del  mal  gorsmo  firanoese,  ohe  sarà  in  Na- 

Atti  §  fiMm.  dtUa  B,  Deput,  di  §torÌa  patria  varrà,  sia  il  lamento  e  il  gridare  di  Nioosia 

di  Bomagtiat  8*  serie,  voi.  XIV,  pp.  811  e  e  di  Famagosta  per  la  tirannide  d' nn  prin« 

segg.).  —  141.  eke  aal  eoo.  ohe  osa  eno  eJipe  fkanosse,  Arrigo  II  di  Lnsignano,  re  di 

danno  ha  imparato  a  conoscere  la  moneta  ve-  Cipro  dal  1285  al  1324  (ofir.  E.  Bonan  nel- 

neziana,  pddié  falsandola  ha  meritato  l'eterna  l' Histor,  Httér.  d»  la  Frano»^  voi.  JuLVii,  pp. 


dono  (ofr.  laf.  xxx  70):  maU  ha  qni  887-890).  —  per  arra:cfr.  Ifif.rv^LParg, 
signlfloato  analogo  a  qnello  dell'  hif,  de  64,  zzvm  98.  —  146.  Hlcosfa  e  Famagosta  :  due 
zn  66,  IViy.  IV  82,  dod  di  dannosamente,  con  oittà  delle  principali  néU*  isola  di  Qpro.  — 
tristi  efllsttL  Alooni  testi  portano  mot»  aggiu-  147.  per  la  lor  ecc.  Ott  :  <  tTItlmamente  l'au- 
sld,  lesione  accolta  da  qnidche  commentatore  toro  pone  e  descrive  la  vita  bestiale  del  re 
moderno,  ma  contro  Tantorità  dei  migliori  co-  di  Cipri,  il  qnale  doverebbe  essere  tatto  santo, 
dici  e  senza  fondamento  di  ragione.  —  142.  però  che  dinanzi  alla  fronte  li  siede  la  terra 
O  beata  Vagbsrla  I  Beata  Ungheria  I  se  dai  dove  11  sno  creatore  il  sangue  sparse...  E  bene 
tuoi  ftitnri  signori  non  ti  lascend  governare  dice  bestia,  però  che  tutto  d  dato  alle  con* 
cosi  male  come  hanno  fstto  gli  altri  :  ultimo  cupisoenzo  ed  alle  sensualitadi,  le  quali  deb- 
re  d*  Ungheria  della  stirpe  di  santo  Stefano  bone  essere  di  lungi  dal  re;  e  dico  che  li  iso- 
fu  Andrea  HI  (1290-1801);  poi  succedettero  lani  se  ne  lamentano  e  gridano  perch'olii 
gli  Angioini  (cfr.  JRir.  vm  81).  —  148.  beata  vive  bestialmento,  ed  usa  con  quelli  che  be- 
Vavarra  !  beata  la  Navarra,  se  dei  Pirenei  che  stialmente  vivono,  né  da  loro  punto  si  parte  ; 
la  chiudono  a  settentrione  si  facesse  difésa  o  conchiude  in  lui,  come  pid  inftunato  od 
contro  il  giogo  francese  che  le  sovrasta.  L'ul-  Istremo  de'  mali,  lo  xix  capitolo  ».  —  148. 
timo  re  della  casa  di  Navarra  tu.  Enrico  I,  eke  ecc.  che  non  si  allontana  dal  fianco  delle 
morto  nel  1274;  gli  successe  la  figlia  (Giovanna,  altre  bestie,  s'accompagna  ciod  nel  fare  il 
nata  nel  1271,  la  quale  conservò  il  regno  an-  male  agli  altri  re  oristianL 


CANTO  XX 

NèlPocchio  delI*aQaiIa  si  manifestano  a  Dante  le  anime  di  sei  principi 
giusti,  Da¥id,  Traiaao,  Ezechia,  Costantino,  Guglielmo  II  e  Bifeo  ;  e  mo- 
strando egli  la  sna  sorpresa  di  rodere  in  paradiso  due  pagani,  Paquila  gli 
spiega  come  avrenisse  la  sahrazione  di  Traiano  e  Bifbo  e  dichiara  che  la 
pzedestiiiazione  è  imperscrutabile  mistero  [14  aprile,  ore  antimeridiane]. 

Quando  colui  che  tutto  il  mondo  alluma 
dell*  emisperio  nostro  ei  diacende 
8       che  il  giorno  d'ogni  parte  si  consuma, 

JT  1.  Qvando  ecc.  Allorché  il  sole  tra-  canti  che  io  non  posso  rloordacd.  —  coivi 

monta,  in  modo  che  scompare  la  luce  diurna,  eco.  perifrasi  per  designare  il  tiole,  che  ri- 

il  cielo  ridiventa  luminoso  per  molte  stelle,  sponde  allo  parole  del  Cbnv.  in  12,  riferite 

in  cui  si  riflette  la  luce  solare:  cosi  appena  in  nota  al  Par,  z  63.  —  2.  dell' emlsp^r lo 

l'aquila  si  tacque,  tutte  le  anime  intonarono  ecc.  tramonta  dal  nostro  emisfero  si  che  la 


732 


DIVINA  COMMEDIA 


lo  ciel,  che  sol  di  lui  prima  s'accende, 
subitamente  si  rifa  parvente 
6       per  molte  luci,  ih  che  una  risplende. 
E  quest'atto  del  ciel  mi  Tenne  a  mente, 
come  il  segno  del  mondo  e  dei  suoi  duci 
9       nel  benedetto  rostro  fu  tacente; 
però  che  tutte  quelle  vive  luci, 
yie  più  lucenti,  cominciaron  canti 
12       da  mia  memoria  labili  e  caducL 
O  dolce  amor,  che  di  riso  t'ammanti, 
quanto  parevi  ardente  in  quei  flailli 
15       eh'  aviòno  spirto  sol  di  pensier  santi  ! 
Poscia  che  i  cari  e  lucidi  lapilli, 
ond'io  vidi  ingemmato  il  sesto  lume. 


Ino»  del  giono  da  ogni  parte  yien»  maii- 
«ando.  —  4.  eh*  lol  eoo.  che  nel  giorno  non 
arerà  altra  fonte  di  laoe  ohe  U  sole.  —  6.  §1 
rlA  eoo.  diventa  di  nnoYO  luminoso  per  l'ap- 
parire delle  stelle  ;  cfr.  Virgilio,  Qwrg.  x  251: 
«  mio  sera  robens  aooendit  lumina  Yesper  », 
e  il  Petrarca,  son.  oxcn  12:  «E  '1  del  di 
vaghe  e  Incide  faville  S'accende  intomo  >. 
—  6.  yer  meltt  eoo.  per  molte  stelle,  nelle 
quali  risplende  la  Ince  del  sole  ;  perché  (Oofw. 
n  li)  <  del  suo  Inme  tntte  le  altre  stelle 
s'infozmano».  —  7.  B  «nesVatto  ecc.  One- 
sto fenomeno  celeste  mi  renne  a  mente, 
quando  l' aquila  non  mosse  piti  il  bécco  a 
parlare,  si  taoqne.  —  8.  il  segno  ecc.  l'aquila 
insegna  del  genere  umano  e  degli  imperatori 
prepoeti  al  goremo  temporale  degli  nomini 
(ofr.  i^.  n  4,  82).  —  10.  «nelle  eoo.  quelle 
anime  luminoee,  risointillando  pi4  riraoiente 
per  l'ardore  della  carità,  intonarono  oanti, 
che  io  non  ricordo,  essendo  sfuggiti  e  caduti 
dalla  mia  memoria.  Quali  fossero' i  canti  di 
queste  anime  il  poeta  non  dice  ;  si  che  l'ipo- 
tesi delle  Scart  €bfi  oantaseero  l' inno  dei 
giusti  accennato  nei  Salmi,  cxnn  16,  non 
ha  alcun  fondamento.  ~  12.  da  mia  eoa 
erano  di  tal  natura  da  sfuggire  faoifanente 
alla  mia  memoria  (laòitf),  come  infatti  sfug- 
girono («kìimO.  — 18.  0  dolM  ecc.  0  amore 
dirino,  che  tf  wmmmnHy  ti  arrolgi  nel  riso 
della  beatitudine,  quanto  appariri  ardente  in 
quelle  anime  ohe  erano  inspirato  solamente 
da  santi  pensieri  1  — 14.  in  «nei  flaiUl  ecc. 
Cosi  leggono  i  più  autoreroli  testi,  ed  è  le- 
zione da  prefexire  sensa  dubbio  alla  rulgata 
/oviUi,  ohe  sarebbe  unico  esempio  di  una 
forma  maschile  corrispondente  al  famm.  /b- 
viUtf.  È  certo  anche  ohe  HwXH  indica  qui  le 
anime  beate,  quelle  vice  ìmcì  che  Cantarano; 
ma  eepzime  l'idea  del  loro  splendore  o  quella 
del  canto?  Le  rarie  forme  di  cotesta  parola 
nei  manoeoritti,  faUXIi,  flavilU,  /raUU,  firavilUy 


rioondneono  alla  rad.  /lo-  e  ali*  idea  fi  spi- 
rare, soffiare;  il  ohe  confermerebbe  la  sposi- 
Kione  di  Benr.:  «/loOK,  ideet  dbilis;  scili- 
oet  in  roolbns  oanoiia  illomm  spizitvum  », 
alla  quale  ben  s' accorda  U  reno  seguente, 
oV  amino  apirto  aol  di  pmuier  taniif  •  idest 
(oontinua  Benr.)  qui  cantos  morebaóitor  so- 
lum  a  sanctis  ouris,  non  ranis  a  qnibus  mo- 
rentur  cantus  hominum  ».  A  questa  spiega- 
zione s' accorda  quella  del  Blano,  ohe  inter- 
preta flaiUo  per  <  un  Istmmento  di  musica, 
un  piccolo  flauto  >  (come  il  fhmo.  /Kosei,  flau- 
to, aggiunge  U  Parodi,  BM,  m  146);  e  ad 
essa  accedo  anch'io,  non  solo  por  l'etimologia, 
ma  specialmente  perché  l' idea  dalla  luce  già 
e^reasa  nei  rr.  10-11  e  ripetota  poi  nel 
r.  16  sarebbe  superflua  qui,  e  percSié  agli 
ongeHoi  tqyitU  del  r.  18  sembra  opportuno 
un  riscontro  neUe  parole  dell'  eedamazloneu 
Altri  tengono  por  V  idea  della  luce,  come  il 
Gasa,  ohe  postilla  :  «  flagiantes  splendores  > 
e  fk  derirare  la  parola  fUtiUo  dal  rb.  /Ca- 
grmt',  né  manoa  ohi  la  trae  da  flabeUmn  ^ 
oendo  che  quelle  anime  «  s^rarano  Inoe  »,  e 
chi  anche  da  /lovns,  perché  erano  ^Landenti 

<  di  luce  dorata  »;  sono  fantasie,  oome  queQa 
dello  Scart  che  propone  di  leggere  fatìU  e 
trora  ohe  risponderebbe  al  finno.  aat.  /bsO», 
fiaccola  (Pies  187).  — 16.  arlèno  splrte  eoo. 
arerano  ins^razione  solo  di  santi  pensieri; 

<  nei  quali  1  santi  pensieri  tenevano  il  luogo 
di  soffio  »  (Parodi,  L  oit)  o  d'  inspirazione. 
—  16.  Poscia  eoo.  Dopo  ohe  le  beata  anime 
luminose  ohe  adoinavano  di  sé  il  sesto  pia- 
neta, Giove,  ebbero  posto  fine  ai  loro  canti 
ang^ioi^  inspirati  di  santi  pensieri,  sentii  un 
mormorio  eoo.  Questo  oonftaso  pazlaza,  che 
richiama  al  pensiero  di  Dante  il  rtnnore  del- 
l'acqua cadente  tra  i  sassi,  era  ftomato  dalle 
voci  degli  spiriti  beati,  le  quali  non  s'erano 
ancora  ftise  in  una  voce  oda.  —  lapilli: 
come  il  lat  ìapitku,  anche  l'itaL  fayOfo  à- 


PARADISO  -  CANTO  XX 


733 


18        poser  silenzio  agli  azigelici  squilli, 
udir  mi  parve  un  mormorar  di  fiume, 
che  scende  chiaro  giù  di  pietra  in  pietra, 
21        mostrando  Pubertà  del  suo  cacume. 
E  come  suono  al  eolio  della  cetra 
prende  sua  forma,  e  si  come  al  pertugio 
24.       della  sampogna  Tento  che  penetra, 
cosi,  rimosso  d'aspettare  indugio, 
quel  mormorar  dell'aquila  scrissi 
27        su  per  lo  collo,  come  fosse  bugio: 
fecesi  voce  quivi,  e  quindi  uscissi 
per  lo  suo  bécco  in  forma  di  parole, 
80       quali  aspettava  il  core,  ov*io  le  scrissi. 
cLa  parte  in  me  che  vede,  e  paté  il  sole 
nell'aquile  mortali,  incominciommi, 
83        or  fisameoate  riguardar  si  vuole, 
perché  dei  fochi,  ond'io  figura  fommi, 
quelli,  onde  l'occhio  in  testa  mi  scintilla, 
86        e'  di  tutti  i  lor  gradi  son  IL  sommi 


gniftea  petrazxa,  laya  tminuzzata  eoo.;  ma 
qvi  è  pieso  nel  Benso  di  pietra  preziosa,  oome 
Dante  chiama  le  anime  beate  (ofr.  Fair,  zv 

22,  znn  115,  xxu,  29  eoe.).  — 19.  va  mer- 
■erar  eoo.  un  rumore  simile  al  mormorio 
d'  un  Homo,  le  eoi  aoqne  scendendo  limpide 
di  masso  in  masso  fiuino  vedere  l'abbondanza 
della  sorgente  oh'  è  sulla  cima  del  monte. 
L'imagine  ò  frequente  nella  bibbia  (Szechiel 
ZLiu,  2,  ApooaL  i  15,  ziv  2  eoo.)  e  anche 
nei  poeti  olassid  (Viig.  Qwrg.  i  106);  ma 
Dante  la  rappresenta  oon  maggior  ricchezza 
di  partioolari,  piti  ammirabile  perché  non 
istemperata  in  vane  pende.  —  21.  eaeme: 
dma  di  monte;  ofr.  Pwrg,  ir  26,  F».  zvn 
113.  —  22.  B  eome  eoo.  <  £  oome  lo  suono 
della  chitarra  prmie  mta  forma,  cioè  suo 
essere,  al  collo  della  chitarra,  dove  tiene  lo 
sonatore  le  dita  de  la  mano  sinistia,  strin- 
gendo  le  corde  al  legno,  or  coli'  un  dito,  or 
ooU'  altro,  et  or  oon  più  »  ;  cosi  il  Bnti,  piti 
esattamente  d'  ogni  altro  commentatore.  — 

23.  e  si  eome  ecc.  e  come  l' aria  che  entra, 
soiBata  dalla  bocca,  noUe  canne  della  sam- 
pogna pr$nd»  forma,  prende  varie  modula^ 
noni  di  suono,  al  pertugio,  secondo  il  f6ro 
che  il  sonatore  chiude  o  i^re  con  U  dito.  — 
26.  eesf  ecc.  in  tal  modo,  rimosso  ogni  in- 
dugio, subitamente,  quel  mormorio  sali  sa 
per  U  collo  dell'aqivila,  come  se  questo  fosse 
stato  vuoto.  Sopra  la  rispondenza  dello  due 
similitudini  all'srticolarsi  della  parola  si  veda 
B.  ValensiBe,  La  forma  del  tuono  secondo 
V Alighieri,  NapoU  1900.  —  27.  bngio  :  bu- 
cato, vuoto  dentro;  è  Tooe  vivissima  nel 


parlar  toscano  del  contado.  —  28.  feeeil  eco. 
nel  collo  dell'aquila  quel  mormorio  si  ftise 
in  unica  voce  e  usci  per  U  bócoo  in  forma 
di  parole,  quali  io  desiderava  e  quindi  ri- 
tenni  impresse  neU'  animo.  —  80.  quali  eoo. 
Si  noti  questo  verso  ohe  nella  sua  nitida  e 
potente  semplicità  è  senza  dubbio  uno  dei 
pi6  belli  e  signillcativi  di  tutto  il  poema. 

—  81.  La  parte  eco.  H  mio  occhio,  che  è 
quella  parte  ohe  nelle  aquile  terrene  vede 
e  sostiene  l'aspetto  del  sole,  deve  ora  esser 
riguardato  attentamente  da  te.  L' aquila 
parla  sempre  di  occhio,  in  sing.,  perché  es- 
sendo r  imagine  sua  rappresentata  col  capo 
di  profilo,  oome  s'  usava  nelle  insegne  aral- 
diche, uno  solo  degli  occhi  appariva  a  Dante. 

—  paté  il  sole  :  ofr.  Par,  i  48.  —  34.  per- 
sile ecc.  perché  delle  anime  luminose,  onde 
è  costituita  la  mia  figura,  quelle  die  formano 
il  mio  occhio  scintillante  sono  le  piti  nobili 
di  tutte  le  altre,  sparso  per  il  rimanente  del- 
l' imagine.  —  86.  e*  di  tutti  eoo.  essi  spiriti 
sono  i  sommi  fra  tutti  quelli  che  formano  la 
mia  figura  :  l' s'  ò  pronome  pleonastico,  che 
molti  editori  sostituisoono  oon  la  oongiun- 
zione  s,  altri  sopprimono  a  dirittura.  —  11 
soamii  questi  spiriti  più  eccellenti  tra  gli 
altri  principi  giusti  sono  David  (w.  87-42), 
Traiano  (w.  43-48),  Ezechia  (w.  49-54),  Co- 
stentino  (w.  66-60),  Guglielmo  II  (w.  61-66) 
0  Bifeo  (w.  67-72)  ;  dei  quali  il  primo  sta  nel 
mezzo,  al  luogo  della  pupilla,  e  gli  altri  cin- 
que sono  disposti  sur  una  linea  aronata  cor- 
rispondente al  dglio.  Si  avverta  la  simme- 
tria dei  veni  ooosaonUi  ai  isi  principi  giusti: 


734 


DIVINA  COMMEDIA. 


^^ 


Colui  che  luce  in  mezzo  per  pupilla 
fu  il  cantor  dello  Spirito  Santo, 
89       che  l'area  traslatò  di  villa  in  villa: 
ora  c<Mio8oe  il  merto  del  suo  canto, 
in  quanto  effetto  fa  del  suo  coonglio, 
42       per  lo  remunerar  ch*ò  altrettanto. 

Dei  cinque,  che  mi  fan  cerchio  per  ciglio, 
colui,  che  più  al  bécco  mi  s'accosta, 
45       la  vedovella  consolò  dal  figlio: 
ora  conosce  quanto  caro  costa 
non  seguir  Cristo,  per  l'esperienza 
48       di  questa  dolce  vita  e  dell'opposta. 
B  quel  che  segue  in  la  ciroonferensa, 
di  ohe  ragiono,  per  l'aroo  sapomo, 
61        morte  indugiò  per  vera  penitenza: 
ora  conosce  che  il  giudizio  eterno 
non  si  trasmuta,  perché  degno  preco 


»  daaeano  dei  qvaU  miio  dato  dot  tonine, 
U  prima  terdna  per  dlze  ohi  e  qiftle  fti,  la 
■eoonda  per  dire  oome  oonoeca  adeeso  un 
determinato  principio  di  fede  relativo  alla 
sua  partioolar  condizione;  onde  Tiene  la  so- 
migliania  delle  frasi  {oolui  eha  eoo.  tt.  87,  44, 
qui  eK$  ecc.  tt.  49,  61,  Vattro  eh»  ecc.  t.  66; 
e  ora  camme  eoo.  tt.  40,  46,  62,  68,  64,  70), 
che  non  produce  monotonia  di  esprewione, 
ma  efficacia  rappreeentatìTa  e  persaaeiTa.  — 
38.  fki  11  eaator  eoo.  David,  re  d*  laraele 
(ofr.  £%f.  IV  68),  racceifore  di  Sani,  conquistò 
il  paese  dall*  Eufrate  al  mar  Rosso  e  tcasferf 
r  arca  a  Gerusalemme:  senza  alterare  lo  spi- 
rito della  legislazione  moeaioa  e  mantenendo 
raccordo  tra  il  principio  teocratloo  e  il  mo- 
narchico, promosse  utili  istituzioni,  oome  la 
scuola  dei  cantori;  ed  e^  stesso  compose  i 
SahUt  poesie  piene  di  sentimento  religioso 
(la  maggior  parte  di  quelli  della  raccolta  hi- 
blioa  sono  di  tempi  posteriori),  per  le  quali 
appunto  Dante  lo  chiama  qui  e  nel  Airy.  xxv 
72  il  cantore  di  Dio.  É  spesso  ricordato  nel 
poema  e  nelle  altre  opere  dell'Alighieri  (cfr. 
h%f.  xxvin  138,  Purg,  z  66,  B»r,  zxxn  11, 
De  moA.  n  10,  ni  4,  Oowv,  n  46,  m,  4,  rv  6 
eoe).  —  89.  eke  Tarea  ecc.  cfr.  la  nota  al 
Purg.  z  65.  —  40.  ora  eonosee  ecc.  adesso 
conosce  il  merito  del  suo  canto  sacro,  in 
quanto  spontaneamente  rivolse  la  poesia  a  lo- 
dare il  Signore,  e  lo  conosce  per  il  premio  della 
beatitudine,  che  è  tanto  grande  quanto  fu  il 
merito  :  si  ricordi  il  «  commensurar  dei  gaggi 
col  merto  »  {Par.  vi  118),  principio  di  letìzia 
alle  anime  beate.  —  41.  In  quanto  ecc.  in 
quanto  il  cantare  di  David  ta  effetto  di  sua 
volontà,  il  merito  fu  del  re  poeta  :  in  quanto 
fu  isplrazioDo  divina,  il  merito  ò  di  Dio.  —  44. 
colmi,  che  pid  eoe  Tanima  che  sta  sull*aroo 


dal  oi^o  pid  vicina  al  nio  bécco,  prima  alla 
sinistra  per  «dii  giarda,  è  quella  di  Traiano 
imperatore  (96-117  d.  C),  ohe  consolò  la  ve- 
dorella  rendendole  giustizia  dell' uodao  fl- 
gfludo:  ofr.  Ihirg,  x  7S.  Sulla  Hhewtone  # 
Trsiano  dalllnfemo  per  opera  di  Onforlo  I 
si  Teda  la  nota  al  t.  106.  —  46.  ora  eoas 
seo  ecc.  adesso  eonosee  quanto  sia  dannoso 
il  non  seguire  la  fede  di  Oristo,  poloh^  egli 
sa  per  esperienza  propria  qual  sia  la  beall- 
tddine  della  Tita  di  pandiso  («mssCs  dbfar  Wto) 
e  il  tormento  delia  Tita  infìsmale  (dUf  cffe- 
sto).  —  49.  B  fMl  eoo.  E  quello  ohe  Tiene 
dopo  Trsiano,  seguitando  su  per  P  areo  del 
ciglio,  d  lo  spirito  di  Brechla,  re  di  eiada, 
il  quale,  aTendogH  il  profeta  Inia  «nnvmteta 
prossima  la  morto,  si  volse  con  gnn  pianto 
al  Signore  e  ottenne  di  vivere  altrt  qnlndlot 
anni  ;  ofr.  17  fit  zz  1-U,  JT  Oomieké  zzm 
24,  Isaia  zzzvnx  1-22.  Ma  daUa  BttbU  non 
appare  che  allora  Eteehia  piangesse  p&r  mra 
ptmtmwOj  oome  dloe  Danto,  il  quale  pensava 
forse  a  un  altro  inogo  dei  libri  bibttol,  ow 
si  legge  (17  Onm,  zzzn  96)  ohe  <  ffiniidifa, 
con  gU  abitanti  di  Oerussieame»  sf  nmfliò  di 
dò  che  il  suo  cuore  s'era  Innalzato  >;  fl  ohe 
fa  posteriormento  al  oonssguito  prolunga- 
mento della  vita.  —  60.  oim  eeneoeo  eoo. 
Ezechia  oonoeee  adesso  ohe  11  giudiiio  divino 
ò  immutsMle,  anche  se  una  preghiera  a»> 
cotta  al  Signore  fe  trasfeno  a  doBinl  dò 
che  dovTsbbO  aooadors  oggL  Lomb.:  <  Vho»- 
dosi  noDe  scuole  11  predetto  awenisMBto  sso» 
viro  di  obbiezione  contro  il  dogma  doUn  la»* 
mutabilità  dei  divini  dooiotl,  dtoo  persiò 
Danto  ohe  il  medesimo  Bnehia  eonosee  oca 
in  dolo  il  eontrarto  di  qnello  ohe  per  di  lui 
fatto  sembra  ad  alounl  uomini  in  tem  ».  — 
68.  non  at  tfiiHit  cfr.  Aof.  vi  88-89 


PARADISO  -  CANTO  XX 


735 


54        fa  orastino  là  giù  dell'odierno. 

L'altro  che  segue,  con  le  leggi  e  meco, 
sotto  baona  intenzion  che  fé*  mal  frutto, 
57        per  cedere  al  pastor  si  fece  greco: 
ora  conosce  come  il  mal,  dedutto 
dal  suo  bene  operar,  non  gli  è  nocivo, 
CO        ayyegna  che  sia  il  mondo  indi  distrutto. 
E  quel  che  vedi  nell'arco  declivo 
Guglielmo  fu,  cui  quella  terra  plora 
68       che  piange  Carlo  e  Federico  vivo: 
ora  conosce  come  s'innamora 
lo  ciel  del  giusto  rege,  ed  al  sembiante 
66        del  suo  fulgore  il  fa  vedere  ancora. 
Chi  crederebbe,  giù  nel  mondo  errante, 
che  Bifeo  troiano  in  questo  tondo 


»t  pragktora;  è  anche  in  Inf,  zxYin 
90.  —  64.  t%  erMtlBO  eoo.  th  In  modo  ohe 
in  tem  toooeda  domenl,  sia  enuMno  (lat. 
«rMMNw)  eid  che  doimlilbe  e«ere  odiamo^ 
Moadere  oggL  —  66.  1/  altre  eoo.  L' altro 
■pi— ligie,  al  colmo  del  ciglio,  è  Ooetantino 
Magmo  (nato  nel  274,  creato  Oesare  nel  806, 
Asgosto  nel  807,  Imperatore  nel  834,  morto 
nel  887),  ohe  compiendo  l'attoaiione  del  si- 
■temB  poUtteo  inixiaito  da  Diodeiiatto  tra- 
iferf  a  Biaanzlo  la  sede  dell'  impero  romano 
e  cereo  di  trarre  profitto  della  nuora  forza 
rappreaentata  dal  Qristiattesimo.  Dante  dice 
ohe  ae  ne  andò  a  Bisanzio  (ti  fooè  greco)  con 
il  goreno  imperiale  (le  leggi  e  il  segno  del- 
l' aquila)  per  laadar  Boma  al  Pontefloe,  che 
fti  atte  dannoaiaaimo  sehbene  fktto  con  buona 
intenzione  (olir.  Btf,  xxs  116,  xrm  94  e  segg., 
Aipy.  xxMB  188);  in  dne  modi  Costantino 
danneggid  il  mondo,  secondo  Dante,  con  la 
tranalaiione  deU'  Impero  e  con  la  donazione 
di  Boma  alla  Chiesa.  —  67.  per  eedere  eoo. 
per  laaoiar  Boma  a  Sitrestro  I  (ofr.  Inf,  xiz 
117),  U  primo  fisse  paire,  —  68.  era  eenesee 
eoo.  adssse  oonosoe  come  il  male  derivato 
dai  tool  atti  buoni  non  gli  sia  aseritto  a  colpa, 
sebbene  da  essi  sia  stata  roTinata  l'umanità. 
—  60.  nea  gli  ecc.  perché,  secondo  la  dot- 
trina di  Tomm.  d' Aqu.  Ammu.,  P.  I  2^, 
qu.  zx,  art.  6,  <  erentos  sequens  non  fiudt 
aotom  malum  qui  erat  bonus,  nec  bonum  qui 
erat  malus».  «  60.  avregmi  eoo.  sebbene 
il  mofMio,  r  umanità  sia  stata  rorinata  dalla 
eadota  dell'  Impsro  cominciata  con  la  trasla- 
zione a  Bisanzio,  e  dal  potere  temporale  dei 
papi  oofliinoiato  con  la  donaslooe  di  Oostan- 
tino.  Boti;  «Per  questa  ricohecza  de  la 
CMesn  sono  divisi  li  sommi  pontafloi  da  l'im- 
pecadori,  e  latto  parte  della  CSìiesa  e  de  lo 
Imperlo  gnelila  e  ghibellina,  d  ohe  la  cristia- 
nità n'  è  divisa  e  venuta  in  grande  guioe  ». 


—  61.  nell'aree  ieellve  :  nella  parte  del  ci- 
glio, ohe  incomincia  a  declinare,  ad  abbas- 
sarsi. —  62.  CIngUelao  fta  ecc.  fa  Qu^el- 
mo  n  il  buono,  nato  nel  1164,  creato  re  di 
Sicilia  nel  1166,  morto  nel  1189:  gli  storici 
e  i  commentatori  antichi  lo  lodano  come  prin- 
cipe saggio  e  glorioso,  la  cui  morte  lasciò 
desolati  i  9uoi  popoli,  come  attesta  il  pianto 
conservato  da  Biccardo  da  8.  (armano  (Pertz, 
JfowMin.  german.  Script  XTX  824):  <  Flange 
pianctu  nimio,  Sicilia,  Oalabriae  regio,  Apulia, 
Terraque  laboris...  Box  Guilelmus  àbiit,  non 
obiit,  Bex  ine  magniflcus,  padflous,  Ootus 
vita  plaouit  Deo  et  hominibus;  Elus  spiri  tus 
Deo  vivat  ocelitos  »:  oSr,  F.  Testa,  De  mia  d 
fsòtM  gmtU  OwiMmi  II  SieUiae  rtgiM^  Monreale, 
1768,  e  I.  La  Lumia,  Storia  della  SioUia  eoUo 
CfvgUOmo  II  il  hwmo^  Firenze,  1867.  —  eal 
quella  eoo.  di  QugUelmo  II  piangono  la  morte 
le  terre  di  Paglia  e  di  Sidlia,  che  lamentano 
invece  il  vivere  dei  loro  presenti  re.  Cario  II 
d' Angid  {B»r,  xix  79)  e  Federico  n  d' Ara- 
gona {Pttr,  XEC 181).  —  64.  eeme  ilunamora 
eoe.  come  il  dolo  ami  1  principi  giusti  e  per- 
ciò li  premii  con  la  boatitudine  ;  Biag.:  «  nota 
soavità  di  stile,  imagine  vera  della  dolce 
beatitudine  del  cielo  ».  —  66.  al  sembiante 
eoe  col  suo  fOlgidissimo  aspetto  l' anima  di 
Guglielmo  tk  vedere  come  essa  conosca,  goda 
la  beatitudine;  poiché  aU'intensità  di  questa 
risponde  la  vivacità  della  luce.  ~  67.  €hi 
crederebbe  ecc.  Nessuno  degli  uomini  vi- 
venti crederebbe  che  l' ultima  delle  anime 
ohe  formano  il  mio  dglio  fosse  qaella  del 
troiano  Bifeo,  poiché  non  si  pensa  che  pos- 
sano essere  salvi  anche  uomini  pagani.  — 
mende  errante  t  quello  de  poccatori,  la  no- 
stra terra  (cfr.  PUr.  xn  M).  —  68.  Bifeo  tro- 
iane t  è  ricordato  da  Enea,  nel  racconto 
ch'ei  fa  a  Dldone  della  espognazione  di  Troia, 
tra  i  primi  ohe  accorsero  difendendo  la  pa- 


736 


DIVINA  COMMEDIA 


69        fosse  la  quinfca  delle  luci  sante? 

Ora  conosce  assai  di  quel  che  il  mondo 
veder  non  paò  della  divina  grasia, 
72        benché  sua  vista  non  discema  il  fondo  ». 
Quale  allodetta  che  in  aere  si  spazia 
prima  cantando,  e  poi  tace  contenta 
75        dell'ultima  dolcezza  che  la  sazia, 
tal  mi  sembiò  l'imago  della  imprenta 
dell'eterno  piacere,  al  cui  disio 
78        ciascuna  cos€^  quale  eli' è,  diventa. 
'  £d  avvegna  ch'io  fossi  al  dubbiar  mio 
li  quasi  vetro  allo  color  che  il  veste, 


-:i 


tria  dal  gred  invasori  (Virg.  Eh*,  n  889)  e 
tra  quelli  ohe,  Testite  le  annatoie  dei  greci 
nocifli,  fecero  orribile  strage  dei  nemici  (ib., 
894  e  segg.))  e  poi  morirono  tentando  di  ri- 
togliere di  mano  ai  gr^  Cassandra  rimasta 
prigioniera  (ib.,  426-427);  in  qaest' ultimo 
luogo  Virgilio  chiama  Bilèo  e  iustlssimns  unus 
Qui  fkdt  in  Teuoris,  et  serrantissimns  aequi  », 
e  per  questa  sua  yirtA  e  amore  della  giusti- 
zia Dante  lo  collocò  in  paradiso  (cfr.  la  nota 
al  V.  118).  —  70.  eonDset  assai  eco.  essendo 
tra  i  beati,  Bifeo  conosce  molta  parte  dei  mi- 
steri divini  ignota  agli  uomini  della  terra, 
sebbene  anch' egli  non  conosca  sino  al  fondo 
la  grazia  di  Dio.  È  pensiero  dei  teologi  cri- 
stiani, per  es.  Agostino,  Sermon,  zzxvm: 
<  Attingere  aliquantulum  mente  Denm  magna 
beatitudo  est,  oomprehendere  autem  omnino 
impossiUle  »,  e  Tooun.  d'Aqu.,  Ammii.,  P.  I, 
qu.  ZÌI,  art  8  :  «  Nullus  inteUectus  oieatus 
totaliter  Deum  oomprehendere  potest  Nullas 
igitur  intellectus  creatus  videndo  potsst  co- 
gnosoere  omnia  quae  Deus  Usoit,  yel  potest 
fsoers  ».  —  78.  Qaale  eco.  Come  la  lodoletta 
che  prima  vola  per  V  aria  cantando  e  poi  si 
tace  sodisfatta  delle  ultime  note  dolcissime, 
cosi  l'aquila  che  con  segni  di  gioia  m^aveva 
enumerati  i  giusti  principi  del  suo  ciglio  eoo. 
Venturi  440  :  «  La  similitudine  è  di  una  gio- 
condità che  innamora  ;  e  i  versi  son  pieni  di 
moto  e  di  canto.  Il  paragone  d  tn  uccello  e 
uccello;  e  scegliendo  la  lodoletta,  sceglie 
quello  appunto,  cui  è  piti  che  ad  altri  pro- 
prio lo  spaziarsi  in  aria  gorgheggiando  ».  — 
allodetla:  forma  arcaica,  attestata  dai  mi- 
gliori codici,  foggiata,  come  il  prov.  olmsesca, 
sul  diminutiro  derivato  dal  lat.  alanida^  allo- 
dola, lodoletta.  —  74.  coateata  ecc.  sodi- 
sfatta di  ciò  ohe  ha  cantato,  delle  note  doloàa- 
sime  con  le  quali  ha  posto  fine  al  suo  canto; 
al  rallegrarsi  dogli  uccelli  per  il  lor  proprio 
canto  accenna  anche  Virgilio,  Owrg,  i  142: 
e  Noaoio  qua  praeter  solitum  dulcedine  laeti  > . 
~  76.  tal  mi  eoo.  cosi  V  aquila  mi  sembrò 
sodisfatta  delle  sue  parole  ecc.  Qrande  disp»> 


rità  d'opinioni  ò  tra  gli  interpreti  oiroa  que- 
sta terzina  (cfr.  BìdL  I  90-91,  U  164-165,  m 
68  ecc.);  e  i  pii  chiosano  oscuramente  il  testo, 
incerti  tra  le  due  costruzioni  possibili.  Co- 
struendo V  imago  mi  mmbid  tal,  doò  aaaàa, 
dtUa  imprmita  deU*  «ttmo  pioóere,  si  deve  in- 
tendere ohe  sembrò  contenta  dal  piaowe  pro- 
vato parlando,  il  qual  piacere  è  twyiswto  dtU 
1*  «temo  piaotn,  impressione,  riflesso  della  di- 
vina volontà;  oostmendo  invece,  l'imago  dtUa 
impronta  dtU'otmmo  fiae&ro  mi  oombiò  tote,  si 
può  spiegare  in  pi6  modL  Preferirei  questo 
oostmtto,  perché  il  vb.  tembiò  riassume  quasi 
in  sé  le  oonìspondenti  azioni  del  oantsrB  e 
del  taoere  della  lodoletta,  come  se  Dante  di- 
cesse: tale  mi  sembrò,  perché  lietamente  par- 
lava e  sodisCstta  si  tacque,  l' imt^  doOa 
impronta  deU*oiomo  piacerò  cioò  l'aquila,  aim- 
bolo,  figura  della  giustizia  divina,  dio  è  ma- 
nifestazione della  volontà  etema.  Biguardo 
al  nome  impronta  ofir.  Par,  vu  68;  piaeoro 
per  volontà  di  Dio  è  in  I^trg,  xxz  125,  JFbr. 
xzn  80,  xzxu  65.  —  77.  al  eil  ecc.  <  a  de- 
siderio e  volontà  del  quale  [Dio]  ogni  cosa 
diventa  tsle  quale  ella  ò  »  ;  cosi,  meglio  di 
tutti,  il  Buti,  che  dta  l'autorità  di  AgoetLno  : 
e  Talee  noe  amat  Deus,  quales  fiscti  snmns 
dono  eius,  non  quales  sumus  noetro  mMìto  », 
e  di  Prospero:  »  Talea  a  Domino,  quales  for- 
mamur,  amamur;  non  quales  nostro  existi- 
mQs  merito  ».  —  79.  Ed  avvegaa  eoo.  Seb- 
bene non  ci  fosse  bisogno  ch'io  manifestassi 
il  mio  dubbio,  ohe  chiaramente  appariva  a 
quelle  beate  intelligenze,  la  farsa  dal  dubbio 
non  permise  che  tacendo  aspettassi  la  sjùe- 
gazione  delle  anime,  ma  ni  foce  domandare 
eho  0000  fosser  ^Msste  die  io  aveva  veduta, 
mi  spinse  a  chiedere  come  mai  potessero  es- 
ser beate  le  anime  di  due  pagani  (Traiano  e 
Rifeo).  —  80.  quasi  vetro  eco.  come  un  vetro 
che  lascia  trasparire  l'oggetto  odoiato  che  d 
dietro  a  sé,  cosi  io  lasciavo  vedere  il  mio 
dubbio.  La  rimilitndiw»  del  vetro  ricorre  an- 
che nel  Omo,  m  8:  «  La  passione  dell'animo 
dimostnsi  nella  boooa,  quasi  tL  oome  colore 


PARADISO  -  CANTO  XX 


737 


81        tempo  aspettar  tacendo  non  patio; 

ma  della  bocca:  €  Che  cose  son  queste?  > 
mi  pinse  con  la  forza  del  suo  peso; 
84       per  ch'io  di  corruscar  vidi  gran  feste. 
Poi  appresso  con  P  occhio  più  acceso 
lo  benedetto  segno  mi  rlsposCi 
87       per  non  tenermi  in  ammirar  sospeso: 
€  Io  veggio  che  tu  credi  queste  cose, 
perch'io  le  dico,  ma  non  vedi  come; 
90       si  che,  se  son  credute,  sono  ascose: 
fied  come  quei,  che  la  cosa  per  nome 
apprende  ben;  ma  la  sua  quiditate 
98       veder  non  può,  se  altri  non  la  prome. 
Regnum  coelarum  violenta  paté 
da  caldo  amore  e  da  viva  speranza, 
96       che  vince  la  divina  volontate; 


4opo  Tetro  »;  ed  d  frequente  nel  poeti  poeta- 
riori,  p.  es.  nel  Petrarca,  eanx.  xxxvn,  tt.  58 
•  segg.  ;  ion.  cxlvii,  tv,  12  e  segg.;  Trionfo 
détta  dwinità,  yy.  84-85.  —  82.  ma  della 
eoo.  ma  per  la  forza  della  eoa  insistenza, 
mi  fece  domandare  eoo.  —  84.  per  eh' io 
eoo.  per  la  quale  domanda  yidi  le  anime  bril- 
lare di  pi6  Tira  Inoef  eesendo  liete  di  po- 
ter sodisfare  nn  mio  desiderio.  —  fette  i  atti 
feetod  degli  spiriti  che  formavano  T  aquila. 

—  85.  Pel  appretto  eco.  Dopo  cotale  dimo- 
strazione d'aUegrezza,  l'aquila,  brillando  pid 
▼iramente  nell'occhio,  mi  rispose,  perché  io 
non  fossi  pid  oltre  tenuto  sospeso  nell'am- 
mirazione, nella  merariglia  d'arer  reduto  tra 
gli  eletti  Traiano  e  Bifeo.  —  86.  mi  rispose 
eoo.  L' aquila  dichiara  a  Dante  il  fatto  che 
lo  tiene  in  ammirazione  dicendogli:  Tu  credi 
qtieste  coee  senza  intenderle  (tv.  88-98),  né 
tal  oome  la  fona  della  carità  e  della  speranza 
poeta  Tinoere  la  divina  volontà  (w.  94-99): 
ma  Traiano  e  Bifeo  morirono  credenti  (w. 
100-106),  l'uno  tornando  dall'inferno  sulla 
terra  per  credere  in  Dio  (w.  106-117)  e  l'altro 
ottenendo  da  Dio  la  rivelazione  della  futura 
rodenzione  (w.  118-129):  tanto  profondo  è  il 
mistero  della  predestinazione  che  voi  mortali 
dovete  astenervi  dal  pronunziare  giudizi,  per- 
ché anche  noi  beati  non  lo  conosciamo  inte- 
ramente (w.  180-188).  ~  87.  In  ammirar 
eoo.  non  e  nell'  ammirazione  di  quel  nuovo 
splendore  »,  oome  spiega  il  Lomb.  seguito  da 
altri,  ma  della  presenza  di  Traiano  e  Bifeo 
tra  i  beati.  —  88.  Io  regglo  eoe  Io  conosco 
che  tu  credi  queste  cose  perché  te  le  dico  io, 
ma  non  ne  vedi  la  ragione  ;  e  perciò,  seb- 
bene tu  le  creda,  ti  restano  nascoste.  —  que- 
ste eete:  la  talvasione  di  Traiano  e  Rif)»o. 

—  91.  lU  eeae  eoe  Ad  corno  colui  che  delle 

Daktb 


coee  apprende  tolameate  le  qualità  etterioii, 
ma  non  ne  vede  l'etsensa  se  altri  non  gliela 
dimostra.  Duplice  ò  la  cognizione,  secondo 
Tommaso  d'Aquino,  Ammii.,  P.  II 9**,  qu.  vm, 
art  1-2  :  <  oognitlo  sensitiva  coonpatur  elica 
qualitatet  tentibilee  ezteriorte  ;  oognitlo  autem 
intellectlva  penetrat  ntque  ad  intelligontiam 
rei  »;  e  questa  tela  è  perfetta,  poiché  per  etta 
«  pertingimns  ad  cognoecendnm  nntentiiia  rei 
intellectae  ».  —  92.  la  tua  aaldltatet  l'es- 
senza della  cosa,  <  eesentlam  rei  inteUeotae,... 
secundum  quod  in  se  est  »,  dice  l'Aquinate, 
L  dt.,  poiché  «  obiectum  intalleotos  est  gwtd 
qtM  Mi  »,  ossia  la  quUitaU.  —  96.  proiM: 
manifesta,  spiega  ;  è  il  vb.  lat  promtre  (Zing. 
80).  —  94.  Regnam  eoe  H  regno  dei  deli 
code  alla  forza  del  oaldo  amore  e  della  viva 
speranza,  con  che  gli  uomini  vinoono  la  di- 
vina volontà,  non  a  quel  modo  che  l'uomo 
supera  l' altro  uomo,  ma  la  vincono  perché 
essa  stessa  vuole  esser  vinta,  e  la  divina  vo- 
lontà, vinta  in  tal  modo,  vince  con  atto  di 
grazia.  Sono  da  notare  in  questi  veni  la  tet- 
tile distinzione  tra  la  volontà  divina  assoluta 
e  la  condizionata  o  relativa  (ofr.  Tomm.  d' Aqu. , 
Summit  P.  I,  qu.  zix,  art  11-12  e  Par.  iv 
109),  e  lo  svolgerti  del  ragionamento  per 
pezao  degli  tguimoi  formati  col  vb.  vinein 
(si  cfr.  Jnf.  I  86).  —  vlolcBsa  paté  t  tofte 
violenza,  cede;  ed  è  espressione  derivata, 
come  le  due  preoedentl  parole  latine,  dai  van- 
geli, nel  testo  della  vulgata  (Matteo  xi  12, 
Luca  XVI  16)  :  e  Begnum  ooelorum  vim  pa- 
titur,  et  violenti  rapiunt  illud».  —  96.  la 
dlrlua  ecc.  la  volontà  oondidonata  ;  che  d 
per  esempio,  quando  Dio  permette  che  un 
infedele  tomi  alla  fede  e  però  si  salvi,  nel 
qual  caso  la  sua  volontà  cede  al  principio 
assoluto  ohe  gli  infodeli  sieno  daiutati.  .-> 

47 


738 


DIVINA  COMMEDIA 


non  a  guisa  clie  Puomo  alPuom  sopranza, 
ma  vìnce  lei,  perché  vuole  esser  vinta, 
99       e  vinta  vince  con  sua  beninanza. 
La  prima  vita  del  ciglio  e  la  quinta 
ti  £ei  maravigliar,  perché  ne  vedi 
102       la  region  degli  angeli  dipinta. 

Dei  corpi  suoi  non  uscir,  come  credi, 
gentUi,  ma  cristiani,  in  ferma  fede, 
105       quel  dei  passuri,  e  quel  dei  passi  piedi: 
che  V  una  dello  inferno,  u'  non  si  riede 
giammai  a  buon  voler,  tornò  all'  ossa, 
108       e  ciò  di  viva  speme  fu  mercede; 
di  viva  speme,  che  mise  la  possa 
nei  preghi  fatti  a  Dio  per  suscitarla, 
111        si  che  potesse  sua. voglia  esser  mossa. 
L'anima  gloriosa,  onde  si  parla, 
tornata  nella  carne,  in  ohe  fu  poco, 
114        credette  in  lui  che  poteva  aiutarla  : 


ZI 


t7.  VOI!  ft  fttlift  eoo.  Venturi  818  :  e  La  simili- 
tadine  negattra  eade  tuli'  abuso  òhe  gli  ao- 
mlni  soperU  ftimo  della  piopiU  fona,  oppo- 
stamente a  dò  che  fk  Dio.  Quella  è  vittoria 
di  prepotenza;  qoesta,  di  carità».  —  i«- 
praasft:  ofr.  ^nr,  zxm  86.  —  99.  sia  be- 
Bivaasftt  la  bontà  divina,  per  oni  Dio  lar- 
gisce la  soa  grada  ai  fisdeli  ;  sulla  voce  òs- 
ninanxa  si  veda  la  nota  al  Par,  ra  148.  — 
100.  1M  prtmu  eoo.  Ti  sono  cagione  di  me- 
raviglia le  anime  di  Traiano,  prima  nell'arco 
del  mio  ciglio  (cfr.  r.  48),  e  di  Bifeo,  quinta 
o  ultima  nell'arco  stesso  (cfr.  ▼.  67),  perché 
tu  non  aspettavi  di  vederle  in  messo  ai  beati 
nel  paradiso.  — 102.  la  ragion  ecc.  il  para- 
diso, crearne  ove  ^  angeli  hanno  paoe» 
(F.  M  zzzi  47).  —  108.  Del  eorpl  eco.  Le 
anime  di  Traiano  e  di  Bifoo  non  uscirono, 
come  tu  credi,  dai  loro  oorpi  in  istato  di  in- 
credulità, ma  cristiane  e  credendo  lérma- 
mente,  Traiano  nella  passione  già  soffèrta  da 
Cristo,  Bifeo  nellA  passione  Altura.  ^  106. 
tufi  eoo.  Cristo  ebbe  nella  passione  orod- 
fissi  1  piedi  :  prima  della  sua  morte  questi 
erano  pasmiri,  dovevano  patire  la  crooi4s- 
sione,  dopo  erano  passi  doò  l'avevano  patita 
e  solferta.  Vuol  dunque  il  poeta  significare 
che  Bifeo  credoKs  nella  passione  futura  di 
Cristo,  Traiano  nella  passione  già  avvenuta. 
—  106.  l'ona  ecc.  l'anima  di  Traiano  tornò 
dall'  inferno  in  terra  nel  suo  proprio  oorpo 
eoe  Secondo  una  leggenda  assai  diffusa  noi 
medioevo  e  taooolta  sino  dal  iz  secolo  da 
Giovanni  Diacono  {Vita  taneU  OregorU  Mc^ 
^  n  44,  in  Mabillon,  Atta  sandorvm  ord. 
s.  BmiitékH^  saeo.  x,  pp.  416-416),  il  ponte- 


fice Gregorio  I,  venuto  a  conoscere  V  atto 
di  giustixia  che  già  Traiano  aveva  (atto  alla 
vedova  (cfr.  Purg,  x  78),  tanto  pianse  e  pregò 
per  r  anima  di  quali'  imperatore  da  ottSDare 
che  Bio  gli  ooneedeene  l' etema  salute.  Sa 
questa  forma  primitiva  della  leggenda  lav«A 
largamente  la  fantasia  popolare,  imaginando 
ohe  l'anima  di  Ttaisno  dall'  inferno  tornasse 
di  nuovo  al  suo  corpo,  e  oo8£  quel  principe 
ricevesse  il  battemmo  e  ottenesse  l'eterna 
salute.  Da  quale  delle  molte  redazioni  medio- 
evali  della  leggenda  Dante  trasse  la  notisia 
dell'atto  giusto  di  Traiano  e  del  miracolo  di 
Gregorio  I  non  è  chiaro:  cf^.  in  proposito  G. 
Paris,  La  ItgmuU  de  Traian,  dt,  e  A.  Qraf, 
Soma  nttta  mam,  §  nèlU  vmmag,  da  meiio- 
«w,  dt,  voi.  n,  pp.  1-46.  —  ■*  BOB  si  rIede 
eco.  nel  qual  luogo,  l' inferno,  la  anime  es- 
sendo morte  alla  grazia  non  possono  mai 
pentirsi  (ofk>.  Ihurg,  zziv  84,  e  ove  mai  non 
d  scolpa  >)  ;  Tomm.  d'Aqu.,  Swaim.,  P.  Ili, 
suppl.,  qu.  zcvm,  art.  1  :  e  Obstinata  volun- 
tas  nunquam  potsst  fleoti  nid  in  malum.  Sed 
damnati  homines  erunt  obstinati  dcut  et 
daemones.  Brgo  voluntas  eorum  nunquam 
potarit  esse  bona  ».  —  106.  t  el6  ecc.  e  que- 
sto fu  premio  alla  vim  Bpmm  di  Gregorio  I, 
che  pregando  per  lui  ebbe  fiduda  di  otte- 
nerne la  salvazione.  ~~  109.  di  riva  .eoe 
della  profónda  fiducia,  onde  venne  forza  ali» 
preghiere  latte  da  Gregorio  I  a  Dio  per  (ax 
risorgere  dall'  inferno  l'anima  di  Traiano,  si 
die  la  volontà  di  questo  principe,  ohe  nel- 
l' inferno  non  poteva  compiere  alcun  atto 
buono,  fosse  mossa  al  bene.  —  112.  L'animft 
eoo.  L' anima  di  Traiano  tornata  nd  ooxpo, 


PARADISO  —  CANTO  XX 


739 


e,  credendo,  s'accese  in  tanto  foco 
di  yero  amor  ch'alia  morte  seoonda 
117       fu  degna  di  venire  a  questo  gioco. 
L' altra,  per  grazia,  che  da  si  profonda 
fontana  stilla  ohe  mai  creatura 
120       non  pinse  l'occhio  infino  alla  prim'onda, 
tutto  suo  amor  là  giù  pose  a  drittura  ; 
per  che,  di  grazia  in  grazia,  Dio  gli  aperse 

128  l'occhio  alla  nostra  redenzion  futura: 
onde  credette  in  quella,  e  non  sofferse 

da  indi  il  puzzo  più  del  paganesmo, 
126       e  riprendiòne  le  genti  perrerse. 

Quelle  tre  donne  gli  ftir  per  hattesmo, 
che  tu  vedesti  dalla  deetra  rota, 

129  dinanzi  al  hattezzar  più  d'un  millesmo. 
0  prodestinazion,  quanto  remota 

è  la  radice  tua  da  quegli  aspetti 
192       ohe  la  prima  cagion  non  veggion  tota! 


in  Old  limMe  pooo  tontpo,  credette  In  Dio. 
— '116.  0  ered«i4o  eoo.  e  In  questa  profee- 
tfone  di  lède  il  aooeee  tanto  d*amoie  divino 
òhe,  qoando  nnovamente  qbcI  dal  ooipo,  era 
degna  deQ' etema  beatltadlno.  A  proposito 
dell*  aalTaiione  di  Traiano,  Tomm.  d' Aqo., 
Annui.,  P.  m,  sappL,  qn.  lxzi,  art  5,  oosi 
■otive  :  €  De  ftioto  Tralani  lioo  modo  potest 
pfobaUIiter  aeetimaii,  qnod  predbas  b.  Ore- 
gorii  ad  Titam  ftieiit  levooatnSj  et  ita  gra- 
tiaai  oonseoatos  sit,  per  qnam  remissionem 
peooatonun  habnit,  et  per  conseqaens  inunn- 
nitatem  a  poena  :  siont  etiam  apparet  in  om- 
nibus illls  qui  ftieront  miracalose  a  mortnis 
•osoitati,  quorum  ploree  oonstat  idololatras 
et  damnatos  foisae. . .  Yel  dioendom,  seoan- 
dvm  qnosdam,  qnod  anima  Traiani  non  Aiit 
aimplioiter  a  reatn  poenae  aetemae  absolata; 
■ed  eins  poena  fait  snspensa  ad  tompns,  sd- 
Uoet  Qsque  ad  diem  indioii  ».  — 117.  fn«ito 
gtoee  t  la  beatitodine  di  questo  regno  cele- 
ste: i/iooot  atto  di  gioia  (ofr.  Air.  xxzx  188, 
xzxn  106);  e  usa  questa  forma,  perché  le 
anime  tra  eoi  è  Traiano  si  sono  dimostrate 
al  poeta  in  atto  di  muoTorsi  festosamonto 
néll'imagine  dell'aquila.  —  118.  L'altra  eoo. 
L*  anima  di  Bifeo,  oon  I*  aiuto  della  grazia 
divina,  pose  tutto  il  suo  amore  alla  giustizia, 
e  perdo  Dio  gli  rivelò  la  futura  redenzione: 
ooef  egli  ripudiò  Q  paganesimo,  e  in  luogo 
del  battesimo  ebbe  fedo,  speranza  e  carità, 
che  ftirono  sua  salute.  —  ehe  da  s{  oco.  che 
procede  daUa  misericordia  divina,  cosi  pro- 
fonda die  nessuna  creatura  potò  mai  ve- 
derne il  prindpio  :  cfir.  Fmg,  vin  68-69.  — 
122.  Dio  gli  aperse  ecc.  Nessuna  tradizione 
Bosse  Dante  a  imaginar  la  salvazione  di  Bifeo, 


del  quale  ei  non  vide  altro  ohe  le  ludi  di 
Virgilio  (cfr.  V.  68);  ma  ft  pensare  che  l'oroe 
troiano  avesse  avuto  quella  grazia  da  Dio  lo 
trassero  forse  la  parole  di  Tomm.  d*  Aqu., 
amm,^  P.  n  2«,  qu.  II,  art  7  :  f  Slultìs 
gentilium  facta  ftdt  revolatio  de  Christo. . . 
Si  qui  tamen  salvati  Itierunt  qulbus  rovelatio 
non  Aiit  fàcta,  non  fuerunt  salvati  absque 
Ade  mediatoris;  quia  etsi  non  habnerunt  fl- 
dem  ezplidtam,  habnerunt  tamen  fiJom  im- 
plidtam  in  divina  providentia,  oredentcs  Deum 
esse  liberatorem  hominum  secundan  quod 
aliquibus  veritatem  cognoscentibns  Spiritus 
revelasset  ».  ~  121.  e  noa  sofferte  ecc.  e 
non  tollerò,  ripudiò  la  tristizia  del  pagane- 
simo, come  e  servantissifflus  aequi  »,  ch'egli 
era,  e  dd  loro  errori  riprendeva  i  (gentili,  in 
mezzo  ai  quali  viveva.  — 125.  Il  pntzo  ecc. 
in  senso  morale,  cfr.  Pm,  zvi  55.  —  127. 
<)nelle  eoo.  In  luogo  dd  battesimd,  perché 
egli  visse  pid  di  mille  anni  innanzi  ohe  d 
cominciasse  a  battezzare,  ebbe  la  fede,  la 
speranza  e  la  carità,  le  tre  virtti  che  tu  ve- 
desti personifloato  alla  destra  del  carro  della 
Chiesa  (cfr.  Fmg,  uiz  121-129).  DoUe  virtA 
cristiane  in  luogo  e  con  gli  stessi  effetti  del 
battedmo  ragiona  Tomm.  d*  Aqu.,  Syrnm,^ 
P.  m,  qu.  Lxvi,  art  11  ;  Lzviii,  art  2-8. 
—  129.  pid  d' un  millesmo  t  più  d'  an  mil- 
lennio; infatti  Blfoo  mori  nell'ospagnozione 
di  Troia,  ohe  secondo  la  oronogmfia  raedio- 
evde  fti  nel  1184  a.  G.  —  180.  0  predasti- 
naslOB  eco.  0  predestinazione  diviR:i,  quanto 
è  remota  la  tua  prima  cagione  da^li  sguardi 
degli  uomini,  dall'intelligenza  dolle  croature, 
che  non  possono  conoscerla  intorainente  I  — 
182.  Iota:  latinismo  usuale;  cfr.  l\xr,  vii  85. 


740 


DIVINA  COMMEDU 


E  voi,  mortali,  tenetevi  stretti 
a  giudicar,  che  noi,  ohe  Dio  vedemo, 
135       non  conosciamo  ancor  tutti  gli  eletti; 
ed  ènne  dolce  cosi  fatto  scemo, 
perché  il  ben  nostro  in  questo  ben  s'affina, 
138       che  quel  che  vuole  Iddio  e  noi  volerne  >. 
Cosi  da  quella  imagine  divina, 
per  &rmi  chiara  la  mia  corta  vista, 
141        data  mi  fu  soave  medicina. 

E  come  a  buon  cantor  buon  citarista 
fa  seguitar  lo  guizzo  della  corda, 
144       in  che  più  di  piacer  lo  canto  acquista; 
si,  mentre  che  parlò,  si  mi  ricorda 
ch'io  vidi  le  due  luci  benedette, 
pur  come  batter  d'occhi  si  concorda, 
148    con  le  parole  mover  le  fianmiette. 


~~  188.  B  TOl  eoo.  E  voi,  o  nomini,  andate  a 
rilento  nel  gindioare  (cfr.  Pur.  zm  112-142); 
poiché  noi,  che  essendo  beati  abbiamo  la  co- 
gnizione di  Dio,  non  conosciamo  tatti  gli  eletti 
alla  beatitudine,  non  abbiamo  cognizione  in- 
tera del  mistero  della  predestinazione.  —  1B6. 
e4  ènne  eco.  e  questa  cognizione  incompiuta 
ci  ò  dolce,  perché  la  nostra  beatitudine  si  per- 
feziona in  questo  bentf  nel  piacere  consistente 
nella  conformità  tra  il  volere  di  Dio  e  il  no- 
stro. —  scemo:  difetto,  mancanza;  lo  stesso 
nome,  a  proposito  della  luce,  in  Purg,  z  14. 

—  1S8.  éhé  quel  ecc.  cfr.  Pur.  m  70  e  segg. 

—  189.  Cos(  ecc.  Con  tale  discorso  l'aquila 
santa  mi  did  il  dolce  rimedio  atto  a  rischia- 
xare  la  mia  corta  vista,  a  illuminare  la  mia 
mente  ottenebrata  dal  dubbio.  ~  142.  K  come 
occ  E  come  il  buon  citarista  accorda  il  suono 
del  suo  strumento  alla  voce  del  buon  cantore, 
la  quale  per  essere  accompagnata  dal  suono 
acquista  maggiore  soavità  ecc.  —  citarista: 


il  sonatore  di  eitara  o  cetra,  atranieato  a 
corde  (ofr.  v.  22);  come  qui  dal  buon  oita- 
Tista,  cosi  altrove  Dante  trae  una  similitudine 
dal  cattivo  sonatore  (Còno,  i  11):  e  MoltL.. 
danno  colpa  alla  materia  dell'  arte  apparec- 
chiata ovvero  allo  stromento;  ti  come  il  mal 
ftibbro  biasima  il  fbno  appresentato,  e  '1  mal 
dtailsta  biasima  la  citata,  credendo  dare  la 
colpa  del  mal  coltello  e  del  mal  sonare  al 
ferro  e  alla  dtara  e  levarla  a  sé  ».  —  143. 
lo  gviiEO  ecc.  le  vibrazioni  delle  corde  (cfr. 
Inf.  zzvn  18).  —  145.  ti,  Beatro  eoe.  nella 
stessa  maniera,  finché  l*  aquila  parlA,  mi  ri- 
cordo proprio  che  vidi  le  duo  anime  beat»  di 
Traiano  e  Bifeo  accompagnare  il  euoa  daUe  pa- 
role col  moto  delle  loro  corruscanti  fiammette. 
—  147.  pur  come  ecc.  col  simnltanoo  movi- 
mento che  d  proprio  del  batter  degli  ooc^ 
(cfr.  Potr,  zn  26-27):  «  oompanadone  aggioB- 
ta  (cosi  il  Venturi  66),  ohe  rende  pl6  viva 
1*  imagine  >. 


CANTO  XXI 

Dante  e  Beatrice  ginDgono  nel  settimo  cielo,  qnello  di  Satnmo  :  ivi  ap- 
pare al  poeta  nna  mirabile  scala,  per  la  quale  salgono  e  scendono  gli  spi- 
riti contemplativi  ;  e  ano  di  essi,  Pietro  Damiano,  parla  a  Dante  del  mistero 
della  predestinazione  e  tocca  brevemente  della  propria  vita,  traendone  oc- 
casione ad  una  invettiva  contro  il  lusso  degli  ecclesiastici  [14  aprile,  ore 
antimeridiane]. 

Già  eran  gli  occhi  miei  rifissi  al  volto 


XXI  1.  Olà  eran  ecc.  Finito  il  discorso 
dell*  aquila.  Dante  rivolse  di  nuovo  alla  sua 
Beatrice  j^  occhi  e  il  pensiero  che  s*  era  di- 


stolto da  ogni  altro  obbiotto.  Lomb.:  «  In  8^ 
turno,  pianeta  di  tutti  U  più  alto  per  la  eon- 
teaplativa  virtù  al  medesiiao  pianeta  ascrit- 


PARADISO  -  CANTO  XXI 


741 


12 


15 


18 


della  mia  donna,  e  l'animo  con  essi, 
e  da  ogni  altro  intento  8*era  tolto; 

e  quella  non  ridea,  ma  :  €  S' io  rìdessi, 
mi  comindò,  tu  ti  faresti  quale 
fu  Semelò,  quando  di  cener  t^asì] 

chó  la  bellezza  mia,  che  per  le  scale 
dell'eterno  palazzo  più  s'accende, 
com'hai  veduto,  quanto  più  si  sale, 

se  non  si  temperasse,  tanto  splende 
che  il  tuo  mortai  potere,  al  suo  fulgore, 
sarebbe  fronda  che  tuono  scoscende. 

Noi  sem  levati  al  settimo  splendore, 
che  sotto  il  petto  del  Leone  ardente 
raggia  mo  misto  giù  del  suo  valore. 

Ficca  di  retro  agli  occhi  tuoi  la  mente, 
e  fa  di  quelli  specchi  alla  figura, 
che  in  questo  specchio  ti  sarà  parvente  ». 


te,  colloca  li  Santi  contemplativi;  e  ricono- 
scendo in  Beatrice  il  tipo  di  tutta  la  teologia, 
e  oonsegaentemente  qnello  pare  della  mistica 
e  della  pid  elevata  parte  della  mistica,  oh'  è 
la  contemplativa,  sotto  figoza  degli  atti  «noi 
e  di  Beatrice,  che  qui  descrive,  accenna 
quanto  fa  di  mestieri  per  la  contemplazione. 
Dicendo  adunque  eh'  eran  qui  gli  occhi  suoi 
rifissi  al  volto  di  Beatrice,  e  con  gli  occhi 
l'animo  rimosso  da  ogni  eUiro  kìtmio^  da  ogni 
altro  pensiero,  accenna  che  la  contemplazione 
assorbisce  tutto  l'uomo  in  Dio,  né  lascialo 
pensare  ad  altro  che  a  lui;  e  il  non  rìdere 
Beatrice  qui,  e  il  dire  che,  se  ridesse,  fareb- 
beai  Dante  quale  fu  SemeU  ecc.,  accenna  che, 
per  innalzarsi  l' umano  intelletto  alla  contem- 
plazione di  Dio,  abbisogna  di  speciale  divino 
aiuto,  senza  del  quale  rimarrebbe  abbagliato  >  : 
cfr.  Pax,  zxm  46  e  segg.  —  4.  qaeUa  ecc. 
Beatrice  non  rideva,  ma  cominciò  a  parlare 
dicendomi:  Se  io  ridessi  tu  resteresti  ince- 
nerito, come  rimase  Semole  quando  per  con- 
siglio di  Giunone  chiese  ed  ottenne  di  veder 
Giove  in  tutto  il  suo  splendore  (cfr.  Inf,  xxx 
1).  —  6.  quando  di  eener  ecc.  Dice  Ovidio, 
Mei,  lu  SOS,  ove  Dante  lesse  la  favola  :  <  Cor- 
pus mortale  tumultus  Non  tulit  aetherios,  do- 
iiisque  iugalibusarsit  t,  e  Stazio,  Téb.  iii  184  : 
t  Fulmìnem  in  dnerem  monitìs  lunonis  ini- 
qua» Consedit  ».  —  7.  che  U  bellezza  eco. 
poiché  la  mia  bellezza  risplende  tanto  che, 
se  non  fosse  attenuata  per  la  mancanza  del 
sorriso,  i  tuoi  sensi  ne  rimarrebbero  oppressi. 
-^  che  per  le  seale  ecc.  la  qualo,  come  tu 
hai  voduto,  s'  ac(a«sce  via  via  che  si  sale  da 
uno  a  un  altro  dei  cieli  di  paradiso.  —  9. 
com'  hai  vednto  :  cfr.  Par,  v  94  e  segg.»  vm 


13  e  segg.,  XIV  79  e  segg.,  xvni  66  e  segg. 
—  11.  il  tao  mortai  eoe.  lo  tue  potenze, 
assai  deboli  perché  dì  uomo  mortale,  davanti 
alla  mie  fulgida  bellezza  resterebbero  vinte 
oon  la  stessa  facilità  con  la  qualo  la  folgore 
spezzerebbe  un  piccolo  ramo.  —  12.  firoada 
eoo.  ramo  che  il  tuanOf  figuratamente  per  fol- 
gore, soosoùnde,  spezza,  infrange  :  il  Vent.  136 
dice  che  Is  similitudine  ò  <  bella  e  ben  ap- 
propriata, in  quanto  l'idea  del  bagliore  del 
fulmine  consuona  a  quella  dello  splendore 
di  Beatrice  •  ;  ma  il  raffronto  è  tra  gli  effetti, 
e  l'infrangersi  dei  rami  non  ò  prodotto  dal 
bafi^ore  della  folgore.  —  13.  Mei  sem  ecc. 
Noi  siamo  giunti  al  settimo  pianeta,  Saturno, 
che  ora  ò  in  oongiunrione  eoi  segno  del  Leone 
e  influisce  sulla  terra  la  sua  virtd  mista  con 
quella  del  Leone.  Lana,  rispetto  all'  influenza 
esercitata  dal  pianeta:  eia  influenzia  vene 
mista  alla  terra  della  natura  de*  corpi  cele- 
sti :  Leone  si  è  caldo  e  seoco,....  Saturno  è 
freddo  e  secco;  or  mischia  queste  duo  com- 
plessioni, averai  eccellente  secco,  ma  le  qua- 
lità active,  come  caldo  e  freddo,  l' una  tem- 
pera l'altra».  —  15.  raggia  ecc.  in  questo 
momento  raggia^  esorcita  sua  potenza  giUt 
sulla  terra,  congiungendo  l' influsso  suo  a 
quello  del  Leone,  misto  del  suo  valore.  —  16. 
Ficea  di  retro  ecc.  Beatrice  richiama  T  at- 
tenzione di  Dante  su  ciò  che  ora  gli  apparirà 
nel  settimo  cielo,  dicendogli  di  ficcar  la  mente 
dietro  agli  occhi  cioè  di  considerare  con  mente 
attenta  ciò  che  i  suoi  occhi  vedranno  eco.  — 
17.  e  fa  ecc.  e  cerca  di  vedere  distintamente, 
fa  che  i  tuoi  occhi  sieno  come  speccht  ri- 
spetto alla  figura  che  ti  apparirà  in  questo 
pianeta.  —  18.  speeehio  :  il  pianeta,  la  cui 


742 


DIVINA  COlfMEDIÀ 


Chi  sapesse  qual  era  la  pastura 
del  viso  mio  nell'aspetto  beti'.p, 
21        qaand'io  mi  trasmutai  ad  a' tra  cura, 
conoscerebbe  quanto  m*era  a  grato 
ubbidire  alla  mia  celeste  scorta, 
24        contrapesando  l*un  con  1*  altro  lato. 
Dentro  al  cristallo,  obe  il  yocabol  porta, 
cerchiando  il  mondo,  del  suo  chiaro  duce, 
27        sotto  cui  giacque  ogni  malizia  morta, 
di  color  d'oro,  in  che  raggio  traluoe, 
yid'io  uno  scaleo  eretto  in  suso 
80       tanto  che  no  '1  seguiva  la  mia  luce. 
Vidi  anche  per  li  gradi  scender  giuso 
tanti  splendor  ch'io  pensai  ch'ogni  lume, 
88       che  par  nel  elei,  quindi  fosse  diffuso. 
E  come,  per  lo  naturai  c:atume. 


snperfido  è  Imninoui;  ood  ò  detto  il  sole  in 
I\irg.  IV  62.  —  19.  Chi  Mpeiie  eoo.  Chi  sa- 
pesse quale  era  il  piaoere  dei  miei  ocohi  nel 
contemplare  il  beato  upotto  della  mia  donna 
noi  momento  ohe  io  per  ano  inTito  lirolsi  lo 
sguardo  ad  altro  obbietto,  oonosoerebbe  anche 
il  piacere  ch'io  provai  nell'  ubbidire  alla  mia 
guida  celeste,  vedendo  che  la  dolcezza  della 
contemplazione  fu  separata  da  quella  del- 
l'ubbidienza.  Cosi  spiegano  i  più  dei  oom- 
mentatori  dall' Ott,  Bntt,  Land.,  VelL  ecc. 
al  Vent,  Lomb.,  Ces.,  Costa,  Tomm.,  Andr., 
Scart  ;  ma  alcuni,  come  Dan.  e  Biag.,  inten* 
dono  che  a  Dante  riusciva  ingrato  l' ubbidire 
a  Beatrice,  perché  lo  distoglieva  dal  oontemr 
piarla:  interpretazione  assolutamente  falsa.  — 
pastora  :  nutrimento  (ofr.  Jhtrg,  n  125  ecc.), 
e  qui  in  sonso  traslato  il  sodisfaoimento,  il 
piacere  doUa  contemplazione.  —  20.  viso  : 
vista;  cf.  Jnf.  ivll.  —  21.  qaandMo  eco. 
nel  momento  in  cui  io,  in  seguito  all'  invito 
di  Beatrice,  ficcai  gli  oecM  e  la  mante  a  dò 
che  appariva  nel  pianeta  di  Saturno.  ~  24. 
eoBtrapesando  eco.  paragonando  il  piacere 
della  contemplazione  con  quello  dell'ubbidienza 
e  trovando  che  questo  tu.  più  intenso  di  quello. 
—  25.  Dentro  eco.  Dentro  al  pianeta,  che 
girando  intomo  alla  terra  porta  il  nome  di 
Saturno,  di  quel  re  che  governò  il  mondo 
noli' età  dell'oro.  —  Toeabol:  la  stessa  pa* 
rola,  per  il  nome  di  Venere,  cfr.  Par,  vm 
11.  —  26.  eerehiando  :  cfr.  Purg,  xiv  1.  — 
del  svo  ecc.  di  quel  dueé  o  re  del  mondo. 
27.  sotto  ecc.  cfr.  Inf.  xrr  96.  —  28.  di  co- 
lor eco.  io  vidi  una  scala  di  color  d' oro 
fulgidissimo,  la  quale  si  elevava  tanto  che  i 
miei  occhi  non  ne  vedevano  la  cima.  Quosta 
scala,  ched  simbolo  dell'ascendono  delle  monti 
contemplative  di  virtd  in  virtù  sino  a  Dio, 


d  dice  Dante  stesso  (Air.  zzn  70)  esser  quella 
i^parsa  in  sogno  a  Giacobbe,  secondo  il  rao- 
oonto  biblico  (Omwi  xxvm  12):  e  E  sogad : 
ed  ecco  una  scala  rizzata  in  terra,  la  col  dna 
giug-iova  al  dolo  :  ed  eooo,  gli  Angeli  dì  Dio 
salivario  e  scendevano  per  essa.  Ed  eooo,  il 
Signum  :>tava  al  disopra  d' eeaa  ».  —  !■  «he 
ecc.  noi  quale  risplenda  un  raggio  solare; 
perché  l'oro  appare  più  ftilgido  quando  riflette 
i  raggi  del  sole  (of^.  Par.  zvn  129).  —  29. 
scaleo  :  scala  (ofir.  Airy.  xv  86,  Air.  xxn  68). 
—  81.  Vidi  ecc.  Per  i  gradini  della  scala  vidi 
discendere  tanti  spiriti  risplendenti  eh' io  pen- 
sai che  tutte  le  stelle  del  dolo  si  fossero  spazas 
da  questo  lato.  Vuol  dire  che  l  beati  disoen- 
devono  per  quella  scala  in  gran  numero,  e 
per  questo  e  perché  gli  apparivano  filgidis- 
dml  pensa  alle  innumerevoli  e  looentissiBe 
stelle  che  vediamo  nel  dolo,  atteggiando  in 
una  forma  nuova  un  concetto  frequente  naOa 
bibbia  {Omteai  zv  6,  zxii  17,  Btodo  xxzn  13, 
DeuUron,  x  22  eoo.).  —  84.  B  some  eco.  Vo- 
lendo il  poeta  n^resentare  i  movimenti  dalle 
a!^une  beate  su  e  giù  per  la  scala  le  paragona 
(.lie  polA,  le  quali  per  istinto  sogliono  nella 
soattina,  quando  la  stagione  ò  ftodda,  volare 
Insieme  per  riscaldarsi,  e  poi  separarsi  an- 
dando alcune  lungi  dal  nido,  altre  tornando 
al  nido  e  altre  finalmente  continuando  ad  ag- 
girard  per  l'aria  eoo.  Nota  11  Venturi  439  ohe 
<  la  similitudine  delle  poi»  oo^  i  vazt  mo- 
vimenti, e  l'andare  e  il  restare  di  quei  beati  ; 
ed  è  viva  in  tutti  i  sud  particolari  »,e  l'Andr. 
aggiunge  :  <  Ad  ogni  apparir  di  nuove  anime 
di  beati  una  nmilitudine;  e  tutte  bellissims. 
Gli  sforzi  del  poeta  per  tradune  alla  fantaisBa 
ed  ai  send  dd  lettore  V  immateriale  oonootto 
della  vita  celeste,  sono  di  quelli  che  maggk»- 
mente  onorano  lo  spirito  umano»  :  al  Tqdb. 


PARADISO  -  CANTO  XXI 


743 


le  pole  insieme,  al  cominciar  del  giomO| 
86       si  movono  a  scaldar  le  fredde  piume; 
poi  altre  vanno  via  sensa  ritomo, 
altre  rivolgon  sé,  onde  son  mosse, 
89        ed  altre  roteando  fian  soggiorno: 
tal  modo  parve  a  me  che  quivi  fosse 
in  quello  sfavillar  che  insieme  venne, 
42       si  come  in  certo  grado  si  percosse; 
e  quel  che  presso  più  ci  si  ritenne, 
si  fé*  si  chiaro  eh*  io  dicea  pensando  : 
45       €  Io  veggio  hen  l'amor  che  tu  m' accenno  >. 
Ma  quella,  ond*io  aspetto  il  come  e  il  quando 
del  dire  e  del  tacer,  si  sta,  ond*io 
48        centra  il  disio  fo  ben  eh* io  non  domando; 
per  eh*  ella,  che  vedeva  il  tacer  mio 
nel  veder  di  colui  che  tutto  vede, 
61        mi  disse  :  €  Solvi  il  tuo  caldo  disio  ». 
Ed  io  ìnconi;::cIai:  «La  mia  mercede 
non  mi  fa  degno  della  tua  risposta. 


inTeoo  1a  companudono  non  pare  troppo  oon- 
TsnieDte,  fone  perché  tiattadaanimjùl  assai 
bratti;  ma  è  da  notare  che  Dante  volle  rap- 
presentare, non  la  qualità  degli  spiriti,  ti  la 
dirersità  dei  loro  movimenti.  —  86.  le  pole: 
pola  ò  il  nome  popolarmente  dato  alla  «nu- 
kteekia  (lat.  monedula\  doò  alla  gazza  o  pica; 
bene  perciò  l'Ott  spiega:  *poUt  cioè  molao- 
chio  »,  mentre  tatti  i  commentatori  intendono 
per  eomaeehw  (lat.  oomie«i).  —  87.  altre 
raane  ecc.  parte  ranno  vìa,  senza  pi4  ritor- 
nare. —  88.  altre  rlTolgon  eco.  parte  ri- 
volano  al  nido,  ond'  erano  nsdte.  —  89.  ed 
altre  roteando  ecc.  ed  altre  oontinnando  ad 
aggirarsi  per  riscaldare  le  fredde  piome,  ri> 
mangono  nel  Inogo  stesso.  —  40.  tal  modo 
ecc.  cosi  mi  parve  che  facessero  i  beati,  ve- 
nati tatti  insieme  dall'alto,  ohe  gianti  a  on 
dato  gradino  della  scala  si  separavano,  aloani 
tornando  in  alto,  altri  scendendo  al  piede  e 
altri  restando  a  mezzo  della  scala.  Lomb.  : 
«  Vaol  dire  che  da  prima  gueth  afanìiar,  que- 
gli innamerevoli  splendori  scendevano  nnita- 
mente,  e  che,  ptrnioUndo  dod  pervenendo  ad 
nn  certo  grado  della  scala,  U  inoomindarono  la 
diversità  de'  movimenti  nelle  poU  divisata; 
alcnni  doò  di  qaegli  splendori  ivi  aggiravansi 
senza  dipartirsi,  altri  dipartendod  tornavano, 
ed  altri,  di  là  discesi  a  pie  della  soaa^  con 
Dante  si  trattennero  ».  —  13.  a!  percosse: 
s' imbatto,  gianse.  —  48»  t  qnel  ecc.  e  qnello 
splendore  che  si  fermò  pid  da  vidno  a  noi, 
al  pid  della  scala,  incomindò  a  sfavillar  tanto 
ch'io  oompred  come  egU  si  disponesse  a  so- 
disfare al  mio  deuiderìo  parlandomi.  —  45.  Io 


Tegglo  ecd.  Io  comprendo  l'ardore  di  carità 
che  ta  dimostri  con  l'aooresdmento  della  toa 
lace.  —  4S.  Ha  4i«llà  «oo.  Ma  Beatrice, 
della  qoale  sempre  aspetto  il  cenno  circa  la 
maniera  e  il  momento  di  parlare  e  di  tacere, 
si  stava  immobile,  onde  io  astenendomi  dal- 
l' interrogare  qnello  spirito  beato,  operai  ret- 
tamente, sebbene  contro  il  mio  dedderio.  — 

47.  end*  lo  eoo.  cfr.  Par.  xvm  62-64.  — 

48.  eontra  eco.  anche  qoi  il  piacere  morale 
del  conformarsi  alla  volontà  di  Beatrice  su- 
pera ogni  altro  sodisfadmento;  però  Dante 
dioe  d'aver  fatto  bene  ad  astenerd  da  cosa 
oh'  ei  deddorava  vivamente.  —  49.  olla,  eke 
ecc.  Beatrice,  dio  conosceva  la  ragione  del 
mio  silenzio  nel  ved$r  di  eohU  eoo.  vedendola 
nell'aspetto  di  Dio  onnisdente  :  cfr.  la  nota 
al  Bxr.  I  86.  —  vedova  eoo.  Si  osservi  anche 
qni  la  solita  forma  dell' eqnivoco  (cfr.  Jnf.  1 86). 

—  61.  Solvi  ecc.  Appaga  il  tao  vivo  dedde- 
rio, porgendo  all'anima  beata  la  domanda  che 
ta  vaoi  :  toher»  il  disio  è  frase  già  asata  da 
Dante  in  Par.  zv  62,  xxx  26,  conforme  al- 
l'altra, 8oloon  il  dubbio  o  la  difftcoUà  {Inf,  x 
96,  114,  XI  92,  XIX  92,  Purg.  xxxin  60,  Par, 
VII  22,  64  ecc.),  perché  il  dedderio  di  lai 
ò  per  lo  pid  quello  di  conoscere  il  vero,  in- 
tomo alle  cose  ohe  lo  tengono  nell'  incertezza. 

—  62.  Ed  lo  ineominelal  :  il  poeta  d  volgo 
sabito  all'anima  beata  discesa  a  piò  della  scala, 
ma  con  le  prime  parole  ch'egli  le  dioe  rin- 
grazia indirettamente  la  sna  gaida  dd  per- 
messo accordatogli.  —  La  ala  moroede  eoo. 
Il  mio  merito  non  ò  tale  da  rendermi  degno 
della  tua  risposta,  però  io  ti  prego  in  giade 


m 


DIVINA  COMMEDIA 


54        ma  per  colei  che  il  chieder  mi  concede, 
vita  beata,  che  ti  stai  nascosta 
dentro  alla  tua  letizia,  fammi  nota 
67        la  cagion  che  si  presso  mi  t*ha  posta; 
e  di'  perché  si  tace  in  questa  rota 
la  dolce  sinfonia  di  paradiso, 
60       che  giù  per  V  altre  sona  si  devota  >. 
€  Tu  hai  l' udir  mortai,  si  come  il  viso, 
rispose  a  me;  onde  qui  non  si  canta 
63        per  quel  che  Beatrice  non  ha  riso. 
GIÙ.  per  li  gradi  della  scala  santa 
discesi  tanto,  sol  per  &rti  festa 
€6       col  dire  e  con  la  luce  che  m'ammanta: 
né  più.  amor  mi  fece  esser  più.  presta, 
che  più.  e  tanto  amor  quinci  su  ferve, 
69        si  come  il  fiammeggiar  ti  manifesta; 
ma  l'alta  carità,  che  ci  fa  serve 
pronte  al  consiglio  che  il  mondo  governa. 


di  Bdatrìce,  cbe  mi  ha  concesso  d'interro- 
giuti  scG.  :  tti!  senso  di  meroed»  ctr.  Inf.  iv 
^l,  —  55.  rlu  beata  :  anima  beata,  cfi*.  Par. 
[X  7^  —  cfae  ti  lUl  ecc.  che  sei  avvolta  nella 
lucei  emittlEkziane  della  tna  beatitadine  :  cfìr. 
C!>sprG<s<iknl  limili  in  Piar,  v  136,  vn  62-64, 
rtn  36  eco.  —  66.  fkmml  nota  ecc.  fammi 
conoscere  la  cAgione,  per  la  quale  ta  ti  sei 
&TTlciiitttR  tanto  a  me.  Lana  :  «  L*  una  [do- 
nuLada]  si  hz  quale  cagione  ò  che  tu  sola, 
anima,  mi  se'  venuta  più  presso  di  tutte  que- 
ste altre  f  qnofi  a  dire  :  haine  tu  alcuna  ca- 
giono fistriii?Doa,  come  di  cognoseenza  o  di 
pArent&do  f  Imperquello  che  qua  adrieto  molti 
hanno  parlato  silo  autore,  perché  furono  suoi 
oognofloenti  in  prima  vita,  e  alcuni  gli  hanno 
parlato  per  essere  suoi  consanguinei  »  :  in 
f)afa<iiaQ  solo  Carlo  Ifartello  parla  a  Dante 
per  avòrio  wmosciuto  nel  mondo,  solo  Cao- 
ctagulda  per  essere  suo  parente  ;  ma  forse  il 
Lana  dicendo  e  qua  adrieto  »  si  riferisce  an- 
che allct  prime  cantiche.  —  68.  e  dT  perché 
ecc.  e  dimisi  perché  in  questo  cielo  tace  la 
dolce  BlrLTonia  di  paradiso,  il  dolce  canto  dei 
beati,  che  nof^li  altri  cieli  risuona  con  tanto 
ferrare  d)  divino  amore.  —  60.  che  gltf  ecc. 
cit.  per  11  pdmo  cielo.  Par,  in  122,  per  il 
secoudo  ntr.  V  104,  vi  126,  vn  6,  per  il  terzo 
JVir.  vili  28-29,  ix  76-77,  per  il  quarto  Pur. 
X  69,  73»  76,  146-148,  xn  6-9,  29,  xm  25-28, 
UT  24,  29-33,  per  il  quinto  Ptir.  xiv  121-126, 
sv  4-tì,  rrni  50-51,  e  per  il  sesto,  Ptxr,  xvni 
76^77,  79,  99,  xix  37-39,  97-98,  xx  10-12, 
18,  148.  —  ei.  Tv  hai  eco.  L'anima  beata, 
cha  d  qnetliL  di  san  Pier  Damiano  (cfi*.  v.  105), 
rif^Dnde  jl\]q  due  domande  di  Dante,  comin- 
ciando dalla  seconda  che  riguarda  una  con- 


dizione di  cose  più  generale  e  passando  poi 
a  rispondere  alla  prima,  che  più  direttamente 
si  riferisce  al  santo  spirito  ;  e  dice  :  Tu  hai 
r  udito  mortale,  come  la  vista,  debole  doè 
in  modo  che  non  potrebbe  ascoltare  il  canto 
dei  beati  di  questo  delo  senza  rimanerne  op- 
presso. —  62.  oade  ecc.  per  la  qual  cosa  qui 
gli  spiriti  non  cantano  per  la  steesa  ragione 
per  cui  Beatrice  entrando  nel  cielo  di  Saturno 
non  ti  ha  sorriso  (cfir.  w.  4-12).  —  64.  6itf 
ecc.  Io  sono  disceso  per  i  gradini  della  scala 
santa  sino  al  piede  di  essa,  solamente  per 
farti  festa  con  le  mie  parole  e  con  la  luce  di 
beatitudine  che  mi  circonda.  —  67.  mi  pltf 
amor  eco.  né  a  discendere  più  prestamente 
d'ogni  altro  spirito  mi  fu  impulso  il  maggiore 
o  singolare  amore  per  te,  poiché,  come  ti  ma- 
nifesta il  fiammeggiare  di  tutte  le  anime,  su 
per  questa  scala  i  beati  sono  ferventi  di  ca- 
riti 0  più  di  me  0  come  me.  —  68.  pltf  • 
tanto  amor:  anche  Tomm.  d'Aqu.,  Sìonm, 
P.  n  >•,  qu.  XXVI,  art  13,  distìng^ne  diversi 
gradi  nella  carità  o  dilezione  del  prossiino, 
scrivendo  :  e  Tota  enim  vita  beata  consistit 
in  ordinatione  mentis  ad  Deum,  unde  totos 
orde  dilectlonis  beatorum  obeervatibnr  per 
comparationem  ad  Deum  ;  ut  sdlicet  ilio  ma- 
gie diligatur  et  propinquior  sibi  habeatur  ab 
unoquoque,  qui  est  Deo  propinquior  •  :  cfìr. 
anche  Rtr,  xiv  40.  —  69.  II  flannegglar 
ecc.  lo  splendore  delle  anime,  che  è  maggioro 
o  eguale  al  mio,  secondo  l*  intensità  della  in- 
dividuale carità.  —  70.  ma  l*alt»  eoo.  ma  il 
profondo  sentimento  di  carità,  che  d  dispone 
a  esser  pronte  esecutrici  della  divina  volontà, 
dà  in  sorte  a  ciascuna  di  noi  quell'offldo  die 
eeerdta,  come  tu  vedi:  riposta  geoecici, 


PARADISO  -  CANTO  XXI 


746 


72        sorteggia  qui,  si  come  tu  088er7e  ». 
€  Io  veggio  ben,  diss'  io,  sacra  lucerna, 
come  libero  amore  in  questa  corte 
75       basta  a  seguir  la  provvidenza  etema  : 
ma  quest'ò  quel  eh' a  cerner  mi  par  forte, 
perché  predestinata  fosti  sola 
78       a  questo  ufficio  tra  le  tue  consorte  ». 
Né  venni  prima  all'ultima  parola 
che  del  suo  mezzo  fece  il  lume  centro, 
81        girando  sé,  come  veloce  mola. 

Poi  rispose  P  amor  che  v'  era  dentro  : 
<  Luce  divina  sopra  me  s'appunta, 
84       penetrando  per  questa  ond'  io  m' inventro; 


délU  qoale  Dante  non  resta  pienamente  so- 
disfatto, tanto  ò  vero  che  Inriste  nel  doman- 
dare perclió  proprio  lo  spirito  ohe  gii  ha  par- 
Uto  sU  tra  gU  altri  stato  eletto  a  dò.  —  72. 
■•rtegglai  propriamente  distribnisoe  tosarti, 
e  qui  vale,  come  appare  dai  tt.  77-78,  pre- 
destina all'officio  sao  dascona  di  noi.  — 
78.  Io  fegglo  eoo.  Io  comprendo  bene,  o  la- 
minoso spirito  beato,  come  nel  paradiso  basti 
il  libero  amore  a  esegoire  il  volere  della  prov- 
videnza, come  insomma  a  moovervi  non  bi- 
sogni rantorità  del  comando,  essendo  soifi- 
oente  la  disposizione  della  carità  onde  siete 
InfiammatL  —  lioerMi:  cfr.  Par,  viu  19, 
zxm  28.  —  74.  la  ««està  e«rtt  t  «  nella  corte 
del  delo»  (Jh/l  n  126,  Par,  x  70),  U  para- 
diso. ~  75.  a  segslr  eco.  a  segoirla  nei  sooi 
voleri,  a  mettere  in  pratica,  qoindi,  a  ese- 
guire ecc.  —  76.  su  fMst'è  eco.  ma  quello 
che  mi  sembra  difficile  a  intendere  si  ò  la 
ragione  per  la  quale  ta  sola,  fra  le  tao  com- 
pagne, fosti  predestinata  a  questo  offido  di 
formi  festa  <  col  dire  e  con  la  luce  >.  —  eer- 
Ber  t  conoscere  con  la  mente  (cfr.  Par.  xxvi 
86).  —  78.  eensorls:  compagne,  nel  senso 
che  oomarto  ha  altrove  (Purg,  xiv  87,  xv  45, 
Rsr,  I  69)  :  secondo  il  Nannuod,  Nomi  248, 
è  in  luogo  della  forma  regolare  c(maorU\  se- 
condo il  Lomb.  d  da  un  sing.  contorta,  —  79. 
He  venal  ecc.  Non  ero  ancor  giunto  a  dir 
l'ultima  parola  ohe  quell'anima  luminosa  fa- 
cendo centro  del  suo  punto  mediano  si  aggirò 
intomo  a  s6  stessa,  con  il  moto  veloce  della 
mola;  per  significare  con  questo  movimento 
la  sua  letizia.  —  airaltlma  parola:  si  os- 
Borvi  quanta  arte  sia  in  questo  particolare, 
poiché,  corrispondendo  il  movimento  dell'ani- 
ma alla  gioia  che  provava  di  poter  sodisfare  il 
dosiderio  di  Dante,  era  naturale  ohe  esso  inco- 
minciasse appena  l' anima  stessa  aveva  colto 
il  concetto  del  poeta;  concetto  che  ò  piena- 
mente dgnifloato  con  le  parole  perché  pr^dS' 
ttinata  fotti  tela  a  quésto  vfjMOf  alle  quali, 
quasi  compimento  non  necessario,  seguono  le 


altre  tra  k  tu»  eoruorte,  —  81.  eoMs  veleee 
sola:  altrove  il  poeta  chiama  tanta  mota 
(Piar,  xn  8)  un  coro  di  beati,  che  danzano 
in  cerchio;  e  qui  al  movimento  della  mola 
paragona  quello  dell'anima  roteante  in  s6 
stessa  per  segno  di  letizia.  Venturi  604  :  cLasi- 
militudine  della  mola  non  ha  qui  altra  relazione 
che  il  circolar  movimento  orizzontale.  U  muo- 
ver dei  corpi  ben  s'adatta  a  spiegare  la  vita 
dello  spirito  ;  ma  nondimeno  una  macina  col 
suo  girare  vertiginoso  non  sembra  convene- 
vole imaglne  di  letizia  celeste  »  :  alla  quale 
osservazione  non  mi  par  da  consentire,  per- 
ché la  convenienza  artistica  sta  solo  nella 
efficacia  icastica  della  rappresentazione,  non 
nella  corrispondenza  tra  i  gradi  di  nobiltà  delle 
cose  paragonate.  —  rispose  eoe  Lo  spirito 
risponde  a  Dante  ohe  per  quanto  alto  sia  il 
grado  della  cognizione  propria  dei  boati  non 
può  giungere  a  comprondere  il  mistero  della 
predestinazione  (w.  88-96)  e  lo  invita  o  far 
conoscero  agii  uomini  l'impossibilità  in  cui 
sono  di  penetrare  cotesto  alto  mistero  (w. 
97-102).  —  82.  Paoior  ecc.  l'anima  piena  di 
carità,  che  era  lìssciata  da  quello  splendore 
(cfr.  w.  66-66).  —  88.  Ime*  divina  ecc.  La 
luce  divina  discende  sopra  di  me  penetrando 
a  traverso  questa  luce  onde  io  sono  circon- 
fusa; e  la  virtù  della  luce  divina,  congìun- 
gendosi  alla  mia  intelligenza,  mi  eleva  tanto 
sopra  me  stessa  eh'  io  ho  la  cognizione  di  Dio  : 
—  s*  appastai  viene  a  fermarsi,  termina  so- 
pra di  me.  —  84.  m*  Inventro  :  il  vb.  invm- 
trarsi,  foggiato  certamente  da  Dante  per  ne- 
cessità di  rima,  significa  esser  circondato, 
esser  racchiuso  o  nascosto  (si  cfr.  Parodi, 
BulL  III  188),  presa  l' idea  dal  ventre  che 
circonda  o  chiude  le  altre  membra  ;  ed  è  ab- 
bastanza bene  appropriato  a  significar  che 
quesf  anima  beata  ò  tutta  drconftisa  della 
luce  di  sua  beatitudine,  e  quasi  animai  di  sua 
seta  fasciato  >  (Par,  vni  64).  Seguito  perciò 
la  vulgata,  non  senza  avvertire  che  alcuni 
testi  portano  m*  inneiUrOf  e  cosi  lesse  il  Lana, 


746 


DIVINA  COMMEDU 


la  cui  virtù,  col  mio  veder  congiunta, 
mi  leva  sopra  me  tanto  eh*  io  veggio 
87        la  somma  essenza,  della  quale  è  mimta. 
Quinci  vien  P allegrezza,  ond'io  fiammeggio; 
perché  alla  vista  mia,  qoant'ella  è  chiara, 
90        la  chiarità  della  fiamma  pareggio. 

Ma  quell'alma  nel  ciel  che  più  si  schiara, 
quel  serafin  che  in  Dio  più  P  occhio  ha  fisso, 
93        alla  domanda  tua  non  satisfarà; 
però  che  si  s'inoltra  nell'abisso 
dell'eterno  statuto  quel  che  chiedi, 
96        che  da  ogni  creata  vista  è  scisso. 
Ed  al  mondo  mortai,  quando  tu  riedi, 
questo  rapporta,  si  che  non  presuma 
99        a  tanto  segno  più  mover  li  piedi. 
La  mente,  che  qui  luce,  in  terra  fuma; 
onde  riguarda  come  può  là  giùe 
102        quel  che  non  puote,  perché  il  ciel  l'assuma». 
Si  mi  prescrisser  le  parole  sue 
ch'io  lasciai  la  questione;  e  mi  ritrassi 


diiosando  :  «  qneito  inntrUro  ti  ò  rerbo  in- 
fonttatìro  e  tanto  significa  come  mmc'mUro  », 
9  fon'  anche  il  Bnti  e  qnalche  altro  antico 
commentatore.  —  85.  la  cai  rìrtà  :  la  ylrt& 
della  quale  luce  divina.  —  87.  la  somma  eco. 
l'essenza  divina,  dalla  quale  emana  la  luce. 

—  88.  (^inel  ecc.  Da  questa  cognizione  di 
Dio  procede  la  letizia  end'  io  rlsplendo,  per- 
ché al  grado  di  chiarezza  della  mia  cognizione 
corrisponde  il  grado  di  beatitudine  e  quindi 
la  intensità  del  mio  fiammeggiare  :  ctt.  Fair. 
xiY  40-42.  —  89.  perdié  ecc.  la  vista  è  la 
viai(m$  del  Par,  xiy  41,  la  ehiarità  è  la  ohia- 
resMQ  del  luogo  stesso,  y.  40.  —  91.  Ma  quel- 
ralma  eco.  Ma  né  pure  l'anima  più  rischiv 
rata  dal  lume  diTÌno,  cioè  che  gode  del  pid 
alto  grado  di  beatitadine,  né  il  pid  alto  dei 
Serafini,  potrebbe  sodisfare  alla  tua  domanda. 

—  che  pltf  si  schiara  :  Buti  :  «  la  quale  più 
diventa  chiara,  cioò  che  più  riceve  lo  raggio 
della  grazia  di  Dio,  onde  diventa  cliiara,  e 
pia  vodo  la  volontà  sua».  —  92.  quel  ecc. 
cfr.  Par.  rv  28.  I  serafini,  che  costituiscono 
il  primo  ordine  della  prima  gerarchia  ange- 
lica, sono  tra  gli  angeli  quelli  e  che  vedono 
più  dolla  prima  Cagione  »  (Cknw,  n  6)  :  si  cfr. 
anche  Par.  xxvra  29,  72.  —93.  satisfarà: 
sodisferebbe,  potrebbe  sodisfare;  fonna  di  con- 
dizionale potenziale,  proprio  della  nostra  lin- 
gua antica  (cfr.  Nannucci,  VdrbiS23j  Gaspary, 
Seuola^poetioa  ràn/iona,  cit,  pp.  2^  e  segg., 
e  Parodi,  BulL  m  132).  —  94.  però  che  eco. 
imperocché  l'oggetto  della  tua  domanda  si 
profonda  tanto  nell'abito  del  divino  vola- 


re, òhe  è  lontano  da  qualunque  intelligenza 
creata.  ~  Bell'abisso  eco.  Si  avverta  la 
somiglianza  di  questo  passo,  per  ciò  ohe  lì- 
gnarda  l' uso  di  alcune  parole  a  significai» 
le  stesse  idee,  con  i  versi  del  Any.  vi  121- 
123.  —  95.  «tomo  stoteto:  ciò  che  Dio  ha 
statuito  o  predestinato  ab  aetemo.  —  97.  H 
al  Mondo  ecc.  E  quando  tu  sarai  tornato 
fra  gli  uomini  riferisci  loro  questa  impeno- 
trabilità  del  mistero  della  predestinazione, 
affinché  essi  non  presumano  più  d' innalzani 
a  si  alto  grado  di  cognizione,  non  abitano 
più  l'ardimento  d' indagare  cosi  profondo  mi- 
stero: cfr.  questo  ammonimento  con  quelli 
del  Par.  xm  112  e  segg.,  xx  133  e  segg.  — 
100.  La  mente  ecc.  L' intelligenza  creata,  che 
qui  ò  avvivata  dalla  luce  divina,  in  tona  è 
invece  ottenebrata  dall'errore:  perciò  consi- 
dera come  gli  uomini  mortali  possano  fare 
ciò  che  non  possono  fare  i  beati,  come  l'in- 
telligenza creata  possa  in  tale  stato  d'errore 
assurgere  a  un  grado  di  cognizione  che  le  è  ne- 
gato anche  quando  ò  assunta  alla  beatitudine 
celeste.  —  102.  perehé  eco.  per  quanto  il 
cielo  l'abbia  assunta  alla  sua  gloria.  —  lOB. 
8f  Mi  vreserisser  eoe  Le  parole  di  quel- 
l'anima posero  un  limite  al  mio  deàderìo,  si 
eh'  io  mi  astenni,  come  era  debito,'  dall'  in- 
sistere nella  mia  domanda  e  mi  restrinsi  & 
chiederle  chi  ella  fosse  :  il  vb.  jprescricnw  nel 
senso  di  limitare  ricorre  in  Par.  zxrv,  6,  xxv 
67,  e  non  ò  raro  negli  scrittori  antichL  — 
104.  lascia!  eoo.  Buti  :  «  Non  dimandai  più 
del  dubbio  eh'  io  aveva  de  la  predestinazioM 


PARADISO  -  CANTO  XXI 


747 


105       a  domandarla  umilmente  olii  fue. 
€  Tra  due  liti  d'Italia  sargon  sassi, 
e  non  molto  distanti  alla  tua  patria, 
103       tanto  che  i  tuoni  assai  suonan  più  bassi, 
e  fanno  un  gibbo,  che  si  chiama  Gatria, 
di  sotto  al  quale  ò  conseorato  un  ermo, 
111       che  suol  esser  disposto  a  sola  latria  ». 
Cosi  ricominciommi  il  terzo  sermo, 
e  poi,  continuando,  disse  :  €  Quivi 
114       al  servigio  di  Dio  mi  fei  si  fermo 
che,  pur  con  cibi  di  liquor  d'ulivi, 
lievemente  passava  caldi  e  geli, 
117       contento  nei  pensier  contemplativi. 
Bender  solca  quel  chiostro  a  questi  cieli 


•  protdenxU,  redondo  cho  non  ti  poteva  sol- 
Ter»  ;  M  non  òhe  Iddio  vuole  ooei,  e  non  pnò 
ToleM  M  non  bene  et  inetamente,  e  qneeto 
teita,  non  il  debbo  oeroaze  più  li.  S  rantoie 
nostro  la  tolse  tooosre,  per  mestrue  quello 
die  di  tale  dubbio  si  debbo  dire»  e  per  non 
parere  eh'  elli  V  avoiso  dimenticata  ».  — 106. 
^1  fiie  eoo.  L'anima  è  quella  di  Pier  Da- 
miano ravennate:  nacque  intomo  all'anno 
1007,  di  poreriasimi  genitoil,  e  ta  educato  a 
cara  del  fratello  Damiano,  in  onore  del  quale 
▼olle  ofaiamarsi  IWui  Damiani  ;  compiuti  gii 
studi,  si  die  in  paixia  all'insegnamento  con 
grande  fortuna,  ma  a  trenf  anni  abbandonò 
il  mondo  ed  entrd  nel  convento  di  Santa  Croce 
di  Fonte  Avellana,  presso  Gubbio;  divenuto 
Ikmoso  per  santità  di  vita  e  per  dottrina  delle 
ooee  sacre,  Iti  eletto  priore  del  monastero  • 
rese  importanti  servigi  ai  pontefici,  di  modo 
ohe  nel  1068  Iti  nominato  cardinale  e  vescovo 
di  Ostia,  dignità  che  accettò  rUuttante;  con- 
dliò  la  chiesa  milanese  con  la  romana,  • 
quindi  rinunziò  agli  onori  e  tornò  al  chiostro 
oome  semplice  monaco,  Uscendosi  per  umiltà 
chiamare  JWrwt  jMOOOtor  ;  mori  in  Faenza  nel 
1072,  lasciando  molte  opere  di  materia  sacra 
(ediz.  mii^iore,  Venezia,  1748):  si  veda  la 
biografia  scritta  dal  suo  discepolo  il  monaco 
Giovanni,  nei  Bollandlsti,  Aeia  Sanotonim 
F^tbruatrOt  voL  m,  pp.  416-427,  e  le  moderne 
di  G.  LadMchi,  Fitos.jR^I^wiiani,  Berna, 
1702,  G.  Grandi,  De  9,  F^tH  DamimU  d  a/pel' 

Aifoisfff,  voL  IV,  pp.  1-138,  ▲.  Vogel,  Firitr 
Damiamo,  Iena,  1866,  A.  Capeoelatro,  Sto- 
ria di  $,  Pitr  Damiano  $  M  tuo  tompo,  Fi- 
renze, 1862,  J.  Eleinermanns,  Der  hHL  Be- 
irut Damitmi,  Steyl.  1882  :  ofr.  anche  D'Ovi- 
dio, pp.  886-888.  —  106.  Tra  dae  ecc.  Fra 
i  duo  lidi  dell'Adriatico  e  del  Tirreno  soiw 
gono,  non  molto  lungi  daUa  tua  patria,  dei 
monti  tanto  alti  che  i  tuoni  rumoreggiano 
più  in  basso  rispetto  alle  loro  cime:  Dante 


accenna  cosi  i  monti  dell'Appennino  cen- 
trale òhe  hanno  dme  molto  élrrate.  — 109. 
e  fmana  eoo.  e  questi  monti  formano  tra 
gii  altri  un  dirupo  che  si  chiama  Catria:  il 
monte  Oatria  sorge  tra  Gubbio  e  Pergola,  e 
sotto  di  esso  è  il  monastero  camaldolese  di 
Santa  Orooe  di  Fonte  Avellana  fondato  nel 
secolo  z,  nel  quale  secondo  la  tradirione  Dante 
avrebbe  dimorato  per  qualche  tempo  nell'ul- 
timo decennio  della  sua  vita  (ofir.  Bartoli,  Si. 
delia  letL  t(.,  voL  V,  cap.  zvn;  Bassermann, 
pp.  246-262  ;  M.  Morid,  DanU  é  il  monasUro 
di  EmU  Avellana,  Pistoia  1899  ;  L.  Nlcoletti, 
i)aA(«st<m.(Ii^.^.,  Pesaro  1903.  — 110.  è 
eanseerato  ecc.  è  l'eremo  camaldolense  di 
Santa  Orooe,  che  già  soleva  servire  solo  per 
il  culto  divino  :  riguardo  al  valore  d' imper- 
fetto proprio  del  pres.  suoJa,  qui  esplicitamente 
confermato  dal  v.  118,  cfr.  J»/".  zzvn  48.  — 
HI.  a  sola  latria  s  <  latria  ò  serviti  dovuta 
a  solo  Iddio,  e  per  questo  dà  ad  intendere  che 
in  quello  eremo  non  stavano  se  non  servi  di 
Dio;  oosf  il  Buti,  ricordandosi  della  defini- 
zione di  Agostino,  DeoÌ9.  Dei  x  1  :  «  latria 
inteipretatnr  servitns  >,  e  di  quella  di  Tomm. 
d'Aqu.,  Summ,,  P.  n  2^,  qu.  lizzi,  art.  1  : 
«  Dominium  oonvenit  Dee  secnndum  proprìam 
et  rfngnUFAm  qoamdam  rationem,  quia  sci- 
lioet  ipso  omnia  fedt  et  quia  summum  in  om- 
nibus rebus  obtinet  prindpatnm  ;  et  ideo  spe- 
oialis  ratio  servitutis  ei  debetur;  et  talls  ser- 
vitns nomine  latriae  designatur  apud  Grae- 
cos  >.  —  112.  11  terso  seme  :  la  terza  parte 
del  suo  discorso  ;  le  due  prime  sono  nei  w. 
61-72  e  nei  w.  88-102.  —  113.  Quivi  eoo. 
In  quell'  eremo  io  mi  raccolsi  tutto  nel  ser- 
vigio di  Dio,  di  modo  che  passava  agevol- 
mente estati  e  inverni,  gli  anni,  nutrendomi 
solamente  con  dbi  di  magio,  conditi  con  olio, 
contento  della  mia  vita  contemplativa.  — 116. 
elbl  eoe  Lana  :  <  dbi  quadragesimali  con- 
diti con  dio,  e  non  con  altro  grasso  >.  — 118. 
Bender  ecc.  D  chiostro  di  Santa  Croce  di 


748 


DIVINA  COMMEDU 


120 


123 


fertìlemente,  ed  ora  è  fatto  vano, 
si  ohe  tosto  conyien  che  si  riyelL 
In  quel  loco  fu* io  Pier  Damiano; 
e  Pietro  peccator  fui  nella  casa 
di  Nostra  Donna  in  sul  lite  adriano» 


Fonte  AyelUiut  solerà  enere  assai  piodat* 
tiro  per  i  oieli,  mandar»  molte  anime  elette 
al  paradiso,  póohó  ^  eremiti  ri  passavano 
la  rita  nella  penitsua  e  nel  serrigi  dirini  : 
dice,  in  altro  modo,  dò  ohe  ha  già  aocennato 
nel  r.  Ili,  doè  ohe  per  il  passato  in  foel 
convento  erano  solamente  nomini  di  santa 
vita.  Quanto  al  numero  defH  Arellaniti  sorlre 
lo  stesso  Pier  Damiano,  Opiue^,  zir  :  e  In 
hoo  loco  qni  Fona  Anziani  dldtar  plerom- 
qoe  rigintt,  plus  minns,  monachi  per  cellnlas, 
sire  in  assignata  ooiqne  oboedientia,  degimos, 
ut  omnes  simnl  onm  oonrersis  et  famalis  tri- 
oenaiiam  nnmemm  ant  vix  ant  bxeviter  ozoe- 
damns  >.  —  119.  ed  ora  eoe.  e  adesso  ò  cosi 
infecondo,  manca  tanto  di  monad  ohe  atten- 
dano solo  al  servigio  di  Dio,  che  presto  ap- 
parirà la  sua  decadenza.  D' Ovidio,  p.  891  : 
«  Come  nel  dolo  del  sole  san  Tommaso,  tes- 
sendo le  lodi  di  san  Francesco,  le  oondndeva 
deplorando  il  tralignamento  dei  Domenicani 
(e  XI),  e  san  Bonarentnra,  dette  le  lodi  di 
san  Domenico,  ri  riattaccare  il  biasimo  ai 
saoi  Francescani  degeneri  (e  xn);  cosi  il 
Damiano,  toccato  che  ha  dd  sno  eremo, 
dà  pare  egli  nell'  degia.  E  col  fkr  cosi  eoo 
a  quei  dae  santi  monad  dottori  rione  a  pre- 
Indiare  alle  lunghe  qnerimonie  di  san  Bene- 
detto (e  zzn)  sn  tatto  l'ordine  sno  proprio, 
coi  il  Damiano  stesso  appartenere  >. .— 120. 
si  che  tosto  eoe  I  commentatori  passano 
oltre  senza  fermarti  a  dichiarare  Talladone 
del  poeta  ;  ma  questi  ebbe  certo  la  mente  a 
qualche  fatto  dd  oonrento  di  Santa  Oroce, 
a  noi  sconosduto;  e  forse  a  qualche  grande 
sdagura  o  danno  toccato  a  quelli  eremiti, 
come  parrebbe  doreid  intendere  per  lo  parole 
dd  Lana  (il  solo  ohe  mostri  d'arer  intrare- 
duto  qui  un'allusione  storica)  :  e  la  rendette 
tostane  rerderà  tal  difetto  ».  Dante  potrebbe 
arer  aocennato  anche  alla  rorina  economi- 
ca del  monastero,  per  la  quale  nel  1821  oo- 
coisero  straordinari  prorredimenti  pontifld  ; 
ofr.  L.  Nicoletti,  op.  dt  —  121.  U  quel 
loco  eco.  Io  rissi  nel  monastero  di  Santa 
Croce  col  nome  di  Pietro  Damiano,  e  in  quella 
di  Santa  Maria  in  Barenna  col  nome  di  Pietro 
peccatore.  Cosi,  leggendo  fui  nel  r.  122,  in- 
tendono, salvo  alcune  lievi  dliferenze  secon- 
darie, Benr.  e  Buti,  e  dietro  a  loro  parecchi 
moderni;  ma  a  questa  interpretazione  d  op- 
pongono due  gravi  difficoltà:  1'  una  che  Pier 
Damiano  chiamare  sé  stesso  peccatore  prima 
ancora  di  abbandonare  il  oonrento  di  Santa 
Croce,  come  appare  dalle  sue  lettere  ;  l'altra, 
che  il  oonrento  rarennate  di  Santa  Maria  fa 


fondato  solo  nd  1096,  dopo  la  morte  di  IvL 
Leggendo  Inreoe  /te  nd  r.  122,  Lane,  Ott., 
Oass.,  An.  fior.,  e  la  maggior  parta  dd  mo- 
derni intendono  òhe  Q  santo  parli,  non  di  s6, 
ma  di  Pietro  degli  Onesti  xacrennate,  nato  in- 
torno al  1040  e  morto  nd  1119,  il  quale  an- 
che ta  detto  a  sno  tempo  Pietro  peooatoie. 
La  questione  è  assai  fòrte  :  ma  l'antoiità  dd 
testi  che  portano  /Wi,  1a  riproradone  e^li- 
dta  che  Benr.,  molto  bene  informato  deUe 
ooee  di  Bomagna,  fa  della  seconda  latanne- 
tadooe,  l' inopportunità  ohe  Pietro  Damiano 
a  questo  punto  dd  suo  discorso  parli  d' un 
altro  Pietro  come  per  correggere  un  errore 
ohe  fòsse  comune  d  tempo  di  Dante,  l'im- 
posdbilità  che  a  correggere  tale  enoie  egli 
usasse  parole  equiroohe,  sembrano  regioni 
sufflcenti  per  preferire  la  prima  interpreta- 
dono.  Oon  la  qude  le  parole  dd  santo  s*  hanno 
a  intendere  oon  dieoresione  nd  eeneo  ohe, 
mentre  a  Santa  Orooe  egli  era  eoUto  i^pel- 
lard  Pietro  Damiano,  nell'  ultimo  periodo  della 
sua  rita,  dimesd  gli  dti  offld  eodesiastid, 
preféif  di  chiamard  Pietro  peccatore.  Pstru» 
peocator  wmaeku»  portano  la  maggior  parta 
delle  lettere  del  Damiano;  ma  anche  il  aolo 
nome  (lib.  m,  8,  5,  ir  2, 6),  o  altri  titoU  d'u- 
miltà, come  OkrisH  t&rvonm  fàmuki»  (n  19), 
indigmta  (i  1),  uttitmu  tnmiiamm  (m  2)  o 
monaohorum  (ir  6)  eoo.  La  questione  è  stata 
di  recente  assd  dibattuta,  ma  senza  risultati 
podtiri  (cft.  Bua.  m  16-19,  VI  75-77).  — 
122.   nella  easa  eoo.  nella  chiesa  di  Santa 
Maria  in  Porto  fuori  presso  Barenna.  Questa 
chiesa,  ndla  quale  è  sepolto  Pietro  degli 
Onesti,  con  un  epitafto  che  oominda  :  e  Hio 
dtus  est  Petrus  peocans  oognomine  diotoe. 
Cui  dedit  hano  aulam  meritorum  oondere  Chzì- 
stus  »,  fti  da  lui  edificata  nel  1096,  e  deeti- 
nata  a  sede  dei  Canonid  regolari  da  lui  ri- 
formati con  nuore  disdpline  ;  ma  nel  luogo 
stesso,  o  iri  presso,  come  r'  ò  un*  antichis- 
sima torre  anteriore  di  certo  al  1096,  cos{  ri 
era  la  piccola  chiesa  di  Santa  Maria  in  Fos- 
sella,  ore  Pietro  Onesti  dimorò  durante  la 
costruzione  della  nuora  diiesa  e  ore  poterà 
qudche  anno  prima  esser  rissuto  endie  Pie- 
tro Damiano  (cfìr.  A.  Tarlassi,  àbmané  taen 
di  IZotumna,  Bar.  1852,  p.  IBS).   L' ipoted 
ingegnosamente  sostenuta  da  O.  Mercati,  1\#- 
tro  Psooaton  ecc.  Boma  1895,  che  per  questa 
easa  di  Nostra  Dorma  si  debba  intendece  San- 
ta Maria  di  Pomposa,  079  è  certo  die  dimorò 
il  Damiano,  non  finisce  di  piaoemd,  per^6 
mi  pare  che  in  questi  rerd  sia  da  saTTiaare 
un  ricordo  tutto  rarennate,  anche  se  non  sto- 


PARADISO  -  CANTO  XXI 


749 


Foea  vita  mortai  m' era  rimasa, 
quando  ftii  chiesto  e  tratto  a  quél  cappello, 
126       che  pur  di  male  in  peggio  si  travasa. 
Venne  Ceplias,  e  venne  il  gran  vasello 
dello  Spirito  Santo,  magri  e  scalzi, 
129       prendendo  il  cibo  di  qualunque  ostello. 
Or  voglion  quinci  e  quindi  chi  rincalzi 
li  moderni  pastori,  e  chi  li  meni, 
132       tanto  son  gravi,  e  chi  di  retro  gli  alzi. 
Copron  dei  manti  loro  i  palafreni, 
si  che  due  bestie  van  sott'  una  pelle  : 
136        o  p^enza,  che  tanto  sostieni  !  » 
A  questa  voce  vid'io  più  fiammelle 
di  grado  in  grado  scendere  e  girarsi, 
138       ed  ogni  giro  le  fieuìca  più  belle. 

