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LA DIVINA COxMMEDIA DI DANTE
ALIGHIERI ¥¥¥¥¥^¥*^
LA DIVINA COMMEDIA
DI DANTE ALIGHIERI
CON IL COMMENTO DI TOMMASO
CASINI ^ QUINTA EDIZIONE ACCRE-
SCIUTA E CORRETTA ^
(NUOVA TIRATURA)
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In Firenze, G. C. Sansoni, Editore - 1907
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PROPBIBTÀ LETTBRABU
Firanz* — Tip. G. Cunencohi • figli, Fìazz* Mentana
ALLE DILETTE FIGLIUOLE
BICE E MATELDA
DEDICO t^UESTO COMMENTO DANTESCO
MIA LIETA FATICA NEQLI ANNI DELLA LORO INFANZIA
PERCHÉ SIA SEMPRE PER ESSE
RICORDO CARO DEL PADRE E DOCUMENTO DI VITA VIRTUOSA
XX ■ETTEMSRE KDCCCXCtL
T- a
ti
I
PREFAZIONE
Allorquando, nel 1892, cinque anni dopo la prima ap-
parizione del mio commento dantesco, io ne procurai una
nuova edizione riveduta e corretta, che era la terza, pre*
misi al libro queste parole:
« 81 presenta per la tersa volta agli ttndiosi di Dante, ai maestri
e diaoepoli delle scuole italiane il poema sacro, aooompagnato dal
mio commento; il quale, uscendo dal Manuale di letteraktra UaiUana
per entrare nella BxbUoteea scolastica di ckusid italiani^ non ha oam*
biato di intenti né di forma. Esso è rimasto, salvo alcuni pochi ri*
tocchi, quello che era daj^xima; né già perché dagli studi di questi
ultimi anni non fossero consigUati qua e là mutamenti ed emenda-
doni, massime nella illustrazione storica e nella critica del testo,
ma perché mi parve opportuno di indugiare ancora qualche tempo,
prima di mettermi a ri£ure tutto il lavoro del commento : indugile,
doè, sino a quando sieno tolte di mezzo per altre indagini e ossero
vazioni le difficoltà principali che restano da superare per costituire
criticamente la lesione del poema, per dichiarare il senso di non pochi
luoghi controversi, per accertare sui documenti i nomi e 1 £fttti di
molti personaggi ricordati dal poeta. La Società dantesca italiana,
fondata nel 1888, per gl'intendimenti suoi e per i criteri ohe ne go*
vernano l'opera già chiaritasi a più segni feconda e degna, rappre-
senta l'inizio di un nuovo periodo negli studi sulla vita e sulle opere
dell'Alighieri; e quando ootesta opera, che saviamente si ò ristretta
a coordinare con l'uniformità del metodo il lavoro delle forse indi-^
vidnali al conseguimento di un fine comune, ai sarà esplicata con
quella maggiore larghezza che non può essere raggiunta in brevis*
Simo tempo, sarà opportuno che per mezzo dei commenti destinati alle
scuole passino nel dominio della comune cultura i resultati più certi
delle nuove indagini erudite, dottrinali e filologiche sul poema sacro*
Augurando agli studi danteschi italiani fortuna proporzi<mata all'ar*
Vìtt ì>ItEPA2lONÉ
dorè presente, sarò ben lieto se l' incremento di essi mi obbligherà
presto a rifar per intero il mio lavoro, che non intende se non a
esporre in modo sommario e fedele la esegesi e la critica moderna
del poema di Dante. Intanto anche in questa, come nelle precedenti
impressioni, mi sono ingegnato di £qt tesoro, non por delle osserva-
zioni di cui in privato mi furono cortesi alcuni benevoli miei, si an-
che di tutto ciò che mi parve opportuno ritrarre dalle innumerevoli
pubblicazioni dantesche di questi ultimi anni; ma né per l'una via
né per l'altra ebbi motivo di modificare sostanzialmente il commento
primitivo.
< Venuto ultimo ad Aggiungermi alla numerosa schiera dei com-
mentatori della Commedia, io non ho avuto ambizione o presunzione
di fare operai come oggi dicesi, originale : né solo perché lo spigar
lìante, come qualunque altro autorò, in modo nuovo sarebbe, alPin-
fuori,d^i luoghi controversi, impresa disperata; ma perché il mio
intendimento, modestissimo, è stato, quello di sostituire nelle scuole
nostre i commenti un po' invecchiati del Costa, del Fraticelli, del
Bianchi e dell' Andreoli con una esposizione che tenesse conto, più
che quelli non fecero (né potevano perché mancava per gran parte
la materia), dell'esegesi antaca assommata nei commenti del Lana,
dell'Ottimo, del Eambaldi, del Buti e del Landino, e degli studi sto-
rici, filologici e filosofici ohe all'illustrazione del poema sacro dettero
gli eruditi italiani e stranieri negli ultimi trent'anni. Posti questi
confini all' opera mia, era naturale, e direi doveroso, oh' io vi deri-
vassi dàlie fonti antiche e moderne tutto ciò che paresse essenziale
alla pièna e sicura intelligenza di Dante; senza preoccuparmi di ri-
oercare e di avvertire chi avesse^ ad esempio, notato per primo in
un passo dantesco la imitazione di una similitudine virgiliana o la
rispondenza con una frase biblica o la conformità con una dottrina
tomistica; senza fermarmi a indagare chi al ricordo di tm personaggio
o di un £Bitto avesse per la prima volta richiamato le testimonianze
dei poeti, dei cronisti, degli storici, onde traeva luce l'accenno del-
l'AlighierL Sarebbe stata pedanteria vana e soverchia fatica, da poi
che si riconosce universalmente ad ogni commentatore il diritto di
valersi dell'opera dei suoi predecessori ; i quali è da Credere abbiano
lavorato, non già per l'ambizione di apparire dottissimi, ma per con-
tribuire ieilla spiegazione dell' opera commentata ; e di aver evitato co-
tale pedantesca erudizione mi saranno grati i lettori, senza che se ne
offendano i critici più rigidL Con questo non voglio dire di aver messo
insieme il mio commento con le forbici : tutt'altroi Anzi tutto la di-
chiarazione dei sensi letterali, negli innumerevoli passi di sicura in-
terpretazione, ho data per lo più in forma nuova, che mi sozko stu-
diato di rendere breve e perspicua quanto più ho potuto, perché le
PREFAZIONE ix
troppe chiacolnere annebbiano, non che illustrinoi PintellìgcoiKa del
testo; e qxiando mi ò parso più opportuno riferire le spiegazioni di
altri con le lor proprie parole (il che ho fatto di preferenza coi com-
mentatori antichi, perché il colorito del loro linguaggio meglio con-
suona in molti casi con la sentenza dantesca), sono stinto scrupolo-
sissimo, accennando sempre la provenienza e con le virgolette indi-
cando i limiti della citazione. Poi, allorché le interpretazioni comuni
non mi pareTano sodisfacenti, non . sono passato oltre, saltando le
difficoltà o girandole; ma ho cercato di superarle con interpretazioni
nuove, alle quali la critica serena e spassionata darà il valore che
hanno, molto o poco che sia, e delle quali non ho latto pompa met-
tendone in rilievo la novità, appunto perché è un dovere di coscen-
zioso commentatore non arrestarsi innanzi ai nodi, ma ingegnarsi a
dìsgropparli si che il senso apparisca piano ed agevole ai lettori che
lo eleggano i>er guida. Nei casi poi in cui é ancor troppo dubbia la
spiegazione, mi sono adoperato a ritessere brevemente, ma esatta-
mente, la storia delle varie interpretazioni, presentando, senza giu-
dicarle, quelle che più hanno di probabilità o più importa conoscere
per farci la strada a intendere in modo ragionevole il passo dantesco.
Largheggiando nelle citazioni al fine di illustrare nel rispetto sto-
rico, dottrinale e letterario la parola di Dante, che è imagine del me-
dioevo tmiversale, ho cercato di assommare nel mio commento il
meglio delle erudizioni sparse nei commenti precedenti ; ma sono
infinite le giunte che ho ricavate da fonti svariatissime, come potrà
aver notato chi abbia avuto voglia e tempo di paragonare il mio la-
Toro con quelli di altri moderni commentatori della Commedia,
Di guisa ohe posso affermare di non essermi sempre ristretto all'espo-
sizione di cose già dette, ma di essermi volto, dove era consentito
dall'indole del passo, a indagini ulteriori e spesso non infeconde.
< Lungamente dubbioso fui, sino da quando mi misi a questo la*
Toro, sulla scelta del testo; pur dopo matura rifessione mi parve
ehe nello stato presente degli studi danteschi fosse da accegliere, a
preferenza di ogni altro, quello di Carlo Witte ; la cui edizione ber-
linese del 1862 fu il prime tentativo veramente metodico e razionale
per costituire un testo critico del poema. Ho adimque seguito co-
stantemente la lezione di questa stampa ; salvo che in alcuni pochi
luoghi, indicati quasi tutti nelle mie note, me ne sono scostato per
ritornare a quella della vulgata moderna, rappresentata dalla edi-
Àone che procurarono gli Accademici della Crusca nel 1837, o per
aecogliere i risultati più certi degli studi recentissimi che sul testo
della Commedia ha fatti con lode universale Eduardo Moore. Cosi
credo di avere, anche per ciò che riguarda la lezione del poema, ser-
bato fede al concetto fondamentale del mio lavoro, che fu dì rappre-
PREFAZIONE
sentare 9A lettori lo stato attuale degli studi danteschi; se non che,
per il fine particolare di questo libro ohe si rivolge specialmente ai
maestri e discepoli delle scuole secondarie, ho dovuto allontanarmi
dal Witte nella punteggiatura, riordinandola secondo la pratica più
comunemente osservata in Italia e cercando che per essa fosse co-
stantemente agevolata l'intelligenza del poema.
« Dando queste cure alla OomfMéia di Dante Alighieri, che nelle
scuole della nuova Italia ò posta come fondamento ali* istituaione
letteraria e all'educasione morale e civile, non ho avuto di mira se
non il b«ae della nostra gioventù; e alla gioventù raccomando l'opera
mia, che, nata nella scuola, mi ò cara come il miglior ricordo degli
anni spesi nell' insegnamento ».
Nel 1895, quando l' inoremento degli studi sul poema
dell'Alighieri promosso specialmente dalla Società dantesca
italiana aveva già incominciato a mostrarsi fecondo di ma-
gnifici £rutti, ebbi a curare una nuova ristampa del mio
commento; alla quale mandai innanzi questo breve avver-
timento :
Nulla ho da aggiungere, innanzi a questa quarta edizione, a ciò
che dissi nella prefìkzione òhe precede, la quale fa scritta quasi tre
anni or sono per la terza; se non che non mi ò parso ancora giunto
il momento di € rifare per intero il mio lavoro », il quale risponde
tuttavia al suo fine principale di « esporre in modo sommario e fe-
dele la esegesi e la critica moderna del poema di Dante ». Ciò non
vuol dire che questa nuova impressione sia una materiale ripetizione
della precedente ; che anzi mi sono studiato di derivare per essa nel
commento non pochi risultati certi delle più recenti indagini, special-
mente storiche, intorno al poema di Dante e di emendare inesattezze
eh' io vidi da me o mi furono additate in privato 0 per istampa da
benevoli amici: tra i quali ringrazio in particolar modo, anche per
aver f&tto tesoro dei loro consigli, i professori F. Torraca, G. A. Yen-
turi, U. Cosmo, P. De Nolhac, autori di pregevoli recensioni del mio
lavoro. Quanto al testo, una nuova e più accurata revisione mi ha
permesso di ripulirlo d'alcune mende tipografiche, di ritoccarne qua
e là l'interpunzione, e in alcun luogo anche di restituirlo alla mi-
glior lezione, quando mi apparve tale specialmente per gli studi di
E. Moore, che recentemente ha dato fuori una bella edizione di tutte
le opere dantesche. Da ultimo non voglio chiudere questo avverti-
mento senza ringraziare anche i maestri italiani, che al mio com-
mento fecero e fanno si buona accoglienza da compensarmi di ogni
fastidio venutomi, a cagion di esso, dalla tristizia degli invidiosL
PBEFAZIONE XX
La buona aeoogliensai della quale allora io mi Cinupia-
oeva, seguitò per tutti gU anxii clie vennero di poi, tanto
che della quarta edizione del commento si vennero facendo,
dopo il 1896, parecdiie altre impressioni, clie fiirono ma-
teriali ripetizioni di quella, salvo qua e là alcuna minima
emendazione che fu possibile introdurre nelle tavole ste«
reotìpe. Ma la continuità del £Eivore dato all'opera mia mi
fece sentir smnpre più il dovere che mi incombeva di ve-
nirla rinnovando in modo che, non pure gli studiosi, si an-
che i maestri e i discepoli delle scuole italiane potessero
trovar rispecchiato in essa il miglior frutto delle indagini
che frattanto sì facevano intomo al testo della Commedia,
alla interpretazione generale e particolare di esso, alla cro-
nologia, alle fonti e alla lingua del poema e alla sua illu-
strazione storica e dottrinale. Questo lavoro, per me dilet-
tevole almeno quanto era doveroso, ho compiuto non senza
difficoltà, p^ l'abbondanza grandissima degH scritti con-
sacrati nell'ultimo decennio all'opera maggiore dell'Ali-
ghieri: abbondanza la quale, debbo dirlo francamente, se
mi ha costretto a larghe e faticose letture e meditazioni,
non mi ha poi costretto a introdurre sostanziali mutamenti
nel mio commento, che nelle sue lìnee generali ho potuto
e dovuto mantenere quale era nella primitiva redazione.
Oià ho accennato i punti intorno ai quali più larga-
mente si è svolta in questi ultimi anni l'operosità indaga-
trice degli studiosi di Dante; e or mi resta da dire sola-
mente quali sono stati i sussidi più efficaci, di cui con più
d'utilità mi sono valso per il rifacimento dell'opera mia,
e insieme entro quali limiti io l'abbia contenuto. Le prime
cure furono date al testo ; intomo al quale argomento è da
avvertire che già per le precedenti ristampe avevo messo
a profitto la larga indagine fatta nei codici del poema da
E. Moore. ^ Ma l'esame metodico di tutti i manoscritti, ini-
1 Oonirihutiona io the Uxtual criHeiam of the Divina Commódiaf Cam-
bridge, Unirenity Presa, 1889. Chi non aresse agio di conanltare qnest^ opera
xn PREFAZIONE
ziato sotto gli anspici della Society dantesca italiana e affi-
dato a mani operose e valenti, dovrà dare assai più sicuri
elementi per la ricostituzione critica del testo; come già si
vede da ciò ehe finorie^ è apparso dalla nuova edizione del
poema procurata, quanto alla lezione, da Giuseppe Yan-
deUi.^ Io mi sono tenuto fedele al mio concetto primitivo,
che fa di accordare il testo dei Witte con i risultati degli
studi posteriori ; e però in questa edizione la lezione si è
venuta qua e la modificando per accogliere quanto mi pa-
reva che dalle indagini del Moore e del Yandelli fosse sca-
turito di più certo e di più dantesco, e, come tale, più me-
ritevole di passare dal campo ristretto degli eruditi a quello
più largo della gente cólta.
Quanto all'interpretazione del poema, poche volte ho
sentito la necessità di modificare sostanzialmente il mio com-
mento primitivo: pur ritoccando qua e là le mie chiose per-
ché riuscissero più precise e più perspicue, il fondo di esse
è rimasto tale quale era; e i maggiori debiti ho, per ciò che
mi parve da innovare, verso Francesco d'Ovidio e Francesco
Torraca, due dei più geniali e profondi interpreti del pen-
siero e dell' arte dantesca, nei quali la erudizione tutta mo-
derna di filologia e di storia si congiunge al sentimento fine
e misurato dell'arte ereditato dal loro grande maestro, Fran-
cesco De Sanctis. Per la cronologia del poema, o meglio, del-
l' azione in esso descritta, ha fatto studi di molta impor^
tanza un dotto astronomo, Filippo Angelitti ; dei quali mi
sono valso qua e là, pur dissentendo da lui circa la tesi
monumentale, può vederne nna particolarefirgiata notizia di H. Barbi nel
BulUttino della Società dantesca italiana (1* serie), n^ 2-8, pp. 66-99. Come
derivazione delle Contributiona del Moou poasono essere considerate le dae
recenti edizioni inglesi del poema, Tnna procurata dal Hoore medesimo
(Oxford, University Press, 1900, di pp. 658) e l'altra da P. Torirtii (Londra,
Methnen, 1900, di pp. 564), nelle qaali il testo del Wit^ è ipodltfeato |n
più centinaia di passi.
1 La Div. Comm, di D. Alighieri notamente illu8traAa da artiiti ita-
liani a cura di Y. Aiihìri, voi. I, Inferno ; Firenze, fratelli Alinari, 1902,
di pp. xTiii-UO con 187 illnstrazioni.
PREFAZIONE xnx
fondamentale che riporterebbe il principio di ^nell'azione
al 25 marzo 1301 ; ^ mentre, dopo uno studio riposato della
questione, ho adottato u sistema del Moore, per cui il viag-
gio dantesco si inizia la sera dell' 8 aprile 1300. Le fonti
del poema sono state oggetto di molte e svariate indagini,
non sempre coronate da felice fine ; ma quanto di meglio in
questa materia è stato ricercato io lo debbo, con tutti gli
studiosi di Dante, a due dottissimi inglesi, il Moore e il
Toynbee, delle opere de^ quali ho fatto quell' uso discreto
che i limiti segnati al mio commento mi imponevano. Cosi
per la illustrazione filologica del poema, oltre che i vec-
chi ma sempre utili studi del Nannucci, del Blanc e dello
Zingarelliy mi è riuscito prezioso aiuto l'insigne lavoro di
E. G. Parodi sopra la rima e i vocaboli in rima della Gom-
media ; lavoro ove la più rigida dottrina glottologica si ac«
coppia con un senso estetico finissimo, di cui il Parodi ha
dato, sempre a proposito del poema dantesco, altri saggi
notabilissimi. Finalmente per l'illustrazione storica e dot*
trinale dell'opera di Dante ho tenuto conto di molti e sva*
nati contributi, che ai lor luoghi il lettore troverà con più
precisione citati ; ma qui non potrei non ricordare il libro
geniale ed erudito di Alfredo Bassermann ; il quale messosi
< sulle orme di Dante > ha percorsa la nostra penisola rac-
cogliendo con 4evozione e indagando con fortunata e sagace
erudizione i ricordi e gli echi della parola dantesca si da
restituirle molte volte quella vera significazione che nel
corso dei secoli si era venuta alterando o perdendo.
In tal modo e con tali aiuti credo di avere onestamente
compiuto il mio dovere d'interprete , e però oflfro agli ita-
liani il mio commento dantesco come una guida non man-
chevole e non fallace per l'intelligenza del sacro poema;
e perché il libro, oltre che al bisogno e al desiderio dei
1 F. AmiuTTi, 8Ma data del viaggio dantesco, desunta dai dati ero-
noìogid e eonftnnata dalle osservazioni astronomiche riportate nella Com-
media, Napoli, tip. dell'Univenità, 1897; u>. Sull'anno della visione dan-
Useth nuovs coniidcrasioni, ivi, 1898.
XIV PREFAZIONE
più, possa anche servire a iniziare gli studiosi nelle inda-
gini erudite intomo a Dante e all'opera sua, ho voluto cor-
redarlo di alcune appendici che integrando il commento
raccogliessero sotto brevità, lo stato attuale degli studi
danteschi. Ho aggiunto pertanto al poema (in un volumetto
separato di prossima pubblicazione), oltre il Bimano che
molti desiderano come lo strumento più facile e pronto alla
ricerca d'un passo qualsiasi, alcuni indici che registrano
elementi di capitale importanza per chi si volga a codesti
studi, come quelli che ordinatamente rappresentano la lin-
gua del poema (Indice filologico), la storia del tempo (In-
dice storico) e la fortuna di Dante e delle opere sue (Indice
bibliografico).
Se con queste nuove cure l'opera mia sarà riuscita tale
da meritare ancora il favore onde fu sinora accolta, mi sen-
tirò ad usura ricompensato delle fatiche duratevi intomo ;
né lascerò che passino molti anni senza ripresentarla con
quei miglioramenti che i nuovi studi danteschi fossero per
consigliarmi.
V novembre 1902.
Tommaso Casihi.
ABBREYUTUBE USATB NEL COMMENTO
Andr La D. C. col commento di B. Andrioli, Firenze, 1870,
Ah. fior Comm. alla 2>. C. d'Anonimo fiorentino ad sec. XI F^
pnbbl. da P. Fanfkni, Bologna, 1866-74, tre toIL
Ani. Delle dottrine aetronomiche della 2>. C. per il p< GioT^nnì
Antonelli, Firenze, 1866; e AnnoUuioni astronomiche deUo
stesso nel eommento del Tomm.
Bassermann . . . Sulle orme di Dante di A. Bassermann, trad. di K Gorm,
Bologna, Zanichelli, 1902.
BeoT Senevenuti de Bambaldis de Imola Comentum super D. A,
Oomoediam^ pobbl. da G. F. Lacaita, Firenzei lasT, cin-
que TOU.
Biag Commento di G. Biagioli, Parigi, 1818-19 (si clU dalla Dtt?.
Comm, di D. Al, Firenze, Ciardettì, 1880-8S).
Bianelii La Comm. di D. A, fior,, notamente riveduta nel trsto e
dichiarata da R Bianchi, 7» ediz., Firenze, 1868.
Blanc Vocabolario dantesco di L. G. Blanc., trad. di 0. Carbone,
Firenze, 1888; e Saggio di una interpretasione filologica
di parecchi passi oscuri e contropersi della D. C*, l parte,
Inferno, trad. da 0. Oooioni, Trieste, 1865; U parte, Turg,,
trad. da C. Vassallo, nel Bropugtmtùre, a. 1877, toI, X.
Boce Il Com, sopra la Comm. di D. A, di Giovanni BoecacciOt
Firenze, 1881-82, tre ▼oli. (cioè voli. X-XII delle Opere
volg, di O. B, corrette su i testi a penna da L Moatler) ;
e La Vita di Dante scritta da O. Boccaccio, pnbbL da
F. Macri Leone, Firenze, 1888.
Borgh Studi sulla D. C, di G. Chililei, Vincensio Borghini ed
altri, pvbb. da 0. Gigli, Firenze, 1865 (pp. H0^36i),
Bull. Bullettino della Società dantesca italiana^ l* serie, Fi-
renze, 1894 e segg. (è citata secondo il n.* dei fascico]! j ;
t* serie, Firenze, 1896 e segg. (ò citata per yoìumi. In cifre
romane).
Boti Comm. di Francesco da Buti sopra la D. 0. di D. A, ,
pnbbl. da C. Giannini, Pisa, 1868-62, tre voli.
Case Postille d*nn anonimo trecentista pnbbl. col titolo : lì Co-
dice cassinese della D. C. per la prima volta kiteralmente
messo a stampa, Monte Cassino, 1866.
XVI ABBREVIATURE USATE NEL COMMENTO
Ces BtUesee delia Comm, di D. A., diàloghi di Antonio Ce-
sari p, d. 0., Verona, 1819.
Chiose an Chiose anonime alla prima cantica della D. C. di un
contemporaneo del poeta, pubbl. da F. Selmi, Torino, 1865.
Costa Commento di P. Costa, Bologrna, 1819 e 1826.
Dan LaD. Oomm. con Vetposisione di m. B. DaniellOj Vene-
zia, 1568.
D' Anc Le antiche rime volgari secondo la lesione del cod. vai.
3793, pnbbl. da A. D- Ancona e D. Comparetti, Bologna,
1876-88, 6 voli.
Dautc Canzoniere, De monarchia, De vulg, eloq,, Epist, Con-
vivio, sono citate secondo Pedizione delle Opere minori di
D, A., SL cura di P. Fraticelli, Firenze, 1856-57, tre voli. —
La Vita Nuova è cit. secondo l'ediz. procurata da T. Ca-
sini, Firenze, 1885.
Del Lango. , . , Dino Compagni e la sua Cronica per L Del LungOt Fi-
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Del Lungo, Dante .... Dante ite* tempi di Dante, ritratti e studi di I. Del
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dal poema di Dante, altri ritratti e studi, Bologna, 1898
(si cita come voi. II).
Dic^ Etymologische» Wòrterìrnch der romaniscìien Sprcushen
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Fanf. Studi ed osservazioni sopra il testo delle opere di Dante
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Ferrazzl ..... Manuale dantesco per Vab, Q, I. Ferrassi, Bassano, 1866-
77, cinque voli.
Frat La D. C. di D, A, col comento di P. Fraticelli, Firen-
ze, 1879.
Giom. dant. . , Giornale dantesco diretto da Q. L. Passerini, Venezia, 1898
e segg.
Giul Metodo di comentare la D, C. di D. A. di 0. B. Giuliani,
Firenze, 1861, e vari saggi del Dante spiegato con Dante,
Iacopo di Dante. Chiose alla cantica delV Inferng di Dante attribuite a
Iacopo suo figlio, Firenze, 1848.
Lana Comedia di D, degli A, col comm, di Iacopo della Lana
bolognese, pubbl. da L. Scarabelli, Bologna, 1866-67, tre voli.
I4ind Commento di Cristoforo Landino, Firenze, 1481.
Lect Lectura Dantis ( Letture sui eanti deìVInf, e del Purg,
tenute in Orsanmichele in Firenze negli anni 1899-1902, in-
dicate nel Bull, Vili 89-108, 281-290, IX 97-107).
Lonib Commento di Baldassarre Lombardi, Roma, 1791 (si cita
dair ediz. de La D, C di D, A, col comm, del p, B, Lom-
bardi ora nuovamente arricchito di molte illustrazioni
edite ed ined,, Firenze, Ciardetti, 1880-82, sei voli.).
Moore Studies in Dante, voi. I, Scripture and classical authors
ABBREVIATURE USATE NEL COMMENTO xvn
in Dante; yoI. II, Miscélìaneous Essays, Oxffiicl, 1696-99
(si cita a volume e pagine): e Gli accenni al iem^o nella
Div. Comm., trad. di C. Chiarini, Firenze, IDOO (al cita
solo a pagine).
Nannneci, Vei'bi. Analisi critica dei verbi italiani investigati nella loro
primitiva origine^ Firenze, 1844.
Nannaeci, Nomi, Teorica dei nomi della lingua italiana, FirenzeT 1858.
Op, dant Collezione di Opuscoli danteschi inediti o rari diretta dA
6. L. Passerini, Città di Castello, 1898 e segg. (sì cita ae-
condo il n*> del volnmetto).
Ott L'Ottimo commento della D. C. testo inedito d^un con-
temporaneo di DantCt pubbl. da A. Torri, Pisn, 1827-29,
tre voli.
Pietro di Dante. Petri Allegherii super Dantis ipsius genitori s ComoÉdiani
commentarium, pnbbl. da Y. Nannneci, Firenze, 1S4&,
Poletto Dizionario dantesco di quanto si contiene nelh opere di
D. A. compilato dal prof, D, Giacomo PoìeltOt Siena,
1886-87, sette voli.
Scart. La D. C. di D, A. riveduta nel testo e commentata da
G, A, Scartazeini, Leipzig, 1874-82, tre voli.
Tomm Com. di D. A, con ragionamenti e note di N. Tommaseo.
Milano, Pagnoni, 1865, tre voli.
Torraca Di un commento nuovo alla Div, Comm., Bologna, 1899.
Toselii Voci e passi di Dante chiariti con documenti a lui con-
temporanei nei Racconti di storia patria di 0, Mazzoni
Toselii, voi. Ili, pp. 265-898, Bologna, 1875.
Val Poeti del primo secolo della lingua italiana, a cura di
L. Valeriani, Firenze, 1816, due voli.
Tandelli La Div. Comm. novamente illustrata, voi. I, Inferno^ Ph
renze, 1902.
Yell Commento di Alessandro Vellatello, Venezia, 1544,
Vent Commento di Pompeo Venturi, Lucca, 1732.
Venturi Le similitudini dantesche illustrate e confrontate da L.
Venturi, Firenze, 1874, (il n» rimanda alla simrlUndiiie)^
Zing Parole e forme della D. C. aliene dal dialetto fiorentino
per N. Zingarelli, negli Studi di filologia romanza ,puhh],
da E. Monaci, Roma, 1884, fase. I.
I
NCIPIT COMOEDIA DANTIS ALA-
GHERII, FLORENTINI NATIONE,
NON MORIBVS * * ^ * * *
r,a «wipoalzloiifì, clibsa o vom postillo ho scritto
fiocùndo oho & mo miniiDO Li^tondont'O paru
the fMW lo intellolto dello aatoro.
INFERNO
CANTO I
È 1* introduzione generale del poema, e ne contiene V allegoria fonda-
mentale: Dante si trova smarrito per nna selya oscura, e tentando di ascen-
dere un colle luminoso ne è impedito da tre fiere, la lonza, il leone e la
lopa ; a lui appare Virgilio, che gli si offre come guida per i regni del pec-
cato e della purificazione, e gli dice che da più degna creatura sarà tratto
per il regno della beatitudine [venerdì santo, 8 aprile 1800].
Nel mezzo del CAmmiTi di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
1 1. Htlaena eoo. Seoondo Dante, Comi-
Clio, IT 22, « la notti» vita prooede ad imagi-
ne d' sroo, montando e diaoendendo: il punto
oomno di questo azoo nelli perfettamente n»-
tmsti ò nel trentaoinqTiesimo anno » : ò que-
sto 3 mezBo del oono delU Tita. Esaendo il
poeta uAto nel 1266 (efr. Butt. I, 186-189), U
tempo » eoi e^ fifiùiaoe la ina visione saia
il 1900; la qnal data, per quanto vigoroea-
■ente oontadetta, è por aempie la più oomo-
nemente accettata e fono la più vera. Anche
lìspetto alla dorata del viaggio variano le opìr
nioni; segoito, salvo aleone modificazioni paz^
xiaU, qneUft di E. Moore (OK aeemiU al tempo
mila D. (7.; Firenze, 1900), ammettendo ohe
eteo viaggio incomincia la sera del veneidi san^
to, 8 aprile 1800, e si compie in sette glomL
È degna di esser canoedota, perché fondata
sopra ona serie di osservazioni astronomiche
e storiche di molto valore, la condosione coi,
intomo all'anno della visione dantesca, è per-
Tannto di recente F. Angelittl {8uUa dola del
vk^fgio dcuUatco, Napoli, 1897, • altri scritti
posteriori, cfr. Bulk Y 81-86, VI 129-149,
e BasMgna eriL H 198-207, DI 214-216):
« La condosione che 11 viaggio cominciasse
fl 26 marzo 1801, stile comone, è la sola che
risponda pienamente a tatto le indicazioni
srìentiflche date nd poema. Qoesta data ò
l'aanivejsario, in anni gioliani, della morto
di Qcisto [cfr. Inf, xzi 112], secondo V opi-
nioDe pi6 diifosa nd medioevo e riconosdnta
daUa Chiesa; si accorda rigorosamente od ple-
mfauiio astronomico [cfr. Jnf, zx 127] e con
le posizioni dd Sole [cfr. Inf. 1 88, Fìtrg, iv
{Ì&8&, iV. I 48, X 7, 13, 28, xxvn 86]; e
corrisponde alle indicazioid di Venere mattu-
tina [A«7. I 19, zzvn 94, 109], di Saturno
nel petto dd Leone [Ar. xzz 14], di Marte
nel segno dd Leone [Hkt, zvi 87]. Essa so-
disfa andie ad altxe esigenze, di carattere
estrinseco, pid o meno vaghes^te dal dan-
tistL n 26 marzo 1801 fb sabato di pasdone,
e la Pasqua qoeU'anno cadde il 2 aprile : il
viaggio dunque viene spontaneamente ad es-
ser collocato ndlasettiinana santa. Sesta pure
adempiuta la condizione allegorica dd poema,
secondo la qnde il viaggio, accennando alla
rinnovazione dd secdo e ella rigenerazione
morale di Dante, vuole esser posto al prind-
pio dd nuovo centinaio ». Se non che all'o-
pinione dell' Angelitti d oppone la considera-
zione, svolta assai hene dal Moore, che il
poeta necessariamente idrò a conseguire l'ef-
fetto artìstico inerente alla piena e facile in-
telligenza delle sue descrizioni e degli accenni
astronomid e orondogid spani per il poema,
più tosto che d rigore dell'osservazione scien-
tifica che avrebbe costretto i lettori a com-
puti difficili, per non dire inaooesdbUi ai più :
per questa ragioiLe Dante d attenne alle in-
dicazioni dd cdendario ecdesiastlco, anche
quando non corrispondevano alla realtà delle
posizioni astronomiche, e computò il tempo,
rispetto ai fenomeni descritti o accennati,
in modo approssimativo, d da fard intendere
da coloro che, pur avendo conoscenza dei fe-
nomeni astronomid fondamentali, non sareb-
bero stati in grado di cogliere il senso dd piò
rigoroso linguaggio scientifico dedotto da cal-
coli minuzinri di gradi e di minutL Dante in-
somma parlò pid da poeta che da astronomo, e
segui anche riguardo ai fenomeni celesti l'opi-
nione e r osservazione popolare. — 2. selrat
raffigura la vita viziosa, propria dell'uomo pec-
catore; nd Cono, iv 24 la vita umana ò detta
DIVINA COMMEDIA.
3 che la diritta vìa era smarrita.
Eh quanto a dir qual era è cosa dura
questa selva selvaggia ed aspra e forte,
6 che nel pensier rinnova la paura !
Tanto è amara che poco è più morte:
ma per trattar del ben eh' i' vi trovai,
9 dirò dell'altre cose, ch'io v'ho scorte.
I' non so ben ridir com' io v' entrai ;
tant'era pien di sonno in su quel punto,
12 che la verace via abbandonai
Ma poi che fui al piò d'un colle giunto,
là dove terminava quella valle,
15 che m'avea di paura il cor compunto,
guardai in alto, e vidi le sue spalle
vestite già de' raggi del pianeta,
18 ohe mena dritto altrui per ogni calle.
Allor fu la paura un poco queta,
che nel lago del cor m' era durata
21 la notte, di' i' passai con tanta piòta.
E come quei che con lena affannata,
uscito faor del pelago alla riva,
24 si volge all' acqua perigliosa e guata ;
cosi l'animo mio, che ancor fuggiva,
si volse indietro a rimirar lo passo.
« gelra erronea ». — 8. diritto ri» t quella
della Tirt6 e della fede. — 6. nel peaiier !
non pnre a vedexla, ma solo a penaanri. —
7. Tanto è aMara eoo. la selva è tanto dolo-
loea, ohe di poco ò più dobrosa la morto : al-
tri, meno bene, rìferiacono amara a paura,
JX oonoetto ò biblico (Eooliaiaetìeo zu 1 : « 0
mortoi quanto amaia è la memoria tua ») ;
cfr. il Frezzi, Quadr. m 6, della poTSità per-
sonifloato: « Spiacente tanto, eh' appena è più
morto », e 11 Petraioa, cooxxxn 22 : « Or mi
ò '1 pianger amaro più ohe morto ». — 8. per
trattar eoa II poeta accenna al fine e al ca-
rattere dell' opera sua, che si srolge tutto
sopra un fondamento morale e religioso, co-
me intesero rettamento gV interpreti antichi :
perdd il tona che Danto dice d' aver trovato
nella selva è il risveglio operato nella sua
coscienza dalla voce della ragione, la quale
rimovendolo dallo stato peocaminoso lo av-
viò alla salvazione dell'anima. — 9. dell'al-
tre cose ecc. delle fiere e dell' i^parizione di
Virgilio. — 11. plen di somno ! pieno del son-
no del peccato, con la mento ottenebrata dal-
rerrore. — 18. Ma poi eoo. n colle, in op-
posizione alla teka (vita viziosa), rappresenta
la vita virtuosa. — 16. la sie spalle: i fian-
chi del colle. — 17. veitlto ecc. illuminato
già dalla luce del sole, che nel sistema di
Tolomeo è considerato come un pianata. —
18. neBa eoo. è duce e guida de^ uomini e
delle cose nella loro esistonza; cfr. iVy. xm
16-21. — 20. nel lago del oort doè in quel-
la parto, che nella V. N. i 16 chiama « la
seoretissima camera » del cuore ; Booc : « è
nel cuore una parto ooncava, sempre abbon-
danto di sangue, nella quale, secondo l'opi-
nione d' alcuni abitano li spiriti vitsli ;... ed
ò quella parto ricettacolo d' ogni nostra pa»-
sione ; e perdo dice che in quella gli era per-
severata la passione della paura avuta ». Nota
il Torraoa che « lago del cor » diao Danto
anche in una ballata {Cktnx. p. 160). — 2L
la Botto ecc. nel tempo dello smanimento do-
loroso. — pl^ta ! forma azoaioa fnpùtà (ofr.
Ir^. vn 97, xvm 22 ecc.), foggiata sul Borni-
nativo (cfr. ih/. VI 66). — 22. K eoae eoo.
Venturi 812: «È una delle più bello ibniU-
tadini del poema; ed esprime coi suoni e con
parole elettissime l'aneto ailtonoso del mi-
sero che lottò con la morte, e ne fb prodigio-
samento scampato ». — Iona afflMBatat è il
respiro aifaTìnoso di ohi è opprowo dalla leti-
ca e dallo spavento del corso periodo. ^ 9i.
gnata : guarda attontsmente, ooniideca il po-
zioolo al quale ò sfuggito. — 26. lo paiMS qo»!
INFERNO - CANTO I
27 che non lasciò giammai persona viva.
Poi ch'èi posato un poco il corpo lasso,
ripresi via per la piaggia diserta,
30 si che il piò fermo sempre era il più. basso.
Ed ecco, quasi al cominciar dell'erta,
una lonza leggiera e presta molto,
83 che di pel maculato era coperta:
e non mi si partfa dinanzi al volto ;
anzi impediva tanto il mio cammino,
36 eh* io fi2i per ritornar più volte vòlto.
Tempo era dal principio del mattino,
e il sol montava su con quelle stelle
39 ch'eran con lui, quando l*amor divino
dalla séhra, die noi ludd pMsar» aloimo che
vUmm ipiiitoalaieinte; poiché la -vera vita
deU'nomD è quella deOa lagione (cfir. Ckmo, tv
7). —28. Pel eV èl eoo. Godi tetti più au-
toieToli; e^ altri portano lezioni yaiie. La
Tera fu xixtabilita da N. Calz, che osservò
(12an.MttiB». 2 ottobre 1881): «Ohi consideri
che Dante nsdra allora aQcóa dalla teka tei-
raggili e yàlgerasi eotVwuhno che amor fitffgwa
a liinirare il passo da coi era scampato, on-
d'egU dorerà ben sentire il bisogno di potare
un poeo le membra stanche, ma non poteva
pensare a prendere riposo, òhe è, come snona
la paiola, un poeaie prolungato e richiede più
agio e tranquillità, non potrà ohe preferire
anche per riguardo alla proprietà la prima le-
tione ». — èl t forma arcaica per ebbi (ofr.
E. e. Parodi, BuU, m 181). — 29. per la
piaggia dlseirtas per il cammino solingo e
abbandonato ; poiché pochi sono i seguitatori
ddla virtù. — 80. ■< che eoo. Booo.: « Mo-
stra r usato costume di ooloro che salgono,
che aempre si ferman più in su quel piò
die più basso rimane » ; il Tomm. crede che
qui TDf^ dir ohe « Tenendo da male a be-
ne, il deddecio si posa troppo sulla memo-
ria dal passato». — 8L E4 eeeo eoe L'idea
delle tre fiere è tolta da Geremia, ▼, 6: « II
lecaie della selva e^ ha pecoossi, il lupo del
respiro gli ha deserti, il pardo sta in aguato
pieaeo alle lor città». L'Ott cosi dichiara il
significato delle tre fiere : « Qui descrive l'au-
tore tre impedimenti, òhe se li oppuosono,
quando nlia aDo atto inlnminato di sapienza;
H quali figura in tre animali, cioè Lonza, che
ò pantera. Lupa e Lione; li quali pone in
iguza di quelli tre vìa^ ohe comunemente più
oecopano l'umana generazione. Per la lonza
s'intonde la latrarla, per la lupa ocorma,
y«r lo leone wuftrbia, GHocome la lonza ò mac-
chiata di molti e diversi piaceri, e molto pre-
sta e leggiera a pigliare li uomini ; quanto in
» l'autore, qui ed altrove il di-
chiara. Che lo lione sia superbo, òhe la lupa
sia avara e cupida e bramosa chiaro appare
assai ». Cosi a un di presso tutti i commen-
tatori antichi; ma tra i moderni corsero al-
tre interpretazioni, tra le quali la più nota-
bile ò quella ohe vede raffigurata nella lonza
non la lussuria, ma l' invidia : sulle contro-
versie relative vedasi D' Ovidio, pp. 802-825.
— 82. una lonza eoo. La 1* delle tre fiere
simboleggia la lussuria o concupisoenza della
carne; come ò provato dal passo dell'In/'.
XVI 106 e segg. dove Danto racconta che,
visti i tormenti dei lussuriosi e fatto forte
a combattere in sé questo vizio, egU fece
gitto di quella oorio, o cingolo della castità,
con la quale s' era già pensato « prender la
lonza alla pelle dipinta ». I fiorentini al tem-
po di Dante davano il nome di lonxa alla
pantera e al leopardo, animali eh' essi sole-
vano mantenere a spese pubbliche, come an-
che facevano del leone, insegna del loro Co-
mune; e già nei poeti anteriori a Dante il
nome della bmxa o leonxa era steto usato a si-
gnificare genericamente animale feroce e spa-
ventoso (Bustioo di Filippo, son. ZLvm e lvui).
Quanto all'epiteto di leggiéroj ò da ricordare il
verso di Folgore da San Gimignano, son. xv :
« Leggero più ohe lonza o liopardo ». — 86.
eh' io eco. che più volte mi voltai indietro per
ritornar verso la selva. — più volte vòlto : i
versi e le locuzioni di più voci simili, o 07UÌ-
foei, come avrebbero detto gU antichi, non
sono infrequenti in Dante (ctt. Inf. xm 26,
67-72, XXVI 66, Puirg, xx 1, xxvn 182, xxxi
186, xxxm 143, Par. m 67, v 189, xxi 49,
V. N, vm 47 eoo.) : ma ò da notare che di
cotesto modo artificioso i suoi contemporanei
abusarono largamente, si ohe al loro confron-
to Dante si mostrò, anche in questo partico-
lare, assai temperato e parco. — 87. dal prin-
cipio ! nel principio. — S8. e il sol eco. era
nel segno dell' Àxioto (cfr. Jìir, 1 40), cioò
nella stagione primaverile, come quando Dio
DIVINA COMMEDIA
mosse da prima quelle cose belle;
si che a bene sperar m*era cagione,
42 di quella fera alla gaietta pelle,
l'ora del tempo e la dolce stagione:
ma non si, che paura non mi desse
45 la vista, che mi apparve, d'un leone.
Questi parea che contro me venesae
con la test' alta e con rabbiosa £une,
48 si che parea che l'aer ne temeste:
ed una lupa, che di tutte brame
sembiava carca nella sua magrezza,
51 e molte genti fé' già viver grame ;
questa mi porse tanto di gravezza
con la paura, che uscia di sua vista,
54 ch'io perdei la speranza dell'altezza.
E quale è quei, che volentieri acquista,
e giugno il tempo che perder lo face,
57 che in tutt'i suoi pensier piange e s'attrista;
tal mi fece la bestia senza pace,
che, venendomi incontro, a poco a poco
60 mi ripingeva là dove il sol tace.
Mentre ch'io rovinava in basso loco,
dinanzi agli occhi mi si fu offerto
63 chi per lungo silenzio parea fioco.
Quando vidi costui nel gran diserto,
€ Misererò di me, gridai a luì,
creò il mondo. — 40. eoie belle : cosi anche datisi, si sono smaniti dalla fede» e si sono
in Inf, xzziY 187 sono detti gli astri, come fitti in molte doglie » — 52. mii pene eco.
cose delle più mirabili di tatto il creato. — mi fa cagione di si forte torbamento. — 54.
41. A Itene ecc. l'cn mattatina e la stagione dell'altezza: di giongere alla cima del colle,
di primayera mi erano cagione di sperare ohe — 55. E qvale ecc. Come l'avaro si addolora
avrei vinto la lonza. — 42. «Ila gaietta pelle : e si dispera se perde dò che ha radunato con
dalla pelle dipinta: oft. Inf. xvi 106; gaieUa lunghe core, cosi io mi rattristai perché la
vale propriamente loroziata (0. Nigra, Àreh, lupa empia, mtxa poMy che non dà tregua
gìotiol. XV 286) — 45. va leone eoo. La 2^ all'uomo, mi respinse verso la selva oscura,
delle tre fiere simboleggia la superbia. — 46. — 57. U tntt' 1 s«oi pensier ecc. Venturi
Teneise : venisse ; forma d' imperfetto con- 906 : « È dolore di speranza perduta, dolore
giuntìTO, propria del linguaggio poetico più che non si spande in lacrime, ma contrista
arcaico p* Ano. 1 481). — 49. naa Inpa ecc. l'anima profondamente ». — 61. rovlaava :
La 8^ ò il simbolo dell'avarizia, ohe non si stava per ric&dore nel vizio. — 62. mI il fn
deve intendere nel senso ristretto di eooes- offèrto ekl eoo. mi apparve « con piglio dol-
siva parsimonia ma in un senso più largo, di ce » {Inf. xxnr 20) Virgilio, il poeta latino
avidità, rapacità, cupidigia (cfr. D' Ovidio, p. (ofr. w. 70 e 89). D senso letterale è molto
814). Si veda anche Purg. xx 10 e segg. dove incerto e disputato; ma la più esatta diohiara-
ò detta « antica lupa Che più che tutte l'altre zione parrebbe esser questa : «una figura d'uo-
bestie ha preda Per la tua fame senza fine mo che per lunga abitudine di silenzio sem-
cupa >». — 50. sembiava ecc. sembrava, nella brava aver perduto ogni efficacia di parola ».
sua magrezza, piena d'ogni cupidigia, e fti già Per il senso allegorico ò accettabile la spiega-
cagione di dolore a molte genti ; cfr. l'apo- zione dello Scart : « La voce della ragione il-
stolo Paolo, J ep. a Timoteo vi 10 : « la radice luminata, rappresentata da Vizgilio, ò o sembra
di tutti i mali ò l'avazizia, alla %uale alcuni al primo svegliarsi del peccatore assai ~
INFERNO - CANTO I
G6 qual che tu sii, od ombra od uomo certo ».
Risposemi : « Non uomo ; uom già fui,
e li parenti miei furon lombardi,
69 e mantovani per patria ambedui
Nacqui sub Tulio, ancor che fosse tardi,
e vissi a Boma, sotto il buono Augusto,
72 al tempo degli dèi £ei1sì e bugiardi
Poeta fui, e cantai di quel giusto
figliuol d'Andiise, che venne da Troia,
75 poi che il superbo Ilion fu combusto.
Ma tu. perché ritomi a tanta noia?
perché non sali il dilettoso monte,
78 oh' è principio e cagion di tutta gioia ? »
€ Or se' tu quel Virgilio, e quella fonte,
che spande di parlar si largo fiume?,
81 risposi lui con vergognosa fronte.
O degli altri poeti onore e lume,
vagliami il lungo studio e il grande amore,
84 che m'ha fatto cercar lo tuo volume.
Tu se' lo mio maestro e il mio autore:
tu se' solo colui, da cui io tolsi
e sommetM, cosi ohe egli iq^pena ne intende
alcuni indistinti acoenti ; essa direnta poi piti
aita e distinta mano mano ohe Tnomo ya ri-
sregìiimdnd dal peccaminoso suo sonno ». —
66. ed oatf»ra ecc. o apparenza di nomo o
oamo reale. — 67. Km vobos VizgUioiim-
bolaggiis nel poema la ragione o la scienza
unana, che secondo gli ammaestramenti fllo-
soAci guida l'nomo all'esercizio ddla viltà e
al conaegnimento della felicità temporale, sino
al momento in coi le snocede la lède o la
scienza divina (ofr. JVy. xxvn 127 e segg.).
— 68. • 11 parenU eoe e i miei genitori fti-
nubo entrambi lombardi, anzi propriamente
mantovani. Mantova è considerata la patria
di Virgilio, sebbene e* nascesse nel piccolo
villaggio di Andes (oggi Fistole-Virgilio): cfr.
A07. vn 18 e zvm 88. — 70. sab lalle ecc.
IHrgilio nscqoe nel 70 e mori nel 19 a. 0.;
poteva dunque dire d'esser venato al mondo
al tempo di Oinlio Cesare (10O4A a. 0.)* seb-
bene non cod presto da esser considerato
came a hd contemporaneo. — 73. degli dèi
eoe. degli Iddìi del paganesimo, falsi e bu-
^ionift ricetto al dio dei oristianL — 78. Poeta
eee. La fama di Virgilio fa grandissima nel
medioevo, spedalmeote per il sao poema àsi'
ygntidé, considerato a ragione come l'espres-
ifcoae piA alta della vita e del sentimento dei
romanL ^ 4«el glasta ecc. Snea, figlio di
iBchise • di Venere, te dei Daidani, venuto
in Italia dopo la rovina di Troia a compiervi
le imprese cantate da Virgilio ; il qnale dice
che nessuno ta. pift giusto nò jiA valoroso di
lui; « quo iustior alter Neo piotate fdit, nec
bello maior et armis {En, 1 644) ». — 76. s«-
perbe IUob! ò un ricordo del virgiliano (.^i.
m2): «oedditquesuperbumllium»; •s'ao-
corda con dd che Dante dice nel ^trg, zn
61 e segg. ponendo Troia ed Ilio come esempi
di superbia punita. — 76. perehtf eoe perché
ritomi ad una condizione tanto molesta, tanto
amara, quale è lo smarrimento nella selva :
noia ha qui come nella F. ^. xn Ó6 il signi-
ficato di molestia. — 79. «nella fonte: onde
procedettero i poemi che sono cosi nobile ed
alto esempio di eccellenza nell'arte della pa-
nda. — 81. lai: a lui; gli antichi in prosa
e poesia usavano quasi sempre nel comple-
mento di tamine questa forma s«iza prepo-
sizione : vedine altri esempi Jnf. vn 67, xix
89, zzzm 121, iVy. i 62, vm 68, xzxv 76,
xzv 49 eoe — vergognosa: rispettosa, umile;
cfr. Inf, m 79 « occhi vergognosi ». — 84.
cercar lo tao volume : ricercare, studiare il
volume delle tue opere. Dante fti studiosissi-
mo dell' Eneide (ofr. Inf, xz 114, I\arg, zxi
54-99) ; conobbe e dtd la Bve^ieOf e potè leg-
gere, sebbene sia meno certo, anche la Qeor-
giea -> 86. lo Mio auMStro : dal quale ap-
pred il magistero dell'arte ; 11 bIo autore :
lo sorittozo ohe ha per me autorità sovr* ogni
8
DIVINA COMM£DU
87 lo bello stile, che m*ha ùA,to onore.
Vedi la bestia per coi io mi volsi:
aiutami da lei, feunoso saggio,
90 cb'ella mi £& tremiar le vene e i polsi >.
cA te convien tenere altro viaggio,
ripose, poi che lagrimar mi vide,
03 se vuoi campar d'esto loco selvaggio:
che questa bestia, per la qual tu gride,
non lascia altrui passar per la sua via,
OG ma tanto lo impedisce ohe l'uccide;
ed ha natura eL malvagia e ria,
che mai non empie la bramosa voglia,
90 e dopo il pasto ha più fÌEone che pria.
Molti son gli animali, a cui s'ammoglia,
e più saranno ancora, infin ohe il veltro
altro tn ^ antichi poeti. — 87. lo kMl«
ttUtt lo itile che ayera fiotto onore a Dante
prima di compone la Cbimnadio, senza peid
éaxgìì grandissima Cuna (ofr. Pury. xrv 21),
non pnd essere altro che quello delle opere
gioyenili, e specialmente delle rime e della V.
N,t nelle quali non è palese alcuna imiti-
none Tiigiliana. 8' intenda qnindi sftb, non
già del partioolar modo di foggiare e di ren-
dere il fantasma poetico , ma oome l' in-
tima oonispondenza che è tra la forma e il
pensiero ; corrispondenza ohe è predpna dote
delle opero Tirsjliane e delle dantesche, por
serbando le nne e le altro i propri caratteri
difEaronti, e inerenti al divano ingegno dei
dne poetL — 89. alatami eoo. Secondo i com-
mentatori tre motivi indussero Dante a eleg-
gero il cantore d'Enea oome soa guida: Vlr^
gilio era considerato nel medioevo oome il
poeta dell'idea imperiale romanA e come il
prennnziatoro della venuta di Cristo (ofr.
i\iry. zzn 66 e segg.); offriva a Dante il
pift ecoellente modello dello stile poetico ; era
il solo poeta, per Ini, che avesse descrìtto
ona discesa all'inferno (cfr. Inf, n 18). D'Ovi-
vio, p. 168: « Neil' Enmde Dante non trovò
solo il heUo tUUf ti anche la profonda reli-
giosità, la fede nella vita ftitoza e la descri-
zione del Tartaro e degli Elisii». — saggio :
d titolo dato a'poeti in quanto sono maestri
di sapienza; cosi per es. ò chiamato il Goi-
nizeUi nella F. iV. xx U. — 91. A te eoe
Ta devi tenere altro cammino, non quel-
lo del monte; devi passare attzaveno l' in-
ferno, per aborrin dal peccato, e attraverso
il purgatorio, per esseme purificato. Notevole
ò la conformità di questo verso oon uno di
Quittone d'Arezzo (D'Ano. V 17) : « Or pensa
di tenere altro viaggio ». — 97. e4 ka eoo.
L'avaziiiA à di tale natoim che mai non si
sazia, poiché il momentaneo appagamento del
desiderio non fa che accrescerne l' ardore :
cfr. Purg, zx 12. — 100. Molti ìob ecc. Ai-
coni intendono: molti sono gli uomini vinti
dal vizio dell'avarizia; altri invece, e forse
meglio (cfr. V. 60) : molti sono i vizi che pro-
cedono dell'avarizia. — 101. U veltro eco.
Nel IStry, xz 16, Dante chiude un* impreca-
zione contro la lupa, simbolo deU' avarìzia,
domandando : « (Quando verrà per coi questa
disceda? », e accenna senza dubbio al veltro;
e nel iV]7. xxxm 48, parla di un tempo ven-
turo « Nel quale un cinquecento dieoe e cin-
que, Messo da Dio, andderà la fùia Con quel
gigante che con lei delinque »; e anche qui da
molti interpreti si crede eesero aooennato il
veUro, Ma chi fosse nelfa mente di Dante que-
sto ossero misterìoeo non si ò potuto aooep-
taro oon sicurezza e le piti dispsrate ipotesi
sono state messe innanzi; delle quali le più
notevoli e ragionate fOrono le seguenti : 1* n
veltro ò Oangrande I della 6cala (ofr. Paar,
xvn 76), signore di Verona, vicarìe imperiale
e grande sostenitore della parte g^beUina in
Italia; 2^ — ò Uguodone della Faggiola, al-
tro capo de' g^bellini, signore di Pisa e Luo-
ca; 8^ — ò Benedetto ZI, pontefice negli
anni 1808-1804; 4^ — d Cristo ventare nel
giorno del giudizio universale; 6* — è un
personaggio indeterminato anche nella mente
di Dante, imperatoro o papa o di qualsivogUa
dignità rivestito, che avrebbe ricondotto il
mondo sul cammino della virtó. L'opinione
che nel vèltro tà. abbia a riconoscere simboleg^
giota la speranza di una prossima restaura-
zione dell'autorità civile, come inizio della ri-
generazione morale dell' umanità, per opera
di un imperatore o di altro principe di parte
ghibellina, è stata di noent» sostenuta con
molta ragione da Y. Clan, autt$orm$ cMce^
INFERNO - CANTO I
102 verrà, che la faxk morir con doglia.
Questi non ciberà terra né peltro,
ma sapienaa e amore e yirtute,
105 e sua nasion sarà tra Feltro e Feltro:
di queir umile Italia fia salute,
per cui mori la vergine Camilla,
108 Furialo e Turno e Niso di feruta
Questi la caccerà per ogni villa,
fin che l'avrà rimessa nello inferno,
111 là onde invidia prima dipartilla.
Ond'io per lo tuo me' penso e discemo
che tu mi segui, ed io sarò tua guida,
114 e trarrotti di qui per loco etemo,
ove udirai le disperate strida,
vedrai gli antichi spiriti dolenti,
117 che la seconda mòrte ciascun grida;
tm, Me»xia, 1887. DagU stadi del Obui e di
altzi mpfKTB omud accertato: 1* che Dante
aé ugaò né li angoid che U xigeneraxione
txrìiÌB e Borale dell' onumità avease a essere
open di un santo pontefice; 2* che l'idea
dollA Tenuta d'im restaorstore del mondo
■saldato in terra da Dio per la salate del-
1* umanità, si svolse nelle profezie niedÌ09?ali
eosae un concetto easwiTfalmmìtn i^ilbelUno
• laico ; 8* ohe tale concetto è il solo rispon-
dente alle idee e alFatteggiamsnto pditioo di
Dante nel tempo ch'egli compose il sao poema;
4* che nel simbolismo popolare del medioero
itaBano, strettamente collegato con le flgo-
xadoni araldiche, il veltro designò idee e per-
sone gabelline, come in an suiv^utesu del
1276 cìxea ore è cosi designato Guido di
afontefoltro (efr. Inf. zxvn 29) inTocato ala-
tatele dai g^beOìni di Bomagna; 6* ohe co-
me le speranze politiche di Dante si raocol-
Bsco eia sorra an imperatore ora sona al-
tri penooaggi grandi dell' età saa, cosi nel
reltro non si pad Tederò ona determinata per-
sona, essendo natarale « ohe a seconda delle
occasioni, dei rari momenti e condizioni del-
l'attimo fuggente deUa storia, anche a secon-
da deUe condizioni dell' snimo suo, il Poeta
t* iUadesse di yederlo incarnato nell'ano o nel-
Taltro di qoelli che ftirono i protagonisti solla
seena storica del sao tempo ». — 106. e saa
aaxlem ecc. L'interpretazione di questo Terso
dipende natoralmente dall'ipotesi che si ao-
ostta sol Teltro: secondo aloani, questo Tor-
io designa il loogo di nascita dell'aagarato
psnonaggio, Inogo compreso tra Feltro e il
MontBifeltro (per Gangrande Verona, per Ugao-
cione la Bomagna, per Benedetto XI Treviso);
wnandn altd designa la oondliinne misera del
iso nMoinMnto, ohe sarebbe stata d' naile
schiatta e tra amili panni : cbe d r int^rpnta-
zione meglio conveniente a dù cho d' indeter-
minato resta por sempre nella flinira dal voltro.
— 106. amile ItaUas l' Italia là^lalo ; cho è
quella per cai combatterono e moTirono ^U «rt>L
ricordati dal poeta: l'espreadoBO è Ttrgiliima
{En. m 622), sebbene nel poeta latino il ri-
ferimento geografico sia dive^^. — 107, Car
mUIas flfl^ del re dei YoIboì, morta combat-
tendo contro i Troiani {En, m 76S^L), —
106. Earlalo t Eorialo e Niso, troiani eà ami-
cissimi, morirono oombattez^dn contro 1 Voi-
sci (J^. ne 179446). — Tnrnoi ro dw liti-
toU, aociso da Enea {Em. xu 010^52). ^
100. Tilla : città, come altr^vv, Inf, xxtH ^5^
J^trg» TV 97 ecc., ma può li^niAc&re luu^ in
genere, come nel Bar. zx S9. — 111. iarl^
dia eoe r invidia di Laciforo, ch« lo mosso
a tentare l' nomo. — 112. me' ; meg-Iio, vim-
taggio. — 114. per loco et«riin ; attmv^rTo
r inferno; nel quale udirai le grìdji di àlspo-
razione e vedrai gli spiriti dolonti. — 116.
antichi : cosi dice gli spiriti dal lUmuiti, in
quanto Tissero nel mondo uitorlarmento a
Dante. — 117. ehe la seeoD Ja <ìcc. ciascono
dei quali manifesta con doloroso grìdii lo «tatn
di dannazione in cui si troTa r « «icoìida mo>
te ò detta nella sacra sorìttani »» per testi-
monianza di sanf Agostino (£>te^. csp. ^2),
la morte etema dei dannatL Vario ipL^ozloni
di questo Terso erano note a* oommen tatari
antichi, cosi riassunto dal Enti : « Qui ed du^
bita quello che l'autore intendosse p^r U se-
conda morte, e quanto a me pHje cks 1' as-
tore intendesse della dannaxions uliàrui^ c^g
sarà al giudicio : imperò ch^ ^mt invidia tot-
rebbon già ch'ella fosse, por nvoro pid cùm-
pagni... Altrimenti si pud Intonduro doUn
tmnuUaxwné, dicendo che lu ptima murto aia
10 DIVINA COMMEDIA
e poi vedrai color, che son contenti
nel foco, perché speran di yenire,
120 quando che sia, alle beate gékiti:
alle qua* poi se tu vorrai salire,
anima fia a ciò di me più degna,
123 con lei ti lascerò nel mio partir^;
che quello imperador, che là su regna,
perch'io fui ribellante alla sua legge,
126 non vuol che in sua città per me si vegna.
In tutte parti impera, e quivi regge,
quivi è la sua città e l'alto seggio:
129 0 felice colui, cu' ivi elegge ! >
Ed io a lui : « Poeta, io ti rìcheggio
per quello Dio, che tu non conoscesti,
132 acciò ch'io fugga questo male e peggio,
che tu mi meni là dov' or dicesti,
si ch'io vegga la porta di san Pietro
e color cui tu uà cotanto mesti ».
136 Allor si mosse, ed io gli tenni dietro.
la damìftrione dell' anima, quando li parte dal in cielo al ooapetto di Dio. ~ 123. eoa IH
corpo : la seconda morte sarebbe, quando Vtf eoe ; ofr. iW)^. zzx 49 e segg. — 134. la-
nima fosse annullata ». Secondo altri, gli an- perftdor i Dio, detto nel Bar, xn 40 « lo im-
tichi tpùriti dotmU sarebbero, non tatti i dan- perador che tempre regna ». — 126. fsl ri-
nati, ma soli gli spiriti sospesi d^ limbo, i bellaate ecc. Virgilio non avendo oonosduta
qoaÙ, ylyendo in disio perohó non ebbero la yera religione Ai di ooloro ohe (Jnf, iv 88)
battesimo, « gridano cioè invocano la seconda « non adorto debitamente Dio », perdo egli
morte, desiderano doò di poter morire una ò relegato « nell'eterno esilio » {I\irg, xxx
seconda Tolta dopo essersi fatti ciistiaui» IS): sol quale concetto Dante ritoma pift toI-
(L Dèlia OioTanna, Framm, di Hudì datUó- te (cfr. Purg. i 78, vn 7-8, 2&^ ecc.). —
seM, Piacenza, 1886, p. 84; P. V. Pasquini, 127. Ib tutte eco. Dio stende il suo potente
nell'^^Mari, I, p. 110 e segg). — 118. color dominio su tutto il creato, ed eserdta la sua
cke ecc. g^ spiriti ohe compiono l'opera della autorità nel paradiso con partlcolar legge d'»-
loro purificazione, e sono contenti delle pene more. — 182. questo Male ecc. l'errore pre-
perchó hanno ferma speranza di salire al dolo, sente e la dannazione che ne sarebbe la con-
— 121. alle qua' ecc. alla sede dd beati ti seguenza. — 134. la porta eoe la porta del
accompagnerà Beatrice. — 122. anlva ecc. Purgatorio, che d apre con le chiaTi che l'an-
Beatrice, la quale i^parirà a Dante sulla cima gdo custode (viaario di Pittro d detto in Purg,
del monte sacro por acoompagnario di ddo zzi 64) ebbe da san Pietro (ofr. Purg, tx. 127).
CANTO n
£ questo propriamente il canto, col quale si apre la prima cantica, e
contiene nei primi versi la proposizione e l' invocazione. Dante racconta
com^egli dubitasse di intraprendere il gran viaggio, non tenendosi degno
di tanta grazia; e come Virgilio lo confortasse, narrandogli da chi e come
fosse stato inviato a Ini per guida. Cosi incoraggiato. Dante oominoia la
sua peregrinazione [sera dell' 8 aprile].
raFEENO — CANTO IT
n
12
15
18
21
Lo giorno se n'andava, e Patìr bruno
toglieva gli atLimai, che aono in terra,
dalle fatiche loro; ed io sol uno
m'appareccktava a s ottener la guerra
b1 del cammino e si della pìetata,
che ritrarrà la meut% che non erra.
0 Muse, o alto ingegno, or m'aiutate:
ù mente, che acriveati ciò ch'io vidi»
qui si parrà la tua nobilitate.
Io cominciai ; « Poeta che mi guidi,
guarda la mia virtù, s'ella è possente,
prima che all'alto passo tu mi fìdl
Ttt dici che di Silvio lo parente,
corruttibile ancoraj ad iii,morÈale
secolo andò, e fu sensibilmente.
Però se rawérsario d'ogni male
cortese i fu, pensando l'alto effetto,
che uscir dovea di lui, e il chi e il quale^
non pare indegno ad uomo d' intelletto :
ch'ei fu del Palma Roma e di suo impero
nell'empireo ciel per padre eletto ;
H 1. lA ffiorso ecc. È il proemio *1U
prima «uiticis distiJito neUji prapoaizioiie del-
I*Bj:s<^meD.to (r. 1-6) e ziell' inTOcazioQO «Ile
ìtì£0 e alle Jjicoltà mtellettoAli (r, 7-9). —
M ft^SB Jata «oo. TolgQTTK «1 Boo t«rraijì0 1 eia
b 40» deli' a aprile. — « 1* ur braso «se,
• roflCQiità deùtUL notte Mpra-renioate tosUevv^
tolti Eli eieeri TÌTonti alle bro fatiolLe: rì-
OKda il TUi^iiiMLO (£H. Tin 26) : M Kox «rat
«t tBrt«« animidiii f«ga por omnm Àlitaiimquo
pecnlnnii^ie ^eiìtiA Bopor altufi habobatj*. —
2. aalDiali gii easeri aniimiti. — 4, ]* itier-
im occ- la lotta por riacsro Lo difEcoItà désllft
■ria « aspriL e forte » {Pwrg. u «55), « per eop-
portjàni il doloro doUa vista do' dannati. ^— ^ 8.
la veaU: la memoria Lo eVss69 v&naó ha.
nel T. 8- ore è dji notpjTj che reepresaiona
atrwaU licMama un" ìmaglno oara % Doate^
quella dei « liliro della tafioioria » (F. i^. 1 1),
ikito da lui Itene altrore * libro delia tooo-
ic m (Qanx. pi. 102); c&. H. Zìn^axelll in .^u^
1 99-101* — 7, O Mm« ecc. Si aotì cto *1 pria-
àpio doli* Inf* Dante n affida alle Muse e
ìlio propri© fflcolti àéy lagogno e doLla me-
Koha, poiché umani sono i sontiincmti e i
^tti dh^ogli ha a ritratto j al principio del Puty,
ÌBToca por io MiLse, ma in porticolai modo
CiibfFpe^ dalla bella t«^, pcuinhó ai acoinge
desciiroTi^ un regno di nutazKO cenano o di
iold eperauxo, qoAlo è qnoHo della poriflca-
xioos* « fìjaalmente al principio dol Far, ^i
tictìom&ndA ad À.poilo ateuo ohe Io sorx^igga
neU' eleraiaì a rnpptosontaro i regrai dfli bea^
ti. — 11. gaardA ecc. oonaidera, prima di &£-
fidanni a tale posso, iO Lo mio forze ioua
bast^Toli poi topipiera fi gran viaggio. Kota
il D" Chridio, p. 33^, che aTtìndo Yu^jilìo an-
nan^to il Tìag^o non solo attra^eno rin-
furilo, ma anche al paradiso, l'obbioijone eàe
Dante fa devo esasra adognata all'intero fìjik*
^0 : m Gr^dj tn (dica ai moe&tro) eh' lo eì4
r acmo da discender Bottorra ootn' Knon ?
da salir al clob come Paolo ?» — 13. Tu
di et eco. Virgilio, :En. vt 296-900» narra la
dUccaa di Eaoa, padro di Silvio, all' infor-
no montro ora ancora vivo. — li. Imnor-
Ulfl ievolo s la TÌta otema ; qnella stmaa clie
□aLla V. N. uSìè chiamata « fmodo secolo >•.
D'Ovidio : M È on^indicasiono pondera tamenta
IndotarminaU, pembà si prostì alla doppia ap-
plicazione por diM> dìTtìraì pensouoggi »». —
16, Pdrft ecc. Costmisd: <sd vomo d^ mUt-
kdù ntm pan indino, non dove sembrare
contro ragione^ sa Vavtvraatio d'OffM mali, se
Dio, i fu <soi1fl(S#, fn largo di talo giana. ivi
Enoa, pmisando l'alto effdio, tUohioU ^ua^,
{:;[}nflidorando gli effetti atraoidinaii cioè il
fondatore di TLoma e rantorità imperiala, cM
dofipm usdr di ini, che dovoano pnocodoro iL*
Ini, — 17, eerl^ce; largo, liberale; Die é
ciuaiiuito niella y. N. xli 9 m m^ de la cof-
tQfJA>K — lì a ìm\ forma antica, da *fK. —
21. empireo elei; la rosiìdou^a di Dio e dei
bwrtlj ofr. tì&w*n4j «Fuori di tutti qnosti
12
DIVINA COMMEDIA
la quale e il quale, a voler dir lo vero,
fùr stabiliti per lo loco santo,
24 u' siede il successor del maggior Piero.
Per questa andata, onde gli dai tu yanto,
intese cose, che furon cagione
27 di sua vittoria e del papale ammanto.
Andowi poi lo Vas d'elezione,
per recarne conforto a quella fede,
80 cli*ò principio alla via di salvazione.
Ma io perché venirvi? o chi 1 concede?
io non Enea, io non Paolo sono:
83 me degno a ciò né io né altri crede.
Per che, se del venire io m'abbandono,
temo che la venuta non sia folle:
36 se' savio, e intendi me' oh' io non ragiono >.
E quale è quei, che disvuol ciò che volle.
[nore deli], 11 Gattolioi pongono lo GHélo Em-
piieo, che tanto vaol Àie, quanto Cielo di
fiAmma ovvero laminoso ... E questo quieto
e padfloo cielo è lo luogo di quella Somma
Deità che sé sola compiutamente vede. Questo
dio luogo degli Spiriti Beati, secondo ohe la
Santa Chiesa vuole, ohe non pud dire menzo-
gna». — 22. la quale Boma e 11 quale impero
ftirono costituiti per la Chiesa, come residenza
dei pontefici successori dell'apostob Pietro,
primo papa. O. Capponi, Storia delta repubbl.
di Fir, I 170: « È Boma ideale, non quella
ond'egli [Dante] si chiamò tradito : l' impero
deriva da essa ed insieme Vammanto papalóf
sotto a cui non guardava egli per anco agli
uomini che lo portavano. Questa è una sorta
di professione di fede poeta in principio e ri-
masta ferma per tutto il poema; se non che
essendosi dopo all'esilio in lui destate nuove
passioni che pur volevano disfogarsi, senti
egli avere bisogno di scendere ad altro lin-
guaggio da quello che avrebbe voluto da pri-
ma serbare ». — 24. u': ove; troncamento di
uòt, ricorre firequentemente. — 26. Intese ecc.
Allude alla predizione fatta a Enea da Anchlse
{En, VI 756 e segg.), ch'egli avrebbe stabilita
in Italia la sua stìj^, dalla quale poi sareb-
bero discesi i fondatori di Boma e dell'impero.
-- 27. del papale ammanto: in quanto la
costituzione dell' impero romano ta una pre-
parazione all'autorità universale della Chiesa:
cfr. Fitrg, xvi 106. — 28. ÀndOTTl ecc. Ac-
cenna, come a fiitto indubitabile, al rapimento
deU' apostolo Paolo descritto nella II Epist.
a' CoHnxi^ zn 2-1: « Io conosco un uomo in
Cristo, il quale, son già passati quattordici
anni, ta. rapito (se fb in corpo, o fuor del
corpo, io noi so. Iddio il sa) fino al terzo
delo. £ so che quel tal uomo ta. rapito in
paradiso, e udf parole inulTkWli, le quali non
ò lecito ad uomo alcuno di proferire ». Ka
accanto a questo rapimento celeste la fantasia
popolare ne imagind anche uno%ll* infismo;
che si trova descritto nella leggenda della
Vision» di S. Paob (P. Yillari, AfiHeh» Ugg.
• tradix, oh» iihutr. la Dir. Oom., Fisa, 1865 ;
A. D'Ancona, I pnounori di Daniel Firenze,
1874): che Dante accenni a questa andata di
Paolo all' inforno, non pud assolutamente am-
mettersi, dopo il belllMimo studio del D'Ovidio,
pp. 82&^56 ; sebbene il poeta potò oonoaoore
quella leggenda, come altre medioevali intomo
allo stato deUe anime dopo la morte, e trama
anche qualche « vaga ispirazione e eerte mos-
se e certi germi, che insieme gli venivano
pur da altre parti » — Tal d'elezione : cosi
è detto Paolo negli AtU degli apoet, ixlb: ctr.
B$r, ZZI 127. — 29. per recarne eoo. H ra-
pimento di Paolo al cielo Ai principio della
sua oonversione aUa fede cristiana, raccon-
tata nel cit cap. iz degli MU : ti che oonfbrto
ecc. signifi<iherft incitamento a quella rapida e
fervida conversione che Ai per Paolo U prin-
dcipio della salute. È notevde tuttavia che
la Visione di 3. Faoh si chiude coli* appari-
zione di un angelo, che porta su nel delp
un'anima buona, e con un atto di grande mi-
serìcordla divina (la cessarione delle pene in-
fernali nel giorno della domenica); cosi che
anche da essa potevano venire eccitamenti
ai cristiani a durar nella fede. — 83. me
degno eoo. cfr. Pwrg. zzz 74. « SA. dtf ve-
nire lo m'abbandono: mi lascio indune a
inoomindar questo viaggio. ~ 87. E quale
ecc. Io mi trovai nella stessa condizione di
ohi disvuole dò che ha voluto e cambia pro-
ponimento, si ohe abbandona l'opera iniziata,
tatto distogliendosene. Venturi 287 : « Dante
r
i^^i
INFERNO - CANTO TI
13
e per duotì pensiar tangia propostai
BO si die dal cominciar tutto ai toUe;
tal mi feo'io in quella oscura costa:
pereKé, pensando, conaumaì la impresa,
42 che fu nel cominciar cotanto tosta-
< Se io ho ben la tua parola intesa,
rispose del magnanimo quell'ombra,
45 ranima tua è da vìi tate ofìesa;
la qual molte fiate Tuomo ingombra^
si che d^onrata impresa lo ri voi ve,
48 come falso veder bestia, quand^ombra.
Da questa tema acciò che tu ti solve,
dirotti perch'io venni, e quel che intesi
51 nel primo punto che di te mi dolve.
Io era tra color clie son soapesi,
e donna mi chiamò beata e bellaj
54 tal ohe di comandare io la richiesi*
Lucevan gli occhi suoi pia che la stella
e cominciommi a dir eoave e piana,
57 con angelica voce, in sua favella ;
^ 0 anima corteee mantovana,
di cui la fama ancor nel mondo dura,
60 e durerà qu^ìto il mondo lontana j
4abit/à di tkon &t«t fona bost&nti & ooinpiof*
fl; viaggio dfi' tie reguì pmpovtogll dm Yurgi-
jlo M^ ^ 40. «MUTA ettwtM : è ^qaU« dèi nìOQte,
dftllB ^iiAl«t •«g:iiitftndo Virgilio, Duita li an-
dava aUàntiuumdo : enendo già Tiotte non ora
Olmnioata M flolo. — 41, ^QiftDdt» eoe. noi
mJo petislcro Tonno mono il prciponimontot
eii« cosi prontnmonto avoro fonuato piùna,
al ■«npliee bartto dì Virgilio. — ««aauual t
Xjomb, t « OonmmùrAj in ooiiispondcn^ al
latino ecmsamofi, ralo finirà cioè pir/iiHDJU-
rt ; ma qtU adopralo il noEtro poota poi tvùrt,
■1 Hiiao nnkamonta di atssnj di oAAanio
man; ^ ^nioL dira <ù^ tmmò ì pual co' quaU
tHO^rm dìotro a Tìigliìoji. ^ 4B. parolai
la^spiriaiBonta il «on^^eito tacchiiua n«lia p^
Toìa X coti fipeoso in Dante^ In/l xxm 76, Furff^
IT 57» j3t73.— 4S-e<HB*ùlio<Kc.Biti: *rco-
m^ la boftia sì lirol^o e toma a diotiOi, quando
adombr» por falao redoro, oiod che U pAi Yfih-
éar qfnal oha con Tode; ooaf l'aomo ipoaso
Tolt» toma a dìetio di quello tha à preso di
taiv, ATóudo pfì^TO di qnoUo ehfi n<3ii doo «to'
re, partiniloll qoello cho non è ». — 43. ti
aoìra e ti difiCu>Iga, ti libati dal timore dio ti
portartia. ^ &L piato eoo. momont» in oho
^ proral iiiuaaidinonto del tuo orrore : dok*
tcrrnm arcale*, p«r daU9 (cfr. E, 0. P&nsdi,
Mil. OI JJ&l>.-^fi2. i* «n too. Sayae&doi dot-
tori deUa dhìMa Bant» peno nolla regicmn \n-
femalo il limbo d«t bambini o dol pB4ri : noi
Limbo, ila qoalli cho lon ao<p«i, poiché tìtooo
«dftxa tfmn$ in ooDtbitlo desiù do! paradùto
(ih/: [T ai s aegg.)? ooUoca YirgilJo, — 63,
donaa ^oc. Bo^tiico rs^aute di bollexza e di
ìjoatitudinOr ti eh* lo me Io olfeni pronto ai
f^acii cenni : ofr. I\trg. i 62 e hi^. -^ fi6. IjV^
e«Tafi eco, Ck. la dworldon* di Beatrlco vi-
Tonte (Ctafw. p. IIQ) : « Da ftli occhi doUu mia
donna il mmoTO Un Inm* si gentil, obo doT»
apparo SI Todon coio, eh' oom non pnù jitn^
rOf Fot Loìo albozza o pot Iqto esaor nnove w,
— la. itolìa I Io <t«llA in gouorale. come oolla
V. N Exm 1I<G : « tarb&r lo »aìo od apparir la
etolla »i a nel Cans. p. 1^ i ■ chiamai la
FtoU& taloT tofiobros» », Utrì itìtondono la
pioUa di VoDerOf o altii Àuainienta crodotto
che BÌa detto del iole. D Toimca tichisma il
v«tso di Lapo Gianni ; « E gU occhi tuoi ia-
OQnti corno atoUa ». — 56. «oart a piana : ag-
gottivi la fondoM à' arveibi : eoaromento o
Eoronamenxo, corno Beatrioe era aolita faTolla-
ra. — 60, e dorerà ow. Vonturi 463 : « Altri
log^: ti mótAf ed. è boi oonoottoi ma b Jo^
^iono U mondo col lipetoro V idoa do! Tonu
proc i-Jonto f6^ pia nat tiralo o fom^^DCo pld
puotLca: e d'altra parto d Tana o d Vaìua,
lazioue Yen^no a dire in aostanaa lì j&odo-
14 DIVINA COMMEDU
ramico mio, e non della ventura,
nella diserta piaggia è impedito
63 si nel cammin, che vòlto è per paura:
e temo che non sia già si smarrito, ^
ch'io mi sia tardi al soccorso levata,
GG per quel eh' io ho di lui nel cielo udito.
Or muovi, e con la tua parola ornata,
e con ciò eh' è mestieri al suo campare,
CO l'aiuta si ch'io ne sia consolata.
Io son Beatrice, che ti ùlccìo andare;
vegno di loco, ove tornar disio;
72 amor mi mosse, che mi £& parlare.
Quando sarò dinanzi al Signor mio,
di te mi loderò sovente a lui'.
75 Tacette allora, e poi comincia' io :
*0 donna di virtù, sola per cui
l'umana specie eccede ogni contento
78 da quel del che ha minor li cerchi sui;
tanto m'aggrada il tuo comandamento,
che l'ubbidir, se già fosse, m'ò tardi:
81 più non t'è uopo aprirmi il tuo talento.
Ma dimmi la cagion, che non ti guardi
dello scender qua giuso in questo centro
Simo ». - loitona: ofr. B»r. zr 49. — 61. dirine. — 74. 41 te al loderò eoo. ti acqui-
Amico Mio eoo. Due principali ipiegazioni li stero gruia presso il Signore, ricordandogli
danno di questo Terso : secondo aloonif Bea- 1 tnoi meriti. — 76. 0 denaa di Tlrttf eoo.
trioe Tnol dire ohe Dante amò lei e non le 0 Beatrice, piena di virtù, per la qnale g^
esteriori belleae, i beni estrinseci alla soa nomini vinoono d'eccellenza le creatore con-
natora; secondo altri, ohe sembrano pili nel tonate entro il délo della lana: secondo il
Teso, Tool dire ohe Duite ta caro a lei ma non sistema segafto da Dante la terra era al ceti-
alla fortona, che lo bersagliò. — 62. ò Inpe- tro del mondo e dei noye deli mobili, il primo
dito ecc. : ctr, il passo parallelo, Inf. 1 85^. de' qoali rispetto alla terra era qaello della
— 67. Or mnoTl eco. Corri in sao soccorso, lana; ogni eontmto da q%iel cM ecc. vale don*
e con le parole ohe gli dirai e con l'assistenza qae jogni cosa oontennta al di qoa del cielo
che gli porgerai, liberalo dall'assalto delle pi6 ristretto, del dolo della lana: cfir. lancia
fiere: ò qaeUo stesso concetto che in I^trg, al Buy. i 15. — di Tlrttf : « rdna delle vir-
xxm 180 è espresso dalle parole con ingegno tati » ò detta Beatrice nella F. N, x 10; ofir.
• eon arU, con tatti 1 mezzi che si possono anche iVvy.xxzi 107-109.-80. l*«bbldlreco.
troTare all'altrni salate e con gli allettamenti se già aresd recato in atto U tao comando,
della pania ornata, ~~ 68. al sno campare s mi parrebbe d'esser stato pigro all'abbidire ;
cfr. Pufrg, I 62. — 70. Io son Beatrice. Sto- espressione mirabile ed efficace nella saa bre-
ricamento ò la donna amata da Dante, la vita: cfr. Inf» tst 87. — 81. aprirmi U tao
qaale, secondo la testimonianza dd Boccacdo talento: manifestarmi la taa volontà. — 83.
e di Pietro flgliado dd poeta, ti fiorentina centro: l' inferno dd qaale il limbo ò una
0 figlia di Fdco Fortinari: Danto la vide la serione. Si cfr. con le parole di Giordano da
prima vdta nd 1274, se ne innamorò nd 1288, Rivalto {Pnd, I 147): « La terra ò centro
la cdebrò continaamento, anche dopo il ma- dd mondo . . . però che ella è nd mezzo di
trimonio di lei con Simone de' Bardi, avrenato tatti i deli e di tatti gli dementi : ma il di-
intomo d 1286; 0 la pianse morta, nd gin- ritto centro d ò appunto qad miluogo della
gno 1290 (cfr. V, N, i-xzziy). AUegorìcamento terra dentro, che ò in mezzo della terra, come
rappresenta la IMo o la sdenza delle cose la granella in mezzo dd pomo. Qadlo 4 U
INFERNO - CANTO JI
15
Si dall'ampio loco, oye tornar ta ardi \
*Da che tu vuoi saper cot^mto addentrOp
dirotti brevemente, mi rispose,
87 perdi' io non temo di venir (^ua entro*
Temer si dèe di sole quelle cose
e' hanno potenza di fare altrui male:
90 dell'altre no, che non son paurose.
Io son fatta da Dio, sua mercé, tale,
ohe la vostra miseria non mi tange^
93 né fiamma d'esto incendio non m^assale.
Donna ò gentil nel del, che ei compianga
di questo impedimento, ov*io ti mando,
96 si che .duro giudido Ik. bu frange.
Questa chiese Lucia in suo domandOf
e disse: - Or ha bisogno il tuo fedele
99 di te, ed io a te lo raccomando. -
Lucia, nimica di ciascun crudele,
si mosse, e venne al loco dov*io era,
102 che mi sedea con l'antica Eaohele.
Disse: - Beatrice, loda di Dio vera,
foxtto oentrOf ore noi crediamo sìa Tizifemo ».
_ 84. MBVlo loco: il delo empireo che « più
uipio si spazi»» iHirg, zxvx 68). — ardi:
il Tb. €Brd$n Tale desidenie ardentemente.
— 86. eataato addestro t Booo. : « si profonda
•d oocolta cosa ». — 88. Ttmer eoo. Boco.:
« Siooome Axistotile nel tono dell'£Moa ynole,
il non temer le cose ohe poason nnooere, come
Kmo i taani, gli incendi e* dilavi dell'acque,
te nùne de^ edifici e simili a queste, d atto
41 bestiale e di temerario nomo; e cosi te-
aere qiialle ohe nnooere' non possono, come
nzebbo ohe raomo temesse nna lepre, o il
rotato d'ima qnagUa, ole coma d'nna Inmapa,
è atto di rUissimo nomo, timido e rimesso:
Is qnàJà dme estremità quésta donna tocca di-
wiHitamffiìtOi dicendo esser da temere le cose
(±0 poesonff nuoosse». — 90. pavrosei ca-
paci di fax pan»; oosf nella V, N. m 5:
« ima figura d*nn signore, di pauroso aspetto
a chi la guaidasse ». ~ 93. la Tosira mise-
ri* ecc. né la miseria di toì, che siete nel
babo senza aloana speranza di beatitudine,
BÓ i toxmenti, cui sono dannati gli spiriti mal-
Tsgi nelle altre parti di questo regno, mi toc-
cano. — 94. Donna h gentil eco. Questa
ionns gentile ò la Vergine A£aria, il nome
aaiia. quale come sacro non ò mai pronunziato
vìPMf»; nel senso allfgoxico è simbolo della
pMia diTina: ofr. Bir^. zxvi 69^. — si
eomplaage: alcuni intendono: piange insie-
aeeon me; altri: si duole, si rammarica al co-
lpetto di Dio. — 96. s{ ehe duro eco. mitiga
k sererità dalla divina giostizia, ottenendo il
perdona? b1 peocnl4ìn3« -^ 97. Qieita oc«. La
YergiDe chiamò Lucia Taooomuidandole Dmita
suo fedele. Lucia è la sanU nuutlro elrócu-
sana, venorata com^ aìutatrice di quelli oh«
soffrono mail d«lla Tt«ta; alltìgt]riDatQ«iito è ti
simbolo dfllila grada ìUnmlniLDtfl, Seconda il-
trisimbtìl<^ggift la4ÌTiaj»gmstisi&:Qfi-. ilboUo
scritto di E. Fomaddrif Studia pp. t-^. —
98. tao fede lei foii« è wxàmintB. ^^ ìt fpe^
dale dÌTtyzìoiie che Dante, colpito più Tolto
da infónnità *gU occhu potò aver» par saota
Lucia. ~ 100. al mica 41 «li» a a erodale;
perché In gta:;La UlumiriJiiilo rtsplplidQ eclji-
mente agli aaiini miti. -^ 101, «1 niOMe ecc.
GiuL : « B04trioe in oldo è ooll^cata accanto
Bachfilo, • di sottcì, Iliache h^n dirctttunonto,
a Maria, E quindi ella rimanera dalla parto
opposta a Loda, U quale porciA Ò Terijùmile
òhe sì moTTiisso di etto luofo per p«)-lan> con
Beatrico n i di. Par. nxii 7-9, 136-138. —
102. Eachei e; c£r. Pitrg. xim it>t. ^ 103.
loda di I)Ì4> rei-a^ Di Beatrice vigente seri-
TO Danttì, K N. un 2 ; « Tonno in tanta
grazia do lo genti eh» quando pusara por
via, le persone oorraano per Yaltì» lei. . ,
Ed altri diceono : * innesta è una marovi-
glia; che benc^tto aU b S(?gnoro ohe xf
mirabilomonte lao adoperare I * » Quanto a|-
l'allegeria, icriro il Limd. : m Motti filoso^ e
teologi ^ntUì $1 aonù lu^gnati d' inTostlji^
l'eccellonza delta nataiA diTina^ ma iwa^una
ha potuto troTikT il vóto^ oi-me la toolcffia
de* cristiani : dunque «ola Beatrice A Teni loda
di Dio ; doò, sola la nostra teologia loda Iddio
16
DIVINA COMMEDU
che non socoom quei die t*amò tanto,
105 che uscio per te della volgare schiera?
Non odi ta la pietà del suo pianto»
non Tedi tu la morte che il combatte
106 su la fiumana, oto il mar non ha vanto ? —
Al mondo non f&r mai persone ratte
a &r lor prò, né a fuggir lor danno,
111 com'io, dopo cotai parole fatte,
venni qua già dal mio beato scanno,
fidandomi del tuo parlare onesto»
114 che onora te e quei ohe udito 1* hanno'.
Poscia ohe m'ebbe ragionato questo,
gli occhi lucenti lagrìmando volse;
117 per che mi fece del venir più presto:
e venni a te cosi, com*ella volse;
dinansi a quella fiera ti levai,
120 che del bel monte il corto andar ti tolse.
Dunque che ò? perché, perché ristai?
perché tanta viltà nel core aUette?
123 perché ardire e franchesia non hai,
poscia ohe tai tre donne benedette
euran di te nella corte del cielo»
126 e il mio parlar tanto ben t' impromette? >
Quali i fioretti, dal notturno gelo
t
a rtn Iodi ». — lOS. p«r U: eoa gli stadi
• oos irli scrìtti, oad» toU* oelebmtl. — lOS.
la fMa «oc fi pùnto «ngoadoso, «ilwiiMwr»
che opyriae Duto. « 107. la HMrto mo.
Blaao: « VedxMMO naDa Mori» la moxta ^éii-
taal» • MUa fimmam la Tita deU'noao tam-
puitita daPd pawkmi; cmHwtarntmkmwtmlo
Bon Tvol dir già che il mare non ha Tasto
Mfca Aihwnnfii^ poidié Acheronte non irtoe-
ca tnhotano al aaia, abbono ohe il mvo non
pad arw nato nOa inmoan, oono qntDo
che è Bflao baoiecioo • maao pedoolooo.
Donde è chiaio ohe la Morln, la quale Bxnno-
àa il poeta, è nna ooea sola odia tre fiexe, e
la timmam colla setra ». — 109. Al Man4e
eoe V«Kbnid97: « Oaldo • pietoso oonestto
è racchìiBO nella siaOitaffine; neDa qnele
Taofai lieonieie eh» Bwtzioe, imagine para del
pómo iMor del poeta, è simbolo della sdan»
dirima, ohe ia pco all'anima disiosa del rero,
e ftiga 11 danno delPstrote ». — lU. parale
fktta: parole oha Locia ai disse. — US. •-
daadf-ni' eoe. Bsne osserra il Tomai, ohe
« la beOian e parità deU' ingegno di Yìigilio
è poeta da Dante, qoaai grado dalla 8oì«nia
HMpnffils all'eterna ». — 115. raglanate:
detto. — 116. lagilsisada: i qnali lagnma-
dod msntro mi pregara
(efr. iWy. xzz 141). Qnaato al genmdìfii
finzione di paitk^ ofr. A/l zzzi Ikì
Tolae: Beco.: «Tsno il cielo; doveèqid|
intsttdsvaehe, dettola saaintoulooesl
gilio, si tonò: e qoesto lagrimaie SDeoiaj
d'aibaioM si diBoetca, dimosttandiiii aal
nn atto d'acato e ■aialmsmiiils di dal
le qnali, eome hanno piagato d'afcsnsl
la qnale desUsfino, iaoontaneoto lagiiai
mostiando in qnaUo il desiderio loro m
axdeatisstaao». ~ 117. par che eeo. efr. A
zxvn 137. ~ 118. Talaas ToUe; mmumi
qnsnto nei ooatemporansi di Diate. (1<
Parodi, Bau. miai) ^UO.qnsDa Itti
lupa; cfir.191 e sagg. — 12L rlitaitil
rùtarv ne|^ aaticki ▼ala proprianaite |
«Mm, oome qni e spesoo in Dante. - 121i
letto: U Th. affiffari qii e naU'£^. a
significa maaiiiastaaeato oeoeyNariik iNiM
cuors. — ULtreaaaae; laYeigiM,L94
BeatEiea.— 127. 4)aaU I aeretti eoo. Tenti
a qnestosqnisitiasiaM tra le sfaniUtaiisidri
sohe paragona i Tsni del FoUfisao, £M|
38, 6: « SoigeToa tngiadod in kco itslf j
fior chinati dal aottamo gelo », e «wUi
Tasao, (Ter. W. IT 75, 8: «Pamii mi^
sieoM e bianchi ftoii, 8e por gl'iniga vi
giadoao nenho, QaaiiAo soll'ifpenrdt'l
r
INFERNO — CANTO n
chinati e chiusi, poi che il sol gP imbianca
129 si drizzan tutti aperti in loro stelo;
tal mi fec'io, di mia virtude stanca,
e tanto buono ardire al cor mi corse
132 ch'io cominciai come persona franca:
« O pietosa colei che mi soccorse,
e tu cortese, che ubbidisti tosto
135 alle vere parole che ti porse!
Tu m'hai con desiderio il cor disposto
si al venir, con le parole tue,
138 ch'io son tornato nel primo proposto.
Or ya, ohe un sol volere è d'ambedue:
tu duca, tu signore e tu maestro >.
Cosi gli dissi; e poiché mosso fue,
142 entrai per lo cammino alto e silvestre.
albozi, Spiegano a l'aare lioto il cbiiuo [
bo ». — 128. ImblaacA : iUnmina dalla ehm
bianca hioe. — IdO. Ul mi fselo eoe cod io,
che mi eia eooxaggiato, a* conforti di Vìigìlio
jipnà aidixB. — 182. frameftt libera da ogni
timoie. — 185. yere parale : quelle di Beatri-
ce, coma di colei che «non por^ mentile Però
che Minpre al primo vero ò preeso (Bir. ly
96) ». — 188. priae propeiiot il primo pro-
ponimento, che ta qoello di segoire Virgilio;
cfr. Inf, I 180 e aegg. — 140. tm ecc. Beco.:
« tu dueai quanto ò nell'andare; U^ ii;ti«n,
qoantc è alla preeminenxa e al coraandAP&;
• tu fiuMstro, quanto d al dimostrare ». Si t^j-
drà leggendo il poema come Dante lìf snsca
sterno l'ano o l'altro di questi titoli ti Vir-
gilio, secondo il Tarlo officio che ilBp0ttty&-
mente egli compie o di guida o di sigiiùn» a
di maestro. — 142. per lo esamino eco. per
la via difficile e selvaggia dell'infetuo : ttt,
Inf. xzz 84, doTo è detta oommin #i£reaM?,
CANTO in
Dante e Virgilio entrano nell'Inferno, e si trovano nel yestlbolo^ ove
sono raccolti i vili; e pervenuti alla riviera d'àcheronte osservano il luts-
ssLggìo delle anime sulla barca di Caronte: in un grande commovi pi e nto
delle regioni infernali. Dante cade vinto da nn improvviso baleno e tuos^ì
ò trasportato all' altra riva del fiume [sera dell' 8 aprile].
< Per me si va nella città dolente,
per me si va nell'eterno dolore,
8 per me si va tra la perduta gente.
Giustizia mosse il mio alto fattore,
fecemi la divina potestate
6 la somma sapienza e il primo amore.
m 1. Per JM eoo. Questi primi nove versi
sono inscrìtti sopra la porta dell'inferno per
ammonimento e avvertimento alle anime che
entrano nel regno del dolore.— città dolente :
l'intieiro inferno, che si può considerar quale
la propria sede del dolore; come il paradiso
è U città di Dio (cfr. Inf. x 126). Alcuni in-
DiJfTI
tendono « la città che ha nome Dite {Ltf. vtii
68) >», che d sola una parte dell' inf0niD< —
5. fecemi eoo. Circoscrive la Trinità nù' sani
attributi; seguendo Tommaso d'Aquino [Sttnk'
ma theol.f p. L qu. xxzix, art. 8), il qcioSo
dice che al Padre si appropria la poton/u <.p>-
(w(a(s), al Figlio la sapienza (mumma sajttjfnxa)
1
18 DIVINA COMMEDIA
Dinanzi a me non far cose create,
se non eteme, ed io etemo duro:
9 lasciate ogni speranza, voi, ch'entrate!»
Queste parole di colore oscuro
vid'io scritte al sommo d'una porta;
12 per eh* io : < Maestro, il senso lor m' è duro ».
Ed egli a me, come persona accorta:
« Qui si convien lasciare ogni sospetto ;
15 ogni viltà convien che qui sia morta.
Noi Siam venuti al loco ov'io t*ho detto,
che tu vedrai le genti dolorose,
18 e' hanno perduto il ben dello intelletto >.
E poi che la sua mano alla mia pose,
con lieto volto, ond'io mi confortai,
21 mi mise dentro alle segrete cose.
Quivi sospiri, pianti ed alti guai
risonavan per l'aer senza stelle,
24 per ch'io al cominciar ne lagrìmai.
Diverse lingue, orribili favelle,
parole di dolore, accenti d'ira,
27 voci alte e fioche, e suon di man con elle,
facevano un tumulto, il qual s'aggira
sempre in quell'aria senza tempo tinta,
80 come la rena quando a turbo spira.
Ed io, ch'avea d'orror la testa cinta,
e allo Spirito Santo la bontà {primo amore), tesca oon la Tiigillana (J^ ti 657) : « Hino
— 7. Dinanzi eoe Seguendo la tradizione exaodiii gemitoa, et laeva aonaie Verbexm :
ey-aogelica (Matteo xxv 41), dice che l'inferno tom stiidor foni, tractaeqne catenae » ; dove
fti Oleato prima dell'uomo: quando non r'e- meno -viva è l'espieesione del tormento mo-
rano altre cose create che le eterne, dod gli rale, che il liyela inyeoe nell'efficace rappre-
angeli, i deli e la materia prima.— 8. f temo: sentazione di Dante. Venturi 67: « D paia-
etemamente; d il eolito agg. in fonzione ay- gone del tomolto yario e oonf&so di quelle
yerbiale (ctr. Inf, xix 12). — 10. di colore anime furiosamente aggirate, e di que' suoni
ose«r • : a neri caratteri ; quaU il conyeniyano disperati, col yortiooso riyolgìmento della rena
all'oscuro regno del dolore. — 12. il senso mossa dal turbine, è tutta cosa di Dante. £
ter m' è dnres hùd. solamente quello dell'ai- si ponga mente al yaloxe degli epiteti e alla
timo yerso, ma il senso di tutta la terribile stupenda gradarione dal pi6 al meno. Prima
iscrizione doyeya esser grayoso a Dante; nò nota 1 linguaggi, poi le pronunzie, poi le p4^
gi& solo perché egli temesse di non nsdr pid rde, l'accento, la yoce, il snono ». — 24. al
dall'inferno, ma perohó ne traeya come un eominelar: a sentir la prima yoHa quel tu-
presentimento dei nudi e dei dolori ohe gli si multo doloroso. — 26. Diverse lingue: se-
saiebbero preeentatL — 14. Q«l ecc. il oon- oondo alcuni, linguaggi difléienti, poiché qui
cotto dantesco risale a quel & Virgilio, .^i. conyengono gli q^tldaogni paese; secondo
yx 261: « Nunc aninùs opus, Aenea, nuno altri, linguaggi che il dolore fa disformi dagli
pectore firmo »: cfr. Jnf, yn 4, ym 104, zvn umanL — 27. ioen di buib con elle: rumore
81, xziy 66, xzxxy 20. — 16. t' ko detto : di mani percosse, che aocompagnaya le strane
cfr. Inf, I 114 e segg. — 18. il ben dello e yarie yoci dei dannati. — 29. tensft tempo
intelletto: la cognizione di Dio, nella quale tinta: eternamente oscura. Altri spiegano:
consiste la spirituale beatitudine. — 21. mi senza yicenda di luce e di tenebre; che toma
mise dentro : m' intiodusse neU' inferno, a poi, in fondo, lo stesso. — 80. quando a
yoder le cose nascoste agli occhi degli uomini. turbo spira: quando il yento soffia turbino-
— 22. QvÌtì eoo. 8i cfi:. la descrizione dan- samente. — 81. are* d'orror eoo. ayeva la
INPERNO - CANTO IH
19
dissi : < Maestro, che ò quel eh' i' odo ?
83 e ohe gent'è, che par nel duol si vinta? »
Ed egli a me: < Qaesto misero modo
tengon l'anime triste di coloro,
86 che visser senza infamia e senza lodo.
Mischiate sono a quel cattivo coro
degli angeli, che non furon ribelli,
89 né fClr fedeli a Dio, ma per sé fóro.
Caccianli i ciel per non esser men belli:
né lo profondo inferno gli riceve,
42 che alcuna gloria i rei avrebber d'elli ».
Ed io : < Maestro, che è tanto greve
a lor, che lamentar gli fa si forte? »
45 Rispose: « Dicerolti molto breve.
Questi non hanno speranza di morte,
e la lor cieca vita è tanto bassa,
48 che invidiosi son d'ogni altra sorte.
Fama di loro il mondo esser non lassa,
misericordia e giustizia gli sdegna:
51 non ragioniam di lor, ma guarda e passa ».
Ed io, che riguardai, vidi un'insegna,
che girando correva tanto ratta
tasta itordita per i pianti e i guai risonanti
iatomo aiiie.Bioordailyiigiliano,.^i.n 669:
« At B» tua primom nema dxoamstetit hor»
TOT », ma ancho l'altro dflll'.^». ti 669: « str»-
pttonqiiie extaaitaa haositii; tanto più che
la eoni^ondenza oontinna anche nella do-
manda zirolta alla goida, J^ ti 660: « Qoae
■oriemm tÈ/Amf o Tixgo, efEaie; qnihosye Ur»
gentor poanitf quia tantoB plangor ad aoras ? »
(Moore, I 193). — 84. Ki agU a se eoe AUa
dvplioe domanda di Dante, che cosa foaser quei
Imenii • quali spiriti fossero cosi afflitti,
VlrglUo risponde oomprensivamente , esser
qwéUì ì pianti dei viU. — 86. elis Tlsier eco.
senza arem il coraggio di operare il male né
qaeUo di Une il bene; e però non meritano
V ««^«ni^j ohe è pena dorata ai malvagi, nò
la lode o il bnon nome^ ohe ò premio dei vir-
tnceL « lodo : lode ; con nsnale cambiamento
della terminazione e del genere ( cfr. £. O.
Parodi, BulL IH 119). — 87. eattlTO «oro
eoe. la vile schiera degli angeli, che nella rì-
ì^iii^Mi di Lucifero contro Dio non si dichia-
rarono né per Tono nò per l'altro, rimanendo
neutrali: idla tradizione biblica d ignota que-
sta ocfaisra di angeli nenttali (cfr. Moore, 1 80),
che sono per altro ricordati nella leggenda del
Tiaggio di san Brandano (cfr. D'Ancona, IV»-
tmnoHdllkmtéy pp. 61-62). — 89. tìrot ta-
looo; è una fonna forte, frequente in Dante,
■a seaipre in rima (cfr. E. 0. Parodi, Bull,
m 131). — 40. C'aeciaall 1 elei oin^. J doti
discacciano lungi da sé questi img«1i che fu-
rono codardi, perché didla proson^ éì osai
riceverebbe qualche detrimento la. jurr^tta bel-
lezza del paradiso. — 42. ehd alunni eo&
perché i dannati si glorierebbe»} d'avor mm*
pagni di pena quelli angeli cho ddd pocCA^
rono di ribellione, ma solamente di viltà. -^
48. che hi qual pena ò ecc. — 45, dle^roltl;
U io dieerò, te lo dirò: spesso in Dimtid &' in-
contrano le forme primitive del vsrbo dicfra.
— 46. Questi eco. non hanno alcuna vp^mum
che il loro misero stato abbia a cuasAr«, poasa
aver fine. — 47. tanto bassa; Booo.: m doA
tanto depressa, avendo riguardo ohe In infor-
no sieno dannati in etemo, e $u nel nondo
di loro alcuna memoria non sia ». — 43. d'^
gal altra sorte: di qualsivoglU condifiane
differente dalla loro, anche di quella dai dan-
nati alle pene più gravL — 4VL Fama oco.
n mondo degli uomini non concede agli ignavi
alcuna fama; né la buona che selenita olla
virtuose opere, né la cattiva ch(3 ticn dLotro
alle male operazionL — 50. ads rltrordla qì:c,*
Sono esclusi egualmente dal p.ir;idijj<j , ore
trionfa la misericordia di Dio, o dall' in renici,
ove si manifesta terribile la divina gì nitida*,
cfr. il V. 63 ove lo stesso concetto ò ribniJito
in forma di stupenda gagliardia, ^51. aoB
ragioniam ecc. Verso di mirabili] (^ffìnncia,
dovuta tutta alia brevità della socoudu partM
20
DIVINA COMMEDIA
54 che d*ogni posa mi pareva indegna:
e dietro le venia si lunga tratta
di gente, ch'i' non avrei mai creduto
67 che morte tanta n'avesse disfiE^ta.
Poscia ch'io v'ehbi alcun riconosciuto,
vidi e conobbi l'ombra di colui
60 che fece per viltate il gran rifiuto.
Incontanente intesi, e certo fui,
che quest'era la sètta dei cattivi,
63 a Dio spiacenti ed a' nemici suL
Questi sciaurati, che mai non far vivi,
erano ignudi e stimolati molto
66 da mosconi e da vespe ch'erano ivi
Elle rigavan lor di sangue il volto,
che, mischiato di lagrime, ai lor piedi
69 da fastidiosi vermi era ricolto.
E poi che a riguardare oltre mi diedi,
vidi gente alla riva d'un gnu fiume;
72 per eh' io dissi : € Maestro, or mi concedi
ed è di qiielli che, toccando la pecfezioiie nel-
l'espressioiie di un pensieroi sono diyenati
modi dell'oso cornane e quasi proverbiali. —
54. d*egal fMft ecc. mi pareva esser con-
dannata a girar etemamoite, e però incUgfuit
non giudicata meritevole d'alcuna benché mi-
nima pausa. — 65. e dietro ecc. e dietro al-
l'insegna correva una si lunga schiera di
gente, eh' io non avrei mai creduto che tanti
uomini fossero mortu Della pena dice bene
il Buti : « Questa pare conveniente pena a co-
storo, che mai non anno voluto fare alcuna
ooea, che sieno posti a sempre correre in giro,
a dò che non abbino mai line e mal non tA.
posino coloro che sempre si sono posati e sono
vivuti pur per mangiare e bere e dormire,
come le bestie ». — 58. alena: sebbene Dante
ne riconoscesse pi6 d'uno, non designa per
nome alcuno di questi vili, indegni di qua-
lunque fama. — 59. eolal ecc. « Chi costui
si fosse, non si sa assai certo », dice il Bocc.,
e veramente gìÀ fra i pi6 vecchi commenta-
tori d discordia circa il personaggio cosi oscu-
ramente indicato da Dante. Secondo i piò, si
tratta di Pietro da Morrone, eletto papa col
nome di Celestino V nel 1294; il quale dopo
cinque mesi abdicò, giudicandosi inetto a go-
vernare la Chiesa : cosi fu eletto Bonifacio Vm,
che Dante considerava come prima origine
dei mali di Firenze e quindi anche dei suoi.
Quest'opinione non pare accettabile a chi
giudica impossibile cho Dante facesse giudi-
zio cosi sinistro e ingiusto dì un uomo di pura
vita qual fti Celestino V (cfr. Inf, xxvn 105),
santificato dalla Chiesa poco dopo la sua
morte, e perché non si sa dove e quando il
poeta possa averlo yeduto nel mondo, si da
rìconoecerae poi l'ombra nell' infèrno. Ma gli
studi del Tocco, BibL dantesoa, VI, pp. 81-88,
e del D' Ovidio, pp. 418-434, hanno ormai
rimosso ogni difficoltà, dimostrando che Dante
potè ignorare la santificazione di Celestino V,
e che nel y. 59 non ò necessario intendere
espressa l' idea d' un riconoscimento perso-
nale (cfr. 31/1 IV 122). — 62. eattivl: vili ,
in questo senso usò la stessa parola, e proprio
in un luogo dove è ricordato questo di Dante,
anche F. degli TTberti {DUtamondo iv, 21, 87):
« Tra lor cosi per cattivo si danna D misero
Giovanni lor delfino. Che rifiutò l'onor di
tanta manna, Come ò in inferno papa Cel^
stino». — 65. eraao ecc. Giuliani: algm*-
di,,., 1 pusillanimi, perché ninna bontà gli
attrasse né or frtfia ta loro m«mona\ Tengono
di continuo $timoiaH da vili animalucci, da
che non obbedirono.al nobile istinto <mde siam
tratti * a seguir virtute e conoscenza ' (Inf.
xzvi 120) e sentendosi costretti a dar loffHmó
e Mngu» per pascolo di vilissimi e sempre
rinascenti Termi. Imagine evidente di una
coscienza perennemente lacerata dal senti-
mento della propria viltà e dall'invidia di
qualsiasi cUtra torte», — 71. gran !!«■•:
l'Acheronte, il primo e il pi6 grande dei fiu-
mi infernali, òhe Dante trova nel suo viaggio;
nasce dalle lagrime che piovono dalle fessure
del gran Teglie di Creta, simbolo del genero
umano (cfr. J&t/l nv 116), e gira tutto intomo
al baratro infernale, flndtié nel quinto cercèio
dilaga nella palude di Stige (cfr. Inf. vn 106).
INFERNO — CANTO HI
21
ch'io sappia quali sono, e qaal costume
le fia di trapassar parer si pronte,
76 com' io disoemo per lo fioco lume »•
£d egli a me : € Le cose ti fien conte,
quando noi fermerem li nostri passi
78 su la trista riviera d'Acheronte >.
Allor con gli occhi vergognosi e bassi,
temendo no 1 mio dir gli fiisse grave,
81 infino al fiume di parlar mi trassi.
Ed eooo verso noi venir per nave
un vecchio bianco per antico pelo,
84 gridando : € Guai a voi, anime prave !
Non isperate mai veder lo cielo:
i'vegno per menarvi all'altra riva,
87 nelle tenebre eteme, in caldo e in gelo;
e tu che se' costi, anima viva,
partiti da cotesti che son morti »•
90 Ma poi ch'ei vide ch'io non mi partiva,
disse: < Per altra via, per altri porti
verrai a piaggia, non qui, per passare:
93 più lieve legno convien che ti porti >.
E il duca a lui: « Caron non ti crucciare:
— 78. «MtBMt: legge, o, come altri inten-
dmo, propzìetà, modo d'operaie: otr. Bar,
xjDon 88. — 7S. Le Mte eoe. Le cose ohe
TDoi sapete ti saraimo cognite, palesi ecc. Si
■ffHWi?»^. alla ^iegaz&one ohe Vizgilio darà,
aenzs che Dante gli fiwoia alcon'altia lichieeta,
Mi TT. 121-129. — 79. ?ergogBò8Ìs riverenti,
e però Tòlti a taira; perché Dante temeva
che U eoa cariodtà rinaciwo spiacevole a
Vin^ìlio. — 81. di parlar eoo. mi astenni dal
parlare. — 82. E4 ecco eoe Si ofr. colla de-
scrizione Tiigiliaaa, sema dubbio avuta pre-
sente d» Dante (i^ vi 298): « Portitor has
korrandoa aqnae et flomina servat Terribili
a«|aa]ore CSiaion: coi plurima mento Oanitiee
ixfecnlta iaoet: stant lumina fiamma: Sordidos
ex humeria nodo d^pendet amictus ». ~ 88.
■■ Teedd« eoe Oaionte, figlio deU'Erebo e
della Notte, noochiero infernale. Dante oon-
fbnaandoei alle credenze medievali, le quali
Movendo da un passo di san Paolo (lai Oor.f
X 20) ooBiidenKvano gli esseri mitologici come
esseri diabolici (ofr. Moore, I 184), fece di al-
cuni di essi altrettanti demoni ponendoli quasi
Binìstxi di giustizia infernale al governo delle
varie parti del suo inforno: cosi troveremo
Miooe sulla soglia del seoondo oerohio con
ginriadizioBe su tutto V inferno {Jkf. v 4-15,
zm 94-86, zz 86, zzvn 124, xxix U9-120);
Cctbeto nel terawC&i/'. VI 18-18, 82-83), Fiuto
nel quarto {Inf, vn 1-15), Flegias nel quinto
(Inf, vm 18-24), le Erinni e Medusa nel sesto
{inf, a 87-54), il Minotauro e i Centauri nel
primo girone del settimo (jDi/I zn 11-27, 55-
75), le Arpie nel seoondo {Inf. zm 10^15),
Gerione tra il settimo e l'ottavo cerchio (inf,
zvn 1-15) e i Giganti intomo al nono {Inf,
zzzT 81-83). — 84. Claal eoo. Le prime e più
minaodoee parole di Caronte sono rivolte alle
anime affollate sulla riva del fiume infernale.
— 88. e te ecc. Queste sono rivolte a Dante,
detto anima viva, doò congiunta ancora col
corpo e vìvente nella grazia divina. — 89.
morti s tanto del coipo, dal quale le loro
anime si sono già dipartite, quanto dello spi-
rito, perché sono privati d'ogni luce della
grazia. — 91. Per altra via eoe La via che,
a gìudirio di Caronte, deve condurre Dante
ai regni etemi, d quella delle anime buone,
che scendono dopo la morte alla fooe del Te-
vere e ivi sono raccolte dall'angelo nocchiero
e portate all' isola del purgatorio (cfr. Purg,
u 101 e segg.). — per altri porti: per altri
passi; quello cioè che intercede tra la fooe
del Tevere, donde parte, e l'isola, ove ap-
proda la barca dell' angelo che porta le ani-
me buone. — 93. pid lieve legno: doò il
«vasello snelletto e leggiero» dell'angelo
(cfr. Purg. n 41). — 94. Caron, non ti
emeciare ecc. si cfr. gli ammonimenti si-
22 DIVINA COMMEDIA
vuoisi cosi colà, dove bì puote
96 ciò che si vuole, e più non dimandare ».
Quinci fùr quete le lanose gote
al nocchier della livida palude,
99 che intomo agli occhi avea di fiamme rote.
Ma quell'animci ch'eran lasse e nude,
cangiar colore e dibatterò i denti,
102 ratto che inteser le parole crude.
Bestemmiavano Iddio e i lor parenti,
l'umana specie, il luogo, il tempo e il seme
105 di lor semenza e di lor nascimenti.
Poi si ritrasser tutte quante insieme,
forte piangendo, alla riva malvagia,
108 che attende ciascun uom che Dio non teme.
Caron dimenio, con occhi di bragia,
loro accennando tutte le raccoglie;
111 batte col remo qualunque s'adagia.
Come d'autunno si levan le foglie
l'una appresso dell'altra, infin che il ramo
114 rende alla terra tutte le sue spoglie;
similemente il mal seme d'Adamo:
gittansi di quel lito ad una ad una,
mill di '^^igilio a MinoMO {Inf, v 23) e a moda nella barca, oyo le anime debbono star
Plato {hif. Tm 8). — 97. <{ninel eoo. Per ritte, perohó ve n' entri on maggior numero,
queste parole si quietarono le gote pelose eoo. Molti commentatori, assai meno bene, spie-
Tatto il Terso ricorda quel di Virgilio {Sn, gano: s'indogia, ritarda ad entrare; che è
▼I 102): « Ut primom cessit ftiror, et rabida contro i tt. 74 e 12Ì-126. — 112. Come d'aa-
ora qoienmt ». — 96. llTlda palude: il tor- tvnno eco. Cfr. "Vigilio {Bn. ti 905): « Uno
bido flome, che Ta a stagnare in ana palude; omnia tariM ad ripas efllòsa roebat; Matrea
anche questo è un ricordo rirgiliano (£H. vi atque viri, def¬aque ooipora ylta Magna-
820) : « remis rada livida verrunt ». — 99. nimùm hmoom, pneri innuptaeque pnellae,
ehe Intorno eoe. gli occhi del quale davano Impositique rog^ iuvenes anta ora parentnm;
bagliori di ilamma, a significare l' intensità Quam multa in silvis auctumni frigore primo
del cruccio represso dall'ammonimento di Vir- Lapsa cadunt folia; ant ad ternun gurgite ab
gilio. Danto dà nuovo e più eificace atteggia- alto Quam multae glomerantur aves, ubi fri-
mento a un particolaie, che nella desciizione gidus annua Trans pontum ftigat, et terris
virgiliana (« stant lumina fiamma ») ò espresso Immittit aprids ». Venturi ISS : « Dante, to-
oon molto minor vigoria. — 100. lasse e node: gliendo dal suo Maestro le due simUitudini
stanche per il dolore e prive d'ogni difesa. [delle foglie e deg^ ucoelli], rinnova la prì-
— 102. ratto ehe: subito che; cfr. £•/*. vi ma con la particolarità del ramo spogliato, che
88 ecc. — 108. BestemMlavaao ecc. Bacco- compie stupendamente l'imagine; l'altra ab-
glievano in un impeto di sdegno impotente bellisce con l' idea del richiamo, tutta propria
le loro malediiioni su tutte le cause remote degli uccelli, che mostra l' impeto disordinato
e prossime della lor vita: Dio, i genitori, gli con cui si gittano »: cfr. anche Moore, I 28-
antenati, l'umanità, la patria, il loro secolo 26. — 114. rende ecc. La variante: «adi aUa
e il momento della nascita. — 106. Poi si ri- ter», difesa da parecchi moderni risponde
trasser: si radunarono, si ristrinsero insieme, a quel di T^rgilio, Owrg, n 82 : « miraturqne
— 108. che attende eoe An. fior.: «Chi novas frondes et non sua poma»; ma, oltre
teme Iddio si guarda di mal fare, chi non teme che la sintassi italiana vorrebbe che si dicesse
capita a quella ripa ». — 109. Caron dimo- a Uvra^ non àUa ter», sta il fatto cho di più
bIo: si veda sopra la nota al v. 88, e si cf^. viva bellezza e di un coiioetto più gagliarda-
oon Inf. VI 82 : « dello dimonio Cerbero ». mente poetico rispl«ide la lesione vulgata,
— 111. s'adagia: si mette in posizione co- che ho accettata nel testo. — 116. il Mal
INFERNO — CANTO HI
23
117 per cennii come augel per suo richiamo.
Ck>8l sen vanno su per l'onda bruna,
ed avanti ohe sian di là discese,
120 anche di qna nuova schiera s'aduna.
< Figliuol mio, disse il maestro cortese,
quelli che muoion nelPira di Dio
123 tutti convegnon qui d'ogni paese:
e pronti sono a trapassar lo rio,
che la divina giustizia gli sprona
126i si che la tema si volge in disio.
Quinci non passa mai anima buona;
e però, se Caron di te ai lagna,
129 . ben puoi saper omai che il suo dir suona ».
Finito questo, la buia campagna
tremò si forte che dello spavento
132 la mente di sudore ancor mi bagna.
La terra lagrimosa diede vento,
che balenò una luce vermiglia,
la qual mi vinse ciascun sentimento:
1S6 e caddi, come l'uom cui sonno piglia.
unie eoe. le anime malnate dei peoeatoil —
117. ceflM avgrcl por no eco. Bnti: «Qui
fa la almilitadine dell'nocellatorB che richia-
ma lo sparviero oon rnòcellino, e lo falcone
eoo l'alia delle penne, e raatoie eoi pollastro,
e daacniio oon qael di che l'nooello è yago ».
— 12L nglliol Mio eoo. Tugilio risponde
ora alla domanda fittaci da Dante più ad-
dietro: Tedi T. 72 e segg. — 123. mnoioa
■tn* Ira eoo. qneDi ohe mnolono nel pecoato,
food deUA grazia ^rina. — 125. gli sprona:
per gli stimoli della coscienza, che costringe
le anime dei peccatori a desiderare la pena,
deQa quale non temono più ora che d perduta
ogni speranza di salate. — 128. si lagna:
cfr. T. S&-8d. — 129. ben pnol eco. Lomb.:
« JLocenna che le ragioni addotte da Caronte
par non ammetter Dante, e perché fosse egli
ancor Tivente, e perché più liere legno con-
Tenxra che portamelo, non fossero ohe pre-
tasti; e òhe la reia cagione fosse, perch'egli
Ti aaàsrtL per effetto di pentimento deUe sue
colpe, e per istahOirsi in nn salnterole timore
dei dhini etemi gastig^ cosa ai demoni rin-
ersscerole». — ISO. U bau campagna:
rosenra regione infernale. — 188. La terra
lagrlaoim eco. la regione del pianto mandd
Aiori OH Tento, dal qnale balenò nna Ince
rosseggiante. — 134. balenò ecc. Ctt, Poli-
ziano, ^. n 18: « Bal«id intomo nno splen-
dor Tormiglio ». — 186. la qaal ecc. In que-
sto commovimento Dante smarrì i sensi e
cadde come nomo addormentato: dorante
questo sonno si operò, né egli éi lascia
intender come ciò avrenisse, U suo passaggio
dal Tostibob al primo oeroido dell' inferno.
L' ipotesi più Terosimile, fina quante furono
messe fta,ori a questo proposito (of^. per la
questione relatlTa, Bull I 196), è ohe Dante
sia stato portato rapidamente al di U del-
l'Acheronte da un angelo; che sarebbe in
armonia col passo dell' htf, iz 64 e segg. doTo
un angelo Tiene a toglier di mezzo gli osta-
coli frapposti dagli spiriti infernali, e il suo
venire ò pur accompagnato da un Tiolento
terremoto e da un vento impetuoso. — 136.
come l'aom eco. Venturi 228: «Bene usata
ò la similitudine, oon la quale oi volle adom-
brare che l'essere caduto in quel grave e su-
bito assopimento fu per l'apparizione di un
messo celeste che lo trasportò di U dal fiume ».
24 DIVINA COMMEDIA
CANTO IV
Biscotendosi, Dante ni trova nel primo cerchio delP inferno ossia nel
limbo ; ove sono gli spiriti dei tombini morti avanti di ricevere il batte-
simo, e qnelli degli nomini virtnosi vissuti prima di Cristo o fuori della
fede : Tirgilio fa conoscere a Dante i poeti antichi, Omero, Orazio, Ovidio e
Lncano, che lo accolgono nella loro compagnia; e dopo avergli mostrato
gli eroi e i filosofi delP antichità lo condnce verso il secondo cerchio [sera
deU' 8 aprile].
Buppemi l'alto sonno nella testa
UQ greve tuono si eli* io mi riscossi,
8 come persona die per forza è desta:
e Pocchio riposato intomo mossi,
dritto levato, e fiso riguardai
6 per conoscer lo loco dov'io fossL
Vero è che in su la proda mi trovai
della valle d'abisso dolorosa,
9 che tuono accoglie d'infiniti guaL
Oscura, profond'era e nebulosa,
tanto che, per ficcar lo viso al fondo,
12 io non vi discemeva alcuna cosa,
< Or discendiam qua giù nel cieco mondo ;
rv 1. Bvfpeal Paltò ••■>• eoo. L'im- fittto sta ohe eoo.; semplice fonnnla diohia-
prowiflo balenare ddla laoe avera itoidito latiTa, non infteqnenta in Dante, ohe 1* ha
Dante, il qnale penò non vide oome si ope- in Inf, ee 22, mz 112, Purg. m 136, x 136,
rasse il sno passaggio dall'una all'altia sponda Par, 1 127. — proda : orlo, limita estxemo. —
dell* Acheronte : avvenuto questo passaggio 8. della ralle eoo. perìfhisi per indicare l' in-
con merarigliosa rapidità, U poeta fu riscosso forno, dove a' entra per lamenti feroci {IStrg,
e richiamato alla cognizione di sé da un vio- zn 114) : ofr. Inf, m 22 e segg., v 25 e
lento rumore, ohe valse a scuoterlo dall'otto sgg., vi 19, vn 26, vm 66 eco. — 11. per
aanno, dal profondo assopimento in coi era fleear ecc. per quanto ficcassi, volgessi flsa-
caduto. — 2. BB grevt taonos per molti mente; simili locuzioni sono frequenti in
commentatori è quello aooennato nel v. 9, Dante, come Inf, zvi 98 « per padar sarem-
il iuom dfinfMU guai ohe sale dai cerchi ih- mo appena uditi », zxvm 8 « per narrar più
remali; ma contro tale intnpretazione stanno volte », Purg, zzv 16 « Non lasciò per V an-
i w. 26-28 : meglio O, Pncoianti, seguito da dar ohe fosse ratto ». — lo vlsa : in prosa
altri, intese questo per un vero tuono, per e in versi Dante e ^ altri antichi usarono
lo schianto del fùlmine, ohe colla luce aveva vùo per vista, senso del vedere : se ne tro-
vinto e stordito il poota al di qua dell'Aohe- vano esempi in Inf, de 66, 74, z 84, zvi 123,
ronte (efr., per la questione, OL Antona Tra- xx 10, zzn 11, Purg, ne 84, zv 26, zvn 41,
versi, H greve Uiono danteeoo, Città di Ca- P», m 129, z 101, zvn 41, zzi 20, 61, zzn
RtoUo, 1887, e E. Pomadari, St, p. 26-44. — 69, 188, zzvn 6, 78; F. 2^. i 23, zi 10, ziv
3. come persona eoo. : cfr. Frexzi, Quadr, tv 29, zzzvn 37; Oonv, m 9 : « per affaticare
12 : « Subitamente mi percosse un tuono... lo viso molto a studio di leggere, intanto do-
E come quei che a forza desti sono, Poi mi bUitai gli spiriti visivi » ecc. — 12. non vi
levai». — 4. e Peeohlo eoe e levatomi in dlscernSTa ecc. non riusciva a distinguere
piedi, guardai all' intomo con gli occhi, ohe nessuna cosa nel fondo ddl' inferno. — 18.
avevano ripreso la loro forza perduta n^ mo- deeo mondo : il regno del dolore è detto an-
meutaneo stordimento. ~ 7. Taro è eco. il che « cieco carcere » {Inf, z 68, Purg, zzn
INFERNO - CiLNTO IV
incominciò il poeta tatto smorto:
15 io sarò primOf e ta sarai secondo >.
Ed io, che del color mi fai accorto,
dissi: € Come verrò, se ta paventi,
18 che suoli al mio dabbiare esser conforto? »
Ed egli a me: € L'angoscia delle genti,
che son qaa giù, nel viso mi dipigne
21 quella pietà, che ta per tema sentL
Andiam, che la via lunga ne sospigne ».
Cosi si mise e cosi mi fé' entrare
24 nel primo cerchio che l'abisso cigno.