Dintorno  a  questa  vennero  e  fermarsi; 
e  fero  un  grido  di  si  alto  suono 


rtcamente  eeattlnimo.  — 124.  Poea  Tito  eoe. 
Pochi  anni  snoon  mi  rimanevano  di  vita, 
allorché  M  chiesto  e  nominato  contro  mia 
voglia  alla  dignità  oaidinalida,  che  si  tra- 
mnta  solo  di  male  in  peggio,  paaaa  da  cattiTi 
*  peggiori  ecclesiastid.  —  125.  eappello: 
il  oiyipéUo  dei  cardinali,  insegna  della  loro 
dignità.  L' espressione  dantesca  si  doTO  in- 
tendere con  diaoresione;  poiché  l'nao  del 
cappello  cardinalizio  cominciò  solamente  più 
tardi,  sotto  Innocente  IV,  Terso  il  1262  (ofr. 
BuU.  VI  48).  —  126.  che  par  di  male  ecc. 
«  imperò  che  se  l' nno  cardinale  ò  rio,  l'altro 
che  segnita  poi  è  peggiore  >;  ooei  il  Bati,  e 
il  giudizio  ohe  Danto  pone  in  boooa  di  Pier 
Damiano  risponde  al  toio,  poiché  molti  te- 
xono  al  tempo  del  poeta  o  poco  prima  i  car- 
dinali macchiati  dei  peggiori  Tizi,  spedalmento 
d'sTarizia  {Inf,  tu  47)  e  di  simonia  (Inf.  za 
1).  *  al  tniTiaa:  Bot^.  p.  266  :  c  Qoesta 
Tooe  è  molto  piana,  e  qui  ha  il  ano  signifi- 
cato proprio  e  ftwile,  ehéHfmitad'unoinun 
aUro,  ma  muipn  di  mak  inpeggiOf  come  dicera 
la  vecchia  siciliana:  che  travatar»  ò  nmtan 
d*tm  9090  in  un  aUro  >.  —  127.  Tenne  ecc. 
San  Pietro  e  san  Paolo,  apostoli,  Tìssero  nmil- 
nente,  magri  é  aealxi,  senza  ingrassare  per 
ghiotti  dbi  e  senza  lasso  di  Testi,  prendendo 
quel  cibo  che  era  loro  offerto  ore  si  troTa- 
Taao  ad  alloggiare.  —  Cephaa  i  ò  il  nome  che 
Cristo  Impcee  all'apostolo  Pietro;  e  significa 
Pietro  (fMfm),  mentre  il  primo  nome  di  lai 
tra  Simone  (oCr.  Oioranni  i  42).  —  Il  gran 
eec  r  apostolo  Paolo,  vaa  d'tUxiom  (ofir.  Inf, 
n  28).  ^  129.  prendende  eoe.  È  rimembranza 
del  prscetto  OTangelioo  (Paolo,  I  Epist.  ai 
Oor,  X  27)  :  <  S  se  aloono  degli  infedeli  Ti 
ehiaauk  e  volete  andarri,  mangiate  di  tatto 


ciò  che  T*  è  posto  davanti,  senza  fan»  som- 
polo  aloano  per  la  coscienza  » .  Aggiunge  rott  : 
e  Ha  li  pastori  di  questo  tempo  non  sono  con- 
tenti di  seguire  colerò  se  non  nel  nome,  e 
Togliono  di  più  imbandigioni,  ed  essere  me- 
nati e  sostenuti».  ~  ISO.  Or  TOgllom  ecc. 
▲desso  gli  ecclesiastici,  tanto  ò  il  lusso  in 
cui  TiTono,  Togliono  avere  chi  dia  loro  il 
braccio  dall'una  parto  e  dall'altra,  e  chi  li 
porti  tanto  essi  sono  corpulenti,  e  persino 
chi  tenga  loro  alzato  lo  strascico  dei  pom- 
posi TOstimentL  Questo  stesso  concetto  è 
sTolto  da  Pier  Damiano,  OpuaoutOy  zzzi  6. 
—  188.  Copron  ecc.  Usano  manti  cosi  larghi 
che  bastano  a  ricoprire  anche  i  loro  oaTalli, 
im  modo  che  sotto  una  sola  vesto  vanno  due 
bestie  ;  Ott:  «  Queste  lezione  è  chiara  però 
che  ognuno  l'ha  veduto:  bestia  è  il  caval- 
catore, però  eh'  esce  fuori  della  regola  dato 
al  suo  vivere,  ed  in  un  luogo  di  ragione  usa 
l'appetito  come  la  bestia  ;  e  bestia  ò  11  pala- 
freno; e  sono  coperte  ambedue  d'una  cardi- 
nalesca ci^»pa  ».  —  186.  e  paiieasa  eoe  o 
pazienza  divina,  quanto  sei  grande,  se  tolleri 
queste  olEésa  continua  alla  santitii  della  re- 
Uglone  !  —  186.  ▲  «nesta  eco.  All'  esdama- 
rione  di  san  Pier  Damiano  molte  anime  beate, 
per  segno  eh'  erano  anch'  esse  sdegnate  contro 
gli  ecclesiastici  lussuriosi,  inoomindarono  a 
discendere  di  gradino  in  gradino  e  a  roteare, 
e  ad  ogni  giro  apparivano  pi6  splendenti,  per- 
ché s' accresceva  in  esse  l'ardore  del  senti- 
mento. —  189.  Dlatorao  ecc.  Circondarono 
l'anima  di  san  Pier  Damiano  e  si  fermarono, 
e  alzarono  un  tal  grido  d' indignazione,  che 
in  terra  non  troverebbe  rumore  che  lo  pareg- 
giasse. —  140.  sB  gride  ecc.  I  beati  grida- 
rono vendette  contro  gU  eocleeiastici, 


''-^'^' 


760  DIVINA  COKMEDU 


ohe  non  potrebbe  qui  aashnigliani  : 
142    né  io  lo  intesi,  ef  mi  vinse  il  taono. 

Beatrice  spiegherà  or  ora  a  Dante  (Patr.  xzn      le  loro  parole,  perché  n  grUo  ai  ilam  •  bì 
18-18).  —  U2.  me  lo  eoo.  ma  io  non  oompreal      oppwaee  di  ■tenore  (efr.  Ar.  nm  1  e  aeg;.). 


CANTO  xxn 

Continua  Dante  «  otserrare  le  anime  beate  dei  eontemplatiTÌ,  e  tra  esse 
■!  fa  innansi  e  si  manifesta  a  lai  qaella  di  san  Benedetto  ;  il  quale  parla 
prima  di  sé  e  dei  suoi  più  fedeli  segnaci,  poi  lamenta  la  decadensa  dd- 
r  ordine  benedettino.  Dante  e  Beatrice  salgono  quindi  al  dolo  ottavo,  qnello 
delle  stelle  fisse,  dal  quale  il  poeta  volge  uno  sguardo  ai  pianeti  sottostanti 
[14  aprile,  messogiomo]. 

Oppresso  di  stupore  alla  mia  guida 
mi  volsi,  come  parvo!  che  ricorre 

8  sempre  colà  dove  più  ai  confida; 
e  quella,  come  madre  cbe  soccorre 

subito  al  figlio  pallido  ed  anelo 
6       con  la  sua  voce  che  il  suol  ben  disporre, 
mi  disse:  <  Non  sai  tu  che  tu  sei  in  cielo? 
e  non  sai  tu  che  il  cielo  è  tutto  santo, 

9  e  ciò  che  ci  si  fa  vien  da  buon  celo? 
Come  t*  avrebbe  trasmutato  il  canto 

ed  io  ridendo^  mo  pensar  lo  puoi, 
12       poscia  che  il  grido  t'ha  mosso  cotanto; 
nel  qual,  se  inteso  avessi  i  preghi  suoi, 
già  ti  sarebbe  nota  la  vendetta, 


xxn  1.  Oppreiio  eoo.  Vinto  dalk»  atn-  lootorati,  l'opere  TlilodaiBe  Sanno  ragiona 
poro  per  il  grido  dei  beati  {Bar.  zn  189  e  Tilmente  timore  e  mecaflglia  >.  —  9.  fenea 
aegg.),  Dante  il  Tolge  a  Beatrioe,  la  ^nale  solo:  in  Dante  «afe  è  parola  vnta  nel  aonao 
gli  tplega  breromente  il  fignifleato  del  grido  datole  da  Tomm.  d' Aqn.,  Smmm,  P.  I  >, 
iteoBO  e  poi  lo  inTita  a  goardaie  nn*  altra  qn.  xzrmi  art.  4:  e  aelna,  fooenniqne  nodo 
Tolta  alle  anime  himinooe  della  aoala  aanta.  ramator,  ex  totemlone  amoda  prorenlt  >  ; 
—  a.  eoMO  parrei  eoo.  come  Cuioinlletto  ohe  onde  qnl  hmm  tuh  è  l' intenao  amore  del 
ricorre  aempre  per  ainto  e  oonsigUo  alla  ma-  proasimo,  la  carità,  come  in  fWy.  xza  38, 
dre,  in  coi  più  confida  che  in  altra  peraona;  e  dritto  %èlo  nel  fWy.  Tm  88  è  nn  aanti- 
cfìr.  iWy.  zxz  48-40,  «  4.  seme  maSrt  eoo.  mento  di  rettitadine  ohe  accenda  n«gli  ani- 
come  nna  madre  òhe  al  figlio  abigottito  •  mi  Tirtooal  nobile  dladegno  dalla  TclgaritiL 
ansioso  porge  pronto  il  soccorso  della  eoa  —  10.  Geme  ecc.  Qnale  effetto  snebbe  fitto 
Toce,  che  sad  confortarlo  ;  è  la  stessa  almi-  in  te  il  canto  dei  beati  (ofr.  Ar.  zzi  68-68) 
litodine  già  Toduta  in  Par,  t  101-102,  salTO  e  il  mio  sorriso  {Far,  zzi  4-11),  ctm  lo  pool 
che  là  manca  il  particolare  della  Tooe  ma-  concepire,  nna  TÌolta  che  11  solo  gridai»  ti  ha 
tema.  —  7.  Hen  sai  eoo.  Ta  non  dcTl  aTer  iiiktto  tanta  Impressione.  Ott  ossanra  che  fo^ 
ragione  alcona  di  timore,  da  poi  ohe  sai  sta  parole  e  aono  esposiiione  e  ttcUandone 
d*  essere  in  cielo  e  che  qni  tatto  è  santo  e  del  perché  casa  non  riae  in  qnesta  ^eiaeoms 
tatto  ciò  che  Ti  si  opera  procede  dall'ardore  nell'altre,  e  perché  «pii  non  Iti  il  cantare  come 
di  carità.  Boti:  cLe  laogo  santo,  li  abita-  per  U  altri  deli >.  —  18.  Mi  osi  «oc  che 
tori  santi,  l' opere  piene  di  tatta  carità  tol-  se  ta  aTcssi  Inteso  la  preghiera  Innaltati 
liono  ogni  timore  et  ammiraxione;  e  cosi  dal  beati  con  ^ael  grido,  conoeceseatl  già  la 
per  contnrio  lo  toogo  maledetto,  Il  aUtalod 


PARADISO  -  CANTO  XXn 


751 


15       che  tu  vedrai  innansi  che  tu  mnoi. 


18 


21 


La  spada  di  qua  su  non  taglia  in  fretta 
né  tardo,  ma  che  al  parer  di  colui 
che  disiando  o  temendo  l'aspetta. 

Ma  rivolgiti  omai  inverso  altrui| 
ch'assai  illustri < spiriti  vedrai, 
se,  com'io  dico,  l'aspetto  ridui  ». 

Com'  a  lei  piacque  gli  occhi  dirizzai, 
e  vidi  cento  sperule,  che  insieme 
24       più  s'abhellivan  coi  mutui  raL 

Io  stava  come  quei  che  in  sé  repreme 
la  punta  del  disio,  e  non  s'attenta 
27       del  domandar,  si  del  troppo  si  tema 

E  la  maggiore  e  la  più  luculenta 


ùak  il  Sii^non  •  che  ta  ad  ogni  modo  yedrfti 
prima  di  morlie.  —  16.  eke  ta  Ttiral  eoo. 

«  Tatto  di,  ohi  guata  con  la  mento  sana,  il 
Tede  di  qiieeto  rendetto  e  giustizie  dirine  >, 
yoira  l'Ott,  esolndendo  cosi  che  Danto 
aUvda  ad  alcun  determinato  avrenimento: 
ma  già  Benr.  e  il  Bnti,  segniti  dalla  mag- 
gior parto  dei  oommentatori  moderni,  riderò 
In  questo  paiole  nn  accenno  alla  cattora  di 
Boniflasio  VHI  in  Anagni  (dir.  iVy.  xz  66): 
altri  inreoe  credono  che  Danto  allnda  all'av- 
▼ilimeeto  in  eoi  cadde  la  corto  pontiflcia 
dopo  il  sno  trasferimento  in  Arignone,  op- 
pure alla  sospirato  Tenuto  d*un  mtt$o  di  DiOy 
Tendieatoro  degli  oltraggi  fittti  dalla  lupa 
alla  santità  della  religione  (cfr.  Pmg,  xzzn 
164,  zzzm  48).  —  16.  La  spada  eoo.  La 
«rendetto  di  Dio»  {Pvirg,  Txxm  86)  non 
colpisce  mai  troppo  presto  né  troppo  tardi, 
a»  non  al  parere  di  (Ài  l'aspetto  con  timore 
o  con  desiderio  :  coloro  che  la  temono  sopra 
di  s6  pensano  sempre  che  Tenga  troppo  pre- 
sto, a  quelli  che  la  desiderano  sopra  gli  altri 
sembra  ohe  giunga  sempre  troppo  tardi;  tanto 
la  passione  Da  relo  al  giudizio  degli  uni  e 
degli  altrL  «  17.  ma  eha:  oftr.  la  noto  al* 
1*  ^.  IT  96.  —  19.  Ha  rlTolglU  eoo.  Ha 
abbastanza  hai  atteso  a  questo:  or  Tolgiti 
Tsrao  altri,  ohe  Tedrai  anime  di  personaggi 
fllnstri  per  santità  di  Tita,  se  sogiìrai  il  mio 
oonsiglio.  —  21.  sa  eom'  lo  ecc.  se  ta  ri- 
Tolgi  la  lucia  agli  altri  beati,  secondo  che 
ti  dico  io  :  ridui  è  forma  poetica  per  rid^iei^ 
riconduci,  riTolgi,  e  tatto  la  tna»  V  aspetto 
ridvi  è  Rogato  da  quella  del  t.  segnen- 
to,  gH  oo6M  dM/isaai,  —  22.  Com*  a  lei  eoe 
doè  Torso  altre  anime.  ~  28.  e  Tldl  eco.  e 
Tidi  molto  animo  risplendenti,  che  a'  illami- 
narano  a  Tioenda  con  la  luce  propria  di  cia- 
c  ottro  esser  bella,  osserra  il  Lomb., 
.  poi  proprio  splendore,  più  tatto  in- 
o,  per  lo  splendore  ohe  TioendoTolmento 
al  oomuioaTano»  direnlTano  belle  ».  —  spa- 


ralo: piccolo  sfere,  plccoU  globi  liminosi, 
old  aoBo  lo  animo  beato  del  oontompIatiTL  — 
26.  Io  stOT»  eco.  Io  mi  troraTa  nella  stessa 
condizione  di  colui  ohe  reprimo  in  s6  stesso 
lo  stimolo  del  desiderio  e  non  ha  ardire  d'in- 
terrogare alcuno,  tanto  teme  di  riuscirò  mo- 
lesto. Yentnri  276:  e  La  simOitodine,  con  la 
più  sempUoe  forma,  accenna  lo  stimolo  acuto 
del  desiderio,  ma  raffrenato  dal  timore  ;  e  pa- 
lesa una  condizione  dell'animo  ohe  tatti  poe- 
sono  arer  proTato  >.  So  ne  ricordò  F.  liberti, 
Dittam,  T 12:  «  Sospeso  i*  andara,  oom'uom 
che  disfa  Cosa  ftm  s6,  e  cho  non  la  dimanda 
Por  tema  o  rlToranza  cho  'n  lui  sia  ».  —  27. 
si  del  troppo  ecc.  tanto  tomo  di  riusdre 
ad  altri  incresoerolo  ;  o  cosi,  come  dice  il 
Fetrsrca,  son.  gzt,  t.  11,  e  gran  temenza 
gran  desiro  alhona  >.  — •  28.  1  la  maggioro 
eoo.  La  piii  grande  e  la  più  luminosa  di 
quelle  anime  beato,  òhe  si  fa  innanzi  alle 
altro  per  sodisCue  il  desiderio  di  Danto,  è 
quella  di  san  Benedetto.  Nacque  questo  san- 
tf  uomo  in  Norda,  noli' Umbria, ,  nel  480,  e 
gioTinetto  ancora  mentre  ora  in  Boma  agli 
stadi  abbandonò  il  mondo  e  si  ritirò  a  tì- 
Tore  in  una  grotto  presso  Subisco,  segregan- 
dosi cosi  da  tutti  gli  uomini  :  dirulgatasi  la 
Tooo  della  sua  santità,  1  monaci  del  Tidno 
oonTonto  di  VlooTaro  lo  Tollero  oome  insti- 
tatore  e  ci^o,  ma  per  la  rigidità  della  di- 
sciplina da  lui  introdotto  tentarono  di  aTTole- 
narlo.  Allora  ritornò  egli  alla  sua  grotta,  doro 
accorsero  molti  seguaci  e  discepoli,  che  dl- 
stribnf  in  dodici  monastori  da  lui  fondati  e 
ordinati  :  poi  si  recò  nella  Campania  a  Ca- 
sino, e  abbattato  Ij  simulacro  e  il  tempio  di 
▲pollo,  che  anoora  tì  si  adoraTa,  oonTorti  gli 
abitanti  alla  fede  cristiana,  eresse  ediflzi  in 
onore  di  san  Martino  e  di  san  QioTanni  e 
fondò  il  monastoro  di  Monto  Casino,  cho  fb 
poi  il  centro  dell'  ordino  benedettino  :  mori 
in  questo  oonTonto  nel  648.  Sulla  Tito  di 
san  Benedetto  si  Todano  san  Oregorio  Magno, 


752 


DIVINA  COMMEDIA 


di  quelle  margherite  innanEi  fdesi, 
80       per  far  di  eé  la  mia  voglia  contenta. 
Poi  dentro  a  lei  udi':  <  Se  tu  vedeesi, 
com*io,  la  carità  che  tra  noi  arde, 
83       li  tuoi  concetti  sarebbero  espressi; 
ma  perché  tu,  aspettando,  non  tarde 
all'alto  fine,  io  ti  farò  risposta 
86       pure  al  pensier  di  che  si  ti  riguarde. 
Quel  monte,  a  cui  Gasino  è  nella  costa, 
fu  frequentato  già  in  su  la  cima 
89        dalla  gente  ingannata  e  mal  dispoeta: 
e  quel  son  io  che  su  vi  portai  prima 
lo  nome  di  colui,  che  in  terra  addusse 
42       la  verità  che  tanto  ci  sublima; 
e  tanta  grazia  sopra  me  rilusse 
ch'io  ritrassi  le  ville  circostanti 
45       dall'empio  culto  che  il  mondo  sedusse. 
Questi  altri  fochi  tutti  contemplanti 


:i 


J)iabì$.,  m.  H;  BolUndi«tt,  Atta  ttmctorum 
Marta,  Tol.  m,  Fp.  374^7;  G.  KabUlon, 
JeùM  aanetonmn  ord,  s,  ErniBdioU,  leoolo  i, 
pp.  a  e  s&gg.,  e  Atmalea  mUmt  tamaU  Bè- 
fmdù^  tol.  I,  pp.  1.U7;  L.  Tosti,  Storia 
4i  M0ni«  Caattm,  NspoU,  1842.  —  lievitato: 
«fr,  i^,  EX  87.  —  80.  per  fkr  eoo.  Dante 
non  aT«Ts  manUbetito  il  reo  desiderio  ;  ina 
raolma  bo«ta  sa  ohe  egli  raol  oonosoere  òhi 
dano  g\i  ipiriti  apparsi  a  Ini  in  qnélle  eemto 
tpmtk  (>r.  28).  —  8L  St  tv  eoo.  Se  tn  oo- 
noscinsi^  come  oonosco  io,  da  quale  spirito 
dL  carità  noi  siamo  animati,  manifesteresti 
ILbùnuDente  il  tno  pensiero,  non  arresti  ti- 
mois  di  linBoiiei  moleste  oon  le  ine  domande. 
—  84.  non  torte  eoo.  non  indugi  troppo  nel 
tao  Tln^o,  nel  oonsegnimento  dèi  tao  alto 
fijiflt  chi»  ft  di  credere  Dio.  —  86.  pure  eoo. 
SQlaibente  al  pensiero  ohe  tu  ti  sei  ood  goar^ 
dato  d'ovpcne,  olod  alla  domanda  ohe  avresti 
Toldto  f&t«,  ma  non  hai  fatta  per  riguardo. 
~  87.  QiiH  Mento  eoo.  n  monte  di  Gasino 
(Ut  Oarinmn,  piooola  città  delia  Campania, 
alla  ta\àe  di  nn  alto  monte)  ta  già  frequen- 
tato ti«llA  ina  eima  da  nomini  di  religione 
pag&Qa,  ch0  Ti  saliyano  per  adorare  nel  eoo 
lempi^  ApoUe.  Dante  seguita  Qxegorio  Msp 
goo,  DiaL  II  2:  «Castrum,  quod  Oasinum 
dìcLtui,  Ln  exoelsi  mentis  latore  situm  est 
(qol  Tìilollcet  mona  distenso  sinu  hoo  idem 
o&Etmm  redpit,  sed  por  tria  milia  in  altom 
se  subrìgeas  yelut  ad  afira  oacumen  tendit), 
ulì  TBtiLBtìHimum  fanum  fult,  in  quo  ex  an- 
tìqi]oitiM  more  gentiliam  a  stolto  mstioorum 
popoJa  Apollo  oelebrabatur.  Circamquaque 
tCL  tfulta.  daemonum  luci  excreverant,  in  qui- 
bua  adhna  eodem  tempore  infidelium  insana 


multitado  saerifleits  saorilegis  insndabat  ».  •» 
89.  fento  eoo.  i  pagani  ingannati,  arTolti 
neU*tmtieo  mrort  {Par,  Txn  6),  e  mal  disposti 
alla  fede  cristiana,  perohé  usati  al  colto  tn- 
disionale  di  Apollo.  —  dO.  e  fasi  eoe.  io 
sono  colui  che  portai  primo  in  quel  luogo  il 
nome  di  Cristo,  il  quale  prediod  agli  uoonni 
quella  verità  ohe  tanto  d  reblima.  Gregorio 
Magno,  1.  dt,  continuando:  «Ulne  itaque 
Tir  Dei  [Benedetto]  perreniens  contrtTit  ido- 
lum,  rabTertit  arem,  snOcendit  hioos  atque 
ipso  in  tempio  ApoUiniS  oracnlum  Mariae 
Virginia,  ubi  Tero  ara  eiusdem  ApòUinis  toit, 
oraoulum  saneti  Ioannis  oonstruzit,  et  oom- 
morantem  droumquaque  mnltitudinem  pra*> 
dicatione  continua  ad  fldem  Tooabat  ».  —  43. 
la  Tsrlto  ecc.  la  dottrina  erangelioa,  che 
sublima  gli  uomini  flioendoli  Agnoli  di  Dio 
(cfr.  QioTanni  Tm  82  e  I  Bpiat,  m  1)  ;  ma 
anche  pud  intendersi  col  Buti,  tanto  d  to- 
nalza  che  d  leTa  alla  Tito  etema  del  para- 
diso. —  43.  e  tonto  ecc.  e  la  graiia  del  S- 
gncfe  mi  Iti  cosi  largamente  eoneeesa  ohe  io 
riusdi  a  rimuorere  gli  abitanti  dd  paed  dr- 
oonTidni  dall'empio  eulto  delle  pagane  divi- 
nità, die  già  txasse  le  genti  anttohe  in  erroi«. 

—  45.  evito  :  alcuni  testi  recano  eMio,  che 
d  ha  in  rima  in  Btr,  t  72  ;  ma  non  0*6  ra- 
gione per  allontanard  dalla  forma  fit  usuale. 

—  46.  Questi  altri  eoo.  Questo  altre  tpé- 
ruUf  o  altre  anime  luminoee,  Ammo  tatto 
di  uomini  dati  alla  Tito  oontemplatiTa  e  ao- 
ced  di  quell'ardore  di  oarito  cho  dispone  «I 
pensieri  santi  e  alle  santo  operadoni.  Si  av- 
Torto  che  l' imagine  dell'  ardore  o  dd  fuoco 
ò  molto  frequento  nd  linguaggio  saero,  par- 
landod  di  sentimenti  assd  tìtì;  cfr.  iSoJto. 


PARADISO  -  CANTO  XXII 


753 


uomini  furo,  accesi  di  quel  caldo 
48       che  fa  nascere  i  fiori  e  i  frutti  santi 
Qui  è  Maccario,  qui  è  Eomoaldo, 
qui  son  li  frati  miei,  che  dentro  ai  chiostri 
61        fermar  li  piedi  e  tennero  il  cor  saldo  >. 
Ed  io  a  lui:  «L'affetto,  che  dimostri 
meco  parlando,  e  la  buona  sembianza, 
64       ch'io  Teggio  e  noto  in  tutti  gli  ardor  vostri, 
cosi  m'ha  dilatata  mia  fidanza, 
come  il  sol  &  la  rosa,  quando  aperta 
67       tanto  divien  quant'ell'ha  di  possansa; 
però  ti  prego,  e  tu,  padre,  m' accerta 
s'io  posso  prender  tanta  grana,  ch'io 


imi  8  :  e n  mio  oaon  ■*  è  ritoaldato  den- 
tro di  hm  :  un  f&ooo  si  ò  aooeto,  mentre  io 
nTTolgera  qnesto  nell'  animo  mio  >  ;  Looa 
zxiT  2SÌ  :  e  Non  ardeva  A  oaor  nostro  in 
noi,  mentre  egli  oi  parlsTaper  la  via?»  : 
■i  Teda  anche  Bar,  xxxxn  7-9.  —  48.  1  fiori 
•  I  fratti  lantlt  Bnti:  «Le  parole  tante 
e  V  opere  sante,  imperò  ohe  dal  caldo  de 
l'amore  dÌTÌno  rione  lo  bene  dire  e  lo  bene 
operare  >  ;  ma  meglio  forse  i  fiori  sono  im»- 
gine  d^  pmtier  tanti  {Par.  xz  16)  che  pxe- 
eorxono  e  dispongono  agii  atti,  come  il  flore 
al  frutto.  —  49.  <^1  è  eco.  Qui  con  me  sono 
Kaooario  e  Bomoaldo  e  qoel  frati  del  mio 
ordine  che  si  tennero  strettamente  alla  vita 
monastica  e  rimasero  costanti  nella  contem- 
plazione. —  Haecftrlo:  san  Maocario  Ales- 
■andrino,  discepolo  e  seguace  di  sant'Anto- 
nio, fa  ano  dei  più  efficaci  promotori  della 
vita  monastica  in  Oriente  e  ne  dettò  la  re- 
gola: mori  nel  404.  Si  avrerta  di  non  con- 
fonderlo, oome  fanno  alcnni  interpreti,  con 
afm  llaocario  egiziano  (800-891),  discepolo 
aooh'  esso  di  sant'Antonio  ed  eremita  nei  de- 
serti della  Libia  ;  poiché  Dante  qui  ha  voluto, 
■ombra,  oongiungere  in  nn  solo  verso  il  ri- 
cordo di  dne  grandi  institatori  della  vita 
Monastioa,  Tutto  in  Oriente  e  l'altro  in  Occi- 
dente. —  Bomoaldo  :  san  Bomoaldo  da  Ra- 
renna,  il  quale  nacque  intomo  al  966,  in- 
stitai  verso  il  1018  l'ordine  dei  Oamaldoleei 
fondando  il  fiunoso  Eremo  di  Oamaldoli  in 
Toscana  (cfr.  Airy.  v  96),  e  mori  famoso  per 
santità  e  per  miracoli  nel  1027;  si  cfr.  la 
biografla  sorittane  da  Pier  Damiano,  Opero, 
ToL  n,  pp.  206  e  segg.,  e  il  Mabillon,  Ada 
acmeL  ord,  §,  Bmed.^  sec  vi,  voL  I,  pp.  247 
e  segg.  —  60.  U  frati  miei  ecc.  i  frati  be- 
nedettini, ohe  vissero  nei  conventi,  alieni  da 
ogni  cura  mondana  e  fermi  nella  contempla- 
xi<me  divina;  diversissimi  da  quelli  dei  tempi 
presenti,  che  hanno  abbandonati  i  monasteri 
per  gli  alti  offici  della  curia  romana  e  atten- 
dono ad  opere  mahrago  (cfr.  w.  76-78).  — 

Damvm 


62.  Bd  Is  a  1«1:  Dante,  incoraggiato  dalle 
parole  di  san  Benedetto,  si  fa  ardito  a  chie- 
dergli la  grazia  di  mostrarglisi  scopertamente, 
non  avvolto  dalla  luce  che  lo  circonda  (w. 
62-60);  ma  il  santo  ^  dichiara  che  questo 
desiderio  ò  intempestivo  e  potiA  esser  so- 
disCitto  solamente  nell'Empireo  (tv.  61-69), 
Si  noti  una  certa  somiglianza  tra  la  sitoa- 
zione  di  Dante  innanzi  a  san  Benedetto  • 
queUa  di  Mese  sol  Monte  Sinai  (ESiodo  xzzm 
18-20):  e  Moisè disse  ai  Signore,  Deh,  ftumni 
veder  la  tua  gloria.  E  il  Signore  g*i  disse, 
Io  tuo  passare  dinanil  a  te  tutta  la  mia  be- 
nignità, e  griderò  il  nome  del  Signore  da- 
vanti a  te  :  e  tuo  grazia  a  ohi  vorrò  Ui 
grada,  ed  avrò  pietà  di  òhi  vorrò  aver  pietà. 
Ma  gli  disse,  Tu  non  puoi  veder  la  mia  fiio- 
cia  :  per  ciò  che  l' uomo  non  mi  può  vedere, 
e  vivere  ».  —  68.  la  bioaa  eoo.  l'aspetto  di 
benevolenza  che  mi  dimostrate  con  U  vostro 
vivo  fiammeggiare.  —  66.  M'ha  dUaUta  eoo. 
ha  allargato  nell'animo  mio  Q  sentimento  di 
fiduda  in  voL  —  66.  eeme  il  sei  eoo.  oome 
il  sole  fa  dilatare  la  rosa,  quando  ossa  sotto 
i  ragff  sdail  si  apre  tanto  quanto  vuole  la 
fom  naturale.  Leggiadra  similitudine,  ohe 
ricorre  spesso  nsi  poeti  nostri  e  che  liooida 
queUa  del  CbfivMo  iv  27,  ove  6  detto  che 
nella  matura  età  e  oonvienai  aprire  V  uose 
quasi  oom'  una  xoea  ohe  più  ohiusa  stare  non 
può,  e  l' odore,  eh' è  dentro  generato,  span- 
dere». —  68.  feiè  eoo.  perciò  ti  prego,  e 
tu  accertami  se  io  sono  degno  di  tanta  gra- 
zia, che  tu  ti  mostri  a  me  soopertamsnte, 
senza  l'involucro  della  luce.  Di  questo  dssi- 
derio  di  Dante  il  Boti  dà  una  spiegaaiotte 
allegorioa,  ohe  forse  ò  troppo  sottile,  dioe»- 
do:  e  imperò  ohe  li  contemplativi  pensane 
tutte  le  alte  cose  di  Dio,  oontsapliuido  la 
creatura  s'innalzano  a  contemplare  U  crea- 
tore, e  perohò  l' anima  umana  ò  fatta  a  si- 
mUitudine  sua,  però  hanno  il  desiderio  B 
contemplativi  di  vedere  l'essenzia  dell'anima 
umana  più  di  ninna  altra  oosa  creata:  e  pese 


754 


DIVINA  COMMEDIA. 


_^ 


60       ti  yeggia  con  imagine  scoperta  >. 
,  Ond'egli:  €  Frate,  il  tuo  alto  disio 
s'adempierà  in  su  l'ultima  spera, 
63       dove  s'adempion  tutti  gli  altri  e  il  mio: 
iyi  è  perfetta,  matura  ed  intera 
ciascuna  disianza;  in  quella  sola 
66       è  ogni  parte  là  dove  sempr'era, 
perché  non  è  in  loco,  e  non  s'impela, 
e  nostra  scala  infino  ad  essa  yarca, 
69        onde  cosi  dal  viso  ti  s'invola. 
Infin  là  su  la  vide  il  patriarca 
Giacobbe  porger  la  superna  parte, 
72        quando  gli  apparve  d'angeli  si  carca. 
Ma  per  salirla  mo  nessun  diparte 
da  terra  i  piedi,  e  la  regola  mia 
75       rimasa  è  giù  per  danno  delle  carte. 
Le  mura,  che  solcano  esser  badia. 


finse  r  autor»  ohe  tale  pensioTO  gli  Tonisae 
in  qneito  laogo».  ->  61.  Frate:  efr.  Par, 
m  70.  —  62.  la  ti  Paltlma  eco.  neUMiltiiiio 
oielo,  l' Empireo,  mi  quale  sono  tatto  le  ani- 
me beate:  tra  esse  Dante  oontemplerà  ap- 
punto r  anima  di  san  Benedetto  (ofr.  Bar, 
zzzn  85).  —  68.  de?e  eoo.  tatti  i  desidert, 
e  anohe  il  mio  di  sodisfkrti,  si  adempiono. 
Non  mi  pare  neoessaiio  ordinare  ool  Lomb.: 
e  .FVofs,  firatello,  <l  Ilio  otto  diiiOf  di  roder 
me  eon  imagim  «ooMrio^  s  '<  mio,  di  oom- 
piaoerti,  t'adtmpkà  in  «u  VuUima  tperoy  nel 
dolo  empireo,  cm  «*  adampiom  Mtf  gU  aUri 
deddert»;  poiché  è  manifesta  la  oonTonienza 
e  ooordinadone  delle  parole  UUU  gii  aUri  é 
il  mìo,  che  tntte  insieme,  significando  i  desi- 
dert  dei  beati,  vengono  a  essere  in  antitesi 
con  il  tuo  aito  diiiOf  che  esprime  il  desiderio 
doll'oomo  mortale.  ~  64.  ItI  eoo.  nel  dolo 
Empireo  dascon  dedderio  è  perfetto,  mataro 
e  intero  :  perfetto,  in  quanto  Dio,  somma 
perfezione,  ne  è  l' oggetto  ;  maturo,  perché 
non  è  più  intempestiTo,  ma  reso  opportuno 
dai  meriti  precedenti  di  ogni  anima;  e  in- 
tero, perdié  esaudito  da  Dio  interamente, 
senxa  alcuna  restrizione.  —  66.  In  f  «ella 
eco.  solamente  nell'Empireo  le  parti  non  mu- 
tano mai  di  posto,  restano  sempre  ore  era- 
no ;  accenna  cod  all'  immobilità  di  qud  ddo, 
ofr.  Inf.  n  21.  —  67.  ^rehé  ecc.  perché  non 
d  collocato  in  alcun  luogo,  non  ò  contenuto 
da  luogo,  come  gli  dtri  nove  ddi,  e  non 
è  fermato  sopra  i  poli,  intomo  d  quali  gi- 
rano le  sfere;  cfr.  Oano,  n  4:  e  Questo  d  il 
sovrano  edificio  dd  mondo,  nd  qude  tutto 
il  mondo  s'indiiude,  e  di  fuori  dd  quale 
nulla  ò  in  luogo,  ma  formato  Iti  solo  ndla 
prima  Mente  >.  —  08.  e  aestra  eoo.  e  que- 


sta nostra  scala  (ofr.  Bar,  td  28-80)  giunge 
sino  all'Empireo,  e  perdo  la  sua  dma  sfugge 
alla  tua  vista.  —  69.  vlse  :  cftr.  Inf.  tt  U. 

—  70.  Infln  eco.  Infino  all'  Empireo  la  vide 
innalzare  la  sua  dma  il  patriarca  Giacobbe, 
allorchó  nd  sogno  questa  scala  gli  apparve 
piena  di  angeli  che  salivano  e  scendevano  ; 
cfir.  il  racconto  biblico  nella  nota  d  Btr,  xn 
28.  -^  78.  Ha  per  eco.  Ma  adesso  nessuno 
d  stacca  daUa  terra  per  salire  alla  dma  della 
scala,  eioò  nessuno  d  spoglia  delle  terrene 
pasdoni  e  abbandona  le  cure  mondane  por 
raooogllerd  tutto  ndla  vita  contemplativa. 
^  74.  e  U  regola  eco.  e  la  regola  della  re- 
ligione benedettina  fondata  da  me,  le  nonne 
oh*  io  detti  d  fhiti  mid  perché  serbassero 
sddo  l'animo  alla  contemplazione,  ò  rimasta 
senza  frutto,  a  consumare  inutilmente  le 
oarte  che  bisognano  a  trascriverla.  Benv. 
racconta  a  questo  punto  dò  che  accadde  d 
Boocaodo,  andato  a  vidtare  il  monastero  di 
Monte  Gasino:  ove  trovò  la  biblioteca  a- 
perta  e  disordinata,  e  l  libri  pretiod  che 
contenevano  le  opere  degli  antichi  mancanti 
di  itadti  fogli,  che  1  monad  ignoranti  ave- 
vano ritsgliati  per  fsme  saltari  per  i  ragazzi 
e  brevi  per  1  credenti.  Ma  Dante,  senza  pen- 
sare a  questo,  volle  significare  con  un*  im»- 
gine  vigorosa  che  la  regola  benedettina  era 
ormd  d  suoi  tempi  derelitta,  d  ohe  1  frati 
dell'ordine  la  seguivano  edamente  di  nome. 

—  76.  Iie  Mira  ecc.  I  oonventi  che  solevano 
essere  luoghi  di  santa  vita  sono  diventsti 
nidi  di  mdvagità  e  di  licenza,  e  sotto  le  ve- 
sti monacsli  stanno  gii  uomini  pi&  viziod  e 
turpi.  San  Benedetto  lamenta  in  modo  jaxii- 
oolare  1*  inosservanza  della  regola,  per  cui  i 
sud  ficati  abbandonavano  ftwtllmente  1  i 


PARADISO  -  CANTO  XXH 


755 


fatte  sono  spelonche,  e  le  cocolle 
78        sacca  son  piene  di  fieunna  ria. 
Ma  graye  usura  tanto  non  ai  tolle 
centra  il  piacer  di  Dio,  quanto  quel  frutto 
81        che  &  il  cor  dei  monaci  si  folle; 

che,  quantunque  la  Chiesa  guarda,  tutto 
è  della  gente  che  per  Dio  domanda, 
84       non  di  parenti,  né  d' altro  più  brutto. 
La  carne  dei  mortali  ò  tanto  blanda 
che  giù  non  basta  buon  cominciamento 
87       dal  nascer  della  quercia  al  £ur  la  ghianda. 


stMi  per  oocnpw»  gli  aiti  oiBot  •cetoriirtifli, 
•  le  aiiikldmil  tnxwie  per  osi  «mno  distolti 
dalk  Tita  oonteaplatiT»;  ai  oAr.  dA  ohe  in 
propoelto  ioriyvvm,  a  meno  il  aeoolo  zn,  Fie- 
tzo  di  BkàM^EjpitLixwmi  «Kfaooataa  eet 
oboedientiae  ingvm,  in  qna  erat  unica  epos 
salatis,  et  piaeraxioatloniB  antlquae  reme- 
dima.  Delostantar  àbbatee  babere  fionim 
oxceMnam  ooneotocem,  ragam  impnnitatia 
Ueentiam  ampieotontor,  oianataliaqiie  mUi- 
tiae  ingom  relazant  in  omnem  deddeili  11- 
bertatem.  Bino  eet  quod  monaetaiioram  fare 
oaniwn  iSMoltatee  datae  lont  in  direptionem 
•t  pnedam.  Nam  abbatea  eocterins  ooram 
candain  deaidecUa  agonti  non  onranteo,  dnm- 
Bodo  lente  e]^lbeantar,  nt  ilat  pax  in  diebna 
eonim:  danstralee  Tero,  tamqnam  aoepbali, 
otio  racant  et  raniloqoio  :  neo  enim  piaeai- 
dem  babenti  qnl  eoa  ad  fhigam  Tltae  melioiis 
laeliBet.  Quiàai  tnmaltnoaaa  eonim  oonten- 
tionee  andiretia,  elanatram  non  mnttom  dif- 
fene  oredaretla  a  foro  >.  —  77.  flette  eene 
eoo.  Locozione  frequente  nella  Bibbia  (Oe- 
zemla  ^n  U,  Matteo  zzi  18,  Lnoa  ziz  46 
eoo.),  In  quale  piacque  anobe  ai  Feteroa, 
oansone  ti,  7.  48,  dei  tem^  cobo  fAr  già 
ai  derotl,  ed  ora  in  gnena  Qnaai  spélnnoa 
di  ladron  aon  fiotti  ».  ^  e  le  eeeelle  eoo. 
Boti  :  e  Le  oi^pe  de'  monaci,  obe  ai  obiar 
mano  vimìk  [ett.  Bar.  a  78],. ..  aon  piene 
di  malrage  anime  e  peooatrioi,  piene  di  mali 
pannltT*  e  di  mala  Tohintà.  S  come  della 
mala  farina  esoe  male  pane,ooai  de  le  male 
Tofamtadi,  obe  eono  nei  monaci,  eaoeno  male 
operasloni;  li  quali  monaol  per  Tabbondan- 
iiA  dei  beni  temporali  diventano  oiloei  e  tì- 
noti  ».  —  79.  Ha  fra?e  eoo.  Ma  la  più  grave 
mraxa  non  cOende  tanto  In  difina  bonti^ 
quanto  l'effonde  1*  abuso  delle  rendite  eode- 
yfa^^h^  o]i0  trarla  l'animo  dei  monaoL  Dante 
ùk  ano  e  fToIge  un  oonoetto  aooennato  in  una 
decretale  del  papa  Aloaaandro  m,  ore  ti 
legge  ohe  «  quod  monaobi,  abbatea  et  piiores 
aoeipiunt,  gràrlus  eet  uaura  >  ;  parendo  al 
poeta,  eoBO  ad  altri  iud  oontampoianei,  ohe 
il  peooato  dell'usura,  girnviisifflo  perché  con- 
tre  Die  (ofiN  3i/:  s  d7  e  eegg.),  'oom  pur 


aenpce  inteioie  a  quello  dei  aaoecdotl  e  frati 
ohe  ai  iq^propriaTano  le  rendite  eeoleaiaetiobe, 
decima§  qmi$  §mU  pofupmm  Dd  {Par,  zu 
98).  Gfr.  U  proposito  il  D'Oridio,  pp.  608  e 
segg.  «  nen  al  iaUet  non  al  olerà;  la  frade 
è  spiegata  dalle  parole  deU' 31/:  ZI  96:  «sm- 
m  offèndè  la  dMns  boitiadé.  —  80.  «nanle 
fnel  eoo.  quanto  U  frutto  delle  elemosine, 
reddito  delle  chiesa  eoe.  ohe.  Tolto  a  parti- 
oolar  Tantaggio,  guasta  l'animo  eoo.  Questo 
è  il  senso  piano  delle  parole  di  Dante,  intor- 
bidato dal Lomb.  ohe ToUe spiegare:  «quanto 
quel  reo  frutto  ohe  il  cuore  de'  monad  ti 
folte,  si  imperrertito,  fu,  produce  >,  e  fri  al 
solito  seguito  da  più  altri  oommentatorL  — 
82.  ehd,  «nantunqie  eoe.  poichó  tutti  i  red- 
diti, dei  quali  la  Chiesa  ha  la  custodia,  sono 
proprietà  dei  poTcti,  non  già  dei  parenti  o 
dei  flgUuoU  deiaaoerdoti  e  dei  fratL  Dice  U 
Lana:  «  L' aTere  che  possiede  la  Chiesa  si 
ò  di  poTeri  e  limosinaiiti,  e  non  delli  parenti 
dei  pastori  né  di  (éomiine  di  mondo,  che  è 
più  brutto:  onde  è  da  notare  che  non  senxa 
peooato  li  pastori  eodesiastioi  UM^te  fiate  di- 
stribuisoono  U  beni  della  Chiesa  a'  proprii 
parenti  o  in  disordinato  modo  >  ;  ore  è  da 
aTTortlre  ohe  le  parole  oUro  pfA  brutto  sono 
prese  prima  come  un'allusione  alle  lémmine 
protette  dagli  eoolesiasticl,  e  dopo  come  e- 
sprossione  generica  del  dttordinato  modo  di 
distribuire  i  proTonti  della  chiesa:  credo  ohe 
se  in  queste  parole  è  un  accenno  particolare 
aia  quello  dal  figlinoli  naturali,  perohé  l'olirò 
è  logicamente  legato  con  parónU,  e  il  poeta 
direbbe:  ai  loro  parenti  legittimi  ed  illegit- 
timi, cioè  ai  figliuoli,  ai  quali  dando  le  ren- 
dite eoelesiastiffihe  oongiungono  a  un'  offesa, 
un'  ahra  ancor  più  grave.  —  86.  La  cane 
eco.  Oli  uomini  sono  cosi  facili  ad  arrendersi 
alle  lusinghe  delle  ricohezse  che  nel  mondo 
una  buona  regola,  data  da  un  istitutore  di 
ordini  religiosi,  non  dura  che  brevissimo 
tempo.  —  87.  dal  naseer  ecc.  dal  momento 
in  cui  la  quercia  nasce  a  quello  in  cui  è'ca- 
paoe  di  produrre  la  ghianda,  ò  per  lo  più  lo 
spario  di  Tonf  anni  ;  ma  qui  ò  poeto  generi- 
eamente  per  dire  un  breve  periodo  di  tempo. 


756 


DIVINA  COMHEDIA 


Pier  cominciò  sens'  oro  e  sensa  argento, 
ed  io  con  oramoni  e  con  digiano, 
90       e  Francesco  nmilmente  il  suo  convento. 
E  se  guardi  al  principio  di  ciascuno, 
poscia  riguardi  là  doy'ò  trascorso, 
9B       tu  yedend  del  bianco  fatto  b>uno. 
Veramente  Giordan  yolto  è  retrorso; 
più  fii  il  mar  fuggir,  quando  Dio  volse, 
96       mirabile  a  veder,  che  qui  il  Boecorso  >. 
C<MÌ  mi  disse,  ed  indi  si  rìcolse 
al  suo  collegio,  e  il  collegio  si  strinse; 
99       poi,  come  turbo,  tutto  in  su  s'accolse. 
La  dolce  donna  retro  a  lor  mi  pinse 
con  un  sol  cenno  su  per  quella  scala, 
102       si  sua  virtù  la  mia  natura  vinse  ; 
né  mai  qua  giù,  dove  si  monta  e  cala 

—  88.  Pier  ecc.  Ogni  institosione  crintiMiii 
cominciò  senaa  rlcohezie;  e  nn  Pietro  di- 
ceva :  e  Io  lion  ho  n6  oro  né  «igeato  >  {FaM 
dtgK  Ap.  m  6);  san  Benedetto  iniriò  l'opera 
ina  oon  oiadoni  e  diginno;  lan  FranoMoo 
poae  a  base  della  eoa  nugola  la  profeesioBe 
di  umiltà  e  di  povertà  (ofr.  Ar.  zi  87).  — 
91.  M  gsardl  eco.  te  paragoni  U  x»minoia- 
mento  d' ogni  cristiana  institiBione  col  avo 
stato  preeentOi  vedrai  ohe  ogni  bnon  prin- 
cipio i*  ò  cambiato  nelT  abnso  e  nel  viiio 
opposto  :  i  pontefici  e  i  prelati,  invece  di  ae- 
gniie  r  esempio  di  san  Pietro,  sono  tatti  in- 
tenti a  raccogliere  grandi  tesori  ;  i  benedet- 
tini vivrmo  disordinatamente,  senza  eorazai 
pld  della  preghiera  e  dei  diglani  ;  i  france- 
scani, deposta  Tomiltà  antica,  sono  divenati 
saperbi  e  contendono  tra  di  loro  per  gli  agi 
mondar*.  —  94.  TeraMente  eoo.  Dei  nostri 
institoti  religiosi  si  paò  ben  dire  come  del 
flome  Giordano,  ohe  camminano  a  ritroso, 
non  tegooDO  la  via  additata  dai  loro  fonda- 
tori ;  ma  non  ò  impossibile  il  rimedio  se  lo 
voiriL  quel  Dio  ohe  deUa  eoa  potenza  die 
prova  più  meravigliosa,  fìftoendo  si  ohe  on 
fiume  fuggisse  il  mare,  corrosi  s  oon  le  acqoe 
verso  le  soigentL  Qoesto  mi  sembra  il  senso 
della  terzina,  tanto  tormentata  dagl'  inter- 
preti; nella  qoale,  cosi  intendendola,  è  svolto 
con  la  efficace  e  imagjnosa  parola,  ohe  ò 
sempre  propria  di  Dante,  on  concetto  giu- 
stissimo e  logicamente  connesso  coi  preoe- 
denti,  poiché  Timagine  saggerlte  ai  poeta 
dal  còrso  insolito  del  CHordano  lo  trae  nata- 
ndmente  all'idea  della  potenza  divina  che  saprà 
pqrre  on  rimedio  efficace  ai  mali  dell%  chiesa, 
anche  se  sembrino  inoarabili  agii  aondni  oo- 
nmnL  Questa  interpretazione  fu  data  già  dal 
Batl  e  dal  Land.,  ma  tra  i  moderni  non 
ebbe  fortuna,  essendo  prevalsa  una  lesione 


un  po' diversa: 

trono  Pfé  ftt,  é  U  mot  fvggkr,  qmmio  Dio 
volu  eco.  ;  oon  la  qoale,  a  oomincian  dagU 
antichi  Lana,  Benv.,  Gass.  fino  ai  pi6  zeesaÉi 
interpreti,  Ges.,  Tomm.,  Bianchi,  Frat^  Andr., 
Yentarl  688,  Scart.  eco.,  s'intesero  aensaasH 
due  IMti,  quello  del  fiame  Giordane  al  pss- 
saggio  del  popolo  d' Israele  guidato  da  Gksaè 
(Giosuò  m  14-17;  cfir.  Saim,  oxiv  8:  «il 
Giordano  si  rivolse  a  ritroso  »),  e  qasUo  dal 
Mar  Bosso,  al  passaggio  degli  Ebrei  guidati 
da  ICosò  {Eaodò  zxv  21-29).  MiBor  ftntna 
ebbe  la  lezione  Vommmio»  Qioràcm  edte  fv- 
tnoo  Pi&fu  il  mur  fuggkr  eoo.  aooolta  dal 
Yen.,  Lomb.,  Costa,  e  spiegate:  «  Veraiaante 
fti  pifi  mirabU  a  veder  Giordano,  mito  »• 
troso  ftigfir  il  mare,  quando  volse  Dio,  ohe 
qui  il  Boooorso;  volendo  inferire  ohe  maggior 
miracolo  fti  a  veder  tornar  questo  fiume  a 
dietro,  ohe  non  sarà  a  veder  il  soooosso  die 
verrà  da  Dio  per  rimediar  alla  soelteKata  vtta 
de' religiosi».  —  97.  edladleccedili 
ove  era,  vioino  a  me  (ofr.  v.  29),  si  riusi 
alla  sua  compagnia  ;  e  la  compagnia  ai  strinse, 
poi  riaalf  roteando  come  un  turbine.  —  98. 
eonegio:  è  ftequente  in  Danto  sei  eenao 
generico  di  riunione  di  persone,  di  anfana 
(cflr.  Inf.  zzm  91,  Pmg,  zxvx  129,  Ar.  xxc 
110).  — 100.  La  delee  eco.  Bestzioe  oon  un 
cenno  spinge  Dante  su  per  la  scala  dietro  a 
quei  beati  spiriti,  e  cosi  egli  saie  con  rapi- 
dissimo movimento  di  asoensioiie  all'  ottavo 
cielo,  queUo  delle  steUe  fisse.  — 102.  sf  asa 
vlrttf  eoe  tanto  U  vlrtd  di  Beatzioe,  ohe 
mi  traeva  in  alto,  vinse  la  mia  ocapocea  na- 
tura, che  mi  traeva  al  basso.  —  ijOB.  me  mal 
eco.  sulla  terra,  ove  i  movimenti  di  aseee- 
ùone  e  di  discesa  si  Hanno  sempie  oon  omsd 
naturali,  non  tu  mai  moto  oosi  afido  che 
petsase  esser  paragonato  al  mie  veto»  ihlte 


PARADISO  -  CANTO  XXn 


767 


naturalmente,  fa  si  ratto  moto 
105       ch'agguagliar  si  potesse  alla  mia  ala. 
S'io  tomi  mai,  lettore,  a  quel  devoto 
trionfo,  per  lo  quale  io  piango  spesso 
108       le  mie  peccata  e  il  petto  mi  perooto, 
tu  non  avresti  in  tanto  tratto  e  messo 
nel  foco  il  dito,  in  quanto  io  vidi  il  segno 
111       che  segue  il  Tauro,  e  fui  dentro  da  esso. 
0  gloriose  stelle,  o  lume  pregno 
di  gran  virtù,  dal  quale  io  riconosco 
114        tutto,  qual  che  si  sia,  lo  mio  ingegno, 
con  voi  nasceva  e  s'ascondeva  voseo 
quegli  eh'  è  padre  d' ogni  mortai  vita, 


sotto  r  impulso  di  vnA  forza  sopranatorale. 
Dì  qaMt»  aimilitadino  noto  il  Vwitoxi  485: 
«  8dto  il  poste  con  Beatrtoo  al  dolo  doU» 
stalla  fliM  ;  e  queste  Moensione  egli  spiega 
con  vna  simiUtadiiio  lerate  anch'  essa  dal- 
l' idea  del  toIo;  bene  appropriate,  in  quanto, 
nadto  fbor  de'  pianeti,  ei  mnoTO  al  dolo 
stellato  pel  oampi  sabliml  della  oontempla- 
zlona  ».  — 106.  S^o  tarai  eco.  CùkL  io  possa 
tomaza  a  Tederò  lo  steto  delle  anima  beato, 
al  santo  trionfo  dell'anima,  per  col  lo  spesso 
piango  i  miei  peccati  e  ne  teodo  panitensa 
ace.  —  Iettare:  queste  è  l'ultima  Tolte  oha 
il  poate  si  liTolga  al  lattoza,  ed  ò  quad  oon- 
gado  cb'egU  prende  prima  di  Teniza  a  trat- 
tare della  parto  più  sublime  del  suo  argo- 
manto.  Oli  altri  luoghi  nd  quali  Danto  d 
rtTolga  al  lettera  sono  in  Inf.  Tm  M,  xn 
128,  XX  19,  zxT  46,  tjoxv  28,  Airy.  Txn  19, 
IX  70,  X  106,  xm  1,  txtt  98,  xxzi  124,  xxxm 
lae,  Bkt.  y  109,  X  7, 22.  —  109.  tu  non  eoe 
non  arreiti  messo  e  tratto  il  dito  dal  fuoco  nd  ' 
bzara  spedo  di  tempo  che  io  Tìdi  la  costoUado- 
na  dei  Oemdli  e  fui  dentro  in  essa.  Venturi 
486  :  <  La  cderite  dell'ascendono  è  espressa 
Odi  una  dmilitudine  non  meno  semplice  die 
originale.  Si  noti  come  il  poeto  dice  prima 
fratto,  a  pd  masso,  il  dito.  Non  è  senza  aT- 
Tadimento  queste  inTersione  di  atto  nato- 
tale,  perdio  egli  è  ood  istantaneo  che  il 
prima  e  il  poi  sono  un  punto  solo  ».  —  110. 
U  segna  eco.  H  segno  odesto,  la  costolla- 
ziona  oha  Tiene  dopo  quella  dd  Tauro  (Airy. 
xxT  8)  è  quella  dd  OemellL  Nd  Terd  segg. 
Danto  dà  la  ragione  per  cui  entrando  nd 
delo  delle  stollo  Asse  d  trorò  in  queste  oo- 
stolladone.  — 113.  0  ylorlase  ecc.  0  stelle 
dalla  ocetollarione  dd  Gemini  (ofr.  Pitrg.  it 
61X  piena  deDa  Tirtd  ohe  dispone  gli  uomini 
allo  studio,  io  nacqui  in  tempo  che  toì  era- 
rato  congiunto  col  sole,  e  quando  entnd  nel 
aldo  itdlato  mi  tzoTd  nella  parto  da  vd 
ooonpate:  questi  legni  della  Toetra  benefica 
influenza  sopra  di  me  m'inducono  a  invo- 


care il  Toetro  duto  ora  ohe  darò  trattare 
della  più  atto  materia  dd  ndo  poema.  — 
118.  di  graa  Tlrti  t  secondo  le  dottrine  a- 
strologiche,  la  ccstelladone  dd  Oemini  di- 
sposa gli  uomini  alla  oognidone  sdentifloa; 
e  queste  è  la  grtm  9krtù  attribuite  da  Danto 
d  segno  sotto  la  cui  influenza  egli  ara  nato  : 
e  è  da  sapere  (dice  il  Lana)  dia  1*  autore 
Tuda  mostrala  ooma  le  seconde  causa,  doò 
le  influenzie  dd  ddo,  li  oonlerìno  sua  di- 
spcsidoni  ad  essere  adatto  a  sdenda  litte- 
nJe,  per  la  quale  sdenzia  dio  allegorizzan- 
do Óte  tde  Tiaggio  ;  die,  d  come  ndli  Intxo- 
duttorii  d  di  AlhnmsTar  come  di  Aloahis  in 
Astrologia  chiaro  appare,  Gemini  d  è  casa 
di  Mercurio,  lo  quale  d  è  significatora  di 
scrittura  e  di  sdenzia  e  di  oognosdbilitade, 
a  parò,  secondo  la  sdenda  od  arto  preditta, 
odui  òhe  ha  Oamini  par  ascendento  d  ò  in- 
gegniero  e  adatto  a  sdenzia  litterda,  e  mag- 
giozmanto  quando  lo  sole  d  trova  essera  in 
esso  segno  >.  Alcuni  credono  che  d  beneflco 
influsso  dd  Gemini  Danto  Tolesse  alludere 
anche  con  to  pardo  dell'In^,  xr  66-67,  xxn 
28;  a  per  il  secondo  passo  ò  assd  probabile, 
ma  per  il  primo  non  ò  necessario  ammettorio. 
—  dal  f  naie  eco.  Olroa  l'influsso  degli  astri 
nd  dispone  gli  animi  a  determinato  opera- 
zioni ofr.  Purg,  xn  78.  —  116.  aon  Tal  ecc. 
il  sde  sorgOTa  e  tramontova  con  Td  allor- 
oh6  io  reqdnd  per  la  prima  vdto  l'aere  to- 
scano, allorohó  io  nacqui.  Secondo  le  dottrine 
astronomiche  d' Ipparco,  seguito  nd  medio- 
ero,  l'entrate  dd  sole  nella  costoUadone  dei 
Gemini  accade  il  21  maggio  :  Danto  dunque 
sarebbe  nato  nell'ultima  decade  di  questo 
mesa  (ofir.  0.  Zanotti  Bianco,  SuWtpoea  dilla 
naaotta  di  DanUy  Torino  1900,  e  BulL  Vm 
268)  0,  come  alcuni  credono,  nella  prima 
metà  di  Giugno  (cfr.  F.  Labruzzi,  Quando 
naoqué  DanU?  nd  iVqpiynatora,  a.  1879, 
ToU  X,  p.  U,  pp.  6  e  sogg.).  — 116.  quegli 
eoo.  il  sde  che  vÌTifioa  totto  le  cose,  eser- 
dte  la  sua  influenza  su  totto  le  cose  creato: 


..•l.Jl"  ■  ^ 


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DIYIKA  COMMEDIA 


117        qnand*  io  senti*  da  prima  1*  aer  tòsco  ; 
e  poi,  quando  mi  fa  grasia  largita 
d'entrar  nell'alta  rota  che  yi  gira, 
120       la  yostra  reg^on  mi  fa  sortita. 
A  voi  deyotamente  ora  sospira 
l'anima  mia  per  acquistar  yirtute 

128  al  passo  fòrte,  che  a  sé  la  tira. 

<  Tu  sei  si  presso  all'  ultima  salute, 

cominciò  Beatrice,  che  tu  dèi 
126        aver  le  luci  tue  chiare  ed  acute. 
E  però,  prima  che  tu  più  t'inlei, 

rimira  in  giù,  e  vedi  quanto  mondo 

129  sotto  li  piedi  già  esser  ti  fei  ; 

si  che  il  tuo  cor,  quantunque  può,  giocondo 
s'appresenti  alla  turba  trion&nte, 
1S2        che  lieta  vien  per  questo  etera  tondo  >• 
Col  viso  ritomai  per  tutte  e  quante 
le  sette  spere,  e  vidi  questo  globo 
185       tal  ch'io  sorrisi  del  suo  vii  sembiante; 
e  quel  consiglio  per  migliore  approbo 
che  l'ha  per  meno;  e  chi  ad  altro  pensa 
188       chiamar  si  può  veracemente  probo. 


etr.  Dmv,  m  12,  IT  28  e  anche  Tomm.  d'Aqo., 
5wwjm,,  P.  n  >•,  qn.  XLvn,  art.  6.  —118. 
Ivan  da  eco.  aUorohé  per  fn^f^  dlTina  ascesi 
si  elei»  stellato,  col  quale  voi  droolate,  mi 
fn  dato  in  sorte  di  aniraie  proprio  in  quella 
parto  che  voi  occupate.  —  121.  k  Tol  eoo. 
Ferdò  adesso  il  mio  pensiero  s' innalza  de- 
Totameate  a  voi,  per  ottenere  quella  Tirtd, 
q afilla  forza  dell'  ingegrno  che  mi  bisogna  a 
dfiSOiiTfire  r  ultima  parte  della  mia  peregri- 
Ttazione  per  i  cieli.  —  123.  al  passe  ecc.  a 
snpom^  la  difficoltà,  che  ora  assorbe  tatta 
la  forza  della  mia  mente;  cfr.  J%r.  x  26-27. 
^  1^.  Tu  sei  ecc.  Tu  sei  ormai  cosi  vidno 
A  Dio,  che  la  toa  yista  deve  esser  sicura  e 
potente  ecc.  Che  l'  %Mima  aalute  sia  Dio  (e 
non  La  visione  finale,  come  spiega  il  Lana, 
uà  r  Empireo  come  rogliono  i  più  dei  mo- 
derni) diiaro  appare  dal  Pctr.  rxxui  27.  — 
136.  In  si  tue  eco.  gli  occhi  non  impediti  da 
alcun  Telo  e  capaci  di  penetrare  sino  alle 
04«e  piti  profonde  ;  allegorioamente  poi  è  da 
intendere  col  Buti  :  e  le  lud  mentali  cioè  la 
TTi^one  e  lo  intelletto  ;  éhian  ciod  non  tur- 
bato da  passione,  ed  aeuie  cioè  sottUi  a  di- 
icomero  e  vedere  le  viltà  del  mondo  ».  — 
127.  prima  occ.  prima  che  tu  arrivi  al  oo- 
sp^^tto  di  Dio,  prima  che  tu  giunga  ali*  ul- 
tìnui  a&luto  :  il  vb.  inleiarai  ò  foggiato  sul 
pronome  personale  M,  come  i  slmili  vb.  in- 
contiad  in  Pcar.  ce  78  e  81.   —   128.   vedi 


eoe.  osserva  quanta  parte  di  mondo  è  quella 
sulla  quale,  guidato  da  me,  tu  ti  sei  solle* 
vato.  L'idea  di  questo  sguardo  geBerala  volto 
dal  dolo  stellato  ai  deli  tottoetantl  tu  cer- 
tamente suggerito  a  Dante  dal  lObaiiifni  8oi- 
pioni»  di  Cicerone,  eap.  m-VL  — 130.  gf  «àe 
ecc.  affinché  il  tuo  onore,  xallegniidod  quanto 
^i6  potrà  per  questa  ascensione,  si  mostri 
giocondo  alle  schiere  trionfati  ohe  lieta- 
mento  vengono  verso  di  noi  In  questo  dolo: 
accenna  al  trionfo  di  Cristo,  che  or  oxm  ap- 
parirà a  Dante  {Bar,  zzm  19-46).  —  132. 
per  f  lesto  eco.  per  questo  ddo  delle  stalle 
fisse.  —  138.  Col  viso  eco.  Con  la  mia  vista 
guardai  uno  dopo  l'altro  i  setto  cieli  già  per- 
corsi, e  vidi  la  terra  nostra  cosi  piooola  al 
confronto  degli  altri  pianeti,  die  io  aonSd 
della  sua  vile  apparen»;  ofir.  Gicerooe,  L 
dt.  :  e  lam  ipsa  terra  tta  mihi  parvm  visa 
est,  ut  me  imperii  nostri  poeniteret  ».  —  ISS. 
quel  eeniigUe  eco.  rioonoeoo  come  ndgllor 
giudizio  quello  che  fa  minore  stima  della 
terra,  e  veramente  buono  ò  quell'  uomo  che 
non  pensa  alle  cose  terrene  e  d  volge  tutto 
alle  cose  odestt  Cloerone,  L  di.  :  «  81  tibi 
[sedes  hominum]  parva  ut  est  videtor,  haeo 
coelestia  semper  speotato,  Illa  umana  con- 
temnito  ».  —  188.  yrobo:  come  frtèUaU  la 
I\Krg,  vn  122  significa  la  virtd,  ooel  fttibo 
equivale  a  virtuoso,  buono,  die  oongiuage 
il  senno  e  la  rettitudine  ;  su  quest'  uso  di 


PARADISO  -  CANTO  XXH 


759 


Vidi  la  figlia  di  Latona  incensa 
senza  quell'ombra,  che  mi  fa  cagione 
141       per  ohe  già  la  credetti  rara  e  densa. 
L'aspetto  del  tao  nato,  Iperione, 
quivi  sostenni,  e  vidi  com*  si  move 
144       circa  e  vicino  a  lui  Maia  e  Dione. 
Quindi  m'apparve  il  temperar  di  Giove 
tra  il  padre  e  il  figlio;  e  quivi  mi  fu  chiare 
147        il  variar  che  feumo  di  lor  dove. 
E  tutti  e  sette  mi  si  dimostrare 
quanto  son  grandi,  e  quanto  son  veloci, 
150       e  come  sono  in  distante  riparo. 
L'aiuola  che  ci  fa  tanto  feroci, 
volgendom'io  con  gli  etemi  Gemelli, 
tutta  m' apparve  dai  colli  alle  foci. 
154    Poscia  rivolsi  gli  occhi  agli  occhi  belli 


prtbo  efr.  Del  Lungo,  Domté^  n  489  e  F»- 
zodi,  BiM,  VI  18.  —  188.  Tldleoo.  Vidi  U 
Luna  (ofr.  Biry.  xx  180,  Br.  x  67)  tatta 
lUomiiiata.  —  140.  Mua  eoo.  eenn  quelle 
maiìchto  ohe  fià  m*  ayerano  latto  oredere 
eh'  ean  fooee  in  aloone  parti  zaxm,  in  altre 
densa  :  questa  opinione  di  Dante  intomo  alla 
cagione  delle  macchie  lonazi  fti  da  Ini  eapzea- 
sa  nel  Cono,  n  14  e  nel  Par,  n  69-60;  ma 
g^  fa  oonftitata  da  Beatrice  (  Par.  n  64- 
106):  cf^.  ra  ciò  G.  ICassoni,  BiM,  VH  236. 
Dal  oielo  delle  stelle  flane  il  poeta  vede 
la  Luna  senza  macchie,  perché  queste,  es- 
sendo determinate  dalla  virtù  mista  dell'  In- 
teUigenxa  ohe  mnore  la  Iona  e  deUa  na- 
tura lunare,  appariscono  solo  da  quella  parte 
dalla  quale  esercita  i  suoi  influssi  quell'  In- 
telligenza, cioè  dalla  parte  della  terra.  ~ 
142.  L' aspetto  eoe.  Vidi  e  potei  sostenere 
l'aspetto  del  Sole,  figlio  di  Iperione  (ofìr. 
OviiUo,  MéL  IT  192:  «Hyperione  nate»;  ir 
241  :  «  Hyperione  natus  »).  Si  avverta  la  par> 
tioolaxità  del  vh.  aodtmgii,  che  conferma  le 
paiole  di  Beatrice  (w.  126-126).  --  148.  e 
Tldl  eco.  e  vidi  moversi  droolaimente  vidni 
al  Sole  i  pianeti  Mercurio  e  Venere  :  ti/roa  in- 
dica il  moto  dei  due  pianeti  per  sé  stessi 
(cfir.  F.  Angelitti,  BuXL  VH  186-187);  vi- 
àkio^  la  loro  prossimità  al  sole;  né  A  può 
quél  0ÌrM  spiegare  per  iinlorw>y  poiché  Ve- 
nere e  Mercurio  girano  sotto  il  Sole.  —  144. 
Mala  •  Dione  j  Maia  è  la  madre  di  Mercurio, 
messa  qui  a  indicare  il  pianeta  che  prende 
il  nome  dal  ilglio  ;  Dione  è  la  madre  di  Ve- 
nere (ofr.  Par,  vm  7),  ricordata  qui  per  la 
stessa  ragione.  —  146.  il  tenperar  eco.  il 
pianeta  Giove,  che  tempera  il  calore  del 
pianeta  Marte  e  la  freddezza  del  pianeta  Sa- 
tuno;  ofr.  il  luogo  del  Cono,  n  14  riferito 
in  i^.  zvm  68.  —  146.  mi  fn  chiaro  eoo. 


mi  apparve  chiaramente  la  ragione  dello  loro 
variazioni,  per  cui  questi  tre  pianeti  si  mo- 
strano ora  pi^  ora  meno  distanti  dal  Sole. 
—  148.  B  tatti  e  Mite  eoo.  Di  tutti  e  sette 
i  pianeti  osservai  la  grandeisa  e  la  velocità 
e  le  distanze  intermedie  ;  ofr.  circa  la  possi- 
hilità  di  fue  queste  osservaiioni,  dò  che 
nota  il  DeUa  Valle,  B  tmuo  googr,  attr,  ecc. 
pp.  117  e  segg.  e  dvppìem,  pp.  62  e  segg.  — 
160.  eose  seme  ecc.  come  sono  collocati  in 
posizioni  distanti  :  r^pofu  significa  qui  il  luogo 
ove  una  cosa  è  ahitnalmente.  — 161.  L'aiuola 
eoo.  Volgendomi  insieme  con  la  oostellaziono 
dei  OemeUi  vidi  tutta  la  terra,  dalle  cime 
pifi  alte  sino  alle  foci  dei  fiumi,  al  maxi.  Dante 
chiama  la  terra  Vaéuola  eh»  ci  fa  tanto  forod 
per  significare  insieme  la  picdolezza  di  que- 
sto nostro  mondo  al  confronto  dell'universo 
{aroótat  piccola  area,  cosi  anohe  nel  Da  mon, 
va.  16)  e  le  amblzioxii  degli  uomini  che  con- 
trastano fieramente  per  il  possesso  di  terrene 
signorie:  «punotum  est  in  quo  bellatis», 
aveva  detto  Seneca  agli  uomini;  e  Dante 
rinnovò  il  concetto  del  filosofo  antico  in  una 
espressione  tutta  moderna.  —  164.  Poscia 
eoo.  Finito  ch'egli  ebbe  di  riguardare  il  mondo 
sottostante  si  rivolse  nuovamente  a  Beatrice, 
della  quale  aspettava  il  cenno  circa  1'  ope- 
rare e  U  parlare;  e  la  vide  ammirare  esta- 
tica verso  il  mezzo  del  cielo.  D  DeUa  Valle, 
1.  dt,  ritenne  ohe  da  questi  verd  finali  si 
potesse  ritrarre  che  i  Gemelli  e  il  Sole  si  tro- 
vassero sul  meridiano  di  Gerusalemme,  donde 
solo  si  poteva  dominare  oon  lo  sguardo  l'emi- 
sfero abitato,  e  che  il  poeta  imagfnasee  d'aver 
veduti  sotto  di  sé  i  sette  pianeti  sullo  stesso 
meridiano  di  Gerusalemme,  e  solo  per  fin- 
zione poetica,  non  per  legge  astronomica,  vi 
ponesse  anche  il  segno  dei  GemellL  Meglio 
considerarono  questo  passo  il  Mossotti,  OpuK^ 


760 


DIVINA  COMMEDIA 


doni,  n*  7,  pp.  87-48,  e  U  Moan,  pp.  144  e 
flegg.,  mettendolo  in  rapporto  con  quello  del 
Far.  ZX7U  79-87:  il  Moore  tpedalmente,  di- 
mortrat»  l'impofliibilità  die  i  QeaeUi  e  il 
Sole  fonerò  sullo  steeeo  meridiano,  poiché 
Dante  era  nei  Gemelli  e  il  Sole  in  Ariete, 
•piega  qneato  pano  nel  eenao  ohe  €  Dante 
Qseerrane  lo  spettacolo  àaì  liitema  tolare  da 


qnahinqne  ponto  dell*  ottavo  delo,  ad  ima 
distanza  infinita  doè,  la  quale  gli  permetterà 
di  Tederà  sulla  terra  la  Uoe,  qoalnnqoe  ella 
fosse,  indipendentsasnte  dal  punto  di  rista 
attoale  ohe  eg^  ood^ara  nell'ottsTo  cdélo  ». 
Ad  ogni  modo  V  ora  di  questo  uessiisiluiif 
sarebbe  il  Msoogiomo,  rispetto  a  Gemsa- 
ofr.  anche  BulL  VUL  204,  IX  144. 


CANTO  xxra 

NelPottaro  olelo  Dante  ammira  il  trionfo  di  Cristo,  ohe  gli  appare  in 
forma  di  splendido  sole  in  mezso  a  nn  infinito  numero  di  lami  ohe  sono  i 
beati  ;  fatto  capace  da  questa  visione  a  sostenere  il  sorriso  di  Beatrice,  si 
volge  a  contemplarne  la  belleiza  ineffabile;  innalzatosi  Cristo  all'Empireo, 
restano  i  beati  che  celebrano  l'apoteosi  di  Maria  Tergine  e  poi  risalgono 
anch'essi  all'Empireo  [14  aprile,  mezzogiorno]. 

Come  l'augello,  intra  l'amate  fronde, 
posato  al  nido  dei  snoi  dolci  nati 
8       la  notte  ohe  le  cose  ci  nasconde, 
ohe,  per  yeder  gli  aspetti  disiati, 
e  per  trovar  lo  cibo  onde  li  pasca, 
6       in  ohe  i  gravi  labor  gli  sono  aggrati, 
previene  il  tempo  in  sn  l'aperta  frasca, 
e  con  ardente  affetto  il  sole  aspetta, 


XXm  1.  Csme  l'ang elio  eoo.  ▲  rappre- 
sentare Beatrice  che  goardava  ansiosa  verso 
il  mezzo  del  cielo,  in  aspettasione  di  nna  mi- 
rabile visione,  nessuna  imagine  avrebbe  po- 
tato scegliere  il  poeto  meglio  di  queste  del- 
l'uccello,  che  dorante  la  netto,  stendo  accanto 
agli  uccellini  nel  nido,  fissa  gli  occhi  verso 
oriento  allettando  col  desiderio  l'aurora  che 
gli  consente  di  rimirare  i  dolci  nati  e  di  usdie 
a  procacciar  loro  il  cibo.  Queste  similitudine, 
lodate  da  tutti  i  commentatori  per  la  genti- 
lezza del  sentimento,  per  la  dolcezza  mito 
del  verso  e  per  l' eleganza  spontanea  e  som* 
plico  delle  espressioni,  ha,  a  giudizio  del 
Biag.,  «  cert'  aria  di  novità,  per  la  quale  ti 
sorprende  e  ti  raddoppia  il  diletto,  ammirando 
corno  ogni  pi6  lieve  atto,  ogni  suo  più  co- 
perto secreto  disvelò  natura  al  depositario 
dei  suoi  misteri  >  :  arto  stopenda  che  qui  si 
leva  a  singolare  altezza,  perchó  per  essa  gli 
affetti  degli  animali  sono  come  oompenetrati 
ed  avvivati  da  un  sentimento  umano,  in  modo 
da  eccitare  nei  lettori  una  commozione  e  in- 
sieme un'  anunirazione  straordinaria.  L'ordine 
delle  idee  nella  prima  parto  della  similitudine 
è  questo  :  Como  l' augello,  coricato  durante 
la  netto  nel  nido  dei  figli,  il  quale  pel  desi- 
derio di  contemplarne  le  sembianze  e  di  pro- 
cacciare il  cibo  onde  li  pasca,  si  sveglia  prima 


di  giorno  ed  eooe  dal  nido  sai  raad  4eQ*  sl- 
bero  ad  aspettare  con  viva  ansU  il  sole,  fl- 
samento  guardando  se  veda  spuntare  l'auvna 
eco.  —  ABato  fronde:  perché  sono  la  sua 
oasa,  la  dimora  alla  quale  è  avvinto;  cfr. 
Stazio,  AchOL  i  216,  deU' uccello  ohe  oeroa 
luogo  adatto  a  nidificarvi  :  «  tandem  daUae 
placet  umbra,  novisque  Vix  stetit  in  ramis, 
et  protinus  arbor  amatui  —  2.  posate  ecc. 
Verso  intessuto  di  rimembranse  virgiliane 
(Owrg.  IV  614:  «ramoquesedens  »,  n  6^: 
e  duloes  natos  »),  ravvivato  dal  profkno  di 
sentimento  che  spira  da  tutte  la  oomparazioae. 
—  8.  U  notte  eco.  dorante  te  notte,  ohe 
nasconde  agli  occhi  nostri  l'aspetto  delle 
cose;  ofr.  Vìrg.,  .fiH.  vi  272:  crebos  nox 
abstulit  atra  colorem  »  :  dal  qual  verso  e  da 
quello  di  Danto  derivarono  imagini  e  eolori 
il  Poliziano,  StanKé,  i  00,  l'Ariosto,  Ori  n 
64,  il  Tasso,  Oer,  «6.  x6ecc— 6.UdM 
ecc.  nella  quale  ricerca  del  cibo  gli  sono  dolci 
le  pi4  gravi  fatiche  ;  tabor  ò  plur.  di  iàbon 
(cfr.  Rirg,  zzn  8);  aggraH  è  agg.  tesmato 
sulla  locuzione  avverbiale  a  grato,  ftequen- 
tissima  negli  antichi  e  non  rara  in  Danto 
(Air.  IV  101,  XXI  22),  accanto  alle  ftasi  con- 
simili a  grado,  in  gnido,  —  7.  previene  eco. 
previene  il  tempo  dell'  alzarsi,  doè  si  kva 
prima  del  porno  ed  esce  dal  nido  soi  lami 


T«r 


PARADISO  —  CANTO  XXin 


761 


9       fiso  guardando  por  ebe  l'alba  nasca; 
cosi  la  donna  mia  si  stava  eretta 
ed  attenta,  rivolta  in  vdr  la  plaga, 
12       sotto  la  quale  il  sol  mostra  men  fretta, 
si  che  veggendola  io  sospesa  e  vaga, 
feoimi  quale  è  quei  che  disiando 
15       altro  vorria  e  sperando  s'appaga. 
Ma  poco  fu  ira  uno  ed  altro  quando 
del  mio  attender,  dioo,  e  del  vedere 
18       lo  del  venir  più  e  più  rischiarando. 
E  Beatrice  disse  :  <  Ecco  le  schiere 
del  trionfo  di  Cristo,  e  tutto  il  frutto 
21       ricolto  del  girar  di  queste  spere  »• 
Pareami  che  il  suo  viso  ardesse  tutto, 
e  gli  occhi  avea  di  letizia  si  pieni 
24       che  passar  mi  convien  sensa  costrutto. 


doU'ftlbeio,  in  aspettaiioii»  dal  lolo.  —  9. 
tao  000.  foardando  wlaiiifliite  w  spanti  l'au- 
ran:  reno  luììliMiiin  oh»  dipingo  1*  neoeno 
tatto  intinto  ft  goaidaie  T«no  Oliente  il  ^imo 
apparile  délln  Inoe  dhunn.  —  10.  «•■f  In 
4*nnn  eoe.  eoil  Beetrioe  eon  la  testa  alta  e 
lo  ignaido  attento  oontem^ra  reno  U  messo 
del  oielo.  —  erelto  ed  attenta  s  Ventoxi  441  : 
€  EnUa  risponde  al  salir  dell'angeUo  sol- 
l'nttima  frasoa;  oMMto,  al  liso  guardar  di 
quello;  aspettando  l'uno  con  ardente aflotto 
il  sole,  l'ahia  oon  desiderio  amoroso  la  vista 
del  Sole  eterno.  S  /be  sta  bene  ad  augello, 
oome  atto  pid  speoiale  del  ooipo  ;  aUmla  sta 
bone  a  Beatrice,  oome  atto  pid  della  mento  ». 
~  11.  In  ^aga  eoo.  Questa  plaga  del  oielo, 
neU*  quale  il  sole  appare  meno  reloee  nel 
suo  ooxso,  è,  seoondo  tutti  quasi  gì'  interpreti 
antìobi  o  moderni,  la  plaga  meridiana,  dorè 
lo  Tediamo  ptf  oomuoo  teonfM  ìmiH  paui 
(  Atfy.  xxxm  lOB)  ;  e  il  Buti  ne  dA  anche  la 
ragione  allegorica,  sorirendo  ohe  «  questo 
finge  l'autore,  perch'  élli  ruolo  mostrare  ohe 
Cristo  oolU  suoi  Apostoli,  oon  tutti  li  beati 
del  yeodhio  Testamento  si  rappreeentino  nel 
cielo  ottaTO,  tra'  quali  Orìsto  splenderà  oome 
e  pid  ohe  '1  Sole;  si  che  degna  cosa  è  ohe 
olii  inga  ohe  Cristo  si  rappresentasse  nel 
measodl  aedo  soprastesse  sopra  tutti  li  beati, 
come  lo  Sole  sta  sopra  noi  quando  è  al  me- 
ridiano». L'Ant.  inyece  erede  ohe  dalla  co- 
steDasione  dei  OemelU  Beatrice  riguardasse 
in  quella  del  Canoro,  eiod  Terso  oriento,  donde 
era  oonTeniento  che  i^arisse  Cristo  trion- 
tent».  —  18.  sospesa  e  ragat  cioè  sospesa 
in  una  eetatica  aspettadone  ;  il  primo  epiteto 
risponde  all'tfratta,  il  seoondo  all'attrito  dei 
TT.  10-11.  —  U.  flMlniI  ecc.  concepii  grande 
speranza  di  Tederò  qualche  mirabile  appari- 


sione  e  mi  troral  nello  stato  di  òhi  deside- 
rando dò  die  non  ha  si  appaga  intanto  nella 
sperann  di  conseguirlo.  —  16.  Ha  poee  ecc. 
Ma  brere  ta  l'interrano  tra  il  momento  in 
cui  inoomindai  ad  aspettare  e  quello  in  cui 
Tidi  illuminarsi  sempre  pid  il  dolo.  —  «le 
ed  altre  qnnnie  s  l' arr.  quando  usato  so- 
stantiyamento  signilioa  il  momento  di  tempo  ; 
cfr.  Far,  xn  12.  —  19.  Keee  le  schiere  ecc. 
Eoeo  Tenire  innanzi  a  noi  la  milizia  dei  beati 
ohe  ftirono  redenti  da  Cristo  trionlisnto;  ecco 
i  beati  die  Tolgendo  al  bene  le  inclinazioni 
naturali  influito  in  eed  da  questi  dell  meri- 
tarono la  gloria  etema.  Queste  è  la  spiega- 
zione pid  comune,  la  quale  sembra  rispondere 
meglio  d' ogni  altra  al  concetto  di  Dante, 
poidié  la  beatitudine  è  firutto  della  redenzione 
(trionfò  di  Oriato)  e  delle  influenze  celesti 
(girar  di  quesU  tftre).  La  maggior  parto  degli 
antidii  commentatori  iutondono,  inTOce  :  Ecco 
tutte  la  milizia  odesto  raccolte  per  seguire 
il  trionfo  di  Cristo  da  tutto  le  sfere  por  le 
quali  era  sparsa;  e  alcuni  pochi  spiegano: 
Ecco  la  milizia  ecc.,  ed  ecco  il  frutto  che  tu, 
Danto,  hai  raccolto  perconendo  questi  cieli  ; 
ma  runa  e  l'altra  sono,  ohi  ben  guardi,  er- 
ronee; la  prima,  perché  la  frase  dtUgkrardi 
qudtU  «pere,  non  pud  significare  da  tutti  qué- 
sti oitU  giranti,  che  Danto  non  aTrebbe  at- 
teggiate oome  prindpale  (del  girar)  un'  idea 
del  tutto  acoeraoria,  anzi  inutile  a  questo 
luogo;  la  seoonda,  perché  qui  non  è  per  Danto 
tutto  U  firutto  del  suo  Tiaggio,  si  nella  Tisione 
di  Dio,  noli'  Empireo.  —  23.  Paxeaal  eoe 
Beatrice,  per  l'accrescersi  della  sua  bellezza 
di  mano  in  mano  che  saliTa  Terso  Dio,  ap- 
parre  a  Danto  cosi  sftiTillanto  di  luce  e  di 
beatitudine  nel  Tolto  e  negli  occhi,  ohe  egU 
non  sa  ridire  quale  ella  fbsse.  —  24.  sensa 


762 


DIVINA  COMMEDU 


Quale  nei  plenilunii  sereni 
Trivla  ride  tra  le  ninfe  eteme, 
27        che  dipingono  il  del  per  tutti  i  seni, 
vid'  io,  sopra  migliaia  di  lucerne, 
un  sol  che  tutte  quante  l'aocendea, 
90       come  fa  il  nostro  le  viste  superne; 
e  per  la  viva  luce  trasparea 
la  lucente  sustanzia,  tanto  chiara 
83       nel  viso  mio  che  non  la  sostenea. 
O  Beatrice,  dolce  guida  e  cara! 
Ella  mi  disse  :  €  Quel  che  ti  sopranza 
86        è  virtù,  da  cui  nulla  si  ripara. 
Quivi  ò  la  sapienza  e  la  possanza 
eh*  apri  le  strade  intra  il  cielo  e  la  terra, 


II 


«Mtnittot  Mnxa  ditcoirenie;  ofr.  Fatr,  zn 
67.  —  26.  Q«a1«  eoo.  Come  noi  plenilonii  se- 
reni ritplende  la  luna  in  meno  aUe  itèUe, 
ohe  Adornano  tutti  gli  spait  oeleeti  eoo.  €  La 
timilitodine  è  proprio  un  rito  oeleete  »  ;  dioe 
il  Venturi  16,  e  Tenmente  non  li  Mprebbe 
quale  altra  additare  come  segno  della  perfe- 
zione dell'  arte  dantesca  ;  perfezione  derivata 
da  on  intimo  senso  della  natura  e  insieme 
dallo  studio  profondo  della  poesia  olassioa  in 
ano  spirito,  come  fte  quello  di  Dente,  tempe- 
rato a  tutte  le  armonie  della  beUena  e  del 
vero.  D.  Competetti,  FtrpOio  nA  mtdUmBOy  I 
266,  ragionando  del  soiitimento  ohe  Dante 
ebbe  della  poesia  antioa,  osserra  :  «  La  sua 
anima  ^  anima  di  poeta  anzi  tutto,  ed  il  sen- 
timento poetioo  lo  aooompagna  sempre  do- 
vunque si  conduca  il  suo  spirito;  la  donna, 
la  patria,  la  natura,  la  fede,  la  scienza,  tatto 
Tede  poetioamente,  di  tutto  sente  profonda- 
mente la  poesia...  L'anima  sua  trovasi  a  quel- 
l'altezza  in  ouÌ  il  sentimento  poetioo  cessa 
dall'essere  unilaterale  e  diviene  universale, 
non  concentrandosi  nella  poesia  di  ona  cosa 
sola,  ma  rendendosi  aperto  all'efficacia  poe- 
tica di  ooee  diverse  :  egli  è  già  quasi  a  livello 
dell'  uomo  moderno  che  sente  la  poesia  di 
Eschilo  e  di  Virgilio,  come  sente  quella  di 
David,  di  Shakespeare  e  di  Goethe.  Questo 
lo  distacca  profondamente  dal  medioevo  mo- 
nastico. È  realmente  tanto  vivace  quel  een- 
tlmento  della  poesia  antica  noli'  anima  sua 
geniale  ed  essonzialmente  poetloa,  oh'  ei  non 
ha  punto  d' uopo  ad  esprimerlo  della  lingua 
e  della  versificazione  latina,  anzi  il  volgare 
è  per  questo,  come  per  ogni  altio  suo  sen- 
tire, r  organo  pi6  simpatico,  il  pM  opportuno, 
come  infatti  è  il  più  naturale.  AUorohé  un 
poeta  sa  coniarvi  di  suo  una  imagine  quale 
ò  quella:  Qìàalé  m'  plmikmii  a&rmd  ecc.  e 
tante  altre  slmili,  vivamente  poetiche,  quali 
da  pid  secoli  niun  versificatore  latino  ne  sa- 


peva creare,  strebbe  vana  cosa  chiedere  se 
quel  poeta  sente  veramente  la  poesia  antica  > . 
—  26.  TrivUi  ò  uno  degU  epiteti  dati dagU 
antichi  a  Diana  ossia  alla  luna  (ofr.  Viig.  A». 
VI  18,  86,  vn  616,  774,  k  637  eoe.;  OvSd., 
MtL  n  416  eoo.).  —  tra  le  aiaft  eoe.  tra  le 
stelle  (ofr.  Pmg.  zzxi  106X  delle  quaU  è  r^ 
gina,  s»eÌ0niin rtgiiMk Naoniis (Orazio,  Ommm 
aoóouL  86):  il  movimento  di  questi  versi  li- 
oordapor  Tovaciaao,  EpotL  xv  1  :  «  Kos  ent, 
et  ooelo  ftdgebat  luna  sereno  Inter  minora 
sidera».  —  27.  per  tittl  i  tmàt  per  tutte 
le  soe  plaghe.  —  28.  vld'  lo  eoo.  vidi  sopra 
migliaia  di  lud  (le  anime  dei  beati)  un  sole 
o  lume  pid  splendente  (Oesd  Cristo),  che  le 
accendeva;  come  il  sole  accende  le  stelle  del 
cielo.  —  80.  eome  fa  eoo.  perché  «  del  lume 
del  sole  tutte  le  altre  stelle  s'iaftomaso» 
(Oom.  n  14).  —  viste:  ofr.  Ftr,  u  116,  xzz 
9.  —  81.  e  per  la  viva  ecc.  e  la  htomvU  jm- 
stafwia,  doè  la  luminosa  figura  di  OrSsto  at- 
traverso la  viva  luce,  ohe  essa  medesima  ir^ 
radiava,  traspariva  tanto  splendida  agii  occhi 
miei  ohe  essi  non  la  sostenevano.  —  84.  O 
Beatrice  eoo.  Ksolamattone  natuzattasima  ohe 
ùk  il  poeta  scrivendo  e  ricordandosi  deDo  spet- 
tacolo, a  rimirare  il  qualo  la  sua  donna  l'aveva 
condotto.  —  86.  Qiiel  eke  ti  eoo.  Ciò  che 
vince  la  tua  vista  è  divina  vlrtfi,  ohe  nessun 
occhio  mortale  può  sostenere;  €è  (dico  il 
Buti)  virtd  divina  ohe  ogni  ecsa  avanza,  e 
però  non  è  meraviglia  s'ella  avanza  la  toa 
virtd  visiva  >.  Il  vb.  Bopranxan^  col  senso 
di  superare,  vincere,  è  della  lingua  antica,  e 
si  trova  anche  in  Par.  zx  97.  ~  87.  4{«lvl 
ecc.  Quivi  è  Gesù  Cristo,  chiamato  da  san 
Paolo,  lEpitL  ai  OormL  i  24:  €  potenza  di 
Dio  e  sapienza  di  Dio  »  ;  il  quale  oon  la  sua 
morte  riapri  agli  uomini  della  terra  le  vie  per 
salire  al  cielo  :  ohe  veramente  s' abbia  a  pr»> 
ferire  la  lesione  pifi  comune  1$  abrade  invece 
dell'altra,  la  ttridOt  è  confermato  dal  passo 


PARADISO  -  CANTO  XXIII 


763 


89       onde  fa  già  si  lunga  disiansa  ». 
Come  foco  di  nube  si  disserra, 
per  dilatarsi  si  che  non  yi  cape, 
42       e  fdor  di  sua  natura  in  giù  s'atterra; 
la  mente  mia  cosi,  tra  quelle  dape 
£itta  più  grande,  di  sé  stessa  uscio, 
45       e,  che  si  fesse,  rimembrar  non  sape. 
€  Ainri  gli  occhi  e  riguarda  qual  son  io  ; 
tu  hai  vedute  cose,  che  possente 
48       sei  fatto  a  sostener  lo  riso  mio  ». 
Io  era  come  quei,  che  si  risente 
di  vision  obblita  e  che  s'ingegna 
61       indamo  di  ridurlasi  alla  mente, 
quando  io  udi'  questa  proflerta,  degna 
di  tanto  grado  che  mai  non  si  estingue 
64       del  libro  che  il  preterito  rassegna. 
Se  mo  sonasser  tutte  quelle  lingue, 
che  Polinnia  con  le  suore  fero 
67       del  latte  lor  dolcissimo  più  pingue, 
per  aiutarmi,  al  millesmo  del  vero 


del  nr,  Tn  110;  senza  diro  ohe  U  frmie  aprir 
fc  akraét  è  tattoia  ▼!▼»  nel  miìw>  di  ristabi- 
ttre  1  nppQrti  cessati  per  la  foenm,  e  pallidi 
par  estonihme  Tale  ter  la  paoe,  stringere  un 
Tineolo  d'antere  eoo.  ~~  89.  o«dt  eoe.  di  che, 
doS  deDa  qnal  pace  tea  la  tetta  e  il  delo, 
gli  QOBiai  proraraiiodeelderio  datante  tempo  : 
«te.  Airy.  z  84-8S.  —  IO.  Come  Amo  eoe. 
Cvam  n  ftiooo  della  fòlgore  si  sprigiona  dalla 
nuvola,  perché  si  dilata  tanto  ohe  non  poA 
Daseriri  pid  contenuto,  e  oontro  la  soa  natum, 
ohe  è  di  salite,  disoende  rono  la  terra.  — 
48.  ìm  Bente  eoo.  cosi  la  nda  niente,  fka 
qoeOe  beatttadini  celesti  diTcnnta  pid  grande, 
ned  di  té  stessa  cioè  dalla  sua  natoral  oon- 
dizione,  e  non  sa  iloordare  die  ooea  fluesse 
In  qoello  stato.  —  dapei  è  il  latino  dapM« 
TìraDde,  col  senso  figurato  di  beatitadini, 
dettile  (die  riempiono  l'anima.  ~~  4A.  Apri 
eoo.  Nel  settimo  dolo  Dante  non  ha  potato 
fissar  Beatrice  negli  occhi  e  nel  volto  (cfr. 
Ar.  ZZI  4  e  segg.);  ma  ora  che  ha  Tednto 
l'attissimo  spettscolo  del  trionfo  di  Oliste  è 
direanto  oi^aoe  di  tale  contemplsiione,  e 
peto  Beatrice  stessa  lo  invita  a  livolgor  gli 
ocehi  in  M.  —  fial  sca  ecc.  qoale  inefl)»- 
W»  beUesia  risplende  nel  mio  volto.  —  49. 
!•  tra  ecc.  ▲  questo  invito  di  Beatiice  Dante 
rimane  come  l' nomo  die,  risentendosi  ancora 
deÌl*lmpioeslcne  d'nn  sogno  svanito,  invano 
■l  Bfofsa  di  ridusl  in  mente  la  visione  pas- 
sata; ripensa  dee  allo  spettacolo  accennato- 
gli dalla  soa  donna  (tu  hai  vtdtUo  9om  ecc.). 


ma  non  riesce  a  ritrailo  appieno  nd  soo  pei^ 
dero,  a  tioordame  tntta  la  gnundena  :  cfr. 
una  similitadine  analoga  in  Par.  zzziii  68 
e  segg.  —  68.  di  tante  eoe  di  tanta  grati- 
todine  die  qndla  profferta  non  d  cancellerà 
mai  dalla  mia  memoria.  —  64.  libro  eco.  La 
memoria  è  il  Ubto  ove  d  teovano  rassegnate 
le  cose  passate  ;  ofir.  F.  N,  ptoemio  :  €  In 
qndla  parte  dd  Ubto  de  la  mia  memoria,  di- 
nand  a  la  quale  poco  d  potrebbe  leggere  » 
ecc.  —  66.  Se  me  ecc.  Se  ora  per  dntarmi  a 
dire  dd  eh'  io  vidi  risonassero  le  lingae  di 
tatti  i  poeti  che  ftirono  inspirati  da  Polinnia 
e  dalle  dtre  Mase,  non  d  ginngerebbe  dia 
milledma  parte  ddla  verità,  cantando  il  santo 
riso  di  Beatrice  eoe  Osserva  il  Ventari  468 
che  questo  modo  di  esprimere  il  concetto  del- 
l' ineflkbilitàè  cornane  a  molti  scrittori;  e  dta 
Omero,  iZ.  n  688:  €  Bastanti  a  questo  Non 
died  lingae  mi  sarlan,  né  died  Bocche,  nò 
voce  por  di  ferreo  petto  »  ;  Virg.  En,  vi  626: 
«Non  mihi  d  lingaae  centum  sint  oraque 
oentum  *  ;  Ovld.,  MtL  vm  683  :  «  Non  mihi 
d  centam  Deus  ora  sonantia  lingnis,  Inge- 
niumque  capaz,  totumque  Helioona  dedi88et>; 
Agostino,  MtdU,  zv  :  «  Etìam  d  angelorum 
sdentia  mihi  foret  et  omnia  membra  mea  ver- 
tarentur  in  lingaas>  ecc.  ~~  66.  Polinnia: 
è  qudla  delle  Muse  ohe  presiedeva  alla  poe- 
sia lirica.  —  fSro  del  latte  eco.  fecero  pin- 
gui dd  loro  latte,  doè  inspirarono  pld  copio- 
samente; cfr.  Purg,  zzn  102.  —  66.  al  mll- 
letme  ecc.  non  s' arriverebbe  ad  esprimer» 


764 


DIVINA  COMMEDIA 


non  si  yerria,  cantando  il  santo  riso, 
GO       e  quanto  il  santo  aspetto  il  fetcea  mero. 
E  cosi,  fignrando  il  paradisO| 
convien  saltar  lo  sacrato  poema, 
63       come  chi  troTa  suo  cammin  reciso. 
Ma  ohi  pensasse  il  ponderoso  tema, 
e  1*  omero  mortai  che  se  ne  oarca, 
66       noi  biasmerebbe,  se  sott'esso  trema. 
Non  ò  pileggìo  da  picoiola  barca 
quel  che  fendendo  va  l'ardita  prora, 
69       né  da  nocchier  eh*  a  sé  medesmo  parca. 
€  Perché  la  &ccia  mia  si  t' innamora 
che  tu  non  ti  rivolgi  al  bel  giardino, 
72       che  sotto  i  raggi  di  Cristo  s' infiora  ? 


una  mfaiimA  parta  del  tsto.  —  60.  «sataa4« 
eoo.  Due  fono  le  idee  ohe  Dante  mot  met- 
ter» in  rUiero  :  il  aanto  riso  di  Beetdoe  e 
raooreooliiiento  di  gioia  o  di  Inoe  oagionato 
dalla  preaonza  di  Cristo;  perO,  tenendo  la  le- 
dono dei  migliori  testi,  si  syie^  :  a  oantaie, 
a  deooriTOie  in  tusÌ  il  munto  ri»  di  Beatrice 
eqnanto  esso  «mto  fiso  fosse  reeo  più  sfisyiUan- 
te,  «Mro  (cfr.  Air.  ZI  18,  znii  66,  xxx  69),  dalla 
looe  difltasa  dal  «Mida^pMfls  di  Cristo.  I  più 
leggono  Eqwmh  Ummto  atfttto  fama  miro, 
cioè  qnanto  il  riso  iUnmlaasse  il  rotto  di  Bear 
trioe;  ma  saxebbe  un'  inutile  esiriloadone  delle 
parole  pzeoedentl,  ohe  laseeiebbe  inoompinta 
la  pittura  ohe  il  poeta  ebbe  in  animo  di  Ito 
di  BeatriM,  non  per  s6  stessa,  ma  in  tela- 
rione  a  tutto  old  ohe  la  eizooadara  in  para- 
diso. —  61.  I  sMf  eoo.  E  oosi  nella  desori- 
rione  del  paradiso  bisogna  ohe  il  poema  sacro 
sonroli  sn  qnalohe  partioolan  ineflEàbile,  come 
ohi  trova  rotta  la  sua  strada  deve  saltare  Tim- 
pedimento.  Qoeeto  ayrertimento  si  riferisoe 
non  solo  si  riso  di  Beatrioe,  ma  anohe  alle 
altre  oose  straordinarie  vedute  da  Dante  e 
da  Ini  non  sapute  deserivare  pienamente  (cflr. 
Bkt,  zzrr  26,  zzz  22-80,  tttt  186-188,  xznu 
66,  121-12B).  —  62.  lo  saerato  poeaa:  efì*. 
Bkt,  zxt  1.  —  68.  e*BM  eoo.  La  slmilitadine 
è  tolta  dall'atto  del  viandante,  ohe,  trovando 
la  via  attraversata  da  nn  oorso  d'aoqaa(<»m- 
fimi  retfiBo,  strada  tagliata,  olir,  il  vb.  fMdm 
in  Inf»  VII  100),  è  costretto  a  passare  oltre 
con  nn  salto;  cosi  il  poeta,  non  sapendo  de- 
scrivere alcone  delle  ooee  mirabili  del  para- 
diso, trasoorre  sansa  lérmaisi  sopra  di  esse. 
~~  64.  ehi  fensasse  eco.  ohi  considerasse 
qnal  ponderoso  tema,  qnal  diffldle  argomento 
io  abbia  preso  a  trattare  con  intelletto  moiw 
tale  (ofr.  Par.  n  1-16),  non  mi  biasimerebbe 
vedendomi  qualche  volta  incerto  davanti  alle 
difflodlth  straordinarie  di  esso.  Bipete  indi- 


rettamente rammonimento  orariano,  ArLpotL 
88:  €  Sumite  nuiteriam  veetris,  qni  scriUtis, 
aeqnaa  Tlribns,  et  versate  din,  qnid  fém 
reonsent,  Qnid  valeant  hnmeri  :  eoi  laeta  po> 
tenter  erit  ree  Noe  fhonndia  deserei  hnac, 
neo  Inddns  ordo  ».  —  67.  Hm  è  fileggia 
eoo.  È  manifèsto  ohe  Dante  vnol  eeprimere 
qni  lo  stesso  oonoetto  del  lìar,  n  1-7,  e  per& 
questa  terzina  significa  :  Quello  ohe  la  mia 
ttràUa  prora  m  fmdmdo  (l'aigomenta  cèa  il 
mio  ingegno  ha  osato  di  trattare)  fiof»  4  ^Oiy- 
gio  dajricoiola  tarso,  non  è  tragitto  poMiMle 
a  una  barchetta  (non  pud  essere  oomproso  da 
un  ingegno  volgare)  ni  da  noeekSer  cV  a  9i 
mtittmo  jpsnMi,  ohe  risparmi  quanto  ptt  può 
le  sue  fono  (né  da  ohi  non  sappia  afiatloarsi 
per  intenders).  La  dlfllooUà  maggiore  è  nel 
nome  pUeggiOt  ohe  pare  certo  unn  ridusone 
fiorentina  del  lat  mediosfvala  parigimn,  tra- 
gitto marino,  traversata  di  alto  mare  (pareg-' 
gio  in  questo  senso  4  in  un  rimatore  pisano, 
VaL  I  402),  storpiato  nelle  pid  strane  guise 
dai  copisti  :  oosi  il  pikggio  di  queste  tetxina 
risponde  all'ooTua  del  Ah-,  n  7;  come  Por- 
àita  prora  ohe  lo  «a  fmdmio  è  il  lagr»  dbs 
oamàànào  «art»  del  PSr.  n  8.  —  69.  Aé  ia 
naeshler  eco.  n6  da  nocchiero  timido  e  ine- 
sperto, di  quelli  ohe  ^  pietMa  terw  {Fm. 
n  1)  hanno  tentato  di  seguire  Danto  :  a  si 
mtiemno  parca  è  loousione  derivate  dal  lat. 
tibimd  ipsi  paroan,  ool  senso  di  rispandazsi 
le  tetiohe  ohe  sarebbero  neoeswarie  per  con- 
seguire uno  scopo.  —  70.  Perelitf  eoo.  Men- 
tre Danto  guarda  estatioo  nel  volto  di  Bea- 
trice, essa  lo  richiama  a  contemplare  lo  spet- 
taoolo  del  beati  illuminati  dal  raggio  divino, 
in  messo  ai  quali  spiccano  la  Veigine  e  gli 
▲postolL  —  71.  al  ksl  gUrdlMeocalooio 
dei  beati,  €  perpetui  fiori  dell'etema  letlsia  » 
{Par,  XIX  22),  i  qiaU  sotto  i  reggi  di  GUsto 
risplendono,  eooM  i  fiori  di  u  giardino  s'ab- 


PARADISO  -  CANTO  XXIH 


76B 


76 


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87 


Quivi  è  la  rosa,  in  che  il  Verbo  divino 
carne  si  fece;  quivi  son  li  gigli, 
al  cui  odor  si  prese  il  buon  cammino  »• 

Cosi  Beatrice;  ed  io,  eh' a' suoi  consigli 
tutto  era  pronto,  ancora  mi  rendei 
alla  battagHa  dei  deblH  cigli 

Come  a  raggio  di  sol,  ohe  puro  mèi 
per  fratta  nube,  già  prato  di  fiori 
vider,  coperti  d* ombra,  gli  occhi  miei; 

vid'io  cosi  più  turbe  di  splendori 
folgorati  di  su  da  rag^  ardenti, 
sensa  veder  principio  dei  ftdgori. 