Quivi, secondo che per ascoltare,
non avea pianto ma che di sospiri,
27 che l'aura etema facevan tremar :
ciò awenla di duol senza martiri,
ch*avean le turbe, ch'eran molte e grandi,
80 e d'infanti e di femmine e di virL
108) • « mondo cieco » (£iA xzvn 26), per
le tj&oBhte eteme ohe lo ayrolgono. — 14.
nMrt» : per la commoxione deDa pietà, òhe
A Dante sembra inTece effstto di pania. —
15. !• sarè ecc. io andrò avanti e ta mi
HBgiiiiBi Alami commentatori credono ohe
Danto accenni al Datto ohe Virgilio fli primo
a Jeetnirero nna discesa ai regni etemi (ofr.
fai nota all' Inf. i 89). — 16. eht del eolor
eco. accorgendomi del paUoie diifaao sol volto
£ Virgilio e gindicandob come 'segno di spa-
vento. — 18. 4nMlart: àMnan o dubitare
élseero gli antichi in senio di temere, com' è
4etto in JSitg, xz 186 « Non dubbiar men-
tr'to ti gnido». — 19. Ii'Mgeteift ecc. D
éml mmxn martki deOe anime ohe sono in
questo cerchio, nei. limbo; oppure il doloro
di tatto le anime dannato : meglio è segoire
ki pìma interpretazione, poiché qni vera-
Mmto Virgilio cominci» a parlare, non del-
r intono in generale, ma del limbo òhe ne
fannn fl primo cerchio. D'Ovidio, p. 82:
« qaalli del Limbo, ai quali anche nel Pmy.
[vn 28 e seg., xxn 100 e ssgg.] non sa ac-
eennmre senza tarbamento ». — 21. ta per
liMi aentl x to giudichi esser paura. — 22.
In Tte langs ecc. il hmgo cammino ohe dob-
biamo pecoonere non ci consento indugi. —
aa. Coti eco. Dicendomi questo parole. — 24.
Mi fcimo eereklo : Danto imaginando il lim-
bo come una parte dell' inlìamo ai tenne alle
4irftrTT** teologiobe cristiane, secondo le quali
le anime dei padri e dei parvoli erano collo-
cato in un solo luogo in prossimità di quello
MsiH,iistn ai dannati ; come abbiamo da san
Toomaso, Smmmii, P. m, sappi, qu. t.ttt,
■it. 6: «Si oottsiderentur [receptacula ani-
maniB post mortem] quantum ad situm lod,
sic probabile est quod idem loous vel quasi
continuus sit infemus et limbus; ito tamen
quod quaedam superior pars inferni limbus
petrum dicatur. Szistentea enim in inferno
secundum dlversitotom oulpae diversam sor-
tiuntur et poenam, et ideo secundum quod
gravioribus peocatis irretinntur damnati, se-
cundum hoc obeouriorem locum et proftmdio-
rem obtinent in Inferno: unde et sanott pa>
tres, in quibus minimum erat de ratione oul-
pae, supremum et minus tonebrosum locum
habuerant omnibus puniendis». Oome i teo-
logi, coef anche Danto non th alcuna distin-
zione tra il limbo dei padri e quello dei par-
voli; attenendosi andie per questo a san
Tommaso, Summa, L oit, art. 6 : « Limbus
patmm et limbus puerorum absque dubio dif-
ferunt secundum qualitatem praemii vel po^
nae..., sed quantum ad situm, probabUitor
creditur, utiorumque loous idem ftiisse»:
cfir. anche Aify. vu 28-84. — 26. teeondo
eke ecc. per quanto si poteva raccogliere
ascoltando. — 26. aa che: ftioriohe; locu-
zione ftoquento negli antichi e anche in Danto
che l'usa in Ii^f, zzi 20, zzvm 66, J\urg,
zzvm 68 e Bw. zzn 17 : tutto fl verso signi-
fica che nel limbo non v* era altm espressione
di dolore (pianto) all' infiori dei sospiri; con-
forme a dò ohe nel I\Mrff. vn 26 Danto dice
del limbo, « ove i lamenti Non suonan oome
guai, ma son sospiri ». — 28. di duel senza
raartfrl. Lomb. : « da puro intomo dolor
d' animo, senza cagione d' alcuno estemo tor-
mento: dal solo rammarico d' esser privi della
beatifica vision di Dio, non dal ftioco o altro
estoriore tormentoso mezzo ». — 80. Influtl :
otr. Pwg, vn 81 : « parvoli innocenti, Dai
denti morti della morte, avanto Ohe fossor
26 DIVINA COMMEDIA
Lo buon maestro a me : « Tu non dimandi
che spiriti son questi che tu vedi?
83 Or Yo' che sappi, inncmzi che più andi,
ch*ei non peccare; e s'elli hanno mercedi,
non basta, perché non ebber battesmo,
86 eh* è parte della fede che tu credi:
e se furon dinanzi al cristianesmo,
non adorftr debitamente Dio;
89 e di questi cotai son io medesmo.
Per tai difetti, non per altro rio,
semo perduti; e sol di tanto offesi,
42 che senza speme yivemo in disio >.
Gran duol mi prese al cor quando lo interi,
però che gente di molto valore
4^ conobbi che in quel limbo eran sospesi
€ Dimmi, maestro mio, dimmi, signore,
comincia' io, per voler esser certo
48 di quella fede che vince ogni errore,
uscicci mai alcuno, o per suo merto
o per altrui, ohe poi fosse beato? »
51 E quei, che intese il mio parlar coverto,
rispose : € Io era nuovo in questo stato,
quando ci vidi venire un possente
54 con segno di vittoria incoronato.
dell' amana colpa esenti ». ~ fteanUaf^. ▼!• 43. !• iitetl t intod lai, ViiigUIo, dire queste
ri : le donne e gli nomini ohe « le tze sante parole. — 46. Dimmi, Maeitro eoe Tomm. :
Viiid non ti veetfro e senza vizio Conobber « La compassione dello stato di Virgilio sen^
V altre e seguir tutte quante » (Airy. vn 34). tita da Dante rende ragione di questo doppio
— 88. andit vada; voce arcaica, usata an- titolo, eh' è una lode delicata e pietosa». —
che dal Prezzi, Quadr, i 11 : « Innanti che 48. di qielU fède t delle credenze cristiane,
il mio carro più su andi» : cfr. E. Q-. Parodi, massime di quella relatira alla disossa di Crì-
BuU, m 180. — 84. mercedi: meriti, buone sto al limbo. — 49. iseleel eoe dal limbo
opere: senso che la parola fn$ne<U ha pur nel usci mai, per merito suo o d'altri, alcuno
Ftir, ZZI 62 e zznn 112. — 86. ch'è parte spirito, che poi pervenisse alla beatitudine^
ecc. poiché il battesimo è uno degli articoli passò mai alcuno dal limbo al paradiso? —
della fede, ò parte essenziale e necessaria 61. parlar eoTtrto: parlare indiretto, in
della dottrina cristiana; cosi intendono giù- quanto Dante, per non mostrare di dubltar-
stamente gli antichi, Lan., Bocc, Benv., ne, non ha chiesto a Virgilio se veramente
Buti. Alcuni modemi leggono : eh* è porta. Cristo scendesse a liberare anime dal limbo,
cioè principio, inizio della fede; lezione che ma se di qui n' usd mai alcuna. — 62. Io
parrebbe confermata dal passo del Par. zxv era buot* eoe La discesa di Cristo al limbo,
10-12, ma non ha sufRdente autorità di ma- narrata in quella parte del vangelo di moo-
noscritti. — 88. non adorir ecc. non ebbero demo che si chiama appunto De^emuut Cari-
la fede in Cristo venturo (ofr. Par, zzzn 24). éH ad inferoe (in Evangelia apooryphm, ed.
— 89. 41 qitstl ecc. cfr. Inf, i 126-6. — C. Tischendorf, Lipsia, 1876), si pone dopo
40. difetti: mancanze, deficienza di fede. — la sua morte, nell' anno 88 d« 0.; allora Yìr'
rio : reità, colpa; ofr. Purg, vn 7: « Io son gilio, mancato di vita nel 19 a. 0., era nel
Virgilio; e per nuli' altro rio Lo del perdei, limbo da tempo relativamente breve. — 63.
che per non aver fé ». — 41. di tanto : da que- un possente con segno eoo. Gesù Cristo, il
sto solo, solamente in questo che ecc. — offesi redentore incoronato della palma del marti-
eoe, afflitti da un continuo desiderio della vi- rio. Si noti che il nome di Cristo non è mai
sione di Dio, senza speranza di ottenerla. — pronunziato nell' inferno, ma indicato sempre
INFERNO - CANTO IV
27
Traaseci l'ombra del primo parente,
d'Abel suo figlio, e quella di Noè,
57 di Moisò legista e ubbidiente;
Abraàm patriarca e David re,
Israel con lo padre e co* suoi nati,
€0 e con Bacbele, per cui tanto fe',
ed altri molti; .e fecegli beati:
e vo*ohe sappi cbe, dinanzi ad essi,
63 spiriti umani non eran salvati ».
Non lasdavam l'andar, perdi' ei dicessi,
ma passavam la selva tuttavia;
6G la selva, dico, di spiriti spessi.
Non era lunga ancor la nostra via
di qua dal sonno; quando vidi un foco,
69 ch'emisperip di tenebre vinda.
Di lungi v'eravamo ancora un poco,
ma non si ob'io non discemessi in parte
72 cbe onrevol gente possedea quel loco.
€ 0 tU| ohe onori ogni scienza ed arte,
questi chi son e' hanno cotanta onranza,
di peiUhwi (cfr. Inf, xn 88, xix
91, zxziT 115). — 66. TrsMeel : trine di
qu. — éel piiM« fumite: di Adamo, detto
nel Bar. zm 111 « pzimo padre », in confort
■ita deDe aoittiize nore, che eod io chia-
mano (Ommi m 22<4; Faob, Ai fcmmi ▼
12, / ipUL tà Carimi xr 46 eoe). — 66.
AMI :Ileeooiidoll«aiiolo di Adamo. — Heè:
a fatzìaica, che con k laa famiglia scampò
al ditnrio loiiremle. — 67. Molle legiitA:
Uoeò n gniide leglilatore del popolo ebreo
(efr. Bar. zzzn 180-3). — 68. Abraàm: U
patiiacca, ohe sacrificò a Dio il flgliaolo Iiao-
cn, per ubbidienza; onde alooni leggono:
Uoiaè kgiala i r «ÒMd. Abraàm paMarea (cfr.
Moore, I 67), non badando che con la nnora
terzina Dante cambia costrozione, come se
ripetene il rb. TroMaed senza ombra, — Da-
tU: re d'Israele, chiamato dall'Alighieri
{B^r, XX 88) « il esntor dello Spirito Santo »
e {Ba^. xxT 73) « sommo cantor dei sommo
dnee », perché fli Tantore dei Salmi — 69.
Urael: CHaoobbe, fl^ d'Isacco, che dopo
la lotta con l' angelo ebbe nome d'Israel ((?«-
«•si xxxn 28). — natii figUnoli; cosi an-
oike altrove, £itf. x 111, Bar. xxn 142. —
60. BadMie: tigOtL di Labano, moglie di Gia-
cobbe; cfr. Bmjf, xxm 104. — per evi tanto
W i raoconta la Bibbia che Giacobbe per ot-
tenare la mano di Baehele serri il padre di
lai per quattordici anni {Grnmi xxnc 28 e 80).
— 64. dlesatli 8^ pers.; com' ò d'altri Terbi,
in in/: IX 60^ Pi»rg, xznr 186 ecc. : è anche
in altri antichi : cfr. Parodi, Bull, III129. —
66. iattarla: sempre, contìnnatunente. —
66. U selra, dice, di spiriti ecc. la lolla
delle anime raccolte in quella parte del limbo.
Bnti: «l'autore divide quelli del limbo in
due specie, ponendo coloro che anno avuto
funa onorevole nel mondo di per sé da quelli
che non l' anno avuta :... dei primi che sono
stati senza fama non nomina alcuno ». — 68.
di qaa dal senno eco. God lessero i pift an-
tichi inteipetri, Lana, Beco., Benv., Anon.
fior., intendendo : di qua dall' Acheronte, dal
fiume presso il quale io era caduto assopito
per il balenare della folgore (cfr. Inf, m 135);
ma già il Buti lesse di qtia dal mimmo, spie-
gando : di qna dalla sommità, onde si scende
nel primo cerchio. — 69. di'emlsperlo ecc.
ohe illuminava mezzo il cerchio tenebroso, e
proprio quella parte che accoglieva i grandi
spiriti dell' antichità. Altri interpreti, a co-
minciare dal Buti, prendono vwtia come una
forma del vb. vifwke, attorniare, circondare,
intendendo che il fùooo girasse tutf intomo
al cerchio. ^ 71. la parte : va collegato con
dò che segue : che per ona parte il luo^ era
occupato da gente ecc. — 72. enreTol : degna
di onore ; ò anche in Pwrg, xxu 143. — 73. 0
tv eco. Buti : « Virgilio onorò la scienza e
l' arte, con le sue opere ». Altri passi in coi
Dante celebra Virgilio come scrittore sono nel-
r Inf. I 79, n 60, 113, vin 7, Purg. vii 17, xviii
83, XXI 95, rziv 99, Bxr. xv 26. — 74. onran-
za s onoranza: come in Inf. xxvi 6. —
28
DIVINA COMMEDIA
75 che dal modo degli altri li diparte? >
£ quegli a me: € L'onrata nominanza,
ohe di lor suona su nella tua vita,
78 grazia acquista nel ciel che si gli avanza ».
Intanto voce fa per me udita:
€ Onorate l'altissimo poeta!
81 l'ombra sua toma, ch'era dipartita».
Poi che la voce fu restata e queta,
vidi quattro grand* ombre a noi venire;
84 sembianza avevan né trista né lieta.
Lo buon maestro cominciò a dire:
« Mira colui con quella spada in mano»
87 che vien dinanzi a' tre si come sire:
quegli è Omero poeta sovrano;
P altro è Orazio satiro^ che viene,
90 Ovidio è il terzo e l'ultimo è Lucano.
Però che ciascun meco si conviene
nel nomci che sonò la voce sola,
93 fannomi onore, e di ciò fanno bene ».
75. dal modo eco. dalla condizione degli altri
spiriti, oàe sono nelle tenebre eteme. — 78.
ohe if gii »Taaz«: il quale li avvantag»
gia oosi. Bati : « vuole signiflcaze che questi
cosi fotti, ohe nel mondo sono stati famosi
di prodezza di corpo nell' anni o d'animo nelle
scienzie, abbino lame di là, do4 abbino chiara
la loro ooeoienza; chó di loro non anno la-
sciato malo esemplo alli altri nelle dette oose,
ma anno lasciato buono e si fatto che la loro
fama ancora tace ». — 79. Intanto toco fta
eco. Dante non dice da chi partisse l' invito
a onorare Virgilio ; secondo il Lana e Benr.
sarebbe partito dai poeti nominati appresso,
ai yy. 88-90; secondo il Buti invece da Ari-
stotele. Ha sono spiegazioni erronee: «quel-
la uno (cosi il D' Ovidio, p. 628) che invita
gli altri non pud esser che Omero, il poeta
sovrano, che appunto apre la marcia ed
ha perfino l' insegna del comando ». — 81.
ch'ora dip«rtitat per andare al soccorso di
Dante: cfir. Jnf, n 61-130. — 84. lembian-
la ecc. Bati : « non erano tristi, perché non
aveano martirio; né lieti, porche non aveano
beatitudine ». — 86. oominelò eoo. Note-
vole ò il rlsoontro ohe con questo passo
offrono alcuni versi di Babano Maaro (cfr.
Bit. zn 189), ove tono ricordati insieme i
poeti dei quali Dante formò la bella acuoia :
« Carmina nempe tua dico meliora Maronia
Carminibus, oeUi cantibus Ovidii, Odis quae
oecinit Fìaoou», verbosus Howwnu, Cordaba
quem genuit » (cf. Moore, I 6) ; sebbene la
menzione di Omero non sia qui se non tma
perifrasi per indicare Lucano Qì verboso
Omero di Cordova). — 86. colai eco. Omo-
ro, che tiene la spada in mano come prin-
cipe dei poeti (cfr. Lucrezio, m 1060 : « Addo
Heliconiadum comites, quorum unus Home-
rus Sceptra potitos») o oomo cantore di
latti eroici: fli molto ammirato da Dante,
il quale, pur non avendo letto i suoi poemi
(Moore, I 164-166), lo saluta {Pmg. zzn 101)
come « quel greco Che le Muse lattftr più
eh' altro mai ». — 89. Oraslo satiro : Q. Ora-
zio Fiacco venosino (65-8 a. C), U pi6 grande
dei lirici romani, ta famoso nel medioevo
massime come aatore dei dae libri di Satire,
piene di savi ammaestramenti e di sapienza
pratica: Dante fti stadiosissìmo delle poesie
di Orazio (Moore, I 197-206), che aveva in
conto di maestro (cfr. De vulg. eloq. u 4:
« magister noster Horatius»). — 90. Orldio:
P. Ovidio Nasone sulmonese (43 a. C. - 17
d. C), fecondo poeta latino, dalle opere del
quale, o specialmente dalle Ercidi e dalle
Metamorfosi, Dante trasse molte delle sue co-
gnizioni sali* antichità classica, massime neUa
parte mitologica (Moore, 1 206-228). —Lieano:
M. Anneo Lucano di Cordova (89-66 d. C),
«ntore della FarsaìiOf poema eroico in dieci
libri sulla lotta tra Cesare e Pompeo, molto
studiato da Dante (Moore, I 228-242). — 91.
■eco 11 eOBTleno eoe. sono poeti come me.
— 92. 1» voce sola: secondo alcuni, ò la
voce unanime dei poeti (cfr. Maxziale, De
apeclaculia, m 11 : « Vox diversa sonat : po-
pulorum est vox tamen una ») ; molto meglio
s' intende la voce di un solo die invitò i com-
pagni a onorare Virgilio (cfr. sopra la nota
INPERNO - CANTO IV
29
Cosi vidi adunar la bella scuola
dì quei signor dell'altissimo canto,
96 che sopra gli altri oom' aquila vola.
Da ch'ebber ragionato insieme alquanto,
Yolserai a me con salutevol cenno;
99 per che il maestro sorrise di tanto:
e più d'onore ancora assai mi fennO|
ch'essi mi feoer della loro schieray
102 si ch'io fai sesto tra cotanto senno.
Cosi n'andammo infino alla liuniera,
parlando cose, che il tacere è bello,
105 si com'era il parlar colà dov'era.
Venimmo al pie d'un nobile castello,
sette volte cerchiato d'alte murai
108 difeso intomo d'un bel fiiunicello.
Questo passammo, come terra dura:
per sette porte entrai con questi savi;
al T. 79). — 94. Ma*!»: oompagnU; oome d
ha dal ▼• 148: cfir. anche Pwrg. mii 79.
D* Ovidio, p. 628 : « & ziscontro alla fUoso-
fiea famigUa d'Aristotele [y. 182] ». — 95. di
f ad wìgnùT eoo. dei poeti nobilisBimi, dei
cnltod della più alta poesia : oosi lessero e
intesero tatti gli antichi oommentatori, oome
Lana, Bocc., Benv., Bati, An. fior., eoo. e
parecchi moderni. Altri legano di quel signor
eoe fiferendo questa lode, i ^ ad Omero
« poeta sonano », aknni aVixgilio «altissi-
no poeta » : si ofir. F. GoUigrosso, Qmatùmi
ìeUerar», Kapoli, 1887, pp. 1-24 e D'Ovidio,
pp. 624-630 — 96. eoa' aqoila vola : perché
la poesia di Omero, Virgilio eoo. assorse alla
Buggiore sablimità, oome l' aquila si leva ai
v«^ pl6 alti : bella e semplice similitudine,
che U Tasso allsrgd nella <hr. Ub.» xv 14:
aquila suole Tra gli altri augelli tra-
ina, E sorvolando ir tanto iq^resso
il sole Che nulla vista più la raiflgnra». ~
98. s«l«teT«l «enne : oon cenno di saluto ;
«vendo Virgilio detto a quei quattro ohe Dante
era anch' esso poeta. — 99. 41 tante : pur di
qoesto, che avrebbe potato parere piooiol se-
gno d' oDon^ ma che era grandissimo, perché
dato da quelli alti ingegni. — 101. eh' essi ad
fÌMer eoe che mi accolsero nella lor compa-
gnia. — 102. toì seste eoo. ftii sesto in quella
sapiente radunansa : si osservi che nel Pwrg.
xxD 97-100, tra ^ scrittori antichi posti nel
hmbo, ricosda anche Terenzio, Cecilio, Flauto,
Vazxoae, Persio « ed altri asssi ». Acuta os-
servsàone fa il D* Ovidio, p. 631 : « Allo stu-
dio dell' Janiirfs doveva Dante l'aver diritto a
iperaie d'esser aggiunto al drappel sacro dei
gnoaii poeti. • ciò ft simboleggiato dal pre-
sentarlo che VirgiUo Ha a quelle grandi ombre.
La migliore sua speranza era d'essere un gior-
no messo quasi alla pari de' più celebri poeti
antichi, non ostante che il suo poema fosse
moderno ed in lingua volgare , e di ciò ò sim-
b<do r essere stato un momento {fu) come
sesto nella loro comitiva e d'aver confa-
bulato oon essi a tu per tu di poesia ». —
103. lumiera: il luogo luminoso nel mezzo
del quale era il fuoco accennato sopra, al v. 68.
— 104. parlando cose ecc. discorrendo d' ar-
gomenti letterari e poetici, che qui è tanto
opportuno intralasciare (perché estranei al
fine morale del poema), quanto là era piace-
vole il trattarne (cfir. JWy. zxn 104). —
106. nobile cMtello: secondo i oommen-
tatori antichi, nel castello d simboleggiata
la sapienza, nei sette cerchi di mura le
sette arti liberali (grammatioa, retorica, dia-
lettica, aritmetica, geometria, musica, astro-
nomia), nel flumioello la disposizione dell' in-
telletto umano alla scienza; secondo Pietro
di Dante invece tutto questo d il simbolo
della filosofia e delle sue sette parti (fisica,
metafisica, etica, politica, economica, mate*
matica e sillogistica) e per il Land, e YelL
è simbolo dell' unione tra le virtù morali (pru«
denza, giustizia, fortezza e temperanza) e le
speculative (inteUigenza, scienza, sapienza).
— 109. come terra dura s comò luogo asciut-
to, cioò senza difficoltà; dir. iìxXi*InMligmxa,
st. 211, di Cesare : « per mar si mise a nòto
ancora... E notò tanto che fu 'n terra dura ».
— 110. savi: poeti, cosi chiamati per esser
stati in ogni tempo maestri di sapienza agli
uomini; cfr. In/*, i 89, vn 3, Pwrg, xxm 8,
zzzm 16, K. N, xx 11, Conv, iv 13 eoe —
30
DIVINA COMMEDIA
111 giugnemmo in prato di fresca verdura,
denti v'eran con occhi tardi e gravi,
di grande autorità neMor sembianti;
114 parlavan rado, con voci soavL
Traemmoci cosi dall' un de* canti
in loco aperto luminoso ed alto,
117 si che veder poteansi tutti quanti,
OolÀ diritto^ sopra il verde smalto,
mi fùr mostrati gli spiriti magni,
120 che del vederli in me stesso n'esalto.
Io vidi Elettra con molti compagni,
tra'quai conobbi Ettore ed Enea,
123 Cesare armato con gli occhi grifagni.
Vidi Camilla e la Pentesilea
dall'altra parte, e vidi il re Latino,
126 che con Lavinia sua figlia sedea.
Vidi quel Bruto che cacciò Tarquino,
Lucrezia, lulia. Marzia e Comiglia,
129 e solo in parte vidi il Saladino.
1
112. GeiU eco. Bella questa descrizione de-
gli spiriti grandi del limbo ; dei quali Dante
ci dà i tratti caratteristioi notando il lento e
grave mnover degli occhi, f autorità dell' »-
spetto, e il parlar raro e tranquillo ; segni
tatti di alto animo. ^ 117. tvttl qiantl:
tatti gli spiriti raccolti nel castello, dei qaaU
nominerà molti nei tt. 121-144. Si noti que-
sto esempio caratteristioo di quelle enomera-
cioni, che erano tanta parte dei serventesi
ossia della poesia narratira antica : Dante se
ne valse con sobrietà, ma non si ohe non si
scorga palese in tutte le cantiche questa ten-
denza propria dell' arte del suo tempo (cfir.
specialmente Inf. v 62-69, zn 107-112, 133-
188, xvn 68-78, zz 106-128, zzi 118-128,
zzvn 87-64, zziz 126-182, zzzn 66-69, 118-
128; Pwrg. vi 18-24, vn 91-136, zn 26-68,
ziv 48-64, 97-128, zz 108-117, zzn 97-114,
zxiv 19-88; Par. vi 87-96, vm 124-182,
IX 97-102, X 97-138, zn 127-146, xvi 68-66,
88-189, zvm 87-61, zxz 116-148). — 118. di-
rlttot di rimpetto, o, come dice il Boti, « in-
contra loro che stavano a vedere ». — 119.
spiriti magai : sono due gruppi, quello degli
eroi (w. 121-129) e quello degli scienziati
(w. 180-144). — 120. n'esalto: ne fàcdo
allegrezza. — 121. Elettra : una delle Pleiadi
figliuole di Atlante, la quale di Giove generd
Dardano il mitico progenitore dei Troiani : i
oompa^ di lei sono gli eroi dardanidi, tra
i quali Dante riconosce Btbìf% il maggiore
del figli di Priamo, re di Troia, e di Eouba,
ed EnM, figlio di Anchise e di Venero, re
delDaidani. — 128. Cesarti Gaio Oiolio Ce-
sare, U gran generale e dittatore romano, n.
r anno 100 a. 0. e morto V a. 44, considerato
nel medioevo come il primo degli imperatori :
cfir. Bw. VI 66 e sgg. — eoa gU oeehl grl-
fligal I neri e vivaci, come di sparviero ^
lagno (cfir. Suetonio, Oiar. cKp, 46). — 124.
CamUla: cfr. Inf. i 107. ~ PnlasUtat
figliuola di Marte e regina delle Amazoni,
morta per mano d' Achille nella guerra troiana
(cfir. Ovidio, HmM, zzi 118). — 126. Latlae :
figlio di Fauno e re del Lazio, fii padre di
Lavinia, la quale fii prima promessa a Turno
re dei Rutali e poi data in isposa ad Enea.
— 127. qnel Brate ecc. Ludo Qiunio Bruto,
che cacciando il re Tarquinio Superbo in-
stauro la repubblica romana, e fii il primo
che avesse insieme con L. Tarquinio Oolla-
tìno l'officio di console, l'a. 609 a. C. (cfir.
Livio, 1 26-60). — 128. IiieresU : la virtuosa
figlia di 8p. Luoresio e moglie di L. Tarqui-
nio GoUatGìo, violata da Sesto Tarquinio fi-
glio del re Tarquinio Superbo (efr. Livio, i
67-68). - lolla: figlia di C. e. Gasare e
moglie di C^ Pompeo il grande, del quale fii
amantissima — Mania: Manda, figliuola di
Mardo Filippo e moglie prima di Gatone Uti-
cense e poi À Q. Ortensio fiunoso oratore (cfir.
Purg, I 79). — Oonilglia: OmieUa, fig^ di
P. Gomelio Scipione AMoano il maggiore •
moglie di Tiberio Sempronio Oiaooo, dal qual»
ebbe i due fimosi figliuoli Tiberio e Olio »
la figlia Sempronia: cfr. Par, zv 129. ^ 129»
il Saladino: Selah-eddyn, sultano d'B^tto,^
nato nel 1187, salito al Irono nel 1174 e morta
nel 1198; famoso nel medioevo nei paesi o^
INFERNO - CANTO IV
3]
Poi che innalzai un poco più le cigliai
vidi il maestro di color che sanno,
132 seder tra filosofica famigliai
Tutti l*ammiran| tutti onor gli fanno:
quivi vid*io e Socrate e Platone,
135 che innanzi agli altri più presso gli stanno;
DemocritO| che il mondo a caso pone,
Diogenès, Anassagora e Tale,
138 Empedoclès, Eraclito e Zenone;
e vidi il buono accoglitor del quale,
Dioscoride dico; e vidi Orfeo,
141 Tullio e Lino e Seneca morale;
Euclide geometra e Tolomeo,
fHftntftìt per le sue gnndl liberalità e mnni-
fieenae, per le quali fti considerato come il
Ugo ideale del oeTaliere e tignore maomet-
tBBO (cfr. K. llBzin, SieL de Saladiti mtUan
éTJ^gypU, Puigi, 1768, e. Faiis, La légmd»
AMÓdriii, Faois, 18d8, e le norélle del Booc,
Dac g. I 8 e g. z 9) : Dante lo onora d*alte
lodi ancbe nel Oom, ir 11. — 181. il mee-
ttn eoe. Azktotele, nato a Stagin nel 884
e morto nel 822 a. 0., autore di molte opere
lloBoAche, fiaiclie, poUtiche per le qnaU tu.
aiutato come vno dei pi& dotti nomini del-
Faafiehità, e nel medioero tenuto come il
|l& grande filoaofo ohe aveme avuto il mon-
do : Dante ne ta «tudiosiasimo (Bloore, I 92-
]fi6, e per le tradazioni delle opere aristote-
liche studiate dal poeta, I d06-Ù8) e lo chia-
mò « maestro dei filosofi » (Gmv. iv 8), « mae-
gtxD dell* umana ragione » (ivi rv 2), « mae-
stro e duca dell'umana ragione » ^ ir ^,
e « gliy*««ft flioeofo al quale la natura più
apsEse li suoi segreti» (Ìtì m 6); lodi che
bso si conTongono a quell'altissimo intelletto.
— 184. Socrate x filosofo ateniese, nato nel
«70 • morto nel 899 a. a — Piatene: filo-
sofo ataniesB, discepolo di Socrate, nato nel
427 e morto nel 847 a. 0. (jper la cognizione
^e Dante ebbe delle dottdne platoniche, ofr.
Jfooze, I 158-164). — 186. Denoeriio : filo-
solo nato in Abdera Terso il 460 e morto nel
861 a. C, seguace delle dottrine atomistiche
del suo maestro Lenoippo. — eke il mondo
a cas« eco. : dottrina, della quale Dante potò
arer notizia da Ciceróne, De noL dtor, i 24,
tt : « ex bis efBaotum esse caelum i|tque ter-
rsm, nulla oogents natura, sed concuisu quo-
dam fixrtoito ». ^ 187. Dlogeaès t Diogene
il dnioo, nato a Sinope nel 404 e morto nel
828 a^. G., filosofo Dunoso per il suo disprezzo
dt^ agi dèlia Tita e per le acri riprensioni
dei Tisi umanL ~ laassagora : filosofo gre-
eo, nato a CBazomene nel 600 e morto nel
fiB a. C — Tak t Tàlete, uno dei sette saTi
della C^reda, nato a Mileto e Tissnto tra fl
689 e U 646 a. G. — 188. Empedoelès: Em-
pedocle, filosofo agrigentino, nato Terso il 490
e morto Terso il 480 a. G. — Eraclito t filo-
sofo di Efeso, che fiori Terso il 600 a. C. —
Zosoaes Zenone di Elea, che fiori Terso il
460 a. 0. ed ò ricordato da Cicerone, Tute
ditpuL n 22, oppure Zenone di (^tio, Tissnto
intomo al 800 a. C, fondatore deDa scuola
degli stoict — 189. baoao accoglitor del
qaale : Pedanio Dioscoride, medico diAnazax^
bo in (Alicia (i sec d. C), autore di cinque li-
bri di materia medica, doTO tratta del quale
cioè della qualità o Tìrtd medica deUe erbe,
delle piante ecc. — 140. Orfeo : il mitico poe-
ta tracio, figlio della musa Calliope, del quale
raccontarano gli antichi che si traesse dietro
col dolcissimo canto le pietre e gli animali ;
che Tuoi dire, secondo Dante {Cono, n 1), che
« il saTio uomo coDo strumento della sua voce
fa mansuescere e umiliare li crudeli cuori, e
Da muoTere alla sua Tolontà coloro ohe non
hanno Tita di scienza e d' arte ». — 141. Tul-
lio: M. Tullio Cicerone, oratore e filosofo,
nato in Arpino nel 106 e morto nel 43 a. C. ;
delle opere di lui Dante fti studiosiBsimo {Cono.
xll,nlS,16,r?6, 8,12 eco. ; De monar-
eMa, n 6, 8, 10 ; De vulg. elog,, n 6 : cfr.
Moofe, I 258-278). — Lino : musico e poeta
greco, figlio di Apollo e di Calliope, consi-
derato come una porsonifioazione mitica: è
ricordato insieme con Orfoo da Virgilio, EeL
rr 66 (cfr. Moore, I 192). — Seneca morale :
L. Anneo Seneca filosofo, nato a Cordova
Terso il principio dell' era cristiana e morto
nel 65 d. C, autore di molte opere morali
{De ira, De eonsolaHone, De benefieiia ecc.),
quasi tutte oonosdnte da Dante {Cono, i 8,
n 14, m 14, rv 12 ; i>8 mon., u b; De vulg.
eloq., z 17: cfr. Mooze, I 288-290). — 142.
Euclide: è il celebre matematico alessandrino
Tissnto intomo al 800 a. C, autore dei 18
libri degli EltmerUi di geometria, — Tolemeoi
32
DIVINA COMMEDU
Ippocrate, Avicenna e Galieno,
144 Averrois che il gran comento feo.
Io non posso ritrar di tutti a pieno;
però che si mi caccia il lungo tema
147 ohe molte volte al fatto il dir vien meno.
La sesta compagnia in due si scema:
per altra via mi mena il savio duca,
150 fuor della qneta, nell'aura che trema;
e vengo in parte, ove non è che luca.
dftadio Ptolomeoi geografo, matematioo •
astronomo egiziano, ▼ioBoto nel leo. n d. C,
autore del eietema astronomico segofto da
Dante. — 14S. Ippo«ratos nedioo natìro di
Ooo, vissuto dal 4,70 oiica al 866 a. 0., ao-
toie di moltissime opere, tra le quali tono
notissimi ^ AforiamL — ATieinuit Ibn-
Slnft, fluaoBO medico azabo, nato nel 960 e
morto nel 1066, autore d*in commento aiir
stotelico noto a Dante (ofr. Cfom. n U, 16,
m 14, IT 21).: si Teda Oana de Vanz, ^««0011-
Mtf, Pazigi, 1900. — Clalltaot CSandio Galeno,
celebre medico, nato in Pergaaio nel 181 e
OK>rto nel 201 d« C, autore di molte opere
di medicina, tra le quali aloone lozono note
a Dante (cfr. Mooro, x 297). — UL ATtr»
rtls s Ibn-Boschd, filosofo arabo, nato a Cor-
doTa nel 1126 e morto nel 1196, antere di
più opere mediche e filosofiche e di nn grande
commento sopra Aristotele del qnale fàcera
molta stima anche Dante (cfr. Purg, zzt 63,
Cono, 17 ÌS, De monareh. i 4): si Tedano E.
Benan, AvemS§ d l^Avtrroimne, Parigi, 1861
e P. Paganini, Qpuso. dmt, n.* 6, pp. 81-44.
— 146. ritrar X rìfexire, render conto. —
146. il mi caccia ecc. m'incalza l'ampia ma-
teria da me presa a trattare. — 147. al
tHUfè eco. il mio racconto non può toccare di
tatto ciò che io Tidi. — 148. la setto e«a-
pagilat la compagnia dei sei poeti si diTìde
in due: l' nna dei quattro che rimangono nel
limbo, l'altra di Virgilio e Dante che scen-
dono dal primo nel secondo cerchio. — 160.
fker ecc. : queta dice l' aria del limbo, perché
mossa leggermente dai sospiri, in con^nto
dell' aria eh» trema del secondo cerohio, per^
che agitata da un turbine Tiolento. — 161.
•?• Btn è ehe laca : ott, Jnf, t 28.
CANTO V
Sair ingresso del secondo cerchio i due poeti trovano Minos, il giudice
infernale, che assegna a ciasoan* anima il sno laogo e la saa pena ; poi
entrati nel cerohio vedono i lassnriosi rapiti continnamente in giro da un
vento impetuoso : Francesca da Polenta si sofferma per raccontare ai poeti
la storia infelice del suo amore [sera dell' 8 aprile].
Cosi discesi del cerchio primaio
giù nel secondo, che men loco cinghia,
8 e tanto più dolor, che pugne a guaio.
Stawi Minos orribilmente e ringhia:
esamina le colpe nell'entrata,
V 1. Cosi: cioè con la oompegnia del
solo Virgilio. — primaio: primo. — 2. che
nen lece eoe che raochiade minore spazio
(poichó 1 cerchi si Tanno restringendo di ma-
no in mano che si scende) e tanto maggior
dolore, che opprime le anime costringendole
a trar guai (ofr. t. 48). — 4. Minos : secondo
la mitologia era il saTio re di Greta, figlio
di QioTO e d'Eoropa; aveva fama di seve-
rissimo nomo, spedalmente per la tenibile
vendetta della morte d'Androgeo, e perdo
fu dai poeti antichi imaginato come giudico
infernale insieme con Badamanto ed Eaoo.
Virgilio, En, vi 426 e segg., lo colloca sa-
bito appresso il luogo dei bambini, come giu-
dice : « Noe vero hae sine sorte datae, sino
iodico, sedes. Qoaesitor Minos umam movet ;
Ule silentum Conciliumqae vocat vitasque et
orimina discit ». — ringhia : digrigna i denti,
fremendo di sdegno. — 6. esamia» eco. Vir-
INFERNO — CANTO V
33
6 giudica e manda, secondo che avvinghia.
Dico, che quando l'anima mal nata
li vien dinanzi, tutta si confessa;
9 e quel conoscitor delle peccata
vede qual loco d'inferno è da essa:
cigneei con la coda tante volte
12 quantunque gradi vuol che giù sia messa.
Sempre dinanzi a lui ne stanno molte:
vanno a vicenda ciascuna al giudizio;
15 dicono e odono, e poi son giù volte.
€ 0 tu, che vieni al doloroso ospizio^
disse Minos a me, quando mi vide,
18 lasciando l'atto di cotanto ufizio,
guarda com' entri, e di cui tu ti fide:
non t'inganni l'ampiezza dell'entrare! »
21 £ il duca mio a lui: € Perché pur gride?
Non impedir lo suo fatale andare:
vuoisi cosi colà, dove si puote
24 ciò che si vuole, e più non dimandare »
Ora incomincian le dolenti note
a farmisi sentire: or son venuto
27 là dove molto pianto mi peroote.
Io venni in loco d'ogni luce muto.
g:ìIio, JBn, TI 667 : « Gastlgatqne «aditqne do-
te» sabigitqne Dfttsri». ^ wtrftUi fecondo
aldini, è r atto dell'entrare ohe lànno le ani-
md ; secondo altzi, il luogo dell'entrare, Tin-
gieno: «in limine primo», dice Viiìg:ilio,
Eti. TI 427. — 6. leeondo eke ardaglila :
■eeondo il nomerò • degli ayyolgimenti della
na coda; come Dante spiega nei Torti che
seguono. — 7. mài nata: soiagorata, dan-
nata; e però tale che sarebbe stato meglio
per lei non nascere : come Cristo disse del
soo traditore (Matteo xxvi 24). — 8. tatta:
Bati: « pienamente, non lasciando alcuna
colpa ». — 9. eososeltor: come il veibooo-
Aoaesre nel lingnaggio gioiidico signiflcdpiw-
dieaan$, cosi eonoteiion volle dir giudiot ; cCr.
Bezasoo, iXt. 266. — 10. k da essa : ò oon-
Teaiente, adattato a tale anima. — 11. el-
gnesl ecc. Se ne ha la riprova nell' Inf,
xxvu 124 e segg., dove Qnido di Montofel-
tro, cfaa è nell* ottavo cerchio, racconta che
MinoB « attorse otto volto la coda al dosso
doro », par giudicarlo. — 12. qRaatanqne :
quanti ; ma contiene in s6 idea d' indetermi-
nata quantità, come se dicesse : quanti mai,
quanti secondo i oasi. — gradi : cerchi in-
fernali. — 13. Sempre ecc. Le anime che
giungono continuamente alla riva d'Ache-
ronte (cfir. bif. m 119 e segg.)» passato il
tona, tÀ aJEoUano innanzi a Minosse : l' una
dopo r altra si presentano al giudizio ; con-
feesano i peccati e, data la sentonza, sono pre-
cipitato ciascuna nel proprio cerchio dai dia-
voli, esecutori della condanna (cfir. Inf. xxi
25 e segg.). — 16. doloroso •ipùlo: albergo
del dolore. — 18. lasciando eoe, sospen-
dendo l'esercizio del suo alto ufficio di giu-
dice delle anime. — 19. gnarda eoe Minosse
vuole intimidir Danto, e cerca perciò di scuo-
ter la fiducia eh' egli ha nella sua guida. —
20. Pamplezsa ecc. la facilità d'entrar nel-
rinfemo ; cfr. Virgilio, En. vi 126 : « . . . £a-
cilis descensus Averne; Noctes atque dies
patot atri ianua Ditis : Sed revocare gradum,
superasqne evadere ad auras. Hoc opus, hio
labor est » ; ma Danto ebbe forse la mento
all' evangelico (Matteo vn 13) : « larga d la
porta, e spaziosa la via, che mena alla per-
dizione; e molti sono coloro che entran per
essa ». — 21. Perehé pnr gride : perché con
vane minacce tonti di distoglier Danto dal
suo viaggio, ohe è voluto da Dio ? H pur può
significare aneh» tu; tanto è vero che Vir*
gilio ripeto a Minosse le parole detto già a
Caronto, Inf, va 96. — 25. dolenti noto:
voci di dolore, l» diaperaU strida già annun-
ziato al poeta da VirgiUo {Inf i 116). - 27.
mi pereote: non pnro il senso, ma anche
l' animo. — 28. d' ogni luce mate t oscuro,
privo di luce ; Venturi 66 : « la voce daate-
3
34
DIVINA COMMEDU
che muggliia, come £& mar per tempesta,
80 se da contrari venti è combattuto.
La bufera ìnfemal, che mai non resta,
mena gli spirti con la sua rapina,
83 voltando e percotendo li molesta.
Quando giungon davanti alla mina,
quivi le strida, il compianto e il lamento,
86 bestemmian quivi la virtù divina.
Intesi che a cosi fatto tormento
ènno dannati i peccator carnali,
89 che la ragion sommettono al talento.
E come gli stomei ne portan Pali,
nel freddo tempo, a schiera larga e piena,
42 cosi quél fiato gli spiriti mali'
di qua, di là, di giù, di su gli mena;
nulla speranza gli conforta mai,
45 non che di posa, ma di minor pena.
8», con bel tcaaUto, mentre ifaiTigorisce
l' idea appropriando alla vista la prirazione
di nn altro senso, adombra l'arcana ooni-
spondenza cbe ò fta i sensi nostri, e più
specialmente tn la vista o V udito ». ~ 29.
mogghla t Bocc: « risnona per lo zawolgi-
mento delle strida e de' pianti > ; e nota che
mugghiare è proprio de' bnoi, mentre qui si-
gnifica Tin ramoreggìaie oonftiso e capo. —
31. La bnfera eoe La bufera, vento impe-
tuoso e forte che abbatte e trascina tutto
ciò che gli si para innanzi, è etema, mai
non reato, come quella ohe f^ ordinata da
Dio come strumento alla punizione dei lus-
suriosi : c£r. la nota al v. 96. — 82. rapina:
rapimento vorticoso, determinato dall'impeto
del vento. — 84. Qoaado eoe Lana, Booc.,
fiuti e in generale gli antichi commentatori
intesero la ruina per V avvolgimento oagio-
nato dalla bufera; come se Dante dicesse:
Quando le anime, mandate da Minosse, per-
vengono in questo turbinio rovinoso, comin«
ciano grandissime strìda e pianti e lamenti.
Altri invece intendono ruina per un vero e
proprio scoscendimento della roccia (o£r. Inf.
su 32 e 45), innanzi al quale, per esseni
seduto Minosse, simbolo della coscienza zi-
morditrìce delle colpe, i dannati urlino e
piangano piò disperatamente. Altri finalmente
intendono nana per il luogo d'ingresso al
secondo cerchio; nel quale si forma la bufera
e dove quindi ^ spiriti sono nuovamente
rìpred dal vento ohe li trae in giro. Si veda-
no Golagrosso, QuetL letier,, pp. 27-46, For-
naciarì. Studi, pp. 46-68, e Bull, I 67, 162.
— 87. Intesi: udii da Virgilio. Scart.: «non
già porchó Viigilio 0 alcun altro glielo di-
oesse, ma if bene argomentando dal modo
della pena, oome Btf, m 61, x 64 > ; ma nel
primo luogo Dante inUnde dopo che Viigìlio
gli ha gi& detto che ivi sono i vili, e nel se-
condo rìoonosoe il Cavalcanti dal modo della
pena e da certe parole oh' egli ha dette, ap-
punto perché sa già ohe ò in cospetto degli
eretici: cf. D'Ovidio, p. 123. — 88. èaao:
forma arcaica per »mo, attestataci dal luogo
del Par. xm 97, dov'è in rima: cC E. Q. Pa-
rodi, BuU„ m 126. — 39. che la ragloB
ecc. fiuti: «fanno la volontà signoreggiare
la ragione; li lussuriosi £uino della volontà
legge ovvero del parere legge, e della volon-
tà ragione ». Il Tornu» cita opportunamente
parecchi riscontri di scrittori medioevali ; tra
gli altri, questi della Tavola ritonda, cap. 75:
« Io non voglio sottomettere la ragione alla
volontà », e di Folgore, son. jxx. : « Chi som-
mette rason a voloniade ». — 40. E eoaie
gli stomei eoo. E come gli stornelli volano
durante la stagione invernale in larga e fitta
schiera, ooii gli spiriti dei lussuriosi : gli
stornelli portati dalle loro ali, gli spiriti dal
vento turbinoso. Lomb. : « Sceglie, al pa-
ragone dell'irregolare mossa data dal vento
a quelli spiriti, il volo degli stornelli, pe-
rocché di fatto è irregolarissimo ». — 43.
DI qua, 41 là eco. Venturi 432 osserva oome
M coi suoni rotti di questi avverbi, ohe 1* un
r altro s' incalzano » sia ben dipinto l'effetto
della bufsra, che avvolge e aggira misera-
mente quelli spiriti; e si noti anche oome
U castigo sia bene appropriato all' incostan-
za ed agitazione dell'animo, nella quale il
vizio trascina i lussuriosL — 44. nulla spe-
ranza eco. non hanno alcuna speranza, i^oa
INFERNO - CANTO V
35
E come i gru van cantando lor lai,
£EU^endo in aer di sé lunga riga;
48 cosi vid'io venir, traendo guai,
ombre portate dalla detta briga:
per eh* io dissi: € Maestro, ohi son quelle
51 genti, che Taer nero si gastiga? >
« La prima di color, di cui novelle
tu vuoi saper, mi disse quegli allotta,
64 fu imperatrice di molte favelle.
A vizio di lussuria fu si rotta,
che libito fé' licito in sua legge,
67 per tdrre il biasmo, in che era condotta.
Eirè Semiramis, di cui si legge
che succedette a Nino, e fu sua sposa:
60 tenne la terra che il Soldan corregge.
L'altra è colei, che s'ancise amorosa,
e ruppe fede al cener di Sicheo;
63 poi è Cleopatràs lussuriosa.
por di posare, ma né anche di a;?er ima
pena meno Tiolenta. — 46. B Mme 1 grm
ecc. Mentre la similitiidine tratta dagli ttor-
neUi ci mostra come le anime fower ttasci-
oate dal Tento, questa delle gra ci fa ten-
tir le grida di dolore dei dannati. Venturi
433 : « Si congionge con la precedeste. Là
d mostnta la fòUa ; qui, coi lamentosi gridi,
la schiera in Innga fila, si ohe il poeta discerné
i* ana dall' altra anima, ohe gli passa dartm-
ti». — lai t già il Beco, notò ohe lai nel-
r antico firanoese aignificaTa nn componimento
in Tersi « in forma di lamentazione » (sul
quale ni Teda F. Wolf, Ueber die Lai», Se-
q%ianxen vnd Leióhe, Heidelberg, 1841); ma
seOa nostra lingna assunse il significato di
Tooe lamenterole, dolorosa, e si disse spe-
cialmente del canto di certi nooelli. — 47.
t^etmdm ecc. : secondo i più dei oommenta-
tori la htnffa riga è quella degli uccelli che
Totano l'uno dietro l'altro; il Booo. iuTeoe,
■ottilmente, intende dell'atto proprio di da*
scoaa gru : « stendono il oollo, il qusle essi
tìMiTift lungo, <««Mì*i, e le gambe, le quali
ùmlmente hanno hin^e,' e cosi fumo di sé
hmga riga ». ~ 48. traendo guai : lamen-
tandosi ; cf. Inf, xm 23. — 49. brigai la ba-
fera infernale. — 61. aer neroi Tento che sof-
fia in luogo tenebroso. — 63. La prima ecc.
Semiramide, regina degli Assiri (circa 1273 a.
C.) ; della quale certo Dante lesse (cfir. Hoo-
re, I 280-281) dò che soriTO Paolo Orosio
(HiaL X 4) : « Huic [Nino] mortao Semiiamis
uxor soccessit... Haeo libidine ardens, san-
gcdnem sitiens, Inter inoeesabilia stapra et
liomiddia, quum omnes quos regiae aroessi-
toe, meretiicis habitu, conoaMta obleotassot.
oooideret, tandem filio flagitioBe conoepto, im-
pie ezposito, inceste cognito, priTatam igno-
minìam publioo soelere obtexit Fraeoepit
enim ut Inter pazoutes ao filios nolla delata
rererentia natorae de ooningiìs adpetendis,
guod euiqué Ubiium ssaa^ Ueiium [Tarlante
più comunemente adottata, Uberum] ftent » :
cfr. F. Lenormant, La legènda d» 8$miramia,
Parigi, 1877. Sopra la forma ossitona dei nomi
greci e barbari, dipendonte in Dante dall' os-
serTsnza delle regole de)U grammatica latina
medioeTale, si cfir. £. O. Parodi, BulL m
106-107. ~ 68. allotta: aUora; ofr. Bif,
XXI 113. — 64. di molte CsreUe: di molte
nazioni, Tarie di stirpe e di lingoaggio. —
66. f^i si rotta : si abbandonò ood sfrenata-
monte. — 68. di eal si legge i nelle storie ;
allusione alle parole d' Orosio, citate da Dante
anche nel De mon, n 9. — 60. tenae la terra
eco. Alcuni intendono: dominò la città di
Babilonia, saU' Eofirate ; la quale Dante a-
Trebbe scambiata con Babilonia sol Nilo,
sede ai suoi tempi del Soldano d' Egitto. Al-
tri: dominò la regione dell'Egitto, conqui-
stata da Nino, marito di Semiramide, secondo
la testimonianTa di un antico storico riferito
da Diodoro Siculo (n 1). — 61. L'altra i
eco. Didone, moglie di Sicheo, fondatrice e
regina di Cartagine; dopo la morte del mar
rito avoTa fatto TÓto di TedoTile castità, ma
s' innamorò di Enea, e si dòtte a luì : e, ab-
bandonata dall' amante, per disperazione si
uccise (cfir. Virg., En, i, it) — s» aaeise :
cfr. Petrarca, Tr. della castità, 10 : « Dido,
Ch'amor pio del suo sposo a morte spinse.
Non quel d' Enea oom* è '1 pubblico grido ».
— 63. Cleopatràs: regina d'Egitto, figlia
36
DIVINA COMMEDIA
Elena vidi, per cui tanto reo
tempo si volse, e vidi il grande Achille,
6G che con amore al fine comhatteo.
Vidi Paris, Tristano » ; e più di mille,
omhre mostrommi, e nominoUe a dito,
69 che amor di nostra vita dipartille.
Poscia ch'io ebbi il mio dottore udito
nomar le donne antiche e i cavalieri,
72 pietà mi giunse, e fai quasi smarrito.
Io cominciai : « Poeta, volentieri
parlerei a quo' due, che insieme vanno
75 e paion si al vento esser leggieri ».
di Tolomeo Aulete, viarata dal 69 al 80 a.
C. : tra gli altri molti ai quali oonceese le
sae grazie ftuono Cesare e Antonio : dire-
nata prigioniera di Ottariano, si uodse per
non servir d* ornamento al trionfo. — 64. Ele-
na: la figlia di Giore e di Leda, bellissima
delle donne greche; il ratto della quale, ope-
rato da Paride, ta cagione della guerra di^
Troia. — Tldl: Kannnod, Vèrbi 788: «ten-'
go che vidi sia qui seconda pera. sing. del-
l'ind. pree., e non prima sing. del perfetto,
e che Virgilio non mostri solamente a Dante
le tre ombre ora detta [Sem., Bidone, Qeop.]
ma che prosegua a nominargli anche le altre
che vengono appresso»; e cita esempi di
vidi per vedi, come in Gnittone : «... ora
ti prenda, lÀ me cordoglio, poi morir mi vi-
di». Altri interpreti fanno terminare il di-
scorso di Virgilio ool ▼. 68. — 66. Ackllle :
figlio di Peleo e di Teti, famoso eroe greco,
che vinto dall' amore di Polissena, sorella di
Paride, fu ucciso a tradimento, mentrs cre-
deva di celebrare le none (ofr. Ovidio, Me-
iam. xin 448). ~ 67. Parts s Paride o Ales-
sandro, figliuolo di Priamo e di Ecuba. —
Tristaae : Bocc : « Tristano, secondo i ro-
mani! di Francia, fu figliuolo del re Meliadus,
e nepota del re Marco di Oomovaglia: e fU
secondo i detti romanzi prò' uomo della per-
sona e valoroso cavaliere; e d'amore man
che onesto amò la reina Isotta, moglie d^
re Marco suo zio, per la qual cosa fli fedito
dal re Marco d' un dardo avvelenato. Laonde
vedendosi morire, ed essendo la reina andata
a visitarlo, l'abbracciò, e. con tanta forza la
strinse al petto, che a lui e a lei scopro il
cuore, e cosi insieme morirono ». — 70. Pe-
seta ecc. F. De Sanotìs cosi conclude il suo
studio sull' episodio di Francesca (Nuovi saggi
eritìei, Napoli, 1879, p. 17) : m Di questa tra-
gedia sviluppata nei suoi lineamenti sostan-
ziali e pregna di silenzii e di misteri, Musa
è la pietà, pura di ogni altro sentimento,
corda unica e onnipotente, che fa vibrare
r anfana fino al deliquio. £ la Musa ò Dante,
che dà principio al Gante già commosso ; ohe
usa le imagini più delicato, quasi apparoo-
ohio aUa scena; ohe al nome delle donne an-
tiche e de* cavalieri rimane vìnto da pietà e
quasi smarrito; ohe si sente già impressio-
nato alla sola vista di quei due che insieme
vanno; che a renderne la figura trova un
paragone cosi delicato e pieno d' imagini
tanto gentili; ohe alle prime parole di Fran-
cesca rimane assorto in una fantasia piena
di dolore e di dolcezza, e tardi si riscuote
ed ha le lacrime negli occhi; e che nella fine
cade come corpo morto, e non è la donna
che paria, ò l' uomo che piange che fa su lui
l'ultima impressione... Tutta questa conce-
zione è coii viva e costante innanzi all' i-
maginazione, che non trovi qui la più lieve
dissonanza e il menomo indizio di rafCredda-
mmto. Virgilio è di troppo in questa trilo-
gia, e scomparisce, non fa atto alcuno di pre-
senza. Tutta la ocmiposizione sembra tirata
di un flato e in una sola Tolta; tanta ò l'ar-
monia e la perfezione tecnica ne' più piccoli
particolari. Lo stesso rerso ubbidisce alla
possente rolontà e risponde con la morbi-
dezza musicale de' suoni alle più delicate in-
tenzioni àsA. poeta ». — 72. fai f nast saiar-
rtiot molti commentatori intendono questo
smarrimento come efletto di un timore pro-
vato da Dante, conosciutosi colpevole del Ti-
zio punito in questo cerchio ; ma è più na-
turale intenderio come effetto del sentimento
pietoso suscitatd nel suo animo dalla vista
di tanti amanti infelioL — 74. qae'daet
Francesca da Polenta, figlia di Guido signore
di Bavenna, e Paolo Malatesta, di lei co-
gnato (ofr. la nota al t. 97) ; per la storia
Tedansi la monografia di L. Tonini, Mmwrié
gtoriehe intomo a Fr, da Ri/mini (2* ediz.,
Bimini, 1870) e 0. Bicci, L'uUimo rifitgio di
D. Au p. 128 e segg. — 76. ^oa ecc. sem-
brano esser oo8( leggermente portati dal Ten-
to; perché, osserva il Tomm., non avendo
cercato di resistere all' impeto della passione,
non sono essi in istato di opporre alcuna re-
INFERNO - CANTO V
m
Ed egli a me : e Yedr&i, quando saranno
più presso a noi; e tu allor li prega
78 per quell'amor clie i mena, e quei verranno ».
Si tosto come il vento a noi li piega,
mossi la voce : « 0 anime affannatOi
81 venite a noi parlar, s' altri noi niega ».
Quali colombe dal disio chiamate,
con Pali alzate e ferme, al dolce nido
84 vengon per Faer dal voler portate;
cotali uscir della schiera ov*è Dido,
a noi venendo per l'aer maligno,
87 si forte fu Paifettuoso grido.
« 0 animai grazioso e benigno,
che visitando vai per Paer perso
90 noi che tignemmo il mondo di sanguigno,
se fosse amico il re dell'universo,
noi pregheremmo lui por la tua pace,
98 poiché hai pietà del nostro mal perverso.
Di quel che udire e che parlar ti piace
noi udiremo e parleremo a vui,
96 mentre che il vento, come fa, si tace.
Siede la terra, dove nata fui,
fótoBZA «II* impeto del Tento. — 78. elit 1
■fi : che li trascina ; i per <j ò anche in
hif. wn 5S, zvm 18, Patr, xu 16, xxuc 8.
>- 80. O ■■11» AliMttAto ecc. Nelle parole
eon 1» qvjJi Danto ai volge ai doe spiriti
inna«M^T«ti d calore e sentimento d'aifetto,
dM le Tende efficaci tanto òhe U primo pen-
serò di Fzmnoesca è quello della preghiera
a Dio per colui che le ha rivolto il grido af'
ftUmao. — 82. 4{aali eoo. « Come le oolom-
he, dkiamate dal desio del dolce nido, volano
ad e«o non col solito remeggio delle ali,
bensì portate dalla voglia intensa di ginn-
gerri; eoef le omhre di Francesca e Paolo
▼siuMfo per l'aria verso di noi, non già spinto
dalla solita Imfera infernale, bensì per som-
pfiee Cassa del grido aifettooso onde le avevo
i»Ki««..»^ »; D'Ovidio, p. 669. La similitudine
psoeede da quella di Viigilio, JH. v 218:
« Qnalis... oolumba, Cui domus et duloee late-
broso in pumioe nidi... mox aere lapsa quieto
Badit iter Uquidnm, eeleros neque oommovet
alas » : cfir. Moore, I 184-186. Sulla varia
lesione e punteggiatura di questa terzina si
db. il eeoondo dei Diaoorti dm di M. Bicci,
Ktenae, 1887, dorè sono riassunto le rela-
tive eoAtrovecsia. — dal disfo t dal deside-
rio del nido, daU' amore dei figliuoli. — 86.
sehlsra ev' è Mde : non la turba dei lussu-
zk», in genere, sf pid tosto una schiera for-
■eta di qaelli che peooarono, non già per
brutale sensualità, ma per una violenta pw*
sione, di modo ohe la nobiltà dell' animo loro
non fu del totto corrotta. L'idea di quwt&
schiera separate fti quasi certamento fiujtgo^
rito dal virgiliano, Kn, vi 460: « Inter quju
phoeniasa recens a vulnera Dido Errabat n
(cfr. Moore, I 172). — 88. animai : etisora
animato, uomo. — 89. perse t Dant« stesso,
Cotryo. IV 20 : « perso è un colore tiiist[> di
purpureo e di nero, ma vince il neiro^ e «la
lui si denomina ». — 91. ss fosse 9co. Do ^
Sanctis (p. 10) : « Queste preghiera «indizio^
nata, che dal fondo dell' infèrno aanda o,
Dio un' anima condannata, ò uno d«' sentì-
menti più fini e delicati e gentili, edito dui
vero. Non e' d la preghiera, ma o' è l' mtcfn-^
zione ; ci ò terra ed inferno mesooUti ticl^
l'animo di Francesca; una intenzicine pia
con linguaggio ed abitudine di perdona ancor
viva, ma che non giunge ad essere proghi^ra
perché accompagnate con la cosoioti£4 <ìoll[>
steto presento». — 96. mentre che eco. IL
vento infernale, che per legge eterna mai mi»
r6ai(ki qui per divina concessione s' ixtterrfìmpe
tento che Francesca e Paolo possano intrmtr
tenersi con Danto. — > 97. Stede la itrra
eco. La storia, o leggenda di FnmcMcftt ^
narrate dagli antichi oommentetorl, con pi^
chissime dilTerenze; l' An. fior, scrive : « Kglt
d da sapere che gran tempo fti fr^^irm tm
messer Guido da Polente [Guido minore, ai-
38
DIVINA COMMEDIA
su la marina dove il Po discende
99 per aver pace conseguaci suL
Amor, che al cor gentil ratto s'apprende,
prese costui della bella persona
102 ohe mi fu tolta, e il modo ancor m'offende.
gnoie di Bavenna dal 1276] et
tegta reoohio da Bimino [cfir. hif, xrm 46].
Ora, perohó oxa linoreeciata all' una parte et
all' altra, di comune oonoordia fedono pace
et aedo ohe me^io s* ossexraase, fedone pa-
rentado insieme [poco dopo il 1276]... Madonna
Franoesoa, figlinola di messer Qnido, fa mar-
xitata a Giandotto di messer Malatesta; et
come eh' eg^ fosse savio, fti rostioo nomo,
et madonna Francesca bellissima, tanto ohe
fa detto a messer Qnido : ' Voi avete male
accompag:nata qneeta Tostia figliola : ella ò
bella, e di grande animo ; ella non starà con-
tenta a Giandotto '. Messer Guido, che avea
piò caro il senno che la bellezza, volle pure
che il parentado andasse innanzi: et come
eh' elli s' ordinasse, aedo che 1a bnona donna
non rifiatasse il marito, fece venire Polo a
sposarla per Giandotto suo fratello ; et cosi,
credendod avere Polo per marito, ebbe Gian-
dotto. È vero ohe, innanzi oh' ella fosse spo-
sata, essendo nn di Pdo nella corte, nn»
cameriera di madonna Francesca gliel mo-
strò et disse : * Qnegli fia tao marito '. Ella
il vide bello : posegli amore, et oontentosse-
ne. Et essendo ita a marito et trovandosi la
sera a lato Giandotto et non Polo, com'ella
credea, fa male contenta. Tidde ch'ella era
stata ingannata; non levò l'amore oh' ella
avea posto a Polo, ma crebbe oontinnamente :
onde Pdo, veggendod amare a costd, come
che prima ripognasse, inchinoed agevolmente
ad amare lei. Av«Dkne che in qnosto tempo
eh' eglino s' amavano insieme, Giandotto an-
dò fuori in signozia [essendo andato in alcuna
terra vicina per podestà; oosf il Beco.], di
che a costoro crebbe speranza per la soa par-
tita; et ood crebbe amore tanto che segre-
tamente essendo nella camera, et leggendo
uno libro di Lancillotto, oom' egli innamorò
delia reina CKnevra, et come... veggendola
ridere, prese' sicurtà et basdolla; questi due,
leggendo et venendo a questo punto, si guar-
darono nd viso et sodororonsi per voglia di
fare il simigliante; et prima colla mano et
con alcuno basdo invitando l'uno l'altro,
nell' ultimo posoiw in pace i loro disii. Et
più vdte in diversi tempi faccende il simi-
gliante, uno famiglio di Giandotto se n' av-
vide : scrisselo a Giandotto ; di ohe, per que-
sta cagione tornato Giandotto, et avuta un
giorno la posta, gli sopragiunse nella ca-
mera che rispondea di sotto ; et troppo bene
[Polo] si sarebbe partito, se non che una ma-
glia del coretto oh' egli avea in dosso, s' ap-
piccò a una punta d'aguto della cateratta
[jper la quale di quella camera d scendea in
un' altra : cosi aggiunge il Beco.] et rimase
cosi appiccato. Giandotto gli corse addosso
con uno spuntone : la donna entrò nd mez-
zo ; di che, menando, credendo dare a lui,
diede alla moglie ed uccisela, et poi uedse ivi
medesimamente Polo dove era appiccato». Dd
tragico fatto, ohe, per quanto d può conget-
turare, dovrebbe essere accaduto dopo il 1283,
nd quale anno Pado ta capitano del popolo
in Firenze, e forse durante la podesteria pe^
Barese di Giovanni Malatesta nd 1286, nulla
dicono i cronisti dd tempo : tra i commen-
tatori, il Bocc. ne fa un racconto più ampio,
ma conforme nella sostanza a quello ddl'An.
fior. ; Pietro di Dante v' aroenna come a un
fatto notissimo; Bambaglioli, Lana, Ott., Benv.
e Buti lo narrano con brevità, senza aggiun-
gere alcun utile particolare. — la terra eco.
Bavenna, dtuata quad sull'Adrìatioo (ai tem-
pi di Dante assai più vidno che oggi non sia
a quella dttà) e bagnata allora dai rami in-
feriori del Po (Badarono e Padenna): cfr. Bas-
seimann, p. 97. — 100. Amor ecc. « DaUa
sua bocca [di Francesca] pare che non possa
uscir più se non un' unica parola, cmort,
ch'ella grida tre volte, oon impeto e fuoco
sompre crescente : amore che rapido infiam-
ma le anime; amore, ineluttabile destino;
amore, che unisce per la vita e per la morte I
Prima, è una soave tenerezza per l'amante,
un ouoir gentiUf cui era necessità esser preso
d'amore per la AeiZa jwrsona, e pur nelle f^ad
raffiruite e un po' convenzionali, ohe n di-
rebbero tolte ad una canzone, passa come
una musicale carezza, forse come una me-
moria della vita dogante e gioiosa, vissuta
insieme noDe corti paterne, dove d leggevano
i romanzi di Tristano e di Landlotto, e d
cantavano le canzoni d'amore > (E. G. Paro-
di, BuJLVn 19). — al ter gentil eco. La
dottrina dd Guinizelli (canz. v 1), che « Al
cor gentil ripara sempre Amore », era stata
accolta da molti rimatori del dugento e spe-
cialmente dai poeti fiorentini dello atil tiuouo
(cfr. Pwrg. xxiv 67); anche Dante la pro-
fessò sino dalla giovinezza, come d ha dalla
F. A". XX 10 : « Amore e '1 cor gentil sono
una cosa... Falli rmtura, quand' ò amorosa,
Amor per pire e '1 cor per sua magione ».
— 101. bella persona: bellezza oorporea;
cosi nella F. N, xxxi 60, e in Odo delle
Cdonne (D'Ano. I 70): «la sua persona
bolla ». — 103. il Modo aneor ■' offende s
INFERNO - CANTO V
39
Amor, che a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer si forte,
105 che, come vedi, anc5r non mi abbandona.
Amor condusse noi ad una morte:
Caina attende chi vita ci spense ».
108 Queste parole da lor ci fdr porte.
Da che io intesi quelle anime ofifense,
chinai *1 viso, e tanto il tenni basso,
111 finché il poeta mi disse: e Che pense? >
Quando risposi, cominciai : € 0 lasso,
quanti dolci pensier, quanto disio
114 menò costoro al doloroso passo I »
Poi mi rivolsi a loro, e parla' io,
e cominciai : e Francesca, i tuoi martiri
117 al lagrimar mi fanno tristo e pio.
Ma dimmi: al tempo de' dolci sospiri,
peitlkó 1* Tiolents morte la colse in soli' atto
ési peccato, ai eh' ella non ebbe tempo a pen-
tiza. Faxodi, 1. ciL: «l^emito d'odio e di ad»*
gBo, die aobito ai imozza e li stempra nella
dokasza deàìa memorie e nel spyerchìare del-
l'affatto j». — 108. Amor eoo. Bntì: « l'amore
il quale oanstngne sempre ohinnqxie d amato
■d amaro»; il rh.ptrdonan qni significa quasi
Hitpmmn\ far ifraesiia\ c£r. D'Ovidio, p. 660.
— 104. ail prese eoo. mi fece innamorare s£
totemente dalla Taghexza, della bellona di
Paolo. Parodi, L oit: e Francesca parla ora
£ b6, e nna capa fiamma par che le baleni
ae^ occhi, e la passione prorompe in versi
sonori, xobnsti d'accenti, di sillabe tronche,
di consonanti accoppiate, versi tra vohittaosi
e aagoscioai, i quali non hanno più ohe assai
poco del ritegno femmineo. Qui ella senza vole-
re, asDza averne ooeciensa, rivela tutta sé stes-
sa, lasciandoci intravedere una di quelle veri-
tà ^e una donna non dice : l'amore forU, in-
dfflsiabile, dominatore Ai il suo; essa trasdnò
Pack»; essa lo avrinse a sé con indissolubili
nodi per sen^re, anche nell'inferno. — 106. ad
mmm meiia: poiché furono uccisi nello stesso
modo e «^«omA ; il Lana scrive ohe Gianciotto
« prese una spada, e conficcolli insieme in tal
■wdo che abbracciati ad uno morirono» : cir-
costanza che non s* accorda col racconto del
Booc e dell' An. fior. — 107. Calne eoe: la
parte del nono cerchio dell'inferno, nella
quale sono puniti i tiaditori e gli uccisori dei
coasaagninei : cfir. hif, zzxn 68. £. Bonca-
^a, {Onmaea dsl R. Lieeo di Bologna, 1876)
asserto a lungo su questo verso, per dimostra-
re che ai deve intender come detto da Paolo,
al qaala, come a uomo d' armi e di corrucci,
bcft si conviene queste maledizione che in-
temjgpe il mite e affettuoeo discorso di Fran-
cesca: ma per quanto alcune delle ragioni
recato a sostenerla sieno molto osservabili,
queste interruzione turberebbe lo sviluppo
dell' episodio, nel quale Francesca, come ben
dice il De Sanctis, empie di sé tutte la scena,
e Paolo ò solamente l'espressione mute di
lei : alla donna il parlare, all' uomo il pian-
gere, perché come sono eternamente confusi
quasi in un solo essere per forza d' affetto,
cosi anche nelle loro manifestazioni si com-
piono a vicenda: cfr. anche Parodi, Bull. YU
18 e segg. e D'Ovidio, p. 661. — 106. da lori
da Francese», che parla anche in nome di
Paolo ; cfir. sopra il verso 96. — 109. oSTens?:
dal dolore della morte e dal tormento infer-
nale : la forma latineggiante offenso rìcorre
altre volte in rima, Pitrg. zxxu 12, Far. xvn
62. — 112. 0 lasso ecc. « La st^^ssa colloca-
tone delle parole, sapiente oom' ò di solito
in Danto, ci avverte che tutto il senso e tutto
il sentimento si appunto nel doloroso passo ;
e in meno di una terzina, secondo che vuole
l'energica concentrazione del concepire dan-
tesco, noi abbiamo la sintesi, etica e senti-
mentale, della storia dei due amanti, cioè un
concetto moralmento giusto, ma nel tempo
stesso pietoso, dell'amore colpevole, che per
un' ingannevole via di desideri e d' ebrezzo
volge al suo tragico destino » (E. Q. Parodi,
BulL YU 18). — 113. quanti dolci ecc. Oh,
quanti dolci pensieri d'amore trassero, ac-
compi^^narono costoro al passo doloroso della
morto e della dannazione. — 117. al lagri*
mar ecc. mi fanno dolente e pietoso sino
alle lagrime. — 118. Ha dimmi: De Sanctis
(p. 16) : « Francesca nel suo primo racconto
lascia un' immensa lacuna : tra il suo inna-
moramento e la morto giace tutta una storia,
la storia doli* amoro e del peccato, e la vore-
40
DIVINA COMMEDIA
a che e come concedette. Amore,
120 che conosceste i dubbiosi desiri ? »
Ed ella a me: e Nessun maggior doloi'e,
che ricordarsi del tempo felice
123 nella miseria; e ciò sa il tuo dottore.
Ma se a conoscer la prima radice
del nostro amor tu hai cotanto affettOi
12G farò come colui che piange e dice.
Noi leggevamo un giorno per diletto
di Lancelotto, come amor lo strinse:
129 soli eravamo e senza alcun sospetto.
Per più fiate gli occhi ci sospinse
quella lettura, e scolorocci il viso:
182 ma solo un punto fu quel che ci vinse.
Quando leggemmo il disiato riso
ooiida giovane si airesta e tace. Ma Dante
china il capo e rimano assorto, finohó Yiigilio
gli dice: che pense 9 né pad rispondere subito,
e quando paò, risponde come trasognato e par-
lando a sé stesso, né pud volgere la parola a
Francesca senza lacrime. A che cosa pensava
Dante? Ma era tutta questa istoria dell'amore
e del peccato che egli si volgeva nella men-
te ». — al tempo del ecc. nel tempo che
v' era dato sospirare d' amore e di speranza,
a quale indizio e in qual guisa vi accorgeste del
reciproco Affetto? Non ò volgare curiosità che
splugo Dante a far questa domanda: le e-
brezze d'amore se sono riuscite a si tragica,
fine lo fanno meditare tuli' origine del peccato ;
e ogli, il poeta della liberazione morale, vuol
compiere la propria esperienza, conoscere le
misteriose vie della colpa, e dal confronto
d'un momento d'ebrezza ooU' etema miseria
trarre per tutti una nupva e purificatrice com-
mozione» (Parodi, 1. cit.). ~ 120. dnbbloil
df siri: Bocc.: « chiamagli dubbiosi, i deside-
ri degli amanti, perciocché quantunque per
molti atti appaia che l'uno ami l'altro, e l'al-
tro l'uno, tuttavia suspicano non sia cosf corno
lor pare, insino a tanto che del tutto discoperti
e oonosciuti sono ». — 121. Nesina maargior
ecc. Bella e vera sentenza di Boezio (Phihs.
eonaol, u, prosa rv 4) : « in omnì adversitate
fortunae, infelicissimum est genus infortunii
fuisse felicem ». ~ 123. 11 toc dottore: Vir-
gilio, o per esperienza propria che, dice il
Lana, « ricordandosi del suo essere in lo mon-
do poeta e in grande stato, e ora vedersi nel
limbo senza grazia e speranza di bene non d
senza dolore e gramezza », o perché, nota il
Bocc., « nel principio delle narrazioni, fatte
da Enea, de' casi troiani a Didone [En. n S]
e ancora nel dolore di Didone nella partita
di Enea [En. iv 657], assai chiaramente il di-
mostra»: eh. Moore, I 281-282. — 124. Ma
se ecc. cfr. Virgilio, En, n lO-lB. — 126. farò
eoo. cfr. Jnf. xzxm 9. — 127. Noi leggeva-
mo ecc. I romanzi d'avventura, scritti in
lingua Ihmcese, in verso e in prosa, erano aa-
sai diffusi Ita noi nella seconda metà del se-
colo zm, e si leggevano volentieri anche nelle
corti di Romagna ; e poiché i primi libri ita^
liani dove sia distesamente narrato il fiitto
di Landlotto e di Ginevra, non possono esse-
re anteriori al trecento, ò quasi certo che il ro-
manzo letto da Paolo e Franceeoa era in lin-
gua francese. — 128. Laaeelotto : uno degli
eroi della tavola rotonda, amante della regina
Ginevra. La fonte di Dante d il Laneeld du
LaCf romanzo del secolo xn, nel quale si legge
oome Gallehault, partecipe del segreto dei due
amanti, conducesse Landlotto avanti a Gi-
nevra, in un verziere, e come questa, ai con-
forti di Gallehault, s'inducesse a baciare a
lungo il buon cavaliere ohe stava titubante
innanzi a lei: 11 passo relativo del romanzo
firancese fta pubbl. dal Polidori nella Tavola
rotonda, Bologna, 1864, U 260 e sgg. e da
altri: ctr. Chnfar. dantesche, H 270, 280. -~
129. soli ecc. De Sanctis (p. 16) : « Chi mai
fa questa osservazione se non l'amore colpe-
vole ? Leggono una storia d' amore e non osa-
no di guardarsi, e temono ohe i loro sguardi
tradiscano queUo ohe l'uno sa dell'altro e
l'uno nasconde all'altro; e quando in alconi
punti della lettura veggono un' allusione al
loro stato, uno stesso pensiero fa violenza,
forza, sospinge i loro sguardi, e gli occhi im-
memori s'incontrano, né già osano di so-
stenerli e li riabbassano, e la coscienza di
essersi traditi e il firemito della carne si ri-
vela nel volto che si sct^ora ». — 183. di-
siato riso : Buti : « il desiderato allegro vol-
to... o vogliamo intendere, la bocca che pia
INPEKNO - CANTO V
41
esser baoiato da ootaoto amante,
135 questi, che mai da me non fia diviso,
la bocca mi baciò tatto tremante:
Galeotto fu il libro e dii lo scrisse;
138 quel giorno più non vi leggemmo avante ».
Mentre che l'uno spirto questo disse,
l'altro piangeva si che di pietade
io venni meno si oom'io morisse,
142 e caddi, come corpo morto cade.
ilfflosta fl riso, che aloon' altra parte dd Tol-
to ». Boco. inreoe : « la deeideimta lettila la
^ ta alla xeina Ginerra ». I commentatori
poetniozi loiio qnad tatti per 1* interpreta*
zia&e dal Boti; na oflwrra il De Sanotis,
m tnttani materialmente della bocca, ti
kae dal riso «che è respresaione, la poesia,
il aeotimeoto della bocca, qualche coaa d'im-
eoiporale che ai Tede errar fhi le labbra e
eoa» ataoeato da ease e che ta paoi Todere,
■a non puoi toccare ». — 185. f ae.tl, che
■al eco. Finiaaima d 1* oaaenra&one del De
SaactiaCp. 17): « Quando Francesca è Tìnta,
liando a peccato-^' era già nell'anima ai
firela, nel ponto ateaao del bado, anzi prima
aacoia che il peccato le caca di bocca,... tra
ramante e il peccato ai gitta in messo l'in-
Cano, e il tempo felice ai oongionge oon la
BMna, a quel momento d'oblio, il peccato,
MA ai cancella pia, diTiene l' eternità ». —
187. flilaotia eoo. il libro fece tra noi qaello
■tano oCficio che Oallehaalt fé* tra la regina
ffiaerra e Lancilotto. — 11 Uhro ecc. La let-
tala del romanzo di Lanetiot du Lae^ aeoondo
il D' Gridio, pp. 85 e 661, ò an' inTendone
M poeta, non un particolare storico o leg-
geadazio eh' egli laocogUesse in Bomagna in-
tono agli amori di Fxanceeoa e Paolo : in-
Teca il NoTati, Omfer. dtmietohet n 272 ri-
tiene il contrario, osserrando ohe del roman-
si dal dolo bretone « Dante non fu mai let-
tore cosi appaaeionato n6 ammiratore tanto
caloroso, che la mente soa doTeaae esser sen-
za stimolo esteriore e possente richiamata a
rammaitarae Tool questo Tuoi qoell' ^iso-
dio». — 138. fisi giorno ecc. Giusti {Senta
funi, p. 285): « Gon questo Terso di molteplice
signiftcato ToUe il p. adombrare d'un Telo
onesto una cosa inonesta in sé, inonestissima
in bocca d' una donna. Quasi ultimo tócco,
Tolle riperauoCare tutte le corde sentimentali
di queUa lagrimoTole istoria ». — 189. IHino
spirto: Francesca. — 140. 1* altre: Paolo;
cfr. la nota al t. 107. — 142. e caddi ecc.
Venturi, 809 : « La acelta delle parole, tutte
di due sillabe, e T uniforme graTità degli ac-
centi rendono stupendo questo Terso per suono
imitatiTo; e Dan sentire la caduta di un corpo
con modo pi6 efficace di quel d'Ovidio ove
narra di Aldone : * Gullapsaque oorpore tota
est ' (JM. ZI 460) ». Dalla similitudine dan-
teaca procedono le altie aimili del Fetraroa
(atm. u 8) «Caddi, non già come persona
TiTa», del Pnld(ifofy. zzn264): «Ecndde,
come morto in terza cade», ,e dell'Ariosto
{OrL n 55, 6) : « Forza è chi '1 mira abbar-
bagliato reato, E cada come corpo morto cauo».
CANTO VI
Bitomato in sé, Dante si trova con Virgilio nel terzo cerchio, dove setto
BDà orrìbile pioggia sono paniti i golosi ; domato fìacilniente Cerbero, che
è posto a guardia del Inogo, i dne poeti si fermano col fiorentino Ciacco,
che parla a Dante delle dissensioni trai Bianchi e i Neri e delle loro cagioni,
e poi a* ineamminano verso il qnarto cerchio [sera avanzata dell' 8 aprile].
Al tornar della mente, che si chiuse
dinanzi alla pietà de' duo cognati,
8 che di tristizia tutto mi confuse,
TI 1. Ài tonar ecc. Quando la monte
aia, rimasta Tìnta nella pietoaa commozione
frarata allo apettacolo doloroso di Francesca
e dì Pa^o, ritornò alle sue operazioni, riprose
il conoscimento. — 2. pietà : pena, tormento,
che muove gli animi a compassione. — 8. che
di trlatUia ecc. : cfr. Inf. v 116-7, 140-2:
tristiytia vale proprio il dolore deli' animo prò-
42
DIVINA COMMEDU
nuovi tormenti e nuovi tormentati
mi veggio intomo, come ch'io mi mova,
6 e come oh* io mi volga e ch'io mi guatL
Io sono al terso cerchio, della piova
eterna, maledetta, fredda e greve:
9 regola e qualità mai non l'è nuova.
Grandine grossa e acqua tinta e neve
per l'aer tenebroso si riversa:
12 pute la terra che questo riceve.
Cerbero, fiera crudele e diversa,
con tre gole caninamente latra
15 sopra la gente che quivi è sommersa.
Gli occhi ha vermigli, la barba unta ed atra,
e il ventre largo, e unghiate le mani ;
18 graffia gli spiriti, scuoia ed isquatra.
Urlar gli fa la pioggia come cani:
dell' un de' lati fanno all'altro schermo;
21 volgonsi spesso i miseri profani
Quando ci scorse Cerbero, il gran verme.
dotto da una riolenta oommoàond (cfr. V, N,
rm 6, xzxvi 6, ^/l xxx 144, Ani^. zzn
66 eoe). — 4. 9M9YÌ tomoitl eoe. Dante
e Virgilio, oontiniiando il loro viaggio, sono
pezrennti nel terzo oerohio, dove sono poniti
i golofli, pensoflsi da una pioggia di acqua,
di neve e di grandine, ohe si roveeoia loro
addosso con indictMle tormento. •— 5. eoaie
eh' Io mi moTA eoo. ovunque io mi muova
procedendo, o mi voHi e riguardi stando fer-
mo. — 7. al tetfo eereUe^ della piova:
al terzo cerchio, che è quello della pioggia.
— 9. regola • qaallftà eco. immutabile, si
nella violenza oon la quale si rovescia, a£
nelle sostanze ond'ò formata: l'usò della
parola guaìUà a indicare le condizioni, la na-
tura della pioggia ha un riscontro in quel
passo della F. N. tttt 49 dove, di Beatrice
morta, dice il p. : « no* la ci tolse qualità di
gelò », cioè il mancare del calore vitale. —
10. aequa tinta : secondo l' interpretazione
comune è acqua sporca, di die poi si forma
b « sozza mistura » accennata nel v. 100 ;
secondo alcuni sarebbe il ìUviaefUo^ che aequa
tinta è detto in alcune parti di Toscana. —
12. paté eco. la terra, sulla quale va a ca-
dere questo miscuglio, ne acooglie ed esala
il fetore. — IB. Cerbero: il cane tricipite,
oon coda e crini di serpente, figlio di Tifeo
e di Echidna, il quale sta a guardia dell' In-
ferno. Virgilio, En, vi 417 : « Cerbems haeo
ingens latratu regna trifaud Personat, ad-
verso recubans immanifl in antro », e Ovi-
dio, Met, IV 448 : « Quo simul intravit, sa-
croque a corpore pressum Ingomuit limcn :
tiia Cerberus extulit ora, Et tres latratua
edidit : Illa sorores Noote vooat genitas, grave
et implacabile numen: Carceiis ante forse
clausas adamante sedebant, Deque suis atros
pectebant oiinibus angues » ecc. — diversa :
strana orribile; come forse in B*f, m 26, vn
105, zxn 10; cfr. V, N, zxm 20: « m'appai^
vero certi visi diversi e orriUli a vedere ».
— 14 eoa tre gole eoe : questo verso d da
pronunziare con due accenti, scindendo nei
suoi elementi l' avverbio eanfyM-mènU; oome
in Bar. zi 12. — 16. qalvl è iOMMersa i
Buti : « sta aifogata in questa pioggia >». -^
16. dll oechl eoe Secondo gli antichi com-
mentatori gli ooeki vermiffli significano l' im-
peto dell' ira e del desiderio, la barba unta
ed atra la voradtà e golosità, il ventre Uxrgo
V insaziabilità e le wnghiate mani la rapadtà.
~ 18. ieaoia : leva loro la pelle, li scortica,
cfr. Inf, zxu 41 ; ma si avverta che molti
buoni testi hanno i/ngoiOf e cosi lessero Bonv.,
Buti, Anon. fior, e altri antichi. — Isqaatra :
squarta, lacera, fa a brani; il Torraca dta
Monte Andrea P' Ano. m 274): « Che tal
colpo si '1 cor de l' omo squatra », e il Pa-
rodi, BvU. m 116 nota che Dante usò que-
sta forma anche nel Oon», p. 145: « fender
per mezzo Lo core alla crudele che '1 mio
squatra». — 20. dell'an eco. del lato che
d stato a terra gli spiriti fanno schermo a
quello che è stato esposto alla pioggia, cioè
si voltano spesso sui fianchi, ora opponen-
do l'uno, ora l'altro alla pioggia. — 22.
Il gran vermo: vermo chiama qui Cerbero e
in Inf. XXXIV 108 Lucifero, por indicare il
INFERNO - CANTO VI 43
le boccile aperse e znostrocci le sanne :
24 non avea membro che tenesse ferma
£ il duca mio distese le sue spcuine;
prese la terra, e con piene le pugna
27 la gittò dollaro alle bramose canne.
Qual è quel cane, che abbaiando agugna
e si raoqueta poi ohe il pasto morde,
SO che solo a divorarlo intende e pugna;
cotai si fòoer quelle facce lorde
dello demonio Cerbero, che introna
83 l'anime si eh' esser vorrebber sorde.
Noi passavam su per l'ombre ohe adona
la greve pioggia, e ponevam le piante
86 sopra lor vanità che par persona.
Elle giacean per terra tutte e quante,
fuor ch'una che a seder si levò, ratto
89 ch'ella ci vide passarsi davante.
« 0 tu, che se' per questo inferno tratto,
mi disse, riconoscimi, se sai:
42 tu fosti, prima ch'io dis£Ektto, fatto >.
Ed io a lei: € L'angoscia che tu hai
forse ti tira fuor della mia mente,
45 ai che non par ch'io ti vedessi mai
kno wssao e orrìbile aspetto; oomeL. Paldf s'affatioa: nota il Tomm. ohe i dne verbi
3tory. !▼ 15, d' una bestia smisurata : « qua- « rendono insieme il simile senso del lat eon-
sto cradei veimo L'offendea troppo col flato ttndan». — 82. introna: stordisce col tri-
e od caldo », e TAriosto, Ori xlti 78, del plico latrato (ofr. Inf. xvn 71). — 84. l'om-
fiarolo, « gran Terme infornai ». — 28. san- bre, che adon» eco. le ombre, che la grave
ne: saune o zanne sono i denti da presa del pioggia abbatto, fiacca : adonan nel senso di
case e del «ringhiale : cfr. Bif, xxii 66. — abbattere ò anche nel Purg. zi 19, e non è
2L nen ave* ecc. il tremito di tntto il corpo infrequente negli antichi ; p. es. é. Villani,
iSDda bene l' Jmagine del corrucciato e fame- CV. vi 80: « e cosi si adonò la rabbia dello
lieo saiinala. — 26. ittanne: apanna ò prò- ingrato e superbo popolo di Firenze». —
pziamente T apertura deUa mano ; qui signi- 86. vanità ecc. sembianza corporea, senza
fica le mani aperto. — 26. • con piene ecc. reale consistenza. — 88. vna: è l'ombra del
Virgilio con ambedue le mani gitta terra nelle fiorentino Ciacco ; del quale racconta un'av-
gi^ di Cerbero per acquetarlo ; manifesto ri- ventura il Bocc Dos., g. a, n. 8, dicendolo
cordo àeH* otto deUa Sibilla, gidda di Enea « uomo ghiottissimo quanto alcun altro fosse
aO' inferno, la quale a Cerbero (En, vi 420) giammai, ... per altro assai costumato e tutto
« Molle sopoiatam et medicatis frngibus oB&m pieno di belli e di piacevoli motti »: i oom-
Gtàdt ». — 28. Qnal è eco. Viig. En, vi montatori antichi non sanno dir piò ; le Chiose
421 dice solamente che, gittote l' ofEs, « nie an. dicono eh' ei fti banchiere, mentre altri
fusa zabidA tiia guttura pandens Corripit come, l' Ott. e l' Anon. fior., attestano che fu
otoctam, atque iniTnanla targa resolvlt Fusus uomo di corto o buffone : visse certo nella
bnoù, totoque ingens extonditur antro » : seconda metà nel secolo xm, e forse non ò
Bute invece con la similitudine del cane di- dissimile da quel Ciacco dell' Anguillaia, del
pDgb fìA. vivamente i successivi atti della quale ci restano alcune rime (D'Ano, in 179).
fisia crudele. Venturi 408 osserva che della — 42. tn fosti ecc. tu nascesti prima che io
■«''ìtTidinft dantesca si ricordarono l'Ariosto, morissi : alcuni pongono la morte di Ciacco
Ori ULJLVU 78 e il Tasso, Off. Itb. ix 88. — al 1286, quando Danto era non piir nato, ma
i: agogna, appetisce avidamente il più che vontenno. — 43. angoscia : cfr. In/".
cOio. — 30. inteads e pugna: attoude e iv 19. — 44. ti tira occ. il doloro altorondo
44
DIVINA COMMEDIA
Ma dimmi ohi tu se', che in si dolente
loco se'mesBa, ed a ai fatta pena
48 che, s' altra è maggio, nulla è si spiacente ».
Ed egli a me : « La tua città, eh* è piena
d'invidia si che già trabocca il sacco,
51 seco mi tenne in la vita serena.
Voi cittadini mi chiamaste Ciacco :
per la dannosa colpa della gola,
54 come tu vedi, alla pioggia mi fiacco ;
ed io anima trista non son 8olfi^
che tutte queste a simil pena stanno
57 per simil colpa». E più non fé' parola.
Io gli risposi : € Ciacco, il tuo affanno
mi pesa si che a lagrimar m'invita:
CO ma dimmi, se tu sai, a che verranno
li cittadin della città partita;
s' alcun v' è giusto ; e dimmi la cagione,
G3 per che l' ha tanta discordia assalita ».
Ed egli a me : € Dopo lunga tenzone
le tae sembianTO ti allontaiui dalla mia me-
moxia, fa d eh' io non ti lioonoooa. — 48. eh«,
8' altra ecc. che se altre pene la vincono di
gravità, nessuna è tanto lastidioeai nessuna
mortifica tanto ohi ne è colpito. — maggio:
maggiore ; coef anche in Inf, ttti 84, Poar.
VI 120, xnr 97, xxvi 29, xxvm 77, xxzm 66.
— 49. lift tiu «itftà eoo. Firenze, tanto j»0na
d'iinmdia cioò di quelle gare per gli nfflct po-
litici, che ftirono causa principale delle di-
sconUe fiorentine : cfr. D. Compagni, 0. 1 20 :
« La città, retta con poca giustizia, cadde in
nuovo pericolo, perché i cittadini si comin-
domo a dividere per gara di ufid, abominando
l' uno r altro ». — 61. vita serena : quella
della terra, in opposizione alla vita tormen-
tosa dell' inferno : cosi ò detta anche in Inf.
XV 49 ; e vUa beila, in Inf. xv 67, e vita lieta
in Inf, XIX 102. — 62. m1 cklMnaste Claceo:
Buti : « C^aooo dicono alquanti, che ò nome
di porco : onde costui era cosi chiamato per
la golosità sua»; ma abbiamo avvertito che
Ciacco ò proprio nome di persona, non già
sopranome : cfr. la nota al v. 38. — 64. mi
flaeeo : spiega, se ce ne fosse bisogno, V adona
del V. 34. — 68. Io gU riiposi ecc. Dante
prova tanta compassione per il misero suo
concittadino che si sente trascinato a pian-
gere; ma prevale il desiderio di conoscer le
future vicende della sua patria, e però egli
fa tre domande a Ciacco : 1', che aocadxà di
Firenze, già divisa dalle fazioni ; 2*, se vi sia
alcun cittadino alieno àal parteggiare ; 8^, qua-
le sia la cagione delle discordie fiorentine. —
60. le ti sai: intomo alla cognizione che i
dannati hanno delle cose del mondo ti cflr.
la nota all' Ji/. x 100. — 61. città partita:
Firenze, già tino dal 1216 divisa nelle due
partì dei guelfi e dei ghibellini, sulla fine del
secolo xm era unita, che per grandissima
parte la cittadinanza era guelfa : ma già sino
dal 1280 s' erano manifestate le prime inimi-
cizie tra le famiglie dei Cerchi e dei Donati,
e queste inimicizie (tuono principio della nuo-
va divisione della cittadinanza nelle partì dei
Bianchi e dei Neri, divisione scoppiata ap-
punto nella primavera del 1800. — 64. Ed
egli a me: la risposta di Ciacco tooea in
forma di predizione alcuni avvenimenti degli
anni 1300-1302, che importa ricordare chi
voglia bene intendere il passo dantesco (cfr.
per la cronologia. Del Lungo, II 606-611 e
D'Ovidio, pp. 661-663). Già s' erano manife-
state pifi volte inimicizie tra i Cerchi e i Do-
nati, allorché nel calendimaggio del 1300, fe-
steggiandosi il rinnovamento della primavera,
una brigata di giovini donateschi si scontrò
in una di cerchieschi e li assali a mano ar-
mata, e nella zuffa fu tagliato il naso a Ri-
coverino de' Cerchi ; « il qual colpo (dice D.
Compagni, O. i 22) fta la distruzione della
nostra città, perché crebbe molto odio tra i
cittadini ». Divisasi cosi tutta la città, furono
nel giugno per decreto dei priori, dei quali
era Dante, confinati i principali delle due
parti (cfr. Compagni, Or, i 21, 0. Villani,
Or. vm 41, 42, Machiavelli, bt. fior, n, 18) :
ma tornarono presto ; e non passò molto tem-
po ohe i primi della parte donatesca « si rau-
norono uno di (dice il Comp. O. i 23) in
^. !■•
INPEBNO - CANTO VI
45
verranno al sangue, e la parte selvaggia
66 caccerà l'altra con molta offensione.
Poi appresso oonvien ohe qnesta caggia
infra tre soli, e ohe l'altra sormonti
69 con la forza di tal che testé piaggia»
Alte terrà lungo tempo le fronti,
tenendo l'altra sotto gravi pesi,
72 come che di ciò pianga e che ne adontL
Giusti son duo, ma non vi sono intesi :
SuitA TiiikHa, delibentidicMciAra i 0«iQhi ».
Soopecta queste oongiaift, che ta. dica nel
maggio del ISOl, « fmoifeo condannati in grave
pena» akani capi della Duioiie dei Donati, dei
quali andanmo in bando Cono Donati, Gerì
Spini, Farcino dei Paaxi, Boeso della Tosa e
pid altri (Comp., 0. 1 34, P. FSeii, €¥, p. 68).
— 65. Teiraana al uagiet accenna al fé-
liBMuto di Ricoverino de' Pazzi ; a proponto
del quale nn cronigta del tempo (dt. dal Del
Lungo, n 609) racconta che « fi diceva, Qne-
ita fedita ieoonoerà Io itato di Firenze ». —
Is parte ativagglat la parte dei Cerchi, fa-
miglia venuta in Firenze dalla Val di Sieve
e axriocliitaai con la merostora : D. Compagni,
O. 1 ao dice dei Oecchi eh' erano « nomini
di faaaM stato, ma bncni mercatanti e gran
ricchi », e O. Villani, O. vm 89 li dipinge
ooBs stirpe non cattiva, ma vanitosa e inur-
bana e di «bizzarra salvatiohezza» : cfr. Air.
XV] 61». — 66. caccerà l'altra ecc. t accenna
a^ esigli dei Ci^i donatecchi dopo la oongin-
ra di S. Trinità, del maggio 1801. — 67. Poi
apprese* ecc. La profezia trapassa alla ca-
duta della parte oerchiesca o dei Bianchi, e
al Bonumtaxe deUa parte donatesca o dei
Keci ; accennandosi cosi alla proecrìdone in-
cominciata nel gennaio del 1900 sotto gli an-
ejàei di Oario di Vaiola dal potestà Canto dd
Galnìelli e oontinnata sino all'ottobre del-
Taano stesso dsl soo snccessore Gherardino
da Oamtaza (etr, Dd Lungo, L'esilio di
DmHk, Fizenze, 1881), e specialmente alla
condanna dd 6 aprile 1803 che colpi Vieri
de' Cerchi e gli altri capi di parte Bianca. ~
68. Infra tre selli prima che passino tre
anni, prima die pasd il tempo che corre dd
BOSBento in eoi parla Ciacco (aprile ISOO)
sino aDe nltime condanne (ottobre 1902). —
r altra: la parte donateeca o dd Neri. —
69. di tal ecc. : non già, come intesero l' Ott,
Bear, e mdti moderni, di CkAo di Vdois,
cke nella primavera del 1900 era tntto occn-
pato neDa gnena fiamminga; d bene diBo-
nliìMio vm, non ancora chiaritod favoreggia-
iofo deUa parte donatesca, il qnde (dice con
frase sooltoria fl Comp. (>. n 11) « parole
lasinghevole da nna mano osava, e da l'dtra
i il signore sopra noi », doè spin-
geva addosso alla parte cenhiesca Carlo di
Vslois : questa interpretazione, data già dd
Beco., dd Bnti e dall' Anon. fior., s' appoggia
anche d significato deUft frase : oA« todà pù^
già, cioè che ora d destreggia tra le due parti,
sta fra l'nna e l'dtra; dove il vb. neutro
piaggian ha lo stesso senso figurato che in
un passo di Q. Villani, Or. vn 69: «Molti
che alla prima avean tenuto col Cardinde,
d frirono rivolti per gli sdegni che vedeano;
e i Qxandi di Parte Nera, e simile qndli che
piaggiavano od Cardinde [alcuni codid leg-
gono : il Cardinde] d gnemirono d' arme e
di gente » : d cfr. Del Lungo, n 615-8 e
A. Massera, Oiom. doni., Vn 871-882. —
70. Alte terrà eco. Con la proecrìdone dd
Bianchi la signoria della città rimase d capi
dd Neri, « dd quali (dice il Comp. Or. n 26)
ninno d pud scusare che non fnsse gua-
statore ddla dttà»: i vincitori iniziarono
un' aspra persecuzione contro i vinti, cercando
d' impedire che fossero accolti nelle vicine
dttà, togliendo loro i castelli che possedevano
nd contado, opponendod vigorosamente d
ripetuti tentativi di rientrare in patria, guer-
reggiando contro Pistoia serbatad fedele alla
parte bianca; fatti tutti che Dante doveva
avere in mente scrivendo questi verd, seb-
bene non accenni ad dcuno in particolare.
— 72. eeaie che eoe per quanto i Bianchi
se ne addolorino e se ne sdegnino. — 78. Gin-
stl son dso: risponde alla 2* domanda di
Dante dicendo che in Firenze due soli dtta-
dini sono alieni dd parteggiare. I commen-
tatori d sono affaticati a fermare chi fossero
questi due; e il Del Lungo, n 615, scrive in
proposito : « Non crederd probabile dò che
molti hanno detto, essere uno de' due l'Ali-
ghìeri medesimo : certamente poi il pensare,
come secondo, a Guido Cavdcanti, partigiano
e fazioso se altri md, ò inammissibile... Ta-
luno fra gfi antichi disse adombrard in quei
duo due figure morali, la Giustizia e la Ra-
gione. Alcuni fra i moderni propongono, co-
me secondo all' Alighieri, il Compagni, argo-
mentando (e dò invero a buon dritto) la
rettitudine dell' animo suo dalla Oronica. Ma
non mi pare sufficiente ragiono; perché credo
che se didtri virtuosi dttadini possodossimo,
46
DIVINA COMMEDIA
superbia, invidia ed avarizia sono
75 le tre faville che hanno i cori accesi ».
Qui pose fine al lacrimabil suono;
ed io a lui: «Ancor vo'che m'insegni,
78 e che di più parlar mi &oci dono.
Farinata e il Tegghiaio, che far si degni,
Iacopo Eusticuccii Arrigo e il Mosca,
81 e gli altri che a ben far poser gl'ingegni,
dimnii ove sono, e fa ch'io li conosca;
che gran desio mi stringe di sapere,
84 se il ciel gli addolcia o lo inferno gli attosca ».
E quegli : « Ei son tra le anime più nere ;
diversa colpa giù li grava al fondo:
87 se tanto scendi, li potrai vedere.
Ma quando tu sarai nel dolce mondo,
pregoti che alla mente altrui mi rechi:
90 più non ti dico e più non ti rispondo ».
Gli diritti occhi torse allora in biechi,
guardommi un poco e poi chinò la testa ;
come di Dino, memorìd della vita scritte da
loro medesimi, eguali aigomenti potremmo
trorarvi pei aggiadioare a più d' uno di essi
uno di qaei posti d' onore. .. Io temo ohe la
pradente oritioa debba linonciare all'inter-
pretazione di quel Terso: del qnale, fors'anco,
rAlighìeri volle semplicemente, e senza al-
lusioni personali, significare che in sf grande
cittadinanza il numero de' giusti era piccolis-
simo, e quasi nullo; e quei pochissimi, non
ascoltati ». — 74. ivperbift ecc. : risponde
alla 8^ domanda di Dante, assegnando come
motivi principali delle discordie fiorentine la
superbia, l'invidia e l'avarizia; i tre vìzt
che anche Brunetto Latini, Inf. xv 68 e G.
Villani, Or, vni 68, 96, rimproverano ai loro
concittadini : cagioni principali dei loro dia-
sensi civili, e perciò considerati qui indipen-
dentemente dai tre vizt ohe sono cagioni del
perturbamento morale dell'umanità, raffiga-
rati neUe tre fiere (cfr. Inf, i 81). -~ 76. la-
criiMbil saono: profezia lacrimevole delle
sventure di Firenze. — 79. Farinata: Fari-
nata degli liberti, ohe è nel cerchio sesto,
tra gli eretici : Jnf. x 22 e segg. — il Teg-
ghiaio: Tegghiaio degli Adimari, che è nel
settimo cerchio, tra i sodomiti : Inf. xvi 40-2.
~ far 9Ì degni : e d significazione di reve-
ronza, che egli [Dante] adopera verso mag-
giorenti poUtioi della vecchia Firenze, di
quella, come dicevano, del primo popolo ; e
cotesto uso assoluto di degno per ragguardò-
coi0, inaignB applica altrove anche a cittadini
de' regni spirituali [Purg. m 100, xxn 126,
TTTT 152]»; Del Lungo, DanU U 438. —
80. laeopo Baitleveel: è, in compagnia do!
precedente, nel settimo cerohio : Inf, xn
48-6. — Arrigo : secondo l' Anon. fior., dei
Qiandonati; secondo Benv., dei Fiùmti; ono di
quelli, ad ogni modo, eh' ebbero parte nell'oo-
dsione di Baondelmonte nel 1215 (cfr. O. Vil-
lani, O. V 88, e Machiavelli, 2s<. n 8) : Dante
non ne riparla pi6. — li Mosca: Mosca Lam*
berti, che è nel cerohio ottavo, tra i semi-
natori di discordie: hìf, xxvin 106. —81. a
ben far poser gl'Ingegni: aoomna alle
virt6 civili, delle quali ftirono ornati cotesti
suoi concittadini; o male ahmni moderni in-
tendono che Dante parli ixonioaments: dò
essondo inammissibile, pel dubbio in ohe Dante
era s' ei fossero in paradiso o in infamo; dub-
bio che non sarebbe stato possibile se la lode
d'esser stati sf degni e d'aver posto a h«n far
gV ingégni fosse stata ironica: ofr. anche Inf,
XVI 69. — 84. gli addolcia: li rallegra con
le sue dolcezze, con la beatitudine. — gU
attdiea : gli amareggia con gli eterni tormenti.
— 66. Ei BOB ecc. Farinata, Tegghiaio, la-*
copo, Arrigo e Mosca sono tra anime jit. col-
pevoli che non sieno i golosi di questo oerchio.
— 86. grava: trascina col proprio peso; per-
ché i dannati sono collocati in un cerohio
tanto più basso quanto maggiore ò la gravità
della loro colpa. — 88. dolco «ondo: cosi
chiama la terra anche in Inf, x 82 ; ofr. la
nota al v. 61. — 89. pregoti eoo. Questo de-
siderio d' esser ricordato ai viventi d, secondo
Dante, comune a quasi tutti i ij^wn^ti^ ct^^
spesso lo manifestano (e£r. Inf, xm 66, zvi
85 ecc.). — 91. GU diritti oocU eoe. tene
INFERNO - CANTO VI
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cadde con essa & par degli altri ciechi.
E il duca disse a me : « Più non si desta
di qua dal suon dell'angelica tromba,
quando verrà la nimica podestà:
ciascun ritroverà la trista tomba,
ripiglierà sua carne e sua figura,
udirà quel che in etemo rimbomba ».
SI trapassammo per sozza mistura
dell'ombre e della pioggia, a passi lenti,
toccando un poco la vita futura;
per eh' io dissi : « Maestro, esti tormenti
cresceranno ei dopo la gran sentenza,
o fien minori, o saran si cocenti ? »
Ed egli a me: e Eitoma a tua scienza,
che vuol, quanto la cosa è più perfetta,
più senta il bene, e cosi la doglienza.
Tutto che questa gente maledetta
in vera perfezion già mai non vada,
di là, più che di qua, essere aspetta ».
Noi aggirammo a tondo quella strada,
parlando più assai ch'io non ridico;
venimmo al punto dove si digrada:
quivi trovammo Fiuto il gran nemico.
Cecamente gli occhi, che duo allora ayeyano
goaxtlato natoralmente. — 98. a pur degli
altri deefel : degli altri golosi, ohe essendo
eoi TÌ80 immezao nel fango, nulla potevano
Tederò. — 94. Plk bob il desta ecc. Non si
risre^ierìi prima del €riadizio uniTersale,
qoaxkdo al saono delle trombe angeliche tntti
i morti risorgeranno nella valle di losafat e
riprendenumo le loro spoglie mortali, per es-
eer divìai in due schiere, quella dei dannati
e quella àei beati (oCr. San Tommaso, Sum-
«a, P. m, qn. 66, art. 2 e qnest 69, art. 5).
— 96. Bladea podestà: Cristo, autorità ni-
mica ai malvagi: podestà^ invece di podestà^
non è raro nogìi antichi, come p. es. Bocc.,
ymfale fi6$okmo, st 183: « Siccome a quella
e* hai in tua poddsta ». — 99. qiel che la
ctOfBO ecc. la sentenza di etema condanna.
— 100. trapaisawime ; passammo oltre, per
la sozza mescnlanza delle anime dannate e
d^ fango prodotto dalla pioggia. ~ 102. toc-
caad» «a poco eoo.: le idee di Dante su
qoeato argomento sono esposte nel Cànv, ii
9. — 108. etti tormenti eco. Dante chiedo
a Virgilio 00 dopo il Giudizio universale le
pe^ dell' inferno sanumo aumentate o dlmi-
suite o lasciate intatte. — 106. ti eoeeatl:
dolorose cosi oome sono ora. — 106. Ed egli
a me eoo. Vìigilio rifonde che le pene sa-
ranno maggiori, perché maggiore sarà la di-
sposirione delle anime a sentirie. — a taa
scienza : secondo alcuni, alla filosofia aristo-
telica ; altri, meglio, credono che Virgilio ri-
chiami Dante alla dottrina teologica cristiana,
secondo cui, dopo la risuirerione, per esser
r anima ricongiunta al corpo sarebbe venuta
a trovarsi in maggiore perfezione e perciò di-
sposta a sentire la beatitudine o la pena eter-
na : cfr. Par, xiv 48. — 109. Tatto che ecc.
Virgilio ha già dato bastevole risposta a Dan-
te; ma a prevenire ogni dubbio aggiunge che
la perfezione dei dannati non d mai la vera,
quella cioò che dispone a sentire la beatitu-
dine, e che i dannati s' aspettano cotesta lor
perferione dopo ilQiudirio universale, quando
avranno ripreso i loro corpi : di ohe si con-
clude che allora esti tormenti ereso&rarmo, —
111. di là ecc. aspetta d'essere in istato di
perferione pi6 dopo il Giudirio, che prima. —
112. Noi aggirammo ecc. facemmo la via ohe
gira all' intomo del cerchio. — 114. il di-
grada: si discende dal terzo al quarto cer-
chio. — 116. Plato: Flutos, figlio di Demeter
e di Iasione, divinità greca che personifica la
ricchezza; Dante lo trasforma in un demonio
(cfr. Inf, ni 83), che presiede appunto a quel
cerchio, ove sono puniti coloro ohe ftirono
intomperontl noli' uso dogli avori.
48
DIVINA COMMEDIA
CANTO VII
Suir ingresso del qnarto eerchio i poeti sono accolti con parole strane
da Plato ; e, passando oltre, Tisitano^ il laogo ove sono poniti gli avari e i
prodighi. Qnindi entrano nel quinto cerchio, dove sono gli iracondi, gli ac-
cidiosiy gV invidiosi e i superbi, e girando intomo alla palade Stige per-
vengono a piò d' un* alta torre [8 aprile, presso la mezzanotte).
€ Pape Satan, pape Satan aleppe >,
cominciò Fiuto con la voce chioccia.
3 E quel savio gentil, che tutto seppe,
disse per confortarmi: e Non ti neccia
la tua paura, che, poter ch'egli abbia,
6 non ti torrà Io scender questa roccia».
Poi si rivolse a quell'enfiata labbia,
e disse : « Taci, maledetto lupo :
9 consuma dentro te con la tua rabbia.
Non è senza cagion l'andare al cupo:
vuoisi nell'alto là dove Michele
Vn 1. Fape SfttaB eoo. IQaeeto è uno del
versi più tortarati del poema. Per gli antichi
(Lan., Pietro di Dante, Ott., Bocc., Benv., Ba-
li, An. fior., ecc.), che prendono Hpape come
nna esclamazione ammiratiTa e V cUeppe come
nna esclamazione di dolore, il verso significa :
M Oh Satana, oh Satana, ahi »; quasi Plato
meravigliandosi e insieme dolendosi della ve-
nata dei doe poeti, invocasse l' aiuto del prìn-
cipe dei demoni. Dei moderni, alcuni consi-
derano queste parole come se fossero calcate
sull'ebraico e le intendono variamente:
« Splendi aspetto di Satana, splendi aspetto
di Satana primaio » (M. Lanci, Dissertatone
sui veni di NembroUo e di Pluto, Boma, 1819);
oppure : « Qui qui Satan, qai qui Satan oo-
manda» (Q. Venturi negli Stud^ ined, su
DanlSf Firenze, 1846, p. 86); oppure : « Bocca
di Satana, booca di Satana, perché non vo-
miti fiamma » (C. Schier, del et Enfer^ Lip-
sia, 1866). Altri credono doversi spidgare
questo verso come composto di parole greche,
cosi : « Ah ah Satan, ah oh Satan invitto ! »
(Olivieri, nella Gaxx. di Milano^ 1829) , ov-
vero: «Como, o Satanasso, come o Satanasso,
principe doli' inrenio, un audace mortale osa
ponotraro qua entro ? » (G. Puccianti nella
liivista orientaUj fase ix, 1867), oppure:
«< Oh! ribolle, oh! ribolle! ah, vattene via ! »
(Ti. Monti, L' interpreiaxione del verso dantesco
Pape ecc. Torino, 1896, ctr. G. VandoUi,
DuU, IV 106 e sgg.). Altri finalmente ten-
dono queste parole come formate sul ftan-
cese, e spiegano : « Pace, pace Satana, pace
pace Satana, alla spada » (V. Bemi nel O'tor-
naie Aroadieot fase zm), o il contrario : « Non
pace Satana, non pace Satana alla spada»
(G. Ventura, L'ineompreso verso Pape eco.
Milano, 1868) : o£r. anche un'altra spiegaziono
nel Gellini, Vita n 27. Quale sia, delle tante,
la vera interpretazione non si sa; perohó
Dante forse volle mettere in bocca a Pluto
parole incomprensibili a noi : quello che si
pud raccogliere ò ohe queste parole sono
un' eedamazione di rabbia (v. 9), che tendono
a spaventare i due viaggiatori (v. 6-6) e che
Virgilio le comprende, (v. 8) : si cfr. anche M.
Scherillo, Ross. criL 1 174-184. — 2. ekioeda:
rauca ed aspra, per la rabbia; cfr. £nf, xxxn
1. — 8. qael saHo: Virgilio. — 4. Hon ti
BOeeia: non ti danneggi, vìnoendoti. — 6.
poter eco. per quanto potere. — 7. eBllata
labbia : faccia gonfia per lo sdegno : cfr. la
nota al Purg. zxm 47. — 8. lapo : Booo. :
« il chiama lupo, aodocchó s' intenda per lai
il vizio dell' avarizia, al quale ò preposto »;
e cosi intesero quasi tutti i comment. antichi.
Lomb. crede invece che « oosf ft&oesse il poeta
nostro da Virgilio appellarsi quel demonio a
cagione del rauco ed orrendo uriare che fa-
ceva ». — 10. al cupo : alle profondità del-
l' inferno. — 11. tooIsI eco. Ripete con altre
parole ciò che disse a Caronte, Inf, m 96 e
a Minosse, v 23. — nell* alto eoo. nel cielo
dove l'Arcangelo Michele vinse la schiera
degli angeli ribelli (J|>oeaiÌ8M zn 7-9). —
INFERNO — CANTO VH
49
12 fé' la Tendetta del superbo strupo >.
Quali dal vento le gonfiate vele
caggiono avvolte, poi ohe l'alber fiacca,
15 tal cadde a terra la fiera crudele.
Cosi scendemmo nella quarta lacca,
prendendo più della dolente ripa,
18 che il mal dell'universo tutto insacca.
Ahi giustizia di Dio, tante ohi stipa
nuove travaglie e pene, quante io viddi?
21 e perché nostra colpa si ne scipa?
Come fa l'onda là sovra Cariddi,
che si frange con quella in cui s'intoppa;
24 cosi convien che qui la gente riddi.
Qui vid'io gente più che altrove troppa,
e d'una parte e d'altra, con grand* urli,
27 voltando pesi per forza di poppa:
percotevansi incontro, e poscia pur li
si rivolgea ciascun, voltando a retro,
12. ttrap* : dal lat barb. iiropM, sohiera,
tuta; da altri 4 spiegato, per metatesi, da
jf^pro, nal senso di Tiolenza, ribellione o simi-
le : q[óetf ultima interpretazione ò sostenata
oon molta dottrina filologica dal Parodi, BtUL
m 116-U6. — 18. invali ecc. Venturi 870:
« Vira la similitadine e calzante. Le vele
gonfiato dal Tento danno idoa dell'ira orgo-
gliosa di Flato. Se l'albero maestro, coi
sono raooomandate, a un tratto si fiacca,
fasfaiìo pA d* un colpo rawìlappate ; e cosi
Plato «ade a terra dòmo e qnasi raggomito-
bto: foelle rese ormai inntUi; questi, non
jiA tmwiiWle », — IL llaeeai si spezza. Se-
eoodo aleani il sogg. è vento; senza bisogno
di ezedar qoesto yb. usato in senso neutro:
ma il ToKxaca cita questi Tersi di France-
sco da firenza (D'Ano, n 410): • Vednf d
per eontaatare Al Tento, pendi' & potenza,
Pender l'albore e fSaeean E cader sanza di-
Jeua ■( onde appar ohiaxo che gli antichi
isazoiio questo Tb. anche in senso intransiti-
To; cfr. Parodi, BuiL JR 151. — 16. Iacea:
loesa, carità che oostitaisoe il quarto cerchio.
— 17. ^eadeado eoe. procedendo sempre
ptt anUa ripa iniémale, che accoglie tatto
la aoaOentezie mondane. — 19. Ahi gln-
itixla eoe Ahi, dirina giustizia, chi, se non
sei ta, ladona tanti inauditi tormenti e pene?
— 20. traTaglie eoo. dolori morali e mate-
riali; cfr. IbiH di Cesare, m 6 : € ATOte sof-
isrte per me molte traTaglie e molte pene ».
—■21. wi m» sel^ : cosi ci strazia. — 23.
> fa eco. Come le onde del mare, nello
> di Messina, incontrandosi s' infrangono
rumorosamente, oosf le due schiere dei dan-
nati del quarto cerchio, procedendo in una
misera danza. Tengono a percuotersi impe-
tuosamente. Venturi 110 cita a riscontro i
passi d' Omero {Odie, zn), di Virgilio {En,
m 420) e di Ovidio {Met, Tn 63), che descrì-
vono r infrangersi delle onde tra Sdlla e Ca-
riddi. — 24. riddi! rùidoredbaUar la ridda;
ballo tondo fatto da molte persone con ra-
pido movimento circolare. — 26. troppa:
numerosa. — 26. d'una parte • d'altra:
delle due schiere, quella degli avari corre
alla sinistra dei due poeti (cfr. v. 89), e quella
dei prodighi alla destra; gli uni e gli altri
sono condannati a percorrere eternamente la
metà del cerchio, si che ai due punti estremi
del diametro l'una schiera s'incontri nell'al-
tra (t. 65) ; e ìtì nell' atto di ritornare in-
dietro si gittano scambieTolmente un motto
di rimproToro (t. 80): tutti poi camminano
Tolgendo per forza di petto macigni e pesi
gravissimi (v. 29): cfr. anche Inf. zi 72. —
28. par 11: pur U. È frequente in Dante e
negli altri poeti antichi il caso di un mono-
sillabo che perde il proprio accento, appog-
giandosi encliticamente alla parola precedente,
per formare una spedo di rima composta : per
OS. Inf, zxvm 128 0 «m (: chiome) ; zzx 87
non ei ha {i soemota); iVy. zix 84 aìmen ire
(: venkre)} Par, v 122 d<' di' (: annidi), H Pa-
rodi, Btttf. m 140, ha arvertito che queste
rime composte « erano già in voga presso i
provenzali e che nei nostri primi lirici ab-
bondano, fripri d' ogni discrezione, accompa-
gnandosi con le più bizzarre libertà d'acoen-
BAins
50
DIVINA COMMEDIA
80 gridando : e Perché tieni ? >, e « Perché burli ? »
Cosi tornavan per lo cerchio tetro,
da ogni mano all'opposito punto,
88 gridandosi anche loro ontoso metro:
poi si Yolgea ciascun, quando era giunto
per lo suo mezzo cerchio all'altra giostra.
86 Ed io, che avea lo cor quasi compunto,
dissi: «Maestro mio, or mi dimostra
che gente è questa, e se tutti fiìr cherci
89 questi chercuti alla sinistra nostra ».
Ed egli a me: « Tutti e quanti fiir guerci
si della mente, in la vita primaia,
42 che con misura nullo spendio fUrcL
Assai la Toce lor chiaro P abbaia,
quando vengono a' due punti del cerchio,
45 ove colpa contraria li dispaia.
Questi far cherci, che non han coperchio
piloso al capo, e papi e cardinali,
48 in cui usa avarizia il suo soperchio >•
Ed io : « Maestro, tra questi cotaU
dovre'io ben riconoscere alcuni,
51 che furo immondi di cotesti mali >•
Ed egli a me : « Vano pensiero aduni :
la sconoscente vita, che i fé* sozzi,
54 ad ogni conoscenza or li fa bruni
In etemo verranno alli due cozzi;
questi risurgeranno del sepulcro
to >. ~ 80. Perche ti«Bl] perohó sei aTaio?
È il rimprovero ohe i prodighi £Bamo sgiì aya-
ri. — Parektf kwU t perché sei prodigo? È U
rimproToro degli avari ai prodighi: burlar» va-
le propriameate buttar via, spaiger», oome si
ha da un passo della Lettm-a del yrito Imni
(Loooa, 1867, ed. L. Del Prete) : « quando lo
vento dà per qnetti fiumi, burla di qnesta pol-
vere di foori >. — 81. per le eerehlot i prodi-
^ per il semioerohio destro, gli avari per il
sinistro, rispetto ai dne poeti che si sono ool-
locati sovra ano dei due ponti nei quali av-
viene rincontro. — 88. gridandosi eoe
rinnovando il grido delle inginriose parole :
— 86. all'altra giostra: all'altro pnnto
d' incontro. — 88. eherel: ohierid, gente di
chiesa. — 88. eliereitl; oherioatl, con la
chierica o rasura dei capelli, che è propria
dei sacerdotL — 40. Tatti • qwuiti ecc.
Tatti gli spiriti, d' ambedoe le schiere, Itarono
nel mondo cosi ottenebrati dall'errore che
non seppero osare misoratamente delle ric-
chezze; gli oni ammassandone, f^ altri scia-
lacquando. — 48. Issai ecc. Lana: e dice
atbaiaf quasi in dispregio di loro parlare,
eh' dnno s£ oome cani, e che senza misura
fanno loro spendii, ciod che ritennero dove
si doveva spendere, e dienno là dove non
bisognava ». — 45. colpa eontraria li di-
spaia : diversità di colpa, per gli uni di ava-
riria e per gli altri di prodigaUtà, U divide,
li disgiunge. — 46. non han eopereUe : non
hanno intera la «figliatura, per esser tou-
suratL — 48. la eoi osa ecc. nei quali suolo
esser jìLìl vivo il desiderio di ricchezza che
non sia negli uomini d'altra condizione; poi-
che, come dice in Luf, xix 112, fatto si hanno
e Dio d' oro e d'argento ». — 61. cIm fkro
ecc. che furono colpevoli per avarizia e poi
vizi ohe da essa procedono. — 62. «diial :
accogli nella mente. — 68. la seonosoeato
ecc. la vita, priva d' ogni conoscenza, onde
si macchiarono, li fis essere ora oscuri ad
ogni conoscenza, li sottrae al conoscimento
altrui. — 66. alli die coezI : a incontrarsi
nei due punti del cerchio, che sono il limito
estremo del loro corso. — 66. questi eoo.
€ al die del giudicio li avari risorga-
INPERNO - CANTO VII
m
57
CO
C3
66
69
col pugno chiuso, e questi co'crin mozzL
Mal dare e mal tener lo mondo palerò
ha tolto loro, e posti a questa unSk:
qual ella sia, parole non ci appulcro.
Or puoi, figliuol, veder la corta buffa
de' ben, che son commessi alla Fortuna,
per che l'umana gente si rabbuffa;
che tutto l'oro, eh' è sotto la luna,
o che già fu, di queste anime stanche
non poterebbe fiEume posar una >.
€ Maestro, diss'io lui, or mi di' anohe,
questa Fortuna, di che tu mi tocche,
che è, che i ben del mondo ha si tra branche ? »
£ quegli a me : e O creature sciocche,
quanta ignoransa è quella che vi offendei
or Yo'che tu mia sentenza ne imbooche.
Colui, lo cui sayer tutto trascende,
, coi pugni chinai a dimostrare e* hanno
taanto lo wiperchio ; li prodighi risorgeranno
eoa li erini, doò con li capelli, mozzi, a mo-
rtnre e* hanno speso, cioè gittate lo sopore
ddo ». — 67. eo'erlB mozzi : cfr. Aify. xzn
46: « Qaaorti risurgeran coi crini scemi, Per
ìgnoniiw, che di questa pecca Toglie il pen-
ter Threndo e negli estremi ! > — 68. Mal
dm • mtd iCMT eoo. lo spendere « 1* am-
■assare aenza misnra ha tolto loro il para-
fiso. — 60. parols bob ci appvlero: non
tiid * ridirtelo oon belle parole. — 61. «orU
bvfliii: g^ antichi oommentatori non sono
d'aeeotdo nello spiegare queste parole: buffa ò
per fl BambagL « Uhtsio », perii Lana e bontà
•d ^Hit^ft », per rott € la bugia », per l'An.
&or. « potenzia », per il Bati e derisione », per
il Booc. e Beny. e vanità > ; reramente buffa
nxébbe il Tento, il fiato, e qui in senso tra.
slato tbIo forza vana, vanità; ed ò detta wria
pesdkó non ci accompagna nell' altro mondo,
dove non ha alcon valore. Questa splega-
noDe non piace al Parodi, BuU, m 149, per
il quale buffa qui vale ^Ofiino, come in Mf.
xxa 188 : co«£ aveva già spiegato il Castel-
veteo, «inganno corto », ma se ne penti su-
tetoi, per ragioni evidenti di contesto. L' in-
gaano dei beni comme^i alla fortuna è per-
petao e universale: brovo e transitorio il
loto valore. — 63. TamaBa gente ecc. Bnti:
e si pezcaotono li uomini del mondo insieme,
iBghxdando, scacciando, battendo et noci-
dsDdo l'uno Taltro ». — si rabbuffa: si acca-
figSa, viene a contrasto; cfr. lacopone da
Tiadl, laudi: «Questo mondo ò una truffa
Dofva ogni omo se rabuffo ». — 64. elid tutto
eoe. ed è colf vana cotesta efficacia che tutto
ecc. Un concetto molto simile ò osprosuo d^
Boezio, Phiha. eonsol, n, poesia u 1 : *^i
quantas rapidis flatibus inoitus Fmitns T«rs&t
aienas, Aut quod stollifaris edita nootibiis
Goelo sidera fùlgent, Tantas ftmdat opos^ n^
retrahat manum Pieno Copia oomu; Huma^
num miseras hand ideo genus Cesect flisre quo^
relas » ; passo che Danto cita nel Conv. iv 12,
(cfr. Moore, I 286). — sotto la lana: lu
terra. — 65. di queste anime ecc. uon avro]'»-
be potere di far posare pur unn di qoe^ta
anime. — 68. di ehe tv mi toerhe : dqJla
quale mi hai Catte cenno. — 69. «h« b et^.
che ò mai, quale potenza ò mai, da p.VDre in
sua balla i beni mondani? — 70. K quegli a
me: Dante, nel Oonv, rv 11 scrivo: » Dito
che la loro imperfezione [dello rìcclie^ZQ] pri-
mamente si può notare nella indiscroi^iona
del loro avvenimento, nel quale nulla distri-
butiva giustizia rìsplende, ma tutta Iniq^Jlili,
quasi sempre; la quale iniquità è prupio ef-
fetto d' imperfezione » . Noi disooreo messo in
bocca a Virgilio, modifica alquanto la sua dot*
trina riferendo la distribuzione del boni mon-
dani alla volontà divina, della quali) la Fortmiia
d solamente ministra. Intorno a oJò vùdiìsi C.
P. Paganini, Alcune osservaxwni mila Bifhina
di Danto Qn Opuae. dmi. n.* 5). — TI. q santa
ecc. L'ignoranza che offende gli nE>iuLaL A
quella del vero oMdo della Fortuna, da assi
tenuta corno signora de' beni terreni, m^ntio
ne ò solamente dispensatrice. — 73. «he tu
mia ecc. che tu accolga il mio ragionofadnto
nella mente, come il fanciallino rlocvo U cibo
nella booca. — 78. Colai ecc. Dio, il qtiaie
conosce non solo le cose che hanno fm' osin
stonza reale, ma anche quelle che hanno so-
62
DIVINA COMMEDIA
fece li cieli, e die lor chi conduce,
75 si che ogni parte ad ogni parte splende,
distribuendo egualmente la luce:
similemente agli splendor mondani
78 ordinò general ministra e duce,
che permutasse a tempo li ben vani,
di gente in gente e d'uno in altro sangue,
81 oltre la difension de' senni umani;
per che una gente impera, e l'altra langue,
seguendo lo giudizio di costei,
8d che è occulto, come in erba l'angue.
Vostro saper non ha contrasto a lei:
ella provvede, giudica e persegue
87 suo regno, come il loro gli altri dèL
Le sue permutazion non hanno triegue:
necessità la £& esser veloce;
90 si spesso vien chi vicenda consegue.
Quest'è colei, eh' è tanto posta in croce
lamento un' esistenza ideale e poofliUe. •—
74. feee 11 dell eoo. creò limiiltaiieaineinte
i deli e gli angeli. — ehi eondiee: nel Oomn,
n 5: «li moyìtori [del deli] tono sustanze
separate da materia, dod Intdligenze, le quali
la volgare gente chiama angeli ». — 75. gf
che eco. di guisa che ciascuno dd nove cori
angelid risplende a ona delle nove sfere ce-
lesti, distribuendo la propria laoe con egoale
proporzione: cfr. Par, xxvm 78-78. — 77.
llmllemente ecc. Tatto questo passo sulla
Fortuna ebbe presente il Beco., Dao. n 8 —
splendor mondani : di ricchezze e d' onori.
— 78. ordinò ecc. costituì come intelligenza
motrice la Fortuna: cfr. sanf Ageetino, De
ewiL deiy v 9 : « Noe enim eas causas, quae
dicantar fortaitae (unde etiam fortuna nomen
acoepit), non didmus nuUas, »ed latentes, oas-
que tribuimos, vd veri Dei, vd quorumlibet
spiritaom voluntati >. — 79. fhe peraatasse
ecc. Si avverta che Dante, per tutto questo
discorso sulla fortuna, derivò qualche idea da
Boezio (cfr. Moore, I 284-286), atteggiando
per altro i concetti di quell' antico filosofo in
forma piò artisticamente viva: cfr. Philos.
cona, n, prosa n : « Haeo nostra vis est, hunc
continuum ludum ludimus. Botam volubili
orbe versamus, infima summls, summa infi-
mis mutare gaudemus >. — 79. a tempo:
Boco. : « di tempo in tompo » ; o fors' anco :
al tempo debito; come in Par, vm 60. — 80.
gente... tangne: nazione e famiglia. — 81.
oltre ecc. Buti: «per si fatto modo, che
senno umano a questa mutazione non può
leeistere, né riparard >. — 82. per ehe ecc.
per la qnal pennutazione. — laagnex vive
eoggetta. — 64. eoaie In tÉk% eoe. Venturi
444 ricorda opportunamente la frase virgiliana
(Buo. m 98) : < latet anguis in herba >. —
86. Teatro saper eoo. B senno degli uomini
non può contrastare alla Fortuna. — 85. ella
ecc. provvede, giudica ed eseguisce, rispetto
ai beni terreni ohe formano il suo regno. —
87. come 11 loro gli altri dèi : come le al-
tre intelligenze, rispetto alle loro sfere. Lomb.:
« dèi appella le Intelligenze motiid dd deli,
0 alludvamente all' appellazione di dèi^ ohe
(riferisce il p. nd Corw, u 6) danno allo me-
desime i gentili, ovvero pd nome di dèt^ che
d attribuisce agli angeli in dcun luogo delle
divine scritture >. — 88. Le ine permataslon
ecc. Boezio, n, prosa i : « Hi semper eius
mores; haeo natura est. Servavit circa te
propriam potius in ipsa sui mutabilitate con-
stantiam ». — trlegne: interruzioni, sospen-
donL — 89. necessità eoe ravviva il con-
cetto d'Orazio, Od. 1 86, 18: « Te [fortonam]
somper anteit saeva Neoesdtas ». — 90. i£
spesso ecc. per il fatto che tanto rapide sono
le mutazioni della Fortuna, frequentemente
avviene ohe un fortunato ottenga la sua parte
de' benL Propriamente : « È d fluente il
caso di chi ha, viene ad avere, riceve mu-
tazione di sorte, di stato >; Dd Lungo, Dante,
II 463; il quale per altro preferisce la lezione
oh» vicenda consegue e la spiega : « Si spesso
awione che seguano mutazioni nelle ooae
di questo mondo, in conseguenza delle muta-
rioni incessanti, necessarie, vdociBsime, della
fortuna >. — 91. è tanto posta In eroee eco.
ò bestemmiata e mdedetta solamente da co-
loro che, essendo abbandonati dalla felidtà.
INPERNO - CANTO VH
53
pur da color che le doyrian dar lode,
03 dandole biaamo a torto e mala voce.
Ma ella a' è beata, e ciò non ode:
con l'altre prime creature lieta
96 Tolve sua spera, e beata si gode.
Or discendiamo omai a maggior piòta:
già ogni stella cade, ohe saliva
99 quando mi mossi, e il troppo star si vieta ».
Noi rioidemmo il cerohio all'altra riva
sopra ima fonte, che bolle e riversa
102 per im fossato che da lei deriva.
L'acqua era buia assai vie più che persi»:
e noi, in compagnia dell'onde bigie,
105 entrammo giù per una via diversa.
Una palude &, che ha nome Stige,
questo tristo rusoel, quando è disceso
éDTiebbero lodune la Fortuna : cfr. Boezio,
n, pcoea n. — 9B. Mila tomi infiaiiiia. —
96. farlse er«atere: gli angeli, detti nel
Pmf, ZI 8 « i piìmi effetti di lassti». — 94.
■a tUa eoo. Boedo, Phil. ooita, n, poesia i
6: «Hoa Ola mieezoe andit, band oorat fletni;
ntroqna gemitos dnza qnoe fedt, xidet 8io
iSa faadit^ sic soas probat TÌzes >. * 96. yol-
Tt taa sptm: govenia il no regno de' beni
tanoL S un ziooxdo déUe creazioni della
tetasa popolare, cbe amò rafflgnzaiBi la For*
tana eome ima donna bendata volgente ona
nota : questa ruota era imaginata, al tempo
£ Dante, come diTlsa in otto parti, nelle
foali le raxie condizioni umane ai segnita-
nao in qnestf ordine: umiltà, pazienza, pace,
tWxO^^jji^ soperbia, impazienza, gaena, po-
T«ià; per signilLoare che l' umiltà dà paóien-
a, la r^«*"«* pace, e cosi via in nna con*
1iB«a permatazione, simboleggiata dal girar
diOa TBota. — 97. Or eco. Dante e "^rgilio
mteno nel qtolnto cerchio, dorè sono immersi
aefla belletta nera di Stige gli iracondi, gU
Moidìoel, i snpeibi e gL* inTidiosi: gU iracondi
yffy^^n^^Mri e lacerandosi (t. 112-6) ; e sotto
ad esd ^ acddiosi, sospirando sempre e af-
•■w^*<ft la pireeento tristizia con rotte pa-
iole (t. 117-120); i snperbi, con una pena oon-
iiaile a qu/eiOA deg^* iracondi, ma collocati nn
|oeo pi4 imuuazi Tesso la città di Dite (Inf, tui
48-68); e sotto a questi gì' inTidiosi, dei qoaU
Mm. fa wipiuiiii ififliìTiniìO' questa ò la distri-
bszioiie del peccatori nel quinto cerchio, se-
eoado Ftotoo di Dante; mentre gli antichi
, padano solo di iracondi e di
Non ostante le obbiezioni mosse
f la intsupxetazione del fi^o di Dante,
la quale più qui che altrore pud essere te*
■ttauniaziza degli intendimenti patemi, credo
càe essa aia la più T«ra; sia perché qui^
Innque altra sede mancherebbe per i superbi
e gì* inTidiosi, sia perché risponde alla topo-
grafia morale dell' inferno delineata nel canto
ZI 16-90. n merito di aTere rinnoTata l' in-
terpretazione di Pietro di Dante d di I. Del
Lungo, che ne trattò nel Diporto danleaeo
pubbL nella Nuova Antol,, a. 1878, toL YTTT,
e poi nelle Pùgin» ldt&rari$, Firenze, 189S,
pp. 47-90. Per le obbiezioni, si Tsdano spe-
cialmente U D'Oiddio, pp. 241-801, e U
Moore, n, 162-208. — 98. già eoe Le steUe,
che saliTano dall' orionte Terso il mezzo del
cielo allorquando i due poeti entrarono uel-
r Inferno (cfir. n 1), ora incominciano a discen-
dere Terso l'occidente: dunque ò passata la
mezzanotte, e siamo già alla prima ora del
giorno 9 aprile 1800 (Moore, p. 46). ~ 99.
quando mi «essi : per entrar nell' inferno
(cfr. 1 186). — e U troppo star si Tietax
Boti : « questo dice perché non era conce-
duto di stare piA ohe una notte nell' infer-
mo»; e cita l'ammonimento della Sibilla ad
£nea, nell'Ji^. ti 689: cNox ruit, Aenea;
nos fiondo duoimus horas >. — 100. rieldem*
ao ecc. attraTorsammo il cerohio fino all' op-
posta rlTa. ~ 101. sopra una fonte eco. Que-
sta fonte scaturisce da quella lìTa, e roTO-
sda r acqua per entro un canale, che muore
dalla fonte stessa. ~ 108. era boia ecc. era
più tosto nera che persa : cfr. la nota all'In/'.
T 80. — 104. la eeapagala : seguendo il
OGTso di quelle oscure acque. — 106. eatram-
mo gid ecc. discendemmo entro al quinto
cercMo, per una Tia diversay orrida e mala-
gOTole. — 106. Usa palude ecc. Questo corso
di acqua ^orma la palude Stige, che circonda
tutf aU' intomo la città di Dite. '^nrgiUo, En,
TI 823 ; < Cocyti stagna alta Tides Stygiamqae
paludem » (cfr. Inf, st 116). — 107. triste
mseel t Lomb. : « tritio denomina quel rosoel-
54
DIVINA COMMEDIA
108 al piò delle maligne piagge gxige.
Ed io, ohe di mixar mi stava inteso,
vidi genti flsuìgose in quel pantano,
111 ignudo tutte e con sembiante offeso.
Questi si percotean^ non pur con mano,
ma con la testa, col petto e co'piedi,
114 troncandosi coi denti a brano a brano.
Lo buon maestro disse : € Figlio, or vedi
l'anime di color cui vinse l'ira:
117 ed anche vo'che tu per certo credi
che sotto l'acqua ha gente che sospira,
e fanno pullular quest'acqua al summo,
120 come l'occhio ti dice, u'che s'aggira.
Fitti nel limo dicon: ' Tristi fummo
nell'aer dolce che dal sol s'allegra,
123 portando dentro accidioso fumma:
or ci attristiam nella belletta negra '.
Quest'inno si gorgoglian nella strozza,
126 che dir noi posson con parola integra >.
Oosi girammo della lorda pozza
grand' arco tra la ripa secca e il mézzo,
Io, e rapporto al laogo pien di tristizia, eatro
coi scorre, e rapporto al fine per coi scoire,
eh' è d' impaludarsi a rattristare e tormentar
anime». — 106. mallfBe plmffge grlgt:
qaelle delia ripa, onde il quinto cerchio ò di-
stinto dal quarto : dalla quale esce V acqua
che poi s* impaluda nello Stìge. — 109. di
mirar mi ftoTa iatese i stavo a mirare at^
tontamente. — 110. Tidl geaU fangose:
sono gì' iracondi, ohe, arvolgendosl nel pan-
tano, s' azzuffano e si dilacerano a vicenda.
— 111. IgBQde: Butl: «imperò ohe l'iroso
nella vita mondana si priva d' amici, di pa-
renti e di ricchezze ». — eoa sembÌMte of-
feso : oon r aspetto crucciato ; Buti : « im-
però che r iroso à portato 1' animo sdegnoso
e dispettoso al mondo ». — > 112. innesti ecc.
Butl: «ò conveniente che nell'inferno si
porcotano coloro, ohe nel mondo i' anno per-
cosso, e stracdnsi oon U àeo.^ a peno a pezzo,
come anno stracciato nel mondo lo prossimo,
et ancOTa sé medesimi ». — > 117. ed anehd
ecc. e, dtie a ciò, devi andie atagene che vi
sono altri peocatori eoo. Notevole l'espres-
sione dantesca; perdhó d dà la riprova della
distinzione, ohe il poeta faceva, dei peccatori
di questo cerchio in più gruppi, seoondo le
diverse colpe. — 118. gente ohe sospirai
sono gli accidiosi. — 119. • fanno ecc. Bocc. :
« noi diciamo noli' tuoquApulUUare quelle gal-
locsole o boUoii, le quali noi veggismo iare
all' acqua, o per aere che vi sia sotto rac-
chiusa e esca fUori, o per acqua che di sot-
terra vi surga». — 120. n*ehe s'aggira:
qualunque sia la parte verso la quale si vol-
ge. — 121. llm«: Bocc : « ò quella spezie di
terra, la quale suole lasciare alle rive de' fin-
mi r acqua torbida, quando il fiume viene
scemando, la quale noi volgarmente chiamia-
mo beilMa: e di questa maniera sono quasi
tutti i fondi de' paludi ». — 121. Tristi eoo.
Per ùitondere l' intimo significato dell' epiteto
si avverta che tri8tìx4a e accidia nella liugua
dei teologi sono sinonimi. — 122. neiraer
ecc. nel mondo, ohe trae ogni sua giocondità
dal sole. — 123. aeeldioso fummo: il vizio
dell'accidia, che ottenebra e intristisce gli
animi. Parodi, BulL m 109 : « fummo, che
Dante adopera continuamente, anche fuor
di rima, era in Toscana assai più esteso di
fumo ». — 126. (^aesf Inao ecc. Proferiscono
queste parole con voce rotta e impedita dal
fango e dall' acqua, in che sono immersi. ~
126. ehi dir eoe perché, secondo la teologia,
r accidia « induce nell' uomo la taciturnità e
il difetto della voce » (Giovanni Damasceno).
La frase dantesca fa ricordare una consimile
del Boccaccio, jDm. g. vin, n. 3 : « non po-
teva raccogliere lo spirito a formare intera la
parola ». — 127. Cosi ecc. percorremmo una
gran parte del cerchio, tra la ripa asciutta
0 la molle poludo : méxxOf propriati.ontc, vulo
INFERNO - CANTO VH
56
con gli occhi volti a chi del £Euigo ingozza:
190 venimmo al pie d'una torre al da sezzo.
fradicio; qui è pn molle, bagnato. — 129. a
chi eoo. ^ peccatori. — IBO. Tealmme eoo.
Lana: • Vero è dtefaawiinhe foeseno ivi. ... .
af ae ne avidono e fenno considerazione per
alcimi segni che videro di quella [torre] ». «
al da ienot da nltimo, Unalmento.
CANTO vm
Dante e Tlrgilio entrano nella barca di Flegias, ralla quale continuano
ad avanzare per la palude ; e in quella parte, ove sono poniti i superbi e
gì' invidiosi, s^ incontrano con Filippo Argenti : finalmente pervengono alla
porta della città di Dite, chiusa loro in faccia dai diavoli [9 aprile, prime
ore antimeridiane].
Io dico seguitando, ch'aaaai prima
che noi foesimo al piò dell'alta torre,
3 gli occhi nostri n' andar suso alla cima,
per due fianmiette ohe i' vedemmo porre,
e un'altra da lungi render cenno
6 tanto eh' a pena il potea l' occhio tórre.
Ed io mi volsi al mar di tutto il senno;
dissi: € Questo che dice? e ohe risponde
vm 1. tegaltandot oontinnando a pap>
lare della palude e dei peccatori del quinto
ovehio. fi noto che il Beco, e Benv. raocon-
taao d' arer s^nto da Andrea Leoni e da
DìBo Perini, 1* nno parente e V altro amico
ii Dante, che i primi setto canti del poema
«ano stati da hd compoeti prima dell'esilio,
e die rimasti con altre cose sne in Firenze
tanno poi a caso rinvenuti e ihtti vedere a
Dino Fraaoobaldi, il quale li mandò all'amico
scale per mezzo del marchese Moroello Ma-
iaspìna : e perciò Danto « rientrato nel pen-
Bsroantioo» di condurre a termine U poema,
« reassamendo la intralasciate opera, disse in
questo principio del canto ottevo, Jb dieo «o-
paioMdo, alle cose lungamento intralasciato ».
Ma il racconto, come d presenteto, ò del tutto
favoloeo, e ilBooc stesso dichiara non pre-
starvi Cede alcuna, notando anzi ohe nel canto
fasto Ciacco florantino predice a Danto la ro-
vina della parto Bianca e il trionfo della parto
liera {fiif. vi 67-9), fatti dei quaU l'eslUo del
poeta fti una oonsegnenza immediata. Nel prin-
dpie di questo canto non si deve quindi ve-
der ahze che una di quelle formule, care a
meid poeti, per riprendere e continuare la
••rrm^tma da uua parto ad un'altra delle loro
opara; come ò in quel luogo dell'Ariosto,
OrL XVI 1 : « Dico la bella istoria ripigliando >
eec, dove certo n<m si tratte di lavoro rì-
inso dopo alcuna interruzione. Tuttevianon
è da taoese come l' ipotesi ohe Dante, avan-
ti l' eeiUo, avesse concepito e oomlnolato a
scrivere un poema sulla vite oltremondana,
di disegno assai pid ristretto che non fosse
poi quello della Commedia^ e prima in versi
latini e più tardi in rima volgare, sia tut-
t' altro (^ assurda : anzi si potrebbe addurre
pid di un indizto ohe del primitivo disegno e
fors' anco della prima stesura qualche traoda
sia rimaste nel divino poema. — 8. a' aadAr
8B80 eoo. si volsero alla dma della torre, per-
ché sovra di essa i^>parvero due fiamme, e di
lontano rispose un'àUra fiamma : le prime due
sono un avviso mandato alla cittft di Dito del-
l'avvicinarsi di Danto e Virgilio, l' altn U se-
gno che l'avviso ò steto inteso. — 4. per die
eoo. L'idea di queeti segnali ò tolte daUe
costumanze militari del tempo, come risulte
chiaro dalle chiose dell' Ott, del Buti, del-
l'An. fior., di Benv., del Bocc; il quale
scrive : e far si suole per le contrade, nelle
quali ò gr^erra, che, avvenendo di notte al-
cuna novità, il castello o il luogo vicino al
quale la novità avviene, incontanente per un
fuoco o per due, secondo che insieme posti
si sono, il fa manifesto a tutto le terre del
paese ». — 1' : ivi, sulla dma della torre. -«
6. tanto ehe eco. : locuzione che ricorda quel-
la di Lucano {Fara, rv 19) : < Ezplicat bino
tollus campos effusa patontes, Viz oculo pren-
donto modum». — tórre: discemere. — 7.
al mar eoo. a Virgilio. — 8. Questo ehe
dieet questo segno delle due fiammetto ohe
56
DIVINA COMMEDU
9 queir altro foco ? e chi son quei che il fenno ? >
Ed egli a me : « Su per le sucide onde
già puoi scorgere quello che s'aspetta,
12 se il fammo del pantan noi ti nasconde >.
Corda non pinse mai da sé saetta
che si corresse via per l'aere snella,
15 com'io vidi una nave piccioletta
venir per l'acqua verso noi in quella,
sotto il governo d'un sol galeoto,
18 che gridava: < Or se' giunta, anima fella? »
< Flegiàs, Flegiàs, tu gridi a vóto,
disse lo mio signore, a questa volta:
21 più non ci avrai, che sol passando il loto ».
Quale colui, che grande inganno ascolta
che gli sia fatto, e poi se ne rammarca,
24 fecesi Flegiàs nell'ira accolta.
Lo duca mio discese nella barca,
e poi mi fece entrare appresso lui,
27 e sol quand'io fui dentro, parve carca.
Tosto che il duca ed io nel legno fui,
secando se ne va l'antica prora
significa? — 9. ehe il fenno s Bati: «doò
r uno e r altro ftioco, della torre, alla quale
erano venati, e di quella della città ». — 10.
melde onde : quelle di Stige, sudioe e fan-
gose. — 11. quello ehe l'aspetta: ciò che
dove accadere, in seguito ai segnali ; cioè la
venuta di Flegias nella barca. — 12. fammo
del pantsn : nebbia, che sale dalla palude.
— 18. Cord* ecc. La similitudine dantesca
risale alla virgiliana (£H. x 247) : « Fugit illa
per undafl, Ocyor et iaculo et vontos acquante
sagitta », ma la supera di gran lunga per la
maggiore determinatezza del concetto e pre-
cisione delle parole ; poiché, come osserva
il Venturi 489, « nel primo verso i suoni
esprimono il sibilar della freccia; nel secondo
il celere volo » : altre similitudini tratte dallo
scoccar della freccia sono in Inf. xvn 183,
Par, u 22, v 91; e frequenti sono pure in
Virgilio {Qeorg, iv 813, igy». xii 863 ecc.),
che Dante salutava maestro. — 16. in quella:
mentre Virgilio parlava. — 17. nn sol : il
nocchiero che s' avanza ò Flegias, il figliuolo
di Marte e di Crise, che aveva vendicata
r onta fatta da Apollo alla figlia Coronide,
incendiando il tempio di Delfi : Dante lo tra-
sforma in un nocchiero, che passa le anime
attraverso Stige. — 17. galeoto : Bocc. : •ga-
leoUi son chiamati quo' marinari, i quali sor-
vono alle galee ; ma qui, licenza poetica, no-
mina galeotto il governatore d' una piccola
barchetta » : cosi ò detto anche l' angelo noo-
chiero nel Purg. n 27. — 18. ^dArm: cfr.
Viig. Bn, VI 618 : « Fhlegyasque miserrimus
omnes Admonet, et magna teetatnr voce por
umbras: Discite institiam moniti, et non
temnere divos ». — se'giiintn, nnlma fella x
usa il singolare, non già perché Flegias si
volga solo a Virgilio, come intese il Bocc,
0 solo a Dante, come spiegò il Bntl; et bene,
come rettamente interpretò U Lana, quasi
fosse questa una sua formula abitoale, « lo
dittato eh' agli altri usava ». — 19. tn ^rldi
n TÒto... a questa volta: per questa volta
tu gridi vanamente. Altri, meno bene, inten-
dono a questa volta, verso di noi, volgendo
a noi le tue parole. — 21. pliS eco. non sa-
remo in tuo potere, se non per varcar la pa-
lude fangosa. — 22. (^ale ecc. Venturi 307 :
« [Flegias] miscredente e iroso, udendo che
non sono essi anime dannate, com' uomo
grandemente ingannato si rammarica. La si-
militadine sarebbe debole, se Dante non
avesse aggiunto che quel demonio d fece
tale mU* ira accolta. Resta cosi compiuta
r idea della rabbia del disinganno per priva-
zione di cosa malvagia agognata, o della im-
possibilità di trame vendetta ». — 24. ira
accolta: cfr. Virgilio En, ix 68: «coUecta
fatigat edendi Ex longo rabies ». — 27. parve
earea: perché Dante era col corpo reale,
mentre Virgilio aveva solo l' apparenza cor-
porea. — 29. secando se ne va eco. la nave
procedeva immergendosi pld che non loleva
INPERNO - CANTO Vm
57
80 dell'acqua più che non suol con altrui
Mentre noi correvam la morta gora,
dinanzi mi si fece un, pien di fango,
83 e disse : « Chi se' tu ohe vieni anzi ora ? »
Ed io a lui : € S'io vegno, non rimango ;
ma tu chi se', che sei si fatto brutto ? »
36 Bispose : < Vedi che son un che piango >.
Ed io a lui : < Con piangere e con lutto,
spirito maledetto, ti rimani;
39 eh' io ti conoscoi ancor sia lordo tutto >.
Allora stese al legno ambo le mani:
per che il maestro accorto lo sospinse, %
42 dicendo : < Via costà con gli altri cerni >.
Lo collo poi con le braccia mi cinse,
baciommi il volto e disse : € Alma sdegnosa,
45 benedetta colei che in te s'incinse!
Quei fu al mondo persona orgogliosa;
bontà non è sua memoria fregi:
48 cosi s'è l'ombra sua qui furiosa.
Quanti si tengon or là su gran regi,
che qui staranno come porci in brago.
quado era carica di sole anime. — 81. marta
etra: la palude Btìgìa; Booc : •gcra ò una
P«rt» d'aoq[iia tratta per forza del yero cono
f alam flune, e menata ad alcun mulino o
«ftzo serrigio, il quale fornito si ritoma nel
Saae onde era tratta >. — 82. na, piea di
teget Filippo Argenti degli Adimari, ilo-
itttìno, poeto qui per esempio di vita su*
pste (Pktro di Dante, Lana, Benr.). Ott:
«OTaUere di grande Tita, e di grande bur-
teza, e di molta spesa, e di poca yirtude
e Tabre » ; Booc. : « caraliere ricchisBimo,
tnto eke esso alcuna Tolta fece il cavallo,
il loato usava di cavalcare, ferrare d' ariento,
• da questo trasse il sopranome : ta uomo
fi psfsona grande, bruno e nerboruto, e di
asniTigiioea forza, e più che alcun altro ira-
eando, eziandio per qualunque menoma ca«
giooe > : di Filippo Argenti e della sua pron-
teea agii sdagni parla il Bocc. anche nel Deo.
K. zz, n. 8. — 83. anzi ora: prima del tempo,
«KBdo ancor vivo. — 84. S* lo Tegno ecc.
9» sono venuto in questo regno, non vi ri-
BaznA. — 86. bruito t per il fango ond'ò
«Trotto: cfr. V. 83. — 86. Tedi ecc. Rispo-
ita ben oanveniente a questo spirito superbo,
cte mostra per cesa d'avere in disdegno la
d^anda di Dante. — 87. €oa piangere e
(•a latte: col tuo pianto e col tuo dolore.
- 89. le ti coBOteo t Filippo Argenti era
Mstasipozaneo di Dante, come si ha dal Booc.
X^ IX 8, che lo fa vivere ai tempi di Vieri
de'Cerohi; e forse qualche privato dissidio era
stato Ara i due concittadini, che nell' inferno
al fanno accoglienza cosi poco lieta. Un Fi-
lippo Adimari, detto Morsello, fu registrato tra
i Quelfl danneggiati sino al 1266, ed egli stes-
so 0 altro dello stesso nome fu podestà di
Bagnacavallo nel 1286. — 40. stese al le-
gno ecc. per afferrar Dante e trarlo seco nella
palude. — 42. eoa gli altri cani : il Bocc os-
serva che de' cani adirati e commossi ò usanza
di stracdarai la pelle coi denti, e l' Ott. ri-
chiama a questo proposito un proverbio dei
suoi tempi: « A cane orgoglioso guai alla sua
pelle ». — 44. Alma sdegnosa : Bocc. : e Vir-
gilio fa festa all' autore, per ciò che ha avuto
in dispregio lo spìrito fangoso : e mostra in
questa particella l' autore una spezie d' ira,
la quale non solamente non ò peccato ad
averla, ma ò merito a saperla osare ». — 45.
benedetta ecc. sia benedetta colei che ti con-
cepi, poiché hai tanto nobile disdegno della
superbia; cfr. l'evangelico (Luca zi 27);
« Beato U ventre che ti portò ». — 46. per-
sona orgogliosa: dominata da quel supremo
grado della superbia, che ò 1' orgoglio, 1* ar-
roganza. — 47. bontà: atto di virtù. — 48.
cosi eoo. qua già s' infuria la sua anima di
superbia, come già fece nel mondo. — 49.
<|uantl eco. Quanti che sono stimati nel
mondo come grandi e potenti, verranno per
la loro superbia a impantanarsi in questa
palude I — 60. come porei in brago : Ven-
58
DIVINA COMMEDU
51 di sé lasciando orribili dispregi ! »
Ed io : < Maestro, molto sarei vago
di vederlo attoffare in questa broda,
54 prima che noi uscissimo del lago ».
Ed egli a me : € Avanti ohe la proda
ti si lasci veder, tu sarai sano:
57 di tal disio converrà che tu goda ».
Dopo ciò poco, vidi quello strazio
far di costui alle fangose genti,
60 ohe Dio ancor ne lodo e ne ringcazio.
Tutti gridavano : € A Filippo Argenti »:
e 1 fiorentino spirito biszarro
63 in sé medesmo si volgea co'dentL
Quivi il lasciammo, che più non ne narro:
ma negli orecchi mi percosse un duolo,
66 per ch'io avanti intento l'occhio sbarra
Lo buon maestro disse : € Omai, figliuolo.
imi 400 rioUUma, tza altii riMontii, quel
reno d* Orazio, ft proposito di TTIìmo (Episi,
I 2, 26): «Vizinet ondf immimdasT vd
amica luto bob » ; il riooxdi dd dia Danto
atoaso dioe altrore (Bxr. xzixl26): ced altri
aaoor cho aon peggio die pord ». — 51. di
atf UidaBdo eoo. Bati : « non lasciando di
loro, se non cose da essere avnto in onore
et in dispregio > ; meglio il Beco, intese :
e memoria di cose orribili, e meritamente da
dispregiare». — 68. brodai Taoqoa della
palude mescolato ool fango. — 66. 1» proda:
r estremità della palude, la riva oto dorerà
approdare la barca di Fleglas. — 66. sarai
sazio t sarà sodisfìitto il tao desiderio. — 67.
di tol eoe e dd sodisfodmento di cotal de-
siderio sono certo cheta godrai, vedendo come
ò panito U vizio, n Del Longo, Dante U 466
osserva ohe qui e altrove {Ihf, xv 87, xvi 115,
Tnm 98 ecc.) la locazione oonventrs ehe^ reg-
gento il oongiantivo, « inchiade idea di ne-
cessità, certezza, minaoda eoe che una cosa
sia per fiirsi, checché altro possa parerne, o
penMrd o contrastare ecc. », e ne adduce il
riscontro di parecchie espressioni popolari to-
scane dd secolo ziv — 59. alle fangose genti:
questo animo, ohe gridando si scagliano con-
tro il superbo Filippo Argenti, facendone stra-
zio, mentre egli non le respinge ma fieramento
superbo e sprezzante sfoga sovra sé stesso il
proprio fluoro, sono quelle d^rli invidiosi ; e
r imaginazione di Dante bene ritrae a questo
modo lo spettacolo che di sé danno nd mondo
i superbi e gli invidiosi, in continuo contra-
sto: vedi su dò il Diporto danteaoo di I. Del
Lungo, dt. in Ihf. vn 97. — 60. ehe Dio aneer
eco. Danto d compiace giustamento dello spot-
taodo offerto dai superbi e dagli invidiosi, gli
voi ftitti castigatori degli altri; non tonto p«r
inimicizie poUtlohe che possano esser stoto ti»
lui e l'Algenti, ma ptd tosto perché in queUo
spettacolo egli trova una novella prova della
giustizia di Dio. Osserva poi il Lomb. : < Dal
conftonto de' luoghi ove Danto oompasdona
i dannati, ed ove oomplaoed dd loro gastigo,
sembra che possa stebilird ohe compiaodMi
egli dd gastigo di quelli ohe se la sono presa
immediatamento contro Dio o contro il pros-
simo, e che tutti gli altri oompassioni; e pesò
oomplaoed di costai qui, di Gapaaeo nd
canto zrv 68, di Vanni Food nd o. xxv 4
ecc.: all'incontro oompasdona 1 lussorìod
nel e V 62, i gdod nd e vi 68 eoo. ». Una
finissima e minuziosa analld di tutto la que-
stione ha flitto il D* Ovidio, pp. 80-96. ^
62. bizzarro : Buti : < imbizamito, o croo-
ciato contro sé medesimo » ; e il Boeo. : e cre-
do questo vocabolo bixxorro sia solo de* fio-
rentini, e suona sempre in mala parto; per
dò che nd tegnamo blzsarri odoro ohe au-
bltamento e per ogni picoola cagione oorrano
in ira, né md da quella per donna dimostra-
zione rimanere d possono ». — 63. il TOlg«a
ecc. mordendod per isfogo dd suo sdegno
superbo. — 65. un diolo t un lamento ddo-
roso; cfr. Bocc. Teseids n 71: e Di quella
usdron facendo gran duoli ». — 66. avanti
ecc. spalancai gli occhi a riguardare inmm^
a me. — 67. Ornai, figlinolo eco. Questo pa-
role, osserva il Todesohini, e dò ohe segua
dimostrano abbastanza, dooome la dttà di
Dito e dò oh' era in essa compreso formaTa
un luogo notobilmento distinto da quello, òha
i poeti vìdtoto avevano nell' inferno fino a
quel punto : e oome in oonseguenza le ama
di quella oittà divanivano una linaa di sepa»
INPERNO — CANTO Vni
59
s'appressa la città che ha nome Dite,
69 co' gravi dttadin, col grande stuolo ».
Ed io : € Maestro, già le sne meschite
là entro certo nella valle cerno,
72 vermiglie, come se di foco uscite
fossero >. Ed ei mi disse : € H foco etemo,
ch'entro l'affoca, le dimostra rosse,
75 come tu vedi in questo basso inferno >.
Noi pur giugnemmo dentro all'alte fosse,
che vallan quella terra sconsolata:
78 le mura mi parean che ferro fosse.
Non senza prima far grande aggirata,
venimmo in parte, dove il nocohier, forte,
81 € Uscite, ci gridò, qui ò l' entrata ».
Io vidi più di mille in sulle porte
da'ciel piovuti, ohe stizzosamente
84 dicean: < Chi ò costui, che senza morte
va per lo regno della morta gente? »
E il savio mio maestro fece segno
adone tx» V infarao superiore e l' inferno
pnrfbfido: cfr. Jnf, xi 85. — 68. U elttà
diM kM aesie Dite: Dite d il nome ool quale
ante Dente indice più Tolte (Inf, xn 89,
xxnr 20 eoe.) Satana o Lucifero, imperatore
ed doloRwo regno; qui invece ò riferito alla
na dita, quasi dioeese : la dttà ohe si de-
BMdaa dal suo prindpe. — 69. eoi gravi
dttadla : gli spiriti che in gran numero sono
&tzibaiti per i rimanenti cerchi, compresi
«tzo le mora di Dite, sono quelli che peo-
eoooo per malizia e bestialità, doè di colpe
•md pi6 gravi che non sieno quelle degli spi-
nti dell' inferno superiore. — 70. mesehlte:
Boce. : •miMckUe chiamano i saracinl i luoghi
4oTe vanno ad adorare, fatti ad onore di Ifao-
Bstto, eome noi chiamiamo chiose quelle ohe
id onor di Dio fsodamo: e per dò che questi
cod ùAA hiog^ d sogliono Cue pid alti e pid
«Biaenti èhe gli ediiict dttadini, ò usanxa di
ndsrie pid tosto, uno che di fuori della dttà
TflDga, che l'idtre cose, e per dò non fa l'auto-
n meBdoDe deU'aHre parli della dttà dolente,
■a di qaeste eole, chiamandole meschite, dc-
cQBs ediUet composti ad onor del demoi^, e
MI ii Dio». — 7L eeit»! chiaramente, distin-
tnennte. — 72. vtrmlglle eoo. rosseggianti,
oQsnse foeeero di fèno rovente. Buti : «puosd
IstSBdsre che, perché Dante Ange che le mura
Ma dttà Dita erano di ferro, che ancor lo
toni foseone di ferro e fossono roventate per
b eoottnoo ftaooo ohe dentro v* ò >. — 75.
tasse inlÉtaet Flnfemo dantssoo ò diviso
li éa» gmndi parti : l'alto infèrno, ohe com-
inaie I pdmi elaque oscdU, dove sono gli
spiriti che peccarono per incontinenza; il basso
o profondo inferno, che comprende gli ultimi
quattro cerchi, dove sono gli spiriti che pec-
carono per malizia e per bestialità: oCr. Inf.
XI 82 e segg. — 76. all'alte fosse: alle pro-
fonde fosse, nelle quali l'acqua di Stige d
riversa formando una difesa intomo alla dttà
di Dite. — 77. vallai; vallano, droondano
come un vallo. — terra: città; cft. la nota
al V. 190. — 78. le mura eco. cft. la de-
scrizione virgiliana della dttà infernale, JEH.
VI 548: « Bespidt Aeneas subito, et sub rupe
sinistra Moenia lato videt, triplid droumdata
muro; Quae rapidus fiammis ambit torrenti-
bus amnis Tarlàreus Phlegethon, toiquetque
sonantia saxa. Porta adversa, ingens, solido-
que adamante columnae. Vis ut nulla vimm,
non ipd exsdndere ferro Coelioolae valeant.
Stat ferrea tnrris ad auras ; Tisiphoneque so-
dens, palla suodncta cruenta, Veetibulum ex-
somnis servat noctesque dlesque. Hino exan-
diri gemitus, et saeva sonare Verbera : tnm
strider ferri, tractaeqoe catenae». — 79. gran-
de aggirata t lungo giro per le fosse, che dr-
oondano la dttà. — 80. forte... gridò: gridò
ad alta voce ; Buti : « si conviene a Flegias
gridare come ad iroso et ad arrogante t. —
81. Useite eco. usdte dalla barca, perché qui
ò r ingresso alla dttà. — 82. Io vidi eoe.
Al grido di Flegias, Dante vede sulla soglia
della porta di Dite raocoglierd idù di mille
diavoli, per contrastare a lui e a Virgilio l'in-
grosso. —88. da* del plevvti : precipitati giù
dai deli, quando con Lucifero d ribellarono
a Dio. —84. fenBà monti senza esser morto
f>0 DIVINA COMMEDU
87 di voler lor parlar segretamente.
AUor chiusero un poco il gran disdegno,
e disser : € Vien tu solo, e quei aen vada,
90 che si ardito entrò per questo regno.
Sol si ritomi per la folle strada:
provi se sa; che tu qui rimarrai,
93 che gli hai scorta 8Ì buia contrada ».
Pensa, lettor, se io mi sconfortai
nel suon delle parole maledette;
9G ch'io non credetti ritornarci mai.
€ 0 caro duca mio, che più di sette
volte m'hai sicurtà renduta, e tratto
99 d'alto periglio che incontra mi stette,
non mi lasciar, diss' io, cosi disfatto :
e se '1 passar più oltre e' ò negato,
102 ritroviam l' orme nostre insieme ratto ».
E quel signor, che li m'avea menato,
mi disse : € Non temer, che il nostro posso
105 non ci può tdrre alcun, da tal n' è dato.
Ma qui m'attendi; e lo spirito lasso
conforta e ciba di speranza buona,
108 ch'io non ti lascerò nel mondo basso ».
Cosi sen va, e quivi m'abbandona
corpoTolmonte, e senza esser morto alla gta- per tatto U tempo che ta ci viveral », e g. ti,
zia divina. — 88. Allor ecc. Booo. : e Non n. 4: « ti ricorderai sempre che ta ci yiverai
dice che il ponessero ginso, ma alquanto, col del nome mio». — 97. pltf di lettt eoo. Seb-
non parlare cosi stizzosamente, il ridbpeisonot bene sieno proprio più di sette le Tdte oh»
e qui diadegno A prende in mala parte, per finora Viigilio ha liberato Dante da qnalch»
dò che negli spiriti maladetti non può esser impedimento (dalla lapa, Inf, 1 49; dallo in-
no ò alcuna ooea che a virtd aspetti ». » 88. certezze, n 180 ; da Caronte m 94; da Mi*
Tien eoe Bocc. : « Vaole in queste parole nosse, y 21 ; da Cerbero, ti 22 ; da Plato,
l'aatore quello dimostrare che negli altri oer- tu 8; da Flegias Tin 19; da F. Argenti,
ohi di sopra ha dimostrato, cioò ohe per al- zm 41), ò da ritenere oh' egli abbia usato il
con de' ministri infernali sempre all' entrar numero $dU per l' indeterminato, come per
del cerchio sia spaTentato; e cosi qui doren- dire molte Tolte; in oonformità al modo bi-
do dal quinto cerchio passar nel sesto, il quale blioo firequentìssimo, p. es. Proo, xzit 16 :
ò dentro dalla città di Dite, introdnoe questi de- « il giusto cade sette Tolte, o si lileTa » ; Pol-
moni a spaventare, acciò cho del suo buon mi ccc 164 : e Io ti lodo sette Tolte il di »
proponimento il rimoTossero ». — in: Virgi- eco. — 99. alto periglio : il pericolo, in oui
lio. — quei: Dante. — 91. la foUe strada: Dante s'era troTato nei oasi aooennati nella
la Tia intrapresa con audace temerità; cfir. nota al t. 97. — 100. disfatto t foonfortato
Inf, u 86. — 92. provi, se sa: focda espe- e smarrito, perché privato d'ogni guida. —
rionza, so il suo sapere gli basta per tornare 102. rltroTlam eco. riprendiamo subito il cam-
indietro. — 93. gli hai scorta : gli hai mo- mino percorso, e ritorniamo indietro. — 104.
strata. — 95. nel suon ecc. all' udire U suono 11 nostro eoe ninno ci può impedire di pro-
eoe. — > delle parole: specialmente di quelle cedere innanzi, poich6 il nostro viaggio ò to»
dette a Virgilio : « tu qui rimarrai ». — 96. luto da Dio. — 106. e lo spirito eoo. e oon-
ritornarci: ritornare in questo mondo: nella forta l'animo smarrito, raffermandolo con la
lingua antica il ei serviva spesso ad indioara buona speranza. — 108. mondo tesao: l'in-
il luogo ove si sta abitualmente, il mondo; femo, anzi quella parte del regno infernale
p. es. Booc. Ds0. g; ir, n. 2: « ti fkrò tristo ohe comincia dalla oittà di Dite, innanzi alla
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wm»^"
INFERNO — CANTO Vni
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123
126
lo dolce padre, ed io rimango in forse,
che 1 si e '1 no nel capo mi tenzona.
Udir non potè* quel eh' a lor si porse:
ma ei non stette là con essi guari,
che dascun dentro a prova si ricorse.
Ghiuser le porte que^ nostri avversari
nel petto al mio signor, che fuor rimase,
e rìvolsesi a me con passi rari
Gli occhi alla terra, e le ciglia avea rase
d' ogni baldanza, e dicea ne' sospiri :
€ Chi m' ha negate le dolenti case ? »
£d a me disse : € Tu, perch' io m' adiri,
non sbigottir, ch'io vincerò la prova,
qual ch'alia difension dentro s'aggirL
Questa lor tracotanza non ò nuova,
che già l' usare a men segreta porta,
la qual senza serrame ancor si trova.
Sovr'essa vedeetù la scritta morta:
e già di qua da lei discende l'erta,
passando per li cerchi senza scorta,
filale sono già pwTenTttl i due poeti: ofr. so-
po al ▼. 75. — 110. la fone s s'egli fosse
por ziftonure, o no. — 111. ael capo mi
tiiiMi ; contratte nella mia mente l' idea
ch'egli ritorni con quella ohe non ritorni piò.
— 112. éh'a lor §1 pene: che da Virgilio
fe detto ai diaroLL — 114. a proTat gareg-
giaBdo di vélooità; ooat il Leopardi, Oanii
ZKTn 18: capioTaVìan ftior la lémminetto
aoftr dsD'aoqoa >. — 115. aoftrl aTreriarl:
diaroU; secondo il detto di san Pietro, i Jljpùt.
T. 8 : «il rostro avversario, il diavolo eoo. » \
ttr, Purg, xx 20 e ziv 146. — 117. con pasti
larl : lentamente ; perché malvolentieri tor-
nava a Dante, sensa aver vinto l' opposixione
diaboUoa. — 118. €01 eeeld eoo. Si ofr. la
dssrriTinne d'Amore neUa F. J^. n 18: «EUi
mi parsa sbigottito, e guardava la terra » eoo.
— rase d*ogal baldania: prive, senz'aloon
ssgBO di bftldanta negli occhi; né baldanxa
tigniftia qui alterigia, coraggio eoo., ma, come
piA spesso negli antichi, la forxa morale. —
lao. Bi*]ui negate ecc. mi ha impedito d'en-
tare in qoeste città del dolore; ed ò vera e
peopiia domanda, ohe Virgilio ftt a sé stesso,
daMtendn per un momento che una forza a
M Ignote gi' impedisca, il passo. Danto pen-
SB?a eerto all' ammonimento della Sibilla, in
Vlig. JEhk VX 668: «Nulli fits casto scelera-
tsm inaittsn limen ». — 122. la prova : il
oQBtnsto, la lotte; ofr. W* a 7. — 128. qsal
A' alla Hìfmàìtm ientre eco. ohianque sia
che dentro aOa dttà si adopera per opporsi
a noi : difmtiont vale qui, non giÀ la difesa
della città, poiché Dante e Virgilio non s'era-
no preseateti come assalitori, ma pi6 tosto
r impedimento, la proibizione : ofr. Ihf, vn
81, e r oso del vb. difmddn in Inf, xv 27.
— 124. tracotanza : presunzione, temerità di
opporti al volere divino. — 125. già I* asaro
eco. già tentarono di opporsi a Cristo, ohe
scendeva trtonfrmto al limbo (ofr. Inf, xv 52),
chiudendogli in faoda la porte dell' inferno.
Lomb. : < Alloaivamento alle parole della
Chiesa nel divino uffizio del sabato santo :
* Hodie portas mortis, et seras pariter. Sal-
vator nostor dimpit ' ». — 126. la qaal ecc.
la quale rimase da quel momento aperte e
spalancate. — 127. Sovr'essa eco. ofr. Inf,
m l-U. — vedestd : vedesti tu; sedarv ò uno
dei verbi, per i quali gli antichi amarono con-
giungere la TT pera. sing. del perfetto con il
pronome personale in una sola forma con-
tratte ; Danto l' ha più volto, F. N. zzn 79 :
«Vedestù pianger lei?», zxm 122: «Che
vedestù, ohe tu non hai valore f > eoo. —
scritte morte; inscrizione che ricorda alle
anime la morto etoma ; cosi intese rettamente
il Bocc., mentre i pi6 degli interpreti riferi-
scono l'epiteto al colore della inscrizione:
ofr. la note all'^/. m 10. — 128. di qna da
lei ecc. di qua dalla porte infernale viene
verso questo basso inferno, senza bisogno di
guida, il messo coletto che d aprirà le porto
62
DIVINA COMMEDIA
180 tal che per lui ne fia la terra aperta >.
'di Dito. — IBO. tal: il meeao, sol quale ofir.
la nota all'In/, ix 80. — terra: dùà, laogo
morato, ò frequentatissimo in Dante, obe Io
dice della città di Dito, in Inf. vm 77, iz
104, z 2; di Firenze, Jhf, zti 9; di Manto^
Inf, ZK 98, Fuirg. ti 76, 80; di Lucca, Inf.
ZZI 40; di FoiU, Inf zzm 4S; di Bimini,
Inf zzvm 86; di Bayenna, Inf, y 97; di
Uaniglia, Br. ce 92 eoo.
CANTO IX
Dopo l'apparizione delle tre Furie, che di sulle mora della città minac-
ciano i doe poeti, viene un messo celeste, che apre la porta percotendola con
una sna verghetta: cosi senz* altro contrasto entrano i poeti nel sesto cerchio
e si trovano tra le arche degli eretici [9 aprile, prime ore antimeridiane].
Quel color che viltà di fuor mi pinse,
yeggendo il duca mio tornare in volta,
8 più tosto dentro il suo nuovo ristrinse.
Attento si fermò com*uom che ascolta;
che l'occhio no '1 potea menare a lunga
6 per l'aer nero e per la nebbia folta.
€ Pure a noi converrà vincer la punga,
cominciò ei, se non... Tal ne s'offerse!
9 Oh quanto tarda a me ch'altri qui giunga! »
IX 1. (Jocl color ooc. Al tornar di Vir-
gilio, Danto diventa pallido per la pama;
ma la sna gnida, per dissipare il turbamento
di Ini, snbito si ricompone ad atteggiamento
pid tranquillo. Oosf intendono tatti i commen-
tatori : se non ohe per gli antichi (Lana, Ott,
Bocc., Benv., Buti ecc.) il color nuovo di Vir-
gilio, ricacciato dentro dal pallore apparso
sol volto di Danto, d il rosso dell' ira con-
cepita per Toppo^one diabolica (interpre-
tazione che risponde assai bene ai w. 121-8
del precedento e ai w. 7-15 di questo can-
to); per i moderni invece (Lomb., Biag.,
Frat., Scart. ecc.) il color nuovo ò il pallore
apparso sni volto di Virgilio di recente, per
vergogna o timore dell' opposizione tettagli
dai diavoli. — 2. In Tolta: indietro. — 3.
pitf tosto ecc. più presto restrinse dentro il
suo nuovo colore, fece si che Virgilio ripren-
desse il suo naturai colore. — 6. tki l'oe-
cMo ecc. perché, a cagione dell' oscnrità e
della nebbia, la vista non potova condurre
Virgilio molto lontano, cioè egli non potova
vedere molto in là. — a lunga: lo stesso
die lungi, o come dice in Inf zzxi 28. daUa
htngi (altri esempi dà U Parodi, Bull, m 184) ;
se non che con la prep. a meglio ò resa
l'idea dol termine verso cui si compie l' azio-
, — 7. Pure ecc. Bisogna che noi vin-
I il contrasto, la pugna, o punga, come
Danto dioe oon una forma arcaica, assai usua-
le, che ò anche in 0. Villani, O. vii 6 : e egli-
no per loro grande ardire e virtù pur vinsono
la punga alla porta », luogo dove d manifesta
la rimembranza dantesca (ofr. Del Lungo,
Danie, Il 465 e Parodi, BuU, m 104). — 8. m
nen... Tal ecc. Osserva il Blanc che l'aspetta-
to messo del delo indugia a venire, e Virgilio,
cmodato, si ferma in atto di asooltare, e apr«
di nuovo in un soliloquio la sua fiducia : Pun
a noi ecc.; ma il dubbio l'assale: se twn,,,
se forse non intesi male la promessa di Bear-
trice, o se forse l' andare innanzi d del tutto
impossibile... Ma subito egli rigetta Indegnato
un tal pensiero : Tal ne s'offerse, tale invero
ò chi ci si offerse ad aiuto. Ed ecco eh' egli
novellamento si acqueta, e manifesta 1* im-
paziento suo desiderio dell' aiutatore che in-
dugia, esclamando : Oh quanto eoe. Secondo
il Bosa Morando {Osservax. sopra le tre can-
tiche nell' ed. della Commedia, Venezia, Zat-
ta, 1757) le reticenze sarebbero tre : Se.., se
mi fu promesso il vero; Non... non può es-
sere che non mi sia stato promesso il vero ;
Tal ne s* offerse... ne si offerse in aiuto im
personaggio cosi verace; ma la reticenza, la
parola tronca ò una sola, ò il «s non aecen-
nanto a un dubbio, ohe poi Virgilio rioopxo
con le parole diverse, col rioordo oiod di Ben^
tiioe, m ne s'offerse! — 9. altri: il
INFERNO — CANTO IX
è8
Io vidi ben si com'ei ricoperse
lo comindar con l'altro che poi venne,
12 che fùr parole alle prime diverse.
Ma non di men paura il suo dir dienne,
perch'io traeva la parola tronca
15 forse a peggior sentensa ch'ei non tenna
€ In questo fondo della trista conca
discende mai alcun del primo grado,
18 che sol per pena ha la speransa cionca? »
Questa question fec' io ; e quei : « Di rado
incontra, mi rispose, che di nui
21 faccia il cammino alcun per quale io vado,
Vero ò ch'altra fiata qua giù fui
congiurato da quella Eriton cruda,
24 che richiamava l'ombre a' corpi sui.
Di poco era di me la carne nuda,
ch'ella mi fece entrar dentro a quel muro,
27 per trame un spirto del cerchio ^ Giudo.
Quell'ò il pi4 basso loco e il più oscuro,
e il più lontan dal ciel che tutto gira:
80 ben so il cammin; però ti fa securo.
Questa palude, che il gran pusso spira,
ealMte, già acceniuito inlnf. vm 180. — 10.
wUmpenè !• eomUelarx roDe naaoondere
fl M&ao della xetioenza, espreisa nalle prime
puole M non... — 11. F altre ehe poi tìb-
■e: quello che Mgai, ciò sono le paiole:
Tal me 9'offènél — Ì2. tàr eco. mentre le
piìBe enoio itate di dubbio, le altre parole
furono di fiduciosa speranza. — 14. la pa-
nia tr«Beat il senso eh' io Bopponera delle
parole «e mm, rimaste in sospeso. — 16. >
prgfler seatensa: a peggiore significazione,
ehe aDe sue parole non aresse dato Virgilio ;
potchó Dante intende e compie il te non del
ino duca, cosi: se por non saremo vinti e
costretti a ritornare indietro. — 16. la f ne-
tte feade ecc. Dante chiede a Virgilio, per
tassicnzarsi, se le anime del limbo discon-
dano mai nel basso inferno. — trista con-
ca: r intono, in generale. — 18. ehe sol
per pena eoe : oCr. Inf. iv 41 : < sol di tanto
offesi. Che senza speme vivemo in disfo».
— speraaza etoaea : speranza tronca, priva
di fondamento. — 19. qaestioa: domanda;
cosi anche in Inf. ny ISS, I^, xxvin 84
ecc. — 20. laeeatra : accade. — 21. faccia
ecc. aknno di noi faccia il cammino per il
tguH» io vado. ~ 28. eoagiarato ecc. essen-
do stato scongiurato; per abbidiie agli scon-
gfaui della maga Eri tono : della quale favo-
kgl^arono g^ antichi ohe avesae ihooltà di
ftor ritornare le anime ai lor corpi, secondo
si ha da Lucano, Fcart. vi 607-827 (flpbidla
di Sesto Pompeo che richiede alla nukgii ^haIq
sarebbe stato l'esito della lottn tm Pumpoi^
padre di hii e Q. Cesare): oDr. Mooie, I a£U-
287. — 26. DI poco ecc. Di quixstiv prima di-
scesa di Virgilio all' inferno pe; trame f^rì
l'anima di un traditore la prima idoft non
potò venire a Dante dalle legi^f^nde medii»-
evali intorno alla magia viigiliami, porohé La
nessuna di qoelle che oi rimangono sì parUi
di Eiltone ; sembra pinttosto cho egli diU fia-
sco raoconto di Locano, ove la tjuc^ domm
per resendzio delle sne magicho orti « fa oa-
segnamento sogli oomini illostri o bui irnp^is-
sati da poco », abbia preso le muìì6D por « 11 ih
gore on plansibile pretesto ondo la eoa guida
si trovasse già esperta del viag^o » : cfr. sa
ciò D. Comparetti, Virgilio nel ìntiìùìevoj Li-
vorno, 1872, I 287 e D'Ovidio, pp. itó-lOl. —
27. del eerckio di Oinda : doò iol nono o&s-
ohio; nella parte più bassa del quale sta
Qioda, ond' ò nominata Oiodecca qaell' td li-
ma e pid profonda delle regiuuL tnlomali:
ctr. Inf, xmv 61, 117. Alcuni credono cJia
lo spirito ohe Virgilio liberò djil oordiìo dai
traditori fosse qoeUo di Palamede, di cui ogU
nell' En, n 81-86 rivendicò la tamn dall' ac-
cusa di tradimento ; c£r. Moore, L cit. -*^ 29.
dal elei ecc. dal Primo mobile, detto noi
Air. xxvm 70 il cielo «che tutto qi^i^kr
rapo L'altro oniverso seco ». — 31. 4jacsta
64
DIVINA COMMEDIA
cinge d'intorno la città dolente,
33 u' non potemo entrare ornai senz' ira ».
Ed altro disse, ma non l'ho a mente;
però ohe l'occhio m'avea tutto tratto
3C vèr l'alta torre alla cima rovente,
ove in un ponto foron dritte ratto
tre fùrie infornai di sangue tinte,
od che membra femminili aveano ed atto,
e con idre verdissime eran cinte:
serpentelli e ceraste avean per crine,
42 onde le fiere tempie eran avvinte.
E quei che ben conobbe le meschine
della regina dell'eterno pianto:
45 € Guarda, mi disse, le feroci Erine.
Questa è Megera dal sinistro canto;
quella, che piange dal destro, ò Aletto;
48 Tesifone ò nel mezzo > : e tacque a tanto.
Con l'unghie si fendea dascona il petto,
batteansi a palme, e gridavan si alto,
51 ch'io mi strinsi al poeta per sospetto.
€ Venga Medusa ! si '1 farom di smalto,
palBde ecc. Qoasi por assicarar Dante eh' ei
conoscerà bene il luogo, Virg:ìlio gli dice che
la palude Stige cinge tatt' all' intomo la città
di Dite ; sebbene nel loro viaggio i due poeti,
por facendo grande aggirata {Inf. ym 79),
non abbiano peroono né por la quarta parte
della palude stessa. — 83. ■> : cfr. ^f. u 24.
— lenz'lra: con le buone; altri intendo-
no pi6 determinatamente, senz' ira di Vir-
gilio, 0 del messo celeste, o dei diavoli di-
fensori della città. — 85. Pocehlo ecc. la
vista aveva attirato tutta la mia attenzione.
— 96. i%rt troncamento della prep. verso,
usuale in Dante e negli altri poeti antichi.
— l'alto torre alla cima rovente: ola
torre coi fuochi in cima, dalla quale s' erano
fatti segnali di risposta alle fiammette awi-
satrid dell' arrivo di Dante e Virgilio (cf^.
Inf, vm 8-6). — 87. faro» dritte ratto:
apparvero, s' alzarono rapidamente. — 88.
tre farle t sono le Erinni o Eumenidi, figlie
d' Acheronte e della Notte, destinate al ser-
vìgio di Froserpina, come seminatrici di di-
scordia e tormentatrici dei dannati (cfr. Virg.
Sn, VI 670, 605, vii 824 e segg., Ovidio,
Mei, IV 451, 481 ecc.). — 89. fhe membra
ecc. La desciizione dell' aspetto delle fune
segue quella di Tesifone in Stazio, Teb, i
108-115; cfr. Moore, I 245. — 40. idre ver-
ditsimet serpenti di vivo color verde, che
formavano la cintura delle ErinnL — 41. ser-
peatelli e eeraste: serpenti piccoli e ser-
penti grossi, che erano in luogo dei capelli
difldolti e dei capelli raccolti in trecce. —
43. neteliiae: ancelle, serve; tale ò il senso
che aU'agg. meteMno dà sempre Dante, F.
N. a 88, Jnf, xzvn 15. — 44. regina del-
Petemo pianto: ò Froserpina figlia di Giova
e di Cerere, moglie di Plutone e regina del-
l'Inferno (Omero, II. ziv 836, Odie. xi 218
e segg., 633 ecc.): cfr. anche Inf, x 80,
fWj7. xrvm 50. — 45. ErUe : lat EriimyéMi
ma Dante segui la grafia dei lessicografi m&-
dioevali (Giovanni da Genova, Papia ecc.),
che hanno: Erinys (cfr. Parodi, BulL III
109). — 46. Qnetto ecc. : delle tre I^e, ohe
sono in sull' alto della torre. Megera sta dalla
parte sinistra, Tesifone nel mezzo, Aletto
dalla deetra; oosf sono disposte nei veni leo-
nini cit da Pietro di Dante : « Tres agitant
mentee Furiae, ratione oarentes : Si tibi bao-
chatur mens, tuno Alecto vocatur; At tuno
Tisiphone, jumpunt cum iuigia voce ; At si
lethi fera despumant ora, Megaera >. ~ 48. ^
nel mesco: cfr. Virgilio, En, x 761: e Pal-
lida Tisiphone media Inter mìllia saevit ». —
taeqae a tasto: non aggiunse altro; chó
Va tanto vale : a questo solo, come il di tanto
in Inf, rv 99 vale : di questo solo. Altri, ma-
no rettamente, spiegano: intanto, in questo
mentre; altri infine: allora, in quel punto,
— 50. a palMe : con le palme delle mani.
— 51. io mi strljitl eco. Atto spontaneo
e frequente per Dante quando ha paura ò
lo stringersi a Virgilio : cfr. Purg. viu 41,
— 52. Tenga Hcdosal Medusa, secondo là
INFERNO — CANTO DC
65
dlcevan tutte riguardando in giuso;
54 mal non yengiammo in Teseo l'assalto ».
€ Volgiti indietro, e tien lo tìso chiuso ;
che, se il Gorgon si mostra e tu il vedessi,
67 nulla sarebbe del tornar mai suso >.
Cosi disse il maestro; ed egli stessi
mi volse, e non si tenne alle mie mani,
GO che con le sue ancor non mi chiudessi.
0 voi, ohe avete gl'intelletti sani,
mirate la dottrina ohe s'asconde
63 sotto il velame degli versi strani!
■itelogia, fu mia dalla tre Ooigoni, figlie
fi Fosco dio maxino; la quale fti insieine con
le eoxeUa ncoisa da Perseo figttnolo di Oiore
e di Daoae ed ebbe nonato il capo, ohe are-
Tm la potenza di pietrificaze cbionqTie lo mi-
ZMM. Oca le Fnxie yolendo impedire il passo
a Diate inTooaiio.fl oacpo di Medusa, col
^pMÌe qwxano di trasformarìo in sasso : H H
fanm ài tmaUo, — 68. !■ giaio t Terso Dan-
te. — 64. Mal aea eco. mal fti per noi non
Tsadicare nella persona di Teseo gli assalti
dati dagli nomini all' inferno ; il qnale Teseo,
ncatoci neUe regioni infernali per rapire Pro-
ierpsna, vi ta trattenuto prigioniero sino a
che Ercole discese a liberaiio (c£r. Virg. En,
TI a92 e S!egg.). — TcaglaMae: Tendicam-
■o; qoeeta forma arcaica riooire anche al-
trov», Jnf, XXVI 84, Bit. th 61. — 65. Tel-
giti eoe. Virgilio accorre pronto in alato a
Date, ammonendolo di Toltani indietro e
fi dkioder gii occhi per non yedare il capo
A Medaaa. — 66. U Gorgea i propriamente
Gosgoa» è il nome di risscnns delle tre fl^
gfiaote di Forco, ma Dante l'osa per indi-
ene il capo d' ona delle tre, e precisamente
di Medosa. — 67. asUs ecc. ta non potresti
jui piò zìtomare al mondo. — 68. egli stes-
si: egli atoeeo; efr. P», t 188. — 69. bob
si tesa* eoo. non si tenne contento, non si
Uò delle mie manL — 61. 0 toÌ eco. Qne-
ita dottziiia nascosta 9otU> il velaim degli versi
atrmàf alla quale Dante richiama gV ùUeUetti
tomi, è F allegoria di Medusa; allegoria in-
torno alla quale sono molto diversi i pareri
degfi interpreti (cfr. 0. Galanti, L*aUegoria
émlmea del Capo di Mtduaa, leUere, Bipa-
*>«T*?TH^^ 1882; C. Negroni, L'aliegoria danL
éM Capo di Mtd,, Bologna, 1882; B. Fomacisr
ri, Sktdi, pp. 69-101; Q, A. Venturi, LeoHtra,
ff, U-15). Degli antichi, il Lana vede in Me-
don il simbolo dell' eresia, che « fa diventare
r uomo ptetra, perohÀ lo eretico vuole più cre-
dale aOe eensualitadi che alla sacra scrittu-
a»: l'Otta TAnon. fior., il Buti, facendo
prapóa r Intarpretazione del mito di Medusa
dsta dal aiitogrmfò antico Fabio Fulgenzio, vi
trovano il simbolo della dimenticanxa, « aOa
quale Perseo, cioè l'uomo savio, taglia la testa
quando con la tenace memoria sempre inten-
de > : laoopo di Dante vede in Medusa l'o-
perare contro la ragione ; il Bocc, la Ubidine
o la donna libidinosa ohe rende immemori e
aodeca i^ uomini; altri dt da Benv. l'astu-
zia oppure la cupidigia dei beni terreni: fi-
nalmente BambagL, Pietro di Dante e Benv.
trovano in Medusa il simbolo del terrore, col
quale le Furie, simbolo dei rimorsi, si sforzano
di respingere il poeta. Dei moderni, alcuni
come Filai., Blanc, Qalanti, ritornarono al-
l'idea ^'«TMia ; ma i piò, come Lomb., Costa,
Bianchi, Frat, Tomm., Poletto, tennero che
Medusa simboleggiasse il diletto sensuale « il
cui aspetto falsamente specioso pud sedurre e
perdere l' uomo » ; n6 se n' allontanò in so-
stanza il Fomadari, sostenendo le Furie es-
sere simbolo dell' invidia « concepita come un
odio mortale agli uomini », e operanti la loro
insìdia mediante l' allettamento dei beni e
piaceri mondani raffigurati in Medusa. Me-
glio di tutti lo Scart. dichiarava il simbolo di
Medusa cosi : « Nella dttà di Dite sono pu-
niti gli eretid, doò i peccatori contro la vera
fede, n peccatore messosi sulla via della con-
versione pante] vuol entrarvi per eoruidé'
rar$ il fine di coloro {Salm, lxxu 17), ed ar-
rivare mediante questa considerazione alla
contrizione, e dalla contrizione alla conver-
sione. Virgilio procura di persuadere i de-
moni, custodi della dttà, colle buone, doè
con ragioni filosofiche, ad aprime l' ingresso,
ma ò respinto con beffe, poichó i miscredenti
hanno sempre argomenti in pronto da opporre
agli argomenti, e lo scherno ò e fu sempre
la loro arma prediletta. Alla conversione del
peccatore si oppone inoltre la nuda oosdenza
[le Erinni], e vi si oppone pure il dubbio,
ohe ha la virtd di render l' uomo insensibile
come pietra [Medusa]. Per drizzare gli vonUni
alta temporale felieità aeoondo gli ammaestra-
menti fÙoeofioi {De mon, m 16), l'autorità
imperiale [Virgilio] esorta l' uomo di fare at-
tenzione alla mala coscienza (Guarda le fé»
66
DIVINA COMMEDIA
E già venia su per le torbid'onde
un fracasso d'un suon pien di spavento,
66 per cui tremavano ambedue le sponde;
non altrimenti fatto che d'un vento
impetuoso per gli avversi ardori,
69 che fier la selva, e senza alcun rattento
li rami schianta, abbatte e porta fuori:
dinanzi polveroso va superbo,
72 e fa fuggir le fiere e li pastori
Gli occhi mi sciolse, e disse : € Or drizza il nerbo
del viso su per quella schiuma antica,
75 per indi ove quel fummo è più acerbo ».
Come le rane innanzi alla nimica
biscia per l'acqua si dileguan tutte,
78 fin che alla terra ciascuna s'abbica;
vid'io più di mille anime distrutte
fuggir cosi dinanzi ad un, che al passo
noi Erifis)f e di non volgere lo igoArdo al
dubbio petaìflcante {Voigiti indietro eco.) ; inol-
tre, ftfflnohó r nomo non si lasd cogliere nelle
reti del dubbio e della mìBoredenza, l'auto-
rità imperiale gli viene in soooorBO coli* opera
{«gii stiul mi voi» eoo.) dod colle leggi con-
tro gli ereticL Se non che l'autorità impe-
rialo non basta per sé sola a guidare V uomo
alla contrizione in merito a peccati concer-
nenti la fede. Ha l'autorità ecclesiastica le
viene in soccorso (Tal ne Sofferse) ministrando
la divina illuminazione (il messo del cielo) che
vince e le obbiezioni de' miscredenti ool loro
scherno [demoni], e gli ostacoli della mala
coscienza [Erinni], e i pericoli del dubbio
[Medusa], ed apre cosi una via attraverso
tutte le difficoltà >. — 64. E già venia ecc. Il
turbine rumoroso, che pronunzia la venuta del
messo celeste, ricorda i fenomeni che accom-
pagnarono la venuta dell' angelo sulle sponde
dell'Acheronte: ofi:. J&i/'. m 130 e segg. Q.
A. Venturi, Leet, p. 15 : e II fragore del tur-
bine ci è fatto sentire come con un mira-
bile crescendo sinfonico : la descrizione ò ra-
pida, potente, perfetta nei particolari, gran-
diosa nell' impressione complessiva e finale ».
~ 67. Aoa altrintenti ecc. il quale tncosso
non era diverso da quello d'un vento ecc. Ven-
turi 66 : « L' idea dd vento, ohe si fa impetuo-
so pei calori di paese opposto, ò pi6 precisa e
compiuta del virgiliano : * Adversi rupto ceu
quondam turbine venti Confligunt.... stridunt
silvae ' (En. u 416) ». — 69. fler ecc. scuo-
te, ferisce; oti. Virgilio, Georg, n 441 e Lu-
crezio, X 274 : e Rapido perourrens turbine,
campot Axboribus magnis stemit, montosque
supremus Silviftagis vexat flabris » : quanto
al /far, che è per fitre, cfr. Inf, z 69, xi 87,
e anche Purg, zzvm 8. — rattento : Blane :
« rattenimento, ostacolo che trattiene». —
78. cai cechi ecc. Virgilio mi tolse dagli oc-
chi le mani. — il nerbd 4el rise: la po-
tenza visiva. T- 76. per indi eco. vorso
quella parte, ove ò più densa la nebbia. —
76. Come le rane ecc. Venturi, 428: e Oion-
gè un messo celeste per aprire ai poeti le
porte di Dite; e al suo presentarsi le anime
de' dannati si ricacciano dentro la stagnante
palude. La similitudine risponde esattamente
non solo all'atto del gittarsi d'un salto e
dell' involarsi ad altrui, ma eziandio alla ca-
gione di quell' atto che ò il timore » : etr. la
descrizione ovidiana riferita al passo dèll'Zn/1
xxzn 81. -^ 78. i* abblf a : gli antichi spie-
gano il vb. abbieorsi per aggiungere, attac-
carsi; e i moderni invece per ammucchiarsi
come il grano in biche. L'uso figurato che
di questo vb. fa l'n]i)erti, DUI. i 6 « Quando
nell'uomo un buon voler s'abbica», parreb-
be confermare l'interpretazione degli antichL
~ 80. ad un ecc. È il messo celeste, inviato
in aluto di '^rgilio e di Dante per aprire le
porte della città di Dite; intomo al quale
grande ò la differenza delle opinionL Degli
antichi commentatori, il Lana, l' Ott., l' Anon.
fior., il Buti e più altri riconobbero in que-
sto messo un angelo venuto dal cielo, e quasi
tutti i moderni accolsero questa che ò la pt4
ragionevole interpretazione. Benv. e Pietio
di Dante rioonobbero in questo messo Mercu-
rio, per la rimembranza di un passo di Sta-
zio, Teb, n 1-31, ove si legge che il figlio
di Qiove e di Maia iti mandato a introdurre
nella dttà infernale l'ombra di Laio; e tra i
moderni il Fomaoiari, Studtj pp. 94-101, e
6. Federzoni, Shtdif pp. 182-201, sostengono
INFERNO - CANTO IX 67
81 passava Stìge con le piante asciutte.
Dal volto rimovea quell'aer grasso,
menando la sinistra innanzi spesso;
84 e sol di quell'angoscia parea lasso.
Ben m'accorsi ch'egli era del elei messo;
e volsimi al maestro, e quei fé' segno
87 ch'io stessi cheto ed inchinassi ad esso.
Ahi quanto mi parea pien di disdegno!
Giunse alla porta, e con una verghetta
90 l'aperse, che non ebbe alcun ritegno.
€ 0 cacciati del ciel, gente dispetta,
cominciò egli in su l'orribil soglia,
93 ond'esta tracotanza in voi s'alletta?
Perché ricalcitrate a quella voglia,
a cui non puote il fin mai esser mozzo,
96 e che più volte v'ha cresciuta doglia?
Ohe giova nelle fata dar di cozzo?
Cerbero vostro, se ben vi ricorda,
99 ne porta ancor pelato il mento e il gozzo >.
Poi si rivolse per la strada lorda,
e non fé' motto a noi ; ma fé' sembiante
102 d'uomo, cui altra cura stringa e morda
che quella di colui che gli è da vanto:
e noi movemmo i piedi in vèr la terra,
105 securi appresso le parole sante.
Dentro v'entrammo senza alcuna guerra:
die Q nflMO divino sìa Gesù disto medesimo: glia eoo. alla volontà divina, alla q^a^e non
la qixBle opinione, sebbene non rimuova ogni può essere impedito di raggiungerà il Une,
difficoltà, non è senza qualche buon fonda- — 96. pld volte eoe spedalmenta qttimdo
■aito di ragionL Meno felice Ai la congettura Cristo scese al limbo; o£r. Inf, iv 52. — 97.
ii IL Oaetani, Opuao, danL n.* 11, il quale nelle fiata ecc. opporsi ai decreti àìviid. —
era troppo ingegnoso ragionamento si sforzò dS. Cerbero vostro, se eco. Aoci^ana alia
di BoetFBTB che il messo celeste fosse Enea, il favola mitologica della discesa di Ercoio ai
pio figliuolo d'Anchise. — al passo: al valico, regni infernali, dove vinse T oppcisizlooti di
sei punto ove ai passa. — 82. aer grasso : la Cerbero incatenandolo e trascinandolo fuori
aebliia, già accennata al v. 76. — 83. menaa- dell'inferno (cfr. Virgilio, En, vi 892 a te^ì^u
è» eec paaaandosi spesso la mano sinistra di- — 99. il meato e il gozzo : le parti, chfj pili
nanzi al volto. — 84. aagoseU: il fastidio gè- furono a contatto con la catena. ^ 100. Tel
MiBto dalla densità dell' aria. —> 86. m'aeeor- il rlTOlse ecc. L'angelo, appena compi uto
si: per il fenomeno ohe l'aveva preceduto, l'atto per cui era venuto, rivolo al oialo^ al
• pc4 per il miracolo di passare sulla palude quale anch' egli, come già Beatrioo dJscoda
« con le piante asciutte >, volando, e per nel limbo, Inf, u 71, desiderava di ritoruji»,
totta la maestà che si diflònideva dall'aspetto — 104. la terra: la città di Ditq. — 105.
dsQ' angolo. — 87. tteiii cheto ed UeM- s«earl ecc. tranquilli per le parole dette dal-
■assi : due segni di riverenza. — 89. naa l' angelo ai diavolL' — 106. Dentro ecc. Ap^
Tcrghetta : è data ali' angelo, come segno pena entrati nella città di Dite i due poc^ti
arisnoie dell' autorità conferitagli da Dio. — si trovano nel luogo, ove sono puniti ^11 Qnt-
90. rttega*: impedimento, ostacolo. — 91. tici; i quali sono raccolti in altre! Unto iir-
0 eacdatl del del ecc. : cfr. Inf. vm 88. che infocate quante ftirono le eresia profo,^
— 93. trseoteacà: cfr. Inf. vn 124. — s'al- sato. A proposito del luogo ocoupjìto dngli
frttt? cfr. Inf» n 122. — 94. a f nella ve- eretici scrìve il Del Lungo, Diporto danUsoo,
68
DIVINA COMMEDIA
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120
123
ed io, ch'avea di rigaardar disio
la condÌ2Ìon che tal fortezza serra,
com'io fui dentro, l'occhio intomo invio;
e veggio ad ogni man grande campagna
piena di duolo e di tormento rio.
Si come ad Arli, ove il Eodano stagna,
si oom'a Fola presso del Quamaro,
che Italia chiude e suoi termini hagna,
fanno i sepolcri tutto il loco varo:
cosi faoevan quivi d'ogni parte,
salvo che il modo v'era più amaro;
che tra gli avelli fiamme erano sparte,
per le quali eran si del tutto accesi
che ferro più non chiede verun'arte.
Tutti gli lor coperchi eran sospesi,
e fuor n'uscivan si duri lamenti,
che ben parean di miseri e d'offesi
già dt. : « Mi sembra nobilissimo e sottile
concetto, e degno come di Dante cosi d'es-
seie meglio rilevato e ohiazito che non siasi
ftitto sin qui, quello d'avere lungo le muxa
della tzìste città, al di dentro, collocati gli
epicurei, cotesti grandi ereaiaxchi del paga»
nesimo, e gli eretici dell' evo cristiano. H loro
spaventoso sepolcro rovento incorona la città
del male, senza che eglino appartengano né
alla prima regione che ò finita appiè dello
mura di quella, nò alla seconda che si parte
dall' abisso scavato nel centro della città me-
desima ; e cosi, né alla categoria degl' incon-
tinenti, terminata, né a quella, non ancor co-
minciata, de' violenti. CosIfEaUo rimaner ossi
interamente fuori del sistema penale dantesco
non può non avere un perché : il quale è
questo, a mio avviso ; che la natura del loro
peccato li sottrae alla comunicazione diretta,
non che con la Grazia, secondo ò di tutti i
dannati, che più non hanno amico il re del-
P universo, ma con la Giustizia medesima di
quel Dio oh' e' disconobbero e negarono, e
perciò li pone tra le perdute genHj quasi fti6ri
di schiera». — 108. la eoadldeB ecc. lo
stato e la qualità delle anime, chiuse dalle
mura della città di Dite. — 110. ad ogni
man ecc. a destra e a sinistra della porta
un grande spazio ecc. — 113. Si come eco.
Dante paragona il suolo sul quale s' ergevano
gli avelli degli eretici oon i terreni nelle vi-
cinanze di Aries e di Fola, ineguali per le
tombe antiche che vi sorgevano ancora ai
suoi tempi. — ad Irli: Arles, lat. Arelas,
città della Provenza ossia dell' antica Gallia
Narbonese, presso la quale esistono ancora
sepolture dei tempi romani. I commentatori
antichi accolsero una tradizione romanzesca,
tratta certo da qualche poema francese : cIa
cagione (dice U Buti) perché ad Aili sia-
no tanti sepolcri, si dice che avendo Carlo
Magno combattuto quivi con infedeli, ed es-
sendo morta grande quantità di Oristiani, feoe
pnego a Dio ohe si potessino conosoere dal-
l'infedeli, per poterli sotterrare: e fatto lo
prego, r altra mattina si trovò grande simi-
litudine d' avelli et a tutti li morti una scritta
in su la fronte, che dicea lo nome e il so-
pranome; e cosi conosciuti li seppellirono in
quelli avelli ». Questi sepolcri arelatensi fa-
reno notissimi nel medioevo (cfr. Turpino,
Oronaoa^ cap. 28, e Gervasio di Tilbury, Otia
imperaUa, cap. 90), e ricordati anche dal-
l'Uberti, i>itf. iv 21 : cFuiad ArU... Làvidi
tanti avelli, che a guardarli Un miraool mi
parve», e dall'Ariosto, Ori, fur, ziiiz 72:
« Ghé presso ad Arli, ove il Bedano stagna,
Piena di sepolture è la campagna ». Ciò non
esclude per altro che Dante possa averli ve-
duti in uno dei suoi viaggi; cfr. A. Bossi,
J viaggi danieoehi oUr^Sìpe, Torino, 1893, e V,
Bossi, BuU. I 106-108. — 113. a Fola: Fola
ò città marittima sulla punta meridionale del-
l' Istria, che a oriento ò bagnata dal golfo
Quamero, naturale confine d' Italia : nelle vi-
cinanze di Fola, fuori della porta Aurea, era
la necropoli romana, oon arche di madgmo
rimasto sul luogo sino al secolo xv; cfr. Bas-
sermann, p. 461. — 115. 11 loeo varo: il
suolo vario, disuguale. — 117. II modo T*era
pid amaro: per la ragioike accennata nella
seguente terzina. — 119. Meeil: roventi,
infocati. — 120. ékt ferra eco. che nes-
suna arto di fabbro o di fonditore richiede ,
ha bisogno che sia cosi rovento il ferro. -«
121. eraa sospesi: erano sollevati: cfr. Jbtf,
INPERNO - CANTO IX
69
Ed io : € Maestro, quai son quelle genti,
che seppellite dentro da quell'arche
126 si £eui sentir con gli sospir dolenti ? »
Ed egli a me: « Qui son gli eresiarche,
co'lor seguaci, d'ogni sètta; e molto
129 più che non credi son le tombe carche:
simile qui con simile ò, sepolto;
e i monimenti son più e men caldi ».
E poi ch'alia man destra si fu volto,
133 passammo tra i martiri e gli alti spaldL
x8. — 126. arelie : qui e néH^Inf. x 29 sono
fti srdli, i sepolcri; ciMcniìo dai quali con;-
twne il capo di ima sètta eretica insieme coi
tepucL — 127. ereilarolie : i capi di ogni
sètta eretica coi loro segnaci, i capi delle
enee : per i nomi di consimile terminazione
c£r. Nannncó, Nomi 284-7 e Parodi, Bull. JH
12L — 128. sètto: equivale ad eresia, come
■ ba da Tonunaso d'Aquino, Summa, P. II
>, qo. XX, art 4: •ncai haeresis dicitar ak
efigendo, ita ateta dicitar a sectando; ... et
^m haereais et seda idem sant >. — 129.
pltf ehc ecc. D'Ovidio, p. 280: «on altro
tnttD dell' ereda è che molti la professano
oocohamente, onde ciascona ha piti segnaci
efae non paia >. — IBO. sladle qnl eoa si-
■Ile ecc. Vuol dire che in ciascun sepolcro
sente raoeoltì i seguaci di una determinata
tétta: cfr. Jnf. x 118, n 7. — 131. e 1 mo-
■bacati ecc. 1' accensione della fiamma in-
tomo ai sepolcri è pi6 o meno forte secondo
la gravità dell' eresia. — 132. alla naa de-
stra ecc. Scart : e Due volte deviano i poeti
a man destra : la prima quando vanno in-
contro agli «reiici, e la seconda quando van-
no incontro alla frode. In quanto alla prima
volta, si pud forse supporre che Dante abhia
voluto accennare i primi passi sulla via, il
coi fine è la miscredenza, non esser per sé
viziosi e peccaminosi, ma derivare dal natu-
rale desiderio di sapere. 8i osservi inoltre che
miscredenxa e frode sono appunto i due vizi,
le cui armi sono false parote, e che l' andare
a man destra si prende per segno o simbolo
di dirittora, lealtà, sincerità, schiettezza. Or
queste sono appunto le migliori armi, onde
andare incontro alla miscredenza ed alla frau-
dolenza >. Cfr. Jnf» XIV 126 e xvn 81. — 138.
tra I nartlrl ecc. tra le sepolture, luoghi
dì pena per gli ex^d, e le mura della dttà.
CANTO X
Continaando i dne poeti il loro cammino tra le arche degli eretici del
Mslo cerchio, Dante parla lungamente coi suoi concittadini Farinata degli
Ubertì e Cavalcante Cavalcanti ; dal primo dei quali si sente confermare il
tetsro esilio e ascolta qnal sia il grado di conoscenza dei dannati ; poi
eotnunbi a* incamminano verso il settimo cerchio [9 aprile, circa le due
antimeridiane].
, Ora sen va per an secreto calle
tra il muro della terra e li martiri
3 lo mio maestro, ed io dopo le spalle.
€ 0 virtù somma, che per gli empì giri
X 1. leereto calle: la viuzza a destra
deOa porta, tra le mora e le tombe, per la
quate Dante e Virgilio, cambiando l'abituale
direzknfte del loro viaggio, si sono messi en-
trando nella città. A conferma di questa le-
txmè, contro la var. stretto eaUSy à cita il
Tizpfisao, £H. VI 443 : « secreti celant cai'
lei > ; BA in difésa d#Ua w. stessa sì po-
trebbe ricordare pur V esempio di Virg., En.
rv 405 : « convectant calle angusto >. — 3.
lo mio maestro eco. Per l' angustia della
via i due poeti camminano l' uno dopo l' al-
tro, come poi faranno sugli argini del settimo
cerchio (Inf. xrv 140, xv 97, xvi 91) e sulle
rive delle bolge dell* ottavo (inf. xxm 2). —
4. empi giri: i cerchi infernali (cfir. Inf,
70
DIVINA COMMEDIA
mi volvi, cominoiai, com*a te piace,
6 parlami e satisfammi a* miei desirL
La gente, che per li sepolcri giace,
potrebbesi veder? già son levati
9 tutti i coperchi, e nessun guardia face ».
Ed egli a me: € Tutti saran serrati,
quando di losafàt qui torneranno
12 coi corpi, che là su hanno lasciati.
Suo cimitero da questa parte hanno
con Epicuro tutti i suoi seguaci,
15 che l*anima col corpo morta fanno.
Però alla dimanda che mi faci
qTiinc* entro satisfatto sarai tosto,
18 ed al disio ancor che tu mi taci ».
Ed io : « Buon duca, non tegno nascosto
a te mio cor, se non per dicei; poco;
21 e tu m* hai non pur mo a ciò disposto ».
« O tòsco, che per la città del foco
xn 2, xxvm 50). — 5. mi toItI : mi oon-
daoi in TÌ«ggio circolale. — com'a te pU-
ce : aiprlme quasi la meraTiglia di Dante per
arere Virgilio preso il cammino yerso deetra.
— 6. eatlifaHml: la forma latineggiante «o-
Hafaeere ò preferita da Dante, in tatto il poe-
ma. — 8. lerati : levati in alto, tollevati ;
cfr. Inf, a. 121. — 10. Tutu eoe I sepolcri
8i rinchiaderanno al ritorno degli eretici dalla
valle di GioeaCat, dopo il giudizio universale:
cfr. Inf, VI 96. — 13. Suo : nella lingua an-
tica si usò anche in relazione al soggetto di
numero plurale ; cfìr. Inf. xzn 144, Purg. xi
10, 12, XXVI 122 ecc. — cimitero : luogo di
sepoltura, sepolcro ; poichó in ciascuna delle
arche sono gli eretici di una data sòtta. —
14. eoa Epica re ecc. Epicuro, antico filosofo,
nato nollo vicinanze di Atene nel 342 o morto
nel 270 a. C, fu il fondatore della scuola
che da lui ebbe il nome di epicurea : Dante,
che ne conosceva le dottrine da Cicerone,
De ofjìc, m 83, U7, Tuscul. v 30 e 31 e Da
finibus n 25, teneva eh' egli fosse stato il
primo a considerare la voluttà come sommo
bene (cfr. Conv. rv 6, 22) e a proclamare che
r anima ò mortale ; mentre primo autore di
cotesto dottrine era stato Àristippo di Cirene
(nato noli' a. 404 a. C). — tatti 1 suol se-
guaci : i seguaci d' Epicuro, secondo Dante,
ponevano che l'anima morisse col corpo;
credenza che nel medioevo fu professata da
molti, 1 quali dai casi o dalle condizioni par-
ticolari della vita furono allontanati dall'orto-
dossia cattolica: tra essi dovettero essere, o
esser creduti, nel secolo xin molti ghibellini,
ai quali gravi oolpe appose la Caria romana
e singolarmente quella di favorire le eresie
degli Albigeei, dei Valdesi, dei Catari eoo.
(cfr. F. Toooo, L'trtsia n»l mediotvo, Firen-
ze, 1884, e DanU é l'trma, Bologna, 1899);
di modo che furono designati assai volte,
con strana confusione d'idee e di nomi, co-
me pai0rini ed «picurii (p. ee. in un' antica
oronaca, in Hart^, QueUm und tbraekun-
gm »ur dlUstm Oeaohichte dar Stadt Fìorenx,
HaUe, 1880, n, p. 225 : « Dissero 1 Ouelfi :
appellianci parta di chiesa; e 1 Ghibellini
s'appellarono parte d' imperio; avegna dio che
% ghibellini fossero publici patarini, per hro fu
proccUo lo inquisitore della resia > ; in un' al-
tra, in Tartijii, Rer, ital., II, 866 ò detto che
nel 1305 gli Spoletini gridavano contro qnoi
di Foligno : < Moriantur PiUareni gibeUUù / » ) :
cosi si spiega perché Dante ponga tra i se-
guaci d'Epicuro Farinata degli Ubertì, Fe-
derico n, il card. XJbaldini eoo. — 17. ««!■•
e' eatro : per entro questo luogo ; cfr. Inf.
XXIX 89, Pwrg. xni 18. — 18. al disfo ecc. n
desiderio non manifestato da Dante era quello
di sapere se in quel luogo fossero dei suoi
concittadini, o più particolarmente, dice il
Buti, « se T* era messer Farinata e meeser
Cavalcante, li quali erano vivati in si fatta
roda». — 20. cor: desiderio, volere; corno
nella V. N. xm 17, di Beatrice : « non ò co-
me l' altre donne, che leggeramente si mova
del suo core >. — 21. non par oso: non so-
lamente ora; poiché altra volta Virgilio hji
ammonito Dante di non manifestare tanto
frequentemente i suoi desideri: cfr. Inf. ni
76 e segg. — 22. tdseo t toscano ; cosi quasi
sempre in Dante ; cfr. Ipf xxn 99, xxm 76,
INFERNO — CANTO X
71
vivo ten vai cosi parlando onesto,
2-k piacciati di ristare in questo loco.
La tua loquela ti fa manifesto
di quella nobil patria natio,
27 alla qual forse io fui troppo molesto ».
Subitamente questo suono uscio
d'una dell'arche: però m'accostai,
30 temendo, un poco più al duca mio.
Ed ei mi disse: € Volgiti; che fai?
vedi là Farinata che s'è dritto:
33' dalla cintola in su tutto il vedrai ».
l'avea già il mio viso nel suo fitto;
ed ei s'ergea col petto e con la fronte,
91, zxnn 106, zzxn 66, A^y. xi 68, xit
103, XTX Idi, Far. xxn 117. — 28. ^rludo
Mirto : paxlatwìo onestamente, con la mode-
stia e riTBcenxa dimostrata nel discorrere a
Vasaio. — 2A. riiUre: ofr. ^f, n 121. —
35. La tmm loqvela: anche altre anime rico-
•oacoBo 1» patria di Danto dal modo dol suo
padaze, come Ugolino della Oherardesca, Jhf,
xxxm 11: Tolendo sottilizzare si potrebbero
Btrtare come proprie del dialetto fiorentino nel
diaoozao di Dante le forme ttgnOt dieen, non
pm no; sia loquela accenna più tosto alle
qualità della pronunzia, alla preferenza spe-
ciale. — 26. BebU patria: Firenze, detta nel
Cbnv. I 8 « bellissima e famosissima figlia di
Bob» ». ~ 27. alla «vai forse ecc. De San-
etia, Innovi saggi, p. 37 : < Sono le 6f\imatare
• le delicatezze diell' anima, cbe balzan faorì
ra modo spontrneo e irrifiesso, evocato da
httii inaspettati e cosi ingegnosamento inren-
ta&. L' ixapTOTviso è espresso fino in quel
SBtito orompeFe delle parole, prima ancor che
loi sappiamo onde Tengano e da chi. Se Fa-
nuta dicaflae: Io fui molesto alla mia patria,
•Ksbbe un giodizio gìA fstto e vagliato e de-*
taoiinato. Ma questo concetto gli si presenta
m la piìm* Tolta innanzi, còlto all' improT-
▼ào da una di quelle gagliarde impressioni
eie mettono Inanima a nudo, e sotto la pres-
none di dolci sentimenti gli esce dalla bocca
^ eonfeanone in quella forma provrisoria
dì «n giudizio nuoTo e improvriso che non si
è avuto il tempo di esaminare >. — 28. Sn-
MtaaeaM : improTTisamente; cosf nella V. N.
m 45, XX 29, Tra 44, Purg. i 136, u 128,
min 88, Par. x 88, zx 5 ecc. — 29. una
ddTarehex Danto non dice proprio che fosse
qaeQa atasaa dor'erano « con Epicuro tutti l
noi iwgu^ » ; ma che non si tratti d'altra
sica intendono tutti i commentatori, parlando
£ Farinata come di un epicureo. — 83. Fa<
riaata: Manente detto Farinate, figlio di
Impo da^ liberti, nacque in FiroQze sui
primi dol sec. xui e crebbe in mezzo alla par-
tizione della cittadinanza in guelfi e ghibel-
lini aTTenute nel 1315: capo sino dal 1239
della sua famiglia, la principale tra quelle che
in Firenze tennero parte ghibellina, ebbe mano
nella cacciate dei guelfi del 1248, e, ritornati
questi nel 1261 e fattosi più vivo il contra-
star delle fazioni, fu ne] 1268 costretto ad
esulare con tutti i suoi e con più altre ca-
sato ghibelline. Ripararono a Siena, dove Fa-
rinate, ormai riconosciuto come il più auto-
revole tra i capi della parto, preparò la ri-
scossa doi fuorusciti fiorentini, partecipando
alla battaglia di Monteperti del 4 settembre
1260: vinti i guelfi. Farinate si oppose alla
distruzione della patria, proposte e discussa
dai capi ghibellini nell'adunanza di Empoli, e
ritornò coi suoi in Firenze, dove mori nell'a-
prile 1264. Cfr. le biografie di lui scritte da
F. Villani {Vite d'uomini illustri fior,^ Firen-
ze, 1826) e da S. Razzi (Vite di cinque huo-
mini ii/., Fir., 1602), l'anonimo Elogio di
Farinata nella Serie di ritratti d'uomini il-
lustri toscani Fir., 1766, voi. I, e R. Renier,
Liriche di Faxio degli Ub., Firenze, 1883. —
33. dalla cintola ecc. De Sanctis, p. 34 :
« L* inattesa comparsa di Farinate sulla scena
è apparecchiate in modo, eh' egli è già grande
nella nostra imaginazione , e non l' abbiamo
ancora né veduto nò udito. Farinate ò già
grande per l' importenza che g^ ha date il
poete e per l'alto posto che occupa nel suo
pensiero. E noi non lo vediamo ancora e giii
ce lo figuriamo colossale dalle parole di Vir-
gilio». — 34. viso; cft". Inf, iv 11. — 86.
ed el s'ergea ecc. De Sanctis, p. 35 : « Fa-
rinate ste con mezza la persona nascoste nel-
l'arca; rimane solo di ftiori il petto e la Tronto;
e nondimeno ogli ci apparisce comò torrog-
gianto sugli oggetti circostonti... Quell'orgorsl
ti dii il concetto di una grandezza tanto più
evìdento quanto meno misurabile; è 1* ergersi,
r innalzarsi dell'anima di Farinate sof ra tuUq
72
DIVINA COMMEDIA
86 come avesse Io inferno in gran dispitto.
E Panimose man del duoa e pronte
mi pinser tra le sepolture a lai,
89 dicendo: cLe parole tne sien conte».
Com*io al pie della sua tomba fui,
guardommi un poco, e poi quasi sdegnoso
42 mi dimandò: € Chi fdr li maggior tui? »
Io, ch'era d'ubbidir desideroso,
non gliel celai, ma tutto gliel'apersi;
45 ond'ei levò le ciglia un poco in soso,
poi disse: € Fieramente f^ro avversi
a me ed a' miei primi ed a mia parte,
48 si che per due fiate gli dispersi ».
€ S' ei fùr cacciati, ei tornar d'ogni parte,
lispos'io lui, l'una e l'altra fiata;
61 ma i vostri non appreser ben quell'arte ».
Allor surse alla vista scoperchiata
r inferno. Cosi con un colpo solo di scalpello
Dante ha abbozzata la statoa dell'eroe, e ti
ha gittata nell'anima V impressione di una
forza e di nna grandezza quasi infinita «. —36.
dlspltu: dispetto, disprezzo; cosi il Petrarca,
son. T.rrn S: e Per isfogare il suo acerbo
despitto >: ott. Parodi, BuU, m 96. — 89. le
parele tee ecc.; Buti: < paria apertamen-
te e ordinatamente >, cioè con quella fhui-
cheoa e compostezza che bisognano a parlare
con gli aTTersari; cosi che il eonie qui sv
rebbe da eon^ta$, H Parodi, BuU. m 150,
i^poggiandosi ad esempi del Barberino, spie-
gherebbe adattaUt eonvenimU: altri, meno
bwie, intendono eontaUf quasi Virgilio ammo-
nisse Dante a parlare brevemente; e altri
infine, eogniUf come se l'ammonimento fosse
di parlare senza oscurità. — 42. nagglors
maggiori, antenati; cosi anche nel Purg. zi
62 e Bw. zvi 48. — 44. UiUo gUePapersit
non solamente dissi il nome dei miei antenati,
ma anche come essi tenessero sempre parte
guelfa: di che per altro le storie fiorentine
non danno indizi, se non nel fatto ohe Bru-
netto Alighieri, zio di Dante, fb dei combat-
tenti a Montaperti (cft. Fraticelli, Storia della
vita di Dania, Fir., 1861, p. 16). — 46. levò
le ciglia ecc. oome per ricordarsi di qualche
cosa. — Ih soso; in su; pi6 fluente ò la
forma in wso, della quale cfir. Inf. xn 131.
— 46. firo aTTSrsi eoo. Farinata, avendo
innanzi uno di famìglia guelfa, corre col pen-
siero a tutta la parte avversaria e ricorda
d'averne procurata per due volte la cacciata
dalla patria; l'una nel febbraio 1248 con l'a-
iuto di Federigo n (ofr. O. Villani, Or, vi
88), l'altra nel settembre 1260, dopo la bat-
tuglia di Montaperti (cfr. Q, Vili, Cr, vi 78-
81). — 47. miei prlnltmisiaLtenalL — 4».
d'ogni ^rte: da tutti i luoghi, spedalmenta
di Toscana, dove s'erano rifugiati gli esuli
guelfi. — 60. Pana e l'altra fiata: dopo U
prima cacciata, i guelfi faomsoiti litomazono
in Firenze nel gennaio 1261, richiamati dal
popolo levatosi contro i ghibellini (cfir. Q-.
Vili., Or, VX 42); dopo la seconda cacciata,
ritornarono sulla fine del 1266, doè dopo la
rovina del ghibellinismo segnata dalla batta-
glia di Benevento (cfir. 0. VllL, Or, vn 14).
— 61. 1 vostri ecc. 1 ghibellini e specialmente
gli TTberti non appresero bene l'arte di ritor-
nare in patria, poiché dopo la cacciata del
1266 e l'abbandono che tutta la parte feoe
della patria nella pasqua del 1267 {otr, G.
Vili., Or, vn 16) non rimisero pi4 piede in
Firenze; e nella generale padficaiioiie tra
guelfi e ghibellini conclusa nel 1280 non tit"
reno comprese circa sessanta Duniglie, prin-
cipalissuna fra queste quella dei discendenti
di Farinata (cfir. G. YUL, O. vn 66; Com-
pagni, Or, 1 8; P. Pieri, O. p. 4S). ^ 62.
Allor eco. A interrompere il dialogo txm Fa-
rinata e Dante sorge alla bocca dell'avello
l'ombra di Cavalcante Cavalcanti; del quale
dice il Boco. che fu « leggiadro e ricco cava-
liere, e segui l'opinione d'Epicuro, in non
credere che l'anima dopo la morte del corpo
vivesse, e che il nostro sommo bene fòsse
ne' diletti carnali », e il Buti aggiunge che
« fu della setta di messer Farinata in eresia,
e però lo mette seco in un sepolcro » : Caval-
cante era guelfo; fa podestà di Gubbio nel
1257 e dopo Montaperti 1 ghibellini dettero
il guasto alle sue case ; — vista seepereMa.
ta: apertura senza coperchio; chó pista qui,
oome in Purg, x 67, vale apertura, per la
INPERNO - CANTO X
73
un'ombra lungo questa infino al mento;
54 credo che s'era in ginocchion levata.
D'intorno mi guardò, come talento
avesse di veder s'altri era meco;
57 ma poi che il suspicar fu tutto spento,
piangendo disse : < Se per questo cieco
carcere vai per altezza d'ingegno,
60 mio figlio ov'è? e perché non ò teco? »
Ed io a lui: € Da me stesso non vegno ;
qoito ti pod Tedere. — 68. luift f iMto eoo.,
■ooMkto a qiialla di Fuìiiata, faoendoei Tedeie
ano al BMotD : kmgo tigiiiflc» «ppiMOO, ao-
cuto; è anche nella F. N. xn 11, zzm 64,
zzziT 6, la/', zxx 98, Bar. xxzn 180. — 65.
riaUno Mi ffsard^ eoo. H primo atto di
Omlcante risponde al desiderio del suo cuore
4i Tedaxe in compagnia di Danto il figlio
Guido. — 67. snspicars sospettale, dubitare,
dr. Pmy, xn 129: il yb. dipinge aisai bene
r iaeertesza ohe si mesoolaTa al desiderio di
GsTaloante. — 68. Se per « nesto eoo. 8e ti
i stato ooncesao di visitare l' inferno, in pre-
mio del tuo nobile intelletto, perché non ò
teoo mio figlio, che per altezsa d' ingegno non
è ponto da meno di to? — 60. mio figlio t
Godo Caralcanti naoqoe circa a mezzo il se-
cdo xm, probabilmento dopo Q 1251; allor-
ché nel 1ÌS7 a garanzia di pace ai strinsero
tanti parentadi tra Cuniglie d'opposita fkrione,
te dal padre fidanzato a Beatrice degli Uberti,
figlia di Farinata, e oondnsoai il matrimonio
s'ebbe parecchi flglinoIL Partecipò, come
gseifo ^e era, s^^ aiEari del Gemane, e nel
1280 fb tra i malleTadori per roesenranza dei
patti ginzati al cardinale Latino e nel 1284
collega a Bnmetto Latini e a Dino Compagni
Bei consigli della città. Nella divisione del
laoo aegoi parto bianca, ed ebbe gran parto
Mlle lotto faziose e ai oppose più volto a
Oocso Donati: confinato nel giogno 1900 a
Sm^f^myttL^ se ritornò ammalato e mori in pa-
tria nell'agosto. E fu grande dannaggio^ dicono
i cronisti, poiché per altezza d' ingegno pochi
lo pareggiavano in patria, ed era ecrteae è
ordito e «evfMdioto ii» mo^ eoee, ma anche
idegrwm e mlilaHo » intento aUo studio ; delle
qaali soe virtfi e condirioni dovette esser
grande il grido in Firmze, se la tradizione ne
aopravisse tra T imperversare delle fazioni
mm> al Booc (Dee. vi 9) e al Sacchetti (nov.
xxvm), che ne fecer novelle. Fa caltore della
poesia volgare, e lasciò ona canzone soUa
aatnra d'amore assai lodata come opera dot-
trinale, • sonetti e ballate amatorie di sgol-
ata eleganza: ctr. P. Ercole, O. Ckivale. é le
mm foméj Livorno, 1885. — 61. Da me stes-
se eoe. Molto difficile ò V intorpretazione di
qisste risposta di Dante. Dei commentatori
antichi, i più tannerò che Chiido in generale
avesse dispresBO per i poeti (Lana, Ott, Bati),
aggiongendo alcnni che dò fa peroh' egli era
tatto dato agli stodl filosofici (Booc, Benv.,
An. fior., Land., ecc.): dai moderni, alcnni
dettero di cotesto disdegno una ragione d'in-
dole politica, dicendo che il Cavalcanti guelfo
non poteva ammirare Virgilio, poeto dell'idea
imperiale; altri, nna ragione letteraria, aiferw
mando ohe il Omdcanti fosse dispreoatore
della Ungaa latina (dtano U passo della r. a:
XXX 16: e simile intenzione so ch'ebbe questo
mio primo amico, a col io dò scrivo, dò è
eh' io li scrivessi solamento in volgare >). Fi-
nalmento F. D' Ovidio, Saggi eritiei, Napoli,
1879, pp. 812-829, movendo dal tetto atte-
stato da parecchi scrittori antichi che Onido
fosse irrelìgioeo (Booc, Deo, vx 9 : < alquanto
tenea dell'opinione degli epioaii, si diceva tra
la gento volare ohe qnesto sae specnlarioni
eran solo in cercare se trovar d potesse che
Iddio non fosse >, e Benv. : < enorem qnem
pater habebat ex Ignorantia, ipso oonabator
defendere per sdentiam »), cercò di provaie
che Danto rispondendo al vecchio Cavalcanti
intendesse dire, il figlio di lai non aver forse
avuta cosi dcura credenza in Dio da inchi-
narsi a Virgilio, ohe simboleggia la ragione
illuminata dalla fede: ma poi d ò ricreduto e
negli StudU mUia din, Oomn,^ pp. 160-201,
temperando la vecchia con la nuova interpre-
tazione, condude che il disdegno del Caval-
canti < non può riguardare dhe l' Eneide^ e
se l'epicureismo di Guido o' entra per qual-
cosa, sarà come antited alla religiodtà dd-
VEntidey alle sue deeoririoni della vita futura,
a quello insomma ohe pd mistico Dante fa
una delle prlndpali attrattive e ispirazioni > ;
e a questa condudone il D'Ovidio giunse at-
traverso condderarioni di molto valore, tra
le quali è notevole questa, p. 167: « Spinto
da un pietoso sentimento di vera generosità
verso ramìco e di drammatica condiscendenza
verso il padre di lui, che, come i padri so-
gliono, non ammetteva neanche la posdbilità
che l'altezza dell' ingegno di suo figlio non
fosse pari a quella del suo compagno, e com-
mosso di riconoscenza vivissima per quel-
r Enmd» che aveva sprigionato le energie
74
DIVINA COMMEDIA
colui, che attende là, per qui mi mena,
63 forse cui Guido vostro ebbe a disdegno >.
Le sue parole e il modo della pena
m'avevan di costui già letto il nome;
66 però fu la risposta cosi piena.
Di subito drizzato gridò : € Come
dicesti? Egli ebbe!? non viv'egli ancora?
69 non fiere gli occhi suoi lo dolce lome? »
Quando s'accorse d'alcuna dimora
ch'io faceva dinanzi alla risposta,
72 supin ricadde, e più non parve fuora.
Ma quell'altro magnanimo, a cui posta
restato m'era, non mutò aspetto,
75 né mosse collo, né piegò sua costa.
€ E se, continuando al primo detto,
egli han quell'arte, disse, male appresa,
78 ciò mi tormenta più che questo letto.
Ma non cinquanta volte fia raccesa
latenti del lao spirito, [Dante] trasooneva
nella nobile eengeiazione di attribuire a dò
che era stato stnunento all'edacadone del
sno ingegno anche old che era merito del-
l' ingegno stesso >. A questa opinione sembra
accedere ora anche il Del Lungo, Leetura,
p. 24. Altri hanno inteso che l'oggetto del
disdegno di Qoido non fosse Virgilio, ma Bea-
trice, come persona o come simbolo; spiegan-
do : Virgilio mi guida a colei che vostro figlio
eoo. Ma molto si è disputato su questo passo,
senza conclusione certa: si veda Del Lungo,
DanUf n, pp. 8-61. — 63. dlsdegao: il vo-
cabolo non disconviene alla ritrosia o indiffe-
renza di Guido per VEneid» ; tanto pi6 che
nei poeti antichi diadeffno significa il non voler
amare, si cho < ben poteva Dante usar quel
vocabolo semplicemente per indicare che altri
non sentisse per Virgilio il grandt amon che
sentiva lui > (D* Ovidio, p. 179). — 64. Le
sne parole eco. Le parole, con le quali avea
chiesto di suo figlio (w. 68-60): eh. Jnf. v
37. _ 65. letto: manifestato ;cfr.i\ify.xzvi
85. — 66. pleaa : sicura, compiuta, come s'e-
gli m'avesse detto il nome di Guido. — 67.
DI sabito drliiato gridò: questo secondo
movimento di Cavalcanto, che si leva in piedi
0 grida dolorosamente, risponde al nuovo stato
dell'animo suo, al disinganno cagionato dalle
parole di Dante. — Come dicesti ecc. Ca-
valcante non afferra, del discorso di Dante,
altro che le parole ciie gli sembrano signifi-
care che Guido non sia più tra i vivi, e con
impeto incalzante gli chiede a più riprese se
il figlio suo viva ancora; e poiché crede e
non crede, rompo il suo discorso in angosciose
domande. — 69. bob Aere ecc. il dolco lume
del solo non percuoto più, non risplende più
ai suoi oochi? — lome: lume; forma che di-
cono dovuta all' influenza dei dialetti setten-
trionali, ma è anche in altri poeti toscani,
per OS. nel Cavalcanti, canz. 1 17, son. xxxrv
(vedasi Parodi, BuU, m 96). — 70. Qvando
eoo. De Sanctis, p. 45: e A ciascuna do-
manda del padre, Dante rimane in silenzio o
come assorto: diresti che un altro pensiero
gli si attraversi pel capo. Pensava: poi cho i
dannati conoscono l'avvenire, o come igno-
rano il presento? come Cavalcante ignora che
Guido è ancor vivo? Ma il silenzio di Dante
avea per Cavalcante un terrìbile significato.
Quel silenzio voleva dire : tuo figlio è morto ! > .
— dimora: indugio. — 72. sapla ricadde
eco. ricadde all' indietro, nel fondo dell'avello,
vinto dal supremo dolore. — 73. Ma quel*
1* altro magnanimo eoo. Farinata rimano
immobile a questa scena dolorosa, porche,
come dice bene il Do Sanctis, p. 46., « egli
non vede e non ode, perché lo parole di Ca-
valcante giungono al suo orecchio senza an-
dare sino all'anima, perch6 la sua anima è
tutta in un pensiero unico, rimaselo infisso
come uno strale, VarU male appnaa^ o tutto
quello che avviene ftiori di sé, ò come non
avvenuto per lei >. — a evi posta: a richie-
sta del quale: cfir. v. 24. — 76. E le eoe.
Farinata, riprendendo il dialogo con Dante
interrotto dall'apparir di Cavalcante, disse in
risposta alle ultime parole del poeta eoo. : ott,
V. 51. — 77. s'egli haa eco. il fatto che 1
ghibellini non abbiano saputo tornare in pa-
tria ecc. — 79. Ma von tlnqnaatA eoo. La
INPERNO - CANTO X
75
la faccia della donna che qui regge,
81 che tu saprai quanto quell'arte pesa.
E se tu mai nel dolce mondo regge,
dimmi, perché quel popolo ò si empio
84 incontro a' miei in ciascuna sua legge ? »
Ond'io a lui: € Lo strazio e il grande scempio,
che fece l'Arbia colorata in rosso,
87 tale orazion fa far nel nostro tempio ».
Poi ch'ebbe sospirando il capo scosso,
€ A ciò non fui io sol, disse, né certo
90 senza cagion sarei con gli altri mosso:
ma fii'io sol colà, dove sofferto
éoona che regge neir inferno d Proserpina,
Bogfie di Fiutone, identifloata poeticamente
OQn la lun», la fiwda della quale si lacoende,
eiod si presenta tatta illnmìnata, nna volta
ogni mese. Oosi la terzina significa: Non pas-
samano cinquanta mesi (quattro anni e due
sed, daU'a^e 1800, al giugno 1804) e anche
tu pioTerei quanto grave e difficile arte sia
agli esuli quella del tornare in patria: infatti
DaatB, esiliato nel 1802, prese parte ai ten-
datàri della parte bianca di rientrare in Fi-
renze con la forza; falliti i quali abbandonò
la esosa dei suoi compagni di parte, poco
prima deU' impresa della Lastra, nell'estate
del 1304 (cfr. Fttr, zvn 65). — 82. se ti ecc.
oasi tu possa ritornare ecc.; poiché il m ha
qui come in molti altri luog^ del poema, il
ralore deprecativo del aie latino. — regge :
a Blanc crede che sia un' « antica forma del
eimg, di ndin > ; meglio ò considerarla come
2* pers. cong. pres. di rieduv: ctt. però Pa-
rodi, BuU. m 180. ~ 83. «sei popolo ecc.:
il popolo fiorentino guelfo, nimicissimo dogli
Ubati capi di parte ghibellina, era tanto in-
d^nato contro quella famiglia che essa fu
eccettuata dalla pace Mta nel 1280 tre le fa-
zioal; attesta il Booc che < mai della fami-
glia Ubarti alcuna cosa si voleva udire, se
ma in disfiuiniento e distruzione di loro > e
B^EV. sggiunge che « quando flt aliqua re-
fbrmatio florentiae de ezulibus rebanniendis
exeiudnntor liberti >. — 85. Lo strazio ecc.
Afìnenna alla battaglia combattuta a Monta-
perti sul fiume Afbia il 4 settembre 1260, tre
i senesi e i ghibellini fuorusciti da una parte
e i fiorentini guelfi dall'altre; battaglia che
fu per i fiorentini una rovinosa sconfitta,
aeUa quale ebbe una gran parte Farinata con
gli altd Uberti : cfir. B. Aquarone, Dante in
Siena^ Siena, 1865, pp. 9-27, e 0. PaoU, La
baOc^tia di MontapvrU, Siena, 1870. ~ 87.
tale eraslon eoo. Si pud intendere in due
modi, secondo che alle parole oraxione e tom-
fio si attrìbuiace significato proprio o figurato:
Bst pifflo esso Tonebbe dire: « tali fa essere
i nostri sentimenti, e a questi ispire le pre-
ghiere che a Dio nelle chiese nostre innal-
ziamo > ; nel secondo invece : « tali decreti
fa prendere nei consigli del popolo fiorentino,
che si tengono nelle chiese ». Cfr. Del Lungo,
I 518-20. — 88. Poi ch'ebbe ecc. De Sanctis,
p. 48: «Quando Farinata ha detto: Io per
dm fiate gh diapereif quel motto d par su-
blime, perché ci mostre un grand'uomo, che
quasi con un solo sguardo mette in foga gli
awersarii. Ma quando Dante gli gitta sul
viso il sangue dtti^o e gli mostre VArbia
eolorala in roeeot il fiero nomo sospira, egli
che aveva dotto testò iOt e non soffre ore di
regger sulle spalle egli solo il peso di quel
rimprovero, e va cercando compagni; ma ri-
leva tosto il capo trovando nella sua vita la
più bella delle sue azioni, di cui la gloria è
tutta sua, di lui solo: la scena si rischiara e
si abbella; al cruento vincitore di Arbia suc-
cede il salvatore di Firenze, ultima imagine
ohe ò la purificazione e la trasfigurazione del
partigiano ». — 88. A dò ecc. Nota il Del
Lungo, Dantey U 436 l'uso della tnn eeaere
a ùiòf per riflesso della latina esse ad prediota,
usata spessissimo nei documenti fiorentini
« parlandosi di convegni, imprese, e piti spo-
dalmente spedizioni, assalti, difese, invasioni,
tumulti, ed altri atti di violenza o di resi-
stenza». •— 91. ma fu' lo sol eco. Dopo la
vittoria di Montaperti i ghibellini toscani ra-
dunati in Empoli trottavano di toglier via la
cagione dei loro timori, distruggendo Firenze;
del qual partito ftirono propugnatori ardenti
Provenzano Salvani {ett, Purg, zi 122) e i
pisani: ma Farinata degli Uberti s'oppose vi-
gorosamente e ottenne che alla sua patria
fosse risparmiata tanta sciagure ; ofr. G. Vili.,
O. VI 81, il quale onestamente osserva che
« il detto popolo di Firenze ne fu ingrato,
male conoscente contro il detto Farinata e sua
progenie e lignaggio.... Ma per la soonoscon-
za dello ingreto popolo, nondimeno ò da com-
mendare, e da fare notabile memoria dol vir-
tudioso e buono dttadino, che foce a guisa
76 DIVINA COMMEDIA
fa per ciascun di toglier via Fiorenza.
93 colui che la difesi a viso aperto >.
€ Dell, se riposi mai vostra semenza,
prega' io lui, solvetemi quel nodo,
96 che qyd ha inviluppata mia sentenza.
£' par che voi veggiate, se ben odo,
dinanzi quel che il tempo seco adduce,
99 e nel presente tenete altro modo >.
€ Noi veggiam, come quei e* ha mala luce,
le cose, disse, che ne son lontano;
102 cotanto ancor ne splende il sommo duce:
quando s'appressano, o son, tutto è vano
nostro intelletto; e s'altri noi ci apporta,
105 nulla sapem di vostro stato umano.
Però comprender puoi che tutta morta
fia nostra conoscenza da quel punto
108 che del futuro fia chiusa la porta >.
Allor, come di mia colpa compunto,
dissi : « Or direte dunque a quel caduto
111 che il suo nato è co' vivi ancor congiunto.
E s'io fui dianzi alla risposta muto,
fate i saper che il fei, perché pensava
114 già nell'error che m'avete soluto >.
E già il maestro mio mi richiamava;
per ch'io pregai lo spirto più avaccio
117 che mi dicesse chi con lui si stava.
del buono antico Gammillo di Boma », — 92. tuUa preadenxa dM'awmin dei datmaU nd
toglier wx. Del Lungo, DanU, II 66: « Spa- e. VI 6 X dM*hif,, Bassano, 187i; Poletto,
renterole commento al Terso dantesco, e alla Dix, I 247; L. Arezio, SuUa teoria daminoli
nanasione de' cronisti, ò l'elenco delle case, deUa preaeianxOy Palenno, 1896 ; BulL IV 45
delle toni, dei palagi, distratti o sconciati e VI 76). — Tegglaai, come «■•! eco. oo-
dai Ghibellini nella città e nel contado, fira nosdamo il ftitoro e non il preeente, come
il i di settembre del 1260 e T 11 di novem- l'aomo che ha cattiva vista vede le cose lon-
bre del 1266 >. — 94. se: cfir. sopra al r. 82. tane e non le vicine. — 102. eetaato eoe
— iemeisat qui vale propriamente i discen- Bnti: « Idio cotanto di splendore dà a noi
denti; come in Par, ix S. — 96. nodo: dab- dannati, che noi sappiamo le cose fatare per
bio, difficoltà ohe tiene la mente noli' incer- le loro cagioni >. — 104. s'altri noi et mp-
tozza e neU' ignoranza del vero: cfr. Purg, port» eoo. se altre anime, venendo dal mondo,
IX 126, XXIV 55, Par, vn 63, xxvm 68. — non ce ne recano nov^e, nulla sappiamo
97. reggiate... dlaaizl ^lel ecc. : prevediate della presente vostra condizione. — * 106. iatta
ciò che accadrà nel ftatoro. — se ben odo : morta eco. sarà del tatto estinta la nostra
se bene ho inteso il valore profético delle tao conosoenxa, dopo il giudizio universale, poi-
parole; cfr. w. 79-81. — 99. e nel freseute chó allora non sarà più il fatare ma l'eterno,
eoe. non conoscete la condizione dei fatti pre- •— 109. di «la eolpa: quella d'avere cagio-
senti; poiché Cavalcante ha mostrato di non nato un dolore a Cavalcante, indugiando a
sapere che suo figlio Guido sia ancor vivo, rispondergli. — 110. «nel eadnto: cfr. v. 72.
— 100. Nel: secondo la maggior parte dei — 111. il sao nato eoo. suo figlio Guido ò
commentatori Farinata intende parlare di tutti ancora tra i vtvi. — 112. E i* le fki eoo.
1 dannati; secondo alcuni invece parlerebbe cfr. v. 70. — 113. It a lui; cfr. Inf. u 17.
di soli quelli del sesto oerohio (cfr. N. Tom- — 116. pid avaedo eoe. che mi dicesse, nel
manon, LttUra tuU* igtwnmxa del preomtU • modo pi4 q^iccio, ohi fosaeio i fooi coni*
INPERNO - CANTO X
77
Dissemi: € Qui con più di mille giaccio:
qua dentro ò lo secondo Federico,
120 e il cardinale, e degli altri mi taccio >.
Indi s'ascose; ed io in vèr l'antico
poeta volsi i passi, ripensando'
123 a quel parlar che mi parca nemico.
Egli si mosse; e poi cosi andando,
mi disse: € Perché sei tu si smarrito? »
126 ed io li satisfeci al suo dimando.
€ La mente tua conservi quel ch'udito
hai centra te, mi comandò quel saggio,
129 ed ora attendi qui »; e drizzò il dito.
€ Quando sarai dinanzi al dolce raggio
di quella, il cui bell'occhio tutto vede,
132 da lei saprai di tua vita il viaggio ».
Appresso volse a man sinistra il piede:
lasciammo il muro, e gimmo in vèr lo mezzo
pagni; cCr. Inf. xiiiii 106. — 119. lo Mcoido
Fèétorlco : Federico n, imperatole e le di Na-
poli, n. nel ll^iem. nel 1260: Dante gli dà lo-
ie attrove di nomo degno d'onore (W* zm 76),
• di principe umano e di nobili gpiriti(I>« vulg,
tkq. I 12) e lo ricorda oome bnon logico e
dotto {Cam. IT 10), por gindioandolo eretioo.
Bear, waire di Federico: < Mt vere epicn-
rana; qnoniam intendena potentiae et imperio
per £m et nefu inaonexit ingrate centra
■atrem eocleeiam, qnae ipsnm pupillnm edn-
earent et exaltayerat ad imperiom ; et ipsam
iTr>ftfliftin Tarila bellia afBixit per apatÌTim
triginta annomm et ultra; paoem torpem
fBdt com Soldano, qnnm poaset totam Ter-
nm aanctam recaperare: mnltoa praelatos,
c^toe renientee ad conoiliam per mare, inho-
BMte tractarit et in caioeribna maoeravit :
flfyy^s^«oa indnxit in Italiam : beneficia ecole-
nantm oontolit, et bona eamm naorpayit».
Salimbene, Oron, p. 168: e Erat enim epicur
reo, et ideo qnidqoid poterai invenire in
diTina acriptnia per se et per sapientes snoa
qaod liaoeret ad oetendendnm qnod non easet
alia rita post mortem, totam inTeniebat > ;
e fl troratore Ugo di Sain Ciro aorisae di Fe-
darioo n : e Nò vita dopo morte né paradiso
non crede, e dice che l'uomo è niente da poi
che perde il respiro ». — 120. Il eardinale :
Ottaviano degli Ubaldini, della famiglia ghi-
bellina che signoregipd hingamente il Mugello
• la Romagna toscana (cflr. Purg. xnr 106) ;
fti TsecoTO di Bologna dal 1240 al 1344, ta
eletto cardinale nel 1245, e mori nel 1272 :
■ebbene combattesse più anni per il papa
eoatro Federico n, egli fa d'animo più tosto
ShibeQino; e gii antichi commentatori gli at-
tabcdaoono un motto: « Se anima i, per li
GhibelUni io 1' ho perduta », per il qaale
Dante lo allogd fra gì' increduli: cfir. Q, B.
Ubaldini, Atoria detta casa degU Zrbaldini è
dnf fatti d'alouni di qusUa fam., Firenxe, 1588,
e O. Levi, Registri dei card, U. d' Ostia e
OUMf, dagli Ubaldini, Boma, 1890. — degli
altri eoe Del Lungo, Lectura, p. 89 : « Con
quell'altri yoUe certamente il poeta che Fari-
nata indicasse tutta quella povera gente che
nei misteri dei conciliaboli paterìni, nelle
cerimonie della cosi detta coneolaxione ... tra-
viava i sentimenti religiosi, in codesta età
riboccanti. Di questi eonaoloH e eoneolatef Fi-
renze e altre città della Toscana ne ebbero in
gran numero; e i loro oscuri nomi, taciuti
dal Farinata dantesco, rimangono nei docu-
menti > : rimangono nei processi fierissimi on-
de fi perseguitata con la loro persona anche
la loro memoria; e tra i condannati, in uno
del 1288, Farinata è segnato, sebben morto,
insieme con i figli e la moglie : cf^. F. Tocco,
DarUe § Veretia, p. 7. — 123. • «ael parlar
eco. cioè alla proferia di Farinata; ofr. vr.
79-81. — 126. gli aatiiflMi eoo. dicendogU
eh' io era tutto smarrito, per l'annunrio dei
ftiturì mali contenuto nelle parole di Farinata.
— 127. La mente taa eoe. Non dimenticare
ciò che dei tuoi mali ftituri ti è stato pre-
detto; ma per ora poni mente alle cose pre-
senti. — 129. attendi ecc. fa attenrione a
ciò che sono per dirti. — • drlasò 11 dito:
Buti: «per maggior demostrazione d'alcuna
spedai verità ». — 181. di «nella ecc. di
Beatrice; la quale guiderà Dante di cielo in
cielo, e nella stella di Marte lo esorterà a
chiedere al suo antenato Cacciaguida quale
sia per essere il corso della sua vita futura
(cfr. Par, xvu 7-30). — 134. laacUauno ecc. :
78 DIVINA COMMEDU
per un sentier eh' ad una valle fiede,
136 che in fin là su ÙLce& splacer suo lezzo.
lasciando la Tia tra le mora della città di niut yalle. — 186. eke Ih te là ■■ eoe U
Dite e le aiohe infooate, Dante e Virgilio qnal valle, cioè il settimo oerohio, mandava
8' inoltrano vono il mezxo del acato cerchio, tino al cerchio sesto il sao pozzo splaoento ;
camminando per un sentiero, che riesce ad ott, Inf, xi 4-6, 10-12.
CANTO XI
Prima di oscire dal sesto cerchio per discendere nel settimo, Virgilio
espone a Dante la distribozione dei dannati nelle singole parti degli nltimi
tre cerchi, gli spiega per quali ragioni quelli che peccarono solamente d* in-
continenza siamo nei cerchi superiori fìiori della città di Dite, e gli dimostra
come P usura sia una violenza contro Dio [0 aprile, ore tre antimeridiane].
In su l'estremità d'un' alta ripa,
che fiacevan gran pietre rotte in cerchio,
3 venimmo sopra più crudele stipa:
e quivi per l'orribile soperchio
del puzzo, che il profondo abisso gitta,
^ ci raccostammo dietro ad un coperchio
d'un grande avello; ov'io vidi una scritta
che diceva: « Anastasio papa guardo,
9 lo qual trasse Fotin della via dritta ».
< Lo nostro scender conviene esser tardo,
si che s'ausi prima un poco il senso
12 al tristo fiato, e poi non fia riguardo ».