0  benigna  virtù  che  si  gP  impronti, 
su  t'esaltasti  per  largirmi  loco 
agli  occhi  li,  ohe  non  eran  possenti 

H  nome  del  bel  fior,  ch'io  sempre  invoco 


beIBsooBo  «Da  faiw  4el  iole.  —  78.  U  rMa 
•oc  la  VetgtaiA  Maria,  la  rofa  myatioa,  nella 
quale  s'iaoaniò  11  Vaibo  dlrtno;  ofr.  Qio- 
TmnBi  I  14:  € Bi il  Vaibo è  ttsto  ftitto oania, 
•d^aUtatofranol»;  Faudo,  IEpid.aT^ 
mail»  m  16  :  «  Iddio  è  stato  nanUiBitato  in 
eaniA».  —  74.  Il  gif  U  aoo.  gU  Apostoli  oh» 
con  la  predioadone  e  l' esempio  Tolsero  f^ 
«oainl  alla  Tora  religione.  Lana  :  «  È  da  sap 
pere  elie  *1  giglio  hàe  tre  oondiaioni:  runa 
ohe  h  di  ftiofi  Uaneo,  e  questo  signiftoa  la 
poritade  e  la  fide;  l'altra,  ohe  è  dentro  rer- 
nd^ks  e  questo  algnifloa  la  inoorrottihilitade 
e  la  oaiitade;  Tahra  si  è  l'odore,  e  questo 
aigììiilca  ia  piedioacione  e  la  speransa;  or 
qvesto  oondixioni  teono  nelU  Apostoli  beati, 
e  però  rantor»  li  spella  gigli  >.  Meno  bene 
i  moderni  intendono  dei  santi  in  genere.  — 
—  77.  aBeera  eoo.  di  nnoro  mi  volsi  a  oon* 
templare  eoi  deboli  ooohi  quello  spettaoolo 
diriao.  €  Nota  haUagUa^  in  quanto  la  eooel- 
lenxa  combatto  oon  la  Tirtd  visiva  »  ;  cosi  il 
Lana;  e  infatti,  sebben  Danto  aveva  perle 
cose  veduto  aoquistato  novello  vigore  (w. 
47-48),  non  osa  in  grado  di  sostonere  la  kh 
etnU  mukmxia  (w.  88-88).  >-  79.  Cene  a 
raggle  eoo.  Gesù  Cristo  s*  era  inalzato  tanto 
ohe  Danto  non  poteva  pi4  voderio,  ma  i  suoi 
raggi  ffluminarano  ancora  dall'alto  le  anime 
beato  :  questo  stato  suggerisce  al  poeto  la 
stupenda  imagine  dei  raggi  solari,  ohe  pene- 
trando a  tiaverso  una  nube  squarciate  ri- 
oopvQiio  di  béanea  luce  il  luogo  sottostante, 
sebbene  il  soie  non  apparisca;  imagine  còlte 
dal  vero  e  rsea  con  finissimi  tratti,  che  man- 
cano neU'imitasione  del  Freni,  Quadr,  i  U, 
eooloKite  e  dimeesa  :  «  Come  quando  il  sole 
Tea  le  men  folto  nubi  ^aige  il  raggio,  Che 
quasi  strada  in  del  apparir  suole  ».  —  che 
pnre  eoe.  che  esoa  luminoso  da  una  nuvola 


squarciate  (per  fl  vb.  mmn  ofr.  Air.  xm6S>. 
IM  fenomeno,  nel  suol  eflétti  di  luce,  scrive 
Leon,  da  Vind,  TraU,  détta  pietra  ni  448: 
€  I  xaggt  solari,  penetratori  dee^  spiraceli  in- 
terposti infta  le  varie  densità  e  globosttà  dei 
navoU,  niuniinano  tatti  I  dti  dove  si  tagliano, 
ed  illuminano  anche  le  tenebre,  e  tingono  di 
sé  tutti  i  luoghi  oscuri  che  sono  dopo  loro, 
le  quali  osourite  si  dimostrano  infra  gli  in- 
tervalli di  cesi  raggi  solari  ».— 80.  già  prato 
eoo.  i  misi  occhi,  «ipmrH  d^ombra,  ombrati 
dalle  nuvole,  videro  già  un  prato  fiorito  ilhi- 
minard  sotto  fl  raggio  eoo.  Altri,  meno  bene, 
leggono  ec^MTto,  riferendo  al  prato  una  droo- 
stannsuperilua;  ofr.  BuU.  1 42.  — 82.  vld'le 
ecc.  per  tei  modo  io  vidi  parecchie  schiere  di 
beati  illuminati  dai  raggi  scendenti  dall'  alto, 
senza  che  apparisse  il  principio  della  luce. 
Ciroa  il  dimlftirato  di  queste  comunicadone 
deUa-lnoe  divina  al  beati  d  ofr.  dò  che  scrive 
Tomm.  d'Aquino,  Smmn,  P.  I,  qu.  xn,  art  6  : 
«  Ipeum  intdligibile  vocatur  lumen,  vd  lux. 
Et  istud  lumen  est  de  quo  dldtoi  Apoe,  xxx 
28,  quod  tiarUtti  Dd  UktmbìàbU  «mi,  sdUoet 
sodetetem  beatorum  Deum  videntinm.  Bt  se- 
onndum  hoc  lumen  effiduntur  ddfòrmes,  idest 
Dee  slmUes  ».  —  88.  folgorati  eoo.  illumina- 
ti, ricoperti  di  folgori  procedenti  da  raggi  che 
cadevano  dall'alto,  ma  dd  quali  fblgori  non 
d  vedeva  U  prindpio  :  questo  prinolplo  dti 
fìélgoH  era  Cristo  sollevstod  in  dto.  —  86. 
0  bealgaa  ecc.  0  Cristo,  che  diffondi  fl  tao 
fulgore  sui  beati,  ta  ti  levasti  in  alto  perché 
i  mid  occhi  non  ancora  jmswiW,  ospad  a  so- 
stenere direttamento  la  tua  luce,  potessero 
vederla  diJhisa  sulle  anime.  —  ^^Imprentl  x 
ofir.  Piar,  vn  09.  —  88.  larglnd  lecos  1»- 
sdaimi  l'oocadone,  il  iMdo;  ofr.  una  simile 
espreedone  in  I^trg,  zmn  7.  —  88.  II  nome 
ecc.  Deserive  or  Danto  l'apoteod  di  Xsria 


766 


DmNA  COMMEDIA 


e  mane  e  aerai  tatto  mi  xistrìnae 
90       l'animo  ad  avvisar  lo  maggior  foco. 
E  come  ambo  le  loci  mi  dipinse 
il  quale  e  il  quanto  della  viva  stella, 
93       che  là  su  vinoCi  come  qna  giù  vinse, 
per  entro  il  .cielo  scese  una  fiu^ella, 
formata  in  cerchio  a  guisa  di  corona, 
96       e  cinsela,  e  girossi  intomo  ad  ella. 
Qualunque  melodia  più  dolce  suona 
qua  giù,  e  più  a  sé  l'anima  tira, 
99       parrebbe  nube  che  squarciata  tuona, 
comparata  al  sonar  di  quella  lira, 
onde  si  coronava  il  bel  laffiro, 
102       del  quale  il  del  più  chiaro  s'insaffira. 
«  Io  sono  amore  angelico,  che  giro 


Vergine,  ohe  gli  appailT»  pl4  luminoie  delle 
•lire  anime  beate,  e  oome  rezoengelo  Qabrielo 
diioeeo  dall'alto  gixaaee  intomo  a  lei  doloe- 
mento  cantando  mentre  le  anime  inTooaTano 
il  nome  della  madie  diTina.  Dioe  adanqne  : 
n  nome  della  xeea  pzonnnoiato  da  Beatrice 
(t.  78)  per  indioaie  Hada  Veigine,  ohe  io 
invoco  nelle  mie  preghiere  mattatine  e  serali, 
fece  rivolgere  tatta  la  mia  attendone  a  oon- 
sldeiare  h  maggior  foeo^  la  iooe  più  splen- 
dente, ohe  lo  bene  intenderà  dover  essere  la 
madre  di  Dio.  Alooni  testi,  portano,  meno 
bene.  La  hu$  dd  bel  fior  eoo.  ;  ma  non  è  la 
maggior  luce  ohe  tragga  Dante  ad  eseisar  io 
wtoffgior  foco  ;  si  il  nome  della  rosa  ohe  gli 
fa  rioonosoere  nel  maggior  foco  ia  Vergine 
Maria.  —  90.  arrisart  è  id4  drt  semplice 
«•dir»,  e  significa  l'attento  riguardare  per  li- 
conosoere  qnale  fosse  il  maggior  foco  in  messo 
a  tatti  qnei  lami;  cfr.  ^.  xn  28,  seziv  28 
ecc.  ~~  91.  I  eeme  eoo.  E  i^pena  die  i  miei 
occhi  ebbero  percepito  il  quak  •  il  fuofito,  la 
qualità  e  la  quantità  della  luce  di  Maria  eoe; 
e  dice  che  la  loco  vivissima  e  intensa  fl^  di- 
pinse gli  occhi,  raggiò  dentro  gli  occhi  esoi, 
«  per  mostrare,  nota  il  Bati,  ohe  questa  ta 
grasia  intasa  a  lai  da  la  Vergine  Maria  ne 
la  mento  sna  >.  —  92.  stellat  ona  delle  ima- 
gini  sotto  le  quali  ia  chiesa  saluta  ia  madie 
di  Dio  :  Avt»  mun$  mUIIo^  Dd  mattrakna  ecc. 
98.  ehe  là  se  ecc.  ohe  vince  in  delo  tutti  i 
beati  per  lo  splendore,  oome  nel  mondo  su- 
però tutti  gli  esseri  umani  di  graiia  e  di  virtù. 
—  94.  per  emtre  ecc.  per  il  oielo  discsee  una 
luce,  la  quale  aveva  forma  di  corona  oiroo- 
lare,  e  ricinse  la  Veigine  e  intomo  ad  essa 
s'aggirò.  Non  s'intenda  con  molti  oosunen- 
tatori  che  la  luce  venute  dall'alto  prendesse 
forma  droolare  nel  girare  velocemento  intomo 
a  Maria  :  già  aveva  queste  forma  quando  di- 
soese,  essendo  formala  in  ofraàto;  e  tale  es- 


sendo diaoese  in  modo  ohe  lo  wtt^gghr  /bas  ri- 
manesse oosqpreeo  in  meno,  e  «miinflià  ai 
aggirand  intocne  ad  esso,  come  oeiohio  gira 
intomo  al  osntre.  —  un  flMellas  èraieaa- 
geto  Qahiiele,  il  quale,  con»  tn.  eletto  ad  aa- 
nnmlare  in  tene  a  Maria  la  volontà  dsl  Si- 
gnore {ott.  A«y.  X  84-40),  oosf  in  delo  ha 
r  oflloio  di  riosntarle  l' antioo  saluto  (of)r.  Ar. 
zzzn  94-96,  lOH-K»,  106-Ul).  H  nome  fif 
ofUs,  non  è  inntile  avvertirlo»  ha  qui  il  senso 
geosdoo  di  luoe,  splsadoee  (cfr.  A«f  .  vm 
88,  Far.  dc  29,  zvm  70).  —  98.  a  giden  41 
eereaat  ihtte  a  modo  di  ghidanda;  «staii- 
litudine  sommamente  gentile  (cosi  il  Venturi 
488),  la  quale  trae  daUo  splendor  d'usa  teoe 

l'imagine  deU'alfetto  e  della  vite» 97. 

4|enlinfne  ecc.  Le  ptd  dold  melodie  dM  poe- 
sano  risonare  qui  in  tscra  e  aUsttare  rmslme 
nostro  sembrerebbero  eohlanti  di  talmiae,  pa- 
ngonandole  al  canto  dell'aioangeto  Qabdele. 
—  99.  parrebbe  eoe.  «  Vivissima  per  antitesi 
è  U  similitQdine  »»  dioe  U  Ventui  68^  •  note 
ohe  se  uè  rioordò  7.  Ubecti,  DùL  m  22  : 
€  Quei  versi  ndlL..  Oon  tante  sMlodla  ok'io 
potrai  dire  Ohe  qnei  di  qua  tra  kr  pacrebboa 
stridi  »,  e  forse  anche  I.  Tasso  Gtr.  Hb,  zrv 
6:  «S  in  suono,  a  lato  a  eoi  sarebbe  rooo 
Quel  pi4  doloe  è  qua  giA,  parlar  l'udia  ».  — 
100.  al  soHir  eoo.  al('aimonte  di  quel  canto, 
del  canto  di  Gabriele;  ofr.  Ar.  xv  4.  —  lOL 
•ade  eoo.  dal  quale  angelo  era  oiieoBdatA  la 
Vergine,  11  pid  luosato  safBio  ohe  riepilemda 
in  cielo.  —  108.  le  isne  eoo.  Qnerto  canto 
dell'aioangdo  Gabriele  è  da  paragonare  oca 
le  perole  ohe  di  Ini  dioe  a  Dante  san  Ber- 
nardo nel  Bar,  xxxn  109-114;  e  dal 
gone  esce  manifesto  11  sanse  di  <; 
Sono  tra  f^  angeli  plsne  di 
asMue  to  die  m'aggiro  intorno  alla  beetlsslma 
madre  dd  nostro  signore  Gesù  Cristo  e  nd 
aggirerò  intorno  a  Id  flnohd  dia  sesoirà  fl 


PARADISO  -  CANTO  XXIH  7G7 

l'alta  letizia  ohe  spira  del  ventre, 
105        elle  fa  albergo  del  nostro  disiro; 
e  girerommi,  donna  del  deli  mentre 
ohe  seguirai  tao  figlio,  e  £Eirai  dia 
103       più  la  spera  suprema,  perché  gli  entre  ». 
Cosi  la  circulata  melodia 
si  sigillava,  e  tutti  gli  altri  lumi 
111        facean  sonar  lo  nome  di  Maria. 
Lo  real  manto  di  tutti  i  volumi 
del  mondo,  ohe  più  ferve  e  più  s'avviva 
114       nell'alito  di  Dìo  e  nei  oostumi, 
avea  sopra  di  noi  l'interna  riva 
tanto  distante  che  la  sua  parvenza 
117        là  dov'io  era  ancor  non  m'appariva; 
però  non  ebber  gli  occhi  miei  potenza 
di  seguitar  la  coronata  fiamma, 
120        ohe  si  levò  appresso  sua  semenza. 
E  come  fiEUitolin,  che  in  vdr  la  mamma 
tende  le  braccia  poi  ohe  il  latte  prese, 
123      «per  l'animo  ohe  in  fin  di  fuor  s'infiamma; 
oiasoun  di  quei  candori  in  su  si  stese 
oon  la  sua  fiamma,  si  ohe  l'alto  affetto, 

flgliiiolo,  risalito  nell'Emplieo,  eandià  »  fiur  Dio  ò  più  ferFonte  d'amore  o  splendonte  di 

più  bella  quella  niprema  sfera,  ool  soo  en-  più  Tira  luce.  --  116.  aiea  sopra  eoo.  n 

trmrri,  entrandoTi  anoh*  essa.  Alcani  inten-  Primo  Mobile  avera  la  sua  interior  cavità 

dono  cmgeUoo  amon  per  angelo  ohe  rappre-  tanto  lontana  da  noi,  ohe  eravamo  nel  cielo 

senta  Tanore  di  tntti  gli  altri  angeli;  ma  ò  ottavo,  ohe  non  si  rodeva  ancora.  —  118. 

interpretazione  inesatta.  —  lOA.  l'alta  eoo.  pari  eoo.  per  tale  lontananza,  i  miei  occhi 

la  Vergine  beata,  dal  cni  grembo,  che  ta.  al-  non  ebber  potenza  di  tener  dietro  a  Maria 

bergo  eoo.,  spira  altissima  beatitadine.  —  Vergine  ohe  s' innalzò  dietro  a  Oes6  Cristo. 

106.  BMatre  ékèt  ott.  Inf,  zzzni  182.  —  —  119.  U  «•renato  flanuaa:  la  loco  di  Ma- 

107.  dia  t  ofr.  Piar,  xiv  84.  —  108.  perehé  ria  droondata,  come  d'nna  corona  (y.  96),  da 
gli  entre  s  per  il  fatto  ohe  ta  vi  entri;  snl  quella  dell'arcangelo  Gabriele.  — 121.  E  come 
valore  del  gU  ofr.  B^f.  xzm  64.  —  109.  Cos£  eoo.  E  come  il  bambino,  ohe  dopo  aver  sao- 
eoc.  Oosi  si  conefaindeva  il  canto  dell'angelo,  chiato  il  latte  si  volge  Torso  la  madre  in  te- 
che girava  intomo  a  Maria,  e  tatti  f^  altri  nero  atto  d'amore  e  di  gratitadine,  cosi  qaei 
beati  r  accompagnavano  rispondendo  Ave»  beati  si  Tolsero  a  Moria  ecc.  —  mamma: 
Maria,  ~  112.  Le  real  mante  eco.  Questo  notali  Ventorì  190  questa  parola  e  che  Dante 
mosOo  rsojf  ohe  ricopre  lutti  <fw<timi  <U  mondo  nel  sno  Da  Vulg,  éloq.  dice  non  potersi  usare 
ò,  secondo  U  maggior  parte  dei  commenta-  nel  Tolgare  illustre,  e  la  condanna  proptor  sui 
tori,  il  nono  cielo  o  Primo  Mobile,  il  quale  nmpUeiUUmn  (n  7);  e  pure  cinque  volte  la 
entro  di  sé  comprende  f^  otto  cieli  mobili  usa  nel  poema  »,  cioè  in  Inf,  zxm  9,  Purg, 
sotfeoatanti,  quelli  che  sono  in  relazione  di-  xxx  97,  xzz  44,  Fùr,  xiv  64,  e  qui;  e  sog- 
retta  col  mondo  degli  uomini,  e  per  essere  giunge  :  «  Lui  fortunato,  ohe  poetando  a  quel 
più  Ticino  all'  Empireo,  sede  di  Dio,  riceve  modo  che  amore  gli  dettava  dentro,  non  ri- 
immediatamente r  impulso  e  la  regola  del  suo  cordò  le  teoriche  insognate  in  prosa;  e  for- 
movimento  da  Dio  stesso  :  questa  interpreta-  tunato  eziandio  ohi  sa  rettamente  giovarsi  di 
rione  è  confermata  dalle  parole  del  Cbnv.  a  tale  esempio  1  »  •—  123.  fer  l'animo  eoe  per 
A,  ove  è  detto  che  il  Primo  Mobile  ha  «  ve-  un  sentimento  d'amore  e  di  gratitadine  che 
looissimo  movimento  >  e  «  fsrventissimo  ap-  si  manifesta  vivamente  negli  atti  esteriori.  ~~ 
petito»,  dee  JM6  s'ovvìm  epfó/SrM  noli'  i-  124.  ciasenn  ecc.  ciascuno  di  quelli  spiriti 
frazione  e  negli  atti  di  Dio.  Altri  credono  laminosi  si  volse  in  alto  con  la  propria  flam- 
ehn  sia  l'Empireo,  oàe  come  sede  propria  di  miw  si  ohe  mi  fa  manifesto  il  protondo  «flstte 


768  DIVINA  COMMEDIA 


126       ch'egli  ayeano  a  Mariai  mi  fti  palese. 
Indi  rimaser  li  nel  mio  cospetto, 
Regina  eoeU  cantando  si  dolce 
129       che  mal  da  me  non  si  parti  il  diletto. 
Oh  quanta  è  Pubertà  che  si  8o£Eblce 
in  quell'arche-  ricchissime,  che  fòro 
182       a  seminar  qua  giù  buone  bobolce! 
Quivi  si  vive  e  gode  del  tesoro 
che  s'acquistò  piangraido  nell'esilio 
135       di  Babilon,  dove  si  lasciò  l'oro. 
Quivi  trionfa,  sotto  l'alto  filio 
di  Dio  e  di  Maria,  di  sua  vittoria, 
e  con  l'antico  e  col  nuovo  concilio 
139    colui  che  tien  le  chiavi  di  tal  gloria. 
eh*  etil  ftTerano  per  la  Veigina  lUzUu  —      dono  dal  leiaro  aoqvlitato  con  ■*^*»*«»^  ndla 


128.  BafUa  aoo.  intonando  l'antifona  Byfcia  Tita  tecrena,  nella  quale  non  ooncono  ì»  ii6- 
coeUt  kulan,  aUtMa,  oon  tuita  ddoeaa  di  ohenee  gU  altri  beni  fiOlaai.  Onesta  è  la  ptt 
canto,  die  aaooia  limona  dentro  a  me;  ofr.  e«pliee  e  nenale  fpiegarione  della  tendna;  a 
Purg.  n  114.  ~~  180.  Oh  fvanta  eoo.  Oh  Qhiùir  la  qnale  ò  da  srrertire  con  Benr.  èbe 
qnanto  glande  è  la  beatitadine  che  si  zaooo-  VmOio  di  BoòOon  (ofir.  ZIB»  xxr  1  •  aegg., 
glie  in  quelle  anime  bealinlme,  le  qoatt  eep-  Geramia  lo  8  e  segg.)  qni  signifloa  la  pere- 
pero  gnadagnaxla  qni  in  tana  oon  le  buone  grinarionedegH  nomini  saHatena^néDagaale 
opere  I  Qualche  difficoltà  in  qneeta  terrina,  siamo  qnaii  esolL  D  Lomb.  per  fl  primo  legò 
di  lenBo  del  reeto  ofaiarimlmo,  è  offerta  dalle  qnoita  terrina  oon  la  iegoente  spiegando 
parole  wffoké  eftoòofe*,  eolie  qnaU  gl'Inter-  ^QttM  eohii  ehó  Um  U  «Mosf  dilalghria, 
preti  sono  dieoordi;  ma  ti  aoifoìM  è  certo  lo  a.  Pietro,  «i^mit,  te  la  gode,  e  wim  dA  Utan 
steeso  fSh»  ti  toifetge  dell'JnA  zza  6,  e  non  celeste,  dto  t^aeqvàMpitmgéììdù  màIPtmiio  otc 
pnò  valere  altro  che  ti  miÙmw,  è  totttmUa^  nel  mondano  esUio,  07*01^  non  oarossi  d'oro 
e,  riferito  ad  arche,  h  oontoiwto:  qnanto  a  n6  d'argento  :  fuM  eoMo  Vtito  fOio  eoe  sotto 
UMm,  secondo  l  pid,  è  fémm.  di  òoMoo,  lat.  di  Qesd  GUato,  •  ùoffmàiùt  eoo.  colle  coeri- 
hvbukmt^  e  Tale  layoiatrioi  di  terra,  semina-  tire  de'  beati  del  vecchio  e  nnovo  Testa- 
trid  ;  poiché  è  manifosto  che  Dante  ebbe  il  mento,  Mm/b  di  tua  vittoria.  —  186.  4^lvl 
pensiero  al  detto  evangelico  (Paolo,  Ep,  ti  Irianfa  ecc.  In  psradiso  ttionlk  sotto  Oesd 
Qatati,  VI  8)  «  òhi  eemina  allo  Spirito,  mie-  Oristo  e  in  compagnia  dei  beati  deH'sntico  e 
torà  dallo  Spirito  vita  etema  »:  invece  secon-  nnovo  Testamento  san  Pietro,  al  qnale  Ai- 
do U  Parodi,  Butf.  m  IO,  «  Mote  vale  sen-  rono  siBdate  le  chiavi  del  regno  dei  deli  (cfr. 
za  dubbio  «M^po,  pesto  di  tana  da  arare  e  llatteo  zvi  19).  —  137.  41  saa  vltterla:  di 
seminare,  e  di  oni  è  propria  Vvòmià  >.  — 188.  qnella  riportata  od  diacene  dd  beni  BMUfc- 
<tnlvl  eoe.  In  paradiso  le  anime  vivono  e  go-  dani  (ofr.  Ftt,  zzn  88X 


CANTO  XXIV 

A  richiesta  di  Beatrice,  san  Pietro  interroga  Dante  intorao  alla  fede;  e 
alle  relative  domande  il  poeta  risponde  ohe  cosa  sia  la  fede,  eome  egH  la 
possegga,  da  qnal  fente  1*  abbia  derivata,  sa  che  si  fendi  e  qnale  ne  sia 
l'oggetto;  e  l'apostolo,  per  segno  della  sua  approvaiione,  imparte  a  Dante 
la  benediEione  [U  aprile,  ore  pomeridiane]. 

«  0  sodaliaio  eletto  alla  gran  oena 

del  benedetto  agnello,  il  qual  vi  ciba 

XSTV  1.  0  sedallsio  eoo.  0  oompsgnia  dii  mangerà  del  pane  nd  regno  di  Die»; 

dd  beati,  eletti  dia  gran  oena  ddla  grada  ApoooL  ziz  9  :  «  Beati  odoro  ohe  sono  cU»- 

divina.  L' espressione  dantesca  è  rimembran-  matt  alla  oena  delle  noaie  deU' Agnello  »  ess. 

sa  di  ficad bibliche;  ofir.  Lnca  zrv  16:  «  Beato  —  2.  11  qnal  ecc.  perché  la  grazia  divias 


PARADISO  —  CANTO  XXIV 


769 


8  si  che  la  vostra  yoglia  è  sempre  piena; 
se  per  grazia  di  Dio  questi  preliba 

di  quel  che  cade  della  vostra  mensai 
6       prima  che  morte  tempo  gli  presoriba, 
ponete  mente  all'affezione  immensa, 
e  roratelo  alquanto:  voi  bevete 

9  sempre  del  fonte,  onde  vien  quel  ch'ei  pensa  >. 
Cosi  Beatrice:  e  quelle  anime  liete 

si  fero  spere  sopra  fissi  poli, 
12       fiammando  forte  a  guisa  di  comete. 
£  come  cerchi  in  tempra  d'orinoli 
si  giran  si  che  il  primo,  a  chi  pon  mente, 
16       quieto  pare,  e  l'ultimo  che  voU, 
cosi  quelle  carole  differente- 


•flsendo  infinita  Vasta  a  todisfiare  qualunque 
pi4  interno  desiderio  dei  beatL  —  4.  prelllNii 
pregosta,  assaggia  prima  di  morire;  il  yb. 
prtiiban  è  qui  osato  nel  sno  senso  più  nsoale, 
alquanto  diverso  da  quello  ohe  sembra  ayere 
in  Pur,  z  28.  Tutta  la  terzina  trova  riscon- 
tro in  questo  passo  del  Oom.  i  1  :  «  E  io 
adunque,  ohe  non  seggo  alla  beata  mensa, 
ma,  fuggito  dalla  pastura  del  vulgo,  a'  piedi 
di  coloro  che  seggono,  rioolgo  di  quello  ohe 
da  loro  cade,  e  conoscendo  la  misera  vita  di 
quelli  che  dietro  m*  ho  lasciati,  per  la  dol- 
cezza oh'  io  sento  in  quello  eh'  io  a  poco  a 
poco  rioolgo,  miserìoordevolmente  mosso,  non 
me  dimenticando,  per  11  miseri  alcuna  cosa 
ho  riservata,  la  quale  agli  occhi  loro  già  ò 
pi4  tempo  ho  dimostrata  >.  —  6.  prima  ecc. 
prima  ohe  la  morte  gli  priseriba^  gli  segni  il 
momento  finale  della  sua  esistenza.  —  7.  pe- 
■ete  eco.  considerate  l'intensissimo  desiderio 
eh' egli  ha  della  beatitudine  e  diffondete  so- 
pra di  lui  alquanto  di  quella  divina  conoscenza 
che  voi  possedete.  ~  8.  roratelo:  il  vb.  ro- 
rar9f  dal  lat  fot,  significa,  come  li  più  co- 
mune irrorare,  aspergere  di  rugiada,  e  più 
genericamente  bagnare  ;  qui  in  rapporto  alla 
sapienza  concepita  come  un  rivo  fluente  dalla 
divinità,  la  f!rase  roratelo  alquanto  ha  il  va- 
lore di  spargete  sovr'esso,  fate  cadere  nella 
sua  mente  qualche  goccia  della  sapienza  di- 
vina. —  vel  b6Tete  ecc.  voi,  come  beati, 
attingete  continuamente  alla  fontana  della 
sapienza,  dalla  quale  procedono  quelle  verità 
che  sono  oggetto  di  meditazione  all'uomo.  — 
10.  qvene  aalflM  eoo.  le  anime  dei  beati  per 
manifestare  la  loro  gioia  di  compiacere  alla 
domanda  di  Beatrice,  formate  diverse  corone, 
inoomindarono  a  girare  intomo  a  lei  e  al 
poeta,  come  sfere  fissate  sopra  poli  Immobili, 
fiammeggiando  con  luce  intonsa,  a  guisa  di 
comete.  L'imagine,  oome  la  situazione  cui 

Damtx 


risponde,  è  quella  stessa  del  Far,  z  76-78; 
se  non  ohe  qui  è  oompeoetrata  con  la  simi- 
litudine delle  comete,  per  significare  lo  fen- 
dere vivissimo  delle  anime  proporzionato  al 
loro  interior  gaudio  di  cui  è  maniCsstaxione, 
e  le  luci  sono  distribuite  non  in  una  sola 
corona  circolare,  ma  in  parecchie  moventisi 
con  differente  velocità.  —  13.  I  «•■m  eoo. 
£  oome  nell'ordinato  congegno  degli  orologi 
i  vart  cerchi  si  muovono  oon  differente  ve- 
locità, si  ohe  all'  osservatore  sembra  che  il 
primo  sia  fermo  e  ohe  l'ultimo  si  muova  ra- 
pidissimo eoo.  —  teMpmt  significa  per  lo  più 
l'accordo  dei  suoni  (ofr.  I\irg.  x  94,  Bar,  x  146, 
XIV  118),  ma  qui  indica  l' accordo  che  è  tra 
le  varie  parti  dal  congegno  meccanico  nell'oro- 
logio. Sui  tempo  in  cui  si  ebbero  1  primi  con- 
gegni di  orologeria  ofr.  F.  Angelittl,  Bull. 
yn  140.  — 14.  il  primo  t  il  cerchio  più  inter- 
no e  più  piccolo  ;  come  l'ìtUkno  è  il  più  estemo 
e  il  più  grande.  —  16.  qmì9f  ecc.  Vent.  606  : 
«  Si  noti  come  in  questo  verso  la  prima  metà 
va  lenta,  dovendo  pronunziarsi  trisillaba  la 
voce  qvXito  ;  e  la  seconda  va  npida  in  forza 
della  parola  sdracoiola  ultimo.  Cosi  il  suono 
imitativo  ronde  perfettamente  due  idee  con- 
trarie significate  in  un  medesimo  verso  *,  — 
16.  eosf  q«elle  ec  cosi  quelle  corone  di  anime 
danzanti,  aggirandosi  con  differente  velocità, 
facevano  si  ch'io  potessi  giudicare  del  grado 
di  loro  beatitudine,  secondo  ohe  en  maggiore 
o  minore  la  velocità  di  ciascuna.  —  earele  : 
il  nome  «oroZa,  d' incerta  etimologia,  significa 
propriamente  danza  oiroolare  ;  ma  Dante,  qui 
e  in  Far.  xxv  99,  lo  usò  a  indicare  i  gruppi 
di  anime  danzanti  in  oerohio.  —  differente- 
mente :  la  spezzatura  dell'avverbio  nei  due 
elementi  che  lo  compongono  tu.  ammessa,  in 
fine  di  verso,  anche  nel  tempi  posteriori  a 
Dante  ;  si  trova  p.  es.  nell'Ariosto,  Ori,  xxvni 
41:  f  Ancor  ch'ogli  conosca  ohe  direttamente 

49 


770 


DIVINA  COMMEDIA 


^»^l^f^^B 


mente  danzando,  della  sua  rìcchezzai 
18       mi  si  fEkcean  stimar  veloci  e  lente. 
Di  quella  ch'io  notai  di  più  bellezza 
vid*io  uscire  un  foco  si  felice 
21       che  nullo  vi  lasciò  di  più  chiarezza; 
e  tre  fiate  intomo  di  Beatrice 
si  volse  con  tin  canto  tanto  divo 
24       che  la  mia  fSEmtasia  no  1  mi  ridice  ; 
però  salta  la  penna,  e  non  lo  scrivo, 
ohe  l'imagine  nostra  a  ootai  pieghe, 
27       non  che  il  parlare,  è  troppo  color  vivo. 
€  0  santa  suora  mia,  che  si  ne  preghe 
devota,  per  lo  tuo  ardente  affetto 
80       da  quella  bella  spera  mi  disleghe  ». 
Poscia,  fermato  il  foco  benedetto. 


ft  soft  maMtà  danno  li  fkcda  >.  — 17.  della 
•«a  rlMlMssa  eoe.  della  ricchezza  della  lor 
gloria,  del  grado  più  o  meno  elevato  della 
loro  beatìtadine  :  cfr.,  a  conferma  di  qoesta 
interpretazione»  fl  paieo  del  Piar,  vm  19-21. 
Altri  leggono  dalla  tua  rieehtoMO,  e  inten- 
dono: dall'  ampiezza  dei  giri,  dalla  qnale 
Dante  dednoeva  la  Telocità  propria  d'  ogni 
gmppo  di  anime;  ma  ò  interpretazione  sti- 
nochiate  di  nna  lezione  eenza  autorità.  — 
19.  DI  q«ellA  eco.  Da  quella  corona  di  api- 
ritl  ohe  mi  a^^T»  plA  Inminoea,  e  ohe, 
note  il  Boti,  «  era  quella  degli  apostoli  e  di- 
scepoli di  Criste  »,  ridi  naoire  un  fuoco  In- 
roinoeiflsimo,  l'anima  di  san  Pietro.  Si  osservi 
ohe  parlando  di  tatto  il  gmppo  di  anime 
Dante  mette  in  evidenza  la  sua  bélluuuL,  mag- 
giore di  quella  degli  altri  gruppi,  ossia  il 
maggiore  splendore  che  è  indizio  di  più  in- 
tensa beatitudine  ;  e  parlando  di  san  Pietro 
note  a  dicittara  com'ei  fosse  tanto  ftUM^  doè 
lominoeo,  da  vincere  di  splendore  e  però  an- 
che di  beatitudine  tutte  le  altre  anime  del 
suo  gruppo  :  e  questo  compenetrarsl  continuo 
dell'  interior  beatitudine  degli  spiriti  con  la 
manifestazione  esteriore  per  mozzo  della  luce, 
fa  sentire  con  molte  eiBoaoia  a  ohi  legge  la 
felidtà  etema  del  paradiso  in  quanto  pud 
esaere  significate  dalla  pittrice  parola  di  un 
poete  terreno.  —  21.  ohe  Bulle  ecc.  che  nes- 
sun altro  vi  rimase  di  maggtor  chiarore.  — 
22.  tre  flato  ecc.  Ott  :  «  Dice  òhe  tre  fiate 
si  volse  intomo  a  Beatrice,  a  dimostrare  la 
teologia  trattare  del  Padre,  del  Figliuolo  e 
dello  Spirito  Santo  >:  lo  stesso  ripetono  quasi 
tatti  gli  antichi  commentetori  —  23.  een 
na  canto  ecc.  cantando  oosf  divinamente  (sia 
per  altezza  di  concetti,  sia  per  dolcezza  di 
noto)  che  la  mia  fantada  è  incapace  di  n^ 
presentarmelo.  —  25.  ^rd  salta  eoe.  perdo 
la  penna  trasooire  (cft.  Par,  zxm  62),  e  io 


non  riliBrisoo  quatto  canto;  perché  la  Cantaaia 
umana  (non  ohe  la  psrola,  ohe  è  tanto  meno 
potento  della  fttntasia)  ò  inaqwce  di  signifi- 
care «m  donto  lamio  dioo^  a  quel  modo  che  i 
colori  troppo  vivaci  non  possono  ritrarre  sulla 
tela  la  tinte  delle  pieghe  nelle  vesti.  H  fon- 
damento di  queste  spiegazione  è  nell'  ossei^ 
vazione  già  tette  dal  Lana  e  ripetute  poi  da 
altri  commentetori  :  «  Note  (oosf  qu^'antioo 
interprete)  ohe  '1  dipintore,  quando  mole 
dipingere  pieghe,  conviene  avere  un  odiare 
meno  vivo  che  quello  della  vesto,  oloè  pifi 
scuro,  e  allora  appaiono  pieghe  ;  imperquaUo 
che  in  ogni  piega  1*  aiere  4  pi4  oscuro  ohe 
in  te  superficU  :  e  però,  se  lo  colore  deOa 
piega  eccedesse  in  diiarità  te  vesta,  non  te- 
rebbe  piega,  anzi  Csrebbe  deUa  veste  piega 
e  di  s6  superficie  ;  e  oosf  sarebbe  contrario 
aUa  intenzione  del  maestro  pintore  ».  Da 
queste  noma  di  arte  prooede  te  Itaae  dan- 
teeca  del  troppo  eolor  «m»,  fl  quate  per  man- 
canza delle  tinte  pifi  tenni,  del  ekiemmmo, 
è  insufficiente  a  dipingere  te  pieghe;  oone 
la  fantasia  umana,  non  sapendo  imaginare 
le  delicate  armonie  e  i  sensi  profondi  di  quel 
cantico  apostolico,  non  potrebbe  dame  un'idea 
adeguata.  La  diversa  spiegazione  date  da 
quelli  interpreti  che  prendono  pitglu  luA  esoso 
di  di/fteoUà  non  è  ammissibile;  come  ncm  ha 
autorite  alcuna  te  lezione  jnmd  eokfr  vivo^  obe 
darebbe  una  sentenza  sltetto  opposte  al  eon- 
cetto  del  poeta.  —  28.  0  tanta  eoo.  0  sante 
sorelte  mia,  che  ci  hai  pregati  con  tanto 
fervore  (cfr.  v.  1-9),  tu  mi  hai  tetto  uscire 
da  queste  beUa  corona  di  beati  per  l'efficacU 
dell'ardente  affètto.  San  Pietro  ddama  sMora 
Beatrice,  come  sua  compagna  deUa  beatitn- 
dine  oelesto,  o  anche  per  quel  eentimento 
cristiano  di  Ihttemite  per  cui  Danto  è  chia- 
mato fhitello  dagli  giriti  eletti  (cfir.  te  note 
al  Ar.  ra  70).  —  SL  P«tela  ecc.  n  taooo 


PARADISO  -  CANTO  XXIV 


771 


alla  mia  donna  dirizzò  lo  spiro, 
83       cke  &yellò  cosi,  oom'io  ho  detto. 
Ed  ella:  €  O  luce  etema  del  gran  yiro, 
a  coi  nostro  Signor  lasciò  le  chiavi, 
86       ch'ei  portò  giù,  di  questo  gaudio  miro, 
tenta  costui  dei  punti  lieyi  e  gravi, 
come  ti  piace,  intomo  della  lède, 
89       per  la  qual  tu  su  per  lo  mare  andavi. 
S*egli  ama  hene  e  hene  spera  e  crede, 
non  t'è  occulto,  perché  il  viso  hai  quivi, 
43       dov*ogni  cosa  dipinta  si  vede. 

Ma  perché  questo  regno  ha  fatto  civi 
per  la  verace  fede,  a  gloriarla, 
45       di  lei  parlare  è  huon  eh'  a  lui  arrivi  k 


oioè  lo  epiiito  iaiBmeggianto  di 
■m  PffltrOi  Aopo  ohA  ti  tu  twouAo  indirind 
ft  Beatrice  la  raa  Tooe,  ohe  disse  le  parole 
oli'lo  ho  rifartte.  —  82.  iplre:  è  Pemiasione 
del  flato,  e  per  eeteneione  di  signifloato,  la 
Tooe  ehe  con  tale  emiMìoiie  ai  foxma;  cfr. 
Pur,  zzTX  8.  —Si.  0  l«et  eoo.  0  anima  santa 
del  grande  apostolo  san  Pietro,  al  quale  Dio 
aAdd  le  chiari  del  paradiso  (cfr.  Ptt,  rsm 
199  €  le  oUaTi  di  tal  gloria  »)  da  ini  portate 
dal  delo  im  terra,  qoando  Ti  discese  a  redi- 
mere l'uomo  dal  peccato.  —  Tire  t  latinismo 
ohe  ricorro  sempro  in  rima  e  nel  senso  di 
nomo  eccellente  per  dottrina  o  rirtli  (cfr. 
iMf.  IT  80,  Piar.  X  182).  —  88.  Miro  t  cfr. 
Ar.  ziT  24.  —  87.  tenta  eoe  Oome  place 
a  te,  beato  spirito,  Tieni  interrogando  costai 
•opra  i  punti  Itevi  $  grari  che  si  riferiscono 
alla  fede  cristiana.  Qualche  dii&ooltà  otfn  la 
frase  punii  Kevi  e  gravij  che  secondo  i  pid 
dei  oomraentatori  sarebbero  le  questioni  fis- 
ciù e  difficili;  secondo  altri  inTece,  i  punti 
aooeesori  e  gU  essenziali  della  fede.  —  89. 
per  la  qmaì  eoo.  Allude  al  racconto  oTange- 
Uoo  (Matteo  zir  25-38):  cE  nella  quarta 
TiglHa  della  notte,  Gesù  se  n'  andd  a  loro 
[ai  discepoli],  camminando  sopra  il  mare.  Ed 
i  discepoli,  Tedendolo  camminare  sopra  il 
mare,  si  turbarono,  dicendo  :  i;gli  è  un  fan- 
tasima. E  di  paura  gridarono.  l£a  subito  Gesù 
parid  loro,  dicendo  :  Basslouratevi,  sono  io, 
non  temete.  E  Pietro,  rispondendogli,  disse: 
Signoro,  se  sei  tu,  comanda  che  io  Tenga  a 
te  éopra  le  acque.  Ed  egli  disse:  Vieni.  E 
Pietro,  smontato  della  naTicella,  camminaoa 
wojpira  <9  oo^tM,  per  Teniro  a  0es6.  Ma  ve- 
dendo il  Tento  forte,  ebbe  paura  :  e,  oomin- 
oiando  a  sommergersi,  gridò  dicendo:  Si- 
gnoro, salTami.  Ed  incontanente  Gesù  distese 
la  mano,  e  lo  prese;  e  gli  disse:  0  uomo 
di  poca  fede,  peroh6  hai  dubitato  ?  Poi,  quando 
furono  entrati  nella  naTicella,  U  Tento  s'ao- 


qoetft.  S  eoloio  eh*  «me  nella  narioeUa 
Tennero,  •  Inorarono;  dioeado:  Veramente 
tu  sei  il  llgUuol  di  Die  >.  —  40.  regU  ecc. 
Non  ti  è  occulto  se  Dante  poasiede  le  tre 
Tìrtà  delU  carità  (mimi  ftiNf  Dio  e  il  proasi- 
mo),  della  sperann  (&fiM  spira)  e  della  fisde 
iSinài).  —  41.  ptreM  11  tIio  ecc.  perehé  tu 
guardi  (Aa<  iX  eta»,  hai  la  Tista,  Tedi)  in  Dio, 
nel  quale  si  Tedono,  come  in  ano  specchio, 
tutte  le  coee  (cf^.  Pw.  xt  61,  zxn  106  ecc.). 
—  48.  Ma  pcrcM  eoo.  Ma  perché  il  ragno 
celeste  aoooglie  tra  i  beati  gli  uomini  in  gra- 
zia della  Terace  fsde,  è  opportuno  che  in 
glorifloadone  di  essa  fede  Dante  abbia  coca* 
sione  di  parlare  di  leL  ^  lui  CsMo  cItI  eco. 
È  imaglne  cera  a  Dante,  che  senti  TlTamente 
r  amoro  della  città  terrena  e  qperd  d' aver 
pace  almeno  n^la  cittadinanza  di  paradiso  : 
cfr.  Pvfrg.  xm  94  e  segg.,  e  già  nella  V,  N. 
zxziT  1  :  «  si  oomplea  l' anno  che  questa 
donna  era  Catta  de  li  cittadini  di  Tita  etsr- 
na>.  —  44.  a  gloriarla:  al  fine  di  glorifi- 
care la  fdde,  parlare  in  gloria  (ofir.  Ar.  xi 
96)  della  fede.  —  45.  41  lei  parlare  eoe  In- 
torno all'  opportunità  d' introdurre  queeta 
trattazione  sulla  fede  nel  suo  poema,  raccon- 
tano gli  antichi  commentatori  che  Dante  Ti 
fosse  indétto  dalle  accuse  di  eretico  eorte 
contro  di  lui  :  «  Quello  che  mosse  l' autore 
(soriTO  il  Lana)  a  Teiere  trattare  de'  punti 
della  fede  cristiana  cosi  in  singolarità,  si 
fne  la  inTidia  di  molti  morditori,  che  sono 
al  mondo,  li  quali  non  intendendo  lo  stile 
né  '1  modo  del  parlare  poetico,  Teggendo  al- 
cuna parte  di  questa  Commedia  gli  appo- 
neano  ohe  era  detto  d' eresia,  e  per  conse- 
quens  l'autore  d' essa  essere  patarino.  Onde 
lo  primo  moTimento  era  d' inTidia,  ohe  per- 
ch6  essi  non  erano  di  tanta  sdenzia,  Toleano 
vietare  che  quelli  che  aTOTano  grazia  da  Dio 
non  dicessono.  Lo  secondo  morlmento  era  da 
ignoiania,  imperquello  ohe,  se  aTessono  i» 


772 


DIVINA  COMMEDIA 


61 


Si  come  il  baccellier  s'arma,  e  non  parla, 
fin  clie  il  maestro  la  qoestion  propone, 
per  approvarla,  e  non  per  terminarla; 

cosi  m'armava  io  d'ogni  ragione, 
mentre  ch'ella  dicea,  per  esser  presto 
a  tal  qnerente  ed  a  tal  profBssione. 


teso  Io  rtile  •  modo,  elli  stesti  sarebbero  stati 
giadid  di  b6  medesQii,  giudicando  il  proprio 
parlare  e  tale  appone  essere  fUso.  Onde  tale 
inordinazione  d' animo  de*  morditori  costrinse 
lo  autore  a  ligazsi  collo  erisHaneshno  con  li 
ohiaii  e  fermi  ligami  die  non  possano  essere 
rotti  né  frstti  da  MTole  imposizioni  TizLosa- 
mente  fotte  ;  lo  qnale  ligame  si  è  lo  santo 
Simbolo,  approvato  per  U  santa  madre  Eo- 
desia  .essere  U  forma  del  Tereoe  credere  od- 
stianol  che  cominda  Onào  ^  «Mwm  Bwm 
eoe.  ».  —  a  Ini  arrlTli  è  dubbio  qnale  sia 
il  soggetto  sottinteso,  e  consegoentemente  U 
senso  dd  Tb.  mrAtL  Se  U  sogg.  4  <ii^  san 
Filtro,  allora  il yb.  avràU sna  nsoale  dgni- 
floa&one,  come  se  dicesse:  è  bene  ohe  tn 
Tenga  sin  qni,  plesso  a  Dante  al  fine  di  par- 
lare deUa  fede  *,  ma  cosi  il  costrutto  sarebbe 
f  tentatiasimo.  Se  inTOce,  come  altri  inten- 
dono, il  yb.  orrM  ha  qui  il  signiAcato  im- 
personale di  ooDcuia,  MWMya  eoe,  allora  il 
Terso  yorrà  dire:  a  lui  tocchi  roooadone  di 
parlare  della  fede.  Meglio  anoora,  conser- 
Tando  al  yb.  mrwi  questo  senso,  si  pud  pren- 
deie  patlan  come  sostantiyato,  in  Aindone  di 
soggetto,  e  ogni  diffiodtà  grammatioale  è 
.rimossa.  —  46.  8<  come  eoo.  Come  neUe 
scudo  il  baoodllere  prepara  in  silenzio  le  sue 
argomentazioni  per  essere  in  grado  di  ragio- 
nare su  una  questione  proposta  dal  maestro 
eco.  È  una  similitudine  tratta,  oon  felice  in- 
venzione, dalla  pratica,  ben  nota  all'Alighieri 
(8i  cfr.  BuU.  vn  IjBO),  deUe  sonde  medioerali 
di  filosofia  e  teologia:  nelle  quali  il  ma»- 
tiro  dalla  cattedra  soleya  propone  le  que- 
stioni, ohe  erano  pd  dbcoase  (approvan)  tra 
i  dottori»  htuùMimi  e  sookri  preeenti,  e  dopo 
la  disonsdone  di  oiasouna  questione  il  mae- 
stro, in  altro  giorno,  la  ripresentaya  con  gii 
argomenti  prò  e  contro,  oondudendo  od  pro- 
nonziare  il  suo  giudizio  (Urminaré),  Secondo 
alcuni.  Dante  alluderebbe  pifi  partioolaEmente 
alla  cosi  detta  dUputaiSo  tmUaUna  (oSt.  r,  87), 
spedo  di  esame  al  quale  doyevano  assogp- 
gettaxd  i  baccellieri  nella  fecdtà  teologica  di 
Parigi.  —  baccelliert  11  tttdo  di  haooeUim 
(lat.  baooalariua  e  ftoctfZdrftis,  frane.  òaMdZtir, 
d' incerta  etimologia)  nd  linguaggio  unlyer- 
sitario  medioevale  era  proprio  di  ohi  ayoTa 
conseguito  un  grado  aooademioo  inferiore  al 
dottorato  e  corrispondente  press'  a  poco  alla* 
moderna  licenza.  BeuT.  chiosa  :  «  Est...  ta- 
celériu»  rei  baohalariut  Ule  qui  substinet  quae- 
stionem  oontra  opponentem  :  ille  appellatur 


magider  qui  tenet  cathedram  et  proponit 
quaestlonem  oonun  dootoribus  et  schdaribus, 
et  non  determinat  illam  in  Illa  disputatione, 
sed  postea  alia  yioe  ».  —  48.  per  appreTurln 
eco.  n  yb.  appro^an  ha  qui  il  senso  sod»- 
stioo  di  addurre  le  prove,  gli  angomenti  prò 
e  contro  una  data  opinione,  e  detto  rispetto 
alla  ftmUom  prepotta  ha  U  valore  del  sm>- 
demo  yb.  diaetiitn  :  il  vb.  Urmiman  pd  si- 
gnifica definire,  sentenziale,  e  corrisponde  al 
lat  delmudnan  di  Beny.  Posto  ciò  e  osser- 
vata la  rispondenza  oon  le  parole  jmt  asssr  pre- 
tto a  la<  gmrswli  si  a  tolj»v/tesioiis(y.  60-61), 
ò  chiaro  che  tutto  questo  verso  è  dn  ricolle- 
gare oon  il  btuoeUiir  «'anna,  come  dd  resto 
intendono  i  pld  dd  oommentatorl(YdL,  Yent., 
Lomb.,  Biag.,  Costa,  Oea.,  Andr.  eoe.);  non 
già  con  le  paìde  la  fUMUom  propom,  come 
Torrebbero  il  Torelli  e  il  Biandii  spiegando: 
«  n  baccelliere  s'arma  tacendo,  ilndié  il  mae- 
stro propone  la  questione  per  oppiim/rhi  doè 
pon)h4  sin  jwwato,  rfiswisw,  per  via  di  argo- 
mentazione, non  già  per  d»/Mrla\  ehó  dò 
dee  essere  il  frutto  dell'argomentazione  stso- 
sa  ».  —  49.  eesf  m'armava  eoo.  neOo  stesso 
modo  io  preparava  In  silenzio  le  mie  ragioni, 
mentre  Beatrice  parlaya.  —  60.  per  etaer 
ecc.  per  esser  in  grado  di  rispondere  alle  in- 
terrogazioni di  san  Pietro  intono  alla  fede. 
Questo  è  il  senso,  manifestamente:  ma  gl'in- 
terpreti discordano  nello  spiegare  la  frase  • 
tal  profnaiom:  il  Lana,  pensando  anoont  aUa 
similitudine  scolastica,  spiega  €a  ricevere 
convento  »,  che  nd  linguaggio  universitario 
antico  significa  ricevere  il  dottorato,  od  qnale 
grado  d  può  eserdtare  in  professione  ;  il  Boti 
invece  :  «  a  td  professione  diente  è  la  santa 
Teologia»,  ma  è  spiegazione  troppo  vaga; 
dd  Lomb.  in  pd  i  commentatori  spiegano 
«  la  professione  ddla  fede  cristiana  ».  £  que- 
sta intsrpxetadone,  cmne  pld  ovria  e  con- 
fermata dd  riscontro  od  B»r,  zxvi  64,  pare 
a  BM  praferidle.  —  61.  a  tal  querente  eoe. 
La  prova  cui  san  Pietro  sottopone  Dante 
ò  un  yero  esame  tedogico,  cho  d  svolge,  d 
modo  delle  disputaziod  scolastiche,  eopra  una 
serie  di  questiod:  ohe  cosa  d  la  fede  (tt.  62« 
66),  perché  ò  definita  come  sostanza  e  argo- 
mento (yy.  67-78),  se  Dante  la  possegga  (vy. 
79-87),  onde  1'  abbU  derivata  (tv.  88-96)  e 
quali  proye  d  possano  addurre  circa  la*  sua 
veradtà  (vy.  OT-111).  Finito  l'esame,   san 
Pietro  dà  la  più  ampia  approvazione  a  Danto 
(vy.  118-123),  che  all'inyito  ddl'apostdo  re- 


PARADISO  -  CANTO  XXIV 


773 


<  Di',  buon  cristiano,  &tti  manifesto: 
£dde  ohe  è  ?  »  Ond*  io  leyai  la  fronte 
54       in  quella  luce,  onde  spirava  questo  ; 
poi  mi  volsi  a  Beatrice,  ed  essa  pronte 
sembianze  femmi,  perch'io  spanassi 
57        l'acqua  di  fuor  del  mio  inte(mo  fonte. 
«  La  grazia  che  mi  dà  ch'io  mi  confessi, 
comincia'  io,  dall'  alto  primipilo, 
60       faccia  li  miei  concetti  esser  espressi  >. 
E  seguitai:  <  Come  il  verace  stilo 
ne  scrisse,  patre,  del  tuo  caro  frate, 
63        che  mise  Eoma  teco  nel  buon  filo, 
fede  ò  sustanzia  di  cose  sperate, 
ed  argomento  delle  non  parventi; 
66        e  questo  pare  a  me  sua  quiditate  ». 
Allora  udii  :  e  Dirittamente  senti, 
se  bene  intendi  perché  la  ripose 
69       tra  le  sustanzie,  e  poi  tra  gli  argomenti  >. 
Ed  io  appresso  :  €  Le  profonde  cose, 


eita  n  100  atto  di  lède  (TT.  12Ì-127).  —  68. 
f*à%  tHuè  è  t  Sv  questo  ponto,  delU  definì- 
don»  della  fede,  Dante  si  tiene  alle  dottrine 
esposte  da  Tommaso  d'Aquino,  Stimma,  P.  n 
2»  qii.  IT,  art.  1,  ukwn  Amo  aU  ùompttmta 
fidei  dtfinUio:  fide»  »»t  tubtUmtia  tperanda- 


68.  leral  eco.  alni  gli  ooohi  alla  luce  di  san 
Pietro,  dalla  quale  era  nadta  qnasta  inter- 
rogazione. Blair.  :  «  Ti  mostra  oosi  oom'  ò 
stato,  mentre  padd  qoel  Santo.  E  nota  bene 
questo  particolare,  ohe  è  nno  degli  artifizi  di 
D#nte  de'  più  degni  di  attenzione  ».  —  66. 
p«l  Mi  Tolsi  eoo.  Dante  si  yolge  a  Bestxioe, 
oouM  già  altre  Tolta  (efir.  Ptr,  zmi  62-64, 
zn  46-48X  per  sapere  se  debba  o  no  rispon- 
der» all' intenogaiione.  —  66.  ■embiaue 
eoe  mi  aooennò  ohe  potoTa  liberamente  ma- 
nifèsfeue  11  mio  pensiero;  ofr.  OioTanni  yn 
88  :  «  Ohi  erede  in  me,  si  oome  ha  detto  la 
sonttora,  dal  suo  Tentre  coleranno  fiumi 
d' acqua  TiTa  >.  —  68.  La  grada  eoo.  La 
grada  diTina,  la  quale  mi  concede  di  te  la 
aia  professione  di  fede  innanzi  al  primo  de- 
gli i^ostoU,  mi  guidi  neU'  espressione  dei 
miei  OQOoettL  La  lezione  di  più  testi  bme 
tgpmri  sa  di  oorresione,  perché  la  grazia 
diTina  opera  sempre  perfettamente,  né  il 
cristiano  pud  augurarsi  oh'  essa  operi  beno  ; 
euen  rnpnui  poi  ò  infinito  passiTo  di  tapri- 
«ww,  in  dipendenza  dal  Tb.  faooia,  senza  che 
ci  da  bisogno  di  dare  a  mpr»$8i  il  Talore  di 
aggsttlTO,  per  chiari,  manifesti.  —  69.  alte 
prlad^Uo:  san  FIstK»,  capo  degli  apostoli  ; 
priw^pilMS  dioeraiio  i  latini  il  oenturione  del 


primo  ordine  dd  triad.  —  61.  C«me  ecc.  La 
definidone  ohe  or  seguirà  della  fede  ò  tolta 
dall'  Spisi,  agli  Ebrei  xi  1  tribnita  a  san 
Paolo;  e  Dante  nel  dtare  la  sua  fonte  lo  fa 
qpn  parole  in  od  d  manifesto  il  ricordo  di 
queste  dtre  della  27  Epiat,  eattoUea  di  san 
Pietro  m  16:  «  Si  oome  ancora  U  nostro  caro 
fimtello  Paolo,  secondo  la  sapienza  che  gli  è 
stata  data.  Ti  ha  scrìtto  ».  —  68.  elle  mise 
eoo.  che  indeme  con  te  ardo  Boma  sulla 
strada  della  Tara  fede,  couTertf  i  romad  d 
cristianesimo.  —  64.  lìsde  eoo.  Traduce  alla 
lettera  il  passo  dtato  di  san  Paolo,  che  nella 
Tulgata  suona:  eaL„  fide»  eperandarum  eub- 


OTO,  secondo  Tommaso  d'Aquino,  L  dt,  eub- 
etanHa  è  nd  senso  di  prindpio  fondamentde 
delle  cose  sperate  (prima  inehoatio  rerum  epe- 
randarum)y  11  qude  in  noi  è  determinato  dd 
consentimento  alla  fede,  e  argumentum  signifi- 
ca quad  la  oonTindone,  doò  l'adesione  del- 
l' intelletto  alla  Terità  non  apparente  della  fe- 
de. —  66.  queste  eoo.  questa  pare  a  me  essere 
l'essenza  della  fede;  sulla  Toce  quidilate  cfr. 
la  nota  d  Par.  zx  92,  e  d  aTTerta  ohe  Tomm. 
d'Aquino,  L  dt,  dice  ohe  €  definitio  indicat 
rd  guiddUatem  et  essentiam  ».  —  67.  Allora 
eoe  San  Pietro  soggiunge  :  €  Tu  sei  nd  Toro, 
se  oompreodi  bene  per  qude  ragione  san 
Paolo  definì  la  iéde  prima  come  una  euetan' 
xia  e  pd  come  un  argomento  ;  e  Tiene  cosi 
a  indtar  Dante  ad  esporgli  questa  ragione. 
—  70.  Le  profonde  eoo.  Gli  dti  misteri,  che 
qui  in  ddo  mi  d  manifestano,  sono  ood  na> 
scosti  agli  occhi  dd  mortali  ohe  in  terra  la 


774 


DIVINA  COUUEDIA 


n 


ehe  mi  largiscon  qui  la  lor  parvenza, 
72        agli  occhi  di  là  giù  son  si  ascose 
che  l'esser  loxo  v'è  in  sola  credensa, 
sopra  la  qual  si  fonda  Palta  spene, 
75       e  peirò  di  sostansda  prende  interna; 
e  da  questa  credema  ci  conviene 
sillogÌBBar,  sema  avere  altra  vista: 
78       però  intensa  di  argomento  tiene  ». 
Allora  udii  :  «  Se  quantunque  s' acquista 
giù  per  dottrina  fosse  eosi  inteso, 
81       non  gli  avria  loco  ingegno  di  sofista  ». 
Cosi  spirò  da  quell'amore  acceso; 
indi  soggiunse  :  «  Assai  bene  ò  trascorsa 
84       d'està  moneta  già  la  lega  e  il  peso; 
ma  dimmi  se  tu  l' hai  nella  tua  borsa  ». 
Ond'io:  <  Si  ho,  si  lucida  e  si  tonda 
87       che  nel  suo  conio  nulla  mi  s'inforsa  ». 
Appresso  osci  della  luce  profonda. 


loro  eiistenxa  non  pad 
non  per  lède,  K>pni  U  qoato  ri  fonda  la  spe- 
ranza della  beatìtodine  oaia  della  oontea- 
plazione  di  eesi  misteri:  perriò  la  fede  prende 
carattere  di  mtttamik,  in  quanto  è  piindpio 
fondaoMntale  delle  oose  sperate,  o  ooae  d^ 
ToiBBaso  d'Aqn.,  L  dt,  per  la  fède  ri  ade- 
risce a  q«eUa  Tenta  nella  oni  oognirione  con- 
siste la  Uatitndine  («  specamns  beatifloaii, 
qood  TideUmns  aperta  Tisione  Texitatem,  oni 
per  fidem  adkaeremas  »).  —  75.  Isleasn:  al 
tempo  di  Danto  questa  Tooe  doroTa  esser 
oomnne,  però  che  11  Lana  non  ri  fenaa  a 
spiegarla  ;  l' Ott  la  rende  oon  interi»  e  il 
Bati  oon  intenmoiM,  manifesto  errore.  Mei 
poeti  del  secolo  zm  ri  trora  abbastanza 
spesso  nel  eenso  di  paragone,  sowigliansa 
(per.  ee.  VaL  I  262  :  e  Qoeila  ohe  senza  in- 
tonsa Tnttor  s*  agensa  di  gentil  oostnmi  »); 
dal  qoale  io.  £Miie  il  passaggio  ali*  idea  di 
condizione,  qualità,  carattere,  che  ha  qui  :  ofir. 
Oaspary,  Scuola  poti,  aio.  p.  48,  70.  ^  76. 
e  da  questo  eoe.  e  poiché  da  questo  tede 
procede  ogni  ragionamento  circa  la  verità 
etoma,  senza  susridio  di  alcuna  prora  sea- 
sibilo,  cori  essa  Isde  prende  il  canUtore  di 
orgomanto  (efr.  la  noto  al  Par.  tv  67):  anche 
qui  Danto  sogue  Tomm.  d'Aquino,  L  rit, 
ove  è  detto  che  la  fede  è  abito  di  mento, 
per  oui  in  noi  ri  inizia  la  rito  eterna,  £»- 
oendo  ri  ohe  l'intriletto  assento  alle  oose 
non  apparenti.  »  79.  8e  quantunque  ecc. 
San  Pietro,  qnari  per  incoraggiar  Danto,  gli 
rivolge  sin  d'ora  una  parola  di  approvarione, 
oome  sogliono  tee  i  maestri  boneroli  con  i 
discepoli  chiamati  alla  prova  dell'  esame  ;  e 


gli  dice  :  Se  totto  dd  rito  In  terra  è  materia 
di  dottrina  fò«e  oompiueo  oon  la  alcurssza, 
onde  tu  bri  intesa  la  drilnirione  della  IMe  date 
da  san  Paolo,  non  ri  sarebbero  sollati,  nes- 
suno potrebbe  ingannare  gii  altri  con  eoistt- 
ohe  diuiostnisinMi.  —  81.  fUs  ivi,  in  terza; 
ofr.lanotoatt'£i/:zzm64.— 82.  Oecf  eoe. 
Questo  asKNMivoli  paioto  di  incoiuggismentn 
mi  disse  l'apostolo.—  83.  Assai  keM  eoe.  Tu 
hai  felioeaiento  crosto  quato  sin  il  concetto 
della  tode  e  come  la  deflnirione  risponda  al- 
l'essenza di  essa:  la  «WMria  è  la  fede,  la  l«a 
la  deSnirione  per  oul  appere  la  sua  onssuii 
(w.  64-66)eUpMoèladimostnaionedsOa 
oonvsBienza  della  deflnirione  ali'  nsnsars 
deUa  fede  (w.  70-78).  -  è  ttaaeerMs  è 
passato  per  to  tae  mani,  è  stato  da  te  esa- 
minata. «-  85.  aa  dimmi,  eoe.  ma  possiedi 
ta  questo  fede,  della  quale  hai  ooaf  bea  ra- 
gionato? —  86.  Oad*le  eoe.  Si  awuarto  la 
prontosza  con  la  quale  Danto  subito,  sansa 
intromettere  alcuna  particolarità  aeeeeeeria 
tra  la  domanda  e  la  risposta,  ri  piotoata  pca- 
eessore  della  fede  ;  psiÀ6  in  questo  pcen- 
toeza  è  trasfttto  il  fervere  dri  eoo  seotÉmento 
religioso.  —  8£  ke  eoe.  6(,  poeaeggo  to  fede, 
e  cori  pura  ed  toteia  che  nell*  aaiao  mio 
non  è  possibUe  alcun  dubbto.  È  aotevoto  la 
feUdto  con  to  quale  il  poeto  mantisM,  ri- 
sp<»dendo,  to  metafora  deUa  awDeta  usato 
da  san  Pietro  nell'toterrogado.  —  87.  a^la- 
farsa  t  il  vb.  to/tovon,  derivato  dall*  aw. 
/brs»,  significa  rscaie  o  mettere  to  dobbto. 
—  88.  Apprease  eoo.  Dopo  questo  risposto, 
usri  daUa  luce  di  san  Paolo,  che  mi  zisptoa- 
deva  innanri,  un*  altra 


PARADISO  -  CANTO  XXlV 


775 


ohe  li  splendeva  :  <  Questa  cara  gioia, 
90        sopra  la  quale  ogni  virtù  si  fonda, 
onde  ti  venne?  »  Ed  io:  «  La  larga  ploia 
dello  Spirito  Santo,  eh' è  difFosa 
93       in  sa  le  vecchie  e  in  su  le  nuove  cuoia, 
è  sillogismo,  che  la  m'ha  conchiusa 
acutamente  si  che  in  verso  d'ella 
96        ogni  dimostrazion  mi  pare  ottusa  ». 
Io  udii  poi  :  €  L' antica  e  la  novella 
proposision  che  cosi  ti  conohiudje, 
99        perché  l'hai  tu  per  divina  favella  ?  » 
Ed  io  :  <  La  prova  che  il  ver  mi  dischiude 
son  l'opere  seguite,  a  che  natura 
102       non  scaldò  ferro  mai,  né  batté  incude  ». 
Bisposto  fammi  :  €  Di',  chi  t' assicura 
che  quell'opere  fosser?  Quel  medeemo 
105        che  vuol  provarsi,  non  altri,  il  ti  giura  ». 


flsde  onda  ti  Tonno?  —  89.  QaMto  eoo.  Qno- 
sto  dono  predoso  della  fedo,  ohe  è  il  fonda- 
nonto  di  ogni  Tlrtd.  Anoko  qnofte  perifirasi 
è  oonfonno  al  dotti  •crittorali,  p.  oo.  un 
Paolo,  EpUL  agU  Ebm  xi  6  :  e  Sema  fedo 
è  impoedUlo  pUoerU  [a  Dio]  >,  od  JB^.  «i 
Som.  znr  28:  «  Tatto  oid  che  non  è  fèdo 
è  poooato  »,  0  allo  eentenso  teologiche,  p. 
es.  Tommaso  d'Aqn.,  Ammi».,  P.  II  >, 
qn.  T,  art  7:  «  Per  io  inter  omnes  virtatos 
prima  eet  fldes  ; . . .  noooeae  est  quod  fides 
Bit  prima  Inter  omnee  rirtatee,  qnia  natnra- 
1Ì8  cognitio  non  potost  attingere  ad  Denm, 
aaonndnm  qnod  eit  òUeotam  beatitodinis, 
pront  tendit  in  ipsnm  epos  et  oharitaa  ».  — 
91.  La  larga  eoo.  La  manifestasione  dello 
Spixito  Santo  largamente  difltasa  nelle  oarte 
del  Tocohio  e  del  nnoro  Testamento  è  argo- 
mento che  mi  ha  proTata  la  lèdo  cosi  eflSoa- 
cemento  che  qualunque  altra  dimostraxiono, 
al  oonfhmto  À  quella  che  nasce  da  tale  ma- 
nifestaziono,  mi  sombra  inutile.  —  plein: 
ctt.  Bmt.  xit  27.  ~  98.  euela  :  porgamene, 
che  formano  i  Ubri  biblicL  ^  94.  ha  eoneUn- 
lat  il  Tb.  eoHehkidtn  ha  qui  n  senso  soola- 
Btioo  di  dimoetrare,  provar  vera  una  proposi- 
dono.  —  96.  aevlamentet  indica  non  il  modo, 
ma  l'effetto  della  dimostrazione,  1* efficacia 
persuasiva  di  essa;  e  perciò  oUuaa  del  v.  seg. 
vale  il  oontrsiio,  cioè  ineffiosco,  vana.  — 
97.  le  idfl  eco.  San  Pietro  incalza  Danto 
con  nuove  dimando  drca  le  prove  della  ve- 
rità della  lède  ;  e  davanti  all'apostolo  U  poeta 
non  è  titubante,  ma  con  argomenti  scrittu- 
rali e  teologici  dimostra  la  piena  e  pura  co- 
•donza  ch'egli  ha  della  sna  fedo  sino  a  chiu- 
dere il  suo  ragionamento  con  una  flora  pa- 
rola contro  1  dogenorì  succossori  del  fonda- 


tore della  Caiiesa  cristiana.  —  L*antlea  eoo. 
Perohó  tieni  come  divina  parola  quella  dei 
libri  biblici?  L'aiMoa  e  la  noveUa  pnpoti- 
Kiorn,  il  vecchio  e  il  nuovo  Testamento,  eh» 
ooH  ti  ooMoMud»,  ti  porge  tale  dimostrazio- 
ne ecc.:  si  noti  che  san  Pietro  ripiglia  la 
metafora  usata  da  Dante  nella  risposta  pre- 
cedente (V.  94,  96).  —  100.  La  prova  ecc. 
La  dimostrazione  della  verità  della  fede  d 
nei  miracoli  narrati  dalla  Bibbia,  è  in  quello 
opere  superiori  all'umana  natura.  Che  i  mi- 
racoli Siene  prova  della  divinità  della  scrit- 
tura d  argomento  frequentissimo  nei  libri 
sacri  ;  p.  es.  Matteo  xi  2-6,  zn  28,  Luca  zi 
20,  Oiovanni  v  17-47  ecc.  —  101.  1*  epere 
eoe  le  opere  sopranaturali,  quelle  a  cui  la  na- 
tura non  s'accinse  maL  Atteggia  in  un'  ima- 
gine  dedotta  dalla  vita  reale,  dall'  arte  del 
fabbro,  un  concetto  teologico:  cfr.  Tommaso 
d'Aqu.,  Aiffim.,  P.  I,  qu.  oz,  art  4  :  e  Di- 
dtur  esse  miraculum,  quod  flt  praeter  ordi- 
nom  totins  naturae  creatae.  Hoc  autem  non 
potest  fscere  nisi  Deus  ».  »  108.  Bisposto 
eoe  San  Retro  fk  un'obiezione  gravissima: 
Tu  hai  detto  che  i  miracoli  sono  una  prova 
della  divinità  della  Bibbia;  ora  chi,  se  non 
i  libri  biblici,  ti  assicura  che  1  miracoli  real- 
mente accadessero?  Tu  non  ne  hai  altra  te- 
stimonianza all'infùori  di  quei  libri,  dunque 
ti  avvolgi  in  un  circolo  vizioso.  Questo  es- 
sendo il  senso  manifesto  della  terzina,  e  il 
solo  che  si  loghi  logicamente  con  i  versi  an- 
tecedenti e  coi  seguenti,  è  oerto  sbagliata 
r interpunzione  delle  vecchie  stampe:  Di'  ehi 
ftt$9ieum  Oh»  quM'optn  fimtr  quel  medesmo 
Oh»  vuol  pnvanif  non  aUri  U  H  giura^  ed 
erronee  le  spiegazioni  date  dai  commentatori, 
dal  Lana  al  Lomb.:  primo  il  Torelli  restituì 


776 


DIVINA  COHUEDU 


1 


«Se  il  mondo  si  rivolse  al  crìstianesmo, 
diss'io,  senza  miracoli,  quest'uno 
106       ò  tal  ohe  gli  altri  non  sono  il  centesmo; 
che  tu  entrasti  povero  e  digiuno 
in  campo,  a  seminar  la  buona  pianta, 
111        che  fu  già  vite,  ed  ora  ò  £iitta  pruno  >. 
Finito  questo,  l'alta  corte  santa 
risonò  per  le  spere  un  <  Dio  laudamo  », 
114       nella  melode  che  là  su  si  canta. 

E  quel  baron,  che  si  di  ramo  in  ramo, 
esaminando,  già  tratto  m'avea 
117        che  all'ultime  fronde  appressavamo, 
rìoominciò:  <  La  grazia,  die  donnea 
con  la  tua  mente,  la  bocca  t'aperse 
190       infino  a  qui,  com' aprir  si  dovea; 
si  ch'io  approvo  ciò  che  fuori  emerse: 
ma  or  conviene  esprimer  quel  che  credi, 


con  la  ponteggiAtnim  il  mmo  tsto,  dato  poi 
da  Coste,  Ces.,  Bianchi,  Àndr.,  Soart  eoe.; 
mentre  il  Tomm.,  il  Fiat,  e  altri  deviarono 
ad  altri  enori.  »  106.  Se  U  Mende  eoo. 
Danto  rifponde  all'  obiedone  oon  nn  aigo- 
mento  unto  qpoMO  dai  padri  e  dai  teologi 
cristiani  (p.  es.  Anobio,  Aivtirau*  gmU,  q  44; 
Agostino,  De  €^,  Dei  xxd  6;  Tomm.  d'Aqo., 
Smmn.  oontra  gmU.  i  6  eoo.),  doè  la  diffu- 
sione del  cristianesimo  esser  cosi  miracolosa 
da  bastare  a  dimostrar  la  realtà  dei  miracoli; 
e  dice:  Se  il  mondo,  arrolto  nell'antioo  er- 
rore, abbiaodò  la  fede  cristiana  senta  effi- 
cacia di  miracoli  precedenti,  è  per  so  stesso 
un  miracolo  cosi  grande  che  gli  altri  tutti 
insieme  non  sono  la  centesima  parto  di  que- 
sto. —  109.  ektf  ta  ecc.  perché  tu  intrapren- 
desti la  predicaiione  della  fode  con  la  sola 
forza  della  povertà  e  dell'astinenza.  Vuol 
dire,  panni,  che  gli  apostoli  non  si  senrirono 
alla  propagazione  del  cristianesimo  se  non 
della  Tirtà  morale  dell'  esempio,  e  perciò  fu 
miracolosa  l'opera  loro  :  consento  silo  Soart. 
che  non  sia  strettamento  necessario  ooUegare 
qoesto  passo  con  quello  del  Bar.  zxi  127  e 
segg.  ;  ma  mi  sembra  troppo  sottile  la  sua 
interpretazione  del  povero  «  digùmwt  cioè 
senza  esteriore  potenza  e  senza  lettere.  — 
110.  a  sesdnar  ecc.  a  promuovere  l' incre- 
mento della  chiesa  cristiana,  che  già  fu  fe- 
conda ed  ora  si  ò  istorilita.  L'imagine  ò  evan- 
geUoa  (Mattoo  xzm  27,  xv  13),  e  bene  è 
spiegato  dal  Bnti  :  «  la  Chiesa,  che  fu  come 
buona  pianto  che  dovesse  fare  buono  frutto;... 
la  qual  tu  abbondante,  come  vite,  a  fare  frutto 
a  Dio  e  convertire  l'anime  umane  a  la  Code, 
et  al  presento  è  insalvatichito  e  diventota 
storile  come  è  lo  pruno,  imperò  che  non  U 


pid  frutto.  —  111.  fa  già  vite  :  ofr.  iV.  zn 
86.  —  112.  PUlto  ecc.  Appena  io  ebbi  dato 
termine  al  mio  dire,  le  anime  beate  raggrup- 
pato per  le  epero  o  corone  (cfr.  v.  11)  intona- 
rono oon  celesto  melodia  il  cantloo  TV  i>iiii» 
Umdamte.  —  115.  K  qael  eoe  S  V  i^ostolo 
ohe  intecrogandomi  m'aveva  ormai  condotto 
di  punto  in  punto  sino  quasi  all'ultimo  del- 
l' esame,  riprese  ecc.  —  baron  :  il  titolo  di 
òorwM,  che  servi  nel  medioevo  a  designars 
persona  insignito  d' uno  dei  gradi  della  ge- 
rarchia fondale,  piacque  a^  scrittori  toeoaai 
nel  senso  più  generale  di  signore  o  nono 
eocellento  ;  e  lo  dissero,  come  Danto  qui  e 
in  Air.  zzv  17,  persino  dei  Santi  (p.  ea.  Boo- 
oaooìo,  Dto,  VI  10,  e  baron  messer  santo  An- 
tonio»). —  118.  La  fimsla  eoe.  La  grazia 
divina,  che  si  compiace  di  essere  nel  tuo  spi- 
rito, ti  ha  suggerito  ciò  che  hai  detto  sinocs, 
però  io  approvo  ciò  che  t'è  uscito  dalla  bocca 
sino  a  qui  ecc.  —  donneai  il  vb.  donmean 
(dal  prov.  domn^ar^  cfr.  Dies  122,  Zin;.  12S) 
significa  propriamento  conversare  con  donne 
(ofr.  Danto  stesso  nelle  Bims,  p.  208:  <  Per 
donneare  a  guisa  di  leggiadro  »),  vagheggiare, 
fitf  all'  amore  ;  ma  qui  è  usato  a  esprimere 
l'intima  corrispondenza,  il  rapporto  ideale 
tra  la  grazia  divina  e  la  mento  del  poeta,  e 
nel  Par,  zxvn  88  ha  un  valore  analogo.  — 
120.  eoa'  aprir  eoe  nel  modo  che  tu  do- 
vevi tonerò  per  mostrarti  vero  cristiano  par- 
lando della  fede.  »  122.  ma  er  eco.  ma  oa 
oonviene  ohe  tu  manifesti  quale  sia  l'essenia 
e  quale  sia  la  cagione  di  dò  che  tu  credi  : 
alla  prima  questione  risponde  Danto  ooi  w. 
130-132,  139-141;  alla  seconda  coi  w.  133- 
138,  142-lU;  oonohiudendo  poi  tatto  Q  s«) 
dire  in  una  rapida  sintesi  ooi  tv.  145-147. 


PARADISO  —  CANTO  XXIV 


777 


123        ed  onde  alla  credenza  tua  s' offerse  ». 
€  0  santo  padre,  spirito  che  vedi 
ciò  che  credesti  si  c}ie  tu  vincesti 
126       vèr  lo  sepolcro  i  più  giovani  piedi, 
comincia*  io,  tu  vuoi  eh'  io  manifesti 
la  forma  qiii  del  pronto  creder  mio, 
129        ed  anco  la  cagion  di  lui  chiedesti  ; 
ed  io  rispondo:  'Io  credo  in  uno  Iddio 
solo  ed  etemo,  che  tutto  il  del  move, 
132       non  moto,  con  amore  e  con  disio'. 
Ed  a  tal  creder  non  ho  io  pur  prove 


—  128.  ei  rade  eoo.  e  da  quel  cagione  quel 
eh»  endiy  V  oggetto  delU  tua  fede  «i  offwm 
eoe.  »  124.  ipliiM  eoo.  anima  beata  ohe 
adeeeo  redi  old  ohe  in  terra  oredesti  if  che 
ta  fosti  il  primo  a  entrare  nel  sepolcro  di 
Cristo,  sebbene  il  tno  compagno  Giovanni, 
piA  giovane  di  te  ma  meno  fervente  nella 
fede,  Ibsse  ginnto  prima  eoe  Danto  si  rife- 
risce mani&stamento  alla  narrazione  evao- 
gelioa  (Giovanni  xz  1-9):  e  Or  U  primo  giorno 
della  settimana,  la  mattina,  essendo  ancora 
senzo.  Maria  y«ii«<itiAn«.  vanne  al  monumento, 
e  Tide  ohe  la  pietra  era  stata  rimossa  dal 
nonnmento.  Laonde  ella  se  ne  corse,  e  venne 
a  Simon  Pietro,  ed  all'  altro  discepolo  [Gio- 
vanni], ohe  qnal  Gesù  amava  ;  e  disse  loro  : 
WantiA  tolto  dal  monamento  il  Signore,  e  iioi 
non  sappiamo  ove  1'  abbian  poeto.  Pietro  a» 
émnqm  e  Cottro  dieeepolo  osciion  fnori;  e 
vmmmro  al  momamnto.  Or  correvano  amendne 
insieme  :  ma  qnell'  altro  discepolo  corse  in- 
nanzi più  prestamente  che  Pietro,  e  venne 
il  primo  al  monumento.  E,  chinatosi,  vide 
le  len^ftl*-  ohe  giacevano  nel  monumento  ; 
ma  non  vi  mtM.  S  Simon  Pietro,  ohe  lo  se- 
gnitera,  venne,  ed  mUrò  tul  mommmto,  e 
vide  le  lenzuola  che  giacevano. . .  Allora  a- 
donque  l'altro  discepolo,  ohe  era  venuto  il 
primo  al  monumento,  v'entrò  ttnoh'egli,  f  vide, 
e  credette.  Per  oi6  ohe  essi  non  avevano  an- 
cora oonosoenza  della  scrittura,  che  (conve- 
niva che  egli  [Gesù]  risuscitasse  dai  morti  >. 
▲  questa  narrazione  evangelica,  che  è  la  mi- 
glioro erogazione  della  terzina  dantesca, 
l' Alighieri  si  riporta  anche  nel  De  «lon.  m 
9,  insistendo  sulla  particolarità  ohe  Pietro 
entrò  subito  nel  sepolcro,  mentre  Giovanni 
giunto  prima  rimaneva  dubbioso  alla  porta  : 
onde  è  manifestamente  vana  la  censura  che 
il  Vent  appone  a  Dante  di  contiadizione  col 
vangelo.  ~  126.  v9r  lo  tepolero:  uon  già 
nel  giungere  al  sepolcro,  ma  nell'entrarvi  e 
nel  credere  ohe  Cristo  ora  risorto  da  morto. 
>-  127.  oh*  lo  ecc.  ohe  io  dichiari  quale  d 
r  essenza  della  mia  fède  e  anche  la  cagione 
ond'io  l'ho  abbracciata.  ~  128.  format  nel 
ienM>  tcolaftico  di  essenza.  —  pronto  ere- 


der:  in  che  senso  Dante  chiama  pnmla  la 
sua  fedo?  Por  mo  non  v*  ha  dnbblo  oh'  egli 
abbia  inteso  di  accennare  con  questo  agget- 
tivo la  disposizione  dell'animo  suo  alla  fede, 
all'immediato  accoglimento,  senza  dubbiezze 
e  senza  discussioni,  dello  verità  rivelate,  cosi 
ohe  protito  sarebbe  qui  noi  sno  senso  usuale. 
H  Pederzini  nelle  sno  note  al  Omv,  i  6, 
riawicànando  questo  verso  alle  Arasi  pnm- 
taxxa  di  KberaUtà  e  prmUa  liberalità,  voUe 
dare  all'agg.  pronto  il  senso  di  compiuto,  in- 
tero ;  e  cosi  il  proiUo  creder  sarebbe  quasi 
la  sintesi  dei  w.  86-67.  È  una  spiegazio- 
ne ingegnosa,  ohe  fte  accolta  dallo  Scart, 
ma  fondata  sopra  un  equivoco:  basta  leg- 
gere attentamente  tutto  il  oapitolo  del  Cone, 
per  intendere  ohe  la  proiUà  UberaHlà  del  vol- 
gare al  conAnmto  del  latino,  è  la  spontaneità, 
la  fisoilita  dell'usare  la  lingua  quotidiana  di 
fronte  alla  difficolta  di  scrivere  una  lingua 
morta;  si  ohe  l'idea  di  interezza  o  compiu- 
tezza è  si&ktto  estranea  a  quel  passo,  e  però 
anche  al  verso  dantesco.  —  180.  Io  eredo 
eco.  Ecco  la  profeesiono  di  fèdo  di  Dante, 
conforme  al  prìncipt  del  orlstianerimo  per 
coi  l'uomo  credo  in  un  IMo  eolo,  etemo,  mo» 
tare  di  tutte  le  ooss.  —  181.  oMe  eoo.  ohe, 
senza  essere  mosso  da  alcuna  altra  forza, 
muove  per  suo  amore  e  desiderio  ecc.  Bian- 
chi: «Dio  avendo  messo  nel  primo  vtobile 
un  grand'amore  e  desiderio  del  dolo  empireo 
ohe  gli  sta  sopra,  e  per  questo  dasouna  parte 
di  esso  primo  mobile  appetendo  di  congiun- 
gersi  con  la  parte  respettiva  dell'empireo,  ne 
nasoe  quel  velocissimo  movimento  ch'egli  ha, 
e  che  comunica  a  tutti  i  cieli  sottoposti  >  ; 
ofr.  Oone.  u  A.  —  188.  Ed  a  tal  ecc.  Ed  a 
indarmi  in  tale  credenza  io  non  ho  solamente 
le  prove  fisiche  e  metafisiche,  ma  anche  la 
verità  che  dal  dolo  d  venata  a  manifestarsi 
in  terra  per  mezzo  dei  libri  sacri.  —  prove 
eco.  Allude  alle  cinque  prove  fisiche  e  me- 
tafisiche date  dell'  esistenza  di  Dio  da  Tom- 
maso d' Aqu.  Swmm.,  P.  I,  qu.  u,  art  8,  e 
forse  anche  a  quelle  fomite  da  altri  filosofi 
e  teologi  a  lui  funiliari  (ofr.  Agostino  De 
Uber,  arbitrio n 8-15;  Boedo,  Qm. phfilo$,  m 


778 


DIVINA  COMMEDIA 


fisice  e  meiafifliee,  ma  dàlmi 
185        anco  la  yerilà  ohe  quinci  piove 
per  Moiaò,  per  Profeti  e  per  Salmi, 
per  l'ErangeliOi  e  per  voi  ohe  scriveste, 
138       poiché  1*  ardente  Spirto  vi  fece  almi. 
*£  credo  in  tre  persone  eteme,  e  queste 
credo  tma  essenza  si  una  e  si  trina 
141        che  so£Eera  congiunto  sono  ed  e9t6\ 
Della  profonda  condision  divina 
eh'  io  toooo,  nella  mente  mi  sigilla 
144       più  volte  l' evangelica  dottrina. 

Quest*è  il  principio,  quest'è  la  favilla 
che  si  dilata  in  fiamma  poi  vivace, 
147       e,  come  stella  in  cielo,  in  me  scintilla  ». 
Come  il  signor,  ohe  ascolta  quel  che  i  piace. 


^ 


10;  Qngoiìo  liagiio,  MoraL  xr  46;  Ugo  àm 
8.  Vlttora,  D$  atunmmd,  o«pp.  7-8  eoo.).  — 
184.  Ilsleo;  Mpis  essila  ttrminaiioiio  ofir. 
Puodi,  BmO.  mi21.  — 186.  f«r  H«l8è  eoo. 
noi  Ubxi  di  Mote  •  dai  FkofBtl,  n^  Baimiy 
Bo^  AkmV*^  *  B*Ue  WfitloU  eh»  rol,  apo- 
itoU,  «oiTWto  dopo  tmof  ttett  Muntlfloirti 
dallo  ipbito  crittlMio.  81  armt»  ote  la  dao- 
liflGMlono,  pOTdlrood,  dei  lilni  Ublid  quale 
è  in  qiiaatl  Temi  risponde  all'nio  dei  padri 
•  deltaelogi:  già  nel  Taagelo  i  Utei  delVeo- 
ohio  Teatamanto  sono  indicati  nello  ateaao 
modo  (Looa  xzir  4i:  e  oonTanira  ohe  tatte 
le  ooee  aoritto  di  me  neUa  legge  di  Motoè, 
e  nei  profeti,  •  nei  ailiii,  foaearo  adenpia- 
te»)>  qaaUi  ^  Nuoro  ftuono  leoipie  di- 
etintl  in  ApafV0Ì<t>  e  itfNwMtòo  (l«tten  •  fatti 
degU ÀpoatoU).  —  188.  alsl :  dirini, tanti; 
ooal  piegano  qnaai  tatti  dal  Lana  al  Lomb.  : 
enoneasiante  lo  Soart  intende  alinentatori 
della  Me  per  meno  degli  soritti.  —  139. 
K  erede  eoo.  Compie  la  profeesione  di  IMe, 
aggiongendo  di  oiedere  nel  miateio  della 
Trinità,  ammettendo  che  le  tre  penone  di- 
Tine  tono  di  natua  naa  e  trina,  in  modo 
ohe  si  paò  parlando  della  Trinità  nsare  il 
•OMO  (SIMO  e  l' è  (M<),  il  plorale  e  il  singo- 
lare. —  lAl.  aeffitra:  soffre,  amoiette;  oome 
è  nel  Oom.  n  9  :  «  La  dottrina  Teraoissima 
di  Cristo,  la  qnale  è ...  rarità,  perché  non 
toffma  aleoBo  errore  »,  e  n  16:  e  la  divina 
soiensa...  la  qnale  non  ao/fira  lite  alonna 
d'opinioni  >  eoo.:  è  indio,  presente  doU'antioo 
Tb.  so/fsrwv,  irregolare  nella  8»  pars,  (altri 
k>  derira  da  nn  inin.  toffmtn).  — 142.  Della 
prafonda  eoe  Di  questa  natura  misteriosa 
deUa  divinità,  doè  della  sua  unità  e  trinità, 
mi  danno  oertezxa  nella  manta,  mi  persua- 
dono i  libri  oTangelici  in  più  luoghi  (es. 
Matteo  zxvm  19,  Giovanni  ziv,  16,  17,  26, 
I  Ej^  V  7  ;  Paolo,  Il  Mìp,  a<  OorkiH  zm 


18  ecc.).  — 143.  tlkn%  laaea  eoo.  cka  io  ho 
aooennata;  alooni  testi  leggono  sà'ieloooaMe, 
fa  fHSfito  eoe.;  ma  la  frase  veramente  daoteaoa 

a  msNte,  Bel  aenao  di  i 

la  certessadiu 
cosi  acatitoita  da  una  ossessione  troppo  am- 
bigua, wtgUtmr  fo  nmtUdiUm  emdkoiom  eoe.; 
e  pereto  è  da  preferire  Feltra  leriona.  — 144. 
Pevangellea  eoo.  81  richiama  all'autorità  del 
vangelo,  perché,  ssoondo  le  dottrine  teologi- 
ohe,  par  meno  della  ragion  natarala  al  poa- 
oono  oonoeeere  le  cose  pertinenti  ali*  unità 
dell'  ssBonis  divina,  ma  non  qnaUe  pertineati 
aUa  distinzione  deQe  peraona  (cfr.  Toma, 
d' Aqu.,  Swm,,  P.  I,  qu.  zzxn,  art,  1).  ^ 
146.  Creare  Uprinelpla  eoo.  Queeto  poto, 
la  credensa  nella  Trinità,  è  il  princ^io  fon- 
damentale, ohe  si  espUca  ne^  attci  aitiooli 
della  lède  oriatiana,  a  quel  modo  ohe  la  £a- 
Tilla  si  dilata  in  fiamma  eoo.  Tale  è  l'Inter 
pretaxlona  pid  ovvia  e  comune;  ad  altri  mo- 
derni piacque  la  eentsnsa  del  Buti,  ohe  spie- 
gò :  «  La  dottrina  evangelica  è  lo  principio 
della  lède  »,  ohe  para  q^osislone  mano  eeatta. 
—  147.  e,  eame  eoo.  e  illnmina  nella  mia 
mente  tutte  le  dottrine  di  fede  oon  lo  aplen- 
dore  scintillante  di  una  atella.  ~  148.  Carne 
U  slgaer  eoo.  La  simiKtadina  è  tratta  dal- 
l'atto di  un  signore,  che  nella  gioia  cagiona- 
tsgli  da  una  .buona  novella  abbraoda  11  aervo 
che  gliél'ha  arrecata,  perdié  in  quel  mo- 
mento scompaiono  le  diiBBrense  di  grado,  e 
r  impeto  dell'  affetto  prorompe  oon  una  ma- 
nifestszione  di  domestica  familiarità.  Yen* 
tari  260  :  «  Dante  parsgona  eé  a  aenro.  An- 
che noli'  inferno,  pieeo  da  timcca  e  rimpr»- 
Terato  da  Virgilio,  UBÒ  la  atsssa  imitine  (in/: 
xvn  89).  Là,  aervo  dignitoaamente  Tocgogno- 
so  in  feccia  alla  sdenxa  umana  ohe  lo  et» 
regge:  qui,  in  dolo,  aervo  umilmanto  lieto 
riapetto  alia  divina  ohe  lo  I 


PARADISO  -  CANTO  XXIV  779 

da  indi  abbraccia  il  seryo,  gratulando 
150       per  la  novella,  tosto  ob'ei  si  tace; 
cosi,  benedicendomi  cantando, 
tre  Tolte  cinse  me,  si  com'io  tacqui, 
V  apostolico  lume,  al  cui  comando 
154    io  avea  detto  ;  si  nel  dir  gli  piacqui 

1:  ofr.  Jnf.  n  17.  »  149.  frfttilMdo  eoo.:  cfr.  Bar.  zxy  12.  ~  t<  ctm'l*  MO.  non  ap- 

manifostando  in  tal  modo  l'intama  gioia.  ~  pena  ébU  Unito  di  parlare.  -^  158.  1*  apo- 

161.  kcBedleeid^Hl  eoo.  impartendo  a  me  ttelleo  eoo.  il  lume  dell*  apoatolo  san  Pietro, 

la  sua  benediiione  in  vooe  di  oanto;  «  oan-  ali* invito  del  quale  io  avera  esposto  il  mio 

tandomi  benedidoni  >,  dice  il  Lomb,  — 152.  sentimento  soUa  fsde.  — 154.  si  nel  dir  eoo. 

trt  «00.  t*  aggiid  tN  volte  intorno  a  me;  tanto  egli  fti  sodisfktto  delle  mie  itepotte. 


CANTO  XXV 

San  Iacopo  iatenrega  Dante  intorno  alla  sperania  ;  e  poiché  Beatrice  ha 
risposto  per  Ini  circa  il  possesso  di  tale  Yìrtti,  il  poeta  ne  dichiara  la  Da- 
tura, r  origine  e  P  oggetto.  Tra  i  canti  dei  beati  appare  quindi  san  GioTsnni 
BTangelista,  il  qnale  assicura  Dante  d'avere  lasciato  morendo  il  suo  corpo 
solla  terra,  oontro  la  diversa  eredensa  difhisa  tra  i  cristiani  [14  aprile,  ore 
pomeridiane]. 

Se  mai  continga  che  il  poema  sacro, 
al  quale  ba  posto  mano  e  cielo  e  terra, 
8  '      si  die  m' ba  fatto  per  più  anni  macro, 
vinca  la  crudeltà,  che  fuor  mi  serra 

XXY  1.  Se  mal  eoo.  Bioemta  da  san  tondone  altrimenti  :  la  scienza  divina  perso- 
Pietro  rapproTasione  per  ciò  ohe  ha  detto  in-  niflcata  in  Beatrice  e  la  scienxa  unana  rap- 
tomo  alUufede,  Dante  si  aodage  a  sostenere  presentata  da  Virgilio  ;  ^a  virtd  e  il  Tizio  ; 
im'  altra  parte  del  sno  esame,  intomo  alla  le  fàToreroU  influenze  celesti  o  la  materia  sa 
speranza  ;  ma  il  pensiero  della  patria  terrena,  coi  esse  operarono  eoo.  ;  maè  molto  più  oon- 
neUa  quale  ool  hatteeimo  gli  fbrono  aperte  forme  al  concetto  espresso  nel  y.  segnento 
le  Tie  della  fisde,  lo  distoglie  per  nn  momento  U  spiegazione  di  poema  ore  si  tratta  delle 
daOe  speranze  di  beatitudine  celeste,  tcaen-  cose  celesti  e  delle  terrene.  —  8.  si  che  eoe. 
dogli  dall'animo  questo  caldo  sospiro  alla  sua  p^re  che  Dante  aocenni  alle  fktlche  sostenute 
Fizenze,doYe  si  augura  di  ritornare  dall'esilio  nello  scriyere  il  suo  poema,  negli  anni  che 
in  grazia  dell'opera  meravigliosa,  del  pomna  corsero  dalla  morte  di  Arrigo  VII  al  tempo 
JMTV,  prossimo  ormai  al  suo  compimento,  in  cui  dettara  questi  Tersi  ;  senza  doò  oh'  ei 
Ha  Al  Tana  spersnza,  poidié  appena  data  l'ul-  Toglia  richiamar  qui  tutte  le  Teglie  della  gio- 
tima  mano  alla  Commedia  l'Alighieri  mori,  Tinozza  e  gli  studi  dei  primi  tempi  del  suo 
lontano  dalla  terra  che  l'aroTa  Tisto  nasoere  esilio  ;  che  rapprsaenterebbero  la  preparazione 
e  oh'  egli  aTera  eternata  nei  suoi  oanti.  —  all'opera  immortale  (ctr.  IStrg,  ^^^^  87).  — 
•enUnfas  aTTonga,  accada;  latinismo  in-  4.  Tinca  eoo.  Dal  momento  in  cui  fu  esiliato 
•olito.  —  U  peesia  saere:  cfr.  la  nota  al-  sorse  in  Dante  il  desiderio  di  rientrare  in 
VJnf.  ZZI  2,  per  dò  che  riguarda  il  titolo  patria,  nò  mai  si  spense  anche  quando  pid 
dell'  opera  di  Dante:  saaro  e  taerato  {Par,  zzni  difficile  doTOTa  sembrare  l'attuazione  di  esso 
62)  sono  epiteti  che  accennano  alla  materia  (cfr.  Air.  zTn  46  e  segg.).  In  prindpio  del 
dell'opera,  e  spedalmente  a  quella  della  terza  Oorw.  i  8  seriTera  :  e  Fu  piacere  de'  dtta- 
cantlca,  oto  gli  argomenti  profani  cedono  ^  dini  della  belUssima  e  famorissima  figlia  di 
campo  alla  trattazione  di  cose  religiose.  —  Roma,  Fiorenza,  di  gettarmi  fuori  del  suo 
2,  al  %mÈl9  ecc.  al  quale  poema  hanno  oon-  dolcissimo  seno,  nel  quale  nato  e  nndrito  Ud 
tribuito  ildeloelaterra:  il  delo  con  1  dogmi,  fino  al  colmo  della  mia  Tita,  e  nel  quale,  oon 
le  dottrine  e  i  misteri  della  fede  ;  la  terra  buona  pace  di  quelli,  desidero  con  tutto  il 
eoi  suoi  abitatori  e  le  azioni  loro.  È  questa  cuore  di  riposare  1*  animo  stanco  e  termi- 
la  più  comune  Interpretaziono ;  ma  altri  in-  nare  il  tempo  che  m*  ò  dato  >.  £  gli  stessi 


780 


DIVINA  COMMEDU 


12 


del  bello  ovil,  dov'io  dormii  agnello 
nimico  ai  lupi,  ohe  gli  danno  guerra; 

con  altra  voce  omal,  con  altro  vello 
ritornerò  poeta,  ed  in  sul  fonte 
del  mio  battesmo  prenderò  il  cappello; 

però  che  nella  fede,  che  fa  conte 
r  anime  a  Dio,  quivi  entra'  io,  e  poi 
Pietro  per  lei  si  mi  girò  la  fironte. 

Indi  si  mosse  un  lume  verso  noi 


di  quella  spera, 

pensteii  mise  In  reni  mi  principio  di  quatto 
canto,  aggiuntavi  V  idea  ohe  i  meriti  di  grande 
poeto  gli  ottenessero,  oltre  la  patria,  anohe 
la  ooronazione  in  san  Giovanni;  idea  da faii 
espressa  anche  in  on  carme  latino  a  Giovanni 
del  Virgilio,  il  quale  avealo  invitato  a  recarsi 
a  Bisogna  per  ricevere  la  Unirea:  clTonne 
tiinmphales  meUns  pesare  oapilloe.  Et  patrio 
redeam  si  quando,  absoondei»  canoe  laonde 
snb  inserta,  solitom  flavesoere,  Samo  ?..  Qnnm 
mondi  drcamflna  corpora  canta  Astrìoolae- 
qne  meo,  velnt  inliua  regna,  patebnnt,  De- 
vindre  caput  hedera,  laoroqneinvabit»  (ofr. 
F.  Macrl  Leone,  La  buooUea  latina  netta  Iti- 
tératma  italiana  del  sso.  XIV,  P.  I,  Torino, 
Loescher,  1889;  P.  H.  ^Wlcksteed  e  S.  G. 
Oardner,  Dante  and  Oiovanni  del  VurgiUo, 
Westminster,  1902).—  In  endeltà  eco.  r  osti- 
nato odio  di  parto,  ohe  mi  ohiade  le  porto 
della  città  ov*  io  crebbi  e  vissi  puro  di  onore, 
ma  nemico  ai  cittadini  malvagi  che  straziano 
Firenze.  —  6.  ovili  cfr.  Far,  zvi  25.  — 
agnello  eoo.  LMdea  del  lupo  e  dell'agnello 
per  significare  il  cattivo  e  il  bnon  cittadino 
pad  essere  stato  suggerito  a  Danto  da  pi& 
luoghi  della  Bibbia  {Sloolea,  zm  21,  Geremia 
ZI  19),  ma  era  del  linguaggio  medioevale,  ch6 
chiamavansi  hipi  rapaci  i  potenti  cittadini  e 
magnati,  perturbatori  della  pubblica  quieto 
(ctt,  Pwrg,  zrv  60,  Fair,  xxvn  66).  —  6.  gli 
éanno  eco.  al  bello  ovile,  alla  città  di  Firenze 
e  al  suo  comune  arrecano  perturbazioni  civili. 
—  7.  eoB  allrn  eoo.  ritornerò  in  patria,  non 
più  poeta  di  terreni  amori,  ma  di  cose  alto  e 
celesti;  né  più  giovane  baldo  e  animoso  come 
io  n'  uscii,  ma  maturo  di  anni  e  di  consiglio  : 
e  cosi  sarò  riconosciuto  meritovole  di  rice- 
vere l'onore  dell'incoronazione  nel  mio  bel 
San  GiovannL  Alcuni  commentatori  inton- 
dono  voce  per  fttma,  nominanza;  altri,  per 
voce  indebolite  dagU  anni:  veUo  poi  sembra 
oertamento  indicare  la  chioma  del  poeta,  im- 
biancata dagli  anni  ;  di  piU  altre  e  inammis- 
sibili intorpretazioni  non  occorre  parlare  :  si 
veda  ad  ogni  modo  fl  Todesohini,  Scritti  tu 
Dante,  TI  818-884.  —  8.  ritornerò  eco.  ofr. 
Boccaccio,  Vita  di  Dante  S  8  :  «  £  però  spo- 
ran(lo  per  la  poesia  allo  inusitato  e  pomposo 
onore  deUa  coronazione  dell'alloro  poter  per- 


ond'usci  la  primizia 

vanire,  tutto  a  lei  al  diede  •  itadiaftio  •  oon- 
ponendo.  E  certo  il  suo  desiderio  venia  in- 
taso, se  tanto  gU  tosse  stato  la  fortnnn  gra- 
ziosa ohe  egli  fosse  giammai  potato  tornare 
in  Firense,  neUa  quel  sete  K>pra  le  fonti  di 
San  CHovanni  s'era  disposto  di  coronare  ;  ao- 
dò  ohe  quivi,  dove  per  lo  battasimo  avea 
preso  U  primo  none,  quivi  medesimo  per  la 
ooronazione  prendesse  il  secondo  ».  —  sul 
fento  eco.  In  San  Giovanni  di  Firenze,  an- 
tioo  tempio  pagano  ridotto  nei  primi  tempi 
cristiani  al  nuovo  oulto,  è  tuttora  il  fonte 
battosimale  per  l'intera  citta:  ai  tempi  di 
Danto  v'  era  un  fonto  da  lui  accennato  in 
Bif.  ZEC  17  e  segg.,  Air.  zv  134,  opera,  se- 
condo alcuni  (Vasari,  Vite  1  813),  di  Giovanni 
Pisano  :  cfr.  A.  Kardini  Despotti,  Il  dMom 
di  8.  (Ho,  oggi  Battistero  di  Fireiwe,  Firenze 
1902.  —  9.  prenderò  11  cappello:  sarò  in- 
coronato ;  eappello  è  qui  nel  senso  del  tnao. 
ehapeau  e  del  prov.  eapeOu  (Zing.  120  e  Pa- 
rodi, ButL  m  146),  che  valgono  ^dzlanda, 
corona;  ofir.  Boocaooio,  Dee,  i  1:  «Non  sap> 
piendo  li  franoeschi  ohe  si  volesse  dire  Cep- 
perello, credendo  ohe  oappeUo,  cioè  gkSrbm' 
da,  eecondo  il  loro  volgare,  a  dir  venisae  »; 
di  ohe  si  ha  la  riprova  nel  lìar,  zzzn  72.  La 
spiegazione  di  F.  Nevati,  Indt^mi  e  poetiUe 
dant.,  pp.  78  e  segg.,  òhe  il  cappello  si  abbia 
da  intondere  qui  per  il  berretto  dottorale  e 
che  Danto  aspirasse  a  esser  laureato  o  con- 
ventoto  in  arti,  non  ha  fondamento  sufll- 
dento  (cfr.  BulL  Vili  169-172,  SIS,  IX  76, 
269).  — 10.  che  fa  ecc.  ohe  te  noto  a  Dio  le 
anime;  cfr.  Gregorio  Magno,  InExeeh.  i3: 
e  Per  fidem....  ab  omnipotenti  Deo  oognosd- 
mur  ».  —  11.  fnlvl  eoe  in  San  Giovanni  toi 
io  battezzato,  e  cosi  intromesso  nella  fede 
cristiana.  —  12.  si  Ini  ecc.  mi  si  aggirò  in- 
tomo, oome  ho  detto.  Air.  zzrv  162.  Non  è 
un  ricordo  inutile  di  cosa  detta  poco  innanzi, 
ma  necessario  richiamo,  dopo  la  digressione 
iniziale,  e  opportuno  per  riprendere  la  nar* 
razione  rimasta  intorrotta.  —  13.  Inél  eoe. 
Dalla  stessa  corona  di  beati,  dalla  quale  era 
uscito  san  Pietro  (Air.  zziv  19  e  segg.),  si 
mosse  verso  il  poeta  e  la  sua  guida  nn  altro 
splendore,  doò  l'apostolo  san  laoqio,  ohe  esa- 
minerà Danto  intomo  alla  speranza.  ~  U.  la 


PARADISO  -  CANTO  XXV 


781 


16       che  I9BCÌÒ  Cristo  dei  vicari  suoi; 
e  la  mia  donna  piena  di  letizia 
mi  disse:  «Mira,  mira,  ecco  il  barone, 
18       per  ciii  là  gii.  si  visita  Galizia  >. 
Si  come  quando  il  colombo  si  pone 
presso  al  compagno,  e  l'uno  all'altro  pande, 
21        girando  e  mormorando,  l'affezione, 
cosi  yid'io  l'un  dall'altro  grande 
principe  glorioso  essere  accolto, 
24        laudando  il  cibo  cbe  là  su  li  prande. 
Ma  poi  cbe  il  gratular  si  fu  assolto, 
tacito  c&ram  me  ciascun  s'affisse, 
27        ignito  si  che  vinceva  il  mio  volto. 
Ridendo  allora  Beatrice  disse: 
«  Inclita  vita,  per  cui  la  larghezza 


prlnlslft  eoo.  U  primo  e  più  eooeUonta  dal 
Ticari  di  CMsto  in  terra,  dei  pontefici  roma- 
hL  — 17.  Mira  eoo.  Onaida  la  Inoe  di  san 
Iacopo  apostolo,  per  dtTOskme  al  qnale  i  pél- 
legiioi  (ofr.  F.  ^.  XL  81  •  segg.)  fìuino  il 
Tiaggio  di  GaUida.  Fiequentatiflaimo  fu  nel 
medioero  il  aantoario  di  San  laoopo  di  Com- 
postella  (  Santiago  )  nella  Qallizia,  ove  era 
sepolto  il  oorpo  dell'apostolo  (ofr.  P.  Bi^na, 
eiom,  9ior.  d.  UU,  «.,  VI  119-181):  1  fiorentini 
solevano  tvn  prima  il  pellegrinaggio  di  Terr»* 
santa,  e  poi  quello  di  San  laoopo,  per  il  qnale 
s'ar?id  anche,  sema  oominerlo,  Onido  Cavai* 
canti.  ~  karenei  cfr.  Par^  zzrv  116.  —  18. 
C]aUsl*:laQaIliiU(lat.  ObZtaaofo)  è  U  regio- 
ne ddla  Spagna,  ove  soige  Santiago.  — 19. 8( 
coma  eco.  Gentilissima  è  la  similitadine,  con 
la  quale  il  poeta  descrive  rafléttnosa  acco- 
glienza ohe  si  fecero  sn  nel  dolo  i  doe  apo- 
st(^;  forse  Dante  si  ricoxdd  dell'oraziano 
{EpiaL  I  10,  5):  «Annvimns  pariter  vetoli 
notiqoe  columbi  »,  ma  avvivò  la  sna  pittura 
od  félioe  accenno  agli  atti  propri  dei  colombi 
per  manifestare  ilreoiprooo  affetto.  ~  20.  1*bbo 
eoe.  r  uno  manifesta  (sol  vb.|MfkÌ0r«Gfir.i\ir. 
XV  68)  all'  altro  il  suo  affatto  aggirandoee- 
gli  intomo  con  doloi  mormorii.  —  22.  eesC 
eoo.  cosi  Iacopo  Ite  accolto  da  Pietro,  e  in- 
siesae  lodavano  la  grazia  del  Signore  (ofr. 
Par,  zzrv  1),  della  quale  si  saziano  i  beati. 
—  %L  pna4et  il  vb.  prandtf  (ofr.  Awy. 
xzvn  78)  iignilloa  cibare,  pascere.  —  26.  Ha 
poi  eco.  Ha  poiché  il  vicendevole  rallegrarsi 
di  Pietro  e  Iacopo  fu  finito  {fu  aatotio  è  il 
laL  abaokOum  fuU)^  entrambi  si  fermarono 
(ofr.  Inf,  zn  116)  in  silenzio  davanti  a  me, 
sfavillando  in  modo  ooa(  abbagliante  oh'  io 
non  poteva  guardare  in  essi.  —  27.  vlneeva 
eoe.  SMondo  tntensiasimo  lo  splendwe  delle 
dna  ludf  Danto  ncm  lo  sosteneva  e  dovette 
àbbaMare  la  fooda  (cfr.  v.  84)  ;  meno  esat- 


tamente alcuni  interpreti  spiegane  sotto  per 
vista  ;  che  sarebbe  contro  il  costante  uso  dan- 
tesco. —  28.  BIdeaie  eoo.  Beatrice,  accom- 
pagnando le  parole  con  il  suo  celeste  sorriso, 
invita  l'apostolo  Iacopo  a  interrogar  Dante 
sulla  speranza  (w.  29-88);  e  l'apostolo,  in- 
coraggiato il  poeta,  gli  chiede  che  cosa  sia 
la  speranza,  come  egli  la  possegga  e  onde  gli 
sia  derivata  (w.  81-48)  :  Beatrice  risponde 
essa  alla  seconda  domanda,  prevenendo  cosi 
U  risposta  di  Danto  (w.  49-68),  U  quale  al- 
lora dichiara  la  definizione  e  Torigine  della 
speranza  (w.  64-78),  e  a  una  nuova  inteir- 
rogazione  di  laoopo  (w.  79-87),  dice  ohe  la 
speranza  prometto  una  piena  beatitudine  (w. 
88-96),  compiendo  ooa(  fl  suo  esame  sulla  se- 
conda virtfi  teologale.  »  29.  laellta  ecc. 
Beato  spirito,  ohe  scrivesti  della  liberalità 
di  questa  reggia  celeste.  Pari  autorità  di  testi 
hanno  le  due  lezioni,  VaUegnxixa  seguito  dal 
Witto,  e  la  largkMxa  più  comunemento  ao- 
colta  dai  moderni  editori  ;  si  ohe  per  deddere 
bisogna  esaminare  il  concetto  del  poema.  È 
manifosto  che  Danto  volle  qui  accennare  I'jB^ 
pidola  eattoliea  che  al  suoi  tempi  era  creduto 
opera  di  san  laoopo  :  la  quale  nel  suo  prin- 
cipio ha  questo  parole,  1 2  :  «  Beputoto  com- 
piuto allegrezza,  itatelli  miei,  quando  sareto 
caduti  in  diverse  tentazioni  »  èco.,  onde  par- 
rebbe conflarmato  la  leztone  aUtgrexxa  :  se  non 
che  in  questo  parole  si  parla  di  allegrezza 
degli  uomini,  non  della  diviniti.  Perdo  è  pifi 
probabile  che  Danto  abbia  alluso  ad  altre  pa- 
role àeìL*EpiaL  n  6,  17:  «Ohe  se  alcun  di 
voi  manca  di  sapienza,  chieggala  a  Dio,  che 
dona  a  tutti  liberalmento,  e  non  fa  onta,  e 
gli  sarà  donata...  Ogni  buona  donazione  ed 
ogni  dono  perfetto  è  da  alto,  discendendo  dal 
Paradiso  »  ;  nelle  quali  veramento  è  celebrato 
la  larghtstxa  o  liberalità  di  Dio  e  della  sua 
oelestial  corto.  —  vltot  ofr.  Bar,  n  7.  — 


782 


DIVINA  COMMEDIA 


30 


88 


89 


42 


della  nostra  basilica  si  scrìsse, 

fa'  risonar  la  speme  in  qnesta  altessa; 
tu  saif  ohe  tante  volte  la  figari, 
quanto  Gesù  ai  tre  fé'  più  chiarezsa  ». 

<  Leya  la  testa,  e  fa'  oKe  t' assicnrì  ; 
che  ciò  clie  yien  qua  sa  dal  mortai  mondo, 
conyien  eh'  ai  nostri  raggi  si  maturi  ». 

Questo  conforto  dal  foco  secondo 
mi  venne;  ond'io  levai  gli  occhi  ai  monti, 
che  gì' incurvaron  pria  col  troppo  pondo. 

e  Poiché,  per  grazia,  vuol  che  tu  t' affironti 
Io  nostro  imperadore,  anzi  la  morte, 
nell'aula  più  segreta,  co' suoi  conti; 


n 


so.  déllft  Bettrft  «oo.  di  Dio  •  della  soa  oorte* 
Lana  :  <  bagiUea  tanto  è  dito  quanto  doimu 
ngiOf  ti  ohe  '1  tolle  qui  per  lo  rege  eterno  ». 
—  81.  fa*  eoo.  fk'  ohe  il  oda  il  noaie  della 
■perania  In  qneeto  alto  eielo,  intenoga  Danto 
ralla  apenokza,  oome  Pietro  V  ka  intenogato 
ralla  lèda.  È  da  arrertlre  ohe  alooni  teologi 
nello  iplegara  la  traeflgniaalone  di  Cristo  e 
altri  raoi  atti  li  qnali  roUe  pfeeenti  eoli 
Pietro,  Iacopo  e  Oiovanni,  aamettono  ohe 
dò  ligniilofai  Io  tre  Tirtd  santo  essere  stoto 
oorroborato  dai  miracoli  di  QssA  ed  essere 
raffigurato  la  fede  in  Pietro,  la  speranza  in 
laoopo,  la  oarità  in  Oioranai  :  Tomm.  d' Aqu., 
Swmm.  P.  m,  qu.  zlt,  art  8  dà  di  old  di- 
▼em  e  più  profonda  spiegasione,  ma  Danto 
sembra  aver  profossato  l'o^biklone  più  Tolgare. 
~  83.  tal  Md  eoe.  a  to  oonviene  for  questo 
esane,  poiché  tu  nel  testo  erangelioo  rappre- 
eentl  la  speiansa  in  totti  I  oasi  ohe  Cristo 
dimostra  la  san  diTiaità  al  tre  apostoli  pre>> 
foriti.  I  fotti,  onl  Cristo  ToUe  preeenti  soli 
Pietro,  Iacopo  •  OioTannl,  ftuono  la  risur- 
rezione della  figlia  di  lairo  (Loca  vm  40-66), 
la  trasflgnrasione  (Matteo  xm  1-8,  Marco  ix 
2-9,  Lnoa  ne  98-86),  e  la  preghiera  nell'orto 
di  Oetsemane  (Matteo  zzn  86-46,  Maroo  zxr 
82-42).  Si  oeserri,  quanto  al  testo,  ohe  ya 
posto  una  Tirgola  dopo  te  sa<  (tu  conosd  bene 
la  speranza,  sei  in  grado  di  eeamlnar  Danto 
ra  questo  punto)  e  o^  è  pron.  relatiTo;  al- 
trimenti  ne  Terrebbe  un  concetto  puerile  :  te 
•a»  eh»  eco.  tu  non  ignori  di  rapproeentare 
nel  Tengalo  la  iqieran».  Inoltre,  fonte  fkUé 
quemio  è  loouzione  regolarissima,  perché  il 
quamio  ha  un  Talora  neutro,  ohe  dà  all'espres- 
sione danteeea  il  senso  di  ^wanfo  sono  ì»  folto 
eA«;  né  0*  è  bisogne  di  riocnere  alla  lesione 
qyanUy  più  oTTla  oertamente,  ma  recato  da 
testi  di  minore  autorità.  —  88.  fé*  pid  eoa  foce 
pi6  chiara  manifostaifone  deUa  sua  diTinità. 
Molti  testi  e  alcuni  oommentatori  (BenT.,Land. 
ecc.)  hanno  Mfuxxa,  nel  senso  di  fomilia- 
rità;  lezione  che  potrebbe  difendersi  citando 


il  passo  del  Cbne.  n  1,  ore  H 
dei  tre  soli  compagni  presi  da  Cristo  per  as- 
sistere alla  trasfigurazione  è  dichiarato  ooaf  : 
«  aUe  secretisslme  ocee  noi  doyemo  aTerepooa 
oompagnfo  »,  doè  podd  e  fidati  compagnL  — 
84.  Lara  eoe.  Al»  il  Tolto(ofir.  t.  27)  e  rin- 
francati, perché  ohi  dalla  terra  sale  al  dato 
doTO  abituarsi  agli  splendori  di  parsdiso.  — 
88.  al  nastri  eco.  perfozioni  i  suoi  censi,  • 
perdo  si  rrada  capace  di  sostenere  1  noetri 
raggL  »  87.  Qaeste  eco.  Questo  paroto  di 
Incoraggiamento  mi  forono  indirizato  dalla 
luce  dell'apostdo  laoopo.  —  88.  al  BMnil 
ecc.  al  due  apostoli,  ohe  prima  con  la  luce 
troppo  grande  per  la  mia  Tisto  mi 
fotto  chinare  il  Tolto.  L'esprssslune  dante 
d  deriTato  daUe  sacre  scritture  ;  cfr. 
cxxi  1  :  «  Io  alzo  gli  ooohi  si  monti,  per  Te- 
derà onde  mi  Terrà  aiuto  »  ;  sul  quale  passo, 
noto  il  finti:  « <)ueeti  eono  li  monti,  cioè  U 
santi  Apostoli,  ohe  sono  posti  In  alto  per  ee- 
oeUenzia  di  dottrina,  oome  li  montL  E  qd  d 
dimoatra  che  l'autore,  ragguacdando  prima  la 
dottrina  apostolica,  fo  soperdiiato  da  cesa  per 
la  sua  grandezza; ....  ma  poiché  l'omo  s*»- 
Tanza  ad  essa,  diToato  abile  ad  intenderla  e 
seguitarla  ».  —  40.  PaicM  eoo.  Dopo  to  pa- 
role d'incoraggiamento  rirolto  a  Danto,  Ia- 
copo riprende  a  parlare  (efr.  t.  48)  fooaado 
le  rae  interrogazioni  sulla  speranza,  e  ^ce  : 
Poiché  Db  per  grazU  singolare  ti  ha  conce- 
duto di  Tenire  tìto  a  oontemplars  i  beati  nel 
paradiso,  afflndié,  quando  aTxai  oonoednte 
la  Terità,  tu  possa  in  to  •  negli  altri  ralfor^ 
mar»  quella  speranza  che  nd  mondo  te  de- 
siderare agli  nosdni  la  beatitadiDe  oetoste, 
dimmi  die  cosa  è  la  speranza,  in  qua!  misura 
U  possiedi  e  onde  f  è  deriTata.  —  f  nCMa* 
tL..  ce'  suel  «enti  t  tu  Tenga  a  fronte,  te 
giunga  a  contemplare  I  raoi  beati  eoo.  ATendo 
chiamato  Dio  il  nostro  imptnèon  mantiene  la 
metafora  dicendo  mia  la  sede  di  lui,  •  eofiM 
i  beati  che  lo  droondano,  ooma  I  ccolt  (tot 
wmUm)  tonno  oompagnfo  d  prindpi  dedn  ter^ 


PARADISO  -  CAirrO  XXV  783 

si  che,  veduto  il  ver  di  questa  corte, 
la  speme  che  là  giù  bene  innamora 
45       in  te  ed  in  altrui  di  ciò  conforto: 
di'  quel  che  eli'  ò,  e  come  se  ne  infiora 
la  mente  tua,  e  di'  onde  a  te  venne  »  ; 
48       cosi  segui  1  secondo  lume  ancora. 
E  quella  pia,  che  guidò  le  penne 
delle  mie  ali  a  cosi  alto  volo, 
51       alla  risposta  cosi  mi  prevenne: 
«  La  chiesa  militante  alcun  figliuolo 
non  ha  con  più  speranza,  com*è  scritto 
54       nel  sol  che  raggia  tutto  nostro  stuolo; 
però  gli  ò  conceduto  che  d'Egitto 
venga  in  Gerusalemme  per  vedere, 
57        anzi  ohe  il  militar  gli  sia  prescrìtto. 
Gli  altri  due  punti,  che,  non  per  sapere, 
son  domandati,  ma  perché  rapporti 
60        quanto  questa  virtù  t' è  in  piacere, 
a  lui  lasc'io;  che  non  gli  saran  forti, 
né  di  iattanza:  ed  egli  a  ciò  risponda, 
63       e  la  grazia  di  Dio  ciò  gli  comporti  >. 
Come  discente  eh' a  dottor  seconda, 
pronto  e  libente,  in  quello  ch'egli  è  sporto, 
66       perché  la  sua  bontà  si  disasconda: 
€  Speme,  diss'  io,  è  uno  attender  certo 

re.  —  4i.  éké  là  yli  eoo.  òhe,  essondo  tìtM  stioni  (essenza  e  origine  della  speiansa),  ohe 
tedogloa,  induce  negU  animi  nmani  l'amore  di  gli  sono  state  ftttte  non  già  per  oonoeoere  il 
Dio.  —  46.  di  elò  t  con  il  pensiero  della  corte  mo  pensiero  in  proposito,  ma  eolamente  per- 
celeete.  »  49.  qiellm  eco.  Beatrice,  che  chó  egH  fàccia  noto  agli  altri  nomini  quanto 
arerà  tratto  il  poeta  a  qnell'  altissimo  dolo,  ta  aaìi  questa  rirtd  della  speranza,  lascerà  io 
rolle  essa  rispondere  alla  seconda  domanda;  a  lui  ;  non  risponderò  io  sugli  altri  due  punti, 
perché  a  lui  sarehbe  stato  difficile  il  commi-  sui  quali  senza  difficoltà  e  senza  ranae^oria 
Buiaie  l' intensità  della  propria  speranza  e  può  dlsoorrere  Dante.  ~  61.  ■#■  gli  eoo.  ott, 
poco  oonreniente  il  dire  quanto  eesa  fosse  la  nota  al  r.  49.  —  S8.  e  la  grazia  eoo.  • 
rira  e  perenne  (cfr.  r.  61-62).  »  ehe  gaidà  Dio  gli  sia  largo  della  sua  grazia  sf  oh'  ei  possa 
ecc.  ofr.  Par.  xr  68-64.  »  62.  La  ehleaa  rispondere  adeguatamente  alle  tue  domande. 
eoo.  Come  è  scritto,  e  tu  puoi  leggere,  nel-  —  eeapertl:  consenta,  conceda.  — 64.  Oeoit 
l'aspetto  dirino,  non  r*  ha  alcun  uomo,  tra  ecc.  Come  il  discepolo  prontamente  e  spenta- 
quanti  ndUtuio  sotto  le  insegne  della  Chiesa,  neamente  risponde  al  maestro,  desiderando  di 
tra  tatti  1  cristiani,  che  nutra  tanta  speranza  mostrare  la  sua  eccellenza  ecc.  Già  nell'oo- 
della  sua  salute.  —  68.  eem>  è  Mrltt»  ecc.  castone  delle  risposte  date  a  san  Pietro  Dante 
cflr.  JRir.  zxn  106.  —  64.  bH  sol  eco.  in  Dio,  ha  tratto  una  similitudine  dalla  scuola  (Air. 
che  della  aua  luce  illumina  tutti  i  beatL  —  zxrr  46  e  segg.)  :  e  qui  ne  ha  un'  altra  che 

66.  ehe  é'Sgitto  ecc.  di  renire  dal  mondo  potrebbe  parere  un  dolce  ricordo  della  sua 
a  oontemplare  il  paradiso  prima  ch'egli  ab-  studiosa  giorentft;  in  questa  similitudine  si 
bla  oomphito  la  sua  rita  terrena.  L' l^tto,  arrerta  la  cura  del  poeta  di  mettere  in  eri- 
nelle  sacre  carte,  è  simbolo  della  rita  ter-  denza  il  motiro  della  prontezza  e  spontaneità 
rena  ;  Gerusalemme,  della  corte  celeste.  —  della  risposta,  che  è  il  desiderio  dell'  eocel- 

67.  11  adlitar  eco.  Il  periodo.  Il  tempo  della  lenza,  oomune  a  tutti  gli  uomini  d*  ingegno 
rita  umana,  ohe  è  una  milizia  (ott.  Giobbe  (cfr.  Awy.  zi  86)  e  nobilissimo,  quando  non 
mi).  —  preseritte  :  cfr.  B»r,  xzi  108,  zzir  trasmodi  in  sttpert>ia.  —  seeoada  t  tiea  dietro 
6.  «^  08.  COI  altri  eco.  Le  altre  due  que-  rispondendo.  —  67.  8fea«  eoo.  La speransaè 


784 


DIVINA  COMMEDIA 


della  gloria,  futura,  il  qual  produce 
G9       grazia  divioa  e  precedente  merto. 
Da  molte  stelle  mi  vien  questa  luce; 
ma  quei  1a  distillò  nel  mio  cor  pria, 
72        che  fu  sommo  cantor  del  sommo  duce. 
^  SpererU  in  te^  nella  sua  teodia 
dice,  coloi*  che  sanno  il  nome  tuo  '  : 
75       e  chi  no  '1  sa,  s*egli  ha  la  fede  mia? 
Tu  mi  stillasti  con  lo  stillar  suo 
nell'epistola  poi,  si  eh* io  son  pieno, 
78        ed  in  altrui  vostra  pioggia  replùo  ». 
Mentr*io  diceva,  dentro  al  vivo  seno 
di  quello  incendio  tremolava  un  lampo 
81        sùbito  e  spesso,  a  guisa  di  baleno. 
Indi  spirò:  «L'amore  ond'io  avvampo 
ancor  vèr  la  virtù,  che  mi  seguette 
84       infin  la  palma  ed  ali*  uscir  del  campo, 
vuol  ch'io  respiri  a  te,  che  ti  dilette 
di  lei;  ed  èmmi  a  grato  che  tu  diche 
87        quello  che  la  speranza  ti  promette  ». 
Ed  io  :  <  Le  nuove  e  le  scritture  antiche 


l'aspettazloiie  fernut  della  gloria  fdtitra,  aspet- 
tazione prodotta  dalla  grazia  divina  e  dai  me- 
riti  preoedentL  Dante  traduce  la  Aefinizione 
di  Pietro  Lombardo,  8entmLm2i:  «  Spes  eit 
certa  expectatio  fbtnrae  beatltodinif,  yenienB 
ex  Del  gratia  et  ex  meritìa  praeoedentibaa  »  ; 
sulla  quale  ofr.  Tomm.  d'Aqu.,  8wnm.  F.  I 
2m,  qu.  LX,  arte  2  e  P.  II  2^,  qu.  xvn, 
art  1-2.  —  68.  U  qual  eoo.  il  quale  atten- 
dere, la  quale  aspettazione  producono  la 
grazia  di  Dio  e  le  opere  meritorie  preceden- 
temente compiute.  »  70.  Da  «olte  ecc. 
Passa  qui  a  rispondere  all'ultima  domanda, 
onde  a  lui  sia  venuta  la  speranza,  e,  sebbene 
già  nella  definizione  abbia  accennato  a  tale 
origine,  dichiara  d'averla  attinta  alle  sacre 
carte  e  specialmente  ai  salmi.  —  stelle  s  au- 
tori dei  libri  sacri  :  ofr.  Daniele  xn  8  :  «  Quelli 
che  avranno  giustificati  molti  rispleuderanno 
come  stelle  in  sempiterno  ».  —  71.  la  distil- 
lò :  la  inftise,  la  trasmise  all'  animo  mio.  — 
72.  s^Bima  ecc.  David,  cantore  dello  Spirito 
Santo  {Fùr,  xx  88).  —  73.  Sperent  occ  Sono 
parole  del  Salmo  ix  11,  secondo  la  vulgata  : 
«  Sperent  in  te  qui  noverunt  nomeu  tuum  >  ; 
cioè  quelli  che  hanno  fede  in  Dio,  a  però  co- 
noscono il  suo  nome,  debbono  nutrire  la  spe- 
ranza della  beatitudine;  perohó  la  speranza 
nasce  dalla  fede  (dr.  Tomnud'Aqu.,  Summ, 
P.  n  2m,  qu.  xvn  art  7).  ->  teodCa  t  canto 
divino,  il  libro  dei  Baimi:  per  albe  spiega- 
rioni  cfr.  Moore,  I  66.  ~  76.  e  chi  eoo.  • 
chiunque  professa,  come  me,  la  fede  cristi^ 


na  conosce  il  nome  del  vero  Iddio.  *  76. 
Ta  Mi  ecc.  L' inspirarione  oh'  io  trassi  dalle 
parole  di  David  mi  ta  confermata  dalla  taa 
Epistola,  insieme  oon  quella  di  David  la  tua 
parola  susdtd  e  confermò  nell'animo  mio  la 
speranza  ecc.  Nell'Epist  di  san  laoc^  mm 
si  tratta  di  proposito  deUa  paranza,  ma  psb- 
recchi  passi  vi  sono  (es.  i  12,  n  6,  rv  8  eoe.) 
che  ben  possono  alimentaria  nel  cuore  d^ 
credente.  —  77.  sf  eh'  lo  ecc.  in  modo  ch'io 
mi  sento  pieno  di  speranza  e  riverso  sogli 
altri  uomini  questa  virtd  da  voi  ins^xatamL 

—  78.  rep lio  :  ripiovo,  riverso  (lat  rtylyu). 

—  79.  deatro  eoe  per  entro  aDa  fiamma  di 
Iacopo  apparivano  improvvisi  e  frequenti  guiz- 
zi; segno  esteriore  della  gioia  provata  da 
quel  santo  spirito  per  le  risposte  di  Dante. 
~  82.  spirò  X  disse  ;  ofr.  Few,  xxrr  64.  L'apo- 
stolo rivolge  a  Dante  un'  altra  domanda,  oiica 
l'oggetto  della  speranza.  —  li*  amar»  aoo. 
L'amore,  onde  io,  anche  in  Questa  beata  corte 
ove  non  ha  più  luogo  la  speranza  (cfr.  Tooua. 
d'Aqu.,  Summ.  P.  Il  2^,  qo.  xvm,  art  3), 
ardo  per  questa  virtd  ohe  mi  accompagnò  sino 
al  martìrio  e  alla  morte,  esige  eh'  io  riparli  a 
te,  che  di  lei  ti  diletti,  doò  ohe  tale  ^e- 
ranza  accogli  in  cuore.  —  84.  la  paisà:  il 
martìrio,  di  cui  la  palma  è  il  simbolo.  ~  86. 
èmmi  eoo.  mi  piace,  desidoro  che  tu  dica  òhe 
cosa  ti  promette  la  speranza.  — -  88.  E4  le: 
Dante  risponde,  senza  ambagi,  ohe  l'obbietto 
della  speranza  è  la  beatitudine  eterna,  eeoondo 
la  dottrina  di  Tomm.  d' Aqu.,  Stmim.  F.  n 


PARADISO  -  CANTO  XXV 


785 


pongono  il  segno,  ed  esso  lo  mi  addita, 
90       dell*  anime  che  Dio  s'ha  fatte  amiche. 
Dice  Isaia  che  ciascuna  vestita 
nella  sna  terra  fia  di  doppia  vesta, 
93        e  la  sua  terra  è  questa  dolce  vita; 
e  il  tuo  fratello^  assai  vie  più  digesta, 
là  dove  tratta  delle  bianche  stole, 
96        questa  rivelazion  oi  manifesta  ». 

E  prima,  appresso  al  fìn  d'este  parole, 
SpererU  in  te,  di  sopra  noi  s'udi, 
99        a  che  risposer  tutte  le  carole; 
poscia  tra  esse  un  lume  si  schiari, 
si  che,  se  il  Cancro  avesse  un  tal  cristallo, 
102        l'inverno  avrebbe  un  mese  d'un  sol  dL 


a»,  qo.  xrn,  art  2  :  «  OUectom  spei  est  be»- 
titódo  ftotena  »  ;  ma  lo  dioe  in  modo  ìmàf^- 
DOSO,  e  oon  par<de  die  hanno  dato  Inogo  « 
molte  ezionee  Interpretazioni,  nate  tatto  da 
false  inteiponzioni  che  ho  corrette  finnoap 
mente,  ricollegando,  come  il  senso  esige  e 
l'abitudine  dantesca  conferma,  il  t.  90  od  r. 
80  (ofr.  F.  Gavasioni  Pedersini,  Diakghi  fi- 
km/M,  Modena,  1842,  p^  816  e  segg.;  L. 
Aibib  ne^  Studi  inediii  tu  Dante,  Firenze, 
1846,  pp.  184  e  segg.;  Q,  Todesddni,  SeritH 
tu  DcmUf  n  4B6  e  segg.).  —  Le  nnoTt  eoe. 
Ija  Bibbia,  nei  libri  dd  reochio  e  dd  nuovo 
testamento,  manìlBsta  qnal  aia  il  tegno  del- 
l'ankm  eht  Dio  8*ha  fattt  amiehój  il  fine  cni 
tendono  le  anime  dette,  ed  «tsa  segno  mi  ad- 
dita quello  eh$  la  tptranxa  mi  prewiatts,  dod 
la  beatitodine,  come  obbietto  della  speransa. 
Nella  Bibbia  non  è  dcon  pasao  oyo  aia  cod 
atteggiato  n  ooneetto  espresso  di  Dante,  ma 
da  infiniti  Inoghi  di  essa  rilevad  qoesta  dot- 
trina, die  i  bnoni  sperano  di  consegoire  per 
mezso  della  grada  divina  la  beatitadine  eter- 
na :  i  luoghi  poi  ai  quali  U  poeta  aveva  in 
particolare  la  mente  sono  quelli  d'Iada,  uà 
7  e  di  Giovanni,  AffoeaL  vn  9,  da  Ini  stesso 
dtati  nd  verd  seguenti;  cfr.  Moore,  I  66-67. 
—  91.  Dice  laala  eoo.  Legged  in  Isaia, 
Lxi  7,  secondo  la  volgata:  e  In  terra  eoa 
dnptiflia  posddebimt,  laetitia  sempiterna  erit 
eis  »  :  paiole  ohe  Dante  spiega  dicendo  ohe 
ciascuna  anima  eletta  sarà  nella  tua  itna 
rivestita  di  doppia  «sds  (la  beatitadine  dd- 
ranima  e  del  corpo)  e  che  sua  terra  è  la  corte 
edeste,  il  paxadiao.  —  94.  e  11  tae  ecc.  e 
tao  fratello,  l'apostolo  Oiovanni,  d  manifesta 
aasd  piti  distintamente  tde  rivelazione  là 
ove  tratta  delU  KwwM  ttoU,  doò  ndl'  Apo- 
oaL  vn  9,  ove d  legge:  e Diypo  queste  cose, 
io  vidi  ed  ecco  una  torba  grande,  la  qoal 
ninno  poteva  annoverare,  di  totte  le  nadoni, 

ThttKM 


e  tribù,  e  popoli,  e  lingoe,  i  qoaU  stavano 
in  pie  davanti  d  trono,  e  davanti  all'Agndlo, 
vestiti  di  stde  bianche,  ed  aveano  palme  ndle 
mani  >  :  inutile  avvertire  che  qoesto  è  Teser- 
dto  dei  beati.  —  97.  B  prima  eco.  Appena 
io  ebbi  dette  queste  parole,  in  ano  dei  grappi 
di  anime  (ofr.  Par,  xnv  10)  ta  intonato  il 
versetto  del  Salmo  ec  11,  ^lurmU  in  io  eco., 
e  lo  ripeterono  cantando  tatti  i  cori  dd  beatL 

—  99.  carole  X  ofr.  Par,  xnv  16.  ~  100. 
poscia  eoo.  (Cantato  il  versetto  dd  Salmo, 
uno  dd  land  d  fisce  cod  ftilgido  da  pareg- 
giare la  loco  solare;  ma  Dante  dice  questo 
in  modo  novissimo  e  iiuitastìoo,  che  se  la  co- 
stellazione dd  Oanoco  avesse  una  stella  cod 
luminosa  1*  inverno  avrebbe  un  mese  di  luce 
oontinuata,  dalla  metà  di  dicembre  a  quella  di 
genndo  sarebbe  sempre  giorno  chiaro  (cfr. 
Della  Valle,  Bttnto  eco.  pp.  146  e  segg.). 

—  «■  lame  x  questo  lume  che  prima  d  ta  tol- 
gidlasimo  e  pd  d  accosta  a  quelli  di  Retro 
e  Iacopo,  è  l'anima  di  Giovanni  apostolo,  ohe 
interrogherà  Dante  sulla  carità.  —  101.  se 
11  Cenere  ecc.  «  L' indovinello,  di  origina- 
lità veramente  dantesca,  del  Par,  xzv  101- 
102,  dove  è  detto  che,  se  il  Genero  splen- 
desse della  luce  di  san  Giovanni,  1*  inverno 
avrebbe  un  mese  d' un  sd  di,  a  me  sembra 
molte  importante  non  per  sé,  ma  perché  mo- 
stra che  Dante  possedeva  e  intuiva  la  parte 
dementare  dell'astronomia,  oon  tale  siourez- 
sa,  da  permetterd  di  scherzardl  £lo  scheno 
ha  assolutamente  tutta  la  precisione  mate- 
matica I  Durante  tutto  il  mese  invemde,  nel 
qude  il  sde  percorre  il  segno  di  Oaprioomo, 
e  sdamente  in  questo  periodo,  in  ogni  istante 
ri  troverà  sull'orizzonte  di  un  luogo  o  il  sde 
o  un  punto  dd  segno  di  Canoro,  e  perdo, 
se  questo  ^lendesae  come  san  Giovanni,  per 
quel  meee  sarebbe  continuamente  giorno»; 
F.  Angditti,  BuU,  VH  189.  —  eristelle: 


786 


DIVINA  COMMEDU 


E  come  sorge  e  va  ed  entra  in  ballo 
vergine  lieta,  sol  per  &ixe  onore 
105       alla  novizia,  e  non  per  alcun  fjEillo; 
cosi  vid*io  lo  schiarato  splendore 
venire  ai  due,  che  si  volgeano  a  rota, 
108       qual  conveniasi  al  loro  ardente  amore. 
Misesi  li  nel  canto  e  nella  nota; 
e  la  mia  donna  in  lor  tenne  l'aspetto, 
IH        pur  come  sposa,  tacita  ed  immota. 

€  Questi  è  colui  che  giacque  sopra  il  petto 
del  nostro  pellicano,  e  questi  fue 
114        d' in  su  la  croce  al  grande  offizio  eletto  ». 
La  donna  mia  cosi;  né  però  piùe 
mosse  la  vista  sua  di  stare  attenta 
117        poscia,  che  prima,  alle  parole  sue. 

Quale  è  colui  ch'adocchia,  e  s'argomenta 
di  vedere  eclissar  lo  sole  un  poco, 
120       che  per  veder  non  vedente  diventa; 
tal  mi  fec'io  a  quell'ultimo  foco. 


ofr.  Bar,  ZZI  26,  tttt  26.  —  106.  B  eomt 
•00.  Altre  itnpende  rimtUtndinJ  tratte  dal 
bello  ebbiamo  nel  poema  di  Dante,  ma  in 
neesona  fono  la  gioconda  firanoheixa  degli 
atti  e  l'oneeto  mnoTere  della  penona  sono 
rappreientati  eoa  tanta  evidenza  quanta  è 
in  qneeta,  bellifleima  nella  eoa  semplicità:  <  il 
pudore  della  vergine  (nota  n  Ventori  264)  è 
oongionto  alla  letizia  di  festeggiare  la  sposa 
noyella,  nella  quale  è  adombrata  Beatrice  >  : 
ofr.TT.  110-111.  —  lOi.  per  fare  eoo.  per  o- 
norare  la  sposa  novella,  e  non  per  alonna  va- 
nità né  per  desiderio  di  mostrare  sue  bel- 
lezze. —  106.  eosf  eoo.  il  Inme  divenuto  più 
fùlgido  si  accostò  in  tal  modo  agli  altri  due 
ohe  danzavano  in  giro  con  la  velocità  corri- 
spondente alla  loro  intema  beatitodine.  — 
108.  Hiseii  eco.  Si  accompagnò  agli  altri  due 
nel  cantare  e  nel  danzare  :  e  dice  nota  anche 
per  U  ballo,  poiché  questo  era  un  movimento 
regolato  dal  canto.  —  110.  e  la  mia  eco.  e 
Beatrice  fermò  sopra  i  tre  apostoli  lo  sguardo, 
ascoltando  silenziosa  ed  immota  il  loro  canto  ; 
Ventori  264  :  «  apoaa  accenna  la  dignitosa  bel- 
lezza di  Beatrice  festeggiata,  taeiia  il  vere- 
condo rispetto;  immota  la  calda  bramosia  di 
nulla  perdere  della  mirabile  scena  >.  ^  112. 
Questi  eco.  Beatrice  manifèsta  a  Dante  chi 
sia  il  nuovo  spirito  sopravenuto,  dicendo: 
Questi  è  l'apostolo  (Hovanni  prediletto  da 
Cristo  e  da  Ini  designato  alla  Vergine  a  te- 
nere il  proprio  posto  di  Aglio.  Due  fktti,  ca- 
gione di  grandissimo  onore  a  Qlovanni,  ri- 
corda qui  il  poeta  :  che  eg^  era  prediletto  da 
Oristo,  si  ohe  riposò  più  volte  rol  sno  seno 


(Giovanni  zm  28,  zzi  20),  e  ohe  Gesù  es- 
sendo già  posto  sulla  croce  si  volse  alla  ma- 
dre, additandole  Giovanni  e  dioendi^  :  Ecco 
il  ligliuol  toc,  e  a  Giovanni  additò  la  madre 
dicendo  :  Ecco  tua  madre  (Giovanni  zix  26- 
27).  ~  US.  éel  nestro  peUleaM:  di  Gesù 
Cristo,  raffigurato  nel  pellicano,  sia  per  le  pa- 
role del  Salmo  on  6  :  e  Io  son  divenuto  si- 
mile al  pellicano  del  deserto  »,  sia  per  la  cre- 
denza che  quell*  uccello  risnsoiti  i  suoi  figliuoli 
còl  proprio  sangue,  come  Cristo  redense  col 
sacrifizio  di  sé  la  generarione  umana  (cfr.  B. 
Latini,  Tmro  v  80).  —  U4.  al  graade  ef- 
flzte  :  di  tener  il  luogo  del  flg^  di  Dio.  — 
116.  b4  però  eoo.  È  manifiaeto  il  penstero  del 
poeta:  per  il  fatto  ch'ella  mi  pariò  non  cessò 
di  rigoardare  gli  apostoli  con  la  stassa  atten- 
zione con  la  quale  li  guardava  prima;  ma 
l'espressiime  è  escara  e  avviluppata.  Séguito 
la  lerione  comune  spiegando  :  né  per  questo 
Beatrice  mosss  ìa  vtito  suo,  mosse  gli  occhi, 
di  9lan  attenda  dallo  stare  attenta,  posois  aUè 
fonìe  om  fiiA  th»  prima,  dopo  cioè  mentre 
parlava,  più  ohe  prima  quando  mm  psidava; 
ma  è  certo  più  chiara  la  lesione  accolta  dallo 
Qoaxt,:  né ptrò  pia»  Motoir  la  viola  ma  di  tion 
attinto  Aseto^  càsjrisM»  b  jNvioi»  «MS  ;  alla  qua- 
le si  potrà  dare  la  preferenza,  ae  l'esame  dà 
oodid  mostrerà  oh'  essa  abUa  un  bucm  fonda- 
mento. —  118.  Quale  ecc.  Qnale  è  cohii  che 
goarda  attentamente  e  af  ingegna  di  vedsn 
l'eclissi  parziale  del  sole,  e  per  lo  sfbcso  fstto 
al  fine  di  vedere  resta  abbagUato  sf  che  noa 
vede  più  nulla  ;  tal  mi  fiso' io  ecc.  —  I2L  a 
qatXV  alttnie  fleet  :  al  Inme  venuto  per  il- 


PARADISO  -  CANTO  XXV 


787 


mentre  clie  detto  fu  :  <  Perohé  V  abbagli 

128  per  veder  oosa,  ohe  qui  non  ha  loco? 
In  terra  è  terra  il  mio  corpo,  e  Baragli 

tanto  con  gli  altri  che  il  numero  nostro 
126       con  l'eterno  proposito  s'agguagli. 
Con  le  due  stole  nel  beato  chiostro 
son  le  due  luci  sole  che  salirò; 

129  e  questo  apporterai  nel  mondo  vostro  ». 
A  questa  voce  l' infiammato  giro 

si  quietò  con  esso  il  dolce  mischio, 
182       che  si  facea  del  suon  del  trino  spiro; 
si  come,  per  cessar  fatica  o  rischio, 
li  remi,  pria  nell'acqua  ripercossi, 
185       tutti  si  posan  al  sonar  d'un  fischio. 
Ahi  quanto  nolla  mente  mi  commossi, 
quando  mi  volsi  per  veder  Beatrice, 
138       per  non  poter  vedere,  ben  ch'io  fossi 
presso  di  lei,  e  nel  mondo  felice! 


ttm^  «ll'ftpoitolo  eioTBimi.  —  122.  m«mftrt 
ékm  Me.  flndié  mi  fte  rirdlta  una  domanda. 
Basta  oontemplara  fl  lume  ftilgidinimo,  per 
aooartaxil  se  Teramente  l' apoetòlo  Gioranni 
ibeae  in  anfana  e  corpo,  poiché  oredeyati  nel 
aedioero  oh'ei  non  fooe  morto,  ma  salito  al 
delo  cosi  come  era  in  terra  (oredensa  nata 
dalle  parole  del  Tengalo  di  Oioranni,  zn  28  : 
th  mtm  90h  «mnmtv  donto  etniom,  dette  da 
Oriito  a  Pietro  nella  sua  iena  appaiisione 
dopo  la  morte):  ma  l'apostolo  lo  arrerte  di 
non  alEKtioazai  inutilmente  la  vista,  perché 
in  delo  non  è  ammessa  aloona  natora  cor- 
porea. —  124.  In  terra  eoo.  Il  mio  corpo  ri- 
dotto  in  cenere  è  giù  in  terra,  e  tì  resteri 
con  gli  altri  corpi  umani  ilnohé  il  numero  dei 
beati  predestinato  da  Dio  sia  raggiunto;  cfr. 
ApoooL  TI  11  :  «  E  fu  data  a  oiMonna  d'esse 
[anime  dei  martiri]  una  stola  bianca,  e  fu  lor 
detto  che  si  riposassero  ancora  un  poco  di 
tempo,  inltno  a  tanto  che  fosse  oompinto  il 
numero  dei  lor  conservi  e  dei  lor  fratelli  », 
^  127.  CoB  le  dae  eoe  Con  la  duplice  g^ 
rifloadone,  dell'anima  e  del  corpo,  non  ri 
sono  nd  paradiso  se  non  le  due  lud  che  sa- 
lirono poco  fìs  all'Empireo (cfr.  Par,  zzn 86- 
87,  U2-126),  dei  Cristo  e  U  Vergfaie.  — 


eUesfre  t  cfr.  Puirg.  zxyi  128.  — 129.  e  qae. 
sto  eoe  e  questa  verità,  ignota  agli  uomini, 
apporterd  gi6  in  terra.  —  180.  Plnflawnate 
eoo.  cessò  il  movimento  delle  lud  e  a  un 
punto  con  esso  cessò  il  canto  che  era  formato 
dalle  vod  dei  tre  apostolL  —  181.  dolce  sd- 
scUe  :  ddce  canto  che  era  accompagnato  ar- 
monicamente alla  danza.  ~  188.  d  ceae  ecc. 
a  qud  modo  che  d  segno  dato  mediante  il 
suono  d' un  fischio  (strumento  o  fischietto, 
secondo  il  Tornea)  per  concedere  riposo  o 
rallentare  il  corso  dieUa  nave,  i  remi  ohe  pri- 
ma d  riperootevano  nell'acqua  restano  tutti 
insiMne  immobiU.  &  una  similitudine  che  Dan- 
te trovò  due  volte  in  Stailo,  Teb.  iv  806  e 
VI  799  (cfr.  Moore,  I  248),  rinnovandola 
con  felice  preddone  di  parole  e  dandole  il 
pregio  della  pittoresca  evidensa.  —  cessar  x 
cfr.  Inf,  XVII  88.  —  186.  AU  eco.  Volgen- 
dod  a  Beatrice,  Dante  restò  commosso  per- 
ché, ancora  abbagliato  dd  fdgore  apoetdico 
(cfr.  Air.  zxvi  6)  da  kd  lungamente  con- 
templato, non  vide  più  la  sua  donna,  seb- 
bene le  fosse  vidno  e  fosse  fai  paradiso,  ove 
la  vieta  d  afforza  di  virtù  sovrumana.  — 
188.  per  non  poter  eoe  perché  non  potevo 
vederla. 


CANTO  XXVI 

San  Giovanni  interroga  Dante  sopra  Toggetto  della  carità  e  sopra  i  mo- 
tivi che  lo  inducono  ad  amare  Iddio  :  compiato  questo  esame  tra  l'approva- 
zione dei  beati,  si  unisce  ai  tre  apostoli  1*  anima  di  Adamo,  che  per  sodi- 
sfare il  desiderio  del  poeta  dice  quale  fosse  la  natura  del  primo  peccato, 


788 


DIVINA  COMMEDIA 


quanti  anni  aleno  passati  dalla  creazione  del  primo  nomo,  qnale  fosse  la 
lingua  da  Ini  parlata  e  qnaato  tempo  dimorasse  nel  paradiso  teireetre 
[14  aprile,  ore  pomeridiane]. 

Mentr*io  dubbiava  per  lo  ▼ìso  spento, 
della  fulgida  fiamma  che  lo  spense 

8  usci  un  spiro  che  mi  £9oe  attento, 
dicendo  :  <  In  tanto  che  tu  ti  risense 

della  vista  che  hai  in  me  consunta, 
6       ben  ò  che  ragionando  la  compenso. 
Comincia  dunque,  e  di'  ove  s'appunta 
l'anima  tua,  %  fa'  ragion  che  sia 

9  la  vista  in  te  smarrita  e  non  defunta; 
perché  la  donna,  che  per  questa  dia 

region  ti  conduce,  ha  nello  sguardo 
12       la  virtù  ch'ebbe  la  man  d'Anania  >. 
Io  dissi  :  «  AI  suo  piacere  e  tosto  e  tardo 


XXVI 1.  HMtr*  !•  eoo.  Mentre  io  «n  in 
qneeto  toibamento  per  il  timore  di  aver  pei^ 
dato  la  ristai  dalla  ftdgida  luce  ohe  mi  aroya 
abbarbagliato  nsci  nna  Yooe  che  richiamò  a 
sé  la  mia  attenzione  (ofr.  B»r,  zxv  186-139). 

—  dabUara:  non  d'inoertexza,  ma  di  timore 
(ofr.  Pwg,  XX  136).  —  TliO  :  cfr.  Inf.  ir  11, 

—  3.  nie£  ui  spiro  eoo.  nad,  spirò  una  rooe; 
ofìr.  Far.  xzrr  82.'»  4.  In  tanto  ekt  ta  eoo. 
Fino  a  ohe  ta  abbia  lìpreao  il  senso  della 
vista,  rimasto  abbagliato  nel  rigoazdare  in 
me,  è  opportuno  ohe  tu  sia  compensato  ra- 
gionando meco  intomo  alla  carità.  —  5.  della 
rista  eco.  Ferohé  guardando  néUa  Inoe  di 
CKovanni  Evangelista,  Dante  è  rimasto  cosi 
abbagliato  ?  Non  già  perché  la  hioe  fosse  mag- 
giore di  ogni  altra  (cfr.  Air.  xzm  29,  xxir 
20-21),  ma  perché  in  qaella  Dante  aveva  ri- 
guardato più  a  luàgo  e  più  attentamente  (ofr. 
Air.  XXV  118  e  segg.),  per  rioonosoerri  il 
corpo  dell'apostolo.  Ooti  interpreta  ottima- 
mente Benv.,  mentre  gU  altri  commentatori 
deviarono  dal  più  agevole  cammino,  imagi- 
nando  ohe  l'abbagliamento  significasse  l' ef- 
fetto delle  cose  misteriose  e  profonde  dette 
nel  Vangelo  e  nell'Apocalisse,  o  della  inten- 
sità della  carità  che  sarebbe  maggiore  della 
fede  e  della  specansu  —  6.  ehe  ragloanade 
eco.  che  la  mancania  del  vedere  ti  sia  com- 
pensata dai  discorrere;  ofr.  htf,  u  18-15.  » 
7.  Comincia  eoo.  Giovanni  invita  Dante  a 
parlare  della  carità  e  lo  conforta  assicuran- 
dolo ohe  riacquisterà  la  vista.  È  singolare  che 
In  questo  esame  sulla  carità  sia  omessa  la  de- 
finizione di  questa  virtù,  e  le  domande  del- 
l'apostolo si  restrii«anoatt'obbietto  (w.  7-8) 
e  ai  motivi  di  essa  (w.  22-24,  49-51),  sui 
quali  punti  il  poeta  risponde  prontamente  (al 
primo,  w.  18-18,  al  secondo  tt.  25-45,  55- 


66),  in  modo  da  meritare  l'approvaiioiìs  dei 
beati  (w.  67-69).  Ha  U  definisiona  è  Impli- 
dtaaente  contenuta  nella  prima  damando  del- 
rapoetolo.  —  4f*  ove  eoe.  dimmi  a  qmaà  terw 
mine  si  volge  l'anima  taa,  quale  è  l'obbietto 
del  suo  amore.  0)si  accenna  aUa  virtù  daUa 
carità,  la  quale  consiste  neU'amore  di  Dio  : 
<  oharitas  est  amor  Dei  quo  diligitur  ut  bea- 
titudinis  obieotim,  ad  quod  ordiaamiir  per 
fldem  et  ^em  >  :  oos£  Tomm.  d'Aqo^  Smmn. 
l  »»,  qu.  Lxv,  art.  5.  —  s>  appaia  t  si  volge, 
s' indiziBa;  il  vb.  •P!Pmn<<v«»  in  qnast»  aenso 
racchiudo  sempre  l' idea  di  un  obbietto  ftaate^ 
quasi  fmiUo  verso  il  quale  si  volga  iatandeasa 
dell'animo  (cfr.  Piurg,  xv  49).  —  8.  fla*  n- 
glén  eco.  te'  conte  (efr.  in/,  xxx  145)  d'aver 
perduto  la  vista  momentaneamanta,  sU  oerto 
di  riaoquistaria.  —  10.  «sosta  «la  «ce.  fl 
paradiso,  regione  divina  (cfr.  Air.  xxv  31). 

—  11.  ka  eco.  od  suo  sgìoiardo  ti  rsstituiià 
la  vista  (cfr.  V.  76-77),  oome  la  mano  di  Ana- 
nia la  reco  a  san  Paolo.  Si  riporta  al  rac- 
conto dei  jnttH  de§ìi  JpotL  ix  10-22  :  e.  Ana- 
nia adunque  se  n'andò,  ed  entrò  in  qneOa 
oasa:  ed  avendogli  imposto  lo  mani,  disse, 
Fratello  Saul,  U  Signora  doè  Gesù,  t^tié 
apparito  per  il  cammino,  per  il  quale  ta  ve- 
nivi, mi  ha  mandato,  aedo  -ohe  ta  ifooveri 
la  vista,  e  sii  ripieno  dallo  Spirito  Santo  >. 

—  12.  laaaia:  cristiano  di  Damasco,  dttd  t9. 
dd  primi  discepoli  di  Cristo  :  diverso  dal  Bo- 
rito di  Safira  ricordato  In  Httg.  xx  112.  ^ 
18.  Al  SBé  eoo.  Quando  Beatrice  vonà,  e 
presto  0  tardi,  venga  il  rimedio  ai  mid  oc- 
chi, per  1  quali  entrò  in  me  l'aBura  ardent» 
che  mi  avvampa.  È,  ben  s*  intende,  l'aaior» 
divino  spirato  nel  poeta  dalla  sua  donna  ce- 
leste ;  non  senxa  rìcozdo,  almeno  aell'e^res- 

ddl'i 


PARADISO  —  CANTO  XXVI 


789 


vegna  rimedio  agli  ocelli,  olie  f£Lr  porte, 
15        quand'ella  entrò  col  foco  ond'io  sempr'ardo. 
Lo  ben,  che  fa  contenta  questa  corte, 
Alfa  ed  Omega  ò  di  qnanta  scrittura 
18       mi  legge  Amore,  o  lieyemente  o  forte  ». 
QueUa  medesma  voce,  clie  paura 
tolta  m*aTea  del  sùbito  abbarbaglio, 
21        di  ragionare  ancor  mi  mise  in  cura; 
e  disse  :  e  Certo  a  più  angusto  Taglio 
ti  conviene  schiarar;  dicer  convienti 
24       che  drizzò  l'arco  tuo  a  tal  berzaglio  ». 
Ed  io  :  €  Per  filosofici  argomenti, 
e  per  autorità  che  quinci  scende, 
27        cotale  amor  convien  che  in  me  s'impronti; 
che  il  bene,  in  quanto  ben,  come  s'intende. 


tato  dal  rimatori  del  tempo  (ofr.  Gaspary, 
Scuola  poeL  ticU,,  pp.  86  e  segg.)»  e  di  ciò  che 
egli  atasso  areya  cantato  della  Beatrice  ▼!- 
Tenta  (ofr.  V.N.txÌBb  oap.,  Z33  8  e  aegg.). 
—  16.  Lo  bea  ecc.  Db  è  principio  e  fine,  è 
Tobbietto  del  mio  amoxe.  Qneeto  è  il  concetto 
di  Dante,  che  avendo  usato  Alfa  ed  Omega 
per  dire  U  principio  e  il  fine  (come  nell'4po- 
eoL  I  8,  zx  16,  zxn  18),  oonlìnna  con  la  me- 
tafora della  sùrittura  a  eignifioare  l' idea  del- 
l'aifetto  tno  ohe  in  Dio  si  appunta.  Accetto, 
tra  le  syarìatissime  interpretazioni  di  qnesti 
reni,  qnella  dello  Scart,  pid  semplice  e  con- 
fanne  al  modo  danteeoo  di  concepire  e  atteg- 
giare il  pensiero  :  e  n  poeta  parla  di  nna 
seriUura  che  Amore  legge.  La  soritiura  ram- 
menta U  libro  della  memoria  (F.  N,  proemio), 
o  il  libro  ohe  il  preUriio  rassegna  {Par,  xxm 
54).  L'amore  che  legge  al  poeta  ricorda  il  ce- 
lebre Terso  Amor  eh»  nella  mmte  mi  ragiona 
{ISgrg,  n  112):  ricorda  anche  l'Amore  che 
spira  e  detta  dsntro  (Purg,  zxrr  52  e  segg.). 
Là  Amore  ragiona  nella  mente  e  detta  den- 
tro :  qni  esso  legge  noli'  intema  scrittora,  trat- 
tandosi qni  di  dò  che  d  già  seritto  nel  libro 
dell' intemo,  doò  dell'amore  che  Dante  pos- 
siede. Quanta  scrittura  mi  legge  Amore  Tale 
dnnqne:  Tutto  dò  che  6  in  me  che  alla  ca- 
rità si  riferisce,  ossia  tutto  l'Amor  mio;  rap- 
presentato questo  amore  come  una  sorittura^ 
ossia  come  un  capitolo  del  libro  intemo. 
Viene  dunque  a  dire  :  Dio  ò  l' obbietto  di 
tutto  il  mio  amore.  E  aggiunge  o  lisvemmte 
0  forte,  Tolendo  significare  che  Teramente 
tutto  quanto  l'amor  suo  ò  dedicato  a  Dio, 
giusta  il  precetto  di  Matteo,  xzn  87  :  Diliges 
Dominum  Deum  tuum  ex  Mo  eorde  tuo,  et  ex 
tota  anima  tua,  et  in  tota  mente  tua  *.  —  19. 
QaeOa  eoo.  La  medesima  Toce,  quella  di 
Gioranni,  che  mi  aTeva  rassicurato  circa  l' im- 
proTTiso  abbarbaglio  della  mia  Tista  ecc.  — 


2L  di  ragloawe  eoo.  facendomi  un'  altra  do- 
manda, mi  dia  nuoTa  occasione  a  discorrere  ; 
Biag.  :  <  È  beUa  ficase,  ohe  mostra  l' atten- 
zione della  mente  e  la  solledtudine  dell'  ani- 
mo >.  —  22.  Certo  eoo.  Or  bisogna  che  tu 
manifesti  i  tuoi  pensieri  con  pid  precisione, 
ohe  dalla  mente  tua  i  concetti  escano  meglio 
definiti  :  come  dal  Taglio  pid  stretto  esce  me- 
glio rimondato  H  finimento.  Questa  ò  la  pid 
comune  interpretazione;  ma  forse  non  ò  da 
rigettare  quella  data  primamente  dal  Butl  e 
accolta  da  altri  interpreti,  che  il  Biag.  for- 
mula cosi  :  <  doTi  passare  sotto  pid  stretto  e 
BOTero  esame  >.  Dante  infatti  alla  prima  do- 
manda ha  risposto  con  una  affermazione  sem- 
plice, riTOStita  di  Taga  metafora  ;  alla  seconda 
doTrà  rispondere  con  particolareggiate  ra- 
Crioni.  —  24.  che  drlsiè  ecc.  quale  Ai  il  mo- 
Tonteche  rìTolse  il  tuo  amore  a  Dio.  La  me- 
tafora dell'am)  a  significare  gli  affiotti  del- 
l'animo ò  cara  a  Dante  ;  cfir.  Par,  xt  43,  doTO 
si  parla  proprio  della  carità.  —  bersaglio  : 
bersaglio,  il  segno  al  quale  Tolgono  la  mira 
i  tiratori  ;  non  il  luogo  «  doTO  si  esercitano 
quelli  che  imparano  a  balestrare»,  come  chiosa 
il  Lana.  —  25.  Per  fllosoflel  ecc.  Due  ra- 
gioni hanno  susdtato  in  me  la  carità,  l'amore 
di  Dio  :  gli  argomenti  filosofici,  per  i  quali  si 
dimostra  che  ogni  oosa  creata  tende  al  bene 
(off.  Purg,  xn  85  e  segg.)i  e  l'autorità  divina 
rivelata  nei  libri  sacri  (cfr.  Mon.  ii  1  :  <  Ve- 
ritas. . .  patere  potest  non  solum  himine  re»- 
iionis  humanaej  sed  etiam  radio  divinae  ouo- 
toritatis,  >).  —  26.  qulnel  :  di  qui,  dal  cielo, 
onde  procede  la  rivelazione.  —  28.  ehé  il 
bene  eco.  In  quattro  punti  svolge  Dante  il 
suo  concetto  :  ponendo  dapprima  che  U  bene, 
in  quanto  ben  dod  in  quanto  d  tale,  come 
ecc.  appena  d  inteso,  accende  amore  di  sé 
nell'  uomo,  e  quanto  il  bene  inteso  comprende 
in  sé  più  di  bontate,  dod  maggior  perferione, 


790 


DIVINA  GOMìfEDIA 


cosi  accende  amore,  e  tanto  maggio, 
80       quanto  più  di  bontate  in  so  comprende. 
Dunque  ali*  essenza,  oy'è  tanto  avvantaggio 
che  ciascun  ben  che  fuor  di  lei  si  trova 
83       altro  non  ò  oli*un  lume  di  suo  raggio, 
più  che  in  altra  convien  che  si  mova 
la  mente,  amando,  di  ciascun  che  cerne 
86        lo  vero,  in  che  si  fonda  questa  provfti 
Tal  vero  allo  intelletto  mio  sterne 
colui  che  mi  dimostra  il  primo  Amore 
89       dì  tutte  le  sustanzie  sempiterne, 
Stèrnel  la  voce  del  verace  autore, 
che  dice  a  Moisò,  di  sé  parlando  : 
42       *  Io  ti  £axò  veder  ogni  valore  '. 
Stòmilmi  tu  ancora,  cominciando 


tanto  miggioie  è  ramore  ohe  aooenda  :  dun- 
que, oontinTia,  reno  Dio  ohe  è  eommo  bene, 
tanto  che  gli  altri  beni  sono  solamente  un 
riflesso  di  lai,  si  dere  Tolgere  oon  pi6  in- 
tenso amore  la  mente  d*ogni  nomo  che  rico- 
nosca in  Ini  il  sommo  bene.  —  U  qvanto 
ben:  in  quanto  ò  bene,  in  qnanto  è  sentito 
per  bene.  —  29.  magfl^ot  cfr.  Ihf,  vi  48. 

—  81.  eweBsa  ecc.  essenza  divina,  nella 
quale  è  tanta  soviabbondanza,  o  superiorità 
di  perfezione,  che  ogni  bene  poeto  all'  infuori 
di  essa  non  è  altro  che  una  manifestazione, 
un  riflesso  del  bene  sommo.  —  84.  pia  ecc. 
conviene  che  si  muova  oon  maggior  amore 
che  non  farebbe  verso  un'  altra  essenza.  — 
86.  che  eeme  eoo.  che  riconosoe  la  verità  su 
cui  è  basata  questa  dimostrazione,  <doò  che 
ammette  Dio  essere  il  sommo  bene.  —  87. 
Tal  vero  eoe  Questa  verità,  posta  a  fonda- 
mento della  mia  dimostrazione,  mi  d  appia- 
nata da  quello  stesso  filosofo  che  mi  ha  in- 
segnato essere  Dio  il  termine  cui  tendono 
tutte  le  creature  eteme,  tutte  le  anime  uma- 
ne. —  sterne:  il  vb.  8temer$  ha  qui  e  nei 
seguenti  w.  il  senso  di  rendere  facile,  piano, 
quindi  dimostrare,  spiegare  (ctr.  Par.  xi  24). 

—  88.  eolmi  ecc.  La  maggior  parte  dei  oom- 
montatori,  dal  Lana  al  Tomm.,  vedono  ao- 
cennato  in  questi  versi  Aristotele,  il  quale 
nel  suo  libro  delle  (hgioni  dice  Dio  essere  la 
causa  suprema,  doò  il  sommo  bene,  al  quale 
le  anime  degli  uomini  tendono,  perchó  ogni 
cosa  desidera  ricongiungersi  alla  sua  prima 
cagione.  Il  Lomb.,  seguito  da  parecchi  mo- 
derni, crede  invece  che  si  tratti  di  Platone, 
il  quale  nel  principio  del  Simposio  dice  che 
Amore  d  il  primo  di  tutti  gli  Dei  e  il  pi6  au- 
gusto :  concetto  che  Dante  avrebbe  inteso  al- 
legoricamente come  se  il  filosofo  avesse  in- 
segnato Dio  essere  la  fonte  prima  d'ogni 
bontà  :  il  Veli.,  e  pi6  altri  moderni,  inten- 


dono di  Dionigi  Areopagita,  per  dò  dio  e^ 
scrive  nel  libro  D»  eoek  hi$nnkta  i  8  :  ma 
l'opinione  dei  pili  antichi  interpreti  ò  da  pre- 
ferire, anche  perché  una  oonfenna  di  essa  si 
ha  nel  Cbnv.  in  2  ;  ofr.  anche  Mbore,  I  115. 
L.  Filomusi  Guelfi  (ofir.  ButL  I  23)  sostiene 
non  accennarsi  qui  alcun  filosofo,  ma  il  sole 
ohe  è  la  migliore  dimottraiione  doli'eeisteiisa 
di  Dio  (Oom.mU:  e  molto  seniibllo  in  tatto 
il  mondo  è  più  degno  di  fusi  esemi^  di  Dìo 
che  il  sole  >);  ma  che  Dante  voglia  qui  ac- 
cennare a  un  filosofo  d  manifèsto  per  lo  pa> 
role  /Uoso/M  argcmmUi  del  t.  26,  mentre  poi 
aUe  a/uiorità  del  v.  26  si  riportano  le  cita- 
zioni dell'  Esodo  (  v.  40-42,  e  àéHUpoootùss 
(V.  48^).  —  40.  Stàrmel  la  vaco  eoe.  Lo 
dimostra  la  voce  di  Dio  stesso  che  parlando 
di  sé  a  Mosé,  il  quale  aveva  chiesto  di  vo- 
derlo,  gli  disse:  Io  ti  mostrerò  ogni  bone: 
d  il  Catto  raccontato  néll'  Esodo  xzzm  19.  — 
valore:  corrisponde  al  iomim  della  eaittma 
sacra,  e  sta  bene  perché  Dio  ò  primo  •  òuf- 
fabiU  ffolon  (Air.  x  8)  ed  «tonto  foJòrv  (iVy. 
zv  72).  —  48.  sarailBti  eoo.  Ke  lo  dimo- 
stri anche  tu  nel  libro  dell' .ipoooKsse,  il  li- 
bro che  oon  alto  stile  proclamò  i  misteri 
celesti,  descrivendo  in  modo  insuperato  il 
trionfo  della  Cadesa.  Oli  antichi,  Lana,  FMzo 
di  Dante,  Cass.  eco.  intesero  rettamente  che 
VaUopnoonio  fosse  da  riconoscere  noU'Jjw- 
ecUisso]  ma  già  dal  trecento  si  flBoo  strada  e 
ta.  poi  quasi  universalmente  seguita  sino  ai  di 
nostri  l' opinione  diversa  che  Dante  accenni 
qui  al  Vangelo  di  san  Giovanni,  ove  si  tratta 
oon  molta  profondità  dell' incamaziano  del 
Verbo  divino  (cap.  i).  Ma  Ai  giustamente  os- 
servato :  e  Più  che  al  Vangelo  mi  sembrano 
convenienti  alla  visione  ddl' Apocalissi  lo  pa- 
role Vailo  preoonio  ecc.,  come  a  qaoOa  dove 
si  descrive  (massime  ne'  cap.  xs  e  zn)  il 
trionfo  della  celeste  Gerusalemme;  per  non 


PARADISO  -  CANTO  XXVI 


791 


l'alto  preoonio,  che  grida  l'arcano 
45       dì  qui  là  giù  sopra  ogni  altro  bando  >. 
Ed  io  adi'  :  e  Per  intelletto  mnano 
e  per  autoritadi  a  lai  concorde, 
48       de'  taci  amori  a  Dio  gaarda  il  soprano. 
Ma  di'  ancor,  se  ta  senti  altre  corde 
tirarti  verso  lui,  si  che  ta  suone 
61        con  qaanti  denti  questo  amor  ti  morde  >. 
Non  fa  latente  la  santa  intenzione 
dell'aquila  di  Cristo,  anzi  m'accorsi 
64       dove  Yolea  menar  mia  professione. 
Però  ricomincicd:  €  Tutti  quei  morsi, 
che  posson  &r  lo  cor  volger  a  Dio, 
67        alla  mia  cantate  son  concorsi; 
chó  l'essere  del  mondo  e  l'esser  mio. 


dir  non*  oh«  U  nome  rteeao  di  ApooaliaM  o 
Birelasione  ito  nello  Yoàipneomoehé grida; 
di  guisa  che  la  danteio  indicadone  xiiponde 
al  nome  e  alla  soetanza  della  ooea  indicato. 
B  troTO  poi  nel  reno  8  :  JE^  mtm  alpha  9t 
ameffOy  prineipimn  ti  /M$,  dieit  dombmi  Dmu 
qui  mi,  d  qiienA,  ti  qui  vtnhmu  tti  omn^ 
potont,  dove  manifeetomente  il  vede  ttemsrs 
quel  Toro  che  tiiava  Danto  a  goardare  il  Dio 
soTxano  de'  laoi  amori.  A  xinoalzo  della  ve- 
rità sa  coi  li  fonda  questo  ipiegarione  giovi 
osservare  come  soli  otto  veni  di  poi  U  santo 
Apostolo  sia  dal  poeto  chiamato  Voffuglia  o 
FaqvOa  di  Orido,  col  nome  doè  ohe  gli  venne 
dalla  sua  Apocalisse»  (L.  Arbib,  nei  dt 
Stuta  JfMi.  su  DtmU^  p.  190).  Sulla  questione 
si  ofr.  Koore,  I  86-89.  —  44.  ehe  grida  eoo. 
ohe  proclama  i  misteri  del  paradiso  con  modo 
superiore  ad  ogni  altra  scrittura  sacra.  — 
46.  Kd  lo  eoo.  San  Giovanni  incalza  Danto 
con  un'  altra  domanda,  ma  all'  interrogarione 
(w.  49-60)  premetto  parole  (w.  46-48)  che 
suonano  quasi  approvùlone  di  ciò  che  ha  sen- 
tito sinora  (w.  25-46).  —  Per  IntcUette  ecc. 
Per  gli  argomenti  doUa  ragione  umana  e  per 
l'autorìto  della  sacra  scrittura,  ohe  a  quegli 
argomenti  consuona,  il  tuo  maggiore  amore 
tende  a  Dio,  si  appunto  nel  sommo  bene.  Cosi 
intesero,  e  rettamento,  il  Lana,  l' Ott,  il  Bati 
e  altri  antichi;  ma  tra  i  moderni  prevalso 
un'  erronea  interpretarione,  essendosi  preso 
il  yuorda  come  imperativo  nel  senso  di  riserba, 
conserva,  e  spiegato  totto  il  verso  :  riserba  a 
Dio  il  principale  dei  tooi  amori.  Già  un  tale 
eodtamento  sarebbe  superfluo  dopo  la  franca 
affermarione  dei  w.  16-18  ;  ma  a  mostrare  la 
fUslto  di  questo  interpretazione  basto  osser- 
vare che  l'apostolo  non  fa  che  conohiudere  in 
poche  parole  il  precedento  ragionamento  del 
poeta,  per  significargli  cosi  la  sua  approva- 
zione e  inconggiarlo  a  rispondere  con  pad 


sicurezza  a  un'altim  dpma&da.  ~  49.  le  ta 
eoo.  se  oltre  le  ragioni  filosofiche  e  l'autoiito 
scritturale  ta  senti  altri  stimoli,,  che  ti  trag- 
gano ad  amare  Dio.  —  altre  eerdet  Buti: 
«  altri  movimenti  ohe  ti  tirino  ad  amare  Id- 
dio, come  la  corda  tira  chi  è  legato  >.  ~  60. 
ti  ehi  eoe  di  modo  ohe  ta  manifesti  tatti  i 
motivi  onde  sei  Infiammato  di  questo  amore: 
<  aspra  metafora  per  un  soggetto  di  tanto  soa- 
vito  »,  noto  il  Vent,  n6  senza  qualche  ra- 
gione. —  62.  Hon  Al  eco.  Non  mi  rimase  na- 
Boosto  l'intonzione  santo  dell'apostolo  Gio- 
vanni, anri  io  compresi  subito  su  quali  ra- 
gioni ei  voleva  eh'  io  mi  dilungassi  —  68. 
aquila  eco.  San  Giovanni,  riconosciuto  dai 
teologi  neWaquita  volanU  di  cui  egli  stesso 
paria  nel  passo  àeàVApoeaL  riferito  in  Jhmg, 
znx  104.  —  64.  professione  t  esprosoione 
dei  sentimenti,  dei  pensieri  :  si  dice  meglio  a 
proposito  della  fede,  come  in  Air.  xxiv  61. 
—  66.  Tatti  ecc.  Tutto  le  ragioni,  che  pos- 
sono indurre  nel  cuor  dell'uomo  l'amor. di 
Dio,  hanno  eserdtoto  la  loro  efficacia  n-ìla 
formarione  della  mia  carità,  poiché  i  benefici 
divini  e  i  premi  sperati  insieme  oon  la  ferma 
credenza  ohe  Dio  è  sommo  bene  mi  hanno 
tratto  dal  mare  dell'amore  terreno  e  messo 
alla  riva  dell'amore  divino.  —  morsi  :  con- 
tinua la  metafora  usato  dall'apostolo,  v.  61. 
-~  66.  ehe  possoa  eoo.  Dice  Tomm.  d'Aqu., 
Summ,  n  2m,  qu.  zxvn,  art  8,  che  l'uomo 
non  ama  Dio  per  sentimento  di  carito  €  prop- 
ter  seipsum  > ,  ma  e  propter  aliud,  quia  sdli- 
cet  ex  aliquibus  aliis  disponimur  ad  hoc  quod 
in  Dei  diloctione  profidamus,  puto  per  ben»- 
fida  ab  so  «HSM|pto,  yél  per  praamia  tpmrata  >  ; 
tra  i  benefici  sono  l'sisars  del  mondo^  I'msst 
mio^  la  morU  eh'ti  sostomM;  i  premi  sperati, 
qua  ehé  apara  ogni  fedele.  —  68.  I*esBere  del 
mondo  :  l'opera  della  crearione,  nella  quale 
si  rivela  la  divina  bontà  (cl^.  ululili,  zvip  1, 


792 


DIVmA  COIIHEDIA 


=n 


la  morte  ch'ei  sostenne  perch'io  viva, 
60       e  quel  che  spera  ogni  fedel,  comMo, 
con  la  predetta  conoscenza  viva, 
tratto  m'hanno  del  mar  dell'amor  torto, 

68  e  del  diritto  m'han  posto  alla  riya. 
Le  fronde,  onde  s'infronda  tutto  l'orto 

dell'ortolano  etemo,  am'io  cotanto, 
66       quanto  da  lui  a  lor  di  bene  ò  pòrto  >. 
Si  com'io  tacqui,  un  dolcissimo  canto 
risonò  per  lo  cielo,  e  la  mia  donna 

69  dicea  con  gli  altri  :  «  Santo,  santo,  santo  !  > 
E  come  a  lume  acuto  si  dissonna 

per  lo  spirto  tìbìto  che  ricorre 
72        allo  splendor  che  va  di  gonna  in  gonna, 
e  lo  sregliato  ciò  che  vede  aborre, 
si  neecia  ò  la  sua  sùbita  vigilia, 


F«olo,  Ep,  td  JRom,  i  20).  —  l'Mier  lalo: 

la  mia  nasdCk,  Tener  io  itato  creato;  cfir. 
Tomm.  d'Aqo.,  Annoi.  P.  I,  qo.  xxzn,  art 
1  :  e  Bonitas  infinita  Dei  manifestatoi  etiam 
in  prodnotione  creatnraa  ».  —  69.  la  aorta 
eoo.  la  morte  toctennta  da  Giiito  per  rigene- 
rare l'uomo;  ofr.  Gioranni,  I  Epist,  iv  9: 
€  In  qneito  e'  è  manifeetata  la  carità  di  Dio 
InTono  noi,  ohe  Iddio  ha  mandato  il  ano  vnl- 
genito  figlinolo  nel  mondo,  aedo  che  per  Ini 
▼ÌTiamo  >.  —  69.  e  fvel  ooo.  e  la  beatitadine 
etema,  ohe  tatti  gli  nomini  di  fede,  come  me, 
•pelano  di  oonBegoire.  —  $1.  la  predetta 
eoo.  la  ferma  o  gicora  opinione  che  Dio  d  il 
■ommo  bene,  già  affermata  da  Dante  nei  yt. 
81-88.  "  62.  tratto  eoo.  mi  hanno  aiutato 
ad  moire  dal  pelago  tempestoio  dell'  amore 
toneno  e  condotto  a  toccar  la  rìra  dell'amore 
dirino.  —  64.  Le  froade  eoe  Le  oreatore 
umane,  delle  quali  d  pieno  il  mondo  gover- 
nato da  Dio,  eono  amate  da  me  di  tanto  amore, 
quanto  è  n  bene  ohe  Dio  porge  loro  :  afferma 
qui  Dante  il  fuo  amore  per  il  prossimo,  con 
un  concetto  proprio  de'  teologi  medioevali  ; 
ofr.  Pietro  Lombardo,  SmtmL  m  27  :  «  Cha- 
ritas  est  dileotio,  qua  diligitur  Deus  propter 
se,  et  proximus  propter  Deum  Tel  in  Deo  >  ; 
Tomm.  d'Aqu.,  Annoi.  P.  n  2^,  qu.  xrvi, 
art  6  :  «  Non  omnes  prosimi  aequaliter  se 
habent  ad  Deum  ;  sod  quidam  sunt  ei  propin- 
quiores  per  maiorem  bonitatem,  qui  sunt  ma- 
gia diligendi  ex  dharitala,  quam  ali!  qui  sunt 
ei  minus  propinqui  >.  —  cade  s'iaf ronda 
ecc.  si  ofr.  U  nota  all' W*  i  86.  —  65.  orto- 
lano eterne  :  Dio  :  ofr.  Giovanni  xv  1  :  «  Io 
sono  la  vera  vite,  ed  il  Padre  mio  è  il  vi- 
gnaiuolo >.  —  67. 8f  eem'  lo  ecc.  Finito  che 
Dante  ebbe  il  suo  discorso  sulla  carità,  tutti 
i  cori  dei  beati,  compresa  Beatrice,  innalza- 
rono a  Dio  un  cantico  di  lode,  che  d  quello 


de'mistid  animali  deìTApoo,  vi  8:  cSan- 
to,  santo,  santo  ò  il  Signore  Iddio  onnipo- 
tente, ohe  era,  ohe  è  e  che  ha  da  ventre  !  ». 
—  69.  Santo  ecc.  Cosi  comincia,  oltzB  il  osn- 
tioo  delI'Jpos.,  anche  quello  dei  Serafini  in 
Isaia  VI  8,  ma  qui  è  da  credere  die  Dsats 
imsginsfwe  cantato  le  parole  déll'apoatolo  cho 
l'aveva  esaminato  sulla  carità.  —  70.  K  eems 
eoo.  E  come  all'  improvviso  apparire  di  ina 
luce  intensa  l' uomo  si  sveglia  perché  la  sua 
vista  si  rivolge  al  raggio  luminoso  ohe  tra- 
passa dall'  una  membrana  dell'occhio  all'altia, 
e  cosi  svegliato  a  un  tratto  rifugge  dal  goir- 
daze,  tanto  è  inconsi^vole  dell'  improvviso 
risveglio,  flndhé  la  riflessione  non  sia  venata 
ad  aiutario  eoe  Venturi  282  :  €  Similitudine 
per  Dante  un  po'  lunga,  ma  daUa  quale  non 
sapresti  toglier  parola.  Un  cenno  di  ottica 
sotto  il  pennello  di  lui  si  trasmuta  in  poesìa 
viva  ;  e  il  folgorare  degli  occhi  dell'  amati 
donna  avvalora  l'imagine  della  potenza  dì 
lei,  il  cui  sguardo  è  per  l'Alighieri  dò  che 
d  per  l'umano  intelletto  la  ésHmalin,  doè  la 
flaooltà  ragionatrioe  ».  —  si  dlsttfnna  ;  vb. 
foggiato  da  Dante,  ohe  esprime  cosi  con  sin- 
golare efficacia  e  precisione  la  oondisioae  di 
colui  al  quale  un' appariziono  luminosa  in- 
terrompe il  sonno.  ~  72.  di  gonam  In  goa- 
aat  da  un  involucro  o  membrana  doll'oochio 
all'altro  (ricorda  il  lat  twiioas,  detto  appunto 
delle  membrane  dell'occhio).  —  78.  el6  ecc. 
rifugge  dal  guardare  il  lume  die  gli  appare; 
un  pensiero  consimile  si  trova  in  una  can- 
zone antica,  per  errore  tribuita  al  Cavalcanti 
(Val.  n  806)  :  «  Molti,  oom'  animai  nottoiao 
offeso  Dallo  splendor  die  prima  il  sd  ne 
spande.  Per  naturai  costume  Fuggon  contrari 
al  suo  lucente  lume  ».  —  74.  s(  ■ftela  ecc. 
Vuol  dire  che  neQ' improvviso  lisvegliArsi 
r  uomo  resta  inconsapevole  della  cagione  eh» 


i 


PARADISO  -  CANTO  XXVI 


793 


75       fin  ohe  V  estimativa  no  '1  soooorre  ; 
cosi  degli  ocehi  miei  ogni  quisquilia 
fugò  Beatrice  col  raggio  de*  suoi, 
78       clie  rifalgean  da  più  di  mille  milia  : 
onde,  me'  che  dinansi,  vidi  poi, 
e  quasi  stupefatto  domandai 
81        d'un  quarto  lume,  ch'io  vidi  con  noi. 
E  la  mia  donna:  e  Dentro  da  que'  rai 
vagheggia  il  suo  fattor  l'anima  prima, 
84       ohe  la  prima  virtd  creasse  mai  >. 
Come  la  fronda,  ohe  flette  la  cima 
nel  transito  del  vento,  e  poi  si  leva 
87        per  la  propria  virtù  che  la  suhlima, 
fec'io  in  tanto  in  quanto  ella  diceva, 
stupendo;  e  poi  mi  rifece  sicuro 
90       un  disio  di  parlare,  ond'io  ardeva; 


r  ha  prodotto.  —  76.  tsttnistf?»  :  liflearione; 
por  nMczo  della  quale  1*  nomo  ti  rende  oonto 
della  ttìbUa  vigtìia.  —  76.  ooei  eoo.  in  tal 
modo  Beatrioo  ool  taggio  dei  snoi  ooohi,  ohe 
xiftalgoraBo  sin  oltre  mille  miglia  di  distanza^ 
tolse  dai  miei  ogni  impedimento  :  quiaqmiia 
(laL  quiaquUku,  cose  minatissime)  indica  qui 
dò  ohe  oAuoava  la  yista.  —  78.  da  pld  eoo. 
Non  vuol  dire  ehe  Dante  redeeee  da  più  di 
nriUe  mi^  gli  occhi  di  Beatrice  riftilgenti 
a  Ivi;  ma  ohe  dal  luogo  ot*  erano  il  loro 
folgore  liacintUlAya  a  grandissima  distanza; 
si  ohe  non  pad  aver  ragione  il  Fanftmi  so* 
stenendo  ohe  si  debba  leggere  riftttgtva  ptó 
di  mUIé  milia  e  intendore  ohe  il  raggio  di 
Beatrice  rifalgeva  più  di  un  mUiom  di  raggi 
insieme  onitL  —  79.  cade  eoo.  per  il  qnale 
mirabile  eflètto  dello  sguardo  di  Beatrioe,  io 
▼idi  poi  più  distlntamentei  meglio  che  non 
fiaoeesi  prima.  —  80.  stnpefattetsia  per  aver 
riaoqoistato  la  vista,  sia  per  questo  naoro 
lume  oh'  el  vide  accanto  ai  tre  apostoli.  — 
81.  «a  fVik'^  oco.  È  il  lume  o  l'anima  di 
Adamo,  come  dice  senz'  altro  Beatrice  a  Dante 
(yr,  82-84),  il  quale  rivolge  subito  al  primo 
padre  una  calda  preghiera  (vr.  91-96),  per> 
ohe  gU  riveli  oid  oh'ei  desidera  di  sapere: 
e  Adamo,  conoscendo  dò  che  Danto  desidera 
(▼▼.  108-114)^  gli  espone  quale  fosse  la  na- 
tura del  primo  peccato  (▼▼.  115-117),  quanti 
anni  meno  passati  dalla  sua  creazione  (rv. 
118-1^),  quale  fosse  la  lingua  prìmitiTa  (rr, 
124-138)  e  quanto  tempo  sia  dimorato  nel 
paradiso  terrestre  (▼▼.  188-142).  —  82.  Den- 
tro eoe  Dentro  a  quel  lume  vagheggia  Q  suo 
fattore,  Dio,  Vanima  prima  doò  Adamo  (cfr. 
Airy.  zzxm  62)  che  fti  il  primo  uomo  creato 
da  Dio.  —  84.  la  prima  eoe.  cfr.  Cbav.  m  7  : 
<  la  prima  semplicissima  e  nobilissima  virtù. 


ohe  solo  è  intellettnale,  cioè  Dio  >.  —  85. 
Ceae  la  froaéa  eoo.  Alle  pardo  di  Beatiioe 
Danto  abbassa  il  eapo  per  riverenza  e  mera- 
viglia; ma  subito  il  desiderio  di  sapere  lo  rin- 
franca e  gli  fa  alzar  di  nuovo  la  testa  :  tale 
sucoeedone  dei  movimenti  è  resa  con  felidtà 
nella  similitudine  :  Come  la  fronda  die  piega, 
indina  la  sua  dma  quando  è  toccata  dal 
vento,  e  subito  ri  rial»  per  la  naturn  sua 
ohe  la  drizn  in  alto,  cosi  io  abbassai  eoo. 
Elettissime  le  parole  :  fttU$  e  inmtiio  non  in- 
dueendo  idea  di  vidento  ripiegairi  al  soflBare 
dd  vento,  ma  di  un  indiaarri  ddoe  alla  oa- 
remi  dell'  anretta,  fumo  sentire  quad  la  ri- 
verenza e  la  meraviglia,  aflétti  miti,  dai  quali 
è  dominato  l'animo  dd  poeta  doiaate  11  breve 
diaoorso  ddla  sua  donna;  e  ndla  frase  ti  Ina 
eoe.  erompe  quari  11  sentimento  di  s6»  onde 
Dante,  rassionrato  e  rinvigorito  dal  desiderio 
di  si^re  verità  ignote,  ri  dispone  a  interro- 
gate r  nomo  ohe  fti  prima  radice  di  tutti  gli 
dtri.  —  87.  per  la  propria  ecc.  <  L' ima- 
gine  ddla  fronda  non  6  nuova  di  certo;  ma 
r  ultimo  verso  ddla  terzina,  che  pur  si  di- 
rebbe suggerito  dalla  rima,  balza  ad  un  tratto 
dall'anima  fiera  di  Dante,  e  fa  della  povera 
fironda  inanimata,  esposta  ai  capricd  dd  ven- 
to, un  essere  vivo,  ohe  tende  con  irresisti- 
bile forza  verso  l'alto  »;  Parodi,  BuU,  III  87. 
-~  88.  la  tanto  la  «sante  t  nel  breve  tempo 
che  durarono  le  parole  di  Beatrice^  —  ed, 
stapeado  t  lo  stupore  è  stato  ddl'  animo,  nd 
qude  l'uomo  d  sente  dominato  da  un  sen- 
timento indefinito,  tra  di  timore  e  di  am- 
mirazione; qude  Dante  doveva  provar  in- 
nanzi d  primo  uomo.  —  90.  aa  disfo  eoo. 
dedderio  di  parlare,  come  mezzo  di  appren- 
dere cose  ignorate.  È  la  onriorità  sana  del- 
l' uomo  che  attende  ognora  a  rintracdare  U 


794 


DIVINA  COUMEDU 


=1 


e  cominciai  :  «  0  pomo,  che  maturo 
solo  prodotto  fosti,  o  padre  antico, 
93       a  cui  ciascuna  sposa  ò  figlia  e  nuro; 
devoto,  quanto  posso,  a  te  supplico 
perché  mi  parli:  tu  vedi  mia  voglia, 
96       e,  per  udirti  tosto,  non  la  dico  >. 
Tal  volta  un  animai  coperto  hroglia 
si  che  l'affetto  convien  che  si  paia 
99       per  lo  seguir  che  £etce  a  luì  l'invoglia; 
e  similmente  l'anima  primaia 
mi  fìEusea  trasparer  per  la  coperta 
102       quant'ella  a  compiacermi  venia  gaia. 
Indi  spirò  :  <  Senz'essermi  profferta 
da  te,  la  voglia  tua  discemo  meglio 
106       che  tu  qualunque  cosa  t'è  più  certa; 


▼ero.  —  91.  0  foiM  eoo.  0  nomo,  ohe  imioo 
fosti  cieeto  nellA  pienmu  e  matorità  delle 
forse;  ofir.  Pietro  Lombardo,  8mdmL  n  17: 
«  Adam  in  virili  aetate  oontinao  factoi  est, 
et  hoo...  eeoandiiai  Tolontatem  et  potentiam 
Dei  >.  —  98.  a  eal  eoo.  al  quale  ogni  ipoea 
è  figlia  e  nuora  ;  figlia,  peiohé  da  Adamo  di- 
ioefle,  nuora  peroh6  oonginnta  a  nn  figlio  o 
disoendente  di  Ini.  —  maro  t  nuora,  lat  imi- 
riM.  —  94.  a  te  eoo.  of^.  Air.  xr  85;  per 
mifpliùo  ofir.  fipttoo  in  Ftw,  ti  91.  ~  96.  te 
Tedi  eoo.  tu  oonoeci  dd  oh*  io  desidero  sa- 
pere, e  per  udirti  pi6  presto  non  ti  espongo 
la  mia  voglia,  U  mio  desiderio.  —  97.  TU 
▼olta  un  aaioial  eoo.  Alla  preghiera  di  Dante, 
l'anima  di  Adamo  dimostra  col  suo  oorrusoare 
la  disposicione  a  oompiaoerlo.  €  Ad  esprimer 
dò  usa  la  similitudine  di  un  animale  ohe  co- 
perto d' un  panno  si  agita  si  die  si  veggano 
i  sud  moti  di  sotto  la  copertura,  e  faccia  in 
tal  guisa  apparire  dò  che  brama.  Non  felice 
comparazione,  e  non  chiaramente  espressa  »  ; 
cosi  il  Venturi  416,  al  quale  consento  drca 
la  poca  felidtà  della  similitudine,  non  per  la 
mancanxa  di  chiaresza  :  Dante  v'  adopera  al- 
cune vod  che  ora  sono  in  disuso,  ma  dò  non 
induce  alcun  vizio  d'oscurità.  —  brogUa  ecc. 
si  dimena  awiluppandod  sempre  pid,  ma  pur 
mostrando  nd  movimenti  della  copMia,  che 
seguono  i  moti  del  corpo,  quale  sia  la  sua 
brama,  die  ò  di  uscire  da  tale  viluppo.  Sul 
vb.  brogUion  corrispondonte  al  prov.  bnthar^ 
germinare,  sollevarsi  ofk*.  Dies  79.  —  98.  ti 
che  ecc.  Non  altro  affètto  o  dedderio  può 
avere  in  simile  condizione  un  animale  se  non 
di  usdre  dal  suo  viluppo;  come  Adamo  non 
altro  dimostrava  col  maggior  corruscare  della 
sua  luce  se  non  di  esser  disposto  a  uscire  dal 
silenzio  per  sodisfare  parlando  il  dedderio 
di  Dante.  —  99.  Invoglia  :  involucro,  coperà 
tura,  dal  vb.  lat  kwdven»  —  100.  l'a 


Kl«al*t  ett.  FUrg.  xzzm  68.  —  lOL  ■! 
faeea  eoo.  mi  lasdava  trasalire  sotto  Pin- 
voluoro  dilla  sua  luoe  quanto  Untamante  d 
disponeva  a  oompiaoermL  —  108.  SeasPee- 
sexMl  eoo.  Seosa  die  tu  stesso  mi  «mt^S|^ 
il  tuo  desiderio,  to  lo  oonoaoo  saglio  ohe  tu 
non  conosca  qualunque  pid  palese  verità,  poi- 
ché lo  vedo  nell'aspetto  di  Dio.  —  104.  da 
te  eoo.  Gravissima  questione  è  agitata  dzoa 
la  retta  lesione  di  questo  vwso,  perdié  ipii 
autoievdi  oodid  ed  editori  sono  divisi  tm  la 
lesione  da  te,  seguita  oomunemento  dai  no- 
demi,  e  la  ledono  Ikmi$^  rimessa  in  onore 
dal  Witto.  Non  potendod  determinare  eoa 
criteri  sicuri  quale  delle  due  lesioni  abUa  dato 
origine  all'altra,  pddi6  qualunque  foese  la  pri- 
mitiva pud  essere  per  fiseileecrare  di  trsseri- 
zione  venuta  ftaori  la  ledono  wwi>ifHlaria  ;  ai 
avendod  dalla  sentenza  di  questi  veni  alcuno 
demento  utile  a  risolvere  la  questione,  poi- 
ché il  senso  cono  ugualmente  con  T  una  le- 
dono e  con  l'altra;  bisogna  cercare  altrove 
il  orìtorio  ddla  preferenza.  Ora,  oonddersado 
le  parole  die  Danto  scrive  nd  Cbne.  1 2  circa 
il  parlare  di  sé  stesso,  già  riferite  nella  nota 
al  Pmg,  xzx  68,  e  l'uiO  suo  di  deeignard 
nel  De  vulg,  sfogMSirfia  sempre  per  via  di  pe- 
rif^ad  o  con  un'  indicadone  generioa  (ommis 
iiws  doè  di  Ono,  1 17,  n  2, 6, 6  ;  vmmm  aMmk 
I  18),  e  più  ricordando  die  nd  Pmtg.  zzx  66 
il  poeto  avendo  posto  il  suo  nome  sulle  leb- 
bra di  Beatrice  soggiunge  eàs  di  fMosssAA  pi 
ti  r^gisbrOf  d  ragionevole  accogliere  la  comune 
ledono  da  te;  la  quale  anche,  ohi  ben  riguardi, 
detormina  meglio  U  pensiero  dell'autore,  poi- 
ché, come  in  dtri  òid  (eft.  Air.  sv  10  e 
sogg.,  zzxv  1  e  segg.),  ood  qui  la  sua  vo- 
glia potova  eesere  premia  da  Beatrioe.  An- 
che l'autorità  dd  migliori  interpetri  moderd, 
Lomb.,  Blag.,  Costa,  Tomm.,  Bianchi,  Andr., 
Blanc,  Soart,  mi  ha  oonfortoto  ad  abban- 


PARADISO  —  CANTO  XXVI 


796 


perch'io  la  veggio  nel  verace  speglio 
ohe  £&  di  sé  pareglio  all'altre  oosoi 
108       e  nplla  face  lai  di  sé  pareglio. 

Tu  vuoi  saper  quant'ò  che  Dio  mi  pose 
neiU' eccelso  giardinoi  ove  costei 
111       a  cosi  lunga  scala  ti  dispose, 

e  quanto  fu  diletto  agli  occhi  miei, 
e  la  propria  cagion  del  gran  disdegno, 
114        e  ridioma  ch'usai  e  ch'io  fei. 

Or,  figliuol  mio,  non  il  gustar  del  legno 
fu  per  sé  la  cagion  di  tanto  esilio, 
117       ma  solamente  il  trapassar  del  segno. 


donai»  U  ladone  «ooolta  dal  Witta.  —  106. 
yarA*  !•  aoo.  H  ooneatto  d  ohiariariiao,  poi- 
ché Dante  ripeta  gid  ciò  oha  ha  datto  Taiiaf- 
manta  in  altri'  Ino^  dal  poama  (ofir.  Air.  oc 
74,  n  21,  XT  61,  xvm  16,  za  80,  zxr  68), 
alia  I  beati  guardando  in  Dio  reggono  i  pan- 
alari  a  f^  aranti  nnumi  (ofr.  anche  iWy.  xzz 
108);  ma  par  indicare  Dio  a'  è  serrito  di  nna 
parifraai  ohe  ha  dato  molto  da  tàn  agli  in^ 
«oipetri  e  per  fé  ateaea  e  per  l'incertezza 
della  leaione.  Tra  i  commentatori  antichi  pare 
oha  preraleaee  la  lecione  aooolta  dal  Wìtte, 
ohe  Lana,  Ott,  Oan.,  Bnti,  Benr.,  Land., 
intandoaio  in  aoatanza:  nel  reraoe  ipecchlo, 
in  Dio,  ohe  tatto  comprende  e  da  nulla  è  oom- 
praao;  a  bmodoMparian^  cioè  la  peiifraii, 
è  ooaf  apiagato  daU' Ott  :€  Dice  com' e^  rada 
pariittamante  la  roi^  aaa  in  Dio,  il  quale 
fli  di  aé  a  l'altra  ooae  paiegUo,  cioè  ohe  tatto 
oompiande  a  nnlla  poote  Ini  comprenderà.  La 
pi^Ula  li  Ih  paiagUo  della  ooaa  raduta,  in 
quanto  quella  apeoie  rialra  ohe  antro  ri  ti 
«tltlplica  è  cdoiata  e  figurata  al  modo  d'eaaa 
aoaa  raduta;  coaf  in  Dio  il  rada  tutto,  e  pacò 
in  quanto  li  ti  redo,  eaio  il  pareglia  a  quella 
aoaa  che  in  hd  il  rada;  a  però  dice  fa  dite 
panglio  a  Vattn  com,  •  mlUa  fae$  hd  di  té 
jNMiytto,  cioè  ch'altra  coaa  non  è  che  poeaa 
aomprendere  Iddio  e  per  conaeguento  Iddio 
non  ai  può  in  eeaa  ipeochiare  ».  Secondo  que- 
ata  aapoaliiona  parpglio  è  il  noto  aggettiro 
uaato  aoatantiramante  col  senio  di  pareggiar 
manto,  pariflcacione,  lomiglianza,  imagine 
(ofr.  BuU,  m  U6).  Altri  teati  portano  éh$ 
fa  ài  »i  partgVé  Vatbn  ùcm»^  dee  che  rende 
almUi  a  lé  le  altre  coae;  Mpranione  che  da- 
rebbe un  aanso  oscuro  a  fonato:  altri  ancora 
leggono  e  intendono  direnamante,  ma  sono 
errori  manUiBati  (ofr.  BuXL  m  21,  X  259).  — 
epegllot  ofr.  Air.  xzx  85.  —  109.  Ta  mei 
eoo.  Quattro  cose  rolera  saper  Dante  da  Ada- 
mo: quanti  anni  erano  pesasti  dalla  oreaxione 
del  primo  uomo,  quanto  tempo  ei  dimorasse 
nel  paradiro  terrestro,  quale  Ibese  la  natura 


dal  peccato  originala  e  quale  l' idioma  ada- 
mitico. —  HO.  BeU'aaealse  eoo.  nel  paradiao 
terzeatra,  posto  sulla  cima  del  aaoro  monta 
(ofr.  Pmrg,  zxrm  2).  —  ara  aeatei  eco.  nel 
quale  Beatrice  ti  reae  oi^aoe  di  ascendere 
per  i  cieU  del  paradiao  ;  alluda  «  tutto  ciò 
che  Dante  operò  nel  paradiso  terrestre  per 
direnir  degno  di  salire  a  Dio  (ofr.  Purg,  xxix- 
zxxm).  —  112.  f aaata  fa  eoo.  per  quanto 
tempo  io  godetti  della  beata  dimora  nel  pa- 
radiso terrestre.  Questo  è  il  senso,  ma  la  let- 
tera non  ò  ben  chiara;  dUtUo  può  essere  so- 
stantlro,  e  allore  s' Intenderà  :  qwinio^  quanto 
tempo,  ju  dOitto  agii  ooohi  mM,  gli  occhi  miei 
ebbero  11  diletto  di  contemplare  le  bellezze 
eco.  ;  0  si  prende  per  aggettiro,  e  bisognerà 
spiegare  :  quanto  tempo  Vtaod»  giardino^  li 
paradiso,  fu  caro  ai  miei  ooohl,  porche  mia 
dimora  eco.  —  118.  e  la  propria  eoo.  e  la 
rara  cagione  per  cui  Dio  si  sdegnò  con  me 
e  oon  tutto  il  genere  umano.  ~  114.  e  lidio- 
Ma  eco.  e  la  lingua  ohe  lo  usai  e  creai. 
Tomm.  :  <  usò  il  linguaggio  da  Dio  rivelatogli 
in  poche  radicali  parole  contenenti  la  som- 
mità del  rero  ;  fdet  U  restante,  da  quelle  po- 
che per  analogia  derirando  la  lingua  intera 
0  i  nomi  di  tutte  le  cose  ».  —  115.  Or,  fl- 
gliuol  ecc.  Adamo  chiarisce  a  Dante  il  terzo 
punto,  dicendo  ohe  la  cagione  per  cui  egli  tu. 
cacciato  dal  paradiso  terrestre  non  fu  già 
l'arero  gustato  il  frutto  dell'  albero  proibito, 
ma  l'arero  oltrepassato  In  dò  li  giusto  segno. 
D  poeta  seguita  qui  le  dottrine  teologiche  del 
suo  tempo,  e  in  partioolar  modo  quelle  di 
Tomm.  d'Aqu.,  Stmm,  F.  Il**  qu.  oLzni,  art. 
1-2,  ore  è  detto  ohe  «  pilmum  peoóunm 
hominls  fblt  in  hoc,  quod  appetUt  quoddam 
spirituale  bonnm  wpra  fnènturanif  quod  per^ 
tinet  ad  superblam  »,  perohó  «  appetere  slml- 
litudlnem  Del  abaohUs  quantum  ad  sdentiam, 
non  set  peooatum,  sed  appetere  hulusmodi  si- 
militudinem  inonUnaief  Idest  sapre  mensuram, 
peocatnm  est  >  (ofr.  anche  F.  Lombardo,  Sm- 
imU,  n  22;  Ugo  da  S.  Vittore,  D$  taora- 


796 


DIVINA  COMMEDIA 


Quindi,  onde  mosse  tua  donna  VirgiliO| 
quattromila  trecento  e  due  volumi 
120       di  sol  desiderai  questo  concilio; 
e  TÌdi  lui  tornare  a  tutti  i  lumi 
della  sua  strada  noyecento  trenta 
123       fiate,  mentre  ch'io  in  terra  fumi. 
La  lingua  ch'io  parlai  fìi  tutta  spenta 
innansi  assai  eh' all' opra  inconsumabile 
126       fosse  la  gente  di  Nembrot  attenta; 
che  nullo  effetto  mai  razionabile, 
per  lo  piacere  uman,  che  rinnoTella 
129        seguendo  il  cielo,  sempre  fu  durabile: 
opera  naturale  è  ch'uom  favella; 
ma,  cosi  o  cosi,  natura  lascia 
182       poi  fare  a  voi  secondo  che  y'  abbella. 
Pria  ch'io  scendessi  all'infernale  ambascia, 


nwnL  I  7,  84  eoo.).  —  118.  Quindi  eco.  RI- 
folre  Dia  il  primo  gaesito,  dioendo  :  dal  lim- 
bo, onde  Beatrice  fece  maorere  YiigiUo  perché 
Yeniaae  in  tao  alato  (cfr.  Inf,  n  62  e  segg.), 
io  desiderai  di  aalize  a  questo  concilio  del 
beati  per  lo  spazio  di  4302  anni,  e  nel  mondo 
era  stato  980  anni  :  dalla  creazione  di  Adamo 
al  momento  della  risione  dantesca  erano  dun- 
que corsi  6496  anni,  doè  980  della  sua  Tita 
terrena,  4802  da  lui  passati  nel  limbo  sino  al 
tempo  che  Cristo  lo  trasse  fuori  (cfir.  Inf.  tv 
66),  1266  passati  in  paradiso  (daU'a.  84  al 
1800  d.  0.).  —  119.  ToUml  di  sei:  moTi- 
menti  di  sole,  traslazioni  annue;  voìume  è 
latinismo  poetico,  che  Dante  avrà  usato  per 
rimembranza  dell' oyidiano,  Mit,  ii  71  :  «  Si- 
deraque  alta  trahit  celerique  Tolumine  tor- 
quet>.  —  120.  ••■elllo:  cfìr.  Awy.  Z33  16. 
—  121.  e  Tidl  Ul  tornare  ecc.  e  vidi  il  sole 
ripercorrere  la  sua  strada  annuale,  tornare  a 
tutte  le  costellazioni  delio  zodiaco  per  980 
Yolte,  Tissi  insomma  in  terra  980  anni  :  la 
durata  della  yita  di  Adamo  d  data  dal  Oetmi 
T  5.  —  124.  La  lingua  eoo.  Riguardo  al  lin- 
guaggio adamitico  Dante  riprova  qui  1*  opi- 
nione manifestata  nel  De  vulg,  doqu,  i  6.  ore 
d  affermato  che  1*  idioma  di  Adamo  fu  parlato 
da  tutti  i  suoi  discendenti  sino  all'edliicazione 
della  torre  di  Babele  e  che  dopo  la  oonftuione 
delle  lingue  rimase  proprio  degli  Ebrei.  —  fa 
tutta  eoe  venne  a  mancar  del  tutto,  prima 
che  Nembrotte  (cfr.  Inf.  xzzi  77)  e  1  suoi  si 
mettessero  al  gran  lavóro  (IStrg.  xii  84)  della 
torre,  impossibile  a  compiere.  —  127.  ohe 
■allo  eoe  poiché  la  lingua,  come  tutte  le 
creazioni  della  ragione  umana,  non  è  immu- 
tabile, ma  segue  il  piacere  umano  che  si  muta 
secondo  la  varietà  delle  influenze  celesti.  II 
concetto  del  poeta  ò  illustrato  da  queste  pa- 


role del  trattatista,  i^i»«^.  Ooqm,  1 9: 
omnes  diffsrentiae  atque  sermonom  varieta- 
tes,  quid  acddunt,  una  eadeoiqus  lattone  pa- 
teUt.  Didmus  ergo,  quod  nullos  effeotos  sa- 
porat  suam  caosam,  in  qoantum  efféctas  set, 
quia  nihil  potest  eflicere  quod  non  est.  Cam 
igitur  omnia  nostra  loquela,  praeter  Ulam  ho- 
mini  primo  conereatam  aDeo,  sit  a  nootro  beae- 
plaoito  reparata  post  oonfOsionem  illaai,  qoae 
nil  toìt  aliod  qaam  prioria  oblivio,  et  hooio  sit 
instsbilissimum  atque  variabilissimam  animai, 
nec  dnxabilis  nec  continiia  esse  potest;  «ed 
sicut  alia,  quae  nostra  sont,  pnta  mores  et 
habitus,  per  loocmm  temponuaqae  distanti« 
variali  oportet  ».  ~  effMte  rasloMhlle  i  ef- 
fetto, creazione,  prodotto  della  ragione  amaoa. 

—  180.  opera  eoe.  il  pariaie  è  un  affetto  na- 
turale, ma  il  modo  dal  pazlara,  il  parlare  in 
un  modo  piuttosto  òhe  in  un  altro  èlibenunents 
lasciato  dalla  natora  aU'aiWtrio  dair  nonio. 