XI 1. la sa r sfttre nltà eco. La ripa cir- macnlato d' uno medesimo errore d' eresia con
colare tra il sesto e il settimo cerchio era Acazio, dannato per la Chiesa cattolica; et
tutta nna rovina, formata oioò di grandi massi perché Anastagio volea rioomnnicare questo
spaccati; nel modo e per In ragione che Dante Acazio, avegna iddio oh* egli non potessi, fa
espone néll'^i/l xu 1-10, 28-45. — 8. pid percosso dal giudizio di Dio; però che, ee-
endele stipa: ammasso di anime condan- sondo raonnto il concilio, volendo egli an-
nate a pi6 grave pena ; per la voce ttìtpa cfr. dare a sgravare il ventre ne' luòghi segreti,
la nota all' Jnf, xxnr 82. — i. Porribile so- per volere et giudioio divino, sedendo et sfor-
ptrchio del passo ! il puzzo eccessivamente zandosi, le interiora gli uscirono di sotto et
orribile. — * 7. grande avelie : conteneva tutte ivi Ani miserabilmente sua vita ». Sulla qu^
le anime degli Ariani, Sabelliani eoe., l' er- stione vedasi il Tocco, DofiCs s Tsr., p. 20. —
rore dei quali fb conforme a quello di papa 9. Fotias diacono di Tessalonica, vissuto sulla
Anastasio II. — scritto : inscrizione ; cosi fine del sec. v, trasse veramente, a quel che
anche in Inf. vm 127. — 8. che diceva ecc. sembra, noli' eresia aoaziana (che Cristo fosse
L* inscrizione diceva : Chiudo il papa Anasta- concepito e generato naturalmente) l' impe-
sio, che da Potino fu tratto in eresia. — Ana- ratore bisantino Anastasio I (491-618), oon-
stasle papà : è Anastasio n, romano, eletto fuso dai cronisti posteriori col pontefice Ana-
papa nel 496 e morto nel 496; a proposito stasio II suo contemporaneo. Si noti l'errore
del quale Dante più tosto che la storia segui di molti commentatori che confondono Potino
una tradizione, cosi esposta dall' An. fior.: diacono di Tessalonica con Potino vescovo
« Molti cherid si levorono contro a lui, perd dì Sirmio, morto nel 876 circa e anch' egli
eh' egli tenea ^mi^yj* et singulare fratellanza condannato per dottrine eretiche. — 11. s'ad-
et conversazione con Potino, diacono di Tes- al : si abitui ; Dante ha questo vb. ausarsi
salonica:... e questo Potino fb famigliar» et anche in Pury. ziz 23 e Bar, zvu 11. — 12.
INPERNO - CANTO XI
79
Cosi il maestro ; ed io : « Alcun compenso,
dissi lui, trova, che il tempo non passi
15 perduto > : ed egli : < Vedi clie a ciò penso ».
< Figliuol mio, dentro da cotesti sassi,
cominciò poi a dir, son tre cerchietti
18 di grado in grado, come quei che lassi.
Tutti son pien di spirti maledetti :
ma perché poi ti basti pur la vista,
21 intendi come e perché son costretti.
D'ogni malizia, ch'odio in cielo acqiiista,
ingiuria è il fine, ed ogni fin cotale
24 o con forza 0 con frode altrui contrista.
Ma perché frode è dell' uom proprio male,
più spiace a Dio; e però stan di sutto
27 gli frodolenti, e più dolor gli assale.
De' violenti il primo cerchio ò tutto:
ma perché si fa forza a ti*e persone,
30 in tre gironi ò distinto e costrutto.
A Dio, a sé, al prossimo si puòne
far forza; dico in loro ed in lor cose.
MB fla ritardo : non blaogneià più gnar-
tezsL — 16. éeatro 4Ae«(Mtl eoo. ViigUio
•fiegft a Dante oome dentro della ripa sas-
KMa tkno tre altri oeiohl, ohe insieme coeti-
taiaeoDO l' ultima parte dell'inferno; e come
éno digradanti, poeti cioè Tono più in basso
detr altro, appunto oome i sei oeroht percorsi
iaoxa dai poetL — 20. aia fereU eco. : in-
flitti durante il cammino per il settimo oer-
«kio Dante non chiede mai a Virgilio notizia
dai daBoati e delle loro colpe. D' Gridio, p.
130: «n peccato è di regola formalmente
spedfioato, o da Virgilio, richiedendolo o no
Dante, orrero da nn' ombra ; oppure risolta
per chiari acowinl, per sioori indidi, per fii^
càfiastme argomentadonL Via ria che scende,
r ahmso è men corrivo a interrogarne il mae-
stro; e negli vltimi tre cerchi, dopo la le-
xkne generica, che secondo "^^igilio farebbe
che d' ora in poi bastasse pur la viala, non
ha bisogno di molte parole per intendere,
per bene argomentare, per contentarsi di ao-
eenni ooncreti alle ombre o deUe ombre. Ma,
aahro eccezioni che hanno una ragione eri-
dente, non 0* è mai caso eh' ei debba tirar a
indorinare e sia costretto a capire prima di
lioefcie d'un modo o d'un altro le debite
infanBarionL La Titta basta assai di rado pei
peccati singoli, ed è chiaro che la lezione era
sanità sopratatto per lo schematismo gene-
rico daDa tripUoe dirisione in violenza, frode
e tradimento ». — 22. Vogai mallsla eoe
Tvtto il passo è illnstrato da qneste parole
di Qcerone, Di offtmSf i 18 ; « Onm aatem
daobos modis, idest ant vi ant fhtade fiat
ininria, fhtns qnasi vnlpecnlae, vis leonis vi^
detnr, utnunqne alienissimnm ab homine est,
sed tnns odio digna malore ». Si avverta che
malixia qni ò in senso generico, per indi-
care qualunque atto mslvagio di violenza e
di frode; mentre più avanti (v. 82) è nel
senso più ristretto di frode. — 26. frode
è éell'aom piroprio Baie s Yent : « consi-
stendo non (come la violenza) nell' abaso
delle forze che ha con gli altri animali co-
muni, ma nell'abuso dell'intelletto e della
ragione, dote sua propria ». — 26. staa di
satto ecc. : i fraudolenti sono in due oerohi
più bassi di quello dei violenti, e precisa-
mente nell'ottavo e nel nono. — sntto: lat.
mibtu», — 28. il primo cerchio : cioè il pri-
mo dei tr$ oerchietti^ ultimi dell' inferno ; in
somma il settimo cerchio. — 29. si fk fona
ecc. : la violenza si può usare in tro modi,
secondo la diversità delle persone contro le
quali ò rivolta. — 80. la tre gironi t le tro
parti minori in cui si divide il settimo cer-
chio sono descrìtte, la prima in Inf. xn 46-
189, la seconda in Inf, xm, la terza in Inf,
zrv-xvn. — 81. paóne: invece del semplice
pudf per una tendenza dei dialetti toscani a
oongiungere alle forme verbali monosillabi-
che r enclitica ns, gli antichi dissero p^ìònSf
oome diM, èns, fins ecc.: vedasi Parodi,
BuU, m, 116. — 82. dico la loro eco. qosr
lunque specie di violenza pud ossero o con-
80
DIVINA COMMEDU
83 come udirai con aperta ragione.
Morte per forza e ferute dogliose
nel prossimo si danno; e nel suo avere,
86 ruine, incendi e toilette dannose:
onde omicide e ciascim che mal fiere,
guastatori e pVedon, tutti tormenta
89 lo gìron primo per diverse schiere^
Puote uomo avere in sé man violenta
e ne' suoi beni: e però nel secondo
42 giron convien che senza prò si penta
qualunque priva sé del vostro mondo,
biscazza e fonde la sua facultade,
45 e piange là dove esser dèe giocondo.
Puossi far £otza nella deitade,
col cor negando e bestemmiando quella,
48 e spregiando natura e sua boutade:
e però lo minor gìron suggella
del segno suo e Sodoma e Caorsa,
51 e chi, spregiando Dio, col cor favella.
tio l0 penone o contro le cose loro. — 83.
rftfloie ! rtgioiiamento, esposizione. — Si.
Morte eeo. Detendna le colpe cai dà origine
la Tiolensa contro U proeiimo, la quale è
centro le peraone (iMoisioni e ferimenti) o
contro le loro ooee (royine, incendi, rabene).
— 86. rmlae eoe Bnti : < e' offende lo pxoe-
staio nelle ne coee, o disfacendo li saoi edi-
fio!, e per5 dice rume, o ardendo li suoi beni,
e perd dice iiiatndi, o rubando le sae facoltà,
e però dice U^Utk dwmoH » : la quale ultima
frase è spiegata daU'An. fior, per « ruberie
con danno et vergogna del prossimo ». —
87. 0B4e eco. Inflitti nel primo girone del
settimo cerchio Dante trora Alessandro, Dio-
nisio, Ezzelino da Bomano, Obisso n d'Est»,
Guido di Montfort, autori d*omioidt e feri-
menti, o di Tiolenze di sangue; Attila e Pir-
ro, grandi distruttori di città e devastatori
di paesi; Sesto Pompeo, che corseggiò il
mare; Rinieri da Cometo e Binieri de' Pavd,
» che ftorono rubatori alle strade. — OMÌelde:
forma di plursle: attestata dai oasi ove ri-
corre in rima, Inf. ix 127, xix 113; vedasi
Parodi, BuU. tH 121. — 40. Piett eco. De-
termina le colpe di violenza degli uomini
contro sé stessi (suicidio) e contro le loro
cose (dissipazione degli averi), colpe punite
nel secondo girono, dove Dante incontra i
suicidi, come Pier della Vigna • Bocce dei
Mozzi, e gli scialacquatori, come Lano da
Siena e Giacomo da Sant' Andrea. — 44. bl-
seassa e fOBd« la ava faealtade : giucca e
dissipa la sua fortuna ; il vb. bi$eaxatar»^ de-
rivato dal none biteaxxa col quale si designò
genericamente nel medioevo il giuoco d'as-
zardo (ofr. L. Zdekauer, H gkìoeo in SaHa
nd 990oli zm s xiv, Fixìnize, 1886, pp. U,
28, 41, e Ferrazzi, V 819), vale giocai», •
per estensione di significato, perdere giocan-
do. — 45. e plaage ecc. Fanf. : e E ooal
quelle cose ohe a ciascuno dovrebbero eseere
cagione di gioia e scala al paradiso, oome
la vita e le ricchezze ben usate, quelle stease
gli sono cagione di pianto e di dannazione
usate male ». — 46. Paosfl eoo. Determina
le colpe di violenza contro Dio, secondo che
sono contro di lui (em^età), contro la na-
tura umana (sodomia), contro la bontà di-
vina (usura). — 47. eoi cer eoe : l'empietà
consiste nel negare e bestemmiare la divi-
nità ; secondo ohe si legge nella Bibbia {Salmi
X 1) : « L'empio dice nel cuor suo : Non r* è
Dio >. — 48. SM bontade : U bontà divina;
cCr. V. 95-96. — 49. e però ecc. nel terzo
girone sono appunto gli empi, oome Oapaneo ;
i sodomiti, come Brunetto Latini eoo. ; e gli
nsursi, come i Oianflgliazzi, Beginaldo degli
Scrovegni ecc. — 50. Sedemat antica città
della Palestina, distrutta dal ftiooo celeste
per il peccato contro natura, del quale fu-
rono colpevoli i suoi abitanti (ofir. Chnesi
xvni-xix, e I\uy, xxvi 40), è posta qui a
indicare i sodomiti. — Caorsa: Cahors, lat.
Cadvreum^ città principale dell' sito Quaroy
in Francia, gli abitanti della quale erano oosf
dati all' usura, che nel medioevo si dissero
oaornni tutti gli usurai, è posta qui a indi-
caie appunto gli usurai del terzo girone. —
51. t chi ecc. e chi nell' intimità deU'i
INPERNO - CANTO XI
81
La frode, ond'ogni cosdeDsa è moi-Ba,
può l'uomo usare in colui che 'n lui fida,
54 ed in quei che fidanza non imborsa.
Questo modo di retro par che uccida
pur lo vinco d'amor che fa natura ^
67 onde nel cerchio secondo s'annida
ipocrisia, lusinghe e chi a&ttuia,
falsità, ladroneccio e simonia,
60 ruffian, baratti e simile lordura.
Per l'altro modo quell'amor s'obblia^
che fa natura, e quel eh' è poi aggiunto,
63 di che la fede speziai si criai
onde nel cerchio minore, ov'è ti punto
dell'universo in su che Dite siede,
66 qualimque trade in etemo è consunto ».
Ed io: € Maestro, assai chiaro proceda
la tua ragione, ed assai ben distìngue
69 questo baratro e il popol che 11 possiede.
Ma dimmi: quei della palude pingue,
che mena il vento e che batte la pioggia
72 e che s'incontran con si aspre lingue,
no bi mitiinenti di disprezxo reno Dio ;
cfr. T. 47. — 62. La frode eoo. ContiiLiuuido
h stt qiagazione, Virgilio dimoetn ora la
fiTisloiie dei dalmati per odpe di frode, nel-
rettsro e nono oerchio. — end' ogni co-
idfaa eoo. Tomin. : « Intendi, o ohe la frode
è tal Tizio che le coscienze più dure n'hanno
ÒBono, o che Vizgilio roglia rimproTerare
i eoofeanponoiel di Dante oome i ^4 mao-
dditt di frode». — 68. piò rnono eoo.:
eki iagaana colai die n fida è il traditore.
- 51. c4 In «nel eoe : chi inganna colui
ebt non il fida è il frandolento; la colpa del
9ule anme dlTeni nomi aecondo le parti-
«hai aianiere tenute nel commettexia e i
Hd «ai del oolperole : ofr. tt. 68-60. — 66.
<{a«te se4« 41 retro ecc. H aecondo mo-
do, doè l'inganno reno chi non ai fida, in-
taa^ i Tinooli natoiali per i quali V uomo
^«vt amare il proasimo, ed è punito nel lo-
eoado dei tre ottimi oecoh!, yale a dire nel-
t'ottafo cacchio inlÌBniale; ofr. Mf, zvm-
XXX. — 68. Ip««rt8<a eoo. : indica qui aenza
mhtn l'oidine inféxnale le odpe di frode
peste nelle bolge dell' ottaTo cerchio (ofr.
V. x?m 1) : dA aooo nella 1* bolgia la ee-
^Bioae (ntf!km), nella 2* l'adulazione {tutin-
M naik 9* la simonia, nella 4* U dirina-
waa (fiki affatkm), nella 6* U baratteria
Oonrfa), nella e* l'ipociiafa, neUa 7* U furto
(Jlaànmulo\ nella 10* la (hlsificazione (falsi-
tà) ; aoceoniinda generit^ament» oon la parole
a swniU hrdura le colpe d«lJ' Sr^ conaì^U fraa-
dolenti, e ddb 9^, acandoU e adfitcl (cfx,
D'Ovidio, pp. 122p 133). — Bl. Per riltro
nodo eco. P^r U triutìitiQpto, ttìtua l tìdcoU
dell'amore untorBlfì^ f' infnuiBnno qn«lJi im-
posti dall' nmiclziA. — (Ì3. ftite ipesUl : Bocc. :
« la singiilAr& o iiit«?ni coiifldoDia dia l' vnka
uomo prendo AvW aJtro, t>ot «Ing^lorù amicì-
zia oong^imtO'gLi *. — éi. onde a al eeTcUe
mi aere ecc. : noi nono corcliio, cb^ ft il piiì
piccolo di tnttìj tono pam ti ì tr&àìUnì ; cti.
Jnf, TITTI -njiy. --- Il pento deiraairtrio
ecc. il cent» del monda, f:hfl è il punto sol
quale sta Lucir«ro; ofr. Inf. xxxn 73 e tteit
110. — tó. Dite : <ifr. Inf. ixuir 30. — 66.
trade x ofr. Inf. xxznt 129. ~ 69. baratro i
il basso lufomof dAlla chtiL dì Dit^ nX centro
doUa terra. » 70. qn«l della pai ade i>ia*
guo! le snìme degU ìr^cosidi, dogli aocldiosE,
degli inyidlQiì, e dei supeibi, puniti nella
fangose acqao dì Sti^: cfr, Inf. vu 100^
130, vm 1-63. — 71. che mtna 11 Tenta ;
le anime dm luftauriofli, del e denudo oart^hio i
cfr. Inf. V 51 a aagg. -^ eht batCt la piog-
gia : le atiitiio dei galoaL, del tomi corchio :
cfr. Inf. n 4 e logg. — 72. ehe <*lj)<]oa«
tran eoe : Io mnioio do^Ii ^v&iì e d^i prodi-
ghi, del quarta oerchio : cCr. Inf. vn 16-<^6
e ricorda V onta» mttro eoi qualo qojei dan-
nati si rinfacciano recìpEocaffleate la colpo.
Dans
82 DIVINA COMMEDIA
perché non dentro dalla città roggia
8on ei puniti, se Dio gli ha in ira?
75 e se non gli ha, perché sono a tal foggia ? >
Ed egli a me: < Perché tanto delira,
disse, lo ingegno tuo da quel ch*ei suole?
78 ower la mente dove altrove mira?
Non ti rimembra di quelle parole,
con le quai la tua Etica pertratta
81 le tre disposizion che il oiel non vuole,
incontinenza, malizia e la matta
bestialitade? e come incontinenza
84 men Dio offende e men biasimo accatta?
Se tu riguardi ben questa sentenza,
e rechiti alla mente chi son quelli
87 che su di fuor sostengon penitenza,
tu vedrai ben perché da questi fèlli
sien dipartiti, e perché men crucciata
90 la divina vendetta gli martelli >.
< 0 sol ohe sani ogni vista turbata,
tu mi contenti si, quando tu solvi,
93 che, non men che saper, dubbiar m'aggrata.
Ancora un poco indietro ti rivolvi,
dis8*io, là dove di' che usura offende
— 73. dentro dalla elltà roggia : nella oittà e di malizia o ùode nei cerchi yn-ix: quanto
di Dite, rosseggiante di faoco: enlla for- agli eretici si ricordino le oonàderadoni del
ma roggia, da ruÒM, vedasi Parodi, Bull. UL Del Lungo riferite in J^f, jx 106. — 8S. la-
100. — 75. ptrehd eco. peroh6 sono trattati eoatineasa mea Dio ofieade eoo. H Tonun.
in tal modo, doò con minor pena? — 76. ricorda che, secondo Aristotele, Tinoontinenta
PeroM ecc. Perché la tua mente si allontana non falsa il sapremo prindpio del yero, ma
dalla solita rettitadine di giudizio? È forse eccede nel desiderio del bene ed erra nella
occupata da altri pensieri? — 79. Non ti ri- scelta dei mezzi: ecco perché 1 peccati d'in-
■lembra eco. Aristotele, nell' Etica Tn 1 e continenza meno offendono la diviiùtà e aono
segg. dice che tre sono le disposizioni del- paniti con pene di minor gravità, ohe i peo-
r animo umano che devono essere oombattu- cati di violenza e di frode. — 84. accatta :
te : la inoontìnenxa (oArosia), la malixia (ka- acquista. — 86. ehi ioa quelli eoo. quali
kSa) e la beitialUà {ihmàUs) ; la 1* ò di due specie di peccatori sono puniti nei cerchi su-
maniere, ineontìnmxa amnplioe che è l'eccesso periori. — 88. da qaesti fèlli t da questi dei
nel godimento dei piaceri fondati sopra i bi- cerchi inferiori, che peccarono per ***"r*ft
sogni corporali, e woonHnenxa aggimta che — 89. perché meo crmeeiata ecc. perché la
ò r eccesso nel godimento dei piaceri acces- vendetta divina li tormenti con pene minoii,
Bort desiderabili per sé stessi (come T amore oon minore oorruocio. ~ 9L O sol eco. O
delle ricchezze, l' ira eco.) : la 2* è il centra- sole, che rischi arando le tenebre dell' igno-
rio della virtd, la disposizione doò a vivere ranza illumini ogni mente dubbiosa : bella e
contro le r^^le del giusto, e comprende tutte viva circonlocuzione per designare Virs^o,
le cattive tendenze che si esplicano nella fro- la quale d richiama le parole entusiastiche
de : la 8* è la disposizione a sodisfare le del Puirg, zm 10-12. — 94. Aneora ecc. Ri-
voglio che non sono dilettevoli per sé stasso toma indietro a un punto del tuo lagiona-
(come la crudeltà, i peccati contro natura mento, dove hai detto che l' usura offenda la
ecc.). Ora, movendo da questa distinzione bontà divina (ofr. v. 48), e spiegami la dif-
aristoielica, Dante collocò i colpevoli d' in- flcoltà. A Dante pareva che l' usuraio offan-
continenza fuori della dttà di Dite, nei cor- desse solamente il prossimo, • però chiese a
ohi n-v, • i colpevoli di bestialità o violenza Virgilio una pid particolare esplioaiiona della
INFERNO — CANTO XI
83
96 la divina bontade, e il groppo solvi >.
< Filosofia, mi disse, a ohi la intende,
nota, non pure in una sola parte,
99 come natura lo suo corso prende
dal divino intelletto e da sua arte:
e, se tu ben la tua Fisica note,
102 tu troverai, non dopo molte carte,
che Parte vostra quella, quanto puote,
segue, come il maestro fa il discente;
105 si che vostr'arte a Dio quasi è nipote.
Da queste due, se tu ti rechi a mente
lo Genesi dal principio, conviene
108 prender sua vita ed avanzar la gente.
£ perché Pusuriere altra via tiene,
per sé natura e per la sua seguace
111 dispregia, poiché in altro pon la spene.
Ma seguimi oramai, che il gir mi piace;
che i Pesci guizzan su per l'orizzonta
tu wntenza. — 97. Flloiotft eoo. Azisto-
tile in più laoghi deUe sue opere llloeoflohe
aceeona ai rapporti tra Tart» e la natola;
e Dante morendo dal oonoetto aziatotelioo
pone dke la natoza lo tuo eono pnnd« doò
ffoeede dall' intelletto dirino e dal diyino
opecaxe, e che 1* arte umana procede dall'imi-
taziaoe della natoza e viene ad esser cosi
IgUa di èva e nipote di Dio : Parte e la na-
toxm, egli aésroita, devono donane eeaere fon-
damenti d'ogni operoiità omana; e percid
r nonio, che eeoroita la ma attività all'in-
feoii dell' arte e della natoza, Tìoie ad of-
feadero Dio dal quale l'ona e l'altra prooe-
àoDo, ~ 101. la toa Fislea: U Fisica ù'X-
rirtotele aani stodlato da Dante ; cosi al ▼.
80 ha detto la tua Etìea, — 103. bob dopo
■elte earte X qoasi nel prindpio della Fi'
meoj e predeamente nel Ub. n 2, ò la sen*
lenza ziehiamata qoi da Dante : «L'arte imita
la natoza, in qnanto poò > (ofir. Moore, 1 96).
Qaarto concetto ò anche, applicato alle arti
llgnzatfve, in nn' antica canzone ohe già fa
trihoita a Q, Gavaloanti (Valeriani, JRmM dtl
primo aae. Il 821) : < Cotanto è da pregiar
ogni igtoa, Qoanf ella mostra in forma ed
anco in atti Fora aembianza del ano nato-
lale : Però che Vart$ dee teguir natura A tua
ponowta, ni che non disohiatti eco. — * 104.
«eaie n ■uestre eoo. come lo soolaze s6-
gùta il maestro. Ventori 838 ricorda oppor-
tonamente le parole del Cono, ir 9 : < In cia-
aeona arte e in oiasoono meitieie gli artefici
• li discenti tono ed esser deono soggetti
al Bàestro >, che contengono il germe della
ÉBilitadine pzesente. — 107. !• (toneti eoo.
il libro del Ornisei ; nel qoale ai legge
Dio ordinasse la natoza ovrero la prodazione
delle cose seoondo i bisogni deU* nomo e in-
sieme ordinasse per l'oomo l'arte osala il la-
voro. Dante si riferisce a doe passi, ohe sono
in principio del Om., n 16 : « H Signore Id-
dio adonqoe prese l' nomo e lo pose nel giar-
dino d' Sden, per lavorarlo e per goardarlo >,
e m 19 : « Ta mangerai il pane col sudore
del tao volto >. — 109. E perché eoo. E per-
ché l'osaraio tiene via diversa da qoella
preecrìtta da Dio, ponendo egli la sua spe-
ranza nel fhitto del denaro prestato, offende
doppiamente la natora, in sé stessa in qoanto
non oeroa fhitti natorali e nella tua MgvoM^
nell' arte, in qoanto non si aiZàtioa. « L' ar-
gomento, osserva il Tomm., non è dei pi6
diretti, ma da on certo lato ò profondo : e il
dispregio che Dante dimostra degli osorai, e
la compagnia oh' e' dà loro, provano ciò eh' è
confermato dalle memorie del secolo, il molto
male che faceva l' osora a qoe' tempi ». —
IH. ipeae: voce formata sol lat «p0n» e
osata da Dante solo in rima ; cfr. Pmg, xm
27 e Far, xxiv 74. — 112. Ma segnimi ecc.
Si ricordi che i due poeti s' erano fermati
accanto all'arca di papa Anastasio II por
adusarsi al pozzo ohe saliva dal cerchio sot-
tostante ; cCr. V. 4 e segg. — 118. chtf 1 Pe-
se! eoo. Dante descrive l' avvicinarsi dell'aa-
rora del 9 aprile: la costellazione dei Pesci
è già levata soU' ozizzonte e il Gazro di Boote
ossia l'Orsa maggiore è totta solla direzione
del Gore, vento che spira tra ponente e tra-
montana ; condizione che risponde all'inoiroa
alle ore tre antimeridiane : ofr. Moore, pp.
84 DIVINA COMMEDIA
e il Carro tutto sovra il Ooro giace,
115 e il balzo vìa là oltre si dismonta ».
45-46. — 115. e 11 balco eoo. e la ripa di- fine un lungo oammino a sinistia prima d'Inoo-
■oende molto lungi di qvi| si che oi conyiene minoiaie a aoondtto reno U wttifflo oeroliio.
CANTO xn
Entrando nel settimo cerchio, i due poeti yi trovano a irnardia il Mino-
tanro; placato il qaale, s'avanzano nel primo girone, ove in nn fiume di
sangue bollente sono immersi i violenti contro il prossimo, guardati e saet-
tati dai Centauri: uno di questi, accompagnando i due poeti verso il secondo
girone, dice loro i nomi e la condizione dei principali dannati [9 aprile,
circa le ore tre antimeridiane].
Era lo loco, ove a scender la riva
venimmo, alpestro, e, per quel ch'ivi er'ancoy
8 tal eh* ogni vista ne sarebbe schiva.
Qual è quella ruina, che nel fianco
di qua da Trento 1* Adice percosse
6 o per tremuoto o per sostegno manco,
che da cima del monte, onde si mosse,
al piano è si la roccia dìscoscesa
9 ch'alcuna via darebbe a chi su fosse;
cotal di quel burrato era la scesa:
e in su la punta della rotta lacca
12 l'infamia di Greti era distesa,
xn 1. Era Io loeo occ. H ponto, dove Bono o Castallo doUa Piotra, a pochi chilom»-
noi venimmo per discendere dal setto al set- tri a valle di Trento, e meglio rispondente, se-
timo cerchio, era molto scoeceso, e per la oondo Ivi, alla desoorlzione dantesca. ^ 6. per
presenza del Minotaoro era tale da incoter sottegao auBOd: per esser venuto a mancare
ribrezzo a chionqne lo rigoardasse. — 4. i^val il sostegno, la base, per la oonosione deUe
ècco. Gli antichi commentatoli, eccetto Benv., acque. — 7. ete da eiaia eoo. dall'alto del
non seppero precisare il luogo di questa ro- monte, onde si moMO la ficana, fino al piano
vina, cui Dante paragona lo scoscendimento sottostante del fiume Adige la roccia è coef
incontrato fra il sesto e il settimo cerchio : dìscoscesa, cioò non pid alta e dritta, ma
sarebbe la gran frana chiamata gli Slavini frantumata e cosparsa di sassi in linea di-
di Marco, sulla sinistra dell' Adige, tre chi- scendente, da permettere la discesa a ehi su
lometii a valle di Bovereto , tra Verona e fòsa», — 9. aleaaa fia : qualche via, nn modo
Trento ; nel qual luogo la riva del ilume, at- qualunque di scendere, per quanto malage-
testa Benv., cantequam fleret istud praeci- vele e difficile. — 10. barrata: luogo soo-
pitium maximum, erat ita recta et repens in scese, precipizio : ofr. ^/l xvi 114. — 11. Im
modum muri, quod nullus potuisset ire a putta eco. l' estremità superiore della frana,
summo ripae usque ad fondum flumanae in- che era come un' apertura nell' alta riva che
ferioris, sed post ruinam factam posset nuno formava la cavità, il settimo cerchio : sul si-
aliqualiter iri > : cfr. sull' argomento il Bas- gniflcato di kuea ofr. £%f, vn 16. — 12. l*lm*
sermann, pp. 419-428, il quale conferma la fkmia di Cretl : il Minotauro, nato in Greta
spiegazione di Benv., aggiungendo che Dante dal mostruoso commercio di un toro con Pa>
osservò forse la frana dal castello di Lizzana sife, moglie di Minos : ofr. su questa leggenda
e che la trovò già accennata da Alberto Ma- la nota al A«y. xzvi 41. Nota il Della Gio-
gno, Meteor. m 6. Invece E. Lorenzi, La ritma Vanna, Okm, don^, 8* serie THI 472, ohe
di qua da TmUo, Trento, 1896, ha sostenuto il Minotauro e i Centauri « avendo oomane
trattarsi di un' altra ruina, quella del Cengio la d(^pia natura o vivendo parimenti di aan-
'?SW
INFERNO - CANTO XII
8B
che fd concetta nella falsa vacca;
e quando vide noi sé stesso morse,
15 si come quei, cui l'ira dentro fiacca.
Lo savio mio in vdr lui gridò : « Forse
tu credi che qui sia il duca d'Atene,
18 che su nel mondo la morte ti porse?
Partiti, bestia, che questi non viene
ammaestrato dalla tua sorella,
5^ ma vassi per veder le vostre pene ».
Qual h quel toro che si slaccia in quella
che ha ricevuto già '1 colpo mortale,
24 che gir non sa, ma qua e là saltella;
vid'io lo Minotauro ùa cotale:
e quegli accorto gridò : « Corri al varco ;
27 mentre ch'ò in furia, è buon che tu ti cale ».
Cosi prendemmo via giù per lo soarco
di quelle pietre, che spesso moviònsi
80 sotto i miei piedi per lo nuovo carco.
Io già pensando; e quei disse: € Tu pensi
forse a questa rovina, eh' è guardata
83 da quell'ira bestiai ch'io ora spensi.
Or vo' che sappi che l'altra fiata,
eh' i' discesi qua giù. nel basso inferno,
86 questa roccia non era ancor cascata.
Ma certo poco pria, se ben discemo,
che venisse colui che la gran preda
^ • a mfimM» rappiowntano «la ottea
I • Véra folk, cioè i dne prinoipaU
k Tioleni» ». « 15. g( MOi»
«e. Vaatuit 8SB: «L'iia, tìk& fiaoea dentro
tmmot Monaa al Mntfmanto della propria
• qvaado lo ipliig» (oome nel
») a Boxder §6 iteeeo tneoende in
■fctia bntale owìfliumte con la itolteoa ».
- lAw Le mt1« ■!• eoo. Virgilio per oal-
■■e Fin dal Ifinotanio gli dioe ohe il ano
eoayifio Tìena eoUnente per Tiaitaie Tin-
fKm^ Boa già a dargli la morte, eome Iìmo
l^ne. — 17. U daea d'Àteaei Teseo, re di
Alae, 0 gaala gridando la spediiioBe at»-
liHe «he reoara al Minotauro il tritato di
Mtie gknrini a di eatte fimdnUe, e* innamorò
< Anaaaa, eoiaUa del mostro, a oon l'aiuto
«Hcte^^U filo per vsdre dal labi-
riilQi, lo Qoeiaa, Hbsnmdo eosf i sooi sudditi
U fWfognoso tdbvto. — 22. Oaal è «ael
tire eeg La sJmffltndine ricorda la Tirgiliana
(Al. B 238), di LaocooBte : « Qualee mogi-
tn, tegit fonm saudus aiam, Tauus, et in-
oertam sixoussit oerTioe securim », e fti imi-
tata dall'Ariosto, Ori. zi 42; ma osserTa il
Venturi, 894 ohe « pid vìva nei particolari >
è la danteeoa. — si siasela: si discioglie
dai laooi. — 26. eatale : nello stesso modo ;
pronome usato in ftinzlone avverbiale. — 26.
O^lt 000. Virgilio, visto il momento pro-
pizio, gridò a Dante d' affrettarsi all' ingre»-
BO, per varcarlo mentre il Minotauro inftuiato
si aggirava qua e là. — 28. lo seareo di
«■elle pietre i la fhuia dell' alta ripa ; cosi
detta perché formata dallo scaricarsi, dal oa-
dere al basso delle pietre e dei massi spez-
satL — 29. Moviènsl : si movieno; ofir. Jhuy,
m 69, TTTX 69, Piar, zvm 79. — 80. lo moto
earee i è il peso insolito, per quoi massi non
ben fermi sul pendio, del corpo di Dante.
— 83. Ira bestiai eoo. bestia adirata, U Mi-
notauro; del quale io smorzai l'ira. — 84.
l*altra fiata eoe. quando venni nel basso in-
ferno, per opera di Eritone : o£r. ^f. ix 22-
27. — 88. eolal eoo. G. Cristo : cf^. Inf, iv
68. — la gran preda ecc. le anime del lim-
bo» òhe Cristo trasse seco alla beatitudine
86
DIVINA COMMEDIA
89 levò a Dite del cerchio sapemoi
da tutte parti l'alta valle feda
tremò si eh* io pensai che l'oniTerBO
42 sentisse amor, per lo quale è ohi creda
più. volte il mondo in caos converso:
ed in quel punto questa vecchia roccia
45 qui ed altrove tal fece riverso.
Ma ficca gli occhi a valle; che s'approccia
la riviera del sangue, in la qual' holle
43 qual che per violenza in altrui neccia ».
0 deca cupidìgia, o ira folle,
che si ci sproni nella vita corta,
51 e nell' etema poi si mal e' immolle !
Io vidi un'ampia fossa in arco torta,
come quella che tutto il piano abbraccia,
54 secondo ch'avea detto la mia scorta:
e, tra il pie della ripa ed essa, in traccia
correan Centaxiri armati di saette,
57 come solean nel mondo andare a caccia.
Vedendoci calar ciascun ristette,
e della schiera tre si dipartirò
60 con archi ed asticciuole prima elette.
^ celeste, togliendole al dominio di Lndfero:
ofr. Inf. nr 66 e segg. — 89. Dite : ofr. htf,
rrrry 20. — 41. tremò if ecc. : accenna al
terremoto, ohe secondo 1a leggenda evangelica
(Matteo zxyn 61), agitd il mondo nel mo-
mento della morte di Cristo : ofr. Inf, uà.
112 e segg. — lo pensai ehe l*anÌTerso
eco. Allude alla dottrina di Empedocle (ofr.
Inf, 19 188), secondo coi il mondo è costi-
tuito dalla discordia dei vaif elementi, ces-
sando la quale ed essendo gli elementi in
concordia il mondo si risolre nel caos dod
in nn confuso ammasso di materia; ondeVir*
gilio Tiene a dire che a sentir qael terremoto
credette che l' nniyerso umHam amwr^ sentisse
la concordia degli elementi, e si risolvesse
in caos. — 45. qnl ed aUrove eco. La ro-
vina prodotta dal terremoto alla morte di
Cristo fa nel cerchio dei violenti e nella hol-
gU degU ipocriti (cfr. h*f, zxi 106) a signi-
flcare ohe la violenza e l'ipocrisfa ftirono
principali cagioni del martirio del Redentore.
Secondo alooni, altro luogo rovinato per quel
terremoto sarebbe tra il limbo e il cerchio
dei lussuriosi, sarebbe insomma la mina {Inf.
V 84) davanti alla quale i dannati del secondo
cerchio alzano pid forti lamenti e bestemmie.
» 46. s* approccia s s'avvicina; si noti ohe
di questo vb. Dante usa solamente questa
voce e solo in rima : cfr. Inf, xzm 48, Fwg,
zx 9. — 47. la rlTÌera del sangie : U Fle-
getonte, fiume di sangue bollente, sol quale
efr. iKf. ny 116. — 48. qial eoo. 1 violenti
oontro il prossiao. — 49. 0 elee» eco. Dante
lamenta che il mondo sia maonhiato dal due
vizi ohe indnoono l' uomo a violenze contro
il prossimo : la cupidigia, ohe trascina a Car
violenza alle cose altrui, e 1* ira, ohe trae ad
offender le persone. «- 60. Tita earta : la
vita umana, il coreo della quale, nel iWy.
XX 88 è detto «lo oammin oorto» e nel
Cbne. m 16 « cammino di questa brevissiina
vita». — 61. mal e* Immolle t d immergi
dolorosamente nel fiume di sangue. — 63.
■a* ampia fossa eoo. una laxga fossa oiroo-
lare, la quale circondava tutto il piano, oo»
sUtuendo il primo dei tre gironi del settimo
cerchio. — 64. avea detto i ofr. Jh^. xx 80,
89. — 66. tra il pie ecc. tra la base del-
l'alta ripa e l'ampia fossa correva uno stretto
sentiero, sul quale erano ^ traeoia^ oloò in
fila, l' uno dietro l' altro, i Centauri. — 66.
Centaarit i (^tauri, che avevano forma
umana dal petto in su e forma equina dal
petto in giù, erano figli d' lesione re dei La-
piti e di Nefele e dotati di gran forza e ve-
locità: ofr. Purff. XXIV 121. Secondo il Booo.
e Benv., i Centauri simboleggiano gli uomini
d' arme e i mercenari, ohe sono gli strumenti
delle violenze dei tiranni. — 69. tre t i tre
Centauri, ohe si fecero incontro a Virgilio e
Dante, furono Nesso, Gbirone e V^olo. — 60.
INFERNO — CANTO XH
87
E l'un gridò da lungi: < A qnal martiro
yenite voi, che scendete la costa?
63 Ditel costinci; se non, l'arco tiro ».
Lo mio maestro disse : € La risposta
{arem noi a Chiron costà di presso:
66 mal fa la voglia tua sempre si tosta ».
Poi mi tentò e disse : € Quegli è Nesso,
che mori per la bella Deianira,
69 e fé' di sé la vendetta egli stesso :
e quel di mezzo, che al petto si mira,
ò il gran Chirone, il qual nudri Achille;
72 quell'altro è Folo, che fu si pien d*ira.
D'intorno al fosso vanno a mille a mille,
saettando quale anima si svelle
75 del sangue più che sua colpa sortiUe ».
Noi ci appressammo a quelle fiere snelle:
Chiron prese uno strale, e con la cocca
78 fece la barba indietro alle mascelle.
Quando s' ebbe scoperta la gran bocca,
disse ai compagni : € Siete voi accorti
81 che quel di retro muove ciò ch'ei tocca?
Cosi non soglion fare i piò de' morti ».
E il mio buon duca, che già gli era al petto
84 dove le duo nature son consorti.
CM areki eoe innati d'arco e di saette tra*
nA» dalla foretra, prima di mnoTersL —
6L Vvm grléò : il oentanio, che prima deg^
altri xivoise le sae minaooe ai poeti ta Nee-
■o; dal qiiale Viigflio dice che con suo danno
h MB^re impetaoeo nei soci moTimenti dV
iDBO, ^nq<i5wyiA all'impeto d' amore ch'ebbe
yer Deianixa. — À ^al martiro : a qnal ge-
Mn fi tomenti. — 63. eestlnei t di costi,
ài laogo ore siete, senza avanzare; cfir. il
pMBo ornile nel PUrg, ix 86-87. — 65. costà
di pmao : costà, Ticino a tqI. — 67. mi
tato: mi toccò col gomito, per richiamare
la Biia attenzione; cfr. Inf. zzvn 82. —
Itsse : allorquando Ercole ebbe sposata Deia-
Bia, Fesso s* offri di trasportarla al di là del
fame Ereno, ma ayendola in groppa se ne
tSBaBorò e tentò di rapirla dandovi alla Alga;
ti <SàB aoooxgendod Ercole saettò il centauro
oen uà freccia arrelenata e lo tsri a morte:
w BOB che NesM, per rendicarsi, did la sua
eaieia a Deianira, perché la fìuesse indos-
■n ad Erode, assicoiando la donna che
taà eQa anebbe potato conservar sempre
TiBiafB del marito ; Deianira segni il oonsi-
gSo, ma Ercole indossando la camicia intrìsa
fi magne avvelenato infuiò e mori (cfr.
Xoon, I 210^ — 71. ChlreM: figlio di Sa-
tomo e di Fillira, enumerato dagli antichi
fra i Gentaori, fri maestro ed educatore di
Achille (cfr. Purg. ix 87). — 72. Folo t un
altro centauro, del quale si raccontano atti
di violenza, come il tentativo di forzare le
donne dei Lapiti durante le nozze di Pirìtoo
e Ippodamla. — 74. saettando ecc. I vio-
lenti contro il prossimo sono immersi più o
meno nel sangue, secondo il grado della loro
colpa (cfr. w. 108, 118, 121, 126); e chiun-
que cerca di alleggerire la sua pena uscendo
fuori del sangue piti che non comporti la
colpa, è colpito dalle frecce dei centauri. —
76. tortine: le sorti, dio in sorte a ciascu-
na ; sul vb. aortìre cfr. la nota al jRir. xviii
106. — 77. cocca : è la parte posteriore dello
strale, quella ov* d il piccolo solco per ap-
poggiare lo strale alla corda dell'arco. —
78. fece ecc. si ravviò la barba all' indietro,
perché la voce potesse più liberamente uscir
dalla bocca. — 81. qnel di retro ecc. quello
tra i due che vien dietro all'altro, ciod Dante
che seguiva Virgilio, muove le pietre sulle
quali cammina (cfr. w. 29-80). — 83. al
petto: Lomb. : e colla sua testa vicino al
petto di Chirone : e dò ad indicare l' altezza
di quel Centauro, e che dal petto in su so-
pravanzava a Yiiigilio >. — 84. dOT» eoo.
f 0 DIVINA COMMEDIA
rispose : € Ben è vivo, e si soletto
mostrarli mi convien la valle buia:
87 necessità '1 e' induce, e non diletto.
Tal si parti da cantare alleluia,
che mi commise quest'uccio nuovo;
00 non è ladron, né io anima fuia.
Ma per quella virtù, per cui io muovo
li passi miei per si selvaggia strada,
03 danne un de* tuoi, a cui noi siamo a pruovo,
che ne dimostri là ove si guada,
e che porti costui in su la groppa;
03 che non è spirto che per l'aer vada ».
Chiron si volse in sulla destra poppa,
e disse a Nesso : « Toma, e si li guida,
OD e fa causar, s' altra schiera v* intoppa ».
Noi ci movemmo con la scorta fida
lungo la proda del boUor vermiglio,
102 ove i bolliti facean alte strida.
Io vidi gente sotto infino al ciglio;
e il gran Centauro disse : € Ei son tiranni
105 che didr nel sangue e nell'aver di piglio.
Quivi si piangon li spietati danni,
quivi è Alessandro e Dionisio fero
poiché nel petto del Contaaii è il ponto dove alone in Inf, xvu 81. — 90. e fk eamiAT
8* incontrano le dne natnie o forme, l'amana eoo. e ae Inoontrate un* altra achleia di oan-
e r oqoina. — 86. goletto: IntendMi, da solo, tauri, Ik ohe eeaa ri laaoi libero il pasao.
8onz* altro alato che 11 mio. Aoatamente nota IDI. U proda eoe la lira del flame Flege-
il Dolla Giovanna, Giom, danL 8^ aerie, vm tonte. — 108. geate ietto taltao al olyllo:
472, esaorvi qoi un* allusione a dò che Dante i tinuini (cfir. v. 188), i quali per arer oeoxw
ha detto noi colloquio con Cavalcante {Inf, z citata do^ia violenza, nello peiaone e negli
61-63). — 87. Moeasltà eoe : perohé, come averi altrol, aono Inunenì fino agii occhi n«l
dlrjt a Catone, Pufrg, i 60 « per lai campare aangoe. — 107. AlooaaBdro : aono diaooidi i
non o' era altra via >. — 88. Tol al porti commentatori circa 11 tiranno ricordato qui
ecc. Qaesto officio di goldarlo mi fa oom- dall' Alighieri (cf^. Mooro, I 262). Secondo i
mosso da Beatrice, venata a qaeeto fine dal più, è Alessandro tiranno di Fere In Tessa-
paradiso, ove l beati cantano le lodi del Si- glia, Insignoritosi del potere uccidendo il ti-
gnoro. — allolvia s vùoò ebraica, che aigni- ranno Pollfh>ne nel 869 a G. ; uomo d' Inu-
fica : Lodt al Signore, e si canta in cielo (cfìr. mana cradeltà, delle violenze del quale Dante
Apoeal, xa 1). — 89. «flclo oooto : officio potò aver notizia da Valerio Massimo, xz 13
straordinario, diverso dal comuni offici degli e da Cicerone, De off, n 7, 18. Secondo altri
uomini. — 90. non è ladroa ecc. nò lo né lui commentatori, apedalmente antichi, è Aleo-
siamu colpevoli del peccato, ohe è qui punì- Sandro Magno, re di Macedonia (n. 866, m.
to ; che egli non è ladrone nò io sono anima 823 a. C), ohe Lucano, Fetn, x 90, chi«aa
di ladrone. — fiila s cfr. Ihay. xxxm 44. — « fellz praado > : ma gli elogi che Dante ne
91. per qotUo vlrttf : per la divina vlrtd. fa nel Cono, iv 11 e nel Da mtm, n 9 mo-
— 93. o eni eoo. a cui noi possiamo tener strano ohe queef Interpretazione è emmoo.
dietro come a una guida. — o proevo : ò lo- — Dloolalo faro : Dionisio il vecchio, tiranno
caziono d'incerta orìgine, ma forse dal lat. di Siracusa (n. 481, m. 867 a. C), Il quale
ad profm, e vale a presao*^ si cfk-. Parodi, durante la sua lunga aignoria (dal 406 al 867
DulL m 184. — 96. per l*aer vada ; possa a. C.) oommiae molte crudeltà, non aolo in
volare por aria. — 97. la aalla deatra pop- Siracusa, ma In tutta la Sicilia : ai veda Vi^
pot ani dettro lato; ctr, una aimile esprea- Iorio Massimo, i 1, iv 7, xx 17 e doennie,
INPERNO - CANTO XH
89
103 clie fé' Cicilia aver dolorosi anni;
e quella fronte e' ha il pel cosi nero
ò Assolino, e quell'altro eh' è biondo
111 è Obizzo da Esti, il qual per vero
fu spento dal figliastro su nel mondo ».
Allor mi volsi al poeta, e quei disse :
114 « Questi ti sia or primo, ed io secondo ».
Poco più oltre il Centauro s'affisse
sopra una gente, che infino alla gola
117 parea che di quel bulicame uscisse.
Mostrocd un'ombra dall' un canto sola,
dicendo : < Colui fésse in grembo a Dio
.▼ai,22(cfr.A.Dobeni, Qiom,dant.
ni68).~108.€leilla:SiciUa; ohe i nottri
nikài fisMiro pi6 oomimemvnte nel modo
^rteteor cfr. Purg. m Ud. — UO. Assoli-
m: loalixio m da Bomano, nato noi 1194
• BOfto nel 1259, tixanneggid per trenf aimi
la Marca TxMgiana o ta principalo losto-
gao i«Da paite imperiale nell'Italia superiore
{dL e. B. Yesd, Storia degU Eoetmi, Baa-
■ao, 1779, ToL I, pp. 146 e iegg. e 0. Bien-
tvi, Buimo da Bom, fiéiia mmU» del popolo $
ndk poma, Padora, 1889); delle sue im-
uai MoUentesse sono pióie le pagine dei
eouMBlatari • cronisti anticU, tra i quali
e. 'FlDani sociTe {Or, ti 78) : « Qoesto Ax-
aoBao te II pid orodele e ridottato tizanno
ckt imì fosse fra' cristiani, e signoieggid per
ni texa e tirannia, grande tempo, tatta la
KHtadi Tzerigi e la dttà di Padova e gran
int» di Lombardia; e' cittadini di Padova
■olta gran parte consumò, e acceodnne pur
4s'BiglìorÌ e de* pid nobili in grande quantità,
• toglieado le loro possessioni e' mandogli
Medicando per lo mondo, e molti altri per
firacai martìri! e tormenti fece morire, e a
sa' ora ffiy^^^mii*^ padovani fece ardere:...
0 Botto r ombra di una rudda e aoellerata
gioatizia fece molti mali, e ta uno grande
flagaOo al suo tempo » : cfr. B»r, iz 29. —
lU. ObUse da Bstli Obizzo II d' Eate, figlio
a Biaaldo e di Adelaide da Bomano, auo-
cama nel ia&4 nella aignoria di Ferrara al-
Tsro Alzo Vn e la tenne alno al 1293, in
coi mori (cfr. Muratori, AntìehUà ettonrij voi.
n • De Lev», SugU Estmai rioordoH dal-
rilifk, nel ToL DattU $ Fùdova, iiudi tUh
riotxrOioi, Padova, 1866, pp. 285-261): dia-
Mi aUoxs che Obizzo II foaae iktto atrango-
laa dai dna iìgii maggiori. Azze Vm e Al-
dotcaadliM)!, per la preferenza ch'egli moatrava
l« il taaiogenito Francesco (cfr. Biocobaldo
4aFecxa» in Mur., Ber, UaL USL 263); e
Tanaante aaaai gravi indi^ atanno a ca-
noo di quei due, e apedalmente di Axzo: (cfr.
I« la queatione storica Del Lungo, Dantt,
I, pp. 886 e aegg., e T. Sandonnini, Dante
e gU Betontif Modena, 1893). ^ per Teros
male alcuni intendono queste parole come
un aegno che il fotte dell'uccisione di Obiz-
zo n per mano di Azze Ym fosae meaao in
dubbio dai contemporanei ; e il Del Lungo,
L dt, prova con un documento del 180A che
il dubbio d'alcuni fti ae il marchese di Fer-
rara fosae morto naturalmente o violente-
mente: chi tenne la accenda opinione non
dubitò di Azze. — 112. dal llgllaatros Az-
ze Vm (aul quale ai veda la nota al Purg, v
77) ta. tenuto come figlio illegittimo di Obiz-
zo n; perciò Dante lo chiama fgUaatro^ che
qui vorrebbe dire baatardo : altri, non am-
mettendo la nascita illegittima di Azze, in-
tendono figliastro per figlio anatuiato. — 114.
(posati eoe Le pùole di Virgilio ai possono
riferire alle coae dette da Neaao, e allora ai-
gnificano : (3redi pure a ciò che ti ha detto
il centauro, aenza aspettare la mia conferma ;
oppure all' ordine aecondo il quale i tre cam-
minavano, e allora vo^on dire : Tieni dietro
a Nesso, e io terrò dietro a ta ; ma questa
seconda interpretazione è alquanto forzata.
— 116. s' affisse t si fermò ; cfr. Purg. xi
186, zm 88 eco. — 116. ■■» gente, che in-
Ano alla gola ecc. : gli omicidi. — 117. ba-
lleame: il fiume di sangue bollente, che in
Inf, ziv 79 è paragonato al Bulicame, bagno
termale presso Viterbo. — 119. Colai : Guido
di Montfort, che fa vicario in Toscana per
il re Cario I d' Angiò e con lui combatto a
Benevmito, nel 1271 per vendicare la morte
di Simone suo padre già fatto uccidere igno-
miniosamente da Edoardo I, che fti poi re
d'Inghilterra, in una chiesa di Viterbo du-
rante la celebrazione della messa e alla pre-
senza di Filippo m re di Francia e di Cario I
re di Napoli ucciae di sua mano Anigo cu-
gino di Eduardo e lo trascinò pei capelli fuor
della chiesa: il corpo del quale Arrigo tn
portato in Inghilterra e sepolto nelle tombe
reali ; e dice Benv. che « aupra aepulcrom
Henrid posita Mi una atatna inaurata, quae
90
DIVINA COMMEDIA
120 . lo cor che in sul Tamigi ancor si cola ».
Poi vidi gente, che di faor del rio
tenea la testa ed ancor tutto il casso ;
123 e di costoro assai riconobVio.
Cosi a più a più si facea basso
quel sangue si che cocca pur li piedi;
126 e quivi fa del fosso il nostro passo.
€ Si come tu da questa parte vedi
lo bulicame che sempre si scema,
129 disse il Centauro, voglio che tu credi
che da quest'altra a più a più giù prema
lo fondo suo, infin ch'ei si raggiunge
192 ove la tirannia conyien che gema.
La divina giustizia di qua punge
quell'Attila che fii flagello in terra,
185 e Pirro e Sesto: ed in etemo munge
le lagrime, che col boiler disserra
In nami dextnt tonot oalioomi ihro onttorem
aiueam, in qno est cor dicti Henxid balsa-
matom, et saprà cor stat gladlns nndoB, te-
Btìs hvònB neci8 >. — Miie t pass, remoto del
Tb. fmtden (cfr. hìf, zzr 104), tratto qui al-
la Bigniflcazione di ferire. — ìm gremito a
Mot in chiesa, dorante la oelebrasione dei
divini offloL — 120. lo cor eoo. il onore, che
ancora attesta in Londra, sol flnme Tamigi,
il delitto di Qnido di Montfort, ed è nna me-
moria parlante del sangue Tersato : non so
indurmi ad accettare 1* interpretazione ohe
qoasi tatti i oommentatori danno soriYendo
si eoUif che ssiebbe in vece di H eolt^ nel
senso che a Londra tatti Tonerassero il cuore
d' Enrico (« tatti gì' in^^esi che ri passano
fanno onore a quella statua >, dice il Buti); e
prefeiisoo d'intender la frase come un forte e
bel traslato per significare che il cuore dell'uo-
ciso, esposto neU' aureo vaso sulla tomba di
lui, Tersaya ancora il sangue agli occhi dei
connazionali, doò tenera vìva in essi la me-
moria del delitto e il desiderio della vendetta.
Anche U Parodi, BuU, HL 124, nota: < ò senza
dubbio da colare e significa, con robusta ima-
gine, gronda aneora di aangw >. — 121. vidi
gente eco. Questi, che tenevano la testa e
il petto fuori del sangue, erano i colpevoli
di ferimenti e di ruberie. — 122. easto: ò
la parte del busto contenuta dalle costole
(Dioz 91): il nome si ha anche in Jnf. xz
12, XXV 74, Purg, xxnr 72. -- 123. assai
riconobbi eoo. : non li nomina, ma dovevano
essere in mente a Dante molti suoi oondt-
tadini ohe nell' imperversare delle lotte di
parte aveano dato di piglio negli averi o nel
sangue degli avversari. — 124. a pid a pid
eoo. Buti : « quanto pi6 s' andava in là, più
si trovava mancare l'altezza del iVDgne neOa
fossa, e meno vi stavano fitti li peccatori >.
— 180. che da qaest'alira eco. da quest'ai-
tra parte il fondo vada via via abbssssndosi
fino a raggiungere la masBims profondità,
colà dove sono puniti i tiranni : ott, v. 103.
— 184. Attila : il famoso condottiero degli
Unni, ohe regnò dal 488 al 468; del quale
la storia e pid la leggenda raccontano opere
inumane di distrazione e di strage, tali da
giustificare il tradizionale sopranome di fk^-
geUum Dti : si veda in proposito A. Thierry,
HUt, d'AU. tt dea set aveeeaseurs, 6* ed., Pa-
rigi, 1874, e A. D'Ancona, La legenda d'AtL
negli Studi di eriliea $ atoria fetf., Bologna,
1880. — 135. Pirro: i commentatori non
vanno d'accordo sul personaggio accennato
qui da Dante : secondo molti di essi si tratta
di Pirro o Neoptolemo, figliuolo d'Achille e
di Deidamla, noto specialmente per le ucci-
sioni di troiani raccontate da Virgilio, En, it
626-568; secondo altri invece, sarebbe qui
ricordato Pirro, re dell'Epiro (cfr. Par. vi
44), che guerreggìd lungamente coi Bomani :
se non che Dante di questo Ik altrove ono-
revole menzione (D* mon. n 10 : < Pyrriìns
Ule tam moribus... quam sanguine genero-
sus»), ohe non s'accorderebbe con la pre-
sente condanna. — Sesto t Sesto Pompeo, il
minor figliuolo di Pompeo il grande, che dopo
la morte del padre continuò l'opposizione a
O. Cesare corseggiando i mari della Sidlìa;
onde Lucano, Fort, vi 118 scrisse di lui :
« Sextus erat magno proles indigna parente;
Qui mox soylleis exul grassatos in andia
PoUuit aequoreos Siculus pirata triumphos ».
— ìm eterao eoo. spreme per mezzo del tor-
mento del sangue bollente il pianto eoo. —
INFERNO - CANTO XII
91
a Binier da Cometo, a Binier Pazzo,
che fecero alle strade tanta guerra ».
189 Poi si rÌYolse, e rìpassossi il goazzo.
1S7. Uxltr da Coraeto t àsl fior. : « Mm-
■V Bmkà dft OometD di Maremma ta gXBn-
Haóao rabstoie, tanto ohe mentre Tiase te-
aea in psoia tutta Haremma, et infine in
MQe poftediBoma; però dk'elli per aéme-
dadao ftkoea rubare in ralle stradei et ancora
duinnqne Tolea rubare era da lid rioevnto
arile fiutane eoe et dato^ ainto e IkToxe >.
Da F. da Barbexino (cfr. M. Barbi, BtUL VI
211) aappiamo che ta oontemporaneo di Ghino
di Taoeo (cfr. IStrg. ti 14). -> Binier Passo:
An.fioE.: «MieaaerBiniezi de' Pazzi di Val-
damo lue similmente grande mbatore do-
▼nnohe potea, maaalmamente in sulle strade
di V)ddamoinflno allaoittà di Areno > : Ott.
aggiunge che nel 1228 « fa a mbare li prelati
della Chiesa di Boma per comandamento di
Federigo n imperatore >, e il Toiraoa ricorda
il processo fattogli da (Semento IV nel 1268
per « arer nooiao, ferito e derabato > un ye-
sooYO ed altri ecdesiastloi e laid ohe por la
Toseana si recavano a Boma : era già morto
nel 1280. — 189. fiasco i ofr. Inf,
72.
CANTO Xlil
He! secondo girone del settimo cerchio Virgilio e Dante trorano le anime
del Tiolenti contro sé stessi e contro le pn^rie cose : prima i snicidi tra-
ifoimati in piante silvestri, pascolo delle Arpie* e tra essi i poeti ineon-
trsno Pietro della Vigna, col qnale ragionano a lungo; e poi gli scialacqua-
tori, persegnitati e lacerati di continuo da cagne bramose [9 aprile, dopo
le tre ore antimeridiane, verso Palba].
Non era ancor di là Nesso arrivato,
quando noi ci mettemmo per un bosco,
8 che da nessun sentiero era segnato.
Non frondi verdi, ma di color fosco,
non rami schietti, ma nodosi e involti,
6 non pomi y'eran, ma stecchi con tòsco.
Non han si aspri sterpi né si folti
quelle fiere selvagge, che in odio hanno
9 tra Cecina e Corneto i luoghi cólti.
Quivi le brutte Arpie lor nido fEuino,
Xm 1. Vea era eco. Mentre il centanro
Hean zìpasaando il flnme di aangoe ritoma
Bei primo girone, i poeti a'aTanzano nel ae-
ooodo tutto oconpato da nn foltissimo boaco
di 9gpn • aélratiche pianto: è il Inogo dove
iOBo poniti i soioidi e gli scialacquatori;
A» btf» ZI 41-45. — 8. eke da aessui eoe
era bob era segno alcuno di sentiero, per il
^ale passare. — 4. Kob frondl eoo. H bosco
4el ascondo girone presentova nn aspetto sel-
vaggio • direrso dai boschi della terra; poi-
ék le pianto non verdeggiavano, ma esano
tiata d'oscuro colore, non avevano i rami
ddtti e Usd, ma intrecciati e nodosi, n6 era-
aa cariche di frutti, ma di velenose spine. —
fi. ashletSl: indica i rami aensa nodi, levi*
istt e dritti; eona nel Petrarca, ODozziu 26 :
« In nn boschetto novo i rami santi Fiorf an
d'nn lauro giovinetto e schietto », e cLxn 6 :
« schietti arboscelli e verdi Grondi acerbe > :
cfr. Pwrg, 1 95, — 6. pomi : firatti, in genere;
cosi anche in Pu/rg. xxn 182. — steeehl :
ponto di rami, spine. — 7. Non han ecc. Qli
animali selvatici, che nella Maremma toscana
fuggono i luoghi coltivati, non abitano bosca-
glie cosi incolto e fitte. — 9. ira Cecina e
Cometo : segna i confini della Maremma to-
scana, torminata al settentrione dal fiume Ce-
cina, sul quale sorge la borgate omonima, e
al mezzogiorno dal territorio di Cometo Tar-
quinia: cfi:. Bassermann, pp. 828-827. —
10. Quivi le bratto Arpfe eoe Le favo-
lose figlie di Taumanto e di Elettra, raffi-
gurate con volti di fanciulle e coxpi d' no-
92
DIVINA COMlfEDU
che caociftr delle Stro&de i troiani
12 con tristo annunzio di fatare danno.
Ale hanno late, e colli e visi amani|
piò con artigli, e pennato il gran ventre;
15 fanno lamenti in su gli alberi stranL
Lo buon maestro : « Prima che più entro,
sappi che se' nel secondo girone,
18 mi cominciò a dire, e sarai mentre
che tu verrai nell*orribil sabbione:
però riguarda bene, e si vedrai
21 cose che torrien fede al mio sermone >.
Io sentia da ogni parte traer guai,
e non vedea persona che il facesse;
24 per ch'io tutto smarrito m'arrestai.
I' credo eh' ei credette eh' io credesse
che tante voci uscisser tra que' bronchi
27 da gente che per noi si nascondesse.
Però disse il maestro : « Se tu tronchi
qualche fraschetta d' una d' oste piante,
80 li pensier e' hai si faran tutti monchi >.
Allor porsi la mano un poco avante.
celli, fkuono poite da Virgilio, JRi. m 209 e
segg. nelle itole Strofinìi, nel mare Ionio, e
da Dante nel eeoondo g^ne, a guardia e
strazio dei suicidi. — 12. «•■ trlito eoe. ac-
cenna alla profeda Iktta da Celeno, una delle
Arpie, ai troiani, annunziando loro la Ikme
crudele ohe doYeva trava^iarli ; Ving. JIH.
m 247 : < Italiani cursu petìtis, ventìaque to-
catis Ibitia Italiani, portosque intrare licebit:
Sed non ante datam oingetis moenibus urbem
Quam YOfl dira fiunea noetraeq^oe iniuzia cae-
dis Ambesaa subigat malia àbsumere mensas » .
— 18. Àie eoo. Questa descrizione è un ri-
flesso della yirgiliana, J^ m 21S : « Vixginei
voluorum Tultns, foedissima yentris Prolu-
▼ies, nncaeque manus, et pallida semper Ora
fame >. — 16. fkano ecc. Si ricordino i da^
mori delle Arpie virgiliane (iEta. m 226 : e ma-
gma quatinnt dangoribus alas >, e 228 : «Tum
▼oz tetmm dira Inter odorem >), e s' inten-
derà come adrani nella mente di Dante doree-
sero essere i lanunti di questi esseri Ikyolosi,
• non gli alberi sui quali posarano, giA dalui
rappresentati come disformi da quelli dal
mondo. — 18. e sarai eoe e sarai, ti trore-
rai nel secondo girone finché non saremo
giunti alla sabUosa spianata del terzo : cfir.
Inf. xrr 18. — Mentre ehet cfir. B^, xzxm
132. — 19. orribii sabbiane : perché ri pio-
Tono sopra le fiamme; cfr. Jnf, xrv 28. —
21. eose ecc. cose che, se io te le raccontassi
solamonte, senza che tu le vedessi, sembre-
rebbero incredibili; cosi lessero e intesero gii
antichi commentatori Lana, fioco., Benv., An.
fior., Boti eco. e molti moderni. Altri invece,
sensa baatevoto fondamento, leggono : Oom
eh$ dasnm /kb cU m<o amNOMS, ciod oonfer-
meianno la narrazione che di simili cose me-
ravigUoee io UetàùnOi* Emidi a proposito di
linea e di Polidoro (cfr. la nota al v. 88) ; ma
alla propria nanazicme Virgilio allude più
innanzi (cfir. v. 46 e segg.) e V accennarla
qui sarebbe inutile aatioipiizione. — 22. (raer
gaal t emettere grida lamentose ; è locuzione
frequente e quasi tipica nell'antica poesia per
indicare il lamento ch'esprime dolori morali,
e Dante l'usa piti volte, h^f. v. 48, F. N.
zzzm 148, xm 87 eoe. — 26. P erede ecc.
Sopra l'uso degli «Tuiroof si veda la nota al-
l'ai/: x 86 e anche U Federzoni, SVudl, pp. 2a-
249, avvertendo ohe Dante se ne oomptaoe
in modo partioolare in questo canto, Ibrse
perché Pier della Vigna, ohe ne è il prota-
gonista, fti solenne dettatore in quello stile
latino, ohe di tali espressioni s'infiorava
assai spesso. Del resto questo eqnivooo, ohe
ta, poi riprodotto dall' Arìoeto, OrL tx. 28,
fi suggerito forse dal noto veno di Psnloii
Sta, I 27 : « Scire tuum nihil est, nisi teael-
re hoc sdat alter >. — 26. brenehl t sterpi o
rami d' alberi. — 27. per neit per sfuggire
al nostro sguardo. — 80. Il pensier eoo. dò
ohe pensi di questi lamenti sarà manohefole,
verrà meno, perché avrai altra spiegailoBe di
INFERNO - CANTO XHl
93
e colsi un ramicel da un gran pruno;
83 e il tronco suo gridò: « Perché mi schianto? »
Da che fatto fa poi di sangue bruno,
ricominciò a gridar: cFerchó mi scerpi?
86 non hai tu spirto di piotate alcuno?
Uomini fummo, ed or sem fiEitti sterpi;
ben dovrebb' esser la tua man più pia,
89 se state fossìm' anime di serpi ».
Come d'un stizze yerde, che arso sia
dall' un de' capi, che dall' altro geme
42 e cigola per vento che va via;
si della scheggia rotta usciva insieme
parole e sangue: ond'io lasciai la cima
45 cadere, e stetti oome l'uom che teme.
€ S'egli avesse potuto creder prima
rispose il savio mio, anima lesa,
48 ciò e' ha veduto pur con la mia rima,
non averebbe in te la man distesa;
ma la cosa incredibile mi fidce
«■i. — as. • il ìnmù9 MM too. Danto xin-
■tra m JintanA TiigUiana: mQ'A». m 22
••«0. awonta BMa ooiM nel frindplo daU»
ut pOBBgifaMskni giiiiftiwa nalk Tmsitk al
li^èara aniMpoUoFoUdoTOifUodlFduBO
ift, A«y. zz 116>, • eoo*, ttwppaado al-
iali tiigvlti èhm «tano Intesilo a un tumulo,
ivImw vfliv» daUa pianto laMnto della foooe
li Magna; Macnvi^iato, zitontò la pzoTS, •
•01 onon aentf nn lafiiimaroìa aooiio, In Tooa
éàmàmn PoBdoio, dM ai lamantoya oon p»*
Ida non diarimili da inaile ohe Danto ode
laUa ielm del anlddi. — 84. Ite ehe o.
^.Ai.m87: « TertU aed poatqnam maio-
m liaiflìla niaa Adgradier, genilniaqne adrar-
M» ohlnctar nienae; (Eloqnar, an aUeam?)
I laerTmaUlit imo Anditar tamnlo, et
rtor ad aurea: * Qoid miaernm,
A«ea, laofloaf iampazoe aepnlto; Faroe piaa
ft> aeeryl t dn eoffjMfWi lat. éitc$fptf$f atnir
lian, leoenra. — dC OeaM eoo. Ventali 61 :
«La aimilttodine è delle pi6 piesiooe del poe-
■a par Teiità d' imagine e zara penpionità
a fKma» ; e venuaento è eoaf netto e pre-
«na k liapoodenza dai termini, eie partioo-
ktìtk del tenoneno aono edito e reae oon
tato aobdetà di paioln «he in pochi laogU
l'aito di Danto paaan oltra qneato aegno;
Oàma foando im tronco Tezdeggiante, meaao
alTMkie daU'nno dei capi, effonde dall' al-
ta» c^o in aaa nmidità In fbann di gocce e
iaéiBa In Coma di Ti^oira ohe atride nell'aaoi-
la, coii 9m1 nMBO troncato mandaya faozi il
■ógae • le pnzoto inaiema. — 41. fame i il
Tb. gmmn qni aignifica atillare, mandar fàoii
gocce: cfr. Purg. zxr 44 — 42. e dyoln ecc.
Oaaeiva E. O. Parodi, BnU. m 89, che in
Danto «in rima acatoziaoe inaieme ooU'eapraa-
alone nnofa ed Immortale, e la vialone dan-
teaoa, neDa ana Incredibile intensità, ai fissa
sansa afono apparento, in modo inunediato,
neDa parola, con ftaai di maravigUoaa evi-
denza, oome g$m» • cigola ecc. >. — 44.
elatt t la parto sopeiioze del ramoscello stac-
cato da Danto (cfr. ▼. 82). — 46. e atettl
ecc. La stossa idea è in Virgilio, Bn, ui
29: «Mihl Mgidoa honor Membra qnatit,
gelidasqve colt f ormldine aangiiis » ; ma, oe-
serra ginstaaiento il Venturi 61 , « Danto
in meno parole dice pM; perché non de-
terminando dò ohe r nomo teme, nò deecri-
Tendo gli effetti della paura in Ini, quella
breve oompaiazione comprende nella genera-
lità deU'idea infiniti oggetti spaventosi, e la-
scia ohe il lettore imagini a ano talento non
aolo la coca più atto ad incuter timore, ma an-
che Taspetto pallido, e la figura tremante, sbi-
gottito di colui ch$ (0fM> (ofr. Moore, I 182).
— 47. il savie: VirgiUo; ofr. Inf. iv 110.
— anima lesa: anima ofTesa, non pur dalla
pena, m^ anche dall'atto di Danto. — : 48. dò
e> ha vedalo par eoo. il Iktto incredibile di
pianto che parlano e mandano Ibori sangue,
fatto conosciuto da Danto solo nel versi vir-
giliani deU'J^lpi. m 22 e segg. — ada rimai
cosi chiama Virgilio 1 suoi versi; essendo
tratto questo voce, che indica una partioola-
rità dei Tersi della poesia romanza, a tignifl-
oare U verso in genere : cfr. ^f, zzzu 1 eco.
94
DIVINA COMMEDIA
51 indurlo ad opra, che a me stesso pesa.
Ma dilli chi tu fosti, si che, in vece
d'alcuna ammende^ tna fama rinfreschi
54 nel mondo su, dove tornar gli lece ».
E il tronco: € Si con dolce dir m'adeschi
ch'io non posso tacere; e voi non gravi,
57 perch' io un poco a ragionar m' inveschL
Io son colui, che tenni amho le chiavi
del cor di Federico, e che le volsi
60 serrando e disserrando si soavi
che dal segreto suo quasi ogni uom tolsi:
fede portai al glorioso ufizio,
63 tanto ch'io ne perdei lo sonno e i polsi
La meretrice, che mai dall'ospizio
di Cesare non torse gli occhi putti,
66 morte comune e delle corti vizio,
infiammò centra me gli animi tutti;
— 62. Il Teeé d* tlcMt umMda: quasi
per duti qoalohe riparazione e compenso del-
l'offesa eoo. — 63. imi fama rlBfresehl :
xbtyìyì la toa nominanza. La promessa di Vir-
gilio doveva linseire molto grata a qnestfanl-
ma, come si ha dai v. 76-78. — 64. nel
moado eoo. sa nella terra dove egli pad tor-
nare, per essere anoor vivo. » 67. n'inre-
selil : mi lasci prendere, mi trattenga; ofr.
Bar. zvn S2. — 68. Io son eoo. L' anima,
con la qoale i poeti si sono incontrati, e quella
di Pier della Vigna; il quale, nato in Capua
alla fine del secolo xn e fotti in Bologna gli
studi giuiìdici, entrò come notaio nella corte
di Federigo II e fu da lui elevato all' officio
di protonotaro e logoteta: in quest'officio
egli oompild le Costituzioni del 1231, riordi-
nando tutta la legislazione dello Stato, scrisse
epistole latine e recitò orazioni per sostenere
gli interessi e i diritti del suo signore, com-
pose rime volgari di materia amorosa; e per
tutti questi mooAtì venne in grande nominan-
za e fb salutato < egregium dictatorem et to-
tius linguae latinae iubar». Nel 1248, per
motivo ohe s' ignora, perdette la grazia di
Federigo n, il quale lo fece incarcerare e
accecare: di che Pier della Vigna tanto si
accorò che, avuta l'occasione propizia (cfr. la
nota al v. 72), si dio da sé la morte nel 1249
(cfir. O. De Blasiis DeUa vita e deiió cpen di
P. dsUa Vigna, NapoU, 1861, e Huillard-Bré-
hoUes, Vie et eorreapondenee di P. de la Vi-
gne, Parigi, 1866). — tSBui ambo le chiavi
eoe Due interpretazioni si danno di questa
frase; secondo l'una vuol dire: signoreggiai
l'animo dell'imperatore si ch'egli concedeva o
negava le grazie giusta il mio volere (Buti :
« «ni avea le due chiavi del suo onore, cioò
l'afllarmativa ohe apriva Io onore e la negati-
va che lo senava»); secondo l'altre slgniflcsa:
io oonobbi tutti i segreti penslezi dell' impe-
ratore e seppi tenerli nasoosti o Banifestazli
secondo l'opportunità (Buti: «a lui erano
note le ooee segrete e palesi, perohó Timpe-
ntore ogni segreto li oommettsa, et elli le
tenea fedelmente, quelle oh' erano d» teneiQ,
e con onesti modi palesava qud ch'era da pa-
lesare, come diritto e leale cancellieri»). Quan-
to alla fonte dell' imagine, piuttosto che Isaia
xxn 22 (Moore, I 77), è opportuno ricordare
col Torraoa le parole di una epistola di Nic-
colò da Booca : < Tamquam imperii daviger
daudit, et nemo aperit, aperìt et nomo olaa-
dit», riferite proprio a Pier della Vigna. —
61. ohe dal segreto eoe che allontanai dalla
confidenza dell' imperatore ogni altro corti-
giano. — 62. fede eco. ftii tanto fedele nel-
r esercizio del mio alto officio, che sacrificai
U riposo deUa notte e l' attiviU del giorno.
Altri leggono le vene e i polti (ofr. Inf, 1 90),
intendendo : la vita; ma ò lezione e interpre-
tazione evidentemente erronea, perché la fede
serbata non poteva esser cagione della di-
sgrazia di Pier della Vigna. — 64. fia Mere-
trice ecc. L'invìdia, che non msncA mai neUa
corte imperiale e in genere nelle corti dei
principi eco. : si ricordino altri sventurati mi-
nistri, ohe perdettero il £avore dei loro signo-
ri; oome Pier della Broccia (Air^. vi 19-21)
caduto in disgrazia iwr as(io e per inveggia, e
Bomeo {Par, vi 127-142) per le parole bieee
degli invidiosi. — 66. pvttl : ofr. Purg. u 114,
dove la chiosa del Buti spiega chiaramente
il valore di questo agg. — 66. Morte eoa
cagione di peccato agli uomini tutti e vizio
predominante nelle corti. « £7. lAtMmò
INFERNO - CANTO Xm
95
e gì' infiammati iTìfiamniftr si Augusto
CO che i lieti onor tomaro in tristi lutti
L'animo mio per disdegnoso gusto,
credendo col morir fuggir diadegnOi
72 ingiusto fece me contra me giusto.
Per le nuove radici d'esto legno
yi giuro che giammai non ruppi fede
75 al mio signor, che fu d'onor si degna
E se di Toi alcun nel mondar riede,
conforti la memoria mia, che giace
78 ancor del colpo che invidia le diede >.
Un poco attese, e poi : € Da eh' ei si tace,
disse il poeta a me, non perder l' ora;
81 ma parla, e chiedi a lui se più. ti piace ».
Ond' io a lui : € Dimandai tu ancora
di quel che credi che a me satisfaccia;
«e. Boti : « lo imperidon si fidava tanto di
U, die qQtmk ninn altro area al aao segreto
HMìglio se lum Ini, e per questo li altd b»-
nai dello impeiadore lo oominnlarono a odia-
le et aT«di invidia, et apposonU, mostrando
eoa ftlse lettere, oh* eUi zirelara i segreti
Mio impesadore a' suoi nimìoi, doè ai papa».
" 68. tenare : si oonyertixono ; lo stesso
nase del Tb. fcmors è in hif. xzvi 186 e
Fmg. ziT 98. ~ 70. 1/aalMO eoo. Q mio
iiime hfcdign^^^ per l' nmiliaxione sofferta,
cndsaAo che la morte ponosse fine al disprex-
» ia ^e ^ ahxi m' srerano, abbraodd il
IKtito éA soiddio. — 72. lag leste eoo. oo-
riiti^nial. mentre ere innocente delle oolpe
■IHMWituml^ commisi nn' ingiostizia contro me
itsmoi. £ opportuno ricordare qoi che intomo
•i paztioolaxi dd soiddio di Pier della Vigna
gfiaatidU commentatori non Tanno d'accordo ;
flLaaaaoxiTe ohe «lo imperatore lo lè'pren-
tee e tSùo abednare, e questo ta a San Mi-
ikto del Tedesco; poi in processo di tempo,
fKsndolo portare a Fisa in sa ano asino lo
iapezaton, fti per li somieri tolto giaso e
■esso ad «no ospedale perché repoeasse, e
qossto [Piero] batté tanto lo capo al moro
che mori 9, e il Bnti aggionge ohe da 8. Mi-
aiato ta portato a Pisa «e quando ta posato
a Sant'Andrea in Barettnlaria domandò 07*0111
sta, e dettott ohe ere a Pisa... percosse tanto
b 090 al moro diselli s' aodse » : il Boco. e
ria. fior, attestano invece ohe Piero, caduto
la 'tttgff**'^ e abbacinato^ d recò ad abitare
fibsoBSotein Pisa, dttà di parte imperiale,
e che Todendod disprezzato e dall' imperatore
e dd ijtt^^"^*, un giorno « essendo menato
attorno da uno die '1 guidava, et essendo di
Mipdto a Santo Paulo, che ò a Pisa in sulla
Bva ff Amo, disse aodoi che '1 guidava ohe '1
il muro della chiesa; come
egli l' ebbe volto, questi corse et perooese il
capo ti muro, onde le cervella gli caaoorona
di capo et ivi moif » : Benv. rifiuta questi rac-
conti e afferma ohe Piero s'uccise in carcere.
— 73. Per le avove eco. U De Sanctis in un
discorso sopra questo canto (Saggi entioi,
Napoli, 1874, pp. 898-409) osserva g^ustamen-
ta.che sino a questo punto Pier della Vigna
parla senza oommuoversi, esprimendo i suoi
pensieri in fbrma studiata e ingegnosa, e che
solo a scagionaid dell' infamia dd tradimen-
to appostogli la sua anima d aocalon e il
suo linguaggio diviene aemplioe ed doquente.
— aaoTe radlel : secondo il Buti, Benv. eoo.
sono ood dette, perché l'anima di Pier della
Vigna, morto nd 12A9, ere sorta in pianta
da tempo relativamente recente; secondo i
moderni commentatori sarebbero ood dette
per r inaudita e minbile traaformadone di
un'anima in pianta. —75. ehe fa d'oaor ti
degao : Dante, che pone all' inferno l' imp.
Federigo II come eretico, gli dA per dtro in
più luoghi lode di prindpe valente e di cólto
signore (cfr. ^f. X 119); qui poi la lode ò
tanto più opportuna in quanto è messa sulle
labbn dd protonotaro, il quale affenna la
sua foddtà al signore ohe l' aveva devato
d primi onori. — 77. conforti ecc. rivendi-
chi l'onore dd mio nome, che ò ancore sotto
il peeo obbrobrioso dell' accusa di traditore.
— 79. Uà poco attese ecc. Davanti a Pier
della Vigna, che ood gagliardamente aveva
parlato della sua innocenza, 1 due poeti re-
stano come titubanti per un sentimento mi-
sto di pietà e di riverenza: Virgilio s' indu-
gia prima d'invitare il compagno a Atre qud-
che dtn domanda, e Danto a dò invitato se
ne schermisce perché la commiseradone gl'im-
pedisce di parlare a quell'anima lesa. — 80.
l'ora s il tompo opportuno, il momento favo-
96 DIVINA COMMEDIA
84 eli' io non potrei, tanta pietà m' accora ».
Però ricominciò: € Se l'uom ti faccia
liberamente ciò che il tuo dir prega,
87 spirito incarcerato, ancor ti piaccia
di dime come l'anima si lega
in questi nocchi; e dinne, se tu puoi,
90 8* alcuna mai da tai membra si spiega ».
Allor soffiò lo tronco forte, e poi
si conterti quel vento in cotal voce:
93 € Brevemente sarà risposto a voL
Quando si parte l'anima feroce
dal corpo ond'ella stessa s'è divelta,
96 Minos la manda alla settima foce.
Cade in la selva e non l'è parte scelta,
ma là dove fortuna la balestra,
99 quivi germoglia come gran di spelta;
surge in vermena ed in pianta silvestra:
l'Arpie, pascendo poi delle sue foglie,
102 fEumo dolore, ed al dolor finestra.
Come l'altre verrem per nostre spoglie,
ma non però ch'alcuna sen rivesta:
105 ohe non è giusto aver ciò ch'uom si toglie.
TOTole. — 86. Se I'iom eoo. Cosi ti Bia fotto fette e vivaoità nella spiegazione di nn fatto?
ciò che hai chiesto eoo. ; riguardo al 00 de- Perché è nn snloida die spiega la pena dol
precatiro si cfr. la nota all'^/l x 82, e quanto suicidio, e narrando la storia dell'anima sai-
alla locazione uom H fàecia si osservi ohe ha dda ricorda insieme la sua propria». ~ 9A.
nn yalore del tatto impersonale, come pia anlm» feroce: quella del suicida; Bntì: «ben
altro volte nel poema. — 86. liberamente : la chiama ferooe, imperò ohe oome fiera inora-
spontaneamente; non senza però includer an- delisce contro sé medesimo ». — 96. Minos :
che l'idea della liberalità: cfr. Pctr, zxxm 18. M giudice infernale, daranti al quale le animo
— 90. ti spiega: si dlsviluppa, si libera; dannate vanno a confessare le loro colpe; cfr.
cfr. Purg. XVI 64. — 91. Allor tofflò eoo. /n/". v 4 e segg. — alla settima foee: al
Biag. : < Questo soffio, eh' ò un sospiro di do- settimo oerahio. — 97. la telT» : quella che
loro, precede naturalmente il parlaro d' ogni ricopro il secondo girone del settimo cerchio,
misero che si dispone al racconto di ciò che — 99. spelta: Beco. : < una biada, la qoal
gli rammenta la cagione del suo tormento», gittata in buona tena cestisce molto, e por-
— 93. BreTemente ecc. Bene osserva il De dò ad essa somi^ il germogliaro di queste
Sanctis che in questa seconda parto del di- misere pianto ». — 100. sorge eoo. soigo,
scorso di Pier della Vigna, che è la spiega- viene su in forma di giunco sottile e cteeco
zione del mondo fantastico apparso a Danto, via via a pianta selvatica. — 101. l'Arpfo
l'anima del suicida racconta la propria storia eoo. De Sanctis : « L'anima sepazatasl violen-
dal punto che si è separata dal oorpo sino al tomento dal oozpo non lo riavrà piti mai, o
giudizio universale, e aggiunge : « Non vi è riman chiusa in corpo estraneo di natura in-
pensiero, ma azione narrata con una vigoria feriore, in una pianta, e la pianta sentila ad
ed efficacia di stile insolita. Le parole sono ogni ora la trafittara dia il suidda si féoe in
molto oompronsive e risvegliano parecchie vita. La separazione è etema, la ferita ò etar-
Idee accessorie. Nel diwUa d sento non solo na; l' inferno de'sulddi è il suiddlo ripetato
la separazione, ma la violenza e lo sforzo con- etemamento In ogni istanto ». — 106. Coma
tro natura; nel baUstra^ non solo U cadere, l*altre eoe Come le altre anime verremo il
ma l'Impeto e la rapidità della caduta e l'ani- giorno dd giudizio finale a cercare 1 nostri
pio spazio percorso ; nolla parola finedra d corpi nella valle di Oiosafat : cfr. hif. vi 97-99.
sentono l sospiri ed i lamenti e il pianto ohe — 106. éké non è ginsto ecc. Buti : « Non
esce fuori per qud varco. £ perché tanto af- ò ragione che V nomo riabbia qud che s* à
INFERNO — CANTO XIH
97
Qui le strascineremo, e per la mesta
selva saranno i nostri corpi appesi,
108 ciascuno al prun dell* ombra sua molesta >.
Noi eravamo ancora al tronco attesi,
credendo ch'altro ne volesse dire,
Ili quando noi fummo d'un romor sorpresi,
similemente a colui che venire
sente il porco e la caccia alla sua posta,
114 ch'ode le bestie e le frasche stormire.
Ed ecco duo dalla sinistra costa,
nudi e graffiati, fuggendo si forte
117 che della selva rompièno ogni rosta.
Quel dinanzi: « Ora accorri, accorri. Morte! »
e l' altro, a cui pareva tardar troppo,
120 gridava : < Lano, si non fdro accorte
le gambe tue alle giostre del l^oppo » ;
tolto aUi stesw): quoDe coso che l'aomo non
li pQò daze, non si dee togliete ; ami le dee
tBBfln qnnnto mol colui che gliele dà, e ae
le xiflata, xaglone è che non le riabbia ». —
106. Q«l le ttraaeinereme ecc. Dopo il gìn-
£iio oniveiaale trascineremo in questa trista
wàtn i nostri ooipi, dascnno dei quali sarà
^{iocato ali* albero in coi d incarcerata la
ioa anima. — 108. moleste: infesta e nemip
eaal ewpo, del quale si spogliò (ofir. BulL IH
20 e 29). — lU. fummo eoo. ricorda il tìt-
pSaao, Bit. vi 658 : « Constitit Aeneas, stre-
ittamqne exterritos hanslt ». — 112. slmile-
msate ecc. oome saccede al cacciatore appo-
stato, il qnale sente yeniz alla saa Tolta il
craghiile e 1 cani che lo insegaono. Si para-
goni con la similitodine omeiiiau Jl. xn, cosi
ima dal Monti, con ricordi danteschi : « Come
Btrsstri Veni ch'odon sol monte ayridnarsl
Il l^agor della caccia, impetnosl Fulminando
t taTeao, a sé d'intorno Bompon la selva e
»ehisTitano la rosta ». — 118. la eaeela : i
cani inseguenti il cinghiale. — 115. Ed eeeo
Hc Sono due anime di violenti contro le pro-
Ideoose, ossìa di scialacquatori, Lano da Sie-
Bs • Giaoonu) da Sant'Andrea, che corrono la
Mira ìuegniti e lacerati da cagne bramose.
*- 117. egal roste : le frasche e i rami della
Ntra intrecciati in modo da formare ripari e
iapedimenti a ohi correva. — 118. (jnel di-
saaai eec II primo degli scialacquatori, che
^aggrado rieece a sottrarsi alle cagne, ò Lano
{4eà Maconi?) da Siena «lo quale, dice il
Boti, per molti modi fu guastatore e disfaci*
toct di saa facultade : ma innanzi ch'elli
««ase al tutto distrutta, nella battaglia ch'eb-
k«o i Senesi con 11 Aretini alla Pieve del
Toppo nel distretto di Arezzo, ove i Sanesi
^»ò»o sconfitti, Lano fu morto » : il Bocc.
aggiunge che fti della brigata spendereccia
(o£r. Jnf, XXIX ISO) e ohe per essa « non spen-
dendo, ma gittando, in piccol tempo consumò
ciò oh' egli aveva, e rimase purissimo » : si
veda Aquarone, Dante in StertOj p. 41 e segg.
e O. Maconi, BaeeoUa di documenti etoriei^
Livorno, 1876, pp. 91-114. — Ora accorri
ecc. « Gotta con amarezza un grido alla morte,
alla sua terribile dannazione, che con fùria
spietata lo persegue a fame strazio e stermi-
nio > (O. Federzoni, Stuéti^ p. 2S3) : ò una
vera invocazione, quindi non ò possibile che
il vb. OMorri sia di modo indicativo (c£r. ivi,
p. 249). — 119. e l'altro eoo. Il secondo è
Giacomo da Sant'Andrea, padovano, figlio di
Odorioo da Monselice e di Speronella Dele-
smanini : fti al seguito di Federigo n nel 1287
e fatto uccidere da Ezzelino da Bomano nel
1289 ; di lui scrive il Lana che « dopo la mor-
te del padre rimase ricchissimo, dissipò Io suo
avere in mali e viziosi modi, fhi i quali se ne
conta uno, che li venne voglia di vedere un
gran fuoco In una sua villa eh* era tutta sua,
e stava dal largo a vedere ardere le case >,
ed altre somiglianti pazzie raccontano altri
commentatori : si veda G. Gennari, Inlomo a
Oioó. da Sant'Andrea memoria^ Padova, 1831,
e E. Salvagnini, Iacopo da 8ant Andrea e i
feudatari nel Padovano nel voi. Dante e Badova^
pp. 29-75. — 120. liane, sf non faro: eco.
tu non sapesti fuggir c<^ dalla battaglia di
Pieve al Toppo; dove, racconta il Bocc.,
e Lano ricordandosi del suo misero stato e
parendogli gravissima cosa a sostenere la po-
vertà, siccome a colui eh* era uso d'esser rio-
chiBsimo, m mise infira i nemici, fra'quali, co-
m'egli per avventura desiderava, fu ucciso».
— 121. giostre del Toppo: il combattimento
prosso la Pieve del Toppo, nel tetritorio d'Aro»-
98
DIVINA COMMEDIA
e poiclié forse gli fallia la lena,
123 di sé e d'un cespuglio fece groppo.
Di retro a loro era la selva piena
di nere cagne bramose e correnti,
126 come veltri che uscisser dì catena.
In quel che s'appiattò miser li denti,
e quel dilaceraro a brano a brano ;
129 poi sen portar quelle membra dolenti
Presemi allor la mia scorta per mano,
e menommi al cespuglio che piangea,
132 per le rotture sanguinenti, invano.
« O lacomo, dicea, da Sant'Andrea,
che t'ò giovato di me fieure schermo?
135 che colpa ho io della tua vita rea? »
Quando il maestro fu sopr'esso fermo,
disse : « Chi fusti, che per tante punte
138 soffi con sangue doloroso sermo? »
E quegli a noi : < 0 anime, che giunte
siete a veder lo strazio disonesto
IO, ove nel 1287 |^ axetini econflseero i ae-
nesi, ohe si rìtinTaiLO soli per la Tia più
Viere della vai di Ghia&a, inveoe di battere
quella di Montevaiohi insieme ooi floxentini
loro alleati (cfr. Q. Wlani, Or. vn 120).
Qoanto alla espressione dantesca, il Basser-
mann, p. 811, vi nota nna « amara ironia »,
perch6 in questo scontro « i senesi avevano
a loro danno espedmenlato che la goerra
non vuole essere condotta come nn Mvolo
torneo »; ma potrebbe anche essere stata sn^
gerita dalla cofls a corpo a corpo, che do-
vette soooedere, per l' improvviso osdre de-
gli aretini dall'agguato ove aspettavano i se-
nesL — 122. fallfa: mancava, veniva meno.
— 128. di stf ecc. si nascose avvolgendosi den-
tro anncespogUo, si da formare con esso quasi
un nodo: ofr. W- xmn 97. ~ 126. ntre ca-
gane : Buti : < Queste cagne litteralmente si dee
i ntendere che flnfln«n l'autore che fossono di^
moni posti a tormento di questi peccatori >; e
veramente hanno rispetto agli scialacquatori
lo stesso officio ohe le Arpie rispetto ai suicidi.
— 126. eeiM veltri ecc. come i cani disciolti
di recente dalle catene : paragona cotesto ca-
gne al veltri per mettere in rilievo la loro
velocità; poiché, come dice nei Oonv. t 12
« bontà propria nel veltro è bene correre ».
Da un sonetto attribuito a Dante il Tonaca
cita il verso; «E di guinzagli uscir veltri cor-
renti». — 127. quel che s'appiattò: Giacomo
da Sant'Andrea, il quale s' era nascosto nel
oeqiuglio, che albergava l'anima di un suicida.
— 131. piangea ecc. inutilmente piangeva a
cagione delle rotture, dalle quali colava il san-
gue; poiché le cagne nel Due strazio déQ' ani-
ma d^o scialacquatore non avevano rispar-
miato il cespuglio del suicida. — 133. dleea:
chi parla ò un suicida fiorentino. — 134.
schermo I difesa, riparo. — 137. tante pas-
te: cime di ramoscelli spezzati dalle cagne.
— 188. sofli eco. mandi Itiori gocce di san-
gue e parole di lamento ; e usa il vb. tof-
fian per indicare il gorgogliare del sangue
fktto pi6 vivo dall'usoire delle parole. — 139.
E quegli ecc. Chi sia il fiorentino che Dante
incontra fra i suicidi non seppero con certezza
né pur gli antichi commentatori, anzi Benv.
osserva che non si pud congetturarlo perché
« multi fnerunt fiorentini qui suspenderunt se
laqueo eodem tempore ». B BambagL, il Lana e
l'An. fior, dicono ohe si tratta di Lotto degli
Agli; il quale fb giudice in Bologna nel 1266 e
nelle Marche nel 67, uno del mallevadori
guelfi nella pace del card. Latino del 1280,
priore in Firenze nel 1286, capitano del popolo
a Cremona noi 77, a Modena noli' 82, podestà
di Trento nell' 87, di Cremona noli' 88 e di
Pistoia nel 1290; di lui si nana che « aven-
do renduto uno consiglio falso et essendo
stato condannato per questo vituperevolmen-
te, se ne pose tanto dolore a cuore eh' egli
tornato a casa sua per disperazione s'impiccò
per la gola » : inveoe l'Ott. il Buti e altri di-
cono cotesto suicida essere Boooo dei Mozzi,
« il quale poi ch'ebbe distrutta la sua facultà
per dolore e per disperazione s'appicoé per la
gola in casa sua ». Che si tratti di quesfnl.
timo parrebbe confermato dai v. 146. — 140.
lo strazio ecc. Virgilio, J^ vi 497, di Dei-
INFERNO - CANTO Xm
99
141 o'ha le mie fronde si da me disgiunge,
raccoglietele al piò del tristo cesto.
Io fili della città che nel Batista
144 mutò '1 primo patrono ; ond' ei per qiiesto
sempre con l'arte sua la farà trista:
e se non fosse che in sol passo d'Amo
147 rimane ancor di lui alcuna vista,
quei cittadin, che poi la rifondamo
sopra il cener che d'Attila rimase,
avrebber &tto lavorare indamo.
151 Io fei giubetto a me delle mie case >.
Cobo: < tt tnmcM inhoneilo Tnliìcre naxm •
Qhon, 1179). — 142. trteto Mito I infelice
cetpi^lSo. — US. dtlà eoo. Fixenie ohe in-
isui al oristicneeiao rieonoecevm per protet-
ta» Unte, dio deUa giMnaCofr. O. '^Hllani,
0. 143), ebbe poi per protettole lan Oloran-
li BtfMeta. — 145. l'arte leai la guerra :
aDoMBe non tanto aidiaastd militali, qiianto
aOe lotte inteme. — 146. t te nen feaie
tee. Q. volani (Or. 1 43, 60, n 1, m 1, xi 1)
neoonta le rioende di una itatoa Innaliata
4ai iamitini al dio Marte; la quale, oonTer-
tita la città al frriatJaneBimo, tu. ooUooata so-
pB una tocre pieaso l'Amo e nella distm-
xioae della città per opera dei barbari Mgit-
tata nel ifaiaie: r^peecata neU'801, ta posta
la capo dal Pont» Teooblo, e Ti rimaae tino
al laaS, teetiaMme delle diaooidie cittadine e
érifueoiiiaBe di Buoodelinont» (efr. Bit, zyi
M6). Boa è inutile arreitire òbe, eeoondo il
Bnitebon, (h9oh,9(mFhrmx,I 748eiegg.,
hfiuUiea iBagine di Marte farebbe itata una
•trtu trrr***** in onore di Teodoxioo o di al-
ti» re gotoé — sul pMse i'Anet sul Ponte
Teeehio; a poca distania da questo e predsa-
watB «in capo del P(ate Rubaconte [ora alle
etaóe] di là da Ano» arevano le case 1 Mol-
ti, xkca e potente fionigliadi grandi di parte
|iel& (O. VUL, Or. m 43); si ohe sembra pid
■staiale in bocca di Becco de^Moad òhe d'ai-
tò fl rioeido deUn statua di Marte, eh'ei do-
Tpva aver anruta spesse Innanxi agli occhi
|er la Tietnaa» aUe sue case. — 147. uleuua
ilBtot qnalelke resto Tliibil»| la .e pietra sce-
ma» (Air. xvx 146). — 143. «nel elttodln
eco. Fra le leggende italiche di distruzioni fe-
roci delle nostre dttà fette da Attila re de-
gli Unni corse nel medioeTO un racconto f a-
Toloeo, secondo il quale Attila nell'anno 450
sarebbe venuto con ventimila uomini a ven-
dicar Oatilina, riamando Fiesole distratta e
abbattendo Firenze (B. Malaspini, St, fior.^
capp. 20 e segg.): questa leggenda, nella
quale si confonde Attila oon Totila re dei Qoti,
che nel 643 Ibce assodlsr Firenze dai suol
capitani, era molto diffusa ai tempi di Dante
e solamente la critica storica posteriore potò
mostrarne la fklsità (si veda il disoorso di
y. Boighini, Se Pìr. fié api«nata da Attila
eoo. nei suoi Dùooni Firenze, 1684, e si cft*.
D'Ancona, StiMUdierU.*aloriateU,,jip,3^d'
880). — pel la rlfoadamot rìoostruirono
Firenze, ai tempi di Carlomagno (ofir. Mala-
spini, 8L fkr, cap. 45, G. VUlani, Or, mi,
Boighini, 1. cit). — 150. avrebber eoe : per-
che, come scrive il Villani, O. in 1 < dioesi
che gli antichi avevano opiiiione^ che di rifiwla
non s'ebbe podere, se prima non tn. ritrovata
e tratta d'Amo l'imsf^ di marmo conseora-
ta per li primi edificatori pagani per nigro-
manzia a Marte, la quale era stata nel fiomo
d'Amo dalla distrazione di Firenze infine a
quello tempo >. — 151. le fel eoo. Io mi im-
piccai neUe mie case ; poichó giubetto^ frane.
gibd significa /broa, patibolo (Diaz 166, Zing.
125); o è, secondo altri, l'odificio dove in Pa-
rigi si eseguivano le g^ostizie.
CANTO XIV
Dante e Vlncillo entrano nel terzo girone, costituito da nna landa de-
•ertàt aelU qnale i violenti contro Dio sono esposti a nna pioggia di fiamma ;
e prlm» Ineontrano eoloro ehe esercitarono la loro violenza contro r essenza
di IMo, eloè i dispregiatori del nome divino, tra i qaali è Capaneo, e mentre
proeedoBO Yirgflio spiega a Dante T origine de' flnmi infernali [9 aprile, ore
tttiaeridiaae Terso l'alba].
100
DIVINA CJOMMEDIA
Poiché la carità del natio loco
mi strinse, raunai le fronde sparte,
8 e rende* le a colui ch'era già fioco.
Indi venimmo al fine, ove si parte
lo secondo giron dal terzo, e dove
6 si vede di giustizia orribil arte.
A ben manifestar le cose nuove,
dico che arrivammo ad una landa,
9 che dal suo letto ogni pianta rimuove.
La dolorosa selva Vò ghirlanda
intomo, come il fosso tristo ad essa:
12 quivi fermammo i passi a randa a randa.
Lo spazzo era un'arena arida e spessa,
non d'altra foggia faiìA che colei|
16 che fu da' pie di Oaton già soppressa.
0 vendetta di Dio, quanto tu dèi
esser temuta da ciascun che legge
18 ciò che fu manifesto agli occhi miei!
D'anime nude vidi molte gregge,
che piangean tutte assai mìseramente,
21 e parea posta lor diversa legge.
XIV 1. Poiché eco. Prima d'iucire dalk
Belva dei euiaidi per entrare noli* landa del
violenti contro Dio, Dante, mosso dal senti-
mento ili carità patria verso il suo oonoitt»-
dino suicida' (Lotto degli Agli o Boooo dei
Mozzi), racooglie, secondo oh' ei gli aveva
chiesto (cfr. Jnf, xm 142), le fronde dal ce-
spuglio in coi era incarcerata T anima di
lai. M. Schierino, Lechtra, p.*8: «Quanta
tenera tristoscza, quanta soave malinconia,
qoanta nostalgia in questa prima terzina,
connessa strettamente al precedente, ma me»*
sa invece qui, in principio del nuovo can-
to, quasi una di quelle battute di preludio,
con cui i grandi musicisti sanno, al comin-
ciar d^un nuovo atto, richiamar tutto un
passato e disporci 1' animo a nuova mesti-
zia I >. — 8. era già fioco: era già silen-
sioso, non parlava più. — A. Indi eoo. Per-
venimmo al confine, ohe divide il secondo
dal terzo girone, e vedemnvo un modo orri-
bile di giustizia divina, cioè le fiamme che
piovevano dal cielo sopra i violenti contro
Dio. — 7. cose naOTe : o£r. Inf, vn 20 : « nuove
travaglie e pene». — 8. landa: pianura
aperta; ofr. Pitrg, zxvu 98. — 9. dal sio
letto eco. dal suo piano rimuove qualunque
specie di alberi, non lascia crescere alcuna
pianta. -^ 10., La dolorosa ecc. Come il
fiome di sangue dei violenti contro il pros-
simo gii» intomo alla selva dei suicidi (Jnf,
n 62), cosi la selva circonda, a guisa di
ghirlanda, il piano dei violenti contro Dio.
— 12. » randa » randa : Butl : < rasoits
rasente la rena, perché in su la pianura non
potavano scendere, perché v'era fuoco, come
manifèsta ora >: randa pare certamente deri-
vato dal ted. nmd, margine, estremità (Diea
268). — 18. spaiso: suolo; Boxgh.: «Koi
abbiamo tpaxio e apaxxo, diversi di dire o
di significato ; il primo importa itUeroaUmi^
il secondo tolum »: cfr. Purg. xni 70. — 14.
«elei ohe tm eco. quell' arena ohe fri calcata
dai pedi di Oatone, allorché guidava per i
deserti della Libia gli avanzi dell'esercito
pompeiano per oongiungersi a Giuba re di
Kumidia: ofr. Lucano, JTfart, ix 882 e segg.
— 16. 0 vendetta eoe : ofr. Inf. vn 19 e
segg. — 19. anime nado : erano le anime doi
violenti contro Dio, tutti esposti alla piog-
gia di fuoco, ma in diversa maniera; poiché
alcuni giacevano supinamente (disprezzatoii
di Dio), altri sedevano raccolti (usurai) o
altri camminavano senza posa (sodomiti) sotto
la pioggia. Tutte le anime nell'inferno sono
nude (cfr. Jnf. ni 65, 100, vii 111, xm 116,
xvm 25 9oc); ma della nudità Danto « non
fa cenno se non colà dov* essa può riuscire
a render meglio sensibile e completo U tor-
mento, dove doò questo riusciamo a imagi-
narcelo più efficace, ricordando ohe pesa ap-
punto su animo nude > (Schoiillo, Lei, p. 18).
-Tf
INFERNO — CANTO XIV
101
27
80
86
89
Supia giaceva in terra alcuna gente,
alcuna si sedea tutta raccolta,
ed altra andava continuamente.
Quella che giva intomo era più molta^
e quella men che giaceva al tormenio,
ma più al duolo avea la lingua sciolta.
Sopra tutto il sabbion d*un cader len::o
piovenn di foco dilatate falde,
come di neve in alpe senza vento.
Quali Alessandro in quelle parti calde
d'India vide sopra lo suo stuolo
fiamme cadere infino a terra salde;
per ch'ei provvide a scalpitar lo suolo
con le sue schiere, per ciò che il vapore
meVsi stingueva mentre ch'era sole:
tale scendeva l'eternale ardore;
onde l'arena s'accendea, com'ésca
sotto focile, a doppiar lo dolore.
Senza riposo mai era la tresca
— 22. 8ifla: sapinamente; agg. in fdnziane
sTTvbiale, come in Inf, x 72, zzm 44. —
fflaf«T*: ofr. al r. 47 raooenno alla posi-
tua di Capaneo. — 23. ti Mdea: cfr. Inf.
xm 86, 45, 69. — 24. aadaTft: cfr. Inf. xv
17, 37 0OC. — 26. er* pltf molte: la sohieia
éà aodonùti era la più numerosa delle tre,
quella dei Tiolenti contro Dio era Invece la
jòA goccia. — 27. pid al dvolo ecc. come
oA mondo ebbero 1a lingoa pronta a bestem-
Bìaie Iddio, oosi nell'inferno l'hanno sciolta
ai lamenti e alle imprecazioni contro la pena.
— 29. plOTeaa eco. Non ò improbabile che
qui già una rimembranza biblica, del ftiooo
ehe picnrve sopra Sodoma {Omiesiy xix 24). —
3iX eMse ecc. BeH» e semplice comparazione^
ebe xiooidA le simili imagini di dne antichi
lÌBataxi, F. Ismera (VaL I 431): «Veder
toccar 1* nere senza venti», e G. Cavalf
canti, aon. xv : « E bianca neve scender senza
reati ». Note 0 Yentori 112 che « i suoni
aperti di qneato rerso eepiìmono la larghezza
dei ftocehi lentamente cadenti ». — 81. Qoàli
ileiaaadre ecc. Nella epistola di Alessandro
maguo ad Aristotele, D* sUu India$ et Uin»-
nm in ea tnstitaU (Lipsia, 1888, p. 208),
si xaooonto che dorante la spedizione nel-
r India cadde una rolta la nere in tanto co-
pia, che Aleesandro dorette tarla calpestare
éai soldati, e che poco dopo renne una straor-
iii^^Tia^ pioggia di facce, contro la quale egli
ocdind ohA ciascuno opponesse le sue resti :
Dante, di questi due fatti distinti, fu un solo,
Ione per arerne amto notizia indirettamente,
n(m dall'epistola, ma da qualche rifacimento
dei tanti che corsero ma medioero delle leg-
gende su Alessandro il l'irande (intomo a che
si consulti G. Farro, Richanhea aynr lu Mst,
fabuteuges i^Alexandre k grand in UUanges
d'hist. liti,, (Hnerra, 1866, roL II, e P. Meyer,
Alexandre U grand dant h liUéraiure franfoisA
du moyen age, Parigi, 1886), oppure, come
opina il Toynbee, iStoóvA^ I 86, da un passo
di Alberto Magno, D» Hetéoria^ i, 4, 8, or' ò
la medesima concisione., — 83. Inflae a ter-
ra salde s che si mantenerano unite, non
li oonsumarano sino a ohe erano giunte a
terra. — 84. sealpiter lo snelo ecc. a far
calpestare dai soldati le, fiamme cadute, per-
ché pia facilmente si suegnerano prima che
altre sopragiungessero Ctù cielo : ofr. la nota
al r. 81. — 87. tele eco. Venturi 589 : « Gli
accenti grari del rerso esprimono V inces-
sante e interminabile p'ioggia di faooo ». —
88. eom' dsea ecc. con quella facilità con la
quale s' accende l' ésca ijotto la pietra focaia
battuto dall' acciarino. Ili questo similitudine
si ricordò il Prezzi, Qtmidr. i 17 : «Si corno
l'esca al foco del focile^i >. — 89. focile: è
il nome che gli antichi (tarano all'istrumento
d'acciaio o aociarino, c(il quale percoterano
la silice per trame la sdintilla. — 40. Senza
riposo eco. Fanfani : « Chi spiega tresca per
baUirmnlo di mani mi sembra essere alci«n
poco lontano dal rero, perché quelle falde di
nere ò impossibile a scnoterle ria da sé bat-
tendo le mani insieme, e solo rien ciò fatto
menando, or qua una, < ir là un' altra mano^
lo-j
rrrrNA commedia
^fWf' mii-cre manii or qxundi or quinci
V iscotomio da sé r arsura fresca.
Io ooiufiicitti: «Maestro, tu che vinci
Lutt^ le coHe, fuor cbe i demon duri,
lo rh© aU'outiar della porU incontro uscinci,
chi è vjuol grande, ohe non par che curi
l'ine nai> ♦• giace dispettoso e torto,
JS si cli€ ìa r loggia non par che il maturi? >
E que't u.'d.^^.ao, ohe si fu accorto
cL'io diniMj('ava il mio duca di lui,
51 gi '' ' < Q^3,l io ftii vivo, tal son morto.
o Gì ove stanchi il suo fabbro, da cui
crti< efato prese la folgore acuta,
54 ondo 1" ultiiao di percosso fui,
) 8*o£;H stazi- }v gli altri a muta a muta
in Moi. Ribello alla fucina negra,
57 cliif*mai:*^) : * Buon Vulcano, aiuta aiuta',
d com' ei il e alla pugna di Flegra,
tì D e saetti di tutta sua forca,
CO non ne pcriobbe aver vendetta allegra».
'> 'i jH-:~. vna ove ;
U
f 'rene
•ivano;
', q nelle
1 V '1 j.n.t-, «; •' -; -e' <> .lili^
li V v ' /r*,*"!, t • ' ^•■^Tiiiift.
' ' . V 0» 'ii' . " ^rll'^eooiOi
^■u'ì. e* F.'i-'v re»: K p * :iipO|
. . - — * I*»'-'» ira f -dca:
i\. . ■,! .iiU re. - u. fa *reke
t*'\^' o^ 1 <v... .1 liii- s^i t rano
t n «;:' It ^:.' ^ ('e -A dttà
■ l ,i> ft!i bi*- ^n> r 'liu-o del
■ c!r. /»i/. \iu oi' 0 s >.-?., 1x76
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0 I .! A ^i ,r >t\ r*r(- -i
- t .te ff l'ia' -«o c«>iitr.
•. > <' ^: M^ '•' P a'^,>^*t*iv iJ
<!' . r " '.• i ro li pif»rrq a
•• ol.iwa--. » (T.'c^ IH 'jió;
n- ' • ^r'-o.-ì ( Ti ,1 '><:" .
1 *£ *• t t ^ f -' .1 > mo.
,. ' '' janoo *'"• \-*e r .-• r
v' '•'>li" tu:'' mara mt"'-;f\n:
, t. ■j'i^'J''''* 'il ' *^^; ^ '-^'' "■'
u ■;■-.' '.e ti'ìc 'I. t* jrt' * t ..it/
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o ra^ t,r ;^nta
-a ( m.» Bpre»-
.(lo c."L> effU
jir ìt», re e
: » \irtu8
w. f, più
« r*'ma8
^•"hi Uei re
air ali-
iKi' 'Vtti
Jv'o ed
.' • «so
fi . .età
b. «j;^;,rarfl ■^ tritio <iui
: ra
alla signiiloazione di domare, flaoosiB. — 61.
<)ial eoo. Oome M nella vita, ooef sono ont
dispreszatore degli dèi (Stazio, TMf, m 608:
« Saperam oontamptor et aeqni impatiens »).
— 62. Se GioTO eoo. Se Oiore eoagllMae
contro di me tatto le saette, che possono
fornirgli Vulcano e i Gldopi, non rinsoirebbe
a Tinoere il mio disprezzo. — 11 sio fiibbros
Volcano, figlio di Qiove e di Oinnono, seoofiido
la mitologia lavorava nella snafticinadeirfit&a
le saette per U re degU dòL — 65. §11 «Itrt : i
CSdopi compagni di Vulcano. — » auita %
mata t vicendevolmente, l' ano dopo t' altxo.
— 66. HoBflbello: nome medioevale del-
l' Etna, d'orìgine araba. Bassermann, p. 280:
« Kel nome popolare di MongibeUo invece di
Etna risaona ana nota realistica >. — 67. ekla-
mando eoo. invocando l' alato di Voloano, oo-
me già fece nella pngna contro i Giganti oom-
battata in Flegra. — 60. Tsaiett» alle^rms
osserva il Bati che « sogliono gli nomini mon-
dani quando fknno vendetta di loro nemici «-
vore allegrezza » e che « l'aotors parla seoondo
la condizione ddla persona introdotta, chó
quella di Dio non ò vendetta, ma giostizla ».
H. Scherillo, Lect p. 15 : < Oapaneo, porao-
niflcazione della forza materiale, non pensa.
Egli concepì Oiove a somiglianza soa, bru-
talmente forte, ma plebeo e grossolano; e non
potrebbe ora imaginare nn Dio immateriale,
senza passioni, impecoabilmente ginsto e
ineffabilmente misericordioso. Nella infinita
iattanza della soa forza, el fi compiace di raf-
flgurarselo omeeiato ancor», come allora che
INFERNO - CANTO XIV
103
Allora il duca mio parlò di forsa
tanto ch'io non l'avea d forte adito:
63 €0 Capaneo, in ciò che non s' ammorza
la tua superbia, se' tu più punito :
nullo martirio, fuor che la tua rabbia,
66 sarebbe al tuo furor dolor compito ».
Poi si rivolse a me con miglior labbia,
dicendo: € Quel fu l'un de* sette regi
69 ch'assiser Tebe; ed ebbe e par ch'egli abbia
Dio in disdegno, e poco par che il pregi:
ma, come io dissi lui, li suoi dispetti
72 sono al suo petto assai debiti fregi.
Or mi vien dietro, e guarda che non metti
ancor li piedi nell'arena arsiccia,
75 ma sempre al bosco li ritieni stretti >.
Tacendo divenimmo là ove spiccia
fuor della selva un picdol fiumicello,
78 lo cui rossore ancor mi raccapriccia.
Quale del Bulicame esce il ruscello,
che parton poi tra lor le peccatrici,
81 tal per l' arena giù sen giva quello.
gfi tooeft d' ascoltarne la laciilega sfida; per-
dò anzi lo ifida anooia, lo ingimia, lo bef-
ftggìa xkozdandQgli impugna di FUgra e lap-
pmeatandolo nell'atto ridicolo di racooman-
iaxA al iman Vuleamo con grida di fanciullo
ifarentato : aiuita^ oMa / E lo sfiderà e lo
WEBggetà in etamo. Cosi, dall'nna parto egli
li cenpiaoe d' imaginare e Qìore 9 H mto
fàtn e i Ciclopi tatti aitàcoendati, trafelati,
Éanekif nel fabbricar nnove folgori nella fu-
ma negra di Mongibello; dall' altra Ini, Ini
nlo, TinTincil^, oibe non gli promette nn'o^
bgn vendétta ». — 61. ÀUor» eoo. La ra-
fios» Oman* condanna l' empietà, e però Vir-
gilio •* accende di sdegno al parlare di Ca-
paaeo, e gli risponde con nn ammonimento
•ereiD. — 68. 1b elò eoe. nel fatto che la
tia empietà continua ad agitarti, ta trovi la
maggiore delle pene, poiché nesson' altra sa-
zskbe proporzionata al tao furibondo peccato
fsanto fl perdoraie della toa rabbia impo-
tnt». — 67. MB miglior labbia: con aspetto
{i6 benevolo ; sol significato del nome labbia
di. I%erg, zzm 47. — 68. Quel eoe. I re
OGllflgati per tog^re a Eteoole il regno di
T^ finono Oapaneo, Adrasto, Tideo, Ippo-
Mdcnte, Amfiarao, Partenopeo e Polinice. —
(9.asitscr: assediarono; ò dal vb. OMuidre,
bt oMiarv. — 71. Ini : cfir. la nota all'In/'.
I 8L ~ 72. aemo ecc. sono gli ornamenti
cà» meglio oonTeogono alla saa condirione.
- 7& ATCSlvat: %ai e in Inf, znu 68.
Pusrg, m 46 il Tb. dimntire significa wnkn,
giungere, non senza accennare anche il laogo
onde il soggetto mnove. — 77. flamleello eco.
É Flegetonte, ohe dopo aver aggirato intomo
il primo girone passa, per mezzo al secondo
ossia alla selva dei soicidi, nel terzo girone:
c£r. V. 124 e segg. — 78. lo evi rossore eoo.
Tomm. : « Orribile a vedere qnel sangue tra
il fosco della selva, il rosso del ftiooo, il gial-
liccio della rena». —79. Quale del Bnlleave
ecc. : paragona n flamleello infernale al pic-
colo corso d' aoqoa rossiccia e bollente, che
esce dal Balicame, sorgente termale non
lungi dalla città di Viterbo; dal quale corso
d' acqua U peoeatrid^ o meretrici come spie-
gano quasi tutti 1 commentatori, a qualche
distanza dal suo principio, solevano deriva-
re r acqua raffreddata ai loro bagni privati.
La cosa doveva essere notissima nel medio-
evo, quando le sorgenti termali di Viterbo
erano molto frequentate (il Bulicame d ricor-
dato da G. Villani, O. i 61, datt'Uberti,
Dia. ni 10, dal Prezzi, Quadr, n 16 ecc.), ed
ò accertata da uno statuto viterbese del 1469,
ove è prescritto che e se vogliono bagnarse,
Tadino diete meritrioi nel bagno di Bulicame > :
si veda in proposito I. Ciampi, Un munioipio
italiano ncU' età di Dante Al,, Boma, 1865 ;
A. Corradi, Stufe e bagni ealdi nel medioevo
in Rendiconti del R, Mituio lombardOt serie 2*,
tom. XXn, pp. 662-665; B. Murari, KoU
dmteeehef II , Begi^o Emilia, 1886; t fl
104 DIVINA COBIMEDIA
Lo fondo suo ed ambo le pendici
fatt'eran pietra, e i margini da lato:
84 per ch'io m'accorsi che il passo era liei.
€ Tra tutto l'altro ch'io t'ho dimostrato,
poscia che noi entrammo per la porta,
87 lo cui sogliare a nessuno è n^ato,
cosa non fu dagli tuoi occhi scorta
notabil come lo presente rio,
90 che sopra sé tutte fiammelle ammorta >.
Queste parole fdr del duca mio ;
per che il pregai che mi largisse il pasto
93 di cui largito m'aveva il disio.
€ In mezzo mar siede un paese guasto,
diss'egli allora, che s'appella Creta,
96 sotto il cui rege fa già il mondo casto.
Una montagna v'ò, che già fu lieta
d'acque e di fronde, che si chiamò Ida;
99 ora è diserta come cosa vietcu
Bea la scelse già per cuna fida
del suo figliuolo ; e, per celarlo meglio,
102 quando piangea, vi &cea far le grida.
Dentro dal monte sta dritto un gran veglio,
Bassennann, pp. 291-294. — 82. Lo fondo « sotto cai giacque ogni malizia morta » (Bxr,
eoe. : il fondo, le due sponde e i margini la- xn 26), oon manifesto ricordo delle parole
torali del Home Flegetonto erano divenuti di di OioTonale, Sat, vi 1 : € Credo pndicitianL
pietra. — 84. 11 passo eco. il luogo ove pas- Saturno rege moratam In tonis », o foxBe
sarò era nei margini laterali, tra il corso del anche di Virgilio, EM. vm 824 : e Aurea quae
fiume sanguigno e l' arena infocata. — Ilei : perhibent, ilio sub rege ftierunt Saeoula : sic
U, lat. mio : è anche in Purg, vn 64.-86. placida populee in pace regebat >. — - 99. ora
la porto eoe. la porta, della quale tutti pos- eco. adesso ò abbandonata come sogliono es-
sono liberamente varcare la soglia per entrar sere i luoghi guasti dal tempo. — 100. Bea
nell' inforno : cf^. Inf, m i e segg. — 87. so- ecc. Bea o Cibele, moglie di Saturno, al quale
filare: voce raramente usata invece della partorì Qiove, Nettuno e Plutone, per sot-
più comune forma soglia (Inf. ix 92, Purg. trarre Giove al padre che lo avrebbe divorato
iz 104 ecc.). — 90. ehf sopra §é ecc. che come i figli precedenti, lo fece nutrire segre-
spegne per mezzo delle sue evaporazioni (cf^. tamente sul monte Ida, nascondendo i vagiti
Inf. zv 2-8) tutte le fiamme che vi piovono e le grida del bambino con il fhigoroeo suono
sopra (cfr. v. 142). — 92. ehe mi largisse di strumenti che ftwevano i Caroti, al quali
eoo. come aveva susdteto in me il desiderio ella lo aveva affidato: cf^. Virg. En. m 111 :
di conoscere che cosa di maravigUoso fosse < Hinc Mater cultàx Cybeli, Oorybantlaquo
in questo fiume, cosi lo sodisfacesse. — 94. aera, Idaeumque nemus : bino fida silentia
la messo nar ecc. La descrizione che segno sacris Et iuncti currum dominae subiere leo-
dell' isola di Creta e del Monte Ida ricorda nee». — 108. «a graa veglio: l'idea di
parecchi tratti di Virgilio, £H. m 104: « Creta questa statua del veglio di Creta può essere
lovis magni medio iacet insula ponto; Mons stata suggerita a Danto dal ricordo della
Idaous ubi, et gentis cunabula nostra». — Statua apparsa in sogno a Nabucoodonoaor
guasto : disertato e rovinato, por esser state re di Babilonia, secondo il racconto biblico
nel volger de' soccli guaste le cento città che {Daniele^ n 81-83) : t Ecco una grande sta-
anticamente vi sorgevano; Virg. En. ni 106: tua, il cui splendore era eccellente, era in
e Centum uibes habitant magnas, uberrima pid e il suo aspetto era spaventevole. B capo
regna ». — 96. sotto il cai rege ecc. Ao- di questa stetua era d' oro fino ; il suo petto
oennà ai tempi di Saturno, primo re di Creta, b le sue braccia d' argento ; il suo ventre •
INFERNO - CANTO XIV
105
105
108
111
lU
117
che tien volte le spalle in vèr Damìata,
e Roma guata si come suo speglio.
La sua testa è di fin oro formata,
e puro argento son le braccia e il petto,
poi è di rame infino alla forcata;
da indi in giuso è tutto ferro eletto,
salvo che il destro piede è terracotta,
e sta in su quel, più che in su l'altro, eretto.
Ciascuna parte, fuor che l'oro, è rotta
d'una fessura ohe lagrime goccia,
le quali accolte fóran quella grotta.
Lor corso in questa valleTsi diroccia:
fanno Acheronte, Stige e Flegetonta;
poi sen van giù per questa stretta doccia
infìn là dove più non si dismonta:
fanno Oocito; e qual sia quello stagno,
Io suo cosce di nme; !• sue gambe di fono, venae peioxii in aernm Omne nefas : Ihgere
saoi piedi, in paite di feiro in parte d*ar- . pador, venunqae, fidesqne; In quorum su-
pìì^». Intorno al significato allegorico del
TB^io di Creta, i commentatori, sebbene di-
scordi qnanto ai particolari, convengono qnasi
tatti Dell* idea che simboleggi il cono del-
r aauuiità nelle sne yarìe età e il progresslTO
peggioramento dell'uomo: le la^pcime, delle
quU si formano i fiumi infernali, significano
i Tìd che conducono le anime alla perdizione;
la Ignz» Tolge le spalle verso l'oriente, per
ìidieaxe il corso seguito dall'umanità nel
processo della sua storia, o il passaggio della
ESfcana autorità dalla monarcbia assira al-
F iopero romano ; e finalmente i due piedi
«ywifii^mnft le due podestà, quello di terracotta
k spirituale e quello di ferro la temporale.
" lOL DaMiaU : città dell' Egitto, sovra
US dsOe foci del Nilo, posta qui a indicare
rOrieate, come Boma sta a indicare l' ooci-
iaito. — 106. spedilo: specchio; cfr. Ftxr.
nx 83. — 106. La sua tette ecc.: simbolo
éàbL prima età, dell'oro ; Ovidio. Mei. i 89 :
« Aurea prima sata est aetas, quae vindice
BoDo, Bponte sua, sino lege, fldem rectomqne
cdebat » eoe : cfr. Purg. xxn 148. — 107.
• pare argeato ecc. simbolo della seconda
eti. dell' argento ; Ov., MeL x 113 : « Fost-
<taasi, Satamo tenebrosa in Tartara misso,
Sub love mondua erat : subiit argentea pro-
les, Auro deterior, ftdvo pretiosior aere > ecc.
— ICS. pel è 41 rase ecc. : simbolo della
tsnaetà, del rame; Ov. MeL 1 125: e Tertia
post illaa soocessit aenea proles, Saevior in-
ipanw, et ad horrida promptior arma; Neo
sosienta tamen >. — forcata: 1* inforcatura,
qadk parte ove il tronco si divide negli
siti inlériorL — 109. da indi ecc. simbolo
della quarta età, del ferro; Ov., Met, 1 127:
« De duro eat ultima ferro. Protinus irrumpit
Mere locum fìraudesque dolique Tnsidiaeque
et vis et amor sceleratus habendi >. — 110.
Il destro piede eco. Sul valore simbolico del
due piedi non s'accordano i commentatori,
ohe pur vi riconoscono l' idea della Chiesa e
dell' Impero ; il Buti p. es. dice che « il piò
ritto ch'era pur di terracotta» significa il
governo spirituale che «si solea fare con '
clemenzia et umanitade », e 1* altro significa
il governo temporale che «faoeasi con la
spada della giustizia, e però finge che fosse
di ferro >: invece Benv. dice che la Chiesa ò
simboleggiata nel piede di terracotta, perché
dall' umiltà e povertà primitiva era passata
agli ornamenti e alle ricchezze dopo la do-
nazione di Costantino, e l'Impero ò simbo-
leggiato nel piede su cui meno si posa la
statua, perché la sua autorità andò sempre
diminuendo. — 112. f aor ehe Poro : perché
nell' età dell' oro il mondo fu senza vizi. —
114. le qnall ecc. le quali raccogliendosi ai
piedi della statua perforano la grotta entro
cui essa sorge : queste lagrime sono il sim-
bolo delle colpe umane, ohe vanno tutte a
finire nel tristo buco, « ohe il mal dell' uni-
verso tutto insacca » (Inf. vii 18). — 115. si
diroeeia : si precipita da una rupe a un'altra
dell' inferno. — 116. Acheronte : cfr. Inf.
m 71. — Stige : cfr, Lif, vn 106. — Flege-
tonta : è certamente « la riviera del sangue >
dove sono immersi i violenti contro gli altri
{Inf. xn 47), la quale poi spiccia fuor della
selva dei suicìdi nel girone dei violenti contro
Dio. — 117. doccia: gora, condotto; cfr.
Inf. xxra 46. — 118. là dove eco. nel fondo
dell' inferno, al 'centro della terra oltre il
quale non si scende piti, ma si passa nel-
r omisforo australe. — 119. fanno Oocito ;
106
DIVINA COMMEDU
120 tn il Tederai, però qiii non si conta >.