—  182.  seeeido  eoe  secondo  che  vi  piace, 
che  vi  par  bello:  ff  abbella  è  un  provenza- 
lismo (cf^.  Awy.  zzvi  140),  «ma  in  esso  Dante 
doveva  pur  sentire  qualche  cosa  di  toscano  » 
(Parodi,  BuU.  m  146).  —  183.  Pria  ecc. 
Prima  che  io  scendessi  all'inferno,  piima 
eh'  io  morissi,  il  sommo  bene  cioè  Dio  era 
chiamato  /;  la  quale  lettera,  piuttosto  che 
come  iniziale  del  nome  ebtaioo  di  Dio,  Jriumk 
(  Sakn.  Lxvm  4),  si  ha  da  intendere  per  il 
segno  deUa  spiritualità  divina.  Nel  De  wIq. 
ehqu.  1  4  Danto  scrive  che  il  noatie  primi- 
tivo di  Dio  fu  £1  :  «  Quid  «ttem  prins  vox 
primi  loquentis  scaaverit,  viro  sanae  man- 
tia  in  prompta  esse  non  titubo,  Ipsom  frisse 
quod  Deus  est,  sdlicet  £1,  voi  per  modua 
interrogationis  vel  per  modom  lespouaionia  >  ; 
e  qui  nel  poema  rettifloa  la  sua  opinione, 
considerando  la  forma  JB 


PARADISO  -  CANTO  XXVI 


797 


I  s' appellava  in  terra  il  sommo  bene, 
185        onde  vien  la  letisia  che  mi  fascia; 
El  si  chiamò  da  poi,  e  ciò  conviene, 
chó  l'oso  de*  mortali  ò  come  fronda 
138       in  ramo,  clie  sen  va  ed  altra  viena 
Nel  monte,  che  si  leva  più  dall'onda, 
fa' io,  con  vita  pura,  e  disonesta, 
dalla  prim'ora  a  quella  che  seconda, 
142    come  il  sol  mata  qaadra,  l' ora  sesta  ». 


saooadnta  aU'J  del  lixìgiuiggio  di  Adamo.  In 
Mstanza  Dante  nel  De  en^.  thq,  aTeya  rl- 
tenato  ohe  l'ebraioo  foase  la  lingoa  di  Adamo 
rimasta  inalterata  preeso  quel  popolo;  nel 
JRir.  invece  ai  oonedae,  perché  aU'nomo  primo 
caooiato  dal  panuUao  teixeetre  non  al  addl- 
oerm  pid  una  lingua  inalterabile  ;  efr.  il  bel- 
lissimo stodio  del  D'Ovidio,  pp.  486-607. 
Nei  manosoritti  poi  ai  trovano  altre  lesioni 
nel  V.  184  (£(,  i^  Y,  Un\  ma  derivate  da 
erronee  interpretaxloni  del  testo  primitivo. 
—  186.  cade  eoo.  dal  quale  procede  la  mia 
beatitudine.  —  186.  El  il  ekiamò  eoe  Poi 
la  divinità  prese  il  nomo  di  M  presso  gli 
Efarei;  ofir.  Isidoro,  JSJtymof.  vn  1  :  «  Primom 
«pad  Hebraeos  Dei  nomen  El  dioitar,  secon- 
dnm  nomen  Uhi  est  ».  -^  187.  Poso  eoo.  le 
parole  del  linguaggio  nmano  sono  mutabili 
oome  sai  rami  le  fronde,  alcone  delle  quali 
cadono  mentre  altre  germogliano.  Dante  re- 
stringe in  una  similitudine  di  particolare  ef- 
ficacia il  concetto  dei  versi  notissimi  d' Ora- 


zio, Ari,  pod.  V.  60  e  segg..  e  Ut  sAvae  fo- 
llia pronot  mvtantmr  in  annos.  Prima  oadunt; 
ita  verborum  vetus  interit  aetas,  St  inveDum 
rita  florent  modo  nata  virentque...  Multa  re- 
nasoeotor,  quae  iam  coddere,  oadentque, 
Qoae  nono  sunt  in  honore,  vocabula,  si  vx>- 
let  osus,  Quem  penea  arbltrium  est  et  los  et 
norma  loquendi  ».  —  189.  He!  monte  eoo. 
SaOa  dma  del  monte  sacro,  nel  paradiso  ter- 
restre, io  dimorai  in  tutto  sette  ore,  dalla 
prima  del  giorno  In  cui  ftd  creato  a  quella 
ohe  viene  dopo  la  sesta.  —  ék»  si  leva  ecc. 
cfr.  Atfp.  lu  15.  —  140.  eoa  flto  para,  e 
disemetta  :  la  vita  pura,  senza  peccato,  fu 
dalla  crearione  sino  al  godimento  del  fhitto 
vietato;  la  dùonula  dal  momento  del  peo- 
oato  sino  alla  cacd^t^  ^  paradiso  terrestre. 
—  141.  feeeada:  seguita,  accompagna  (efr. 
Any.  zvi  88).  —  142.  come  U  sol  ecc.  ap- 
pena che  II  sole  ha  mutato  quadrante,  doò 
ha  percorso  una  quarta  parte  del  suo  giro 
quotidiano. 


CANTO  xxvn 

Dopo  che  tatto  il  paradiso  ha  cantato  un  inno  di  grazie  al  Signore,  &an 
Pietro  fa  ana  flerissima  invettfra  contro  i  pontefici  romani,  e  tutti  1  beati 
risalgono  all'Empireo.  Beatrice  e  Dante  s*  innalzano  al  nono  cielo  o  Primo 
Mobile,  del  quale  la  donna  spiega  al  poeta  la  natura,  traendone  occasione 
per  censurare  11  decadimento  delP  umanità  e  invocare  prossimo  un  rinnova- 
mento morale  [14  aprile,  ore  pomeridiane]. 

Al  Padre,  al  Figlio,  allo  Spirito  Santo 
cominciò  €  Gloria  >  tatto  il  paradiso, 
8        si  ohe  m'inebbriava  il  dolce  canto. 
Ciò  ch'io  vedeva  mi  sembiava  un  riso 


xxvn  1.  ÀlPadreeocSodisfiattooonil 
disoono  di  Adamo  il  desiderio  di  Dante  (Air. 
XXVI  lOB-142),  tutti  i  hesti  del  paradiso,  in 
xendimeato  di  grazie  alle  tre  persone  divine, 
intonaiono  il  Gloria  patri  «t  fUio  H  apiritui 
mmeto  eoe,  cantando  1*  inno  con  tale  dolcezsa 
che  il  poeta  restò  inehhriato  di  inellkbile  al- 
legreiuL  —  4.  Clè  eh*  le  eoo.  Alla  gioia  pio- 


dotta  dal  dolce  canto  ai  aggiungeva  quella 
cagUmata  dallo  spettacolo  offerto  dal  tripudio 
dei  heati,  che  a  Dante  apparve  come  un  riso 
déU'unkarÈOf  come  la  Bunifestasione  di  una 
gioia  sovrumana  diifnsa  per  tutti  gli  spaat 
creati.  <  Un  infinito  tripudio  (nota  il  Blag.X 
mille  splendori  di  vivi  raggi  sfavillanti,  ohe 
a*  abbellivano  di  mutua  Inoe,  aoeompagaavano 


798 


DIVINA  COMMBDU 


dell'universo;  per  che  mia  ebbresza 
6       entrava  per  l'udire  e  per  lo  viso. 
O  gioia!  o  ineffabile  allegreszal 
o  vita  intera  d'amore  e  di  pacet 
9       o  senza  brama  sicura  riochezsa! 
Dinanzi  agli  ocobi  miei  le  quattro  face 
stavano  accese,  e  quella  obe  pria  venne 
12       incominciò  a  ùasi  più  vivace; 
e  tal  nella  sembianza  sua  divenne, 
qual  diverrebbe  Giove,  s'egli  e  Marte 
16       fossero  augelli  e  cambiassersi  penna 
La  provvidenza,  che  quivi  comparte 
vice  ed  officio,  nel  beato  coro 
18       silenzio  posto  avea  da  ogni  parte, 
quand'  io  udi'  :  €  Se  io  mi  trascoloro, 
non  ti  maravigliar;  che,  dicendMo, 
21        vedrai  trascolorar  tutti  costoro. 

Quegli  ch'usurpa  in  terra  il  loco  mio, 


in  qnegl'  ImniMisl  ipuf  il  dololirimo  oanto, 
•  tal  viste  pueva  proprio  »  Danto  un  liso 
déir  unirono;  imagine  Twamento  degna  del 
luogo  e  di  ^  lo  doBoriTe.  Eschilo  chiama 
rito  infinito  qnesto  che  il  poeto  noetro  rièo 
dtWwmtrao  >.  —  6.  per  eh«  eoo.  per  la  qnal 
oota  rebbrezxa  del  piacerò  entrayain  me  per 
r  udito,  a  cagiona  del  canto,  e  per  la  Tista, 
a  cagione  dello  sfkTillare  dei  beatt.  ~  6.  tIioi 
ett,  hif»  rr  U.  --  7.  0  gioia  ecc.  0  gioia 
indidùle  del  paradiso,  ore  le  anime  viTono 
una  Tito  perfetto  di  amore  e  di  paoe,  e  go- 
dono di  una  JnfiJIihtla  beatitodine,  lenaa  al- 
cun deeiderio.  —  8.  o  Tltft  Intera  eoo.  efr. 
Air.  zm  64.  ~  9.  o  lensa  brama  eco.  È 
in  relazione  od  oonoetto  eepreaao  nel  ObMO. 
m  14  :  €  n  desiderio  esser  non  pud  odila  bea- 
titudine, aedo  che  U  beatitudine  sia  cosa  per- 
fètto e  il  desiderio  sia  cosa  difettlTa;  che 
nullo  desidera  quello  che  ha,  ma  quello  ohe 
non  ha,  che  è  manifesto  difetto  >  :  ondo  il 
Petrarca  oomindò  il  son.  ozoi  dicendo  :  €  Si 
oomo  etema  Tito  è  Todflir  Dio,  N6  più  si  brama 
né  bramar  più  lice  >.  — 10.  le  f  lattro  eco.  Le 
quattro  tod  ohe  risplondeyano  innansi  aDanto 
orano  lo  anime  di  san  Pietro,  di  san  Iacopo,  di 
san  Giovanni  e  di  Adamo,  dello  quali  prima  a 
Tonire  ora  stoto  quella  di  san  Pietro  (oft.  Ar. 
zznr  19  o  oeg.).  —  12.  Ucomlnelò  eoo.  San 
Pietro,  inilammandnsl  di  sdegno,  prorompo  in 
mosso  alla  sdonnito  dd  silensio  edesto,  to 
una  fiera  luTottiTa  contro  il  pontefice  romano 
(tt.  19-27),  o  ed  disdegnoso  consenso  dd 
beatt  (rr.  28-86)  rioorda  la  santo  Tito  o  il 
martirio  dd  primi  papi  oomo  rimproyero  ai 
lupi  rapad  diyonutt  pastori  di  animo,  o  in- 


voca contro  U  Owto  lomann  0  toooorso  doDa 
diTina  proTfidonza  (vr.  87-66).  ~  18.  o  tei 
eoo.  e  d  acceso  di  qud  ooloio  rosM»  flaa- 
meggianto  che  Giovo  aoquistecobbo  oe  osso 
o  kaxto  d  scambiassero  i  odori.  Ani.:  €  La 
luco  bianca,  oosm  qudla  di  Giovo,  «  questo 
punto  d  trastormA,  per  aoconriono  di  odo,  in 
luce  rossastra  oomo  qudla  di  Marte.  Che  Viano 
a  indioard  od  cambto  dello  panno  tra  Giovo 
e  llarte,  se  fossero  uccelli;  ood  d  raasmo- 
mora  dd  poeta,  oho  la  luoo  di  cho  risplon- 
devano  qud  beoti  q^ti,  ora  cosa  dlatlmtodnlla 
loro  osswìH,  0  quad  una  spoeto  di  manto  ». 
Quesf  dtimo  pensiero,  oomo  troppo  sottfle, 
non  obbo  fono  il  poeto;  il  quale  ad  ogni  modo 
to  questo  slmOitadiiio  non  fti  troppo  fd&oo, 
por  to  strana  ipoted  di  una  oonvenlono  di  duo 
pianottin  ucodlL  — 16.  La  prowldoasn  eoo. 
La  prowidonia  divina,  la  qude  in  ddo  di> 
stiibuisco  vod  od  uffid,  doè  ordina  l'swi- 
oondard  dd  moto  o  ddla  quiete,  dd  pariare 
e  dd  taosco,  o  assegna  a  dasouno  il  suo  pro- 
prto  uflUdo(dipadaio,  di  aaodtazo  eoe.),  aveva 
imposto  dtondo  a  tutti  i  boati.  —  18.  Solo 
ecc.  So  io  cambio  odoro  por  to  sdegno  die 
mi  agita,  non  to  ne  moravigllaro,  poldié  vo- 
drd  allo  mto  paiolo  cambiar  ooloio  per  lo 
stesso  sentimento  tuttt  i  mid  'rft"«pogirf  di 
beatitudine  :  oomo  d  d  oomune  la  gloria,  ood 
ogni  altro  sentimento  d  è  oonuno  o  produco 
to  tetti  nd  gU  stesd  oflstti.  —  21.  vedrai 
eco.  cfr.  w.  98  e  sogg.  —  22.  fae^  eoo. 
Odui  ohe  to  terra  usurpa  il  mto  posto,  oho 
d  cospetto  di  Gos4  Cristo  appare  vaoanto  per- 
ché I  F>^*g'»yw*to  occupato,  ba  tolto  di  Boom 
un  imputo  riotttaoclo  d'ogni  vldoima  •  d'ogni 


PABÀDISO  -  CANTO  XXVH 


790 


il  loco  TDÌOf  il  loco  mio  che  vaca 
24       nella  presenza  del  figliaol  di  Dio, 
ùAXo  lia  del  cimitero  mio  cloaca 
del  sangue  e  della  puzza,  onde  il  perverso, 
27       che  cadde  di  qua  su,  là  giù  si  placa». 
Di  quel  color,  che  per  lo  sole  avverso 
nube  dipinge  da  sera  e  da  mane, 
80       vid'io  allora  tutto  il  del  cosperso: 
e  come  donna  onesta,  che  permane 
di  sé  sicura,  e,  per  l'altrui  fallanza, 
83       pure  ascoltando,  timida  si  fané, 
cosi  Beatrice  trasmutò  sembianza; 
e  tal  eclissi  credo  che  in  del  fiie, 
86        quando  pati  la  suprema  possanza. 


p«oe«to,  di  modo  oho  LnoUbro  neU'  inferno 
il  xmllegn  di  tanto  mal«.  L' ioTettiTa  è  dirotta 
in  genere  oontto  i  ponteflei  del  tempo  di 
Dante:  contro  Boniikxlo  Vm  (ofr.  In/l  zxz 
68)  te  li  ha  xigoaido  all'anno  aisegnato  dal 
poeta  alla  ma  lisione,  contro  Oioyanni  YXTT 
(ofr.  Ar.  xTm  180)  te  il  oontidera  il  tempo 
Sb  coi  Tantore  totiTeiTa  questi  tenibili  versL 
—  28.  U  loe«  eoo.  La  ripetisione,  non  pare 
liolìlama  con  maggiore  Iniiitenga  V  idea  della 
aedo  apoetolioa  indegnamente  oocapata,  ma 
aocrecce  forza  all'invettiTa  :  e  ferse  è  qói  nn 
xieordo  dell*  eeproMione  biblica  (leremia  vn 
4):  e  Onesto  d  il  tempio  del  Signore,  il  tempio 
diel  Signore,  il  tempio  del  Signore  >.  —  28. 
càe  TMa  eoo.  Land.  :  e  Non  dice  assolata- 
mente che  raohi,  per  dò  cho  segnirebbe  che 
non  fosse  vero  e  legittimo  papa,  e  per  con- 
Beqaente  non  Tanebbe  oosa  che  lucesse,  ma 
Taoa  nel  conspetto  del  flgliaol  di  Dio,  peroh6 
ha  pervertito  roflSdo  sao  e  per  conseqoente 
Cristo  lo  riprora  come  apostata.  Non  Taoa 
adnnqoe  tra  gli  nomini,  peroh6  il  sao  decreto 
nOe;  ma  quanto  a  Dio,  non  tiene  tal  grado 
di  ragione,  ma  lo  osorpa  >.  ~  24.  aella  pre- 
■ens»  eòo.  al  cospetto  di  OesA  Cristo,  fonda- 
torse  capo  della  chiesa  cristiana.  —  26.  cìmI- 
ter«:  Boma,  ore  fa  sepolto,  secondo  la  tradi- 
done,  san  Pietro,  eia  soa  mUixia  (cfr.  Par,  a. 
189  e  segg.);  ma  si  potrebbe  intendere  por  del 
Vaticano  e  degli  altri  luoghi  saorL  —  26.  del 
Magne  eco.  del  sangue  di  innocenti  vittime, 
del  sangue  sparso  neUe  lotte  accese  in  Boma 
daQ'  ambidone  pontiAda  (cfr.  hìf.  xxvn  86  e 
ngg.).  —  deUa  pnssa  t  dell'  imniondida  dei 
peccati,  e  specialmente  dell'aTariiia  e  della 
lussuria  dominanti  in  corte  di  Boma.  ~  11 
ftrrerso  eoe.  Lucifero,  precipitato  dal  cido 
all'inferno  (cfr.  Ihf,  xxziy  121),  d  oompiaoe, 
d  rallegra  delle  iniquità  commesse  nella  ca- 
pitale dd  mondo  cristiano.  —  28.  Di  fn«l 
•00.  Alle  parole  di  san  Pietro  contro  il  ponp 


teflce  romano  tutti  i  beati  direntano  rosd  di 
sdegno,  come  la  nuvola  d  tinge  in  rosso 
quando  d  mattino  o  alla  sera  d  trova  oppo- 
sta al  sole.  —  per  lo  sole  ecc.  per  essere  il 
sole  dalla  parte  opposta;  d  detto  con  tome 
latlneggiante,  die  ricorda  i  verd  ovidiani, 
3ùt.  m  183  :  <  Qui  color  infectis  advord  so- 
lis  ab  ictu  Nubibus  essesolet  aut  porpureae 
aurorae,  Is  fdt  in  vulta  visse  sino  veste 
Dianae  >  ;  onde  Dante  trasse  oerto  la  sua  d- 
militudine  (  cfr.  Moore,  I  227  )  rinnovandola 
con  assd  efficace  brevità.  —  29.  nube  di- 
pinge ecc.  il  colore  dipinge  la  nube,  cosparge 
di  b6  lanube(cfr.  Btr.  xxvni  28):  non  mi  pare 
che  sia  fondata,  a  questo  laogo,  la  censura 
di  ambiguità  fetta  da  donni  interpreti  essendo 
chiaro  che  la  nube  non  può  dipinger  nulla, 
si  esser  dipinta  d' alcun  colore.  —  81.  come 
donna  ecc.  come  l'onesta  donna,  senza  per- 
dere la  dcurexza  della  propria  purità,  nd- 
l'ascoltare  i  feUi  di  un'dtrad  fe  timida,  ar- 
rossisoe  per  naturde  timore,  ood  Beatrice  d 
cambiò  di  colore,  diventando  timida  per  dò 
che  aveva  detto  san  Pietro.  Venturi  266: 
«  La  similitudine  è  appropriatissima,  in  quanto 
d  riferisce  a  donna.  In  sua  onestà,  innocente; 
nella  quale  il  sentimento  del  pudore  sud  ce- 
serò più  vivo  >.  •—  88.  fàae  :  fe  ;  ofr.  I\trg. 
XXV  42.  —  84.  eesf  Beatrice  ecc.  Buti  :  «di- 
ventando timida  e  vergognosa  per  quello  ohe 
aveva  detto  san  Pietro  dd  papa  che  era  d- 
lora;  e  per  questo  dà  ad  intendere  che  tutti 
li  teologi,  li  santi  e  buoni  cristiani  d  vergo- 
gnano dd  peccato  de'  pastori  della  santa  chie- 
sa ».  —  trasBBtò  eco.  Yentori  266  :  «  Modo 
che  rammenta  il  biblico:  Aspeoiui  faoiei  i^ 
Uus  immuialuM  «d  (Dan.  m  19)  ».  —  86.  e  tal 
eellssi  ecc.  Yentori  266  :  «  Danto,  con  dto 
concetto,  imagina  ora  in  dolo  lo  stesso  osca- 
ramento  e  attristamento  di  sembianti,  qnd 
fa  alla  morte  della  »upr«ma  pottanxa^  di  Cri- 
sto »;  ofr.  Matteo  xzvn  46,  Marco  xv  0^  Luoa 


800 


DIVINA  COHMBDU 


:n 


Poi  procedetter  le  parole  aue 
con  voce  tanto  da  sé  trasmatata 
89       che  la  sembiaasa  non  si  mutò  piùe: 
<  Non  fa  la  sposa  di  Cristo  allevata 
del  sangue  mio,  di  Lin,  di  quel  di  Cleto, 
42       per  essere  ad  acquisto  d'oro  usata; 
ma  per  acquisto  d'eeto  viver  lieto 
e  Sisto  e  Pio  e  Calisto  ed  Urbano 
45        sparaer  lo  sangue  dopo  molto  fleto. 

Non  fa  nostra  intenadon  eh' a  destra  mano 
dei  nostri  successo^  parte  sedesse, 
48       parte  dall'altra,  del  popol  cristiano; 
né  che  le  chiavi,  che  mi  far  concesse, 
divenisser  segnacolo  in  vessillo, 
51        che  centra  i  battezzati  combattesse; 
né  ch'io  fossi  figura  di  sigillo 
ai  privilegi  venduti  e  mendaci, 


xzm  M-46.  —  87.  Poi  eoo.  Da  questo  ponto 
le  puole  di  nn  Pietro  fegoitarono  oon  yooe 
non  meno  alterata  di  q  nel  ohe  foaee  ttato  al- 
terato l'aspetto  :  la  sua  rooe  insomma  faoen- 
doei  più  forte  esprimeva  raooresoimento  dello 
sdegno  sosoitato  dal  confronto  degli  atti  dai 
presenti  pontefici  con  la  vita  santa  dei  primi 
papi.  —  40.  Hon  fti  eco.  La  Chiesa  cristiaiia 
(cfir.  Par,  u  82)  non  fa  fondata  e  fortificata 
ool  martido  mio,  di  Lino,  di  Cleto  eoo.  per- 
ché le  institoxioni  eoolesiastiohe  fossero  og- 
getto di  nn  indegno  traffico,  fossero  il  meno 
di  ammassare  dell'oro.  —  41.  lia:  Lino, 
primo  yesooTO  di  Boma  e  svcoessore  di  san 
Pietro  ;  nella  serie  dei  pontefici  romani  gli  4 
assegnato  il  tompo  che  corre  dal  66  al  78  d. 
C;  era  volterrano  e  scrisse  la  vita  di  san 
Pietro  ;  to.  decapitato  il  23  settembre  78.  — 
Clet«  tsaoerdote  romano,  che  soocedette  a  Lino 
nel  pontificato,  tenendolo  dal  78  al  91;  e  Ite 
martirizsato  sotto  l' imperatore  Domiziano.  — 

43.  Ma  per  eoe  ma  porche  la  Chiesa  fosse 
goida  all'aoqaisto  della  beatitadine  celeste.  — 

44.  Sisto  t  Sisto  I,  yescovo  o  pontefice  romano 
per  died  anni,  secondo  alooni  sino  al  127, 
seoondo  altri  sino  al  182  :  ebbe  il  martirio 
sotto  l'imperatore  Adriano.  Erroneamente  lo 
Soart.  credette  che  si  accennasse  qoi  aSisto  II 
(257-260)  ;  poiché  dò  ò  escluso  dal  fatto  che 
il  poeta  ha  manifestsmente  segoito  l'ordine 
cronologico  della  serie  tradizionale  dei  ponte- 
fici xomanL  —  Pio  t  Pio  I,  pontefice  dal  166 
al  166  (secondo  altre  fonti,  dal  139  al  164); 
era  d'Ajqnlleia  e  mori  anch'  esso  di  martirio. 
—  Calisto  t  Calisto  I,  pontefice  dal  217  al  222, 
ebbe  il  martirio  sotto  Alessandro  Severo.  -~ 
Urbano  X  Urbano  I,  pontefice  dal  222  al  280, 
finito  anch'  egli  per  martirio.  —  46.  sfartar 


•oc  dopo  ona  vita  di  longhi  dolori,  per  le 
peraecozioni  alle  quali  fa  soggetta  la  iato 
chiesa,  morirono  martiri  della  fede  cristiana. 
—  46.  Hom  tm  eoo.  Noi  non  avemmo  mai  l' in- 
tenzione che  r  una  parte  del  popolo  cdstiano 
fòsse  dal  pontefid  tonata  per  prediletta,  e 
l'altra  come  nemica.  È  manifesta  l'allasions 
allo  parole  evangeliche  (Matteo  zxv  81-88)  : 
«Quando  il  figlinol  dell'aomo  sarà  venato 
nella  sua  gloria...  metterà  le  pecore  alla  soa 
destra,  ed  i  oapretti  daUa  ifnistrm  >  ;  ma  e*  è 
anche  un  accenno  alle  parti  poUtidie  dal 
tempo,  dell'una  deUe  quali  i  papi  d  servi- 
vano per  combattere  l' altra,  oome  ben  vide 
rott  scrivendo:  «Dice  san  Pietro  che  non  fb 
la  intenzione  di  lui,  né  dalli  predetti  papi,  fi 
quali  spaiasto  il  sangue  per  la  Qdesa,  che 
alla  mano  diritta,  doè  dalla  parte  della  grazia, 
de'  loro  successori  papi,  sedessero  una  parte 
de'  cristiani  per  via  di  parte  gvalik,  nédaOa 
ainistra,  doè  della  indignazione,  sedesee  l'al- 
tra parte,  doè  i  ^bellini;  né  che  le  chiavi, 
che  sono  segno  dell'apostolica  antoiritade, 
fossero  dipinte  per  via  di  parti  neDi  gonfaloni 
de'  mortali  cristiani  andanti  incontro  aUi  altri 
cristiani  ;  né  che  la  imagine  di  san  Fiero  fesse 
impronta  nella  bolla  de'  privilegi  e  de'  beoe- 
fid  acquistati  per  simonia,  donde  speaeo  d 
vergogna  e  d  adira  >.  —  49.  eàe  ■!  ftr  eco. 
ohe  mi  furono  affidate  come  simbolo  dell'ito- 
stolioa  autorità  •  dalla  scienza  eaoerdotale 
(cfr.  Pùty,  a.  117,  Bmt.  xnv  86).  —  60.  di- 
venisser eoo.  divenissero  segno  di  guerra  delle 
milizie  ponlìflde,  mandate  a  oombattare  con- 
tro gente  cristiana.  ~  62.  b4  eà*  le  eoe.  né 
che  il  sigillo  pontificale  oon  la  mia  figura 
fosse  mal  destinato  a  convalidare  le  bolle  di 
oonoossione  dd  più  nendad  e  slmoniad  pd* 


PARADISO  —  CANTO  XXVH 


801 


54        ond'  io  sovente  arrosso  e  disfavillo. 
In  vesta  di  pastor  lupi  rapaci 
si  veggion  di  qua  su  per  tutti  1  paschi: 
57        0  difesa  di  Dio,  perché  pur  giaci? 
Del  sangue  nostro  caorsini  e  guaschi 
s' apparecchian  di  bere  :  o  buon  principio, 
60       a  che  vii  fine  convien  che  tu  caschi! 
Ma  l'alta  provvidenza,  che  con  Scipio 
difese  a  Roma  la  gloria  del  mondo, 
68    ,    soccorra  tosto,  si  com'io  concipio. 
E  tu,  figliuol,  che  per  lo  mortai  pondo 
ancor  giù  tornerai,  apri  la  bocca, 
66        e  non  asconder  quel  eh'  io  non  ascondo  >. 


Tilegf ,  doè  ohe  1  papi  abusassero  della  loro 
aatorità  per  emettere  atti  lìalsi  e  disonesti. 
—  54.  «BdMo  eco.  del  qnaH  privilegi  ho 
spesso  ragione  di  vergognarmi  e  sdegnarmi 
perchó  frequenti  sono  queste  Calsità  e  simo- 
nie. —  66.-  la  Testo  ecc.  Dal  cioio  noi  ve- 
diamo che  tntti  gli  nffiof  e  benefict  eocleeia- 
stici  sono  oonferiti  a  persone  indegne,  che 
amnmono  le  ftindoni  sacerdotali  (in  vetta  di 
postar)  come  mezzo  a  esercitare  le  loro  robe* 
rie  e  rapine  (lupi  rapaoi)»  Bati  :  «  Ooei  sono 
U  beneflct  a'  cherid,  come  li  paschi  a  le  pe- 
core ohe  ne  vìvono  ;  e  come  li  lupi  nelle  pa- 
store assallsoono  e  divorano  le  pecore,  cosi 
H  prelati  della  chiesa,  che  doverebbono  essere 
come  pastori  a  difendere  dai  lapt,  doè  dai 
dimeni,  li  loro  sadditi  e  li  loro  pcpnli,  sono 
come  lopi  lapad  a  divorare  le  loro  facoltà  et 
a  (kili  minare  eoi  loro  malo  esemplo  ».  —  di 
psst«r  ecc.  Modifica  leggermente  le  parole 
evangeliche  (Matteo  vii  16)  :  «  Or  guardatevi 
dai  fiftld  profeti,  i  qoali  vengono  a  vd  in 
abito  di  pecore;  ma  dentro  son  lopi  rapad»; 
ohe  da  altri  antichi  scrittori  fturono  osate  a 
rimproverare  l'ingordigia  e  la  rapadtà  dei 
prelati.  —  Inpl  rapaci  :  appropria  ai  cattivi 
ecdesiastid  on' espressione  fteqnentemente 
osata  nel  medioevo  per  indicare  i  malvagi 
dttadini  perturbatori  della  quiete  pubblica  e 
del  boono  stato  d'una  repubblica  (cfìr.  i%tr. 
XXV  6).  —  67.  e  difesa  ecc.  o  aiuto  divino, 
peroh6  non  sorgi  contro  questi  profonatori 
della  Chiesa?  È  in  fondo  la  tnae  del  Salm. 
xuY  23  :  €  Risvógliati,  perch6  dormi,  o  Si- 
gnore ?  »  ;  on  eodtamento  doè  alla  divinità 
perché  intervenga  a  ponire  i  malvagi  sacer- 
doti; e  il  senso  del  nome  difesa  si  accosta  a 
qoello  di  soooorso  (cfr.  Pur.  xxii  96),  come  di- 
mostra l'oso  paralldo  fatto  nei  w.  61-62  dei 
vb.  difsndsn  e  soeeorrers.  —  68.  Del  sangoe 
eoo.  Del  patrimonio  ecclesiastico,  (tatto  del 
nostro  martirio,  1  caorsini  di  Giovanni  XXII 
a  i  goasconi  di  Clemente  V,  s' apparecchiano 

Danti 


a  fhre  stoario  eoo.  Dopo  il  pontificato  di  Bo- 
niiazio  Viu,  ftirono  infuni  per  simonie  e  cor- 
ruzioni quelli  di  Clemente  V  (cftr.  Inf.  xix 
83,  Pbr.  XXX  142  e  segg.),  e  di  Giovanni 
XXn  (cfr.  Par,  xvni  130);  l'ano  e  l'altro 
favoreggiatori  dei  loro  compaesani,  1  guaaehi 
e  i  caorsini,  che  ebbero  gli  alti  offld  eode- 
siastìd  e  giorisdizioni  e  benefid  d'ogni  ma- 
niera. ~  69.  0  bnOB  eoo.  o  Chiesa  cristiana, 
iniziata  col  saorifldo  e  con  la  santità  della 
vita,  a  qoale  orrìbile  oorrozione  sd  ta  mai 
pervenota  sotto  gU  indegni  pontefld.  —  61. 
Um  l'alt»  eco.  Ma  la  provvidenza  divina, 
che  per  mesco  di  Sdpione  mantenne  a  Roma 
l'impero  dd  mondo,  verrà  presto  in  aioto 
della  Chiesa  cristiana,  cosi  come  io  intendo. 
Scart:  «  È  sempre  la  stessa  profezia,  espressa 
In  forma  pid  vaga  e  pid  generale  che  nella 
profezia  del  Veltro  e  del  Clnqoecento  died  e 
dnqoe  (Inf.  i,  Purg.  xxxm).  Dante  non  la 
vide  avverata,  benché  ne  aspettasse  tosto  l'a- 
dempimento >.  —  Scipio  :  cfr.  Par,  vi  49-^. 
P.  Cornelio  Sdpione  Africano,  per  obbligare 
Annibale  a  ritornare  a  Cartagine,  impress 
fondata  in  Africa  per  la  franchoxaa  di  Roma 
(Con»,  rv  6),  e  qoivl  prostrò  l'eterno  nemico 
della  soa  patria  (Mon,  n  10),  e  cosi  conservò 
a  Roma  l' impero  oniversale.  —  68.  eomelple  : 
concepisco,  intendo  ;  latinismo  insolito.  —  64. 
E  t«  eoo.  E  to,  flgliool  mio,  ohe  non  essendo 
ancora  sdolto  dal  peso  dd  corpo  devi  ritor- 
nare solla  terra,  parla  apertamente  agli  uo- 
mini e  manifesta  loro  dò  che  io  non  ho  na- 
scosto a  te,  lo  sdegno  dod  end'  io  avvampo 
per  la  corruzione  della  Chiesa  e  degli  ordini 
ecdesiastid.  —  66.  e  boìi  aseenéer  eco.  È 
inutile  avvertire  oho  tutta  qoad  la  Comme- 
dia ò  l'attuazione  di  quosto  consiglio,  perohé, 
essendo  la  corruzione  eodesiastica  uno  de'  più 
forti  impedimenti  alla  rigenerazione  morale 
dell'  umanità  sognata  da  Danto,  era  naturale 
che  il  poeta  alzasse  spesso  e  in  vario  modo 
la  voce  contro  i  pontefld,  prima  cagione  di 

61 


802 


DIVINA  COMMEDIA 


Si  come  di  vapor  gelati  fiocca 
in  giuso  Paer  nostro,  quando  II  corno 
69        della  Capra  del  ciel  col  sol  si  tocca; 
in  6u  yid'io  cosi  Teiere  adorno 
&xaìf  e  fioccar  di  vapor  trionfanti, 
72        che  fatto  avean  con  noi  quivi  soggiorno. 
Lo  viso  mio  seguiva  i  suoi  sembianti, 
e  segui  in  fin  che  il  mezzo,  per  lo  molto, 
75        gli  tolse  il  trapassar  del  più  avantL 
Onde  la  donna,  che  mi  vide  assolto 
dell*  attendere  in  su,  mi  disse  :  €  Adima 
78        il  viso,  e  guarda  come  tu  sei  volto  ». 
Dall'ora  eh* io  avea  guardato  prima, 
io  vidi  mosso  me  per  tutto  l'arco 
81        che  fa  dal  mezzo  al  fine  il  primo  clima; 


oolato  oonroadono.  —  67.  8f  eoa»  eoo.  Come 
l>tmoBfera  deUa  terra  nuuida  in  già  »  floo- 
ohl  la  nere  allorohó  il  wle  appare  nella  co- 
stellazione del  Caprioomo,  ooei  la  sfera  cele- 
ste cosparsa  di  lami  parre  innalxarri  sospin- 
gendo in  alto  i  lami  ch'erano  stati  con  noi 
eoo.  Il  oonoetto  del  poeta  è  evidentissifflo  : 
le  Inoi  o  anime  beate  s*  innaharono  tranqnil- 
lamente  Terso  l' Empireo,  oon  qaella  calma 
regolarità  che  è  propria  della  nere  cadente 
a  larghi  flocchi  salla  terra  {htf,  znr  80);  e  la 
similitudine  non  è  del  tatto  naora  in  Dante, 
che  nella  V,  N.  xzui  168  scrisse  :  e  Leraya 
li  occhi  mi^  bagnati  in  pianti,  E  redea  (che 
parean  pioggia  di  oianna),  Li  angeli  ohe  tor- 
nayan  soso  in  cielo  »,  ore,  come  in  questa 
del  poema,  il  termine  di  paragone  non  d  la 
direxione  del  morimento,  ma  il  modo  di  esso. 
Qualche  difficoltà  trovano  gli  interpreti  nel 
determinare  il  ralore  del  rb.  fioooon;  che  non 
dere  ricercarsi,  isolatamente,  ma  nello  intere 
frasi:  fosr  floioa  di  vapori  in  ffinuo,  Vder$ 
fiooea  di  vapor  tu  su  ecc.,  oro  d  manifesto 
il  senso  di  mandar  gid  a  flocchi  la  nere,  e 
mandar  sa  a  flocchi  gli  splendori.  —  68. 
piando  eoe  nel  solstisio  inremale  da  messo 
dioembre  a  meno  gennaio,  allorchó  il  sole  d 
nel  segno  del  Gaprioomo.  —  70.  U  si... 
Csrtly  e  floeear  eoe  i'stors  oiomo,  dod  Tot- 
taro  cielo  oosparso  sino  allora  delle  lad  dei 
beati  le  sospinsa  in  alto  eoo.  —  71.  rapor 
trlenfaatl  eco.  anime  arrolte  nella  luce 
splendidiBslma,  le  quali  si  erano  trattenuta  sino 
allora  nel  delo  ettaro.  —  78.  Le  riso  eco. 
n  mio  sguardo  tenera  dietro  a  quelli  splen- 
dori e  li  seguitò  flnchó  lo  spazio  intermedio 
per  la  molta  lunghezza  o  distsnza  gi'  impedi 
di  perrenire  pid  oltre,  guardai  dietro  aqaoUe 
luci  sino  a  tanto  che  esse  sempre  innalzandosi 
disparrero  dagli  ooohi  miei.  —  saol  :  dei  r»- 
^ori;  cft.  Inf,  x  18.  —  76.  Onde  la  deana  eoo. 


Beatrice,  rodendo  Dante  ormai  libero  dal 
guardare  in  alto  dietro  a  quei  lumi,  lo  iarita 
a  rolgere  lo  sguardo  alla  torra  ed  ossorrare 
quanto  il  moto  coleste  lo  abbia  aggirato  in 
questo  tempo  eh*  egli  ò  stato  nell'ottaro  dato. 
—  assetto  eco.  libero  dall'  otto  di  guardare  in 
su;  perchó  i  beati  erano  scomparsi  e  Dante 
area  finito  di  guardare  ;  circa  il  part.  omoUd 
cfr.  Air.  zxv  25.  —  77.  àdlaa  ecc.  Abbassa 
gli  ooohi,  e  osserra  quanto  U  set  aggirato 
insieme  oon  questo  dolo.  —  79.  Dal!*  ora 
ecc.  Danto  entrando  nel  delo  delle  stelle  fisse 
si  era  trorato  nel  segno  del  Qemolli,  donde 
ripercorse  oon  lo  sguardo  1  pianeti  sottostantì 
(cfr.  Air.  xxu  13S  e  segg.);  allora  era  nd 
moridiano  di  Qerusalenune  (cfr.  Par.  rxii  1S4X 
mentre  ora  d  trorara  spoetato  di  90  gradi 
rerso  ocddente,  sf  eh'  egli  redo  oltre  lo  stretto 
di  QibUterra  l'Oceano  AtUntioo.  Per  espii- 
mere  questo  pensiero  egli  dice  ohe  dall'oca 
(mezzogiorno),  in  cui  arerà  prima  rirolto  Io 
sguardo  all'aiuola  ék$  tifa  Umio  feroci  (Air. 
zxu  161),  a  questo  momento  (respero)  d  en 
mosso  per  tutta  la  lunghezza  che  il  ptrism 
eliima  fa^  determina  dod,  dal  rnsseto  al  fS/rn, 
dalla  sua  intersecadone  col  meridiano  all'oris- 
zonte  ocddentde  :  che  è  appunto  lunghesa 
di  90  gradi,  quanti  Dante  ne  arerà  percorri 
morendori  coi  GemellL  Su  questi  rerd  o(r. 
Della  Valle,  S&Hooffeogr,  aaironom^^  pp.  120 
e  segg.  e  la  nota  d  Par,  xxn  ISA.  —  81.  cfee 
fa  eoo.  Upri$iioolm%a d  la  prima,  comincian- 
do dall'  Equatore,  delle  sette  zone  abitabili, 
in  cui  i  geografi  antichi  diriderano  a  aostzo 
emisfero,  e  oominoiara  d  grado  12  •  Bezso 
di  latitudine,  terminando  d  20  e  mezzo  :  dd 
punto,  ore  questa  sona  è  trarersata  dal  bm> 
ridiano,  sino  all'orizzonte  occidentale  ore  essa 
termina,  l'arco  ch'essa  determina  ha  ano  sri- 
luppo  di  90  gradi,  la  distania  tra  Gerusalem- 
me e  il  limite  ooddentde  dd  mondo  eoo^ 


PARADISO  -  CANTO  XXVII 


803 


si  cV  io  vedea*  di  là  da  Gade  il  varoo 
folle  d' UUsBe,  e  di  qua  presso  il  lito, 
84       nel  qual  si  fece  Europa  dolce  oaroo: 
e  più  mi  fora  discoperto  il  sito 
di  questa  aiuola;  ma  il  sol  procedea, 
87       sotto  i  miei  piedi,  un  segno  e  più  partito. 
La  mente  innamorata,  che  d(mnea 
con  la  mia  donna  sempre,  di  ridure 
90       ad  essa  gli  occhi  più  che  mai  ardea. 
E  se  natura  od  arte  fé*  pasture 
da  pigliare  occhi,  per  aver  la  mente, 
98       in  carne  umana  o  nelle  sue  pitture, 
tutte  adunate  parrebber  niente 
yèr  lo  piacer  divin  che  mi  rifulse, 
96       quando  mi  volsi  al  suo  viso  ridente. 
E  la  virtù,  che  lo  sguardo  m'indulse, 
del  bel  nido  di  Leda  mi  divelse 


■doto  (ofr.  I\Krg,  n  4).  Ma,  leoondo  U  Moore, 
p.  168,  Danto  §1  mébbe  Tslao  di  quflcto  •- 
spraatono  a  gvba  di  peiifraai  per  aipilmere 
lo  apasio  di  oltre  sei  ore,  e«eiido  il  piimo 
«Usa  q[QeUo  in  eoi  il  giorno  ha  la  dorate 
BUMima  di  tredid  ore.  —  83.  af  eVlo  ecc. 
di  nodo  ohe  io  Tederà  di  là  da  Qade  (Ca- 
dioe,  lai.  Oocto)  U  mare  che  UIÌmo  foUe- 
mento  tonto  di  narigare,  l'Oceano  Atlantico  : 
il  eorao  folk  non  è  lo  stretto  di  Gibiltorra, 
ma  il  A>Ui  «Dio  di  Ulisse  (  J^.  xrm  126),  il 
mare  al  di  là  di  qoello  stretto.  —  88.  e  di 
f  «a  eco.  e  dalla  parto  d'oriento  Q  lido  della 
Fenicia,  donde  Oiore  rapi  Eoropa,  figlia  di 
Agenore  re  del  paese.  Soropa  si  fece  doleé 
cono  significa  che  divenne  dolce,  gradito  pe- 
so alle  spalle  di  Giove,  che  trasformatosi  in 
toro  la  porto  via  in  groppa;  secondo  il  rac- 
conto ohe  Danto  lesse  in  Gridio,  M§L  n  882- 
876,  e  predsamento  secondo  le  parole  del 
T.  868  :  «  Ansa  est  qnoqoe  regia  virgo,  Ne- 
sda  qoem  premeret,  torgo  considero  toori  >. 
—  86.  e  pld  ecc.  e  dal  pnnto  ove  io  era 
avrei  potato  vedere  nna  pid  ampia  plaga 
della  terra,  al  di  là  della  Fenida,  se  fosse 
stete  illomlnate  dal  sole  ;  ma  questo  prooo- 
deva  nel  soo  corso,  diviso  o  lontano  da  me 
un  mgno  9  più^  doè  pili  di  nove  gradi,  e  per 
qneste  distanta  non  illominava  della  sua  tace 
quello  stesso  emisfero  della  terra  eh'  io  po- 
teva abbraodare  con  lo  sgoardo.  —  86.  alno- 
la:  ofir.  Foar,  Tra  161.  —  87.  aa  segno  e 
pli  eco.  Dante  era  nd  Gemelli,  e  il  Solo 
nell'Ariete  :  in  meno  en  adunque  la  costei- 
Iasione  del  Toro.  —  68.  La  Mente  eoe  La 
mia  mente,  ohe  per  impolso  d'amore  vagheg- 
gia sempre  la  mia  donna,  ardeva  più  che  mai 
di  rivolgere  in  Id  lo  sgoardo.  —  donnea  : 


dy.  FtMT,  XS3V  118.  —  89.  ridarei  dal  lat 
nàmefré  è  tratto  regolarmento  ridw  (of^. 
fan  da  fmotn,  riiUr$  da  red^otn  ecc.),  che 
pd  prese  nella  lingoa  la  fi>rma  tidumf.  ~ 
91.  K  se  aatara  eoo.  Ventoxi  469  :  «  Al  sa- 
lir di  Beatrice  da  nna  in  altra  etera,  il  riso 
e  U  volto  di  Id  cresce  in  beUecsa...  D  bdlo, 
eeoondo  il  concetto  dell'Alighieri,  è  l'esca, 
coi  la  ragione  prosento  all'  omana  volontà 
per  fatlb  amare  il  bene.  Se  pertanto,  egli 
dice,  la  natora  e  l'arto  hanno  1*  esca  della 
bellezsa  (qoella,  dd  corpi  ;  qoesta,  delle  pit- 
tore) a  pascer  di  s6  gli  occhi  per  innamorar 
l'anima;  tatto  adonato  ootali  belletro  pare- 
rebbero niento  rimpetto  ai  piaotr  dMnOt  alla 
divina  bdtà,  die  nflilse  nd  vdto  di  Beatrice 
sorridento».  — •  natora  od  artet  cftr.  Awy. 
zxn  49.  —  pastore  t  sono  i  dbi  graditi  agli 
oooelli,  onde  eed  restan  pred  nelle  reti;  e 
metaf<Nrioamento,  ^  allettamenti  della  bel- 
lezsa natorale  o  artistica,  con  la  qoale  d  pi- 
gliano gli  occhi  per  aver  la  mento,  per  con- 
quistar l'anima.  —  94.  tatto  adonato  ecc. 
Di  queste  mossa  d  ricordò  probabilmento  11 
Petrarca  nella  cans.  ix  46  e  segg.  :  <  Quan- 
te dolcezza  unquanco  Fu  in  cor  d' awenta- 
rod  amanti,  accolta  Tutte  in  un  loco,  a  quel 
ch'i'  sento,  è  nulla  >  ecc.  ~  96.  vlr  le  pia- 
cer ecc.  al  confronto  della  divina  bellezza,  che 
mi  riftUse  dagli  occhi  ridenti  di  Boatrioe.  — 
97.  la  virtd  eoo.  quella  virtd,  che  lo  sguardo 
di  Id  mi  concesse,  mi  trasse  dal  segno  dd 
Gemelli  e  mi  spinse  nd  Primo  Mobile  o  dolo 
cristallino.  —  98.  nido  di  Leda  chiama  la 
costellazione  dei  Gemelli,  Castore  e  Polluce, 
che  nacquero  dall'evo  di  Leda  fecondato  da 
Giove.  —  ni  dlvelse:  il  vb.  dioeUere  ha 
qui  il  semplice  senso  di   allontanare,  ri- 


804 


DIVINA  COMMEDIA 


99       e  nel  ciel  yelooiseimo  m'impulse. 
Le  parti  sue  yiyistime  ed  eccelse 
si  uniformi  son  ch'io  non  so  dire 
102       qual  Beatrice  per  loco  mi  scelse. 
Ma  ella,  che  vedeva  il  mio  disire, 
incominciò,  ridendo  tanto  lieta 
105       che  Dio  parea  nel  suo  volto  gioire: 
«  La  natura  del  mondo,  che  quieta 
il  messo,  e  tutto  l'altro  intomo  move, 
108       quinci  cominda  come  da  sua  meta. 
E  questo  cielo  non  ha  altro  dove 
che  la  mente  divina,  in  che  s'accende 
IH        l*amor  che  il  volge  e  la  virtù  ch'ei  piove. 
Luce  ed  amor  d'un  cerchio  lui  comprende, 
si  come  questo  gli  altri,  e  quel  precinto 
114       colui  che  il  cinge  solamente  intende. 
Non  è  suo  moto  per  altro  distinto; 


moTei»i  fleniA  alonn*  Uè*  di  yiolaim  (cfr. 
Jnf.  zzznr  100).  —  99.  •  ■•!  ei«l  eoe.  H 
BASO  delo,  detto  Primo  Mollilo  o  dolo  ori- 
stallino  «  oioè  diafkno  o  toxo  tatto  traspMon* 
to  »  (Obnv.  n  4),  è  quello  ohe  imprime  il  mo- 
vimento a  tntti  i  deli  lottoetanti  (ofir.  la  nota 
al  Ar.  u  118XedèUpiAampioeilpi&Te- 
locedi  tam,' tanto  6h9  la  ium^etooUà  è  fmai 
mwmfrmmbik:  ti  noti  ohe  Dante  accenna 
qui  al  noto  dionu»,  ohe  neceotariamente  deve 
eaaere  tanto  più  lapido  qnanto  maggiore  è  la 
gtandesza  del  cielo  (ofr.  Della  Valle,  op.  dt., 
p.  129  e  aegg.).  — 100.  Le  parti  eoo.  Le  parti 
di  questo  dolo  sono  cod  nniformi  ohe  io  non 
posso  dire  qnale  Beatrioo  soeglieose  per  laogo 
mio,  perohó  io  mi  vi  lérmaad  :  l' uniformità 
toglie  la  nodone  dd  lao^  particolari,  ohe 
non  possono  essere  distinti  e  indicati  se  non 
per  qualche  difforenca  rispetto  ad  altri  luo- 
ghi. —  vItIsbIbm  ei  eeeelset  eod  Danto 
chiama  le  parti  dd  Primo  Mobile,  secondo  il 
Lomb.,  perohi  sono  e  parti  di  un  ddo  vdo- 
cisdmo  ed  dtisdoM»  »  ;  dirimenti  d  può  spto- 
gare  per  parti  luminosissime  e  sublimi.  Non 
ò  da  tacere  ohe  molti  testi  recano  inreoe  vi- 
etsfwiM  td  Modsa,  ohe  vorrebbe  dire  vidne  e 
lontane;  ma  è  ledono  da  dubitarne,  non 
ostante  la  molto  autorità  dei  oodid  ohe  la 
portano,  per  l' insdito  voce  vioiumé,  ~  106. 
che  vedeva  ecc.  che  conoeoeva  il  mio  ded- 
derio,  senza  di'  io  lo  avead  manifeetoto.  De- 
dderava  il  poeto  di  sapere  in  qud  parto  dd 
nono  cido  ei  fosse  entrato.  —  106.  tk»  Dio 
ooc.  che  nel  volto  di  Beatrice  sembrava  rì- 
speoohiato  il  gaudio  divino.  È  una  ddle  tanto 
espresdoni  stupende,  con  le  quali  Danto  si- 
gnifica la  beUezsa  della  sua  donna  immortde, 
trasfondendovi  quad  raoimo  suo  di  amanto 


e  di  cristiano.  »  106.  1m  BStam  eoe  Ia 
nator»  dd  mondo,  la  quale  fa  d  ohe  sia  (èrma 
la  torra  nd  centro  dell*  univeno  e  tatto  le 
dtze  parti  all'intorno  d  muovano,  trae  im- 
pulso da  questo  ctoto,  come  da  suo  prindpto; 
perché  il  Primo  Mobile  €  od  suo  movimento 
ordina  la  ooddiana  zivdudone  di  tutti  ^ 
dtri  »  (OWM.  Ili  16).  Quad  tutto  le  modans 
edidoai  leggono:  Im  natma  dd  wwto  ecc., 
lezione  ood  spiegato  dd  oommentatorì  :  H 
naturd  moto  dell'universo  ohe  laada  quieto 
il  centro  e  r^isoe  intorno  tutto  il  rimanente, 
doè  ohe  è  moto  droolare,  oomtoda  di  qd 
dd  Primo  Mobfle,  oome  da  eoo  ponto  di 
mossa  ;  cfr.  À.  Sorocoa,  Jl  siattma  éanttan, 
dt,  p.  88.  —  109.  queste  dele  eoo.  il  ddo 
cristallino  non  è  oompreso  dtrove  che  aeOa 
mento  divina,  neDa  qude  d  accende  Tamors 
che  aggira  esso  ddo  e  la  virtd  che  ceso  in- 
iluisoe  nd  deli  sottostanti.  »  UL.  l'naer 
eoo.  è  quel  /àrsnifasimo  amore  ohe  ito  do- 
esima  tua  parta  di  §ta&r  tomgmmàa  eo»  do- 
aeuma  parU  dell'  Empireo  {Om»,  ii  4).  —  la 
vlrtd  ecc.  ofr.  Pur,  n  US.  ~  112.  I«ee  té 
amer  eoo.  La  luce  e  l'amore  dd  aok»  ddo 
Empireo  comprendono  il  dolo  cristallino,  a 
quel  modo  ohe  il  dolo  cristallino  contiene  in 
sé  gU  dtri  oidi  sottostonti;  e  l'Empireo  « 
inteso  solamento  da  colui  oho  to  cinge  cioè 
da  Dio.  "  118.  e  qed  prednte  eoo.  U  ddo 
Empireo  (detto  frwinto  nd  eanso  di  oetdiio, 
oftr.  Inf.  XXIV  81)  è  e  11  sovrano  edifloto  dot 
mondo,  nel  quale  tatto  il  mondo  s*  inchiodo, 
e  di  fuori  dd  qude  nulla  è,  ed  esso  non  é 
in  luogo,  ma  formato  fu  sdo  nella  prima 
mento  »  (Coev.  ii  4).  —  U5.  Mea  è  ecc.  11 
moto  dd  cielo  cristallino  non  èmiswatoper 
aìiro  moto,  doè  dd  moto  di  alcun  dtro  doto; 


PARADISO  -  CANTO  XXVII 


805 


117 


120 


123 


126 


129 


ma  gli  altri  Bon  misurati  da  questo, 
si  Gome  dieci  da  mezBO  e  da  quinto. 

E  come  il  tempo  tenga  in  cotal  testo 
le  sue  radici  e  negli  altri  le  fronde, 
ornai  a  te  puot' esser  manifesto. 

0  cupidigia,  che  i  mortali  affondo 
si  sotto  te  che  nessuno  ha  potere 
di  trarre  gli  occhi  fuor  delle  tue  onde! 

Ben  fiorisce  negli  uomini  il  volere; 
ma  la  pioggia  continua  converte 
in  hozsacohioni  le  susine  vere. 

Fede  ed  innocenza  son  r^>erte 
solo  nei  parvoletti  ;  poi  ciascuna 
pria  fugge  che  le  guance  sien  coperte. 


ma  i  moti  degli  altri  lono  mitorati  dal  sao, 
come  il  dieci  è  misoiato  dal  dnqae  e  dal  due, 
cioò  a  tutti  gii  altri  cieli  ogni  impulso  pro- 
cede dal  Primo  Mobile.  —  117.  af  eoMe  ecc. 
perché  il  dnqae  (mezzo  del  dieci)  e  il  due 
(quinto  del  diod)  moltiplicati  insieme  formano 
died.  Venturi  836,  a  proposito  di  questa  si- 
militudine •  delle  altre  due  del  Bxr.  ▼  68, 
XT  66  osserFa  :  e  A  chi  paresse  troppo  umile 
la  forma  poetica  di  queste  tre  ultime  simili- 
tudini, è  da  rispondere  che  come  i  deli  hanno 
per  Dante  una  significazione  filosofica,  cosi 
anche  i  numeri  ;  e  perd^  rammentando  i  nomi 
di  questi  egli  non  teme  di  i^parir  prosaico, 
perché  l' ingegno  suo  Tede  nella  parola  ir- 
raggiata dal  concetto  la  nobiltà  dell'  imagine 
e  la  schiettezza  del  yero  ».  —  118.  eome  11 
tCBpo  ecc.  ormai  a  te  può  essere  manifo- 
sto  come  il  tempo  sbbia  la  sua  prima  orìgine 
in  questo  delo  cristallino,  e  negli  altri  deli 
fieno  solamente  i  moti  apparente  Lomb.  : 
«  Fondando  noi  l' idea  del  tempo  nel  diurno 
moto,  che  rediamo,  do'  pianeti,  e  di  ootal 
moto  essendone  csgione  il  diurno  inyisibile 
moto  del  primo  Mobile,  Tiene  perdo  il  tempo 
ad  avere  in  esso  primo  Mobile,  quasi  pianta 
in  teatOt  in  Taso,  le  radid  sue  nascoste,  la 
nascosta  sua  origine  ;  e  ne'  pianeti  k  fnmàò^ 
il  misuratore  a  noi  risibile  moto  ».  —  testo: 
raso,  e  per  metafora  il  delo  che  comprende 
gU  altri.  —  121.  0  enpldigU  ecc.  Dopo  arer 
csgionato  della  natura  del  nono  delo,  che  ò 
l'estremo  confine  della  natura  creata,  il  li- 
mite dello  spazio,  il  prindpio  del  moto  e  del 
tempo.  Beatrice  è  tratta  naturalmente  a  pen- 
sare alla  cagione  per  cui  gli  uomini  non  sanno 
innalzare  il  loro  spirito  dtre  questo  cielo  sino 
a  Dio,  e  la  trova  nella  cupidigia,  terribile 
passione  che  spegne  il  sentimento  della  giu- 
stizia e  del  bene  {JPwr,  zv  8,  Afo».  i  13,  u 
6),  acceca  gli  animi  (fbr.  xxz  189),  sugge- 
risce loro  insensate  risoluzioni  {Pwr,  t  79), 


e  cosi  impedisce  agli  aomini  l'acquisto  del 
^ielo.  ~  che  1  mortali  eoe.  ohe  sommergi 
nelle  tue  onde  gli  uomini,  si  ohe  nessuno  di 
ossi  pud  liberarsi  da  te  :  la  cupidigia  awinoe 
oosf  gli  animi  ohe  non  possono  levarsi  alla  ooih 
templazione  di  Dio,  essendo  volti  al  consegui- 
mento dei  beni  terroni  (ofr.  B»»  xi  1  e  segg.). 
—  124.  Bea  florlsee  eoo.  Negli  animi  umani 
soige  qualche  volta  il  fiore  della  buona  vo- 
lontà, ma  invece  di  riuscire  a  ùntto  di  buone 
opere  produce  eflbtti  malvagi  per  i  oontinui 
incentivi  al  male.  Abbiamo  qui  una  similitu- 
dine implicita  ohe  acquista  efficacia  dell'ap- 
propriare al  oonoetto  l'espressione  metafori- 
ca fi  che  il  senso  proprio  e  il  figurato  si  con- 
fondono in  una  sentenza  :  oome  l' albero  del 
susino  produce  nella  primavera  il  fiore  ohe 
darebbe  a  suo  tempo  un  frutto  perfetto,  se 
non  fosse  trasformato  dalla  pioggia  fkequonte 
in  bozzacchione;  cosi  raniina  umana  ha  la 
volontà  di  operare  il  bene,  e  questa  volontà 
si  eetrinseoherebbe  in  atti  buoni,  se  i  con-« 
tinui  allettamenti  ai  male  non  facessero  de- 
viare l' uomo  a  opere  di  peccato.  —  126.  In 
bossacehloal  ecc.  Diced  hwasaoMmib  la  tv^ 
Sina  che  si  guasta  nell'allegare,  doè  nel  mo- 
mento in  cui  il  fiore  si  tramuta  in  frutto, 
quando  il  guasto  avviene  per  azione  malefica 
della  pioggia  eooesdva  ;  onde  in  Toscana  di- 
cono i  contadini  che  Quando  piom  la  domò- 
niea  di  Pastvme,  ogni  mtsina  va  in  boxxoù- 
oàÙMM,  oppure  Se  piove  U  giorno  dM*A9em' 
sione,  le  susine  vanno  in  bolgione  (cfr.  B%Ul. 
IX  161).  Lana  :  <  Li  susini  o  prugni  addu- 
cono nella  primavera  molti  fiori,  li  quali  pro- 
durrebbero buono  frutto,  dod  buone  susine  o 
prugne,  se  non  fossero  turbati  da  piova  con- 
tinua, la  quale  piova  converte  le  dette  susine 
in  bozzacohioni  o  caccole,  e  sono  queste  cao- 
oole  piene  di  vermicelli,  li  quali  poscia  non 
che  le  foglie,  ma  tutto  il  midollo  del  brocco 
danniflcano  e  rodono  ».  —  127.  Fe4e  eoo.  X 


806 


DIVINA  COMMEDU 


Tale,  balbusiendo  ancor,  digiuna, 
che  poi  divora,  con  la  lingua  sciolta, 
132        qualunque  cibo  per  qualunque  luna; 
e  tal,  balbuzlendo,  «ma  ed  ascolta 
la  madre  sua,  che,  con  loquela  interay 
135        disila  poi  di  vederla  sepolta* 
Cosi  si  la  la  pelle  bianca,  nera, 
nel  primo  aspetto,  della  bella  figlia 
188       di  quei  eh'  apporta  mane  e  lascia  sera. 
Tu,  perché  non  ti  fitcci  maraviglia, 
pensa  che  in  terra  non  è  chi  governi; 
141        onde  si  svia  l'umana  famiglia. 


pml  fentimentl  n  troTtao  lolniMiito  nell'età 
paorlle;  o  prima  olie  l'uomo  tla  glonto  All'età 
matura  la  fede  e  l' iimooensa  se  ne  ranno, 
lo  abbandonano.  —  180.  Tale  eoo.  Tale  in- 
oomincia  ancor  findollo  a  diginnare  ohe  fktto 
adulto  divora  qoalonqne  oibo  in  qoalanqai^ 
tempo,  tnagrediioe  doè  i  precetti  della  Chien 
•opra  l'oMerransa  del  digiuno  in  determinati 
tempi  dell'  anno.  —  baibnxlendo  ;  essendo 
ancora  nell'  otà  in  coi  imperfetto  è  V  uso  dolla 
parola,  nella  pnerisia.  —  181.  eea  la  llagaa 
eoo.  qnando  ò  nell'età  in  coi  Tuomo  ha  li- 
bera e  piena  la  facoltà  del  parlare.  —  182. 
per  qnaluqne  lana:  Bnti  :  e  qnando  è  qua- 
resima e  qnando  non  è,  d'ogni  tempo  se- 
goendo  l'appetito  de  la  gola  *,  ma  dice  hma, 
imperò  ohe  la  luna  è  segno  nnde  si  coglie  la 
qnarseinia,  aodd  che  il  renenU  santo  sia  lo 
plenilunio  ».  —  188.  e  tal  eoe.  e  tale  in 
quella  prima  età  ama  ed  obbedisoe  la  madre 
sua,  il  quale  poi  fatto  pi6  grande  non  Tede 
l'ora  oh'  ella  si  muoia,  per  poter  dissipare  la 
dote  di  lei  0  per  non  sentirne  pid  le  ripren- 
sioni. ~  184.  eea  leqaela  Intera:  è  lo  stesso 
che  00»  ia  tingm  miotta  del  ▼.  181.  —  186. 
Cosi  si  tk  ecc.  È  questa  una  terzina  di  dif- 
ficile interpretadone.  Secondo  la  gran  ma^ 
gioranza  dei  commentatori,  la  bella  figlia  di 
qtiei  eh*apporta  man*  •  loBoia  Mera  sarebbe  la 
natura  umana  figliuola  del  sole,  padr$  d'ogni 
mortai  vita  (Par.  xxii  116);  accettando  que> 
sto  punto,  gli  stessi  oommentatori  si  dividono 
in  due  gruppi  ;  i  pid  intendono  :  La  natura 
umana  para  nei  suo  nascere  (p$lU  trianea)  di- 
Tonta  turpe  (nera)  per  il  peccato;  sltrì  in- 
reoe  riconoscono  In  questi  Tersi  una  compa- 
razione spiegando:  L'uomo  è  fgicile  a  tra- 
smutare in  male  le  rlrtuoee  inclinazioni,  a 
quel  modo  ohe  la  sembianza  della  natura 
umana,  ohe  nel  primo  suo  aspetto  è  bianca, 
diviene  poi  scura  i  rale  a  dire,  come  la  polle 
bianca  del  Cuìciullo  annerisce  noli'  età  vi- 
rile, cosi  le  buone  tendenze  naturali  si  vol- 
gono ad  Atti  malvagi.  Diveise  affatto  da  que- 
ste sono  altre  due  in  te  rp  rotazioni  di  antichi 
oommentatori,   rinnovate  da  interpreti  mo- 


derni. L' una  è  del  Butl  e  hi  ragtoiala  lar- 
gamente dall'Ant,  il  quale  spiega  :  OosC  la 
superficie  (pelU)  della  luna,  ohe  oi  si  mostra 
bianca  generalmente,  ed  in  partipolar  modo 
allorché  nel  suo  periodico  giro  è  più  remota 
dal  sole  per  la  opposizione  con  esso,  si  & 
nera  nel  primo  aspetto  cioè  nel  novilunio  o 
nella  sua  congiunzione,  quando  appunto  per 
la  sua  maggiore  vicinanza  alla  sorgente  dolla 
luce,  ne  attinge  in  maggior  copia,  e  quindi 
pid  largamente  sarebbe  in  grado  di  fante  di- 
spensa. L'altra  è  del  Lana,  e  fu  accolta  e 
difesa  dallo  Soart,  il  quale  scrive  :  e  PkU»  ha 
qui  il  significato  di  sembianza,  apparenza,  e 
simili  ;  il  primo  aspetto  è  il  divino,  1*  ocehio 
di  Dio;  la  bella  figlia  è  la  Chiesa,  cAr.  P^aim. 
zLiv  U,  Oifi^.  TU  l'eoe  passi  che  s'inten- 
devano della  Chiesa;  qìui ek'apporla  wtan»  e 
laooia  oera  è  il  sole  spirituale  ed  intellettuale. 
Dio,  cui  Danto  chiama  ripetute  volte  SD(f». 
Secondo  questa  interpretazione,  che  è  la  pid 
logica,  la  terzina  significherebbe  :  In  tal  modo 
la  bianca  apparenza  della  Chiesa  si  Ik  nem 
nell'aspetto  di  Dio,  doè  la  Chiesa  che  fVi  pura 
e  santa  nelle  sue  origini  è  ora  divenuta  turpe 
e  malvagia  innanzi  agli  occhi  divini  (cfr.  i 
w.  28-24).  Per  tuU'altra  via  si  misero  altri 
interpreti  moderni  :  il  Tornea,  prendendo  ta 
bella  figlia  per  l' Aurora,  spiega:  e  ooe£  la 
pelle  bianca  degli  uomini  diventa  nera  là 
dove  primamente  apparisce  l'Aurora  »;  il  Fi- 
lomnsl  Quelfi  (cfr.  BulL  I  28)  ritiene  che  fa 
bella  figlia  sia  Ciroe  {ootìo  fitìa  in  Virgilio, 
A»,  vu  11  e  Ovidio,  Md,  nv  846)  e  che 
queeta  sia  da  riconoscere  nella  femmina  haJka 
del  Pwrg,  ut  7  e  segg.,  e  spiega:  «  fino  a 
tal  punto  la  sembianza,  l'apparenza  di  Ciroe, 
turpe,  deibrme  al  primo  apparire,  si  Ik  pia- 
cevtde,  dilettoea  »,  eco.  ~  L39.  Ta  eco.  Affin- 
ché poi  tu  non  ri  meravigli  di  questa  general 
oonruzione  dell'  umanità,  pensa  che  snll*  terra 
non  è  ohi  governi  ;  dappoiché  la  sede  pontifi- 
cia, per  essere  indegnamente  oooupata,  si  p«d 
considerare  vacante,  e  la  sede  Imperiale  è  va- 
cante perché  r  imperatore  non  pensa  né  a  Be- 
rna né  aU*  Italia  :  cfr.  Purg.  vi  76.  —  141«  •■• 


PARADISO  -  CANTO  XTVTL 


807 


144 


148 


Ma  prima  che  gennaio  tutto  si  sverni, 
per  la  oentesma  eh' è  là  giù.  negletta, 
ruggiran  si  questi  cerchi  superni 

che  la  fortuna,  che  tanto  s'aspetta, 
le  poppe  volgerà  u'  son  le  prore, 
■i  che  la  classe  correrà  diretta; 

e  vero  fratto  verrà  dopo  il  fiore  >. 


et  eoe  per  U  quale  mancanza  delle  dae  po- 
deetà,  capaci  di  frenare  la  capidigia  del  mor- 
tali (ofr.lVy.  xn  106,  CbfMT.  ir  12),  T  uma- 
nità è  flionriata  tanto  dal  retto  sentiero.  — 
142.  Utk  prtoui  eoo.  Ha  non  avranno  a  passare 
migHiiia  di  anni  che  qnesti  oiell  mggiranno 
per  segno  della  Tenuta  del  tanto  Lnyocato  rifor- 
matore dell'amanita.  —  prima  ehe  genBale 
eco.  Dante  mol  dire  cho  fra  poco  tempo  Terrà 
eoe.,  e  si  serre  di  on'  espressione  figurata  : 
prima  che  il  mese  di  gennaio  cessi  di  far  parte 
dell'  inToroo,  per  raccumularsi  di  queir  an- 
nua frazione  di  tempo  che  in  terra  è  trascu- 
rata, prima  Insomnm  che  passino  le  migliala 
di  anni  dopo  le  quali  l'equinozio  di  prima- 
rera  cadrà  nel  gennaio  e  questo  sarà  dire- 
nuto  un  mese  primayerile  ecc.  H  fatto  astro- 
nomico, cui  Dante  si  riporta,  è  cosi  dichia- 
rato dall' Ant  :  e  La  riforma  del  calendario, 
fiitu  da  Giulio  Cesare,  arerà  per  base  che 
la  durata  dell'anno  tropico  fosse  di  S66  giorni 
e  6  ore  :  quindi  costituì  l' anno  comune  di 
quella  parte  completa  di  giorni,  e  ogni  quat- 
tro anni  roUe  raccolta  la  parte  frazionaria 
per  formare  un  giorno  intero;  che,  aggiunto 
ai  d66,  compose  l'anno  bisestile  di  giorni  866. 
Al  tempi  però  dei  poeta,  e  anche  prima,  si 
erano  accorti  gli  astronomi  che  la  rivoluzione 
tropica  del  sole  era  stata  sopposta  maggiore 
del  giusto  da  quell'insigne  liformatore  per 
circa  12  minuti,  ohe  fanno  quasi  la  centesima 
parte  di  un  giorno;  il  perohó  ogni  secolo  re- 
nirm  ad  anticiparsi  di  quasi  un  giorno  l'equi- 
nozio reale  rispetto  al  civile  o  legale.  DI  qui 
risaltava  ohe  mentre  si  attendeva  l'equinozio 
di  primavera  al  21  di  marzo,  Il  passaggio  del 
Sole  per  l' Equatore  aveva  già  anticipato,  sic- 
ehó  nel  1800  il  dissesto  era  di  circa  otto 


glomL  Era  evidente  pertanto  òhe,  oontlnaan* 
do  in  quel  rapposto  senta  introdurre  la  op- 
portana  oorresione,  siccome  poi  fd  fatto  noi 
1682  sotto  il  pontefice  Gregorio  XITT,  col- 
l'andare  del  tempo  l'equinozio  effettivo  sa- 
rebbe passato  dal  mano  al  febbraio,  e  da  que- 
sto a  gennaio;  U  quale,  por  conseguenza,  in- 
vece di  essere  un  mese  invernale,  sarebbe 
passato  a  essere  uno  di  primavera,  e  poi  an- 
che di  estate  ».  Ora  si  pud  con  molta  utilità 
consultare  su  questa  materia  e  per  questi 
versi  il  libro  di  D.  Marzi,  La  queitiom  détta 
riforma  del  Calendario,  Firenze  1896  :  l' opi- 
nione che  nel  calendario  fosse  ógni  cento 
anni  l' orrore  di  un  giorno  fu  sostenuta  da 
Giovanni  Campano,  fiorito  al  tempi  di  Ur- 
bano rV  (1261-64).  -  143.  eh*k  là  gld  ecc. 
della  quale  gli  uomini  non  tengono  conto  nel 
computare  11  tempo  :  cfr.  F.  Angellttl,  Bull. 
Vili  213.  —  144.  raggirai  ecc.  questi  dell 
ruggiranno  si  che  l'avvento  fortunato  di  un 
riformatore  volgerà  l'umanità  verso  altro  fine, 
camblerà  direzione  al  corso  dell'umanità. 
L' Imaglne  del  ruggito  a  significare  le  grandi 
commozioni  del  regno  coleste  è  del  tutto  bi- 
blica, cfr.  leremla  zxv  SO,  Osea  xi  10,  loel, 
ni  17  ecc.,  e  come  frase  del  linguaggio  pro- 
fetico è  bene  appropriata  a  questo  luogo,  ove 
Dante  insiste  sulla  venuta  non  remota  del 
veltro  liberatore.  —  146.  cke  taito  ecc.  cfr. 
Purg,  xz  16.  —  146.  le  poppe  ecc.  farà  cam- 
biare direzione  alle  navi,  dd  sono  gli  no- 
mini. Altri  testi  portano  in  tu  le  prore,  le- 
zione accolta  dal  Wltte.  —  147.  if  eke  eoo. 
di  modo  che  l'umanità  procederà  per  la  via 
del  bene,  e  ai  buoni  pensieri  seguiteranno  le 
buone  opere.  —  elaise:  flotta  {elastie). 


CANTO  xxvin 


Dante  contempla  nel  cielo  nn  ponto  laminosOi  figura  della  divinità,  In- 
torno al  quale  si  aggirano  nove  cori  angelici  ;  e  Beatrice  gli  dimostra  la 
concordanxa  del  sistema  celeste  con  Perdine  di  questi  cori,  gli  espone  par- 
titaroente  la  qualità  e  1*  officio  di  ciascuno,  e  gli  dice  in  qnal  modo  la  co- 
gnizione dello  stato  degli  angeli  pervenisse  già  in  terra  per  le  dottrine  di 
Dionigi  Areopagita  [U  aprile,  ore  pomeridiane]. 


808 


DIVINA  COMMEDIA 


Poscia  che  contro  alla  vita  presente 
dei  miseri  mortali  aperse  il  vero 

8  quella  ohe  imparadisa  la  mia  mente; 
come  in  lo  specchio  fiamma  di  doppiero 

vede  colui  che  se  n'alluma  retro, 
6        prima  che  l*ahbia  in  vista  o  in  pensiero, 
e  so  rivolge,  per  veder  se  il  vetro 
gli  dice  il  vero,  e  vede  ch'ei  s'accorda 

9  con  esso,  come  nota  con  suo  metro; 
cosi  la  mia  memoria^  si  ricorda 

ch'io  feci,  riguardando  nei  begli  occhi, 
12        onde  a  pigliarmi  fece  Amor  la  corda: 
e  com'io  mi  rivolsi,  e  furon  tócchi 


XXVm  1.  PoseU  eco.  Dopo  ohe  Bea- 
trice, parlando  contro  alla  oorrozione  presente 
dell'  umanità  (otr.  Ftar,  xxvn  121  e  wgg.), 
mi  ebbe  chiarito  nella  mente  il  Tero.  —  2. 
miseri  mortali  t  gli  nomini,  cosi  detti  an- 
che da  Virgilio,  Georg,  m  66,  fn.  a  182.  — 
3.  quella  eoo.  colei  ohe  innalsa  l'anima  mìa 
alla  contemplazione  del  paradiso;  questo  mi 
sembra  essere  il  valore  del  vb.  imparadisare^ 
foggiato  da  Dante,  e  non  dare  le  gioie  del 
paradiso,  come  spiegano  i  pi6.  —  4.  eeme 
la  lo  specchio  ecc.  Dante  rigoardando  ne- 
gli occhi  di  Beatrice  vi  scorge  specchiato  un 
ponto  laminosissimo,  onde  rivolgendosi  al 
cielo  vede  direttamente  ciò  che  prima  area 
visto  negli  occhi  della  sna  donna  :  a  signifi- 
care queste  diverse  azioni  opportonissima  si 
presentò  a  Dante  la  slmilitadine  di  chi  tro- 
vandosi innanzi  allo  specchio  vi  scorge  la 
fiamma  di  nn  doppiero  non  prima  avvertita 
nò  imaginata,  e  voltandosi  per  vedere  se  lo 
specchio  rende  il  vero  trova  che  s*  accorda 
con  esso  alla  porfezione.  —  doppiere  :  tor- 
cia di  cera  assai  usata  nel  medioevo,  massi- 
me sui  candelabri,  per  illaminare  le  sale,  in 
tempo  di  danzò  o  altra  festa  (lat.  duplerius). 

—  6.  ohe  se  u*  ali  ama  ecc.  che  resta  illu- 
minato di  dietro,  che  l'ha  dietro  a  s6  acceso. 

—  8.  e  vede  ecc.  e  vede  che  il  vero  s' ac- 
corda oon  eeao  vetro,  con  l' imaglne  presen- 
tata dallo  sj^eochio,  come  il  canto  s' accorda 
con  la  misura  del  tempo  ;  ò  tra  la  realtà  e 
r  imagine  quella  perfetta  rispondenza  ohe  ò 
tra  la  musica  e  le  parole  di  chi  canta.  Que- 
sta similitudine  aggionta  per  compiere  con 
pi&  precisione  il  discprso,  come  Dante  saol 
fare,  è  nella  sua  brevità  efflcaoLseima,  per- 
ché imprime  nella  mente  del  lettore  l' idea 
di  una  corrispondenza  o  conformità  piena  e 
compiuta,  senza  la  minima  differenza;  quasi 
a  significare  ohe  negli  occhi  di  Beatrioe  il 
lame  divino  si  rifletteva  in  tutta  la  soa  pu- 
rezza ed  intensità.  —  9.  iota:  ò  il  canto,  le 
parole  cantate  (cfr.  Inf,  xvi  127,  Purg.  xxxu 


88),  metro  V  armonia  di  cui  il  canto  è  rive- 
stito, la  musica  secondo  cui  d  cantato.  —  IG. 
eoif  ecc.  cosi  mi  ricordo  di  aver  fatto  io  ri- 
guardando negli  occhi  di  Beatrice,  cioò  scor- 
gendovi on  lume  vivissimo  mi  voltai  dalla 
parte  del  dolo  end'  esso  rìsplendeva  per  ve- 
der se  r  imagine  rispondeva  al  vero.  —  12. 
cade  eco.  dei  quali  Amore  si  servi  per  av- 
vìncermi ecc.  —  13.  e  eoni*l«  eoo.  come  io 
mi  fui  rivolto  al  delo  e  i  miei  occhi  furono 
colpiti  da  ciò  ohe  vi  si  scorge  ogni  volta  che 
vi  si  fissi  bene  lo  sguardo,  vidi  eoe.  In  que- 
sta terzina  Dante  non  vuol  dir  altro  se  non 
ohe  dal  contemplare  gli  occhi  di  Beatrice  ai 
passò  a  riguardare  al  cielo  e  distingue  l'a- 
zione in  due  momenti,  quello  del  rìvolgeisi 
al  cielo  {mi  rivolsi)  che  è  atto  non  pur  de- 
gli occhi,  sf  anche  della  persona,  e  quello 
del  vedere  nel  cielo  {funm  tóoohi  eco.),  con 
perfetta  rispondenza  al  modo  tenuto  nella 
prima  parte  della  similitudine  (si  npoise.»  i 
vede):  se  non  che  qui  ò  alquanto  oecua  l'e- 
spressione etd  che  pan  eoe  ciò  che  appars 
nel  cielo  ivohimSf  cfr.  Bv,  xxm  112)  ogni 
qualvolta  s'affissi  bene  lo  sguardo  nel  giro 
di  esso  cielo.  Che  cosa  vi  appare?  La  mani- 
festazione della  gloria  divina,  dicono  i  cosi- 
montatori  moderni  dal  Lomb.  allo  ScarU,  ri- 
cordando il  Salm.  XIX  1:  «  I  deli  raccontano 
la  gloria  di  Dio  »  ecc.  Gli  antichi  commen- 
tatori sembra  che  intendessero  diversamente; 
il  Lana,  rlferendod  certo  al  r.  22  e  segg., 
spiega  :  e  la  spedo  visibile  delle  droolaziom 
delli  angeli  d  rifece  nelle  papille  d  tosto 
come  drizzò  gli  occhi  ad  essa»,  doè  Dante 
volgendod  d  delo  vide  anzitutto  i  cori  an- 
gelid:  il  Buti,  molto  me^,  chiosa t  «da 
dò  ohe  d  vede  in  quella  ddtà,  ohe  è  im- 
mensa, quando  nel  tvo  giaro^  doà  del  detto 
lume,  ben  d  riguardi,  doè  quando  li  mid 
occhi  abbono  veduto  dò  die  d  può  veder» 
de  la  ddtà,  ohe  d  lume  infinito  e  bene  senza 
misura,  non  vìddi  se  non  uno  punto,  perché 
non  fui  capace  di  più,  nò  nessuno  intelletto 


PARADISO  -  CANTO  XXVIU 


809 


li  miei  da  ciò  che  pare  in  quel  Tolume, 
15        quandunque  nel  suo  giro  ben  s'adocchi, 
un  punto  vidi  che  raggiava  lume 
acuto  si  che  il  viso,  ch'egli  affoca, 
18        chiuder  conviensi,  per  lo  forte  acume; 
e  quale  stella  par  quinci  più  poca, 
parrebbe  luna  locata  con  esso, 
21        come  stella  con  stella  si  colloca. 
Forse  cotanto,  quanto  pare  appresso 
alo  cinger  la  luce  ohe  il  dipigne, 
24        quando  il  vapor,  che  il  porta,  più  è  spesso, 
distante  in  tomo  al  punto  un  cerchio  d'igne 
si  girava  si  ratto  ch'avria  vinto 
27        quel  moto  che  più  tosto  il  mondo  cigne; 
e  questo  era  d'un  altro  circuncinto. 


pad  essere  capace  le  non  dì  pochissima  parte». 

—  15.  qvanduqaé:  qualunque  volta,  ogni 
Tolta  che  :  ofir.  Purg,  a  121.  —  le.  u  pmto 
eco.  Questo  ponto  laminoso,  che  si  mostra  a 
Dante,  è  Dio,  che  V  uomo  comincia  a  con- 
templare in  Agora  di  on  ponto  qoasi  per  di- 
sporsi a  ona  pid  profonda  e  spiritoale  con- 
templazione deUa  divinità  (ofr.  Bv.  xxzni  76 
e  segg.).  Per  qoal  ragione  il  poeta  abbia 
Imaginato  che  In  qoesta  prima  apparizione 
Dio  gli  si  manifesti  come  on  ponto  lominoso, 
non  è  determinato  oon  sicoieiza  dagli  inter- 
preti: tra  gli  antichi  prevale  la  sposizione 
del  Lana,  che  il  ponto  signiflchi  essere  dif- 
ficile e  profonda  la  cognizione  di  Dio  ;  fta  i 
moderni,  qoella  del  Biag.,  che  11  ponto  e- 
sprima  l'idea  deU> individoaUtà  divina.  — 
eke  nnflMjm  eoo.  il  qoale  ponto  mandava 
raggi  lominosi  cosi  intensi  che  gli  occhi  da 
esso  colpiti  debbono  necessariamente  chlo- 
dersi  per  tanta  intensità.  —  17.  vlset  cA*. 
Inf.  rv  11.  —  affoeat  11  vb.  affòoany  aUon- 
tanandosl  qol  dalle  sae  pid  abitoali  signifi- 
cazioni (ofr.  Inf,  VOI  74,  xzv  24,  Pmg,  vm 
26),  prende  il  senso  di  peroootore,  iUominare 
di  looe  fiammeggiante.  —  18.  aeames  come 
meuto  vale  intenso,  oasi  ooinns,  parlandosi 
della  loce  e  anche  di  on  sentimento  (cfr. 
Par.  I  84,  zzzu  75,  zxxm  76),  significa  in- 
tensità. —  19.  e  «sale  ecc.  Ventori  525  : 
«  Ad  esprimer  V  infinita  semplicità,  onità  e 
indivisibilità  del  ponto  di  looe  eh'  ò  Dio,  il 
poeta  con  immagine  totta  soa  dipinge  cosi 
minoto  qoel  ponto,  che  la  stella,  la  qoale 
pid  d' ogni  altra  apparisce  piccola,  parrebbe 
grande  qoal  Iona,  se  si  collocasse  vidna  a 
qoello,  come  in  delo  ò  vicina  stella  a  stella  ». 

—  f  aiBel  :  di  qui,  di  sovra  la  terra.  —  poca: 
piccola,  di  poca  estensione;  ofi:.  Inf.  zx  115. 

—  20.  locata  eoo.  se  fosse  posta  accanto  ad 
asso  ponto,  come  ogni  stella  ò  vicina  a  on' al- 


tra. —  22.  Forse  cotanto  eoo.  Intorno  al 
ponto  lominoso  si  aggirava  rapidissimamente 
on  cerchio  fiammeggiante,  che  appariva  poco 
lontano  da  quel  ponto,  press*  a  poco  come 
r  alone  cinge  da  vicino  il  sole  o  la  Iona  al- 
lorché l'aria  In  coi  si  forma  è  pid  pregna  di 
vapori  :  questo  cerchio  era  circondato  da  on 
altro,  e  qoeeto  da  on  terzo,  e  cosi  via  sino 
ai  nomerò  di  nove,  ohe  tanti  sono  i  cori  an- 
gelici  aggirantiai  intomo  alla  divinità.  La 
dmilitodine  dell'alone  (cfìr.  Purg.  xxix  76  e 
specialmente  Par.  z  67 -6d,  ove  il  fenomeno 
è  descritto),  non  noova  in  Dante,  è  qoi  at- 
teggiata on  po'  singolarmente,  per  la  neces- 
sità in  coi  era  il  poeta  non  solo  di  desoil- 
vore  i  oeroht  giranti  intorno  a  Dio,  ma  di 
determinare  la  distanza  intermedia;  e  dalla 
singolarità  nascendo  qoalche  dobbiezza,  fu- 
rono messe  le  mani  sol  testo  di  qoesta  ter- 
zina, che  nei  codici  appare  alterata  nelle  pid 
strane  maniere.  Segoendo  la  lezione  pid  oo- 
mone,  si  spiegherà  la  lettera  cosi:  Intorno 
al  ponto  si  girava  on  cerchio  di  fbooo  di- 
stante forse  cotanto  da  esso  ponto,  qoanto 
l'alone  appare  circondare  da  vicino  ta  htet 
eh»  il  dipìffn»t  o  U  sole  o  la  Iona  ond'el  trae 
la  soa  loce,  qoando  i  vapori  nei  qoali  si 
forma  sono  pid  densL  È  voto  ad  ogni  modo 
ciò  che  nota  il  Ventori  89,  che  e  in  questa 
similitodine  l'amore  della  concisione  e  l'ag- 
groppamento  delle  ideo  non  giovano  alla  chia- 
rezza ».  —  28.  alo  :  alone  (lat  kakm).  —  25. 
■■  cerchio  ecc.  on  cerchio  ignito,  fiammeg- 
giante, si  aggirava  coti  rapidamente  che  a- 
vrebbe  superato  il  moto  del  cielo  cristallino, 
che  tà  volge  intomo  al  mondo  con  velocità 
maggiore  di  tatti  gU  altri  deli.  —  27.  ohe 
pl4  tosto  ecc.  cfr.  Par.  zzvu  99.  —  28.  e 
onesto  ecc.  e  questo  primo  cerohio  ora  cir- 
condato 0  compreso  da  on  secondo,  o  il  so- 
oondo  da  on  terzo  eco.  Q  primo  cerchio  > 


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DIVINA  COMMEDIA 


e  quel  dal  terzo,  e  il  terzo  poi  dal  quarto, 
80        dal  quinto  il  quarto,  e  poi  dal  sesto  il  quinto: 
sopra  seguiva  il  settimo  si  sparto 
già  di  larghezza  che  il  messo  di  Giuno 
83       intero  a  contenerlo  sarebbe  arto: 
cosi  l'ottavo  e  il  nono;  e  ciascheduno 
più  tardo  si  movea,  secondo  ch'era 
86       in  numero  distante  più  dall'  uno, 
E  quello  avea  la  fiamma  più  sincera, 
cui  men  distava  la  favilla  pura; 
39        credo,  però  che  più  di  lei  s'invera. 
La  donna  mia,  che  mi  vedeva  in  cura 
forte  sospeso,  disse:  «Da  quel  punto 
42       depende  il  cielo  e  tutta  la  natura. 

Mira  quel  cerchio  che  più  gli  ò  congiunto, 
e  sappi  che  il  suo  movere  ò  si  tosto 
45        per  l'affocato  amore  ond'egli  ò  punto  >. 
Ed  io  a  lei  :  <  Se  il  mondo  fosse  posto 
con  l'ordine,  ch'io  veggio  in  quelle  rote, 
48       sazio  m'avrebbe  ciò  che  m'ò  proposto; 
ma  nel  mondo  sensibile  si  puote 


quello  dei  Serafini,  il  seoondo  del  Cherabini, 
il  tono  dei  Troni,  U  qanrto  delle  Dominar 
doni,  il  quinto  deUa  Virtd,  U  sesto  delle  Po- 
deet^  —  81.  lopra  eoo.  fiiori,  intomo  al  se- 
•to,  si  aggirava  il  settiiiio  cerchio,  qoello  dei 
Principati,  ormai  ooei  ampio  cho  l'arcoba- 
leno oomplnto  in  on  circolo  intero  sarebbe 
stretto  a  contenerlo.  »  32.  U  netM  eoo.  il 
ffiMso  di  Giunone  ò  Iride  o  l'arcobaleno  (otr. 
Pur,  ni  12.  —  88.  Utere  eco.  non  già  come 
ci  appare  sulla  terra  dasciiTendo  pur  un  arco, 
ma  se  anche  si  srolgeese  in  un  circolo  com- 
piuto ecc.  —  arto  :  agg.  ohe  in  Dante  ri- 
corre pi&  Tolte  (Inf,  XIX  42,  Purg.  zxru  183) 
nel  senso  del  lat.  tanUu^  stretto,  ma  sempre 
in  rima.  —  84.  cosi  I*  ettaro  eco.  •  cosi 
sempre  più  si  estenderano  in  ampiena  il 
cerchio  ottavo,  quello  degli  Arcangeli,  e  II 
nono,  quello  degli  Angeli.  —  •  elasefaedoBo 
ecc.  e  ciascheduno  dei  nove  oeroht  si  aggi^ 
rara  con  Telocità  decrescente,  seoondo  cho 
era  pi6  lontano  dal  punto  luminoso,  o,  per 
stare  aUa  lettera  del  testo,  seoondo  che  por- 
tava un  numero  d'ordine  pÌ6  alto  ddl'uno. 
~  87.  B  qaelle  eoe  E  pld  fiammeggiava  quel 
cerchio  che  più  era  vicino  al  punto  oentiìde, 
cioò  la  luce  andava  decrescendo  via  via  che 
l  cerchi  si  trovavano  piA  lontani  da  Dio.  — 
89.  eredo  ecc.  credo,  perchó  il  oerchio  pi6 
prossimo  a  Dio  pi6  s' itwmu  di  M,  piA  da 
vicino  conosce  e  vede  la  verità  dell'essensa 
divina.  —  40.  La  donna  ecc.  Beatrice,  ohe 
mi  vedeva  desideroso  di  conoscere  che  ocea 


fossero  11  punto  luminoso  e  1  nove  oerdd 
aggirantisi  intorno  ad  esso,  disse  eoo.  PIA 
che  nel  dubbio,  come  spiegano  alcuni.  Dante 
era  in  euro,  in  desiderio  di  sapere,  o  però 
assai  sospeeo  perché  l' intensità  del  desideiio 
lo  teneva  agitato.  ~  41.  Da  «piel  pente  eoo. 
Da  quel  punto  dipende  il  cielo  e  la  natura, 
cioè  la  costituzione  dei  cieli  e  tutta  la  loro 
azione  sulle  cose  della  terra.  Dante  traduce 
quasi  alla  lettera  le  parole  di  Aristotele,  MU- 
taf,t  su  7:  e  da  tale  principio  dipende  11 
cielo  e  la  natura»,  applicandole  al  punto 
luminoeo  apparsogli  nel  cielo  cristallino,  e 
cosi  determinando  esso  punto  come  una  mar 
nifestazione  di  Dio.  —  48.  HIra  eco.  Oeeerra 
il  primo  cerchio,  quello  che  s'aggira  plA  da 
vidno  ai  punto  luminoeo,  e  sappi  ehe  eaeo 
si  muove  tanto  rapidamente  per  1*  intontis- 
Simo  amoro  end' ha  l'impulso.  »  46.  Sé  !• 
a  lei  ecc.  Alle  parole  di  Beatrice  Dante  è 
preso  da  un  dubbio  :  nel  mondo  sensibile  In 
un  sistema  di  sfere  concentriche  ohe  al  mao- 
vano  insieme,  tanto  pi6  rapido  è  U  moto 
d' ogni  sfera  quanto  più  dasouna  è  gsanda, 
di  modo  che  la  piA  estema  è  la  plA  velooe 
di  tutte;  invece  nel  mondo  divino  appaia  11 
contrario,  mentre  dovrebbe  ssseiol  conformità 
di  ordinamento,  se  il  mondo  sensiUle  è  Imji- 
glne  del  divino.  —  8e  il  mende  eco.  8e  ìm 
sfere  del  mondo  fossero  ordinate  come  io 
vedo  In  quei  nove  cerchi  girantisi  Intorno 
al  punto  luminoso,  ciò  ohe  tu  m'  hai  detto 
mi  avrebbe  pienamente  sodisfatto.  ~  49.  mtm 


PARADISO  -  CANTO  XXVm 


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veder  le  volte  tanto  più  divine, 
quant'  elle  son  dal  centro  più  remote  : 

onde,  se  il  mio  disio  dèe  aver  fine 
in  questo  miro  ed  angelico  tempio, 
che  solo  amore  e  luce  ha  per  confine, 

udir  convienimi  ancor  perché  l'esemplo 
e  l'esemplare  non  vanno  d*un  modo; 
ohe  io  per  me  indamo  ciò  contemplo  >. 

«  Se  li  tuoi  diti  non  sono  a  tal  nodo 
sufficienti,  non  ò  maraviglia, 
tanto,  per  non  tentare,  ò  &tto  sodo  ». 

Cosi  la  donna  mia;  poi  disse:  «Piglia 
quel  eh*  io  ti  dicerò,  se  vuoi  saziarti, 
ed  intomo  da  esso  t'assottiglia. 

Li  cerchi  corporai  sono  ampi  ed  arti, 
secondo  il  più  e  il  men  della  virtute, 
che  si  distende  per  tutte  lor  parti. 

Maggior  bontà  vuol  fìur  maggior  salute; 
maggior  salute  maggior  corpo  cape, 
s'egli  ha  le  pai*ti  egualmente  compiute. 


■ci  eoo.  nut  noi  mondo  sensibile  si  possono 
redeio  le  sfere  celesti  tanto  pid  yelooi  quanto 
pi6  sono  lontane  dalla  teira,  che  è  il  loro 
centro.  —  60.  Tolte  :  deli,  oAr.  Pwrg.  xxmi 
lOA.  —  divine  t  mosse  dall' impnlso  dirino, 
e  perciò  relooi;  altri  testi  leggono  fettine^ 
ohe  certo  sarebbe  leiione  pid  plana  a  inten- 
dere  (ofr.  jRir.  m  61).  —  62.  Onde,  se  il 
Mie  eoo.  Se  quindi  in  paradiso  deve  essere 
oompintamente  sodisfatto  0  mio  desiderio  di 
eonoeeere  la  oondisione  eoo.  —  68.  «fiesto 
eoo.  Qoesto  tempio  mirabile  ed  angelico  è  la 
sede  del  beati,  il  paradiso.  —  64.  ehe  sete 
eoo.  ott.  jRir.  zxm  112,  xxz  89-41.  —  66. 
■dir  eoo.  è  necessario  ch'io  sappia  perqnal 
ragione  il  mondo  sensibile  e  il  mondo  so- 
nasensibile  non  sieno  ordinati  nello  stesso 
modo.  —  esemplo:  imaglne,  copia;  e  qui  è 
detto  del  mondo  sensibile  in  quanto  esso  è 
imagine  del  mondo  intelligibilo,  il  quale  alla 
sua  Tolta  è  r  isswpter»,  il  prototipo  di  quel- 
lo: si  ofr.  Boeiio,  PML  com,  in  8:  «Tu 
ooneta  superno  Duois  ab  esemplo:  pulorum 
puloherrlmus  ipso  Mundum  mente  gerens  si- 
millque  in  imagine  formane  Perfectasque 
iabens  perfSsotum  àbsolTore  partes  ».  —  67. 
eM  le  eoo.  perché  io  senza  il  tuo  aluto 
non  riesco  a  intendere  tale  ragione.  —  68. 
Se  11  taci  eoo.  Se  la  tua  mente  non  è  ca- 
pace di  risolTore  tale  ardua  questione,  non 
è  meraTiglia,  perché  essa  è  difflcillssima  per 
non  essere  stata  trattata  da  alcuno.  Bella  ò 
r imagine  delle  dita  e  del  nodo;  poiché  come 
la  mano  dell'uomo  troTa  maggiori  difficoltà 


a  disgroppaie  un  nodo  se  nessuno  abbia  ten- 
tato di  allentarlo,  cocf  la  mente  si  perde  da- 
Tanti  alle  questioni  non  ancora  trattate  per- 
ché le  manca  il  soocoieo  delle  opinioni  e  dei 
giudizi  altruL  —  60.  per  ^ea  testare:  per- 
ché non  è  stata  trattata  eoe;  meno  bene,  al- 
cuni interpreti,  spiegano:  perché  non  hai 
tentato  prima  d'ora  ecc.,  quasi  ohe  Beatrice 
flsoesse  qui  a  Dante  rimprovero  di  non  aTer 
studiato  abbastanza;  rimproTero  inamissi- 
bile  (ofir.  Pitrg,  zza  87  e  segg..  Far.  ii  1  e 
segg.).  —  61.  Pigila  eoo.  Se  Tud  essere  so- 
disfatto, ascolta  quello  ohe  io  ti  dirò  e  poi 
assottiglia  r  ingegno  nel  meditare  le  mie  pa- 
role. —  68.  Istemo  da  esse  :  si  avTerta  la 
singolare  costruzione,  non  insolita  nella  lin- 
gua antica  (cf^.  Pwrg,  ti  86).  —  64.  U  eer- 
eht  eoe  Le  sfere  materiali  sono  ampie  o 
strette,  secondo  che  sono  destinate  a  rioe- 
Tore  una  maggiore  o  minore  Tirtd  por  in- 
fluirla nelle  cose  sottostanti  (cfir.  Fair,  ii  121- 
128).  —  67.  Maggior  eco.  <;tiianto  maggiore 
è  la  Tirtd  iPonià)  ,  tanto  maggiore  doTO  es- 
sere il  bene,  l'effetto  salutare  {(taiuté)  che  ne 
derira;  e  un  corpo  è  capace  di  accogliere 
tanto  pid  di  bene  quanto  esso  è  pid  grande, 
se  ogni  sua  parte  ò  nella  stessa  oondisione 
di  perfezione;  o,  come  spiega  il  Lomb.  : 
«Bontà  pid  grande  Tuole  una  pid  grande 
estensione  de'  salutari,  de'  benefioi  suoi  in- 
flussi ;  ed  un  corpo  di  natura  sua  pid  grande, 
se  in  nissuna  delle  sue  parti  sia  mancante,  è, 
per  la  sua  maggior  estensione,  capace  di  ri- 
coTere  in  sé  una  maggior  copia  di  ootali  in- 


812 


DIVINA  COMMEDIA 


Dunque  costui,  che  tutto  quanto  rape 
l'altro  universo  seco,  corrisponde 
72       al  cerchio  che  più  ama  e  che  più  sape: 
per  che,  se  tu  alla  virtù  circonda 
la  tua  tnisura,  non  alla  parvensa 
75       delle  sustanzie  che  t'appaion  tonde, 
tu  vederai  mirahil  conseguenza, 
di-  maggio  a  più  e  di  minore  a  .meno, 
78       in  ciascun  cielo,  a  sua  intelligenza  >. 
Come  rimane  splendido  e  sereno 
Pemisperio  dell'aer,  quando  soffia 
81        Borea  da  quella  guancia  ond'è  più  leno, 
per  che  si  purga  e  risolve  la  roffia 


fiossi  >.  »  70.  DHBqB«  eoe.  Donqae,  se  nelle 
sfere  materisU  sono  tatf  uno  1*  Tiit&  e  la 
grandezza,  qnesto  delo  in  eoi  siamo,  il  Primo 
Mobile,  ohe  trasoina  seoo  nel  suo  movimento 
tatto  il  resto  dell'  oniyexBO,  ooxrisponde  al 
primo  cerchio,  quello  dei  Serafini  (cft.  r.  26), 
i  quali  «Teggìono  più  della  prima  cagione 
che  alcun' altra  angelica  natura»  (Gmr.  n 
6).  —  71.  eorrispoaie  eoo.  Lomb.:  «  Ha  tanto 
maggior  perfezione  sopra  gli  altri  deli,  di 
lui  piti  piccioli,  quanto  sopra  degli  altri  cer- 
oht  pi6  ampli  ne  ha  qui  il  più  picciolo,  com- 
posto di  Serafini,  angeli  i  più  innamorati  di 
Dio  e  da  Dio  iUnioinati  ».  —  78.  se  ti  eoo. 
te  tu  applichi  il  tuo  criterio  di  misura  non 
all'apparenza  delle  sostanze  angeliche  ohe 
▼edi  dirotto  in  oerdit,  ma  alla  virtù  onde 
i  componenti  di  dascun  cerchio  sono  dotati, 
vedrai  una  mirabile  proporzione  tra  ciascun 
delo  e  l' intelUgenza  che  a  lui  prosiede  ;  se 
tu  ragguagli  questi  cerchi  non  alla  stregua 
della  grandezza,  ma  della  virtù  propria  di 
oiasouno,  redrai  ohe  al  maggior  delo  oorrì* 
sponde  l' intelligenza  maggiore,  doè  il  coro 
angdioo  più  Yidno  a  Dio,  e  al  minor  delo 
l' intelligenza  minore  doò  il  coro  angelico 
più  remoto  da  Dio.  Da  dò  consegue  che  i 
Serafini  sono  intelligenze  motrìd  del  delo 
cristallino,  i  Cherubini  del  ddo  stellato,  i 
Troni  del  delo  di  Saturno,  le  Dominazioni 
del  delo  di  (Hore,  le  Virtù  del  delo  di  Marte, 
le  Potestà  del  delo  del  Sole,  i  Prindpati  . 
del  ddo  di  Venere  (ofr.  Ftir.  vin  84),  gli 
Arcangeli  del  delo  di  Mercurio,  e  gli  An- 
geli del  delo  della  Luna.  —  70.  eenteguea- 
za:  proporzione,  conformità;  ò  la  lezione 
più  probabile,  contro  la  più  comune  emve- 
fMiwa,  con  la  quale  del  resto  ha  comune  il 
senso.  —  77.  di  Maggio  eoe  dd  maggior 
delo  alla  maggiore  intelligenza;  quanto  al- 
l' agg.  maggio  ofr.  /n/l  vi  48.  —  78.  a  ava 
ecc.  all'  intelligenza  che  governa  dasoan 
ciclo.  —  79.  Cerne  eco.  Le  parole  di  Bea- 
trice hanno  dissipato  il  dubbio  dì  Danto  con 


tanta  Inddità  ohe  nella  sua  monto  rischia- 
rato la  visione  del  vero  risplende  oonw  stella 
fiammeggiante  ndla  serenità  dd  ddo.  n  con- 
cetto ò  bellissimo  e  perspicuo,  ma  la  simili- 
tudine, intessute  di  rimembranze  dsadche  e 
troppo  diffusa  in  partiodari  dd  tutto  aooes- 
soil,  non  ò,  almeno  nella  prima  parte,  delle 
più  felid,  fors'  anche  perché  oltre  i  suoni  che 
e  non  rispondono  alla  giocondità  deU'lma- 
gine  »,  come  note  il  Venturi  19,  offendono 
il  lettore  moderno  le  vod  arcaiche  e  strane, 
alle  quali  l'autore  stretto  dalla  rima  ha  do- 
vuto fare  accoglienza  in  questi  vezd;  ma 
nella  chiusa  della  nmilitudine,  e  ndle  pa- 
role dd  V.  87  con  le  quali  essa  è  quad  rias- 
sunte e  ripresa,  come  per  suggellare  con  un 
tratto  potento  l' impresdone  destato  da  versi 
precedenti,  riappare  l' arto  divina  dbl  gzan- 
disdmo  poeta.  —  spleadiéo  eoo.  ett,  Lucre- 
zio i  9  :  «  Plaoatnmque  nitet  diflàeo  lumino 
code».  —  80.  Pemlsperle  eoo.  la  mezza 
sfera  celeste  che  d  ste  sopra.  —  «aaade 
ecc.  allorché  Borea  spira  da  qndla  parte 
ond'è  più  temperato.  L'espressione  dantesca 
d  richiama  alle  rappresentazioni  figurato  dd 
quattro  prindpali  vanti,  che  solevano  dipin- 
gere come  feeoe  umane  in  atto  di  soffiare 
da  tre  parti,  direttamente  dalla  bocca  o  con 
la  bocca  storte  verso  la  guanda  destra  o  la 
sinistra:  Borea  è  U  vento  di  tramontana,  che 
dalla  destra  gote  spira  meno  zigidamento  (ctr- 
eio)  ohe  non  facda  dalla  sinistra  {aquikme).  Del 
soflSare  di  Borea,  Virgilio,  .SH.  xn  865  :  e  Ae 
velut  Edoni  Boréae  cum  spiritns  alto  Insouat 
Aegaeo  sequiturque  ad  litora  finetus;  Qua 
venti  incubuere,  ^igam  datd  nàbita  cotto  >. 
-~  81.  leso  I  lene  ;  arcaismo  non  insolito  (eù*. 
Nannucd,  Nomi  p.  119,  138,  142  e  Parodi, 
Bull,  m  118).  ~  82.  per  ehe  eoo.  sotto  l'a- 
zione dd  qual  vento  il  ddo  d  rasserena,  pur- 
gandod  e  liberandod  dalle  nubi  o  dalla  neb- 
bia che  prima  io  oscurava  ;  il  vb.  si  pmrga 
di  Danto  ricorda  l'oraziano,  Od,  i  7,  13: 
«Albus  ut  obseuro  ddtrgd  nubila  oodo». 


PARADISO  -  CANTO  XXVIH 


813 


ehe  pria  turbava,  ni  che  il  del  ne  ride 
84       con  le  beHesse  d'ogni  sua  paroffia; 
cosi  fac'io,  poi  che  mi  provride 
la  donna  mia  del  suo  risponder  chiarOi 
87       e,  come  stella  in  cielo,  il  ver  si  vide. 
E  poi  che  le  parole  sne  reetaro, 
non  altrimenti  ferro  disf^villa 
90       ohe  bolle,  come  i  cerchi  s&villaro: 
lo  incendio  lor  seguiva  ogni  scintilla; 
ed  eran  tante  ohe  il  numero  loro 


—  refi*  t  tmébxort  otgionato  dalle  nuU  • 
didlA nébbia;  è  Toet  caduta  dall'uso,  ohe  il 
Boti  daSnlioe  :  €  oaoniità  di  Tapori,  umidi, 
«|iMati  e  eoadond  iMiena  >;  il  Parodi,  BvU, 
lU  164  la  dioa  Tira  Mi  aifnifloato  di  ripnlitoxm 
6  spuitatQX»  della  palli  ooiuriata.  »  88.  ifehe 
eoe.  di  modo  olle  il  delo  soiride  per  la  aece- 
nità  diftua  in  ogni  inn  plaga.  Grande  Taxletà 
d' inteipretaaiooi  abbiamo  a  qneato  paaao,  in 
propoeito  della  ToeejMro/jia:  molti  degU  an- 
tichi non  la  spiegano,  perdié  era  rooe  nsoale 
nel  primo  trecento  e  da  tutti  inteea  in  To- 
scana e  Inoghi  ricini,  nel  senso  di  parroo- 
Mm  (ofr.  Puodi,  Bua.  m  168);  Inreoe  U 
Lana  le  attrlboi  il  senso  di  abbondanza,  certo 
enraneamente.  Benr.  e  Boti  interpretarono 
jMTto,  ohe  sta  benissimo  per  il  senso,  tanto 
più  die  In  stessa  signlflcarione  paò  ayere  nel 
Inogo  del  Boooaoolo,  TtttUé  rn  lU  :  «  Ar- 
citn  entrt  con  tutta  sna  paroflia  >t  cioè  con 
tottn  la  sna  parte,  oon  tutti  i  suoi  compagni, 
I^and.,  accogliendo  In  loro  spiegadone,  ag- 
giunse: «  disse  jxnno/^  in  luogo  di  jMroeoMs, 
e  parocohin  è  in  una  città  quella  parU  degli 
uomini  ohe  sono  sotto  una  medesima  chie- 
sa >.  Questo  è  il  modo  migliore  d'intendete. 