Ed io a lui : € Se il presente rigagno
sì deriva cosi dal nostro mondo,
123 perché ci appar pnre a questo vivagno ? >
Ed egli a me: € Tu sai che il loco è tondo,
e, tutto che tu sii venuto molto
126 pur a sinistra giù calando al fondo,
non se' ancor per tutto il cerchio vòlto ;
per che, se cosa n'apparisce nuova,
129 non dèe addur maraviglia al tuo volto >•
Ed io ancor : € Maestro, ove si trova
Flegetonte e Lete; che dell' un taci,
182 e l'altro di' che si fa d'està piova? ;►
€ In tutte tue question certo mi piaci,
rispose; ma il hoUor dell'acqua rossa
135 dovea hen solver l'una che tu facL
Lete vedLrai, ma fuor di questa fossa,
là ove vanno l'anime a lavarsi,
138 quando la colpa pentuta è rimossa ».
Poi disse : € Omai è tempo da scostarsi
. dal hosco ; fa che di retro a me vegne:
li margini fan via, che non son arsi,
142 e sopra loro ogni vapor si spegne >.
cfr. Inf, xxDi 22 o 9»^, — ^i. Ed lo eoo.
Dante che aveva già visto Acheronte e Stige,
si meravìglia di non aver visto prima d' ora
ii fiomicello apparsogli all' orlo del terzo gi-
rone, che egli crede diverso da Flegetonte,
e del fatto chiede spiegazione a Virgilio. —
rigagno : rigagnolo, piccolo corso d' acqoi^;
si ricordi che al ▼. 77 l' ha già detto « on
picciol finmicello » e al v. 79 l'ha paragonato
al < ruscello » del Bulicame. — 123. vlTagno :
cosi dicesi propriamente l'estremità o cimosa
dei tessati ; ma Dante l' osa in senso di
estremità in genere, riferendolo qui alla selva,
in /«/*. XXIII 49 alla ripa d'una bolgia e nel
Purg. XXIV 127 ai margini della via. — 124.
Ed egli ecc. Virgilio risponde che nel loro
viaggio non hanno sinora percorso che una
parte della linea circolare, ch'essi vanno de-
scrivendo di mano in mano che scendono;
porciò non deve meravigliare il fatto d' in-
contrare cose non viste ancora. — 11 loco è
tondo : r inferno Ò costituito da nove cerchi
concentrici, di ciascuno dei quali i poeti per^
corrono una parte volgendo sempre verso si-
nistra. — 125. molto: perdio sino a questo
punto essi hanno percorso circa due toni del
loro giro circolare. — 126. pvr a sinlitrs ecc.
scendendo solamente verso sinistra : infatti
due sole Tolte nel loro viaggio per l'iatemo
Virgilio e Danto piegano vano deatra (cfr.
Inf, IX 1S2, xvn 81), riprendendo quasi su-
bito il cammino normale. — 132. éttA plora:
le lagrime del veglio. Dante, nell'interno del
verso, usa sempre la forma più comuno pio^
già; piofxt^ che pur ò di antiche tciittQre to-
scane, Ò solo in rima (Parodi, Bull, m 100).
— 184. 11 boiler eco. il sangue bollente in
questo fiumicello che tu vedi avrebbe dorato
farti intendere eh' esso Ò il Flegetonte, che
vuol dire appunto il fiume ardente; nozione
che Dante, senza pur sapere di greco, potova
avere per il passo virgiliano, En. vi 650:
« Quae rapidus flammìs ambit torrentibas
amnis Tartareus Phlegeton »: ofr. (^oredoni,
Osgervaxioni orUiehó intorno alta queation» m
DanU aapeaae di grtoo^ Modena, 1860, e P.
Toynbee nella Bomamia, voi. XXVI, pp. 537-
654. — 136. liete: cf^. Purg, zxvm 121 e
Begg. ; poiché Dante pone il flome dell'obblio
nel paradiso terrestre. — 188. 1» colpa eoo.
il peccato commesso ò tolto via con la peni-
tenza. ~ 141. 11 margini eoo. 1 dossi d^le
rive, che non sono coperti d'arena infocata
né sopra vi cade la pioggia di fiamma, ci ea-
ranno strada e potremo passarvi sa senz'ee*
sere offesi.
INFERNO - CANTO XV
107
CANTO XV
Coniiiiiuuido il lof# oanmino nel tono girone, Virgilio e Dante incon-
trano Ift Bcliiera dei riolenti contro natura, cioè dei lodomiti : tra essi Dante
riconoeee Brunetto Latini, il quale accompagnandosi a lui gli predice futuri
arvenimenti della sua Tita e gli manifesta la condizione di alcuni dei suoi
compagni, Priaciano, Francesco d'Accorso e Andrea de* Koisi [9 aprile, ore
antimeridiane Terso Talba]. ^
Ora oen porta l'un de' duri margini, '
e il fummo del rusoel di sopra aduggia
3 ai die dal £000 salva l'aoqua e gli argini
Quale i fiaramiiìghi tra Guiazante e Bruggia,
temendo il fiotto ohe y6r lor s'avventa,
G fumo lo achermo, perché il mar si faggia;
e quale i padovan lungo la Brenta,
per difender lor ville e lor castelli,
9 anzi che Chiarentana il caldo senta:
a tale imagine eran fatti quelli,
XV 1. Ora «ta ptrte «oc Beooado Tat-
TwtiMento 4«to4aViigiUo»Duit0(Jii/.ziY
lS9-ua), I Aw poeti airanzando nel tmo fi-
rn» niMihìiiitr mi doae d*iino degli aigini
4 TIegatoaits, !• cai owÌBrtnnl funo ettìat-
gwn 1» Èmmm» jiaymii d che non anivano
•sB «sini # al eono del ftame. — 2. tmmmt
'vaporo, OBalariime aerilòme. — advfglas fa
«Óia, fa oaibia, adomtea; ofir. Bay, ix 4à,
- 4. ^ale eoe. A dar» im'idia de^ aigini
di Ptagetonte Dante U paxagona, quanto aUa
Ina, alle dighe elie nella Fiaadta eono op-
poete al aaie, e agli argini eretti dai pado-
TBai tango il tnme Brenta. — tra gaUsaate
e Brafflat WiMaat (jpaeae a poca dUrtanta
da Oriaìa, a oooidente della Fiaodia, lieexw
dato eoi nane di Onìzzanle anehe da Q. Vil-
hai, Or. zn 08) e Bngea (oittà notissima, a
oiisat» deBa Fiandra) segnano più tosto i
eonfai geogcaiei della Fiandra che i tannini
esbead deUa gian diga fiamminga ai tempi
tf Danto: cfr. BtOL I 40, UÀ. Bl ò aedato
che Dante possa esseisi qdnto nelle sue pe-
ngflnaiftoni iino al lido flaoimingo; am Ta
tsanto pseeonte ohe Quiszante, scalo assai
frequentato nel medioero dai fiorentini die
4i Ift aalparan» per Flng^tena, e Bmggia,
(itti ève I noatxi aivii?ano banchi e tnffleo,
teono InogU ben eonoeolati ai suoi tempi :
ai ogni nodo * da notsre ool Barbi, Bmli, I
106, che « le relazioni ecali, quando si possano
smiii'laie 1 dati oditi eoa qnalche dato nostro
putieoiBre ossorrato aUrove [qai, gli argini
dsUa Bkeota], poaaone sosoitare imagini ooai
▼t?e da assomigliare a quelle che son fratto
della nostea pn^tia osasmrasione >. — 6. il
tette eco. i flotti del mare eco.: anche G.
Vili., O. zn 64 rieotrda le dighe o « argini
Iktti e alzati per fona, a modo del Po, alla
lira del mare per ripuare il flotto >. — 6.
Dune le eehennet erigono il riparo delle
dighe. — al fsfflat si ritiri; reminisoenza
virgiliana, En. n 627: < Nono rapidoa retro,
atqne aeeta revoluta reaorbens Sua, ftigit ».
— 7. t «naie 1 paierna eoo.: intomo alle
eoze oon le qnali il oomnne di Padova atten-
deva alla coetmzioBe e alla conservazione
degli argini della Brenta si veda la dotta me-
moria di G. Dalla Vedova, GU atrgini della
Brmia al tempo di DanU nel voL DatUe e
Adosa, pp. 77 e segg. : qni basti notare che
il poeta volle associare alle dighe fiamminghe
gli argini padovani per confermare oon nn
esempio italiano il eoo concetto. — 8. difen-
der s riparare dalle inoadarioni fluviali. ~ 9.
nad ecc. prima che le nevi diaciogliendoBi al
caldo primaverile faodano gonfiare la Brenta.
Sopra la OhiantUana sì disputò lungamente;
e si possono vedere in proposito F. Scolari,
La Chiarentana f lettere quattro, Venezia,
1B4S-44; F. Lnnelli, 8uUa voe$ Chiarentana
di Dante, Padorva, 1846 e Trento, 1864; F.
Land, Del BuUeame e della Chiarentana, Bo-
ma, 1872; 0. Dalla Vedova, op. cit, pp. 83-87,
96-100; li. Biooi, La Chiarentana di Dante,
Trento, 1896, e il Bassermann, pp. 428-430,
e 668. L'opinione più probabile è par sempre
quella de' pi6 antichi commentatori, dal Barn-
108
DIVINA COMMEDIA.
tutto che né si alti né si grossi,
12 qnal che si fosse, lo maestro fòlli.
Gi& erayam dàlia selva rimossi
tanto, ch'io non avrei visto dov'era,
15 perch'io iiidietro rivòlto mi foetó;
quando incontrammo d'anime una schiera,
che venia lungo l'argine; e ciascuna
18 ci riguardava, come suol da sera
• guardar l'un l'altro sotto nuova luna,
e si vèr noi aguzzavan le ciglia,
21 come vecchio sartor fa nella cruna.
Cosi adocchiato da cotal famiglia,
fui conosciuto da un, che mi prese
24 per lo lemho e gridò: « Qual maraviglia? »
Ed io, quando il suo hraccio a me distese,
ficcai gli occhi per lo cotto aspetto
27 si che il viso abbruciato non difese
^la conoscenza sua al mio intelletto;
e chinando la mano alla sua faccia,
80 risposi: € Siete voi qui, ser Brunetto? »
bag^I. A Beny., i quali per OhAanrmiama inte-
sero il territoiio del dacato di GaóiuEia, re-
sone che G. VUlani, Or. xn 67, e altri soxìt-
tori di quel tempo desi^iiìaiio appunto col
nome derivato di OhictrmUxna, — 11. titto
ecc. sebbene il oostrattore U facesse meno
alti e meno larghi : dnnqne gli argini del Fle-
getonte solo per la loro conformazione pote-
Tano esser paragonati alle dighe fiamminghe
e agli argini padoranL — 13. f nftl che si
fosse: si pnd intendere in due modi, o rife-
rendo qoesfe^ressione alla differenza di al-
tezza e grossezza tra gli argini del flome in-
fernale e le dighe fiamminghe e gli argini
della Brenta, oppure riferendola al maestro
ohe ooetrasse gli argini qnasi volesse dir
Dante: chiunque fosse colui che li costnus^
e oosi intendono i pid dei commentatori. —
Io maestro: e il costruttore degli argini in-
fernali ò Dio stesso, anzi un sol cenno della
volontà sua (cCr. Itif, xxzi 86, Par. zvm 19
eco.) : onde un modo ingenuo e grazioso di
satireggiare Peperà dell'uomo in conf^xmto
della potenza divina >; N. Zingarelli, Leetura,
p. 82. — 14. iOT'tra: dove fosse la selva
dei suiddL — 16. pereh' lo eco. per quanto
mi fossi rivolto indietro a guardare: c£r. Inf,
vm 121. — 16. d'anlAt uba sehlerA: erano
le anime del violenti contro natura (oft. Inf.
ZI 48-60), la schiera dei quali, oome giÀ ha
detto {Inf, xrv 24), « andava oontlnuamente >
ed « era più molta » che le altre dei violenti
contro Dio e Tarte. — 18. come suol eoo.
In questa similitudine che, come nota il Yen-
tuxi 210, « esprime Tacuto ilsscx de^ oocbi
per difetto di luce >, Dante raccoglie in po-
chi tratti ei&caai le imagini di due passi vir-
giliani, J^ VI 268: «DMUQt obscnri solasub
nocte per umbram... Quale per inoertam tn-
nam sub luce maligna Est iter in silvia », e
VI 462 : € adgnovitque per umbras Obscuram,
qualem primo qui surgere mense Aut videt;
aut vidisse putat per nubUa Innam ». — 21.
cove eco. Ventniì 876 : « Nella similitudine
del sartore, che già vecchio e difettoso di
viMa aguzza le ciglia per infilar l'ago, ogni
parola ò pittura». — 22. fasdglla: compa-
gnia, riunione di persone; nel qual senso è
anche in h^. zxz 88, detto dei falsari, e in
Flar. X 48, detto dei beati del quarto cielo :
si che r ironia, che alcuni trovano in questa
parola, rispetto ai sodonùti nemici della &-
miglia, non par che fosse nella mente di
Dante. — 28. ehe ni prese eoo. : i dannati
sono giù nello spazio sabbioso e i poeti sul
dosso degli aigini; perd il peccatore, ricono-
scendo Dante, non può prendevo ohe per il
lembo estremo della veste per richiamare la
sua attenzione. — 24. Qval Meravigli» : la
meravìglia di questo peccatore ò, non pure
di rioonosoere un concittadino, ma di vederlo
vivo nel regno dei morti. — 26. eotto aspet-
to: viso abbrustolito dalle fiamme, che pio-
vono dall'alto su questi dannati. — 27. difese :
impedi; cfr. Inf. vn 81, vm 128. — 29. e
ehlaando la mano ecc. abbassandomi tanto
che le mani giungessero all'altezza del suo
viso. ~ 80. ser Braaetto:. Brunetto Latini,
INFERNO - CAiTTO XV
109
£ quegli: <0 figlimol mio, non ti dispiaccia,
se ]Bbrttnètto Latini un poco teco
S8 ritoma indietro, e lascia andar la traccia >.
Io dissi lui: € Quanto posso yen preco;
e se yolete ohe con voi m'asseggìa,
86 £eu:ò1, se piace a costui, che yo seco >.
€ O figliuol, disse, qual di questa greggia
s'arresta punto, giace poi cent'anni
89 senza arrostarsi quando il foco il feggia.
Però ya óltre; io ti yerrò a* panni,
e poi rìgiugnerò la mia* masnada,
42 che ya piangendo i suoi etemi danni >•
Io non osaya scender dèlia strada
per andar par di lui; ma il ci^ chino
45 tenea, come uom che reyerente yada.
Is^ fi Baonaccono, nacque in Fimnxe Tar-
lo fl 1210: mgal put» goelfii «d esoroitd la
fwfwMloBO di botiio, zogando atti d' intoreas»
pabUiofS par Moaiplo nel 12Bi le eonrqniioni
tei gneli «Btìni e H connine di Hienxe:
ad 1280, lapffBeentando gli nomini di Mon-
tFvanU, ebbe parte nel ^lepaimtiTi della
geeoa eooiio Sena, e poi andò ambaaciatore
Mftonniini ad Alfonao X ze di Oastì^Iia,
ebtto air impero; tnoando da qneat* amb*-
noia si tiord inndto nelle arelitaze della
fvte guelfa, dopo la battaglia di Hoataperti,
«itaolòin Fianda. Dopo U battaglia di Be-
Mmto (22 fèbbcaio 1266), zitomò in patria
• fe eanoelBere di Chiido di Montfort (cCr.
6^, xn 119), Tieaxio in Toaoaoa per Oarlo I
4'Aagid, e poi del camnne di Firenze; nel
U80 Ita dei naBenradori ohe giurarono per la
|Bte goelCa roaMrransa del oapltoU della
pwa dBtta del cardinal Latino; dal 1282 al
1202 paitBclpd lazgamente al oonsigU deUa
nfobiUca, tiattando e diaootendo i pid fra-
nati iateféwi, nel 1284 Ite nno dei due lin-
dui dal ooflomne di Fiienxe a strìnger Tal-
ItSBsa oon. qnel di Oenota e Loooa contro
Rsa, nel 1287 Ik del Priori, e mori in patria
ael 12M, laecfando di sé gran funa: tanto
cbs pid tvdi 0, yuiani, O. Tm 10, soriyeya
di M-eke « fa gran flloaofo e Ib sommo mae-
«tae in ntoKioa, tanto in bene sapere dire
^M oQiqpene zlne Tolgari] coaie in bene dit-
tile [«ioè aerirere epiatele latine] : ^. fti comlnr
òstoce e maestro in digrossare i fiorentini e
tefi scorti im bene pariare e in aapere goidare
• leggete U nostra repnbbUea secondo la poli-
tiea >: fa ineomma il primo della serie glorioBa
M csMeOieri fiorentini ebe all'eaereizio della
pD&tlea congianBero lo stadio delle lettere,
■rie aeDA quale Firenze ebbe poi tra i più
gmii (Soteodo Sslntati eNlooold MachiaTeOi.
Sopra B. Latini si veda la monografia di T.
Svndby, DeUa Hta a tMUcpendiS, L., Fi-
renze, 1884; intomo ai saoi rapporti con
Dante, la nota al t. 86, sol sno peccato qneUa
al T. 108, e per le sue opere quella al t. 119.
— 88. traeelat è propriamente la fila, pdchd
l'uno dopo l'altro doreano camminare questi
dannati; come già yedemmo ikre ai oentanri
(ofir. Jh/. zn 86) e Tedremo fue ai seduttori
(efr. Inf. XYin 79). — 86. M*aaseggla} mi
sieda; dal yb. arnioo attiiden^ assidero (ofr.
Parodi, BM«.ini29).-87.qBaldiqaesta
eoo. i peccatori di questa schiera non possono
fermarsi, e obi si Senna un solo momento deve
poi stare cento anni senza potarri schermire
in qualunque modo dal f&oco.— 88. eent'aanit
aeoondo H Moore, I 168, è rimembranza del
virgiliano. Eh, ti 829: «Oentnm erant an-
noa... haeo littora dream >. •- 89. arrestar*
al: da rosCo, in significato di impedimento,
difesa (ofr. B^f. zm 117), U yb. ano§tarH
dorrebbe significare difmtdtr$i, aolkaniijrn;
da rosta, in aenso di yentaglio, dorrebbe y»-
lere come §vmU>larti, farti vento: ma il primo
aignlfioato, pid generico, pare qui il più op-
portuno. — feggia: ferisca, colpisca ; dal yb.
/tttiir*, al quale, e non a ftdére, appartengono
le forme dantesche usate in ^f. x 186, zym
76, ISirg, ix 26, xxym 90, Bir. zxxn 40. —
40. ti yerrò a'pannlt ti seguiterò di qua
aotto. — 41. masaadat compagnia, oomitiya;
ctt, Purg, n 180. — 43. non osaya eoe non
poteya scendere, a cagione del fbooo: si noti
questo uso del yb. oeors che per gli antichi
equiyaleya a fMtow, non includendo oiod al-
cuna idea di ardimento o audada : come nella
F. J/. zx 12: « E cosi esser l'un senza l'altro
oaa >, ecc. -^ 46. eoBM aom ecc. Dante te-
neva il capo chino per segno di aifettaosa
riverenza yexao Brunetto e per meglio inten-
110
^
DIVINA COMMEDU
Ei cominciò : < Qoal fortuna o destino
ansi Pultinio di qua giù ti mena?
48 e ehi è questi che mostra il cammino? »
€ Là 8U di sopra in la vita serenai
risposalo lui, mi smarrì' in una valle,
61 avanti die l'età mia lòsse piena.
Pur ier mattina le volsi le spalle:
questi m'apparve, tomand'io in quella,
54 e rìducemi a ea per questo calle ».
Ed egli a me: € Se tu segui tua stella,
non puoi fallire a glorioso porto,
67 se ben m'accorsi nella vita bella;
e s'io non fossi si per tempo morto,
veggendo il cielo a te cosi benigno,
60 dato t'avrei all'opera conforto.
Ma quell' ingrato popolo maligno.
derno le paiole. -^ i6. Bl eraUmelò eoo. Dm
domande lìrolge U Latini aU'AU|^hiari: ^
qiiale alBgolaie ftntnna o grada e^ vÌMS^
Tiro per V infoine e cM aia la ma foida; •
Dante liiponde inoonqplntaoMote alle dna do-
mande, aUa pDtlma dicendo d'umeiii amanfto
in nna Tallo, alla eeoonda obo per qnecte via
la ma goida lo lioondooora a oaaa: né Bru-
netto più ai cnra di aapera altro. — Qnal
fortna eco. Bicorda i veni di Viig. En, n
681 : « Sed te qni TÌTom caaoi, ago fue yU
dfleim, Adtoleilnt: pelagfaie yenia eRoiiboa
actoa An monita dirùm? an qnae te fortona
fiiiigat Ut trtatee aine eole domoa, loca tor-
bida, adlna? > — 49. Tito atremi: ofr. Inf.
TX 61. —61. STaatl eoo.: pxima d'easer gionto
alla metà della Tìta, al « ponto aommo di
qoesto aroo » (cfr. Inf, 1 1); poloàé lo amaiw
rimento di Dante è anteriore al 1800, anno
della Tiaione (cfir. Jhvff. zxx 124-188, zzti
84-88). — 62. Pn ter Mattinai la mattina
dell' 8 aprile inoominda il Tlaggio (ofr. Jnf,
I 1, 87); alla aera Dante e Vfagilio entrano
neU' infamo (Inf, n 1, 141), dq^ la mecz»-
notte peammo dal qoarto al qointo cerchio
(Jn/1 th 07) 0 Tarao ranroca del 9 ^ifle mno-
Tono dal acato al settimo (Mf. n 118). — lo
Telai le apslle i < il noti l'energia dall'eaprea-
aiono, die inchiodo adegno della Tita paaeata » j
Zingaralli, ImL, p. 84. — 68. «leetl m'np-
parret viigiUo, dM Dante non nomina mai
ai dannati, gli em appaiao mentre che « lo-
TinaTa in baaao loco » (cAr. Inf, 1 61). — 64.
0 rldieeml ecc. e per qoeeto cammino mi
riocndooe nel mondo di aopra, donde aaliiò
al pmgatorio e poi al dolo. — cai oaaa; tron-
camento più Ofloalo nd dialetti dell' Itidia ao-
perioie, ma non ignoto al dialetti toooani an»
come dimostrano i nomi di loogo e
qualche eeemplo di aoilttoii (cAr. Fazedl, BuXL
m 146). - 66. 8t ta Msnl tna slellat
Dante, wmb dica «gli afeeaao in Ar. zn 112-
128, stanato eaaando ti aole netta eoatsll*-
sionaddOsmlni, «lime pasgno digraaTlrtd»,
dal qoale egli lieonoseera « tatto il ine in-
gegno > ; • questa oostelìarione, aeoondo W
dottrine astRdogidie, predispone l'ocaM alla
adensa (cAr. la notn al Bit, jxa 118): psnid
gli antichi oosunsntatori intndoMle paiole
di Branetto nd aeiwo die Dante, acgneDèe
le indinarioni aTote per iaflnmira della oo-
atdladoBO dd Gemini, dorem rinsdve glo-
rioso per il i^Mie, e alooni aaahe, come il
Lana e l'An. ftor., accennano dM di dò il
Latini, oome amico deU'Alighiari, sTeaae già
nd mondo tetta U predislene. Ila eotesta fai-
teipKetadone aatnlogiea non è neoaaaaria,e
già il Booe. inteae rattamente qnesto passo
ssrirendo: «potrebbsd dire ser BkOMtto,
dceome nomo aeooito, arar eompieao in qoe-
sta Tita ^ costumi e gii studi deU'antoro
esser taU, die di lui d doTsase quello ferace
che esio gH dice > : e TOcasMAte ee il Latini
padaaae per astrologia la limitadone al suo
giudiaio, eaprcaaa con le parole die aegnone:
§é èm m*aeoorti ntUa wiia bella, non aTiebbe
ragione di eaaeie. — 66. glertoB* parla t
r immortalità. — 68. per tampat troppo pre-
sto eia morto il Latini, per arar aTuto agio
di conoscere i frutti deU' ingegno dlDantao
oonfortario a oontinuare l'opera delle sariruta:
inCitti nd 1294 U gioTina Alighieri nsa aTwa
diTuIgato ohe una parte ddle ano rima d'aiM-
r« e appena aTOTa penaato a un grande poa-
ma. — 61. ffoU maligna eoo. B popolo
fiorentino, dominato dall'aTariaia, dall'iuTidia
e dalla superììia, d oondderava come deiiTato
dal popdo flesolano commisto a poche ikuni-
INFERNO - CANTO XV
111
che discese di Fiesole ab antico
63 e tiene ancor del monte e del macigno,
ti si òakf per tao ben fàXy nimico;
ed è ragioni che tra li lasszi sorbi
66 si disconvien fruttare al dolce fico.
Vecchia fama nel mondo li chiama orbi,
gente ayara, invidiosa e superba:
69 da'lor costumi fa che tu ti forbi.
La tua fortuna tanto onor ti serba,
che l*una parte e l'altra avranno fame
72 di te; ma lungi fia dal bécco l'erba.
Faccian le bestie fiesolane strame
di lor medeeme, e non tocchin la pianta,
75 s' alcuna surge ancora in lor letame.
ffit di eoloiii xomani; • le Iflggende loll'oii-
gias deDa dttà xBOOontano obe, distratta tle-
■ote, fti Ibbbrioata ITizeiixe, « la qaale dttà
a èivcMu «npien, l'ima metà oomnnalmant»
fi gente fteoolaiia, e l'altra di gente romana >
(B. MBlMpiiìl, eap. 18; O. VUL, Or. i 88).
^68. t tIeB» eoe Booo.: tM moni», in
fMito xiatioo e aalvatioo; # M maoigtio, in
qoBte duo o neii pieglieToIe ad aloono li-
Wnle e «MI <wetirme »: non senza allnsio-
a», noondo il DaMormann, p. 47, alle care
ItMlne di azenaria o pietim serena. — 64. ti
il Dna eoo. Oiè dal ano eoadttadino Oiaooo
Dato ha aapvto U genende procedimento delle
lotte di parte, Im eoi eg^itesM) doveva eaeere
iB?Qlto (BiA VI 64 e iegg.X e da Fbxinata ha
■itflo aooeniMffa alle amarecze di che gli
toma eaMT notivo l'eiBio (IfiA X 79 e aegg.):
«a Branetto gli dice che delle sne grentore
pofikii^ sazà cagione la rettitodine dell'ani-
BB • ch'egfi staggirà tanto alle perseooiioni
digfi af¥eiiaaU quanto allo sdegno dei com-
mtà diparte. ~ 66. tra U lanl sorM eco.
«■e non oonriene ohe il dolcissimo albero
ed ieo ftnttiflchi tra i sorU d'sspro sapore,
eod a t» disceso di saagoe romano non s'ad-
fiee il TXTWO in meno alla dttadinania d'ori-
pw iflsolsiMi. — 67. Teaehla fasta eco. :
ddfforsshio antjfihtsslnio sol FiormikDÌti&-
ddfumtUm spiegailoil danno i secchi in-
vttpéd e cfonisti: secondo O. VUIsni, Or.
B 1, segofto da sltri, sarebbe nato daU' in-
pMo di Totila, il qoale per prendere la città
wtaóò m diro ai fiorentini che egli ToIeTa
«MBS loro aailoo e ocsf potè entrare in Fi-
na» • dMraggsda; secondo H Booo., Benr.,
Aa.aor.eoe. cotesto prorerbio avrebbe tratto
«igiBa dal tetto che i fiorentini si lasciarono
ilP«i>— a dal pisani, qnasdo questi rioopri-
nao di panno soartatto due guaste colonne
ii potido iiisndstD in dono al comune di Fi-
imae, oosa prsoiSo dell'aver goardate Fisa
dorante la spedizione delle Baleari (G. Vili.,
Or, rv 81). — 68. gente eoo. : cfr. Inf. vi 74.
— 69. fa che ta ecc. cerca di rimanere im-
mune; il vb. fortini, ripolirsi, nettarsi, qui
è tratto al significato morale di mantenersi
mondo. — 71. l'ina parti eoo. Scart., rias-
sunte l'intorpretasione comaneoosl tei Blan-
dii e i Ned desidereranno di averti dalla loro,
cercheranno di guadagnarti pd loro partito »,
aggiunge die < forse sono queste parole di
semplice aognrlo che pd rimase vano; e f<«Be
d pad dedoiie da queste psrde ohe ambedue
i partiti avessero veramente cercato di tirar
dalla loro un uomo tale come Banto ». Ma dò
sarebbe contro la storia e contro l' intenzione
dd poeta, e l'erronea interpretazione è nato
daU'esserai intasa la frase osw fam$ nd senso
di deddeisre, per dir cosi, a fin di bene, men-
tre esprime molto meglio l' idea dd desiderio
ohe i Neri ebbero die Danto oadeese in forza
loro, o dello edegno dd Bianchi quando più
tardi egli d separò dagli esulL Bronettoadun-
que vud dire a Danto: i tad avversari ti
deddereranno per eseguire le condanne pro-
nnnsiato contro di to, ma tu li avrai preve-
nuti abbandonando la dttà; e i tod compa-
gni di parto vorranno sfogare il loro sdegno
contro di te, ma tu li avrai già abbandonati
riparandoti a Verona, presso gli Scaligeri (cfr.
Air. zvn 61 e segg., dove è confermate que-
sto nuova intorpretazione): vedansi, ora, F.
Odagxosso, La pnéUxims di B. LaUmi in
Nuova AfiM,, a. 1896, voL LXVI, e L. Axo-
zio. I/onoro di Danto, Palermo, 1899. — 72.
■M long! eoe ma tu sarai sfuggito all'odio
degli uni e allo sdegno deg^ altrL < Tutte la
finse arieggia un proverbio »; Zingardli, Ltet,
p. 86. — 78. Faeelaa ecc. I fiorentini, derivati
dai fieeolaui, d strazino fra loro e non too-
ddno, se alcuno ancora ne sorge in mezzo d
loro vizi, l'uomo virtuoso nd qude riviva la
nobile stirpe dd romani, rimasti qui allor-
112
DIVINA COBfMEDIA
in cui riviva la sementa santa
di quei roman, che vi rimaser quando
73 fu fatto il nido di malizia tanta >.
« Se fosse tutto pieno il mio dimando,
risposi lui, voi non sareste ancora
81 dell'umana natura posto in bando;
che in la mente m' è fitta, ed or mi accora,
la cara e buona imagine patema
84 di voi, quando nel mondo ad ora ad ora
m'insegnavate come l'uom s'eterna;
e quant'io l'abbia in grado, mentre io vivo
87 convien che nella mia lingua si scema.
Ciò che narrate di mio corso scrivo,
e serbolo a chiosar con altro testo
90 a donna che saprà, se a lei arrivo.
Tanto vogl'io che vi sia manifesto,
pur dbe mia coscienza non mi garra,
93 che alla fortuna, come vuol, son presto.
quando Firenze, nido di malizia, ta edificata.
— 79. Se folte eoo. 8e U mio desiderio fosse
stato interamente esaudito, voi non sareste
ancora morto; poiché ho sempre innanzi alla
monte la vostra cara e dolce sembianza, qnale
io la vedeva nel tempo che voi vivo m'inse-
gnavate come Tnomo possa acquistare fiuna
immortale. — 82. la la mente eco. L'imagine
fitta nella mente ò di Virgilio, En, iv 4 :
« haerent inflal pectore vnltos verbaqne » ;
cfr. Zingarelli, p. 85 e Moore I S62. — ed or
mi aeeora: e ora la sembianza, il vostro
eotto aapttto mi pongo l'animo di dolore. —
84. ad ora ad ora: di tempo in tempo; lo-
cuzione avverbiale che ricorre anche in JW17.
vm 101, Par. xv 14. — 86. m'insegnaTate
ecc. Da questo verso alcnni moderni biografi
hanno tratto argomento ad affermare che Bru-
netto Latini fu maestro di Dante nelle lettere
e nelle scienze (oAr. Balbo, I 6; Fraticelli,
cap. IV), e anche alcuni commentatori inte-
sero in questo modo; cosi il Lana dice: « sor
Brunetto tn. un tempo maestro di Dante >, e
Benv. : « non solum docebat Dantem, led et
alios iuvenes florentinos, unde multos feoit
magnos eloquentes >. Ma altri antichi non fu-
rono cosi espliciti nell' affermare ; il Bocc
dice : « mostra l'autore ohe da questo sor Bru-
netto udisse filosofia >, l'Ott: « l'autore prese
da lui certa parto di sdensa morale », SI Buti :
« da questo sor Brunetto Danto imparò molto » ,
r An. fior. : € mostra che sor Brunetto g^ in-
segnasse come l'uomo s'etoma, doè gli mo-
strasse che per la scienza ^ uomini vivono
lungo tompo per thma » : 1 biografi antichi
nulla affermano, 0 oolo L. Bruni scrive che
Danto « oonfoztato da' propinqui e da Bru-
netto Latini, valentis^mo uomo secondo quel
tompo, non solamento a letteratoxa, ma agli
altri studi liberali si diede, niente lasciando
a dietro che appartenga a ftff l'uomo eccel-
lente ». Per questo incertezza delle antiche
testimonianze i moderni eruditi indinaao a
negare che il Latini foese il maestro dell'Ali-
ghieri: « Brunetto (sodve il Todesdiini 1 291X
nella relazione oon Danto, non ta altro che
un uomo di età provetta, di molto sdenza e
di chiara riputazione, il quAle abbracciando
con affetto paterno un giovano di alto inge-
gno e di molto aspettazione, che ha frequento
pratica con lui, gli porge di tratto in tratto
suggerimenti utili a' suoi studi e non lascia
d' instillargli amore ad ogni nobile e virtuoso
esercizio. Questo, e non altro fu l'ufficio com-
piuto da Brunetto Latini verso Danto Ali-
ghieri; uffido rilevantissimo e più importante
forse ed efficace che quello di un ordinario
maestro ». Sulla questione si vedano T. Sond-
by, op. dt, pp. 14 e segg. ; V. Imbriani, B,
LaL non fu ma$abro di Dante, Napoli, 187B;
A. BartoU, 8L deUa iatt. il. voL V, pp. 89 e
segg. — 87. che aelU eoe ohe si riconosca
nelle mie parole. — 88. Ciò ehi aarimte eoe.
Serberò nella memoria dò che m'aveto pre-
detto della mia vite avvenire. — 89. 0 ter-
bolo a chiosar eoo. e lo serbo perché mi aia
spiegato, insieme con un'altra predizione, da
Beatrice. — altro testo: la predizione 4i
Faxinato (cfr. Inf, x 79 e segg.). — 90. donna
eoo. Beatrice; poiché Virgilio ha già detto a
Danto che da Id saprà il corso di sua vite
(cfr. Inf. X 132). — 91. Tanto eco. Voglio
solamento che sappiato ohe sono pronto a so-
stenere i colpi della fortuna (cfr. J^. xvu
INPERNO - CANTO XV
113
Non è nuova agli orecchi miei talo arra:
però giri fortuna la sua rota,
96 come le piace, e il villan la sua marra! :
Lo mio maestro allora in su la gota
destra si volse indietro, e riguardommi;
99 poi disse: < Bene ascolta chi la nota ».
Né per tapt^ di men parlando vommi
con ser Brunet o, e dimando chi sono
102 li suoi compagni più noti e più sommi.
Ed egli a me: € Saper d'alcuno è buono:
degli altri fia laudabile il tacerci,
105 che il tempo saria corto a tanto suono.
In somma sappi che tutti fùr cherci
e letterati grandi e di gran fama,
106 d*un medesmo peccato al mondo lerci.
Priscian sen va con quella turba grama,
ti\ por che la mia coscienza non abbia nulla
• rimproreraimL — 94. Kob k BoOTa t più
tolto die alle precedenti predizioni (ofr. la
Bota al T. ti\ Dante si richiama al disoono
di 'VlzgiZio intorno alla Foitona (cfr. Jh/. vn
73 e segg.) — arra : Batl : e arra è la oa-
pana, cìie è la fermezza del patto fktto ; ciod
fion m' è nnoYO lo patto ohe è tra gli nomini
e la ftartona, cioè ohe chi entra nel mondo
MBnene ch'ubbidisca alla fortana e stare
ooatento alle sue mutazioni». — 95. però
fili ecc. Buti: < Facda la fortuna e facciano
{fi Bonini, come piace loro, eh' io sono per
sostenere. E questo dice notevolmente per
Bastare che li effetti della fortuna Tengono
fa due cagioni ; l'una è dai corpi celesti e
da qneQa sustandaf che Dio à posto a dispen-
■STB questi beni mondani, l'altra è da libero
«rbitno delU uomini ». — 97. Ja bUo maestro
sec Virgilio si rirolge indietro per approvare
il discorso di Dante oon poche parole, nelle
qufi non ripete già, come alcuni vogliono,
■t^racoomandarione fatta dopo la profezia di
Faiinata (efr. Inf, x 127), ma esprime il suo
compiacimento perché il suo discepolo si mo-
stra digesto a mettere in pratica l'awerti-
B»to dell' Em. T 710 « Quidquid erit, supe-
noda omnia fortuna ferendo est». — 100.
M per taBte ecc. E non lasdal, per l' in-
tarrozione di Virgilio, di parlare oon Brunetto.
— 106. 11 tempo eoo. il tempo d manche-
isbbe per una cosi lunga enumerazione. —
y^ ektrel; ecclesiastici; ctr, Inf, vm 88,
dft, zrm 117. Male alcuni intendono charei
ietto nel seneo del lat. eltriei^ uomini di stu-
£o (ÌB opposizione a foM, uomini dati alle
aiti Baanali); poiohó, se Dante did qualche
TiQlta cotale significato alla voce ehmoo (p.
«. Cbns. rr 10, di Federigo imp. dice ohe fti
DAlfTB
fotoo s cherieo grande)^ usò sempre eherco por
uomo diehieaa. Aggiungasi l'osservazione dello
Bcart. : « La masnada di ser Brunetto d com-
posta di chierici e letterati, uomini di chiesa
e uomini di scienza. . . Brunetto ne nomina
tre: il primo è eheroo e nello stesso tempo
letterato^ il secondo è etterato ma non ehereo^
ed il terzo d chereo ma non letterato. Dunquo
Brunetto vuol dire: Tutti i miei compagni
furono 0 chierici o letterati ». — 108. d'na
medesmo peccato : il peccato del quale furono
lerci i dannati di questa schiera ò la sodomia
0 violenza contro natura ; e, per quanto possa
parere una contradizione oon le afTermazioni
di stima e di amore verso Brunetto, la testi-
monianza di Dante ch'ei si fosso macchiato
di tal vizio d cosi franca ed aperta che la
cosa non può esser dubbia: né a spiegare la
contradizione occorre pensare a particolari
disdegni politici o letterari dell'Alighieri verso
il Latini, bastando considerare che a Dante
dovette sembrare che la sua gratitudine verso
ser Brunetto non poteva impedirgli d'eserci-
tare il severo ministero di giusto giudice ch'ei
si era assunto (cfìr. T. Sundby, op. cit., pp.
16 e segg., ove è discussa minutamente la
questione della colpa di Brunetto). — 109.
Prlselan: Prisoiano da Cesarea, città della
Mauritania, celebre grammatico latino e mae-
stro di grammatica in Costantinopoli al prin-
cipio del secolo vi d. 0.: la sua opera prin-
cipale, i diciotto libri delle InsHtnUionas graffk'
maticae^ ebbe per tutto il medioevo una gran-
de autorità nelle scuole. Bonv. dice cho ò
posto qui « tamquam clericus, quia monachus
fait et apostatavit ut aoquireret sibi maiorem
fomam et gloriam », ed anche « tamquam ma-
gnus literatus in genere eloquentiae, quia
fuit doctor, rogulator et corroctor grammati-
8
114
DIVINA COMMEDIA
e Francesco d'Accorso anche; e vedervi,
111 s'avessi avuto di tal tigna brama,
colui potei che dal servo de' servi
fu trasmutato d'Amo in Bacchiglione,
114 dove lasciò li mal protesi nervi
Di più direi; ma il venir e il sermone
più lungo esser non può, però ch'io veggio
117 là surger nuovo fummo dal sabbione.
Qente vien, con la quale esser non deggio;
sieti raccomandato il mio ' Tesoro ',
120 nel quale io vivo ancora; e più non oheggio >.
Poi si rivolse, e parve di coloro
che corrono a Verona il drappo verde
per la campagna; e parve di costoro
cae > : onde appare probabile ohe fosse coik-
fciso col Teecovo Piiscilliano, vìssuto nel ir
secolo e capo di od* tótta eretioale, cui si
appose tra altre la colpa della sodomia. -^
110. Francesco d'Aecono: Francesco, figlio
del feunoeissimo giurista fiorentino Aocorso
da Bagnolo (1182-1260), nacque in Bologna
nel 1226 e fa in quell'università professore
di diritto civUe: nel 1273, a richiesta del re
Eduardo I si recò, prsrenendo cosi il bando
die come ghibellino lo cdpi nella proscrizione
dell'anno di poi, in Inc^terra, dove inse-
gnando e prestando servigi politici rimase fino
al 1281, che ritornò assai ricco in Bologna :
mori nel 1298, lasciando nome di grande giu-
reconsulto e parecchie opere di casistica e
d'ermeneutica legale, e fìuna di grande usu-
raio: si vedano M. Sarti, i>06tom orcfti^Tymna-
ni bonomM8Ì8 profMaoribuSy Bologna, 1889,
voi. I, pp. 198-206, e. Fantnzzi, Nothaie degli
aoriUorì bohgneti, voL I, pp. 41-46, e G. Goz-
zadini, il paìaxxo detto di AocumiOy Bologna,
1888. — 111. se avessi eco. se tu avewi avu-
to desiderio di vedere cotanta sozzura : Ugna
è una malattia schifosa, ma qui indica sozzura
in genere. — 112. colai ecc. Andrea dei
Mozzi fiorentino, fatto nel 1272 canonico e
nel 1287 vesoovo della sua patria, ftitramu-
tato nel 1296 dal papa Bonifazio Vm alla
sede vescovile di Vicenza, ove mori nel
1296 (ofr. F. TJghelli, Balia sooro, voi. V,
p. 1067, e F. Lampertioo nel voL Dante e
Vieenxa, 1866, pp. 62-67) : € fa, dice l'An.
fior., per questo peooato disonestissimo ed
ancora oltre a questo di poco sonno; ot non
stava contento di tenere occulto il suo difetto
et il suo poco senno, anzi ogni di volea pre-
dicare al popolo, dicendo parole sciocche et
dilavate». — servo de' serri: il papa si
chiama appunto negli atti officiali servua sev'
vonm Dei. — 118. d*Anio In BaeebigUoae:
da Firenze, sull'Amo, a Vicenza, sul Baccki-
gUone. — 114. dorè eoo. ove mori. — 117.
anoTO fummo: ò il polverio sollevato da
un'altra schiera di sodomiti. — 118. tienta
ecc. I violenti contro natura sono divisi in
gruppi, secondo le condizioni ch'ebbero nel
mondo: Brunetto ò nella ma^n^iìtt^ degli eo-
desiastici e dei dotti ; quella che viene ora ft
la comitiva degli uomini che esercitarono nf-
fid politid. <~ 119. 11 mio Tesoro: delle ano
opere, tra le quali è notevole il Teeontio,
picodo poema didattico in lingua volgare.
Brunetto raccomanda a Dante la maggiore,
quella cui credeva che fosse aflldata singo-
larmente la sua fama, il Tesoro ossia 1 lÀvrm
du Tresor; opera da lui composta tt», il 1352
e il 1266 in lingua francese, che ò una grande
enddopedia del sapere medioevale compilata
sulle fonti più svariate latino e francesi : il
testo originale di quest'opera fu pubb. da P.
Chabaille, Parigi, 1863 ; la traduzione italiana
di Bono Giamboni fti pubbl. la prima volta
in Treviso, 1474, e più correttamente da L.
Qaiter, Bologna, 1878-83: sopra di essa ve-
dasi il Sundby, op. dt, pp. 69-198. — 121.
0 parve ecc. e s'allontanò con la rapidità dei
vindtori nelle corse del palio veronese. —
122. che eorroBO ecc. A Verona, come In.
molte altre dttà, erano in uso nel medioevo
le corse dd palio, cosi dette dal dnqypo oo.
lorato che si dava in premio ai vindtori ; men-
tre l'ultimo arrivato, colui eheperde^ noeveva
per premio un gallo : la gara cui aooeima
Dante, giÀ istituita nel 1207 per festeggiare
una vittoria riportata dalla repubblica contro
i Conti di San Bonifazio e i Montaodd, al
faceva la prima domenica di quaresima in una
pianura presso il sobborgo di Santa Lucia e fa
regolata negli statuti anteriori al 1271 : oCr. G.
Bolviglieri néìVAlbo dantesco vsrone§% Vero-
na, 1866, p. 168; a. da Be nella Rivista sri.
INFERNO - CANTO XV
115
124 quegli che vince, non colui che perde.
lieo, m 80-87; e il Basserman, pp. 899-400.
— 1^ ■•■ coìnì eco. e L* espretsioiie non
ax-iQbbe valore se a qnella oona non tosaerì
stato anche U premio pel perditore, premio
che 8Ì liduceva ad umiliazione per lai e a sol-
lazzo dei bnoni veronesi > ; 2Ungarelli, p. 89.
CANTO XVI
Dante e Virgilio continuando il loro cammino per il terzo girone incon-
trano nn*altra schiera di violenti contro naturai tra i quali è il fiorentino
Iacopo RusticQCCi che rivela la condizione sua e d'altri compagni : poi pro-
cedono sino alPestremità del girone, ove il fiume infernale si precipita nel
cerchio ottavo e ove appare loro Gerione per trasportarli in Malebolge
[9 aprile, ore antimeridiane verso l'alba].
Già era in loco ove s'udia il rimbombo
dell'acqua che cadea nell'altro giro,
3 simile a quel che l'amie fanno rombo;
quando ire ombre insieme si partirò,
correndo, d'una torma che passava
G sotto la pioggia dell'aspro martire.
Venian vèr noi, e ciascuna gridava:
€ Sostati tu, che all'abito ne sembri
9 essere alcun di nostra terra prava >.
Ahi me, che piaghe vidi ne' lor membri,
recenti e vecchie, dalle fiamme incese!
12 Ancor men duci, pur ch'io me ne rimembri.
XVI 1. Già era ecc. Danto e Virgilio
proced^ado innanzi per il terzo girone sol
ioeto dell*axgine orano pervenne, allorché
Bronetto s'allontanò, in Inogo ancora distanto
dalla fine del girone stesso; si che sentivano
iadistintaniente il rumoro del fiume ohe si
pcedpitava nel giro o cerchio ottavo. — 2.
sltxa giro: ò l'ottaro cerchio; otr, Inf. x 4,
zxrm 50. — 3. slmile eoo. simile a qnel
tmaSo che fanno le api intomo alle amie o
alTeari ove abitano. La similitadine mostra
che i doe iK>eti erano ancora a qualche di>
stanza dal luogo, ove il fiome cadeva, tanto
che il rumore deJle acque cadenti perveniva
bto temperato e indistinto oome ronzio d'al-
Tsaze : la distanza tra questo punto e queUo
da coi mossero dopo aver parlato con Iacopo
Bastieucci (cfir. v. 91) fu da Virgilio e Danto
percorsa mentre le anime dei peccatori veni-
Tioo loro incontro (cfr. w. 7, 19). -— 4. qvan-
et eoe tre anime si staccarono a corsa da
ona schiera che camminava sotto la pioggia
di looeo. — 6. vna torna: i violenti contro
natura, per il loro grande numero (ctt. Inf,
zit 25), erano distribuiti in divorse schiere,
secondo la condizione loro nel mondo: cosi
la schiera di Brunetto era tutta dì ecclesia-
stici e dotti, la schiera di questi tre era di
uomini che in vita esercitarono pubblici uffici
militari e civili (cCr. le noto ai w. 34, 40,
48, 70). — 7. Tenfaa ecc. n corso di questa
schiera era in direzione contraria a quella dei
poeti; le tre anime venivano dunque di verso
il precipizio e dovevano percorrere un note-
vole spazio, se, quando i poeti si fermarono,
erano ancora distanti (cfr. v. 19). — 8. 8ò-
ftatt ecc. Formati, tu che alla fo^ia del ve-
stire ci sembri essere nostro concittadino.
Questo parole dei tre fiorentini, e spedalmen-
to l'aver indicata Firenze come terra prava,
dovevano conciliare l'animo di Danto a cote-
sti peccatori, verso i quali poi egli esprime
sentimenti di rispetto dopo die ne ha saputo
i nomi. — 10. piaghe eco. vidi nelle membra
dei peccatori delle piaghe «ncass, delle bra-
ciature, recenti a vecohie, alcune ancora aperto
e sanguinanti, altre giÀ chiuse e rimarginato.
— 11. Ineese: non pud esser altro che il part.
del vb. incendere (cfir. Inf, xxu 18, xxvi 48),
che riferendosi alle piaghe vuol dire ch'erano
prodotto dall'accensione, dal facce. — 12.
Ancor ecc. : dell' improssione dolorosa, che
116
DIVINA COMMEDU
Alle lor grìda il mio dottor s^atteee,
volse il viso vèr me, e: € Ora aspetta,
15 disse, a costor si vuole esser cortese;
e se non fosse il foco che saetta
la natura del loco, io dioerei
18 che meglio stesse a te, che a lor, la fretta >.
Ricominciar, come noi ristemmo, ei
l'antico verso; e quando a noi fdr giunti,
21 fanno una rota di sé tutti e trei.
Qual sogliono 1 campion far nudi ed unti,
avvisando lor presa e lor vantaggio,
24 prima che sien tra lor battuti e punti;
cosi, rotando, ciascuno il visaggio
Danto soriveiido provava por la rimembranza
dell» pene infernali, sono altri cenni nel poe-
ma, p. es. Inf, xiy 78, zzn 81 eoo. — 18.
l'attese: tiUmderrl lignifloa qui e altrove
pnstant porgerò atUnxùmé e accenna proprio
l'atto nel momento in coi incomincia (cAr.
Fiaar, xm 29, xv 81). — 16. il vuole: si deve,
si conviene; ricorre fluentemente, ISirg.
xni 18, zxui 6, Ptar, xvi 101, xx 83 eco. —
16. e le ecc. se la condizione naturale di
questo luogo non foeee quella del ftiooo che
scende dall'alto con l'impeto della folgore eoo.
— 17. dleerel: direi; cfr. Inf. m 46. — 19.
cove Bol ristcMmo: non i^pena che noi ci
fanuno fermatL — 20. l*antÌeo verso: Lomb.:
e il pianto, doò, che prima f&cevano, e che
solo per pregar Danto ad arrestarsi intormesso
avevano; e però vedendo fermato il poeto,
né avendo più bisogno di pariare, ritornarono
al pianto >. — 21. fesso uia rota eoo. Non
potondo questi peccatori arrestarsi (Inf, xv
87-89) né accompagnarsi a Danto perocché
era poco distanto il limito dello spazio loro
assegnato (cfr. v. 91), i tre fiorentini si re-
strìnsero in cerchio e movendosi in giro vol-
gevano indietro 11 viso per guardare il loro
concittadino. — trel: forma dialettale antica
(cfr. Parodi, BuU, WL 124). — 22. qnàì so-
gllOBO ecc. Questo luogo ò variamento inteso.
Secondo molti commentatori la similitudine ò
tratta da uno degli esercizi ohe i greci e i
romani facevano nei loro ginnasi o palestre,
cioò dalla lotta col pugno o pugilaUo (cfr.
Livio I 86, Cicerone, Tuaeul. u 17, Suetonio,
Oclav. cap. 45); noUa quale i pugili o lotta-
tori erano soliti guardare all' indietro per te-
ner d'occhio i movimenti degU avversari e
cogliere il momento opportuno per assalire:
ma a questa intorpretazione contrasterebbe il
presento sogliono^ trattandosi di un esercizio
non più usato ai tompi di Danto; nò sarebbe
il caso di intondere questo presento in fun-
zione d' imperfetto, come per il vb. solere ac-
cade spesso negli antichi (cfr. la nota idVInf.
xxvn 48), oppure d'accettare la più comune
lezione toleanOf perché verrebbe a mancare la
correlazione temporale oon il mìm del v. 24.
Mdto meglio inveoe altri pensano ohe la li-
militndine sia tratta dai campioni dei medio-
evali giudizi di Dio (cfr. Bezaaoo, D». 188:
« Oamptom,*. chi ne' duelli; usati come giu-
dizio di Dio, combatteva per la ragione di ohi
aveva diritto di aostituire o era esento dal-
l'obbligo di combattere personalmento >, e Mu-
ratori, AntiguUatea Ilatieae, m 644-646); al
quale proposito scrive il Lana che « in molto
parti del mondo quando questione d che pesi
tra due, e le parti non abbiano scritto o ver
testimonianza a suffidensa, elle si sottomet-
tono a volere che la ragion li oonosca in bat-
taglia mortale >, e, dopo più altri partioolarì
su cotesto modo di giudizi, dice che quando
la questione era di poca importanza i cam-
pioni « faceano la pugna dentro dallo steo-
cato, nudi, e brancolavansi pure alle braccia,
e quello ohe cadea la sua parto perdea » :
né questo uso dei giudizi di Dio ai tompi di
Danto era venuto meno, come farebbe cre-
dere rOtt (e dice eolevano però che in Italia
e in molto altre parti l'uso dei campioni ò ito
via »), poiché il Davidsohn, BulL VII 89-41,
ha largamento dimostrato come nella proo^
dura civile fòsse flnequento in Toscana, sino
ai tompi di Dante, l'abitudine di risolvere le
questioni medianto le lotto di pugilato, e come
i campioni toscani fossero chiamati qualche
volta a questo fine anche nelle regioni finitimo.
— 23. avvisando ecc. tenendo gii occhi al-
l'opportunità di prendere con vantaggio l'av-
verearìo. — 24. prima eoe prima di attoo-
carsi e percuotersi. — 26. eoif ecc. coif cia-
scuna delle tre anime, mentre insieme si mo-
vevano in giro, tonava gli occhi rivolti a me,
in modo che il collo si volgeva sempre in di-
rezione opposta a quella dei piedt — visag-
gio: voce arcaica osata anche net senso di
vólto, ma qui più tosto in quello di vista,
comò mostra il vb. drixxare al quale ò con-
INFERNO - CANTO XVI
117
drlzsava a me, si ohe in contrario il collo
27 faceva a' pie continuo viaggio.
€ Eh, se miseria d'esto loco sollo
rende in dispetto noi e nostri preghi,
90 cominciò Puno, e il tinto aspetto e brollo,
la fama nostra il tuo animo pieghi
a dirne ^i tu se*, che i vivi piedi
83 cosi sicuro per lo inferno freghi.
Questi, l'orme di cui pestar mi vedi,
tutto che nudo e dipelato vada,
86 fu di grado maggior che tu non credi:
nepote fa della buona Gualdrada;
Guido Guerra ebbe nome, ed in sua vita
89 fece col senno assai e con la spada.
giuta (ofr. Inf, iz 78, J^. i 111, iy 6S
Mc). ~ 26. fi €k% ecc. mol dira oo«f che
gvardsTUio di loroTolontà e correruio inreoe
far fom; cfr. (km. i 8: cAtto libero d
fouido una pezaona va Tolentieii ad alenila
parta, eh» si moatra nel tenere volto lo tìso
ìb faialla: atto aforuto è quando contro a
ToglSa al T», ohe ai moatra in non guardare
nana parte dorè ai va ». ~ 28. Ek, ae mi-
aarlaeoe. Uno dei tre apiriti cominciò a dire:
Dah, ae la noatra misera condizione e il no-
■tiD aspetto fanno d che ta abbia in dispre-
gio noi e le noatze preghiere, ti muova almeno
la noetza £una ecc. — aaie loco ielle: ò il
gfaoee pieno di sabbia, detto pendo aoUo, non
aolido, cedevole. — 80. U tiato aapetlo e
bralle : il volto abbronzato, Hnio dalle fiamme,
e hnth^ deoodato della pelle, scorticato ; il
Boti dice: € perché siamo aisiooiati e ignndi >;
^. il T. 86, e per l'agg. òroUo la nota all'/n/:
zzziv 60. ~ 82. 1 vili piedi: ecc. stropic-
d coai secoiamente, sansa paura d'abbru-
ciarti, 1 tuoi piedi come uomo vivente, nelle
ngiooi inliamalL — 84. (Questi ecc. Guido
Gucoa VI dei conti Guidi (cl^. Par, zvi 64),
Igiio di Maroovaldo conto di Dovadola e di
Baatzioe degli Alberti, dopo aver passata la
giovinesza alla corto di Federigo n tornò in
patria nel 1284 e fu da quel momento il prin-
cipale aoetegno della parto guelfa in Toscana,
tutto elle nel 1348 Innocenzo IV lo dichiarò
baaaaMrito della Chiesa: fti nel 1256 capo
daS* ceercito fiorentino con^ i ghibellini
d'Areno; dopo la sconfitta di Montaperti, da
lai preveduta, eaulò coi guelfi da Firenze, e
comandando la schiera dei fuorusciti combatto
sotto Carlo I d'Angiò a S. Germano e a Be-
asvento, e cosi ottenne di ritornare in patria,
ore nK»l di 70 anni nel 1272. e Fu molto
gaaUb, aorive F. Villani, apesao capitano,
aprazzatore de' periodi, o quasi troppo solle-
cito «e* oasi sùbiti, d' ingegno o d'animo ma-
raviglioao, donde spesso i Catti quasi perduti
riparava e spesso quasi tolse la vittoria di
mano a' nemici : d'animo alto e liberale e gio-
condo molto, dai cavalieri amato, cupido di
gloria, ma per l'opere buone da lui fittto * :
si vedano G. Villani, Or, vi 61, 78, vn 6-9;
F. Villani, VilU, p. 64; S. Ammirato, Albero
e istoria della famiglia isf conti Ovidio Firen-
ze, 1640; L. Paaserini, Guidi di Romagna^
tav. xvm nel Litta, Famiglie celebri italiane,
— 36. nade e dipelato: per la continua ar-
sione delle fiamme questi dannati sono privi
d'ogni pilosità; compie cosi Dante il ritratto
dei aodomiti, di cui ha già ricordato il volto
abbrustolito e scorticato. — 87. nepote tm ecc.
ìlarcovaldo, padre di Guido Guerra VI, era il
quarto figlio di Guido Ghierra IV e della se-
conda moglie di lai Gualdrada doi Bavignanl,
figlia di Bellincione (cit. Piar, xv 112), spo-
sata intomo al 1180 : cfir. Ammirato, op. dt.;
Passerini, op. cit, tev. m; 0. Hartwig, Quel-
Im und Foreckungerij voi. Il, p. 68. Di queste
donna le cronache e legf^ende fiorentino par-
lano come di un tipo di virtù domestica, e
raccontano come essendo di passaggio por
Firenze Ottone IV imperatore (1209-1218) e
celebrandosi nella chiesa di S. Giovanni una
feste in suo onore, vide e gli piacque una
bellissima giovine : e non cognoscendola (con-
tinua l'An. fior, ampliando ciò che scrivo G.
Villani, Cr. v 88) dimandò messer Bellincione
chi oli' era; messer Bellincione disse: Costei
è una ohe io ne posso fare a mio senno: dico
alcuno ch'egli disse: Questa vi posso io fare
baciare, quando vi piacessi. La fanciulla ora
si presso ch'olla intose il padre; disse, arros-
site tutte per vergogna: Padre mio, non prof-
ferite cosi di largo le cose che non sono vostre :
voi avete poco cara l'onestà mia; e' non è ve-
runo che di me potesse fare a suo senno, se
non colui che fosse mio marito. Allo 'mpora-
dore piacque queste risposta, che fu bella et
118
DIVINA COMMEDIA
L'altro, che appresso me l'arena trita,
è Tegghiaio Aldobrandì, la cui voce
42 nel mondo su dovria esser gradita.
Ed io, che posto son con loro in oroce,
Iacopo Busticuoci fui; e certo
45 la fiera moglie più ch'altro mi nuoce ».
S'io fiissi stato dal foco coarto,
gittato mi sarei tra lor di sotto,
48 e credo che il dottor l'avria sofferto.
Ma perch'io mi sarei bruciato e cotto,
vinse paura la mia buona voglia,
51 che di loro abbracciar mi facea ghiotto.
Poi cominciai : € Non dispetto, ma doglia
la vostra condizion dentro mi fìsse
54 tanto che tardi tutta si dispoglia,
tosto che questo mio signor mi disse
parole, per le quali io mi pensai •
57 che, qual voi siete, tal gente venisse.
Di vostra terra sono; e sempre mai
notabile >. E sègnita la leggenda ohe l' impe-
ratole volle dar marito alla giovine, il quale
fb Qnido Oneira IV : ohe è contro U ragione
dei tempi, poiohó il matrimonio ùm i due era
già avvenuto nel 1180 (ofr. Davìdeohn, (haeh.
wn FìormXj voL I). — 40. L'altro ecc. Teg-
ghiaio Àldobrandi degli Adimari, podestà
d'Arezzo nel 1266, già morto nel 1267, lodato
da Q. Villani, Or, vi 78, come « cavaliere
savio e prode in armi e di grande antoritade ».
Booo.: e iti cohii, il qnale del tutto sconsigliò
il comun di Firense, ohe non uscisse fuori a
campo ad andare sopra i sanesi; conoscendo,
siccome ammaeetratissimo in opera di guerra,
che danno e vergogna ne seguirebbe, se con-
tro al suo consiglio si facesse ; dal quale non
creduto né voluto, ne segui la sconfitta a
Monto Aperti ». — 41. la cui reee ecc. la
voce del quale, allorché sconsigliò l'impresa
contro Siena, avrebbe dovuto essere ascoltata
volentieri; oppure, e forse meglio, la ikma
del quale dovrebbe essere celebrata dai fio-
rentini, ai quali egli dio il buon consiglio. —
43. Ed lo eoo. Iacopo Busticuoci fb, secondo
rOtt., della consorteria dei Cavalcanti, e
l'An. fior, dice che fu « uno popolare di Fi-
renze di picciol sangue, cavaliere, il quale fti
valoroso uomo et piacevole. Ebbe costui una
sua moglie, diversa et spiacevole tanto che
costui la divise et separolla da sé, et man-
doUa a casa i parenti suoi ». Di lui sappiamo
che nd 1254 fa con Ugo della Spina fatto
procuratore speciale del comune di Firenze,
a trattare leghe e patti con altre città e torre
di Toscana (Del Lungo in Sundby, op. dt,
p. 204) e che dopo Montapertì gli fb dai gfai-
bellini distratta la casa che aveva prossinia
a quella di Tegghiaio Àldobrandi (Del Lungo,
DanUy n 71). — 46. U flora moglie ecc. : gli
antichi commentatori sono concordi nell'af-
fermare che Iac(^ fu tratto a peccare dal
fastidio in che ebbe la moglie e per lei, ag-
giunge alcuno, tutto le donne. — 46. 8* lo
eoo. Se io svessi potuto coprirmi, ripararmi
dal fboco, sarei disceso nel sabbione per ri-
verenza e affètto verso i tre concittadini, i
quali erano di quelli antichi e che a ben far
poser gli ingegni » {iJnf. vi 81). — 48. e erodo
ecc. : cfr. le parole di Virgilio nei w. 15-18.
— 62. ITOB dispetto eoe La vostra condi-
zione indusse nell'animo mio, non già il di-
sprezzo come voi tometo (cf^. w. 28-80), ma
un sentimento di dolorosa pietà non ancora
dileguatosi, subito ohe la mia guida mi disse
certo parole per le quali intesi essere voi gento
degna d'onore. H D'Ovidio, p. 85, notando la
diversità tra i tanti segni dì reverenza Torso
i tre fiorentini e la disdegnosa indifferenza
che or ora Danto dimostrerà per gli usurai
(cfir. Inf, xvi^S7 e segg.), osserva: cSono
nello stosso cerchio, anzi nello stesso girono,
per colpe teologicamMito affini e ridooibili
in fondo a una sola (violenza contro Dio),
come le loro pene sono due variazionoello
d'una pena medesima; eppure, tanto provalo
sul oritorio teologico il sentimmito umano o
l'impressione personale, le due schiero di
peccatori destano nel poota commoziuni non
che diverse, opposto ». — 68. Di TOstra eoe.
Sono vostro concittadino, e con oiuuie ascoltai
raPEBKO - CANTO XVI
119
l'opre di voi e gli onorati nomi
60 con affezion ritrassi ed ascoltai.
Lascio lo fele, e vo per dolci pomi
promessi a me per lo verace duca;
68 ma fino al centro pria convien eh' i' tomi ».
« Se lungamente l'anima conduca
le membra tue, rispose quegli allora,
66 e se la fama tua dopo te luca,
cortesia e valor di' se dimora
nella nostra città si come suole,
69 o se del tutto se n'è gita fuora;
che Guglielmo Borsiere, il qual si duole
con noi per poco, e va là coi compagni,
72 assai ne cruccia con le sue parole ».
€ La gente nuova e i sùbiti guadagni
orgoglio e dismisiira han generata,
75 Fiorenza, in te, si che tu già ten piagni ! »
Cosi gridai con la faccia levata:
e i tre, che ciò inteser per risposta,
78 guatar l'un l'altro, come al ver si guata.
e Btdital sempre le vostre aobili adoni civili
• i TOftri nomi onorati per le benemerenze
fotttidie. — 61. Latele ecc. abbandonando
rtmazeon del peccato, cerco la dolcezza della
heatitodiiie. — feles Booc: « Tamaritadine
che per i peocati sègoita a coloro che del
IMoato wm. ai rimangono ». ~ 4elei poMi :
cfr. A«y. xxvn 116, xzxn 74. — 62. prò-
■aaai eoe.: cfr. Inf, i 116. — 63. al eeatro
eoe al centro della terra, ove ò Ladfero e
«ve Dante cadrà a capo in giti; cfr. Jnf.
xxsxw 76 • aegg.: il vb. toman (cfr. Inf. zzxn
KB) «jg"!^*^ propriamente Tatto del cadere
capovolgendoai. — 64. Se luigMMite, ecc.
Vani. : • Coti ta viva lungamente, e cosi ri-
■pkmda e aia chiaro il tao nome ancor dopo
che aarai morto ». — 67. eertetla e valor:
la virtù civile e militare; cfr. Purg, xvi 116.
Kotevole il riaoontro, rilevato dal Torraca,
con nn pMBO di Chiaro Davanzatl (D'Ano, m
173): « Ove dimora e posa Oorteda e valo-
re? ». — 68. anele: il aolito prea. in ftinzione
d'imperfetto; cfr. Inf. zxvn 48. — 70. da-
giielm« Boralere; Beco.: « Qoeati ta cava-
Bar di «vte, nomo costomato molto e di lan-
devol maniaca ; ed era il eoo eaercizio e degli
altri anoi pari il Ixattar pad tra' grandi e gen-
tili nomini, trattar matrimoni e parentadi, e
talora con piacevoli e oneste novelle recreare
gli anioii de' faticati, e confortargli alle cose
oaoreroli; il che i Du>demi non fttnno, anzi
fuato pU aono aceUerati e spiacevoli, e con
brutte operazioni e pnrole, più piacdono e
meglio aono provvedati ». Lo stesso Bocc.
Dee. g. I, n. 8, mise in novella on piacevole
e arguto motto col quale Guglielmo Borsiere
punse l'avarizia di Ermino Grimaldi, ricchis-
simo gmtiluomo genovese. — 11 qaal ai duo-
le ecc. il quale da poco tempo d venato a
queato tormento; da che ai induce che Gu-
glielmo moiiaae verso l'a. 1800. — 71. va là eoi
compagni I con quelli della torma (v. 5), onde
s'erano staccati i tre fiorentinL — 72. eon le
lae parole: rappresentandod l' infelice stato
della nostra dttà. — 78. La gente auera ecc.
An. fior. : e La dttà di Firenze ha mutata
condizione, però che i contadini et altri d'at-
torno a Fironze aono venuti di fuori a ceserò
dttadini ; et però che sono nuovi nella dttà,
non hanno tanto amore alla terra quanto gli
antichi dttadini, et perd hanno generata di-
smisura in Firenze et ancora per guadagni
sùbiti sono montati in superbia, et sono di-
ventati orf^gliosi, et sono cagione d'ogni male
della terra ». Si veda a questo proposito lo
scritto d' I. Del Lungo, La gente nuova in
Firenze in Dante, I, pp. 8-182, e d cfr. le
noto al Par. xv 97-129 e xvi 49-69. — 76.
già ten piagni: poiché già a questo tempo
incominciavano a manifestarsi i tristissimi
effetti delle gare dttadine. — 77. che ciò ecc.
che intesero la mia apostrofe come un modo
di risposta alla loro domanda. — 78. gaatAr
eoo. si guardarono l'un l'altro con l'atto di
120
DIVINA COMMEDIA
« Se l'altre volte si poco ti costa,
risposar tutti, il satisfare altrui,
81 felice te, che si parli a tua posta!
Però, se campi d'esti lochi bui
e torni a riveder le belle stelle,
84 quando ti gioverà dicere: 'Io fui',
fa che di noi alla gente favelle ».
Indi rupper la rota, ed a fuggirsi
87 ale sembiàr le gambe loro snelle.
TJn ^ammen' non saria potuto dirsi
tosto cosi, com'ei f^o spariti:
90 per che al maestro parve di partirsi.
Io lo seguiva, e poco eravam iti,
che il Buon dell'acqua n'era si vicino
93 che, per parlar, saremmo appena uditi.
Come quel fiume, o' ha proprio cammino
stupore e di moravìglia proprio di chi sente
oonfennats una grave verità. — 79. Se Pai-
tré volte ecc. Tutti i vecchi commentatori
dal Lana al Yent. intesoro qaeste parole dei
tre fiorentini come una lode data all'Alighieri
per la compiutezza, la brevità e la chiarezza
della sua risposta (Lana: e segue mostrando
che in meno parole non si poria dire la sub-
stanzia dell'essere vizioso di Firenze e ch'elli
era tale e si adatto alle risposte ch'era felice
doè avventurato » ; Vent. : € Felice te che
hai questa facilità e felicità meravigliosa di
spiegarti mirabilmente, come ti vien più in
grado >). Ma il Lomb., seguito dal Tomm.,
dal Bianchi e da altri moderni, le inteso er-
roneamente come un accenno al danno che a
Dante cagionò il libero parlare e spiegò : e Fe-
lice te, che cosi parli a tuo talento, a tua
voglia, se il sodisfare con tal libero parlare
ad altrui altre volte si poco ti oosta, come
costati ora, che nessun danno t'arreca». —
83. e torni ecc. : anticipa quasi il verso del-
l' Inf. xrnv 189. — 84. quando ecc. allorché
ti rallegrerai del viaggio felicemente compito.
Dan. osserva che ò e ad imitazione del vir-
giliano Enea, dicente ai compagni [En, i 204]:
Fbrsan et ha60 olim memmisw ìwHibU ; e Se-
neca: Quod fuit dwrum pati, numinisse dulce
est», ~ 85. fa ecc.: cfr. la nota all'/n/. vi
89. — 86. ed a fnggirii ecc. fuggirono cosi
rapidamente comò se avessero avuto le ali.
— 88. Un * ammen ' ecc. Avverte il Venturi
493, a proposito di questo esempio di velocità
e degli altri che sono in Inf, xxiv 100 e Par,
XXIX 49, che e la naturalità dei motti e la
familiarità del lingua^i^o aggiungono a tutti
e tre tanto arguta etiicacia, che par d'udirli
ancor vivi nelle bocche del popolo nostro *,
~ 90. per elle ecc. per la qual cosa, doò per
essersi allontanala 1 tre fiorentini, a Virgilio
parve opportuno di riprendere il cammino. —
91. e poco ecc. e dopo un breve tratto di
strada il rumore del fiume cadente ai fece
cosi intenso che, per quanto avessimo parlato
forte, appena avremmo potuto udirci l'nn l'al-
tro. — 93. per parlar: cfr. L%f. iv 11. —
94. Come ecc. Gli antichi commentatori, Ott,
Bocc., Benv., Buti, An. fior. ecc. danno di
questo luogo la pi6 giusta interpretazione,
accettata ora anche dal Bassermann, p. IBI, e
cosi riassunta dal Lomb. : e Beca in paragone
della caduta di Flegetonte dal settimo nel-
l'ottavo cerchio la romorosa cascata del Mon-
tone, fiume di Bomagna, dalFApennino aopra
la badia di 8. Benedetto; e oircoecrìve esso
fiume dicendolo il primo, ohe dalla sorgente
del Po su Monviso dirigendoci verso levante,
troviamo» scendere dalla sinistra costa d'Apen-
nino e andar al mare con proprio eammmOf
cioò con proprio particolare alveo: ed è vero;
imperocché tutti gli altri fiumi, che dalla sor^
gente dol Po fino a quella del Montone ca-
scano dalla sinistra oosta d'Apennino, tutti
s'uniscono al Po e camminano con esso al
mare ». B passo adunque, difficile pi6 die
altro per la costruzione molto complessa a
cagione degl' incisi secondari, si deve ordinare
e intendere cosi: Ck>me quel fvtmné, che di
quanti scendono dotta sinistra eoda d'Apen-
nino, prima d'ogni altro, per il primo, nel
versante che si stende da Montsveao m vir
levante, ha cammino proprio doò corso suo
proprio sino al maro (che «imo, il quale fiume
su nei monti si chiama Aoquacheia ovante che
si divalli giù nel basso lettor prima cioò che
scorra a valle nel piano alveo, ed a fbrU è
vacante di quel nome^ e verso Forlì non ha
più il nome di Aoquacheta ma quello di Mon-
INFERNO — CANTO XVI
121
prima da Monteveso in vèr levante
96 dalla sinistra costa d*Apennino,
che si chiama Aoquacheta suso, avante
che si divalli giù nel basso letto,
99 ed a Forlì di quel nome è vacante,
rimbomba là sopra San Benedetto
dell'Alpe, per cadere ad una scesa,
102 ove dovea per mille esser ricetto;
cosi, giù d'una ripa discoscesa,
trovammo risonar quell'acqua tinta,
105 si che in poc'ora avria l'orecchia offesa.
Io aveva una corda intorno cinta,
e con essa pensai alcuna volta
toM), rimbcmba là Jovra San Benedetto del-
fÀlft» per eaden ad ma «omo, cioè perohó si
;neipit»«lbMBo; oolitentimmo risonare eoo.
Altri invece alfenBano ol&e Montereeo d snlln
liaifltn costa dell' Apennino e ohe d* esso,
ad luogo detto anooia U fonte di Monte Visi
(eft. Butt, TI 196), sostoziace quel lamo del
Xatone càe chimnnsi Aoqnacheta e per balze
• munerose cascate raggiunge sotto S. Be-
Bfldsttoi rami già riuniti dell'Ossa e del Kon-
toaa, perdendo quivi 11 suo nome (ofr. L. N.
PMd, Onmd geologici ecc. in Dante e il suo
«Nofa, p. 666; e. M. Bertini, Nota eco. negU
Jm della B. Jbxad. delle aeienxe di Torino,
1871, voL T[; P. Nadiani, Interpreta», dei
tni di Dante end fèieme Montone, Milano, 1894;
9. UagareQi, I/JLequaoheta in Nahnra ed arte,
a. yj, 1899, Fp. 906-913). — 96. HoateTeao:
Iteviso, lat Mone Veauiiu, — 99. ^ vacante t
è privo; non si chiama più Aoqnacheta, oo-
Bs Bel tratto piti montano, ma Montone. —
100. 8aB Beaedetto dell'Alpei ò il borgo
càiaiato San Benedetto di sopra, oosf deno-
BÌDato da nn monastero di benedettiDi, assai
Mto ai tempi di Dante, il qnale era sor un
poggio presso il luogo, ove il torrente Aoqoa-
clMtosi precipita al basso andando a congion-
geni con e^ altri coni d'acqua òhe formano
flMnutnmo- — 101. «BA SCeSft OCC. È la C»-
testa dei Bomlti, presso San Benedetto, la
fasi» osservata dall' alto presenta un orrido
spsttuolo, ben conveniente a dare un' idea
4ì qosQo die Danto s* imagìnava di vedere
dall'Orio die aovraata all' ottavo cerchio; cCr.
Basenaann, p. 186. — 102. ove dovea ecc.
Hcaai rileiiscono questo Terso al monastero
d 8. Benedetto dell'Alpe, e intendono che
avrebbe dovuto accogliore gran nu-
» di nonaoi, pochi n' avea i quali si go-
i lazgamente le rendite del sacro luogo,
litri invece credono die sia detto del villag-
gio oBonimo sottostante al convento, del qua-
le villaggio, secondo la testimonianza del
Beco., di Benv. e dell' An. fior., ovvero in un
altipiano sovrastante aUa cascata, come in-
tende il Nadiani, op. dt., i conti Guidi signori
del luogo ebbero già il pensiero di fare un
forte cestello, che fosse sicuro ricetto a quelle
popolazioni: cfr. Bassermann, pp. 187-190.
Altri inilne riferiscono questo verso olla scesa,
come il Cavemi che scrive : e la ragione di
quel rimbombaro, oltro all'altezza di quella ca-
scata, reca Dante alla grande copia dell'acque
costrette a cadere per una eola dieeeea, dove
a dar loro sfogo òhe non tumultuassero cosi
fragorose dovrebbero per mille di quelle scese
esser rieette > : si cfir. O. Solitro, Nuova di-
Oiiaraxione del v. 102, O. xvi ^/l, Trieste,
1865. — 104. acqna tinta: quoUa di Flege-
tonte, rosseggiante (ofr. itf. ziv 78). — 106.
le aTeva ecc. Di tutte le interpretazioni date
circa il valore simbolico della corda di cui
Dante andava cinto la migliore ò quella dello
Soart, il quale dimostra eh' essa non può
essere, come molti tennero, il simbolo della
ftode usata ad attirare Gerìone perché tra-
sporti i due poeti dal settimo all'ottavo cer-
chio, ma un semplice segno mandato a quel
mostro, invece delle parole ch'egli non avreb-
be udite o dei cenni eh' egli non avrebbe
veduti; e osserva che « l' importanza prin-
dpale della corda consiste in dò che il poeta
avea sperato di prender con essa la lonza »
e che « la corda ò divenuta superflua a Dante
dal momento che egli ha lasciato dietro a so
r ultimo cerchio ove ei puniscono peccati di
lussuria > : dò posto, la corda sarebbe il cin-
golo della castità, segno dell'ordine firanco-
souio, se non professato da Dante come af-
ferma a questo passo il Buti (ofr. Bull, n 10),
certo da lui ammirato per singoiar devozione
al santo fondatore (ctr. Par. ui 97 e zi 87,
48-117); od quale cingolo, nel mondo, il poe-
ta avea pensato di poter vincere gli stimoli
122
DIVINA COMMEDIA
106 prender la lonza alla pelle dipinta.
Poscia che l'ebbi tutta da me sciolta,
si come il duca m'avea comandato,
111 porsila a Itti aggroppata e ravvolta.
Ond'ei si volse in vèr lo destro lato,
e alquanto di lungi dalla sponda
114 la gittò giuso in quell'alto burrato.
« E pur convien che novità risponda,
dicea fra me medesmo, al nuovo cenno
117 che il maestro con l'occhio si seconda ».
Ahi, quanto cauti gli uomini esser denno
presso a color, che non veggion pur l'opra,
120 ma per entro i pensier miran eoi senno!
Ei disse a me : « Tosto verrà di sopra
dò ch'io attendo, e che il tuo pensier sogna
128 tosto convien ch'ai tuo viso si scopra >.
Sempre a quel ver e' ha faccia di mensogna
dèe l'uom chiuder le labbra fin ch'ei puote,
126 però che senza colpa fa vergogna;
ma qui tacer noi posso: e per le note
di questa commedia, lettor, ti giuro,
129 s'elle non sien di lunga grazia vote,
ch'io vidi per quell'aer grosso e scuro
della cune: ofir. Bif,i32,-~ 106. U loum
aUm peUe 4ipUU: cfr. ^/l i 42 e foia alla
gaietta pelle >. — 109. Poida ecc. Intorno
alla eorda, di cni il poeta andava cinto, ha
scritto alcnne notarti coniiderazioni il D' 0-
▼idio, pp. 807-809: egli anzitatto, por rìpn-
diaodo la tradizione ohe Dante professasse
mai l'ordine francescano, ritiene che abbia nn
senso letterale corrispondente alla realtà;
quindi esprime l'opinione che il gettar giù la
corda fosse e solo un modo improvrisato e
inaspettato di avvertire il gnardiano [Qerio-
ne] ohe li c'era qualcosa d'insolito > e ohe
« dovè ciò bastare a farlo salir so, per nata-
xale impeto di goardiano »: aggiunge da nlti*
mo, non risaltare in nion modo € che abbia
on senso simbolioo, dod d'ana virtù contrap-
ponibile alla frode (la vigilanza e an'onesta
scaltrezza o altro di simile) >. Ma i versi 107-
108, i quali non possono non ricollegarsi al sim-
bolismo delle tre fiere, mi pare ohe esclndano
r interpretazione del D'Ovidio; e se si trat-
tasse di nn e espediente > trovato U per If
da Vii^gilio per avvisare Qerionei senz'altra
significazione allegorica, difficilmente Dante
v'avrebbe speso intomo tante parole. — 113.
e alquuito eco. lanciandola on po' lontano
dalla sponda, la gittò eoe — Ili. alto bar-
rato: profondo precipizio; cfi:. Inf, xn 10.
- 115. E pur eonvleB ecc. : dall'attendone,
con la qnale Virgilio accompagnava il o*der
della corda, Dante imaginò che a qael aegno
singolare dovesse corrispondere nn'appariaio-
ne strana. — 118. ÀJkì eco. L'nomo noa 4eTo
correr troppo fiMsUmente a chiedeiB ai m^gi
la ragione dei loro atti; poiché indorinando
gli altrui desideri danno essi stesi qneOa ra-
gione, senz'aspettar d'esserne liohieetL —
122. e ekt 11 tao pensier ecc. e qnello ého
vagamente imagìni che debba venire or si
mostrerà chiaro al tuoi occhi — 124. 8e«pra
ecc. L'uomo deve, per quanto 'può, eritazv
di narrar fatti veri, ma tanto maravìglioai d»
possano esser tenuti per falsi. L'awertiaanto
d di Albertano da Brescia, Trattati monal»,
volg. di S. Del Grazia, Firenze, 1882, p. 6 :
e Tal veritade ddi dire che ti sia creduta, al-
tramente sarebbe reputata per buada».
ver e' ha faccia di menzegna: cfr. R Qiam-
boni. Della forma di onesta vtto, Venezia,
1830 : « La veritade ha molte volte faccia di
menzogna >. — 126. però ehe ecc. peiroliA i
fatti meravigliosi fanno parer bugiardo ohi n
racconta, anche se sono veri. — 127. le mmi%m :
le parole, i versi; cfr. Inf. xrx. 118, JRir. xix
96. — 128. eonmedfa: cfr. la nota aU*j^.
XXI 2. — 129. s*elle eco. cosi le mie paoolo
possano lungamente riuscir care ai lattaci.
INFERNO - CANTO XVI
123
132
186
venir nuotando una figura in suso,
meravigliosa ad ogni cor sicuro,
si come toma colui c)ie va giuso
talora a solver àncora, ch'aggrappa
o scoglio o altro che nel mare è chiuso,
che in su si stende e da pie si rattrappa.
eont è T«xo eh' io vidi salìi^ Vonibile mottro.
— 13L uA flffsni: Gociune; cfir. ivf. twvl
L — IMO : dal lot gusum per mmwm (Di»
312). — 132. aMniTlglioM eoe. ohe sarebbe
■tate eagiozie di graiideiiMniTiglia a qnalnii-
qaa «obo oozaggioao. — 183. gf eome eoe.
eoiM il zaaxinaio, diioeeo nell'acqua per di-
itzkne l'ànoon aggroTiglistasl a ano scoglio
o ad tltio impedimento sabaoqTieo, toma sa
fistandeodo la parte sapeiiore del corpo e
XHtmigendo i piedi alla fìine. ~ 134. a sol-
Ttr àaeora eoo. : con maggiore abbondanza e
minor TÌrexKa di rappresentaxione Locano,
Fan, m 697: cEximios Phoceos animam
servare sub ondi», Scnitariqae fketnm si quid
mersiseet arenis, Et nimis afflxoe nnd oon«
veliere morsns, Addaotom qnoties non sen-
serat anchora fonem >. — 186. il rattrappa:
il vb. rattrappoTBi esprime proprio l'atto di
ohi, salendo arrampicato a ona ftrne, ristringe
ad essa i piedi mentre slancia le braccia per
CANTO xvn
Dopo l'apparisione di Gerìone, Dante si allontana an momento da Vir-
gilio per vedere da vicino gli usurai, tra i quali incontra alcuni fiorentini
e padovani; e tornando al suo maestro con Ini s'asside, non senza paura,
ia groppa a Gerìone : i due poeti discendono così per lentissimo volo dal
wttimo alPoUavo cerchio (9 aprile, ore antimeridiane verso Talba].
€ Ecco la fiera con la coda aguzza,
che passa i monti e rompe i muri e l'armi;
8 ecco colei che tutto il mondo appuzza ».
^i cominciò lo mio duca a parlarmi,
ed accennolle che venisse a proda,
6 vicino al fin de' passeggiati marmi;
e quella sozza imagine di froda
sen venne, ed arrivò la testa e il busto,
9 ma in su la riva non trasse la coda.
xvn 1. Seco la Aera eoe. Oerione, se-
eoBdo la Biitologìa, fti nn re dell' isola Eritea
Mi Bari occideatali, figlio di Orisaore e di
Gifinoe, «ooiao da Ercole per rapirgli il greg^
gs: i pe«ti greci e latini lo rappresentano
ooBs «B gigante noetmoso a tre teste e a
tn corpi (efr. p. es. Lacreaio, v 23, Yicgilio,
Al. vm 202, Orazio, Od, n 14, 7, Silio Ita-
lie», Am. xm 201 eoe.) ; ma Dante ne alterò
la fcnm, dando a Gerione l' aspetto dei mo-
itri UbOel 4el Om. mie segg. e deU' Jpoo.
a 7-11, • na fsoe U simbolo della frode, po-
•nAolo a gnasdia dell'ottavo cerchio, nel
qisle appsttto sono puniti i trandolenti. —
e. Dan. : e Fingendo ohe que-
sta fiera sia l' imagine della Arando , dice
eh' ella area la coda agozza ed appuntata si
fattamente, che passava i monti, e rompeva
mori ed armi; perciocché non d al mondo
cosa si difficile e dura, che il malizioso con
la sua acutezza non passi ». — 8. colei ecc.
la frode : cfr. Inf. zi 52. — 6. vlclae ecc. colà
dove terminavano gli argini impietrati sui
quali avevamo sino allora passeggiato. — 7.
froda: in Dante ò sempre in rima {hif. zzii
82, Purg. ziv Ó8), ma si trova anche in prosa
(cfr. Parodi, BuU, m, 117). — 8. arrirò :
trasse sulla riva ; il vb. arrware è usato qui
in significato attivo, per indicare l'atto del
posare sulla riva. Il Torraca cita da un an-
124
DIVINA COMMEDIA
La faccia sua era faccia d'uom giusto,
tanto benigna area di fuor la pelle;
12 e d'un serpente tutto l'altro fusto.
Due branche avea pilose infin l'ascelle;
lo dosso e il petto ed ambedue le coste
15 dipinte area di nodi e di rotelle:
con più color, sommesse e soprapposte
non fèr mai drappo tartari nò turchi,
18 né fKir tai tele per Aragne imposte.
Come talvolta stanno a riva i burchi,
che parte sono in acqua e parte in terra,
21 e come là tra li tedeschi lurohi
lo bévero s'assetta a far sua guerra;
cosi la fiera pessima si stava
24 su l'orlo che, di pietra, il sabbion serra:
nel vano tutta sua coda guizzava,
torcendo in su la venenosa forca
27 che, a guisa di scorpion, la punta armava.
tioo rimatore : < A questo porto Amor m*hk
uiiyato >. — 10. L* fteela ecc. Non già
porche in Gerione t' abbia a vedere la tra-
sformazione d'nn oontemporaneo di Danto
(secondo alcani, Oeri Spini; secondo altri
ìf asciatto Franxeei o Guglielmo de Perche,
ministri di Carlo di Valois), ma perché tale
lo rappresentano le leggende mitologiche; cfr.
Booc, Oemal. deor, i 21: cBegnans apad
Baleares insolas Oeiion mUi vuUo bUmdisque
varbit et omni comitato consueverit hospites
sosoipere et demnm sub ae benignUaU socpi-
tee oocldere». — 12. • d'na lerpente eco.
e il resto del corpo avea figura di sexpento;
si cfir. la descrizione dantesca con quella che
della Prode fa rAriosto, Or/, jov 87. — 18.
Due branelie ecc. Gerione aveva dne bran-
che laterali ricoperte di pelo sino alle ascelle,
e il dorso, il petto e i fianchi tatti cosparsi
e dipinti di groppi e rotelle variegate. — 16.
di nodi • di rotelle: e Qae' nodi e quelle
rotelle stanno a significare gì' infingimenti e
i raggiri con coi V ingannatore avviluppa al-
trui : e sono complicati e svariati senza fine,
tanto ohe pi6 intricato non ò il lavoro dei
fondi e de' ricami in quei drappi per cui vanno
famosi gli Orientali > ; D. Mantovani, LeeL
p. 6. ~ 16. eoB pltf eelor eoo. I turchi e i
tartari, fumosissimi noli' arto del tessere, non
fooero mai drappi con tanta varietà di oolori,
di fondi e di rilievi. — semesie e i «prap-
poste: la wmmeaaa ò la parto del drappo
sulla quale spiccano i disegni, cioò quella che
dicesi comunemento il fondo e che può essere
di vari colori; la arprofposta invece d la parto
rilevata, a vari colori e figure: cfr. P. Toyn-
bee, in Bommta, XZDC 669-664, ov« è an-
che dimostrato che 1 drappi orientali furono
molto conceciuti in Italia nei secoli zm e ziv.
— 18. Àrftgnet Araone, flgtiucila d'Idmono
da Colofone, celebrata per la iene della Li-
dia come valente teesltrioe di dnippi, ardi di
sfidare Minerva a alla prova la supéiò con
un lavoro che rapproeenteva gli amori di <Ho-
ve : onde la dea la converti in ragno (Ovi-
dio, Md, VI 6-146; cfir. Bay. zn4S). — 19.
Cave ecc. Venturi, 869 : e Salito Gaiione al
sommo del pozzo, in fondo al quale sta Ha-
lebolge, pone la testa a il busto snU'eatze-
mità dell' argine petroso, ove itanao I dna
poeti; e Danto descrive quella postura oon
due similitudini, una plfi bella dell* altra..».
Coi bmrehi dipinge U solo atteggiamento ma-
teriale di Gerione : e ool Mmto, il fina insi-
dioso di cotesto attsggiamento». — ^ar^hl-
navicelli usati per il mare e per i flumi.
21. tra 11 ledesehl lareld : nei paesi ger-
manici, nelle terre del tedeschi ghiotti e beonL
— 22. lo Mvero eoo. : il Mmto, dal lai. fibtr
(Diez 60X d il castoro, animale ohe s' suxso-
moda sulla riva d' un fiume, tenendo la coda
nell'acqua, per prendere i pesci. F. Uberti,
Ditt, va a dioe del castoro : « La casa Ca in-
osstellata come A lui bisogna, e la testa •
le branche Tien sopra Tacque.... Onde qxiA-
lor per aoddento avviene Qie '1 lago oroaoa,
per la casa monta, E cosi in esso la aaa coda
tiene >. ~ 24. sa Perie eoo. sol lembo mar-
moreo, ohe dnge all' intomo il tento girone
del settimo cerchio. — 26. ael vane eoe. Qe.
rione teneva distesa nel vuoto dell'abisso
r intera coda, torcendo in alto l'estramità bi-
INFERNO - CANTO XVH
125
Lo duca disse : < Or convien che si torca
la nostra via un poco infino a quella
80 bestia malvagia che colà si corca >.
Però scendemmo alla destra mammella
e dieci passi femmo in su lo stremo,
83 per ben cessar la rena e la fiammella:
e quando noi a lei venuti semo,
poco più oltre veggio in su la rena
36 gente seder propinqua al loco scemo.
Quivi il maestro : € Acciò che tutta piena
esperienza d*esto giron porti,
89 mi disse, or va, e vedi la lor mena.
Li tuoi ragionamenti sian là corti:
mentre che tomi parlerò con questa,
42 che ne conceda i suoi omeri forti >•
Cosi ancor su per la strema testa
di quel settimo cerchio, tutto solo
45 andai, ove sedea la gente mesta.
Per gli occhi fuori scoppiava lor duolo;
di qua, di là soocorrlen con le mani,
48 quando a* vapori, quando al caldo suolo:
non altrimenti fan di state i cani,
or col cefiPo, or coi piò, quando son morsi
(iicita annata d'monlal, a modo deg^ icor-
fkaL Seoondo alcuni le due ponto della coda
fi Genoie rimboleggiano le due maniere di
izod» dipinto in ifiA s 62-54 ; secondo altri,
k im mtaàan laxebbero tlmboleggiato nelle
taneb» pdoM. — 28. Or eosTien ecc. Bi-
apaohe utoiamo un po' dalla noatra Tia
p«anirare alno a Qeiione. — 81. §etm-
<«Ba eoe. aoendemmo dall' aigine, rolgen-
toa daatra, • camminammo per una die-
ótt di pesai soli' estremo oxlo del cerchio al
ha d'evitale 1* arena e la pioggia di fiamma.
- alla dtatm MMuaiellAt dal lato destro ;
dr. hf. a 152, zn 97. — 88. eesaar t il vb.
tman ha il senao di cansaie, evitare anche
ÌB Ar. zxv 188. — 86. gente ecc. : questo
«aiiia seduto presso all' orlò estremo del cei^
ckb sono qpeXlt dei Tidenti contro l' arto
«aia degli nnizai : ofr. itf, zi 46-61, zrv 28.
~ 38. la ler mmm : il continno movimento
daOe Biaai, col quale ^ nsorai cercano d' al-
enine n loro tormento, come ai ha dai vr.
C4l : sol lignifl^l^ del nome mmM osserva
il Bofi^ che e la roce è molto nostra, e non
Taol diie gaati, ma ffliemo noi lo steto e la
fvlità koo» : questo aignifioato pi6 generico,
^ cottoB»^ condotta, maniera, è coniérmato
^ Tonaca con esempi d'antichi rimatori, e
ricorre altrove nel poema (cfr. Inf. zzrv 83);
ma negli esempi danteschi non par da esclu-
dere dal vocabolo l'idea del movimento. —
42. che ne ceaeeda eoe che ci presti i forti
omeri, portondod gi6 all'ottavo cerchio, -~
48. ancor su .... andai: continuai da solo
il cammino sull' orlo estremo del cerchio. —
44. solot Scart.: e All'entrata della città di
Dito Virgilio va solo a parlare coi demoni,
cosi che Danto non poto udire dò che Vir-
gilio lor disse, Inf, vm 112. Qui invece Vir-
gilio resto e Danto ò colui che soletto si al-
lontana. Ma come egli non udì le parole dol
maestro ai demoni, cosi e^ non ode neppur
quelle, colle quali Virgilio induce Qerione a
conceder loro i tuoi omeri forti ». — 46. Per
gli ecelli eco. Piangendo amare lagrime, gli
usurai a' aiutovano dimenando qua e là le
mani, ora per isouotersi di dosso le fiamme,
ora smovendo la sabbia cocento. — 48. va-
peri i fiamme ; cfr. £%f, ziv 86, 142. — 49.
nta altrimenti eco. Paragona il movimento
continuo di questo anime a quello dei cani,
che nelle calde ore dei giorni estivi ceroano
di liberarsi dagl' insetti or addentandosi una
parto del corpo, or percotondo con le sampo
un' altra parto, dove si sentono pungere. La
similitudine dantosca, come noto il Venturi
126
DIVINA COMMEDIA
51 o da pulci o da mosche o da tafani.
Poi clie nel viso a certi gli occhi pòrsi,
ne'quaH il doloroso foco casca,
54 non ne conobbi alcun; ma io m'accorsi
che dal collo a ciascun pendea una tasca,
che avea certo colore e certo segno,
57 e quindi par che il loro occhio si pasca.
E com'io riguardando tra lor vegno,
in una borsa gialla vidi azzurro,
60 che d*un leone avea faccia e contegno.
Poi procedendo di mio sguardo il curro,
vidine un'altra come sangue rossa
63 mostrando un'oca bianca più che burro.
Ed un, che d'una scrofa azzurra e grossa
segnato avea lo suo sacchetto bianco,
66 mi disse: € Che fai tu in questa fossa?
Or te ne va; e perché se' vivo anco.
I
402, ta imitata daU'Anosto, OrL x 105. -
61. 0 da palei ecc. Buti: e da questi tre
animali sono molestati i cani, come è mani-
festo a ognano, massimamente la state >. —
62. Poi ehe nel riso ecc. Qoardando in fac-
cia a parecchi di ooloio sa coi cadeva la piog-
gia di fiamma, non ne riconobbi alcuno ecc.
Dante imagina ohe anche gli nsoiai, come
già gii ayaii e 1 prodighi, non possano essere
xiconoeciQtl ; pena degna della vita scono-
scente onde si macchiarono: ma perché si
abbia qualche indizio della lor condizione ter^
rena imagina che al collo di dascnno penda
una borsa con lo stemma della sua famiglia;
ingegnoso modo, osserva il Tomm., «per por-
tar in inferno lo scherno della sudicia nobil-
tà > : cfr. F. Tribolati, H blaaom netta DMna
Oomm.y Pisa, 1872, p. 6 e Mantorani, Led.
p. 9. — 66. vna (atea: cosi anche al y.'73,
mentre per amore di varietà è detta boraa nel
V. 69 e taecktUo nel t. 65 ; ma s' intende che
f^ usurai portavano una di quelle tasche o
borse, ohe nel medioevo s' usava di tener le-
gate o appese alla cintura. — 66. eerto oo-
lore 0 eerto segno: un colore determinato
0 una determinata insegna. — 67. • qvladl
ecc. Biag. : « perché cotai vista rimembra
loro la misera cagiono dol loro etemo sup-
plizio, il che è stimolo a maggior duolo ; sio-
como agli avari e ai prodighi ò pur cagione
di pi6 gran pena il sentirsi ad ogni giostra
rinfacciare la cagione del lor tormento ». —
69. U ana bona gialla ecc. vidi sur una
borsa un leone azzurro in campo giallo e
d' oro. È questo lo stemma della famiglia fio-
rentina dei Oianfigliazzi, ohe nella divÌBÌone
del 1215 seguirono parte guelfa e nel 1800
tennero parte nera; di questa famiglia scrivo
il Lana ch'erano anche al suo tempo tonutì
per « grandissimi usurarli » e l' Ott aggiunge
che il poeta « uno ne pone per tutti loro > :
forse Dante volle colpire tutta la famiglia,
ma pud anche essere eh* egli alludesse, come
intese il BambagU, a una determinata per-
sona di quel casato, il nome della qnalo sfkigw
gisse ai commentatori per essere venuta meno
la memoria delle sue usuro. — 61. prooodoado
ecc. continuando a guardare più innanzi, o,
dice il Buti, « seguitando lo soonìmonto dei
miei occhi ». — evrro: lat owrrut, il carro,
e, per estensione, il corso. — 62. va' altra
ecc. un' altra borsa che portava un' oca bianca
in campo vermiglio. È l'insegna della fami-
glia fiorentina degli Obrìaohi, e di antichis-
sima nazione e gentili » e di parte ghibel-
lina, e li quali similmente (dice il Lana) sono
stati grandissimi usurarii > : noi 1298 Lecco
degli Obrìaohi fiorentino faceva il prsstatoro
di denaro in Sicilia; ma Dante, secondo lo
Chiose an., accennerebbe a un Ciapo di que-
sta famiglia. — 64. Ed an ecc. Quesf altro
usuraio, ohe ha per insegna una scrofa az-
zurra in campo bianco o d* argento, ò il p«|.
dovano Beginaldo degli Scrovegni; del quale
scrìve F. Selvatico nel voi. Dani» e I\id4>-
oa, p. 181 e sogg. : e Avea guadagnata f^^fk
infame anche presso le plebi. Era tenuto
come il più grande usuraio in un tempo nel
quale l' usura era lebbra congenita quasi ad
ogni rìoco.... Beginaldo giunse alla decre-
pitezza senza che o il rimorso o gU oramai
inutili guadagni gli raUentassero l' avarizia ;
che anzi questa pareva farsi taccagna e aoi--
dida sempre più. Airìvata l'ora fatale e Ti-
INFERNO - CANTO XVII
127
sappi ohe il mio vioin Vitaliano
69 sederà qui dal mio sinistro fianco:
con questi, fiorentin, son padovano;
spesse fiate m'intronan gli orecclii,
72 gridando : * Vegna il cavalier sovrano,
che recherà la tasca co' ire bécchi ' >.
Qui distorse la bocca, e di fuor trasse
75 la lingua, come bue che il naso lecchi.
Ed io, temendo no '1 più star crucciasse
lui che di poco star m'avea ammonito,
78 toma' mi indietro dall' coiime lasse.
Trovai lo duca mio ch'era salito
già su la groppa del fiero animale,
81 e disse a me : < Or sie forte ed ardito ;
omai si scende per si feitte scale:
monta fi in augi, ch'io voglio esser mezzo,
Blo che gli rimanevano pochi giorni di Tìta,
dduBò a 86 l'unico figlio suo Enrico per
iocoleaigli di serbare gli illeciti guadagni
iatatti quanto più poteva, perché V oro, al
iir no, en potensa, forza, Batate. Mori gri-
tedo: Datemi le chiavi dello iorigno, per-
iU oeiiiimoi trovi il mio danaro ». — 68. 11
■le Vida TltaUtto: i più degU antichi^
BMimeptatari, Lana, Ott, Benv., Boti, An.
Ut^ aegnlti dai moderni, affermano che l'osn-
nb appettato in inferno da Beginaldo degli
Senfvagni è Vitaliano del Dente, padovano,
ete te podestà in patria nel 1807 ed d ricor-
4ito dai ceonisti contemporanei eome nomo
■yiiniian e generoso. Invece, aecondo nno
tmtìban padovano del Mcolo zrv, Oiambono
W Vkvafeedii, aaiebbe VltiJiano di Iacopo
Yìà^mxd del qoale egli dice : « potens et di-
tìMiKBf vitam mirabilem in peocatia dnxit,
fBooiam mazimna worarins Mt, qnem doo-
te vaigaiiB [Dante] damnat ad inferoe per-
wauii > : cfr. K Morporgo, I prmkUori di
emanai Imnpo di Dante JuHIkmte $ Padova^
fp. 218 e aegg. — vlcU i da alonni d preso
Mi meo di vìdno di casa : da altri, in quello
é oaaóttadino, che vMno ha anche in IV]^.
s UOl — 70. e^ qatitl, flertntln eoo. io,
laiftTimi, sono accompagnato a questi, che
MM ioniotini, i quali aspettano anch' essi
ia gnade usmaio loro concittadino. — 72.
Tifia eoe Venga presto il sommo degli
«orai, Biasser Giovanni dei Buiamonti cava-
InsioraBtino, gonfaloniere di giustizia nel
1211; dal quale dice il Lana che e fti uno
piaflsilm nsuraio, ma insonma fte' il pi6
tri*», vituperoso, cattivo, con ogni scarsità
ds avesse mmì nomo in lo mondo », e l'Ott.
iRrange che « fece miseriaaima fine in somma
ISTtttade». — 73. eke reeherà ecc. ohe
porterà sulla tasca tre bécchi per insegna :
infletti attesta il Lana che Oiovanni Buio*
monti aveva e per arme tre bécchi di nibbio
gialli nel campo azzurro ». La maggiore au-
torità del Lana, oome più antico e perché dai
partìoolari ohe dà sui colori e suUa qualità
dei tre bécchi d lupare meglio infocmato di
cotesto minuterìe araldiche (cfr. anche Tri-
belati, L cit), m' induce a porre in disparte
la testimonianza degli altri commentatori Pie-
tro di Dante, Ott, Benv., Bnti, An. fior.,
che pazlano di un campo giallo con tre beo-
chi o capri neri sovrimposti e oorrenti. —
74. Qnl 41itorse eco. Queeto atto villano,
secondo Benv. sarebbe stato abituale a Be-
ginaldo Sczovegni, che e saepe cum dizerat
alìqua verba cum aliquo, turpiter extrahebat
Hngnam versus nasum > ; meglio forse il Buti
intese che cotesto fosse atto proprio di questi
dannati che si leccavano le labbra per miti-
gare il dolore dell* arsura. È dubbio, ad ogni
modo, ohe trattisi di una rimembranza da
Isaia, Lvn 4 (oft. Moore, I 77). — 76. eome
àae eoo. : imagine còlta e resa con grande
senso della realtà in pochi tratti magistrali.
— 76. teaendo no '1 ecc. cfr. una simile lo-
cuzione in Jnf. ni 80. — 77. lai ecc. Virgi-
lio, che m' avea ammonito di trattenermi poco
in mezzo agli usurai : si veda il v. 40. — 82.
ornai ecc. ormai bisogna che tu f avvezzi a
discendere per opera di cosi fatti mostri : in-
fatti dall' ottavo al nono cerchio i due poeti
sono poi calati dal gigante Anteo (cfir. Inf.
XXX] 130 e segg.), e oltrepassano il centro
della terra arrampicandosi al corpo di Luci-
fero (cfr. Inf, XXXIV 70 e segg.). — sf fatte
scale : cfr. Jnf, xxxiv 82. — 83. monta ecc.
sali sulla parte anteriore della groppa di Go-
rìone, ch'io voglio stare in mozzo fta te e
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DIVINA COMMEDIA
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si che la coda non possa far male >.
Qual è colui, e' ha si presso il riprezzo
della quartana, e' ha già 1* unghie smorte,
e trema tutto, pur guardando il rezzo,
tal divenn'io alle parole porte;
ma vergogna mi fé' le sue minacce,
che innanzi a buon signor fa servo forte.
Io m'assettai in su quelle spallacce;
si volli diry^ma la voce non venne
com' io credetti : € Fa che tu m' abbracce ».
Ma esso, che altra volta mi sovvenne
ad altro forse, tosto ch'io montai
con le braccia m'avvinse e mi sostenne;
e disse: « Gerion, muoviti email
le rote larghe e lo scender sia poco:
pensa la nuova soma che tu hai ».
Come la navicella esce del loco
in dietro in dietro, si quindi si tolse;
la coda, per impedire che questa ti possa far
male. — 85. ({vai è colai ecc. Ventali 246:
e II poeta guarda quel mostro, e inorridi-
sce. JS(^ manireeta il tremito e la paura per
mezzo degli effetti che soglion venirne; e
questi effetti rassomiglia a quelli d'on feb-
bricitante, il quale sento il brivido della quar-
tana. Nel qual accesso gli si scolorano le un-
ghie, e la sola vista dell'ombra lo fa racca-
pricciare per l'apprensione del freddo che
accompagna la febbre >. — 87. rexso : orez-
zo, luogo ombroso ove spira aria fì^da ; cfir.
Ihf, zxxn 75. — 88. parole perte: parole
dettemi da Virgilio ; cfr. Inf. ii 135 : e alle
vere parole che ti porse ». — 89. Ma vergo-
gna ecc. Q. YandeUi : e Vergogna mi fece
le sue minacce, mi minacciò ; quella vergo-
gna, che oome fa forto il servo dinanzi al
suo signore, cosf diede allora animo a me
eh' oro davanti al buon signor mio ». La le-
zione pi6 usuale, ma vergogna mi ferie sue mi-
nacce^ oltre non essere prevalente nei mano-
scrìtti, dà luogo a molti dubbt, non intondon-
dosi che minacce potesse far Virgilio a que-
sto momento : i commentatori piti antichi cro-
dettoro che Virgilio, vedendo Dante spaven-
Uito dall' invito rivoltogli di salire sul dosso a
Qerione, aggiungesse qualche severo ammo-
nimento, che sarebbe poeticamente detto mi-
naccia : r Ott., p. es., pensò che la minaccia
fosse questa : < se tu ti lascerà' cadere, io
non t' aiuterò rilevare, o fia etema caduta > ;
Buti, invece : « se tu non monti, io me n* an-
drò e lascerotti qui > ; e Benv. : e Ah t mi-
sor, infelix, vilis, pusillanimls, nunquam ha-
bebis honorem, non famam perpotuam, non
glorìam aeternam, et perdideris tot laboiim,
tot vis^lias*. Ma sono tutte supposizioni pi6
0 meno ingegnose, e non altro : meglio pen-
sava lo Scart. che minacce non tignifloMBe
altro che parole d' eccitamento, sebbene poi,
indipendentemente dalla lezione, enasse nel
riconoscerle in dò òhe ha detto Virgilio al
w. 81-84 : che l'eifetto di queste parole porU
Al la paura, mentre le minacoe produsaero
la vergogna della paura. — 92. af Tolli
dir ecc. veramente volli dire : abbracciami ;
ma la voce non usd, come io aveva creduto.
La particella s( ha qui il valore aflérmatÌTo,
riferendosi all'azione del volere^ non a quella
del dvre\ né può essere usata, com* è tante
altre volte, in luogo di cosi, — 94. clia al-
tra Tolta ecc. che in altra occasione difficile
e perigliosa m'aveva aiutato. I pi6 credono
che Dante voglia genericamente parlare di
occasioni in cui Virgilio l'aiutò (cfr. J»/L tu
97), ma Benv., molto acutamente, pensa ohe
il poeta accenni all' aiuto dato da Virgilio a
Dante, quando in groppa al centauro Nesso
passarono dal primo al secondo girone dol
settimo cerchio (cfr. Inf, xn 95, 126). — 95.
ad altro forse : in altra occasione dabitosa,
diffìcile ; né senso sostanzialmente diverso dà
la variante ad altro fcfrte^ cioè in altra diffi-
coltà. — 98. le rote ecc. scendi in lax^ghe
ruote, descrivendo larghi giri, lentamente ;
poiché hai un carico insolito alle tue spalle :
insolito, perché portava Dante che era ancora
vivo. — 100. Come ecc. Riprende la simili-
tudine della navicella, già usata a descrivere
l'approdare di Gerione nei w. 19 e sei^.
per mostrare oom' egli ti staccasse dall' orlo
INPERNO - CANTO XVII
129
102 e poi olì' al tutto si senti a giuoco,
là OY*era il petto, la coda rivolse,
e quella tesa, come aaguilla, mosse,
105 e con le branche l'aria a sé raccolse.
Maggior paura non credo che fosse
quando Fetòn abbandonò li freni,
108 per che il ciel, come pare ancor, si cosse,
né quando Icaro misero le reni
senti spennar per la scaldata cera,
111 gridando il padre a lui : « Mala via tieni >,
che fu la mia, quando vidi ch'i' era
nell'aer d'ogni parte, e vidi spenta
114 ogni veduta, fuor che della fiera.
Ella sen va nuotando lenta lenta;
rota e discende, ma non me n'accorgo
117 se non ch'ai viso di sotto mi venta.
Io sentia già dalla man destra il gorgo
kà nttiBO otRUo ttziioiando aU'indiotio
fi^ ta nel Tvoto, dorè il nrolae, come fa
h teca tzatla dalla riva in mezzo all' acqua.
" iti loM ; dalla ziva, golia quale è stata
tatta in seooo. ~ 102. e pel eoo. e quando
li tmU intatamente libero ti da poter spa-
mn a foo agio nel vuoto. — 104. e faella
«o& • distesa la coda la dimenò oon nn mo-
Tiaento Tibratozio, col gnisso proprio delle
Ofvilìe. — 106. e eoa le branche eoo. :
oflM H nnotatoze xaoooglie a sé col moorer
Wb braccia l' acqua in coi ò immeno, cosi
teioae oon le branche laterali parve raooo-
Sfi«e r aere in cui doveva disoendero vo>
ialo. — 106. Magf lar eco. Dante paragona
i no pavento a quello di Fetonte, figlio dol
Bob e di Olimene, del qnale la mitologia rao-
«oiti dM, guidando per singolare concessione
i onaUi dei padre per le vie del dolo, pre-
Qfttd miseramente nell* Eridano (cfr. Ovidio,
Ma n 47-824 e JVy. iv 72, Jtor. xzzi 126).
U pania di Fetonte è ood descritta da Ov.
iH n 178 : € Ut vero snmmo despezit ab
ii<ksra taiTas Infélix Phaeton penitos peni-
tm^ iaoentee, Palloit et subito gonna in-
tnnerB timore, Snntqne oonlìs tenebrae per
ttttam Imnen obortae >. — 107. 11 freni: i
imi doft cavalli del carro solaro ; Ov. Met,
a 20O: e Mentis inope, gelida formidine lora
nùit». — 108. per che 11 del ecc. Ao-
MBBa air opinione, ricordata anche nel Cònv,
n 16^ cte la Via lattea sia l'effetto dell' ar-
lioM opezata nel cielo dal carro eolaro mal
nUato da Fetonte. — 109. me qaando eco.
Altn paragone oon la paura del figlinolo di
IMalo, il quale per ftig^ dall' isola di Greta
im a s6 e al figlio Icaro le ali attaccandole
ai ooipi oon la oen: durante II volo Icaro,
oontro l'espresso divieto del padre, volle av-
vicinarsi al sole, e ood riscaldandosi la cera
le ali gli caddero ed egli precipitò nel maro.
La similitudine dantesca ò tratta dalla nar^
razione ovidiana, Met, vm 226 : e Bapidi vi-
dnia solis Mollit odoratas, pennarnm vincula,
ceras. Tàbuerant cerae : nudos quatit ille la-
certos, Bemigioque oarons non ullas percipit
auras; Oraque ooerulea patrìum clamantia
nomen Ezcipiontor equa, qnae nomen traxit
ab ilio. At pater infelix, nec iam pater, * Ica-
ro ', dixit, * Icaro ', dixit, * ubi es ? qua te
regione requiram ? ' >. ~ 118. e vidi eco. e
non vidi più nulla, fuorché Qerìone. — 116.
Ella eoe Mostra, descrivendolo con preci-
sione stupenda di linguaggio, come il movi
mento di Gerione fosse conforme agli avver-
timenti di Virgilio; vedi i w. d7-99. Man-
tovani, Leet. p. 18 : « La discesa è descrìtta
con cosi perfetta evidenza di particolari, con
tanta esattezza pittrice di espressioni, da pa-
rer cosa realmente provata; ed ò saggio che
basterebbe da solo, ove tanti altri non ne
ofErisse il poema, a mostrare quanto possa
in Dante un'attitudine spiccatissima della
sua fantasia, che direi l' intuizione dell' in^
verosimile >. — 116. ma non eoo. Scart :
« Dante indovina ciò che oggigiorno gli areo-
nauti sanno, che doò chi discende dall' alto
per lo gran vano dell' aria non si accorge di
calare, se non in quanto l'aria di sotto, che
egli mano mano vien rompendo, gU soflla
incontro >. — 117. ni venta : ofr. Purg. xvn
68. — 118. il gorgo: il cono diFlegetonte
precipitando dal settimo all' ottavo cerchio va
a cadere in una fossa profonda, in nn gorgo.
DAirrx
130
DIVINA COHHEDU
A
far sotto noi un orrìbile stroscio;
120 per che con gli occhi in giù la testa sporgo.
Allor fa' io più timido allo scoscio,
però ch'io vidi fochi e sentii pianti;
123 ond'io tremando tutto mi raccoscio.
£ vidi poi, che noi vedea davanti,
lo scendere e il girar per li gran mali
126 che s' appressavan da diversi cantL
Come il falcon cL^e stato assai su l'ali,
che senza veder logoro o uccello
129 fa dire al falconiere : < Oimè, tu cali >,
discende lasso, onde si mosse snello,
per cento rote, e da lungi si pone
132 dal suo maestro, disdegnoso e fello:
cosi ne pose al fondo Gerione
a pie a pie della stagliata ròcca,
e, discarcate le nostre persone,
136 si dileguò come da cotda cocca.
— 119. ftrotelo : minoie dell'acqua cadente.
— 121. Allor eoo. : il valore della parola «oo-
sciOf qaale xisolta dalle chioae di Benv. e del
Bati, è quello d' indicale Tatto dello aco-
sdarsi, il morimento che l'uomo fa per di-
scendere dalla groppa d'nn animale; ti che
Danto ayrebbe yolnto dire che, vedendo i
ftiochi e udendo i pianti di Malebolge, egli
ebbe all' idea.di dover dlacendere dalle spalle
di Qerione maggior paura che non avesse
avuto a quella di montare sull' orribile mo-
stro (cfr. Parodi, BuU, m 166). Altri inten-
dono lo 90090Ì0, come lo scoscendimento per
a quale si precipito Flegetonto ; ma il senso
male si legherebbe ai seguenti versi : il Tor-
raoa preferirebbe di leggere àtosùiOf col senso
di colpo o atto della caduta, ma è lezione
malsicura e interpretazione assai dubbia. —
123. end* lo eco. ai che tremando per la nuova
paura ristrinsi le cosce alle spalle di Gerione,
come se temessi di cadere. — 124. B vidi
eco. e appressandosi i tormenti e i pianti del
cerchio sottoetanto, distinsi ohe il nostro mo-
vimento era insieme a ruoto e discendento,
poiché da diverse parti vedeva avvicinarsi a
noi le pone di Malabolge. — 127. Come eoo.
Venturi 426 : « Qerione porto sul proprio
dosso i due poeti gid nell' ottovo cerchio di
Malebolgo. Mia poiohó quest' uffldo dovè com-
piere per forza, e fu con suo dispetto, il
poeto rassomiglia il colar di quel mostro e
gli atti suoi a quelli del falcone, che sdegnato
del non trovar preda, senza aspettare il ri-
chiamo stanco discende a larghe ruoto colà,
onde suol partire snello, e si pone in disparto
lontano dal falconiere». — 128. sessa veder
eoe senza esser richiamato coi soliti segnali
e senza aver veduto alcun uccello da predaxe.
— logora: cosi chiamavano gli antichi H
richiamo usato dai fklconieri e formato da
due ali d'uccello legato insieme a una Tar-
ghetta. — 132. disdegnosa e Mio i sdegnoso
e corrucciato per la mancato preda. Alcuni,
come Benv., riferiscono questo circostanza
al falcone ; altri, come il Buti, al ftdooniere :
migliore senza dubbio è la prima intoipreta-
zione, con la quale la corrispondenza nei ter-
mini della comparazione ò piò pioia, perchó
dobbiamo imaginare Gerione come sdegnoso
e corrucciato d'aver dovuto volare senza il
compenso d'alcuna preda. — 184. a pie a
pU della stagliata ròcca: alla base info-
riero della roccia tagliato a picco. — 136.
eoue da eorda cocca: con la velocità della
ftecda scoccato dall' arco. B Mantovani, L,ecL
p. 18 noto come il poeto abbia rappresentato
per via di similitadini tatti gli atti di Oerlone
(ctr. w. 19-20, 21-22, 27, 100-101, 104, 12S-
129, 186) e scrive : « Cosi, pel megistoro di
queef arto animatrice, quello che poteva es-
sere un inerto emblema allegorico diviene un
essere forto di Vito propria, il quale, pur raf-
figurando morslmento il concetto e gli atti
della firode, ci passa innanzi agli occhi stupiti
come un animale appartenento a un mondo
misterioso ma vero». — coeea: dal aenso
proprio dichiarato in Inf, zn 77 è fiacQe il
passaggio al più esteso significato di /rse-
eia, che questa voce ha qui e nel Pur. vi|
105.
INFERNO — CANTO XVIII
181
CANTO xvm
Deposti da Gerìone neirottavo cerchio, Dante e Virgilio Incominciano
a tnTcnare i ponti sovrastanti alle dieci bolge, che lo formano; e cosi vi-
littao la prima, quella degli ingannatori di donne distinti in due schiere e
ifenati di continuo dai demoni, e la seconda, quella degli adulatori im-
mersi nello sterco [9 aprile, presso il levar del sole].
Loco è in inferno detto Malebolge,
tutto di pietra e di color ferrigno,
8 come la cerdiia che d'intorno il volga
Nel dritto mezzo del campo maligno
vaneggia nn pozzo assai largo e profondo,
6 di cui suo loco dicerò l'ordigno.
Quel cinghio, che rimane, adunque è tondo,
tra il pozzo e il pie dell'alta ripa dura,
9 ed ha distinto in dieci valli il fondo.
Quale, dove per guardia delle mura
più e più fossi cingon li castelli,
xvm 1. Mftlebolfe: ò nome foggiato
4il poeta per iudicAre l'ottaTO cerchiu, il
quale è diviso in dieci bolge o valli dicchi
eanoentnche, tolta della stessa forma, lai*
gteza e profondità, ma con il fondo pi6 bat-
to fi mano in mano che al ra verso il centro
Uà terra (cfir. ^. zxxt 87 e segg.); in
ofBisa di qneete è punita nna maniera di
inàa osata « in quei che fidanza non imborsa »
(efr. In/l XI 62 e segg.)- co^ <^o nella 1*
Mgia sono i sedattori, nella 2* gli adulatori,
MQa 9" i simoniaci, neUa 4' gì* indovini, nella
^ ì baiattiorì, nella 6* gì' ipooiiti, neUa 7* i
bili, Beli' 8* i mali consiglieri, nella 9* i semi-
caton di scandali e scismi, nella IO* i falsari
eslddmistL — 2. di color fnrrigao: «lei
o^oti grigìas^tro oecoro dei minerali di fem^
- 3. la cerehia ooc. la ripa che drconda
Milebolge ò la « ròcca stagliata » del settimo
ceichio iBtf, xvu 134). — 4. Hel dritto eco.
Kel centro preciso del cerchio otta%'o s'apre
^ largo e profondo pozzo, di eoi dirò a suo
hkogo (cfr. Inf. zxzi) quale aia la comlizione.
— 6. §■• lo€«: a suo luogo; locuzione av-
v«c^. non rara n^i antichL — ordigno :
propriamente sarebbe lo strumento, il coo^^e-
po; oa qui significa più tosto la stnitttu'a,
la condizione. — 7. Quel cinghio ecc. Lo
>P«io che resta fra la ripa del settimo oor-
^ e il pozzo dal nono è circolaro, è il cor*
^ ottavo, distinto in dirci ^-nlli. Si ordini
c(mI: Aduxqué qtiel cinghio. >ht rwnane tra il
P"^ « ilpiè eoe , è tondo ed ha ecc. — 9. 4teel
v>Qi: Diuite chiama gli scompartimenti di
Malebolge per lo pid col nome di valli (Tnf,
zviu 98, zxv 137, znx 9, 63) o valtoni {Inf.
UT 133, XX 7, xxin 135, xxxi 7), poiché tali
orano veramente cotesto dieci fosse concen-
triche, distinte da alti argini, dall'uno all'altro
dei qxiali passavano a guisa di ponticelli na-
turali degli scogli: assai volte anche li desi-
gna col nome bo^ia^ che Benv. attesta essere
« in vulgari fiorentino idem quod valila con-
cava et capax » ; si che l' interpretazione dei
mo<lorm cìie i dieci scompartimenti siano
detti tolgo per aver essi la forma di tasca o
valigia o perché insaccano le varie maniere
di frode non pare abbastanza fondata ; anche
il Lana, 1' Ott., il Buti parlano sempre di
valli, e primo a tribuire al nome bolgia il
senso di tasca fu l'An. fior. — 10. Qoale eoe
Quale ò l'aspetto che offrono parecchie fosse
concentriche scavate intomo ai castelli per
difem della cinta murata, tale era la vista
delle dieci valli dell'ottavo cerchio; e come l
ponti levatoi mettono in comunicazione la
ripa estema delle fosse con le porte dei ca-
stelli, cosi gli scogli, quasi ponti natarali,
collegavano l'una all'altra le bolge dal piò
della roccia del cerchio settimo sino alla grande
apertura del nono. Si consideri la viva pittura
ohe Dante fa di Malebolge e la stupenda ù-
militudine tutta medioevale tratta dalle ròcche
e dai castelli, forti arnesi di guerra, che in
qnel tempo di continui e feroci contrasti fra
città e città, fira famiglia e famiglia, s'alza-
vano sulle cime dei monti e alle imboccature
dello vallato, minaccia e difesa contro i ne-
132
DIVINA COMMEDIA
12 la parte dov'ei son rende figura;
tale imagine quivi facean quelli:
e come a tal fortezze dai lor sogli
15 alla ripa di fuor son ponticelli,
cosi da imo della roccia scogli
movieui che ricidean gli argini e i fossi
18 infino al pozzo, che i tronca e raccògli
In questo loco, della schiena scossi
di Gerion, trovammoci; e il poeta
21 tenne a sinistra, ed io retro mi mossi
Alla man destra vidi nuova pietà,
nuovi tormenti e nuovi frustatori,
21 di ohe la prima bolgia era repleta.
Nel fondo erano ignudi i peccatori:
dal mezzo in qua ci venian verso il volto,
27 di là con noi, ma con passi maggiori;
come i roman, per l'esercito molto,
l'anno del giubileo, su per lo ponte
SO hanno a passar la gente modo còlto,
che dall'un lato tutti hanno la fronte
verso il castello e vanno a Santo Pietro,
83 dall'altra sponda vanno verso il monte.
mici. — 12. rende flgiir»s presenta aipetto ;
locazione usata anche nel Oonc. ly 7 : « Ne-
vato ò si che tatto cnopre la neve e rende
nna flgara in ogni parte, sicché d'alcano sen-
tiero vestigio non si vede >. — 14. dal lor
iogli: dalle soglie delle porte (cfr. Parodi,
Bull, m 119). — 16. seogll noTfem ecc.
Qaesti scogli die oongiongono lo bolge (con in-
terrazione per altro alla sesta, dove ì ponti*
celli minarono per on terremoto: cfr. Btf»
xn 106 e segg.) sono parecchi, secondo che
si ha dall* Inf, xxm 133 e segg. ; ma qnantl
siano cotesti ordini di ponti Dante non dice:
forse ei pensava che fossero nove, e che mo-
vendo dalla ripa del settimo cerchio andas-
sero a terminare sol vano del nono. — 17.
rleideaB: traversavano; oft. inf» vn 100.
— 18. che 1 tronca e raeedgll : che li tronca
e li raccoglie; dod segna la fine degli ordini
di ponti, che in esso pozzo vanno a tenninare.