—  86.  eesf  f ee*  le  eco.  cosi  la  mia  mente 
rimase  disgombrata  dall'oscurità  del  dubbio, 
dopo  ohe  Beatrice  mi  ebbe  fotta  quella  chiara 
eapoaisione,  e  ridi  interamente  la  Terìtà.  — 

87.  eeme  stella  :  ofr.  jRir.  zzir  U7.  Ven- 
turi 19:  €  Altra  similitudine  di  schiettezza 
incomparabile.  La  mente  rischiarata  par»- 
gonn  al  sereno  del  delo,  e  la  vidone  del  rero 
a  stella  fiammeggiante  >.  —  88.  B  pel  ecc. 
Dopo  ohe  Beatrice  ebbe  Anito  di  parlare,  i 
nore  cori  angelid  incominciarono  a  sfhyil- 
lare  come  massa  di  finro  incandescente.  — 

88.  Ben  altrlmentt  ecc.  La  dmiUtudine  del 
fbRO  scintillante  sotto  l' adone  dd  fboco  è 
assai  accenda  a  significare  la  ferrentisdma 
gioia  die  le  innumerabili  schiere  degli  an- 
geli Ihoerano  d  loro  Dio.  Questa  compara- 
done  (suggerita  forse  dalle  parole  di  Eze- 
chiele I  4:  «  di  mezzo  di  qud  fbooo  apparirà 
oome  U  sembianza  di  fin  rame  scintillante  >) 
è  da  darrldnare  a  quella  del  Par,  i  60,  con 
la  quale  ha  comune  il  fondamento:  là  la 


■■Ma  dd  imo  è  oonsidsffata  nd  eoo  lari- 
noeo  oompleseo,  qua  neDe  infinite  sdntHle 
che  se  ne  stacoano  dUftmdeodcd  allintomo. 
—  9L  Io  Ineeadie  eoo.  Delle  adte  spleg»- 
doni  date  di  questo  recso  nessuna  è  piena- 
mente sodislhoente,  forse  perdi6  l'oeptee- 
done  danteeoa  è  dquante  raga  e  indetermi- 
nata. Oomnnemente  d  accetta  quella  dd 
Lomb.,  U  quale  spiegò  :  €  Oon  senso  pl4  a- 
datto  d  alle  presenti  parole,  ohe  d  seguente 
pstagone  dd  pmgiessivo  doppiat  étpU  ssoooM, 
parrebbe  ohe  pd  ttfftrirà  egni  edwtfffa  T  ia- 
emtdio  de*  c$nM  s*  intendesse  ^e,  oome  l'in- 
cendio de'  cerchi  fti  ohe  s/briUoro,  doè  tra- 
mandarono fàrille,  solntille,  ood  ogni  Mtn- 
tiUa  imitando  essa  pure  h  «nommUo,  lo  sfo- 
rmare de'  eeroht,  proeegnlsse  a  sforiUare,  a 
diriderd  in  altre  scintille;  neOa  guisa  ^ 
punto  ohe  rediamo  ford  dagli  aoosd  tforil- 
lanti  tlid  donna  rdta,  non  senza  plaoera 
di  un  occhio  curiceo  >:  die  Dante  possa  aree 
oeserrato  un  simUe  fonomsnoi  oemunlsslmo 
dd  recto,  ce  lo  atteda  U  dmiUtudine  dd 
Par.  xnn  100  e  segg.;  ma  questa  SMltlpU- 
cadone  di  edntille,  ciascuna  delle  quali  non 
s' intende  se  fosse  un  angelo  o  una  parte  di 
aagdo,  non  sembra  oonreniie  a  questo  luo- 
go, n  Land,  e  il  Veot.  ridero  forse  plA  ad- 
dentro spiegando  in  questo  senso  :  tutte  le 
scintille  non  d  allontanarano  dd  rispottiro 
cerchio  di  fooco  (iaoMuKo  ter),  o  in  dtri  tsr- 
mini,  gli  angeli  pur  rolando  qua  e  là  per 
segno  di  tripudio  non  abbandonarano  fl  oer- 
chio  dd  loro  ordine,  non  isoomponerano  fl 
cerchio  luminoso,  il  qude  mantenera  la  sua 
forma  e  il  suo  morimento  regolare.  Lo  Scart. 
rorrebbe  intendero  per  Vinotnàh  il  punto  lu- 
minoso, Dio,  detto  ood  perché  i  cerchi  angelid 
risplenderano  deDa  sua  luce,  spiegando  poi 
tutto  il  rerso  ood  :  ogni  sdntiUa,  doè  ogni 
angelo,  d  morera  in  giro  sempre  rirdto  a 
Dio  ;  è  sposidone  ingegnosa,  ma  troppo  sot- 
tile. ~  92.  ed  eran  eoo.  il  numero  di  que- 
ste scintille,  doè  degli  angeU,  era  infinito. 
Oià  nelle  ridoni  bibliche  è  accennato  il  gran 
numero  degli  angeli  ;  olir.  Daniele  m  10  : 
e  Un  fiume  di  Aioco  traera  ed  usdra  dalla 
mille  migliaia  gli  ministraraBe, 


814 


DIVINA  COMMEDIA 


93       più  che  il  doppiar  degli  scaccili  sMmniilla. 
Io  sentiva  osannar  di  coro  in  coro 
al  punto  fisso  che  li  tiene  all'u&t, 
96       e  terrà  sempre,  nel  qual  sempre  fòro; 
e  quella,  che  vedeva  i  pensier  dubt 
nella  mia  mente,  disse:  ci  cercM  primi 
99       t'hanno  mostrati  1  Serafi  e  i  CherubL 
Cosi  veloci  seguono  i  suoi  vimi, 


•  diedmUA  deoiiM  di  migUalA  staTano  d*- 
ymntl  »  lai  »  ;  ma  Dante,  oome  d  lUerm  dal 
F»,  zziz  iaO-186  e  da  un  pano  del  Ovnv. 
n  6  ore  dioe  òhe  la  Chiesa  e  erede  e  predica 
quelle  BoMUiMiine  ereatue  quaal  innnmani- 
bili  >,  doTera  arw  pxeaente  le  dottrine  teo- 
logidie  fa  qneeta  materia;  p.  et.,  Tomm. 
d'Aqo.,  8umm,t  P.  I,  qn.  czu,  art  4:  <  Mol- 
titodo  angelomm  transcendit  omnem  mate- 
rialem  moltitadinem  ;  ut  adlicet  tioat  cor- 
pocm  iaperiora  trMoendant  ocupora  infetiora 
magnitudine  quasi  in  immeasnm,  ita  sape- 
riores  natone  Inoorporeae  trasoendant  mal- 
titadine  omaes  nataras  oorporeas;  quia  qood 
est  rnelins,  est  magia  a  Deo  Intentam  et 
moltiplioatam  ».  —  Ae  11  BoMere  ecc.  che 
il  numero  degli  angeli  ascende  a  molte  mi- 
gliaia pi6  che  non  sieno  quelle  ooi  riesce 
la  progrossira  duplicacione  degli  scacchi^  è 
insomma  infinito;  poiché  il  numero  ohe  si 
ottiene  oon  la  moitipllcaxione  per  due  di 
tutta  la  serie  degli  scacchi  ò  grandissimo.  È 
manifesto  ohe  Dante  si  ricordò  qui  della  leg- 
genda, diffosa  anche  al  di  suoi,  dell'  inyen- 
tore  degli  scacchi,  il  quale  ohieee  al  re  di 
Pèrsia,  in  premio  dalla  sua  InTenxione,  tanti 
chicchi  di  grano  quanti  erano  dati  dalla  pro- 
gressiva moltipllcaxione  di  due  chicchi  per 
il  numero  del  quadrati  dello  scacchiere:  di 
ohe  rise  quel  re,  ma  listtosi  il  computo  si 
troTò  oh*ei  non  ayera  grano  abbastanza  per 
sodisfare  la  richiesta  fotta  dall'  iuTentore 
del  giuoco.  —  93.  s'imMllla:  il  vb.  immU^ 
larsiy  di  conio  dantesco  oome  altri  parecchi 
foggiati  sui  numerali,  Tale  ascendere  a  mi- 
gliaia. —  94.  Io  sentlfa  eco.  Bispondendoei 
da  cerchio  a  cerchio  gli  angeli  cantavano 
08tuma  (ofr.  Bxr.  tu  1),  in  lode  di  Dio  ohe 
11  mantiene  e  manterrà  sempre  nel  luogo  ove 
sempre  Airone.  —  96.  li  tiene  eco.  Vuol 
dire  ohe  gli  angeli  sono  confermati  nella  gra- 
da divina,  la  quale  godono  presentemente, 
oome  la  godranno  noli'  avvenire  e  come  in 
essa  furono  ab  etemo  perché  a  dò  predesti- 
nati nella  mente  prima.  —  97.  «nella,  cIm 
eoe  Beatrice,  che  leggeva  nella  mia  mente 
ogni  dubbio  ecc.  L' incertezza  da  cui  Danto 
era  agitato  nasceva  dalle  discordanti  opi- 
nioni professate  dai  padri*  della  Chiesa  in- 
tomo aUa  distribndone  degli  angelid  corL 
Intorno  ai  quale  argomento  ò  da  sapere  an- 


dtutto  die  nd  libri  del  vecchio  testamento 
sono  ricordati  spesso  i  Oierabini  {Ofwrubm) 
e  i  Serafini  (Smiphim);  nelle  Epistole  di 
san  Pado  I  Prindpati,  le  PdMtà,  le  Virt6, 
le  Dominadoni  (H^  iy«  Efkt,  i  21)  e  1 
Troni  (^.  ai  OM.  I  16)  •  fl^  Arcangeli  (/ 
Epiai,  ai  Ttsaabm,  iv  16);  gU  Angdi  sono 
mendonati  in  tutte  e  due  le  serie  dd  libri 
biblicL  Fondandod  su  questi  nomi  i  padri 
della  Chiesa  divisero  le  creatore  angeliohe 
in  tre  psroroMf,  ciascuna  di  tre  ordùri  o  eori; 
ma  non  tutti  tanno  eonoordi  noli'  ordinare 
le  gorarohie  e  i  oorL  La  pi6  comune  e  pìA 
celebre  partidone  è  quella  di  Dionigi  Areo- 
pagita  (ctt.  Par,  x  116),  doè  :  I  gerarchia, 
1.  Serafini,  2.  Cherubini,  8.  Troni;  II  gecar- 
ohia,  4.  Dominadoni,  6.  Vlrtd,  6.  Podestà; 
m  gerarchia,  7.  Prindpati,  &  Arcangeli,  9. 
Angeli.  Questa  partidone,  aocdta  dal  pi6 
famod  teologi  (p.  ss.  P.  Lombardo,  StiUmL 
II  9,  Tomm.  d'Aqu.,  SummL  P.  I,  qu.  ovui, 
art  1-8  ecc.),  fu  seguita  nel  poema  mMuk» 
da  Dante  ;  il  qude  invece  nd  Cono,  u  6 
aveva  esposto  un  ordinamento  delle  gerar- 
chle angelicho  alquanto  diverso,  ponendo 
nella  I  gerarchia,  I.  Serafini,  2.  Cherubini, 
8.  Podestà;  neUa  n,  4.  Prindpati,  6.  Virt6, 
6.  Dominadoni;  ndla  HI,  7.  Troni,  8.  Ar- 
cangeli, 9.  Angeli  :  cfi-.  la  nota  d  t.  1S8  per 
dd  ohe  riguarda  la  partidone  adottata  da 
Oregorio  I,  diversa  anch'  essa  da  quella  del 
Oom,  —  98.  I  eerthl  eoe.  Il  primo  e  il  s»- 
oondo  cerchio  comprendono  i  Serafini  e  l 
Cherabini  :  sul  significato  di  questi  nomi  eir, 
le  note  d  Bit.  a  87,  88.  —  100.  CmI  ve- 
leel  ecc.  Con  tanta  velodtà  seguono  l' im^ 
pulso  dell'amore  e  della  grazia,  perché  d  so- 
migliano aUa  divinità  per  quanto  possono 
somigliarle  le  creature,  e  possono  tanto  quanto 
più  sono  devati  nella  oognidone  di  Dio.  Se- 
condo le  parole  bibliche  (Giovanni,  I  S^fiaU 
in  2)  <  Quando  egli  sarà  manifesto  saremo 
dmiU  a  lui,  per  dò  ohe  nd  lo  vedremo  oom« 
egli  è  >,  dice  Dante  che  la  misura  della  so- 
miglianza ddle  creature  a  Dio  è  data  dal 
grado  della  oognidone  di  Dio  stesso,  di  modo 
ohe  i  Serafini  e  i  Chombini,  essendo  i  pia 
vidni  a  Dio  e  perdo  qudll  che  ne  hanno 
pi&  piena  visione,  sono  anche  i  più  simili  a 
Dio,  e  dò  ò  cagione  che  essi  d  aggirano  pia 
vdooemente  dogli  dtii  cori  angelid  intomo  al 


PARADISO  -  CANTO  XXVIH 


815 


per  simigliarsi  al  punto  quanto  ponno, 
102       e  posson  quanto  a  veder  son  sublimi. 

Quegli  altri  amor,  che  intomo  a  lor  vonno, 
si  chiaman  Troni  del  divin  aspetto, 
105       perché  il  primo  temaro  terminonno. 
E  dèi  saper  che  tutti  hanno  diletto, 
quanto  la  sua  veduta  si  profonda 
108       nel  vero,  in  ohe  si  queta  ogn'  intelletto. 
Quinci  si  può  veder  come  si  fonda 
l'esser  beato  nell'atto  che  vede, 
111        non  in  quel  ch'ama,  che  poscia  seconda; 
e  del  vedere  ò  misura  mercede, 
che  grasia  partorisce  e  buona  voglia; 
114       cosi  di  grado  in  grado  si  procede. 
L'altro  temaro,  che  cosi  germoglia 


ponto  laminofo,  perché  pi&  degli  altri  sen- 
tono e  aegnltaao  l'inipalto  dell'affetto  ohe  a 
Dio  U  lega.  —  vinU:  Tiniini,  legami,  è  U 
Ut.  rJfiMfi,  dal  quale  gli  antichi  fecero  vims 
(otr.  Rd".  mz  86).  I  legami  che  arrincono 
gli  angeli  alla  dìTlnità  sono  V  amore  e  la 
grada,  iotto  il  coi  impulso  si  mnorono  in- 
tomo al  pnnto  centrale  i  nove  cori  angelicL 
—  102.  •  pessen  eoo.  e  possono  esser  tanto 
più  simili  a  Dio  quanto  più  sono  innalzati, 
prossimi  alla  visione  di  Dio.  —  108.  <|«eg]i 
nitri  eoo.  Le  ereatme  angeUohe  del  terzo 
cerchio,  elie  Tien  dopo  quello  dei  Serafini  e 
doi  Gherobini,  sono  chiamato  Troni  perché 
oompiono  la  prima  gerarchia,  il  primo  ter- 
nario dei  oori  ang^ci.  Questa  ragione  del 
nome  Troni  è  data  da  Dionigi  Areopagita, 
D$  eoektéi  ìU$r,  oap.  tu  ;  invece  Oregorìo  I, 
Bomiliar.  u  84  dioe  che  sono  cosi  chiamati 
perché  <  in  eis  sedeat  Deus,  et  per  eos  ludi- 
da  deoemeat  »,  alla  quale  opinione  pare  che 
Danto  s' aooostasse,  per  la  menzione  dsl  di- 
vino aspetto  e  peroid  ohe  sorisse  in  Piar»  a 
61  e  segg.;  xiz  28  e  segg.  —  aMor:  nome 
dato  agli  angeli  in  genere,  come  creature 
prediletto  di  Dio,  cfr.  Purg,  a  8,  Far.  xm 
18,  46,  xzni  94.  —  vonne  t  vanno  ;  forma 
verbale  non  insolita,  spedalmento  nelle  scrit- 
ture umbre  (cfr.  Parodi,  BulL  HI  126).  — 
106.  B  éii  saper  eoo.  S  devi  sapere  che  il 
grado,  l'intonsità  della  loro  beatitodine  è  pro- 
porzionato alla  profondità  della  cognizione  di 
Dio  che  è  propria  di  dasonn  ordine  angeUoo. 
Ott:  e  Tanto  sono  eccellenti  in  beatitodine, 
quanto  sono  intellettuali  in  visione  di  Dio, 
per  In  quale  il  oonosoono  ;  •  quanto  il  cono- 
scono, tanto  r  amano  ;  e  però  dice  che  il 
primo  atto  è  nella  visione,  e  lo  secondo  é 
nello  amo^  ».  ~  108.  nel  vero  eoe  in  Dio, 
ohe  ò  la  verità  in  cui  ogni  intelletto  trova 
tua  quieto  (cfr.  Patr,  iv  126):  d  lo  stesso 


pensiero  espresso  nel  Cbrw,  n  16,  ove  Dio, 
come  oggetto  dogli  stadi  teologloi,  è  detto 
<  il  vero  nel  quale  si  cheto  l'anima  nostra  ». 
—  100.  Qaincl  eoo.  Da  ciò  appare  come  la 
beatitodine  consisto  nella  visione  di  Dio,  e 
non  già  nell'amore  di  Dio,  ohe  è  un  effètto 
della  visione  stessa  (cftr.  Far,  xiv  41):  Danto 
segue  qui  la  dottrina  di  Tomm.  d' Aqu., 
^Mifim.,  P.  I  2m,  qu.  Ili  art.  1-8,  P.  IH,  sup- 
plem.,  qu.  xon,  art.  1-8  ;  e  riprova  l'opinione 
di  Scoto  ohe  Ikoeva  consistere  la  beatitodine 
nell'amore  di  Dio.  —  Ili.  seeendni  seguito, 
tien  dietro,  in  quanto  è  effetto.  —  112.  • 
del  vedere  eoo.  e  il  grado  della  visione  è  di- 
pendento  dalla  msrowi»  ossia  dalle  opere  me- 
ritorie (cfr.  Inf,  IV  84),  to  quali  sono  un 
ftntto  della  grùla  divina  e  della  buona  vo- 
lontà. Buti:  «Debbesl  Intondere  questo  or- 
dine cosi;  la  grazia  preveniento  eccito  lo 
buono  Tolere,  la  grada  cooperanto  aiuto  que- 
sto buono  volere  e  compie  questo  buono  vo- 
lere e  confermalo;  e  tanto  quanto  è  l' atto 
del  Teiere  in  accettare  questo  grazia  ohe  'l 
muove,  tanto  è  lo  merito,  si  ohe  nella  orea- 
tun  è  U  grandezza  del  rolere,  e  per  oonse- 
qusnto  del  merito,  e  secondo  lo  merito  è  lo 
intendete  Iddio,  e  secondo  lo  Intendere  è 
l' amare,  o  seoondo  V  amare  d  fruere  Iddio, 
ohe  è  essere  beato  ».  »  114.  di  grado  occ. 
dalla  grazia  al  volere,  dal  volere  al  merito, 
dal  merito  alla  cognizione,  dalla  cognizione 
all'  amore.  —  115.  L*  altre  eoo.  La  seconda 
gerarchla,  la  quale  é  allo  stesso  modo  for- 
mato in  questo  paradiso,  è  anch'  essa  costi- 
tuito di  tre  ordini  angelid.  —  geraioglia 
eoo.  La  ragione  della  metafora  è  cosi  dichia- 
rato dal  Lana:  •gwmogUar»  proprio  d  è  in 
U  àlbori  nella  primavera,  quando  cominciano 
a  germogliare,  dò  è  pullulare  loro  verdura, 
o  dascune  brooche  producano  nuove  lògliot- 
to;  ood  a  simile  tatto  lo  coUegto  dalli  an- 


816 


DIVINA  COMMEDU 


117 


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129 


132 


in  qaeeta  prìmayera  Bempiteroa, 
che  notturno  Ariete  non  dispoglia, 

perpetualemente  Osanna  sverna 
con  tre  melode,  che  tuonano  in  trée 
ordini  di  letizia,  onde  s'interna. 

In  essa  gerarchia  son  le  tre  dee: 
prima  Dominasioni,  e  poi  Virtudi; 
l'ordine  terso  di  Podestadi  èe. 

Poscia  nei  due  penultimi  tripudi 
Principati  ed  Arcangeli  si  girano  ; 
l'ultimo  è  tutto  d'Angelici  ludi 

Questi  ordini  dì  su  tutti  rimirano> 
e  di  giù  vincon  si  che  yerso  Dio 
tutti  tirati  sono  e  tutti  tirano. 

E  Dionisio  con  tanto  disio 
a  contemplar  questi  ordini  si  mise, 
che  li  nomò  e  distinse  com'io. 

Ma  Gregorio  da  lui  poi  si  divise  ; 


gioii,  deHi  qnAli  sempre  pallQla  amore,  sdei»* 
zia  e  giiutida,  e  sta  sempre  in  tale  polhi- 
lare  ».  —  117.  ohe  nottano  eoo.  ohe  ee- 
seado  eterna  noft  ò  soggetta  alle  Tioende  della 
primarera  terrestre.  F.  Angelitti,  BulL  VII 
198  :  «  La  ftase  notturno  Arido  non  si  dere 
intendere  per  Ariote  torgenié  di  moMs,  bensì 
per  Ariete  ohe  età  nel  dominio  della  notte  (tale 
è  l'Ariete  durante  11  mesi,  mentre  il  Sole 
non  è  in  esso),  o  Tiene  a  dire  die  la  prim»> 
vera  in  paradiso  è  sempre  al  sno  primo  mese, 
dorante  il  quale  il  Rote  è  nel  segno  d'Arie- 
te ».  Di  tale  particolarità  astronomica  si  è 
ralso  Dante  per  significare  il  sno  concetto 
con  on'imagine  di  singolare  Taghezsa.  — 
118.  Oiaana  eco.  canta  il  sno  Osanna  (ofir. 
Par,  TD  1),  il  sno  inno  di  lode  a  Dio,  con 
tro  diverse  melodie  ohe  rlsnonano  nei  tre  or- 
dini angelici  del  qnali  si  compone.  —  trer- 
■a  :  il  Tb.  ooemare  rignifloò  dapprima  il  can- 
tar d'  allegrezza  che  fanno  gli  nooelti  ne^ 
primarera,  qnasi  rallegrandosi  d'essere  nsoiti 
dal  Temo  («EAdsman);  poi  ebbe  il  sento  plA 
generale  di  cantare.  ~  120.  esde  i*  laterali  : 
dei  quali  si  fk  temo,  triplioe,  si  oompone  in 
tre  (ofr.  la  nota  al  Par,  xm  57).  —  121.  le 
tre  deet  le  tre  nature  o  schiere  divine,  i 
tre  ordini  degli  angeli  ohe  muorono,  oome 
intelligenze,  altrettanti  deU.  —  122.  Doal- 
nasloni  t  è  il  quarto  ordine  degU  angeli,  oosl 
detti  (secondo  Dioni^4  Areopqglta,  og,  dt, 
cap.  vm  e  Tommaso  d'Aquino,  Smmn,  P.  I, 
qu.  oTm,  art  6-6)  perdio  liberi  da  ogni  oon- 
dizione  servile,  capad  di  eserdtare  una  in- 
fleesibile  signoria,  e  desiderod  di  partedpare 
al  dominio  divino.  —  Virtudi  s  ò  l' ordine 
quinto,  cosi  detto  (Dionigi,  1.  dt.;  Tomm. 


d'Aqn.  1.  dt),  perche  gli  angeli  di  esso  bob» 
^>tati  di  virile  e  inconcussa  fortezza  Dal- 
l' operare.  —  12B.  Peéettadl  x  è  SI  sesto  or- 
dine, ood  denominato  (Dionigi,  op.  dt,  cap. 
XX,  Tomm.  d' Aqu.,  L  dt)  per  un  oonoetto 
di  ordinazione  deDe  cose  che  devono  easero 
eseguito  dagU  inferiori.  —  121.  PoieU  eoe. 
Vengono  pd  nd  settimo  e  nell'ottavo  or- 
dine i  Prindpati  e  gli  Aicaagdi,  gli  imi 
ood  detti  (secondo  Dionigi,  L  dt)  perché 
eserdtano  la  Ainzione  di  dnd,  e  gli  altri 
perché  sono  angeli  rispetto  al  Prindpoti  e 
sono  prindpi  rispetto  sgli  AngelL  —  126. 
Pnitimo  eoo.  Il  nono  ostehi^  è  Hoimato  d*- 
gli  Angeli,  ood  detti  in  quanto  sono  nunzi 
di  Dio  e  manifestano  le  cose  divine  (IMonigi, 
op.  dt,  cap.  v;  Toma.  d'Aqu.,  L  dt;  cfr. 
Purg,  xxz  18).  —  127.  ^umM  eco.  Tatti 
questi  nove  ordini  rimirano  In  sa  vino  Dìo, 
centro  di  tutti  gli  esseri,  isd  eserdtano  sotto 
a  86  una  azione  cosi  benefica  che  tutti  sono 
attirati  verso  Dio  ndlo  stesso  tompo  ^e 
v*  attirano  gU  altri  :  tìtt,  Pbw,  n  128.  —  130. 
IHonlsIo  eco.  Dionigi  Areopagita  d  mise  a 
meditare  su  questi  ordini  angelid  con  tanto 
dedderìo  di  oonosoere  il  vero,  ohe  H  deno- 
minò e  distribuì  come  ho  tetto  io,  nd  suo 
libro  detta  eeleete  gerarekia,  —  132.  oom*  le 
eoe  con  quella  douxezaa  con  la  qusle  ne  ho 
parlato  lo,  avendone  oognidone  diretta»  — 
188.  Ha  Oregorloeoe.  Ma  eregrario  I  d  sl- 
lontanò  dalla  paitizioae  di  Dionigi,  cadendo 
in  un  errore  del  quale  rise  quando  giungendo 
in  paradiso  oonobbe  la  vera  distribuzione  dd 
cori  angelid  nelle  tre  gecardùe.  DeDe  mo- 
dificazioni introdotto  da  Qregorie  I  nella  dot- 
trina di  Dionigi  toeca  Tomm.  d'Aqu.,  SmmL, 


r-^" 


PARADISO  -  CANTO  XXVID 


817 


136 


139 


onde,  si  tosto  come  PoocMo  aperse 

in  questo  oiel,  di  sé  medesmo  rise. 
E  se  tanto  segreto  Ter  proferse 

mortale  in  terra,  non  voglio  di'ammiri; 

che  olii  il  vide  qua  sa  gliel  discoperse 
con  altro  assai  del  ver  di  questi  giri  >. 


P.  I,  qiL  orni,  art.  6;  ma  qvi  baiti  ziftrire 
l'ordinamento  da  lai  dato  ai  nore  ood  :  I  ge- 
xaxolda,  1.  Serafini,  2.  Gheinibini,  8.  Troni; 
n  geniohia,  i.  Dominazioni,  6.  FriBoipatl, 
6.  Fedeltà  ;  m  gerarchia,  7.  Virtd,  8.  Ar- 
oangeU,  9.  Angeli.  —  186.  di  itf  medemo 
eco.  Se  Gregorio  I  riprovò  il  tao  errore  en- 
trando in  paradieo.  Dante  nel  poema  ripodid 
ciò  ohe  avera  ioritto  nel  Cbnv.;  né  già  perché 
•orirendo  il  trattato  filoiofloo  egli  non  oono- 
aoeeee  anooxa  il  lihro  di  Dionigi,  ma  perché 
in  on'  opera  filosofloa  egli  non  arerà  obbligo 
alcuno  di  labordinare  le  sae  dottrine  a  qnelle 
riconoidate  come  legittime  dalla  Ohieaa,  e 


inreoe  nel  poema  egli  ToIIe  sempre  CMere 
■orapoloiamente  ortodosso  anche  nei  ponti 
secondari.  — 186.  le  tante  eoo.  se  on  nomo 
mortale,  Dionigi,  potè  manifisttare  al  mondo 
nna  reiltà  ooei  profonda  e  rimota  dalla  co- 
gnizione emana,  non  te  no  meravigUare,  poi- 
ché a  lai  fii  rivelata  da  sai!  Paolo  insieme 
con  molte  altre  verità  sol  paradiso  che  egli 
aveva  conosciate  qnando  fa  rapito  al  cielo 
(cflr.  Inf,  n  28).  — 188.  gliel  discoperse  eoo. 
Lo  stesso  Dionigi,  J>9  eoel,  hier,^  cap.  v,  di- 
chiara che  la  soa  dottrina  salle  gerarchle  an- 
geliche deriva  dalla  visione  di  san  Paolo. 


CANTO  XXIX 

Dopo  un  istante  impercettibile  di  silenzio,  Beatrice  riprende  a  parlale 
per  esporre  a  Dante  la  cagione,  il  tempo  e  il  laogo  della  creaslone  degli 
angeli,  la  lor  qnalità  e  la  differenza  tra  gli  angeli  fedeli  e  i  ribelli,  le  Ai- 
colta  delle  creatore  angeliche  ;  con  una  ianga  digressione  ella  inveisce  con- 
tro coloro  che  predicano  cose  rane  e  fknno  traffico  delle  indolgenze;  e  ri- 
tornando alla  sna  trattazione,  spiega  11  numero  degli  angeli  e  la  grandezza 
divina  che  in  essi  risplende  [14  aprile,  ore  pomeridiane]. 

Quando  ambedue  i  figli  di  Latona, 
coperti  del  Montone  e  della  Libra, 
8       fanno  dell'orizzonte  insieme  zona, 
quant'è  dal  pxmto  che  il  zenit  inlibra, 


XnX  1.  Qaaade  eoe.  Beatrice  volgendo 
per  nn  istante  io  sguardo  a  Dio  vede  in  lai 
il  desiderio  di  Dante  di  oonosoeie  pi6  larga- 
meotela  natora  angeliea  :  a  signiflcarela  bre- 
vità del  sUeudo  di  lei  il  poeta  ha  imaginato 
una  aimUitadine,  che  ha  dato  molto  da  fue 
agli  interpieti,  anche  perché  U  testo  di  qae> 
•ti  versi  fti  assai  per  tempo  corrotto.  Bista- 
bilita  la  lesione  che  per  aatorità  di  eodid  e 
di  commentatori  appare  la  più  conforme  al 
concetto  dantesco,  si  paò  slegare  con  saffl- 
olenta  sIcoiOBa,  oosi  :  Qaando  il  sole  e  la 
hma,  essendo  Fono  nella  oostellarione  del- 
l'Ariete e  l'altra  in  quella  della  Libra,  ohe 
aono  in  dna  ponti  opfKwtt  dello  Zodiaco,  ven- 
gono a  trovairi  oontemperaneamoite  soll'oili- 
zonte  (e  ciò  accade  nel  ponto  preciso  del 
plenihmio),  dal  mooMoto  in  ohe  essi  si  tro- 
vano in  questa  oondirione  di  perfètto  equili- 
brio rispetto  allo  Zenit  (essendo  equidistanti 


da  esso)  sino  a  qoeUo  in  coi  l'ano  e  l'altra 
cambiando  emisfero  escono  dall'orizzonte,  cor- 
re tanto  tempo  quanto  fa  quello  che  Beatrice 
eco.  Per  la  perennità  del  moto  apparento  del 
sole  e  della  luna  questa  oondirione  di  equi- 
distanza dallo  Zenit  dura  un  istante,  dopo  il 
quale  l'equilibrio  cessa  :  Dante  per  esprimere 
meglio  l' idea  di  un  momento  impercettibile 
imagina  (cosi  il  Della  Valle,  Stnsogtogr.  aatr, 
p.  146)  €ohe  quell'equilibrio  sia  distrutto, 
come  lo  d  di  latto,  da  tutti  e  due  quei  corpi, 
movential  l'uno  per  un  verso,  e  l'altro  pel 
verso  contrario  ;  e  ocef  d  mena  a  pensare  la 
metà  ddl' istante,  ohe  nd  primo  caso  dura 
quell'equilibrio,  doò  d  mena  a  dividere  per 
mezzo  quéU'  istante,  benché  sU  indiviribfle  ». 
»  flfli  ecc.  ofr.  P¥rg,  zz  180-182,  Par,  x 
67.-8.  fiume  ecc.  ftnno  a  sé  stéssi  dn- 
tora  dell'orizzonte,  doè  vi  d  trovano,  innmw, 
stesso  momento  di  tempo.  —  i.  che  il 


818 


DIVINA  COMMEDU 


infin  die  Pano  e  l'altro  da  quel  cinto, 
6        cambiando  Pemisperio,  si  dilibra, 
tanto,  col  volto  di  riso  dipinto,    • 
si  tacque  Beatrice,  riguardando 
9       fisso  nel  punto  che  m'aveva  vinto; 
poi  cominciò:  «Io  dico,  non  domando 
quel  ohe  tu  vuoli  udir,  perch'io  l'ho  visto 
12       dove  s' appunta  ogni  t^  ed  ogni  qttando. 
Non  per  aver  a  sé  di  bene  acquisto, 
ch'esser  non  può,  ma  perchè  suo  splendore 
15       potesse,  risplendendo,  dir:  Suòsisto; 
in  sua  eternità  di  tempo  fuore 
fuor  d'ogni  altro  comprender,  co^ie  i  piacque, 
18       s'aperse  in  nuovi  amor  l'eterno  amoro. 
Né  prima  quasi  torpente  si  giacque; 


selli  eoo.  nel  quale  lo  Zenit  Mibra,  deter- 
mina ziipetto  al  sole  e  alla  lana  un  equilibrio, 
perché  equidistante  dall'uno  e  dall'altra.  Qne- 
ito  Qflo  aMolnto  del  tb.  ittUbran  (fonnaie 
una  bilancia,  oostltaiie  eqniUbiio)  non  piace 
ad  alconi  interpreti,  òhe  lo  oonMdenno  come 
Terbo  transittro  che  abbia  per  oggetto  il  eM: 
lo  lenH  inUbra  doè  eqoilibrm  Ujiunfo,  oeria, 
secondo  questo  modo  d'intendere,  la  altaa- 
sione  del  sole  e  della  lana;  ma  è  certo  ohe 
punto  qoi  significa  il  momento  di  tempo  (dal 
punto  ch$.„  in/In  eh$),  Méfl^o  in  caso  sarebbe 
aocettace  la  lezione  dbs  il  ZmU  i  Ubra  doè 
pone  in  condizione  di  parità  il  sole  e  la  Iona; 
perché  cosi  0  senso  generale  resterebbe  inal- 
terato; ma  è  variante  sproTTista  d'ogni  au- 
torità, come  l'altra  M0«MffMmlt»ra  è  cer- 
tamente erronea,  sebbene  diilùsa  per  molti 
oodid  e  stampe.  •»  6.  l'mn*  eoe.  il  sole  e  la 
lana,  passando  l' ano  dal  nostro  emlifero  nel- 
r  inferiore  e  l'altro  dall'  inferiore  nel  nostro, 
abbandonano  la  linea  dell'orizzonte,  della 
qoale  s'erano  fktto  cinto  o  fluda,  nella  qaalo 
insomma  s*  erano  momentaneamente  trovati 
insieme.  —  6.  si  dillbra:  il  vb.  daUbntni^ 
se  è  formato  sol  nome  Ubra  come  il  prece- 
dente inì^bram^  ha  il  Talora  di  sdogUersi  dal- 
l'equilibrio, usdre  daUa  poaliione  di  equidi- 
stanza; se  non  che,  avendo  per  complemento 
da  quA  cinto,  né  l'equidistanza  essendo  ri- 
spetto all'orizzonte  ma  rispetto  allo  Zenit,  si 
può  anche  prandece  per  una  forma  contratta 
di  dOSbmtni  (ofr.  dXtìbmsn  in  jRir.  n  94). 
—  7.  eel  TOlio  eoo.  atteggiando  il  vdto  al 
suo  divino  sorriso.  —  9.  nel  punte  eoo.  in 
Dio,  quel  punto  luminoso  ohe  mi  aveva  ab- 
bagliato (cfir.  jRir.  zzvm  16  e  segg.).  — 10. 
pel  eeadnelò  eoe  Beatrice  in  questa  lunga 
trattazione  soUa  natara  angelioa,  parla  deUa 
creazione  degli  angeli  (w.  18-48),  degli  an- 
geU  fedeU  •  dd  ribdU  (w.  49-69),  delle  flib- 


ooltà  degli  angeli  (w.  70-84);  intenompe  la 
sua  esposizione  per  fue  un'  invettiva  ooatzo 
i  predicatori  di  vanità  e  i  mercanti  d' indul- 
gense  (w.  85-126);  e,  riprendendola,  ragiom 
dd  numero  degli  an^  (w.  137-186)  e  della 
grandezza  di  Dio  in  esd(w.  186-145).  —  !• 
Alee  eco.  Io  parie,  senza  chiederti  dò  òhe  ta 
desideri  di  sapeie,  perché  l' ho  veduto  nel 
divino  aspetto,  in  oui  tutto  è  presente  :  ttr. 
Par,  xzvi  106.  »  12.  s*  appunta  eoo.  d  rac- 
coglie ogni  luogo  ed  ogni  tempo:  modo  effi- 
cace di  signifloarel'unlvetsalità  deDa  sapiena 
divina,  e  a  oui  tutti  li  ten^i  scn  prosonti  s 
(jRir.  xvnlS).  — 18.  Hen  per  eoo.  Entrando, 
senz*  altro  a  pariare  della  creadone  de^  an- 
geli. Beatrice  tocca  della  ragione  per  coi  Ai- 
rone creati,  dicendo  òhe  Dio  creò  gli  angeli 
non  per  accrescere  a  sé  il  bene,  die  non  puA 
essere  essendo  egli  il  bene  primo  o  sommo, 
ma  perché  la  sua  bontà  d  manifestasse  sus- 
sistente nelle  creature  ;  dunque  la  ragione  di 
tale  creadone  tu  smore  verso  il  arcato.  Dante 
qui  seguita  le  dottrine  di  Tomm.  d' Aqu., 
Svimm,  P.  I,  qu.  L,  art  1,  e  Smnm,  conlrs 
fftnL  n  46.  —  14.  ■»  perehé  eoo.  ma  aflln- 
ché  la  sua  bontà  manHbatandod  noUe  crea- 
tore potesse  affermale  la  propria  susaifltaBza: 
ofir.  jRir.  xm  62-60.  —  16.  la  san  ecc.  l'e- 
terno amore  d  manltetò  in  nuovi  amori,  d 
estrinsecò  nella  cressione  degli  angeli  (oaiori, 
of^.  jRir.  ixvm  108),  Itaori  deDa  sua  eternità 
di  tempo  e  di  spazio,  secondo  che  a  lui  piac- 
que. I  padri  della  Chiesa  non  furono  d'ao- 
oordo  circa  il  tempo  della  creazione  degli  an- 
geli :  Dante  tenne  l'opinione  di  Pietro  Lom- 
bardo, Stnàmd.  n  1  e  di  Tomm.  d'Aqu.,  Dmmi, 
P.  I,  qu.  Lzi,  art  2-8,  secondo  oui  ^  aa- 
gdi  ftarono  creati  nd  primo  giorno  ddla 
creadone,  furono  dd  primi  «yfstti*  C^^.  xi 
8)  della  mano  divina.  »  17.  cerne  eco.  di  soa 
libera  volontà,  spontaneamente.  —  19.  K 


PABADISO  -  CANTO  XXIX 


819 


che  né  prima  né  poscia  procedette 
21        lo  discorrer  di  Dio  sopra  quest'acque. 
Forma  e  materia  congiunte  e  purette 
uscirò  ad  esser  che  non  avea  òlio, 
24        come  d'arco  tricorde  tre  saette; 

e  come  in  vetro,  in  ambra  od  in  cristallo 
raggio  risplendo  si  che  dal  venire 
27        all'esser  tutto  non  è  intervallo; 
cosi  il  triforme  effetto  del  suo  Sire 
neli' esser  suo  raggiò  insieme  tutto, 
80       senza  distinzion  nell' esordire. 
Concreato  fu  ordine  e  costrutto 


pgìmM  «00.  Né  d  ondA  éha  prima  dèlia  erea- 
sioiia  Dio  rfnmiaiwa  qvail  Inopaioto;  poiolié 
Fatto  della  anadona  non  fti  né  prima  né  poi, 
Al  cioè  innaosi  al  tempo,  il  quia,  Moondo  la 
deflniziona  tomittiea  (Symm,  P.  I,  qn.  z,  art 
1)  ò  «  nnmeina  motns  Moondom  priva  et  po- 
ttarins  ».  —  ai.  la  dlaeorrer  eoo.  è  frase 
UUioa,  dal  6^1  2:  cE  lo  spirito  di  Dio 
ti  Borera  lopia  la  Ikooia  della  aoqoe  ».  — 
22.  Fanaa  eoo.  La  forma  pura  a  la  materia 
para  a  la  forma  ooogianta  alla  materia  ftuono 
creata  dallo  iteeeo  atto  di  Dio,  rioeoirono  a 
eeeensa  perfètte  :  dal  nnlla  Dio  truse  nel 
principio  del  tempo  la  oieatara  larionala  a 
ipizitaale  (formapuntta,  natura  aagelioa),  la 
oceatara  ooiporala  (mtUtHa  pumUa^  natora 
ooiporea)  e  la  ereatua  ooxpcsale  a  reslonAle 
(forma  •  maitria  «mgimU,  natura  umana)  ; 
a  la  oceaslona  fo  ooe(  ooetitozione  di  enenze 
(«Maro  od  «fair)  perfotta  (oM  mo»  oms  faUo), 
▲•  Scxoooa,  JR  tigUma  damUmo^  dt.,  pp.  29 
e  oegg.  oostlena  ohe  d  aooennino  inyeoe  gli 
angeli,  la  materia  informe  e  i  oieli  ;  ood  ohe 
farebbe  antidpato  qni  il  oonoetto  egresso  nd 
TT.  81-86.  —  28.  eeeer  :  essenza;  la  Tarlante 
atto  è  da  rifiutare  anohe  perché  oon  essa  Tiene 
a  manoare  la  triplidtà  simmetrica  per  coi  in 
dasonna  delle  tre  terrine  rioorre  la  parola 
«SMT  (T.  28, 27,  29);  triplidtà  ohe  d  oonTiene 
oon  le  altre  idee  dell'arso  trioord»^  delie  tn 
Mdte,  del  triforme  effetto^  e  dd  tre  corpi  loddi 
(t.  25).  —  che  non  eoo.  senza  difotti,  ofr.  Cfon, 
I  81  :  e  Ed  Iddio  Tide  tatto  qaello  ohe  egli 
aToa  latto:  ed  eooo  era  mdto  buono  ».  — 
24.  ao«a  d'area  eoo.  non,  come  alooni  in- 
tendono, nello  stesso  momento,  ma  per  af- 
fotto  dallo  stesso  impulso,  sotto  la  medesima 
adone  dalla  mente  dtrina;  a  qud  modo  ohe 
dallo  scattare  d'un  aroo  tricorde  rioerono  im- 
palao  tre  saette.  Ood  intese  il  Lana  sori- 
Tendo  :  e  queste  tie  oose  uscirono  ad  essere 
par  Tolontà  divina  ».  —  d'aree  tricorde  eoo. 
Eoomaanente  i  commentatori  moderni  dicono 
qnestf  aroo  tricorde  essere  stato  imaginato  dal 


poeta  per  esprimere  H  suo  oonoetto  :  e  fànd 
ardd  (fioe  il  I^ma)  e*  hanno  tro  corde  e  saet- 
tano insieme  tie  saette,  ood  bdestre  ohe 
saettano  tre  bddoni  o  quadrelli  ».  n  Boti 
poi  diohiaca  il  senso  allegorico  della  compa- 
razione :  e  E  ben  d  oouTiene  questa  simili- 
tudine ;  imperò  ohe  Taroo  figura  la  DiTinità; 
le  tre  corde,  le  tre  persone.  Padre,  Figliuolo, 
Spirito  Santo;  le  tre  saette,  le  tre  spedo  ge- 
nerali dette  di  s(^ra,  doò  forma,  materia  e 
ooniunto:  imperd  ohe  in  essa  oreadone  fu 
ooncieante  la  potenzia  del  Padre,  la  sapien- 
zia  dd  Figliuolo,  e  la  benoTolenzla  delio 
Spirito  Santo  ».  --  26.  a  cerne  In  Tetro  eoo. 
e  oome  il  raggio  luminoso,  che  viene  a  col- 
pire Tetro  o  ambra  o  dtro  corpo  luddo  in 
Jùi  istante  tì  d  diffonde  tutto,  ood  la  trì- 
plice natura  creata  usd  dalla  mente  diTina 
nella  pienezza  dd  suo  essere,  senza  che  nel- 
l'atto della  oreadone  tì  fosse  distindone  di 
tempo.  La  dottrina  delTistantandià  della 
creazione,  seguita  da  Dante,  è  data  da  Ago- 
stino, D$  oÌ9,  Dei  SI  9,  da  Pietro  Lombardo, 
SmUmiL  n  1,  da  Tomm.  d'Aquino,  Summ,  P. 
I,  qu.  LzziT,  art  2  eoo.  —  crislalle  t  corpo 
lucido,  in  genere;  cfi:.  I^ar,  zzr  101.  —26. 
dal  Tenlre  eoo.  dd  Tenire  dd  raggio  nel 
Tetro  d  suo  diffonderd  nd  Tetro  stesso  non 
è  interTallo  di  tempo,  il  diifonderd  e  il  Te- 
nire sono  tutt'uno.  Ant:  e  Questo  passo 
merita  condderadone  per  la  noTità  oon  coi 
d  esprime  uno  stesso  oonoetto,  e  per  la  dot- 
trina ohe  Ti  professa  il  poeta  quanto  alla  ra- 
pida propaganone  della  luce,  creduta  istan- 
tanea da  lui,  oome  dd  Qallld  e  da  tutti  i 
dotti  prima  dd  tempi  nostri  ».  —  28. 11  trl- 
f  erme  eoo.  la  forma  pura,  la  materia  pura  e 
la  forma  congiunta  a  materia  uscirono,  agnisa 
di  raggio,  dalla  dlTinità  in  piena  e  istanta- 
nea sussistenza  ecc.  —  80.  seasa  eoo.  senza 
che  nell'atto  della  oreadone,  nella  creazione 
di  dasouno  di  questi  tre  s/f«fti,  forse  donna 
distinzione  di  tempo.  —  81.  Cencreate  eco. 
Insieme  oon  le  tre  nature  create  ta.  croato  e 


820 


DIYINA  COÌfMEDIA 


alle  mtatanoie:  e  quelle  foron  cima 
83       nel  mondo,  in  che  poro  atto  fu  prodatto; 
pura  potensa  tenne  la  parte  ima; 
nel  messo  strìnse  potensa  con  atto 
86       tal  vime  che  giammai  non  si  divima. 
eteronimo  vi  scrisse,  lungo  tratto 
di  secoli,  degli  angeli  creati, 
89       anzi  che  l'altro  mondo  fosse  &tto; 
ma  questo  vero  è  scritto  in  molti  lati 
dagli  sorittor  dello  Spirito  Santo, 
42       e  tu  te  n'avvedrai,  se  bene  agguati: 
ed  anche  la  ragione  il  vede  alquanto, 
che  non  concederebbe  che  i  motori 
45       senza  sua  perfezion  fosser  cotanto. 
Or  sai  tu  dove  e  quando  questi  amori 


stabilito  l'ordine  proprio  di  dMomuu  ~-  82. 
fatile  eoe  fimmo  cima  mi  mondo,  ftuxmo 
oollooete  nel  taiogo  pl6  iiibUine  della  crear 
xione,  quilU  in  eh»  fu  produMo  jmn  atto,  gli 
Angeli  in  cai  Tatto  fti  poro,  eeeendo  cesi 
pua  foxBa;  ofr.  Tomm.  d'A^o.,  gmiim.,  P. 
I,  qn.  L,  art.  2:  «Fonna  est  aetoa:  qnod 
ergo  est  forma  tantom,  est  aotna  poma  >.  ~ 
84.  para  potensa  eoo.  le  aostanse  ehe  Dio 
dotò  deOa  aola  capacità  di  rioerere  V  influenza 
altrui  ftirono  collocate  nella  jMrte  ima,  solla 
terra.  —  86.  ad  messe  eoe  nel  messo,  tra 
la  tMxa  e  il  delo  empireo,  furono  poste  le 
sostanae  attive  e  passlTe,  cioè  capaci  di  ri- 
cerere  dagli  esMri  anperiori  e  d' infloire  su- 
gli inferiori,  ossia  1  deli  e  die  di  sa  pren- 
dono e  di  sotto  &nno  »  (Air.  n  128).  —  86. 
lai  tIbm  ecc.  tale  legame  (cflr.  Par.  zmn 
100)  ohe  non  sari  mal  disdolto  eoo.  Si  ar- 
▼erta  che  «Am  è  soggetto;  intendendo:  un 
legameindissolabile  eongionse,  pose  congiunte 
la  potensa  e  l'atto  nel  meno  ecc.  —  87.  Gè- 
roalaie  eco.  San  Girolamo  scrisse  che  gli 
angeli  ftuono  eresti  una  lunga  serie  di  secoli 
prima  che  il  resto  del  BKmdo.  Questa  opinione 
ò  riferita  e  ooaftitata  da  Tomm.  d'Àqu.,  Smm», 
P.  I,  qu.  uà  art  8.  —  fi  scrisse  eco.  Nota 
il  Lomb.  ohe  la  singolarità  di  questa  oostru- 
tione  dipende  dell'aver  Dante  espresso  il  suo 
pensiero  al  modo  latino  :  «or^pstt  4$  angtU$ 
onoMf  muita  oatoula  amt$  ^moii»  eoe;  ma  non 
d  sarebbe  bisogno  di  ricorrere  a  questa  spie- 
gasione,  se  d  potesse  ritenete  che  il  poeta  al 
emUi  avesse  dato  un  senso  più  gonersle  : 
scrisse,  accennò  nd  sud  scritti  al  lungo  coxso 
di  secoli  durante  i  quali  esistettero  gli  an- 
geli, prima  che  ecc.  —  89.  l'altro  atOBéo  : 
il  resto  dd  mondo.  —  40.  ma  fuesto  ecc. 
ma  la  verità  oh'  io  f  ho  esposta,  doò  che  gli 
angeli  fìinmo  creati  insieme  od  mondo,  ò 
scritta  in  più  parti  dd  libri  sasri  o  se  tu  vi 


poni  attensione,  te  n'avvedrai.  Dante  d  ri- 
porta aa'argomento  usato  da  Tosun.  d'Aqu^ 
ammn.  L  dt:  «  Didtv  Gmm.  1 1  :  li»  jw^ 
oi^orta9Uàmig  ootlmn d  itmm;  non  aatem 
hoc  esset  verum,  d  aliqaid  ereneset  aate  ea: 
eigo  angeli  non  sunt  ante  naturam  eoipo- 
resm  creati  9  :  e  fono  miche  «vava  la  mente 
al  passo  dsU'JWssiagftwis  zvm  1:  «Qui 
vivit  In  aetsraum,  craavtt  omnia  simul  ».  — 
il.4agU  serltt«r  eoo.  dagli  autori  dei  libri 
sacri  :  ofr.  Mon.  mi  :  «Quamquam  soribae  di- 
vini doquii  multi  sint,  uaicns  tamoa  diotator 
est  Deus,  qui  benepladtum  snum  aobis  per 
multoomm  calamos  «rpttcare  dignatas  est». 
—  42.  aggaatls  dal  nome  yaoto,  che  ebbe  il 
senso  di  guardia  afllae  a  quello  del  moderno 
aggualo,  d  formarono  i  vb.  ^«atara  e  aggm- 
ian  con  dgniflcasloaa  oonforme;  •  ^ggmian 
qui  significa  porre  mente,  guardare,  mnttin 
rate.  —  48.  ed  aaehe  oca  e  questa  veritàè 
dimostrata  in  parte  anche  dalla  ragione  amena, 
la  quale  non  potrebbe  asunettare  ohe  gli  an- 
geli, motori  dd  ddi  (ofr.  Ome.  n  S),  fosssto 
stati  per  tanto  tempo  ommm  sua  pmiMon, 
senza  eserdtace  quell'uffido  di  motori  deOa 
afere  che  compie  la  loro  perfédone.  Dant» 
riprende  e  svolge  un  pensiero  dell' Aquinat», 
Smnm.  P.  I,  qu.  lzi,  art  8  :  «  Angeli...  snit 
qoaedamparsuniverd;  non  enim  oonstitaant 
per  se  unum  universum  ;  sed  tam  ipsi,  qasa 
creatura  corporea,  fai  constttutìonem  unim 
univard  conveniunt  Quod  appsiat  ex  er&s 
unias  ciaaturae  ad  aKam.  Orio  enim  rsna 
ad  invicem  est  bonum  univard.  Nulla  aatsa 
pars  pertKta  est  a  suo  tote  separata.  Ma 
est  igitur  probabile  quod  Deus,  OHìat  jmt/Ws 
tmU  operoy  ut  didtur  D$iiL  xxzn  4,  laedii 
ram  angdicam  seorsam  ante  alias  ersaturas 
creaverit  ».  ^  46^  Or  sai  eoo.  Adesso  ta  eo- 
nosd  il  laogo  o  il  tempo  fan  sai  tfl  aagan  te- 
•  eosM  esd  feroao  maati  tatti 


PARADISO  —  CANTO  XXIX 


821 


furon  eietti,  e  come;  ai  che  spentì 
48       nel  tao  disio  già  sono  tre  ardori 
Nò  giugneriesi  numerando  al  venti 
si  tosto,  oome  degli  angeli  parte 
61       turbò  il  soggetto  dei  vostri  elementi. 
L'altra  rimase,  e  cominciò  quest'arte, 
che  tu  disoemi,  con  tanto  diletto 
64       clie  mai  da  circuir  non  si  diparte. 
Principio  del  cader  fu  il  maledetto 
superbir  di  colui,  che  tu  vedesti 

67  da  tutti  i  pesi  del  mondo  costretto. 
Quelli,  che  vedi  qui,  ftiron  modesti 

a  riconoscer  sé  dalla  bontate, 
GO       ohe  gli  a^ea  £Eitti  a  tanto  intender  presti  ; 
per  che  le  viste  lor  fClro  esaltate 
con  grana  illuminante  e  con  lor  morto, 

68  si  o*  hanno  piena  e  forma  volontate. 


perfetti;  di  modo  ohe  tre  dei  taoi  dedderl 
tono  già  eodiffottL  —  48.  M4  gìmgmuiMÌÌ 
eco.  Della  oreesione  degli  engett  elle  oadnte 
di  perte  di  etel  pessd  un  tempo  ooei  breve 
che  non  bertasebbe  itor  contare  lino  e  rentL  • 
Le  ragione  di  qneeta  opinione  è  date  da  Tomm. 
d'Aqn.,  là  ore  {Summ,  P.  I,  qn.  ucn,  art 
6)  eoiire  ohe  Taageio  aoqnifta  la  beaiitadine 
dopo  nn  primo  atto  meiitodo  :  se  dnnqne  Ln- 
eifteo  non  avease  peccato  anbito,  U  ano  primo 
atto,  ohe  aaiebbe  atato  meritorio,  gli  aTrebbe 
acquietata  la  beatitadine  ;  cfr.  Smm.  P.  I, 
qn.  Lzm,  art.  6  :  e  Neceaae  eèt  dicece  [qnod 
atatim  póat  primnm  instans  aoae  ereationia 
diabohia  peooaTeiit],  ai  ponator  qnod  in  pri- 
me instanti  aoae  creatioaia  in  actom  liberi  ar- 
bitrii pronperit,  et  onm  gratia  ftierit  oreatoa. 
Onm  enim  Angeli  per  nnnm  aotom  merito- 
rinm  ad  beatitadinem  penreniant,  ri  diaboloa 
in  primo  instanti  in  gratia  creatoa  memit, 
atatim  poet  primnm  instana  beetitndinem  ao- 
uepisset,  nisl  statim  impedimentom  praestl- 
tlaset  pecoendo.  Si  vero  ponatnr  qnod  Ange- 
los  in  gratia  oreatas  non  ftierit,  Tèi  qnod  in 
primo  instanti  actom  liberi  arbitrii  non  po- 
tneiit  habere,  nihil  prohibet,  aliqoam  moram 
fuisen  intar  oraationem  et  lapenm  >.  Anche 
nel  CbfMT.  n  6:  cDi  tatti  qoeeti  ordini  ri 
perderoBoalqoanti  tatto  eh$  fttiwio  crtaU,  forse 
in  nnmsto  della  decima  parte;  alla  qoale  re- 
stanme  ta  ì*  nmana  natora  poi  creata  >.  — 
61.  tvrM  eoo.  cadde  a  torbare  la  tene,  ohe 
è  éA  quattro  elementi  quello  che  è  aoggetto 
de^  altri.  —  62.  L'altra  eoo.  Oli  angeli  fe- 
deli rimeeero  in  delo,  e  incominciarono  il 
loro  giro  Intorno  a  Dio.  —  68.  eoa  tante  eoo. 
oompiacendori  tanto  di  qoeato  lor  morimento 


che  non  oeaaano  mai  di  girare  intorno  eoo. 

—  66.  Frinelple  eeo.  La  prima  cagione  della 
caduta  degU  angeli  ta.  la  aopeiUa  di  Luci- 
fero, ohe  tu  Todeeti  nel  centro  della  terra, 
atretto  da  tutto  V  uniTorao  che  gravita  aopra 
di  hd.  Tutti  i  padri  deUa  chiesa  sono  oon- 
oordi  neU'ammettsTO  ohe  il  peooato  di  Luci- 
fero fti  di  superbia.  —  66.  vedesti  eoe  ofr. 
Inf.  zzznr  19  e  segg.  —  67.  da  tutti  eco. 
perché  è  nel  punto  <  al  quel  ri  traggon  d'o- 
gni parte  i  peri  >  (itf.  uaaw  111).  —  68. 
<)ueUl  eoe  OU  engeU  buoni,  ohe  tu  redi 
spatri  per  i  nove  cori,  ftuono  umili  nel  rioo« 
noscere  Tesser  loro  dalla  bontà  divina,  la 
qoale  U  areva  ereati  capad  d' intender  Dio. 

—  ■•iestls  umiU;  pùché  la  virtd  della 
umiltà  è  una  delle  forme  della  modsetla  e 
deUa  temperanxa  (ofr.  Tomm.  d'Aqu.  Aemn. 
P.  n  ^,  qu.  oLTi,  art.  i).  —  69.  a  rlee- 
noseer  ed  t  a  riconoscer  la  loro  sussistenza; 
altri  slegano  :  a  mostrarri  rlooncscentl  Terso 
la  divbia  bontà;  ma  il  dotta  eeclude  questa 
interpretaiione.  —  60.  a  tante  eco.  disposti, 
capaci  di  intendere  una  cosi  alta  Terità, 
qoanta  è  l'opera  della  crearione  divina.  — 
61.  per  ehe  eoe  per  la  qual  cosa  la  loro  ca- 
pacità di  Teder  Dio,  llimdamento  deUa  beati- 
tadine (ofr.  Air.  zzvm  109-110),  fri  aocre- 
sduta  con  la  grasia  illuminante  e  col  merito 
che  acquistarono  accogliendola  :  è  conforme 
alla  dottrloa  svolta  da  Tomm.  d'Aqu.,  Stmm, 
P.  I,  qu.  Lzn,  art  A  :  <  Gratiam  habuit  An- 
gelus antequam  esset  beatus,  per  quam  beo- 
tìtudinem  meruit  ».  — 68.  sf  eke  ecc.  di  modo 
ohe  hanno  piena  e  forma  Tolontà  di  operare 
il  bene  ;  pnché  «  Angelus  beatus  nullo  modo 
pecoase  potest  >  (Tomm.  d'Aqu.,  L  ctt,  art 


822 


DIVINA  COMMEDIA 


E  non  voglio  che  dubbi,  ma  aie  certo 
cbe  ricever  la  grazia  è  meritorio, 
66       secondo  ohe  VaSétto  Vh  aperto. 
Ornai  d'intorno  a  questo  consistorio 
puoi  contemplare  assai,  se  le  parole 
69       mie  son  ricòlte,  senz'altro  aiutorio. 
Ma  perché  in  terra  per  le  vostre  scuole 
si  legge  che  l'angelica  natura 
72       ò  tal  che  intende  e  si  ricorda  e  vuole, 
ancor  dirò,  perché  tu  vegg^  pura 
la  verità  che  là  giù  si  confonde, 
75       equivocando  in  si  &tta  lettura. 

Queste  sustanzie,  poi  che  far  gioconde 
della  fftccia  di  Dio,  non  volser  viso 
78       da  essa,  da  cui  nulla  si  nasconde  : 
però  non  hanno  vedere  interciso 
da  nuovo  obbietto,  e  però  non  bisogna 
81        rimemorar  per  concetto  diviso. 

Si  che  là  giù  non  dormendo  si  sogna, 
<»edendo  e  non  credendo  dicer  vero; 
84        ma  nell'uno  è  più  colpa  e  più  vergogna. 


8).  —  Si.  K  som  ?0f  !!•  eoo.  Spiega  il  mtrio 
che  ha  rioordato  accanto  alla  graxia  (r.  62), 
dicendo:  Né  ta  deri  dabitare,  maener  fer- 
mamente penoaso  che  è  opera  meritoria  ao- 
coglier  la  gmU;  eecondo  che  è  più  o  meno 
▼irò  l'affetto  col  qoale  l'animo  ai  apre  alla 
grazia  stessa  :  maggiore  è  il  merito  quanto 
pid  Tira  è  la  disposizione  ad  accoglier  la 
grazia.  —  67.  Ornai  eco.  Intorno  a  tatto  dd 
ohe  si  riferisce  all'angolico  collegio  ta  paci 
comprendere  senz'  altro  alato  molte  altre  cose, 
se  hai  intesa  la  mia  esposizione.  —  eesil- 
storle  t  cf^.  la  nota  al  Purg.  ix  2A.  ~  68. 
■e  le  parale  eoe.  oflr.  la  stessa  espressione 
in  Piar,  iv  88.  ~  69.  alntorie  :  aiuto  (dal 
lat  adiuiorium).  —  70.  Ha  perché  ecc.  Ha 
perché  giù  nel  mondo,  nelle  scuole  teologi- 
che, si  insegna  cho  gli  angeli  hanno  le  facoltà 
dell'intelligenza,  della  memoria  e  della  to- 
lontà,  parlerò  ancora  affi  oche  tu  conosca  in 
tutta  la  purezza  quella  verità  che  laggiù  si 
confonde,  per  gli  equiroci  dei  dottori.  I  teo- 
logi cristiani  ammettevano  queste  tre  Csooltà 
negli  angeli,  tuttavia  Tommaso  d' Aqu.,  5wmm. 
P.  I,  qu.  Liv,  art  6  fa  alcune  riserve  circa 
la  facoltà  della  memoria,  che  sooondo  lui  si 
può  tribuire  agli  angeli  solo  in  quanto  è  ool- 
looata  nella  mente  (cfr.  Agostino,  De  trint" 
tate  iz  2,  X  11);  ma  Dante  nega  loro  asso- 
lutamente tale  facoltà.  —  71.  al  legge:  ai 
insegna  dai  maestri  o  lettori^  nelle  facoltà  teo- 
logiche ;  onde  poi  nel  v.  76  lettura  è,  al  modo 
medioevale,  l'insegnamento.  —  75.  efil?»- 


eaado  eoe  per  la  confusione  dei  thì  dgai- 
ficati  d*  ona  paiola  ohe  ti  fa  nelle  scuole.  8i 
ricordi  qoi  ohe  egMéooeo  signiiloò  per  gli  an* 
tichi,  seoondo  l'etimologia,  somiglianza  di  voci 
(si  cfr.  Inf,  I  36),  onde  equwooan  ed  equirnh 
eaxAom  espressero  1*  idea  della  signifloaziooe 
varia  dello  stesso  vocabolo,  o,  ooom  dice  il 
Buti,  e  quando  lo  vocabolo  è  ano  e  le  signi- 
ficazioni siano  vBrìe  *.  Da  dò  ritolta  che 
Dante  volle  dire  che  i  dottori  erravano  nel- 
l'attribuire,  a  proposito  degli  ang^  alla  pa- 
rola memoria  il  senso  che  ha  per  gli  uomini, 
di  facoltà  di  richiamare  alla  monte  un'  idea 
0  un  Catto  ;  mentre  per  gli  angeli  questo  ri- 
chiamare non  ha  luogo,  tutto  essendo  loro 
presente.  —  76.  ireste  eco.  Queste  creatuxe 
angeliche,  dal  momento  che  ftirono  beato  per 
la  visione  di  Dio,  non  rimossero  il  loro  sguardo 
da  Dio  stesso,  cui  tutto  è  presente.  —  79. 
però  aon  hanno  ecc.  per  ciò  la  loro  vìsiotte 
non  fu  mai  interrotta  dal  sopravenire  di  al- 
cun nuovo  obbietto,  e  perciò  esse  non  hanno 
bisogno  di  ricordare  nuovamente  per  alena 
concetto  rimasto  ftiorl  della  mante.  Videro 
tutto  sin  dal  primo  momento  della  beatìto- 
dine,  quindi  nulla  dimentioarono,  e  perciò  di 
nulla  debbono  lioordaisi.  —  82.  8(  ehe  eoe. 
Nel  mondo  si  sogna  ad  occhi  i^rti,  doè  s^i- 
maginano  dottrine  che  non  hanno  alcun  fon- 
damento di  verità  e  di  ragione;  e  questi  so- 
gni si  Canno  in  buona  e  in  cattiva  lède,  cre- 
dendo di  dire  il  vero  e  sapendo  di  dire  il 
falso.  —  84.  BA  aell'uo  «oc  mais  qaem 


PABADISO  -  CANTO  XXIX 


823 


Voi  non  andate  giù  per  xm  sentiero 
filosofando;  tanto  vi  trasporta 
87       Tamor  dell'apparenza  e  il  suo  pensiero. 
Ed  ancor  questo  qua  su  si  comporta 
con  men  disdegno,  che  quando  è  posposta 
90       la  divina  scrittura  o  quando  ò  tòrta. 
Non  vi  si  pensa  quanto  sangue  costa 
seminarla  nel  mondo,  e  quanto  piace 
93       chi  umilmente  con  essa  s'accosta. 
Per  apparer  ciascun  s'ingegna,  e  iàce 
sue  invenzioni;  e  quelle  son  trascorse 
96       dai  predicanti,  e  il  vangelio  si  tace. 
Un  dice  che  la  luna  si  ritorse 
nella  passion  di  Cristo  e  s'inteipose, 
99       per  che  il  lume  del  sol  giù  non  si  pòrse; 
ed  altri  che  la  luce  si  nascose 
da  sé;  però  agl'Ispani  ed  agl'indi, 
102       com' a' giudei,  tale  eclissi  rispose. 
Non  ha  Fiorenza  tanti  Lapi  e  Bindi, 


che  soetongono  dottriiM,  alle  quali  «ni  itevi 
non  credono,  è  pi6  oolpe  e  pi6  reigogna.  — 
85.  Voi  nen  antete  eoe  n  ricordo  di  on  or- 
rore bandito  dalle  cattedre  teologiche  trae 
Beatrice  a  una  digreaaione  contro  i  yani  pre- 
dicatorL  —  men  andate  ecc.  nel  fllosoCue  non 
procedete  tatti  per  la  medesima  Tia,  ma  esco- 
gitate sistemi  e  metodi  noori  e  opposti  fra 
loro,  tanto  siete  ftiorTiati  dal  desiderio  e  dalla 
preooonpazione  di  iqiparir  dotti  e  profondi 
creatori  di  dottrine.  ~  88.  Ed  ancor  ecc.  Né 
questo  ò  il  peggio,  anzi  ecoita  in  cielo  minor 
disdegno  che  il  trascurare  o  l'alterare  la  sa- 
cra scrittore.  —  89.  posposta:  trasoorata  al 
confronto  delle  sorittare  o  dottrine  umane 
(cfr.  la  nota  al  F»,  ix  183).  —  90.  tòrta: 
alterata,  sforzata  a  significazioni  aliene  dallo 
spirito  delle  sacre  carte.  —  91.  Men  t1  si 
pensa  ecc.  Fra  voi  non  si  pensa  quanto  san- 
gue di  martiri  sia  stato  rersato  perché  le 
dottrine  della  sacra  scrittura  si  spargessero 
nel  mondo,  e  quanto  sia  sacro  a  Dio  colui 
che  coltira  e  professa  umilmeate  quelle  dot- 
trine. ~  93.  con  essa  eoo.  Espressione  fe- 
lice e  vaga,  che  rende  Tidea  di  una  comu- 
nione di  spirito  tra  U  credente  e  le  sacre 
carte  ond'egli  deriva  la  sua  fede.  —  94.  Per 
apparer  ecc.  Per  amore  dell'apparenza  (cfr. 
▼.  87)  ciascuno  fa  sforzi  d'ingegno  e  d'ima- 
ginazione, e  i  predicatori  inreoe  di  esporre 
il  rangole  si  perdono  in  astruserìe  e  fanta- 
sticherie. Due  Tizi  trora  Dante  da  ceosurare 
nell'  eloquenza  sacra  del  suo  tempo  :  l'abuso 
del  ragionamento  (s' kiffeffna)^  per  cui  le  idee 
più  semplici  erano  sviluppate  per  intermina- 


bili o  lottili  dimostrazioni  e  divisioni;  Tee- 
cesso  dell'invenzione  iìuitastioa  (faeé  tm  li»- 
«0fM<ofiO»  per  cui  a  contema  delle  verità 
s' inventavano  strani  e  inverosimili  racconti 
di  miracoli  grotteschi,  di  avvenimenti  pan- 
HMi,  di  castifl^  terribiU  eoo.  —97. Un  dice 
eoe.  Per  dare  un  esempio  delle  stranezze  dei 
predicatori,  cita  il  caso  di  odoro  ohe  dal  per^ 
game  si  pongono  inopportunamente  a  cercare 
la  ragione  per  cui  nella  passione  di  Cristo  il 
sole  si  oscord.  A  questo  proposito  correvano 
tra  altre  le  due  opinioni  qui  ricordate  da 
Dante  (cfr.  Tomm.  d' Aqu.  ditmm.  P.  m, 
qu.  zLiv,  art.  2)  :  secondo  alcuni,  la  luna  re- 
trocedendo s' interpose  fra  il  sole  e  la  terra; 
secondo  altri,  il  sole  ritrasse  1  snoi  raggt 
Qualunque  fosse  la  verità,  non  sono  questioni 
da  disputarne  innanzi  al  popolo  raccolto  in 
chiesa  per  udire  la  parola  di  Dio.  —  la  lana 
ecc.  Tomm.  d'Aquino,  1.  dt.:  «CSrca  hoo 
magia  oredendum  est  Dionysio,  qui  oculata 
fide  inspexit  hoc,  acddisse  per  interpositio- 
nem  lunae  Inter  nos  et  solem  ».  —  99.  gitf 
eoe  non  arrivò  più  sulla  terra.  —  100.  ed 
altri  ecc.  Tomm.  d' Aqu.,  1.  dt.  :  «Seoundum 
quosdam...  fbit  propter  hoo  quod  sol  suos  ra- 
diors  retrazit,  nulla  immutatione  £Msta  droa 
motum  ooelestium  corporum  ».  —  101.  però 
eoo.  perdo  tale  eolissi  Iti  generale,  il  sole  si 
oscurò  non  pure  ai  giudei,  ma  ai  popoli  del- 
l'estremo ooddente  (itpanC)  e  dell'estremo 
oriente  (indi),  —  108.  Hen  ha  eoe  Non  sono 
in  Firenze  tanti  uomini  che  portano  i  nomi 
di  Li^  o  di  Bindo  (usatissimi  nel  medioevo 
nella  patria  di  Dante),  quante  fàvole  di  que« 


824 


DIVINA  COBIMEDIA 


quante  si  fatte  febvole  per  anno 

105  in  pergamo  ai  gridan  quinci  e  quindi; 
6i  che  le  pecorelle,  ohe  non  sanno, 

toman  dal  i^asco  pasciute  di  vento, 

106  e  non  le  scusa  non  veder  lo  danno. 
Non  disse  Cristo  al  suo  primo  convento: 

'  Andate,  e  predicate  al  mondo  ciance  ', 
111       ma  diede  lor  verace  fondamento; 
e  quel  tanto  sonò  nelle  sue  guance, 
si  eh*  a  pugnar,  per  accender  la  fede, 
114       dell'evangelio  fSro  scudo  e  lance. 
Ora  si  va  con  motti  e  con  iscede 
a  predicare,  e  pur  che  ben  si  rida^ 
117       gonfia  il  cappuccio,  e  più  non  si  richiede; 
ma  tale  uocel  nel  becchetto  s'annida, 
che,  se  il  vulgo  il  vedesse,  vederebbe 
120       la  perdonansa  di  che  si  confida; 
per  cui  tanta  stoltizia  in  terra  crebbe 
che,  senza  prova  d'alcun  testimonio, 


■to  genere  si  gridano  ^ua  e  là  dal  peigamo 
eoo.  —  104.  i£  flitit  fkyele  eoo.  Delle  pfe- 
diohe  del  tempo  di  Dente  a  noi  STanzano  so- 
Umente  quelle  di  fra  Giordano  da  Blvalto 
(n.  oiroa  1360,  m.  1811),  ma  non  aono  tali  da 
poter  ettaro  a  oonieima  deQe  parole  dei  poeta: 
ehi  TogUa  nn  ngglo  delle  immudomi  predi- 
cabili riprorate  dall' AUghierl  legga  le  noTel« 
lette  degli  ambaaoiatorl  da  Bergamo  e  di  ma- 
donna Bnona  di  Siena,  raooontate  a  qneeto 
passo  dal  Lana.  ~  106.  ■(  elle  eco.  di  modo 
che  1  fedeli  ignoranti  tornano  dalla  predica 
senza  aver  ftitto  alcnn  profitto,  e  l'ignorare 
il  danno  non  è  per  loro  una  sonsa  snffloiento. 
Vuol  dire  il  poeta  ohe  ogni  cristiano  ha  il 
dovere  d'istmirai  si  da  eesere  in  grado  di 
apprezzare  la  Taooità  di  certi  predicatori  e 
di  proYTedere  alla  salate  dell'anima  sna.  — 
107.  tonan  eco.  efr.  Par,  zi  127  e  aegg.  — 
109.  Non  disse  eoo.  Oisto  non  disse  agli 
apostoli  di  andare  a  predicare  al  mondo  doUe 
Tane  ciance,  ma  diede  loro  on  fondamento 
Torace,  oomnnicd  loro  la  Torità  OTangelica 
che  doTeTano  bandire  ai  popoli  :  efr.  Matteo 
xxvm  19,  Marco  xti  16,  Gioranni  xr  21.  — 
primo  eoiTente  ;  primi  compagni  di  Cristo 
e  segnaci  della  sna  fede  furono  gU  apostoli, 
propagatori  della  dottrina  cristiana  per  mezzo 
della  predicadone  e  del  martirio.  —  112.  e 
qnel  eco.  e  soUe  bocche  degli  apostoli  risonò 
solamente  quella  Toraoe  dottrina,  si  che  essi 
nella  lotta  per  la  propagazione  della  fede  non 
ebbero  altre  armi  che  il  Tangelo.  —  tanto: 
solamente;  già  l'abbiamo  troTato  in  J^.  n 
67,  xnn  13.  —  114.  seidt  e  lance  :  a  difen- 


dere la  fede,  e  a  oombattere  gii  etrori.  — 
116.  Ora  eoe  Adesso  si  Ta  a  predicare  oon 
arguzie  e  freddure,  e  pur  die  si  riesca  ad 
eccitare  grosse  risate  la  Tanità  del  predica- 
tole è  aodisfetta.  —  lieede:  le  sc«lt,  dioa 
il  Boigh.  p.  267,  aono  <  ooae  scipito,  e  che 
direm  noi  oggi  lezii  e  sTeneroleap»,  e  eecto 
piacoTolezse  fredde  e  feetidiose,  se  piaoero- 
lene  d  posson  chiamare  questo  tali».  —  HO. 
Ikea  si  rida  t  non  di  un  riso  temperato  e  de- 
cento, ma  di  risa  sgangherato  e  inoompoets. 
•^  117.  gente  eoo.  il  cappuccio  del  frate  pre- 
dicante, ossia  lo  stesso  frate  gonfia  di  Tanità. 
"  US.  aa  tale  eco.  ma  nella  punte  del  oap- 
puodo  s'annida  il  diarole,  U  wmkMigiò  ncetUo 
iitf.  xxn  96)  ohe  di  ooteste  àbenazioni  ai 
rallegra.  —  feeeeketlo  t  è  U  punte  nella  quale 
termina  il  cappuccio,  in  cui,  quando  è  calato 
pud  annidarsi  un  uoDello.  Si  noti  l*  oso  di 
queste  parole  del  linguaggio  popolare  che  ar- 
TiTano  il  dlscocso  anche  nei  momenti  pl&  so- 
lenni :  Dante  sdegnato  parla  più  efficacemento 
del  sdito  il  linguaggio  materno,  perdio  la  sua 
parola  prorompe  libera  e  spontanea  dall'animo 
commosso.  — 119.  se  il  tu^  eoo.  se  il  Tolgo 
intondesse  oome  ootali  prediche  sieno  inspi- 
rato dal  demonio,  Todrebbe  di  non  potar  otte- 
nere la  perdonanza  o  Plndalgenza  che  spera 
di  conseguire  asooltando  una  predica.  — 121. 
per  evi  eoo.  per  tale  perdonanza,  pioiiieeiia 
ai  frequentotori  delle  predidie,  è  Tenute  cre- 
scendo nd  mondo  tante  stoltesaa  che  a  qual- 
siad  promessa  d' indulgenza  il  popcdo  trar- 
rebbe in  fella,  anohe  senn  la 
ooacesdoni  pontificie  eco.  — 132.  t 


F      .■»■ 


PARADISO  -  CANTO  XXIX 


825 


123       ad  ogni  promission  si  converrebbe. 

Dì  questo  ingrassa  il  porco  sant' AntoniOi 
ed  altri  ancor  cbe  son  assai  più  porci, 
126       pagando  di  moneta  senza  conio. 
Ma  perché  siam  digrossi  assai,  ritòrci 
gli  occhi  oramai  verso  la  dritta  strada, 
129       si  ohe  la  via  col  tempo  si  raccorcL 
Questa  natura  ai  olire  s*  ingrada, 
in  numero,  ohe  mai  non  fu  loquela 
182       né  concetto  mortai  che  tanto  vada. 
E  se  tu  guardi  quel  che  si  rivela 
per  Daniel,  vedrai  che  in  sue  migliaia 
185       determinato  numero  si  oela. 
La  prima  luce,  che  tutta  la  raia, 
per  tanti  modi  in  essa  si  recepe, 
188       quanti  son  gli  splendori  a  che  s'appaia; 
onde,  però  che  all'atto  che  oonoepe 


pur  Bumeando  le  bolle  papali  di  oonoessione 
ddla  promessa  perdonanza.  —  128.  si  eoa- 
Terrebbe:  si  aooonerebbe,  il  popolo  si  ra- 
doneiébbe  aiUe  ehiese.  —  12A.  DI  «aeftd 
eco.  Di  questa  oredalità  popolare  i  religiosi 
traggono  profitto  per  ingrassare  il  porco  e 
altri  ancora  ohe  sono  pili  sessi  dei  pord,  ri- 
cambiando i  creduli  fedeli  con  false  indnl- 
genxe.  Per  intender  bene  l'espressione  dan- 
tesca è  da  altere  che  per  devodone  a  san- 
t'Antonio, eremita  egidano  (n.  268,  m.  868)  e 
fondatore  della  yita  monastica,  il  qnale  si  rap- 
presentara  accompagnato  da  nn  poioo  (sim- 
bolo del  diavolo  die  in  tatto  le  forme  l'area 
tentato),  si  diffuse  nei  paesi  cristiani  l'àbito- 
dine  di  andare  accattando  in  nome  di  qnel 
santo,  sotto  colore  che  l'elemosina  cosi  ri- 
chiesta fosse  per  l'ospedale  denominato  dal 
santo  nella  dttà  di  Vienna  :  inoltre  l'ordine 
monastico  degli  Antoniani  introdusse  l'osanza 
di  mantenere  e  ingrassare,  od  fratto  della 
Hmnrinifc^  dd  pord,  cho  il  popolo  anche  in 
Toscana  (cfr.  F.  Sacchetti,  Nov$U«  ex)  teneva 
per  benedetti,  e  credeva  die  male  incogliesse 
a  chi  li  avesse  maltrattati  ;  ondo  erano  da 
tatti,  non  par  toUeiati,  ma  dbati  e  accarez- 
zati. Da  qossto  pratiche  snperstiziose  Danto 
seppe  trarre  an'imagine  di  potente  realità, 
per  dire  che  i  frati  predicatori  e  mendicanti, 
del  preszo  ricavato  dalla  vendita  delle  indol- 
genxe,  mantenevano,  non  pare  il  porco,  ma 
altri  pid  soKzi  dd  pord,  come  servi  malvagi, 
figUnoU  illegittimi,  coneabine,  mezzani  ecc. 
~  126.  Meneta  sansa  eonie  :  le  vane  parole 
con  le  qnali  promettono  indnlgenze  fallad. 
—  127.  Ha  perdtf  eco.  Dalla  langa  digres- 
done  Beatrice  ritoma  all'axgomonto,  non 
senza  Cune  avvertito  DantOt  coi  l'invettiva 


contro  l  vani  predicatori  poteva  aver  iktto 
dimenticare  la  trattazione  salla  natora  ange- 
lica. —  ritòret  eco.  rivolgi  ormai  gli  occhi 
dia  dritta  strada,  ripensa  d  ragionamento 
ohe  è  steto  intorrotto,  d  che  possa  essere 
compiato  nel  breve  tempo  che  d  resta.  — 
129.  s(  ebe  eco.  Si  pad  dispatare  sol  senso 
di  qaesto  verso,  se  doè  s' abbia  a  riforire  al 
compimento  del  discorso  di  Beatrice  sopra 
gli  angeli,  o  d  compimento  della  vidone  dan- 
teeca  e  quindi  del  poema  saero  :  di  qaesto 
ultima  maniera  d' intendere  d  potrebbe  tro- 
vare nna  conforma  nelle  parole  dd  Bar,  zxxii 
189.  —  180.  (|aesta  eoe.  La  natnra  angdica 
si  moltiplica  tanto  nel  nomerò,  che  non  fti 
mai  Ungna  o  concetto  amano  capace  di  d- 
gnifioare  ood  gran  qnantltà;  il  nnmero  degli 
angeli  è  tanto  grande  che  non  d  pnò  espri- 
mere n6  oonoepire  dall'  nomo  :  cfr.  la  nota 
al  Bgrg.  zxvm  92.  —  188.  E  le  ta  ecc.  E 
se  ta  condderi  dò  che  in  propodto  d  legge 
in  Daniele  (nd  passo  già  riferito  in  Air. 
zxvm  92),  intonderd  ohe  nelle  sne  mlglida 
non  d  manifesta  doon  nnmero  determinato  : 
le  sae  perde  mUIia  mUHmn  (ood  la  volgata) 
non  significano  se  non  miffUttSa  di  migliata^ 
indeterminatamente.  ^  186.  La  prima  Inee 
eoo.  La  lace  di  Dio  (cfr.  Bar,  ni  82,  v  8,  xi 
20),  che  d  diffonde  sopra  tntta  l'angelica  na- 
tnra, è  accolta  da  essa  in  tanto  maniere  di- 
verse quanti  sono  gli  angeli  d  qndl  si  con- 
ginnge  :  perdo,  docome  alta  vidone  di  Die 
ò  pn^ordonato  l'amore,  accade  ohe  ta  dol- 
cezza ddl*  amore  d  in  dascnn  angelo  di  di- 
versa intondtà.  —  ralas  cfr.  lìtr,  xv  66.  — 
187.  il  recepe  t  à  ricevuta  ;  cfr.  I^gr,  n  85. 
—  189.  all'atta  eco.  all'atto  delta  compren- 
done, delta  vidone  di  Dio,  che  è  dfetto  delta 


826 


DIVINA  COMMEDIA 


segue  l'affetto,  d'amor  la  dolcezza 

141       diveraamenie  in  essa  ferve  e  tepe. 

Vedi  l'eccelso  ornai,  e  la  larghezza 

dell'eterno  valor,  poscia  ohe  tanti 

specoli  fatti  s'ha,  in  che  si  spezza, 

145    uno  manendo  in  sé,  come  davanti  ». 

Imdiazioiie  della  laoe  dirina,  è  pfopucdo- 
nato  l'affotto  (ofr.  Par,  xzrm  109).  —  HO. 
d'asor  eco.  l'amoie  è  negli  angeli  pM  o 
mono  intenso,  pi6  férrente  o  più  tepido,  ae- 
condo  che  accolgono  più  o  meno  della  looe 
divina.  —  142.  Vedi  eco.  Oimai  ta  paci 
oompiendere  la  mblimità  e  la  Immenrità  del- 
r  etemo  yalore,  Dio,  pololié  ha  oreato  tanti 
angeli  ni  qnali  diffonde  la  ina  luce  oonsei^ 
rendo  Immutata  la  eoa  primitiTa  unità  :  (>  lo 


^ in  Ar.  sn  68-60 

eon  la  medesima  imagine  degli  ipeooU,  cara 
a  Dante  lin  da  quando  (D$  m^,  tL  i  2) 
chiamò  Dio  «  ilhid  folgentisilmnm  •peoalom 
in  quo  eottott  [angeli]  repraesentantnr  poi- 
ohMiimi,  atqne  aTidiatlmi  speonlantnr  »  :  cCr. 
anche  Air.  oc  61-62.  —  114.  tpeenll  :  lati- 
nismo insolito  in  Dante,  ohe  altrore  osa  sem- 
pre le  forme  tpeeehio  o  fpvyito.  —  145.  wut" 
ntnde  :  rimanendo,  efr.  Per.  zm  60. 


CANTO  XXX 

Seomparsl  t  nove  cori  angelici,  Beatrice  e  Dante  si  trovano  ormai  nel 
cielo  Empireo  :  il  poeta  fatto  capace  di  mirare  il  fulgidissimo  fiume  di  inee, 
che  da  ogni  parte  gli  sfolgora  intorno,  contempla  il  meraTlglioso  spetta- 
colo della  rosa  celeste,  nella  quale  gli  appariscono  trion&nti  gli  angeli  e  i 
beati,  e  ivi  egli  vede  il  seggio  predestinato  all'imperatore  Arrigo  TU 
[14  aprile,  ore  pomeridiane]. 

Forse  sei  mila  miglia  di  lontano 


TTT  1.  Forte  ecc.  Dorendo  deecriyere 
come  il  fiolgidiseimo  trionfo  dei  oori  angelici 
disparisse  al  suoi  occhi  nella  divina  Ince  del- 
l' Empireo,  al  quale  egli  saliva  con  Beatrice, 
il  poeta  ricorre  a  una  bellissima  simiUtndine 
dedotta  dallo  svanire  graduale  delle  stelle  al 
venir  dell'aurora;  e  dice:  Quasi  seimila  mi- 
glia d  lontano  da  noi  il  mezzogiorno  e  l'om- 
bra della  terra  si  stende  In  linea  orizzontale 
dalla  parte  opposta  all'oriente,  allorché  il 
mezzo  del  delo  stellato  incomincia  a  imbian- 
care si  che  le  stelle  di  minor  luce  cessano 
via  vìa  di  apparir  sino  a  noi,  e  quando  l'au- 
rora procede  il  delo  resta  privo  di  tutte  le 
stelle  sino  alla  più  luminosa;  nello  stesso 
modo  a  poco  a  poco,  l' un  dopo  l' altro,  ces- 
sarono di  apparire  al  mio  sguudo  i  nove  cori 
angelici.  Nota  il  Biag.:  e  L'angelico  trionfo, 
che  ha  tenuto  sinora  Dante  sospeso  di  tanto 
stupore,  si  dilegua  a  poco  a  poco  allo  atto- 
nito suo  sguardo,  ohe  s' ha  a  disporre  ad  altre 
maravigUose  viste  e  miracolL  Ha  conviene 
che,  nei  rimembrare  quell'  atto,  cerchi  l' in- 
gegno suo  un  esempio,  e  tale  di'ogni  occhio 
mortale  aggiunga  a  tanta  vista.  Cosi  fa  di 
fatto  nella  divina  similitudine,  che  Ò  porta 
e  ingresso  a  tante  inaudite  bellezze,  quante 
vedrà  l'attento  lettore  dispiegarsi  agli  oc- 
chi suoi».  Secondo  alcuni,  la  similitudine 


contenuta  In  questi  versi  serve  a  infioar» 
indirettamente  il  momento  in  cui  Dante  •  Boe^ 
trice  salirono  all'  Empireo,  che  sarebbe  stato 
verso  r  alba  dell'  ultimo  giorno  del  mistioo 
viaggio  (ofr.  BaitoU,  Storia  delta  leU.  itoL, 
voU  VI,  parte  I,  p.  244);  ma  non  si  può  ani- 
mettere  che  qui  si  abbia  un  accenno  a  tàò^ 
poldìé  dai  passi  del  Par,  xxii  138  e  aegg., 
xxvn  79  e  segg.,  risulta  manifosto  cfa«  la  ri* 
sione  dantesca  volgeva  al  suo  termine  nello 
ore  immediatamente  seguite  al  mezzogiorno. 
—  sei  mila  miglia  eoe  Dante  valutava  la 
droonferenza  della  terra  20400  mi^  (Cbnv. 
DI  6,  IV  8)-;  la  quarta  parte,  doi  il  quadrante 
che  rispetto  al  oorso  solare  corrisponde  a  set 
ore  di  tempo,  è  dnnque  miglia  6100,  distanza 
del  punto  della  terra  in  cui  è  la  prìxna  ora 
del  giorno.  Ma  fl  poeta  vud  indicare  an  mo- 
mento anteriore  aUa  prima  ora  del  di,  circa 
un' ora  avanti  II  sorger  del  sole;  e  perd  pooo 
ootesta  distanza  aoeresduta  di  circa  un  sesto 
(900  miglia  corrispondono  a  un'  ora  e  pochi 
minuti),  e  nell' indicarla  premette  un  /brse, 
per  tu  ben  oomprendere  die  egli  non  dà 
una  dfra  matematica  precisa  :  efr.  Della  Valle, 
JI  mnto  ffeogr.  attr,  pp.  140  e  segg.  I  com- 
mentatori antichi.  Lana,  Ott,  Benv.,  Bati 
ecc.,  ai  quali  sfoggi  la  valutazione  accettata 
da  Dante  nd  Gmv.,  dicono  die,  secondo  gH 


PARADISO  —  CANTO  XXX 


827 


ci  ferve  l'ora  sesta,  e  questo  mondo 

8  cliixia  già  l'ombra,  quasi  al  letto  piano, 
quando  il  mezzo  del  cielo,  a  noi  profondo, 

comincia  a  fieursi  tal  ohe  alcuna  stella 
6       perde  il  parere  infino  a  questo  fondo*; 
e  come  Tien  la  chiarissima  ancella 
del  sol  più  oltre,  cosi  il  del  si  chiude 

9  di  yista  in  vista  infino  alla  più  bella: 
non  altrimenti  il  trionfo,  che  lude 

sempre  dintorno  al  punto  che  mi  vinse, 
12       parendo  inchiuso  da  quel  eh' egP  inchiude, 
a  poco  a  poco  al  mio  veder  si  estinse; 
per  che  tornar  con  gli  occhi  a  Beatrice 
15        nulla  vedere  ed  amor  mi  costrinse. 
Se  quanto  infino  a  qui  di  lei  si  dice 
fosse  conchiuso  tutto  in  una  loda, 
18       poca  sarebbe  a  fornir  questa  vice. 
La  bellezza  ch'io  vidi  si  trasmoda 
non  pur  di  là  da  noi,  ma  certo  io  credo 
21        che  solo  il  suo  fattor  tutta  la  goda. 


astronomi,  1»  circonfennza  doli*  terra  è  di 
24  mila  origlia,  e  perdo  il  lesto  oasia  6  mila 
corriapondono  aUe  tei  ore;  ai  oha  il  poeta 
avrebbe  indicata  la  prima  ora  del  giorno: 
ma  il  V.  7  dimoetra  ohe  il  momento  di  tempo 
è  anteriore  al  venire  dell'aurora.  —  2.  l'era 
leatat  il  mezsogiomo;  etr.  Inf,  xxn?  96; 
Pur.  xm  142.  —  e  faeite  eoe  e  la  noetra 
terra  manda  la  eoa  ombra  snll*  orixsonte  oc- 
cidentale eoo.  Ant.:  e  Biilettendo  die  l'ombra 
terieetre  è  diametndmente  opposta  al  corpo 
illmninante,  ii  vedrà  sabito  che,  se  qneeto 
è  di  pochi  gradi  al  disotto  dell'oiizsonte  dalla 
parte  d'oriente,  l'asse  del  cono  ombroso  della 
terra  deve  essere  di  altrettanto,  cioè  di  pooo, 
elevato  sol  piano  orizsontale  della  parte  d'oo- 
ddente  >•  —  4.  4el  ciele  ecc.  del  delo  stel- 
lato, U  ptt  alto  dei  deli  determinati  dagU 
astri  (cfir.  Virg.  Chorf.  iv  22:  «Tenasqne 
traotoaqoe  oiazìs  ooelomqoe  proftmdom  »).  — 
e.  perde  eoo.  cessa  d'apparire  sino  a  qnesta 
terra;  sebbene  non  sia  spenta,  la  soa  loco 
non  4  pl6  tale  che  vinca  qnella  del  sole  na- 
scente. —  7.  la  eUarlsslMa  ecc.  V  ancella 
laminosa  del  sole  è  l' aorora.  —  8.  11  elei 
ecc.  il  delo  si  spegne,  nasconde  Tona  dopo 
1* altra  le  stelle  eoe  —  9.  visto:  stella;  cfr. 
Far,  n  116.  — 10. 11  trionfo  eoe  i  cori  an- 
geUd  trionftmti  intomo  al  ponto  laminoso, 
Dio,  die  sembra  da  essi  oontenoto,  mentre 
invece  sono  essi  oontenoti  da  lai  eoo.  ~ 
I«de:  festeggia;  accenna  cosi  il  movimento 
degli  angeli  per  segno  di  letizia  (ofr.  Par, 


ZKvm  126).  —  11.  al  ponto  eoo.  cfr.  Par, 
xsvm  16  e  segg. ,  xzxx  9.  —  12.  parendo 
eoo.  essendo  nd  messo  sembra  oontenoto 
dall'oniverso  ;  mentre  esso  raochiode  e  com- 
prende in  sé  tatto  il  creato;  cfr.  J\irg,  zi  2, 
Bar.  aiv  80.  — 18.  si  estinse  t  manoò,  cessò 
di  apparire  ;  ed  osa  il  vb.  «sHngwrH  perché 
ogni  coro  angelioo  gli  era  apparso  come  un 
ctròMo  d*  igne  {Par.  zxvm  26).  — 14.  temer 
ecc.  lo  scomparirò  de^  angeli  e  il  mio  amore 
fecero  si  ch'io  volgesd  gli  ooohi  a  Beatrice 
eco.  — 16.  Se  qnante  ecc.  A  Dante  Beatrice 
era  apparsa  sempre  j^t  bella  di  mano  in 
mano  che  erano  passati  da  on  ddo  a  un 
altro  :  ora  ohe  sono  nd  delo  Emi^reo,  ohe 
più  di  ogni  altro  partedpa  della  loco  divina 
(ofr.  Par.  I  4),  la  bellezza  di  lei  è  cosi  grande 
che  il  poeta  rinonzia  a  descrìverla.  ~  17. 
orna -loda:  on  onice  encomio,  inteesoto  di 
totte  le  lodi  già  date  a  Beatrice.  — 18.  poca 
surelkbe  ecc.  qoest' encomio,  por  racco- 
g^ndo  totte  le  lodi  precedenti,  sarebbe  in- 
soiBciente  ecc.  —  fornir  ecc.  dire  compio- 
temente  qoello  che  dovrei  dire  di  lei,  oppore 
con^iere  l'offido  di  parlare  degnamente  di 
Id:  Tona  e  l'altra  interpretazione  pod  stare, 
sebbene  la  seconda  risponde  meglio  alla  frase 
latina  viosm  wpìm^  coi  sembra  riportard 
r  espresdone  dsntesoa.  —  19.  La  Ikellena 
eco.  La  beUesa  che  allora  mi  i^parve  sol 
volto  di  Beatrioe  non  solo  trascende  ogni 
intelletto  omano,  ma  anche  in  paradiso  non 
pod  essere  intesa  oompiotamente  se  non  da 


828 


DIVINA  COMMEDIA 


Da  questo  passo  vinto  mi  concedo, 
più  che  giammai  da  pnnto  di  suo  tema 
24       suprato  fosse  comico  o  tragedo; 
ohe,  come  sole  in  viso  che  più  trema, 
cosi  lo  rimembrar  del  dolce  rìso 
27       la  mente  mia  di  sé  medesma  scema. 
Dal  primo  giorno  eh*  io  vidi  il  suo  viso 
in  questa  vita,  infino  a  questa  vista, 
00       non  m'è  il  seguire  al  mio  cantar  preciso; 
ma  or  convien  che  mio  seguir  desista 
più  retro  a  sua  bellessa,  poetando, 
88       come  all'ultimo  suo  ciascuno  artista. 
Gotal,  qual  io  la  lascio  a  mag^or  bando 


Dio.  —  22.  Ihk  «vtrtt  «00.  Bft  questo  ponto, 
ohe  sarebbe  il  dssoiiTete  la  bellssn  di  Bea- 
trice nel  oielo  Smpixeo,  io  mi  dioUaio  vinto 
pi6  die  non  fosse  Tinto  da  dUBooUà  del  suo 
tema  qnalnnqiie  SGrittoie  di  commedia  o  di 
tragedia.  È  1*  espSioosione,  eeswptiflnsti,  del 
concetto  srdtto  nsUa  compaiaiione  die  or 
segnila  (tt.  81-88).  Tentali  842  :  «  Fxa  le 
opere  d' arte  poetica  rammenta  a  prellMenia 
la  commedia  e  la  tragedia,  perdié  arte  pili 
specialmente  dvile  Tona  con  istile  dimesso; 
politico-religiosa  l'attra,  con  elerato.  Ebbero 
già  ambedue  più  largo  senso;  e  commsHti 
Dante  chiama  il  sno  poema  [£iA  xn  128, 
zxi  2],  e  troffedia  qneDo  di  Virgilio  [Inf.  zz 
113].  Se  non  ohe  a  qneUa,  col  diceva  umil- 
mente eommecKot  doveva  darsi  poi  fl  nome 
di  divina,  avendo  in  sé  qnanto  di  più  civile 
e  religioso,  di  pid  snblime  e  affettaoso,  po- 
tesse creare  con  forma  d' arte  la  sapienza 
d' nmano  intelletto  >.  Sta  bene,  ma  d  da  in- 
sistere sa  questo  panto:  che  Dante  parlando 
di  wmSeo  o  tragedOy  più  tosto  che  gli  scrit- 
toli drammatici,  intese  accennare  e  distln- 
gaere  gli  scrittori  di  opere  menane  di  forma 
e  d'argomento  (eemmtdSa)  e  gli  scrittori  di 
opere  sublimi  (irttff&dia)^  secondo  le  dottrine 
esplicate  nel  D$  vutff.  ttoq.t  circa  le  forme 
dello  stUe.  Si  cfr.  sa  questa  materia  11  D'Ovi- 
dio, pp.  464-468.  ~  24.  snprate:  superato. 
—  2&.  coae  sole  eoo.  la  rimembransa  del 
dolce  riso  di  Beatrice  sapeta  le  forze  della 
mia  mente,  come  U  sole  opera  sopra  una  vista 
debole.  La  similitudine,  bella  nella  sua  pit- 
trice evidenza,  è  come  reco  di  concepimenti 
giovanili;  leggendosi  nella  F.  N,  xli  19: 
e  il  mio  pensiero  sale  neUa  qualità  di  costei 
in  grado  che  '1  mio  intelletto  non  puote  com- 
prendere ;  con  dd  sia  cosa  che  '1  nostro  in- 
telletto s*  abbia  a  quene  benedette  anime,  s( 
come  rocchio  debole  al  sole  >;  Cstw.,  p.  192: 
e  Cose  apparisoon  nello  suo  aspetto,  Che  mo- 
stran  de'  piacer  del  paradiso . . .  Elle  sover- 
diian  lo  nostro  intelletto.  Come  raggio  di 


sole  un  firagn  viM>  >;  e  audio  nd  Cbmr.  m  8: 
<  Dioo  ohe  poco  ne  dico  per  due  ragioni.  L*una 
si  è  che  queste  cose  che  paiono  nel  suo  aspetto 
soverchiano  lo  'ntdietto  nostro  ;  e  dioo  oome 
questo  sovereUare  è  fhtto;  ck'è  &tto  per 
lo  modo  òhe  sovecdda  il  sole  lo  fragile  viso, 
non  pur  lo  sano  e  forte  >.  — 2S.  eeii  ecc.  oosf 
la  rimembransa  eco.  opera  nella  mia  mente  in 
modo  die  questa  divisile  di  minor  capadtà,  e 
non  pud  ricordarsi  eoo.  —  28.  Dal  prime  ecc. 
Dal  primo  momento  che  in  terra  mi  apparve 
Beatrice  (efir.  V.  N.  i  l  •  ssgg.)  inlino  al 
momento  eh'  dia  mi  si  mostrò  circonAisa  di 
luce  noli'  Empireo,  non  Iti  impedito  al  mio 
canto  di  rappreeentane  la  belleiza.  Non  oon- 
tradioe  al  luoghi  ove  Dante  si  è  prima  d*ora 
confessato  incapace  di  descrivere  la  bdlesza 
della  Beatrice  celeste  (Bw.  nv  79,  xviii  8, 
zxm  24),  perché  in  questi,  non  ostante  tale 
confessione,  egli  oerca  di  dame  un'  Idea  al- 
meno in  modo  indiretto,  parlando  dee  degli 
dfetti  di  tale  bdlesza  sopni  di  luL  —  81.  ma 
or  eoo.  ma  adesso  io  non  posso  pld  tener 
dietro  ed  mid  versi  alla  crescente  bellezza 
di  Beatrice,  a  qud  modo  che  l'artista  perve- 
nuto all'ultimo  limite  della  perfezione  di  col 
è  capace  non  pud  rappresentare  pid  dtre  dd 
che  ha  nella  mente.  D  Venturi  841  riawi- 
dna  alla  similitudine  di  Dante  un  luogo 
d'Omero,  ove  parla  di  Minerva:  e  qual  se 
dotto  mastro,  a  cui  dell'  arte  Nulla  celano 
Pallade  e  Vulcano,  l^arge  all'aigento  il  li- 
quid'oro  intomo,  81  che  all'ultimo  suo  giunge 
con  l' opra  »  {Odia,  vi  825);  e  te  questa  a- 
cuta  conàdanaiene:  e  Baro  è  che  gli  artisti 
anco  più  grandi  giungano  a  rappresentare 
1*  imagine  meditata  e  veduta  neUa  mmte, 
dk'  è  raggio  ddl'  intelligenaa  e  parola  inte- 
riore, a  cui  suol  darsi  il  nome  d'ideale  ».  — 
84.  €etal  eoe  Beatrioe,  divenuta  oosf  bella 
quale  lo  la  lasdo  da  descrivere  a  ehi  ne  da 
capace  eoo.  Questo  sembra  essere  il  piano 
senso  di  questo  passo,  e  cosf  lo  Intesero  i 
commentatori  antichi  e  modemi  ;  sdvo  al- 


t>ARADISO  -  CANTO  XXX 


829 


oHe  qael  della  mia  tnba,  clie  deduce 
86       l'ardua  sua  materia  terminando, 
con  atto  e  voce  d' espedito  duce 
ricominciò:  <  Noi  semo  usdti  fuore 
89       del  maggior  corpo  al  oiel|  cli'ò  pura  luce; 
luce  intellettual  piena  d'amore, 
amor  di  vero  ben  pien  di  letisia, 
42       letizia  che  trascende  ogni  dolzore. 
Qui  Tederai  Puna  e  l'altra  milizia 
di  paradiso,  e  Puna  in  quelli  aspetti 
^5       die  tu  vedrai  all'ultima  giustizia  >. 
Come  sùbito  lampo  ohe  discetti 
gli  spiriti  tìsìtI,  si  che  priva 
48       delPatto  P occhio  di  più  forti  obbietti; 


oani,  ohe  riaTTidnando  UficMe  mon^  bando 
oon  il  iiovMmo  bmdo  4el  IWy.  zzx  18  ■pie- 
garono anai  direnamento,  dicendo  ohe  la 
bellezza  di  Beatrioe,  ohe  ingegno  ornano  non 
pad  lappieaentaie,  farebbe  appaxsa  nel  gior- 
no del  giudizio  finale;  ma  è  nna  itranezza 
ohe  non  pad  arer  neason  Talore  :  a  maggior 
bando  eh§  quel  dtUa  mia  tuba  ynol  dira  a  pa- 
rola piJfeflloaoe  e  lionxa  ohe  non  sia  quella 
òhe  eeoo  dalla  nda  boooa,  a  on  poeta  di  pl6 
alto  ingegno.  —  86.  che  dednce  eoo.  ohe 
Tiene  trattando,  ohe  conduce  a  termine  la 
trattazione  del  difflcUe  argomento  :  e  l'eepree- 
tione  danteeoa  (cfr.  Air.  ym  121)  d  forse  ri« 
fleseo  dell'oTidiana  {Md.  i  A):  e  Ad  mea  per- 
petauffl  deduoite  tempora  carmen  >.  —  87. 
eea  atte  eco.  oon  atto  e  rooe  di  solleoita 
guida,  mostrandosi  negli  atti  e  nel  parlare 
desiderosa  di  porgermi  le  neoessaiie  nozioni 
intomo  al  dolo  Empireo,  ma  oon  rapidi  oenni, 
lenza  perder  tempo.  —  88.  Hel  seme  eoo. 
Dal  primo  Mobile,  che  è  il  più  grande  dei 
deli  corporali,  siamo  Tenuti  al  dolo  Empireo, 
dolo  immateriale  di  pura  luoe.  —  89.  Bag- 
gier  eerpei  cfr.  Btr.  xxTnx  6A.  —  al  elei, 
eh*  è  fora  lece  t  è  il  dolo  Empireo,  posto 
all'infùori  dd  nere  deli  corporali;  cfr.  Danto, 
Oom,  n  A  :  e  Twaì  di  tutti  questi,  li  eatto- 
lid  pongono  lo  ddo  Empireo,  ohe  tanto  tuoI 
dire,  quanto  dolo  di  fiamma  o  Tero  lumino- 
so; e  pongono  esso  esaere  immobile,  per  a- 
Tere  in  s6,  secondo  dasouna  parto,  dò  ohe 
la  sua  materia  Tude...  E  questo  quieto  e  pa- 
dfloo  dolo  è  lo  luogo  di  quella  somma  ddtà 
che  s6  sola  compiutamonto  Tede.  Questo  ò  lo 
luogo  degU  Spiriti  beati,  secondo  che  la  santo 
Chiesa  Tuole,  che  non  può  dire  menzogna; 
ed  anco  Aristotele  pare  dò  sentii^,  chi  bene 
lo  'ntonde,  nel  primo  di  eieìo  e  mondo.  Que- 
sto è  il  soTrano  edifido  dd  mondo,  nd  quale 
tutto  il  mondo  s' inchiude  e  di  fuori  dal 
quale  nulla  è  ;  ed  esso  non  è  in  luogo,  ma 
formato  fti  solo  nella  prima  Mento,  la  quale 


li  gred  dicono  pntonoé.  Questo  è  quella  ma- 
gnificenza, deUa  quale  parlò  il  Salmisto  quan- 
do dice  a  Dio:  Ltvata  è  la  me^nifiouMa  tua 
eopraKoisU*."  40.  l«ee  eoo.  looe  intoUet- 
tlTa  ohe  innalza  la  mento  a  comprendere  Dio, 
suscitando  nello  spirito  quel  fiarrido  amore 
del  Torace  bene,  ohe  è  pione  di  beatitudine. 
Si  osserri  la  bellissima  gradazione,  con  la 
quale  il  poeto  riesce  a  significale  in  modo 
insuperabile  il  concetto  dell'ascendono  dello 
spirito  alla  inefEabOe  beatitudine.  —  48.  del- 
seret  doloezza;  Tooe  cara  ai  poeti  antichi, 
spedalmento  per  esprimere  le  gioie  dell'  a- 
nima.  —  48.  Qml  Tederai  eoo.  In  questo 
ddo  Empireo  tu  Todrai  le  due  schiere  degli 
esseri  beati,  doè  le  creatore  angeliche  e  le 
creature  umane,  gli  angeli  e  gli  eletti.  Tn^ypo 
sottilmento  alcuni  trorano  nell'uso  della  pa- 
rola miHxia  l' idea  che  gtt  angeli  militarono 
contro  i  ribelli,  gli  uomini  contro  i  Tizi.  — 
44.  e  r  «aa  ecc.  e  gli  esseri  umani,  detti 
alla  beatitudine,  ti  d  mostreranno  nd  loro 
aspetti  reali  (non  già  sTTolti  di  hioe,  cfr. 
Pttr,  xzn  62  e  segg.),  in  quello  stesso  sspetto 
ohe  dascuno  riprenderà  od  suo  corpo  nd 
giorno  dd  giudizio  finale  (cfr.  Ihf,  ti  98).  — 
46.  Ceae  subite  eco.  Come  rimprorriso  ba- 
lenare dd  lampo  die  disperda  gli  spiriti  tì- 
dTi,  d  che  l'oochio  non  ^uò  aopportare  l'a- 
zione di  obbietti  più  luminod,  ood  la  luce 
dell'  Empireo  ecc.  Dante  asceso  all'  Empireo 
si  troTa  in  mezzo  a  una  ood  TiTida  luce 
d*  ogni  parte  sfolgorante  di'd  non  può  sop- 
portarla (TT.  49-51);  Beatrice  gli  dà  la  ra- 
gione di  tde  abbae^iard  della  sua  Tisto  (tt. 
62-64):  e  allora  egli  d  sente  ndfonato  la 
foodtà  dd  Tederò,  e  diTonoto  capaoe  di  tanto 
aAronto  con  gli  occhi  lo  spettacolo  diTino 
(TT.  56-69).  —  dlteett!  t  è  TOoe  fi  un  Tb. 
discettare,  od  senso  di  disgregare,  disperdere. 

—  47.  spiriti  TlslTlt  ofr.  Par.  xxti  79.  — 

—  prlra  eoo.  priTa  l'ocohio  dell'atto  di  pifi 
forti  obbietti,  ddl'  azione  di  luce  pifi  TiTa, 


830 


DIVINA  COMMEDIA 


"^ 


cosi  mi  circonfdlse  luce  viva 
e  lasciommi  fSeuKuato  di  tal  velo, 
61        del  suo  fulgor,  che  nulla  m*  appariva. 
<  Sempre  l' amore,  die  quieta  il  cielo, 
accoglie  in  so  cosi  fatta  salute, 
54       per  fiur  disposto  a  sua  fiamma  il  candele  ». 
Non  fClr  più  tosto  dentro  a  me  venute 
queste  parole  brevi,  cH'io  compresi 

67  me  sormontar  di  sopra  a  mia  virtute; 
e  di  novella  vista  mi  raccesi, 

tale  che  nulla  luce  è  tanto  mera 
€0       che  gli  occhi  miei  non  si  fosser  difesL 
£  vidi  lume  in  forma  di  riviera 
fulgido  di  fulgore,  intra  due  rive 

68  dipinte  di  mirabil  primavera. 


lo  rende  oioè  inci^ftoe  a  peio^irlA.  —  49. 
cof<  eoo.  in  tal  modo  la  Tiva  ìwm  dell'  Em- 
pizeo  zisplendendo  Intorno  a  me  mi  lasdò 
cosi  abbagliato,  per  tuo  ftilgoro,  che  lo  non 
Todora  pid  nulla.  Si  ofr.  nel  .9bM  degU 
JpotL  zxn  6  6  lefg.  il  raooonto  di  san  Paolo: 
e  Di  gnbito  nna  gran  Inoe  mi  folgorò  d' in- 
tomo [oirotmfidaa  «m,  lamlg.]  dal  cielo;... 
io  non  Tederà  nnlla  per  la  gloria  di  quella 
lace  [etaritudiiu  hmMi^  la  Tolg.]  ».  —  62. 
SeMpre  eoo.  Dio,  ohe  quieta  il  delo  Sn^- 
reo,  il  dolo  nel  qnalo  ora  siamo,  adona  in 
i6  co$i  faUa  takiU,  cioè  tal  copia  di  Inoe  la- 
lataze,  per  diapona  chi  entra  in  pazadiao  alla 
visione  beatifica,  n  concetto  del  poota,  ab- 
bastanza pslese,  è  questo,  ohe  a  chi  ascende 
all'  Empireo  si  appresenta  sempre  quel  yiya- 
dssimo  ^lendore  perché  il  suo  sguardo  si 
abitui,  o  meglio  si  afforzi  sino  al  punto  da 
sostenere  la  visione  di  Dio.  Ma  la  lesione  4 
alquanto  incerta,  né  quella  del  Wltte,  da  me 
seguita,  è  sansa  qualche  difBoòltà;  la  pid 
comune  lezione  :  S§mpr§  l'mnor  ek§  qutta  ^m- 
tto  tMo  Aeooglia  in  9é  oon  Mi  fatta  «oJuto  è 
pid  piana  e  agevole  a  intendere,  solo  che  si 
ricordi  H  particolare  uso  del  nome  tabU»  in 
senso  di  salutazione,  saluto,  che  Dante  & 
nella  T.  2/:  ni  18,  zx  2,  19,  zn,  81  e  nel 
OsfM.  p.  116.  —  64.  per  far  eoo.  aiBnohé 
r  anima  si  disponga  a  sopportare  la  sua  gra- 
zia beatìfica,  come  la  csadela  sostiene  la 
fiamma  *,  ma  l' Imagine  non  rende  con  la  so- 
lita penpicuità  il  concetto  dei  poeta.  —  ean- 
dele:  candela;  forma  antica,  che  rioone  fre- 
quentemente (cfir.  Ferodi,  BuiL  Ul  U9, 160); 
ò  anche  in  Ar.  zx  16.  —  66.  Hon  ftr  ecc. 
Mentre  Beatrice  mi  dichiarava  in  brevi  parole 
la  ragione  di  quel  fulgore  ohe  m' abbagliava, 
fentii  in  me  l'effotto  di  quella  luce,  che  era 
aocxeeolmento  della  mia  ftooltà  visiva.  —  67. 
me  sermentar  eoo.  che  io  acquistavo  mag- 


gior capacità  di  vedere,  che  la  mia  Caooltà 
visiva  assorgeva  in  maggior  potenza  che  non 
fosse  la  sua  naturale  virtd.  ~  68.  e  di  ne- 
vella  eoo.  e  H  mio  sguardo  ta  rafforzato  tanto 
nella  sua  «tacita  ohe  sarebbe  stato  idoneo 
a  sopportare  qualunque  luce  più  abbagUsjite. 
—  60.  aerat  pura,  risplendente ;^fr.  Ar. 
ZI  18,  zvm  66.  —  ei.  S  vidi  eoo.  La  luce 
dell*  Empireo  i^parve  a  Dante,  fktto  capace 
di  oontemplarìa,  oome  una  luminosa  riviera 
scorrente  tK%  due  rive  dipinte  di  fiori,  dalla 
quale  oon  successione  continuata  uscivano 
faville  ohe  si  posavano  sul  fiori  o  poi  nuo- 
vamente si  sprofondavano  nel  mirsbile  fiu- 
me. Questa  Idea  del  fiume  di  luce  è  bibU- 
ca,  e  Dante  1*  avrà  attìnta  in  Daniele  vn  10: 
«TTn  fiume  di  ftiooo traeva  ed  usciva  dalla 
sua  prosonis  >  (ofr.  nei  Salmi,  l  8  :  e  L'Iddio 
nostro  verrà . . .  egli  avrà  davanti  a  sé  un 
fbooo  »),  doé  nel  luogo  stesso  onde  ha  tratto 
l'idea  delle  infinite  mi^iaU  di  angeU  (efr. 
Par.  zziz  188):  se  non.  ohe  quel  fiume  che, 
secondo  la  pid  comune  eeegosi  biblica,  è  vor- 
tice che  trascinerà  i  peooatorl,  è  pid  alta- 
mente concepito  dal  poeta  nostro  oome  una 
manifestazione  deOa  divinità  per  la  quale 
r  uomo  diviene  capace  di  contemplaria.  — 
61.  Inae...  f algide  di  Aligere  t  tre  parole 
che  racchiudono  lo  stesso  conoetto,  ma  lo 
sviluppano  nel  suoi  elementi,  oome  se  di- 
cesse una  luce  (hmm)  ohe  per  il  suo  sfolgo- 
rare (di  fiiìgaré)  appariva  abbagliante  (fiiigi' 
do).  Male  intendendo  questa  espressone  po- 
tentissima, alcuni  vi  trovano  una  tautologia 
insolita  in  Danto,  e  già  gli  antichi  alterarono 
per  la  stessa  ragione  U  testo,  leggendo  fimi» 
di  fulgon  :  ma  l' idea  della  trssoorrento  fin- 
mena  é  confuto  nella  frase  a  guisa  di  fv 
visra,  senza  bisogno  di  ulteriori  determina- 
zioni, non  oonformi  allo  stile  dsnteice.  " 
68.  prlmaTera  t  fiori  primaverili  ;  ofr.  Asy* 


PARADISO  -  CANTO  XXX 


831 


Di  tal  fiumana  nscian  faville  vive, 
e  d'ogni  parte  si  mettean  nei  fiori, 
66       quasi  rubin  che  oro  circonscrive  ; 
poi,  come  inebriate  dagli  odori, 
riprofondayan  sé  nel  miro  gurge, 
69       e,  s'una  entrava,  un'altra  n'usoia  fuori. 
<  L'alto  disio  ohe  mo  t'infiamma  ed  urge 
d'aver  notizia  di  ciò  che  tu  véi, 
72       tanto  mi  piace  più,  quanlo  più  turge; 
ma  di  quest'acqua  convien  che  tu  bèi, 
prima  che  tanta  sete  in  te  si  sasi  >  : 
75       cosi  mi  disse  il  sol  degli  occhi  miei 
Anco  soggiunse  :  <  Il  fiume  e  li  topazi, 
ch'entrano  ed  escono,  e  £1  rider  dell'erbe 
78       son  di  lor  vero  ombriferi  pre&zi; 
non  che  da  sé  sien  queste  cose  acerbe: 
ma  ò  difetto  dalla  parte  tua, 
81        che  non  hai  viste  ancor  tanto  superbe  >. 
Non  è  fantin  che  si  sùbito  rua 


xzTUi  61.  ~  6A.  M  tal  eoo.  Le  viv$  faville 
uoenti  dal  flnme  lono  gli  uigeli,  1  fiori  nel 
quali  esse  Tanno  a  posarsi  sono  le  anime 
beate  (cfr.  tt.  ttUOS).  Bati:  e  Finge  ohe  hr 
•nU»  escano  dal  fiome  e  Tadino  in  sa*  floxi, 
a  signifloare  ohe  li  agnoli,  ohe  sempre  si 
riempiono  do  la  grada  d' Iddio,  li  qoali  sono 
significati  per  le  &Tille  imperò  che  sempre 
ardeno  nell'amore  d' Iddio,  Tadano  a  oonfor- 
tare  V  anime  sante,  ohe  sono  in  tale  graiia, 
che  sempre  si  mantengnino  nelli  atti  Tirtoosi 
e  da  esse  tornano  a  la  detta  grada  ;  imperò 
che  li  angeli  Tldtano  e  confortano  li  santi 
omini,  acciò  che  durino  nella  loro  santità,  e 
Tegnono  a  loro  e  ritornano  a  Dio  si  come 
messi  da  Ini  mandati  >.  —  66.  d'ogni  parte: 
dall'  nna  e  daU'  altra  rira  della  laminosa  ri- 
Tiara.  —  66.  «nasi  raMn  eco.  sdntillaado 
in  mezzo  al  fiori,  come  il  mbino  s&Tilla  in 
mezzo  all'oro  in  coi  è  incastonato;  ofir.  Vir- 
gilio, Sn,  X  181,  di  Inlo  :  »  Qoalis  gemma 
micat,  fùlTnm  qnae  diTidit  aorom  ».  ~  68. 
riprofoBdaTan  eoo.  le  scintille  si  profonda- 
yano  di  nnoTo  nel  mirabile  gorgo,  nel  fiome 
luminoso.  —  69.  e,  s' nna  ecc.  all'  entrare 
di  nna  DaTÌlla  nel  fiome,  nn*  altra  nsolya  a 
posarsi  sni  fiori:  la  Tioenda  dell'entrare  e 
dell'  uscire  era  oontinna.  —  70.  L' alte  eoe 
Beatrice  Tede,  al  solito,  il  desiderio  di  Dante, 
che  ò  di  conoscere  che  sieno  quelle  fsTille  e 
quei  fiori,  e  lo  sodisfa  in  parte  dicendo  ohe 
tono  dimostrazioni  anticipate  di  ciò  ch'ei 
Tedrà  poL  —  ehe  ao  ecc.  che  or  t'infiamma 
ed  ecoita  per  conoscere  ciò  che  tu  Tedi.  — 
72.  qaaato  pi<  tnrg e  :  quanto  ò  più  intonso, 


forte.  ~  73.  aa  di  «nesf  aef  aa  eoo.  ma 

prima  ohe  possa  esser  sodisfatto  pienamente 
tale  desiderio,  bisogna  ohe  tu  contempli  an- 
cora questo  fiume  luminoso  ;  affinché  la  tua 
Tista  sia  capace  di  contemplare  Dio  e  la  rosa 
ààL  beati  (tt.  100  e  segg.)  deri  prima  forti- 
floaria  nella  contempladone  del  fiume.  —  74. 
tanta  sete  ecc.  cfjr.  IWp.  xxi  1.  —  76.  11 
sol  ecc.  Beatrice,  cfr.  Bw.  m  1.  —  76.  11 
flnme  ecc.  Il  lume  trascorrente  a  gdsa  di 
fiume,  le  faville  che  entrano  ed  escono,  e  i 
fiori  sparsi  sulle  due  rìTo  non  sono  altro  che 
omòrifsri  pnfaxi,  imagini  sotto  le  quali  si 
mostrano  coperte  le  loro  eesenie  :  sono  ap- 
parenze anticipate  di  Dio,  degli  angeli,  dei 
beatL  —  topasli  le  faiTille,  ossia  gU  angeli 
cfr.  Air.  XT  86.  —  77.  U  Hder  deU'erke: 
i  fiori  ohe  adomano  le  erbe,  ohe  dipingono 
le  rive  erboee,  ossia  le  anime  degli  eletti.  — 
78.  di  lor  eoo.  pnfaxi  esprime  l'idea  di  cosa 
apparente  prima  del  tempo  (prefaxio  è  il  lat. 
praofatio,  prefuione),  ombriftH  quella  di  una 
forma  imagi  nosa  sotto  cui  è  nascosto  il  varo, 
la  Tera  essenza  o  realtà  della  cosa.  —  79. 
non  ohe  eco.  non  perchó  questo  cose  sieno 
per  loro  natura  difficili  a  percepire,  ma  per 
r  insufficienza  della  tua  natura  corporea, 
la  quale  non  ha  Tista  tanto  potonto  da  so- 
stenere la  contemplazione.  —  81.  snperbe  : 
detto  delle  9ÌtU  ossia  degli  occhi,  include 
qui  l' idea  della  capacità,  della  potenza  su- 
periore alla  comune.  —  82.  Boa  è  fantin 
eoo.  Non  à  bambino,  ohe  cosi  prontamente 
si  Tolga  Terso  il  petto  della  madre,  se  si 
STCfflia  pid  tardi  dell'ora  in  cui  è  solito  pren- 


832 


DtVÌNA  COMMEDU     < 


col  volto  Terso  il  latte,  se  si  svegli 
84       molto  tardato  dall' osansa  sua, 
come  £dc*Ì0|  per  far  migliori  spegli 
ancor  degli  occhi,  fthifìftJififtTnì  all'onda 
87       che  si  deriva,  perché  vi  s*  immegli 
£  si  come  di  lei  bevve  la  gronda 
delle  palpebre  mie,  cosi  mi  parve 
90       di  saa  lunghezsa  divenata  tonda. 
Poi,  come  gente  stata  sotto  larve, 
che  pare  altro  ohe  prima,  se  si  sveste 
98       la  sembianza  non  sua  in  che  disparve; 
cosi  mi  si  cambiare  in  maggior  feste 
li  fiori  e  le  faville,  si  ch'io  vidi 
96       ambo  le  corti  del  del  manifeste. 
0  ispleodor  di  Dio,  per  oa'  io  vidi 
l'alto  trionfo  del  regno  verace. 


d«n  a  latto  «00.  Ve&tozi  189:  «NotonellA 
■imilitodiiM  Ift  Toemonx»  d«l  deddeiio  e  Tu- 
miltà  del  po«t»  ohe  d  pwagona  «n'infanto, 
il  qoAto  tfhmftto  lìandMl  Tino  il  latto  >. 
~  ma  :  too»  dèi  Tb.  man,  non  proprio  ool 
aanao  di  praoipitara  proprio  del  lat.  (ofir.  làf. 
XX  88),  ma  di  TolgeBd  a  ooia  deaideiata  oon 
grande  libato.  —  8A.  aMlle  eoo.  in  'gran  ri- 
tardo, ricetto  all'ora  abitoale  dello  sv»- 
^iazaie  del  pnndice  latto. -85.  oMMeeo. 
ooBke  tod  io  Tolgendoini  al  flnme  lominoao, 
afflnohA  i  miai  oeoki  tì  d  lortifloaaaero  an- 
cosa  pid  o  dirailMeEO  019^  ^  oontem^aie 
quelle  oalifti  viiioni.  —  fax  algUorl  eoe. 
gli  oeoki  aono  ^naai  ^ptgU  o  tpeochl  deQe 
ooae  eatacne,  e  tanto  migUori  qnanto  più  net- 
tamento riflettono  la  loro  imagine  :  U  nome 
tptgUOy  nnn  delle  forme  del  lat  tpeovkm 
(ofir.  Par.  xzxr  U4)  è  flreqnento  in  Danto 
(Jt/;  xivd06,lìir.x?62,xxTil06),  fl  quale 
pM  speeeo  aMTaltra forma oomnne  «psooMo, 
ala  in  aenao  proprio,  ala  in  eeoao  flgazato. 
—  87.  eke  al  derlra  eoo.  ohe  dalla  divina 
fonto  aoQtre  perohó  in  eeia  ai  peifeiionino 
le  «mane  ItMoltà.  —  88.  ■  i£  eeme  eoo.  S  ap- 
pena mi  tei  aiBaato  nel  flnme  Inminoeo,  mi 
parrà  ohe  ai  foaae  taaformato  in  una  Inoe 
oiroolare.  Qneeto  tnaformarione  oorrisponde 
all'apparire  della  roaa  oeleete,  ohe  Danto  or 
om  deevÌY«à  miratailmento  {rw,  100-123)  : 
la  Inoe  divina  diflUa  in  oerohio  aasai  ^d 
grande  del  aole,  i  fiori  ohe  appariaoono  ani- 
me beato  e  le  faville  ohe  appariaoono  angeli, 
U  popolo  dai  beati  diatribnito  per  pid  di  mille 
gradini  ohe  via  via  a'  allargano,  l' imagine 
della  roaa  nelle  eoi  foglie  itanno  i  beati 
mentre  gli  angeli  aoendono  e  riaalgono  pei 
vart  ordini,  la  lode  ohe  oome  flagranza  dal 
flore  ai  leva  al  Dio  nipremo,  aono  tatto  in- 


venrioni  e  oonoettl  ohe  alla  mistica  mento 
deU' Alighieri  aembranmo  messo  idoneo  a 
rappreeentaie  aenalbUmento  la  oeleeto  oorto, 
in  modo  fontaatioo,  è  vero,  ma  oorrispondento 
alla  maeetà  del  Inogo  e  della  divinità.  —  di 
lei  bevve  eoo.  la  f/rmàa  d$Uó  mU  paìpèbr» 
oioè  le  mto  oi|^  b$v9$  éU  Iti,  aaaorbf  al- 
quanto della  Inoe  :  eepreaiione  pid  toeto  o- 
scora.  —  91.  Pel,  eeme  eoo.  Poi  ^  angeli 
e  i  beati  mi  apparvero  nella  loro  realtà  oome 
le  persone  ohe,  dopo  eesece  stato  maeohermto, 
ripiendono  la  loro  propria  semMania.  La  let- 
tera è  da  diohiaraie  ooaC:  Poi  come  gento 
stata  maaohsfata,  la  qnale  aembra  diversa  da 
qnéDa  ohe  è  apparsa  prima,  aUorchd  depono 
la  Anta  aembianza  aotto  coi  era  aparita  la 
aemManva  vera  eoo.  Il  Venturi  298,  por  lo- 
dando oome  e  originale  e  chiara  »  qoeeta  ai- 
militodine,  nota  che  e  siJEatta  traafigoraziona 
non  sembra  ohe  ben  si  addica  a  ona  scena 
di  paradiso  >;  e  di  poca  convenienza  la  oen- 
sora  anche  il  Tomm.  :  ma  non  saprei  acco- 
starmi alla  loro  sentenza,  nna  volta  ohe  ìm 
comparazione  raggiunge  il  soo  fine,  di  Darci 
intendere  oon  un  tratto  pittoceaoo  o  vivace 
la  trasformazione  ohe  agli  occhi  di  Denta 
subirono  U  fiori  $  k  fmiO»  :  piuttosto  al  può 
osservare  che  la  ripetizione  della  stessa  idea 
fondamentale  ipare,  mmHamxa,  disponw) 
nuoce  alquanto  alla  chiarezza.  —  larve:  ma- 
schere, cfr.  IWp.  XV  127.  —  94.  «osi  eo««. 
nello  stesso  modo  U  fiori  •  k  fanU$  si  tra- 
mutarono agli  occhi  miei  in  eletti  pid  to^ 
stosi,  in  sembianze  anoora  pid  gioconde, 
quelli  di  anime  beate,  questo  di  creatore  aa-> 
geliche.  —  96.  am^  eoo.  entrambe  le  mili* 
zie  di  paradiso  (cfir.  v.  48)  nella  loro  reale 
essenza.  —  98.  l'alto  eoo.  le  creatore  ange- 
liche o  le  anime  beato  trionbntì  nel  pazam- 


PARADISO  -  CANTO  XXX 


833 


99       dammi  virtù  a  dir  com*io  lo  vidi. 
Lume  è  là  su,  che  visibile  face 
lo  creatore  a  quella  creatura, 
102       che  solo  in  lui  vedere  ha  la  sua  pace; 
e  si  distende  in  circnlar  figura 
in  tanto  che  la  sua  circonferen£a 
105       sai-ebbe.al  sol  troppo  larga  cintura. 
Fassi  di  raggio  tutta  sua  parvenza 
riflesso  al  sommo  del  Mobile  primo, 
108       che  prende  quindi  vivere  e  potenza. 
E  come  clivo  in  acqua  di  suo  imo 
si  specchia,  quasi  per  vedersi  adomo, 
111        quando  ò  nell'erbe  e  nei  fioretti  opimo, 
si  soprastando  al  lume  intomo  intomo 
vidi  specchiarsi,  in  più  dì  mille  soglie, 
114        quanto  di  noi  là  su  fieitto  ha  ritomo. 
E  se  l'infimo  grado  in  sé  raccoglie 


di80.  —  99.  ft  dir  eoo.  BÌaocIiì:  <  Questa  tii- 
plio»  i^etlsioiie  della  medesima  parola  vidi 
in  lima,  non  è  senza  il  soo  perché:  U  poeta 
volerà  richiamar  V  altroi  atteaxione  sa  que- 
sta miracolosa  Tisione,  ohe  è  il  ponto  piA 
importante  e  la  catastrofe  del  poema;  e  però 
nota  enfaticamente  prima  il  fiatto  diella  yI- 
sione  a  Ini  giunta,  poi  il  messo  onde  l'ebbe, 
•  quindi  piega  di  poter  descriTero  il  conw, 
ripetendo  per  tro  volte  in  fine  di  Terso  qnasi 
a  modo  di  trionfo  il  conseguito  ndi  ».  —  100. 
LnsM  eoo.  Nel  délo  Empireo  è  nn  lame  ohe 
rande  risibile  Dio  creatore  a  qnella  oteatnra 
ohe  nella  visione  di  Ini  trova  la  pace,  il  so- 
disfadmento  d'ogni  suo  desiderio,  alla  oro»* 
tara  degna  della  beatìtodine.  — 102.  cke  sete 
eoe  ofr.  Agostino,  Omfu,  1 1:  e  Feoisti  nos 
ad  te,  et  inqnietnm  est  cor  nostrnm  doneo 
reqniesoat  in  te».  —  108.  e  si  distende 
•00.  questo  lame  si  distende  in  an  immenso 
drodo,  di  tanta  ampiesxa  ohe  la  sna  droon- 
ferensa  d  assai  pld  grande  di  qaeUa  dd  sde. 
—  106.  Fessi  eoo.  Tatto  dò  che  d  vede  di 
questo  lame,  doè  U  lume  stesso,  ò  un  rsg» 
gio  della  divina  luce  riflesso  sulla  superflde 
esterìoro  dd  primo  Mobile  Cddo  cristallino, 
il  quale  dall'Empireo,  o  dalla  divina  luce  dif> 
fosa  nell'Ifimpireo  trae  la  sua  potenza,  doò 
il  suo  movimento  e  la  virtd  ch'osso  influisoe 
nd  deli  sottostantL  — 106.  ehe  prende  eoo. 
£  lo  stesso  concetto  significato  nel  verso  dd 
Fùr.  zzvu  110,  ee  non  ohe  qui  l'amor  eh$ 
il  volge  è  considerato  nel  suo  effètto,  il  mo- 
vimento ohe  è  la  vita  dd  dolo  oristallino,  e 
la  virtA  eh^ Spiova  ò  detta  poUrwa,  81  av- 
verta il  quindi,  ohe  da  alcuni  è  inteso  come 
riferito  d  raggio  rifUsto  eoe,  da  dtri  d  dolo 
l^pireo  ;  die  è  interprotadone  conforme  alla 
dottrina  di  Tomm.  d' Aqu.,  Summ.,  P.  I, 

Daxts 


qu.  Lxn,  art.  8  :  e  Coelum  empynum  habet 
influentiam  super  corpora  quae  moventur,  11- 
cet  ipsum  non  moTBatur  ;  et  propter-hoc  po- 
test  did  quod  influii  in  primum  «oekmn  quod 
movetur,  non  aUquid  transiens  et  advenlens 
per  motum,  sed  aliquid  fixum  et  staibile,  puta 
virtuimn  eonUnmdi  ti  eamamii».  —  109.  E 
eeme  eoo.  E  come  una  oollina  digradante  in 
oerohio  d  speoohia  ndl'  acqua  scorrente  d 
sud  piedi,  quad  per  oontemplan  la  sua  bel- 
lesza  allorchó  è  pid  abbondante  di  erbe  e  di 
fiori,  ood  ecc.  Questa  bella  similitudine  della 
oollina  erbosa  e  fiorita  ohe  d  specchia  nelle 
puro  acque  della  valle  ronde  fdicemente 
r  idea  di  qudl'  anfiteatro  odeete  gremito  di 
anime  beate  specchiantid  nella  pura  luce  rag- 
giata da  Dio.  La  ledono  di  questi  versL  ò 
malsicura,  leggendod  in  mdti  testi  autore- 
voli :  quanto  è  nel  vtrde  9  noi  flontti  opimo; 
ohe  (laadando  staro  il  vtrdè  che  è  lo  stesso 
ddle  mrbe)  risponderd>be  meglio  d  quanto  di  noi 
là  su  fatto  ha  ritomo  (v.  114);  ma  è  da  pre- 
lériro  la  ledono  dd  Witte,  ohe  d  risolve  in 
una  pittoresca  droonlocuzione'  per  esprimere 
r  idea  della  stagione  primaverile,  anche  per- 
ché questa  oonispondenza  formde  sarebbe 
tra  il  tarmine  prindpale  della  2»  parte  (quanh 
di  nei  eoo.  è  sogg.  ddla  propoddone  prlnd- 
pde,  come  eUoo  ndla  1*  parte)  e  un  termine 
accessorio  ddlapima.  — 112.  d  soprastanAe 
eoo.  ood  vidi  tutte  le  anime  beate  die  stando 
sopra  d  lume,  disposte  in  pid  di  mille  gi»- 
did  droolari,  intomo  intomo,  d  specdiia- 
vano  in  esso.  —  IIS.  soglie:  i  gradini,  come 
apparo  dd  v.  116.  — 114.  f  oanfie  eoe  quante 
anime  umane  dette  all'  etema  beatitudine 
fecero  ritomo  dalla  terra  d  doto  (efk*.  Ai»y; 
xn  86  e  segg.).  —  116.  E  se  l' Ulne  eoo. 
E  se  U  gradino  più  basso,  qudlo  ohe  corro 

£3 


834 


DIVINA  COMMEDIA 


117 


120 


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126 


129 


si  grande  lume,  quant'  è  la  larghezza 
di  questa  rosa  nell'estreme  foglie? 

La  vista  mia  nell'ampio  e  nell'altezza 
non  si  smarriva,  ma  tutto  prendeva 
il  quanto  e  il  quale  di  quella  allegresiza. 

Presso  e  lontano  11  né  pon  né  leva, 
ohe  dove  Dio  senza  mezzo  governa 
la  legge  naturai  nulla  rileva^ 

Nel  giallo  della  rosa  sempiterna, 
che  si  dilata,  digrada  e  redole 
odor  di  lode  al  sol  che  sempre  verna, 

qual  ò  colui  ohe  tace  e  dicer  vuole, 
mi  trasse  Beatrice,  e  disse  :  «  Mira 
quanto  ò  il  convento  delle  bianche  stole! 

Vedi  nostra  città  quanto  ella  gira! 


intorno  ai  huM  osaU  9ÌgiaUo  della  n$a  (ofir. 
T.  124),  ft  ood  giattd»  da  oontenara  un  lume 
più  ampio  dal  aolo,  dko  immaoaità  ft  qoalla 
degli  aatrami  gcadini !  Lomb.:  e  ÀTaado  già 
datto  ohe  intorno  ai  oixoolan  pnftvto  lume 
«sano  «ytfi,  o  alano  giadi,  più  di  milla,  d'onde 
l'anima  boato  in  qnai^loma  ai  apooctisfano, 
ci  ha  fittto  capire  ohe'  intomo  al  madeaimo 
lama  ai  alxaaee  nna  o&ioolaia  aoala,  oome 
d'anfltoatro.  Siooome  adnnqno  1  gradi  di 
drodlaia  aoala,  qo&nto  più  alti  aono,  tanto 
più  in  largo  atondono  la  loro  oinxmferenaa, 
bana  pardo  pretende  il  poeta,  ohe  dalla  lar^ 
^aaia  dall'  infimo  grado,  tanto  ohe  aarebbe 
al  aola  troppo  larga  oitUÙta,  argomentare  al 
debba  qnanta  dorerà  aaaere  la  larghaxia  de- 
^  eatremi  più  alti  gradi.  Ma  aiooome  la 
Btnittaxa  di  qnaUa  oaleeto  aoala  imitava  la 
Btnittara  di  nna  roaa,  in  eoi  dal  giallo  inter- 
medio veiao  l'estremità  al  yanno  impunto  le 
fog^  di  mano  in  mano  nna  9opt%  dell'altra 
innalzando,  però  inveoe  di  dire  qtumtè  la 
larghnxa  di  quMla  teala  negU  tttnmi  gradi, 
dice  quante  la  larghmMa  di  que^  rota  fMf- 
trmtrma»  fogUé  >.  —  US.  La  vieta  eoo.  D  mio 
sguardo,  ornai  abbastaasa  fortifloato,  non  si 
amaniva  nell'immensità  e  profondità  della 
roaa  oelesto,  ma  oompintamento  patoepiva 
l'intensità o  U  qnaUtà  di  qneUa  beatitudine. 
— 121.  Preaaa  eoo.  Nell'Empireo,  dke  è  fbori 
dello  spailo  e  del  tempo,  la  vicinanza  non 
aoereeoe  e  la  lontananza  non  dlmlnnJaoe  l'in- 
tensità  della  visione,  perché  ove  Dio  go- 
verna immediatamento  non  hanno  luogo  le 
leggi  naturali.  «  IC:  nel  oi^  Empireo.  — 
122.  aaasa  BMise:  direttamento;  o£r.  Par. 
vn  142.  —  121.  V«I  f  iaUo  4ella  roan  eoe 
Uéntre  lo  era  desiderooo  di  parlare  e  pur 
taoeva  per  la  meraviglia  dalle  ooee  veduto, 
Beatrice  mi  trasse  nel  centro  della  rosa  co- 
lesto,  la  quale  si  aUarga  a  comprendere  tatti 


i  beati,  è  disposta  a  gradini,  e  innalza  una 
firegransa  ohe  d  inno  di  lode  a  Dio  eterno, 
n  giaUo  dtUa  rota  amnpUtma  à  il  oerohio  la- 
minoso intorno  al  quale  sono  disposti  più  èhm 
mille  ordini  di  beati;  tratta  l'idea  dalla  xaale 
condizione  del  fiore,  ohe  ha  nel  suo  meno 
un  nucleo  di  flU  di  color  giallo.  —  125.  re- 
dola oder  eoo.  sparge  una  ikagranza;  efir. 
Virgilio,  Qmrg,  iv  168:  «Farvet  opua,  re- 
dolentque  thymo  fragrantia  malia  >.  —  126. 
al  sei  eoe  a  Dio,  che  forma  quella  etema 
primavera,  ohe  con  U  suo  splendore  boati  floa 
sempre  quelle  anime  tietto;  il  vb.  «smorv 
ha  qui  il  seuM  del  tutto  diverso  dall'usuale 
(cfr.  B^f.  JULxm  186,  iVy.  zziv  64)  eaanndo 
derivato  dal  lat.  cer,  primavera,  quaai  £ar* 
mare  primavera.  — 127.  f  aal  k  eoo.  La  magw 
gior  parto  dei  commentatori  rilérisoono  qui- 
eta similitudine  a  Beatrice,  oome  sa  il  poeto 
dicesse  ohe  ella,  noli'  atteggiaaiento  proprio 
di  ohi  non  parla,  ma  ai  dispone  a  parlar»,  lo 
traeee  eco.  ;  ma  è  più  natùale  il  riferiria  a 
Danto  steeso,  ohe  doveva  eeeer  dominato  da 
vivo  deeiderio  di  sapere  che  ooaa  slgnifioasae 
il  novissimo  spettacolo,  e  taoeva  oommoaBO 
di  riverenza  e  di  stupore.  — 128.  Mira  eoe. 
Contempla  quanto  è  immensa  la  oongrega- 
zi(me  dei  beati,  vedi  l' ampieaza  della  città 
eanta,  vedi  come  ormai  ^  eoanni  eono  quasi 
tutti  occupati,  ti  ohe  poche  anime  eletto  aono 
aspettato  in  cielo.  —  129.  U  eenvaata  eoo. 
r  unione,  la  oompagnia  (ofir.  J^vg.  xu  62, 
Jtor.  xm  90,  xzzz  109)  dei  beati  riveatiii  di 
bianche  vesti;  cfr.  ApoeaL  vn  13-16:  e  Co- 
storo, dke  aon  vestiti  di  stole  bianche,  ohi 
sono?. .  •  Costoro  mm  quelli  ohe  son  venuti 
dalla  gran  tribolazione,  ed  hanno  lavato  le 
loro  stole,  e  le  hanno  imbiancato  nel  sangue 
dell'Agnello.  Perdo  aono  davanti  al  trono  di 
Dio,  e  gli  eervono  giorno  e  netto  ».  —  180. 
nostra  città  eoo.  il  regno  dei  beati,  eecoDdo 


PARADISO  -  CANTO  XXX 


835 


vedi  li  nostri  scanni  si  ripieni 
132       che  poca  gente  ornai  ci  si  disira. 

In  quel  gran  seggio,  a  clie  tu  gli  occhi  tieni 
per  la  corona  che  già  y'ò  su  posta, 
186       prima  che  tu  a  queste  nozze  ceni 
sederà  l'alma,  che  fia  giù  agosta, 
dell'alto  Enrico,  eh' a  drizzare  Italia 
138       verrà  in  prima  che  ella  sia  disposta. 
La  cieca  cupidigia,  che  vi  ammalia, 
simili  fatti  v'ha  al  fantolino, 
141        che  muor  di  fame  e  caccia  via  la  balia; 
e  fia  prefetto  nel  fòro  divino 


il  lingiuggio  dell'  ApoeaL  xxi  10  •  Mgg.  « 
182.  ékt  poeft  eoo.  8e  pochi  erano  onnai  gli 
eletti  ipettati  nel  dolo,  non  mol  dire,  come 
alenili  aibrmano,  ohe  Dante  preeaftfiiio  ri- 
oinft  la  fine  del  mondo,  ma  ohe  V  età  delle 
gxmndi  Tirtd  era  paMata  per  lasdar  U  campo 
a  tenpl  di  corrosione,  in  meno  alla  qnale 
pochi  nomini  ai  farebbero  aalTati:  anche  qni 
fny^mm^^  eebbene  indirettamente.  Dante  non 
fa  ohe  rimproverare  all'amanita  il  ino  deca- 
dimento morale.  —  188.  In  qael  eoe  In  quel 
eeggio  ynoto,  che  ha  attirato  a  tó  la  tna  at- 
tenzione perohó  lOTra  yi  iplende  nna  corona 
imperiale,  prima  che  ta  mnoia  verrà  a  ledere 
lo  spirito  di  Arrigo  VII  imperatore.  «  185. 
f  rima  ecc.  prima  che  ta  morendo  Tenga  a 
godere  di  qaesta  beatitadine  ;  per  V  espree- 
■ioiie  ofr.  Ar.  zzir  1.  —  186.  1*  alaa  eoe 
Tanima  che  in  terra  larà  riveatita  della  im- 
periale dignità.  Alla  morte  di  Alberto  I  (ofr. 
/Vy.  VI  97),  ta  tietto  imperatore,  od  fkrore 
della  corte  pontiilcia,  Arrigo  VII,  conte  di 
Lfttaelbarg  (27  noyembre  1808)  ;  egli  prese 
in  Aqniagrana  la  corona  di  re  di  Germania 
(6  gennaio  1800),  o  sabito  renne  in  Italia 
€  per  abbattere  e  gastigare  i  tiranni  che  e- 
rano  per  Lombardia  e  por  Toscana  »  (D.  Oom- 
pagni,  O.  in  34).  Dante  conoepi  sabito  di 
lai  le  più  grandi  sperarne,  non  pare  di  es- 
aere riammesso  in  patria,  ma  ch'egli  arrebbe 
attuato  il  soo  poUtioo  aogno  di  nna  monar- 
chia oniTersale,  e  nelle  sne  epistole  latine 
lo  salato  depressore  degli  empi  e  restitatore 
della  ginstlzia,  naoro  Mosè  inviato  da  Dio  a 
liberare  i  popoli  :  né  il  sao  entosiasmo  mo- 
vera  da  sentimenti  esclosirameate  personali  ; 
parche  qnasi  tatti  gli  esali  fiorentini,  e  di 
parte  ghibellina  e  di  parte  gaelDa  bianca,  si 
troraiono  d' aooordo  nel  rìoonosoere  in  Arri- 
go yn  colai  che  poteva  reetitairU  non  pare 
in  patria,  ma,  come  allora  dioevasi,  in  baono 
stato  ;  e  simili  speranze  natri  nell'Italia  sn- 
periore  e  media  anche  la  fendalità  di  con- 
tado oppresia  ormiU  dalle  democrazie  coma- 
nali.  Se  non  che  la  spedizione  italica  di  Ar- 


rigo Vn  ebbe  fine  infelice,  perohó  egli,  presa 
in  Roma  la  corona  imperiale  (27  giogno  1812), 
si  logorò  in  vani  sford  contro  la  parte  gaeUiav 
finché  mori  improvvisamente  a  Bnonconvento 
(24  agosto  1818).  Chi  voglia  conoscere  i  fatti 
di  Arrigo  VH,  secondo  che  ftirono  apprezzati 
dalla  parte  politica  cai  Dante  aderiva,  legga 
D.  Oompagni,  Onm,  m  28-86.  — 187.  a  dris- 
sart  ecc.  verrà  per  rsstaorare  in  Italia  l'or- 
dine politioo  prima  ohe  il  paese  sia  a  dò 
preparato:  si  otr.  la  pittore  delle  condizioni 
poUtiche  deU'  ItaUa  di  fronte  aU'Impero  nel 
iVy.  VI  76;  e  si  avverta  che  mentre  altrove 
il  poeta  dice  ohe  Arrigo  venne  troppo  tardi 
{Firg.  vn  97),  qni  dice  che  ta  troppo  presto: 
nò  v*  è  contradizione,  perché  nel  primo  osso 
dichiara  tardivi  gli  sforzi  dell'imperatore  ri- 
spetto alla  profondità  e  immensità  dei  mali 
oh'  ei  voleva  sanare,  e  qni  invece  vad  dire 
che  a  ana  restanrazione  si  fstta  non  si  era 
preparata  la  via  rimovendo  le  difficoltà  se- 
condarie che  forono  d'impedimento  all'opera 
di  Arrigo  VIL  —  189.  La  deca  eoe  La  cn- 
pldigia  sfrenata  che  vi  domina,  vi  ha  resi 
simili  ai  bambiao  che  eebbene  stretto  dagli 
stimoli  della  fame  allontana  da  sé  la  balia; 
insomma,  per  avere  libero  il  campo  alle  vo- 
stre immoderate  passioni,  non  fate  baona 
accoglienza  a  chi  si  presenta  come  vostro 
liberatore.  Il  rimprovero  d  rivolto  special- 
mente alla  demooraiia  goelCa  e  alla  parte  di 
Chiesa  per  l'opposizione  fatta  all'imperatore, 
in  partioolar  modo  ai  fiorentini,  pi&  tenaci 
degli  altri  in  tale  opposizione.  —  vi  amma- 
lia: non  già  vi  afEattnra  e  qaasi  con  oocolta 
malia  vi  goasta  nell'animo  e  vi  corrompe,  ma 
pid  tosto  vi  signoreggia  per  ignota  forza; 
ofr.  Dante  stesso,  Epùt,  xi  5  :  «  Nec  adver- 
titis  dominantem  capidigiam,  qoia  cocci  estis, 
venenoso  sassarro  blandientem,  minia  frasta- 
torìis  cohibentem,  nec  non  captivantem  vos 
in  lego  peccati  ».  —  142.  1  fU  eco.  £  allora 
sarà  pontefice  nn  tale.  Clemente  V  (ofr.  £%f. 
zix  82),  ohe  con  atti  palesi  e  con  ocoolti 
maneggi  si  opporrà  ai  bnoni  intendimenti  di 


836 


DIVINA  COMMEDIA 


144 


148 


allora  tal,  ohe  palese  e  ooperto 

non  anderà  oon  lui  per  un  cammino. 

Ma  poco  poi  sarà  da  Dio  isofferto 
nel  santo  offino;  ch*ei  sarà  detruso 
là  dove  Simon  mago  ò  per  suo  merto, 

e  farà  quel  d' Alagna  esser  più  giuso  ». 


AfTÌKO  Vn  (ofr.  F»,  Tm  82).  —  pnfttt» 
&tM,  flapiemo  modentor»  déllm  Ohi«ia.  — 146. 
aa  p«M  eoo.  Ma  dopo  1a  Boits  di  Axriso  vn, 
Cl£i(ii«ato  V  laià  per  pooo  tollento  da  Dio 
Ti«1  unto  ufficio  di  pontofioe  ;  inflitti  rimpex»- 
tore  moil  U  9A  agoeto  181B,  •  U  papa  U  1K) 
apnle  1314.  —  146.  el  iwà  eoo.  egU  saia 
sprofondato  nella  bolgia  dei  fimoniad,  e  spin- 


gerà pid  in  fondo  nella  buca  dei  papi  il  ano 
predeceeeore  Bonifkcio  Vm  (ofr.  /n/.  nz  62 
e  aegg.).  Oon  queste  paiole  di  tenibile  am- 
monimento, ehiude  Baatxioe  il  eoo  disoono, 
nò  più  riaoona  la  eoa  voce  nel  poema  di 
Danto  (ofr.  Ar.  zzzi  64  e  segg.).  —  148. 
Alaffna:  Anagni;  cfr.  Pwrg,  xz  86. 


8 


CANTO  XXXI 

Continua  Dante  a  contemplare  la  rosa  dei  beati  e  il  movimento  degli 
angeli  con  crescente  stupore,  mentre  Beatrice  ya  ad  assidersi  al  suo  scanno 
nel  terzo  giro  degli  eletti  :  san  Bernardo,  mandato  a  Ini  per  nltinia  guida, 
fjtl  si  manifesta  e  lo  invita  a  guardare  nella  parte  più  alta  del  cielo  la 
Ve.rgine  ìiaria,  che  trionfa  in  mezzo  a  mille  angeli  festanti  [14  aprile,  ore 
pomeridiane]. 

In  forma  dunque  di  candida  rosa 
mi  si  mostrava  la  milizia  santa, 
che  nel  suo  sangue  Cristo  fece  sposa; 
ma  l'altra,  che  volando  vede  e  canta 
la  gloria  di  colui  che  la  innamora 
e  la  bontà  che  la  fece  cotanta, 
si  come  schiera  d'api,  che  s'infiora 
una  fiata  ed  ima  si  ritorna 
là  dove  suo  lavoro  s'insapora, 
nel  gran  fior  discendeva,  che  s'adorna 
di  tante  foglie,  e  quindi  risaliva 
là  dove  il  suo  amor  sempre  soggiorna. 

e  terra:  MiUiia  mUlikm  'k^iigr  numU  %nkr 
codum  et  ttmm,  qvaai  apet  im^oNomm  i»i«r 
ahearia  d  flont  >.  —  eke  l' USora  eoo.  che 
ora  ai  posa  eoi  fiori  per  eettame  il  encoo  ; 
ofr.  Virgilio,  En,  ti  77  :  «  in  pratis  ubi  ^es 
acetato  serena  Floriboa  insidnnt  variis  ».  — 
8.  ed  ina  eoo.  ed  ora  ritornano  all'  alveare, 
là  ove  si  converto  in  miele  il  fratto  del  loro 
lavoro,  il  snooo  raoootto  di  sui  fiori  ;  cfr.  Vir- 
gilio, Qmrtf,  XV  Ifó  :  €  pniiseima  molla  Sti- 
pant,  et  liquido  dlstondont  neetare  oellaa  ». 
—  10.  nel  gran  fier  eco.  ooei  la  sohiera  de- 
gli angeli  discendeva  gid  per  la  candida  rosa, 
ohe  si  spande  in  foglie  innumerevoli,  e  quindi 
risaliva  là  ove  Dio,  loro  amore,  soggioma- 


9 


12 


XXXI  1.  la  ferma  eoo.  Le  anime  dei 
bontl,  che  Oristo  conginnae  a  so  versando  per 
In  loio  redentione  il  proprio  sangoe,  mi  ap- 
pnrroTO  donqne  disposto  come  in  nna  candida 
rij<a  di  immensa  grandezza;  secondo  la  de- 
Errldone  ohe  ò  nel  Pcar,  xzx  100-182.  —  8. 
rhii  nel  eco.  cfr.  il  passo  dei  Fatti  degli  Jp, 
XTi  28  citato  in  Bit.  xi  88.  —  4.  I* altra  eco. 
l  uttTB  milizia,  quella  degli  angeli  che  volando 
coDtflmplano  e  cantano  la  gloria  di  Dio  e  la 
b«»[ità  divina  che  li  creò,  mi  apparve  come 
uw%  E»chiera  di  api  ecc.  —  7.  eoMe  fckiera 
e<x\  Venturi  449:  e  Similitadine,  per  con- 
t'^'tto  e  melodia  di  numeri,  celestiale.  Anche 
t   ÀEjelmo,  dogli  angeli  dlsoorxenti  fra  cielo 


PARADISO  —  CANTO  XXXI 


837 


Le  facce  tutte  avean  di  fiarnma  viva, 
e  Tali  d'oro,  e  l'altro  tanto  bianeo 
15       ohe  nulla  neve  a  quel  termine  arriva. 
Quando  soendean  nel  fior,  di  banco  in  banco 
porgevan  della  pace  e  dell'ardore, 
18       ch'egli  acquista van  ventilando  il  fianco. 
Né  lo  interporsi  tra  il  di  sopra  e  il  fiore 
di  tanta  plenitudine  volante 
21       impediva  la  vista  e  lo  splendore; 
che  la  luce  divina  è  penetrante 
per  l'universo,  secondo  ch'ò  degno, 
24       si  che  nulla  le  puote  essere  ostante. 
Questo  sicuro  e  gaudioso  regno, 
frequente  in  gente  antica  ed  in  novella, 
27       viso  ed  amore  avea  tutto  ad  un  segno. 
0  trina  luce,  che  in  unica  stella 
scintillando  a  lor  vista  si  gli  appaga, 
80        guarda  qua  giù  alla  nostra  procella. 
Se  i  barbari,  venendo  di  tal  plaga. 


etenninente.  -^  IS.  L«  f  mm  eoo.  Aloimi  de- 
^  anttobi  oommentttoii  ipiegano  qieeti  tre 
ooloxi  oome  timbolici,  dioendo  dke  U  ficmtna 
«teo  significa  l'aidore  della  carità,  l' oro  la 
gaptenaa,  •  Il  Mcumo  la  putta  ;  altri  Ti  tro- 
rano  il  aimbolo  delle  tre  penone  divine.  Ha 
fone  Dante  non  pento  a  tatto  q^oecto,  e  in- 
teee  lolaniente  a  zappreeentaze  qneeti  angeli 
oome  irradiati  dai  colori  più  laminosi  e  pori, 
per  dare  nn'  idea  della  loro  bellezxa  sopia- 
natozale.  Nota  il  Venturi  174  ohe  sono  e  tatto 
e  tre  bibliche  le  similitodini  >,  e  cita  per  la 
prima  Ezeohiel  i  18  :  e  il  loro  adotto  somi- 
gliara  delle  brace  di  fOoco  »  ;  per  la  seconda, 
Daniele  x  5  :  «  avendo  sopra  i  lombi  nna  dn- 
tora  di  Uno  oro  »  (ma  le  ali  sono  altra  cosa); 
e  per  la  terza,  por  Daniele  vn  9  :  e  il  suo 
vestimento  era  candido  oome  neve  >.  —  14. 
Palftro  eoe  il  resto  della  loro  figura  era  cosi 
candido  che  la  neve  più  paia  non  arriva  a 
tal  ponto  di  bianohezsa.  —  16.  Qaando  ecc. 
Allorché  discendevano  nella  candida  rosa,  pas- 
sando da  nn  grado  a  nn  altro  oomonicavano 
ai  beati  quella  pace  e  quell'ardore,  che  essi 
acquistavano  volando  in  alto  verso  Dio.  È 
si^iUlcato  poeticamente  il  concetto  di  Tomm. 
d' Aqu.,  Summ^  P.  I,  qn.  ovi,  art  4  :  «  Sanoti 
An^li,  qui  sunt  in  pienissima  partioipatione 
divinae  bonitatis,  qoidquid  a  Doo  perdpiunt, 
subiectis  impartinntar  ».  —  18.  TSBtilaade 
li  flanMs  toccandosi  con  le  ali  il  fianco, 
doò  volando  (cfr.  Putg,  xix  49).  Alcuni  in- 
tendono in  questo  senso,  che  gli  angoli  bat- 
tendo verao  i  beati  le  aU  comunicassero  loro 
la  pace  •  Fardore;  ma  tutto  il  contesto  sem- 


bra eicludere  queste  splegaiioae,  che  presup- 
pone un  costrutto  insolito.  —  19.  M  la  In- 
terpersl  eoe  Questo  grandissimo  numero  di 
angeli  volanti,  interponendosi  fra  il  trono  di- 
vino (cfr.  V.  12)  e  la  rosa  dei  beati,  non  im- 
pediva la  viste  e  lo  splendore.  —  20.  tanta 
plenltadine  ecc.  tante  pienesxa,  cosi  grande 
moltitudine  di  creature  angeliche.  —  22.  che 
la  laee  ecc.  perché  la  luce  divina  peneta 
per  ogni  parte  dell'  universo  secondo  che  d*- 
scuna  è  disposte  ad  accoglierla;  cfr.  Bit.  i 
1.  —  24.  s£  che  ecc.  di  modo  che  nulla  può 
esserle  d'impedimento.  —  25.  Qaest*  ecc. 
Questo  regno  tranquillo  e  beato,  popolato  dai 
beati  del  vecchio  e  del  nuovo  testamento, 
volgeva  a  Dio,  come  ad  unico  fine,  gli  sguardi 
e  gli  animL  Non  è  ammissibile  la  spisgazione, 
già  note  a  Benv.  e  accettete  da  alcuni  mo- 
derni, por  cui  la  gente  cmUoa  «  fwotUa  sareb- 
bero gli  angoli  e  i  beati  :  Dante  qui  parla  di 
coloro  che  sono  sparsi  nel  ngno  tioum  •  ganjh 
dioBO,  doè  nella  rosa  candida,  che  sono  soli  1 
beatL  —  28.  0  trina  eoo.  0  luce  della  tri- 
nità, luce  che  risplendendo  in  nna  sola  essenza 
ai  beati  li  appaghi  compiutamente,  illumina 
il  nostro  mondo  sbattuto  da  cosi  fiere  pro- 
celle. L'invocarione  dantesca  sembra  essere 
una  rimembranza  di  quella  di  Boezio,  Con». 
PfuL  I  5  :  e  0  iam  miseras  respioe  Terras 
Quisquis  rerum  foedera  nectis  :  Operis  tanti 
pars  non  vilis  Homines  quatimur  fortunae 
sale.  Bapidos  rector  oomprime  fluctus  Et  quo 
codum  regie  immensum  Firma  stebiUs  foe- 
dere  terras  ».  —  81.  Se  1  barbari  eoe  Ven- 
turi 296  :  e  Lo  stupore  va  crescendo  in  propor- 


838 


DIVINA  COMMEDIA 


che  ciascun  giorno  d'Elice  si  copra, 
83       rotante  col  suo  figlio  end*  eli'  ò  vaga, 
vedendo  Roma  e  l'ardua  sua  opra 
stupefEkcènsiy  quando  Laterano 
86       alle  cose  mortali  andò  di  sopra; 
io,  che  al  divino  dall'umano, 
all'eterno  dal  tempo  era  venuto, 
89        e  di  Fiorenza  in  popol  giusto  e  sano, 
di  che  stupor  dovea  esser  compiuto! 
.    Certo  tra  esso  e  il  gaudio  mi  facea 
42        libito  il  non  udire  e  starmi  muto. 
E  quasi  peregrin,  che  si  ricrea 
nel  tempio  del  suo  vóto  riguardando 
45        e  spera  già  ridir  com'ello  stea, 
si  per  la  viva  luce  passeggiando, 
menava  io  gli  occhi  per  li  gradi, 
48        mo  su,  mo  giù  e  mo  ricirculando. 
Yedea  di  carità  visi  suadi, 


tioiw  dell'oggetto  mumTiglioto  ond'è  mono, 
n  montanaro  si  torba  e  ammntiBoo,  entrando 
in  una  città  qnalonqne  [Any.  zzri  671.  Più 
dorerano  ximanere  attoniti  i  Barban  dri 
Settentrione  in  vedere  la  prima  yolta  quella 
Boma,  di  coi  Virgilio  stesso  esdamò:  SoiUod 
et  rmvm  faeta  est  piMurrima  Boma  (Oeorg, 
II  684).  Ora,  quanto  piti  di  tutti  il  nostro 
poeta,  venuto  dal  soggiorno  degli  uomini  a 
quel  de'  beati,  e  dal  tempo  all'  eternità  I  EgU 
chiamò  stupido  il  montanaro,  perché  tale  e* 
diviene  per  povertà  di  cultura  e  inerzia  d' in- 
toilette  ;  chiama  stupefcUH  i  Barbari,  perché 
la  stupefazione  esprime  impressione  più  pro- 
lungata deUo  stupora;  e  dice  sé  eompùtio  di 
Btuporey  dod  di  quello  eh' è  proprio  soltanto 
dell'ammirazione  intelligente  ».  —  leaeBdo 
eoo.  venendo  da  quei  paesi  settentrionali, 
sui  quali  ruotano  sempro  Elice  e  Boote,  cioè 
la  costellazione  dell'  Orsa  maggiore.  La  ninfa 
Elice  e  il  figliuolo,  convertiti  da  Diana  in 
un'orsa  e  in  un  orsatto  (ofir.  Any.  zzv  181), 
forono  da  Qiove  collocati  in  cielo  e  trasfor- 
mati in  costellazione.  —  Si.  Pardaa  eco.  i 
suoi  eccelsi  monumenti.  —  86.  quando  eco. 
allorquando  la  potenza  romana  (designata  per 
Laterano,  sede  imperiale  e  poi  dei  pontefici) 
superò  tutte  le  cose  mortali  ;  cfr.  Virgilio, 
En.  vm  99  :  <  teota...  quae  nunc  romana  po- 
tentia  coelo  Aequavit  »  :  su  questi  versi  si 
veda  A.  Monti,  Danie  a  Roma,  pp.  7  segg. 
—  87.  che  al  dlrlno  ecc.  che  ero  passato 
dal  vivere  umano  al  divino,  dal  mondo  tem- 
porale al  mondo  etemo,  dalla  mia  patria  piena 
di  malvagi  cittadini  alla  cittadinanza  giusta 
e  santa  dei  beati.  —  89.  e  di  Fierezza  ecc. 
Anche  in  delo  Dante  sente  il  disprezzo  dei 


viziosi  oondttadini  (otr,  iVy.  vi  149  e  legg.). 
Lana:  e  Da  quella  dttà  dov'è  più  briga,  tri- 
boli e  odi,  di*  è  Firenze,  a  quella  tanta  !•- 
rusalem  celeste,  dov*  è  la  gloria  e  allegrena  ». 
40.  di  thè  eco.  di  quale  ammirazione  dorerà 
io  ossero  ripieno  :  «  ma  la  parola  dantesca, 
nota  11  Ventori  296,  oompròi^e  un  concetto 
di  sovrabbondanza  e  fors'  anco  di  perfMone  ». 
—  41.  Certo  ecc.  l'ammirazione  e  l'aDegrena 
mi  facevano  piacere  il  non  ascoltare  e  il  non 
parlare.  Tra  tante  meraviglie  e  allegrene 
Dante  non  ascoltava  più  nulla  e  restava  muto, 
tutto  assorto  nella  oontemplazione,  di  coi 
paria  nd  versi  seguenti.  —  42.  libito:  quello 
che  piace;  cf^.  Inf.  v  66.  —  43.  E  «assi  eoo. 
Alla  ammirazione  succede  la  euriodtà  e  il 
desiderio  d' imprimerd  ben  nella  mente  tutte 
quelle  meraviglie;  e  la  dmilitudine,  ohe  è 
quad  un'  esplicazione  della  precedente,  di- 
pinge efficacemente  lo  stato  di  Dante.  —  che 
si  rleres  ecc.  giunto  finalmente  al  tempio, 
che  è  termine  dd  suo  pellegrinaggio,  d  con- 
sola contemplandone  le  belletze  e  spera  di 
poter  al  ritorno  deacrivere  d  sud  le  cose  ve- 
dute ecc.  —  46.  b(  per  la  viva  eoe.  ood  gi- 
rando lo  sguardo  per  la  rosa  luminosa  lo  lo 
posava  su  per  i  vari  gradi,  ora  in  alto,  ora 
in  basso,  ora  all'  intomo.  —  48.  rlelreslande  : 
Ventari  299:  «ampia  parola  ohe  dipinge; 
Virgilio,  di  Enea  :  Miratur,  faeiie&qm  oouios 
fert  omnia  cireum,.,  eapOurg^  toois,  si  sit^ula 
lastus  ExquirU  {En,  vm  810);  altrove,  e  con 
suono  imitativo  più  spiccato  :  OeuHs  Pkrygia 
agnina  dmurnspeteU  (En.  n  66)  ».  —  49.  Te- 
dea  eoo.  Vedeva  volti  dipinti  di  fiarvida  ca- 
rità, illuminati  dalla  luce  divina  e  dd  loro 
proprio  f^ilgore,  e  atteggiamenti  d'onesta  do- 


PARADISO  -  CANTO  XXXI 


839 


d'altrui  lume  fregiati  e  del  suo  riso, 
51        ed  atti  ornati  di  tutte  onestadL 
La  forma  general  di  paradiso 
già  tutta  mio  sguardo  avea  compresa, 
54        e  in  nulla  parte  ancor  fermato  il  viso; 
e  Yolgeami  con  voglia  riaccesa 

per  domandar  la  mia  donna  di  cose, 
57        di  che  la  mente  mia  era  sospesa. 
Uno  intendea,  ed  altro  mi  rispose; 
credea  veder  Beatrice,  e  vidi  un  sene 
60       vestito  con  le  genti  gloriose. 

Diffuso  era  per  gli  occhi  e  per  le  gene 
di  benigna  letizia,  in  atto  pio. 


eenzA.  —  41  «urltà...  niadl  :  Danto  dal  rb. 
Mmdtn  traaia  quatto  participio,  con  ilgni- 
fioadona  alquanto  nmota  da  qnaDa  dal  rb* 
•toaao,  ma  che  pw  il  può  apiegaie  :  il  Tolto 
doli*  aomo  B'atto(n;la  in  detorminati  modi  so- 
oondo  i  iontimonti  cho  ag:itanQ  l'animo,  che 
qnaai  lo  eooitono,  lo  pennadono  ad  atto^ani 
ood  ;  perd  i  viai  mudi  di  carità  sono  1  volti 
tal  qnali  la  carità  appaio.  —  60.  del  ivo  rito: 
del  ftilgoie  proprio  delle  anime  beato  (ofr. 
Par,  iz  70  e  segg.).  —  61.  «ttl  eoo.  atti  di 
qnrìla  decorosa  oompostesza,  ohe  rivola  gli 
animi  onesti:  nn  esempio  di  cotali  atteggi*- 
menti  sarà  descritto  in  Piar,  zxxii  183-186. 

—  63.  La  fofHA  f eneral  eco.  H  mio  sgoar- 
do  aveva  già  percepito  nel  suo  complesso  il 
generale  aspetto  del  paradiso,  e  non  si  era 
fermato  ancora  sopra  alcuna  parto  con  spe- 
ciale considerazione,  s'era  limitoto  insomma 
a  nn*  occhiato  generale  percorrendo  da  ogni 
parto  l' immenso  quadro  che  mi  appariva  in- 
nanzi :  ofr.  VT.  46-48.  —  64.  o  im  nnlla 
eco.  n  viso  è  la  iSuK)ltà  del  vedere,  la  visto 
(ofir.  Inf,  IV  11);  lo  agtuirdo  o  sgnardare  d 
l'atto  del  vedere  :  perciò  Danto  dice  che  lo 
wguardo  non  aveva  firmato  il  viso^  cioè  che 
il  ano  oontomplare  non  aveva  fissati  gli  occhi 
eoe,  aebbene  l'azione  del  fsrmau  il  viso  mo- 
gUo  si  riporti  all'  nomo  che  goarda,  che  al- 
l'atto del  guardare  di  cui  non  è  cho  un  modo. 

—  66.  0  TOlgeaml  ecc.  con  nuovo  dedderìo 
mi  rivolgeva  per  intorrogare  Beatrice  intomo 
a  cose  che  tenevano  dubbiosa  la  mia  mento: 
riaeeeta  è  la  voglia  di  Danto,  perché  a  suo 
desiderio  di  sapere  (cft.  Par,  zzx  127),  che 
1a  donna  aveva  sodisfatto  con  una  risposto 
già  udito  {Par,  xxx  128  e  segg.),  era  risorto 
dopo  lo  stupore,  perché  il  poeto  avrebbe  vo- 
luto una  più  diffusa  dichiarazione  dello  spet- 
tacolo apparsogli.  —  66.  di  cote  ecc.  Le  cose, 
di  Otti  Danto  era  preoccupato  e  desiderava 
oonoecere  il  vero,  erano  quelle  intomo  alle 
quali  gli  parlò  poi  san  Bomardo.  —  68.  Uno 
•co.  Io  credeva  di  veder  Beatrice  e  rivolen- 


domi vidi  altra  persona  eoo.  Abbiamo  qui  una 
certo  oonformità  con  la  eepararione  avvenuto 
nel  paradiso  teirsstre  Ara  Virgilio  e  Danto 
(cfr.  Pitrg,  zzx  48  e  segg.),  e  oome  quella 
separazione  significa  il  suooedere  della  sdonza 
divina  alla  scienza  umana,  della  fede  alla  ra- 
gione, cosi  qui  l'apparire  del  vecchio  vene- 
rando che  sostituirà  Beatrice  neU'  offloio  di 
guida  significa  che  per  elevarsi  alla  visione 
beatifica  della  Trinità  l' uomo  per  mezzo  della 
oontomplazione  deve  ottonerò  la  grazia  di 
vedere  ciò  che  non  può  essere  inteso  per  mezzo 
delle  scritture  :  e  simbolo  della  oontompla- 
zione è  appunto  san  Bernardo,  il  quale  ot- 
tiene da  Maria  Vergine  la  grazia  ohe  rende 
capaoe  Danto  di  vedere  il  mistero  della  Tri- 
nità. —  mi  rispose:  non  deve  intondecsi 
detto  rispetto  alle  parole  che  or  seguiranno 
di  san  Bernardo,  ma  al  fatto  della  sua  appa- 
ririone  ;  e  perdo  significa  mi  accadde,  mi  av- 
venne. "^  69.  «■  iene:  questo  vecchio  ve- 
nerando (cfr.  V.  94)  è  san  Bernardo,  n  dot- 
tore contomplanto,  n.  a  Fontaines  nella  Bor- 
gogna nel  1091,  entrato  monaco  al  convento 
cistordense  di  Gteauz  nel  1118  e  poi  abato 
di  Clairvauz  nella  Champagne,  m.  nel  1168; 
il  quale  lasdò  opere  ascetiche  ohe  Danto  sto- 
dio  (cfir.  Episl.  z  28)  e  fu  in  singoiar  modo 
divoto  della  Vergine  Maria,  onde  fu  santifi- 
catoe  detto  ahtmnu»  famiUariasknuB  DomimM 
iVosfrod  (Pietro  Oellense,  EpitL  vi  28):  cfr. 
Bollandlstl,  Aeta  sanet,  20  Augusti  ;  Morison, 
Lif9  and  Hme*  of  t.  Bernard,  Londra,  1868  ; 
le  sue  opere  pubblicato  dal  Habillon,  Parigi, 
1667.  —  60.  TSiUto  ecc.  vestito  anch'agli  di 
bianca  stola,  come  totti  gli  altri  beati  (ofr. 
Par,  zzz  129):  per  il  costratto  ofr.  Àify. 
XXIX  146.  —  61.  Diffuso  ecc.  B  suo  volto 
era  piamento  attoggiato  a  benigna  letizia,  qnal 
si  conviene  a  un  padre  amoroeo.  La  dmili- 
tudine  è  sorella  di  quella  del  Purg,  i  81  e 
segg.,  ma  paragonandole  si  vede,  noto  il  Ven- 
turi 201,  che  in  paradiso  la  riverenza  si  cam- 
bia in  letizia,  e  totto  spira  serenità  di  volto 


840 


DIVINA  COMMEDIA 


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quale  a  tenero  padre  si  conviene. 

Ed:  €  Ella  oy*è?»  di  sùbito  diss'io; 
ond'  egli  :  €  A  terminar  lo  tuo  disiro 
mosse  Beatrice  me  del  loco  mio; 

e  se  riguardi  su  nel  terzo  giro 
del  sommo  grado,  tu  la  rivedrai 
nel  trono  cHe  i  suoi  morti  le  sortirò  ». 

Senza  risponder  gli  occhi  su  levai, 
e  vidi  lei  che  si  ^Eusea  corona, 
riflettendo  da  sé  gli  etemi  rai. 

Da  quella  region,  che  più  su  tuona, 
occhio  mortale  alcun  tanto  non  dista, 
qualunque  in  mare  più  giù  s'abbandona, 

quanto  li  da  Beatrice  la  mia  vista; 


epUteneroBad'Amoxe.  ~  gtie  :  gote,  gnan- 
00 ;  UtlBismo  insolito.  —  64.  ElU  «l'èf  eoo. 
Dante  volgendoli  ■*  accorge  di  non  arere  pid 
allato  la  ma  dolce  goida,  e  snliito  domanda 
ore  aAs  na  ;  e  dice  $Ua^  non  il  nome  della 
soa  donna,  perchó  in  questa  astiazlone  dal 
nome  è  signifioato  pid  potentemente  l'affetto 
che  gli  fece  chieder  di  lei.  —  66.  À  Urml- 
■ar  ecc.  Beatrice  mi  fece  mnorere  dal  mio 
scanno  perché  il  tuo  desiderio  fosse  compiuto; 
si  arrerta  bene  il  signifioato  di  qneste  parole, 
che  non  d  :  affinché  io  compiessi  il  tao  desi- 
derio', ma  affinché  potesse  essere  sodisfatto 
il  tao  Toto,  si  compiesse  il  tao  cammino  Terso 
la  divinità;  oome  del  resto  appare  dal  con- 
fronto coi  7T.  94-96.  ~  66.  mosse  ecc.  cfr., 
per  il  senso  del  vb.  nmovtn,  Btr.  xxn  118. 
~  67.  e  se  rlgnardl  eoe  e  se  ta  rigaardi 
sa  nel  terso  giro  della  celeste  rosa,  la  rive- 
drai nel  seggio  che  i  soci  meriti  le  destina- 
rono. Beatrice  è  dal  poeta  oollocata  nel  terzo 
giro,  a  cominciare  dal  sommo,  forse  non  senza 
un  ricordo  della  giovenile  imaginazione,  per 
cai  la  soa  donna  gli  appariva  oome  «  ano  mi- 
racolo, la  oai  radice  è  solamente  la  mirabile 
Trìnitado  >  (F.  N,  znx  20)  :  ma  anche  può 
essere  ch'ei  la  collocasse  nel  terzo  giro  per 
una  specie  di  riguardo  a  Maria  Vergine  col- 
locata nel  primo  e  ad  Eva  posta  nel  secondo: 
circa  la  compagnia  di  Beatrice  nel  terzo  giro 
cfr.  Par,  xzxn  7  e  eegg.  ~  68.  del  somMo 
grade:  a  cominciare  dal  grado  pid  alto.  — 
69.  le  sortirò:  cfr.  Par,  xvm  106.  —  70. 
8easa  ecc.  Dante  non  risponde  alle  parole 
di  san  Bernardo,  perché  troppo  gli  preme  di 
vedere  Beatrice  nella  pienezza  della  sua  glo- 
ria, assisa  sopra  lo  scanno  di  beatitadine,  e 
di  ringraziarla  di  dò  ch'ella  ha  fatto  per  lui. 
—  71.  e  vidi  ecc.  e  la  vidi  beata,  la  vidi  che 
rifletteva  da  sé  i  raggi  divini  ohe  le  facevano 
corona.  Questa  imagine  della  oorona  luminosa 


a  signiilcare  la  beatitudine  Dante  potè  tzo- . 
vaie  in  Tomm.  d*Aqu.,  Amimi.  P.  m,  sup- 
pL,  qu.  zovi,  art  1  :  €  Praemium  ewentisle 
hominis,  quod  est  elus  beatitudo,  oonilsttt  in 
perfeota  ooniunotlone  animae  ad  Deam,  in 
quantum  eo  perfeote  froitur  ut  viso  et  amato 
perfécte.  Hoc  autem  praemium  metaphorioo 
corona  didtnr...  Corona  autem  set  proprium 
signum  regiae  potostatìs;  et  eadem  ratione 
praemium  accidentale,  quod  essentlali  addi- 
tur,  ooronae  rationem  habet  Slgnlflcat  etlam 
corona  perfectionem  quamdam,  ratione  flgii- 
rae  drcnlaris,  ut  ex  hoc  etiam  peifeetioni 
competat  beatorum  >.  —  78.  Da  f ueDa  eoe. 
Alcun  occhio  mortale,  n  quale  miri  dalle  magw 
glori  profondità  del  mare,  non  dista  tanto 
dalla  parte  più  alta  dell'atmosfeea  tanestre, 
quanto  la  mia  vista  era  distante  da  Bea^loe. 
Per  esprimere  V  idea  della  sablimità,  non  pur 
dello  scanno  di  Beatrice,  ma  di  tutta  la  ce- 
leste rosa,  il  poeta  ricorre  a  una  similitudine 
grandiosa  dicendo  che  nessun  occhio  mortale, 
guardasse  pur  esso,  non  dalla  superflcie  t«r> 
restre,  ma  dalla  pid  profonda  voragine  del 
mare,  sarebbe  tanto  lontano  dall'estrema  re- 
gione dei  tuoni,  quanto  ecc.  —  ehe  pltf  tm 
tuena  :  che  pid  in  alto  rumoreggia  dei  tuoni, 
che  vi  si  formano.  —  75.  fialuao*  wo- 
Vuole  il  Lomb.  che  qui  €  intendasi  la  pce- 
posirione  in  posta  nel  mezzo,  invece  di  essere 
anteposta,  ad  imitazione  cioè  di  quelle  latine 
twd  kaeinurbét  t&rikm  iumoimi^  gnociiwi 
qut  in  mali  »  ;  ma  questo  latinismo  lintattioo 
non  è  conforme  ali*  uso  dantesco  :  meglio  sin- 
tenda  quahtnqu»  oome  un  pronome  relativo 
(qual  mai  come  ^uonftmgus,  quanto  mai,  cfr. 
Inf,  V  12)  includente  l'idea  d'indetermina- 
tezza, e  riconnettendolo  con  oeeMo  mortak 
ecc.  si  spieghi  :  occhio  mortale,  il  quale  mai 
si  sprofondi  di  pid  negli  abissi  del  mare.  — 
76.  qaamte  eoo.  quanto  tt,  nel  paradiso,  U 


PARADISO  -  CANTO  XXXI 


841 


ma  nulla  mi  fi&oea,  obé  sua  effige 
78       non  discendeva  a  me  per  mezso  mista. 
€  O  donna,  in  cui  la  mia  speransa  vige 
e  che  soffiristi  per  la  mia  salute 
81       in  inferno  lasciar  le  tue  vestige; 
di  tante  cose,  quante  io  ho  vedute, 
dal  tuo  potere  e  dalla  tua  bontate 
84       riconosco  la  grasia  e  la  virtute. 
Tu  m*hai  di  servo  tratto  a  libertade 
per  tutte  quelle  vie,  per  tutti  i  modi, 
87       che  di  ciò  fare  avéi  la  potestate. 
La  tua  magnificenza  in  me  custodi 
si  ohe  l'anima  mia,  che  fatta  hai  sana, 
90       piacente  a  te  dal  corpo  si  disnodi  ». 
Ck>8i  orai;  ed  ella  si  lontana, 
come  parca,  sorrise  e  rignardommi; 
98       poi  si  tornò  all'eterna  fontana. 


■la  Ttela  «m  bntena  da  Beatrice,  assisa  nel 
terzo  flio  delia  iosa.  —  77.  aa  siila  eoe. 
ma  questa  Immensa  distanza  non  aveva  aloan 
effètto  fisico,  perché  la  sembianza  di  Beatrice 
perrenira  ai  miei  occhi  immediatamente  :  la 
ragione  l'ha  già  detta  in  Ar.  zzk  121-128. 
—  78.  per  Messo  mlsUi  attenuata  o  alte- 
rata dal  mezzo  fisico,  attrarerso  al  qnale  snlla 
terra  nd  Tediamo  le  coee.  —  79.  0  donaa 
eoe  O  Beatrice,  in  oni  è  fondata  la  mia  spe- 
ranza e  che  per  la  mia  salrezza  non  disde- 
gnasti di  scendere  nelle  regioni  infernali,  di 
tatto  quello  ch'io  ho  yeduto  nel  mio  riaggio 
riconosco  la  grazia  o  la  capacità  dal  tuo  po- 
tare e  dalla  tua  bontà.  —  80.  seflHstl  ecc. 
Accenna  alla  discesa  di  Beatrice  al  limbo  per 
muoveie  Virgilio  in  aiuto  di  Dante  (ihf.  n 
62  e  segg.);  discesa  già  ricordata  da  Beatrice 
stessa  nel  paradiso  terrestre,  come  necessa- 
ria alla  salrezza  di  Dante  {I^try,  xxx  186- 
141).  —  82.  fuante  lo  he  Tedile:  in  tutto 
Il  mio  Tiaggio  por  1  tre  regni  etemi,  non  già 
nai  solo  paradiso.  —  85.  Ti  m*  hai  ecc.  Tu 
mi  hai  tratto  dalla  schiaTitd  del  peccato  alla 
libertà  dello  spirito  (ofir.  I\iiy,  1 71).  Intorno 
a  ciò  ascoltisi  la  parola  di  Tomm.  d'Aqu., 
Summ,  P.  n  2>*,  qu.  oLxxzm,  art  4  «  Iuto- 
nitur  in  rebus  spiritnalibus  duplex  serritus 
0t  duplex  nbertas:  una  quidam  est  serritus 
peccati  ;  altera  Toro  est  serTitus  iustìtiae.  Si- 
mHiter  etiam  est  duplex  libertas  :  una  qui- 
dam a  peccato  ;  alia  Tero  a  iustitia,  ut  patet 
per  Apostolum,  qui  didt  ad  Rem.  ti  20  :  Oum 

fMffid  vero  Ubirati  a  peeeatOt  mni  etti»  facH 
Duo.  Est  autem  serritus  peccati  Tel  lustitiae, 
enm  aliquis  Tel  ex  habitu  peccati  ad  malum 
locUnatur  rei  ex  habitu  institiae  Indinatur 


ad  bonum  :  simOiter  etiam  Ubertas  a  peccato 
est,  enm  aliquis  ab  indinationo  peccati  non 
siqperatnr  :  libertas  autem  a  iustitia  est,  cum 
aUquis  propter  amorem  lustitiae  non  retar- 
datur  a  malo.  Verumtamen  quia  homo  secun- 
dnm  naturalem  ratìonem  ad  instltiam  indina- 
tur, peccatnm  autem  est  centra  naturalem 
rationem,  oonsequens  est  quod  Ub$rUu  a  fso- 
tato  tU  vera  Ubertat^  quae  coniungitnr  serTi- 
tuti  lustitiae,  quia  per  utrumque  tendit  homo 
in  id  quod  est  conToniens  dbi;  et  similiter 
vera  mrvUua  «rf  Bervttiu  peeeoH^  cui  coniun* 
gitur  libertas  a  iustitia,  quia  sdlicet  per  hoo 
homo  impeditur  ab  eo  quod  est  proprium  si* 
bi  ».  —  86.  per  tutte  eoo.  per  tutte  quelle 
Tio  e  per  tutti  quel  modi,  che  tu  utotI  fit- 
ooltà  di  usare  a  questo  fine.  —  88.  La  tua 
magnifieeasa  ecc.  Custodisci,  conserra  In 
me  il  grandissimo  dono  che  tu  m' hai  fktto, 
doè  la  UbertaU  ddlo  spirito,  di  modo  che  l'a- 
nima mia  cosi  purificata  da  te  si  disdolga  dal 
corpo  senza  arertl  dispiadnto,  senza  aTor  per- 
duta la  grazia  diTina  conseguita  col  tuo  aiuto. 
—  90.  flaeeate  ecc.  nella  steesa  oondirione 
di  grazia  In  cui  essa  è  ora,  senza  essere  ri- 
caduta in  peccato.  —  91.  Oeef  ecc.  Con  que- 
ste parole  ringraziai  Beatrice  •  la  pregai  di 
conserTarmi  neDa  grazia  diTina;  ed  ella,  cosi 
da  lontano  come  mi  appariTa,  mi  sorrise  e  ri- 
guardò, dandomi  un  tadto  eegno  die  la  mia 
preghiera  sarebbe  stata  esaudita.  —  tf  !•■• 
tana  ecc.  ofir.  tt.  78-76.  —  98.  poi  si  tentò 
eoe  poi  d  Tolse  a  Dio,  fonte  della  sua  beati- 
tudine. —  eterna  fontana  i  ò  imagine  bibli- 
ca, p.  es.  8ahn,  xxxti  9  :  cappe  te  ò  lafbnte 
della  Tita,  e  per  la  tua  luce  noi  Tediamo  la 
luce  >  ;  leremia  xTn  13  :  «  la  fonte  delle  ac- 
que tìto,  il  Signore  »  ;  cfr.  anche  Bir,  xx 


842 


DIVINA  COMMEDIA 


E  il  santo  sene  :  <  Acciò  che  tu  assommi 
perfettamente,  disse,  il  tuo  cammino, 
96       a  che  prego  ed  amor  santo  mandommi, 
vola  con  gli  occhi  per  questo  giardino; 
che  veder  lui  t'acconcerà  lo  sguardo 
99       più  al  montar  per  lo  raggio  divino. 
E  la  regina  del  cielo,  ond'  i'  ardo 
tutto  d'amor,  ne  faxk  ogni  grazia, 
102       però  ch'io  sono  il  suo  fedel  Bernardo  >. 
Quale  ò  colui,  che  forse  di  Croazia 
viene  a  veder  la  Veronica  nostra, 
105       che  per  l'antica  fama  non  si  sazia, 


IIS.  ^  94.  I  11  luto  eoo.  San  Bernardo 
riprende  al  momento  opportono  s  parlate,  per 
oonléitaie  Dante  a  fortìlfloar  lo  ^Irlto  nella 
Tiiione  àtH  paradioo  e  per  aMlonrailo  ohe  la 
Volgine  MarU  gii  laià  larga  della  ma  fraiia. 

—  Aeeiò  ehe  eoo.  Affinché  tn  poaM  oompiere 
perfettamente  il  tao  cammino,  afflnohó  la  ele- 
Tadone  dell'anima  toa  a  Dio  aia  perfetta  eco. 
Si  aTTorta  la  conformità  di  espreeaione  tra 
qneeto  paaao  e  qoeUo  del  iWy.  xxi  112,  ore 
anche  il  Th.  attomman  ha  il  senso  di  oon- 
dure  a  termine,  compire.  —  96.  a  ehe  eco. 
al  qnal  fine  io  taà  mandato  da  Beatrice  eco. 
Qoalohe  difficoltà  ofErono  le  parole  prtgo  «d 
amor  santo  :  la  preghiera  che  mosso  Bernardo 
fa  oerto  quella  di  Beatrice  (cfr.  t.  66);  ma 
roMor  mmto  pad  intendersi  si  per  l'aiEétto  di 
lei  Terso  Dante  che  la  mosse  a  parlare  a  Ber- 
nardo, come  a  Virgilio  (cft.  /n/1  n  72),  e  si 
per  Taidente  carità  dei  santo  dottore  che  ac- 
colse la  preghiera  :  la  prima  interpratasione 
sembra  da  preferire,  perché  forse  Bernardo 
non  arrebbe  chiamato  tanto  an  aibtto  sao 
proprio,  e  perché  la  carità  della  qnale  egli 
arderà  è  accennata  sabito  dopo  {Tf,  100-101\ 

—  97.  ToU  eoe  contìnoa  a  contemplare  la 
rosa  coleste,  il  coro  dei  beati  (ofr.  Bar,  xxiii 
71),  perché  tale  contemplazione  renderà  ca- 
pace il  tao  sgoardo  di  ascendere  sempre  piò 
alto  nella  risione  dirina.  —  96.  t'aeeoneerài 
V  nso  del  vb.  aceonùiar»  nel  senso  di  render 
acconcio,  idoneo  dovoTa  sembrare  singolare 
anche  agli  antichi;  onde  Tennero  in  qaesto 
verso  le  lezioni  f  aeoenderàj  famtirà,  che  sono 
manifèsto  emendazioni  di  ohi  non  intese  il 
Benso  della  parola  dantesca.  —  99.  fltf  al 
montar  ecc.  Batl  :  e  a  montar  piò  soso  per 
lo  raggio  dhrino,  cioè  per  la  grazia  divina, 
che  non  è  altro  che  ano  raggio  della  saa  di- 
vinità, che  raggia  nelle  sae  creatore  ».  — 
100.  E  la  regina  ecc.  S  la  Vergine  Maria, 
per  la  qnale  io  ardo  tatto  d'amore,  ci  farà 
ogni  grazia,  perché  lo  sono  il  sao  dlvotiasimo 
Bernardo.  —  102. 11  suo  fede!  ecc.  Bernardo 
di  Clairvaox  ebbe  una  singolarissima  divo- 


zione per  la  Vergine  Maria,  oomo  appare  da 
tatti  I  iool  scritti.  "  108.  QwJe  eeo.  Per 
dait  VA*  idea  deOa  tenersoa  proTata  aUonM 
san  Bernardo  gli  ri  riTélò  tatto  aideoto  di 
carità,  Danto  ri  Tale  dionarimlUtadlnesta- 
penda  tetta  da  an  btto  deroto,  cornane  al 
sool  tmpl,  cioè  dall' estaticaocntemplarione 
che  I  pellegrini  Tenatl  dalle  piti  lontane  parti 
del  mondo  cristiano  fkoerano  della  Imagine 
di  Cristo  Impressa  nel  sndario  ooosenrato  a 
Boma  nella  barilica  di  San  Pietro.  —  ferae 
di  CreazU  i  da  an  paese  lontano,  tn  genere , 
ma  il  form  cosi  ben  collocato  &  sentii  qoari 
1  dissgi  e  le  &tlohe  del  tengo  pellogilnaggio, 
al  qnale  è  fine  la  oontomplarione  di  tante 
reliqnia.  — 104.  Tiene  ecc.  La  nostra  Taro- 
nioa  (twa  imagine)  è  la  prsriosa  reliqnia  del 
Telo,  che,  secondo  la  leggenda  cristiana,  nna 
santo  Veronica  aTrebbe  preeteto  a  Geed  sella 
Tia  del  Calvario  e  riaTato  poi  da  lai  stesso 
con  r  impronte  del  santo  Tolto  (cfr.  BoUan- 
distl,  Ada  Sandonmy  lébraftfii,  toL  1^  pp. 
449-467;  Doahet,  PiofioM.  det  légmdmduOiri' 
ttian,,  pp.  1202  e  segg.).  Le  doTorioni  per 
qneste  imagine  dnrarono  TiTisrime  te  Boma 
per  tatto  il  mediooTo,  e  Ti  accorreTano  no- 
merori  i  pellegrini  dalle  terre  pid  lontano, 
speclalmento  per  le  festo  del  gennaio  e  delte 
settimana  santa.  Qaesto  abitoale  ooncono  dei 
pellegrini  per  te  Veronica  è  •^v^nw^tn  da 
Danto  anche  neUa  T.  ^.  xl  1:  «  te  qael 
tempo  ohe  molte  gento  Ta  per  Todere  qoeUa 
Imagine  benedetta,  te  qnale  Gesù  Cristo  la- 
sdd  a  noi  per  esemplo  de  te  saa  bellissima 
Agora»  ;  e  dal  Petrarca  nel  son«XTi:  «Mo- 
tosi il  Tocchierel  canato  e  bianco...  E  Tiene 
a  Boma,  segoendo  '1  desio,  Per  mirar  te  sem- 
blania  di  colai  Che  ancor  là  so  nel  del  Te- 
derò spera  >:  notoToli  osson sifoni  oompara- 
tlTO  sopra  I  Torri  di  Danto  e  quelli  dri  Pe- 
trarca te  F.  C.  Pellegrini,  JShmtnU  di  ìttU- 
raturOf  LiTomo  1896,  pp.  210  e  segg.  —  105. 
che  per  l'antica  eoo.  il  qnale  non  ri  saste 
di  contemplarte,  cori  tìto  deriderio  è  stato 
acceso  m  lui  dall'  aTome  sentito  parlar  tanto 


PABADISO  -  CANTO  XXXI 


843 


ma  dice  nel  pensier,  fin  che  si  mostra: 
€  Signor  mio  Gesù  Cristo,  Dio  verace, 
106       or  fu  si  fatta  la  sembianza  vostra  ?  » 
tale  era  io  mirando  la  vivace 
carità  di  colui,  che  in  questo  mondo, 
111        contemplando,  gustò  di  quella  pace. 

€  Figliuol  di  grazia,  questo  esser  giocondo, 
cominciò  egli,  non  ti  sarà  noto 
114        tenendo  gli  occhi  pur  qua  giù.  al  fondo; 
ma  guarda  1  cerchi  fino  al  più  remoto, 
tanto  che  veggi  seder  la  regina, 
117        cui  questo  regno  è  suddito  e  devoto  ». 
Io  levai  gli  occhi  ;  e  come  da  mattina 
le  parti  orientai  dell'orizzonte 
120        soperchian  quella  dove  il  sol  declina, 
cosi,  quasi  di  valle  andando  a  monte. 


sin  da  fknclallo  :  la  fiuna  ò  detta  ùnHea  ri- 
spetto al  desiderio  del  pellegrino,  non  rispet- 
to al  principiare  delle  derozloni  per  la  Ve- 
roniea.  —  106.  ma  dice  eoo.  ma  per  tatto 
il  tempo  che  V  imagine  santa  gli  resta  espo- 
sta, gli  è  mostrata,  pensa  con  istnpore  ohe 
quella  ohe  ha  innanri  fa  proprio  la  sembian- 
sa  di  0eeó  Cristo.  —  107.  Signor  ecc.  La 
forma  InterrogatiTa  ^1  non  esprime  dabbiez- 
xa,  ma  è  on  particolare  atteggiarsi  dell'  e- 
sdamaxione,  come  se  dicesse  :  Dnnqne,  o  Si- 
gnor mio,  io  sono  proprio  innanri  alla  vera 
imagine  del  rostro  Tolto  I  Finalmente  si  è 
adempinto  il  mio  voto  di  vedere  la  sembianza 
diTina  I  —  109.  tale  era  eco.  nella  stessa 
condizione  di  stupore  e  di  riverenza  mi  tro- 
vava io  mirando  l'aspetto  lérvente  di  carità 
di  qnel  santo  nomo,  ohe  già  nel  mondo  pre- 
gustò nella  contemplazione  le  dolcezze  della 
oeleets  beatitadine.  —  111.  esaUmplande 
000.  Fra  i  molti  passi  delle  opere  di  san  Ber- 
nardo, ohe  si  potrebbero  citare  a  dichiara- 
zione di  questo  verso,  basti  il  seguente  delle 
ModitaHon,  piiss.,  cap.  i  :  e  Patrem  et  Filium 
oom  Sancto  Spiritn  oognosoere,  vita  est  ae- 
tema,  beatitndo  perfeota,  somma  voluptas. 
Ocolus  non  vidlt,  neo  anris  audivit,  neo  in 
oor  hominis  asoendit  quanta  daritas,  quanta 
snavitas,  et  quanta  iuounditas  maneat  nos  in 
Illa  visione,  quando  Deum  fade  ad  fàdem 
videbimus:  qui  sst  lux  illuminatorum,  requles 
exerdtatomm,  patria  redenntìum,  vita  viven- 
ttuA,  corona  vinoentium.  Ita  in  mente  mea 
quamdam  imaginem  illins  summae  Trinita- 
tìs  invenio:  ad  quam  summam  Trìnitatem 
zeoolendam,  inspldendam  et  diligendam,  ut 
«Ins  recorder,  ea  delecter,  et  eam  complectar 
et  oontempler,  totnm  id  quod  vivo,  debeo  re- 
,  ~  112,  Figlino!  eco.  0  uomo  rige- 


nerato daOa  gnria  divina,  tu  non  potrai  oo- 
nosoers  compiutamente  questo  stato  di  beati- 
tudine, ss  tieni  gli  occhi  volti  solamente  ai 
giri  infìniori  di  questa  rosa  oeleste.  —  116. 
mtk  giarda  eoo.  ma  eleva  i  tud  occhi  su  per 
tutti  i  giri  sino  al  piò  lontano,  al  più  alto, 
tanto  che  tu  vegga  seduta  sopra  il  suo  trono 
la  Vergine  Maria,  regina  dd  deli,  alla  quale 
tutti  i  beati  di  questo  regno  sono  sudati  e 
devotL  —  118.  Io  levai  eoo.  Innalzando  lo 
sguardo  all'ultimo  giro  Dante  vede  in  una 
vivida  luce  in  mezzo  alla  moltitudine  dello 
angeliche  eraature  sorridere  una  bellezza  ohe 
riempie  di  gioia  tutti  i  beat!,  vede  la  Beata 
Vergine,  e  a  descriverla  dice  di  sentirsi  in- 
capace. Pur  lo  spettacolo  novisdmo  d  da  lui 
rappresentato  compiutamente,  per  quanto  è 
dato  alla  parola  umana  di  rendere  1*  idea  delle 
cose  divin'è  :  le  similitndlni  e  le  imagini  che 
s*  intrecdano  in  questa  descrizione  sono  come 
r  ultimo  sforzo  ohe  il  poeta  fa  per  costringore 
l'arte  sua  a  significalo  gli  altissimi  oonoetti 
della  sua  mente,  e  sono  tali  da  dipingere  agli 
occhi  nostri,  se  non  la  inooncepibilo  realtà 
del  mondo  divino,  almeno  quella  idea  che 
Dante  se  n'era  formata  nella  fervidissima 
fantasia.  —  eome  da  mattina  eoo.  come  sul 
mattino  la  parte  orientale  dell'orizzonte  d  più 
illuminata  della  parte  ocddentale,  cosi  un 
punto  del  giro  estremo,  quello  corrispondente 
al  seggio  di  Maria,  vinceva  di  lume  tutti  gli 
altri  punti  del  giro  stesso.  —  121.  quasi  di 
valle  ecc.  innalzando  gli  occhi,  andando  con 
lo  sguardo  dal  fondo  della  rosa  (v.  114)  al 
cerchio  più  rtmoto  (v.  116).  Venturi  3  :  «  Com- 
parazione inclusa.  Qui  Dante  monta  in  su  con 
gli  occhi,  come  pochi  verd  prima  dice  che 
andava  con  esd  fwr  ìa  viva  htee  passegfiando. 
In  lui  sensi  ed  affètti  si  vestono  di  forme 


844 


DIVINA  COIOCEDIA 


con  gli  ocohi  vidi  parte  nello  estremo 
123       vincer  di  lame  tutta  1* altra  fronte: 
e  come  quivi,  ove  s'aspetta  il  temo 
che  mal  guidò  FetontOi  più  s'Infiamma, 
1^6        e  quinci  e  quindi  il  lume  è  fatto  scemo; 
cosi  quella  pacifica  oriafiamma 
nel  messo  s'avvivava,  e  d'ogni  parte 
129       per  egual  modo  allentava  la  fiamma. 
Ed  a  quel  mezzo,  con  le  penne  sparte, 
vidi  più  di  mille  angeli  festanti, 
182       ciascun  distinto  e  di  fulgore  e  d'arte. 
Vidi  quivi  ai  lor  giochi  ed  ai  lor  canti 
ridere  una  bellezza,  che  letizia 
185       era  negli  occhi  a  tutti  gli  altri  santL 
E  s'io  avessi  in  dir  tanta  divizia, 
quanto  ad  imaginar,  non  ardirei 
188       lo  minimo  tentar  di  sua  delizia. 
Bernardo,  come  vide  gli  occhi  miei 
nel  caldo  suo  calor  fìssi  ed  attenti, 
li  suoi  con  tanto  affetto  volse  a  lei 


TÌT9;  e  gli  oggetti  estarni  il  mvorono  in  amo- 
roMOonovrtoooU*  Anima  sua  >•  —122.  farfte: 
un  ponto.  —  12A.  e  «ome  flirt  eoe.  e  come 
nelià  parto  oriantola  dell'  orizionto,  dalla  quale 
il  loie  Ito  per  locgere,  più  riva  è  la  Inoe  ohe 
àx  xm  lato  e  dall'  altzo  ▼»  diminnendo  eoi 
creeoere  della  diitania,  ooif  lo  splendore  di 
Maria  era  Tiviieimo  nel  meno,  e  d'ogni  parto 
s'andava  froendo  meno  intenso  di  mano  in 
mano  ohe  oreioeTa  la  lontananza.  —  s'aipetta 
eoe.  li  eletto  ohe  spunti  il  sole,  ohe  Tenga 
foori  il  timone  del  oaxro  solarli  ohe  Fetonte 
non  seppe  guidare.  —  tome  t  cfr.  iVy.  zxn 
119.  —  126.  mal  f«idò  eoo.  cfr.  Bif.  zvn 
106,  iVy.  IT  72.  —  126.  è  fatto  leemei  d 
diminuito  d'intensità,  appare  meno  vivido. 
—  127.  f  nella  paelflea  eoo.  h*orifiaimima  o 
oriafiamma  (lat.  aurta  fiamma,  frano,  ort- 
fiammà)  è  l'antioo  stendardo  dei  re  di  Fran- 
cia (la  sua  origine  risale  allo  stendardo  rosso 
dato  da  Cristo  a  Oarlomagno  per  segno  della 
podestà  imperiale,  secondo  le  rapprssentaxioni 
figurato  nei  musaici  lateranensi,  ofr.  Q.  Dee- 
jardins,  Iìtek§nhéi  wm  bs  énftanui  fnmfai», 
pp.  1  segg.),  -e  sembra  ohe  Danto  abbia  usato 
metaftuicamento  questo  Tooe  a  indicare  il 
cerchio  risplendente,  pensando  al  colore  dello 
stendardo  ohe  era  flammanto  e  dell'aste  che 
ora  dorata,  temperando  l'espressione  oon  l'e- 
piteto di  pacifica.  Vuol  dirs  adunque  ohe  il 
supremo  giro  splendidamento  flammeggianto 
si  mostrava  più  luminoso  nel  meizo  eoo.  — 
129.  allentova  eoo.  diminuiva  d'intensità. 


—  130.  Ed  a  quel  Messo  eoo.  E  intomo  a 
quel  punto  più  luminoso,  cioè  intomo  al  seg- 
gio della  Vergine  Maria,  vidi  più  di  mille  an- 
geli  ohe  volando  f!soevano  feste  alla  madre 
di  Dio,  oiasonno  risplendendo  variamente  • 
diversamente  morendosL  — 182.  eiasenn  eoe 
ciascuno  degli  angoli  oon  la  diversità  dello 
splendore  dimostrava  il  diverso  grado  della 
sua  carità  o  del  suo  amore,  e  oon  la  diveiw 
sita  del  movimento  quella  della  letixia.  — 
arto  :  ha  anche  il  senso  di  operadone,  atto, 
e  nel  caso  di  angeli  ohe  operavano  la  lor  fe- 
ste volando,  lignifloa  movimenti  :  cfr.  la  noto 
al  iVy.  zzvm  18.  —  183.  Tldl  f  alvi  ecc. 
Guardando  in  quel  punto  vidi  ohe  alla  feste 
e  al  canto  degli  angeli  sorrideva  una  bel- 
lezza, ohe  rallegrava  di  so  tatti  gli  altri  bea- 
ti: è  la  bellezza  deUa  Vergine  Maria.  — 
gioehl:  cfr.  Par.  xx  117.  — 186.  s'ie  avesai 
eoo.  se  io  avessi  tante  riccheoa  di  paroU 
quante  d  la  potenza  della  fantasia,  non  ar- 
direi di  provarmi  a  descrivere  pur  la  minima 
rrte  della  deliziosa  bolleiza  della  Vergine, 
il  solito  pensiero,  che  le  oose  divine  tra- 
scendono le  facoltà  umane,  signilloato  oon 
espressioni  d'amorosa  vaghezza.  — 189.  Ber- 
nardo eco.  Come  san  Bernardo  vide  oh'  io 
fissava  attentemente  lo  «guardo  in  quella  calda 
fiamma  ond'egli  ardeva,  volse  i  suoi  occhi 
alla  Vergine  con  tanto  affètto  ohe  m' infsr- 
vorò  sempre  più  a  oontomplaria.  — 140.  ealdo 
ma  ealor  :  il  cahn  d  Maria  Vergine,  detto 
$uo,  rispetto  a  san  Bernardo,  parchi  egli  li 


PARADISO  -  CANTO  XXXI  845 

142    che  i  miei  di  rimirar  fé'  più  ardenti. 

•X»  professato  ordmUe  tutto  d'amor»  por  la      eoe.  ohe  l'esempio  della  sua  fervida  oontom- 
madie  di  Dio  (cfr.  r.  100).  —  142.  eke  1  miti      pladone  accrebbe  l'ardore  della  mia. 


CANTO  xxxn 

San  Bernardo  dimostra  a  Dante  come  sieno  disposti  i  beati  nella  rosa 
celeste,  toccando  a  proposito  dei  pargoli  beati  il  problema  della  predesti- 
nazione ;  poi  lo  Invita  a  mirare  nel  volto  di  Maria  Tergine,  in  cni  s*  acco- 
glie tutta  la  divina  allegrezza;  gli  addita  in  nn  angelo  che  canta  TAve 
Maria  Tareangelo  Gabriele  ;  e  dopo  avergli  indicati  più  altri  beati,  gli  dice 
di  prepararsi  a  rivolgere  nna  preghiera  alla  madre  di  Dio  (U  aprile,  ore 
pomeridiane]. 

Affetto  al  suo  piacer,  quel  contemplante 
libero  ufficio  di  dottore  assunse, 

8  e  cominciò  queste  parole  sante: 

€  La  piaga,  che  Maria  richiuse  ed  unse, 
quella  cH'  è  tanto  bella  da'  suoi  piedi 
6       è  colei  che  l'aperse  e  che  la  punse. 
Nell'ordine,  che  fanno  i  terzi  sedi, 
siede  Eachei  di  sotto  da  costei 

9  con  Beatrice,  si  come  tu  vedi. 
Sara,  Bebecca,  Giuditta  e  colei 

XXYTT  1.  AfliBCto  eoo.  Rimanendo  volto  di  fronte,  doò  alla  sinistra  di  san  Giovanni 
con  lo  sgfoardo  nella  Vergine,  ohe  è  oggetto  Battista  siede  sant'  Anna,  e  alla  destra  Ln- 
del  soo  amore,  il  contemplante  Bernardo  as-  da  :  dal  mezzo  in  gid  i  seggi  sono  tutti  co- 
sarne, senza  altr'  invito,  l' ofBdo  di  dimo-  capati  dai  pargoli  beatt  —  4.  ìia  |4ags  ecc. 
strare  a  Dante  la  oompodzione  della  rosa  ce-  Colei  che  tanto  bella  siede  ai  piedi  di  Maria 
leste.  —  2.  «melo  di  dottore  :  l' ofBdo  di  ò  Eva,  la  qoale  fa  prima  origine  di  quel 
ammaestrarmL  —  8.  eomiaelò  eco.  Da  tatto  peccato  da  che  la  Vergine  per  mento  del 
il  discorso  di  san  Bernardo  risalta  che  Dante  figlio  redense  V  nomo.  Lomb.  :  e  È  colei  la 
Imaginava  la  disposizione  dei  beati  ndla  mi-  prima  donna,  la  qaale,  disabbidendo  essa  a 
stica  rosa  in  questa  guisa:  nel  mezzo  del  Dio,  apri,  e  rendendo  seco  disubbidiente 
'più  alto  gradino  è  collocata  la  Vergine,  e  Adamo,  inaspri  quella  ferita  fatta  all'  uman 
sotto  a  Id,  ciftscnna  nel  gradino  via  via  di-  genere,  òhe  Maria  Vergine,  col  dame  dalle 
scendente,  Eva,  Rachele,  Sara,  Rebeoca,  Rut  castissime  sue  viscere  il  Redentore  sanò  e 
e  altre  donne  Ebree;  di  modo  ohe  formano  medicò.  lUa  perousaU,  ista  aanavUy  dice  an- 
co! loro  seggi  una  linea  discendente  a  guisa  di  che  sant'Agostino  [Strm,  xvin]  ».  —  6.  ch'i 
raggio  dal  sommo  gradino  al  più  basso:  que-  tanto  eoe  Eva  fb  bellissima  perché  creata 
sta  linea  costituisce  come  una  separazione  immediatamente  e  perdo  perfetta  dalla  mano 
tra  gli  scanni  assegnati  ai  beati  dell'  antico  stessa  di  Dio  (cfr.  Pter,  xm  88).  —  7.  Net- 
testamento,  che  sono  tutti  occupati,  e  quelli  l'ordlBe  ecc.  Nel  terzo  ordine  di  seggi,  sotto 
assegnati  ai  beati  del  nuovo  testamento,  al-  Era,  siede  Rachele,  e  accanto  a  )d  è  Bea- 
euni  dei  quali  sono  ancora  vuoti:  di  fh)nte,  trioe.  —  sedi:  seggi  ;  pL  di  j«tfK>,  lat  •»- 
o  dall'altra  parte  dd  droolo,  la  linea  di  se-  dium  (cfr.  Diez  289,  781).  —  8.  Baekels  cfr. 
parazione  è  formata  dai  seggi  occupati  da  Pwg,  xxvm  104.  —  9.  een  Beatrice  ecc. 
san  Giovanni  Battista  nel  primo  giro,  da  san  cfr.  Inf,  n  102,  Ar.  xzzi  67.  —  tf  eame  ta 
Francesco  nd  secondo,  da  san  Benedetto  nel  vedi  t  senza  bisogno  ch'io  ne  fiuMssi  special 
terzo,  da  sant'Agostino  nel  quarto  e  da  altri  menzione,  perché  tu  ben  la  conosd.  —  10. 
aantl  non  nominati  negli  altri  gradini  sotto-  Sara  eoe  SI  seguono,  di  gradino  la  gradino, 
stanti  :  a  destra  della  Vergine  è  san  Pietro  Sara,  la  moglie  di  Abraam  patriarca  e  madre 
e  appresso  a  lui  san  aiovanni  Evangelista  ;  di  Isacco  e  di  coloro  ohe  credettero  in  Cristo 
«Ila  sinistra.  Adamo  e  appresso  a  lui  Mci6  :  venturo  {Qmui  xv  e  segg.;  Paolo,  Ep,  §gU 


8i6 


DIVINA  COMMEDIA 


che  fu  bisava  al  cantor,  che,  per  doglia 
12       del  fallo,  disse  :  Miserere  mei, 

puoi  tn  veder  cosi  di  soglia  in  soglia 
giù  digradar,  com'io  eh' a  proprio  nome 
15        vo  per  la  rosa  giù.  di  foglia  in  foglia. 
E  dal  settimo  grado  in  giù,  si  come 
infino  ad  esso,  succedono  Ebree, 
18        dirimendo  del  fior  tutte  le  chiome; 
perché,  secondo  lo  sguardo  che  fèe 
la  fede  in  Cristo,  queste  sono  il  muro 
21        a  che  si  parton  le  sacre  scalèe. 

Da  questa  parte,  onde  il  fior  è  maturo 
di  tutte  le  sue  foglie,  sono  assisi 
24       quei  che  credettero  in  Cristo  venturo: 
dall'altra  parte,  onde  sono  intercisi 
di  vóti,  in  semicircoli  si  stanno 
27        quei  eh*  a  Cristo  venuto  ebber  li  visi. 
E  come  quinci  il  glorioso  scanno 


Bbf*4  XI  11)  ;  Bebeooa,  la  moglie  di  Isaac  e 
mndre  di  Esaù  e  Giacobbe  {Qmui  zziy-zxv); 
Oioditia,  reroioa  figlia  di  Menudr,  ohe  uccise 
OìofoniB  e  liberò  i  Oindei  (ofr.  Pitrg.  zn  68)  ; 
B  Bulli,  la  moabite  moglie  di  Booi  e  bisaTa 
di  DdTld  (ofr.  fl  Ubro  di  Bafh).  ~  11.  ohe 
fu  bliara  ecc.  Buth  it  21-22:  e  Boox  ge- 
D^rò  Obed:  ed  Obed  generò  Isai:  ed  Isai 
goiìerè  DaTid  >;  dunque  il  cantore  dello  Spi- 
rito  SAuto  (Par,  xz  88)  fa  pronipote  di  Booz 
a  di  Buth.  —  per  defila  eco.  oppresso  dal 
HmoDo  del  Usilo  commesso  contro  Betsabea 
e  il  di  lei  marito  Uria  (eflr.  II  Samuel  u  4, 
16),  ti  raccomandò  spesso  nei  salmi  alla  mi- 
■aricardia  divina  {Sabn.  it  2,  ti  2  ecc.).  — 
13.  piii>l  eoo.  ta  puoi  vedere  ohe  esse  si  di- 
ftrud&no  di  soglia  in  soglia,  seggono  cioè 
V  dim  dopo  r  altra  nei  gradini  rispettìva- 
mente  sottostanti,  come  io  ti  vengo  dimo- 
■tranaQ  ool  dire  i  nomi  delle  persone  assise 
noUe  foglie  della  rosa.  — 16.  E  dal  settive 
e<x;.  E  nel  giri  ohe  sottostanno  al  settimo 
miao,  come  fino  ad  esso,  delle  donne  ebree, 
Js  quali  coi  loro  seggi  formano  quella  linea 
di  myimmmo  ohe  distingae  le  dne  parti 
dsUa  rosa.  —  18.  dirimendo  ecc.  separando 
Ifl  foglio  della  rosa  ;  il  vb.  dùrinun  è  pretto 
hitinuimD,  rarissimo  nella  nostra  lingua.  — 
19.  p«r«hé,  secondo  ecc.  perché  queste  donne, 
D  mtufUQ  la  linea  dei  loro  scanni,  segnano  la 
puiixioiie  dei  giri  della  rosa,  secondo  che  gli 
aomini  eletti  credettero  in  Cristo  «enduro 
(vv.  22-24)  o  in  Cristo  9muto  (w.  26-27). 
—  31 .  a  eho  eoo.  per  messo  del  quale  sono 
tilsUnbo*  —  sealte:  gli  ordini  in  cui  sono  ri- 
ponitì  i  beati  :  Dante  li  chiama  ioglia  (Pùtr. 
XXX  113,  zxxn,  13),  banchi  {Par,  xxxi  16), 


gradi  (Par,  xm  47,  68,  xxni  16),  giri  (Par, 
zzzi  67),  MfoM  (Ar.  xzxi  115).  —  22.  Da 
««està  parte  ecc.  DaUa  parte  sinistra  (ett, 
T.  121),  dalla  quale  tutti  i  seggi  sono  occu- 
pati da  anime,  sono  cdUcoati  i  beati  del  veo- 
ohio  testamento,  quelli  che  credettero  in 
Cristo  venturo;  cfir.  Par,  za  106).  —  26. 
4aU' altra  ecc.  dalla  parte  destra,  dalla 
quale  i  beati  sono  in&ammeazati,  interrotti 
ogni  tanto  da  posti  vuoti,  sempre  dentro  il 
limite  dei  semioirooU,  sono  collocati  quelli 
che  credettero  in  Cristo  redentore.  —  eade 
sona  ecc.  La  più  piana  spiegaàone  si  può 
dare  riferendo  irUoreiti  all'idea  dei  beati  del 
nuovo  testamento,  i  quali  si  trovano  qua  e 
là  separati  da  vUi  ossia  da  seggi  rimasti 
vuoti  perché  destinati  a  poche  anime  elette 
non  ancora  assunte  alla  beatitudine  (cfr. 
Par,  XXX  131X  seggi  vuoti  che  non  sono  se 
non  sui  semicirooli  di  destra,  poiché  alla  si- 
nistra non  manca  nessuno.  E  questa  spie- 
gazione è  necessaria  se  si  vuole  adottare  la 
lezione  portata  dal  più  autorevoli  testi,  e 
non  quella  della  maggior  parte  delle  stampe: 
onde  tono  iaUtreiai  di  vóto  %  awnioàrooK,  ohe 
è  certo  più  agevole  a  intendere,  ma  perciò 
anche  più  sospetta.  —  27.  ebber  li  visi:  vol- 
sero gli  occhi  dell'anima,  ebbero  fede.  —  28. 
B  cerne  q niaei  ecc.  E  come  da  questo  lato 
lo  scanno  di  Maria  Vergine  e  gli  altri  delle 
donne  ebree  via  via  sottoposti  formano  la 
linea  di  separazione  sinora  descritta,  cosi 
dall'  altro  lato  abbiamo  un'altra  linea  formata 
dai  seggi  di  san  Giovanni  Battista,  di  san 
Francesco,  di  san  Benedetto,  di  sant'Ago- 
stino e  di  altri  santi.  —  fulnei:  da  questo 
lato,  al  quale  abbiamo  guardato  rinora.  — 


PARADISO  —  CANTO  XXXII 


847 


della  donna  del  cielo,  e  gli  altri  scanni 
80       di  sotto  lui  cotanta  cerna  fanno, 
cosi  di  centra  quel  del  gran  Oiovanni, 
che  sempre  santo  il  diserto  e  il  martiro 

88  sofferse,  e  poi  l'inferno  da  due  anni; 
e  sotto  lui  cosi  cerner  sortirò 

Francesco,  Benedetto  ed  Angustino 
86        ed  altri  sin  qua  giù  di  giro  in  giro. 
Or  mira  l'alto  provveder  divino, 
che  l'uno  e  l'altro  aspetto  della  fede 

89  egualmente  empierà  questo  giardino: 
e  sappi  che  dal  grado  in  giù,  che  fiede 

a  mezzo  il  tratto  le  due  discrezioni, 
42        per  nullo  proprio  merito  si  siede, 
ma  per  l'altrui,  con  certe  condizioni; 
che  tutti  questi  son  spiriti  assolti 
45       prima  ch'avesser  vere  elezioni. 
Ben  te  ne  puoi  accorger  per  li  volti. 