Qaanto «11* t per <i cfr. Inf, v 78; quanto al
raccògli è forma contratta di raceogHeU, af9ne
dlVaccClo dol Purg. nv 6 (cfr. Parodi, BulL IR
115). — 22. Alla man destra eoo. Continuando
il loro cammino verso T abituale direzione di
sinistra e stando sull'argine estemo della prima
bolgia, i dao poeti avevano alla destra il fondo
della bolgia stessa, ov* erano i peccatori. — 23.
n«OTl tormenti eoo. I dannati di questa bol-
gia sono seduttori di donne, divisi in due
schiere; Tuna di seduttori per conto altrui o
ruffiani, l'altra di seduttori per conto proprio:
quelli procedono lungo l'argina esterno in
direzione opposta a quella del poeti; qaesti,
lungo l'argine intemo nella stessa direzioiie
dei poeti: tutti poi sono percossi oontinnA.
mente da demoni friutatoxi. ~ 26. dal inexs^
In q«a: dal mezzo dol fondo sino airarg;ìne
estemo. — 27. eoa noi: secondo la nostra
direzione. — 28. eonie eco. A dare un* isk».
gine esatta del modo tmuto dai peocatoii nel
camminare sul fondo della prima bolgia, Dmo-
te ricorda il provvedimento ohe 1 magistrati
di Boma adottarono nel 1300, l'anno del ^n-
bileo, per impedire che nascessero disordini e
danni dal passaggio sul ponte di S. Angelo
dei molti pellegrini, accorsi alla vìsita dei
luoghi santi (cft. 0. Villani, Or, vm 36) ; il
quale provvedimento fu di dividere per il
lungo con un tramezzo il detto ponte, man-
dando dall' una parte quelli che andiavano Verso
S. Pietro, dall'altra quelli che ne ritornavano
cfr. A. Monti, Dante o Roma, Boma, 18G5
p. 17; A. Beumont, Rome in DatiWs Z^\
nel Jakrìmeh dar deuieohen Dante-OemU^cha/U
a. 1871, voL m, pp. 398 e segg.; N. Zin»!
rolli. Dante e Roma, Boma, 1895; Bassermann.
p. 10. — esercito: ctr. la nota al Pmg^ xsxn
17. — 80. haaao... còlto: hanno trovato. —
31. tatti haaao eco. : quelli che passano 0
Tevere per recarsi a S. Pietro hanno in fao*
eia il Castd S. Angelo. — 83. mane ecc. i
INPERNO - CANTO XVIII
133
Di qua, di là, su per lo sasso tetro
vidi demon cornuti con gran ferzo,
86 che li battean crudelmente di retro.
Ahi, come feusean lor levar le berze
alle prime percosse! già nessuno
89 le seconde aspettava né le terze.
Mentr'io andava, gli occhi miei in uno
furo scontrati; ed io si tosto dissi:
42 «Di già veder costui non son digiuno ».
Per ch'io a figurarlo i piedi affissi:
e il dolce duca meco si ristette,
45 ed assenti ch'alquanto indietro gissi
E quel frustato celar si credette
hassando il viso, ma poco gli valse;
48 eh' io dissi : < Tu che l'occhio a terra getto,
se le £&zion che porti non son false,
Yenedico se' tu Caccianimico ;
^mDì chi iHoniaiio daS. Pietro aunmiTìftno
•no U wtonU, doò, secondo aleimi, vano il
MoBl» Oianioolo, e secondo altri, e maglio,
Teao il Monta Giordano, assai più Tidno al
toBS a aotiasioio ai tempi di Dante per asservì
laease dei^ daini. — 85. fané: la forza o
ilRxa è nn flagello formato da tre strisce di
eaoio legate in cima a nna Terga; in bolo-
pse» sMna, da cni 9curiada (v. 66), voce
càs il Lana adopera appunto a spiegare fona,
— 37. la bcrxe eco. An. fior.: e vocabolo
«atko et Tolgase, et mol dire U eaìeagna >;
pi esattamente V. Boighini, Opuao, demi,
&. 57-C6: « bena tooI dire quel segno e li-
Titexa cba riiaaned'ana scorìata o forza».
~ 42. M già Teder ecc. Hi pare d'avere
•ttia volte veduto oostoi. Qnando e dove
rifigldaci avesse occasione di conoecere Ve-
■stìeo Gbooianemici non sappiamo; ma fU
pntakilaente in Bologna, negli anni giove-
làfi dei poeta, eoi il seduttore richiama alla
■amoria Vaicam mno dei snoi concittadini
(efr. V. 63). — 48. a flgararle ecc. mi for-
asi par ravvisarlo meglio : a/fygere % piedi
per fmmMìii ò locazione da riavvidnare al-
r«o che Dante ik del vb. rifl. affigg$ni nello
ttsmo senso, Inf. zn 116, Airy. zi 186 eoo.
-- 46. alfaABto Indietro gissi : Dante, col
> di Virgilio, retrocede nn poco per
il peccatore. — 48. la fazlon :
i Hsosiiiti del volto, le fattezze. — 60. Ta-
■tdlaa eoe Mewser Venetioo Caccianemid
dtfOxso, figlio d'Alberto ohe dal 1260 al
1S7 ite capo della parte geremea o guelfa di
Bologna, ta nomo di violenta natura, poiché
i^pisaM) ohe nel 1268 ebbe mano nel!' uc-
dàaae di Onido Paltèna suo cugino e nel
U86 fti accusato d'aver dato ricotto a un
malfattore: combatté ool padre la parte dei
Lambertazzi o ghibellini bolognesi e tu. capi-
tano del popolo a Modena nel 1278 e 74, pode-
stà nel 64 a Imola, nel 76 a Milano, nell'88
a Pistoia : promosse in Bologna la parte mar^
chesana, ohe favoriva le ambiziose mire dei
marehesi d' Este (cfr. Airy. v 64) , e forse
per questo fu bandito dalla patria nel 1289:
cfr. G-. OoKzadini, DM» toni gmUiUxie di Bo-
ieyfia, pp. 212*217. Quanto al peccato, per
cui Dante lo trova in inferno, dice il Lana:
€ Yenedico... aveva una sua sorella, nomeOhi-
solabella: roffianolla a messor Obizzo marche-
se da Esti di Ferrara >, e il Bnti: e iti una
eiroochia del detto messer Venedigo ch'ebbe
nome la Ghisolabella, la quale olii condusse
a fltfe la voglia del marchese Opizzo da Esti,
marchese di Ferrara per danari di'elli n'ebbe,
mostrando a lei che ne li seguiterebbe grande
bene ». Invece l'Ott : € M. Yinedico Caocia-
ninutri- . . aiTufBanò madonna Ghisola, siroo-
chia dd detto, . . . per moneta, al marcheso
Azze da Ferrara»; Benv.: cVeneticas ha-
buit unam sororem pulcerrimam, quam con-
duxit ad serviendum marchioni Azoni do sua
pulcra persona, nt fortius promereretur gra-
tiam eius > ; e l'An. fior., con abbondanza di
particolari rifioriti tardi sul fatto reale: € Fu
costui messer Yenedico de' Gacdanimid da
Bologna; et fa provi^ionato un tempo del
marchese Azzo da Esti, signore di Ferrara.
Avea messer Yenedico una sua sorella, bel-
lissima donna, detta madonna Ghisola, et an-
tonomastice, per eccoUenzia, però che avan-
zava in bellezza tutto le donne bolognesi a
quello tempo, fu chiamata la Ghisola bella.
n marchese Azzo, udendo parlare della bel-
lezza di costei, et avendola alcuna volta ve-
134
DIVINA COMMEDIA
51 ma cbe ti mena a si pungenti Salse? >
Ed egli a me: «Mai volentier Io dico;
ma sforzami la tua chiara favella,
54 che mi fa sovvenir del mondo antico.
Io fui colui, che la Ghisolabella
condussi a far la voglia del Marchese,
67 come che suoni la sconcia novella.
E non pur io qui piango bolognese;
anzi n'è questo loco tanto pieno
60 ohe tante lingue non son ora apprese
a dicer ' sipa * tra Savena e Reno :
e se di ciò vuoi fedo o testimonio,
68 recati a mente il nostro avaro seno >.
data per Tamistà di messer Yenedioo, ulti-
mamente, sotto questa fidanza, si parti da
Ferrara sconosdato, st una sera di notte
picchiò all'uscio di messer Venedico : messer
Venedioo si marayigiid, et disse ohe la soa
venata non potea essere senza gran fatto. B
marrthewe, sotto gran fidanza et perché cono-
scea l'animo di messer Venedioo, gli disse
ch'egli Tolea meglio alla saa sirocchio, a ma-
donna Qhisola, ohe a tatto il mondo, et ch'egli
sapea oh'ell'era in qaella casa: et per tanto,
dopo molti priegfai, messer Venedioo consenti
et discese aìla volontà del marchese: partissi
della casa, et lasdd lai dentro; onde il mar-
chese, gianto a costei, doppo aloana contesa,
ebbe a fare di lei >. B fotte adunque, sebbene
i particolarì fossero dabbiosi anche al tempo
di Dante, è vero: Ghisolabella Cacdanemid,
moglie del ferrarese Kiccold da Fontana,
piacque al marchese Obixzo II (cflr. Inf, xn
111) o al marchese Azze Vm (cCr. Airy. v
77), e piò probabilmente per la ragione dei
tempi al primo ohe al secondo; e il signore
di Ferrara potò averla alle sue voglie, per
opera del fratello di lei Venetìoo, o almeno
lui consenziente : oft. Del Lungo, DanU^ I, pp.
2S2-a47 e p. 417. — 61. ma che ti mena eoe.
ma qaal colpa ti ha tratto a pena cosi gra-
vosa? È grande discordia tra gì' interpreti
circa il vocabolo SoIm ; ma l'opinione più pro-
babile è quella degli antichi, Benv., An. fior.,
ecc., che Dante abbia voluto dire hioghi di
perui^ traendo a questo senso generico il nome
proprio 8aia$ dato ai soci tempi in Bologna
a una valletta a mezzodì ddla città ove si git-
tavano i corpi dei giustiziati (cfir. Bassermann,
pp. 209-212) : quest'opinione ò confermata dal
V. 53, dove la chiara faveUa di Dante non
si pud intendere altrimenti che per discorso
che dimostrasse il poeta bene informato delle
cose bolognesi. — 64. aii fa sorrenlr ecc.:
per il mio nome e per il ricordo delle Salse.
— 66. Ohliolabella: ò questo il vero nome
della donna (nel suo testamento in Del Lungo,
I, p. 270, si ha : « Ohislabella quondam Alberti
de Oaszanemids »); male da tutti gii editori
spezzato in Qhiaola beltà, come se questo fosse
un qualificativu, e non parte del nome proprio.
— 67. come che sasal eoo. Laius Ott., Boti,
Benv., An. fior, accennano tutti alle varianti
del racconto, par ooiifennando che Venetioo
Caccianeraid fisvorl le voglie del marchesa.
— 69. ■* è ^aesto eoo. in qaosta bolgia tono
in si gran numero i bolognefd, che tanti non
sono gli nomini viventi iu Bologna. Lana:
« Segue lo poema mostrando che oniversal-
mente i bolognesi sono caritatevoli di tali
doni, ciod di rofflanare parenti e oognoeoentl,
chi meglio meglio >. — 60. Uste ecc. tanti
uomini non sono ammaestrati a dir tipa, non
sono tanti uomini che parlino il dialetto bo-
lognese: poiché aipa dioevaao i bologned an-
tichi (e aépa dicono l moderni) in Inogo di
tia; come attestano Lana e Benv. e le scrit-
ture dialettali dt da ]<. ScarabeUl, nella prof,
al commento laneo, voi. I, pp. 86 o eegig. :
cf^. F. D' Ovidio, Saggi eriiieiy p. 866. — 61.
ira Savana e Beae t la Savena e il Reno
sono due torrenti, che scendono dall' Apon-
nino verso le pianuro bolognesi e passamo
essai vicini a Bologna, la Savena a oriente e
il Beno a occidente della dttà: cfr. F. de^li
liberti, DitL m 6 : « Intra Savena e Ben
dttà si vede. Si vaga e piena di tutti i dilet-
ti. Che tal vi va a oaval, die toma a piede.
Quivi son donne con leggiadri aspetti, £ U
nome della terra degne il fatto, Baona nei
studi e setta d* intelletti >. B Gozzadini, DoiU
torri gmUUixi», p. 217, osserva che e antica-
mente la Savona e il Beno segnavano limiti,
fino ai quali era ledto «U arrivare ad mia
sorta di confinati che dioevand gtuunatoé
exteriarùi lo spade intordaao era dunqae
eminentemente bolognese ». ~ 63. r àcati a
meste ecc. ricordati doUa nostra avarizia.
Benv. : € nota quod auctor capit hio avari-
tiam largo; nam bononiensis naturaliter et
communiter non est avarus in rotiueudo, sod
INFERNO - CANTO XVIIt
135
Cosi parlando il percosse un demonio
della sua scuriada, e disse : < Via,
CG ruffian, qui non son femmine da conio ».
Io mi raggiunsi con la scorta mia:
poscia con pochi passi divenimmo
C9 là 've uno scoglio della ripa uscia.
Assai leggeramente quel salimmo;
e volti a destra su per la sua scheggia,
72 da quelle cerchie eteme ci partimmo.
Quando noi fummo là dov'ei vaneggia
di sotto, per dar passo agli sferzati,
75 lo duca disse: < Attienti, e fa che foggia
lo viso in te di questi altri mal nati,
in capiendo tantam : illi enim, qni stmt vi-
tios ibi, prodigaliter expendnnt ultra yires
iKoltatis Tel lucri; ideo fadont torpia Incra,
■liqimrdn cnm In^ aliquando oom Iturtis,
■liqnindo com lenodniiB, exponentee Alias,
•oroxes et tixoree libidini, at satiafadant gn-
lae et Toloptatìbus soia » : e aggiunge ohe
Dante, atando in Bologna, € lata omnia yi-
darat et notaverat, et forte emerat ibi ali-
enando de tali merce ab aliqno bononiensi,
Bcut taepe acholares faciont ». — 65. aen-
rlada: aforzata, il colpo della touria; ofr. la
nota al T. 36. — 66. rafflan eco. È qneato
uo dei versi più disputati del poema, e tntta
k fifBcdtà dell' intenderìo sta nel significato
deQa parola eonio. Dei commentatori antichi,
il Lana e Benr. intesero questa voce nel
Moflo di moneta, come se Tawertimento del
diavolo ioese: Vàttone, qui non sono donne
da moneta, da vendere altrui traendone de-
nan; invece l'Ott, il Butì e l'An. fior, dot-
toro al nome conio il valore di inganno, come
is il diavolo dicesse : Via, ruffiano, qui non
■ano femmine da ingannare con seduzioni e
bUndìzie. Dei commentatori moderni, alcuni
itadificarono l'interpretazione del Lana e di
Bav., come il Lomb. che scrisse : « coniOf
impronta sul danaro, qui pel danaro medesi-
Eo, onde femmine da conio vale quanto fem-
Bìne che per danaro vendono la propria one-
ità, femmine venali»; altri invece, come
Buschi, Frat, Andr., Tomm. ecc. l'aocetta-
loao aenz' altro. La spiegazione dei tre an-
tichi ooBunentatori toscani fu sostenuta e
chiarita eon molte ragioni storiche e filolo-
giche da L del Lungo, Della interpretaxion»
^fm teno di Danie eco. Firenze, 1876 e poi
ÌBD(Mri0, 1, pp. 200 e sgg. e 257 esgg. ; iT quale
intese di mostrare ohe femmina da conio al-
to non vale che femmina da ingannare, da
isdnn», da condurre a fiu: la voglia altrui:
aa G. Bigutini, Del vero senso della maniera
i « Femmine da conio », Firenze, 1870,
ritornò all' interpretazione piò comune e con
molti argomenti s' ingegnò di provare che le
parole del demonio frustatore vogliono dire:
Via, ruffiano, qui non son femmine da farci
guadagno; ofr. anche Q. del Noce, Oiom,
darU. m 487 e agg. — 67. mi ragglvnai eco.
mi ricongiunsi a Virgilio, ritornando a lui che
a'era fermato ad aspettarmi. — 68. divenim-
mo: pervenimmo; ofr. Inf. xr7 76. — 69. «no
seoglio ecc. : è uno di quelli scogli o ponti na-
turali che dalla ripa del settìmocerchio al pozzo
del nono «ricidean gli argini e i fossi » del ce>
Ohio ottavo: cfr. i w. 16-18. — 70. legge-
rameate: facilmente; cosi nella V, N, xni
16 : « La donna per cui Amore ti stringe cosi,
non ò come l'altre donne, che leggeramente
si mova del suo core ». — 71. e volti eco.
e volgendoci e destra, su per la pietra dello
scoglio, lasciammo di camminare sull'argine
esteriore della prima bol^a. Questo ò il sen-
so; ma ò gran discussione fhi gli interpreti
sulle cerehie eteme: per alcuni, come il Dan.,
eteme significa continue, non interrotte, e le
cerchie sono. «quel sasso che il settimo dal-
l'ottavo cerchio divide » ; per altri, come il
Veli., lo cerchie sono tutti i precedenti cerchi
0 sarebbero dette eterne^ perpetue, « porchó
eteme sono ancora le pene»; per altri, come il
Veni., le cerchie sono si i precedenti cerchi,
ma poi sono dette eteme doò continuate, non
interrotte, perché « di queste si fatte nun ne
restava a veder più, per esser quelle del pozzo,
che rimanevano a passai^i, intermezzate da
ponti » : meglio di tutti il Lomb. intende che
le cerchie sieno la ripa del settimo cerchio e
l'argine estemo della prima bolgia, dette eter-
ne come partì dell' infemo o sia di loco eterna
(Inf 1 114). —• 73. vaneggia : corre sul vuoto
come arcata di ponte. — 75. Attientl ecc.
Formati e procura che la faccia di questi al-
tri dannati si volga a te, procura di vedere
le loro facce. — feggia : cfr. Inf xv 39. —
76. qaeati altri ecc. : sono coloro che sedua-
136 DIVINA COMMEDIA
a' quali ancor non vedesti la £Bkcoia
78 però che son con noi insieme andati ».
Del veccliio ponte guardavam la traccia,
che venia verso noi dall'altra banda
81 e che la ferza similmente scaccia.
Il buon maestro, senza mia dimanda,
mi disse : € Guarda quel grande che viene,
84 e per dolor non par lagrime spanda:
quanto aspetto reale ancor ritiene!
Quelli è Gtiason, che per core e per senno
87 li (Dolchi del monton privati fène.
Egli passò per l'isola di Lenno,
poi che le ardite femmine spietate
90 tutti li maschi loro a morte dienno.
Ivi con segni e con parole ornate
Isifile ingannò, la giovinetta
93 che prima l'altre avea tutte ingannate.
Lasciolla quivi gravida soletta:
tal colpa a tal martiro lui condanna;
96 ed anche di Medea si fa vendetta.
Con lui sen va chi da tal parte inganna :
e questo basti della prima valle
99 sapere, e di color che in sé assanna >.
Già eravam là Ve lo stretto calle
■ero donne, i quali procedendo in senso o^ oorda il passo di Valerio Flacoo, Irp, n 868 :
posto ai mezzani tenerano la direzione già € nnias haeret Adloqnio, et blandos paalUtiia
seguita da Virgilio e Dante; ctr. 1 vr. 23-27. ooUigit ignee, lam non dora toris, Veneti neo
~ 79. la iraeeia: la fila dei seduttori; cfìr. Iniqua reversae». Molto notOToled la varianta
Jfc/. zn 66. — 81. Ia ferza: cfìr. la nota al eonsennoe eon paroU omatéf dìlssa dal Ifoore,
▼.86.-88. Ciarda fati grande eoe : ri- I 228, sia perché riosdrebbe assai signiftoa-
eorda l'aspetto e Patteggiamento di Capaneo, tira la ripetizione deUa parola Mfrno (cfir. ▼.
Btf. xrr 46-49, sebbene con meno di fierezza 86) che ben si conviene, secondo lai, all' in-
sdegnosa e più di regale dignità. — 86. Quelli gonna, sia perché sarebbe probabile in questo
è QlMon eoo. Giasone, l'eroe tessalo die fa passo la imitazione di un verso d'Ovidio, Eroi-
capo della spedizione degli Argonauti nella di, vi 40: «Detegit ingmio vulnera focta
Oolchide per la conquista del vello aureo (cfr. tuo » : ma queste non sembrano ragioni auf-
i^.n 16) e approdò all' isola di Lemno; nella fidenti perché sia abbandonata la più oo-
quale le donne, sdegnate contro i mariti loro mune lezione. — 93. avea latte ecc. facendo
che le trascuravano per attendere alle guerre, credere alle compagne d'aver ucciso il padre.
avevano uccisi tutti gli culmini, e nella stra- — 94. Laseiolla ecc. La lasdò sola e derelitta
gè era rimasto vivo solamente il re Toante, in istato di gravidanza. ~ 96. ed aneke di
salvato per pietoso inganno dalla figlia Isifi- Vedea ecc. Medea, figlia di Oeta re della Col-
le, che aveva poi assunto ella stessa il go- chide, innamoratasi di Giasone lo aiutò a su-
verno dell' isola : Giasone nella sua breve fe> perare le difiScoltà incontrate neUa conquista
mata in Lemno sedusse l' incauta giovine, la del Vello aureo e lo segui lasciando la patria ;
quale abbandonata da lui dio poi alla luce due ma fa poi da lui abbandonata per il nuoro
figliuoli (ott, Purg, zzvi 94-96). Dante attinse amore cho lo prese di Creusa, fig^ di Creonto
per questi fatti ai racconti di Stazio, Tfub, re di Corinto. — 97. da tal yartei in tal ma.
V. 836-462 e di Valerio Fiacco, Argonaut, ii niera, per proprio conto. — 99. atsaaxa t
77-426. — 87. del uonton: del Vello d'oro, stringe, tiene in sé; cft. ^/. xzx29. — 100.
— fèaetofr. £nf, xi 31. — 91. Ivi con se- Cllà eravam eoo. Giunti alla fine del ponti-
gli eoe con atti e parole lusinghevoli ; il- cello, si trovano i due poeti sul 8eooiiido ar-
INFERNO - CANTO XVIII 137
con l'argine secondo s'incrocicchia,
102 e £a di quello ad un altr'arco spalle.
Quindi sentimmo gente, che si nicchia
nell'altra bolgia e che col muso sbuffa
105 e sé medesma con le palme picchia.
Le ripe eran grommate d'una mu£Ea,
per l'alito di giù ohe vi si appasta,
108 che con gli occhi e col naso facea zuffa.
Lo fondo è cupo si che non oi basta
loco a veder senza montare al dosso
111 dell'arco, ove lo scoglio più sovrasta.
Quivi venimmo; e quindi giù nel fosso
vidi gente attuffata in uno sterco,
114 che dagli uman, privati parea mosso.
E mentre ch'io là giù con l'occhio cerco,
vidi un col capo si di merda lordo,
117 che non parea s'era laico o cherco.
Quei mi sgridò: « Perché se' tu si ingordo
dì riguardar più me che gli altri brutti? »
120 Ed io a lui : < Perché, se ben ricordo,
già t'ho veduto coi capelli asciutti,
e sei Alessio Interminei da Lucca:
123 però t'adocchio più che gli altri tutti >.
giM, dio tramezza le due prime boIgOi e prò- l'attrayersara. — 113. Q«1tI occ. Venimmo
|rio ad ponto dell' argine ore termina U al mozzo del ponte, e di qoi redemmo i dan-
lÓBo ponte e onde piglia le mosse il secon- nati immersi nello sterco : qnesti peccatori
4o: s£ die si pud dire cho l'uno serra d'ap- sono gli adulatori, che sono eternamente at-
poggio all'altro. — lOB. Qaladl seatlmmo tuffati in tale sostanza schifosa e puzzolente,
«ec Da questo ponto, cioè dal crocicchio for- come se procedesse dalle latrine osate dagli
nto dair argine e dai due ponti, Virgilio e uomini. — 114. latrati : cessi, latrino. —
Dttts odono i sommessi lamenti e il soffiare 116. ridi un ecc. Il peccatore riconosciuto
• il dibattersi degli adulatori, che sono pu- da Dante, che già l'avoya visto nel mondo,
aiti aeUa seconda bolgia; ma per Toscurìtà è Alessio degli Interminelli cavaliere luccho-
àA ìaogo noBa possono distinguere delle con- se; del quale nuli' altro dicono 11 Bambagl.,
fixiam della bolgia, salvo che le ripe inteme Lana, Ott., Pietro di Dante, Buti, Àn. fior., so
^ «Bsa sono ricoperte di ono strato assai non che ta gran lusingatore o adulatore, e
Rhiloso • pozzolento. — al nleclila: il vb. Benv., forse amplificando di sua testa, aggiun-
intnuis., significa proprio U lamen- go che « iste Alexius ex prava consuetudine
tani sommeeso, ossia, come dice Benv., € si- tantum delectabatur adulatione, quod nullum
est fKìt aliquando infirmos in lecto » : l'uso sermonem sciebat facere, quem non condiret
rifleasivo di questo vb. non ha altri esempi ; oleo adulationis > ; fiori nolla seconda metà
fmò alcuni scrivono: ai niòcAia. — 106. eran dol sec. xiii e il suo nome appare l'ultima volta
eoe. erano incrostate d'una so- in un documento privato del 1295 ; poco dopo
■taaia simile alla muffa che si va formando il quale anno ei dovette morire, lasciando pa-
BsOe pareti del luoghi umidi: cflr. Par, xu rocchi figliuoli (cfr. C. Minutoli, Ooniueea a
lU. — 107. per rallto ài gltf eco. per Tesa- gli altri lucchesi nominati nella Dvo, Comm»
laziaae die salendo aderisce alle rive in forma in Dants e il suo ««e., pp. 209 e segg.). ~
— 106. ehe ecc. la quale muffa star- 118. mi agridò : gridò forte verso di me, con
eona oiflSendeva la vista e l'odorato. — 109. accento di rimprovero : cfr. Inf. xxzii 79. —
tke non el bsatn ecc. che da nessun punto 119. gli altri brutti : i mioi compagni, an-
Waigino ai poteva vedere U fondo doUa ch'essi e di merda lordi >. — 121. eoi ea-
Mpa» • Insognava aalire sul ponticello, che pelli aadntti : senza questa lordura sol ca-
138
DIVINA COMMEDIA
Ed egli allor, battendosi la zucca:
< Qua giù m' hanno sommerso le lusinghe,
126 ond' IO non ebbi mai la lingua stucca >.
Appresso ciò lo duca: < Fa che pinghe,
mi disse, il viso un poco più avante,
129 si che la fisiccia ben con gli occhi attinghe
di quella sozza e scapigliata fante,
che là si graffia con l'unghie merdose,
132 ed or s'accoscia, ed ora è in piede stante.
Taide è, la puttana, che rispose
al drudo suo, quando disse: 'Ho io grazie
grandi appo te?' - * Anzi, meravigliose'.
186 E quinci sìen le nostre viste sazie >.
pelli. -~ 124. U tace»! U capo; osserra TOtt
che Alessio « parla lucchese, ohe chiamano
il capo Miceo, dìleggiatamente >, e il Buti:
€ dice xueea^ perché comunemente li laochesi
anno la testa leggiere » : ma sono chiose det-
tate da risentimenti municipali. — 126. st«e-
e«: stanca; ma esprime meglio l'idea della
stanchezza per sazietà o fastidio che s'abbia
d' una cosa. — 127. Fa che plaghe... 11 tìso
eco. spingi un poco più innanzi g^i occhi. —
129. eoa fU occhi attinghe: tocchi con gli
occhi, veda distintamente. — 131. che là
ecc. : ricorda gli atti di dolore dì Anna, so-
rella di Didone, di cui Yirg., En. iv 671 :
« Unguibus ora foedans et pectora pugnis,
Per medios ruit » ; ma anche TEcdesiastioo,
IX 10: < Omnia mulier quae est fomicaria,
quasi stercus in Tia oonculcabitur > (cfr.
Moore, I 22). ~ 182. si accoscia: sta sedu-
ta, restringendo le cosce; cfir. Inf, xvu 123.
— 138. Taide ecc. È la famosa etòra ate*
niese, della quale Terenzio rappresentò gli
amori nella sua commedia V Eunuco. — che
rispose eco. I commentatori da Pietro di
Dante e Benr. in poi erodono che Danto al-
luda a quella scena della commedia di Teren-
zio, dove il soldato Trasone, amanto di laide,
chiede al ruffiano Gnat«}ne, per moEco del
qualo egli area mandato a regalare aliti «lomia
una giovine schiava sonatrice, se ella si fosse
dimostrata grata del dono ricevuto, e Ona-
tone rispondo che s'era mostrata gratisslma:
Magnaa vero agvn gratiaa Thai» mi/ùf do-
manda Trasone; e Gnatone rispondo: /n-
gentes (Eun, m 1, 1-2): si che Dante avreb-
be scambiato il mezzano con l'etdra, tribuendo
a quosta le parole dette da quello. Ka C
Beccarla (nel giornale II BorgMiUj a. 1876|
p. 824) sostiene che l'allusione di Danto sia
al dialogo fhi 1 due amanti, quando Trasone
chiedondo a Taide s'ella lo ami o gli sia grata
per il dono della schiava: 0 7%ait meo, Mtum
suavwml quid offitur 9 «oqmd no§ anvu Dt
fidioina wto?, ella risponde subito, con pa-
lese affettazione e lusingherla : Plurmmm ma-
rito tuo (Eun. m 2, 2-6). È assai più proba-
bile che la terzina dantesca sia da riferirò
al primo dei due passi di Tenmzio; ma die
il poeta non lo leggesse nella commedia, si
invece nel De anmitìa, xxvi 98 di Cioorone,
ovo ò riferito come un esempio di lusinga,
in modo che era facile prendere Thai» per
un vocativo e attribuire a lei la parola tn-
gerUeé della risposta di Onatone; cfir. Moore,
I 261, e Parodi, BulL YUl 288. — 136. E
«aincl eco. £ di queste lordure abbiamo visto
abbastanza t
CANTO XIX
Discendendo nella terza bolgia, ove sono i simoniaci confitti capovolti
in piccole bnche e con le piante dei piedi accese di viva fiamma, i due
poeti si fermano a parlare con Tanima del pontefice Niccolò 111 : poi risa-
lendo dall'altra parte, pervengono sul ponte della quarta bolgia [9 aprile,
fra le cinque e le sei ore antimeridiane].
INFERNO - CANTO XIX
139
O Simon mago, o miseri seguaci,
ohe le cose di Dio, che di bontate
8 déono essere spose, e voi rapaci
per oro e per argento adulterate;
or convien che per voi suoni la tromba,
6 però che nella terza bolgia state.
Già eravamo alla seguente tomba
montati, dello scoglio in quella parte
9 che appunto sopra mezzo il fosso piomba.
0 somma Sapienza, quant' è l'arte
che mostri in cielo, in terra e nel mal mondo,
12 e quanto giusta tua virtù comparte!
Io vidi per le coste e per lo fondo
piena la pietra livida di fóri
15 d'un largo tutti, e ciascun era tondo.
Non mi parean meno ampi né maggiori
che quei che son nel mio bel San Giovanni
18 fatti per loco de' battezzatòri ;
XIX 1. O 81bob mago eco. Rocoontasi
Mgli AtU dagli apostoli, vm 9-20, che in S»-
■arìa Tirerà irn tale per nome Simone, «che
•eatdtara Taxti magiche e seducoTa la gente,
£eeiido lé esser qualche grand'Qomo » : al-
torqoaDdo gii abitanti di qaella città si oon-
TMtiroDO al czistianesimo e gli apostoli Pietro
• Oioranni furono mandati da Gorosalemme
a oaBUoicar loro lo Spirito Santo, Simone,
^ era già battezzato, « veggendo che per
r imposizione delle mani dogli apostoli, lo
Spìrùo Santo era dato, proferse loro danari,
dieendo: Date aneora a ni6 questa podeaià^ eh»
ùobd al quote io imporrò le fturni riowa lo
Spirito Santo, Ifa Pietro gli disse : Vadano i
tuoi damari teeo in perdixwne, oonoiossiacMiu
ekbi stimato die H dot» si acquisti eon dana-
ri; Dal mago Simone fa dotta simoi^ la
volootà deliberata di comprare o vendere
eon q»ixitaale e simoniaei furono detti quelli
dio esercitarono simile mercato ; e poiché ai
tSBpi di Dante gli atti di simonia abbonda-
rono (efr. J^sr. xxx 147), egli si scagliò giu-
itemeate eontro l'ignobile traffico con questa
iarvtdTa, Ift quale ò da paragonare con ciò
dw sexiTB Anigo da Settimello, De dvoers,
fsrt^ Ub. m (txad. antica pubbl. da C. Mila-
■ed, Firenxe, 1861, p. 826) : « Quella, capo
dsl mondo, Tendereoda corte papale, ella,
espo lagrato, abbatte e inferma tutti gli altri
mabri. Vedi fellonia e Tie pid yitupererolo
ooaa nel nostro tempo I si vende in mercato
•otto soxzft condizione la santa cresima, i sa-
oi ordÌBi, i sacrati altari e* santi beneficii.
E ancor pia : Dio stesso vi si vende. 0 s»-
ente oompegnfe, le quali maculano le sante
sedie ! o santi templi colesti i quali fanno di
sé mercato ! > — 8. e voi ecc. voi invece
per cupidigia di denaro ecc. — 4. per oro
eco. cfìr. il V. 112. — 7. alla seguente tomba
ecc. alla sommità del terzo ponte, in quella
parte di esso che sovrasta alla linea mediana
della bolgia. Male i commentatori intendono
tomba per la bolgia stessa, come sepolcro dei
simoniaci : è invece la tomba dello soogHoy il
culmine del ponte, come bene intese il Buti
spiegando questa parola per e sommità et al-
tezza * ; cfr. Diez 821 e D' Ovidio, p. 864. —
11. nel mal mondo: nell'inferno. — 12.
q santo ecc. con quanta giustìzia ass^^^a a
ciascuna colpa la pena conveniente I -> 14.
di fóri d*an largo eoe. di fóri circolari,
tutti della medesima grandezza. — 16. Non
mi parean ecc. Dante paragona per la gran-
dezza i fóri della terza bolgia ai pozzetti del
Battistero di San Giovanni di Fironze, i quali
erano fatti perché i sacerdoti battezzatori v'en-
trassero, per immergere poi nella vasca i bam-
bini; e trae occasione da tale similitudine
per chiarire la ragione d'una sua particolare
avventura, per la quale agli occhi d'alcuno
avrebbe potuto apparire irreverente ai luoghi
sacri, avendo una volta rotto uno di quei
pozzetti per salvare da certa morte un fan-
ciullo che v'era caduto dentro. — 17. San
Giovanni : cfr. Par. xxv 8. — 18. fatti ecc.
Bull : e dichiara a che sono fatti quelli tondi
che sono nel San Giovanni a Pisa et a Fi-
renze, cioò per li preti che battezzano che
stieno piò presso all'acqua del battesimo >.
Sulle questioni circa la forma e l'uso di tali
pozzetti cfr. Feri-azri lY 838, V 841 e A. Ber-
140
DIVINA COMMEDIA
Tun delli quali, ancor non è molt'anni,
rupp'io per un che dentro yì ann^ava:
21 e queeto sia suggel ch'ogni uomo sganni
Fuor della bocca a ciascun soperchiava
d'un peccator li piedi, e delle gambe
24 infino al grosso; e l'altro dentro stava.
Le piante erano a tutti accese intranibe;
per che si forte guizzavan le giunte
27 che spezzate averian ritorte e strambe.
Qual suole il fiammeggiar delle cose unte
muoversi pur su per l'esbrema buociai
30 tal era li da' calcagni alle punte.
< Ohi è colui, maestro, che si cruccia,
guizzando più ohe gli altri suoi consorti,
83 dìss' io, e cui più rossa fiamma succia ? »
Ed egli a me : « Se tu vuoi eh' io ti porti
là giù per quella ripa che più giace,
36 da lui saprai di sé e de' suoi torti >.
Ed io : € Tanto m' è bel, quanto a te piace ;
tu se' signore, e sai ch'io non mi parto
toldi, LeeL pp. 18-20. — 19. I'm eco. Benr.
rftoooate con molti ptitioolaii ohe Dante, es-
tendo dei Fiiod, o^itò in S. Oiov»nni, ove
molta gonte CBoeranewintomoa un poóetto
nel quale era caduto nn Duoiallo, e ohe presa
nna scoro € manibns propriis percnasit li^i-
dem, qui de marmore erat, et fociliter firegit;
ox qao pner quasi reyÌTÌaoens a mortois liber
erasit > : alooni commentatori danno il nome
del Ikncinllo, Antonio di Baldinaooio dei Ca-
Ticcioli. — 21. e qvesto eoo. e questa testi-
monianza disinganni chi m'avesse giudicato
empio o irreyerente rerso il sacro luogo. —
22. F«or della boeea eoe In ciascun fóro si
vedeva un peccatore capovolto, rimanendo
fuori solamente una parte delle gambe, le
quali per il dolore cagionato dall'aocensiono
delle fiamme sulle piante dei piedi, si oontor-
oovano oosi violentemente cho avrebbero
spezzato ritorte e taaL Sopra gli elementi che
Dante pud aver derivati da leggende ante-
riori per foggiare la pena dei simoniaci si ve-
dano il D' Ovidio, pp. 866-897 e il Bertoldi,
Leei. pp. 16-18. È poi indubitato, anche per
il riscontro con le acche degli eretici (Bif, ix
180), che ad ogni fóro corrisponde una qua-
lità di peccatori, e che, sebben Dante si fermi
a considerare solo quello dei pontefici, avrà
pensato ohe negli altri fossero i cardinali, i
vescovi, gli abati ecc. e forse anche i vari or-
dini dei laici, re, principi, feudatari eco. che
avessero iSatto illecito acquisto di coso sacre.
— 26. le givate: le giunture. — 27. ritorte
e strambe t ftini di vimini ritorti e Ami di
vimini intrecciati : le une e le altre ft^rt^Mimiì
— 28. Qaal suole eco. Come le cose onta
bruciano solo superfldalmente, cosi i piedi dei
simoniaci bruoiavano solamente sulle piaate,
dai calcagni alle punte delle dita. La simili-
tudine è tratta dall' ossorvaacione d'un fatto
comune *, pid tosto che da altre oompazazioni
di Lucrezio n 191 e di Virgilio Eh, n 682,
cit. a illustrazione di questo luogo dal Ven-
turi 80. — 81. il eraecla i si mostim indi-
gnato, perché oontoroe i piedi piA ohe non
facciano i suoi oompagnL — 82. eomsortl :
compagni, che partecipano ali» stessa aorte.
— 83. e«l pli resaa eco. che ò riarso da
fiamma più viva ; e dice Muecia oome se la
fiamma assorbisse gli umori delle membra del
paziente. La fiamma è pid viva sulla bue»
dei papi, perché maggiore fb in essi la oolpa
che nello persone appartenenti agli ordini in-
fsriori della gerarchia ecclesiastica (ofir. .&i/'.
IX 181). ~ 81. U fortt: Virgilio iniktti te-
nendo alzato Dante quasi al suo flanoo lo
trasporta gid nel fondo della terza bolgin e
poi lo riporta sull'argine : ofr. i w. 48-45,
124-129. — 86. per fueUa ripa eco. per la
ripa dell'argine intemo della terza bolgia,
ripa mono difBcile di quella dell'argine eeter-
no. — 87. Tante eco. Mi piace quello che
piace a te. La frase zioorda quella di Vii^p-
Uo a Boatrioe, ^. n 79. — 88. t« se* il-
INPERNO - CANTO XTX
141
99 dal tuo volere, e sai quel che si tace >.
AUor yenimmo in su l'argine quarto;
volgemmo, e discendemmo a mano stanca
42 là giù nel fondo foraccliiato ed arto:
e il buon maestro ancor della sua anca
non mi dipose, si mi giunse al rotto
45 di quei che si piangeva con la zanca.
€ 0 qual che se', che '1 di su tien di sotto,
anima trista, come pai commessa,
43 comincia' io a dir, se puoi, fa motto >.
Io stava come il frate che confessa
lo perfido assassin, che poi eh' è fitto
61 richiama lui, perché la morte cessa;
ed ei gridò: € Se' tu già costi ritto,
se' tu già costi ritto, Bonifazio ?
64 di parecchi anni mi menti lo scritto.
giort eoe : efr. Yiig., Buo. t 4: e Ta maior;
tiki iw «t aaqaum pam» ». — 89. e lal eoo.:
dir. ^. z 18, ZYi 118, zzm 26 eco. Si noti
che totte Ift xìspotta di Dante non è obe
on'aisplificazione del verso à»W £if, n 140;
poiché egli 8Ì dice disposto a segaiie in tatto
il ino dncs (v. 87) e a ubbidire a Ini come
a signore (t. 88), e infine lo lioonoeoe come
■aestro (r. 89). -~ 40. Allor eco. I due poeti
oltr^aanno il ponte, prendono l'argine a si-
■Btra e discendono nello stretto fondo della
Mgia, tutto pieno di fÓii. — 42. arto : ofr.
Ar. zzmx 83. — 48. e 11 ìmom maestro
«oc Virgilio non mi poeo giù appena fommo
Mi fondo della bolgia, ma mi portò sino al
ffin in coi ai dimenaTa il dannato da me ao-
"'"'^ftx" ^ sol ponte. — 44. sf : riguardo
al Taloie speciale di questo ti ctt, Inf. tttx
SO, i\«y. ZZI 12.-45. saaea: gamba; cfr.
bif, ixiiv 79. — 46. 0 ««al ecc. Chiunque
ta sia, cosi confitto col capo in giti. D'Ori-
i», p. 866 : e Bisogna riconoscere ohe nella
Bstura della pena inflitta al papa simoniaco^
Bìse tutto il solito accordo specifico con la
eotpa. .»... n simoniaco ebbe l'animo rivolto
si beni della terra anxichó alle cose celesti,
ed è conficcato nella terra : in direziono del
càeio stanno i sucA piedi I... D simoniaco ca-
pOTolse l*ufilcio suo traendo vantaggi mate-
itali per l'appunto dalle cose spirituali, dan-
do esempi che erano il preciso opposto di
qoellì eho l'uomo di chiesa avrebbe dovuti
daze ; ed è capovolto I Avrebbe dovuto aspi-
xara all'auxeola del santo, e un nimbo di fno-
eo gli suocÌa i piedi : un'aureola a rovescio I
Fa abbs^^iato dal fulgore dell'oro, ed è messo
in posizione da non poter pid veder nulla >.
-- 47. nSmm trista: ò l'anima di Giovanni
Gaetano Orsini assunto al pontificato col nome
di Kiocold IH Q 25 novembre 1277 e morto
U 22 agosto 1280; dice di lui il Lana: € Per
acquistar moneta non si vedea stanco né sa-
zio di vendere e di alienare le cose spirituali
per le temporali, commettendo continuo si-
monia, in per quello ohe ogni suo atto si
drizzava ad avere pecunia; e questo volea
per far grandi qu^ di casa sua e sé nel
mondo >, e l'Ott. : < Questi fu desideroso d'ar-
ricchire li suoi, che tutti li benefici di Santa
Chiesa, cho diede fuori, a' suoi consorti vondó
e prese moneta, conferf grazie, sempre accet-
tando quella persona, la cui borsa gli era piti
copiosa >. — eome pai eommessa: piantata
gid, come un palo nel terreno. — 4Q, Io ita-
Ta eco. Dante paragona s6 stesso al confes-
sore di un assassino, il quale, condannato
secondo le leggi medioevali a esser propag-
ginato, dopo esser stato già fitto nella buca
richiaina il confessore per differire cosi di
qualche istante la sua morte. — 61. perché
la morte ecc. perché cosi allontana, ritarda
d'un poco il morire. — 62. ed ei gridò ecc.
Ciascuno dei dannati della bolgia terza sta
con le piante accese fuori del proprio buco
sino a cho venga a prendere il suo posto, re-
spingendo lui pid in basso, un altro pecca-
tore della sua stessa condizione : perciò Nic-
colò m aspetta Bonifiudo ym cho lo sospin-
ga pid gifi nella buca, come Boniiìszio Vili
sarà alla sua volta sostituito da Clemente Y.
— 68. BoBlf allo t Bonifazio Vm, papa dal
1294 al 1303; cfr. la nota al Buy. zz 86. —
64. di pareeeU ansi ecc. Niccolò m, cre-
dendo cho colui che gli ha parlato sia Boni-
fario vm, pensa che la previsione della morte
di questi, 11 ottobre 1803, da lui letta nel
futuro, sia stata fallace, e ohe la morte stessa
sia avvenuta più di tre anni innanzi ai mo-
DIVINA COMMEDIA
Se' tu al tosto di quelP aver sazio,
per lo qual non temesti tórre a inganno
57 la bella donna, e di poi farne strazio ? >
Tal mi fec'io, quai son color che stanno,
per non intender ciò eh' è lor risposto,
60 quasi scornati, e risponder non sanno.
AUor Virgilio disse : € Digli tosto :
' Non son colui, non son colui che credi ' » ;
63 ed io risposi come a me fu imposto.
Per che lo spirto tutti storse i piedi;
poi sospirando e con voce di pianto,
66 mi disse: € Dunque che a me richiedi?
Se di saper chi io sia ti cai cotanto
che tu abbi però Ja ripa corsa,
69 sappi ch'io fui vestito del gran manto:
e veramente fui figliuol dell'orsa,
cupido si, per avanzar gli orsatti,
72 che su l'avere, e qui me miai in borsa.
Di sotto al capo mio son gli altri tratti
che precedetter me simoneggiando,
76 per le fessure della pietra piatti
Là giù cascherò io altresì, quando
verrà colui ch'io credea che tu fossi,
mento proTisto. — 66. Se' t« if ìùbUì eco. esemplili Jn/.n 129, zzxi 15 ecc.— 68. eke t«
Quanto alle simonie di Bonifazio Ym scrìve abbi eco. da avere perciò peioozsa la ripa, di-
il goelfo G-. Villani, che questo papa (O. vin scendendo in questa bolgia. — 70. f«l flf limol
6) e pecunioso fu molto per aggrandire la dell'orsa i M della fiamigUa romana degli
Chiesa e' suoi parenti, non faooendo coscionza Orsini, detta nei pid antichi tempi de fUii»
di guadagno, che tutto dicea gli era licito Uraae (nei documenti fiorentini del sec xm
quello ch'era deUa Chiesa » e che (Or. vm citati dal Del Lungo, DanU U 4/^9: de /Uus
64) e magnanimo e largo fti a gente ohe gli Urti), — 71. per «Tauar gli oriatU : per
piacesse, e che fossono valorosi, vago molto accrescere la potenza dei miei nipoti. — 72.
della pompa mondana secondo suo stato, ... su l'avere ecc. noi mondo imborsai, raccolsi
non guardando né faccendosi grande nò stret- ricchezze, noli' inferno mi procurai questo
ta coscienza d'ogni guadagno per aggrandire fóro. — 73. DI sotto ecc. Sotto al mio capo
la Chiesa e' suol nipoti ». — 56. tórre a !■- sono trascinati gid li altri pontefici, che mi
f anso eoe sposare per via d' inganni la Chie- precedettero nel mondo e mi precedono in
sa, assumendo il pontificato dopo aver indotto questa buca. Sebbene Niccolò m, come scrive
Celestino Y a rinunziare (eh, Inf, zxvn 105), 6. Villani, O. vn 54, « fu de' primi o primo
e disonorandola con la simonia. ~ 58. Tal mi papa, nella cui corto s'usasse palese simonia »,
fee' lo ecc. Scart : e n poeta finge con finis- nondimeno altri fra i suoi predecessori mer-
sima arto di non aver inteso di qual Bonifa- cantegt^iarono le cose sacre ; e Filai, ricorda
zio intendesse parlare, e perciò dice che ri- opportunamonte i nomi di Innocenzo IV
mase confuso come chi, non avondo compreso (1243-1254), Alessandro TV (1254-1261), Ur-
la risposta e credendosi scornato, non sa cosa bano IV (1261-1265), e (demento IV (1265-
rispondere ». — 61. AUor eoo. Virgilio viene 1268). — 75. per le fessare ecc. nascosti,
subito in aiuto a Danto, suggerendogli la ri- appiattati in una apertura sotterranea, dove
sposta da dare a quel dannato» — 64. tatti andrò anch' io. — 76. I«à gli eco. Sopra
storie 1 piedi: contorse interamente, quanto la efficacia imitativa di questo verso, ot-
pid era possibile, i piedi, por lo sdegno del- tenuta mediante le spezzature degli acoenti,
l'oflooTiri inutilmente manifestato. DoU'agget- sono da vedere le acute osservazioni dol D'O-
tivo tutti pL in funz. avverbiale sono altri vidio, p. 366. — 77. colui ecc. Bonifario Vm,
INFERNO - CANTO XIX
143
78 allor ch'io feci il sùbito dimando.
Ma più è il tempo già che i pie mi cossi
e ch'io Bon stato cosi sottosopra,
81 ch'ei non starà piantato coi piò rossi;
che dopo lui verrà, di più laid'opra,
di vèr ponente un pastor senza legge,
84 tal che convien che lui e me ricopra.
Nuovo Giason sarà, di cui si legge
ne' 'Maccabei': e come a quel fu molle
87 suo re, cosi fia a lui chi Francia regge >.
Io non 80 s'io mi fui qui troppo folle,
ch'io pur risposi lui a questo metro:
eht k> eroderà tome giunto a piender il mio
IwgOf anorchó iéd l'impTOTTin domanda:
Se'tBfià eoeU ritto, Bomfaxito? — 79. Ma
pi' i U Imp» eco. Maggior tempo sono fiato
io a qvMto tomento, dall'agosto 1280 all*a-
ptilt 1300, ohe non vi starà Bonlfario Vili,
Ul'ottobre ia08 aU'i^rile 1814, quando verrà
CB altro papa a prendere il suo loogo. — ehe
i pie mi cossi ecc. che rimasi al tormento del
faoco, standomi ooef propagginato. — 81. eoi
pie rossi : coi piedi infiammati. — 82. tìki
d*po lai eoo. poiché a sospingerlo in basso,
occupando il fóro, Torrà un papa originario
4à paesi ooddentali, Clemente V, maggior
tfammiaoo di loL Bertrando do Qot, arcive-
seoTo dì Bordeaux in Guascogna, fu eletto
pspa nel condaTO di Perugia il 6 giugno 1305,
asnose il nome di Clemente V e fermò la
ns dimoia in Frauda, incominciando cosi da
ha il periodo della cattività babilonica della
Glissa cesia della residenza della corte pon-
tikia in Avignone, durata sino al 1377. Cle-
ante V mori, andando a prendere il luogo
fi Bonifazio Vili, il 20 aprile 1814; ma già
b Toee popolare aveva antidpata al papa la
peaa inflìttagli da Dante, leggendosi in Q.
ViUaaì, O. IX 58 : € Mori papa Clemente....
• lasdd i nipoti e suo lignaggio con grandis-
liao e innumerevole tesoro. E dissesi che
riveado il detto papa, essendo morto uno suo
sipoto cardinale, cui olii molto amava, co-
itdnse uno grande maestro di negromanzia,
d» sspesae die dell'anima del nepote fosso.
D detto maostro, &tte suo arti, uno oappel-
liao del papa molto sicuro fece portare ai di-
■OBìa, i quali il menarono allo *nferno, e
aostriirg^ visìbilmente uno palazzo, iv' entro
ea Ietto di fuoco ardente, nel quale era l'a-
aiaa del detto suo nipote morto, dicendogli
cfas per la ina simonia era cosi giudicato. B
vide nella sua visione flue un altro palazzo
iir laooatro, il quale gli fu detto si fàoea per
|spa Qeaiente, o cod rapportò il detto oap-
piQsao al F^^ il quale mai pd non fti al-
kgn, e poco vivette appresso ; e morto lui
e lasciatolo la netto In una chiesa oon grande
luminara, s'aoceee e arso la cassa e '1 corpo
suo dalla cintola in giù ». — 83. un pastor
senza legge : Q. Villani, Or. ix 69, attosU
che Clemente V € fu uomo molto cupido di
moneta, e simoniaco, che ogni benefido per
danari s*avea in sua oorte, e fu lussurioso »,
e D. Compagni, O. m 12, a propodto della
sua elezione, che fu dopo la morte di Bene-
detto XI ottimo papa, scrive ohe « la divina
giustizia... molte volte punisoe nasoosamente,
e toglie i buoni pastori a' popoli rei che non
ne sono degni, e dà loro quello ohe meritano »:
cAr. le terribili parole contro Clemente V in
Por, XXX 142-148. — 86. Naevo GlasoB eoe.
Giasone, figlio del sommo sacerdote Simone II
e firatello del sommo sacerdote Onia IO, ot*
tenne per promesse di denaro da Antioco re
di Siria l'offldo del sommo sacerdozio, o avu-
tolo si diodo a vita lioonziosa ohe gli procurò
l'odio e il disprezzo di tutti : tale è il rac-
conto, un po' parziale, del libro dei Maeeabei
n 4, 7-27; 6, 6-10; iv 4, 17. Cosi Clemen-
te y ottenne il pontificato per il favore di
Filippo il Bello, re di Francia, che voleva
un papa che distruggesse e riparasse tutto
dò che contro di lai aveva fatto BoniCa-
rio Vili : sulla parte avuta dal re di Francia
in tale elezione si vedano E. Boutario, La
Frwncn totta Philippe lo Bel^ lib. v, cap. 2, e
A. Beomont, nell'enea, atorieo tto/., a. 1860,
nuova serie, voi. XI. — 88. Io non so ecc.
Dante, mettendo in versi i pensieri che gli
d affollarono alla mente innanzi allo spetta-
colo del papa simoniaco, non vuole certo ai*
tonnare oon questa dubbiosa dichiarazione
preliminare la severità dei suoi giudizi ; però
queste parole s'hanno a intendere cosi : Non
so s'io fai troppo stolto, fermandomi a la-
mentare i mali della Chiesa oon chi la Chiosa
aveva macchiata con le suo simonie. Altri
spiegano folle per audace, temerario, senza
badare che si avrebbe allora una inutile an-
tìdpaziono del pensiero espresso sotto altra
forma nei w. 100-103. — 89. à questo me-
144
DIVINA COMMEDU
90 € Deh, or mi di', quanto tesoro volle
nostro Signore in prima da san Pietro,
ch'ei ponesse le ohiavi in sua balia?
03 certo non cliiese se non: 'viemmi retro'.
Né Pier né gli altri tolsero a Matita
oro od argento, quando fu sortito
96 al loco che perde l'anima ria.
Però ti sta, che tu se' ben punito;
e guarda ben la mal tolta moneta,
99 ch'esser ti fece centra Carlo ardito.
E se non fosse che ancor lo mi vieta
la reverenza delle somme chiavi,
102 che tu tenesti nella vita lieta,
io userei parole ancor più gravi;
che la vostra avarizia il mondo attrista,
105 calcando i buoni e su levando i pravi.
Di voi pastor s'accorse il vangelista,
ir* t con qaesta m&niora di pailare : ofir. Ltf.
vn 88. — 92. ck' et pomeii« eoe Bacoonta
revangelista Matteo, xvi 18-19, che 0. Cristo
disse a Pietro : e Ti dico ohe tu sei Pietro,
e sopra a qaesta pietra io edl&eherd la mia
chiosa, e io porte deli' inferno non la po-
tranno vincere ; ed io ti dard le chiavi del
regno de* cieli, e tatto dò che avrai legato
in terra sarà legato ne' cieli, e tatto dò cho
avrai sdolto in terra sarà sdolto ne' cieli ».
— 93. mom eUese eoo. Accenna alle parole
con le quali Cristo chiamò a so Pietro e
Andrea (Matteo nr 19, Marco 1 18) : < Venite
dietro a me, ed lo vi Duo pescatori d'uomi-
ni », oppare all' invito rivolto a Pietro dopo
esser risorto (Giovanni xn 19). — 94. Hi
Pier eco. Allade alla narrazione dogli AtU
degli Apo&ioli i 18-26, quando furono tratte
le sorti per la soelta di colai ohe doveva
prendere il luogo di Giuda Iscariotte : « E
trassero le sorti, e la sorte cadde sopra Mat-
tia, ed egli fti per comuni vóti aggiunto agli
undid apostoli ». — 96. al loco eoo. al mi-
nistero d'apostolo, perduto da Giuda Iscariot-
te. — 97. ti sta eco. resta pur dove sei, chó
tu sei punito secondo che meritL — 98. e
guarda bea eoo. Gli antld commentatori
Lana, Ott., Bonv., Buti, An. fior, accennano
qui al disdegno concepito da Niccolò ni con-
tro Carlo I d'AngiÒ ; il quale, secondo 11
racconto di G. Villani, Or, vu 64, 67, avendo
rifiutato parentado col papa fu da lui privato
dell'oflido di Senatore di Roma e di Vicario
della Chiesa e osteggiato da Niccolò m ti
che questi, adescato anche da una somma di
denaro recatagli da Giovanni da Prodda,
entrò In una congiura che avrebbe preparata
la rlvduzlona dal Vespro Sldllano (ofr. JFbr.
vm 78). Ma M. Amari, La gyurra dd Feqiro
gieilianOf 9^ ed. Milano, 1886, ha dimostrato
r InsuBsistenia di cotesta congiura, ohe ap-
partiene più alla leggenda ohe alla storia ddl
Vespro; e però le allusioni di Dante sono
più tosto alla wiontta delle dedme eodesi»-
stiche mal tolta dal papa, ohe le vdae in. be-
nefizio privato {oh. F. Pipino, Ohron, xxixS,
InMur., Ret.UaLlX, 724), e a tutta la sui
politica che fti di opposiiione a Ciarlo I (c£r.
Amari, op. dt, voL I, pp. 190 e segg., voL
m, pp. 6-283). — 102. nella tIU UeU s c£r.
Inf. VI 61. — 104. la vostra aTarlsia eoe:
ofr. Inf. vn 48. — 105. ealeaade eco. Batt :
» Ecco la cagiono perché li pastori simonÌAoi
della santa Chiesa fanno tristo il mondo, per
ch'ellino calcano i buoni non aocettaódoli
a' benifict, perché non anno cho darò, et
inalzano li rei per danari, accettandoli a* be-
nifid ; e cosi danno materia a' oherìd d'es-
sere tristi, o non curare se non d'avere da-
nari, sperando per quelli d'avere ogni grazia ».
— 106. DI voi paslor eco. L'evangelista
Giovanni, ApoeaÙsaéy xvn 1 segg. aocive:
« Uno de' sette angeli, che aveano le sette
coppe, venne, e. parlò meco dicendo: Vieni,
io ti mostrerò la condannazione della gran
meretrice, ohe siede sopra molte acque ; oon
la quale han puttaneggiato l re della terra,
e del vino della cui fornicazione sono stati
inebbriatigU abitanti della terra. £d egU mi
trasportò In Ispirito In un deserto ; ed io vidi
una donna, che sedeva sopra una bestia di
color di scarlatto, piena di nomi di beatam-
mla, ed avea sette toste e diod corna ». ft
noto che l'evangelista rapprosonta oo8£ la
INFERNO - CANTO XIX
qnando colei, ohe siede sopra Paoque,
106 pnttaneggiar ooi regi a lui fu vista;
quella, othe oon le sette teste naoqoe
e dalle died ooma ebbe argomento,
111 fin ohe YÌrtute al suo marito piacque.
Fatto v'avete Iddio d'oro e d'argento:
e che altro è da voii all' idolatre,
114 se non ch'egli uno, e voi n'orate cento?
Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre,
non la tua conversion, ma quella dote
117 che da te prese il primo ricco patre! »
£ mentre io gli cantava cotai note,
o ira 0 coscienaa che il mordesse,
120 forte spingava con ambo le piote.
Io credo ben che al mio duca piacesse,
con si contenta labbia sempre attese,
128 lo suon delle parole vere espresse.
Però con ambo le braccia mi prese,
e poi che tutto su mi s'ebbe al petto,
126 rimontò per la via onde discese;
né si stancò d'avermi a sé distretto,
si mi portò sopra il colmo dell'arco.
145
ì
fioBA del paganesimo ; ma Dante, oon libera
iatecpretazione, ne applica i oolori foschi alla
Roma iMtpale: cfr. Fimg, zzxn 1Ì2-160. —
107. il«4t Mpra raoQMS J^oe. xvb 15:
«L'aoqoe che ta hai vedute, dove siede la
■eretrioe, lon popoli, e moltitadlnl, e nazioni,
e fiogoe >. — 109. fiatla, die €«■ le sette
tsits eoo. JfOò. xm 9: « Le sette teste son
ntte Boatt, sopra i quali la donna siede »,
oM i sette oc^ sol quali sorge Boma: ma i
QQOBSBtslQci di Dante intendono le sette
tssis per W sstte rirtft o per i sette saor»-
■SBtt. — 110. e dalle dieee eon* eoo. Apoc,
xfn 12, le: «E le fieci coma, che ta hai
▼state, aooo diad le, i quali non hanno an-
S0B presa 11 regno ; ma prenderanno podestà,
eome ra, inuno stssso tempo oon la bestia...
E le dieei ooma, che tu hai redole nella
ksstfa, soa quelli che odieranno la meretiioe,
• k xsDdacanno deserta e nuda; e mange-
laaao la soa oami, e bruoaranno lei col ftio-
os> : B» i (wiitntatnrl di Dante intendono
le diesi eoiBa per i died oomandaaenti del
dseslago, seeosdo i quaH la Chiesa si goremò
»Mké i pontefici, mariti di lei, fkrono Tir-
tsod. — 112. Patto T*aTeto eoo. È la parola
kihUea (OsaavoiA): «Si hanno del lon>
stfSBftD • del loro oro &tti degl* idoU ». —
— US. • «ha altro eoo. « Voi fate peggio, o
lOitiifli sfasoirfad, di quanto fuesso il po-
DaiTTS
polo d' Israele quando volse ad idolatria, poi-
ch*egli si accontentò di un idolo d'oro unico
(Etodo xzzQ ; Saim. or) mentre voi late deità
d'ogni pesBo d'oro e d'argento > : cosi V. Ce-
sati, Nuova inttrpretaxion» d*un vmr$o diDemU,
VeroeUi, 1866. ^ 116. Ahi, CestantU eoe
Allude alla donaiione costantiniana, per la
quale l'imperatore Costantino I (306-887)
oonyertito tà cristianesimo, aTrebbe concesso
al pontefice Silrestro I (814-886) U dominio
di Bona; donazione alla quale Dante crederà
(cfr. D$ man, n 18, m 10 eoo.) e credettero
tutti sino al secolo xr, quando Lorenzo Valla
dimostrò non aTere essa alcun fondamento
stodoo: sulle lelasioni fra Costantino I e
aUvestro I ofr. Inf. zxvn 94. — 118. eatai
moto s voci di rimprerero ; cfr. ìm/. xyi 127.
» 120. fsrto splagaTa eoo. traeva calci con
ambedue i piedi : 11 vb. ipkigaré e^xlme pro-
prio l'atte del dimenare, qdngere, e se n'han-
no altri esempi antichi (cfr. Fsrodl, BulL HI
147) : U nome jiioto indica la pianta del piede
(Dies880, 762; Parodi, BulL m U7). — 122.
labUas cfr. Àry. zzm 47. » 128. lo suob
eoo. il suono delle Tesaci parole dette da me.
» 124. Però eoo. Virgilio, che aveva tra-
sportato Dante al fiondo della bolgia, ora lo
riprende in braccio e lo riporta sull'argine,
deponendolo solamente sul messo del ponte
ohe sta sulla quarta bolgia. — 128. sf i cfr.
10
146
DIVINA COMMEDIA
129
138
che dal quarto al quinto argine è tragetto.
Quivi soavemente spose il carco,
soave per lo scoglio sconcio ed erto,
che sarebbe alle capre duro varco:
indi un altro vallon mi fu scoperto.
sopra, y. 44. — 129. trAg«ttot passaggio,
vaUoo (ofir. Parodi, BuU. IH 144). — 130.
QalTl eco. Quivi depose il carico aoavmnentd,
pianamente. — IBL loaTe t agg. in funzione
ayverbiale. Dante vuol diro ohe Virgilio Io
mise giù con riguardo, perohó U luogo era
pericoloso e diffidlo tanto che sarebbe stato
malagevole alle capre il passare su quello
scoglio che oongiungeva i due argiuL — ISS.
iB altre Talloa s la quarta bolgia.
CANTO XX
Dal ponte che soyrasta alla quarta bolgria 1 dne poeti osserrano gì* in-
dovini, i quali camminano lentamente col viso travolto, verso la parte poste-
riore del corpo: e Virgilio indica a Dante i più notevoli fra questi dannati,
fermandosi, a proposito di Manto tebana, a esporre le origini di Mantova,
che da lei prese il nome (9 aprile, circa le sei antimeridiane].
Di nuova pena mi convien far versi,
e dar materia al ventesimo canto
8 della prima canzon, eh' è de* sommersi
Io era già disposto tutto quanto
a riguardar nello scoperto fondo,
6 che si bagnava d'angoscioso pianto;
e vidi gente per lo vallon tondo
venir tacendo e lagrimando, al passo
9 che fanno le letàne in questo mondo.
XX 1. DI BVOTa peia ecc. Hi conviene
ora trattare di una singolarissima pona, che
sarà la materia del ventesimo canto della
prima cantica, la quale tratta dei dannatL —
2. eaatot ò il nome dato anche in Par, v
16, 189 a ciascuna delle cento parti del poe-
ma : i commentatoli antichi, Bambagl., Lana,
Ott, Pietro di Dante, An. fior., usarono per
lo più la denominazione di eapUolo ; ma col
Dooc e col Buti tornò in uso il nome di
conto, voluto dall'autore. — 8. prima eaa-
sea: le tre parti del poema sono dette ean-
tiché in Purg, xxzin 140 e nell' Epistola a
Oangrande, 8 ix; e con questa denominazione
furono indicate sempre da tuttL — lommersi:
dannati, che furono precipitati nell' abisso;
ofr. Inf, xvin 125. — 4. era già disposto
eoo. m'era già messo attentamente a guar-
dare. — 6. angoscioso pianto: quello degli
indovini, accennato anche al v. 23. ~ 7.
Tldl gente: sono gl'indovini, i quali per
aver voluto guardare innanzi nel ftituro xmo
condannati a tener ora il viso rivolto all' la-
dietro. — 8. al passo eco. al passo lento •
silenzioso delle pubbliche processioni religio-
se, nelle quali si cantano le litanie e lodi
dei Santi (ott, Purg, xm 60). An. fior.: e Vuol
dire, al modo ohe vanno le genti diriotro a'sa-
cerdoti, quando, leggendo et orando, vanno
a processione. Et ancora si può qui moializzaro
questo loro andare piccino, eh' ò per opposito
del trascorrere eh' eglino fedono collo intel-
letto in giudicare le cose di lungi et lontane,
et in questo modo perderono et non seppero
le presenti». — 9. letàne: lo stesso <die
letaniéy o litanie, ovvero processioni in oui
si cantano le litanie ; cosi F. Ubertì, Diti^
V 29 : « Come si va di qua, e non più tosto.
Alle litane» : in un documento del 1092 (Mar.,
AiìL UaL V 222) si legge : < quandooumque iato-.
niM veniebant ad sanctnm Donatum, caoaa
orationis, aodiebant missam ad altare » eoo. ^.
INFERNO - CANTO XX
147
Come il yiso mi scese in lor più basso,
mirabilmente a{»parve esser travolto
12 ciascun tra il mento e il principio del casso;
che dalle reni era tornato il vòlto,
ed indietro venir gli convenia,
15 perché il veder dinanzi era lor tolto.
Forse per forza già di parlasia
si travolse cosi alcun del tutto;
18 ma io noi vidi, né credo che sia.
Se Dio ti lasci, lettor, prender frutto
di tua lezione, or pensa per te stesso
21 com'io potea tener lo viso asciutto,
quando la nostra imagine da presso
vidi si torta che il pianto degli occhi
24 le natiche bagnava per lo fesso.
Certo i'piangea, poggiato ad un de' rocchi
del duro scoglio, si che la mia scorta
27 mi disse: « Ancor se' tu degli altri sciocchi?
Qui vive la pietà quando è ben morta:
ohi ò più scellerato che colui
10. Omeeoc Bianchi : «Stando Dante in lao-
go elersto e tenendo sempro gli occhi fissi in
foeUa gente, la quale nel sottoposto vallone
TBoira alla sua Tolta, ò manifesto che gli era
UsogDo di abbassarli a mano a mano che quella
srndnaTaai a lai; onde la frase equivale a
èze : quando essi furono piò presso, piò sotto
t SM >. — 11. niraMlmeate eoe ciascuno
•rera il ooUo, cioè quella parte oh' è tra il
■eato e U principio del busto, travolto mi-
nooksamente si che il viso era voltato verso
k xvnL — 12. easio: cfr. Inf, zn 122. —
B. era taraato: era vòlto; il vb. ìamarty
eoo» il Ir. tMxnwr^ ha spesso nella nostra
liagua antica il senso di voiiart (Diez 822) :
efr. /\ffy. xxvm 148. — 14. ed ladletro ecc.
^ iadovini dovevano camminare all' indie-
tro, poiché dalla parte posteriore del corpo
trenno la vista. — 16. Forse ecc. Non ò
ia^onibilo che per effetto di violenta para-
lià sia qualche volta accaduto ad alcun uomo
eoasmile tzsvolgimento del viso ; ma io non
lo vidi mai nò credo ohe sia mai avvenuto.
— parlasfa: paralisfa, lat. paraiyait, Bonv. :
«est passio nervorum, quae aliquando ita
£itorqaet, dislocat et deordinat collum homi-
Bis qaod homo respicit sibi transversallter
■cut a latore super spatulam, sicut vidi in
•M vetala ; sed nunquam facit quod homo
a totom respiciat post tergum ». — 19. prei'
itt firatt* eoe racoogliere dalla lettura del
■io poema qualche frutto, divenendo migllo-
Mu — 23. U plA«k« eoo. lo lagrime discen-
devano sul tergo dei dannati andando a ba-
gnare il canale delle reni e l'apertura dello
natiche. — 25. rocchi: qui e in Inf. xxvi,
17 significa le grosse sporgenze naturali dello
scoglio che serve di ponte sur una bolgia:
etimologicamente il nome rocchio e il dorivato
ronchianet Inf, mv 28, xxvi 44, risalgono
al nome roccia (Diez 273, 894). — 27. Ancor
se' tu ecc. Sei anche tu come gli altri uomini,
che scioccamente hanno compassione dei mal-
vagi? Si ricordi che dei peccatori d'inconti-
nenza, che «men Dio offende e men biasimo
accatta» {Inf. xi 84), Dante prova e dimo-
stra pietà (cfr. Inf, V 72, 93, 109, 140; vi
8, 68) senza che Virgilio gliene faccia rim-
provero ; ma qui siamo in presenza di poccu-
tori per malizia e fh)de, i quali vollero pro-
venire il divino giudizio e dei quali l'uomo ra-
gionevole non deve sentire alcuna pietà. —
28. ({al vlTe ecc. In questo cerchio non si
deve provare alcuna pietà per i dannati; poi-
ché essi sono scelleratissimi, sono gli indovini
che offesero la divinità prevenendo il divino
giudizio e portandovi le umane passioni. Que-
sta spiegazione, tutf altro che sicura, pare
migliore, ad ogni modo, di un'altra comune-
mente seguita : È viva la pietà o il sentimonto
religioso, quando è ben mortay quando ò spenta
del tutto la pietà^ ossia la compassione per i
dannati; poiché non v' ha peggiore scollora-
tezza che il portar compassione, l'esser pio-
toso, verso i dannati, che sarebbe come un
rinnegare la divina giustizia : per il doppio
148
DIVINA COMMEDIA
80 ohe al giudicio divin passion porta?
Drizza la tedia, drizza, e vedi a coi
s'aperse agli occhi de' ieban la terra,
83 per ch'ei gridavan tutti: ' Dorè mi,
Anfiarao? perché lasci la guerra? '
e non restò di minare a valle
86 fino a Minos, che dascheduno afferra.
Mira che ha fatto petto delle spidle:
perché volle veder troppo davante,
39 di retro guarda e fa ritrose calle.
Vedi Tiresia, che mutò sembiante,
queindo di maschio femmina divenne,
42 cangiandosi le membra tutte quante;
e, prima, poi ribatter gli convenne
li due serpenti avvolti oon la vwga,
i5 che riavesse le maschili penne.
Aronta è quei che al ventre gU s'atterga,
che nei monti di Lunl, dove ronca
■eneo, religioso e morale, tiibaito alla parola
ffielà^ si cfr. un ocnsiinile eqnirooo in Par. !▼
106. n D* Ovidio, pp. 76-146, mostrando tatto
qoesto canto, dimostra come in esso il poeta
intendesse di rappresentare Virgilio per nomo
avverso alle arti magiche, delle qnali le leg-
gende popolari lo avevano fotte maestro , e
« di protestare contro il detorpamento del ve-
recondo sno duca, mettendo, con uno de' suoi
soliti trovati, in bocca a lai stesso la prote-
sta, dopo averla in modo abilissimo provo-
cata ». — 31. e vedi eco. e mira colui, al
quale s'apri sotto ai piedi la terra durante
l'assedio di Tebe, si che gli assediati lo sche>
nirono chiedendogli dove precipitasse e perché
abbandonasse il combattimento. Aocenna ad
Amflarao, figlio di Oicleo e d' Ipermnestra,
il quale, esercitando 1* arte dell' indovino e
avendo preveduto che sarebbe morto all'as-
sedio di Tebe, s'era nascosto per non pren-
der parte alla guerra: scoperto per il tradi-
mento della moglie Erifiie, si condusse all'as-
sedio di quella città; dove, mentr'ogli com-
batteva sul suo carro, la terra gli s'apri sotto
e l'ingoiò: cfìr. Stazio, Teb. vn 690-823. —
83. Dove rvl ecc. Le irrisioni dei tebani ri-
cordano le parole di Platone ad Amfiarao,
quando questi pervenne all' inferno (St, Teb.^
vui 84). < At tibi quos, inquit, Manes, qui
limine praoceps Non licito per inane rais ? >
— rnl: rovini, precìpiti; cftr. JR»r. xxx 82.
— 86. fino a aflnas : anche Stazio {Teb. vu
819-823, viu 1-83) racconta che Amfiarao
cadde direttamente all' inferno, senza abban-
donare le armi e il carro, finché ta. giunto
nel luogo ove risiedeva ifìnos, giudice infer-
nale. -^ 89. di ntn foArdA eoo. ha il viso
dalla parte delle spalle e cammina all' indie-
tro. — 40. Tlresla: Tiresia, indovino taba-
no, svendo percosso con una sim verga duo
serpenti amorosamente congtnntl, fa tnsfoiw
mate subitamente in femmina, e dopo «otte
anni avendo riveduti gli stessi serpenti nel
medesimo atteggiamento, li percosse di nnoro
e cosi riprese il sesso maschile. La fkvola et^
nota a Dante per 11 racconto ovidlaBo (JAt
m 824-331), dal quale il poeta trasse il suo:
e [Thiresias] duo magnomm viridi coeuntia
Silva Corpora serpentum bacali violaveimt
ictu: Deque viro £sctU8, mirabile, femina,
septem Egerat antomnoe. Octavo ruisiiB en».
dem vidit: et, * Est vestrae si tanta potenti*
plagae, Dixit, ut auotoris sortem in oont«a-
ria mutet, Nuno quoque vos feriam *. Par-
cussis anguibos isdem Forma prtor redilt, ge-
nitivaque.rursus imago». -^ 43. e, ^rlmft,
ecc. e poi gU convenne ribatter ecc. prima
che riavesse ecc. — 44. avvolti t confanti,
attorcigliati. ~45.natehl]i peBMtmemlwa
xiascoline. — 46. Arcata: Arante, celebro
aruspice e indovino etrosoo, chiamato a Re-
ma al tempo delle guerre civili fta Cesare
e Pompeo predisse, sebbene con osculo va-
ticinio, il trionfo di Cesare; ott, Laeano,
Fara, i 584 : > Haec propter plaeait tnsoos
de more vetusto Acdri vatee: quonun qni
maximus aevo Aruns inooloit deaerta moenia
Lunae, Fulminis edootas motos, venaaqn* oa-
lentos Fibrarum, et monitua volitantiB in aere
pennas ». — 47. JAnìt cfr. /br. xvi 73. —
dove roaea eoo. dove i carraresi o abitanti
di Carrara, dttà posta netto vioinanse del-
INFERNO - CANTO XX
149
48
lo oftrrarese olie di sotto alberga,
obbe tra i bianohi marmi la spelonca
per sua dimora; onde a guardar le stelle
e il mar non gli era la veduta tronca.
E q;ttella che ricopre le mammelle,
cbe tn non Tedi, con le trecce sciolte,
e ba di là ogni pilosa pelle,
Manto fu, che cercò per terre molte,
poscia si pose là dove naoqu'io;
onde un poeo mi piace che m'ascolte.
Poscia che il padre suo di vita uscio
e venne serva la città di Baco,
questa gran tempo per lo mondo gio.
Suso in Italia bella giace. un laco
a piò dell'alpe, che serra Lamagna
63 sopra Tlralli, o' ha nome Benaco.
Per mille fonti, credo, e più si bagna,
tra Gkurda e Val Cunonica, Apennino
dell'acqua ohe nel detto lago stagna.
61
54
67
no
66
rantka Loni, eoltìTano il t«R«iio: U rb.
fmean Tile propriAmente purgare i campi
àOB cattiT* eite, • qui per estensione di
^nlliilii ooittTMO. — 49. «n 1 hìamékì
■■bbI s «floeaii» alle cave «anaiwi di manno
kiueoi, già IkiBOia nei tai^ remaid (ofr.
nwo, A Jf. xjcn 7, 29). ^^ 60. aiida eoo.
AhmÓmbs, p.Si4 : e quéati reni ti animano
6jBtt Tila Mcprendepte, quando noi sol po-
rti '■adjami» ••■• libeiamente • arditamente
isaatldLOaaara, ^>pnnto ìmvnHéiLmi
Miqpiril gUk^ antichi Liumì arerano le
Ila» «aspa di marmo, qnaai ad un tratto s'a-
iwiimu sulla pianwa, e oome longo il lem-
Wfi qMsto^fÉaBQr» gli aUtati ti strìngono
db fdde «ai menti >. — 52. «Mila eÌM ri-
«•tre eoe. celai, ohe per il trarolgimento
dal Yiao, k» la maiamotte ricoperte dai oa-
fsMi* I» parti pUoae al di dietro, ò Manto,
h ifUft di Tiresia : la qnale, aroodo abban-
k ]» patria dopo la aorte del padre per
»latiiaanide di Creonte, si fermò, do-
po afwa vagato per molti paesi, nel Inogo
om poi aeoe Maatora, patria di Virgilio.
Daal^M ebbe notisU da VixgUio, Sn. x 198,
4a Servio sai eommento virgiliano, da Ori-
tfo, Jiit VI U7 a da Stailo (cfr. la nota al
T. S8): vadi Mosto I 174, 190. — 68.«Im ta
aea vaAlt 9enèé Manto cammina, come gli
rtin Indovini, att'indietro. — 66. eereòt U
vb. amara aigaiflaa speaso in Dante (cf . Inf,
xn 121, san 60, Ikarg. zzvm 1) e negli al-
ttaaticbi <p. es. nel Patraroa, oocLxn 88:
ì or qiiaala «t or quell'altra parte >)
peroorrore cercando. — 69. a Taane sflrTa
eoe Tebe, la città sacra a Bacco, venne in
servito di Oreonto, dopo l'aocisione di Eteo-
de e Polinice. — 61. Sasa In Italia ecc.
Sa nel mondo, nel dolce pasee d* Italia, giaco
ai piedi di qnella oatana alpina che sovra-
stando al castello di Tiralli segna il oonfine
oon la Qermaaia, nn lago chiamato Benaco.
— 62. alpe, «be serra ooc. fi quel gruppo
di monti che tra la Val Camonica e la Vallo
dell'Adigo si distendo in senso longitudinale
dal lago di Garda alla riva destra deirAdigo
siq»eriore, comprendendo le alture deli'Ada-
mello, del Tonale e dell'Ortles; gruppo di
monti che ai settentrione va a torminaro so-
pra la destra dell'Adige, al di là della quale
preeeo Merano sorgeva il castello di Tiralli,
sede dei conti del Tirolo e prima terra m)T-
manioa. — 68. e*lia aomes il quale lago
è denominato. — Benaco: lat. Benaeus, nome
che gli antichi davano al Garda (cfr. Plinio,
ir. N, n 106). — 64. Per miUe fonti eco.
B monte Apennino o Pennino, che sorge a
ooddonte del Benaco, tra la Val Camonica
(formata dalle montagne ontro le quali scorro
rOgiio) e il cafteilo di Garda (posto sulla riva
orientale del lago omonimo) ò bagnato da più
di mUle sorgenti, le cui acque si riversano
nel lago. B Bassermann, pp. 404-409, ha di-
scusso le varie interpretazioni di questo pas-
so, disapprovandole tutte, e ha proposto di
leggere tra Oarda e vai di Moniga e di in-
tendere Apmmino per tutto il complesso di
monti che circondano da tre parti quel lago ;
n
150
DIVINA COMMEDIA
Looo è nel mezzo là dove il trentino
pastore e quel di Brescia e il veronese
69 segnar potriai se fesse quel cammino
Siede Peschiera, bello e forte arnese
da fronteggiar bresciani e bergamaschi
72 ove la riva intorno più discese.
Ivi convien che tutto quanto caschi
ciò che in grembo a Benaco star non può,
75 e lassi fiume giù pei verdi paschi.
Tosto che l'acqua a correr mette co'
non più Benaco, ma Mincio si chiama
78 fino a Governo, dove cade, in Po.
Non molto ha corso che trova una lama,
nella qual si distende e la impaluda,
81 e suol di state talor esser grama.
Quindi passando la vergine cruda
vide terra n^ mezzo del pantano,
84 senza coltura e d'abitanti nuda.
Li, per fuggire ogni consorzio umano,
ristette co' suoi servi a fax sue arti,
87 e visse, e vi lasciò suo corpo vano.
ma tal oongettara non ha sufficiente fonda-
mento. — 67. liOeo è ■•! nezio eoo. Que-
sto luogo, ohe ai tempi di Dante era il oon-
fine dei tre TeecoTadi di Tronto, di Broscia
e. di Verona, ha dato occasione a molte di-
sputo fra grinterprotl: tecondo alcuni sa-
rebbe r isoletta dei Fiati pnsso la punta di
Manerba, poche miglia a mezzogiorno di Salò ;
secondo altri, lo sbocco del fiume Tignalga
presso Campione, dove sino al 1786 tu. il con-
fine delle tre diocesi, avendo giurisdizione il
▼esooTO di Tronto alla sinistra di detto fiu-
me, quello di Breida alla destra, quello di
Verona sul lago: cfr. C Belviglieri, DanU
a Verona neWAlbo danteseo veronese. Verona,
1866, pp. 147-166; C. Gavattoni. Dante e U
Benaeo^ Verona, 1866; P. E. Tiboni, Qual
luogo sul lago di Garda accenna Dante ne*
versi 67-69 del O, xx deU'Inf., Broscia, 1868,
£. Lorenzi, La ruina da qua da Trento, Tronto
1896 e Fenazzi m 92, IV 81, 889, V 844
n Bassermann, pp. 409-410, sostiene trattarsi
di un punto ideale, in mezzo alle acque de.
lago ; ove « i tre domini s' incontrano, fJquan
to a nord di Limone e Navone > e aggiunge
che se fesse « non avrebbe propriamente nos
8un senso quando si trattasse di un luogo
in cui realmente il Pastore di ciascuna delle
tre diocesi avesse talvolta occasione di uffl-
ziare ». — 69. segnar potr£a: potrobbe bo-
nedire, eseroitaro la sua autorità spirituale.
— 70. Siede Petehlera eoo. Peschiera, bello
e forte castello innalzato dai veronesi a di-
fesa contro Brescia e Bergamo, e e satis n»-
vum, mnnitum multis tnrribui et aicibns quasi
tutela totius oontradae », dice Benv., aoige
sulla riva meridionale del lago di Qarda:
cfr. il Bassermann, pp. 410-418. — 73. ItI
eonviea ecc. L'acqua che esce dal Benaoo
presso Peschiera forma il corso del fiume ICn-
do, il quale attraversa le vordi campagne
del Veronese e va a sboccare nel Po presso
il borgo di Qovemolo. — 76. * eener mette
ce': Licominciaa scorrere; sul nome eo' cfir.
Purg. ui 128. ~ 79. Non molte ecc. Il Jfiii.
do, dopo non lungo cammino, s'impaluda
nelle bassure intomo a Mantova. « I dintorni
di Mantova sono ancora quali Dante li da»
scrive »; Bassermann, p. 418. ~ Ijuaa : Bargh. :
« Lama par che pigli sempre Dante, e oggi è
r uso comune in tutto il fiorentino, di chia-
mare cod luoghi bassi hmgo i fiumi • : cfr.
Inf. xxzn 96, Purg. vu 90. — 81. e laol eoo.
An fior. : e Assai volte d' estate ]>er gran
parte d secca, et poro dico di' ègrama », doò
insalubre. — 82. la vergine erada: Manto,
dotta orudolo por gli atti sud descrìtti da
Stazio, Teb, iv 463: «tnno innuba Manto
Exooptum pateris piaelibat eanguinem, et
omnes Ter drcum acta pyrae, sanoti de more
parentis Sominecee fibras et adhuo spiiantia
roddit Viscera ». — 86. a fer sne arti: <
INFERNO - CANTO XX
161
Gli uomini poi, che intomo erano sparti,
s'accolsero a quel loco, ch'era forte
90 per lo pantan che avea da tutte parti.
Fér la città sopra quell'ossa morte;
e per colei, che il loco prima elesse,
93 Mantua l'appellar senz' altra sorte.
Qìk iùx le genti sue dentro più spesse,
prima che la mattla di Casalodi
96 da Finamente inganno ricevesse*
Fero t'assenno che, se tu mai odi
originar la mia terra altrimenti,
99 la verità nulla menzogna frodi ».
Ed io: € Maestro, i tuoi ragionamenti
mi son si certi e prendon si mia fede
102 che gli altri mi sarian oarhoni spentL
Ma dimmi della gente ohe procede,
se tu ne vedi alcun degno di nota;
105 che solo a ciò la mia mente rifiede >.
AUor mi disse: < Quel, che dalla gota
citando 1* arto dell» dÌTinazione. ~ 88. Gli
Malli poi eoo. Intorno alle mitiche origini
di JUatowM, Danto non si allontond Tera>
Beato dallA leggenda viigiliana, secondo la
quale ooteata città ta fondato da Cono Bia>
noco, fl^o del flune Tevere e doli* indovina
Hanto, ed ebbe il nome dalla madre del fonda-
tore; cfr. Eh. X 196: < Die etiampatiii agmen
det Ooaoa ab oiis, Fatidicae Mantoa et Toaci
iUiis ojBnis ; Qui mnros matrinqcie dedit tibi,
Mantua, nomen » : n6 Tappellativo di vergine
onda, dato a Manto o riferito al tompo in cui
ella pexrenxie e si fermò in Italia, esclude
r idea del ano poetorìore connubio, dal quale
nacque il fondatore della città. — 91. iopra
faeireaaa ecc. nel luogo ove Manto era stoto
sepolta. — 93. seaz'altra aorte : senza trarre
alcun augurio, dal quale potessero, secondo il
eostume dei popoli primitivi, dedurrò un nome
diverM alla nuova città. —94. Già far eoe.
La città di Mantova ta. assai piò fiorente di po-
polazione prima che Pinamonto dei Bonaoolsi
ne ottenesse la signoria Ingannando il conto
Alberto da Casalodi ; il quale, avendo il pri-
mato nella città, sdocoamento accettò il consi-
glio di Pinamonto di bandire i auoi avversari,
si che al cattivo consigliero fu facile, per il
malcontento che si suscitò contro Alberto,
d' impafdronirsi esso del governo di Mantova e
di teoacio dapprima come magistrato cittadino
e poi con titolo di capitano perpetuo e autorità
di vero signore: la signoria di Pinamonto durò
dall272all29I (ctr. UUsl, Fbm. celebri ital.,
lam. BimaeoUi di Manlova), — 97. t'asseane:
ti aaimonisoo. — se ta mal ecc. se tu sentissi
mai raccontare altrimenti l' origine della ato
patria. — 98. origUar eoe Un'altra leggen-
da, del tutto diversa dalla virgiliana, è rife-
rita da Servio, nel commento all*.£H. x 196 :
e Alii a Torohone, Tyrrheni firatre, condito
dicunt: Mantuam autem ideo nominatam,
quod etnisca lingua Mantmn Ditem patrem
appellant». — 99. la verità eeo. nessuna
menzogna riesca a Ingannare la verità. —
100. Maestro eco. Questo risposto di Danto
ricorda quella dell' Inf. zi 67. — 102. ehe gli
altri eoe. che i ragionamenti altrui su que-
sto matoria non avrebbero alcuna efficacia
sulla mia mento, come i carboni spenti non
diffondono alcuna luce. — 108. geato ehe
procede: 1 dannati della quarta bolgia, che
hanno continuato il loro lento cammino, du-
rante il ragionamento di Virgilio. — 106.
thè solo a dò ecc. che la mia mento ormai
non ò intonto che a questo. — rlflede: il
vb. rifiedere può avere il senso iterativo, in
quanto il pensiero di Danto, distratto didla
digressione di Virgilio sopra le origini di
Mantova, è tornato ora a considerare i dan-
nati che procedono per il fondo della bolgia;
oppure un semplice significato intensivo, come
se dicesse che il suo pensioro tutto intonde
solamente a codesta considerazione degli in-
dovini. — 106. <^Bel, ehe dalla gota ecc. £u-
rìpilo, cui la barba discende dal viso sulle
brune spallo, ta. augure ai tempi della spe-
dizione greca contro Troia, alla quale parte-
ciparono tutti i maschi giovìni e vecchi, ri-
manendo in patria solamente i fanciulli, e
insieme con Calcante trasse gli auguri sul m<h
152
DIVINA COMMEDIA
porge la barba in su le spalle brune,
VOQ fu, quando Ghrecla fu de* maschi vota
si che appena rimaser per le cune,
augure, e diede il punto con Calcanta
111 in Aulide a tagliar la prima fune.
Euripilo ebbe nome, e cosi il canta
l'iJta mìa tragedia in alcun loco:
114 ben lo sai tu, che la sai tutta quanta.
Quell'altro, che ne* fianchi è cosi poco,
Michele Scotto fu, che veramente
117 delle magiche frode seppe il gioco.
Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente,
mento opportono di salpare dal porto di Aoli-
de, doTO i greci erano radunati. ~ 109. if
eke appeia ecc. tanto ohe appena vi rhna-
Boro i fancioUetti da cnlla. — 110. dleie il
pvBtor aegnò il momento ÌkyQt07<^e a yeleg-
giare. — 111. * togltar eoo. a scioglier le
navi, per prendere il mare. — 112. eeaf 11
CABtAt lo nomina come augose. » 118. r*lta
Mia trsgedUt VlSneidef poema di alto e su-
blime stile; poiché, come Dante scrive nel
De vuiff, tioq, n 4 , « per tragoediam snpe-
riorom stUtun indnimos, por comoediam infe-
riorem, per elegiam stilam intelUgimos mise-
riorem ». — te alesa loeo: dicono gli inteiv
preti che si accenna al luogo dell'J&ln. n 113
e segg., dove il greco Sinone racconta : < Su-
spensi Eurypylum sdtatum oracula Fhoebi
Mlttimus, isque adytis haec tristla dieta r&-
portat : * Sanguine placastis yentos et virgi-
ne caeea, Quum primum Iliacas Danai yeni-
stis ad oiBS : Sanguine quaerendi reditus, anl-
maque litandum Argolica*. Vulgi quae vox
ut yenit ad auies, Obstupuere animis geli-
dusque per ima cucurrit Ossa tremor, cui fitta
patent, quem poscat Apollo. Hic IthAcus va-
tem magno Calchanta tumultu Protrahit in
medios ; quae sint ea numina diyftm, Flagi-
tat eoo. > ; cosi ohe la citazione ohe Virgilio
fa dell* opera propria non ò da riferire al fiotto
della partenza dei greci da Aulide, ma sola-
mente all'aver egli parlato di Euripilo come
di un augure greco : tale, e non altro, il senso
della frase eosl U carda l'atta mia tragedia, —
115. che BC'HaBchl eco. ohe ò cosi esile di
fianchi; Benv., e quia erat naturaliter talis,
vel quia proptor studium erat mirabiliter
eztenuatus». — 116. Hieh«le Scotto: Mi-
chele Scotto, fiorito nolla prima metà del se-
colo xm, ebbe gran fEuna ai suoi tempi come
divinatore. Di lui scrive il Lana: « Fu indo-
vino dell'Imperatore Federico; ebbe molto
per mano l'arte magica, si la parte delle co-
niurazioni come eziandio quella delle iraagi-
ni ; del quale si ragiona ch'essendo in Bolo-
gna e mando con gentili uomini e cavalieri
e mangiando come s'usa tra essi in brigala
a casa l'uno dell'altro, quando venia la volta
a lui d'apparecchiare, mai non fSaoova fìare
alcuna cosa di oudna in casa; ma avea spi-
riti a suo comandamento, oho li fsoeva le-
vare lo lesso della cudna dello le di Fran-
cia, lo resto di quella del re d'Inghilterra,
le tramosso di quella del re di Oidlia, lo pane
d' un luogo e '1 vino d' un altro, confetti e
frutta là onde li piaoea, e questo vivande
dava alla sua brigata ». L*An. fior., oltre
questa novoUa, un' altra ne reca di viti piene
di grappoli d' uva matura tatto i^parìre sur
una mensa da Michele Scotto, e altre cose
mirabili di lui raccontavano gli antichi. Scris-
se profezie latine, e Salimbene da Parma
{Ohrmieaf Parma, 1857, p. 176) ne riferisce
una assai lunga sulle future vicende delle
dttà italiane, che ò ricordata anche da Benv.
e da e. ViUani, Or, zn 19. — 118. Oaldo
Boaattl: fiunoso astrologo forlivese del se-
colo xm, che fri lungo tempo ai sorvig;! del
conte Guido di Montefeltro (cfr. Inf, xxvii
29). Bonv. scrive di lui : « Isto fnit Guido
Bonattus magnus astrologus oomitis Quldo-
nis famosi de Montofsltro; et eum ipso oomes
teneret Forlivium, patriam ipsius Gnidonis
in Romandiola, ubi erat prìnoeps partis ghl-
bellinae, utebatur Consilio istius astrologi in
omnibus agendis. Et satis constans opinio mol-
torum fuit, quod ipso obtinuerit multas vioto-
rias centra bononienses et alios adversorìos
suos, opera istius Guidonis. Iste Guido quam-
vis reputaretur a vulgo fatuus et phantasti-
cus, tamen saepe mirabilitor iudicabcuit;...
fedt opus pulcrum et magnum in astrologia,
quod ego iddi, in quo tam dare tradit doctri-
nam de astrologia, quod visus est volle de-
cere femlnas astrologtam ». Si veda su G.
Bonatti 0 lo sue opere astrologiche la mono-
grafia di B. Boncompagni, Roma, 1851. —
— Aideate : maestro Benvenuto, calzolaio di
Parma, conosciuto col sopranomo di Asden-
te, senza lasciar 1* arte sua diossi alla divi-
nazione, diventando per ossa fiunoaisBiiao
INPERNO - CANTO XX
1B3
che avere inteso al cuoio ed allo spago
120 ora vorrebbe, ma tardi si pente.
Vedi le triste che lasdaron Pago,
la spola e il foso, e fecersi indovine;
123 fecer malie con erbe e con imago.
Ma Vienne ornai, che già tiene il confine
d'amendue gli emisperi e tocca l'onda,
12G sotto Sibilla, Caino e le spine;
e già iemotte fu la luna tonda:
ben ten dèe ricordar, che non ti nocque
129 alcuna volta per la selva fonda >.
Si mi parlava, ed andavamo introcque.
((fr. Cam, IT 16): fiori nella seconda metà
M weolo zm, e il suo concittadino Salim-
hm ne pari» {Ckromea, pp. 284, 801, 804),
&en4do «panper homo poros et simplex
le tìoMns Denm, et coiialis, ideet orbanita-
t» babons, et illitterains ^ e attestando che
« iioainatnm valde intellectom habebat in
ta&toa ut intelligeret scriptnias illorom qui
de fotoiìs praedixeront >. — 121. la triste
«ce. lo donne, che lasciando gli esercizi fém-
■iiili del eocìre, del tessere e del filare si
disd«o alla dìTinazlone. Dante accenna ge-
MriesasBt» le maliarde, che, non ostante le
tOKì e ferool persecuzioni, forono nnmero-
lifliBe ai saoi tempi ; non parendogli che
aletna fosse degna di particolare menzione,
0 Utsm perché nessuna era venata in gran
tea: e omnia terra est piena vetolia facien-
tftes tslia>, dice Benv., e l'An. fior. : « co-
M^ammtft ootalì femminelle molte se ne tro-
▼8B0 ^e Tanno dirietro a incantamenti et a
■aUe». — 128. eoa er¥e e eoa Uiage: An.
ior.: « Pooosi £sre malie per virtù di certe
«rke oediaati alcone parole, o per imagine
di ee» o d'altro fatte in certi punti et per
certo modo ehe, tenendo questo imagini al
fam» o ficcando loro spilletti nel capo, cosi
fsis che senta colui a cui imagine elle sono
tette, eoBM la imagine che si strugga al fìio-
eo >. — 124. già tiene eoo. la luna è già al-
i'odaonte, che separa i due emisferi terre-
itn, e tramonta neli' oceano al di là della
Spagna. — 126. ioUo «bUla.* al di là di
^viglia, città della Spagna. — CaUe e le
iplaes la luna; designata cosi per la creden-
za popolare accennata in Par, n 60. — 127.
e già Iemotte eoe Allorché i due poeti en-
trarono nel settimo cerchio erano all' incirca
tre ore antimeridiane del 9 aprile (cfr. la
nota ali* Inf, xi 118) : visitarono rapidamente
i tre gironi dei violenti e le prime quattro
bolge (cfir. gli accenni a rapido cammino in
Inf, xn 26, xm 1-2, xiv 78, 139, xv 13-15,
86, XVI 91, 121, xvn 40, 76-77, xvi'u 20-21,
68-72, XIX 40-41) e si trovarono sull'argine
che divide la quarta bolgia dalla quinta al-
lorché la luna, che era stata piena nolla notte
precedente all' 8 aprile, tramontava già al-
l'orizzonte, ciod era già lovato il sole da
un* ora : e però erano circa le sei antimerìd.
del 9 aprile (cfr. Inf, xxi 112) allorquando
Dante e Virgilio si disponevano a passare sul
ponte della quinta bolgia: cfr. Moore, pp. é7-
49. — Iemotte : la notte procedente all' 8 apri-
le: cfr. Ih/". I 1, XV 62, e Purg, xxm 118-120.
— 128. non ti loef ne ecc. pifi d'una volta
ti giovò il lumo della luna piena, mentre tu
eri smarrito nella oscura selva. — 129. fonda:
profonda, e cosi chiama la selva perché Dante
v'era caduto dentro, smarrendo la retta via.
-^ 180. latroeqae: frattanto, intanto; voce
arcaica, di quelle che Dante stosso {De vulg,
»hq. I 18) censurò nei dialetti toscani (cfr.
Parodi, BuU. m 133).
CANTO XXI
Peirenati i due poeti sul ponte della quinta bol^a, ove sotto la gn&rdìsi
dei diaToIi sono i barattieri tuffati nella pece bollente, vedono Io strazio
di «n laecheee arriyato allora all' inferno : Virgilio s'avvicina per Tardine
a Malacoda, capo dei diavoli, per ottenere il passo; e quindi i due poeti
eoDtiniiano il loro cammino sull'argine stesso, preceduti da una schiera di
éiavoU (9 aprile, dopo le ore ael antimeridiane].
154
DIVINA CaMMEDIA
12
15
Cosi, di ponte in ponte, altro parlando,
che la mia commedia cantar non cura,
venimmo, e tenevamo il colmo, quando
ristemmo per veder l'altra fessura
di Malebolge e gli altri pianti vani;
e vldila mirabilmente oscura.
Quale nelParzanà de'viniziani
bolle l'inverno la tenace pece
a rimpalmar i lor legni non sani,
che navicar non ponno, e in quella vece
chi fìi suo legno nuovo, e chi ristoppa
le coste a quel che più viaggi fece,
chi ribatte da proda e chi da poppa,
altri ÙL remi ed altri volge sarte,
chi terzeruolo ed artimon rintoppa:
tal non per foco, ma per divina arte
bollia là giuso una pegola spessa
XXI 1. di pomte In poate: dal ponte
della qnarta a quello della quinta bolgia.
— 2. eommedfa: nell'Epìst. a Cangrande,
§ z, il poeta dico che il titolo dell* opera
ò IncipU Oomoedia Dantìa Alagherii, florm-
tini ncUioM, non moribw, e commedia (con
l'accento etimologico, come tragedia in Inf,
XX 113; cfr. Parodi, BuU. m 107), lo chia-
ma qni e in Inf. XVI 128: solo una Tolta
nsa la denominazione di poema sacro {Par,
XXV 1) — 8. il eolmo : il colmine, il ponto
colminante del ponticello arcuato; cfr. Inf.
XIX 128. — 4. l'altra fetinra ecc. la quinta
bolgia, ove sono puniti i rei di baratteria,
quelli cioè ohe per danaro o altro privato van-
taggio vennero meno ai doveri del loro ufficio
danneggiando il loro comune o il loro signore :
Dante parla prima di quelli che esercitarono
baratteria nei governi a comune (l'anziano
lucchese) e poi di coloro oho l'esercitarono
servendo un governo di signore (Cìampolo di
Navarra, fn Gomita, Michele Zanche). — 7.
({vale nelP arsanà ecc. Biag.: « Con questa
bella similitudine vuole il poeta principale
mente por sotto gli occhi del lettore la spa-
ventosa imagine di quella bollente pece, ove
puniti sono i barattieri ; e si distende poi ai
particolari con ui vivi oolori, che par proprio
che si veggano le operazioni diverse e che
s'oda il tumultuoso fracasso di quella gente ;
e chi esaminerà bene i cinque ultimi versi vi
scorgerà un' eloquenza o fiftoondla mirabile,
un'azione, un movimento, un ardore tale, con
quel fervei opus virgiliano, che maggiore non
si pud desiderare >. — arzanà: arsenale
(dall'arabo dài^anah : Diez 27) è il luogo vi-
cino al maro oon le officine necessarie por la
fabbricazione e riparazione del navigli : quello
ai Venozia, ftunoso tra gli arsenali del me-
dioevo, fa costrutto nel 1101 e ampliato gran-
demente nel 1308 (ofr. N. Barozzi, Aoomwi a
cose venete nella D. O, nel Danie e il meo se-
colo, p. 801). La deaorizione fattane da Dante
dimostra che egli l'aveva visitato : « egli sco-
pre, nota il Bassermann, p. 465, ed esprìme
oon 1^ sua oomparazione appunto old che
costituisce l'arteria vitale, il onore della re-
gina dell' Adrìatioo; il luogo ove e«a si ci«ò
i mezzi della sua potenza e la fonte «*oii* sua
ricchezza ». — 9. a rlmpalMar ecc. per
impalmare novamente di pece i navigli gnar
sti dalla navigazione. — 10. che MaTlear
eco. perché i veneziani non possono navigar
nell'inverno, n Buti tra gli antichi, e il
Biag., tra i moderni, leggono che ntmeor non
ponno, riferendolo ai legni i quali non sono
pi6 adatti alla navigazione, se prima non
siano racconciati. — e U quella vece: e in-
vece di navigare. — 11. ristoppa le coate :
tura con la stoppa le Cesure nei fianchi de)
navigUo. — 13. 9kì ribatte eoe ohi ribatte
o rafforza con chiodi la prora o parto ante-
riore della nave, chi la poppa o parte poste-
riore. — 14. altri eco. i remai fitbbricano i
remi, i cordai avvolgono canape e ne fanno
sarte o funi per le vele.'— 15. ehi terze-
molo ecc. altri rappezzano le vele. Butì :
e la nave porta tre vele, una grande ohe si
chiama aritnume, una mezzana la quale si
chiama la mexatana, et un' altra, la minare,
ohe si chiama Ur%eruoUì ». — 16. moa per
foco eoo. non per forza di fnooo, ma per po-
tenza divina. — 17. «aa pegola spesaa: mia
pece densa ; pegola ò la voce popolare, fooa
INFERNO — CANTO XXI
155
18 ohe inTÌscava la ripa da ogni parte.
Io vedea lei, ma non vedeva in essa
ma che le bolle che il boiler levava,
21 e gonfiar tutta, e riseder compressa.
Mentr'io là giù fisamente mirava,
lo dnoa mio dicendo: « Guarda, guarda! »
24 mi trasse a sé del loco dov'io stava.
Allor mi volsi come l'uom cui tarda
di veder quel che gli convien fuggire,
27 e cui paura sùbita sgagliarda,
che per veder non indugia il partire:
e vidi dietro a noi un diavol nero
80 correndo su per lo scoglio venire.
Ahi, quanto egli era nell'aspetto fiero!
e quanto mi parca nell'atto acerbo,
C3 con l'ale aperte, e sopra i pie leggiero?
L'omero suo, ch'era acuto e superbo,
carcava un peccator con ambo l'anche,
06 e quei tenea de' pie ghermito il nerbo.
Del nostro ponte disse : « 0 Malebranche,
ecco un degli anzian di santa Zita;
Ih Toee di fonnadone dotta. — 20. «a die:
Ami che ; dr. Inf. nr 26. — 21. • gonfiar
«e. e Tederà la pece, che bollendo gonfiava
e liouloTa giù ristretta. Bioorda il Tirgilia-
Bo, Qeorg, n 479: « ...qua vi maria alta ta-
OMcant ObiicUnis raptis, roisnBqne in se
^reaidant». — 24. del loeo eoe: cfir.
l'espreasione eonalmile nel Pwrg, ti 78. —
S. AUer eoo. Dante, all' invito di Virgilio,
à Tolfle come nomo ansioso di vedere cosa
pericolosa, il qoale per l' improvvisa paura
fosirda e fugge nello stesso tempo. — 27. e
cai paarm ecc. : rende felicomonte l' ovidia-
Bo, Snii. zrv 132 : e Vires subtrahit ipee
tbaor». — 28. eke per veder eoo. Petrarca,
Tnom(o d'Arni xv 166 : e Che '1 piò va in-
unzi e r occhio toma indietro >. — 29. e
tMI dletre eoe Dante voltandosi indietro
ride un diavolo die correva su per il ponte
della quinta bolgia, portando un peccatore
•Doza allora precipitato nel cerchio ottavo,
dopo il giudizio di Minos, di cui i diavoli sono
■inistri ed esecutori : cl!r. h^f, v 18. — 81.
AU, qiaato eoe Si oecervi questa mirabile
pittnza di un diavolo, del quale prima Dante
mcoo^ r impressione generale accennando
•Ha fierezza dell'aspetto, poi l'atteggiamento
sÌBiitro per le ali aperte che accrescono la
nptdità del suoi movimenti. -~ 82. nell'atto
•ctrte : crudele e feroce nel suo atteggia-
Bento. — 84. acvte o superbo: « appuntato
Malto», dice il Buti: infatti neUe antiche
pitture si trovano figurati i diavoli eon le
spalle sporgenti e angolose, per difetto di
carne. — 85. un peccator ecc. un peccatore
era caricato a cavalcione sur una spalla del
demonio, il quale teneva afferrate le gambe
di lui al collo dei piedi. — 87. Dei nostro
ponte disse: dal ponte, ove io e Virgilio
eravamo, gridò ai compagni. Questo episodio
umoristioo dell'anziano luocheee ò stato illu-
strato con opportune notìzie storiche e con
acute riflessioni dal Bossermann, pp. 183-139.
~ o Maiebranehe: Malebranche ò il nome
generico dato dal poota ai diavoli custodi della
quinta bolgia (cfr. Inf, xxii 100, xxin 23,
ii«m 142). Benv. : € Diaboli habentes malas
branoas, quia habent ungues curvatas ad ra-
piendum ; et vere sont malae branchae, unde
vae illis qui perveniunt ad manus eorum ». —
88. eeeo nii degli anzian eco. Gli anxiani
erano nei comuni italiani magistrati popolari,
che reggevano lo Stato insieroo col Podestà e
col Capitano del popolo, costituendo il potere
esecutìvo : in Lucca questo magistrato, santo
ed onorabUe ufficio^ era di dieci cittadini tratti
a sorte (cft. Ó. Tommasi, Scmm. delia storia
di Lueea^ Firenze, 1847, p. 145 ; C. Minutoli,
Dooum, di storia luoehssef Firenze, 1847, p.
135 ; Rezasco, Dix. 87). — di saaU ZIU:
Zita da Honsagratì presso Pontremoli, nata
nel 1218 e morta nel 1272, visso santamente
in Lucca, dove fu sempre adorata con vone-
laaione speciale (cf^. S. Montreuil, Vis d»
156
DIVINA COMMSDU
89 mettetel setto, ch'io tomo per anche
a quella terra ch*i n'ho ben fornita:
ogn'uom y'ò barattieri fuor che Bonturo;
42 del no per li denar tì fli & ita».
Là giù il buttò, e per lo scoglio diOTO
si volse, e mai non fu mastimo sciolto
45 con tanta fretta a seguitar lo furo.
Quel s'attuffò, e tornò su convolto;
ma i demon, che del ponte «rean coperchio,
48 gridar: « Qui non ha loco il santo Volto,
8akU$ ZUe, Parigi, 1846) ; perdo Dante chU-
ma afi»<afti (M Mmto Zito ^ amdani di Lnoca,
città derota di quella lanta. — 89. aattelel
■otto : ohi da questo peooatore non dioono i
commentatoli ; solamente il Bnti, tradnoendo
nna chiosa più antica (cfr. IL BaiM, BiOL
YL 214), rifezisoe che alcuni al suo tempo cre-
doTano trattarsi di Martino Bottaio, « il qnalo
mori nel mcoo, l'anno ohe Taotor finge che
avesse questa fantaslA >, «aggiunge ohe « te
costui un gran cittadino In Lucca al tempo
suo, e concorse con Bonturo Dati e con al-
tri uomini di bava mano, òhe reggerano al-
lora Lucca ; onde andato una Tdta amba-
sdadoro al Papa per lo suo Comune, ragio-
nando un di col papa di sua condizione disse :
QroUaml, grollami, santo Padre, che mezza
Lucca grolleiai ; quasi volesse dire oh' eli!
era uno do' due che reggevano Lucca, e Bon-
turo Dati era l'altro : et allora che mori era
anziano >. Ma le storie luoofaeei non parlano
di Martino Bottaio, e l'aneddoto dell' amba-
Bceria pontiflda è da altri, come Benv. e
l'An. fior., riferito a Bonturo DatL — tome
per aneke ecc. tomo, por prendere altri ba-
rattieri, a quella dttà, che io ho riempita di
oot&U peccatori. — 40. ek'l' m'ho kea ecc.
Lana: e imperò o* ho bon fornita quella terra
di tal condizione». La lesione comune ehé
n'è bm fìjtnUa darebbe un' inutile ripetizione
dell' idea stessa nella medesima tenina. —
41. BoBiuro: Bonturo Dati fti oapo della
parte popolare in Lucca al prindpio del se-
colo zrv e fti di tanta autorità ohe le coso
di quel comune potò condurre e maneggiare
pi6 anni a sua poeta : nel 18U, trattandosi
accordi fra Pisa e Lucca, l' insolenza di Bon-
turo, che negò al pisani la restituzione dol
castello d' Asciano dicendo agli ambasdatori
che 1 lucched tenevano quel castèllo come
specchio per lo donne pisane, fti cagione di
un' aspra guerra fra le duo dttà, guerra riu-
sdta assai dannosa a Lucca : allora il popdo
costrinse il Dati a fuggire od egli riparò a
Firenze, ove mori (cfr. Q. YHlaBl, O. vn 122 ;
A. Mussato, De getti» Hai, in Mur. Rer. UaL
X 694; Cfnm, pU. in Mur., R§r. UetL XY
967-8; C. MlnutoU, OeiUmea eoo. in Dm^
eil mio m.i pp. 211-220). Dante parla di
Bonturo ironicamente, poiché ei^ «A& lo
maggior bacattiai di palagio, che fosse o ri
sapida in quella dttà >» come attesta il Lana.
— 42. del Bo eco. Lana : « Aedo ohe paia
ben ohe tutti U loosèesi siano di tal condì-
zLone, dice die, al oonaigUo, dd no d & ito
dod sC, per denari. Usanza è a Loooa ohe al
consiglio d vae due bossoli attorno, uno àor9
d mette la ballotta dd sfo, l'altro è queUo
dove d mette la ballotta dd fide. S dice «Ili
di'esd sono d oenottl a danari tórre, che
dovendo Biettsfo per lo ben comune nd boa-
solo dd ads, ed eUi baratta per denari enet-
telo in lo bossolo dd d« », Efficace pittura,
nelle rozze parole dd commentatore treoen-
tiata, dello barattede esefdtote diesai. pei
ne'pubblid oonsi^l Simili espiesdenl, del
resto, erano divenute pq^lari e in un pso-
oeao luoohese dd 1840 (S. Bongi, A^yi»
di MviMjMHatoeoc. Bologna, 1890, pag. 20)
d trova: « Tu diresti dol duo, e del nod;
tu diresti dd no ^ e del d no >. — 44. a
BMl non Al eoo. e md masliao, sddto per-
ché inseguisse U ladso, fri-plù véfeoo eoo.
Questa similitBdiBe eonitiene in pime quella
più ampiamente espUoata dd w. 67 e segg.;
se non che noU' una, dd sane ohe s'aweata
fariosamonte addosso d ladro, è aotata 4a
drcostanza ddla vdodtà, nell'alte invece
l'atto stesso deU'awentaidf l' impeto fririceo
coatro i povereUL — 46. I^el eoe n barat-
tiere s'attnffò netta peoe bollente e pd ap-
parve fuori e oon l'aroo della sobieaa», ooae
Dante dice in iìi/: zxo 19-24 dd ddini, ai
quali paragona appunto i dsnnaiH dsila quinta
bolgia. Altri intendono «ONSoKOy non già eeaae
piegato In arco, ma per involto, eeperto di
peoe da capo »piè; interpretadene non oon-
termata abbastanza dagU esempi aatlohi d^
tati dal Dd Lungo, Dmde HdTL — 47. alM
del peate eoe ohe stavano aoMo 11 ponte.
— 48. U aanle YtHet ehiamano i luoohed
retto AmIo una antichissima imagine di Gesù
Oisto, scolpita in legno e conservata da
ten^ remoti ndla basHioa di B. Martino in
Lueoa; ddU quale imaglne gli abitasti di
quella dttà ftaionoasoiio devodsBimL B«ti •
INFERNO - CANTO XXI
1D7
qui si nootA altrimenti ohe nel Serohio:
però, se tu non vnoi de' nostri graffi,
61 non ùa sopra la pegola soperchio >.
Poi raddentftr con più di cento raffi;
disser: « Coperto oonrien che qui balli,
64 8Ì che, se puoi, nascosamente accaffi ».
Non altrimenti i cuochi ai lor vassalli
fimno attn&re in mesio la caldaia
67 la carne con gli undn, perché non galli.
Lo buon maestro : « Acciò che non si paia
ohe tu ci sii, mi disse, giù t'acquatta
60 dopo uno scheggio che alcun schermo t'àia;
e per nulla ofiElansion che mi sia fatta,
non temer tu, ch'io ho le cose conte,
63 perché altra volta fai a tal baratta »•
Poscia passò di là dal co' del ponte,
e oom'ei' giunse in su la ripa sesta.
<S pQft ialeiidara the eohii tonstor n dl-
eMe:<Snlo Volto, alitMiU ' ; e p«« ii«
ipoBdMwno ooii li demoni ; «Itiimttiitt il pii6
fi» eho.» U dMBont MdMrneBdòlD dioeMono:
'nttt ta teori por Ttim 1» tao 8Mto Volto
^ Laeea? e cbinlto ponhé f alutt? q:iil no,
■01 à Inogo' ; • per qneito il ik bèflb l'aa-
ton de'tooelieii, eie anno la eonttnio pu^
to* lo lor Volto 8Mtto»« 8ooond#il Bmmn
■aan, p. 187 Danto aUiiderobbo non idlo al-
f toagiae mfraimliTffi, ma alla moneto loo-
diw ^ ne xaeaTa l'improi^ — 49. qmì
rinetaeoo. Q Serohio è Aamé ohe nasce nei
■«itideDa Lnnigiaaa e eoone liooo di fre-
tto aoqiie lino al mare Tirreno, penando a
f'>"«"«*iT> dtotan» dalla oittà di Loooa.
ftfi: c&aoomaetodine antica òhe per nna
iHti B canlieii Incohesi andavano al monto
m QBìliei e begnavanii nel Serohio, entran-
imì coi panni e penendo di là » ; ma più
cto a foflsto folto Danto avrà peniato aiba-
pi eke i laocheil eoleano foro d*eitoto nelle
tonfa» aeq^e del fbime, Moondo nn'nianza
licMdato dal Lana, e dai Bati stono. — 60.
mfl: itramenli di fono uncinati, ohe al
T. 0, 100 e hif.TJU U7 aono detti rafjt,
•iT. 71o W* TJunnmoigHt e ai tt. 67,
^ V. zm 60, U9 HNoM. — 6L aeafkr
«I. non Teoire a gdla. — 64. aeealll: il rh.
'Bttgtn, dice l'An. flor., e ò ano vocabolo
v«lcve floceotiao et antico > e significa o/far-
fm (cfr« Parodi, Butt, DI 148): qui l'osano
i Asvoi psr ammonire un infolioe barattiere
Aiitt bsaeotto la pece e di asoime solo sen-
!*«■« visto, sepotrà, eogUendo fartìvamento
a ansato fo^orevole. — 66. Hea altri-
■nttsue. Come i enoohi foono ai loro aia-
todiattafne -eoa uncini la carne ia meno
alla caUato perOhé nel bollire non galleggi
toor deU'aeqoa, ood i diavoli tenevano coi
raffi i barattieri sotto la pece. — vassalli:
servi, fonti (cfr. IMez 888). — 67. galli : il
fattore, cho Dento usa anche in senso tra-
slato in Utrg, x 127, vaio quanto galleggia-
re, stare a galla : cfir. Diex 874. — 68. Àeeiò
etto nea eoo. Afflneh4 i diavoli non ti veg^
gano, nasconditi dietro ona delle sporgenze
dello scoglio, la quale possa esserti riparo.
< Strano deve sembrare (cosi lo Scart.) que-
sto conumdo di Viigilio al suo allievo quando
si rifletto ohe i due poeti erano già da al-
cuni momenti sa qaello scoglio senza proca-
ntre di nasoondersL.. J^sognerà però sappor-
re che i demoni sotto il ponto non abbiano
ancora goardato in sa, ocoopati come erano
oolPanzian di santo Zito, e che il diami iMro,
nella saa gran fretto di tornar ptr ane/is a
Lacca, non abbto guardato attorno, dimodo-
ché i dae viandanti non siano anoor stati
ceservati dai diavoli di questo cerchio. In-
fotti dai V. 67 e segg. ne risulto che i de-
moni non aveano anoor veduto Viigilio».
-^ 60. leheggles sporgenza dello scoglio;
oome weheggia in Inf, zxiv 28, zxvi 17, e
ÈOheggion al v. 89 di questo canto. — àlas
aggia, lat. habnU; fonna arcaica, della quale
cito esempi il Nannucd, Verbi 607, e ohe
ricoiie anche in Fùr. xvn 140 : e usitatissi-
ma nella lirica anteriore, siouleggianto o pro-
venzaleggianto », Parodi, BulL IH 100. —
62. cento: cognito, conosciuto. — 68. altra
volto: cfr. ifi?. xz 22. — baratta: contrasto,
contesa; cfr. Parodi, BtUL m 149. — 64.
eo' del ponto: capo, principio del ponto ; cfr.
Utrg, m 128. — 66. ripa sesta: 1* argine
che divide la quinto dalla sesto bolgia. —
168
DIVINA COMMEDIA
66 mestier gli fu d'aver sicura fronte.
Con quel furor e con quella tempesta
ch'escono i cani addosso al poverello,
69 che di sùbito chiede ove s'arresta;
usciron quei di sotto il ponticello,
e volser contra lui tutti i roncigli;
72 ma ei gridò : « Nessun di voi sia fìllio !
Innanzi che l'uncin vostro mi pigU,
traggasi avanti alcun di voi che m' oda,
75 e poi d'arroncigliarmi si consigli ».
Tutti gridaron: « Vada Malacoda »;
per che un si mosse, e gli altri stetter fermi;
78 e venne a lui dicendo : < Che gli approda? >
< Credi tu, Malacoda, qui vedermi
esser venuto, disse il mio maestro,
81 sicuro già da tutti vostri schermi,
senza voler divino e fato destro?
Lasciami andar, che nel cielo è voluto
8i eh' io mostri altrui questo cammin Silvestro ».
Allor gli fu l'orgoglio si caduto
ohe si lasciò cascar l'uncino ai piedi;
87 e disse agli altri : < Omai non sia feruto ».
£ il duca mio a me: « 0 tu, che siedi
tra gli scheggion del ponte quatto quatto,
66. sievra Croate: sembiante impertorbato,
proprio dell'uomo coraggioso. — 67. Com 4«tl
faror ecc. : cfr. la nota al ▼. 44. — ten-
peata: impoto fragoroso. — 69. ehe di li-
bito eoe che, appena fermato innanzi alle
case dei rioòhi, chiede 1* elemosina. — 71.
roncigli: uncini piot 671): cfr. la nota al
y. 50. — 73. Nissan di Tol ecc. Bati : e fiUo
è colui che pensa di mal faro ad altri ; e por-
che Virgilio s'avvide che li erano usciti ad-
dosso con mala intenzione, però parlò cosi >.
— 76. arroBclgllannl : il vb. arroneigliare
formato dal nome roneigUo significa qui e in
Inf, xxn 35 afferrare con oncinL — 76. Ma-
lacoda: è il capo dei diavoli preposti alla
quinta bolgia, come si rileva dal fatto ch'egli
impartisce loro degli ordini che sono subito
eseguiti (cfr. w. 87, 106, 118-126) dai dia-
voli stessi, da lui chiamati questi mi&i (v.
116). — 78. Che gli approda f Gi& tra gli
antichi commentatori fu discordia circa il
valore di queste parole: l' Ott spiegò : « che
ti giova che io vegna qua ? questo piccolo ri-
tardare d' andare alla pena ti fia di piccolo
prò », e quest' interpretazione è buona salvo
che il discorso di Malacoda s'ha da inten-
dere rivolto ai diavoli, non a Virgilio, come
M il capo dicesse loro : Io andrò, come toì
desidorate, ma a quel peccatore non sarà
d'alcun vantaggio, ch'io lo arronciglierd
come gli altri. Il Buti intende invece: e Che
cagione ò che lo Da venire a questa proda
della bolgia?», e Benv.: cquis est ibi in
ripa oxtrema pontis ?» : ma poi a questo com-
mentatore pare spiegato « subtilius et me-
lius » da chi intende: e ohe gli monta? che
gli vale perch' io vada? » : o questa ò la spie-
gazione data dai miglioriinterpreti moderni.
— 79. Credi ta ecc. Credi tu di vedere in
me uno che sia venuto qua gid non temendo
le vostre opposizioni, senza l'aiuto del di-
vino volere e di un favorevole destino?
83. Bel delo è volato eco. É il solito ricordo,
col qualo Virgilio vince gì' impedimenti in-
fernali ; cfr. Inf, m 95, v 23, vn 11, xn 88.
— 84. eammln iilvestro; cfìr. Inf, n 142.
— 86. Allor gli fa ecc. Kalaooda, al ricordo
della potenza divina, depone l'orgoglio e la
armi e subito dà ordine ai diavoli di non toc-
caro Virgilio. — 89. scheggion: si veda la
nota al V. 60. — quatto «natto: Dante ai
era acquattato (v. 69) cioò abbassato per na-
scondersi. Nota il Borg. e che quatto non si-
gnifica propriamente naaoosOf ma chinato e
come spianalo in terra, e come fa la gatta
quando uccella, che fi stiaccia in terra per
INFERNO - CANTO XXI
159
1/0 sicuramente ornai a me ti rìedi ».
Per ch'io mi mossi, ed a luì vemii ratto;
e i diavoli si fecer tutti avanti,
93 si ch'io temetti cVei tenesser patto:
cosi vidi io già temer li femti
ch'uscivan patteggiati di Gaprona,
96 veggendo sé tra nimici cotanti
Io m'accostai con tutta la persona
lungo il mio duca, e non torceva gli occhi
99 dalla sembianza lor ch'era non buona,
Ei chinavan li raflS, e € Vuoi eh* io '1 tocchi,
diceva l'un con l'altro, in sul groppone?»
102 e rìspondean: € Si, fa che gliele accocchi >
Ma quel demonio, che tenea sermone
col duca mio, si volse tutto presto
105 e disse: « Posa, posa. Scarmiglione »•
Poi disse a noi : « Più oltre andar 'per questo
MQ mot rednta, e lo fo talvolta il cane >.
- 98. li ék* lo Umtttl ecc. dubitai se ve-
HMnte 1 diaroli ayiebbero serbato 1* fode,
0 nspetto dontto al loro capo Malaooda, Il
fBile iTera dato ordino di non toccar Yir-
gifio. — M. tott eoo. Dante fu presente alla
im di O^rons nel 1289 ; del qnal fatto,
4i hd qoi accennato, scrire il Del Lnngo,
Dmk, I 27S (ofir. anche p. 171): « Néll'ago-
ito M 1289, len» qoasi prender riposo dalla
tittoda eopn Aiecso, riportata in Oampal-
4ìM,FlrsinxepagaTaallaLefl;a gnellia, stretta
ciarle anni ipp*"«t con Oenora e Laccai
l'oMIigo contratto di travagliare, almeno ogni
iBio, la giiibeUina Fisa, ohe, sebbene ilao-
atft alla MeloriA, sentivano di non aver de-
nto... Anche nell'eBtato di quell'anno, per-
taalo, i Imàmi feo&ro oaU aopra la città di
HMooOs/brM d^fiormHni (e. Villani, vu
i37): quell'anno anzi n'era maggiore il bi-
H^ao, per ootntrastare ai felid ardimenti di
Gvido di Mootefettro; il quale, chiamato Ca-
pitano del popc^ e di guerra dal Pisani in
nUa catastrofe del conto Ugolino, agglun-
tORli poco appreeso l' ufficio di Podestà, mee-
i^ insoouBft nelle mani U città intora a
Miei Mate U politica ghibellina dall' infelice
XfgoUno Iniebolita e intorbidata, era entrato,
•fpoBto a cotesta estato, in campagna, e
sTvra aottomeese e prese parecchie castella,
te gli atei Caprons a poche miglia dalla città,
n laequislainento di questa torre, U quale,
bMcà6 fomite e afforzata, dopo otto giorni
Ciswdto ai arrese ai Guelfl, fu, si può dire,
& telo fMto deSa spedizione, che del resto
•IcoHamò in soonerle per le valli di Calci
• a Boti, in steri inutili contro 1* terra di
^ikofisano, in palli di scfasmo sotto le mora
di Pisa Catti correre dai Lucchosi per 1* loro
feste di San Begolo {pyogm. hitL pia. in Bar,
UaL aoHpt., XXTV 656-667, O. Villani, 1.
cit). Ci avevano i Fiorentini duemila pedoni
e quattrocento cavalieri di cavallato. Uno di
questi, certamento, Danto, il cui nome ap-
parteneva a' ruoli di quella cittadina milizia,
e che 86 descrive presento alla resa dei fanti
eh' Msemm pattaggiaU di Oapnna > : cf^. an-
che O. Sforza, Da»Ua a i ptMNH, Pisa, 1878,
pp. 8-7 e il Bassermann, pp. 114-118. — 96.
patteggiati: sicuri della vita, per 1 patti
della resa. — 98. Ingo: cfir. Inf, x 29. —
100. Taci efc'ie 1 taecki ecc. Tuoi che io lo
percuote da tergo ? Sono le parole detto dal
diavolo Scarmiglione a un compagno. — 102.