80.  e&rmikt  divisione,  linea  di  separazione; 
dal  lat  etmere,  »  81.  ootf  d!  tomtrm  eeo. 
ood  nel  lato  oppotto  lo  scanno  di  san  Oio> 
Tanni  Battista  ecc.  —  graa  CtteTaoBl  eoo. 
Giovanni  Battista,  il  precozsore  di  Cristo, 
Tissnto  nel  deserto  in  vita  di  penitenza  (ofir. 
IVy.  xxn  161)  e  morto  di  martirio  dne  anni 
innanzi  alla  morte  del  Bedentore  (ofr.  Par, 
ma  ISA).  —  88.  da  d«e  ansi  x  droa  dne 
anni,  dalla  soa  morte  accaduta,  secondo  la 
leggenda  cristiana,  nell'  agosto  del  81  sino 
alla  discesa  di  Oiìsto  al  limbo  nel  88  (cfir. 
Jf^,  rr  62):  infamo  è  detto  il  limbo  come 
parte,  secondo  la  concezione  dantesca,  del- 
l' infèrno.  —  84.  e  sotto  eco.  e  come  Ini  eb- 
bero la  sorta  di  tramezzare  inial  modo  le  ani- 
me beate  del  Tecchio  e  qnelle  del  nnoro  te- 
stamento, Francesco  d'Assisi  (cfr.  Por,  n  48 
e  segg.),  san  Benedetto  di  Norcia  (cfir.  Far, 
xxn  28)  e  sanf  Agostino  :  dne  fondatori  di 
ordini  monastici  e  l' instauratore  della  teo- 
logia scientifica,  i  qnali  esplicarono  e  com- 
pirono l'opera  del  Battista,  che  era  stata  di 
preparare  a  Dio  nn  popolo  disposto  ad  acoo- 
gHeme  i  decreti  (cfr.  Luca  i  17).  —  86.  Aa- 
irnstlBO  :  Agostino  di  Tagasta,  nato  nel  864, 
fa  da  giovane  maestro  di  retorica  in  Boma 
e  in  Milano  e  convertitosi  al  cristianesimo 
fti  fktto  vescovo  d'Ippona,  nella  quale  di- 
gnità moti  nel  426;  fu  il  maggior  dottore 
della  Chiesa,  e  Dante  fu  studiosissimo  delle 
opere  sue  e  specialmente  delle  Oonfuaioni 
e  della  OiUà  di  Dio  (cfr.  Omr.  x  2,  4, 
IT  9,  21,  Mon.  m  4,  Epiai,  vm  7,  x  28). 
—  86.  ed  altri  ecc.  Non  dice  quali  fossero, 
come  già  delle  donne  ebree,  contento  di 
aver  ricordato  pure  i  principali:  ma  certo 


pensava  ai  fondatori  di  altri  ordini  religiosi 
e  ai  sommi  teologi.  —  87.  Or  ndra  ecc.  Con- 
sideiia  quanto  profonda  d  la  provvidenza  di- 
vina, perché  sarà  uguale  il  numero  dei  beati 
del  vecchio  testamento  e  di  quelli  del  nuovo  ; 
dovendo  gli  uni  e  gli  altri  riempire  un  se- 
micerchio della  rosa  celeste.  —  88.  aspetto 
eco.  sguardo  della  fede  ecc.,  cfr.  v.  19.  — 
89.  giardino  :  cfir.  Far.  xxxi  98.  —  40.  e 
•appi  ecc.  A  cominciare  da  quel  circolo  o 
grado,  che  taglia  nel  loro  punto  di  messo  le 
due  linee  di  separazione,  venendo  In  gi6  non 
sono  anime  di  beati  par  merito  proprio,  ma 
per  merito  altrui  sotto  certe  oondisEioni  :  seno 
le  anime  dei  bambini  innocenti.  —  flede  a 
■lesse  11  tratte:  il  traUo  ò  lo  sviluppo,  la 
lunghezza  della  Unea,  che  nel  suo  punto  di 
mezzo  è  tagliato  dal  oiroolo  mediano.— 41.  di- 
sereiloal:  le  linee  di  separazione,  una  delle 
quali  è  indicata  nel  v.  80  ool  nome  cerna.  — 
42.  ptr  nulle  ecc.  non  per  il  merito  proprio 
della  fede  che  non  ebbero,  ma  per  la  fede 
dei  genitori.  —  43.  con  «erte  eaudlsloml: 
cfr.  w.  76  e  segg.  —  44.  ebé  taUl  eoe.  pol- 
chó  tutti  questi  sono  spiriti  sciolti  dai  lacci 
corporei  prima  che  avessero  l' uso  della  ra- 
gione. Dice  il  Lana  che  la  vtra  eltxion*  «  si 
è  quando  raziocinando  s'intende  quel  fine; 
in  li  pueri  non  ò  raziocinare,  e  cosi  non 
hanno  vera  lezione  >.  —  46.  Bea  te  ne  ecc. 
Tu  puoi  ben  accorgerti  di  ciò  dai  volti  e  dalle 
voci  puerili,  se  li  guardi  e  li  ascolti  attenta- 
mente. È  notevole  che  Dante  si  scosta  qui 
dal  suo  maestro  nelle  cose  teologiche,  attri- 
buendo ai  beati  voce  e  aspetto  conforme  al- 
l' età  vissuta  nel  mondo  (cfr.  anche  in  itw. 
XXXI  69,  san  Bernardo  die  conserva  aspetto 


848 


DIVINA  COMMEDTA 


ed  anco  per  le  voci  puerili, 
48       se  tu  li  guardi  bene  e  ae  gli  ascoltL 
Or  dubbi  tu,  o  dubitando  sili; 
ma  io  ti  solverò  il  forte  legame, 
61        in  che  ti  stringon  li  pensier  sottili. 
Dentro  all'ampiesEa  di  queato  reame 
casual  punto  non  puote  aver  sito, 
M       se  non  come  tristizia  o  sete  o  fame; 
cbé  per  etema  legge  è  stabilito 
quantunque  vedi,  si  cbe  giustamente 
67        ci  si  risponde  dall'anello  al  dito. 
E  però  questa  Retinata  gente 
a  yera  vita  non  è  $ine  oattsa: 
60       entrasi  qui  più  o  meno  eccellente. 
Lo  rege,  per  cui  questo  regno  pausa 
in  tanto  amore  ed  in  tanto  diletto 
63       cbe  nulla  volontà  ò  di  pi4  ausa, 
le  menti  tutte  nel  suo  lieto  aspetto, 
creando,  a  suo  piacer  di  grazia  dota 
66        diversamente  ;  e  qui  basti  l' effetto. 
E  ciò  espresso  e  chiaro  vi  si  nota 


di  ▼eoohio):  inTMe  Tomm.  d' Aqn.,  Sttmm, 
P.  m,  foppL  qo.  ucoo,  art  1*2,  Inigm 
ob«  i  b6AtÌ  risiiBcitwwuio  tatti  in  età  giof»- 
nile;  TMoèoho  i  dae  oanoetti  ponono  oon- 
dlianl  aaaettendo  qnaloh*  diTwittà  naUa 
oimdiilQM  «egU  ttotti  ìnaanai  al  gMiiio 
anivwMle  •  U  loro  pvcittt»  polita  dopo  qvol 
wapnmo  giono.  —  49.  <lr  dvkM  ooo.  San 
Boraardo  t'aooocgo  ohe  Dante  en  stretto  da 
nn  dubbio,  sa  non  OMfEBanitetado;  pev5 
gli  ai  ofre  pronto  a  «hiariilo.  n  dnbUo  è 
qneeto  :  Se  qnesti  bambini  non  ebbero  me- 
rito proprio,  oome  mai  tono  oollooati  in  di- 
Tersi  gndi  di  gloila?  Sarebbe  mai  qietta 
diversità  di  trattamento  dovuto  al  eaao?  — 
slUstad,  dal  Ut  «i2wv.  — 60.  U  ferie  eoe. 
il  diffleile  dubbio  nel  qoale  f  avvolgi  per 
eoltigliesia  di  ragionamenti;  mentre  non  può 
esser  soiolto  ohe  per  fede.  —  62.  Bentre  eoe 
In  qneet*  amplissimo  regno  non  pud  aver 
luogo  alonn  oosmoI  jmmIo,  aloon  efistto  di 
caso,  oome  non  v'hanno  loogo  la  tristsna  o 
la  sete  o  la  ftuae.  —  64.  se  non  eco.  oCr. 
ApoeaL  vn  16  :  «  Non  avranno  pi4  fsmm^  non 
piti  S0to:  e  non  oaderà  più  sopra  loro  né  sole 
né  aisnra  aloana  >  ;  zn  4  :  e  paximante  non 
vi  sarà  più  wrdogìto  né  grido  né  travaglio  >. 
—  66.  éké  per  ettna  eoo.  poiché  tatto 
quello  dke  tu  vedi  in  questo  regno  è  presta- 
bilito per  legge  eterna  in  modo  ohe  vi  ha 
una  perfetta  rispondenza  tra  il  merito  e  la 
grasla.  —  67.  «ali*  anello  al  Alte:  oome 


r  anello  s' aggiusta  al  dito,  oosi  la  beatitu- 
dine  à  proporzionata  al  merito.  —  68.  K  pere 
eco.  X  peicid  questa  gente  che  presto  venne 
in  paradiso,  doè  le  anime  dei  bambini  morti 
prima  dol  tempo  swisgneto  dalle  leggi  natu- 
rali alla  vita  umana,  non  senza  cagione  si 
trova  qui  in  diversi  gradi  di  beatitudine. 
Questo  à  il  senso:  ma  pud  dubitani  se  la 
tnuò  a  vera  vUa  debbasi  oongiungere  con 
fmtmata,  o  con  mm  è  9in$  eauaa  ;  meglio  in- 
tender nel  uimo  modo,  sia  perché  l'idea 
espressa  da  fiatimata  abbisogna  di  un  compi- 
mento (affrettarsi  a  ohe  ?X  sia  perché  il  qui 
del  T.  éo,  sarebbe  con  l'altra  interpretazione 
del  tutto  supecfluo.  —  61.  Le  rege  eoo.  Dio, 
per  il  quale  questo  regno  si  riposa  in  tanto 
amore  e  In  tanta  beatitudine  che  neesun  vo- 
lere può. desiderare  di  più  eco.  —  passa: 
posa,  con  il  senso  intransitivo,  proprio  del 
composto  riposare.  —  68.  ansa  i  osa,  ardita; 
ed  è  forma  più  etimologica  di  oso,  osa  che 
lioorrono  sempre  in  rima  in  iVy.  xi  126, 
zz  léS,  Par.  ziv  180.  —  64.  le  menti  eoo. 
noli'  atto  della  oreasione  dà  a  sua  piacere 
alle  aaime  diversi  gradi  di  grazia;  ofr.  P. 
Lombardo,  9mùthL  m  82:  e  Electomm  aUos 
magia,  allos  minns  dileodt  ab  aetemo  >.  — 
66.  e  fui  kastl  ecc.  e  intomo  a  questo  punto 
basti  Sisero  che  Dio  opera  oos£,  senza  inda- 
garne più  oltre  la  ragione.  —  67.  S  eie  eoo. 
£  la  rerità  di  questo  è  espressamente  e  ohia- 
ramente  dichiarata  nelle  sacre  scrittore  apro- 


PARADISO  -  CANTO  XXXII 


849 


nella  Borìttara  santa  in  quei  gemelb', 
69       che  nella  madre  ebber  l'ira  commota» 
Però,  secondo  il  color  dei  capelli 
di  cotal  grasia,  1*  altissimo  lume 
72       degnamente  oonvien  ohe  s' incappelli. 
Dunque,  sensa  mercé  di  lor  costume, 
locati  son  per  gradi  differenti, 
75       sol  differendo  nel  {Hrimiero  acume. 
Bastava  si  nei  secoli  recenti 
con  l'innocensa,  per  aver  salute^ 
78       solamente  la  fede  dei  parenti  ; 


posito  di  Esaù  e  Giacobb»;  poiché  ti  leggo 
in  Malachi*  i  2-8  :  e  Non  era  Em6  fratello 
di  laodb?  dice  il  Signore.  Or  io  ho  amato 
laoob,  ed  ho  odiato  BmA  >,  e  in  Paolo,  Bp, 
ai  Bom,  TX.  11-18:  <  Per  ciò  ohe,  non  essendo 
ancora  nati  i  figlinoli,  e  non  arendo  fatto 
bene  o  male  alonno  (aooiò  ohe  il  proponi- 
mento di  Dio  fecondo  l' eledone  dimorasse 
fermo,  non  per  le  opere,  ma  per  colui  che 
chiama);  le  fti  detto  :  Il  maggiore  serrirà  il 
minore,  secondo  ohe  ò  scritto.  Io  ho  amato 
lacob,  ed  odiato  £sa6  >:  si  cfir.  sa  ciò  Tomm. 
d'Aqn.,  Affmn.  P.  I,  qu.  xxin,  art.  8.  —  69. 
che  nella  madre  ecc.  che  nel  ventre  della 
madre  Bebecoa  ai  contrastavano  sfonandosi 
oiaacono  di  venire  alla  lace  por  il  primo  ; 
cfr.  Genesi  zsv  21-26  :  e  Rebocca  oonoepette. 
Ed  i  figlinoli  s'nrtavano  l'on  l'altro  nel  sno 
ventre.  Ed  ella  disse.  Se  cosi  ò,  perché  sono  in 
vita?  Ed  andò  a  domandarne  il  Signore.  £  il 
Signore  le  disse  :  Dae  nazioni  son  nel  tao  ven- 
tre: e  due  popoli  diversi  usciranno  dalle  ine 
interiora  :  e  T  un  popolo  sarà  più  possente 
dell*  altro,  e  il  maggiore  servirà  al  minore. 
E  quando  Ai  compiuto  il  termine  d'essa  da 
partorire,  ecco,  due  gemelli  erano  nel  suo 
ventre.  £  il  primo  usci  fuori,  ed  era  rosso, 
tatto  peloso  come  un  mantel  velluto  e  gli  fu 
poeto  nome  Esaù.  Appresso  usci  il  suo  fht- 
tello  il  quale  con  la  mano  teneva  il  calcagno 
d'Esaó;  e  gli  fti  posto  nome  lacob».  — 
70.  Però  eco.  Quale  sia  il  concetto  del  poeta 
è  chiaro:  siccome  nei  pargoli  il  diverso  grado 
di  beatitudine  non  può  esser  determinato  dai 
meriti,  ma  dalla  grazia  divina,  cosi  ò  conve- 
niente ohe  il  lume  beatifico  sia  sovraposto  al 
oufo  dell'eletto,  secondo  la  misura  della  gra- 
zia di  cui  dascnino  ta.  dotato  nel  nascere.  Se 
non  ohe  il  ricordo  che  nei  versi  precedenti 
li  fa  di  Esaù  e  Giacobbe  suggerì  a  Dante 
nn'  ardite  metafora  per  esprimere  1*  idea  del 
giade  di  grada  proprio  di  dasouno,  la  me- 
tafora doè  del  otÀom  dei  capelli  \  quasi  a 
dire:  come  in  Esaù  e  Giacobbe,  l'uno  rosso 
e  l'altro  nero  di  capelli,  la  diversità  dol  co- 
.lore  fu  segno  della  diversa  predestinazione, 

Danti 


eoil  nel  beati  secondo  la  diversa  mison  della 
grazia  deve  essere  maggiore  o  minore  la  boa- 
titudine.  Cosf  intesero,  sembra,  alcuni  anti- 
chi, o  almeno  l' Ott  e  il  Buti,  che  riacco- 
starono la  ttim  dantesca  del  eo(or»<M«90a< 
al  Catto  biblioo  accennato  nel  versi  prece- 
denti (ofr.  Hooie,  I  66);  e  l' interpretazione, 
ohe  è  la  sola  acoettabile,  fti  meglio  dichiarate 
dal  Bianchi  e  confermate  dallo  Scart  L.  Fi- 
lomusi Guelfi,  Oiom,  dauL  n,  pp.  262-6, 
mettendo  virgola  in  fine  del  v.  70  e  toglien- 
dola damezso  il  v.  71,  interprete:  e  perdo 
secondo  la  maggiore  o  minor  copia  di  grazia 
ohe  ciascun*  anima  ha  ricevuta,  ò  giusto  che 
VaUiitimo  iwms,  Dio,  si  coroni,  si  circondi 
degnamenUt  proporzionatamente,  di  eUal  grò- 
«io,  delle  anime  a  cui  tal  grazia  ò  stete  lar- 
gite >.  —  72.  ■*  Incappelli  t  si  ponga  a  guisa 
di  «HTona  (ofr.  jRir.  xxv  9)  sovra  ciascuno 
dei  pargoli  beati,  dia  a  ciascuno  il  grado 
conveniente  di  beatitudine  (  ofr.  la  note  al 
B»r.  Txja  71).  —  78.  Danf  ae  eoo.  Dunque 
senza  alcun  merito  di  opere  proprie,  di  atti 
virtuosi,  sono  collocati  in  diversi  gradi  di 
beatitudine  solo  perché  diverso  fti  il  dono 
della  grazia.  —  75.  primiere  aenaie:  con- 
siderate la  grazia  In  quanto  rende  capaci  alla 
visione  di  Dio,  Danto  chiama  qui  oourns  l'ef- 
fetto di  essa  nelle  anime  ohe  ne  ftuono  do- 
tete,  e  che  per  essa  acquistarono  capacite 
di  penetrare  più  o  meno  nella  vistone  bea- 
tifica. —  76.  Bastava  eoo.  Or  viene  a  dire 
delle  condizioni,  cui  ha  accennato  innanzi 
(cfr.  V.  48),  le  quali  furono  diverse  nelle  tre 
otà  della  vite  umana:  nella  prima,  da  Adamo 
sino  ad  Abraamo,  per  conseguire  la  beatitu- 
dine era  necessaria  insieme  con  1*  innocenza 
la  sola  fdde  dei  genitori  ;  nella  seconda,  da 
Abraamo  a  Cristo,  la  circoncisione;  nella 
terza,  da  Cristo  in  poi,  il  battesifflo.  —  se- 
coli recenti  t  sono  i  secoli  nuovi,  reconti  ri- 
spetto alla  creazione  del  mondo,  queUi  dun- 
que della  prima  età  sino  ad  Abraamo.  Tomnu 
d' Aqu.,  Summ,  P.  I  2^,  qu.  t.ttt,  art  6: 
«  ante  instìtationem  ciroumdaionis  tota  fidét 
ChrisH  futuri  iustiflcabat  tem  pueros  quam 

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DIVINA  COMMEDIA 


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poi  che  le  prime  etadi  fùr  oompitite, 
convenne  ai  maschi  all'innocenti  penne, 
per  circonciderei  acquistar  Tirtate: 

m%  poi  che  il  tempo  della  grazia  venne, 
senza  battesmo  perfetto  di  Cristo 
tale  innocenza  là  giù  si  ritenne. 

Riguarda  omai  nella  faccia  oh*  a  Cristo 
più  si  somiglia,  chó  la  sua  chiarezza 
sola  ti  può  disporre  a  veder  Cristo  >. 

Io  vidi  sopra  lei  tanta  allegrezza 
piover,  portata  nelle  menti  sante 
create  a  trasvolar  per  quella  altezza, 

che  quantunque  io  avea  visto  davante 
di  tanta  ammirazion  non  mi  sospese, 
né  mi  mostrò  di  Dio  tanto  sembiante. 

E  quell'amor  che  primo  11  discese, 
cantando  :  Ave,  Maria,  gratta  piena, 
dinanzi  a  lei  le  sue  ali  distese. 

Rispose  alla  divina  cantilena 
da  tutte  parti  la  beata  corte, 
si  eh'  ogni  vista  sen  fé'  più  serena. 


•doltof  >.  ^  79.  poi  thè  eoo.  dopo  ohe  fti 
finita  U  pEima  età,  dai  tempi  d' Àbraamo  in 
poi,  ta  neoenario  ohe  i  fàndolli  masohi  ao- 
qnistanexo  la  capadtà  di  rolare  al  cielo 
mediante  11  rito  della  olroonci8ione  ;  ofr.  Tomm. 
d'Àqa.,  Summ.  P.  IH,  qn.  lxx,  art  2:  €  Oir- 
eomeisio  institata  eet  ut  signnm  fidai  Abra- 
hae,  qui  credidit  ae  patrem  fttanun  Christi 
sibi  repromlMl;  et  ideo  oonrenienter  eolia 
maribos  oompetebat.  Peccatnm  etiam  origi- 
nale, oontra  qaod  speclaliter  drcamclBio  or- 
dinabatnr,  a  patre  trahitor,  non  a  matre  ». 

—  82.  ma  eoo.  ma  quando  fti  Tenuto  U  tempo 
della  redenzione,  senza  il  battesimo  non  si 
potè  più  salire  al  cielo,  e  gli  innocenti  morti 
senza  tale  sacramento  fbrono  assegnati  al 
limbo.  Tomm.  d'Aqn.,  Summit  1.  dt:  cBa- 
ptLsmns  in  se  oontinet  perfeotionem  salatLs, 
ad  qnam  Deos  omnes  homines  Tocat. . .  Cir- 
cumoisio  antem  non  continebat  perfeotionem 
salntis,  sed  flgnrabat  ipsam  ut  fiendam  per 
Christum  >.  —  83.  Cristo:  ofr.  Par.  xn  71. 

—  84.  là  gltf:  nel  limbo;  ofr.  B^,  tv  86, 
Purg.  m  81-88.  —  85.  Bignarda  eoo.  Con- 
templa ornai  il  Tolto  di  Maria,  di  colei  che 
pid  si  somiglia  al  sno  figlio  dÌTÌno,  perché 
solamente  lo  splendore  beatifico  che  da  quel 
Tolto  irraggia  ti  può  render  capace  di  soste- 
nere la  Tista  di  Cristo.  —  87.  sola  eoo.  Si 
onerri,  qni  e  altroTe,  oome  per  Dante  da- 
ioana  Tisione  sia  nn  mezzo  per  assorgere 
tempre  più  alto   nella  soa  contemplazione 


sino  a  qnella  dei  più  profondi  misteri  della 
fede.  —  88.  Io  ridi  eoo.  Sopra  la  Vergine 
Maria  si  racoogiiOTa,  discendendo  da  Dio, 
tatto  il  gaudio  portato  dagli  angeli  creati  per 
Tolaro  noli'  altezza  del  paradiso  ecc.  —  90. 
create  eco.  Mentre  s' intende  benissimo  che 
il  poeta  dica  creati  per  Tolare  lassù  gU  an- 
goli, che  hanno  appunto  l'uffido  di  porgere 
cosi  della  pace  «  delPardan  ai  beati  (ofir.  Air. 
XXXI  16  e  segg.),  non  d  Tede  la  ragione  per 
cui  egli  aTrebbe  pensato  die  creata  a  tza- 
STolare  per  1*  Empireo  fosse  l' aUtgnxKo^  né 
di  allegrezza  d  direbbe  bene  die  ta  enata  : 
perdo  ha  abbandonato  la  ledono  dd  Witte 
(ereata  a  traavolar)  per  seguire  la  più  comune 
e  più  giusta.  —  91.  quantnf  ae  eco.  tutto 
quello  che  io  aTora  Toduto  sino  allora,  non 
aroTa  destato  in  me  ammirazione  ood  grande 
né  presentaTa  tanta  parte  dd  dÌTino  aspetto  ; 
nulla  io  aTOTa  Tisto  di  ood  mirabile  e  di- 
Tino.  —  94.  S  ««all'  aner  eoo.  L'angelo  ohe 
discese  per  primo  sopra  la  Vergine  apri  le 
ali  innanzi  a  Id,  in  atto  di  adoradone,  can- 
tando r  Av9  Moria,  È  l' azoangdo  Gabride 
(ofr.  T.  112),  che  anche  nell'i^oteod  di  Maria 
apparsa  a  D«nte  nell'ottaTO  ddo  cantaTa  un 
inno  di  lode  alla  madre  diTina  (ofr.  Par,  xxm 
97-106),  a  cui  rispondeTsno  s^  altri  beati 
(ÌTl,  109-111).  —  97.  Blspese  eoo.  Tutta  la 
corte  celede  rispose  al  canto  dÌTÌno  dell'ara 
cangelo  da  ogni  parte  della  rosa,  con  tanto 
ardore  die  l'aqpetto  di  ogni  beato  d  fece  più 


PARADISO  —  CANTO  XXXn 


851 


€  0  santo  padre,  che  per  me  comporte 
P  esser  qua  giù  lasciando  il  dolce  loco 
102       nel  qnal  tu  siedi  per  etema  sorte, 
qual  è  queir  angel,  che  con  tanto  gioco 
guarda  negli  occhi  la  nostra  regina, 
105       innamorato  si  che  par  di  foco?» 
Cosi  ricorsi  ancora  alla  dottrina 
di  colui  ch'abbelliva  di  Maria, 
108       come  del  sole  stella  mattutina. 

Ed  egli  a  me  :  €  Baldezza  e  leggiadria, 
quanta  esser  può  in  angelo  ed  in  alma, 
Ili       tutta  è  in  lui,  e  si  volem  ohe  sia, 
perch'egli  è  quegli  che  portò  la  palma 
giù  a  Maria,  quando  il  figliuol  di  Dio 
114       carcar  si  volle  della  nostra  salma. 
Ma  vieni  omai  con  gli  occhi,  si  com'io 
andrò  parlando,  e  nota  i  gran  patrici 
117        di  questo  imperio  giustissimo  e  pio. 
Quei  due  che  seggon  là  su  più  felici, 


lomlnoio.  »  caBillesas  canto,  in  genere; 
ma  per  lo  più  gli  antichi  nsarono  questa 
parola  a  indicare  un  canto  breve,  o  di  brevi 
Tersi,  e  tens* indndenri  l'idea  moderna  di 
canto  monotono.  — 100.  0  laato  padre  eco. 
AUa  Tista  di  quell'angelo,  ohe  ool  suo  canto 
daya  intonadone  e  nonna  a  tutta  la  beata 
corte,  Dante  senti  un  tìto  desiderio  di  co- 
noecere  chi  egli  fosse,  e  ne  fé'  rispettosa  do- 
manda a  san  Bernardo.  —  per  me  eoo.  per 
mia  utilità  sopporti  rolentieri  di  stare  qui 
nel  fondo  della  celeste  rosa,  fuori  dello  scanno 
nel  quale  tu  siedi  per  eterno  decreto  di  Dio 
ecc.  —  108.  fual  è  ecc.  chi  ò  quell'angelo, 
che  con  tanta  festa  contempla  negli  occhi  la 
Regina  del  cielo  e  della  terra,  cosi  fervente 
d'amore  per  lei  da  sembrar  viva  fiamma?  -~ 
gloee  s  cfr.  Par.  xz  117.  —  107.  di  eolul  ecc. 
di  san  Bernardo,  che  si  faceva  bello  contem- 
plando Maria  Vergine.  —  106.  eeme  del  tele 
eco.  come  le  stelle  mattutine  si  fanno  belle 
della  bianca  luce  solare.  —  109.  Baldessa 
eoe.  Quanta  maggior  sicurezza  e  vaghezza 
di  modi  può  essere  in  una  creatura  angelica 
è  tutta  raccolta  in  lui,  e  in  dò  la  nostra  vo- 
lontà d  una  con  quella  di  Dio,  doò  sema 
che  alcuno  di  noi  non  partedpi  a  questo  sen- 
timento ecc.  :  si  c£r.  ciò  che  ò  detto  qui  di 
Gabriele  con  Par,  zzm  103  e  segg.  —  Bai- 
dexsa  s  è  la  forza  morale,  che  dà  sicurtà  ad 
ogni  Atto,  cfir.  Par.  zvi  17.  —  leggiadria} 
piuttosto  che  la  vaghezza  dei  modi  sarebbe, 
secondo  il  D' Ovidio,  p.  576,  l' esultanza,  la 
galena  (cfr.  w.  88  o  103).  —  111.  e  ■£  vo- 
ì%m  eoe  Lana:  «Si  nota  la  unitade  della 


vdontade  de'  santi,  la  quale  d  è  una  con 
qudla  dd  re  di  vita  eterna».  —  112.  per- 
eh'  egli  ecc.  perché  egli  ò  l' arcangelo  Ga- 
briele, il  quale,  allorché  il  figliuolo  di  Dio 
volle  incamard  nella  natura  umana,  portò 
gi6  in  terra  a  Maria  l'annundazione  ch'ella 
fra  tutte  le  donne  era  stata  detta  per  madre 
dd  Meesia.  —  la  palma:  nelle  rappresenta- 
zioni figurate  ddl'  annunciazione,  Gabriele 
porta  in  mano  la  palma,  per  simbolo  della 
preferenza  accordata  da  Dio  a  Maria.  -- 114. 
earear  ecc.  d  volle  rivestire  di  corpo  umano. 

—  115.  Ma  Tieni  ecc.  Riprende  san  Bernardo 
a  dimostrare  a  Dante  i  seggi  dd  prindpali 
beati,  da  die  lo  aveva  distolto  la  domanda 
suir  arcangelo  Gabriele,  e  invita  il  poeta  a 
seguire  con  lo  sguardo  le  sue  parole  e  ad 
Odservare  i  beati  di  cui  gli  indicherà  i  segg^. 

—  116.  i  graa  ecc.  i  grandi  patrizi  dell'im- 
perio celeste  sono  gli  elettisdmi  fra  gli  e- 
letti,  quelli  che  san  Bernardo  voleva  far  ve- 
dere a  Dante,  essendo  imposdbile  indicargli 
una  per  una  tutte  le  anime  beate  :  tolta  la 
denominazione  dal  linguaggio  dei  romani, 
presso  i  quali  i  patres  o  patrieii  ftirono  dotti 
i  senatori,  doè  gli  uomini  prindpdl  dello 
stato  ;  e  l' imagine  continua  nella  seguente 
terzina,  dove  alla  Vergine  Maria  è  dato  Tìm- 
perial  tìtolo  di  Angusta.  -~  118.  <{aei  dae 
eco.  Qnd  due  che  seggono  nel  primo  ordine, 
in  pi&  alto  grado  di  beatitudine  per  essere 
vicinissimi  alla  imporatrioe  di  questo  ddo, 
Adamo  e  san  Pietro,  sono  quad  i  capostipiti 
di  questa  beata  corte;  perché  Adamo  fu  il 
primo  dei  credenti  in  Cristo  venturo,  san 


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per  esser  propinquissimi  ad  Angusta, 
BOXI  d*esta  rosa  quasi  due  radici 

Colui  che  da  sinistra  le  s'aggiusta, 
è  il  padre,  per  lo  cui  ardito  gusto 
l'umana  specie  tanto  amaro  gusta. 

Dal  destro  vedi  quel  padre  vetusto 
di  santa  Chiesa,  cui  Cristo  le  chiavi 
raccomandò  di  questo  fior  venusto. 

E  quei  che  vide  tutt'i  tempi  gravi, 
pria  che  morisse,  della  bella  sposa 
che  s'acquistò  con  la  lancia  e  coi  chiavi, 

siede  lungh'esso;  e  lungo  l'altro  posa 
quel  duca,  sotto  cui  visse  di  manna 
la  gente  ingrata,  mobile  e  ritrosa. 

Di  contro  a  Pietro  vedi  sedere  Anna, 
tanto  contenta  di  mirar  sua  figlia 
che  non  move  occhi  per  cantare  Osanna. 

E  contro  al  maggior  padre  di  famiglia 
siede  Lucia,  che  mosse  la  tua  donna, 
quando  chinavi,  a  rulnar,  le  ciglia. 


Pietro  il  primo  dei  candenti  in  Cristo  leden- 
tote.  —  121.  Coivi  ecc.  Quegli  che  le  sta 
aDoento  dalla  parte  sinistra  ò  Adamo,  per  la 
coi  colpa  romanità  sopporta  tante  amarezse  : 
si  noti  la  delicatezza,  per  cui  Dante  esprime 
oon  Alice  traslato  V  idea  della  colpa,  quasi 
che  in  paradiso  e  a  proposito  di  nn  beato 
non  si  conrenisse  usare  la  parola  propria.  — 
s'aggiusta:  il  rb.  aggUuÌar»y  derivato  da 
Hiffto,  presso,  significa  collocar  vicino,  e  nella 
forma  riflessiva,  esser  vicino.  —  122.  ardito 
giste  :  cfr.  Pur,  xxvi  116.  —  12i.  Dal  de- 
stro eco.  Dal  destro  lato  della  Vergine  vedi 
san  Pietro,  il  principe  degli  apostoli  e  primo 
papa,  al  quale  Cristo  affidò  le  chiavi  del  re- 
gno celeste.  È  questo  l' ultimo  dei  tanti  passi 
di  Dante,  ove  ò  fatto  ricordo  di  san  Pietro, 
verso  il  quale  egli,  come  ci  mostrano  il  poe- 
ma e  le  altre  opere,  aveva  grandissima  re- 
verenza e  divozione,  perché  in  lui  egli  ve- 
deva r  iniziatore  incorrotto  di  quella  serie 
di  pontefici,  ch'erano  caduti  al  tempo  suo  in 
tanta  abiezlono  *,  end'  ò  ohe  il  ricordo  di  san 
Pietro  si  collega  spesso  alle  invettive  contro 
il  pontiftcato  (cfr.  Inf.  xix  91  e  segg..  Par, 
xvm  181,  XXII  88,  xxvn  19  e  segg.,  Mon, 
m  9  ecc.).  —  125.  le  ehlarl  eoe.  cfr.  It^, 
XIX  92.  — 126.  di  qaeste  ecc.  del  regno  ce- 
leste, che  a  Dante  ò  apparso  in  forma  di  ve- 
nusta rosa.  — 127.  E  quei  ecc.  Accanto  a  san 
Pietro  siede  san  Giovanni  Evangelista,  che 
prima  di  morire  vide  la  visione  da  lui  de- 
scritta neW  Apocalisse,  che  fu  come  la  storia 


prolMica  della  Chiesa  cristiana.  Di  lui  si  veda 
spedalmonte  Par.  xxv  e  xxvi.  — 128.  deHa 
spesa  eoo.  deUa  Chieea  che  s*  acquistò  oon 
la  passione  di  Cristo  (cfr.  Par,  xi  82,  su  iS, 
xxvn  40).  —  129.  la  laaela  eoo.  la  lancia, 
con  la  quale  0esd  tn,  ferito  da  Longino;  i 
cMaoi  o  chiodi  coi  quali  ta.  orodflsso.  — 180. 
laage  l'altre  eoo.  accanto  ad  Adamo  siede 
Moisò,  sotto  il  quale  il  popolo  ebraico  tn.  con- 
dotto attraverso  il  deeerto  e  si  cibò  della 
manna  caduta  dal  dolo  {Esodo  xvx  18-15).  — 
132.  la  geate  ecc.  il  popolo  ebraieo,  cui  an- 
che nelle  sacre  carte  sono  fatti  rimproveri 
continui  di  ingratitudine,  mobilità  e  disobbe- 
dienza. —  183.  Di  eo«tre  ecc.  Di  fìscda  a 
san  Pietro  (che  era  alla  destra  della  Vergine) 
si  trovava  alla  sinistra  di  san  Giovanni  Bat- 
tista la  madre  della  Vorgine  Ilaria,  Anna 
figliuola  di  Matthan  sacerdote  e  moglie  di 
Gioachino  (cfr.  su  lei  i  BoDandistl,  Jcta 
ÉatUorun^jùm,  yol.  VI,  p.  288).  ^  184.  teaU 
ecc.  la  quale  era  tanto  contenta  di  contem- 
plare la  figlia  nella  pienezza  della  sua  gloria 
che  non  moveva  gli  occhi,  sebbene  anoh'efia 
cantasse  oon  gii  altri  beati  ecc.;  è  uno  de- 
gli aiti  eco.  di  cui  cfr.  Par,  xxxi  51.  —  186. 
E  eoatre  ecc.  e  di  fironte  ad  Adamo  (die  era 
alla  sinistra  della  Vergine)  si  trovava  alla 
destra  del  Battista  santa  Luda,  la  vergine 
siracusana  (cfr.  Inf.  n  97).  — 187.  elle  Hoase 
ecc.  che  mosse  Beatrice  a  venire  in  tuo  aiuto, 
slloTché  ta,  perduta  la  speranza  di  giungere 
alla  dma  dd  colle  luminoso,  iwinavi  vsrao 


PARADISO  —  CANTO  XXXH 


853 


Ma  perché  il  tempo  fugge,  ohe  t' assonna, 
qui  farem  punto,  come  buon  sartore 
141        che,  com'egU  ha  del  panno,  £»  la  gonna; 
e  drizzeremo  gli  occhi  al  primo  amore, 
8i  che,  guardando  verso  lui,  penetri, 
144        quant'ò  possibil,  per  lo  suo  fulgore. 
Veramente  (né  forse  tu  t'arretri 
movendo  l'ali  tue,  credendo  oltrarti) 
147        orando  grazia  convien  che  s'impetri, 
grazia  da  quella  che  può  aiutarti; 
e  tu  mi  segui  con  l'affezione, 
si  che  dal  dicer  mio  lo  cor  non  parti  >; 
151    e  cominciò  questa  santa  orazione. 


la  MlT»  0000»  (cfr.  Jnf.  x  54, 61,  n  108-106). 

—  199.  Mft  fenhtf  eoo.  DaU»  bxvrità  del 
tempo  assegnato  alla  viaione  del  paradiso  d 
un  oenno  nelle  parole  di  Beakìoe  in  Par, 
xzxx  127-129  :  qiii  pM  chiaramente  san  Ber- 
nardo dioe  ohe  ormai  si  ayvioina  il  momento 
in  coi  tale  Tidone  ayrà  termine  ;  perché  a 
Danto  non  reste  più  da  contemplare  altro  ohe 
Dio  e  i  mistori  della  Trinità  e  della  doppia 
natora.  Da  questo  passo  per  altro  nnlla  si 
pa&  argoire  oiroa  la  orondogia  dell'  azione 
fiuìtastioa  descritte  da  Dante  nel  sao  poema  : 
se  egli  imaginara  di  essere  salito  al  para- 
diso all'alha  del  U  aprile  (ofr.  Par.  i  87)  e 
il  Tiaggio  si  compie  ixi  setto  giorni,  oompn- 
tando  nel  novero  anche  1'  8  aprile,  questo 
momento  della  cessazione  della  visione  do- 
yrebbe  essere  il  pomerìggio  del  14  aprile  1800  : 
ma  sono  incerti  i  fondamenti  sui  quali  ogni 
orondogia  del  poema  dantesco  si  può  oosti- 
toire  (ofr.  la  note  all'In/:  i  1).  —  che  t'as- 
senaa  :  che  d  assegnato  alla  tea  visione.  — 
140.  qal  farem  eco.  non  d  fermeremo  pì6 
oltre  a  parlare  di  questi  santi,  imitando  il 
Talento  sartore  che  adatte  la  forma  della 
gonna  alla  quantità  del  panno  :  vuol  diro  in 
somma  san  Bernardo  che  gli  bisogna  propor- 
zionare il  suo  discorso  intomo  ai  leati  al 
tempo  di  cui  Danto  pud  disporre,  e  siccome 
gli  avanza  appena  quello  che  bisogna  per  le 
supreme  visioni,  cosi  conviene  intralasciare 
la  incomindate  rassegna  delle  anime  detto. 

—  140.  come  baon  eco.  Ricordando  quella 
dell'/n/'.  XV  21,  il  Venturi  377  osserva  :  «  Si- 
militedine  vìva  come  la  precedente;  ma  e 
nd  luogo  e  in  bocca  di  un  santo,  men  con- 
venevole. Là  d  pennellate  da  grande  artiste  : 
qui,  per  usare  la  parola  dell'  arto,  son  colorì 
che  non  armonizzan  col  fondo  >.  —  141. 
gOAna:  vesto,  anche  maschile.  —  142.  • 
driszereHO  ecc.  e  volgoremo  gli  occhi  a  Dio, 


affinché  te  guardtndo  verso  di  lui  riesca  a 
penetrare  quanto  più  potrai  attraverso  il  suo 
splendore.  ^  146.  Teraaeate  ecc.  lia,  af- 
finché per  avventura  te  non  abbia  a  retro- 
cedere, ad  allontanarti  dall'ultimo  fine,  se 
ti  disponi  a  procedere  innanzi  con  la  tea 
sola  virtd,  bisogna  che  con  la  preghiera  si 
ottenga  la  grazia  necessaria  eco.  -~  Ad  ferie  : 
affinché  non  avvenga  ohe  ecc.;  questo  uso 
dd  n^  come  finale  negativa,  è  insdito  nella 
nostra  lingua  quanto  ò  comune  ndla  la- 
tina, ma  non  senza  esempi  di  scrittori  an- 
tìchL  ^  146.  meveado  ecc.  avanzando  da 
te,  senz'  dtro  aiuto  che  quello  deUe  tue  fa- 
coltà. —  148.  grazia  da  qaella  eoo.  e  la 
grazia  necessaria  deve  essere  ottenute  da 
Maria  Vergine,  che  sola  pud  untarti.  — 149.  e 
in  mi  segai  ecc.  perdo  accompagna  con  l'af- 
fetto la  preghiera  eh'  io  ora  fiard,  si  che  il 
tuo  cuore  venga  ripetondo  le  parole  mie.  È 
manifesto  ohe  Danto  non  d  inviteto  a  dire 
anch'  egli  con  la  bocca  la  sante  orazione  di 
Bernardo,  ma  a  ripeteria  mentalmente  via 
via  che  il  santo  la  dirà  ;  poiché  essa  non  è 
solamente  un  inno  di  lode  dia  Vergine  (Bir. 
xEzm  1-21),  ma  preghiera  fatte  in  nome  di 
tetti  i  beati  perché  ella  ottenga  a  Danto  la 
grazia  dell'ultima  visione  (ivi,  22-89).  —  160. 
si  ohe  ecc.  Si  avverte  in  questo  verso  un 
ricordo  ddle  parole  bibliche  (Isaia  xxnc  18, 
cfir.  Marco  vn  6)  :  e  Oltre  a  dò  il  Signore 
ha  detto  :  Per  dò  che  questo  popolo,  acco- 
standosi, mi  onora  con  la  sua  bocca,  e  con 
le  sue  labbra,  ed  il  suo  cuore  ò  lungi  da 
me>.  —  161.  questo  santo  ecc.  Sopra  di 
ossa  ò  utile  consultare  il  caro  libretto  di  0. 
Cavedoni,  U  Oraxions  di  s.  Btmardo  alta 
Beatissima  Vèrgins  fM*  uUimo  conio  del  I^t- 
radiso  di  Dani»  esposta  eo'  riaoontri  di  quel 
santo  Ptidre  e  d*aUri,  8»  ediz.,  Modena,  1866, 
riprodotto  negli  Opusc.  dant.  n.*  29-80. 


854 


DIVINA  COMMEDU 


CANTO  xxxm 


Pregata  con  una  mirabile  orazione  da  san  Bernardo,  la  Tergine  Maria 
intercede  presso  Dio  e  ottiene  a  Dante  la  grazia  di  contemplare  l'ultima 
salute  :  fìitto  cosi  capace  di  levar  gli  occhi  al  sommo  lume,  il  poeta  ha  la 
visione  della  divinità,  nella  quale  contempla  11  mistero  della  Trinità  e  il 
mistero  delle  due  nature  di  CristOi  e  un  ultimo  folgore,  nel  quale  la  sua 
mente  resta  vinta  e  cessa  la  visione  [14  aprile,  ore  pomeridiane]. 

€  Yergine  madre,  figlia  del  tuo  figlio, 
umile  ed  alta  più  che  creatura, 
8       termine  fisso  d'eterno  consiglio, 
tu  se'  colei,  che  l' umana  natura 
nobilitasti  si  che  il  suo  Fattore 
6        non  disdegnò  di  farsi  sua  fattura. 

xxxm  1.  Terglme  eoo.  La  santa  ora- 
sione  innalzata  da  Bernardo  alla  Vergine  ò 
come  r  oltima  manifestaziono  del  sentimento 
Religioso  e  dell'arte  poetica  di  Dante  :  sublime 
nella  sua  semplicità,  piena  di  tenerezza  e  di 
dottrina,  tatta  sparsa  di  profonda  devozione, 
questa  finale  orazione  fa  concepita  dal  nostro 
poeta  come  veramente  era  degno  che  in  dolo 
pregassero  1  beati  ;  e  poiché  egli  la  pose  sulla 
bocca  del  santo  dottore  innamorato  di  Maria, 
ò  intessnta  in  gran  parte  di  oonoetti  e  Ima- 
gini  derivate  dalle  opere  di  lai,  armonica- 
mente e  soavemente  espressi  con  una  fira- 
granza  tutta  nuova  di  vivissima  ed  efficace 
poesia.  L'orazione  ò  distinta  in  due  principali 
parti  :  la  lode  alla  Vergine  (w.  1-21)  e  la 
proghiera  per  Dante  (w.  22-39)  ;  e  nell'  una 
Maria  è  prima  considerata  come  predestinata 
nella  profondità  del  consiglio  divino  al  su- 
blime ufficio  di  madre  dol  Signore  (1-12),  poi 
come  potante  e  benigna  protettrice  degli  uo- 
mini che  in  lei  si  confidano  (18-21)  :  nell'al- 
tra si  rivolge  alla  Vergine  una  duplice  pre- 
ghiera per  Dante,  quella  d' intercedere  presso 
Dio  affinché  egli  sia  fatto  capace  di  vedere 
r  ultima  salute  (w.  22-83),  e  quella  di  con- 
fermarlo nella  grazia  e  di  vegliare  alla  sal- 
vezza dell'anima  sua  (w.  34-39).  Si  legga 
accanto  alla  proghiera  dantesca  quella  che 
san  Bernardo  inseri  nei  suoi  Sermoni  {Sem. 
in  Advent.  ii  4,  traduziono  di  D.  Cavalca)  : 
€  Por  te,  o  benedetta  Vergine,  ci  sia  lecito 
d'andare  al  tuo  Figliuolo.  Per  te,  o  trova- 
trice  della  grazia,  genitrice  della  vita,  madre 
di  salute,  per  te  riceva  noi  colui,  che  per  te 
è  dato  a  noL  La  santa  tua  integrità,  e  piis- 
sima  madre,  iscusi  appresso  di  lui  la  colpa 
della  nostra  corruzione.  £  la  tua  profondis- 
sima umiltà  a  Dio  tanto  grata  impetri  a  noi 
perdouauza  della  nostra  vanità.  La  tua  co- 
piosa carità  cuopra  la  moltitudine  de'  nostri 


peccati,  e  la  gloriosa  toa  fecondità  doni  a  nd 
fecondità  di  meriti.  0  madonna  nostra,  o  me- 
diatrice nostra,  o  avvocata  nostra,  preghia- 
moti, riconciliaci  al  Figliuolo  tao:  al  Figliuolo 
tuo  ci  raccomanda  :  al  Figliuolo  tao  ci  n^>pre- 
senta.  Preghiamoti,  o  benedetta,  per  la  grazia 
la  quale  ta  trovasti;  per  quella  prerogativa 
la  quale  tu  meritasti  ;  per  la  misericordia  la 
quale  tu  partoristi,  cóie  faccia  che  esso  il 
quale  per  te  s' è  degnato  di  fusi  partecipe 
della  nostra  miseria  ed  infermità,  ancora  per 
li  prìeghi  tuoi  ci  faccia  partecii^  della  toa 
beatitudine  ed  eternale  gloria,  esso  Gesù  Fi- 
gliuolo tuo,  il  quale  ò  Signore  nostro  sopra 
tutte  le  cose,  e  Dio  benedetto  in  omnia  «os- 
cula saeoulorum  >.  —  figlia  ecc.  creatura  di 
Dio,  al  quale  sei  madre;  cfr.  il  Petrarca,  oanx. 
xxix  46  :  e  Tre  dolci  e  cari  nomi  hai  in  te 
raccolti.  Madre,  figliuola  e  sposa  >.  —  2. 
umile  ecc.  umile  e  sublime  più  che  ogni  al- 
tra creatura  ;  cfr.  Luca  i  48  :  «  Poiché  e^ 
ha  riguardato  alla  bassezza  [humiUlatemy  la 
vulgata]  della  sua  servente  :  per  dò  che,  ecco, 
da  ora  innanzi  tutte  le  generazioni  mi  pre- 
dicheranno beata  »  ;  e  s.  Bernardo  {HomiL  m 
10)  :  e  Si  soiree  quantum  tua  humUìtas  Altia- 
simo  placeat,  quanta  te  apud  ipsum  sublimi' 
tas  maneat»,  e  s.  Bonaventura  (Qpsr.  XITT 
858)  :  e  Te,  qua  nunquam  humUior  In  crea- 
turis  legitur  Fuisse  nec  suavior  ;  Et  propter 
hoc  sttblimior  Esse  nulla  te  nosdtur  >.  —  9. 
termine  ecc.  oggotto  prefisso  dall'eterno  con- 
siglio, cioè  predesti  nata  da  Dio  ali*  ufficio  di 
madre.  Opportunamente  il  Cavedoni  richiama 
qui  le  parole  del  Oonv.  iv  5  circa  «  l'esecu- 
zione dello  etemo  consiglio  >  nel  &tto  della 
Bedenrione.  —  4.  t«  se'  eolel  ecc.  tn  sei 
quella  che  nobilitasti  la  natura  umana  ti  ohe 
il  creatore  di  essa  non  disdegnò  di  Carsi  crea- 
tura. —  6.  di  fkrsi  eoe  di  fisrsi  figliuolo  di 
donna,  fattura  dell'  umana  natura,  in  quanto 


PARADISO  -  CANTO  XXXm 


866 


Nel  Tontre  tuo  ai  raccese  l'amore, 
per  lo  cui  caldo  nell'eterna  pace 
9       cosi  è  germinato  questo  fiore. 
Qui  sei  a  noi  meridiana  face 
di  oaritate,  e  glusO|  intra  i  mortali, 
12        sei  di  speranza  fontana  vivace. 
Donna,  sei  tanto  grande  e  tanto  vali 
che,  qual  vuol  grazia  ed  a  te  non  ricorre, 
15        sua  disianza  vuol  volar  senz'ali 
La  tua  benignità  non  pur  soccorre 
a  chi  domanda,  ma  molte  fiate 
18       liberamente  al  domandar  precorre. 
In  te  misericordia,  in  te  piotate, 
in  te  magnificenza,  in  te  s'aduna 
21        quantunque  in  creatura  è  di  bontate. 
Or  questi,  che  dall'infima  lacuna 


preee  figoxa  nmAiia.  —  7.  Kel  Tentrc  ecc. 
Per  effetto  del  tao  diTÌno  oonoepimento  ti 
riaoceee  l'amoie  Tioenderole  fra  Dio  e  le  crea- 
tore, dal  quale  amore  nell'eterna  beatitadine 
,8i  è  venuta  formando  questa  rosa  :  tuoI  dire 
che  per  la  redenzione  operata  dal  flgliaol  di 
Maria  le  anime  fbiono  latte  degne  di  salire 
al  paradiso.  Si  ctr.  per  alcuna  conformità  di 
concetto  e  d'espressione  con  Pare  xxii  46  e 
segg.  —  9.  f  «esto  flort  :  la  candida  rosa  nella 
quale  seggono  i  boatL  —  10.  ({ni  sei  ecc.  In 
paradiso  sei  per  noi,  spiriti  eletti,  luminosis- 
sima face  che  tiene  acoesa  la  nostra  carità. 
S.  Bernardo  (8«rm,  in  Auumpt.  B.  V,  M.  n 
9):  cProcessit  «rgo  gloriosa  Virgo,  ouias 
lampaa  ardenHaaima  ipsis  quoque  Angelis  mi- 
raoulo  fait  >.  —  Meridiana:  come  il  sole  nel 
mezzogiorno  risplende  di  pld  viva  luce,  cosi 
fneridiana  può  dirsi  ogni  luce  splendidissima. 
11.  e  gi«80  eoe  e  in  terra  tra  gli  uomini  sei 
fonte  inesauribile  di  speranza.  San  Bernardo, 
cit.  già  dagli  antichi  commentatori  :  e  Secu- 
rum  acceseum  hahes,  o  homo,  ad  Deum,  ubi 
mater  ante  fllium,  et  fllius  ante  jtatrem  ;  ma- 
ter  ostendit  Alio  pectns  et  ubera;  fllius  patri, 
latus  et  vulnera  :  nulla  ergo  poterit  esse  re- 
pulsa tiU,  ubi  tot  ooourrunt  oharitatLs  insi- 
gna>.  —  18.  Donna  eoo.  Tu,  o  signora,  sei 
tanto  grande  e  potente  che,  se  alcuno  vuole 
ottenere  grazia  e  non  ricorre  a  te,  il  suo  de- 
siderio ò  vano  ;  perché  non  si  può  aver  gra- 
da se  non  per  tuo  mezzo.  Anche  questo  ò 
pensiero  di  s.  Bernardo  (Sarm.  in  Viffil,  Nat, 
Dom,  ni  10)  :  <  Nihil  nos  Deus  habere  voluiti 
quod  per  Mariae  manna  non  tranairet  >.  — 
14.  funi  :  qualunque,  con  lo  stesso  costrutto 
oheò  proprio  del  ehi.  — 16.  vuol  eco.  si  volge 
a  cosa  impossibile,  come  chi  senza  ali  vo- 
lesse volare.  Nota  il  Torraca  la  frequenza  di 


questa  similitudine  del  volar  $&nx^aH  nei  rl> 
matori  pi6  antiohi  (  D' Anc  m  86,  264,  Y 
66  ).  —  16.  La  tna  ecc.  Tu  sei  tanto  beni- 
gna che  non  solo  aiuti  ohi  te  ne  fis  preghie- 
ra, ma  molte  volte  previeni  spontaneamente 
le  altrui  domande.  — 18.  Itberaaeste  :  spon- 
taneamente (cf^.  Inf.  nix  86,  Purg.  xi  184, 
XXVI  139)*,  ma  forse  v' è  inclusa  l'idea  della 
larghezza,  della  liboralità  onde  Maria  pre- 
viene le  domande  di  grazia:  cosi  intesero 
anche  Benv.:  e  liberaliter; ...  signum  verse 
liberalitatis  est  quando  non  petltus,  non  ro- 
gatus  donat  >,  e  il  Buti  :  €  per  tua  libera- 
lità,... e  liberalità  d  larghezza  di  donare  da 
sé  medesimo  mossa  >.  —  19.  In  te  ecc.  In 
te  si  accoglie  misericordia,  in  te  pietà,  in  te 
magnificenza,  in  te  quanto  mal  di  bontà  ò 
nelle  creature.  Buti:  e  Tutto  questo  virtd  e 
molte  altre  anco  innumerevoli  virt6  sono  ne 
la  Volgine  Maria;  ma  l'autore  prese  quelle 
che  faceano  ora  a  la  materia:  imperò  che, 
perché  aveva  detto  che  era  benigna  a  soc- 
correre a  chi  dimandava,  si  dimostrava  ohe 
in  lei  era  misericordia  ;  e  perché  avea  detto 
che  spesse  volto  soccorrea  inanti  che  si  do- 
mandasse, si  dimostrava  la  pietà]  e  perché 
ella  arreca  a  perfezione  tutto  le  grandi  coso, 
si  dimostrava  la  moffnificmxia  >.  —  20.  ma- 
gnlfleensax  il  dono  della  perfezione,  delle 
ooee  grandi  e  sublimi  (cfr.  J\ir.  xm  88).  — 
21.  f  nantonqae  :  cfir.  Piar,  vm  103.  —  22. 
Or  questi  ecc.  Danto,  che  daUe  profondità 
dell'inferno  ò  venuto  sin  qui  osservando  i 
tre  stoti  della  vita  spirituale,  la  dannazione, 
la  purificazione  e  la  beatitudine,  ti  supplica 
di  ottonergli  la  graria  deWvUima  aaluU.  — 
intima  laenna  dell'  nnirerse  i  cosi  d  detto 
r  inferno,  come  uno  degli  estremi  del  vìag^ 
glo  dantesco,  il  quale  fu  dall'  inferno  al  pa- 


656 


DIVINA  COMMEDU 


dell*  imirerso  infin  qui  ha  vedute 
24        le  vite  spiritali  ad  una  ad  una, 
supplica  a  te,  per  grana,  di  yirtutè 
tanto  che  possa  con  gli  occhi  levarsi 
27       più  alto  verso  1*  ultima  salute. 

Ed  io,  ohe  mai  per  mio  veder  non  arsi 
più  eh'  io  fo  per  lo  suo,  tutti  i  miei  pi*eghi 
BO       ti  porgo,  e  prego  che  non  sieno  scarsi, 
perché  tu  ogni  nube  gli  disleghi 
di  sua  mortalità  coi  preghi  tuoi, 
83        si  che  il  sommo  piacer  gli  si  dispieghL 
Ancor  ti  prego,  regina  che  puoi 
ciò  che  tu  vuoli,  che  conservi  sani, 


xadiBO,  infin  gìd^  a  twfvno  fi  pusfttorlo. 
Bettamente  intese  adunque  questo  passo  il 
Batl|  ohioeando:  <  lo  luogo  basso  de  Io  in- 
ferno >,  cioè  quella  parto  infima  della  tona, 
qoeUa  oa^ità  <i»  ooatitoisoe  l' inferno  ;  e  male 
Benr.,  seffotto  ^da  molti  moderni,  spiegò  la 
lamna  per  il  centro  della  terra  («  a  centro 
tenae  nsque  ad  somnHun  ooelnm  >),  perché 
il  viaggio  di  Danto  non  oominoia  diù  centro, 
ma  dalla  superficie  della  taira,  sulla  quale 
oresoe  la  sehra  oscura.  Lana,  Ott  e  altri,  te- 
nendosi al  sMiso  idlegorioo,  spiegano:  e  dal 
pi&  Immso  stato  òhe  possa  essere  nell'uomo, 
ohe  ò  lo  peccato  >.  ^  24.  le  Tito  ecc.  le  varie 
condizioni  degli  spiriti  nella  vite  oltremon- 
dana (cfir.  Inf,  1 112  e  segg.).  —  25.  sappUea 
a  tos  ott.  Par,  zv  86.  —  per  grasla  eoo. 
di  ottenere  per  grazia  tanta  Tirt6  eoo.  È  con- 
forma alla  dottrina  di  Tomm.  d'Àqu.,  Surnm, 
F.  I,  qu.  zn,  art.  6  :  e  Omne  quod  eleratur 
ad  aliquid,  quod  ezoedit  suam  naturam,  <^r- 
tot  quod  disponatur  aliqua  dispositione,  quae 
sit  supra  suam  naturam:  sicut  si  aer  debeat 
aodpere  formam  ignis,  oportot  quod  dispo- 
natur aliqua  dispositione  ad  talem  formam. 
Cum  autem  aliquls  intollectas  creatus  yidet 
Deum  per  eesentiam,  ipsa  essentla  Dei  fit 
forma  intoUigibilis  intollectas.  Unde  oportot 
quod  aliqua  dispositio  suporoaturalis  ai  su- 
paraddatur  ad  hoc  quod  eieretur  in  tantam 
sublimitotem.  Cum  igitur  yirtus  nataralis  in- 
toUeotus  creati  non  suffloiat  ad  Dei  eesentiam 
Tidendam,  oportet  quod  w  divina  grafia  mtp»- 
raeor9aeat  ei  pirtua  inlélHffmuU,  Et  hoc  aug^ 
mentum  virtutis  intellectivae  illuminationom 
intolloctus  Tooamus  >.  —  36.  che  possa  eoe. 
che  possa  elevarsi  alla  perfetta  cognizione  di 
Dio  nella  quale  consisto  l'etorna  beatitudine 
(cfr.  Par,  zxn  124).  --  27.  raltlma  salato: 
Dio,  onde  procede  la  beatitudine;  cfr.  Tomm. 
d'Aqu.,  L  dt.  art.  1:  «Cam...  ultima  homi- 
nis  beatitudo  in  altissima  «os  operatione  oon- 
sistat,  quae  est  operatio  intelleotas,  si  num^ 


quam  essentiam  Dei  videro  potest  IntoDeetna 
creatus,  vel  numquam  beatìtudinem  obtina- 
bit,  vel  In  alio  eius  beatitudo  oonsistet  quam 
in  Deo:  quod  est  aliennm  a  fide.  In  ipso 
enim  est  ultima  perfeotio  latlonaUs  ereato- 
rae,  quod  est  ai  prindpium  ossendi  ;  in  tan- 
tum enim  unumquodque  periéotum  est,  in 
quantum  ad  suum  principium  attingit  ».  — 
26.  li  lo  eoe  £d  io,  che  non  dosidarei  mai 
di  vedere  Dio  più  ch'io  desideri  ora  ohe  lo 
vegga  Danto  eco.  La  carità  di  san  Bernardo 
d  tanta  che  nei  deeldeirara  a  Danto  VuUima 
aakiié  è  mosse  da  aifetto  pari  a  qnello  onde 
già  la  deeiderò  a  sé  stesso:  beUa e oristiaiia 
esplicazione  dal  prino^o  dell'amore  del  pfroa> 
Simo.  —  par  mìo  vedart  perdhó  a  me  fossa 
dato  di  vedere  Iddio.  La  Iasione  a  la  spia* 
gazione  sono  confermato  da  questo  passo  di 
s.  Bernardo  {Smrrn,  in  Dominio,  infra  Odav. 
jLoeumpU  13)  :  «  lamta,  Hatermiaariooxdiae,... 
Ecclesia  mediatrioem  stbi  apud  edam  iusti- 
tiae  oonstitutam  devotis  supplicationibua  in- 
torpeUat,  ut  ia  lumina  tuo  vldeat  lumen,  et 
8olis  gratiam  tuo  maEeatur  obtanta  ».  —  90. 
e  prego  eco.  e  faccio  voti  oh' essi  siano  ef- 
ficaci (cfr.  Inf,  ZXV2  66).  —  81.  percM  eoe 
perché  ta  dissolva  ogni  nube  di  mwtalità  con 
le  tue  preghiere,  tu  ottenga  insooima  a  Danto 
quella  parfezione  ddla  grazia  ohe  gli  bisogna 
per  oontomplare  il  sommo  jnaonv.  —  dlsle- 
gU:  il  vb.  disUgata  ò  usato  per  lo  più  da 
Danto  con  l' idea  dello  sciogline,  liberare  (da 
oolpa  in  iVp.  xzxm  120,  da  una  tpera  in 
Pcur.  xzxv  80X  che  ha  anche  qui,  perebó  le 
nubi  della  mortalità  dissipato  dalla  grazia  sono 
imagine  della  liberaaione  dello  ^irito  da  ogni 
torrone  impedimento.  —  82.  eoi  pregU  ecc. 
con  preghiere  ohe  tu  £aooia  a  Dio,  intesoe- 
dendo  per  luL  •—  83.  il  aoniaM  eoo.  Dio  gii 
si  manifesti.  —  84.  ragia*  eoo.  regina  on^ 
potanto.  —  85.  che  aonsenrl  eco.  che,  dopo 
che  Danto  avrà  contemplato  il  sommo  pia- 
oara,  to  conservi  puro  il  suo  animo,  tu  lo 


PABADISO  -  CANTO  XXXHI 


857 


86       dopo  tanto  vederi  gli  affetti  suoi. 
Vinca  tua  guardia  i  movimenti  umani  : 
vedi  Beatrice  con  quanti  beati 
89       per  li  miei  preghi  ti  chiudon  le  m^ni  ». 
Gli  occhi  da  Dio  diletti  e  venerati, 
fissi  nell'orator,  ne  dimostrare 
42        quanto  i  devoti  preghi  le  son  grati 
Indi  all'eterno  lume  si  drizzare, 
nel  qual  non  si  de'  creder  che  s' invii 
45       per  creatura  l'occhio  tanto  chiaro. 
Ed  io  ch'ai  fine  di  tutti  i  disfi 
m'appropinquava,  si  com'io  dovea, 
48        l'arder  del  desiderio  in  me  finii. 
Bernardo  m'accennava,  e  sorridea, 
perch'io  guardassi  suso:  ma  io  era 
51        già  per  me  stesso  tal  qual  ei  volea; 
che  la  mia  vista,  venendo  sincera, 
e  più  e  più  entrava  per  lo  raggio 
54       dell'alta  luce,  che  da  sé  è  vera. 


gnarìi  dal  cadero  nnoTamente  in  peccato.  — 
86.  tanto  reder  ;  la  viaione  divinia;  non  ciò 
olle  ha  visto  pzima  d'ora.  —  87.  Vinca  eoo. 
La  tua  protezione  spenga  in  Ini  gì*  impulsi 
delle  passioni  umane.  —  88.  Tedi  eco.  ecco  ' 
U  preghiera,  alla  quale  Beatrice  e  gli  altri 
beati  si  associano  tendendo  a  te  le  mani  con- 
giunte in  atto  di  adorazione  (ofir.  lìarg.  tiu 
9).  »  89.  per  11  Miei  eoe  affinché  ta  ac- 
colga la  mia  preghiera.  —  40.  Gli  oeehi  ecc. 
Gli  occhi  di  Maria  Vergine,  diletti  e  Tene- 
nti da  Dio  stesso,  si  fissarono  su  san  Ber- 
nardo per  segno  ohe  la  deTOta  preghiera  di 
lui  era  stata  accolta  benignamente.  La  Ve> 
gine  non  parla,  ma  con  on  sorriso  degli  oo- 
ohi  diTini  manifesta  il  suo  consentimento  alla 
preghiera  riToItale  dal  suo  dcToto.  —  41.  ne: 
a  noi,  Bernardo  e  Dante;  alonni  prendono  il 
fM  come  riferito  a  solo  il  poeta,  in  senso  di 
mt,  che  sarebbe  uso  singolare  e  strano.  — 
42.  qaanto  ecc.  Tatto  in  genere  le  preghiere 
dìTote  sono  care  alla  Vergine;  dlTotissima 
essendo  stata  l'orazione  di  san  Bernardo,  si 
Tiene  a  dire  in  tal  modo  che  ella  dimostrò 
di  volerla  esandire.  —  43.  lidi  ecc.  Indi  gli 
occhi  della  Vergine  si  Tolsero  al  lame  diTÌno, 
nel  qaale  nessuna  creatura  pad  penetrare  con 
occhio  cosi  sicuro  oom'  ò  quello  della  madre 
di  Dio  :  Tuol  dire  che  la  Vergine,  essendo 
perféttissinia  tra  le  creature  si  sprofonda  pid 
d' ogni  altra  nella  cognizione  di  IMo  ;  cfr.  Bio- 
cardo da  8.  Vittore  {In  oantie,  cap.  39): 
«  Haria  supra  Angelos  quoque  est,  quia  eos 
poritate  supergreditur,  dum  diTinitatem  cla- 
lios  illis  contemplatur  >.  —  44.  ■'  Invìi  :  si 
Tolga,  entri  ;  d  questa  la  lezione  pid  cornane. 


sebbene  aleno  molto  autoreToli  i  testi  che  re- 
cano «'  tniij  da  iniani^  Tb.  ohe  sarebbe  for- 
mato sul  pronome  <o,  come  inhriani,  MnarH 
ecc.  (si  ofir.  Parodi,  Bull.  Ili  138),  col  senso 
di  dìTontar  simile  idla  cosa  ohe  il  soggetto 
contempla  (Lana,  Ott)  o  di  mettersi  den- 
tro, entrare  (Buti).  —  46.  Ed  lo  eoo.  Dante, 
aTTicinandori  al  fine  ultimo  dei  suoi  desi- 
deit,  che  d  Dio,  finisce  di  ardere  di  deside- 
rio, sente  che  cessa  in  lui  quell'ardore  per^ 
che  ormai  ha  la  certezza  di  essere  sodisfat- 
to«  aTendo  Toduto  la  Vergine  intercedere  per 
lui  la  grazia  dell'  ultima  salute.  —  Une  ecc. 
Dio,  ohe  d  «  ultimus  finis  humanae  Titae  > 
(Tomm.  d'Aqu.  Summ.  P.  n  2^,  qu.  cxxn, 
art  2)  e  e  ultimus  finis  humanae  mentis  » 
(ìtì,  qu.  CT.TTTTT,  art  1).  —  49.  Bemar- 
de  eco.  Bernardo  sorridendo  mi  facoTa  cen- 
no di  guardare  in  alto,  a  Dio,  ma  senza 
aspettare  il  suo  cenno  io  aTea  già  in  Dio 
fissato  lo  sguardo.  —  sorridea  :  «  in  segno 
di  congratulazione  della  ottenuta  grazia»,  dice 
il  Lomb.  ;  ma  forse  questa  idea  della  congra- 
tulazione non  ebbe  Dante,  il  quale  del  sor- 
riso degli  esseri  beati  si  Tale  come  mezzo  por 
significare  la  letizia  intema  :  qui  dunque  sor- 
ride san  Bernardo  per  la  gioia  ch'ei  prova 
nel  Tolgere  a  Dio  lo  sguardo  di  Dante.  — 
61.  per  me  stesso  eco.  da  me  stesso  mi  ero 
Tolto  a  contemplare  il  sommo  lume.  —  62. 
éhé  la  mia  eoe  perché  dìTcnendo  sempre 
più  pura,  la  mia  vista  penetraTa  ognora  più 
nel  raggio  di  quell'  altra  luce,  che  ò  Tora  per 
sua  essenza.  —  veaendo  eoo.  accreecendosi  la 
sua  virtd  mediante  1'  inftisione  della  grazia. 
--  64.  ehe  da  ■<  è  verai  la  luoe  divina  è 


858 


DIVINA  COMMEDIA 


67 


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66 


Da  quinci  innanzi  il  mio  veder  fii  maggio 
ohe  il  parlar  nostro  eh' a  tal  vista  cede, 
e  cede  la  memoria  a  tanto  oltraggio. 

Qual  è  colui  ohe  sommando  vede, 
ohe  dopo  il  sogno  la  paasione  impressa 
rimane,  e  l'altro  alla  mente  non  riede  ; 

cotal  son  io,  chó  quasi  tutta  cessa 
mia  visione,  ed  ancor  mi  distilla 
nel  cor  lo  dolce  che  nacque  da  essa. 

Cosi  la  neve  al  sol  si  disigilla, 
oosi  al  vento  nelle  foglie  lievi 
si  perdea  la  sentenza  di  Sibilla. 

O  somma  luce,  che  tanto  ti  levi 


Ter»  per  i6  ttaaia,  mentre  le  altre  coie  eono 
yere  in  quanto  pftrtodpano  dell»  retità  di- 
vina ;  cfr.  Tomm.  d' Aqn.,  Surnm,  P.  I,  qo. 
XTii  art  6:  e  Veiit»s  invenltor  in  InteUécsto, 
seoondom  qnod  apprehendit  rem  nt  eat  ;  et 
in  re,  aeoondiun  qnod  h»bet  eaee  oonfocmap 
bile  intelleotoL  Hoc  antem  maxime  inreni- 
tor  in  Deo.  Nam  esse  sanm  non  solom  est 
conforme  sno  intelleotoi,  sed  etiam  est  ipsum 
snnm  intelligeie;  et  snom  intelligere  est  men- 
sor»  et  c»ns»  omnia  alterins  esse,  et  omnia 
alterine  intellectoa:  et  Ipse  est  snnm  esse  et 
intelllgere.  linde  soqnitor  qnod  non  solnm 
in  ipso  Bit  reritas,  aed  qnod  ipse  sit  ips»  snm- 
m»  et  prim»  veritas  ».  —  66.  D»  «nlnel  eoe. 
D»  questo  momento  in  poi  la  mi»  visione  fti 
più  grande  ohe  non  possa  dire  la  nostra  pa- 
rola, 1»  qn»le  ò  inferiore  a  tale  visione,  e  la 
memori»  è  ino»pace  di  ritenere  tanta  gran- 
dezza :  —  Maggio  :  ofr.  Inf.  y  48.  »  67.  ol* 
tragglot  secondo  la  sna  etimologia  (tittra-<t- 
oum)  ò  ciò  che  passa  il  limite  solito,  e  qui 
detto  dell»  visione  di  Dante  ne  signiflo»  l' im- 
mensità, 1»  grandiosità  :  dopo  il  trecento  que- 
sta parola  non  fti  più  nsata  ae  non  trattan- 
dosi di  eccesso  nel  parlare  o  nell'operare,  e 
con  significazione  cattiva.  ->  68.  ({sai  è  eo- 
li! eoe.  A  descrivere  in  qualche  modo,  non 
ostante  l' insufSciens»  della  parola  umana,  la 
sua  condizione  in  questo  momento  supremo, 
il  poeta  ricorre  alle  similitudini,  e  Sul  fine 
della  visione  beatìfica  (cosi  il  Venturi  286)  si 
spenge  in  lui  la  memori»  delle  celesti  cose 
Tifate,  m»  gli  resta  in  cuore  l'impressione 
della  dolcezza  che  gliene  venne;  cornei* uomo 
ohe  destatosi  continua  a  provaro  la  passione, 
sia  d'affanno,  sia  d'allegrezza,  cagionata  da 
un  sogno,  benché  di  questo  più  non  si  ricordi. 
È  un'imagine  dipinta  con  tócchi  maestri: 
né  più  concisamente,  né  più  acconciamente 
ai  poteva  dire  la  passione  impressa^  cioè  quel 
commovimento  doU'animo,  di  cui  Dante  stesso 
dice  altrove  :  Che  riso  s  pianto  son  tanto  ss- 


guaó(j.ttapassiondacksoktsomsispieoa^  Ohs 
msn  stffum  volsr  nt^pi6  vsraoi  (A07.  xn 
106)  ».  Un»  iimilitadiBO  »nalog»  a  questa  è 
in  Par.  xzm  49  o  segg.  —  ■•■uiodo  s  ao- 
gnando;  forma  latina,  per  ragione  metzlo». 
—  68.  1»  pMsione  eoo.  il  aentimento  cagio- 
nato dal  sogno  rimane,  e  le  cose  vedute,  la 
vitto»  obUla  non  rì  riaffaccia  alla  menta.  — 
61.  ehé  f  nasi  ecc.  perché  sebbene  si»  inte- 
ramente cessata  la  visione  e  spenta  nella  mia 
mente,  pur  mi  scende  ancora  aU'  animo  la 
dolcezza  che  essa  cagionò.  —  62.  si  distili»  : 
Venturi  286:  e  Verbo  ch'esprime  1»  gioi» 
scendente  nel  cuore  quasi  a  gocce  preziceia- 
sime,  perché  meglio  ne  gustasse  la  soavità, 
e  tutto  ne  fosse  inebriato  ».  —  64.  Cssf  la 
■ève  ecc.  La  mi»  visiono  d  scomparsa  dalla 
memoria,  oome  la  neve  si  scioglie  ai  caldi 
raggi  del  sole,  oome  al  vento  si  disperdevano 
le  foglie  leggiere  sulle  quali  la  Sibilla  di 
Ouma  scriveva  i  suoi  oracoli.  Venturi  236  : 
«  Le  due  similitudini  compreso  in  quesf  ul^ 
tima  terzina  suggellano  il  concetto  della  spenta 
visione.  Ed  d  da  notare  che  mentre  la  prima, 
tratta  dalla  neve,  accenna  il  modo  della  spa- 
rizione che  si  fa  col  lento  perder  della  forma; 
la  seconda  mostra  il  dissolversi  compiuto  della 
visione  stessa,  come  le  foglie  al  vento  ».  — 
■1  disigilla:  perde  sua  forma,  disdoglion- 
dosi;  il  vb.  disigillarsi  è  composto  ^  sigUlars 
che  ha  in  sé  r  idea  di  dar  forma  a  una  cosa, 
cfr.  Piar,  vn  69,  xxm  109,  xnv  143.  —  66. 
la  sentenza  ecc.  gli  oracoli  della  Sibilla  cu- 
mana  scritti  suUe  lievi  foglie,  «  quaeoumque 
in  foliis  descripsit  carmina  virgo  >  (Virg.  £H. 
m  416).  —  67.  0  sonusu  eoe.  Conoscendosi 
incapace  di  rappresentare  la  sublime  visiono, 
Dante,  nell'atto  di  dar  fine  al  suo  poema, 
invoca  da  Dio  un  raggio  della  sua  luce  per 
dare  agli  uomini  avvenire  almeno  una  pal- 
lida Idea  di  dò  ch'egli  ha  veduto  in  cdolo 
(cfr.  Par»  I  22).  —  ehe  testo  ecc.  ohe  sei 
di  tanto  superiore  sd  ogni  umano  oonoepi- 


PARADISO  -  CANTO  XXXHI 


859 


dai  concetti  mortalli  alla  mia  mente 
69        ripresta  un  poco  di  quel  che  parevi, 
e  fa  la  lingua  mia  tanto  possente 
ch'una  favilla  sol  della  tua  gloria 
72        possa  lasciare  alla  futura  gente; 

che,  per  tornare  alquanto  a  mia  memoria 
e  per  sonare  un  poco  in  questi  versi, 
75        più.  si  conceperà  di  tua  vittoria. 
Io  credo,  per  l'acume  ch'io  soffersi 
del  vivo  raggio,  ch'io  sarei  smarrito, 
78        se  gli  occhi  miei  da  lui  fossero  aversi; 
e  mi  ricorda  ch'io  fui  più  ardito 
per  questo  a  sostener,  tanto  ch'io  giunsi 
81        l'aspetto  mio  col  valor  infinito. 
0  abbondante  grazia,  ond'io  presunsi 
ficcar  lo  viso  per  la  luce  etema 
84        tanto  che  la  veduta  vi  consunsi! 
Nel  suo  profondo  vidi  che  s'interna. 


mento.  —  68.  alla  mia  nenie  eoo.  risplendi 
ancora  alla  mia  mente,  conoedi  alla  mia  mente 
un  poco  di  quello  splendore  che  mi  moetra- 
eti  eoo.  È  manifesto  ohe  Danto  chiede  nn 
raggio  della  luce  divina,  perché  da  essa  sia 
avvivata  la  sua  parola  e  D&tta  capace  di 
esprimere  almeno  una  lontana  idea  del  beato 
regno;  e  però  erronea  ò  la  sposizione  del 
Lomb.  :  «  ridona  alla  mia  memoria  la  ricor- 
danza di  parte  delle  cose  manifestatemi  »  : 
né  il  T.  78  rende  necessaria  questa  spiega- 
zione,  poiché  il  ricordare  sarebbe  stato  ef- 
fetto della  luce  concessa.  —  71.  eh*  aaa  ecc. 
che  essa  possa  lasciare  descritta,  ad  ammae- 
stramento della  gente  futura,  una  favilla  sol 
della  tua  gloria^  un'infinitesima  parte  dello 
spettacolo  glorioso  apparsomi  nel  contemplar- 
ti. —  73.  théf  per  tornare  ecc.  perché,  se 
illuminato  da  un  raggio  della  tua  luce  io  po- 
trò ricordare  una  parte  dell»  cose  vedute  e 
in  qualche  modo  rappresentarle  in  questo  ul- 
timo canto  del  mio  pooma,  gli  uomini  potranno 
meglio  concepire  il  tuo  valore  e  la  tua  eccel- 
lenza, onde  tutte  le  cose  sono  vinte.  —  75. 
tva  vittoria  :  la  superiorità  di  Dio  rispetto 
a  tutte  lo  cose  create,  o  anche  il  trionfo  in 
cui  essa  era  apparsa.  —  76.  le  credo  ecc. 
Io  credo  che,  se  i  miei  occhi  sotto  l'azione 
del  raggio  divino,  che  io  tollerai,  si  fossero 
invece  rivolti  altrove,  non  l'avrei  più  tolle- 
rato. Dante  mette  implicitamente  in  rilievo 
la  differenza  tra  l'effetto  della  luce  divina  e 
l'effetto  delle  altre  luci  :  guardando  in  que- 
ste il  senso  resta  tanto  più  offeso,  quanto  es- 
so sono  più  vive,  si  che  distogliendo  da  esso 
lo  sguardo  questo  si  riposa  e  si  rafforza  per 
nuove  contemplazioni;  invece  chi  guarda  in 


Dio  sente  aocreecersi  la  capacità  di  mirarlo, 
si  che  se  rivolgesse  altrove  lo  sguardo  tale 
capacità  verrebbe  a  mancare,  né  egli  potrebbe 
più  riafflsarsi  in  luL  —  1*  Marne  del  vivo 
raggio  :  l' intensità  della  fùlgidissima  luco, 
che  usciva  da  Dio.  —  78.  da  Ini  foiMro 
aversi  :  si  fossero  rivolti  via  da  lui  ;  avem 
ò  participio  del  vb.  lat.  avertere,  —  79.  lo  fai 
ecc.  per  questo  (che  se  il  mio  sguardo  si  fosse 
rivolto  altrove  avrebbe  perduto  la  sua  capa- 
cità) io  mi  feci  più  ardito  a  durare  nella  con- 
templazione tanto  eh'  io  congiunsi  il  mio 
aspetto  con  il  valor  infinito,  la  mia  vista  oon 
l'essenza  divina.  Buti  :  e  Giascona  santa  ani- 
ma, che  contempla  Iddio,  adiunge  a  Dio,  se- 
condo la  sua  facultà  del  comprendere;  im- 
però che  ogni  cosa  ohe  cognosoe,  oognosoe 
secondo  la  sua  facultà,  e  non  secondo  la  fa- 
cultà deUa  cosa  cognosciuta;  e  però  Iddio, 
secondo  sé,  ò  incomprensibile;  ma  ciascuna 
mente  ne  cognosoe  tanto  quanto  può,  si  ch'ella 
rimane  contenta  >.  —  81.  l*aspetto  mio  :  la 
mia  vista;  cfr.  I\trg.  xxix  149,  Par,  xi  29,  xz 
131  eoe.  —  82.  0  abbondante  ecc.  0  copiosa 
grazia  divina,  in  cui  confidando  io  presi  ar- 
dire a  sprofondare  il  mio  sguardo  per  la  luce 
etema,  si  da  vedere  tutto  ciò  eh'  io  poteva 
percepirne.  —  presnaslt  corrisponde  al  fui 
ardito  del  r.  79;  e  l'una  e  l'altra  espressione 
ò  da  prendere  nel  senso  buono.  —  84.  la  to- 
data  ecc.  vidi  tutto  quello  ohe  potevo  ve- 
dere, esaurii  ogni  facoltà  di  contemplare  in 
quella  luce.  Non  rettamente  il  Land.,  seguito 
da  parocchi  moderni,  intese  questa  fhise  nel 
senso  di  consumare,  stancare  la  vista;  che 
sarebbe  contro  alla  sentenza  dei  w.  76-78. 
—  85.  Nel  sno  profondo  ecc.  Vidi  che  nella 


8G0 


DIVINA  COMMEDIA 


87 


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96 


99 


legato  con  amore  in  nn  volume, 
ciò  ohe  per  l'universo  si  squaderna; 

sustanzia  ed  accidenti,  e  lor  costume, 
quasi  conflati  insieme  per  tal  modo 
che  ciò  ch'io  dico  è  un  semplice  lume. 

La  forma  universal  di  questo  nodo 
credo  ch'io  vidi,  perché  più  di  largo, 
dicendo  questo,  mi  sento  ch'io  godo. 

Un  punto  solo  m'ò  maggior  letargo 
che  venticinque  secoli  alla  impresa, 
che  fé'  Nettuno  ammirar  l'ombra  d'Argo  : 

cosi  la  mente  mia,  tutta  sospesa, 
mirava  fissa,  immobile  ed  attenta, 
e  sempre  del  mirar  fiaccasi  accesa. 


pxofondità  delU  ìmm  etema  A  nooogUe  togato 
da  un  vincolo  d*  amoro  tatto  piò  che  trovasi 
spano  per  l' onivorso  :  dò  che  sussisto  per 
sé  e  dò  ohe  sassisto  aoddentalmente,  o  il 
modo  del  loro  operare,  erano  onltl  in  Dio; 
e  credo  ohe  vi  fosse  anche  la  forma  prima 
di  qaesto  vincolo  d'amore.  —  sMaterBa:  si 
trova  raccolto,  oonchioso  ;  né  vi  pad  essere, 
comò  credono  gli  antichi  oonunentotorì,  al- 
cuna idea  delle  operazioni  della  Trinità,  per- 
ché Danto  non  ha  anoora  contemplato  que- 
sto mistero  (cfr.  v.  115  e  seg.).  —  86.  legate 
ecc.  Bella  e  vigorosa  ò  Timagine  del  volu- 
me risaltante  dall'anione  dei  quaderni  dap- 
prima disciolti,  por  esprìmere  l'idea  di  Dio 
come  sintesi  di  tatte  le  cose  sparse  per  1'  u- 
niverso  creato:  cfr.  ftor.  xv  51.  —  88.  su- 
staasia  eco.  Secondo  la  terminologia  degli 
scolastioi  guatanxia  ò  tatto  dò  che  sassisto 
di  per  sé  e  accidente  dò  che  sussisto  in  di- 
pendenza da  un  soggetto  ;  e  il  eostumte  (lat. 
habitus)  ò  il  rapporto  ohe  passa  tra  due  tor- 
mini  o  la  proprietà  di  dascuno.  Dioe  Danto 
di  aver  visto  insieme  unite  in  Dio  tatto  le 
cose  sostanziali  ed  acddentali  con  le  loro  re- 
lazioni e  proprietà,  e  tatto  queste  cose  erano 
unito  con  vincolo  cosi  strotto  e  mirabile  che 
tiò  che  egli  ne  scrive  ò  una  pallida  imagine 
del  vero.  —  89.  qiasl  eenflati:  uniti,  oon- 
ftisi  ;  e  dice  quaei  per  mostrare  l' incertezza 
della  sua  rimembranza.  Il  concetto  che  in  Dio 
non  sieno  distìnti  sostanza  ed  acddento  ò 
esplicato  da  Tomm.  d'Aqu.,  Sutnm,  P.  I,  qu. 
m,  art.  6.  —  91.  La  forma  ooc.  Credo  d'aver 
veduto  nell'eterna  luce  l'essenza  divina,  che 
lega  in  on  tatto  le  cose  creato,  porche  nel 
dir  questo  io  mi  sento  dominato  da  una  più 
intonsa  beatitadine,  corrispondento  appunto 
alla  maggiore  divinità  di  dò  che  ho  veduto. 
—  94.  Vu  piate  eoo.  Questo  ò  uno  dei  passi 
più  oscuri  del  poema  di  Danto,  e  le  molto 
congetture  che  vi  d  sono  fatte  sopra  non 


hanno  certo  oontriboito  a  ohlarìrio.  L'inter- 
pretazione più  oomunemento  accettata  è  quella 
fondato  suU'ipotod  che  Danto  qui  abbia  vo- 
lato esprimere  con  la  parola  letargo  V  idea 
della  dimenticanza,  dell'obblio  in  cui  egli  era 
caduto  rieletto  alla  vidone  ;  e  allora  s' inten- 
derebbe press'  a  poco  cod  :  Un  solo  momento 
trascorso  dopo  dò  che  io  vidi  cagiona  in  me 
pid  profonda  dimenticanza  che  non  sia  quella 
sparsa  da  venticinque  secoli  sopra  l' impresa 
degli  Argonauti  :  ma  a  questo  interpretazio- 
ne d  oppone  la  terzina  sogoento  ove  Danto 
parla,  non  già  di  dimenticanza,  d  di  vivis- 
sima attondone  prestato  a  dò  che  gli  apparve 
della  divina  luce.  Altrimenti  è  da  spiegare 
la  voce  letargo^  la  quale  pud  significare,  non 
la  dimenticanza  in  genere,  ma  quella  che  ac- 
compagna le  ammiraiioni  più  profonde  ;  per- 
ché quando  1*  uomo  d  raccese  in  una  straor- 
dinaria ammirazione,  ò  come  in  uno  stato  di 
letargo,  rispetto  a  dò  ohe  non  ò  la  cagione 
della  sua  meraviglia.  Posto  ciò,  d  può  in- 
tendere la  terrina  cod  :  Un  momento  di  quella 
oontompladone  suscito  in  me  una  anunira- 
done  pid  grande  che  non  fosse  quella  che  in 
venticinque  secoli  gli  uomini  tributarono  al- 
l' impresa  degli  Argonauti.  Una  vaga  idea  di 
questo  intorpretadone  sembra  esser  balenato 
agli  antichi  commentatori.  Lana  e  OtL;  ma 
primo  a  ragionarla  ta.  lo  Scart  ^  95.  all'iai- 
presa  ecc.  all'  impresa  dsgli  Argonauti  (cfr. 
Inf,  xvm  86,  Par.  n  16),  per  la  quale  Ui 
messa  in  mare  la  prima  nave,  Argo,  la  cui 
ombra  fece  meravigliare  Nettuno  :  1*  impresa 
degli  Argonauti,  secondo  la  cronologia  ao- 
cettoto  nd  medioevo,  d  riferiva  al  1223  a. 
C,  venticinque  secoli  prima  dd  tempo  di 
Danto.  —  97.  cesi  eco.  in  tal  modo,  doò 
piena  cod  di  ammiradone,  la  mia  mento  fissa, 
immobile  ed  attento  rignardava  nella  teos 
etemaf  e  riguardando  cresceva  in  essa  l'ar- 
dore della  contempladone  :  spiega,  in  certo 


PARADISO  -  CANTO  XXXIII 


861 


A  quella  luce  coiai  si  direnta 
che  volgersi  da  lei  per  altro  aspetto 
102        è  impossìbil  che  mai  si  consenta; 

però  che  il  ben,  eh' è  del  volere  obbietto, 
tutto  s'accoglie  in  lei,  e  fuor  di  quella 

105  è  difettivo  ciò  che  li  è  perfetto. 
Ornai  sarà  più  corta  mia  favella, 

pure  a  quel  ch'io  ricordo,  che  di  un  fiinte 

106  che  bagni  ancor  la  lingua  alla  mammella. 
Non  perché  più  eh' un  semplice  sembiante 

fosse  nel  vivo  lume  ch'io  mirava, 
IH        che  tal  è  sempre  qual  era  davante; 
ma  per  la  vista  che  s'avvalorava 
in  me,  guardando,  una  sola  parvenza, 
114        mutandom'io,  a  me  si  travagliava. 
Nella  profonda  e  chiara  sussistenza 


modo,  dò  che  ha  dotto  ooourunente  oon  la 
similitadiiio  ohe  preoede.  —  100.  À  f  nella 
laee  ecc.  Chi  contempla  quella  luce  direnta 
coe£  beato  che  non  può  Tolgeisi  pi6  ad  al- 
cun altro  aspetto;  perché  il  bene,  ohe  d  og- 
getto della  Tolonià,  è  tatto  raooolto  in  quella 
looe,  e  tatto  il  bene,  che  ivi  d,  è  perfetto, 
mentre  all'  infiori  di  essa  è  difettÌTO.  Dante 
mette  in  reni,  oon  mirabile  rapidità,  la  dot- 
trina di  Tomm.  d'Aqa.,  Svmm,  P.  I  2^,  qa. 
y,  art  4  :.  «  Perfecta  beatitado  homìnis  in  vi- 
sione divinae  essentiae  consistit.  Est  aatem 
impossibile  qaod  aliqois  yidens  dìyinam  es- 
sentiam  yelit  eam  non  yìdero,  qoia  omne  bo- 
nam  habitom,  quo  aliqois  cerere  ynlt,  aat  est 
insafflclens,  et  qaaeritor  aliqnid  safflcientias 
loco  eios,  aat  habet  allqaod  incoio modam  an- 
nexam,  propter  qaod  in  fastidiam  yenit.  Vi- 
sio aatem  diyinae  essentiae  replet  anìmam 
omnibas  bonis,  cam  coninngat  fonti  totias 
bonitatis...  Similiter  etiam  non  habet  allqnod 
incommodam  adionctom...  Ergo  patet  qaod 
propria  yolantate  beatos  non  potest  beatita- 
dinem  deserere».  —  108.  fero  eco.  perché  n 
bene,  che  d  obbietto  eoi  si  yolge  l'amana 
yolontì^  si  raccoglie  tatto  in  Dìo,  nel  qaale 
ò  perfezione  di  bene,  come  faor  di  lai  ò  im- 
plosione :  il  bene  ohe  d  fuori  della  divinità 
ò  imperfetto,  e  perft  fidiaco  e  manchevole. 
Si  cfir.  Bit.  v  1-13.  —  105.  If  :  in  lei,  nella 
lace  divina.  —  106.  Ornai  ecc.  Ormai  la  mia 
faveOa,  rispetto  non  a  qaello  eh'  io  vidi,  ma 
solamente  a  qaello  che  ricordo  delle  cose  ve- 
date,  sarà  più  imperfetta  della  favella  di  nn 
bambino  anoora  lattante.  Dante  dopo  la  vi- 
none della  essenza  divina  ebbe  qnoUa  dei 
misteri  della  Trinità  e  dell'  Incarnazione  ;  ma 
delle  mirabili  cose  vedate  non  ricorda  se  non 
una  minima  parte  :  e  pare  a  rappresentare 
questa  minima  parte  ei  sente  che  la  saalin- 


gna  ò  pi6  incapace  che  la  lingaa  di  an  fto- 
ciallo  lattante.  —  corta  :  imperfetta,  e  per- 
ciò insnfflciente  ;  cfr.  Par.  xi  68.  —  107.  pare 
a  f  nel  ecc.  e  non  tanto  a  dir  qaello  eh'  io 
vidi,  ma  solamente  a  dir  qaello  che  io  ricordo. 

—  di  ■■  fante  eoe  di  nn  bambino  (cfr.  fan- 
tino  in  Patr.  zxx  82  e  fatUe^  forse  in  qaesto 
senso,  in  Purg.  n  66)  che  ancora  prenda  il 
latte  materno;  cfir.  Stazio,  Tèb.  nr  790,  di 
Ofelte  :  €  Teneris  meditans  verba  iUactantia 
labris  ».  —  109.  Non  perche  ecc.  Prima  di 
dire  come  ei  vide  nell'eterna  luce  le  tre  per- 
sone della  Trinità,  Dante  previeno  l'obbie- 
zione che  si  sarebbe  potato  fargli  circa  la  va- 
rietà delle  imagini  sotto  cai  ritrae  la  divi- 
nità: come  mai  prima  d'ora  ha  veduto  noUa 
etema  loco  determinati  aspetti  e  non  gli  al- 
tri ohe  adesso  accennerà,  se  la  divinità  d  sem- 
plice e  immutabile?  Risponde  adunque  che 
non  por  varietà  di  aspetti  che  fossero  in  Dio, 
ma  perché  il  suo  sguardo  nel  contemplarlo 
si  faceva  sempre  piò  forte,  quell'  unico  sem- 
biante gli  appariva  tramutato  secondo  che  egli 
lo  guardava  con  vista  diversamente  potento. 

—  pld  ch'in  semplice  ecc.  piti  di  un  solo 
aspetto,  diversi  aspetti.  —  111.  che  tal  è  eco. 
ohe  d  sempre  quel  che  era  prima,  è  immu- 
tabile; cfr.  Piar,  uax  145.  —  112.  ma  per 
ecc.  ma  perché  la  mia  vista  attingeva  no- 
vello valore  contemplando  il  lume  divino, 
questo  che  pur  aveva  un  unico  aspetto  si  tra- 
mutava a^i  occhi  miei,  assumeva  aspetti  di- 
versi, via  vìa  che  si  mutava  la  mia  vista.  — 
114.  si  traTagliava  :  €  si  mutava,  quanto  al 
cospetto  mio  ;  ma  non  quanto  all'  essere  suo, 
che  ò  sempre  immutabile  »  ;  cosi  il  Buti,  la 
chiosa  del  quale  ha  importanza  perché  ci  at- 
testa del  significato  preciso  che  ha  qui  il  vb. 
travagliarai^  affine  ai  sensi  che  ha  conservato 
nella  lingua  periata.  —  115.  Nella  profonda 


862 


DIVINA  COMMEDIA 


dell'alto  lume  parvenu  tre  giri 
117        di  tre  colori  e  d'una  continenza; 
e  l'un  dall'altro,  come  Iri  da  In, 
parea  riflesso,  e  il  terzo  parea  foco 
120        che  quinci  e  quindi  egualmente  si  spii-i. 
0  quanto  è  corto  il  dire,  e  come  fioco 
al  mio  concetto!  e  questo,  a  quel  ch'io  vidi, 
123       è  tanto  che  non  basta  a  dicer  poco. 
0  luce  etema,  che  sola  in  te  sidi, 
sola  t'intendi,  e,  da  te  intelletta 
126        ed  intendente  te,  ami  ed  arridi! 
Quella  circulazion,  che  si  concetta 


eoe  NeOa  profonda  e  chiara  essenza  divina 
mi  apparrero  tre  oeroht  di  tre  direni  colori 
e  deUa  medesima  dimensione;  •  il  secondo 
parea  xiileeso  dal  primo,  e  il  terzo  parea  di 
Tira  iiamma.  Qoesti  tre  giri  sono  ima^e 
delle  tre  persone  della  Trinità  :  i  tre  eolori 
n^presentano  i  loro  attribati  (cCr.  jRsr.  x  1); 
la  eonUnmxa  ima  significa  la  loro  perfètta 
parità  ;  il  raggio  riflettente  è  la  potenza  del 
Padre,  il  raggio  riflesso  ò  la  sapienza  del  Fi- 
glio, e  il  raggio  fiammeggiante  la  yirt6  dello 
Spirito  Santo,  che  d  l'amore  procedente  dal- 
l'ano  e  dall'altro.  —  116.  parremi:  notano 
alcuni  commentatori  che  qni  il  sing.  sia  usato 
in  Inogo  del  piar,  per  adombrare  l' anità  del- 
l'essenza nelle  tre  persone  dirine;  ma  forse 
Dante  non  ebbe  questa  intenzione.  —  117. 
eOBtiaessa;  contenenza, dimensione;  che  per 
un  cerchio  è  poi  la  circonferenza.  —  118. 
eoflie  Iri  ecc.  Dall'arcobaleno  trae  il  poeta 
una  similitudine  assai  Tira  per  esprimere 
r  idea  che  il  lume  del  Figlio  procede  dal 
lame  del  Padre,  come  in  quel  fenomeno  fisico 
la  duplice  irradiazione  luminosa  arnene  nel- 
l'aere piovoso  €  per  r  altrui  raggio  che  in  sé  si 
riflette  >  {Purg.  zxvi  92).  —  119.  parea  ecc. 
sembrava  un  fuoco  egualmente  mosso  da  ogni 
parte;  ma  quineì  «  quindi  si  riferiscono  al- 
l'uno e  all'ottn)  giro,  perché  da  essi  prooer 
deva  il  terzo  :  il  Padre  e  il  Figlio  sono  un 
Bolo  principio  dello  Spirito  Santo,  «  l' amore 
che  r  uno  e  l'altro  eternamente  spira  >  {Piar. 
X  1-2).  —  121.  0  fumato  ecc.  Qaanto  ò  im- 
perfetta la  parola  umana,  quanto  inefficace 
a  rendere  il  mio  concetto  I  e  si  che  questo 
concetto,  al  paragone  di  ciò  ch'io  vidi,  ò  cosi 
piccola  cosa  che  non  basta  dir  che  ò  poca, 
ma  bisognerebbe  dire  che  ò  nulla.  Queste  ri- 
petute dichiarazioni  della  insufficienza  della 
parola  umana  a  significare  gli  ineflabili  mi- 
steri divini  sono  finissimo  artifizio  non  tanto 
a  scusar  l'arte  del  poeta,  cho  non  ha  bisogno 
di  dò,  ma  a  imprimere  nell'animo  del  lettore, 
insieme  con  l'idea  della  sua  piccolezza,  il 
sentimento  di  venerazione  e  di  amore  per  l'im- 


mensità della  essenza  divina.  —  12S.  tanto  t 
oosf  piccola  parte  (cfr.  Inf.  iv  99)  della  vi- 
sione che  a  indicarla  non  basta  dir  poca,  ma 
si  dovrebbe  dir  nulla.  —  124.  O  Uee  ecc.  0 
luce  etema  dell'  essenza  trina  e  una,  la  quale 
sola  in  te  stai,  sola  f  intendi,  e,  mentre  nella 
persona  del  Padre  intendi  te  stessa  e  nella 
persona  del  Figlio  sei  da  te  stessa  intosa, 
sorridi  d'amore  nella  persona  dello  Spirito 
Santo.  Dante  oon  questa  tenina  ha  voluto 
celebrare  l' unità  dell'essenza  divina  e  nello 
stesso  tempo  illustrarne  la  trinità  ;  e  perd, 
dopo  aver  detto  ohe  l' eterna  luce  d  compresa 
in  sé  stessa  e  da  sé  stessa  s' intende,  esplica 
il  concetto  aggiungendo  che  intende,  ò  in- 
tesa, e  ama.  ^  sldi  i  riposi,  stai  ;  lat.  sidsn. 
—  126.  da  te  intelletta  eoe  la  persona  del 
Figlio  intesa  dal  Padre  ;  inisndenU  te,  la  per- 
sona del  Padre  che  intende  il  Figlio  ;  cfr. 
Matteo  XI  27  :  «  Ninno  conosce  il  figliuolo, 
se  non  il  Padre:  parimente,  ninno  conosce 
U  Padre,  se  non  il  Figliuolo  >.  —  126.  ami 
ed  arridi  :  ami  e  sorridi  alla  luce  initUetia 
e  tm*  intendente 't  perché  lo  Spirito  Santo  pro- 
cede dal  Padre  e  dal  Figliuolo.  —  127.  Qaella 
ecc.  Passa  ora  il  poeta  a  descrivere  il  mi- 
stero dell'  Incarnazione  ossia  delle  due  nature 
in  Cristo,  del  quale  già  altre  volte  ha  trat- 
tato nel  suo  poema  (Par,  n  40  e  segg.,  xm 
26  e  segg.,  xxxi  121  e  segg.);  e  continuando 
il  suo  discorso  rivolto  alla  luce  etema  dice: 
Contemplata  alquanto  dagli  occhi  miei^itfUa 
cirouìaaUon,  quello  doi  tre  giri  die  pareva 
essere  formato  in  te  come  un  lume  rifiesso, 
il  secondo  dd  tre  giri,  mi  apparve  dipinto, 
senz'  alcuna  variazione  di  colore,  dell'umana 
effigie.  È  il  mistero  dell'  Incarnazione  che  nel 
prendere  forma  sensibile  agli  occhi  dd  poeta 
conserva  intatta  la  sua  impenetrabilità,  per- 
ché nell'atto  stesso  di  descriverlo  Dante  ha 
saputo  atteggiarlo  in  modo  inconcepibile, 
qualo  ò  l'idea  di  una  figura  dipinta  dd  co- 
lore stesso  del  fondo  su  cui  appare.  —  dM 
ni  «oaeetta  ecc.  che  d  svolgeva  in  te  rifiscBa 
come  Iri  da  Iri  (v.  118)  :  è  il  cerchio  risp^i- 


PARADISO  —  CANTO  XXXIH 


863 


pareva  in  te,  come  limie  riflesso, 
129        dagli  occhi  miei  alquanto  circonspettai 
dentro  da  sé  del  suo  colore  stesso 
mi  parve  pinta  della  nostra  effige, 
132       per  che  il  mio  viso  in  lei  tutto  era  messo. 
Qual  è  '1  geometra  che  tutto  s'affige 
per  misurar  lo  cerchio,  e  non  ritrova, 
135       pensando,  quel  principio  ond'egli  indige; 
tale  era  io  a  quella  vista  nuova: 
veder  voleva,  come  si  convenne 
138       l'imago  al  cerchio  e  come  vi  s' indova, 
ma  non  eran  da  ciò  le  proprie  penne; 
se  non  che  la  mia  mente  fu  percossa 
141        da  un  fulgore,  in  che  sua  voglia  venne. 
All'alta  fantasia  qui  mancò  possa; 
ma  già  volgeva  il  mio  disiro  e  il  vdhj 


dente  alUt  penona  del  Figlio.  — 128.  U  tei 
il  dìeoono  d  livolto  sempre  alla  luce  eterna 
(ofr.  T.  124)  ;  però  ò  da  accettare  la  lezione 
più  comime,  abbandonando  quella  del  Witte 
(m  iti),  oìie  non  ai  accorda  col  oontetto  ed 
ò  di  pochi  codiot  —  129.  da«U  ecelii  eoe 
dopo  che  tn.  alquanto  contemplata  da  me  ecc. 
Si  ricordi  che  la  ■accessione  dei  yart  aspetti 
della  divina  essenza  d  dipendente  dal  pro- 
gressivo fortificarsi  della  vista  di  Dante  per 
mezzo  della  contemplazione  (cfr.  t.  109  e 
segg.).  —  180.  dentro  da  té  ecc.  nell'  in- 
temo del  droolo  apparve  la  sembianza  umana. 
Venturi  164:  «La  forma  umana  era  nella 
medesima  persona  divina;  cioò  la  stessa  per- 
sona del  Verbo  sussisteva  neUe  due  sue  pro- 
prie nature,  divina  e  umana:  ohe,  conforme 
iittogna  la  Cliiesa,  id  quod  /uU  p&rmansUf  et 
quod  non  erat,  euwmpaU  >.  —  1S2.  per  che 
eoe.  per  la  quale  apparizione  il  mio  sguardo 
si  affisò  tutto  in  quella  umana  sembianza 

—  133.  Q«al  ecc.  Quale  ò  il  geometra  che 
con  tutto  le  forze  dell'  ingegno  si  raccoglie 
nella  ricerca  della  quadratura  del  circolo,  e 
per  quanto  mediti  non  riesce  a  trovare  il 
principio  del  quale  ha  bisogno  ecc.  Per  rap- 
presentare il  suo  stato  innanzi  al  mistero 
dell'Incarnazione,  Dante  trae  una  similitu- 
dine dalla  condizione  intellettuale  del  geo- 
metra affaticato  per  un  problema  insolubilo, 
la  quadratura  del  circolo,  che  ò  impossibile 
a  determinare  perchó  non  si  può  conoscerò 
il  preciso  rapporto  tra  il  diametro  e  la  cir- 
conferenza, n  problema  era  stato  il  tormento 
dei  matematici  antichi,  ma  Dante,  non  pur 
qui,  riteneva  giustamente  che  fosse  impossi- 
bile il  risolverlo  {Man,  m  8,  Conv.  ii  14).  — 
i'ftfflge:  s'affiggo  con  la  mente,  si  raccoglie. 

—  185.  t«el  principio  eco.  il  termine  ne- 


cetsario  per  determinare  il  quadrato  del  di* 
colo,  cesia  il  rapporto  tra  il  diametro  e  la 
circonferenza,  ohe  non  pud  essere  se  non  i^ 
proesimativo.  ->  186.  tale  eoo.  tale  era  io  cer- 
cando di  comprendere  come  al  Verbo  divino 
si  convenne  l'umana  natura.  —  187.  veder 
eco.  avrei  voluto  oomprendere  in  qual  modo 
1*  um^uia  sembianza  à  uni  al  cerchio  di- 
vino e  come  nel  divino  avesse  luogo  l' umano  ; 
ma  la  mente  umana  non  può  salire  a  tanta 
cognizione.  —  188.  ■' Inde  va:  il  vb.  indo- 
varsif  formato  sull'aw.  dove  (usato  sostanti- 
vamente per  luogOf  ofr.  Par.  m  88,  xn  80 
ecc.),  significa  trovar  il  suo  dove,  trova 
luogo,  collocarsi:  cfr.  Parodi,  BulL  m  189.  — 
139.  ma  non  ecc.  ma  le  mie  facoltà  intellet- 
tive non  erano  per  sé  stesse  capaci  di  pene- 
trare il  mistero  incomprensibile;  quando  la 
mia  mente  fa  colpita  da  una  nuova  appari- 
li one  luminosa,  nella  quale  ebbe  la  cogni- 
zione di  quel  mistero.  Questo  falgore  che  so- 
pragiunge mentre  Dante  é.  sforza  di  compren- 
dere il  mistero  dell'  Incarnazione  è  il  termine 
piò  alto  cui  egli  assorge  nella  contempla- 
zione dell'  essenza  divina  :  la  sua  mente  ò 
salita  ormai  a  tanta  sublimità  ohe  nulla  può 
vedere  di  più  alto,  e  perdo  la  visione  cessa, 
essendo  adesso  il  desiderio  e  la  volontà  dol 
poeta  conformi  a  Dio;  e  in  questa  conformità 
ò  la  beatìtadine.  —  141.  un  fklgore  ecc. 
l'ultimo  raggio  della  grazia,  che  con  la  co- 
gnizione del  mistero  porta  a  Dante  l' ultima 
perfezione  della  boatitadine.  —  142.  All'alt» 
eoo.  A  questo  punto  cessò  la  mia  visione,  es- 
sendo compiuto,  col  tempo  assegnatomi  (ofr. 
Par,  xxxii  130),  anche  il  fine  del  mio  viag- 
gio per  i  regni  etemi  ;  dopo  il  quale  il  mio 
spirito  purificato  si  trovò  in  una  piena  con- 
formità con  Dio.  —  143.  wèm  già  eoo.  ma  già 


864  DIVINA  COMMEDIA 

si  come  rota  di' egualmente  ò  mossa, 
145    l'amor  che  more  il  sole  e  l'altre  stelle. 

il  mio  linnoyamento  ipiiitaala  or»  oomphito  l'Mitr  ék»  ■•?•  s  eoo.  Dio,  nprano  notor» 

perohó  il  mio  desiderio  •  U  mia  Tdontà  di  tutte  le  cose;  da  Ini  oominoift,  con  Ini  ti. 

erano  mossi  in  pieiii«ima  annonia  da  Dio.  coBÒhinde  la  tscn  oantioa  del  sacro  poema 

—  TeUe:  cfir.  Par.  it  95.  —  14A.  É[  eoMe  olie  è  eoa»  1* lane  deUa  unanità  oredmte 

eoo.  oome  raota  ohe  ubbidendo  aU*  impulso  al  suo  orsatore.  —  stelle  s  efr.  £if.  xznv 

rioemto  si  mnoye  di  moto  nnifozme.  —  145.  188. 


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