• rlspondsan eco. e gli altri diavoli, a sentir
la proposte di Scarmiglione, lo incorag-
giavano a recarla in atto, dicendo : Si, si,
cerca d' assestargli un colpo di ronciglio. —
gliele: forma indeclinabile, usate dagli an-
tichi senza distinzione di genere né di nu-
mero; cosi il Bocc Dea, g. ix, n. 5: ce
tutto gliele graffiò (il viso) >, g. n, n. 8 : e il
conto con lagrime gliele diede (la figlia) >,
g. n, n. 8 : « presentagliele (i falconi) » ecc. :
Danto 1' usa altre volto. — accocchi : il vb.
aeoooearaf presa l' idea dalla cocca della frec-
cia, vale quanto assestare un colpo. — 105.
Posa, posa: ste fermo, deponi i raffi. — 106.
PId oltre andar ecc. Malacoda, por ingan-
nare i due poeti, dice loro che ove essi sono
è caduto il ponticello della seste bolgia, e in-
vece camminando avanti sull'argino ne tro-
veranno un altro, per il quale sarà dato loro
il passo : che non ò vero, perché tutti i ponti
già esistenti sulla seste bolgia erano caduti,
e Danto e Virgilio dovranno oltrepassarla
ICO
DIVINA COMMEDIA
iscoglio non si può, però ohe giace
108 tutfco speusato al fondo l'arco sesto:
e se l'andare ayanti por vi piace,
andatevene sa per questa grotta;
111 presso è un altro scoglio che via £ice.
Ter, più oltre oinqn' ore che qnest' otta,
mille dngento con sessanta sei
114 anni compio ohe qni la via fd rotta.
Io mando verso là di questi miei
a rìgnardar s'alcun se ne sciorina:
117 ' gite con lor, ch'ei non saranno rei >.
« Tratti avanti, Alichino e Calcabrina,
cominciò egli a dire, e tu, Oagnazzo,
120 e Barbariccia guidi la decina.
Libicocco vegna oltre, e DraghignaszOi
Ciriatto sannuto, e Graffiacane,
128 e Far£&rello, e Bubicante pazzo.
Cercate intomo le boglienti pane;
costor sien salvi inaino all'altro scheggio,
126 che tutto intero va sopra le tane ».
€ 0 me! maestro, che è quel che io veggio?
soendendo prima nel fondo {Inf» zzm 4B e
segg.) di essa e poi risalendo la sna ripa in-
terna {Inf, xziY 25 o w^,), — 110. gretto!
rooda ohe forma il sesto argine : ofr. Purg.
m 90, zm 46, zxvn 87. — 112. ler, pM el-
tre eoo. Malaooda, per ottenere maggior fede
da Virgilio, gli dice in qnale tempo accadesse
la rorina del pontioello, la quale oome altre
roTine infernali (of^. Inf. xa 45), fu cagiona-
ta dal turemoto che agitò il mondo alla morte
di Cristo. Dloe dnnqae ohe iaH, 8 aprile 1800,
tdnqu'vn più oUr$ ehé guettf otta^ doò intomo
al mecxogiomo, compirono milledngantoses-
santasei anni ohe il passo sulla sesta bolgia
fa interrotto : dò in conformità dell'opinione
seguita da Dante ohe Gesi Oristn spirasse
nella sesta ora del yenerdf santo dell' anno
trentesimo quarto di sua vita ; ofr. Cbnv. vf
23 : e Ottimamente natoxato fue il nostro Sal-
vatore Cristo, il qoale YoUe morire nel tren-
taquattresimo anno della sua etado ; che non
Ma oonveneTole la divinità stare cosi in di-
cresdone, né da credere d oh* olii non vo-
lesse dimorare in questa nostra vita al sommo,
poiché stato o* era nel basso stato deUa pue-
rizia: e dò ne manifesta Torà del giorno
della sua morte, ohe volle quella consomi-
gliare ooUa vita sua ; onde dice Luca [xxm
44] ohe era quasi ora sesta quando morie,
che è a dire lo colmo del di ». Vedasi il
Moore, pp. 49-66. — quest'otto: il tempo in
coi Malaooda paria a Virgilio d la mattina,
dnque eie prima del meczodi,oioè txa ìma&k
e le sette antimeridiane, poidié 1 due poeti
sono anivatl al ponte della quinta bolgia cir-
ca alle sei antimeridiane : ofr. htf, zx 127.
Quanto al nome otta, frequente negli
tiohi, in luogo di ora, si crede derivato dalla
ìocaziaDB quota 68i9 ifaaai tornò guMota Mi?
ofr. Dies 887, 761. — 116. 41 ««esU adal
i diavoli mandati da Malaooda sono dieci
Barbariccia, cui ò affidato 11 comando della
schiera, Aliohino, Caloabrina, Oagnazzo, Li-
bicocco, Draghignaczo, Oirìatto, Orafflaouie,
Farlkrello e BuMoante: strani e veramenta
diabolid nomi, nd quali Benv., Buti, An,
fior. cercarono significati, che Dante non
pensò forse neppure di trìbuir loro, e ohe
sono rioavati per via di singolarissime età-
mologio, tn^po sottili per esser vere. — 116.
8' aleia se ne seieriaa : se alcuno dei ba-
rattieri cerca d'uscir dalla pece. — 122. aaa-
auto 1 ofr. h^, sxn 56. — 124. Cercata im«
terae eoo. Andate in giro attorno al fosso
della pece bollente : sul vb. ofroars ai cfr. la
nota all' Inf. xx 66 ; per la fonna bcffHmH
ofr. P%irg, xxvn 48 ; pone ò forma aroaica,
per JNMM, pL di poma (ofr. Parodi, BulL UX
99), e cosi dice la pece perché è sostanza
vischiosa. — 126. eestor eco. non toooate
Virgilio e Dante sino a ohe sasanno giunti
all'altro ponte : ironia diabolioa, perebé altri
ponti non sono sulla sesto bd^a, — 126.
•ke tatto eoo. ohe attraversa le bolgo daBa
J
INPERNO - CANTO XXI
161
dissMo; deb, sema soorta andiamci soli,
129 se ta sai ir, ch'io per me non la oheggio.
Se tu sei si accorto come saoli,
non vedi tu ch'ei digrignan li denti
182 e con le ciglia ne minaccian duoli? >
£d egli a me: « Non to' che tu paventi :
lasciali digrignar pure a lor senno,
135 eh' ei fumo ciò per li lessi dolenti >.
Per l'argine sinistro volta dienno;
ma prima avea ciascun la lingua stretta
138 coi denti, verso lor duca per cenno,
ed egli avea del cui £Eitto trombetta.
posa •!!' ultima. ~ 180. Se ti eoo. Danto,
purtNo dei diaroli olle digiignano i denti e
Kttidno Hiiaaocinirii li xaooomanda a Vir-
gflb; il qvale tosto lo zasaioara, dicendogli
ch0 9tà ftnno ciò per i dannati. — 185. 11
Imi dolenis 1 baiattied messi a bollir do-
towMwnto nella peoe; l*imagìne contlnna
fooOs dfli TT. 66-67 o anticipa quasi Tespres-
Bone e enn già cotti dentro dalla crosta >
4qQ' V- zzo 16a Altri leggono e intendono
^ireosmente, ma non pare ohe ▼! sieno ba-
lìBroU foodaoieiitl per abbandonare la lezione
e la spiegazione oomnne: cfir. 0. Negroni,
Oitetrm eritìeo mi letti tMmU deU* Jbtftmo,
Konsa, 1884. — 186. Tolto dienao: volta-
ndo; la locazione dar volta è cara a Danto,
db l'aia in Purg, v 41, ti 151, vin 107,
zxiv 140, zzEC 11. — 187. aTSa etasfia la
liagaa eoo. Circa U signiflcato di quest'atto
dei diayoli non s'accordano né por gli an-
tiohi: meglio di tatti il Lana e U Bati lo
presero per un atto beffardo, ohe ancor oggi
si osa ; se non ohe a lor parve ohe fosse fatto
in derisione di Barbarloda, mentre forse tu
fatto in beffifc dei duo poetL Beny. dice che
cosi i diavoli e tenebant lingnam disposltam
et paratam ad trallzandam > doè a imitare
il loro dace ; e TAn. fior, che e quello atto
fa ohi sto attonto a ferire o a percaotore,
mosso da ira, da iniquità ot da sdegno >. —
189. ed egli ecc. e Barbarìocia- li guidava al
suono di coosf piacevole stormonto», dice
l'An. fior.
CANTO xxn
Dante e Yirgìllo, seguitando a camminare snlPargine, vedono nel fondo
^dh bolgia altri barattieri ; tra i quali Ciampolo di Na varrà, che racconta
loro di sé, di fiate Oomita e di Michele Zanche, e di più altri direbbe se
MB foise dai diavoli costretto a rituffarsi nella pece: allora i due poeti ri-
PKBdono il cammino verso la sesta bolgia [9 aprile, ore otto antimeri-
toe circa].
Io vidi già cavalìer muover campo,
e cominciare stormo, e fax lor mostra,
8 e talvolta partir per loro scampo ;
Xm L Io Tldl eoo. Enomezando varie
•ytnoioBi militari, alle quali gli uomini d'ar-
■)« logliDiio muoverti per segni di vaxl stru-
■«itì, Duto vuol mettere in evidenza la sin-
Cohrit4 ridicola dei segnale ohe regolava la
■«Ria daQa schiera diaboUoa. — eavalitr
■••ftr eoe. accenna a quattro particolari
aasoi ailitKKi, il prind^ della marcia, l'at-
^<eo del combattimento, la rassegna della
Dautb
schiera, il movimento di ritirata. — campo i
l'accampamento militare. — 2. stomo x que-
sto voce, spiegato dal Borgh. per e alfronta-
mento > ossia per l'atto d'andare a investire
il nemioo, deriva dal ted. «turm, ohe vale
tompesto e figuratamento impeto, attacco
(Diez 809). ~- mostrai disposizione dei sol-
dati in ordinanze, per rassegnarli; dr. Q.
YilL, Or, zn 63: «Là fece sua mostra e
U
162
DIVINA COMMEDIA
oorridor vidi per la terra yosiarai
o aretini; e vidi gir gaaldane,
6 ferir tomeamenti, e correr giostra,
quando con trombe, e quando con campane,
con tamburi e con cenni di castella,
9 e con cose nostrali e con istrane;
né già con si diversa cennamella
cavalier vidi muover né pedoni,
12 né nave a segno di terra o di stella.
Noi andavam con li dieci dimoni:
ahi, fiera compagnia! ma nella chiesa
15 coi santi ed in taverna coi ghiottoni
Pure alla pegola era la mia intesa,
per veder della bolgia ogni contegno
18 e della gente ch'entro v'era incesa.
Come i delfini, quando fanno segno
ai marinar con l'arco della schiena,
troTossi con 8000 baoni cavalieri >. — i.
eorrldor Tldi eco. Accenna alle soorreife dei
fiorentini per il texritorio d'Axecso dopo la
battaglia di Campaldino dol 1289, alla qoale,
secondo gli antichi suoi biografi (cfr. Del
Lungo, DanUf I 162 e 80gg.)i Dante li sa-
rebbe trovato di persona a combattere tra i
cavalieri (cfr. Compagni, Or, i 10, Q. VilL,
Or. vn lSl-182). Dell' ufficio proprio dei oor-
ridoriy mandati innanzi a far qnaai un servi-
vizio di esplorazione, tratta E. Colonna, Reg-
gìm, dei prineipi, m 3, 10, citato qni dal
Torraca. — 6. gnaldaae : sono, spiega il Bnti,
« cavalcate le quali si fanno alcuna volta in
sul terreno de' nemici a rubare et ardere, e
pigliare prigioni » : gualdana deriva dal ted.
ipoldan^ impeto di guorra (Diez 878). — 6.
ferir eco. Land. : « Le precedenti son tutte
cose belliche, e lannosi al tempo di guerra
tra l' un nimico e l'altro ; ma tomeamenti e
gioire sono esercizi militari, fiotti por feste
e giuochi, e per dar diletto a' popolL Tornea-
mento d quando le squadre vanno l'una con-
tro dell'altra, e rappresentano una spezie di
battaglia ; giostra è quando l' uno va contro
l'altro a corpo a corpo, e rappresenta la bat-
taglia singolare ». — 7. qnamdo eoa trombe
ecc. Accenna ai vari modi di dar segno di
movimento alla milizia usati al suo tempo:
le trombe e i tamburi, le campane del car-
roccio o delle torri, 1 segnali fatti dalle for*
tozze, con le bandiere o col fumo di giorno
e con le fiamme di notte (cf^. Inf. vm 4),
e infine altri strumenti d' uso tra gì' italiani
o importati dalle milizie straniere. — 10. né
già con ti dlTersft ecc. ma non vidi mai
muovere esercito al suono di coti itrano
•tromento. — «nuiainieiia : Butt: ce uno
istrumento artificiale musico che si suona con
la bocca > : fa cosi detto per essere formatu
di canne (it. eennameUa o emmella^ tt, eha-
temei: Diez 864, 642), e si usava suonario in
gneira innanzi al capitani, come si ha dalle
parole della Orm, pisana cit in Inf, zxvn
78. — 12. m< mare eoo. Buti : e Li marinai
quando navicano seguitano due segni : l'uno
si è la terra, quando la possono vedere, im-
però che vanno al segno del monte che veg-
gono da lungi;... e quando sono in mare che
non possono vedere la terra, navicano al se-
gno della tramontana». — 14. Ma Bella
ehieta ecc. ma come in chiesa l'uomo trova
la compagnia dei religiosi e nelle taverne
quella degli scapestrati, cosi Dante e Viigi-
lio dovevano stare in compagnia dd diavoIL
La frase doveva correre proverbiale, come il
Torraca rileva da un passo della Tavola ri-
tonda, cap. 26. — 15. ghiottoni : gli antichi
chiamavano gìUottoni, lat. ghttoni, gli uomini
girovaghi, senz'aloun'arte o dimora stabile,
che correvano il mondo esercitando fh>di e
ribalderìe; e negU statati comunali si leg^
gono severe provvisioni contro i ghiottoni.
— 16. Pire alla ecc. La mia attonrione
era rivolta solamente alla pece bollente nel
fondo dolla bolgia e ai dannati ohe v'erano
immersi. — 17. eoategaot condizione, stato.
— 19. Come 1 delfini ecc. Come i delfini se-
guitando le navi tengono faor dell'acqua l'ar^
co della schiena per for segno ai marinai
che la burrasca s' avvicina (credenza diffusa
molto al tempi di Dante ; ofir. B. Latizd, 7»-
sorOf volger, da B. Giamboni, nr 6), cosi i
barattieii p«r alleggeiire la propria pena m^t-
INPERNO - CANTO XXH
tm
21 che s'argomentili di campar lor legno;
talor cosi ad alleggiar la pena
mostrava alcun dei peccatori il dosso,
2A e nascondeva in men che non balena.
E come all'orlo dell'acqua d'un fosso
stanno i ranocchi pur col muso fuori,
27 si che celano i piedi e l'altro grosso;
si stavan d'ogni parte i peccatori:
ma come s'appressava Barbariccia,
80 cosi si ritraean sotto i bollori.
Io vidi, ed anco il cor me n'accapriccia,
uno aspettar cosi, com'egli incontra
83 che una rana rimane ed altra spiccia:
e Grftffiacan, che gli era più d'incontra,
gli arroncigliò le impegolate chiome,
86 e trassel su, che mi parve una lontra.
Io sapea già di tutti quanti il nome,
si li notai quando furono eletti,
89 e poi che si chiamare attesi come.
€ 0 Eubicante, fa che tu gli metti
gli unghioni addosso, si che tu lo souoi »,
42 gridavan tutti insieme i maledetti*
Ed io: € Maestro mio, fa, se tu puoi,
che tu sappi chi è lo sciagurato
45 venuto a man degli avversari suoi ».
Lo duca mio gli s'accostò allato,
tenn Alari dalla pece U dosso, ritoifandoBi
poi nMto por timore dei diavoli. — 21. s'ar-
IVMBtta eoo. a* ingegnino, s'adoprìno a sai-
^ve la nave dalla vicina tempesta. — 22.
aOtfffiar! alleviare, alleggerire; ofr. Purg.
XB U. — 23. Mostrava occ. : ofr. Inf, xzx
^ — 2A. U Bea che nom baleaa : in un
Aoaento; cosi il Poliziano, 8t. n 28: cE
Voiitrava in men che non balena». — 25.
K coste all'orlo eoo. Questa similitadine
afille noe, che ricorre anche in Inf, xzxn
31, dipinge al vivo i barattieri ohe lungo le
dm sponde della bolgia tenevano il viso ftior
^dla pece, e via via si nasoondevano all'av-
▼iciiiBiii di Barbaricda, capo e guida dei
^rolL — 27. l'altro grosso ecc. le rima-
Beati psiti del corpo. — 8U. 1 bollori: la
pwe bollente. — 81. ed aaeo li eor ecc. e
3 mio animo a ricordare il fatto riprova lo
AfiMo lentimento di raccapriccio (cfr. loca-
zioDi simili in Inf, i 6, xiv 78). — 82. in-
<*strs che ma rama eco. accade ohe una
lua resta sulla sponda e un'altra salta noi-
l'ao^: ofir. i veni d'Ovidio nella nota al-
l' Inf. xxxn 81. — 86. arroaelgliò : cfr. Inf.
xa 76. — 86. ohe mil parve ama lontra t
Venturi 417 : « ohi abbia veduto questo «aU
male conoscerà quanto vìva sia la similltii-
dine tra il daimato tratto su dalla poco, e la
lontra, la quale ha pelle untuosa e calo>r
quaai nero, e che cavata faori dell'acqua coti
le gambe spenzolate e grondanti pivsuotik
forme apjpropriate all'atto ohe il poeta dtjisciri^
ve>. — 87. Io sapea ecc. Perché il lesttora
non si meravigli di sentir chiamare qaosU
diavoli coi lor propri nomi, Danto ha cuni
di ricordare che egli conosceva cotesti dodiI
per aver badato quando Malacoda chiazuà ì
dieci dolla schiera {^f. xn 118-128} e por
aver atteso anche al modo col quale e«sì dl:^
voli si appellavano fira loro. — 89. aiteAi
come t badai con quali nomi si chianmTano.
— 41. lo seno! i lo scortichi, gli stracci la
polle, con gli unghioni -, come Cerbero f^ dol
golosi con le ungkkUe mani : cfr. Inf. ti tS.
— 42. grldavam ecc. Questi diavoli, che gri-
dano tutti insieme contro il barattieroT ri-
cordano le anime che gridano contro Filippo
164
DIVINA COMMEDIA
domandollo ond'eì fosse, e quei rispose:
48 € Io fui del regno di Navarra nato.
Mia madre a servo d'un signor mi pose,
ohe m'avea generato d'un ribaldo
61 distruggitor di sé e di sue cose.
Poi fili fEuniglio del buon re Tebaldo:
quivi mi misi a far barat^rla,
54 di che io rendo ragione in questo caldo ».
E Ciriatto, a cui di bocca ascia
d'ogni parte una sauna come a porco,
67 gli fé* sentir come l'nna sdrucfa.
Tra male gatte era venuto il sorco;
ma Barbariccia il chiuse con le braccia,
60 e disse : « State in là, mentr* io lo inforco » ;
e al maestro mio volse la &ccia:
« Domanda, disse, ancor, se più desii
Aigentt nella palude Stige : cfr. Inf, vin 61.
~ 48. Io foi eoo. Ciampolo di Nayarra, del
quale il Lana scriyo : « Nacque per madre
d'una gentildonna di Nayarra : vero d oh'elll
steeeo dice, come appar noi teeto, ohe '1 pa-
dre ino fa nn ribaldo, il quale era distrug-
gitore di 8Ó e dello sue oose. Come fu un
poco grandìoello ta. messo per sua madre a
servire un signore, in lo quale offido elli
seppe si profioaro oà* elli montò a essere fa-
miglio del re di Navarra, il quale el>be nome
Tebaldo e fu virtuosissima persona e re da
beno. E fu lo ditto Ciampolo tanto in grazia
del predetto re Tebaldo, ed ebbe tanto stato
in sua corte, eh' elli avea possanza di dispen-
sare de' benefldi e grazie in molta quantitede,
li quali, barattando per pecunia, elli dispen-
sava in modo illicito e inonesto > : Ott, Benv.,
Dati, An. fior, e tutti i posteriori commen-
tatori ripetono le stosse cose, senz* aggiun-
gere altre notizie. — 60. ehet la quale. ~
■B ribaldo: un malvagio; né altro signifi-
ficato si pao dare a quosta parola, come vor-
rebbero alcuni moderni (lo Scart py es. prende
ribaldo nel senso antico di carnefice ; il Tomm.
in quello pur antico di uomo fedele a un si-
gnore ecc.; cfir. Zingarelli, BuU. I 19U), poi-
ché nel verso seguente ò la ragione di co-
testo epiteto che Ciampolo dA al padre suo.
— 61. dlitrnggUor ecc. suicida e dissipa-
tore ; infatti racconta di lui Benv. che « cum
prodigalitor dilapidassot omnia bona sua, ut
audio, tandem dosperate suspendit se la-
queo ». — 62. famiglio : famigliare ; cosi les-
sero e intesero gli antichi commentatori Lana,
Ott, Buti, Benv., An. fior, eoo., di modo cho
par da rifiutare la variante d'ottimi tosti che
hanno famiglia (vorrebbe dire, per sineddo-
che, lo stesso che famiglio). — del baon re
Tebaldo : Tebaldo O re di Navaira dal 1268
al 1270, morto a Tnpanl nel ritomo dalla
spedizione oontro Tunisi, nella quale arava
seguito Luigi IX re di Francia : Benr. ^
dA lodo di giustizia e demenza, o il Boti at-
testa e ohe Iti buono, secondo la Cama ohe
di lui è ancora ». Si avverta ohe nell'epiteto
di ìmono ai ha forse 1* eco di una espreaalone
tipica nei trovatori por indicare, più che al-
tre qualità morali, la munificenza doi prin-
cipi (cfr. Cbnv. rv 11 e P. Toynbee, Rk&r-
ehe^ I 76). — 64. dì elio noe della qual colpa
pago ora il fio in questa bollente pece l'e-
spressione è, in parto ovangolioa (Laoa zvi
2) : cfr. Moore, I 862. — 66. a eal eoe. eooo
perché Ualacoda lu ha chiamato rnmmttù {Imf,
XXI 122). — 66. caana : cosi io in/*, yi 23 o
8oam in Inf, xxxm 86, per %aiima^ dento fe-
rino (Diez 411). — 67. oose ì*uui aéraefa:
come una sola delle saune bastasse a strac-
ciarlo, a souoiario. ~ 68. Tra Male gatta
ecc. Locuzione proverbiale, oon la quale
Danto vuol dire che Ciampolo era Tenuto a
mano di crudeli nemicL — soree: topo,
sordo ; ò Tooo usata dai fiorentini, secondo
attesta Benv., non già in grazia della rima .
cf^. Parodi, BM, m 166. ^ 69. Ma Barba*
riccia ecc. ma il capo doi diavoli abbracciò
Ciampolo, per difenderlo, e disse ai oomp»-
gni che non gli s'avventassero finché c^Iì lo
teneva tn. le braoda. — 60. M«atr*ie lo
laforoo ; il vb. infàrean vale propriamento
strìngere con le gambe e si dico di <M ca-
valca (cfir. Pwg. VX 99) ; ma qui Dante l'ha
tratto a significare lo stesso ohe tMmdm eoa
U hraoeia^ abbraodare. Malo alooni inten-
dono: Mentre io lo prendo con la ibrca;
perché Barbaricda, come risulta dal versi
segg. , vuole anzi proteggete qampolo oon-
INFERNO - CANTO XXII
1€6
63 M^r da lui, prima eh* altri il dis&ccia ».
Lo duca dunque : « Or di', degli altri rii
conosci tu alcun che sia latino
66 sotto la pece? » E quegli: € Io mi partii
poco è da un, che fu di là vicino;
cosi lÒBs'io ancor con luì coperto,
69 ch'io non temerei unghia né uncino ».
E Libicooco: « Troppo ayem sofferto »,
disse, e presegli il braccio col ronciglio,
72 si che, stracciando, ne portò un lacerto.
Draghignaszo anche i volle dar di piglio
giuso alle gambe; onde il decurio loro
75 si volse intomo intomo con mal piglio.
Quand'olii un poco rappaciati fòro,
a lui, che ancor mirava sua ferita,
78 domandò il duca mìo senza dimoro:
€ Chi fu colui, da cui mala partita
di' che fÌEu^esti per venire a proda? »
81 Ed ei rispose: « Fu firate Gk>mìta,
quel di Gallura, vasel d^ogni froda,
ch'ebbe i nimici di suo donno in mano,
tnhaUift dagli altri diaydi, non per oom-
fmam, um. pache pona parlare con Ylr-
pSù. — GB. ^limm eh*altrl eoe prima che
1$ altri demont ne facciano strazio. — 66.
latlaa: italiano (ofr. Inf. zxm SS, rm 88,
A) A«y. Ts 16, ZI 68, zm 92), abitatore
tf Itelia, «Brra ìaUna (Ih/', xxvn 21, xxvm
71^ -> 67. 4a «n, che eoo. da uno ohe abitò
« IHMe Tidno all' Italia: cfr. 1 vr. 79 e
■^ dai quali ai ha che Ciampolo allade al
•Bis frate Oootita. — 70. B libieoeco ecc.
Ika baroli, standd d'aspettare, gittano i loro
uòai oootn» Ciampolo, non ostante il di-
viato di Baitaxioeia : libicooco con un colpo
iMWtaU) a un braodo ne strappa via un
jeno, e Drasiiignazzo gli gitta il ronciglio
fm iflhnaiìo alla gambe. — 72. laeerte:
tea di esme ; poiché la parti carnose o mn-
K<lari coMpigse fra la spalla eli gomito e fra
flfaaitoe ilpolso,epereatQBiionedisignifi-
«toaMàe le bcaoioia, si dicono latinamente
Wci. - 78. 1: cfr. À/l n 17. — 74. U deen-
TAt'.Tà àteasHiooiòf Barbariocia capo dei died
^óaaA. — 76. «B f«M raypaeiatl f dro : Ai-
naa iB pò* acqiwtati, calmati. -> 78. dÌMO-
rsi iadagìo ; più frequente è il femm. di-
ma, Jh/. z 70 eoe. — 79. 4a evi mala eco.
ìA foaie dici d'esaerti allontanato con tao
^Mae far nseiia alla riva. — 81. frate 6o-
■Uix di qoMto frate Genita, di nazione
Mrta, fiecBo i eowimantatori antichi che fa
iteia di Ugolino de'Visoonti da Pisa (cfr.
Purg, vm 47), il quale tenne il giudicato di
Gallura dal 1276 al 1296, e raccontano ch^ei
fosae grandissimo barattiere : Dante accenna
a una di cotoste baratterie di frate Gomita,
cosi narrata dal Lana : € Avenne che in un
tempo lo detto giudice mandò e prese ed ebbe
in prigione suoi nemici : questo suo fattore
per moneta li lasdò ; di ch'elli scamponno > ;
gli altri antichi commentatori non Danno che
amplificare questo acconno. — 82. Oallarat
d la parto nord-est della Sardegna e costituì
uno dei quattro giudicati in cui i pisani di-
YÌBero quell'isola: nel 1206 se ne impos-
sessò Lamberto Visconti sposando l'unica fi-
glia dell' ultimo giudice o signore indigeno,
e la tenne insieme col fratello Ubaldo I sino
circa al 1219 ; quindi la signoria della Gal-
lura passò a Ubaldo n figliuolo di Lamberto
(1219-1288) e poi a Giovanni figlio di Ubal-
do I (1288-1276) e padre di Ugolino o Nino.
Intorno a questa successione danno erroneo
notizie gli storici sardi e pisani : cfr. i mioi
Ricordi danteschi di Sardegna^ Roma, 189ò.
— rasel d'ogni frodai vaso, ricettacolo
d'ogni astuzia e inganno : locuzione calcata
sull'osprossione biblica cit. in J^f, n 28. —
88. di sno donno : del suo signore Ugolino
ViscontL Notarono già il Buti e l'Ott. che
Ciampolo parla « a modo sardesoo > e l'An.
fior, che i Sardi « chiamano doimoy come noi
qui chiamiamo tnesten > : lo stesso titolo ri-
oorxe al T. 88 per un altro signore di Sar-
166
DIVINA COMMEDIA
84 e fé' si lor che cìasoun se ne loda:
denar si tolse, • lasdolli di piano,
si com'ei dice; e negli altri ujQioi anche
87 barattier iii non picdol, ma sovrano.
Usa con esso donno Michel Zanche
di Logodoro; ed a dir di Sardigna
90 le lingue lor non si sentono stanche.
0 me! vedete 1* altro che digrigna:
io direi anco; ma io temo ch'elio
93 non s'apparecchi a grattarmi la tigna ».
E il gran proposto, volto a Farfarello
che stralunava gli occhi per ferire,
96 disse: « Fatti in costà, malvagio uccello! »
€ Se voi volete vedere o udire,
ricominciò lo spaurato appresso,
99 tòschi o lombardi, io ne &rò venire;
ma stien le male branche un poco in cesso,
si ch'ei non teman delle lor vendette:
102 ed io, sedendo in questo loco stesso.
degna e in Iwf, min 28 in boooa d' UgoUno
della Gherardeeoa. — 86. 41 plano, si coM'el
dlee: la locazione di piano (lat. ds plano,
sèidodipianu) significa oUaoftètof pianamente
(Zing. 147), e in bocca di fra Gomita accenna
ch*ei libeiò 1 piìgionieri eenssa processo ; seb-
bene apparisca anche in altri dialetti italiani,
qnosta frase pad essere stata preferita da
Dante per dar rilievo alla figara del barat-
tiere sardo (cfr. Parodi, BuU. m 147). — 86.
e negli altri ■fflet eco. e negli altri atti del
sao officio. — 87. torrano: sommo ; cfr. Inf.
lY 88, xyu 72 eco. — 88. 4onno Michel
Zanche di Logodoro eoo. La parte nord-
orest della Sardegna coetitoiva il gimdicato
di Torres o Logudoro, governato da giadici
indigeni sino al 1236, poi da Adelasia di
Torres che sposò Ubaldo II Visconti e, morto
lai, passò a seconde nozze nel 1289 con Enzio
figlio di Federico IL Occapato nelle gaerre
d' Italia e poi prigioniero dei bolognesi nel
1249, Enzio lasciò sao vicario in Logadoro
Michele Zanche, il qoale, sciolte le nozze di
Adelasia col secondo marito, la sposò e tenne
langamente il dominio del giadlcato : ebbe di
lei ana figlia, che fa data in moglie a Branca
Boria gonovese, dal qoale Michele ta spento
a tradimento intomo al 1290 (cfr. Inf, xzxm
137). Sa qaesti fatti regna la più grande in-
certezza cosi negli storici sardi come nei com-
mentatori di Dante. Di Michele Zanche dice
il Lana che e seppe fare awilappamento por
grande baratteria > ; e pare da intendere che
dell' afi9cio di vicario, da lai esercitato nel-
l'AMOiiza di Enzio, si valesse per osoipaxe la
signoria. Eironeamente dicono i piti che la
donna sposata da Michele fosse la madre di
Enzio. — 89. ed a dir ecc. e non si stancano
mai di parlare tn loro delle ooee di Sarde-
gna. — 91. Paltro che digrigna ecc. H terzo
diavolo che minaccia Giampolo ò Farfarello;
al qaale Barbaricda, il gran proposto, impone
sabito di allontanarsi. — 96. per flarir«: in
segno di minaccia, minacciando di colpire il
peccatore col sao ronciglio. — 96. malvagio
■ceello : cosi lo chiama, perché questi dìa-
voU sono alati : cfr. i w. 116, 127, 144 o (Inf.
zxm 36. — 98. lo spanrato : Ciampolo, «pa-
ventato e atterrito dalle minacce diaboliche.
— 99. ttftehi o lombardi: si ricordi cho Vìi^
gilio aveva chiesto a Giampolo se oonosoesse
alcan barattiere che fosse latino (v. 66) e che
il navarrese sinora ha parlato di dae saidi,
che farono di là vicino (v. 67): ora o^ ai
offre di chiamar qaidoano di Toecana o di
Lombardia, non tanto per sodisfare pid pie-
namente il desiderio dei visitatori, quanto
per allongare ancora quella spedo di tregua
concessa da Barbaricda e cogliere H momeii^
opportano di ritalTarsi nella pece ■enz'oaaere
arroncig^to. — 100. le malo brasche t i
diavoli ; cfr. h%f. uà 97. Altri leggendo la Ma-
Ubranehé credono oho sia qoi il nome ooUet-
tivo dei demoni di questa bolgia. — 1b oeseo :
in disparte ; senso ohe si ricava dal conflato
col V. 116, ove ò accennato all' allontanarai
dei diavoli, e da altri esempi antichi (cfr-. p^
rodi, Bull, m 134). — lOL if ek'el nom ecc
si che i barattieri, da me chiamati, non te-
mano d' uscire dalla poco vedendo i diavoli
INFERNO - CANTO XXH
167
per un ch'io son, ne fiurò venir sette,
qnand*io sufolerò, com'ò nostr'oso
105 di fiure allor che fdorì alcun si mette ».
Gagnaszo a cotal motto levò II muso,
crollando il capo, e disse : « Odi malizia,
108 ch'egli ha pensata per gittarsi giuso ».
Ond'ei, ch'ayea lacciuoli a gran diTÌzia,
rispose : « Malizioso son io troppo,
111 quand'io procuro a' miei maggior tristizia ».
Aliohin non si tenne, e, di rintoppo
agli altri, disse a lui : € Se tu ti cali,
114 io non ti verrò dietro di galoppo,
ma batterò sopra la pece V ali :
lascisi il collo, e sia la ripa scudo
117 a veder se tu sol più di noi vali ».
O tu che leggi, udirai nuovo ludo!
Ciascun dall'altra costa gli occhi volse;
poiti id affBRBzli eon gli vndiil. — 104.
t9m*k Mttr'BM: paiiebbe dalle parole di
Cbopob oàe quando nn barattiere uscito
ffOD della pece Tederà che non e* era alcun
itmcnòo a guardia, per usanza o patto òhe
iam tn quei dannati, chiamMBe con un fi-
Kkb i «mpagni perché anch' eesi ueciseero
d'ipcrto per alleriare il loro tormento ; ma
è lottile malizia del navarreee per ingannare
i isToli e cogliere coei il deetro di rituffarsi.
" W. Odi Ballala ecc. Lana : « Qui poeti-
«■fnte Tuoi mostrare l'autore ohe l'anime
■^mte dal corpo vi ritomono in quello es-
ta» e stato di àbito spirituale, in ohe erano
lai fonto della separazione di eese dal corpo ;
^ ^, le Taiiima morlo in baratteria, sempre
^ làuae quello abito ; e però che '1 detto
Gaapoto ta barattiero e cosi morìe, ancora
▼Mie mostcaze oh* usara tal disposizione, e
tie§ eh'elli pensò sotto spezia di Virgilio e
£ Dsste d' frngaTiiiT li detti demonii e dispar-
tim da loro B. — 109. al, eh*aTea lacelaoli
«Be. Qampolo, ch'era ricco di spedienti e di
■»1ÌB9. ~ UO. MaUxiose soa lo eco. Bella
■•Ozia cbe è la mia, di procurare ai miei
ftaipigjBi una pena maggiore di quella che
^nso sotto la pece. Questo pare il senso pi6
atonie deQe parole finamente ironiche dette
^ Cisaipolo al diaTolo accusatore *, ma l'Ott.
loto che €maUx4o90 Tiene alcuna Tolta a
^ «slirloeo e saputo, alcuna Tolta Tiene a
^ bòtole di male, però con questo lao-
óaoio il nararrese inganna il diaTolo > : in-
■oKsa a Oagnazzo, che lo ha tacciato d'esser
Bsfinoao e fraudolento, Ciampolo risponde-
n4èe d'esser ben malTagio pid del bisogno,
^ lai dbe si dispone a procurare ai oompa-
|BÌ SBoi una msggior tristizia, o, come spiega
il Buti, a procurare lo strazio degli undni a
barattieri di maggior grado ch'ai non foaso
(ofir. in questo caso il miti maggior con il mM
miglior del Puirg. zxti 98); ma le chiose del-
l'Ott e del Buti sono troppo sottiU. - 111.
tristizia: qui significa non il dolore morale
(cfr. Inf, TI 8), ma il tormento, io strazio
corporale. — 112. non si tenae : non si con-
tenne dal rispondere. — di rintoppo mglì
altri : al contrario, in opposizione agli altri
diaToli che non ToleTan dar retta alle pa-
role di Ciampolo : sulla locuzione di rkUoppo
cfr. Inf. zzzni 96. — 118. 8e ta U eaU ecc.
Lomb. : « La sentenza ò questa : lo non sola-
mento ho piedi come tu hai, ma ho anche
r ali ; però se tu tenterai fuggirtene non ti
correrò giÀ appresso galoppando co' piedi, ma
battendo l' ali, Tolando per aria sopra lo sta*
gno ; onde sicuramente raggiungerotti prima
che nella pece ti attuffi ». — 116. laseisl il
eolle ecc. noi lasderemo la sommità dell'ar-
gine e andremo a nasconderci gió per il pen-
dio; oosi si Todrà se tu sei più Toloce di noi.
Tomm. : « Imaginate il lago di pece in mezzo
alla bolgia si che rimangano due margini di
qua e di lA al passaggio dei diaToli ; imagi-
nato che ai due lati si alzino due alti orli di
pietra; le sommità di ciascun rilioTO chia-
mato coUOf il pendio ripa; e Tedreto come la
ripa nell' opposto pendio ftMxda scudo e na-
sconda i diaToli ai dannati, e i dannati a
quelli ». È inutile discutere se si abbia a leg^
gore eolio o oolle; poiché in Inf, xxin 48 e
53 ambedue le Tod sono adoprato dal poeto
a designar la stessa cosa, doò il culmine del-
l'argine: cfr. Parodi, BuU. UL 118. ~ 118.
■BOTO Inde : uno strano contrasto, una gara
singolare, fra Ciampolo e l diaToli. — H^^.
168
DIVINA COMMEDIA
120 quei prima, eh' a dò fare era più orado.
Lo naTarrese ben suo tempo colse,
fermò le piante a terra, e in nn ponto
123 saltò e dal proposto lor ai sciolse.
Di die ciascun di colpa fa compunto,
ma quei più, die cagion fd del difetto;
126 però si mosse, e gridò : « Tu se' giunto ! »
Ma poco i valse, ohe l'ali al sospetto
non poterò avanzar: quegli andò sotto,
129 e quei drizzò, volando suso, il petto;
non altrimenti l'anitra di botto,
quando il &lcon s'appressa, giù s'attuffa,
132 ed ei ritorna su crucciato e rotto.
Irato Calcabrina della buffa,
€lMe«B eoo. Tutti 1 discoli ai voltarono in-
dietro, Yorao Toppoato pendfo, e primo d'ogni
altro fti quello obe ai moatraTa pili renitente
a ciò fare, — 120. qiel prlM» eoo. Ohi aia
tra i diavoli il primo a muoreral non appara
chiaramente: 1 commentatori, dal Buti al
Lomb., dicono Gagnazzo perché aveva aoo-
perta la malizia di Ciampolo; ae non che,
oaaerva il Biag., e accennandoti jMl gió al
▼. 188, che Calcabrina, adiratosi della burla,
ai apinae addoaso ad Alichino per fome aopra
di lui la vendetta, ragion vuole che dello
steaso Calcabrina a' intenda qui parlaro,
oh* eaeo fu che ai moatrd piò duro degli al-
tri al oonsentiro alla proposta del barattierG ».
— 121. Lo navarreie ecc. Ciampolo colso
n momento opportuno, fermò i piedi a terra
per iapiccaro il salto, e nello atesso momento
salto e ai Uberò dal propoeto lor^ doò da Bar-
barioda, detto al v. 94 il gran proposto dei
diavoli, il quale toneva Ciampolo con le brac-
cia, per difenderlo dagli altri (cfìc w. 69,
76, 96). ~ 128. dal propoato lort ò gran
queetione fira gli interpreti se ai tratti di Bar-
baricda, come intesero Ott e Benv. e con
oasi parecchi moderni, e come consiglia il
riaoontro fira questo e il v. 94; o ae invece
Dante abbia voluto diro che Ciampolo ai li-
berò dal propotiiOf dall' intenzione dei diavoli,
ch'era di atraodarlo ooi loro roncigli : ma
queata interprotadone del Lana e del Buti,
difesa da molti moderni e massime dal Lomb.
e dallo Scart., non ha sufficiente fondamento
di ragione ; poiché l'argomento pi6 forte re-
cato innanzi per sostenerla, cioò ohe ove si
trattasse di Barbaricda Dante avrebbe do-
vuto accennare prima aUo tdogliern e poi al
aaZtorv, cade davanti al fatto che il poeta de-
scrive queste due azioni come contemporanee,
come avvenute in un puntOj doò nello stesso
momento di tempo. Barbaricda non ò solv
menta 11 capo della deo(na diabolica, ma an-
die mandato a aoorta e tutela di Dante e
Virgilio: egli difende quindi, ain ohe può,
contro le intemperanze dei sud dipendenti
il peooatore che d è trattenuto fuor della
pece per rispondere alle domanda dei due
poeti; però egli non aveva alouna ragiono
di allontanard dalla cima dell'argine, come
avevano aocennato di fare, ma non fktto tot-
ocra, i aud diavoli. — 124. IH «Im ooo. Per
la fuga di Ciampolo ciaaouno dd diavoli d
sente oolpevdo d'avergliene dato n momento
opportuno; ma, pili di tutti, Alidiino che
aveva fatta la proposta e ood veniva ad es-
sere il maggior colpevole. — di eelpa fia
eonpmto : cfir. ^i/l x 109. — 126. difetto :
mancanza; in quanto per la ftiga di Ciam-
polo era venuto a mancare ai diavoli il pec-
catore da atraziare. — 126. Tu se' glaate ! :
ti ho còlto t Eadamadone naturaliaaima in
chi d metto ad inseguire un altro, con la
fiduoia di raggiungerlo. — 127. Ma pece ecc.
Ifa poco valse ad Alichino il gridare, poiché
la volodt& del suo volo non avanzò quella
che la paura dio a Ciampolo. — ieapeito:
paura ; come in Mf, ni 14. — 128. f ae^Il
andò eoo. Ciampolo a' attoffò nella pece e
Alichino d rivolse volando vwao 1' argine.
— 180. non attrlaieatl eoo. come l'anitra d
nasconde attoffandod a un tratto ndl'aoqua
del lago, ae vede awidnaid il falcone, il
quale riprende a volare per 1' aria adornato
e stanco, ood Ciampolo d naaooae e Alichi-
no tornò aull'argine. — 182. erveeiate e
rotto: del falcone dioe altrove Dante (Inf,
xvn 127 e segg.) che quando discende senza
preda ò disdegno» e feUo^ tna» riapondente
al eruodaio di questo luogo, e che per avere
inutilmente volato appare lasso o atanco, ohe
qui dice più vigoroaamente rottOf perché prima
di landard a ghermir l'anitra ha dovuto atare
assai su l'aU. — 188. Irate eoo. Oaloatona,
adegnato dell' inganno, vdò dietro ad Alichi^
E ■««« I I
INFERNO - CANTO XXH
169
volando dietro gli tenne^ inyaghito
135 die quei campasse per aver la zuffa.
E come il barattier fb disparito,
cosi Tolse gli artigli al sno compagno,
188 e fa con lai sopra il fosso ghermito.
Ma l'altro fd bene sparvier gri&gno
ad artigliar ben lui, e ambedue
141 cadder nel messo del bogliente stagno.
Lo caldo sgbermitor subito fue:
ma però di levarsi era niente,
144 si aveano inviscate Pali sue.
Barbaricda, con gli altri suoi dolente,
quattro ne fé' volar dall'altra costa
147 con tutti i raffi, ed assai prestamente
di qua, di là discesero alla poeta:
porser gli uncini verso gì' impaniati,
160 ch'eran gi& cotti dentro dalla crosta;
e noi lasciammo lor cosi impacciati.
no» eoiqiaoaidoii quasi ohe CSampolo potMM'
■IfBBl p«r srer ragione d'annfDKBi oòà oom-
ligBo. — kaffla: ^ antichi oommentstoii,
ihg iHgQMxào al Talore di questa Tooe in Btf.
VB 61 sono discordi, qni I* spiegano tutti nel
iigyicato d'iR^ofmo; cfr. Parodi, BulL Ul
US. — 188. • Hi eoo. e lo ghermi serra il
landoOa pece. -> 189. Ma l'altre eoo. Ma
AfieUno, con la prontexza doUo spArviere
gnA«Be, aflarrò oon gli artl^ Oaloabiina e
eiaiiflBceati caddero ambedae nel mezzo della
faes bollente. — sparrler yrlflagnot gli an-
tichi Aiamaraiio grifagni qnelli sparrieri, che
«tao presi adulti e perdo, nna volta addo-
■Mtiesti, xinseiTano pili animosi e pronti al-
PioosQan. — 142, Le salde ecc. Vnol dire
(he il caldo della pece separò saMto i dne
eoatiadsoti; poiché mfkarmidonf dal yb. agher-
«ira che ha senso oontraiio a ^Aarmtra, air
IBftoa oofad che sepoa dne contendenti, doò
ebs B lieno ghermiti o aiferrati insieme. —
U3. ma però eoo. ma Àliohino e Calcabrina
non potevano levarsi sa dalla pece, perché
avevano impeciate le loro ali. — li4. sae t
ofr. Jbìf, X 13. — 146. Barbarleeia eoo. Bai^
barioda, ohe insieme al compagni era dolente
del caso intervenuto ai dne contendenti, man-
dò dall'altra parte della bolgia ooi loro raffi
quattro diavoli; e cosi questi quattro di là e
gli altri quattro di qua, ooUocandosi sull'estre-
mità del fosso, porsero gli uncini verso Ali-
chino e Calcabrina, per alutarli a risalire. —
ì^ alla pesta: al luogo assegnato a da-
souno (cfr. In/', zm 113). — 149. Impaniati:
inviluppati nella pece (cfr. Inf, xxi 124) ; il
Torraoa dta il verso di P. Tedaldi, son. vi :
e Sono impaniato come tordo in pegola ». —
150. eh* eran eco. eh' erano già cotti dentro
la superficie del Iago bollente. — erosta: la
stessa voce usa Dante, It%f, xxxm 109 e xxziv
66 per indicare la superficie ghiacciata di Co-
dto. — 161. e sol ecc. Dante e Virgilio colgo-
no il momento che i diavoli sono occupati a li-
berare i compagni, per rimettersi in cammino.
CANTO XXTII
I dne poeti procedono sairargine, finché vedendo sopragiangere i dia-
voli scendono nel fondo della sesta bolgia, ove sono puniti gV ipocriti, che
f&BBo sotto pesanti cappe di piombo : tra essi trovano i bolognesi Catalano
M (^talani e Loderingo degli Andalò e poi riprendono il cammino nel fondo
4eUa bolgia [9 aprile, verso le ore nove antimeridiane].
170
DIVINA COMMEDIA
Taciti, soli e senza compagnia,
n'andayam l'un dinanzi e l'altro dopo,
8 come i frati minor vanno per via.
Tòlto era in su la favola d'Isopo
lo mio pensier per la presente rissa,
' 6 dov'ei parlò della rana e del topo;
die più non si pareggia ' mo ' ed ' issa '
ohe l' nn con l' altro fa, se ben e' accoppia
9 principio e fine con la mente fissa:
e come l'nn pensier dall'altro scoppia,
cosi nacque di quello un altro poi,
12 che la prima paura mi fé' doppia.
Io pensava cosi: € Questi per noi
sono scherniti, e con danno e con beffa
15 si fatta ch'assai credo che lor noL
Se l' ira sopra il mal voler s' aggueffa,
XXm 1. TMitl eoo. LaKdaado i dia-
voli ocoapati a •occorrere 1 dae compagni
caduti neUa pece, Dante e '^Higìlio ripren-
dono il fiammino nill' ai^gine, procedendo in
silenzio l'nno dietro l'altro, e Qneeto canto d
pieno di umorismo; ... tatto ... oostitoisce
nna scena riboccante di umorismo che spicca
maggiormente, se toì la confrontate con la
scena comica de* due canti precedenti. Colà
la risata schietta, sonora e alquanto sgua-
iata ; qui il sorriso velato, sarcastico e fine.
A leggere il canto degl' ipocriti dopo quelli
dei barattieri, par di passare dal chiasso di
una via affollata al silenzio di un chiostro
solitario»; L Della Giovanna, LmL p. 30.
— 8. come 1 frati ecc. Lana : < Usanza ò
quando li frati minori vanno da una cittade
ad un' altra o da uno luogo ad un altro,
s* olii fossero ben cento, vanno in fila l' uno
dietro all'altro ; può esser forse perché vanno
contemplando oon Dio ». B cammino silen-
zioso era conforme al consiglio dato ai suoi
fiati da san Francesco : « Ite cautìssimi, bini
et bini, per diversas partes orbis ». — 4.
Tòlto era ecc. n mio pensiero, per la rissa
fra i due diavoli, era rivolto alla favola eso-
piana della rana e del topo. — la favola
d'Iiopo: le favole del greco Esopo, rifatte
latinamento da Fedro, da Aviano e da al-
tri, ebbero una grande fortuna nel medioevo,
non pur comò piacevole lettura, ma anche
come libro scolastioo ; e si dissero d' Esopo
anche quelle eh' erano solamente di maniera
esopiana, quale appunto questa della rana
e del topo. — 6. dor' el parlò ecc. La fa-
vola accennata da Dante ò la seguente (Fe-
dro, FakvL aeaopiarum, appendice far. 6):
• Mu8 tt rana: Mus, quo transire posset
flumen fitdlius, Auxilìum ranae petit. Haeo
miniB alligai Lino priorem cns ad poate-
rìus pedem. Amnem natantea vìx modiiim
devenerant, Cnm rana subito ftmdum fln-
minis petens Se mexgit, muri ut vitam eri-
peret perfide. Qui dum, ne mergeretur, tandit
validìus; Praedam conspexit milvns propter
volans, Muremque fluctuantem rapuit ong^.
bus, Simulque ranam coUigatam sustolit. Sic
saepe intereunt aliis meditantes necem > ; ma
forse il poeta ebbe sott' occhio le redazioni,
sostanzialmente conformi, che si leggono nel-
le raccolte di favole esopiane, oonosoiute sotto
i nomi di Bomulus e dell' Anonimo di Neve-
lete (cfr. E. Mckeniie, Damttfa Refsrmtees io
Aeiopf Boston, 1900, pp. 6-18). — 7. «ké pì4
ecc. poiché il caso di Alichino e Calcabrina
ò identico a quello della rana e del topo, co-
me l'avverbio mo (cfr. Inf. zxvn 20) è iden-
tico all'aw. issa (cfr. Bif. xxvn 21). — 8. ae
ben ecc. se con la mente attenta si paragona
il principio e la fine delle due avrentore :
infatti il diavolo Calcabrina che voleva dan-
neggiare il compagno Alichino andò a finire
anch' egli nella pece, come la rana che vo-
leva uccidere il topo suo compagne aiidò a
finire con luì preda dello sparviero. — 10. •
come ecc. come un pensiero sboccia o nasce
naturalmente da un altro, cosi dal pensiero
della somiglianza tra l' avventura diabolica e
la favola esopiana nacque in me un altro pen-
siero, che raddoppiò la paura avuta aflor^
quando Malacoda d dio la compagnia dei dia-
voli (cfr. hìf. xzx 127-182). — 18. per aal :
per cagione nostra; perché all'inganno di
Ciampolo era stato occasione il desiderio dei
poeti ch'egli parlasse (cfr. Inf, xzn 97 o segg.).
— 16. nel : dia fastidio, dispiaccia. — 16. 8e
l'Ira ecc. Se al malvolere proprio dei dia-
voli s' aggiunge lo sdegno déll'essar stati in-
r^»^^"
INFEBNO - CANTO XXIH
171
ei ne yerranno dietro più crudeli
18 che il cane a quella lepre eh' egli acceffa >.
Già mi sentia tutti arricciar li peli
della paura, e stava indietro intento,
21 quand'io dissi: « Maestro, se non celi
te e me tostamente, i'ho payento
di Malehranche; noi gli avem già dietro:
24 io gP imagino si che già li sento >.
E quei : € S' io fossi di piombato vetro,
Pimagine di fuor tua non trarrei
27 più tosto a me, che quella d'entro im^tro.
Pur mo venlano i tuoi pensier tra' miei
con simile atto e con simile fetccia,
80 si che d'entrambi un sol consiglio fei.
S'egli è che si la destra costa giaccia,
che noi possiam nell'altra bolgia scendere,
83 noi foggirem l' imaginata caccia ».
Già non compiè di tal consiglio rendere,
ch'io li vidi venir con l'ali tese,
86 non molto lungi, per volerne prendere.
palati por cagion noetn, evi o'imegoimmo
«& * §*Bggme9^t il Tb. aggmffm^ come
tette dalle locazioni rimili dell'In/', xra 66
e iWy. ▼ 112, tignifloa aggkmgtn, e doriva
te» dal ted. wébm^ teaieie (Diei 861): in-
Irtti il Bnti «ttoata cho € aggmlfan ò filo a
fio agginngece >. — 18. «he 11 eaae eoe ohe
■OH Xaooia il cane alla lepre abboccata : ao-
mgen è propriamente afferrar col ee/fo^ cioò
eoa la bocca e coi denti. — 20. ttoTa Indie-
tro lalMto X etaya attento, ascoltando e goar-
iando indietro, ae aknm legno apparisse dei
lisrolL — 22. tostameite: sabito; forma
iMte da Dente, V. N. ti 43: < ta fosti sao
tostamente dalla poerizia» o da Gino, Rms
61 : < Ta ne morrai, s'io posso, tostamente ».
-> 23. il Maletoanclie : de' diaroli, detti ge-
nsrioamonte cosi : ofr. Jb^, xxi 87. — 2A. lo
fTlaaglaa ecc. io li ho cosi scolpiti nella
ftatasia che già me li sento addosso. « Qae-
rtoT«nodi^ngeÌlpoete>, osserva il Tomm.;
e TBcamente non ri saprebbe maglio rappre-
MBtaie la gagliaidla delle impresrioni fanto-
itiebB, per le qoali a Dante pareva presente
é6 d&*«ca panunenta imaginato : cfr. on ri-
siile eaeo mai IVy. xz 82. ~ 26. K qasi eoo.
Yixgille dice a Dante : Se lo fosri ano speo-
cfato, non riilettarei la toa esteriore sembianza
oori pnsto oom*io intendo i tool riposti pen-
^■i; peid svendo conosdato 1 tool penrieri
easr <wnfoT"< ai miei, ri sono risolati tatti
W «a sola delibsrarioMi fnella di sfoggixe
al ternato insegaimento, discendendo, appena
potremo, nella sesta bolgia. — di ^embate
Tetre i lo specchio, dice Dante nel Cbne. m 9,
ce vetro terminato con piombo. — 26.
rimagine di fnori l'imagine esteriore, cor-
porale. — 27. qaella d' emtre i l'imaginario-
ne interioro, il penrioro oono^ito da Dante.
— Impetre : il vb. imfwfmrs, che Dante asa
più spesso nel soo senso proprio di ottenere,
consegaire o in quello di chiedere (ofir. IKurg.
ZEZ 96, xzx 182, Far, zzzn 147% qoi d tratto
al aenso di ricever dentro a sé, qaindi cono-
scere. — 29. eoa siaUle ecc. perchó tanto 1
taci quanto 1 miei procedevano dallo stesso
sentimento di paara (tUmle atto) e però erano
conformi (simile facoia). — 80. d' entrambi
eoo. degli ani e degli altri feci ana sola de-
cirione. — 81. 8'egU è ecc. Se ri trova on
luogo dove la destra ripa dell'argine sia in-
clinate tanto che noi possiamo per essa di-
scendere nella seste bolgte eoo. ~ giaccia :
anche in Inf, xix 86 e Pwg, m 76 ò usato
il vb. gioMre a indicare V indinairi del ter-
reno in modo da potervi discendere ago-
volmente. — 83. l*ÌMagiaata eaecia:.rin-
seguimento dei diavoli imaginato e temuto
dai duo poeti. — 84. Olà non eompiè ecc.
Virgilio aveva appena manifestete la soa deci-
rione al compagno, quando apparvero 1 diavo-
li che volavano minaooiori : allora egli afferrò
Dante e con amosevole sollecitudine s' abban-
dona frettolosamente giù per la ripa dell'ar-
172 DIVINA COMMEDU
Lo daoa mio di sùbito mi prese,
come la madre ch'ai romore è desta
89 e Tede presso a sé le fiamme accese,
che prende il figlio e fugge e non s* arresta,
avendo più di lui che di sé cara,
42 tonto che solo una camicia vesta:
e giù dal collo della ripa dura
supin si diede alla pendente roccia,
45 che Tun dei lati all'aliara bolgia tura.
Non corse mai si tosto acqua per doccia
a volger rota di molin terragno,
48 quand' ella più. verso le pale a^^rocoia,
come il maestro mio per quel vivagno,
portandosene me sopra il suo petto,
51 come suo figlio, non come compagno.
Appena fùr li pie suoi giunti al letto
del fondo giù, ch*el furono in sul colle
54 sopr'esso noi: ma non gli era sospetto;
che l' alta prowidensa, che lor volle
porre ministri della fossa quinta,
57 poder di partirs'indi a tutti tolle*
Là giù trovammo una gente dipinta,
gine, per eritare d* eeeer da quelli sozpreei. En, zi 666 : € dat seee flnrlo ». •— 46. M<b
— 37. TiO diea eco. Biag. : € Maraviglioei eone eoo. Venturi 606: € BArrira Tatto e
sono qaesti versi non tolo pei belli pensieri ne spiega la rapidità oon una oomparacioae,
che linchiadono, ma per aver sapnto il poeta in oni è da notare la laHomiglians» della
colle parole, non meno che col gfiro deUe me- declività fra lo soendor di Viigilio per la ripa
desime, os^rimere divinamente il princlpalo pendente, e lo scender dell'acqua per va oa-
sao intendimento, ch*ò di condor l'azione naie». — 4aedat il canale artifloiale per
dal principio al fine in modo oà* nna parte coi si dedoce Tacqna da un flnme a un opi-
l'altra incalzi, la prema e le dia moto e vita, fido. —47. MoUa tonragaat moliiiodi terra,
accelerando sempre verso U fine, si che va- al qoale l' acqna motrice si trae per meoo
dano le parole con la rattezza stessa del pon- di canali artificiali. — 48. qaaad^ella eoo.
siero >. — 88. eone la madre ecc. come la pid velocemente scorre l' acqua quanto pid
madre, svegliandosi al romore e vedendo di- s' avvicina alle pale, ohe ricevendo l' aoqoa
vampare Intorno a s4 le fiamme, prende tra cadente imprimono il movimento aDa nota:
le braccia il figlio e fogge, dominata dal do- sol vb. apprveota cfr. Inf, xn 46. — 49. vi*
sidorio di salvarlo, senza por formarsi a in- vagno i ofr. Inf, xrv 123. — 62. al Ietta del
dossare la camicia, poiché l'amore di madre fendo: alla soperftoie del ftmdo, al piano
vince in lei il podere di donna. — 42. taato della sesta bolgia. — 68. et fiireaa eoo. I
eco. Male alcnni intendono che la madre s'ar- diavoli gtnnsero soli' argine, proprio sopra a
resti a indossare la camicia; perché cosi la noL — 64. Ma aoa gU era eoo. aa non v'era
simiUtodine si chioderebbe con ona aggionta ragione di temere. — gli t paitloella awer*
inutile e contzaditoiia, mentre nella comnne blale, col senso di vi (cfr. Parodi, BulL m
interpretazione abbiamo ona efBcace progros- 183): è affine a tf, derivato dal lat «fio (cfr.
sione di pensiero dal principio alla fine; cfr. Inf, xzzrv 9, Airy. vm 69, zm 7, Par, zxv
Parodi, BuU, IX 99. - 48. e gld dal eoi- 124).— 67. poder eco. toglie la fkoeltà,vtoto ai
lo eco. Virgilio dal colmine dell'argino si ab- diavoli di allontanarsi dalla quinto bolgia. —
bandonò con le spallo a tnra gid per la 66. Là gld trOTaauio eoe. Danto e VirgUSo
ripa scoscesa, che formava il lato esteriore trovano nella sesto bolgia gllpooriti, i quali
della sesto bolgia. — 44. si dieiet esprime sono ricoperti da gravissime eappo di piònbo
offlcaoemento l'idea dell'abbaadonarsi, lasdan- estscnamento dorato e camminano lentsaMnto,
dosi andar gid, come la locuziono virgiliana, piangendo e con aspetto aftitioito • dolente*
INFEHNO - CANTO XXni
173
60
63
60
69
che giva intorno assai con lenti passi,
pangendo e nel sembiante stanca e vinta.
EUì ayean cappe con cappucci bassi
dinanzi agli occhi, £fttte della taglia
che per li monaci in CJologna fEissi.
Di fuor dorate son si ch'egli abbaglia;
ma dentro tutte piombo, e gravi tanto
che Federico le mettea di paglia.
O in, etemo flatiooso manto I
Noi ci volgemmo ancor pure a man manca
con loro insieme, intenti al tristo pianto;
— «SA gttto ilptato: raol dize che gl'ipo-
exiti con la purenza esteriore ricoprono la
matragHà dell'animo; oftr. U rangtio di Mat-
teo -«""^ 27 : € Guai a Yak, Scribi e Farisei
ipooftil perdocdhó toì siete simili a* sepolcri
sfiiantttf, 1 quali di faoA appaiono belli, ma
dsntio aon p&soi d' cesami di morti e d'ogni
bmtUua. Ooei ancora Toi apparite giusti di
fmad a^ nomini ; ma dentro siete pieni d'ipo-
crisia e d' iniquità >. — 68. aMal eon lenU
pBfgl: con passi assai lenti, lentissimamente.
» 60. stane» e Tinta i gl'ipocriti apparivano
stanchi per il peeo deDe ceppe, e abbattati
per l' angoeda della pena. -^ 61. con eap-
^■cet teasl eoe coi cappocd abbassati sogli
oodiL — 62. Aeim taglia eco. alla foggia
aita dai monaci di Cdogna. Qol è grande
digerita fra gl'interpreti dioa al monastero,
al qoale Dante ha potato aUndere. Oli antichi
■ono d'accordo nel riooncenere In Oologna il
nomo dflOe dttà di Colonia In Germania; e.
il Lana soriTe : € È da sapere ohe olii d ano
ocdine di monaci, li qoall hanno lo capo in
CelogBa, che è In Alemagna, ed è molto rio-
^fa«im^ e nobilissiBa badia quella; il quale
abbate, già pU tsupo, sentendosi esser si-
gnor di tanto ordine ed arere, oreecó per ar-
toganzia In tanta audacia ohe elli andò rìc-
f^t^^mamMBÈ0i ft corto di messoT lo pqpa e a
toi i|^rTff^«<iA ébs U piacesse di darli parola
^ fiffiifc«M»ft fare scrirere in canone che l'ab-
bate del detto luogo potesse arere la cappa
di r^ii«tto e '1 cappuccio, [e] ancora che le
■aeiibsette delle sue cinture fossero d'argento
aovndorste. Udito lo papa cosi inonesta do-
Banda, procedette Terso lui che eUi e li suoi
frati Bco potessotto arere cappe se non nem
e di panno non follato, e aTessero quelle
oi^pe dSnaBsi e di drieto tanto lunghe eh' elli
iiiuBaMimn coda per derisione di loro; ancora,
che ti eappuod delle predette cappe fosseno
si gnadi di'elli tenessero una nùsura di for-
oMBto, dM è tanto quanto ò uno staro; e per
qnén'anogaazia del detto abbate, che voiera
fS^ aB0 cintare guamimento d'argento e
d' ««, «be non potesM avere nò elli né li
suoi frati, ovvero monaci, altro guamimento
ad essa se non di legno : e da quel tempo in
qua hanno quelli monaci e '1 suo abbate tenuto
e usato tale àbito » : il Buti e l'An. fior, ri-
petono questa storiella; el'Ott, Benv., Land,
ecc. e quasi tutti i posteriori interpreti dicono
che Dante accenni alle cappe usate dal mo-
naci di Colonia. Ha il Witte adottò nel suo
testo la lesione : Oh» in Olugniper U monaci
foni, secondo la quale si alluderebbe a un'u-
sanza dei monaci della famosa abbazia bene-
dettina di Olngny, nella Borgogna ; e lo Zam-
boni, OH ExxeUni, Dante egUgehiavi, 8* ed.
Firenze, 1897, pp. 178 e segg. sostenne che
qui si accennasse al borgo di Cologna, nel
territorio veronese, ove ai tempi di Dante fio-
riva l'industria dei tessuti di lana, per fame
cappe fratesche: cfir. Cardo, Storia doeumm-
iota di Oologna twisto, Venezia, 1896, p. 812.
» 64. Di ftaor ecc. H Della Giovanna, Leet,
p. 19, ha notato che nel lessico di Ugucdone
da Pisa Dante potò leggere l' etimologia di
ypoorUa e ab ypM*, quod est super, et erisÌM
quod est aumm, quasi superanratus, quia
in superficie et extrìnsecus videtur bonus,
oum interine sit malus »; etimologia che spie-
ga l'origine dell' indoratura delle cai^ sotto
cui gemono gl'ipooritL — ch'egli abba-
glia: che la loro doratura abbaglia la vi-
sta. — 66. che Federico eco. che le cappe
di piombo usate da Federico II per tormenta
dei rei di lesa maestà sarebbero, al ^X9r
gene, sembrate leggerissime. Buti: cE da
siqpere che lo imperadore Federigo secondo,
coloro ch'egli condannava a morte per lo
peccato dell' offesa maestà, li fooea spogliare
ignudi e vestire d'una veste di piombo grossa
un dito, e faoeali mettere in una caldaia so-
pra il fuoco, e Cacca fare grande ftioco tanto
die si struggea lo piombo addosso al misero
condannato, e cosi miseramente e dolorosar-
mente li faoea morire » : Il Catto è confe>
mate dagli antichi interpetri Lana, Ott,
Benv., An. fior. eoo. : si che s'ha a tenere per
vero , 0 almeno per universalmente creduto
ai tompi di Dante. — 69. Intenti al tristo
174 DIVINA COMMEDIA
ma per lo peso quella gente stanca
venia si pian die noi erayam nuovi
72 di compagnia ad ogni muover d'anca.
Per di' io al duca mio : « Fa die tu trovi
alcun eh' al £Eitto o al nome si conosca,
75 e gli occhi, si andando, intomo muovi ».
Ed un che intese la parola tósca,
di retro a noi gridò : € Tenete i piedi,
78 voi che correte si per l'aura fosca:
forse eh' avrai da me quel che tu chiedi ».
Onde il duca si volse, e disse : € Aspetta,
81 e poi secondo il suo passo procedi >.
Ristetti, e vidi due mostrar gran fretta
dell'animo, col viso, d'esser meco;
84 ma tardavagli il carco e la via stretta.
Quando fDr giunti, assai con l'occhio bioco
mi rimiraron senza far parola;
87 poi si volsero in sé, e dicean seco:
€ Costui par vivo all' atto della gola ;
e s'ei son morti, per qual privilegio
90 vanno scoperti della grave stola?»
Poi disser me: « 0 tòsco, ch'ai collegio
degl'ipocriti tristi se' venuto,
93 dir chi tu sei non avere in dispregio ».
Ed io a loro: € Io fui nato e cresciuto
sopra il bel fiume d'Amo alla gran villa,
plftBto: considorando gli ipocriti, che pian- gnaiiju ohe fiumo i doe spiriti con occhio
gevano tristamente. — 71. noi eraramo eco. bieco il poeta, acoorgendod eli' egli è yìto;
eravamo accanto a nnovi poocatorì, ad o^rni quel silenzio d'ogni atto, quel rivolgeni pd
nostro passo. — 74. al fatto o al nome : 1' on Terso 1* altro, d' ammirazione pieni •
per le sue opere o per il sno nome. — 75. sf dind : eoatvi par vko eco. ». — 88. all'atto
andando : mentre noi camminiamo ; cfr. una della yolas cCr. Pitrg, n 67 : < L'anime che
simile locuzione in Inf, xxvir 129. — 78. toI far di me accorte. Per lo spirar, oh' io era
ehe correte s ecc. Biag.: e Tanto quella ancora tìto». — 91. eolleglo! compagnia,
gente andava piano, che pareva loro che Vir- riunione ; Dante lo dice più spesso della corn-
eo e Dante corressero ; circostanza che pagnfa dei beati : ofir. I^trg, rm 129. ~ 92.
forse ad altri sarebbe sftiggita, per la quale ipocriti tristi t è V evangeUoo (Matteo vi
ci ricorda il poeta l' enorme peso delle cappe, 16) : e non siate mesti di aspetto, eomo gli
dal quale sono quelle anime aiEaticate e rat- ipocriti (vulgata: hypoerikt$ tridéé) ». DeUa
tenute >. — 79. forse ecc. può essere che io Giovanna, LeeL p. 20: e reepreesione, ohe in
sappia sodisfazo il tuo desiderio, che ò di co- bocca al Bedentore sonò infàmia agl'ipocriti,
noscere alcuno di noi. — 82. dno mostrar qui invece, ripetuta dagl' ipocriti che plango-
ecc. due peccatori, i quali con l'atteggiamento no, vuol essere grido di commiseraziono ». —
del volto mostravano grande sollecitudine di 96. non avere la dispregio : non avere in
raggiungermi, sebbene il peso della cappa e disprezzo, non disdegnare. — 94. Io ftol aato
l'angustia della via impedissero loro di prò- ecc. : cosi nel Omo. i 8 1 e nel dolcissimo
cedere lestamente. — 85. (Quando far giunti seno di Fiorenza fui nato e nndrito fino al
eoo. Biag. : < Sempre ha in vista il poeta sin- colmo della mia vita », e i>0 tvtg, dog, i 6 :
golaimente la natura, e nulla delle ombro sue e qnamvis... in tenia amoenior loooo qnam
pM sottili gli può sfuggire. Bello si ò quel Florentia non existat». — 95. alla graa
INPERNO — CANTO XXin
175
96 e Bon col corpo oli' i' ho sempre avuto.
Ma Yoi chi siete, a otti tanto distilla,
qaant*io veggio, dolor giù per le guance?
99 e che pena è in voi che si s&villa? »
E l' un rispose a me : € Le cappe rance
son di piombo, si grosse ohe li pesi
102 &n cosi cigolar le lor bilance.
Frati godenti fummo, e bolognesi;
io Catalano e questi Loderingo
105 nomati, e da tua terra insieme presi.
rflU: Rrenzo; efr. Jiif. 1 100. — 97. a e«l
tuW eoo. ai qoah il dolore spreme dagli occhi
tante lagiime eoo. : oCr. una locuzione oon-
Hanne in Af> zn 1B6, e il Potrarea, ly 8:
«Conren eh' il dnol per ^ occhi il distille
Dal cor », e cczli 10: < Lagrime, ... che '1
dolor distiUft Per li occhi mei, del vostro
itato rio». ~ 99. i( afaiillns Bnti: «si
nostra per s^ occhi sfaTillanti e per le facce
rosse ». — 100. Le eftppt eoe Le cappe,
dorate al di ftiozi, sono di piomho all'in-
terno e tanto grosse che il loro peso d fa
piangere, come il carico ecoessiTO fa cigo-
lar le hilanoe. — nmwi il rancio è colore
giaUo aurato, come d' aiando : cfr. ISurg, n
9. — lOB. Frati ge4MU fiamme s nel 1261
fe oostitQito in Bologna e xioonoeoiato dal
^im^^aif^ Urbano IV un ordine oonTentoale
e militare insieme, che ta detto dei eava-
lierì di Karia Vergine g^riosa e aveva il
noMlisBimo fine di pfomnovere la pace fra
le parti ohe affliggevano le città italiane,
ai toglier di meno i dissidi fra le fiunigUe
potenti, di aintare i deboli oontre le violenxe
dei grandi : favorito dalle repnbbllche e dai
pontefld, qiiesto ordine si allÀigò da Bologna
amottaattxeoittàdeU'Italla centrale e set-
tentrionale ; ma ben presto degenerò e tnvid
dai primitivi intendimenti, tanto che il po-
pob a sdhemo dei cavalieri di Maria inco-
Bindd a chiamarli fraUgaudmUi e anche oop-
pofi< di Oritto: ofr. D. H. Federid, ùtoria
deTtmaUmiffatidmét, Veneiia, 1787; Q, eoi-
ladini, Cronaca di Bonaumo s nmnorié di Uh
étrii^ d^ Andato firate gtmdtnU^ Bologna,
186L — 104. !• Gatalaaos Catalano dei Ca-
talani (famiglia goelfa derivata da quella dei
Malavolti e denominata anche di Onido di
■■•^"Tmft Ostia) nacque in Bologna intorno al
1210: eeeratò V niBdo di podestà in Milano
Bd 1243, in Parma nd 1360, in Piacenza nel
1900 e in pi6 altre dttà: nd 1249 ebbe U
comando d* una parte dd fanti bologned con-
tro il re Enzio, alla battaglia di Fossalta : fa
noo dd fondatori dell'ordine dd cavaUerì di
Maria; e insieme con Loderingo degli Andalò
tesse nd 1266 e nd 1267 il governo di Bo-
logna e nd 1266 qndlo di Firenze : dopo i
qnali nffld egli d ritirò a vivere prtaso Bo-
logna nd convento dd frati gaudenti a Bon-
zano, ove mori e fu sepolto nd 1286: ofr.
a. Qozzadini, op. dt, e DeUé toni gmUIM»
di Botogna, pp. 202-207. — • qnesll Lode-
ringe: Loderingo degli Anddò, di famiglia
bolognese di parte ghibellina, nacque in Bo-
logna intomo d 1210 ed eserdtò con grande
onore molte podesterie, come qudla di Mo-
dena nd 1261 e di parecchie dtre dttà ddla
Toscana e dell' Emilia negli anni di poi : in
patria fu dato sodo d podestà Iacopo Taver-
nieri nd 1268, temendo il comune il malgo-
verno di costui ; nd 1266 a lui e a Cata-
lano dd Catalani affidarono i bologned il go-
verno della dttà travagliata dalle parti, ed
esd la ressero con giustizia componendo molte
discordie e inimicizie : nd 1266 fu chiamato
col compagno d governo di Firenze e nel 1267
di nuovo a quello di Bologna. Fu il 7ero
fondatore dell'ordine dei gaudenti e propaga-
tore indefesso della nuova milizia, per la qude
visse gli ultimi suoi anni nd convento di Bon-
zano, ove mori e fu sepdto nd 1296 : cfr.
O. Oozzadini, Or. di Eor», cit., e Delle torri
gentilixùt pp. 77-81. — 105. e da tua terra
eco. e fcunmo chiamati a Firenze por conser-
var la pace doò per governare rettamente,
con l'autorità di podestà che suol essere data
a xm uomo solo : infatti, sdvo rarissimi casi,
i nostri comuni ebbero sempre un solo pode-
stà (Bezasco, Di», 811). Quanto all' ufficio
tenuto in Firenze da Catalano e da Lode-
ringo, racconta O. Villani, Or, vu 18, che
quando pervenne in Toscana la novella della
battaglia di Benevento (cfr. fWy. m 128) i
ghibellini incominciarono a invilire e i guelfi
inveoe a prender cuore e ardire, e ohe per
evitare disordini e contentare il popdo furono
eletti e due cavalieri frati godenti di Bdogna
per podestati di Firenze, che l'uno ebbe no-
me messer Catalano de' Malavdti e l' altto
messer Loderingo degli Anddò, e l' uno en
tenuto di parte guelfa, dò era messer Cata-
lano, e 1' dtro di parte ghibellina ». I due
frati bolognesi d diorono a riformare il go-
verno, senza predilezione alcuna pd guelfi o
pd ghibellini, oon intendimento di condlian
176
DIVINA COIMEDIA
come suole esser tolto un uom solingo
per conservar sua pace, e fdmmo tali,
108 eh' ancor si pare intomo dal Gardingo >.
Io cominciai : € 0 frati, i vostri mali.-. >,
ma più non dissi; che ali* occhio mi corse
111 nn, crocifisso in terra con tre pali
Quando mi vide, tutto si distorse,
soffiando nella barba coi sospiri;
114 e il frate Catalan, eh' a ciò s'accorse,
mi disse: € Quel confitto, che tu miri,
consigliò i fSaxisei, che cònvenia
117 porre un uom per lo popolo a* martiri.
Attraversato e nudo è nella via,
come tu vedi, ed è mestier ch'ei senta
120 qualunque passa com'ei pesa pria:
ed a tal modo il suocero si stenta,
in questa fossa, e gli altri del concilio,
1C3 che fu per li giudei mala sementa ».
Allor vid'io maravigliar Virgilio
sopra colui ch'era disteso in croce
le dne Dazioni, e institairono il magistrato o
consiglio dei trentasei Imeni nomini : ma firat-
tanto, per le insinuazioni del pontefice Cle-
mente IV, &yorivano sotto mano la parte
gnelik ; la quale, presa l'occasione dalle intem-
peranze dei ghibellini, si lord a mmore e li
caodd dalla città abbattendone le loro case,
e specialmente quelle de^ Ubarti che sorge-
yajLo nel (hurdingo presso S. Fiero Scharag-
gio (ofr. Q, Carbone, Della eotMiuÀone topo-
gràfica di Firenxé nelaco, di DanU in Dante
eU 9U0 ne^ p. 499, e il Davidsohn, Oeaeh,
von. Flormx^ voi. I, pp. 68 e segg., 667 e
segg.). Allora Catalano e Loderingo, ohe già
aveyano chiesto d' esser esonerati dall' uffi-
cio, abbandonarono Firenze, lasciando nei più
degli accesi cittadini il sospetto, raccolto più
tardi da Danto e poi da O. Villani, L cit,
ohe « sotto coverta di falsa ipocrisia furono
in concordia più al guadagno loro proprio
ohe al bene comune >. Si vedano il Torraca,
Giom, dant., YTH 481 e segg. e il Salve-
mini, Magnati e popolani in Firmxé, Fir.,
1898, pp. 266 e seg. -> 106. Intono dal
flardlage: nelle vicinanze del Oardingo o
Guardingo (cosi O. Vili., Or, i 88), vicino
al luogo dove poi sorse il palazzo della Si-
gnoria, erano le case degli Uberti, atterrate
dai guelfi durante il governo di Catalano e
di Loderingo. — 109. 0 ftati, i voiiri mali :
Dante ha già dato giadido dei due gaudenti
bolognesi oon le parole messe in bocca a Ca-
talano ; però qui accenna soltanto al pensiero
balenatogli alla mente di aggiunger e parche
ancor più gravi > ; in conferma esplicita del
suo giudizio ; dall' eqnimere il quale lo di-
stolse la vista di un altro peccatore, orool-
fisso nel fondo della bolgia. — 112. tatto ai
dislorst eoo.: le contorsioni e il soffiare che
fa questo dannato sono V espressione d^ sqo
sdegno d'esser veduto da un vivente in cotale
ringolarissima oondìdone. — 115. Qvel eem-
fitto ecc. È Caifias U sommo sacerdote, che
nel concilio dei Sacerdoti e dei Farisei diede
il consiglio ohe Cristo fosse messo a morte,
dicendo ((Hovanni xi 47-68) : e Voi non avete
alcun oonosdmento e non considerate oh' egli
ci giova che un uomo muoia per lo popolo ».
— 117. porre eco. Dante stesso, Canx, p. 165 :
« un uom conveniva esser disfatto, Perch'ai-
tri fosse di pericol tratto ». — 118. A.ttr»-
venato o nido eoo. È posto ignudo a tr»-
veiBO la via, affinché tutti gli ipocriti gli pas-
sino sopra calpestandolo. — 121. ed a tal
nodo ecc. : la stessa pena di Caifas è data
al sommo sacerdote Anna, suocero di luì (cfr.
Giovanni xvm 18), e ai Sacerdoti o Farisei
che peserò parte al condUo, onde usci la ro-
vina del popolo giudaico. — 124. ■aravi-
gliar Tlrgiliot la ragione di questa meravi-
glia di Virgilio non è chiara ; secondo alcuni
sarebbe la vista di questo nuovo tormento
nella bolgia sesta, il quale ei non aveva ve-
duto l'altra volta che discese all'inferno (cft.
Inf, XX 22); secondo altri, la conformità tra
il consiglio di Caifas e le parole dell' En. v
816 : « Unum prò multis dabitnr caput > ; so-
condo altri infine, la vista dei tristissimi of-
INPERNO - CANTO XXIH 177
12G tanto vilmente nell'eterno esilio.
Poscia drizzò al frate cotal voce:
€ Non vi dispiaccia, se vi lece, dirci
129 se alla man destra giace alcuna foce,
onde noi ambedue possiamo uscirci
senza costringer degli angeli neri,
132 che vegnan d'esto fondo a dipartirci ».
Rispose adunque : € Più che tu non speri
s'appressa un sasso, che dalla gran cerchia
135 si muove, e varca tutti i vallon feri,
salvo eh' a questo è rotto, e no 1 coperchia :
montar potrete su per la ruina,
138 che giace in costa e nel fondo soperchia ».
Lo duca stette un poco a testa china,
poi disse : € Mal contava la bisogna
141 colui che i peccator di là uncina ».
E il frate: « Io udì' già dire a Bologna
del diavol vizi assai, tra i quali udì'
144 eh' egli è bugiardo e padre di menzogna ».
Appresso, il duca a gran passi sen gi,
turbato un poco d'ira nel sembiante;
ond'io dagl' incarcati mi parti'
148 dietro alle poste delle care piante.
few deU' ipocriiia. — 129. m alUaaa «•• oeservs il Paxodi, BuiL IX 99, pexché in re-
itrt «oc le uéÙA ripa detti» di qoMta bolgia rìtà non c'era bisogno di Care studi teologici
lia tkmn tbUoo per paMan nella eettima. — per acquistare oogniaonl cosi comuni ». —
13L ngeli Beri: diavoli; cfr. Inf. zzm 143. mii*i d, come nel Terso precedente, fog-
liai—ISA. «BsaiM eco. uno degli scogli, che ma di 1* persona, non rara nell'interno del
dsDa oerohift eslenia di Ifalébolge (ofr. Inf, periodo (ofir. Inf, zzvi 91); ma il medesimo
xrm 8) r^TT"*^^ Bolle died Ibase fonnano troncamento mantenuto anche in rima con
mt orfini di ponti (ofr. ^. znn 16-18). ^, forma di 8* pere., d piuttosto insolito : off.
- 181 Mlv« eoo.: donane tatti gU ordini Parodi, BuU. ini28. — U4. ek'egU è Wn-
a poatt sono rotti sopra la sesta bolgia. — giarda eco. Del diavolo si legge nel vangelo
1S7. 1a rvlaa cke giace eoe la rovina del (Giovanni vm 44) che e quando profariaoe la
ponte^ i satsil del quale si stendono sulla ripa menzogna, parla del suo proprio, perdoochó
itttsna e iomano un rialzo nel fondo della egli è mendace, e il padre della menzogna»,
bolgia. — Ito. Mal eeatava eoe. MaUooda, — 146. t«rl»ato ecc. un poco sdegnato per
dtosidomi die avremmo trovato presto «m al- avere scoperto l'inganno di Malacoda. — 147.
Irò teogUù dks sia fao$ {Inf, zzi 111) mi ha Inr arcati : cosi chiama gli ipocriti, che vanno
isgaanato, mal provvedendo al nostro biso- sotto il eoroo delle cappe di piombo. — 148.
gBo. — 142. a B«legnas non è sdo um rip alle pMte eco. alle orme dei piedi del caro
ootdo dsDa città natale, ma più tosto dello d»ua mio (Inf, iz 97) : le poste sono 1 segni
Stailo botogneee, ove fiorivano anche le souo- impressi dal piede sul terreno, le < pedate »
b di teologia. « L' allosioiie riesce comica, come spiega il Bati.
CANTO XXIV
Rtialeiido con molta difficoltà la ripa interna della sesta bolgia, Dante
6 Tir^lio pervengono sopra un altro ordine di scogli che attraversa le ri-
nutnenti bolge ; e nel fondo della settima vedono i ladri paniti dalle tra-
DA.TM 12
178 DIVINA COMMEDIA
fltture di orribili serpenti, per le quali sono inceneriti e riprendono poi
subito Tumana figura : tra essi si manifesta loro il pistoiese Vanni Pucci
[9 aprile, verso le ore undici antimeridiane].
In quella parte del gioTÌnetto anno,
che il sole i crin sotto l'Aquario tempra
8 e già le notti al mezzo di sen vanno,
quando la brina in su la terra assempra
Pimagine di sua sorella bianca,
G ma poco dura alla sua penna tempra,
lo villanello, a cui la roba manca,
si leva e guarda, e vede la calnpagna
0 biancheggiar tutta, ond'ei si batte Tanca;
ritoma in casa, e qua e là si lagi^
come il tapin che non sa che si ùuccìs^
12 poi riede e la speranza ringavagna,
veggendo il mondo aver cangiata faccia
in poco d'ora, e prende suo vincastro,
15 e fuor le pecorelle a pascer caccia:
cosi mi fece sbigottir lo mastro
quand'io gii vidi si turbar la fronte,
18 e cosi tosto al mal giunse l'empiastro;
XXrV 1. !■ «lellA purto eco. BiAg. : libello >, e nel CavalTaati, oanz. n: < Oanzon,
€ Vago è il principio di queeto canto, e di ta ni che do' libri d'amore Io faaeempxai ».
gran beDoaa questa nnoY» similitndiiie, tolta — 6. ■ap^eoeoo.latempratoradellApenna,
dalla ita«a natora ; e lambra qoaato vno di onde ritrae la neve, dura poco, doò la brina
quei looghi ore il poeta vuol mostrarsi quale si dissolye presto. Dante atteggia noTsmente,
egli ò, doè ad ogni altro soperiofe. Il prin- in conformità deU' idea del ritrarre, il pon-
dpale sno intendimento si è di ritrarre qnan- siero espresso da Lucano, .Fbrt. iy 62: « IJr»-
to ta grande il sno sbigottimento, benché di bant montana nives camposqne iacentos Kon
poca dorata, in veder Virgilio si turbato » : doiatorae oonspecto sole proinae ». — 7. la
il Tomm. invece giudica questa similitudine rolM s l'erba, il foraggio per le sue pecore,
e troppo erudita », e direbbesi più tosto, trop- — 8. la eampagna ecc. : ricorda l'oraiiano,
pò minuziosa; sebbene neUa abbondanza dei Od, i 4, 4 e Piata oanis albicant pruinis ».
particolari si manifesti pur sempre la stupenda — 9. si katte Paaea: si rammarica credon-
arte di Dante, che dovendo rappresentare il do che sia caduta la neve. — U. eeme il
mutamento d* animo del contadino sa cosi ta^ eco. come il misero, incerto di ciò che
efficacemente compenetzarlo alla descrizione deve ft^e; oompaiaziono inclusa nella pnn-
del mutamento degli aspetti naturali che di dpale per mettere in rilievo gli effètti morali
quello è il motivo. — gtovUetto anso : la di un fenomeno ilaioo. — 12. la speraasa
primavera, quando, come dice il Petrarca, rlngavagaa : ò frase consimile a quella del-
usa 14, < ringiovenisce l'anno». — 2. li V Ltf. zi 64 e fidanza imborsa» e significa;
sole 1 cria ecc. il sole rinvigorisce i suoi accede di nuovo nell'animo la speranza;
raggi, quando appare nella costellazione del- poiché, come notò l'An. fior., *ga9agn» sono
l'Aquario, dal 21 gennaio al 21 febbraio, e certi costoni che fumo i villani, si oho wt-
s'avVicina il tempo in cui la notte e il di gavagnar» non vuole dire altro che incestare,
s'agguagliano. — 4. quando eco. allorché la doè insaccare speranziC, avere maggiore spe-
brina sparsa nei campi rende imagine della ranza che prima »: cfr. Parodi, BulL m, 139.
neve : il vb. OMmnprar» deriva da nempiare — 14. vincastro! il ramo di cui il pastore
(cosi flwswipro da éxemphim) e significa tra- si servo come di bastone ; è detto oos( an-
sorivere, ritrarre, rendere imagine ecc. : cosi che dal Poliziano ^ SL i Idi e Poi quando
nel proemio della V,N.: < le parole, le quali move lor col suo vincastro ». — 17. rf tar-
é mio intendimento d'assempraro in questo bar ecc. : cfr. Inf, xxm 146. ~ 18. e cosi oco.
INFERNO - CANTO XXIV 179
che, come noi yenimmo al guasto ponte,
lo duca a me si volse con quel piglio
21 dolce, ch'io vidi prima a piò del monte.
Le braccia aperse, dopo alcun consiglio
eletto seco, riguardando prima
2tl ben la ruina, e diedemi di piglio.
E come quei che adopera ed estima,
che sempre par che innanzi si provveggia,
27 cosi, levando me su vèr la cima
d'un ronchion, avvisava un'altra scheggia,
dicendo: « Sopra quella poi t'aggrappa;
80 ma tenta pria s' è tal ch'ella ti reggia ».
Non era via da vestito di cappa,
che noi a pena, ei lieve ed io sospinto,
83 potevam su montar di chiappa in chiappa.
E se non fosse che da quel precinto,
più che dall'altro, era la costa corta,
8G non so di lui, ma io sarei ben vinto;
ma perché Malebolge in vèr la porta
del bassissimo pozzo tutta pende,
30 lo sito di ciascuna valle porta
che i'una costa surge e l'altra scende:
OQoe il mutato aspetto della campagna con- roccia in rocda. Si noti Tantliesl tra il noi
torta subito il contadino, cosi il dolce piglio e il vestito di cappa ; che vorrà dire dunque
M aio duca fa rimedio al mio sbigottimento, ricoporto dalla cappa, come gì* ipocriti, non
— oiplaatre ; nel senso generico di rime- già, come spiegò il Lomb., veste larga e ta-
fio r osò anche il Petrarca, Trionfo delta lare, — 88. chiappa i vale lo stesso che roe-
ff/sa n 129 : « all' italiche doglie fioro em- chio e ronóhione^ ossia masso sporgente. —
pastio >. •— lo. eoi qiel piglio ecc. con 34. B se non fosse eoe. Dante vuol dire ohe
!»&'stteggiamento bonigno, cho per la pri- delle dne sponde oostitaenti la bolgia sesta
Bft Toha io aveva veduto quando Virgilio quella dalla parto intema (verso la bolgia
m apparve per liberarmi dall' impedimento settima) per la quale salivano era meno alta
Mie tre fiere (cCr. Inf, i 61 e segg.). — 22. di quella dalla parte estema (vorso la bolgia
I<t braccia eoo. Virgilio, considerando bene quinta) per la quale erano discesi {Inf. xzui
li raìna por vedere s'era tale da potervi 43 e segg.) : come dd possa essere, ò spiegato
mBzb, dopo aver abbracciato il partito che noi versi cho seguono. — 86. aon so eco. di
gii parve migliore d'ogni altro, prese Dante Virgilio non so, ma io non avrei potuto re<
Qoa Is sue braccia e incominciò a sospin- sistere alla fatica della salita. — 87. Male-
S<rio su per r erta. — 26. come quei che bolge la vSr ecc. Malebolge d tutto inclinato
>^P«ra ei eitiaia eco. come colui che ao- verso l'apertura del pozzo dei giganti; perciò
\ all'opera il consiglio, agli atti cor- la condizione di ciascuna bolgia porta oome
paoli quelli della riflessione, avendo sem- necessaria conseguenza che delle due sponde
pre la mente a quel che farà poi. — > 28. roa- di dascun argine I'una sale e l'altra scende,
^Uoi: masso sporgonte, scheggia; cfr. Inf. cioò l' interna è in salita e l'esterna è in
Q 25. -> avriiaTa : cf^. Lnf. xvi 23. — 80. ma discesa per chi cammini verso il contro dol-
tota pria eoe ma prima prova con la mano l' inferno : e quella ohe sale ò mono alta di
» è cosi salda da reggerti. — 81. Non era quolla che scendo, perché, avendo tutte le
▼fi eco. Quella non era via per la qualo bolge la medesima profondità, il piano di
> potuto salire alcuno degl' ipocriti, ri- ciascuna dove essere pi6 basso di quello dell»
cx^ttti dalle pesanti cappe ; che appena Vir- precedente e più alto di quello delia seguente ;
gitio, pura ombra, e Dante, sospinto dalla sua e la diiFerenza d'altezza fra il lato esterno e
S^ida, potevano montare aggrappandod di l' intemo delle bolge essere uguale al disli-
180 DIVINA COMMEDIA
noi pur yeniinino alfine in su la punta
4*2 onde P ultima pietra si scoscende.
La lena m'era del polmon si munta,
quand'io fui su, ch'io non potea più oltre;
45 anzi mi assisi nella prima giunta.
€ Omai convien che tu cosi ti spoltre,
disse il maestro, che, seggendo in piuma,
dS in £ama non si vien, né sotto coltre;
senza la qual chi sua vita consuma,
cotal vestigio in terra di sé lascia,
51 qual fummo in aere ed in acqua la schiuma:
e però leva su, vinci l'ambascia
con l'animo che vince ogni battaglia,
51 se col suo grave corpo non s'accascia.
Più lunga scala convien che si saglia;
non basta da costoro esser partito:
57 se tu m' intendi, or fe si che ti vaglia >.
Leva'mi allor, mostrandomi fornito
meglio di lena ch'io non mi sentia;
60 e dissi : « Va, eh' io son forte ed ardito ».
Su per lo scoglio prendemmo la via,
ch'era ronchioso, stretto e malagevole,
63 ed erto più assai che quel di pria.
vello fhi una bolgia e l'altra. — 41. In fa xxxvi 20, Lxm 8, Sap. v 15). •— 52. e però
la poaU ecc. sulla cima dell'argino, dalla eco. leyati e vinci la stanchezza con la forz&
quale sporge T ultimo dei massi per i quali della volontà, che trionfa d'ogni difficoltà pur
noi eravamo salitL — 43. La Iena eoe. Qoan- che non s'abbandoni insieme ool ooipo. Bia^.:
do M giunto alla cima, la ImOf il respiro « Il sentimento di questa sentenza, die Dante
mi era stato cosi munto dai polmoni, cioè mi solo poteva con si gran forza e semplicità
si eia esaurito nello sforzo del salire, ch'io dimostrare, ò veramente degno che lo fermi
non potevo camminare più oltro, e però ap- ben chiuso nella memoria chiunque di bella
pena arrivato mi posi a sedere. È spiegazione fama ò vago 9.-58. eoi PaBlmo ecc. ofir.
acuta del Tonaca, che richiama il passo del Puyg, xvi 75-78. — 55. PU tuga leala eoo.
Piar, zxi 87. ~ 46. Omai eonTieB ecc. Vir- La più lunga salita accennata da Virgilio è
gilio, vedendo Dante vinto dalla stanchezza, quella del monte del Purgatorio (cfìr. JWy.
lo ammonisce che ootali fatiche deve soato- m 46-51, zi 40, xni 1, xvn 65, 77, xxx 21,
nere l'uomo desideroso d'acquistare la gloria, xzn 18, xxv 8, zzvn 124). — 56. ■•■ basta
dicendogli : Ormai bisogna che tu sia operoso, ecc. non basta avere orrore dal vizio, ma bl-
perché vivendo nell'ozio e dormendo non si sogna puriftcarai d'ogni colpa, per esser degno
acquista la fama, e chi muore senza averla della beatitudine. — 57. se tv m'inteadl eoe:
conseguita non lascia di sé alcuna durevole si cfir. questo ool passo parallelo del I\trg,
memoria. L'ammonimento di Virgilio riohia- vi 46-51. — 60. bob forte ed ardito : cfr»
ma al pensiero le parole d' Orazio, Epist. n Inf. zvu 81 ; Biag. : « formola che oompren-^
3, 412 : « Qui studet optatam cursu contin- de e la forza del corpo e la franchezza del*
gore metam Multa tulit fedtque puer, sndavit l'animo >. — 61. Si per eoe I due pooti
et alsit9. — tn «osi ti spoltre s tu ti spol- s'incamminarono sullo scoglio, ohe formava^
trìsca con simili esercizi faticosi. — 51. qual un altro ordine di ponticelli sulle bolge ed
fummo ecc. : similitudine che ricorda la Vir- era più difficile di quello su cui avevano var-
giliana, En, v 740, doU'ombra "d'Anchise : cato le bolge anteriori. — 62. reaeàioso eoo^
e Tenues fugit, oeu fumus, in auras», e ri- pieno di sassi, stretto, difficile e faticoso:
sale forse a consimili imagini bibliche (Salmi ronehio» vuol dire pieno di rocchi o roiw
INFERNO - CANTO XXIV ISl
Parlando andava per non parer fievole,
onde una voce uscio dell'altro fosso,
66 a parole formar disconvenevole.
Non so che disse, ancor die sopra il dosso
tossi dell'arco già che varca quivi;
69 ma chi parlava ad ira parca mosso.
Io era volto in giù, ma gli occhi vivi
non potean ire al fondo per l'oscuro;
72 per eh' io : € Maestro, fa che tu arrivi
dall'altro cinghio, e dismontiam lo muro;
chó com'i' odo quinci e non intendo,
75 cosi giù veg^o e niente affiguro ».
« Altra risposta, disse, non ti rendo,
se non lo £Eur; chó la domanda onesta
78 si dèe seguir con l'opera tacendo ».
Noi discendemmo il ponte dalla testa,
dove s'aggiunge con l'ottava ripa;
81 e poi mi fii la bolgia manifesta:
e vidivi entro terribile stipa
di serpenti, e di si diversa mena,
84 che la memoria il sangue ancor mi scipa.
Più non si vanti Libia con sua rena;
chtoni (cfr. hif. xx 26). — 64. Parlftido ecc. caore e nella mente, ha ben da dolersi assai
Ventre Dante camminaya parlando, per mo- della natura». — 78. seguir: se^itare, ac-
iteie a Virs^ilio che ei non era stanco, dal compagnore. — 79. 11 ponte dalla tetta occ.
fondo della settima bolgia s'alzò una voce da quella estremità del ponte che va a ter-
ii^istìnta. — 66. dUeoBTeiieTOle: bene spie- minare sali' ottavo argine. — 80. s'Bgglaige:
ga il Bati: « non conveniente a formar pa- si congiunge; cfr. Inf. xxxj 56. — 81. mi fu
iole dio si potessono intendere >. Altri spie- la bolgia ecc. È la settima bolgia, ove sono
faao come fossero fischi e sibili ; ma il passo puniti i ladri ; i quali continuamente assaliti
lucia comprendere che era proprio voce di pa- dai serpenti sono ridotti in cenere e poi ri-
rote, che a Dante arrivavano indistinte per prendono la figura primitiva, si che la loro
la lontananza. — 67. Il dosso eco.il culmine pena si potrebbe dire un eterno annionta-
tó ponticello. —69. ehi psrlaTa ecc. Dante mento dell'essere. — 82. itipa: l'An. fior,
non dice chi fosse il peccatore che parlava attesta che « alvpa è detta ogni cosa eh' ò
sdegnosamente ; ma può ben essere ch'egli calcata e ristretta insieme > ; cosi qui o in
intendesse d'accennare al pistoiese Vanni Inf. xi 3 sijcnifica ammasso confuso. — 83.
lattei, che sarà fra poco rappresentato come di %i diversa mena ecc. di cosi strane specie
malito dai serpenti. — 70. gli oeehi tItI che il ricordo di essi mi guasta il sangue :
«e gli occhi non potevano distintamente ve- il nome mena qui non può avere altro valoro
iere il fondo della bolgia por l'oscuritA : sul che quello di condizione, qualità (cfr. Inf.
valore deirespressione occfc» rm cfr. /n/". xxrx xvii 89). — 84. sclpa: cfr. Inf. vii 21. —
M. -> 72. fft che tn Arrivi ecc. discendendo 85. Pld lon si Tanti occ. Lucano, in una
dal ponte {lo muro), andiamo sull'argine che parte del suo poema alla quale Dante accen-
tiride la settima dall'ottava bolgia : cfr. Inf. na in Inf. xxv 94, descrìve ed enumera i
xxTi 13. — 74. ehd eom' i* odo ecc. perché serpenti cho infestano gli aronosi desorti
(K sol ponte, come non intendo le parole che delia Libia cosi {Fara, ix 708) : « At non
sento pronunziare nel fondo della bolgia, cosi stare suum miseris possura cruorem, Squami-
noli discemo ciò eh' io vedo. — 76. Altrt feros ingens Haemorrhois explicat orbes ;
rlipestm ecc. Biag. : e Piene di grazia sono Natus et ambic^uae colerot qui Syrtidos arva
le parole di Virgilio a Dante, vaga si è la Chersydros, traciique via fumante Chcbjdri ;
«cntonia cho in esse si racchiude, e chi alla Et sanjy^ recto lapsunts limite Cenchris ; Flu-
pinalottan non le dà grazioso luogo noi ri bus iile notis varìatam pingitur alvmn,
1S2
DIVINA COMMEDIA
, elle, se chelìdri, iaculi e farèe
87 produce e ceneri con amfìsibenai
né tante pestilenze né si ree
mostrò giammai con tutta l'Etiopia,
90 né con ciò che di sopra il mar Bosso èe.
Tra questa cruda e tristissima copia
correvan genti nude e spaventate,
93 senza sperar pertugio o elitropia.
Con serpi le man dietro avean legate;
quelle ficcavan per le ren la coda
96 e il capo, ed eran dinanzi aggroppate.
Ed ecco ad un, di' era da nostra proda,
s'avventò un serpente, che il trafisse
99 là dove il collo alle spalle s'annoda.
Né o si tosto mai né i si scrìsse,
com'ei s'accese ed arse, e cener tutto
102 convenne che cascando divenisse;
e poi che fu a terra si distrutto,
la polver si raccolse per sé stessa
Qnam pairls ttnotos nutcolia thebanos Ophi-
tea ; Concolor exuftb, atqae indiscratas are-
ni8 Hammodytes ; tpinaqne yagi torqnente
CerastM ; Et Scytale ipaxaiB etlam nono aola
proinii ExiiYias positoia anas; et torrida
Dipaaa ; Et gravi» in gemimim surgmi eaptU
Amphiibama : Et Natriz violator aquae, Jo-
euUqua vokuen»; Et eont&iUm iter eauda «u/-
care Phareas ». I nomi dei lerpenti ricordati
da Dante sono tratti evidentemente da que-
sto passo di Locano (cfr. Moore, I 288);
e come egli ha tralasciato altre specie ser-
pentine, cosi non ha nominati 1 ehereidri^ dei
quali alconi rogliono introdurre il ricordo
leggendo : Gterei, ehelidri, iaeuU, farée Pro-
dueer ceneri eon amfieibena; lezione che non
ha sufficiente autorità di codici. — 88. né
tante eco. i deserti della Libia, dell' Etiopia
e dell'Arabia non produssero mai nulla di
cosi pestifero e velenoso: anche questo ò
manifesto ricordo di Lucano, Fare, ix 805 :
« Sed malora parant Libycae spectacula pò-
ftos »: cAr. Moore, I 962. — 90. ciò cke di
sopra ecc. il deserto dell'Arabia, che ò al di
sopra del mar Bosso, rispetto all' Egitto. —
èe: d; Dante l'usa solamonto in rima {Purg.
xrxn 10, Par. zxym 123), ma altri antichi
l'hanno anche tnoi di rima o in prosa (Nan-
nacci, Verbi 4S5). — > 91. Tra qnesta ecc. In
mezzo al gran numero dei serpenti correvano i
peccatori ignudi e spaventati, senza speranza
di trovare un buco per il quale potessero sfup^-
gire o un talismano che li proteggesse. — 93.
eutropia: pietra preziosa, alla quale gli an-
tichi tribnivano miracolose virtd, massime di
guarire le morsicature dei serpenti e di ren-
dere invisibile chi l'avesse addosso. — 04.
Cen serpi ecc. Questo aggropparsi dei ser^
penti intomo ai lodn fu ImagJnato da Dante
per ritrarre con vivi e forti colori l'astuzia e
la malizia con la quale s' intromettono a ru-
bare nei luoghi chiusi e il loro aggirarsi nn-
scostamento a togliere l'altruL — 97. Ed ceco
ecc. Mentre Dante e Virgilio guardavano noi
fondo della bolgia, un serpente s'avventi)
d' improvviso a un peccatore che stava presso
la riva dal lato intemo, trafiggendolo alla
gola : r infelice s'acccfse riducendosi in cenere,
che subito si raccolse di por sé e ripreso no-
vamente le sembianze corporali di prima. Il
peccatore, del quale i due poeti osservano la
rapida tramntazione, è Vanni Pucci : ctr. v.
118 e segg. L' idea di questo incenerimento
per la trafittura del serpente d tratta senza
dubbio dal caso di Sabello, di cut vedasi la
nota all' Inf, xxv 94 : cfr. A. Debelli, BuU,
IV 17. — 100. Né e i£ (osto eoo. Similitu-
dine tanto pi6 vigorosa e scolpita, quanto ò
più comune il fatto da cui ò tolta; perché
appunto l'arte vera non ha bisogno dì cercaro
fuori della realtA la materia delle sue crea-
zioni : nulla, nel caso particolare, poteva riu-
scire più proprio a indicare l' istantanei t\
dell'aziono, che il paragone con un atto di
brevissima durata quale ò Io scrìvere Ietterò
d'un solo tratto di penna. — 103. e poi ecc.:
si paragoni con ciò che Virgilio scrive di
Proteo, Georg, iv 439 : e Ille suae contia im-
INFERNO - CANTO XXIV
183
105 e in quel medesmo ritornò di butto:
cosi per lì gran savi si confessa,
che la fenice more e poi rinasce,
108 quando al cinquecentesìmo anno appressa;
erba, né biada in sua vita non pasce,
ma sol d'incenso lagrime ed amomo,
111 e nardo e mirra son l'ultime iàace.
E qual è quei che cade, e non sa comò,
per forza di demon eh' a terra il tira,
114 0 d'altra oppilazion che lega l'uomo,
quando si leva, che intomo si mira
tutto smarrito della grande angoscia
117 ch'egli ha sofferta, e guardando sospira;
tal era il peccator levato poscia:
o potenza di Dio, quanto se' vera!
120 ^hé cotai colpi per vendetta croscia.
Lo duca il domandò poi chi egli era;
per eh* ei rispose: € Io piovvi di Toscana,
123 poco tempo è, in questa gola fera.
Vita bestiai mi piacque, e non umana.
■enor artis. Omnia trucfoniutt lese in mi-
zaaùk renim, Ignemque, horribUraiqae foram,
floTimqQo liqnentem. Yerom, ubi nnlia fa-
sm repcrit peBada, Tiotat In sese redit,
a^t» haminis tandem ore locntoB : — 105.
A Htte: d'un colpo, aobltamente : è anolie
n Avf . xm 40, e nella fonna pi6 oomone
« kOo in W. m IBO. — 106. fti per U
ma taTl ecc. Dante accenna a quello ohe
ftTolaggiarano della fenice 1 poeti e i dotti
^•ntickità • del medioevo (p. ee. Plinio,
H. NI X 2, dandiano, MI, zlu; rimatori
italiani in D*Anc. I 115, 510, 516 e Val. I
137, 390, 297, II 24, 210, 510; B. Latini,
rwro TI 26 ecc.), ma nella soa descrizione
(«fi legne massimamente Gridio, i». XV 892 :
< Una est, quae reparet aeqoe ipea reeeminet,
ilet: Astyrii pboràica voeant. Nonfirugene-
^ktrbiM, 8éd turù ìaormi* §t tueeo vivU
''lomLBato «M q%ÈÌnqu$ tutu eompÌ0vU aoa-
ttfa ffiCa*, Bicet in ramia tremulaeqoe cacn-
maa palmae Ungoibos et poro nidom albi
eoBatndt ore. Qao aimnl ao oaaiaa tt nardi
ifait orMoa Qiiaaaa^tia cum fuioa ntbttropU
rmmna wtjfrrha» Sé tt^ptr imponiti ftnitqne
ia odoiUraa aemm ». — lU. • nardo ecc. e
l'aTTolge |irima di morire, nel nardo e nella
vina, aoctanze odoroae. — 112. B tutl eoo.
U amardmento del peccatore risorto daUe
na eeneti richiama alla mente di Dante la
eoadizione deQ'aomo caduto a terra per forza
4i «agfa o per nn insalto epilettioo, U quale
rialTindod goaida all' intomo tatto «manito
per il dolore aofferto. — e non sa cerno :
aenza aapere in qoal modo ; perché roaseaao
e l'epilettico non a'aoooiigono del cadere. Sai-
la forma corno cfir. Huy. xxm 86. — 118.
fona di damon eoo. la potenza diabolica,
che operando angli osaeoai toglie loro gli spi-
riti e li fi» cadere a terra. — 114. oppUaalon :
epilessia, ohe rinchindendo i meati del corpo
interrompe le fOnzioni fisiologiche. — 116.
angoiela: dolore fisico e morale. — 119. 0
potensa ecc. 0 potenza divina, quanto sei
giusta nel dispensare le pone i poiché a ven-
dicare degnamente le offese, che ti sono fatte,
infliggi ai peccatori colpi cosi violentL Questi
versi oftiono una difficoltà, poiché troppo ra-
pido pare il cambiamento dal diaoorao diretto
all' indiretto : perciò altri leggono, non senza
fondamento, qtumio è ««cera/, che certo ò in
corrispondenza più eaatta col vb. erotoia, —
122. Io piOTTi ecc. n peccatore, che cosi ri-
sponde, ò Vanni figliuolo bastardo di messer
Fucd dei Lazzari di Pistoia; del quale rac-
conta l'autore delle Istorie pisloUsif pp. 6-7,
che ebbe parte nelle diaoordie della cittadi-
nanza pistoiese incominciate nel 1286 coll'in-
sulto del taglio della mano fatto a Dorè Can-
cellieri e che aegui la parte nera, conunet-
tendo violenze e rapine a danno degli avver-
sari: nel 1292 eia ai servizi di Firenze, noUa
guerra guelfa contro Pisa ; eaulò dalla patria
poco dopo, forse a cagione del Airto accennato
al V. 137 , e nel febbraio 1295 tu. condannato
in contumacia per ruberie e oipiddl cpmmussi
184
DIVINA COMMEDIA
si come mul eh.* io fui: son Vanni Fucd
126 bestia, e Pistoia mi fu degna tana >.
Ed io al duca: « Digli che non mucci,
e domanda che colpa qua giù il pinse;
129 eh* io il vidi uomo di sangue e di crucci ».
E il peccator, che intese, non s'infinse,
ma drizzò verso me Panimo e U volto
132 e di trista vergogna si dipinse;
poi disse : € Più mi duol che tu m' hai còlto
nella miseria dove tu mi vedi,
135 che quando fili dell'altra 7ita tolto.
Io non posso negar quel che tu chiedi:
in giù son messo tanto, perch'io fui
nel territoiìo di Pistoia (cfr. BuU. H 168,
IV 207, VI, 210). — 126. •( eone mil ecc.
ai come bastardo oh' io fili. — TaBsi F«eei
bestia ! attesta l'An. fior, olie < perché egli
era bestiale fa chiamato Vanni bestia >. —
126. Pistoia mi fa ecc. Pistoia, patria di
malvagi cittadini, mi tu. degna dimora : cfr.
la nota all' Inf. xsv 10. — 127. aom rane-
ci t non ftigga via ; 0 valore del vb. «mie-
eiare, ftiggire, ò attestato dalle chiose del
Bnti e di Benv. ; il qnale nltimo aggiunge
essere voce di parecchi dialetti lombardi : cfir.
Parodi, BuU. HL 163. - 129. io il vidi ecc.
io lo conobbi nel mondo come nomo violento
e iracondo (Bati: e nomo di brighe e d'omi-
cidi >). Dante doveva ricordare di Vanni Fno-
d specialmente la parte presa nelle discordie
pistoiesi, che furono poi, com' ò noto, occa-
sione alla divisione dei guelfi fiorentini in
Bianchi e Neri; personalmente potè cono-
scerìo in Firenze dorante la guerra pisana.
— 180. non s' inflase t non cercò di sottrarsi
alla mia domanda. ~ 132. trista vergogna:
non d la verecondia, che acquista all' uomo
il perdono {Purg, v 21), ma la vergogna della
colpa disonorevole. — 183. Pltf ni dio! eoo.
Qui ò l'uomo di parte che si duole d' esser
còlto nella miseria da un awersazio : Vanni
Pucci, seguace dei Neri, trovandosi sorpreso
dall' Alighiori, che fu di parte Bianca, nel
luogo dove sono puniti i ladri, sente orrore
di tale umiliazione e se ne duole pi6 che della
perdita della vita; perciò dopo aver confes-
sata sua colpa predice oscuramente ai suo av-
versario avvenimenti rovinósi per i Bianchi:
cfr. D'Ovidio, p. 44. — 137. lo fui ladro eoe
Lana, Benv., Buti, An. fior.. Land, raooon-
tane oon molti particolari l'audace tentativo
di furto alla cappella di san Iacopo nel Duomo
di Pistoia, operato da Vanni Pucci; l'An. fior.,
più breve degli altri, lo narrra cosf : « Av-
venne per caso che sor Vanni [della Nonna],
volendo bene ad una donna di Pistoia, andò
una notte a fare una mattinata, et con lui an-
dò questo Vanni Fucd. Sonando et cantando
costoro a oasa alla donna, questo Vanni [Faod]
oon alcuno suo compagno si parti da loro et
sudò alla chiesa di Santo Iacopo in Pistoia, et
per forza et per ingegno rompendo i serrami,
entrò nella sagrestia di Santo Iacopo et nella
cappella, eh' è meglio fornita et d'oro et d'a-
riento et sltri arnesi che altra di Toscana;
et entrato dentro la rubò et venne con queste
cose ch'egli avea imbolate a oasa ser Vanni,
et dissegU il fatto. Ser Vanni, ch'era buon
uomo, gli disse vìUanfa et ch'egli «vBa fatto
male et ch'egli non volea zitenare. Oostni
scongiurandolo, dicendo : Voi disfarete me et
i miei et vituperrete. Ser Vanni, V0gg«ndo
ch'egli dioea il vero, per non vituperare né
parenti suoi né lui, gii ritenne. La mattina,
trovandosi Tuscia rotte et rubata la ssgxestia,
il podestà cercando di questo fatto et perohó
la oosa era grande, tutti quelli ohe per ye-
runo modo si potò pensare ohe fatto PaTes-
sono ftuono presi et richiesti et tormantati :
fra' quali fti preso uno Bampino figliuolo di
meeser Francesco Vwgelleei [Foresi, secondo
Lana, Benv., Buti, Land.] et tanto ta tor-
mentato che questo disse dò che il rettore
volle udiro. Fugli assegnati tre di ad avere
accond i fatti sud: la novella si spande, et
questo viene agli oieocld di Vanni Fuod. ▲
Vanni inorobbe di questo giovane, ch'era suo
amico : mandò per meeser Francesco, che gli
volea pailaro per scampo del figliuolo. Ito
messer Francesco a Vanni dove egli era,
fuori di Pistoia, Vanni gli disse ohe gli volea
campare il figliuolo et volea innanzi avere
vergogna ch'egli morisse; et pd gli disse
come avea tolte quelle cose et messe in oasa
di ser Vanni. Questi [Fzanoesoo] tomo lieto
a Pistoia; et detto il fatto al podestà, mandò
et trovò ch'egli era vero, et rìebbonsi le ooae ;
et il Rampino fti libero, et i odpevoli otm-
dennati ». Secondo le ricerche di 8. Ciampi
{Noti%i6 inediU cMla sagrestia pisM^» iW bòUi
taredi ecc., Firenze, 1810, ^. 68 e segg^.),
INPERNO - CANTO XXIV
185
138 ladro alla sacrestia de* belli arredi ;
e £Edsamente già fu apposto altrui.
Ma perché di tal vista tu non godi,
141 se mai sarai di fuor da* lochi bui,
apri gli orecchi al mio annunzio, e odi:
Pistoia in pria di Neri si dimagra,
144 poi Fiorenza rinnova gente e modi.
Traggo Marte vapor di Val di Magra
oh' è di torbidi nuvoli involuto,
147 e con tempesta impetuosa ed agra
sopra Campo Picen fia combattuto;
di P. Bacd (Danto e Fornii Fuooi, Pistoia,
1892, • Du» docttm, m F. F,, Pift 1896) e
di altri, il Catto sarebbe stato un po' diyerso :
pare die nei pxìmi gioini del 129(3 ignoti la-
dri rompendo le porte della chiesa di San
Zenone tentassero di mbare gli oggetti pre-
nosi della cappella di san Iacopo e specialmen-
te le dae tavole d*argento con le imagini della
Valgine e degli Apostoli già coUocateri nel
1287; che del fVirto non consomato, ma so-
baente tentato, non si scoprissero gli autori
le non nel 1294 essendo podestà di Pistoia
Giano della Bella ; che il delitto fosse rivelato
da uno dei ladri, Vanni della Monna (della
Hoona, dicono i commentatori, alterando nomi
e cose), il qnale nominò come snoi compagni
Vanni Facci e Vanni Mironne; e che tra co-
loro, coi inginstamente s* appose il delitto,
fosse Bampino figlio di Bannocio Foresi, li-
beiato solo nel mano del 1296, quando tu.-
noo condannati 1 veri colpevoli. Ma i par-
ticolari del fatto non sono noti con certezza ;
efr. D*Oridio, pp. 44-47. — 188. alla sa-
crestia de* kf IH eoe. : nel Dnomo di Pistoia
la cappella di san Iacopo ha ancora l' altare
con lastre e Agore d' argento, che possono
dare nn' idea dell'antica ricchezza d*ori e d'ar-
genti, per la qnale era dettali iuoro di tan
bujpo : cfir. Bassermann, p. 149. — 141. lo-
chi bai: regioni infernali; cfr. Jn/l vm 93,
xu 86, zvi 82. — 14S. Pistola in pria ecc.
Preralendo in I^stoia, con 1' alato del fio-
rentini e specialmente dei Cerchi, la parte
M Bianchi, il podestà Andrea Qherardini
nel BSggio dol 1801 cacciò la parte dei Neri,
che d rìfaggirono in Valdinievole preparan-
dosi alla riscossa (cfir. Compagni Or, i 26;
Mark piatole$i, pp. 10-U); poi in Firenze
tra a 1301 e il 1802 la venata di Carlo di
Valob e la proscrizione dei Bianchi cam-
biarono gmU é modi di governo, perché la
città rimase in balia dei Neri (cfr. Inf. vi
67-69). L'antitesi à tra la cacciata dei Neri
da Pistoia e la cacciata dei Bianchi da Fi-
renze; però errano i commentatori, l qoali,
attenendosi al racconto inesatto di 0. Villani,
Or. rm 38| credooo c)ie Pente allada a ona
so^Msta venuta dei Neri pistoiesi a Firenze
a rinforzare i Neri fiorentini alatandoli a
trionfiare della parte avversa. — 146. Tragga
Marte ecc. I Neri pistoiesi, cacciati della loro
città nel maggio del 1301, s'onirono smbito ai
fiorentini e ai locohesi, eoi qoali l' anno se-
goente sotto il comando dol marchese Mo-
roello Malaspina (figlio di Manfredi I marchese
di Qiovagallo, soccesse al padre nel 1282e mo-
ri verso U 1816 : ebbe in moglie Alagia dei
Fieschi, solla qnale cfr. JWy. xix 142) posero
l'assedio al castello di Serravalle, posto tra la
Val di Nievole e Pistoia, che poi si arreso
dopo accanita resistenza nel settembre dol
1802 (cfr. Compsgni, O. i 27 ; G. VUlani,
• Or. vm 62; lat. pittai, pp. 19-24). • 146.
eh* è di torkldi noTell eoe: il modo ima-
ginoso, col qoale Dante rappresenta l'appari-
zione e le vittorie dol Malaspina, sopors o
fulmine di gnerxa, fa forse soggerito al poeta
dal ricordo della cometa del settembre 1801,
della qoale O. '>^llani, Or, vm 48, scrive :
« apparve in cielo ona stella cornata con gran-
di raggi di fommo dietro, i^»parendo la sera
di verso il ponente, e dorò infino al gennido
[1802] ; della quale i savi astrologi dissono
grandi significazioni di fbtari pericoli e danni
alla provincia d' Italia e alla città di Firenze,
e massimamente perché la pianeta di Saturno
e quella di Marti in quello anno s'erano con-
giunte due volte insieme : . . singolarmente
si disse che la detta cornata significò l'avven-
to di messer Carlo di Valos ». — 148. sopra
Caspe ecc. Dopo la caduta di Serravalle e
di altri casteUi pistoiesi U difesa dei Bianchi
si restrinse entro la città di Pistoia; alla
quale i Neri alleati posoro assedio, durato più
mesi, sotto il comando del Malaspina, fino a
che nell'aprile 1806 la città dovette arrendersi
per fame e i Bianchi perdettero l'ultimo loro
baluardo. Al duro e vigoroso assedio (tempe-
sto ecc.) da parte dei Neri sembra ohe si al-
lada sulla fine delia profezia; nella quale le
parole Campo Piceno designano genericamente
il territorio ove sorge la città di Pistoia, non
un luogo determinato che fosse cosi denomi-
nato : e tale desì^nazioi^e oooorre in antichi
186
DIVINA COMMEDIA
151
ond'ei repente spezzerà la nebbia,
si ch'ogni Bianco ne sarà feruto:
e detto l' ho, perché doler ti debbia ».
cronisti (cfir. nel De orig. eU/U, in Haitwig,
Quetian dt I 60; in G. Villani, vm 52), è
esplicita in Iacopo di Dante (« Campo Piemo^
il quale sito Pii>toia s* intende >) e procedette
senza dubbio dalla falsa interpietaslDiie di nn
passo di Sallostio, CaHUn, cap. 67, ove par-
landò delle Dazioni di Catilina nel pistoiese ri-
corda anche le legioni che Q. Metello Celere
arerà alloam < in agro Piceno >. Solla que-
stione si Teda il Biuwermanii, pp. 165-168,
616-619, che ne ha dato la migliore solozione.
— 161. e detto eco. e questi fistti io ti ho vo-
luto annunziare, perché ta ne senta dolore,
come di cosa contraria agli interessi della tua
parte : cos( Vanni Food riassome e compie ▼!-
goroeamente ciò che ha detto nei yt. li()-142.
CANTO XXV
stando siili *argine i poeti osserrano altri dannati della settima boi ci a,
tra 1 quali il gigante Caco, e assistono alle tramutazioni meravigliose di
uomini in serpenti e di serpenti in nomini, riconoscendo i fiorentini Agnello
Bmnelleschi, Bnoso Abati, Puccio Oaligai, Cianfs Donati e Francesco CaTal-
canti [9 aprile, Terso l^ora del mezzogiorno].
Al fine delle sue parole il ladro
le mani alzò con ambedue le fiche,
3 gridando : « Togli, Dio, eh* a te le squadro >.
Da indi in qua mi fùr le serpi amiche,
perch' una gli s'avvolse allora al collo,
6 come dicesse : € Io non vo' che più diche » ]
ed un'altra alle braccia, e rilegollo
ribadendo sé stessa si dinanzi
9 che non potea con esse dare un crollo.
Ahi, Pistoia, Pistoia, che non stanzi
XXV 1. Al flne ecc. Vanni Facci, per
dare più compiato sfogo a quella passione rab*
biosa che gli aveva posto in booca la predi-
zione rÌTolta a Dante con iraconde parole (Inf,
XXIV 183-161), fo seguitare al suo discorso
un atto empio di irriverenza verso Dio, che
Io aveva colpito con severa giustizia. — 2.
le mAni alxò ecc. levò Io mani al cielo fa*
ccndo con esse le fiche, che ò atto derisorio
consistente nel porre il dito pollice tra T in-
dice e il medio e volger cosi la mano verso
alcuno. Sull'origine di questo atto disprogia-
tivo si cfr. Nannucci, Verbi 134; e si noti
che doveva esser proprio dei pistoiesi, se nella
loro rocca di Carmignano, presa nel 1228 dai
fiorentini e disfatta, era e una torre alta sot-
tanta braccia, e ivi su due braccia di marmo,
che faceano con le mani le fiche a Firenze »,
secondo che narra G. Villani, O. vi 6. —
8. Togli ecc. : si ossorvi che questa voce iogliy
con valore quasi d' esclamazione , d usuale
nella lingua antica, mas. ime quando il discor-
so si accompagna a on atto di scherno o di
violenza; cosi nel Dee. g. ix, n. 4, i Saro-
cini gittando in mare 1* uccisa amante di Ger-
bino gli dicono: e Togli, noi la ti diamo qnmX
noi possiamo». — 4. Da lodi eco. Le serpi
fecero subito la mia vendetta e quella di Dio,
poiché una s'avvolse alla gola del peccatore
come per impedirgli di continuare il sacril^o
discorso e un' altra gli avvinse le braccia
perché egli non potesse ripetere l'atto di
scherno. — 8. rlbadeado stf stessa eoe ri-
congiungendo si fortemente il capo e la coda,
che il peccatore cosi rilegato non poteva piò
fare alcun movimento.-;- 10. Ahi, Pistoia ecc.
Questa invettiva contro Pistoia e la sua por-
versa cittadinanza, suggerita a Dante dalla
vista di Vanni Fucd, è l'espressiono di on
sentimento comune nei fiorentini antichi, i
quali credendo che quella città fosse stata
edificata dai superstiti dell'esercito di Cati-
lina giudicavano anche che non fosse da me-
ravigliare (cosi Q, Villani, Or, i 32) < se i pi-
INFERNO - CANTO XXV
187
d' incenerarti si che più non duri,
12 poi che in mal fare il seme tuo avanzi?
Per tutti i cerchi dell'inferno oscuri
non vidi spirto in Dio tanto superbo;
15 non quel che cadde a Tebe giù da' muri.
Ei si fuggi, che non parlò più verbo ;
ed io vidi un centauro pien di rabbia
18 venir chiamando: «Ov'è, ov'è l'acerbo?»
Maremma non cred'io che tante n'abbia,
quante bisce egli avea su per la groppa,
21 infìn ove comincia nostra labbia.
Sopra le spalle, dietro dalla coppa,
con l'ale aperte gli giacea un draco;
24 e quello affoca qualunque s'intoppa.
Lo mio maestro disse: € Questi è Caco,
che sotto il sasso di monte Aventino
27 di sangue fece spesse volte laco.
Non va co' suoi fratei per un canmiino,
per lo furto che Redolente fece
80 del grande armento, ch'egli ebbe a vicino;
•toleei 80II0 Itati e sono g«nte di gnam fleil
• emdeli intn loro e oon altrai >. F«r questo
gli antichi commentatori, Bnti, An. fior.,
Liad. eoo. intendono 1* ultimo Tene della
terzina oome se Dante aTssse Tolnto diie ohe
i pistoieei del soo tempo snperayano di mal-
ngità i pistoiesi antichi «stratti del sangue
A Oatemna ». — ehd nea stanai eoo. perché
non deliberi di distruggerti da te stessa, ri-
iuoendoti in cenere ocnne il tuo Vanni Fuod?
— ia.9el che in auil flure eco. ayanzi, su-
psri non* operaie il male i tool stessi fon-
datori, che ftirono uomini iniquissimi. —
li. noB TÌàì ecc. non incontrai alonno spi-
nto cosi superbo oontio Dio come Vanni
fnod; n6 pure Capaneo: cfr. Jbtf, xiy46 e
■egg. — 16. «he bob eco. senza dir più una
ptiola. — 17. un eentaare ecc. Costai che
insegne Vanni Fucoi è Caco, famoso ladrone
figliuolo di Vulcano, nppresentato dagli an-
tichi poeti oome uomo bestiale e detto da Vii^
gilk) neczo uomo e mezzo animale {En, vm
Idi, 267) : Dante perdo ne Hs un centauro*
tlM è separato dai suoi compagni del settimo
eereUo (Btf. zn 66 e segg.), per il ftirto com-
■eew a danno di Ercole. •— 18 ot' è l*a«er-
bel doT» è floggito l'indomito e superbo
Vaimi Fuccit — 19. Mareama eco. La Ma-
ramaa toaoana, piena di bocchi e di paludi
(efr. Inf, xxn 9), era assai abbondevole di
ittpi, tanto che il Buti racconta che « a Vada
^ QUO monaaterio bellissimo, lo quale per le
Nrpi si dice essere disabitato » : cosi Caco,
riisuto tra i boschi e le caveme del monte
Aventino, era tutto ricoperto di bisce. — 21.
InllB ecc. iino a quella parte ove cominciava
la Agora umana (cfr. Jbtf. xi 81-82) : sul nome
labbia oSr, Purg. zxra 47. ~ 22. dietro dalla
eepfa: nella parte posteriore del capo: la
oon», dice TAn. fior., è « quello concavo che
fanno le spalle di rietro, sotto il nodo del
coUo . ; cfr. Parodi, Butf . HI 160. — 28. nn
draeos Virgilio dice che Caoo vomitava flamr
me dalle «sud (Eiu vra 261 e segg.); e Dante
trasforma cotesto particolare oon maggior con-
formità alle credenze medioevali imaginando
un dragone, che addossato alle spalle di Caco
abbrucia qualunque persona o cosa s' imbatta
in lui : cfr. Moore, 1 176. — 25. <{nestl h Caco
ecc. Virgilio racconta che Caco viveva in una
grotta del monta Aventino, nella quale erano
sempre segni palesi di stmgrl recenti ; cfr. Bn.
vxn 198 : « Hio spelunca foit, vasto submotiw
rooessu ; Semihominia Cad fades quam dira
tenebat, Solis inaocossam radila : eemperquo
recenti Caode iopebat humus ; foribusque af-
fisa superWa Ora vlrùm tristi pendebant pai-
Uda tabe ». — 27. él saagae ecc.: cfr. univ
simile eeprossiono In Pvrg. v 84. — 29. p^^
lo farto eoe. Caco rubò con frode, polcs^è a
toglierò gr Indizi dol ratto fece canunii^'l
»U' indietro, traendoU sinoaìla sua «p^v^^
i tori o lo. grlovenohe sottratte a ^Et^^ ^1
qnale venendo ^^ Spagna con gU arm^ ^ U
1 re Gerione (cftr. Inf. rvn 1) s'era f^rW
tn lungi daU' Aventino (cfr. Yirg., ^^^^^
188
DIVINA COMMEDIA
onde oessàr le sue opere biece
sotto la mazza d'Ercole, che forse
83 gli ne die cento, e non senti le diecc ».
Mentre che si parlava, ed ei trascorse;
e tre spiriti venner sotto noi,
3G de'quai né io né il duca mio s'accorse,
se non quando gridar: € Chi siete voi ? »
per che nostra novella si ristette,
09 ed intendemmo pure ad essi poi.
Io non li conoBcea; ma ei seguette,
come suol seguitar per alcun caso,
42 che Pun nomare un altro convenette,
dicendo : € Cianfa dove fìa rimase ? >
per ch'io, acciò che il duca stesse attento,
45 mi posi il dito su dal mento al naso.
Se tu sei or, lettore, a creder lento
ciò ch'io dirò, non sarà maraviglia,
48 ohe io, che il vidi, appena il mi consento.
Com'io tenea levate in lor le ciglia.
206 e segg.). — 31. ep^re bleee: azioni scel-
lerato e ree; sulla forma bieee c£r. Par. ti
186. — 83. ■•Ito la nassa eco. Ercole, ac-
cortosi del Airtoi assali Caco nella sua grotta
e lo accise strostandolo (ofr. Virg., Wn. vm
266 e segg.): Danto imagina inreoe che l'eroe
facesse oso della dava, percotendo Caco di
moltissimi colpi, sebbene ei fosse gii morto
ai primi. — 84. Untitt ecc. Si noti il n^ido
passaggio dalla ooetrozione subordinata alla
coordinata (menir$ ck§ $i portava,., e tn tpi'
rUi vmiMr ecc.X assai frequentemento usato
dagli antichi per esprimere la contempora-
neità delle adonL — 88. nostra BOTsUa ecc.
il racconto che Virgilio mi iéceva della leg-
genda di Caco fti intorrotto e noi attendemmo
solo al nuovi venuti. — 40. Io nei 11 eo-
■oseea ecc. Qui incomincia il mirabile rac-
conto drammaticamento grandioso delle tra-
mutazioni dei ladri fiorentini : all' intelligenza
piena del quale è utile notare sin d'ora che
i tre venuti sono Agnello dei Brunelleschi,
Buoso degli Abati e Puccio dei Galigai (w.
40-48, 68, 140, 148-160); poi viene in figura
di serpente a sei piedi CianfìEi dei Donati e si
incorpora con Agnello dei Brunelleschi (w.
4d-78) ; finalmente viene in figura di piccolo
serpente Francesco dei Cavalcanti e si tra-
muta di natura con Buoso degli Abati (w.
79-141). — ei segaette ecc. accadde, corno
suole avvenire casualmente, che uno dei tre
disse il nome d' un compagno : un caso non
dissimile succederà a Dante nell' Antenora ;
cfr. Inf. mn 106. — 43. Ciaafls dove ecc.
Dove sarà mai rimasto Cianfa, nostro com-
pagno? Cianfa Donati, vivente nel 1282, f^
cavaliere e della nobile ùuniglia gueli^ cho
capitanò poi la' fasione dei Neri ed ebbe dal
popolo il motto di casata di MaUfàmi (e. Vili.,
Or. vm 89): «mirabile ladro » lo chiama il
Lana, ma né egli né gli altri commentatori
antichi sanno aggiungere notizie certo di lui.
— 44. por eh' lo eco. Dal nome del suo con-
cittadino d^ Donati, ch'ei sento pronunziare
a uno dei tre spiriti, Danto axgomenta cho
essi Siene fiorentini; e desideroso d'averne
pi6 sicuri indizi raccomanda a Virgilio il si-
lenzio con un atto naturalissimo, ponendosi
il dito sulle labbra. « È bello, osserva il Biag.,
questo linguaggio della natura, ed opportuno
assai in questo luogo, perché se avesse Danto
parlato, quegli spiriti, inteso il parlar toscano
sarebbersi dileguati >. — 46. 8e ts sei eoe
Qui comincia la soena della oompenetraziono
di due figure In una sola ; un uomo ed un
serpento. Agnello e Cianfa, confondendosi in-
aieme, diventano « membra ohe non fftr mai
visto » : però Danto prepara il lettore alla
gran meravi^^ e, sotto colore di scusare la
sua renitenza a prestar fede al singolarissimo
racconto, lo predispone a crederlo, con l'af-
fermazione d' aver visto esso il fatto descrìt-
to. — 49. GoM'lo eoo. Si osservi la finicyinia
arto di questa descrizione notando come Danto
distingua 1 tre momenti principali del fatto :
il rìawidnamento delle due figure, che si
stringono come l'edera all'albero (w. 60-60);
la compenetrazione dell'una nell'altra, che si
compie lentamente, come il graduale avan-
zare del nero sul bianco nel papiro acceso
INFERNO - CANTO XXV
189
ed un serpente con sei piò si lancia
61 dinanzi all'uno, e tutto a lui s'appiglia.
Coi piò di mezzo gli avvinse la pancia
e con gli anterìor le braccia prese;
54 poi gli addentò e l'una e l'altra guancia.
Gli deretani alle cosce distese,
e misegli la coda tra ambedue,
57 e dietro per le ren su la ritese.
Ellera abbarbicata mai non fue
ad arbor si, come l'orribil fiera
60 per l'altrui membra avviticchiò le sue.
Poi s'appicc&r, come di calda cera
fossero stati, e mischiar lor colore;
63 né l'un né l'altro già parca quel ch'era,
come procede innanzi dall'ardore
per lo papiro suso un color bruno,
66 che non ò nero ancora, e il bianco more.
Gli altri due riguardavano, e ciascuno
gridava: €0 me, Agnòl, come ti muti!
(tt. 61-70); e finalmente U nnoro aspetto ri-
•oHante dalla fosione delle flgwe primitive,
per il quale fl poeta non può troTaxe ona
ifflagine adagnata nel mondo deUa realtà, poi-
ché era di membra non mai yifte (tt. 71-78).
A. Dobelli, Butt. TV 17, nota acntamente ohe
•oche (Mdio, MeL nr 860>-882, deecriTendo la
formanone di Ermafrodito, procede per qne-
ite tre gradazioni medesime: l'aTrincond
della ninfa all'amato giorinetto; la conrti-
done dei due corpi ; l'apparire di nna figura
anoTa e composita. — 66. deretani: piedi
postoiioTì. — 68. EUera abbarbicata eco.
Comparazione stupenda, che può credersi
suggerita da nn'imagine di Gridio {MeL it
365), più tosto che derirata, comò dicono
i commentatori, dai versi d'Onudo, Epod,
XT 5 : « Arctins atque hedera prooera ad-
ttringitnr ilex. Lentia adhaerens brachiis > :
fa imitata dall'Ariosto, Ori. vn 29 : € Non
cosf strettamente edera preme Pianta ore in-
tomo abbarbicata s' abbia, Come si stringon
li dne amanti insieme >. — 61. come di ealda
cera ecc. L' idea £ questa comparazione se-
condaria, che rende cosi bene l'immedesi-
aaxai dei due corpi, procede da Lucano (cfìr.
T. 94), là doTO parla della morto di Sabello,
Fhn, IX 781 : « Colla oaputque fiunnt ; ca-
lido non ocjus austro Nix resoluta cadit, neo
tiolem cera sequetur». — 68. mi Vum né
Taltro ecc. il colore dell'uomo e il colore
dM serpente, per il compenetrarsi dei dne
corpi, aTorano perduto l'aspetto prìmitiTo e
dato origine a un terzo colore indeciso ; come
^wÀeohr urtino che jmwsdf tmiafu^ alla fiam-
ma ptr h papko tu$Ot il quale color bruno
non d ancora nero ma non d pi6 bianco. —
66. lo paplres antica è la divergenza d'opi-
nioni circa questa parola, poiché B«ìt. dice
che si pud intendere del lucignolo della can^
dola 0 della carta bambadna bianca : « utia-
que enim est eadem compazatio, et pap jma
habet ista diversa significata». Sono per la pri-
ma interpretazione, d^ lucignolo formato con
U midolla del giunco, Ott, Buti, Land., Veli.,
Lomb., confermandola i moderni con la te-
stimonianza di Pietro Crescenzio, Trattato
di agrieolturaf ed. B. Serio, Verona, 1861, il
quale (vi 96) scrive che «il papiro ti dice
quasi nutrimento del fàooo imperò che sec-
cato è molto acconcio a nutrimento del Aio-
co nelle lucerne e nelle lampane » : sono in-
vece per r altra, della carta bambadna già
in uso ai tempi di Dante, Lana, An. fior.,
Vent, Ces., Blanc; il quale osserva che nella
carta il color bruno procede in su avanti alla
fiamma, mentre nel lucignolo accade il con-
trario; ma non d argomento sufilciente per
escludere la prima interpretarione che pare
essere più naturale : tanto più che per ìopa^
piro eueo non significa altro 9he nella parte
superiore del lucignolo, in quella parte ohe d
scoperta e dà fiamma. — 68. 0 me eco. : escla-
mazione, che nella sua semplicità esprìme
bene la forte impressione che sui dannati fa
la tramutazione del loro compagno. — Agaels
gli antichi commentatori Lana, Benv., Buti,
Pietro di Dante, An. fior. ecc. dicono sola-
mente che questo peccatore fa Agnello o
Agnolo dei Brunelleschi, fami^^ di grandi di
190
DIVINA COMMEDIA
69
78
81
vedi clie già non sei né due né uno ».
Già eran li due capi un divenuti,
quando n'apparver due figure miste
in una faccia, ov'eran due perduti.
Fèrsi le braccia due di quattro liste;
le cosce con le gambe, il ventre e il casso
divenner membra che non fOx mai viste.
Ogni primaio aspetto ivi era casso:
due e nessun Pimagine perversa
parea, e tal sen già con lento passo.
Come il remiarro, sotto la gran farsa
de* di canicular cangiando siepe,
folgore par, se la via attraversa ;
si pareva, venendo verso l'epe
parte ghibeUina che nelle divisioni del 1800
furono coi Bianchi e poi passaiono ai Neri;
lo CfMoae an, dicono di Ini: < Questo Agnello
ta de' Bronelleechi di Firenze ; e infine pic-
ciolo rotava la boita al padre e a la madre,
poi votava la cassetta e la bottega e imbo-
lava : poi da grande entrava per le case al-
tnd e vestfasi a modo di povero e Cadasi la
barba di vecchio, e però il fia Dante cosi tra-
sformare per li morsi di quello serpente oomo
fece per furare >. — 69. vedi ecc. Questo
verso e un altro pi6 sotto (v. 77) ricordano
il luogo di Ovidio, ov* è descritta la forma-
zione di Ermafrodito (Met, iv 878): «Neo
duo sunt et forma duplex, neo femina dici
Nec puor ut poesint; neutrumque et ntrum-
que videntur» : ofr. Moore 1 213. — 71. due
flgnrt ecc. due sembianze confuse in un solo
volto, noi quale s'erano perduti e quasi di-
leguati i due primitivi aspetti dell' uomo e
del serpente. Anche qui sembra continuare
la reminiscenza ovìdiana (IM. nr 878) : « Nam
mista duorum Corpora iunguntur, faciesque
inducitur illis Una ». — 78. Fdrsl le braccia
eoe. delle quattro tìtts, arti anteriori, cioè
delle due braccia dell'uomo e dei due piedi
d'avanti del serpente, si formarono le due
braccia del nuovo essere. Male il Buti intendo
le quattro UsU come quattro colori delle nuo-
ve braccia, ciascuna deUe quali fosse listata
di colore serpentino e di umano ; poiché i
colorì resterebbero sempre due soli. -^ 74.
casso : cfr. Inf. xn 122. — 75. dircnner ecc.
A questo punto Dante non poteva trovare
alcuna similitudine adeguata, perché il corpo
che risultò dalla compenetrazione dell' uomo
con il serpente doveva essere al tutto ftiori
della natura: però si limitò a notare che le
singole membra erano quali nessuno vide mai,
avevano perduto ogni forma primitiva, e ave-
vano formato una figura tra d' uomo e di
serpente, ma senza i caratteri doli' uno o dol-
l'altro. — 79. Come eco. Passa Dante a de-
scrivere un' altra mirabile scena, il tramo-
tarsi vicendevole di Francesco Cavalcanti,
ch'era seipente, in uomo e di Buooo degli
Abati, ch'era uomo, in serpente : azione molto
complessa nel suo rapido svolgimento, della
quale il poeta, cogliendone e rendendo con
tóochi efflcaoi i momenti più salienti, fa una
rappresentazione cosi viva e grandiosa che
passa i termini soliti dell'arto umana. Anche
questa soona ha tao momenti ben distinti :
V incontrarsi dal due esseri, che devono tra-
mutarsi, e i primi effetti generali della tra-
fittura che il serpente fa all'uomo (w. 79-98);
la vera liamntazione, per la quale lo mem-
bra di ciascuno vanno a poco a poco assu-
mendo la forma di quelle del compagno (w.
10B-1S6); l'effetto finale, per cui l'uomo di-
venuto serpente e il serpente divenuto uomo
tanno dimostrazione della nuova natura as-
sunta da dascuAO di essi (w. 186-141). Fra
il primo e il secondo momento il poeta con
un felice richiamo di metamorfosi descritte
da' poeti dassid prepara il lettore alla no-
vissima deoaidone della duplice tramutazione
di membra, che ò il punto culminante di tutta
la scena (w. 94-102). — Il ramarro occ
La comparazione del ramarro, specie di la-
certola, che nei caldi giorni d'estate traversa
la via da siepe a siepe con fulminea rapidità,
ò già in germe in questi vervi d'Orazio, Od.
in 27, 6: «Bumpat et serpens iter institu-
tum Si per obliquum similis sagittae Terruit
mannos ». — forsa : « calura » sinegano Lana
e Benv., ma meglio il Buti, seguito da quasi
tutti i moderni, intendo ohe sia pw ftrxa
(Inf. zvm 85, 81) con senso traslato che an-
cora ò dell'uso per indicare la violenza doi
raggi solari: cfr. Parodi, BuU, m lOL — 80.
di eaaleular: i giorni della Oanioola, dal 21
luglio al 21 agosto, quando il sole ò nella co-
stei laziono del Cane maggioro. — 82. terso
INFERNO — CANTO XXV
lÒl
degli altri due, un serpentello acceso,
84 livido e nero come gran di pepe.
£ quella parte, onde prima è preso
nostro alimento, all'un di lor trafisse;
87 poi cadde giuso innanzi lui disteso.
Lo trafitto il mirò, ma nulla disse;
anzi coi piò fermati sbadigliava,
90 pur come sonno o febbre l'assalisse.
Egli il serpente, e quei lui liguardava:
Pun per la piaga, e l'altro per la bocca
93 fummavan forte, e il fummo si scontrava.
Taccia Lucano omai, là dove tocca
del misero Sabello e di Nassidio,
9G ed attenda ad udir quel ch'or si scocca.
Taccia di Cadmo e d'Aretusa Ovidio;
cbé, se quello in serpente e quella in fonte
' 99 converte poetando, io non lo invidio:
che due nature mai a fronte a fronte
non trasmutò, si ch'ambedue le forme
102 a cambiar lor materia fosser pronte.
Insieme si risposero a tai norme,
Peyt eoe. reno Baoso degli Abati e Pacdo
M Oaligai, che averano flgont unum». —
•pc: cfr. Inf. XXX 102. — dS. «b eirpeB-
MDe eoo. vn lexpente aooeeo d' ira, Fran-
eMoo dei OaralcantL — 86. «Bella parte
eoe. rombeUioo, donde raomo nel periodo
deOa geatazione aeeorlìe l'alimento ; ò dotto
il oonfòmità alle dottrine antiche, abban-
èonat» o nodificate dai moderni. — 86. al-
Pn: a Biioao degU Abati. — 88. Lo trafitto
tee. n ■iìft»**'* e lo sbadigliare di Booso sono
i natomi eh' eg^ era per perdere la eoa na-
tala umana, come il cadòe del serpente è
Mgio eh' e|^ è per perdere la mobilità della
na natola. — 92. KgU U aerpeata eoo. L'ao-
Bo e il serpente, guardandosi l' nn l' altro,
BsadaTaao fuori l'ano dalla piaga e l'altro
Ula booea un fama intenso; mediante il
qnsle dna nature diverse si tramutayano:
ialatti, quando la metamorfosi d oompinta,
il testo cessa. — 94. Taeela LaeaBO eoe.
Laoano nella Fara, a 784 e segg. deecrive
h morti dolorose di parecchi soldati romani
iaa'eseraito di Catone, i qnali furono morsi
dsi lecpenti del deserto libico ; tia ooteste
KQcti, t<rgrti^T4 sono quelle di Sabello e di
KamiAo: il primo dei qnali essendo stato
Boao dal serpente ssps incomineid a dissol-
Tersi in modo ohe in brevissimo tempo tatto
il no corpo si ridusse in un pugno di cenere,
eone se fosse stato bruciato sul rogo {Fatrs,
a 761-788) ; e il secondo, ferito dal serpente
che chiamano pnaUr, inoomindò a dilatarsi
e ad enfiarsi, tanto ohe scoppiò la lorica e
il sno oorpo perduta ogni umana sembianza
si ridusse in una gran massa informe {Fatrs.
iz 789-804). — 96. ed attenda ecc. e ascolti
la meravigliosa trs sformazione, ch'io sono
per descrivere. — si scocca s ott. Puirg, xxv
17. — 97. Taeela 41 Cadmo eco. Ovidio,
ÌÙL IV 668-604, deecrive la trasformazione
di Gadmo, il mitico fondatore di Tebe, in un
serpente, oon certi particolari, dei quali si
valse Dante (cfir. w. 184, 137); e lo stesso
poeta, MeL v 673-671, racconta come Are-
tusa, una delle Nereidi seguaci di Diana, in-
seguita da Alfeo, fosse dalla dea convertita
in una fontana. — 9U. le bob lo Invidio ecc.
non invidio l'arte sua, poiché Ovidio nel suo
poema delle ìùtcmorfoai non tentò mai la
descrizione di un fatto cod straordinario quale
è il tramutarsi oontemporaneamente di due
nature diverse : tìti. per altro le note ai w.
69 e 71. — 101. ambedue le forme ecc. le
due nature, l' umana e la serpentina, fossero
pronte a cambiare ciascuna la propria parte
materiale in quella doli' altra. — 103. Insieme
si rlspesero ecc. La tramutazione delle mem-
bra dei due dannati incominciò, per mutua
influenza delle due nature, con tale regola
che prima il serpente divise la coda in dae
parti e l' uomo ristrinse insieme i piedi, le
gambe e le cosce in modo ohe non rimase
più alcun segno manifesto della linea di con-
192 DIVINA COMMEPTA
che il serpente la coda in forca fòsse,
105 e il feruto ristrinse insieme Porrne.
Le gambe con le cosce seco stesse
s'appiccftr si che in poco la giuntura
108 non fieicea segno alcun che si paresse.
Togliea la coda fessa la figura,
che si perdeva là, e la sua pelle
111 si facea molle, e quella di là dura.
Io vidi entrar le braccia per P ascelle,
e i due piò della fiera, ch'eran corti,
114 tanto allungar quanto accordavan quelle.
Poscia li piò di retro, insieme attorti,
diventaron lo membro che Puom cela,
117 e il misero del suo n'avea due pdrtL
Mentre che il fummo Puno e l'altro vela
di color nuoYO, e genera il pel suso
120 per P una parte, e dall'altra il dipela,
Pun si levò, e P altro cadde giuso,
non torcendo però le lucerne empie,
123 sotto le quai ciascun cambiava muso.
Quel ch'era dritto il trasse vèr le tempie,
e di troppa materia, che in là venne,
126 uscir gli orecchi delle gote scempie;
ciò che non corse in dietro e si ritenne
di quel soverchio, fé' naso alla faccia,
129 e le labbra ingrossò quanto convenne.
ginnzione. — 104. ftftMS cf^. bif, xn 119. trunntazione dog^ aiti inferiozi • laperìori
— 105. ormt: piedi; per una fàcile evolo- fra le due figure, il fumo, maailbstazloiie
rione logica del senso proprio {Inf, ym 102, delle doe diverse nature, dà a quel che eia
PMtrg, V 2 ecc.). — 109. T«gliea la t%ém serpente il colore umano e a quel ohe ei«
ecc. ,La coda del serpente, divisa in dae nomo il colore secpentino, e sul primo & ore-
parti, assumeva a poco a poco la Agora delle scere i peli mentre li fa sparire dal secondo :
gambe nmane, che veniva meno nell'uomo; allora l'uno ti alza sai piedi, perdhó d pi6
e la pelle del serpente diventava molle e li- nomo che serpente, e l' altro cade disteso %
scia come l'amana, mentre qnella dell' nomo terra, perahA è "pA. serpente che uomo; ma
diveniva dora e scagliosa come la serpenti- non cessano di goardarsi fisamente, pérohó
na. — 112. Io vidi eco. Le braccia rientra- la tnunatarione non ò ancora finita, dovendo
rono per le ascelle nel corpo dell' nomo che tra le dae figure avvenire lo scarnino dei
diventava serpente, e i due piedi anteriori vólti. — 128. setle le qnal eco. : oft. il ▼.
del serpente eh' erano corti e' allongarono 91. — 124. Qnel di' era eoo. H serpente, di-
sino ad avere la misora di braccia nmane. ventato nomo, ritrasse il moto verso le tam-
— 116. Posela li pie ecc. I piedi posteriori pie per aoeoroiario e appianarlo, ridacendolo
del serpente s' attorcigliarono insieme a for- a viso ornano ; e della soverchia materia che
mare il membro virile^ della noova figora si ritirò indietro si formarono gli orecchi galle
umana, e il membro dell'uomo si divise a gote che prima n' erano prive, e di una parte
formare i piedi posteriori della noova Agora di quella soverchia materia fermatasi a mezzo
serpentina. — 117. due pftrtl : due piedi di- il volto si formò il naso e s'ingrossarono lo
stesi, come convenivano a corpo di serpente: labbra qoanto conveniva a Agora omana. —
fòrti è dal vb. pcrgtre nel senso di sporgere, 127. ciò che ecc. Si costruisca : ciò che di
stendere. — 118. Mentre ecc. Compiata la qoel soverchio non corse indietro eco. ^-
INPERNO — CANTO XXV
193
Quel ohe gìacea il muso innanzi caccia,
e gli oreccH ritira per la testa,
1S2 come face le coma la lumaccia;
e la lingua, che avea unita e presta
prima a parlar, si fende, e la forcuta
185 nell'altro si richiude, e il fummo resta.
L'anima, ch'era fiera divenuta,
sufolando si fugge per la valle,
138 e l'altro dietro a lui parlando sputa.
Poscia gli volse le novelle spalle,
e disse all'altro: cl'yo'che Buoso corra,
141 com' ho fatt' io, carpon per questo calle ».
Cosi vid'io la settima zavorra
mutare e trasmutare; e qui mi scusi
144 la novità, se fior la penna abhorra.
130. Qo«l éh9 ffUM* Mo. L'uomo, direnuto
tnpent», aUimgd il miuo, d che preodeese
ignm aecpentina e ritrasse dentro al capo
gli oceedd. — 182. e«me fftee eoe. come la
huBsca ritira le corna, qnando ò toccata. Si
noti come dall' osserrnione dei più semplici
htd natorali Danto sappia trarre materia
d'imaginl rivissime ed eflScaoi. — 188. • la
Unyaa ecc. finalmente la tranratadone si
ooaipie, quando la lingua di colai ch'era già
lomo al scinde direntando biforcuta, come
gii antichi credeyano essere quella dei ser-
penti, e quando la lingua di colui che prima
era sapente richiudendosi diviene umana:
sUora oeasa il ftuno. — 134. si fendei cfr.
Or., M0t. !▼ 685, di Oadmo : « Die quidem
Talt phuna loqui ; sed lingua repente la par-
tes est fissa duas ». — 186. L'aalma eoo.
L'anima di Buoeo assunta la sembianza ser-
pentina fugge fischiando, come è proprio dei
ssrpenti; e qu^la del Oaralcanti, che ha
preso flgon umana, sputa dietro si compa-
gno, mentre parlando dimostra la sua nuova
natora. — 187. 8«f«lando oco. Ov.« Md, iv
686 : « nec verba volenti Sufflciunt, quoties-
qne aliquoe parat edere questus Sibilat : hanc
iUi vocem natura reliquit». — 1S8. sputa s
il Torraca molto acutamente spiega l'atto
dello ^lutan, che il Cavalcanti U dietro a
fiooso divenuto serpente, come una specie di
■congiuro, dipendente dalla superstiziono che
lo sputo dall' uomo avesse efficacia di veleno
sopra i serpenti: cosi s'intendono assai me-
gdo anche le paiole da lui soggiunte, rvo* eh$
Bmw ecc., che accennerebbero all' effetto
4aQo scongiuro. — 189. Poseia gli volse
see. n Cavalcanti, ripresa figura umana, volse
k tMstts spaile, quelle che recentemente s'e-
nao formate sovra il suo dosso, al compagno
cbe teggiva par la valle. — 140. Baoso t se-
JUàjm
oondo la testimonianza autorevole del Lana
e di Pietro di Dante, fu degli Abati, fami-
glia di grandi di parte ghibellina, ma altri
antichi, Ott., Benv., Buti, An. fior, dicono
ch'ei fosse dei Donati; e veramente Buoso
dei Donati, ricordato nell' estimo fiorentino
del 1268 e nella pace d^ card. Latino del
1280, d personaggio dantesco, perché di lui
finse il corpo e la voce Gianni Schicchi dei
Cavalcanti Iklsandone il testamento (cfr. Bif.
zxx 82) : ma era facile la confusione tra due
Buod, l'Abati che si tramuta col Cavalcanti
nella bolgia dei ladri, e il Donati che da un
altro Cavalcanti fu falsato ; nò sarebbe na-
turale che Dante introducesse qui due della
stessa famiglia (dei Donata ò Cianfa, cfr.
V. 48). L' An. fior, aggiunga (he Buoso « et
in ufficio et altrove, avendo fatto dell' altrui
suo, non possendo pili adoperare, e forse com-
piuto l' ufficio, mlsse in suo luogo (non però
che coli' animo non fosse sempre bene dispo-
sto, ma come d detto non toccando più a lui)
misse in suo hiogo messer Francesco chi»*
mate Guercio de' Cavalcanti >. — all' al-
tro : a Pucdo Sciancato (v. 148). ~ 141. ear-
poB ecc. strisciando come serpente; Bambagl.:
< earpone in fiorentina lingua importat quan-
tum est dicere ire brancolone, idest cum ma-
nibus et pedibua per terram sioot pergunt
bestiae >: cfr. Inf, zzn 68-69. — 142. la
setUma savorra eco. i dannati della set>
tima bolgia, i quali si mutavano, come Vanni
Faod e Agnello e Cianfa, o si trasmutavano,
come l'Abati e il (Cavalcanti : xasorra, cha
è propriamente l' arena, la ghiaia o altra ma-
teria messa nel fondo della nave per rego*
lame l'immersione, è tratta qui a significare,
dice il Lomb., < la genia o feccia d' uomini
posta in fondo della settima bolgia >. — 144.
se fior la penna abbonai è luogo varia-
la
194
DIVINA COMMEDIA
1
147
151
Ed avvegna che gli occhi miei confusi
fossero alquanto e Tanimo smagato,
non poter quei fuggirsi tanto chiusi
ch'io non scorgessi ben Puccio Sciancato;
ed era quel che sol, dei tre compagni
che venner prima, non era mutato:
l'altro era quel che tu, Gaville, piagni
mente spiegato, sol quale molto disputarono
gì' interpetri. Oli antichi intesero tatti ohe
Dante volesse scasarsi di non arer saputo
adegaatamente descrivere la novissima tra-
mutazione : infatti il Lana spiega il vb. ab-
bona per « aciabatta > ; Benv. chiosa : « si
stilos oberrat in aliquo modico » ; Buti : e se
alquanto lo scrìver rolo e il modo del dire
acdabatta e non dice cosi ordinato come al-
trove né cosi a punto » ; e T An. fior.: « se
io non ho detto il fatto pienamente et non
ho i' effetto vestito bene ooUe parole come si
conviene ». I moderni invece videro in que-
ste parole una scusa della prolissità delle de-
scrizioni, essendosi Dante fermato sulle mi-
nuzie ; e presero il vb. abborrare o in signi-
ficato di trrare, traviare come Yent., Lomb.,
Biag., Blano. ecc., oppure in quello di mot-
t&r bórrOf metter superflue parole, ecc., come
lo Scart. : ma la testimonianza degli antichi,
in questione di parole, pare di maggior peso,
tanto più che in oMorrore, da òorra, il senso
di abborracciare, acciabattare ecc. ò confer-
mato dall' analogia con altre lingue (cfr. bour-
rw, spagn. barrar: cft. Dioz 60) e Dante si
vuole qui scusare, non tanto della minutezza
della descrizione, quanto dell'aver dovuto
per necossità della materia usare modi e co-
strutti non eleganti o chiaii, né sempre con-
formi a retorica. « Questa spiegazione è la
■ola che ci dia pienamente ragione del verbo
dantesco e del suo significato, • che non ci
costringa a ricorrere a pazze etimologie » ;
Parodi, Bull, m 140. — fior: alquanto; aw.
di quantità, sul quale cfr. JVy. m 136. —
146. e raaimo sMagatot e l'animo tmanìto,
» : il vb. mnagare (ft. Mmoifr, prov.
emtagar: ofir. Diez 296) significa propriir
mente disanimarsi, perder le forze dell'animo,
e Dante l'usa non di rado a esprimer l'idea
di una condizione d' animo divena dalla nor-
male (cfr. Purg, z 106, zzvn 104, Par, m
86, V, N, xn 86, zziu 188 eoe). — 147. mon
potei eco. i duo ch'erano rimasti non fug»
girono occultandosi cosi eoo. — 148. Pseelo
Selaneaio : questo fiorentino, che dei tre com-
pagni venuti prima (cfr. v. 86) era il solo
che non fosse andato soggetto ad aloana me-
tamorfosi, tu Puccio dei Oaligai, famiglia di
grandi di parte ghibellina, che forse era ■<>-
prannominato b toianeato per difetto fisico :
di lui e dei suoi atti nulla ci dicono i com-
mentatori antichi ; ma sappiamo che nel 1268
tu bandito coi figli e nell' 80 giurò la pace
coi guelfi (DelixU degli muL YJR 218, IX
92). — 161. raltro ecc. QueUo che di sexw
pente era divenuto uomo iti meeser Franoe-
sco dei Cavalcanti : del quale dioe l'An. fior.
« che fti morto da certi uomini da Gaville,
ch'ò una villa nel Val d'Amo di sopra nel
contado di Firenze ; per la qual morte i oon-
sorti di messer Francesco molti di quelli da
Oaville uccisone e disfeciono ; et però dice
r autore che per lui quella villa ancor ne
piagne et per le accuse et testimonianze et
oondennagioni et uccisioni di loro, che per
quella cagione ne seguitarono, ohe bene pian-
gono ancora la morte di meeser Francesco ».
— Clavllle t piccolo castello nel Val d'Amo
superiore, non lungi da Fif^e {Par, zvx 60X
stato sino dal secolo zn della ft^"ì%^^«^ liber-
tini, la quale ai tempi di Dante volgeva a
rovina, essendo stata trascinata nelle lotte
tra i Bianchi e i Neri (Bepetti, H 418 e segg.).
CANTO XXVI
Risalendo i dne poeti dair argine al ponte, pervengono sali* ottava bol-
gia e nel fondo di essa vedono infinite fiammelle, ciascuna delle quali av-
volge e nasconde l'anima di un consigliere fraudolento : tra questi dannati
sono, chiusi dentro alla stessa fiamma, Diomede e Ulisse, che racconta il
viaggio nei quale mori [9 aprile, circa il mezzodì].
INPERNO - CANTO XXVI
19B
Godi, Fiorenza, poi ohe se* si grande
ohe per mare e per terra batti Pali
8 e per lo inferno tuo nome si spande!
Tra li ladron trovai cinque cotali
tuoi cittadini, onde mi vien vergogna,
6 e tu in grande onranza non ne sali.
Ma se presso al mattin del ver si sogna,
tu sentirai di qua da piociol tempo
9 di quel che Prato, non ch'altri, t'agogna.
£ se già fosse, non saria per tempo;
cosi foss'ei da che pare esser dèe!
12 che più mi graverà, com' più m' attempo.
XXVI 1. €l«41y Fiorensft eoe. Come U
vista di Yanoi Food hA ispirato a Danto la
ftttto inTettiva oontio Pistoia (^/. xzv 10-
U), cod l'incontro ooi cinque snol oondt-
talini ^ trae aolla bocca parole di amari»-
nma ironia contro Firenze, e il canto inco-
■incia con una mossa lirica, che trova poi
no compimento nella funosa apostrofe del
iVf. 'VI 127-161. È degno di nota ohe nn
Mcolo di poi i fiorentini Tittoriosi per l' ac-
qfsisto di nsa ricantassero a loro ^oria i
Titapail di Danto : « Oodi, Firenze, po' che
ss' si grande Che batti l' ale per terr* e per
■sr» Facendo ogni toscan di to tremare ! » :
cfr. O. C^axdnoci, Studi leUtrarif livomo,
1874, p. 446. — 4. elnqiM eotall ecc. cinque
iorentini di ood grandi casato; cfr, ^f, zxv
40. — 5. emde mi rien ecc. : cfr. Con», tv
37: € Oh misera, misera patria mia I quanto
pietà mi strigne per to, qnal Tolto leggo,
fasi ToHa acrìTO cosa che a reggimento ci-
▼ile abbia rispetto 1 » : ma il grido dell'esule
grandissimo muovo nel poema dal pensiero
dalla oorrozione morale, prima favilla deUa
«otruzione politica dei suoi concittadini. —
7. Xa se presse ecc. Eia credenza degli an-
ttèU die 1 sogni fatti nelle ore pi6 vldne al
Slattino fossero pid veritieri; cosi Ovidio,
tr, zxz 195 dice : « Namque sub auroram
lam doxmitanto lucerna Somnia quo cerni
tempore vera solent > (cfr. Moore, I 217), e
Onsio, 8aL 1 10, 88 : e post mediam noctom
vbos com somnia vera » : Danto stosso noi
ISmg. IX 16 dice che al mattino « la mento
■ostia peregrina Più dalla carne e men dai
pensior presa Alle sue vision quasi ò divì-
sa». ~ 8. tv sentirai ecc. proverai presto
i trttitfimi effetti della immoralità dei tuoi
cittadini, cagione prima delle tue discordie o
del dlsonìine politico, sperimenterai quei mali
che i tuoi nraùd ti augurano. — 9. Prato :
k menzione di Prato, più tosto che d' alcu*
a' sltia delle città toscane nemiche a Firenze,
li può spiegare (cfr. Bassermann, p. 610)
sol ricordo del rardinale Hiooolò da Prato,
ohe, mandato nel 1904 dal pontefice a pacifi-
care i fiorentini e non essendo riuscito a
conseguire l' intonto, abbandonò sdegnato la
città, dicendo (O. '^IL, Or. vni 69): «Da
poi che voleto essere in guerra e in maladi-
zione e non voleto udire né ubbidire il messo
del Vicario di Dio, né avere riposo né paco
tra voi, rimaneto colla maledizione di Dio e
con quella di Santo Chiesa». Altri spiegano
altrimenti : cosi POtt. : € Favella qui l'autore
secondo un motto, ohe dice che l'uno vicino
vorrebbe vedere cieco l'altro: quelli della
terra di Prato, che sono presso alla città di
Firenze dieci miglia, per volere essere più
ringhiosi che non ò la loro forza, hanno più
volto avuto della forza de' fiorentini, siccome
dai maggiori e più poderosi si hanno le vi-
cine oittadi > : Benv. e An. fior, credono che
si alluda invece alla cacciato dei Bianchi, al-
l'incendio della città nel giugno nel 1904 e
a simili altri fatti dolorosi per i fiorentini.
— 10. E so già fosse ecc. : se questo sven-
ture f avessero già colpita, non sarebbero
venuto troppo presto : cfr. ^. n 80. — 11.
cosi foss' et eco. : glustamento noto il Land,
che « mostrasi l' autore desideroso di questo
male, non per mina della patria, la quale
gli era carissima, ma per punizion dei cattivi
cittadini che iniquamento l'amministravano;
e però desidera che sia presto, acciò che
siano puniti quelli che hanno errato ». — 12.
che pid mi ecc. Forte d la questione che
s' agito su questo verso, poiché esso si presto
a due intorpretazioni del totto opposto; il
Torelli chiede : « Che vuol dire ? che quanto
più invecchio, tanto più mi saranno gravi Io
disgrazie di Firenze ? oppure che quanto più
invecchio, tanto mi graverà più che cotali
disgrazie non accadano?». Oli antichi ton-
nero più tosto per la seconda intorpretozione,
parìando di vendetto che l'esule invocava
contro la patria (Lana, Benv., Buti) oppure
di desiderio d'esser esiliato prima d'invec-
chiare (Ott., An. fior.): i moderni inclinano
invece ad un' altra spiegazione cosi riassunta
196
DIVINA COMMEDIA
Noi ci partimmo, e su per le scalee,
che n'avean fatte i borni a scender pria,
15 rimontò il duca mio, e trasse mée;
e proseguendo la solinga via
tra le schegge e tra* rocchi dello scoglio,
18 lo pie senza la man non si spedia.
Allor mi dolsi, ed ora mi ridoglio,
quand'io drizzo la mente a ciò ch'io vidi;
21 e più lo ingegno afifreno ch'io non soglio,
perché non corra, che virtù no '1 guidi,
si che se stella buona o miglior cosa
24 m'ha dato il ben, ch'i' stesso no '1 m'invidi.
Quante il villan, ch'ai poggio si riposa,
dal Bianchi : « Essendo fatale che queetii mali
della mia patria accadano, fossero por essi
accaduti già ; perciocché, se ritardano, io ne
avrò alfannc^ tanto più grave, quanto pili sarò
presso alla vecchiezza, a cui le disavventure
sono assai più lamentabili ed angosciose ».
— 13. Noi el partlmMO eco. Si ricordi ohe
Dante e Virgilio per veder meglio nel fondo
della settima bolgia erano discesi dal ponte
suU' argine (^i/l zziv 78, 79) : ora risalgono
por quelle scalee naturali che avevano pre-
sentate loro al discendere 1 massi sporgenti
dello scoglio (ponticello). — 14. borni : il
nome òomto, del quale altri esempi non si
trovano negli antichi, pare da riawicinaro
al fr. bomSj piotra sporgente agli angoli d*un
edificio (Diez 628), e non può significare altro
che le schegge e i roeeht dello scoglio (cft*.
V. 17). I commentatori antichi, incontrando
ootesta parola ignota, si sbizzarrirono a dar
le più strane spì^^ioni ; quasi tuttì tennero
i borni o ibortU per un aggettivo (Lana :
« fteddi e stanchi > ; Benv. : e ablucinatos » ;
An. fior. : < gombi e chinati, come chi va a
tentone») riferendolo ai due poeti, e l'Ott
spiegò i borni per i ladri, a cagione dei qnaU
Dante e Virgilio erano discesi : cfr. P. Vlani,
Lettere fUoìogiehe e oritiohef Bologna, 1874,
pp. 312-880. — 16. miti me; ò l'epìtesi pro-
pria dei dialetti toscani, di cui Dante, per
necessità delia rima, si valse anche con altri
monosillabi; cb, Parodi, BuU, JH 116. —
18. lo pie ecc. : cfr. Purg. rv 88. — 19. Al-
lor mi dolsi ecc. Prima di descrìvere la oon-
dizione doi peccatori della bolgia ottava, che
è quella dei consiglieri firaudolenti, manifesta
il dolore eh* egli ebbe pensando che tali uo-
mini posero nel mal fare quella perspicacia del-
l'ingegno che avrebbero dovuto rivolgere a
nobili fini, e rinnova il proponimento di fre-
nare più efficacemente il proprio ingoio, si
che non esplichi la sua potenza all' infuori
della virtù. U D* Ovidio, p. 89, nota acuta-
mente che il poeta ebbe una ragione perso-
nale di far questa dichiarazione: < Dante
nell'esilio diventò un uomo di corte, un ne-
goziatore politico ; e il consigliar ttxìàì e or-
dire inganni sarebbe potuto divenire per Ini
un peccato professionale, un vizio del me-
stiere. Gli premeva quindi, per ooeoienza e
por un fine pratico, di dichiarar solenne-
mente a sé e agli altri che egli, pur procu-
rando d' esser destro, si sarebbe ben guar-
dato dal tal che la sua destrezza degenerasse
mai in astuzia maliziosa ». — 21. ek' lo non
soglio ; eh' io non fossi solito di fare per l'ad-
dietro; cfr. Inf, xxvn 48. • 22. tht rlvté
no '1 gnidi : senza la guida della virtù, faorì
della via della rettitudine. — 28. stella bwoaa
o migli nr cosa: la favorevole influenza de-
gli astri (cfr. Inf. zv 66, Par, zni 113) o
la grazia di Dio. — 24. eh' 1* stesso eoo.
non me lo tolga io stesso, non me ne priTi
io stesso col miei trascorsi : il Moore, I 82
richiama qui il passo dell' EeoleeiastieOf xrw
6: < Qui sibi invidet nihil est eo nequlos ».
Si noti anche la ripetizione del che {si ehsy
te ...., eh* i' stesso ecc.), lenente nella sin-
tassi antica, quando s'interponga una pro-
posirione subordinata. — 26. (^ante eoe
Quante sono le lucciole che durante le notti
estive il contadino dall' alto della ooUina, ovb
ha il suo abituro, vede giù nel piano, in coi
ha i campi arati e le vigne; altrettante erano
le fiamme sparse per il fondo delT ottava bol-
gia. — ch'ai poggio si riposa: Dante no-
tando questo particolare, oltre a indicare la
casa del contadino che per lo più sorge in
luogo elevato per dominare tutto il podere,
la mette in rapporto con la vallea o terreno
piano ove gli agricoltori lavorano yendem-
miando e arando : si che ne viene un Iwove
e fedele quadretto campestre, nel quale dal*
r una porte vediamo la casa o il riposo della
INFERNO — CANTO XXVI
197
nel tempo che colui che il mondo schiara
27 la faccia sua a noi tien meno ascosa,
come la mosca cede alla zanzara,
vede lucciole giù per la vallea,
80 forse colà dove vendemmia ed ara;
di tante fiamme tutta risplendea
Tettava bolgia, si compio m'accorsi,
83 tosto che fui là 've il fondo parca.
E qual colui che si vengiò con gli orsi
vide il carro d'Elia al dipartire,
86 quando i cavalli al cielo erti levdrsi,
che no '1 potea si con gli occhi seguire
ch'ei vedesse altro che la fiamma sola,
89 si come nuvoletta, in su salire;
tal si movea ciascuna per la gola
del fosso, chó nessuna mostra il furto,
42 ed ogni fiamma un peccatore invola.
Io stava sopra il ponte a veder surto,
si che, s'io non avessi un ronchion preso,
45 caduto sarei giù senza esser urto;
e il duca, che mi vide tanto atteso,
disse : € Dentro dai fochi son gli spirti ;
■otte, dall* altra il campo e V operosità del
gùuiio. — 26. mei tempo ecc. nell'ettate,
qoaado i giorni soyerchiano le notti. — 28.
ttmè la moaea eoe allorché alle moeche rac-
cedoQo le zanzare, ciod alla sera. — 81. 41
tnic fa»a« ecc. Virgilio, En, zi 207, delle
pile risplendenti nel campo latino . € Oaete-
n, oonftuaeqne ingentem caedla acermm,
Neo numero nec honore cremant; tono im-
liqae Tasti Certatim crebria oonlncent igni-
bas agri ». — 88. là *Te U fondo ecc. là
ore apparivB il fondo della bolgia, doò sul
colmine del ponte onde la bolgia si vedeva
in tutta 1» sua larghezza. — 84. E qnal co-
lai eoe Raccontano i libri biblici {IV Ré'
n 11-12, 23-24) che, mentre il profeta Ella
e il soo discepolo Eliseo camminavano por
«aa via, apparve on carro di faooo trasci-
nato da igniei cavalli, sol quale Elia fa ra-
pto al cielo, rimanendo il discepolo estatico
a goatdare la massa di faoco che saliva senza
poter distingiiere il maestro ; e ohe poi es-
Beado stato Eliseo beffeggiato da una torba
a fandoUi e^ li maledisse e due orsi sba-
oado da im bosco vidno sbranarono qoa-
xaatadoe dei malcapitati : Dante donqae dice
che le fiamme dell* ottava bolgia nasconde-
vaao ai suoi occhi i peccatori, come il carro
di foooo già impedi ad Eliseo la vista di
Elia rapito al cielo. — si veMgiò con gU
erti : fa vendicato con la strago che gli orsi
fecero dei Cuicinlli insolenti : sol vb. vtngiart
cfr. Par. vn 6L — 87. che bo »1 petea ecc.
JEUcorda la visione della V. N, xaa 86 : « Io
imaginava di guardare verso io cielo, e pa-
reami vedere moltitadine d'angeli, li quali
tornassero in anso, ed aveano dinanri da loro
una neboletta bianchissima > e 168 : < Le-
vava gli occhi miei bagnati in pianti E ve-
dea (che parean pioggia di manna) Li angeli
che tomavan snso in cielo Ed una navoletta
avean davanti eco. ». — 40. tal si movea
ecc. cosi si movevano nello stretto spazio
della bolgia le fiamme, ciascuna delle quali
nascondeva alla nostra vista l' anima di un
peccatore. — 41. il ftirto : l' anima rapita,
sottratta allo sguardo altrui dalla fiamma, dal
foco furo ilnf, xxvu 127). — 43. Io stara
ecc. Dante non camminava più carpone (v. 18),
ma s' era fermato sul punto culminante dello
scoglio protendendosi tanto in fuori a guar-
dare nella bolgia, che se non si fosso affer-
rato a un sasso sporgente avrebbe corso pe-
ricolo di precipitar giù senz' essere sospinto .
da alcun urto, ma solamente per la grande
curiosità. — 45. urto ; urtato ; agg. verbale
del vb. urtare (cfr. Parodi, BulL m 132). —
47. Dentro dai fochi ecc. Dante aveva già
imaginato ciò che Virgilio gli conferma con
autorevole parola: e non o'ò veramente ri-
petizione di pensiero, perché il discepolo non
poteva ossero certo del fatto prima che il
198
DIVINA COMMEDIA
48 ciascun si fascia di quel ch'egli è iaceso
€ Maesti'O mio, rispos* io, per udirti
son io più certo; ma già m*era ayyido
61 clie cosi fosse, e già voleva dirti:
* Chi è in quel foco, che vien si diviso
di sopra, che par surger della pira,
54 dov'Eteòcle col fratel fu miso? • >
Eisposemi : € Là entro si martira
Ulisse e Diomede, e cosi insieme
57 \alla vendetta vapno com* all' ira;
e dentro dalla lor fiamma si geme
l' aguato del cavai» che fé' la porta
60 ond'usci de' romani il gentil seme:
piangevisi entro l'arte, per che morta
Deidamia ancor si duol d'Achille,
G3 e del Palladio pena vi si porta >.
€ S' ei posson dentro da quelle faville
parlar, diss'io, maestro, assai ten prego,
66 e riprego che il prego vaglia mille,
che non mi facci dell'attender niego,
fin che la fiamma cornuta qua vegna:
maestro glielo avesse manifestato. — 52. Chi
è In Quel foeo eco. Tatto le fiamme, na-
scondendo un solo peccatore, gaizzavano in
alto andando a finire in un'unica punta (cfir.
Inf. xxvn 6) : una sola appariva divisa al-
l' estremità superiore in due punto di diffe-
rente grandezza (ctt, v. 86); e perd Danto,
curioso di oonoscore la ragione di cotale sin-
golarità, aveva già pensato di chiedere a Vir-
gilio chi fosse dentro a quella fiamma. —
53. che par sorger ecc. Stazio, TAefr. xn
420 e sogg., racconta che allorquando Eteo-
cle e Polinice, la doppia tristixia di Gtooor
»ta (Purg. xxu 56), dopo essersi uccisi l'un
V altro, furono posti a bruciare sul medesimo
rogo, la fiamma che ne sorse, quasi a dimo-
strazione dell' odio fraterno, si divise in due :
e Ecce iterum fratres : primos ut contìgit ar-
tus Ignis edax, tremuere rogi, et novus ad-
vona bustis Pellitur *,'exundant diviso vertice
flammao, Altemosque apices abrupta luce co-
ruscant ». Prima di Dante aveva tratto da
•quosto particolare una comparazione, parlando
del fuoco di Vesta, Lucano, Fara, i 651 :
< Scinditur in paries, geminoque cacumine
surgit, Thebanos imitata r(^s ». — 56. Ulisse
e Diomede: i due notissimi eroi dei poemi
omerici, l'uno astutissimo e l'altro fortissi-
mo, si trovarono uniti durante la guerra
troiana in parecchie impreso, noUo quali con-
giunsero la violenza alla frode, come noli' ag-
guato e uoddone di Beoo (Virg., JRi. i 469
e segg.) e nel rapimento del Palladio (Yixsr.,
£!n. n 162 e sogg.) : perdo Dante imagina
di trovarli avvolti dalla medesima ftim*^,!
— lisleme eco. sono congiunti nell' etaxno
tormento come furono uniti nel fare il male.
— 58. e demtro eco. Enumera gli atti fìraa-
dolenti per i quali Ulisse e Diomede sono
puniti in questa bolgia; e prima ricorda l'in-
sidia del cavallo di I^no per mezzo del qoaie
i greci entrarono nella città di Troia (Virg^.,
JS>». u 18 e segg.). — 59. ft' la porta eoe
aprì ai greci quell' adito , donde poi osci
Enea, progenitore dei romani. — 61. plam.
gevisi entro eco. Altra fh>de di Ulisse e
Diomede fU quella d' aver indótto con le loro
ragioni Achille a prender parto alla guerra
contro Troia, abbandonando la moglie Doì-
damfa, la quale ne mori di dolore (cJV. Sta-
zio, AchiU, I 587 e segg.). — 83. e del P»!.
ladlo ecc. Allude al rapimento compiuto con
inganno da Ulisse e Diomede del Palladio di
Troia, statua di Pallade, della quale aveva
predetto l' oracolo che portandola f^ri della
città ne sarebbe venuto grave nocumento ai
troiani (cfr. la nota al v. 56). — 65. assai
ten prego occ te ne fhcoio cosi calda pie-
ghiera che valga por mille : cAr. la nota al-
l' Inf, I 86. — 67. ohe noi mi eoo. che tu
non mi neghi d'aspettar tanto ohe quella
fiamma dallo due punte sia giunta sotto di
INFERNO - CANTO XXVI
199
69
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75
78
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84
vedi che del desio ydr lei mi piego ».
Ed egli a me: € La tua preghiera è degna
di molta loda, ed io però l'accetto;
ma fa che la tua lingua si sostegna.
Lascia parlare a me, eh* io ho concetto
ciò che tu vuoi; ch*ei sarebbero schivi,
perché fui greci, forse del tuo detto >.
Poi ohe la £i^mma fu venuta quivi,
dove parve al mio duca tempo e loco,
in questa forma lui parlare audivi:
€ O voi, che siete due dentro ad un foco,
s'io meritai di voi mentre ch'io vissi,
s'io meritai di voi assai o poco,
quando nel mondo gli alti versi scrissi,
non vi movete; ma l'un di voi dica
dove per lui perduto a morir gissi >.
Lo maggior corno della fiamma antica
cominciò a crollarsi mormorando,
noi, — 69. T«il eoo. : ctr, la nota al ▼. 48.
— 70. Iji taa preghltra eco. Yiigìlio ri-
pete con altre parole dò che ha detto a
Dute sol pont» deUa bolgia precedente {^f,
zznr 76 e sagg.). — 72. ma fa eoo. : ta sa-
ni compiaointo, ma oonriene ohe ti astenga
dal pailue. — 78. lo àa eaneetta eco. io
ho gìA imocinato ciò che ta vuoi sapere : cfr.
itf, zxm 26 e legg. — 74. el sarebbera
eoo. poiché ftirono dei principali eroi della
Oieda antica, sarebbero forse alieni dal con-
rmtMXB con te, che sei nomo d'altra civiltà
e a loro ignoto. Perohé poi Ulisse e Diomede
dovessero essere aehki del detto di Dante non
tatti intendono a un modo : meglio di tatti
gì' interpreti, il Lana chiosa : « Elli Girono
pSEsome di grande stato nel mondo ; forse che
dispreggerebbono te, però che mai non eb-
bono ragiona alcuna di esserti domestici ; ma
io ohe Sdissi nel mio volarne di loro, meritai
per anello soa amistade». H Bati invece
dios che « qaesto finge l' autore per far ve-
niifflile lo sao poema, ohe a quelle persone
^ non sono state di suo tempo sempre finge
che per altrui che per lui si parli » ; e Ott.,
Benv., An, fior., Dan., Veli, accennano che
Virgilio conoscendo la lingua greca era me-
glio di Dante in grado di parlare ai due eroi.
— 76. fn veavta ecc. fa pervenuta cosi vi-
cina al ponte ohe a Virgilio parve tempo e
laogo opportuno per parlare. — 79. 0 voi
•ce: cfr. ▼. 66. — 80. s'io meritai ecc.
so io mi acquistai vivendo qualche merito
pfesM di Tol, dei quali scrissi nel mio poema.
Dsnte allarga il rirgiliano, Eh. iv 817 : e Si
bene qaid de te menù, fUit aat tibi qaid-
quam Duloe meum >. ~ 82. gli alti versi:
queUi déù* Eneide^ che neU'/n/: zz 113 Vir-
gilio chiama l'alto tragedia, — 83. Fun di
voi eco. Ulisse mi dica dove andò a finire
la vita. Nel poema omerico dell' Odietea non
si racconta quale fosse la fine dell' eroe ; ma
una tradizione, raccolta giÀ da Plinio e da
Solino, racconta ohe egli con alcuni audaci
compagni tentò un viaggio per l'Oceano Atlan-
tico e dopo aver fondata Lisbona {Uly stipo)
navigò lungo le coste dell' Aftica occidentale,
presso le quali peri per una tempesta. Dante
modifica alquanto questa tradizione, imogi-
nando che Ulisse, varcato lo strotto di Gi-
bilterra ed entrato nell' Atlantico proseguisse
in cerca del mondo aenxa genie (v. 117) verso
sud-ovest (VT. 124-126) e dopo cinque mesi
di viaggio oltrepassasse la linea equinoziale
(TV. 127-129), al di là deUa qn&lo scoprf
un' sitissima montagna e poi fa sommerso
coi compagni per un' improvvisa burrasca ( w.
180 e segg.). Sogli elementi tradizionali, don-
de Dante attinse l' idea di questa naviga/ ione
oceanica, cfr. A. ClùAppeUi, Lect. pp. 17-2i
e D* Ovidio, p. 86.-85. Lo BUtggior occ.
Delle due punte che guizzavano alla ostromitÀ
superiore della fiamma (cfr. w. 62-68), la mag-
giore corrispondo all'anima di Ulisse, come
più famoso e aotorevole che il suo compagno
Diomede ; col qnalo da tanti socoli era chiuso
dentro alla fiamma antica. — 8G. eomlnriò
ecc. : la punta dolla fiamma, messa in movi-
mento dalla voce intoma (cfr. Inf. xxvii IS-
IS), incominciò ad agiUirsi o a cropitaro, co-
me se fosso spinta qua o \h dnl vento; o il
moto dolla x^mta rondova imagino di una lio-
200
DIVINA COMMEDIA
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106
pur come quella cui vento afifatica.
Indi la cima qua e là menando,
come fosse la lingua che parlasse,
gittò voce di fuori e disse: « Quando
mi diparti' da Circe, che sottrasse
me più d*un anno là presso a Gaeta,
prima clie si Enea la nomasse,
né dolcezza di figlio né la pietà
del vecchio padre né il debito amore,
lo qual dovea Penelope far lieta,
vincer poterò dentro a me l'ardore
ch'i' ebbi a divenir del mondo esperto
e degli vizi umani e del valore;
ma misi me per l'alto mare aperto
sol con un legno e con quella compagna
picciola, dalla qual non fui diserto.
L'un lito e l'altro vidi infin la Spagna,
fin nel Morrocco, e l'isola de' sardi,
e l'altre ohe quel mare intomo bagna.
Io e i compagni eravam vecchi e tardi,
quando venimmo a quella foce stretta,
gQ» umilia eh« pazlane. — 00. i^iMido mi
eco. Quando mi allontanai da Circe (cfr. J^t^,
xa. 22), la famosa maga che nel mio ritorno
da Troia ad Itaca mi aveva trattenuto oltre
on anno preeeo di sé nel monte Giroello (Omo-
io, Od. X 210 e eegg.), intrapresi nuovi viaggi
ooi pochi compagni rimastimi fedeli. Danto
attinse ad Ovidio, Mst, xiv 808 (ofr. Moore,
1 216): < annua noa illio tenuit mora >. — 92.
là presso a Claata ecc. : il monte Ciroello,
residenza di Circe, sorge non lungi dal luogo,
al quale Enea per ricordanza della sua nu-
trice pose poi il nome di Gaeta : cfr. Virg.,
En, vn 1: «Tu quoque litorìbus nostris,
Aeneia nutrìx, Aetemam moriens fiunam,
Caieta, dedisti». — 94. mi dolcezsa ecc.
non valsero a trattenermi l'amore per il figlio
Telemaco, n6 la pietà reverente verso il pa-
dre Laerte, né T affetto che avrebbe dovuto
rallegrare la moglie Penelope. Questi sono
i tre grandi sentimenti domestici che gli uo-
mini dediti alle avventure dei viaggi calpe-
stano e trascurano ; ed d degno di nota che
Ulisse li ricorda nello stesso ordine che tiene
Enea in Virg., J£H. n 666 < Ascanium, pa-
tieroque meum iuxtaque Creusam eoo. » : tut-
tavia è da avvertire la manifesta rimembranza
di un passo di Cicerone, De o/fle, m 26, ove
di Ulisse ò detto : « Non honestum consiUum
at utile... regnare et Ithacae vivere otiose
cum parentibus, cum uxore, oum Alio >: cfr.
Mooro, I 182. — 97. V ardere eco. Q desi-
derio ardente di conoscere il mondo e le virt6
0 i vìzi degli uomini. Omero comincia V Odi»-
$ea dicendo appunto del suo eroe oh'ei co-
nobbe ci costumi e le dttà di molti popoli »
(cfr. Orazio, AH, pod, 142). H Moore, I 264
ha giustamente additato un passo di Cice-
rone {De 1Mb, V. 18, 49), dal quale Dante
pud avere attinto questa idea dell' ardente
cupidità di sapere per cui Ulisse si awes-
turft ai viaggi lungM e difficili. — 99. va-
lore: virtù, e come dice nel Oom, iv 2 < po-
tenzia di natura ovvero bontà da quella da-
ta >. — 100. alto mare aperte : il Mediter-
ranco, come manifestamente appare dal v. 105.
Lomb. invece crede « che intenda dell'Oceano,
di quel mare in cui esso il primo si mise e
vi peri ; e che aperto lo dica per contrappo-
sizione a Mediterraneo, che significa «arroto
intomo dalla terra ; e che finalmente il vìa^
gio che premette fatto nel Mediterraneo, non
ad altro fine premetta, che per dire il come
giunse al detto apèrto mors, all' Oceano ». —
101. eompagaa: compagnia; ofr. Pmg, xxm
127. — 102. non ftil diserto i non ftii ab-
bandonato: ò anche, detto pur di persono,
in Far, XV 120. — 108. L»mn lite ecc. Vi-
sitai i paesi occidentali bagnati dal Mediter-
raneo, doò quelli della costa europea sino
alla Spagna, quelli della costa africana sino
al Marocco, e le isole di Sardegna, Corsica,
Sicilia, Baleari ecc. — 104. Morreeeet cfr.
Pwg. IV 189. — 106. tardi : lenti negU atti,
non più cosi pronti alle fatiche della navi-
gazione come nella gioventù. ~ 107. qnella
INPERNO - CANTO XXVI
201
lOS doY* Ercole segnò li suoi riguardi,
acciò che l'uom più oltre non si metta;
dalla man destra mi lasciai Sibilia,
111 dall'altra già m*ayea lasciata Setta.
< 0 frati, dissi, ohe per cento milia
perigli siete giunti all'occidente^
114 a questa tanto picciola Tigilia
de' vostri sensi, eh* è del rimanente,
non vogliate negar l'esperienza,
117 di retro al sol, del mondo senza gente.
Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
120 ma per seguir virtute e conoscenza '•
Li miei compagni fec'io si acuti,
con questa orazion picciola, al cammino,
128 che a pena poscia li averci tenuti;
e, volta nostra poppa nel mattino,
de' remi feu^mmo ali al folle volo,
126 sempre acquistando dal lato mancino.
fMe eoo. : lo stretto di OibUtem, detto da-
g^ anticlii il freto Oaditaoo, fonnftto dalle
doe aonti«iio di Abile in Africa • di Ctlpe
in Soropa, le quali eono detto le Colonne
d'Sroole, favoleggiandosi nella mitologìa che
Pine le ponesse in quel luogo quasi dae
tannini o segni ai naTÌganti di non prooe-
dece più oltre. — 110. «alla man destra
eoe oltrepassando lo stretto di Qibiltena, i
nsrigatori trovano alla loro destra Siviglia,
dtti della Spegna (cfir. Inf, zz 126X e alla
sinistra Ceats, lat Sapto, dttà dell'Africa;
qneUa pi6 a oooidento di questa. — 112. 0
firati eoo. 0 compagni, che m* avete seguito
àn qui per tanti pericoli, seguitemi ancora
Terso oooidento sino all' altro emisfero. Biag.
osserva : < In questa breve orazione di Ulisse
ai ooaipagni sentesi quel franco e maestoso
andar virgiliano ohe al verso suo sa cod bene
a proposito imprimere 1* epico latino. Volle
U poeta nostro in questo luogo, imitando il
miwstio suo nell' onoione ohe pone in bocca
ad Enea {Su, i 196 e segg.]> 0 tomi neque
mm ignari tumiu ante maiommf 0 pasti
fnwjora ecc., dimostrarsi non già imitatore,
Ba degno suo rivale ed emulo ; e lo vinse
BMoa dubbio, se non in altro, nella nobiltà
dei sentimanti >. — 118. aU' oecldeaie s è
ditto con duplice senso, oioò quanto al viag-
po di Ulisse e dei compagni verso le parti
flÉM^iiffft^ii, e quanto alla vita loro che già
Tolgera al termine, essendo veeeki e tardi,
- 114. a 4«esta tanto eco. non vogliate
segare a voi stessi, che dovete vivere ancor
cosi poco tempo, la soddisfazione di visitare,
continuando il viaggio verso ooddento, l'end
sfero disabitato opposto al nostro. — ^leelela
vigilia 4e' vostri sensi s un piccolo tratto
della vite umana, che ha il suo fondamento
nelle Caooltà sensitive (cfr. Cam. m 2) ; dette
vigilia perché transitoria e di breve durate
ò la vite dell' uomo al confronto dell' eter-
nità. — 116. ek'à del rimanente t ohe vi
rimane, lat quae de r$liquo t§L — 117. 41
reire al sol t seguendo il corso del sole,
dall' oriento verso occidente : cfr. Bw. vi 2.
— del Biendo senia gente t l'emisfero in-
feriore, che secondo gli antichi era solamente
acqua e perdo disabiteto. — 118. Conside-
rale eoe L'uomo oonsiderando la dignite
della propria natura deve riconoscere d'es-
sere steto orsato, non già come gli altri ani-
mali che non hanno altra vite all' infuori di
quella dei sensi, ma per praticare la virtù e
per apprendere la scienza, che ò tf ultima per-
fuÀom dtUa w>ttra anima {Oorw, 1 1). — 121.
aoati eco. pieni di acuto desiderio, accesi e
desiderosi di continuare il viaggio : cfr. Purg,
zziv 110. — 124. e, volta nostra ecc. e
volgendo la poppa della nave verso l'oriento,
al mondo conosciuto, procedemmo rapida-
mente verso occidente, piegando sempre nel-
r avanzare alla nostra sinistra, doò diriz-
zando la nostra nave verso sud-ovest. —
125. de' remi eco. : la frase ricorda il vir-
giliano, En, m 520 : € Tentamusqae viam et
velorum pandimus alas ». — al felle volo:
all'ardite navigazione per mari ignoti, al
vareo folU (Par. xxvii 82) da noi corcato por
l'Atlantico. — 126. atqalstando: il vb. oo-
202
DIVINA COMMEDIA
Tutte le stelle già dell'altro polo
vedea la notte, e il nostro tanto basso,
129 che non surgeva fuor del marin suolo.
Cinque volte racceso e tante casso
lo lume era di sotto dalla luna,
132 poi ch'entrati eravam nell'alto passo,
quando n* apparve una montagna, bruna
per la distanza, e parvenu alta tanto,
135 quanto veduta non n'avea alcuna.
Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto;
che della nuova terra un turbo nacque
138 e percosse del legno il primo canto:
tre volte il fé' girar con tutte l'acque,
alla quarta levar la poppa in suso
e la prora ire in giù, com' altrui piacque,
142 infin che il mar fu sopra noi richiuso ».
quiatar» hA ipesso in Dante il sonso di avan-
zare nel cammino : ofr. Pitrg, i7 88. — 127.
Tatte le tielle eco. Nella notte ci apparivano
già le stelle del polo antartioo, • la nostra
stella polare non si mostrava per essere il
polo artioo sotto l' orizzonte e nasoosto dalla
snperfide del mare; ciod eravamo già per*
venuti al di là dell' Equatore. — 128. vede»
la BOtle : Dan. : « dice poeticamente che la
notte vedea le stelle, come anche disse il
Petrarca [sest. ccxxxvn 2] : NS là tu aopra
U eerchio de la bma Vide mai tanié ateUe al»
cuna noUs », — 130. Ctn^ne volti eoo.:
Lomb. : e cinque volte si era illuminato ed
altrettante volte oscurato T emisfero della
luna pi6 basso, che d quello vòlto alla terra
e che noi dalla terra vediamo ; oh' è poi in
sostanza come a dire ch'erano scorsi già
cinque pleniluni, cinque mesi, da che erano
entrati in quel vasto mare». — raeeeao:
cfr. Inf. X 70. — 138. ^naido l'apparrt eoe
Dopo cinque mesi di navigazione nell'Atlan-
tico Ulisse e i compagni videro sorgere a
gran distanza nella distesa delle acque un'al-
tissima montagna; nella quale quasi tutti
gì' interpreti da Benv. al Lomb. riconoscono
quella del Purgatorio, che sorgeva seoondo
Dante agli antipodi di Gerusalemme (ctr,
Purg, II 1-8) ed era tanto alta ene vmeaa la
vista {Purg, rv 40). — brama eoo. oscura,
indistinta per la grande lontananza: ofr.
Virgilio, En. ni 206 : € Quarto terra die pri-
mum se attollere tandem Visa, aperire pro-
cul montes, ao volvere ftunum». — 136. e
tosto ecc. ma subito la nostra gioia si con-
verti in dolore: cfr. Jnf. xni 69. ~ 187.
della nnova terra ecc. dalla terra nova-
mente apparsa si mosse un vento turbinoso.
che investi la prora della nave e Gioendola
girare intomo con le acque circostanti pro-
dusse un vortice, nel quale sprofondammo.
La descririone dantesca procede dalla viigi-
liana dell' EH. i 118: <Unam, quae Lycioa
fidumque vehebat Oronten, Iptius ante ocu-
los Ingens a vertice pontus In puppim ferit:
ezcutitur, pronusque magister Yolvitur In
caput : ast illam ter fluctos ibidem Torqaet
agens oiroum, et rapidus vorat aequore vor-
tex ». A. Chiappelli, LaoL p. 28 : < La sini-
bolica montaffna bruna diviene ad un tratto
nel verso dantesco la nuova terra^ come un
abito di nuovi tempi, e vi si pronunzia, se
anche in forma di vago presentimento, quello
spirito d'esplorazione, onde colla scoperta del
nuovo mondo s'apriranno nuove vie alla ci-
viltà ». — 188. il primo eanto x la parte an-
teriore della nave, la prora. — 140. levar
ecc. la nave si capovolse sprofondando nel-
r abisso. — 141. erai'altrai plae^at : come
piacque a Dio, che non permise mai ad al-
cun uomo vivente d'andare al purgatorio, a
quel lido cche mai ^ non vide navicar sue
acque Uomo, che di tornar sia poscia esper-
to » (ISirg. I 181). — 142. infln eoe Sopra
il visggio e la Une di Ulisse si cf^. G. Della
Valle, n aanao jfeografieo-aatr<momioo dei kuh
ghi della D, C, Faenza, 1868, pp. 16-20, «
Supplemento al Kbro II aenao geog. aabr. Faen-
za, 1870, pp. 28-84; O. Finidi, Qptiao. dant,
n.* 28; B. Fomaciari, Sludi ^ pp. 103-119:
il quale ultimo ritiene che in Ulisse sia sim-
boleggiato l'umano ingegno che si sforma di
conoscere i segreti divini, mentre questi non
possono manifestarsi all' uomo fuor della fedo
e delia grazia.
INFERNO - CANTO XXVn
203
CANTO XXVII
Allontanatasi la ilamma di Diomede e Ulisse, nn'altra 8*avvicina nella
qnale ò chiosa Tanima del conte Gnido di Montefeltro: a lui Dante espone
la presente condizione della Bomagna e n' ha in ricambio la narrazione del
peccato per coi venne a finire all'inferno; poi 1 due poeti procedono verso
la nona bolgia [9 aprile, circa al mezzodì].
Olà era dritta in su la fiamma e cheta,
per non dir più, e già da noi aen già
3 con la licenza del dolce poeta,
quando un'altra, ohe dietro a lei venia,
ne fece volger gli occhi alla sua cima
6 per un confuso suon che fuor n'uscfa.
Come il bue cicilian, che mugghiò prima
col pianto di colui (e ciò fu dritto)
9 che l'avea temperato con sua lima,
mugghiava con la voce dell'aMtto,
si che, con tutto cV e* fosse di rame,
12 pure e* pareva dal dolor trafitto;
cosi, per non aver via né forame
dal principio nel foco, in suo linguaggio
XXVn 1. 6U era eoo. La punta mag-
giore della fiamma, ohe era andata menando
or qua or U la sua oima mentre TTliise par-
kra {iMf, xxTx 86 e aegg.), ora oh*egli taoeva
t'era già drlnata in alto e fermata. — 3. per
Ma dir pMi perohó IJlisee avara finito di
partale. — 8. lieessas oommiato, congedo;
efr. T. 21. — 4. «s'altrai qneat'altra fiam-
■a, olle t'avanza mormorando, è qoeUa che
irrolge l'anima del oonte Guido di Monte-
liBltro. — 6. se feee eoo. : cfr. una locazione
■buie in hif. vm 8. — 6. per «a eoaflito
•oe. Seait. : < la voce omana degli spiriti rin*
ehiui neUe fiamme rassomiglia snUe prime
aUa voce del ftioco, doò ai mormorio delle
fianme agitate dai vento: poi, quando le pa-
rola dolio spirito ai hanno Catto vìa ed hanno
oonnmicato il moto della lingua omana alla
yoata della fiamma, quel mormorio si con-
Tsrte in parole >. — 7. Cerne 11 hae ecc.
Ferino, artefice ateniese, offri a Falarìde tl-
nnno d'Agrigento xin toro di rame, oostratto
ia modo che le grida degli infelici posti a
bndsre dentro lo strano congegno si trasfor-
iMisoro ttsoondo in mnggiti hovinii il tiranno
looettA raflbrta e per Cune la prova comandò
■ll'srtefloe d'entrar nella maoohina, donde
ascizono 1 più dolorosi lamenti; il iktto ò de-
Kritto da Gridio, Trid. m 11, il-5i e da
aita antichi (cfr. Mooie, I 215, 296). —
■laffghlò eco. : prima accenna al caso sin«
gelare di Perillo; poi dicendo mugghiala con
la vooò ddW afflitto^ all' oso continaato oho
Falarlde fece del toro di rame, come stra>
mento di tortora. — 8. e ciò fa dritto:
più tosto che di passi biblici ( Pno, xxvi
27, Eeel. x 8, xxvu 29, Salmi vn 15-lG,
xeni 23), ò qoesto on ricordo dolio parole di
Ovidio, il qoale accennando al fatto di Po-
rillo e a on altro caso consimile soggionse
(Ara amai, i 665): « lostos oterqoe foit: no-
qoe enim lox aeqoior olla, Qoam necis arti-
ficee arte perire soa ». — 10. magghlara
eco. : cfr. dò che dice Perillo a Falarìde, in
Ov. Trial, m 11, 47 : < Protinos inclosom
lentìa oarbonibos ore: Mogiet, ot veri vox
erit illa bovis » : — 13. eosf, per non arer
ecc. Si costmisoa e s' intenda: Cosi leparoU
grama dei conte Ooido, eioZpnnc^, nel pri-
mo momento del soo parlare, per non atw
nel foco via né forami^ porche non trovavano
nell' involucro di fiamma alcona apertola on-
de oscire, 8i eonverHvan in suo linguaggio^ in
qoel mormorio che ò come il linguaggio del
fuoco. — 14. dal principio : da principio, da
prima: che qoi sia espresso un rapporto tem-
porale si ha dal V. 16, maposoia ch'ebb&r eco.
Altri, leggendo dal principio del foco^ devono
di necessità ammettere ohe vi sia espressa
una inutilo circostanza di spario, corno so
204
DIVINA COMMEDIA
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si conyertivan le parole grame.
Ma poscia ch'ebber còlto lor viaggio
8U per la punta, dandole quel guizzo
che dato avea la lingua in lor passaggio,
udimmo dire: < 0 tu, a cui io drizzo
la voce, e che parlavi mo lombardo,
dicendo: 'Issa ten va, più non t*aizzo';
perch'io sia giunto forse alquanto tardo,
non t* incresca restare a parlar meco:
vedi che non incresce a me, ed ardo.
Se tu pur mo in questo mondo cieco
caduto sei di quella dolce terra
latina, ond'io mia colpa tutta reco,
dimmi se i romagnoli han pace o guerra;
ch'io fui de' monti là intra Urbino
Dante ripetesse l' idea ohe la Tooe tisoiva
dalla cima o punta della fiamma (ofr. r. 6-6).
— 16. Ma poMla ecc. ma quando poi le pa-
role ebbero trorato il loro cammino attraverso
la ponta della fiamma, imprimendo ad «sa
quel movimento vibratorio ohe la lingua del
conte Qnido aveva avnto pronondando le pa-
role stesse ecc. — 18. che dato avea: la lo-
cuzione dar» un gvixM equivale ai verbo
guixxaref cioò «vere nn movimento vibrato-
rio : cfr. Inf, xxvi 86-90 e 1 w. 68-60 di
qneeto canto. — 19. 0 t« eoe II conte Onido
si volge a Virgilio, del qoale aveva sentito
le parole di congedo dette ad Ulisse (cfr. w.
2-3); parole che a lai sono parse di linguag-
gio di Lombardia (cioè dell' Italia superiora,
secondo il largo significato che nel medioevo
si dava a cotesta designazione geografica). —
20. mo: ora; avverbio di tempo, derivato dal
lat modo (Diex 885) e usato spesso da Dante,
0 solo {bif. xxm 7, xzvn 109, Purg. xxm
66, 111, Par. IV 82, vn 94, XIX 67, xxn 11,
73, XXXI 48 ecc.) o nell'espressione pur mo,
solamente ora, proprio ora (Inf, x 21, xxm
28, min 186, Purg. viu 28, xxi 68): in Inf,
xxm 7 Dante dice che mo si pareggia con
isso, cioò ha lo stesso significato di questa
voce, che ricorre nel verso seguente. — 21.
Issa toi fa eoe Ora vattene, poiché io non
ti stimolo più oltre a parlare. Questo d il
senso delle parole dette da Virgilio ad Ulisse
per congedarlo; nelle quali gli antichi, come
Lana, Ott., Benv., Buti, An. fior., non tro-
varono alcuna difficoltà parendo loro tutto di
buon conio italico e, aggiungerei, pronunziate
dal mantovano con proferenza lombarda: ma
molto ci fimtasticarono sopra gì' interpreti
moderni, dei quali chi volle che fossero pa-
role greche, chi sostenne che s'avesse a leg-
gere : Irfrà / ton t«, più non t'adixxo (Via I
vattene, più non ti eccito), chi altro (ciY.
Zing. 161-166). Quanto all*aw. <sm, ohe
Dante usa più volte (A/*, xxm 7, PUrg, xxiv
66), d manifesta la sua derivazione da ^psa
(Aom): cf^. Dies 129. — 24. Tedi ecc. consi-
dera che a ma non incresce, sebbene io sia
avvolto in questa fiamma che mi arde. — 26.
par no: c£r. la nota al v. 20. — atoado
eleeo: l'inferno; ofr. Bif, iv 13. — 26. ea-
dato sei : dice cosi perché crede ohe Virgilio
sia un'anima dannata, precipitata in Male-
bolge dopo il giudizio di Minos. ~ dolee ter-
ra latlaa: 1* Italia, ooef detta per il Lazio,
la più nobile delle regioni italiche: ofr. Mf,
xxvm 71. — 28. se 1 romagsoU eoo. se il
paese di Romagna è in pace o in guerra. —
29. io fai de' monti ecc. nacqui nel Mon-
tefeltro, regione posta tra Urbino e il monte
Coronare, onde scaturisce il Tevere. U conte
Quido I di Montefeltro, ohe ebbe fiuna d'es-
sere < U più sagace e sottile uomo die a quei
tempi fosse in Italia > (O. Tillani, Or. vu 80),
nacque intomo ai 1220: signore della contea
di Montefeltro e ardente ghibellino, lù vica-
rio in Boma di re Corradino nel 1268, poi resse
con forte mano e con titolo di Capitano gene-
rale la città di Forif ; e fletto capo dei fuorusciti
di Bologna diede memorabili sconfitte all'esor.
cito guelfo bolognese comandato da Malatesta
da Vorrucchìo (cfr. v. 46), ai Ponte di S.
Prooolo nel giugno 1276 e a Beversano nel
settembre dello stesso anno : nel 1282 liberò
Forlì dall'assedio posto a questa città da Gio-
vanni d'Appia (ctt. V. 43), suscitando cosi gli
sdegni della curia pontificia, ma poco di poi
foco atto di sommissione al papa e Ai confi-
nato in Asti: nel 1289 ruppe il confine e andò
a Pisa, chiamato podestà e capitano di guer-
ra dopo la catastrofe d' Ugolino della Qhe-
rardesca, e vi raiforzò la parte ghibellina:
nel 1292 s' insignori di Urbino, cho tenne e
difese contro Malateetino podestà di (
INFERNO - CANTO XXVII
205
SO
33
42
45
e il giogo di ohe Tever si disserra ».
Io era in giuso ancora attento e ohino,
quando il mio duca mi tentò di costs^
dicendo: € Parla tu, questi è latino ».
Ed io ch'ayea già pronta la risposta,
sensa indugio a parlare incominciai:
€ 0 anima, che se' là giù nascosta,
Romagna tua non è, e non fu mai,
senza guerra ne' cor de' suoi tiranni;
ma palese nessuna or vi lasciai.
Ravenna sta, come stata ò molti anni:
l'aquila da Polenta la si cóva,
si che Cervia ricopre co' suoi vanni
La terra, che fé' già la lunga prova
e di franceschi sanguinoso mucchio,
sotto le branche verdi si ritrova.
nel 1296, lioondliatod già oob U OhiMa, Mi-
trò iMll'oidtai» friDoesoMio; • mosf mI 1298
(Qfr. e. VlUani, O. vn 44, 48, 80, 81, 108,
12B, Tin 2, 28; AfmaU$ foroHv. In Mnr., Btr,
U. XXn laS e tegg., 149 e togg., 168, 162;
Ohm. piatma in Mot., lUr, ìL XV 980-968,
t B. BoBdoni, làtorU jp<mnm, Fiiense, 1844,
Kb. xn; Mmaìm tattmaHt in Uva,, lUr. iL
XIV 1104-1114; SatimbMie da Puinn, Okr,
p^ 188, 268, 279, 288; F. Ugolini, ^Storia
ùftotdi • AmM 4^ Urtrino, Firenz», 1869;
F. Tornea, LteL pp. 12-16). — 82. mi len-
te 41 «••la: mi toood nel iUmoo (cfr. Inf,
zn 67 ); locmione oIm liooida 1* oraziana
{Sol n 6, 42): e * Nonne rides, ' aliqnis cu-
bito itantem prope tangte Inqniot >. » 88.
latinat italiano; efr. ^. zzn 66. — 84.
•rea già praata eco.: non già olie Dante
ayeew pierodoto di dorar parlar egli, ma
perché la domanda rivolta da Qnido a Vir-
gilio rarera fatto ripensare alle presenti oon-
dixioni della Romagna. ^ 87. Bomagna taa
eoe. I dgnori che tiranneggiano il tno paese
non ftizono mai e non sono neppnr ora senza
forti odii nei cnoii; ma in questo momento,
nprìle 1900, non Ve in Bomsgna alcnna
goflcra manilésta. Inflitti dalla fine dell'anno
1299, quando con la cessione del castello di
Bsmno ai bolognesi, per sentenza di Boni-
lìmle vm, ta flette la pace fra il oomonedi
Bologna dall'una parte e il marchese Azzo Vm
4' Este e i signori romagnoli dall'altra, non
Adqbo più gnene in Romagna per qualche
tempo; sebbene fossero sempre tItì gli odii
tra le città e signorie di parte guellk e quelle
di parte gfaibeiliaa. — 40. BaTenna eoe Ra-
Tsnna, già signoreggiata dal Traversari (cCr.
Hirg. zxv 107), era passate nel 1270 in do-
■inio della famiglia da Polenta, e nel 1800
no arerà il goremo Ovido Minore o Vecchio,
die mori nel 1810. — 41. l*aqnlla ecc.: lo
stemma di quelli da Polente è, secondo il
Lana, e una aquila yermiglia nel campo gial-
lo > ; ma BeuT. inreoe dice che essi « portant
prò insignio aquilsm, cuius medietas est alba
in oampo azzurro et alia medietas est rubea
in campo aureo ». ^ la si eoTa eoe ee la
cova, ee la tiene sotto la sua protezione,'
estendendo la signoria anche sopra OerTia,
piccola dttà a meoogiomo di Ravenna, sulla
coste dell' Adriatico, assai importante nel
medioevo per la produzione del sale. — 48.
lA terra ecc. La dttà di Forti è sotto U
dominio degli Ordelaffl, liamiglia ghibellina,
impadronitasi doUa signoria pooo innanzi ai
1800. — che ft'glà eoe Kd 1282 U ponte-
fice Martino IV mandò in Romagna contro i
ghibellini un eserdto di franced e italiani
comandati da Giovanni d'Appia, il quale, pre-
sa Faenza, mosse contro Forlf, tenute e di-
fesa da Guido di Montefeltro: ma questi, rac-
colto prontamente le milizie dttadine, usd
ftiori della dttà e sconfisse il grosso dell'e-
serdto nemico, poi raggiunse i cavalieri,
quad tutti franced, che erano già entrati in
Forti, e li sterminò (ofr. F. Torraoa, Ifuow
rossfl^fM, Livorno, 1896, pp. 896 e ssgg.):
« et do, dice Benv., magna sagadtate oomitìs
Ouidonis, pulora et magna gens gallica tuit
destruote ». ~ 44. flraneesehl : cfr. Inf, zzxu
115. — 46. sotto le braneiia eco. OU Orde-
laffl, signori di Forlì, avevano, secondo il
Lana, e le branche verdi d'un lione nel campo
giallo per arme » ; invece secondo Benv. por-
tevano per insegna « leonem viridem a medio
supra in campo aureo, cum quibusdam listia
a medio infra, quarum tres sunt virìdes et
tresanreae»: dunque it òronoàs, ood in Dante
206
DIVINA COMMEDIA
n
Il Mastin vecchio e il nuovo da Verrucchio,
ohe fecer di Montagna il mal governo,
48 là dove soglion fan de' denti succhio.
Le città di Lamone e di Santemo
conduce il leoncel dal nido biancoi
51 che muta parte dalla state al verno;
e quella, cui il Savio bagna il fi.mco.
come nel Lana, designano tutta la parta an-
teriore del corpo del leone. — 46. U MattU
Teccklo eoe. Malatesta e Malateatino dei Ma-
latesta esercitano la loro tirannide In Rimini,
come (jMeyano qnando ta eri rivo: iniktti nel
dioombro 1295, cacciati g^ ayrorsari ghibel-
lini, Malatesta da Vemcchio fa fitto signore
di Rimini e tenne la signoria sino al 1S12, in
cui mori e gli saocosse Malatestino (cfr. B%f,
xxviu 85), ohe gi& innanzi arerà arato oc-
casione di manifestarsi acerrimo contro gli
arrersarì, sf che «non rolera nò adire
nò rodere nessuno ghibellino e molto li
penegaira » {Oroniea riminem in Mar., R«r,
it. XV 896). — 47. «he fseer «i Moatagu
ecc.: racconta l'aatore della Oron, rtm. in
Mar., Ser, ft. XV 893 e segg., che aUor-
qnando nel 1295 messor Parcitade, capo dei
ghibellini in Rimini, rodendoci senza effioad
aiati contro i Malatesta abbandonò la città,
« Airono morti e presi assai di casa saa e de'
saoi amici, tn i qaali ta preso Montagna di
Paroitade, e messo in prigione e U fti morto » ;
e Benr. con maggiori particolari racconta
che Malatesta U recchlo die a castodire Mon-
tagna al figlio Malatestino : « postea petlrit
ab eo, quid faotam esset de Montagna; cai
ille respondit: .* Domine, est snb fida custo-
dia; ita qaod si rellot se snifocare non pos-
set, qaamris sit ioxta mare '. Et dam iterom
et, iterom peteret et replicarot, dixit : * Certe
dubito, qnod nesdes ipsum castodire '. Ma-
latestinos, notato rerbo, fecit Montagnam
mactarì cam qoibasdam allis » : cfr. L. To-
nini, Storia di Rmini, Ul 174 e 234. —48.
dOTe iogUon: dorè iolerano già per l'ad-
dietro. Le rocl del presente del rb. 9ohn
furono spesso osate dagli antichi col senso
dell'imperfetto : cosi Pier della Vigna (D* Anc.
I 309) dioe di ona donna morta: «qoella
ch*io amare e serrir soglio »; Pacino Anglo-
lierì (D'Anc. Il 877) dopo la morte della soa
donna esclama: « Lasso! che spessamente il
giorno miro Al looo ore madonna sool parere,
Ma no' la regio si come già so^io » ; il Pe-
trarca comincia il son. cccxni. « Morto ha
spento qoel sol ch'abbagliar soolmi » : cfr. hif.
mi 80, xn 68 ecc. — fsB de* desti ■■celiio :
adoperano i denti come socchiello a perforare
e dilaniare altroi: è frase bene appropriata
ai doe Malatesta chiamati già wvuUrd per la
loro crudeltà. — 49. ìs elttà ecc. Faenza,
posta sol fiume Lamone, e Imola, aitoata
presso il Santemo, sono rette da MsgtJnardo
Pagani da Susinana ; del quale scrìre 0. Vil-
lani, O. rn 149: « Fu uno grande • sario
tiranno, e della contrada tra Casentino e Ro-
nUJgna grande castellano e con molti fedeli ;
lario ta di guerra e bene arrenturoeo in più
battaglie, e al suo tempo foce grandi coee.
OkiboUino era di soa naxUme e in soe opere,
ma co' fiorentini era guelfo e nimioo di tatti
i loro nimid, o guelfi o ghiboUini che foe-
sono; e In ogni oste e battaglia oh' e' fioren-
tini Cacessono, mentre ta in rita, fu oon sua
gente a loro serrigio e ontano ». Arerà ben
ragione d'esser grato al fiorontini, ai quali il
padre suo Piero Pagani l'arerà raoooman-
dato morendo; ed essi «otto la loro tutela lo
allerarono e ^ difesero il suo patiimoaio
oontro i Guidi, gli Ubaldini e altri signori di
Romagna: nella sua glorentfi sposò una fio-
rentina, Edmengarda de* Todnghi, e nel 1289
fu in aiuto al comune in Campaldino; nel
1801 accompagnò Cario di Vaiola in Firenze
e ri rimase più mesi : mori nell'agosto del
1802, lasciando molti possessi feudali ohe aa-
datono dirisi tra le figliuole (cfr. Afiy< zir
118-120). - 60. 11 le^neel ecc. Maghinardo
di Bnsinana, dice il Lana, e arerà per anse
un lione nel campo bianco ». -* 61. che nata
eco. Dante rollo dire poeticamente che Ma-
ghinardo si trcrarm nella oondisione singo-
lare d'esser ghibellino in Romagna e guelfo
in Toscana: cod piegano oonoordemente gli
antichi ; salro ohe alcuni, come Lana e Benr^
intondono la fraae dotta §tat$ al vmno in senso
geografico, doè dalla Toscana, ohe è più
rerso il mozsogiomo e ridna alle regioni
calde, alla Romagna che è più al settentrione
reno i paed freddi (cfr. Dd Lungo, II 695
e segg.), e altri, come Boti e An. fior., l'in-
tendono in senso temporale, doè ohe Ma>
ghinardo cambiasse spesso di parte, da una
stagione all' altra ; F. Torraca, LtcL p. 24 :
< Riassume in una iperbole ironica i frequenti
e rapidi personaggi di Maghinardo da una ad
un'altra dello fazioni di Faenza e di tutta
Romagna. Le storie romagnole attestano
eh' egli ta quando farorerole, quando ribel-
le ai rettori pontifid ; nemico a rioenda ed
amico dei Manfi^ de'CalboU, de'Malato-
su guelfi ; ora capo de' ghibellini, ora com-
battente in campo contro di esd ; benedetto,
scomunicato, ribenedetto dalla Chiesa ». —
62. e fuella eoo. Cesena, bagnata dal fiume
INFERNO - CANTO XXVH
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54
67
60
(*
I
C6
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72
cosi com'ella sie* tra il piano e il montei
tra tirannia si vive e stato franco.
Ora chi se' ti priego ohe ne conte:
non esser duro più ch'altri sia stato,
se il nome tuo nel mondo tegna fronte ».
Poscia che il foco alquanto ebbe rugghiato
al modo suo, l'aguta punta mosse
di qua, di là, e poi die cotal fiato:
€ S' io credessi che mia risposta fosse
a persona che mai tornasse al mondo,
questa fiamma starla senza più scosse;
ma per ciò che giammai di questo fondo
non tornò vivo alcun, s* i' odo il vero, '
senza tema d'infieunia ti l'ispondo.
Io fui uom d'arme, e poi fui cordigliero,
credendomi, si cinto, fare ammenda;
e certo il creder mio veniva intero,
se non fosse il gran prete, a cui mal prenda!
che mi rimise nelle prime colpe:
e come e quare voglio che m'intenda.
Mentre ch'io torma fui d'ossa e di polpe.
Savio, Odino è fitoat» parte nel piano o
parta ani monte, ooei tìto fra tinumida e
Mbettà; intetti qneata città nei 1800 si reg-
geva in fonoA di libero conrane, e tì pre-
FOBdeniTano il podestà Ciapettino degli TJber-
tini e i capitani Ugnocione doUa Faggiola
e Pederigo di Montefeltro; i quali poi fti-
«^0 cacciati da Cesena nel maggio del-
V anno aognente {Aimahs ea«»enat98 in Mar.,
Sor. U, XIV 1121). — 58. sie>t siede; yb.
propriaaente nsato da Dante a indicare la
giacitora dei Inogld, anche in ^f. v 97 ,
XIV 94, zx 70, Jhirg, ▼ 69 ecc. — 66. Ora
cài M* eoo. Dante ha finito di rispondere
alla domanda del conto Qnido (r. 28) e perciò
lo piega a manifestarsi, come già hanno fatto
altri giriti neU* inferno. — 68. ebbe rag-
ghiato eoe ebbe fatto quel moimoxio suo
proprio, segno della Toce che doroTa nsoire:
cfr. i TT. IB-IB. — sa e poi «Ib ecc.: ri-
eorda Poridiano, Jfirf. ix 684: cUnguaque
▼iz talee loto dedit aere voces >. — 61. S'Io
•rsdfsal eoo. I dannati delle altre parti d' in-
tene rieonoeooBO snblto ohe Dante è vivo
(eft. ili/: TX 40, 88, Tm 88, z 68, zy24, 46,
zn 31, zrn 67, zzm 88); ma quelli dell'ot-
tava bolgia sono ayyoltl dalla fiamma si ohe
i tolto loro il Tederò: peroid il conte Qnido
otte a parlare con anime di peccatori re-
moti a scontare la propria pena. — 68. «ve-
tta tanta eoe doò io non paileieL — 66.
ttua tema eoo. senxa paora ohe le mie colpe,
delle qoali sono per confessarmi a te, sieno
liUaiite nel mondo e mi procaccino infamia.
— 67. Io ftil noM d' arae ecc. : Qnido di
Montefeltro ebbe gran fiima ai snoi tempi
come nomo di goerra: Salimbene da Parma
(Okr. p. 188) dice che « foit yir bellator et
peritiam haboit artis pngnae», F. Pipino
(Chr. zzz 16 in Mnr., Rtr, U, IK 144) lo
chiama e vimm bellandi solertem >, e molti
altri antichi gli dettero lode per il valore e
per la pratica delle cose militari (cfr. Ugolini,
op. dt., I 44). *— e poi fui cordigliero : e
nolla vecchiezza fai ^te dell'ordine dei mi-
noxi 0 francescani; che i firancosi chiamarono
wrdeliers dalla corda, end' erano cinti (cfr. il
T. 92). — 69. e eeru> ecc. e per certo il mio
pensiero sarebbe stato interamente attaato.
— 70. 11 gran prete: il papa Bonifazio Vm.
— 72. e come ecc.: rispetto ai rapporti fta
Ghiido di Montefeltro o Bonifazio Vili sono
da vedere L. Tosti, Storia di BonifoMo ¥111,
Monte Cassino, 1846, voL II, pp. 268-281,
e il D* Ovidio, pp. 53-66. — 78. Mentre occ.
Mentre vìssi nel mondo, allorchó io infor-
mava di me il corpo generato da mia ma-
dre, le mie opere non furono tanto di nomo
forte, qoanto di nomo astato. Quasi tutti
gli antichi cronisti coogiongono alle lodi
date al conto Ooido corno nomo di guerra il
ricordo delle sae singolari astuzie: basti ri-
cordare le parole dell'anonimo astigiano (Chr,
in Mar., iZcr. ie. XI 188) ohe lo dice
208
DIVINA COMMEDIA
clie la madre mi die, l'opere mie
75 non fiiron leonine, ma di volpe.
Gli accorgimenti e le coperte vie
io seppi tutte, e si menai lor arte
78 ch*al fine della terra il suono uscfe.
Quand'io mi vidi giunto in quella parte
di mia etade, oye ciascun dovrebbe
81 calar le vele e raccoglier le sarte,
ciò cbe pria mi piacea, allor m' increbbe,
e pentuto e confesso mi rendei;
84 ahi miser lasso! e giovato sarebbe.
Lo principe de' nuovi farisei,
avendo guerra presso a Laterano,
87 e non con saracin né con giudei,
che ciascun suo nimico era cristiano,
e nessuno era stato a vincer Acri,
90 né mercatante in terra di Soldano;
né sommo ufficio né ordini sacri
guardò in sé, né in me quel capestro
< upientlMlmTU viroram, fortis et largai, et
oallidiMlmns in bellando » e l'anonimo pisano
iOrcn, pisana in Mar., Ber, iL XV 965) che
raooonta: e Quando U detto Conte vadya
Aure di Fiaa oon U gente, tonandoli innanzi
ona cennamella, li fiorentini fÉgglano e di-
ceano: eoeo la votp$l ». » 76. €01 Meergi-
menti ecc. Io conobbi tatto le maniere di
frode e d' inganno e seppi cod bene eserd-
tade ohe la fama se ne spaine per tatto il
mondo. ~ 78. eh* Al tae ecc. : bel riscontro
a questo yerso formano le parole del Oom-
pagni, O. n 88 : e del baono conte Qoido da
Montefeltro, di coi graziosa fama volò per
tatto il mondo », e anche, rilera il Toiraca,
IML p. 27, quelle di ona lettera del ponte-
fice Martino IV : e iam'' fere terrarum finse
orbisque anguli, praecuirentibus fsmae reU-
tibus, agnoyerunt », a proposito appunto del
Montefeltrano : del resto la locuzione dan-
tesca d tolta di peso dalla Bibbia (AOm. xnn
4). — 79. Quando eoo. Quando ftii giunto
all'età senile, nella qaale gli uomini devono
prepararsi a ben morire, m' increbbero le fro-
di di cui m'era sino iJlora compiaduto, e
pentito delle mie colpe e confessati i miei
peccati, mi fed monaco. ~ 80. ere elasean
ecc. : efr. Oonv. iv 28 dove Dante esprime
con la stessa imagine lo stesso concetto:
« oome il buono marinaro che, come esso ap-
propinqua al porto, cala le sue vele e so*-
▼emente con debile oondadmento entra in
quello ; cosi nd deremo calare le relè delle
nostre mondane operazioni e tornare a Dio
eon tutto nostro intendimento e cuore » : poi
ricorda alcuni nobili uomini, 1 quali e ealanm
le velo delle mondane operaùoni, ohe nella
loro lunga età a religione d renderò, ogni
mondano diletto e opera diponendo » e tra
esd appunto anche il conte Guido di Mònt^
fdtro. ^ 88. ■! reftdelt il vb. ttndtni (co-
me il proT. u rmàrt e il fr. ant. mÀ rmMì
d disse assolutamente nel senso di Ihrd tnim
0 monaca; oome d ha dal passo del Com.
dt nella nota al t. 80 (un antico rimatore
in D'Ano. L 402 dice « Ve* oh' io m*nrendo
e fitcdo altra Tita », nd senso di: Vedi ch'io
mi fiwdo monaca ecc.). — 86. 1.9 prlmdpe
eoo. Bonifiudo Vm pi^, capo degli eode-
siastid, atendo nd 1297 grande oo&traeto
oon la fiuniglia O>lonnn, che ayera le sue
case In Roma presso San Giovanni in Lata-
rano, fece porre l'assedio al eastello oolon-
nese di Falestrina, e non riuscendo ad otte-
nerlo oon la fona ricorso agli inganni: ofìr.
la nota al r. 102. — 87. e ■•■ een saraela
eoo. • non od nemid della religione cristiana,
ma od Cdonna, ch'erano cristiani oome tutti
i nemid di Bonifado Vm ; nessuno dd quali
era dèi earaceni conquistatori di Acri né dd
giudd meroanteggianti nd paed d* Oriento.
~ 89. a Tineer Aerlt allude alla presa di
Acri, ultimo posooseo dd cristiani in Terra-
santa, caduto in mano d saraceni nd 1291.
~ 91. ■< somali* uffide eoo. non ebbe ri-
guardo alla dignità del suo dto uffldo, né
alla sua qualità di ministro della religione,
nò all'orbe firancescano da me professato.
— 92. capestr* ecc. : è e l'umile capestro >
della religione fhuiooscaaa (Av. zi 87), cbe
INFERNO - CANTO XXVH
209
93 che solea fax li suoi cinti più macrL
Ma come Costantin chiese Silvestro
dentro Siratti a guarir della lebbre,
96 cosi mi chiese questi per maestro
a guarir della sua superba febbre:
domandommi consiglio, ed io tacetti,
99 perché le sue parole parver ebbre.
E poi mi disse: 'Tuo cor non sospe^;
finor t'assolvo, e tu m'insegna ùae
102 si come Penestrino in terra gettL
Lo ciel posa' io serrare e disserrare,
come tu sai; però son due le chiavi,
105 che il mio antecessor non ebbe care '•
Allor mi pinser gli argomenti gravi
là "ve il tacer mi fu avviso il peggio.
mei primi tsinpi di qii06t*ordin6 eiE stato yoxo
■imbolo dall'amoro alla poreità (efr. I^tr, xa
132). — 94. ■fteomeCoftaatimMo. La leg-
genda della oonreniono dell' impexatore Co-
itutìno per opera di papa SilTestro I, dìffoia
■oìtiiirimo nel medioevo (efr. A. Qraf, Berna
mdU mtmoris § neOa immaginaxioni del m»-
AoNo, Torizu), 1882-83, ToL n, pp. 81 e segar.),
h octi riaasanta dall'An. fior.: cOostantlno
imperatore, infennato della lébbra, et détto-
gjQ i medio! di'e^ fMiease luo bagno di san-
goe di fandiilli et iri si larasse, et presi
Bdti fimciiilli le madri loro gridando et pia-
gnendo, fti dimandato per Goetantino della
agione, et sapnto eh*ogli l'ebbe, non volle
per pietà ehe questo si fìioesse, dicendo: * Io
voglio innanzi morire '. Fa aooetta a Dio la
soa pietà: la notte di poi g^ apparve san
Pietro et san Paolo et dissongli ob'egli man-
dssse a Biratti, oh'eia nna montagna presso
a Boma, per «anto Silvestro papa, et oh'egli
il gnarrsibbe. Santo Silvestro In qneUa mon-
tagna in Boma era nascoso per panra della
persecoziQne, òhe si ftosa contro a* cristiani :
onde finalmente Oostantino ebbe santo Sil-
vestro, et elli il battezzò ; et subito goaii
deDa lebbra et credette in Cristo >. — 96.
Slrattl: Monte Soratte, oggi Sant'Oreste,
nella Sabina, non molto Inngi da Boma. —
96. Maestre s medico; che in tatti i nostri
sotidd ai medici si trova dato il titolo di
nuMstro. — 97. svyerl^a febtee: desiderio
d'abbassare i nemici: si ricordi dò ohe il
gneUò e. Villani, Or, vm 64, disse di Boni-
liu&o vm : e molto ta altiero e snperbo e
sodale contro a' saoi nlmid e avversari >.
— 99. ebbre X scoaveaionti alla soa dignità,
p«oh6 moase da un'ebbrezza, da una brama
nperba. — 108. Penestrlnet Palestrina,
Outntm I^ramutHmimf luogo dei Golonna,
sorgeva nel territorio dell'antica PratnMte,
Piirra
e. TiUani, CV. vm 28 racconta nel 1298,
« essendo trattato d'accordo da pi^ Bonifa-
zio a' Odonnesi, i detti Oolonnesi chnioi e
laici vennero a Bieti ov'era la corte, e git-
tftrsi a piò del detto papa alla misericordia,
il qoale perdonò loro e assolvettog^ della
scomunicazione, e volle gli rendessono la città
di Pilostrino, e cosi fedono, promettendo loro
di rìstituirgli in loro stato e dignità; la qual
cosa non attenne loro, ma fece didìue la
detta città di Pilesttino del poggio e fortena
ov'era, e fèoene rifSue una terra al piano,
alla quale puoee nomo Civita Papale: e tutto
questo trattato falso e frodolente fece il pi^
per consiglio del conte da Montefeltro, allora
finte minore, ove gli disse la mala parola :
hmgapnmBaaa wiWaUmdtr corto > : a raccon-
to dantesco, seguito dal Villani, è confiarmato
da altri cronisti contemporanei, come F. Pi-
pino, OAr. zzz 41 in Mur., B»r,iLU, 741,
e F. Ftorreti, HisL rerum in SaKa geoL ivi,
EC 969-971. n D* Ovidio, pp. 66-66, 68-75,
685-646, ha sostenuto che U fletto ta inven-
tato da Dante e ohe non solo non aocaddo,
ma neppur ne corse la voce al tempo dol
poeta; ma i suoi argomenti non sono abba-
stanza vaUdi, cfir. BulL IX 68-68. — 108.
Lo dal ecc. : of^. Inf, zs 92. » 105. ehe
U mio ecc.: si noti l'accenno delicato e ri-
spettoso a Celestino V, predecessore di Bo-
nifario VHI; indirio ohe Dante, pur rico-
noscendone la debdesa, giudicasse favore-
volmente di quel santo uomo, ohe aveva tro-
vato tra gli oeiauraU ehe mai non fUr vM del
vestibolo infernale (cfir. la nota ali* Jn^ nx
59). Altri credono che queste parole conten-
gano una « feroce ironia », ohe sulle labbra
di Bonifario Vm sarebbe fuor d' ogni pro-
posito in questo segreto cdloquio con Guido.
— 106. Allor mi pinser eco. Le ragioni del
pi^ mi trassero all' idea che fosse peggio di-
14
210
DIVINA COMMEDIA
108 e dissi: 'Padre, da ohe tu mi lavi
di quel peccato, ov'io mo cader deggio,
lunga promessa con l'attender corto
111 ti &rà trionfar nell'alto seggio '.
Francesco venne poi| com'io fui morto,
per me, ma un de' neri cherubini
114 gli disse: 'No'l portar, non mi far torto;
venir sen dèe là giù tra' miei meschini,
perché diede il consiglio frodolente,
117 dal quale in qua stato gli sono a' crini:
ch'assolver non si può, chi non si pente,
né pentére e volere insieme puossi,
120 per la contradizion che no '1 consente '.
0 me dolente! come mi riscossi,
quando mi prese, dicendomi : ' Forse
123 tu non pensavi ch'io loico fossi'.
A Minos mi portò; e quegli attorse
otto volte la coda al dosso duro,
126 e, poi che per gran rabbia la si morse.
•oliMdir Ini ohe dare un mal consiglio. —
110. liBga prontiM ecc. promottondo molto
e mantenendo poco, trionferai dei taoi nemid.
F. Pipino, L dt, riferisce il consiglio in
svesta forma: cFloiima eis [ai Golonna]
poUicemini, panca òbeerrate », ohe sembra
esser più proesimo al modo riferito dalla voce
pubblica; mentre in Dante il consiglio assn-
me nna forma stodiatamente sentenxiosa.
•^ 112. Fraaeeieo Tenne poi ecc. n conte
Onido trapassa dalla confessione del peccato
in onl lo trasse il papa alla descrizione del
contrasto, che per il possesso dell'anima soa
intervenne dopo la morte di Ini tra san Fran-
ceeoo e nn diavolo. L' idea di questo contra-
sto e dell'altro fra un angelo e nn diavolo
per l'anima di Bnonconte di Montefeltro (Iharff,
V 88-129) venne certamente a Dante dalle
imaginaeioni medioevali svoltesi popolaimen-
te intomo al dualismo fra il prindpio del
bene e quello del male; dualismo a cui la
fantasia dd volghi cristiani d piacque di dare
forme concrete inventiuido battaglie, disputa-
doni, prooesd tra angeli e diavoli, divenuti
presto e rimasti lungamente una delle mate-
rie predilette nella letteratura popol^oe. Dan-
te^ con flnisdmo sentimento dell'arte sua ve-
ramente umana e medioevale, non disdegnò
cotesto imaginazioni delle plebi, ma le ridusse
e contenne entro lìmiti ben ristretti, appena
accennando ai contrasti che nella letteratura
dd popolo avevano già avuto ai suoi tempi
cod ampio svolgimento (cfir. su questa materia
il bel lavoro di F. Roediger, Chntrasti anti-
eH OKdo « Satana, Firenze, 1887). — US.
■eri clienMils i diavoli sono rappresontati
in figura d'uomini dal corpo nero nelle pid
antidke leggende cristiane, e Giacomino da
Verona nd poemetto D» BabUoma cwitaU
infernali (pubbL da A. Mussafla, MomumUi
di anUehi dialdU ikU,, Vienna, 1864) U ima-
gina cento volte più neri dd carbone : ofir.
Jnf, rsm 181. — 116. aiesdilBli servi;
cfr. ih/, iz 48. — 118. Miolver ecc. non può
essere assolto chi non ò pentito; e non pud
essere nello stesso tempo il pentimento, doò
volontà di non peccare, e la volontà di pec-
care, che sono due termini contiaditfcoriL Si
noti questo particolare dd disvdo «dona-
tore, il quale poi più innanzi (v. 128) d dà
vanto di buon krìeOf ohe è flintada conforme
a quelle delle leggende popolari: invece nd
Oonv, m 18, condderando la questione secon-
do intendimenti sdentifid. Dante afferma ohe
e le Intelligenze che sono in esilio della su-
perna pace», doè i diavoli, e filosofare non
possono perd che amore è in loro dd tutto
spento, e a filosofare è necessario amore ».
— 128. loieo ! logico, capace di ragionare se-
condo filosofia una qualdad questione. —
124. ▲ Minoi eoo. : il giudice infernale desi-
gna il cerchio cui vud mandare ogni anima
dngondod più volte con la coda ; per il oonte
Guido indicò il cerchio di Hdebdge avvol-
gendola otto volte intomo al doeso duro, e
poi gli assegnò come proprio luogo la bolgia
ottava con le parole oh' d disse : Questo è
uno dd condannati a esser rivestiti di vivi^
INFERNO — CANTO XXVII
211
disse: < Questi è de* rei del foco furo*:
per ch'io là dove vedi son perduto,
129 e si vestito andando mi ranouro ».
Quand'egli ebbe il suo dir cosi compiuto,
la fiainma dolorando si partiO|
132 torcendo e dibattendo il corno acuto.
Noi passammo oltre, ed io e il duca mio,
su per lo scoglio infino in su Paltr'arco
ohe copre il fosso, in che si paga il fio
136 a quei che scommettendo acquistan carco.
— 127. fo«o ftarot cfr. tnf. xxvi
4L — 129. e 9Ì T«ttlt« eoo. lofEro Q tor-
Moto di cftmmmare inyolto in qaesto ftiooo.
— al rasevre: Chiaro Daranzati, dt dal
Tonaca : e Di ciò pensando, temo e mi r&n-
coro ». — 182. 11 eorae aeato: la ponto
deUa fiamma (cfr. ]m(. zxn 86, 88). — ISA.
■a per le leogllt eoe en por lo scoglio, lln-
ohó d trorammo sol ponto ohe attrsTersa la
bolgto nona. — 136. qvel ehe eoo. coloro ohe
peccano promovendo discordie dvili e reli-
giose. — seommettendo: il rb. toommstUre
significa dividere, separare, il contrario doò
di oommUtn^ oongiungere, nnire.
CANTO xxvm
Dal ponte della nona bolgia Dante e Virgilio osservano lo strazio dei
promotori di discordie civili e religiose, i quali sono continuamente feriti
di spada da un demonio: poi si manifestano loro alcuni dannati, Maometto,
Pietro da Medicina, Mosca Lamberti e Bertrando de Born, che parlano di
•è e d'altri compagni (9 aprile, a un'ora pomeridiana, circa].
Chi porla mai pur con parole sciolte
dicer del sangue e delle piaghe appieno,
3 ch'i' ora vidi, per narrar più volte?
Ogni lingua per certo verrla meno
per lo nostro sermone e per la mente,
G e' hanno a tanto comprender poco seno.
S'ei s'adunasse ancor tutta la gente,
xxvm 1. Chi porfa ecc. Accingendosi
a descrivere lo spettacolo che gli apparve
nel fondo della nona bolgia, Danto non dis-
liarala la difSooltà dell' argomento, tratton*
doò di lappreeentare lo strazio orribile che
delle membra dd promotori di discordie fii
on diavolo a dò depntoto ; e con opportnne
Tiaembranse virgiliane s'apre la via a di-
eUsnue che nessuna strage torrena potrebbe
render imagine di qnella che gli d ofErf allo
agiiardo in questo parto di Malebolge. Su
9«sto passo e sa quello dell'In/', xxxu 1 e
MOfg, sono da vedere aloone oondderazioni
e xisoontri di G. Galvani, Ltxitmi aecadtmi'
e^ Modena, 1840, voi. H, pp. 8 e segg. ~
cea parole sciolte s con una descrizione in
prosa, le coi parole sono libere dalle leggi
della poeda, sono < vexba solato modis >
(Ovidio, Trist, nr 10, 24). — 2. dieer ecc. :
cfr. Virgilio, E>n, n 861 : « Qois dadem il-
lios noctis, qois Itinera fando Explioet, ant
possit lacrymis acquare labores? ». — 8. per
narrar pltf volto: per quanto tontasse più
volto lo stesso argomento, rifacendo la pro-
pria narrazione e migliorandola con ripetuto
prove di vincer la difficoltà della matoria. ~
4. Ogni lingua ecc. : cfr. Virgilio, JSH. vi
625 : < Non, mihi si linguae centom dnt, ora-
que contnm, Ferrea vox, omnis soelomm com-
prendore formas, Omnia poenarum percurrere
nomina possim ». — verrfa meno: sarebbe
inferiore al bisogno, perché le lingue e gli
intelletti umani non hanno capadtà suffldento
alla rappresentazione di uno spettacolo cosi
singolare. — 7. 8'el s'adunasse eoo. Se
tntti gli uomini caduti nelle pugne combat-
212
DIVINA COMMEDIA
12
16
18
che già in su la fortunata terra
di Puglia fu del suo sangue dolente,
per li troiani e per la lunga guerra
ohe dell' anella fé' si alte spoglie,
oome Livio scrìve che non erra,
con quella che senti di colpi doglie,
per contrastare a Boberto Guiscardo,
e l'altra, il cui ossame ancor s'accoglie
a Ceperan, là dove fu bugiardo
ciascun pugliese, e là da Tagliacoazo,
dove senz'arme vinse il vecchio Alardo;
e qual forato suo membro, e qual mozzo
mostrasse, da equar sarebbe nulla
tate neU' Italia meridionalo dal tempi delle
(piene sannitiohe e cartagineil a quei della
gaerre nonnanne • angioine foeaero iniiemo
raccolti a far mostra doUe loro ferite, non
darebbero nn' idea adegnata della strage Te-
data nella nona bdgìa. — 8. fortunata t ofr.
Inf, TTTT 116. — 9. Pnglla : non d indicata
la provincia romana tra l'Adriatioo e l'Apen-
nino, ma tatto il reame di Napoli, come in
Pwrg, yn 126. — fk del ino taagie ecc.
seno il d(dore delle ferite riportate combat*
tendo le gaerre sannitiche (343-290 a. C.)»
per le qoali i romani, discesi dai troiani Te-
nati in Italia con Enea, esteeero la loro si-
gnoria soli' Italia meridionale (cf^. Livio, x
9 e aegg.), e le gaerre cartaginesi (264-146
a. 0.), nella seconda delle qnali accadde la
battaglia di (?anne, ove perirono molte mi-
glila di soldati romani (cf^. livio, zxn 26).
Yedansi Hoore, 1 275 e P. Toynbee, Rie. 1 18.
^ U. che deU' anella eoo. allnde al fatto
narrato da livio, zxm 7, 12 e ricordato anche
nel Ceno, ir 6, ohe delle anella d' oro tratte
dalle dita dei romani cadati a Canne Anni-
baie Cftcesse nn carnaio di parecchio moggia.
— 18. «iella ehe senti eco. i saraceni ca-
dati nelle gaerre sostenate contro Boberto
(hiisoardo daoa di Paglia e di Calabria (1069-
1084), ehe li cacdd dall' Italia meridionale :
cfr. Poar, xvm 48. n D'Ovidio, p. 883, pre-
ferisce di credere che Dante accenni « a tatto
insieme le gaerre che il (3aiscardo ebbe a
combattere per insignorirsi della Paglia».
— 16. e raltra ecc. gl'italiani, i fhuicesi e
i tedeschi morti nelle gaerre angioine, le
qoali cominciarono noi gennaio del 1266, qnan-
do Carlo I d- Angiò invase il regno di Napoli
avendo avoto libero il passo di Coprano, eb-
bero il pnnto oolminante nella battaglia di
Benevento (cfr. Pu>rg. m 118), e finirono con
la battaglia di Tagliacozzo del 23 agosto 1268,
per la qnale, sconfitto Corradino nltimo della
casa sveva, il regno rimase alla casa an-
gioina. — 16. a Gepem eoo. A Oepnno^
sol flome litri, d il ponte dw nel medioevo
era tonato oome la porta del regno di Na-
poli: dicesi ohe i baioni poglieei, ohe T'o-
rano alla goardia contro Cado I d'Angìd,
e spedalmente i conti d' Aquino, sd^^natz
contro Manfredi par private cagioni, lasciaa-
sero libero il passo ai nemici ; i qnali oos£
invasero il regno e s'impossessarono di Bocca
d'Arce, di San (fermano e di Ce^na costrin-
gendo Manfredi a ritirani sn Benevento; ove
poi lo sconfissero poco dopo (cfr. Saba Mala-
spina, m 1 in Mar., Rtr. iL YID; Tolomeo
da Lacca, Aimales in Mar., Bar, iL XI 1284 ;
Cr. Villani, O. vn 6 e segg. ; Salimbeno da
Parma, Chr. pp. 246 e segg. eoe). Si Teda
il Bassermann, pp. 264, 680 e si aggiunga
che Dante dovette pensate anche ai morti
nella battaglia di Benevento, che Airone mol-
tissimi (cfr. Ihirg. in 118), mentre il passo
di Coprano fti dagli Angioini oocnpato aenza
spargimento di sangne. — 17. là da Ta-
f llaeoszo eoe : la battaglia di Tagliaoozzo,
che segnò l' ultima rovina degli Svevi, par-
ve da principio fovoievole a Corradino ; se
non che ai ghibellini, disperai per il oampo
noli' esultanza della vittoria, piombò addosso
d'improvviso ona schiera angioina, taanta
in riserva per saggMimento di Alardo di Va-
léry, ginnto da poco all' esercito di Cario I,
la qnale li mise in rotta e mntò le sorti della
giornata (cfr. Saba Malaspina, iv 8 e togg.
in Mar., Ber, iL Vm ; G. Villani, Or, vn
20 e segg. ; Salimbene, Chr. pp. 24S e segg.).
Per il laogo della battaglia, si veda il Bas-
sermann, pp. 265-266, il qnale crede che là
da Tagl. significhi al di là di Tagl.^ cioè il
pnnto onde sbnoò la riserva angioina, tona-
tasi nascosta dietro il Monte San Felice.
~ 19. e qnal forato oco. e parte mostras-
sero le membra ferite oon oolpi di punta,
parte le membra ferite con oolpi di taglio.
— 20. da eqnar ecc. non sarebbe noUa da
INPERNO - CANTO XXVHI
213
21 il modo della nona bolgia soeso.
Già yeggia, per meszul perdere o luUa,
com'io yidi un, cosi non si pertugia,
24 rotto dal mento infin dove ai trulla:
tra le gambe pendeyan le minugia;
la corata pareva e il insto sacco
27 che merda fa di quel che si trangugia.
Mentre che tutto in lui veder m'attacco,
guardommi e con le man s'aperse il petto,
80 dicendo : € Or vedi come io mi dilacco,
vedi come storpiato ò Maometto;
dinanzi a me sen va piangendo AH,
83 fesso nel volto dal mento al ciuffetto:
e tutti gli altri, che tu vedi qui,
seminator di scandalo e di scisma
SG fCUr vivi, e però son fessi cosi
Un diavolo è qua dietro che n'acclama
si crudelmente, al taglio della spada
80 limettondo ciascun di questa risma,
quando avem volta la dolente strada;
fmggbra lA tinge, non Mrébbe d* pai»-
sonar* alla strage orribile che ai rodeva
Bada nona bolgia : il vb. equar» fa certo eng-
fntto a Dante dai Tersi di Virgilio dt. nella
Mta al T. 2. — 22. Ctlà Teggla eoo. Inoo-
■ÌBciaiido a deeorirere gli atrazSati della nona
Mgia il poeta dice d* averne vedato uno,
spaeeato por il hmgo dal mento sino all'ano
« aperto più che non aia una botte alla qnale
na flato tolta nna parte del fondo. La simi-
litsdine, nota O Venturi 888, è « intralciata
mOa costrozioDe, e nn po' oacnra nelle pa-
role ftiane » : ma intesa a dovere rende bene
l'iaagine di quello stradato, con tratti di
•fflcaoe realtà. — teggla: botte; voce ar*
eiioa rimasta viva in qualche dialetto del-
^ Italia soperiore, ma delia quale si hanno
aaehe esempi toscanL — aezzvl... Ivlla :
Una: e è da sapere che li fondi delle botti
xmo di tre petzi : quello di mexzo è detto
"Msnib, e li estremi hanno nome Mte ». —
^. deve 11 traila: cfr. la chiosa di Benv.
aU'in/; ZZI 187. — 25. le Mtaagia: le bu-
^ Tadte per la ferita, lat mirmtia (Dies
886X » 26. la cerata eco. si vedeva la co-
iati, doè il cuore, il fegato e la milza, e il
«oeo dello stomaco e dell' intestino, ove ha
hiogo la trasformazione degli alimenti in e-
KrensntL — 28. ai'attaeeex m'affisso, mi
^ ooB molta attenzione di sguardo. — 90.
■i dilaeeos sono squarciato, spaccato. —
31- TtA eoe. Io cosi straziato sono Hao-
■Kto : è il fondatore deQ' Islamismo, nato
«Uà leeoa nel 660 • morto a Medina nel
688 d. 0., il quale con le sue dottrine pro-
mosse una nuova divisione religiosa tra i
popoH della terra. — 82. Ali: Ali Ebn Ahi
Talib, parente e seguace di Maometto, nato
nel 697 e morto nel 660, discordando in al-
cuno dottrine dal maestro fondò una nuova
setta religiosa e seminò oosf germi di dissen-
sione fra i maomettani. — 88. fesso ael vette
ecc. spaccato nella focda dal mento alla fron-
te. — 84. e tatti eco. tutti i nostri compa-
gni frirono nel mondo promotori di discordie
civili (aeandato) o di dissensioni religiose (aet-
sma)] però sono cosi spaccati e divisi. —
87. Un diavolo ecc. Qua dietro a noi è un
diavolo, cho ci concia a questo modo tutte
lo volto che, compiuto un giro per il fondo
della bolgia, ripassiamo dinanzi a lui. — qaa
dietro : in un punto della bolgia, ohe a ca-
gione del corso circolare di essa Dante e Vir-
gilio non potevano vedere. — acelsaia: in
quale significato sia usato qui il vb. aeoi-
wmare non è ben chiaro : il Lana lo spiega
nel senso di piagare e 11 Buti in quello di
dividere o tagliare; Benv. invece lo intende
detto per adomare (« exomat et polit noe >),
avvicinandosi cosf all' opinione dei moderni,
i quali ricollegano Vaeeimnare dantesco al
prov. axeamar e al fr. ant. aeemury nel senso
di adomare, azzimare (Ci. Galvani, Lexioni
accademiche^ voi. U, pp. 86 o segg.) o in
quello di acconciare, accomodare .( cfr. Nan-
nucd, V9rbi 81, Diez 128, 724 e Parodi, BuU.
m 96). ^ 88. rliMtteaia eoo. sottoponendo
di nuovo ciascuno di noi al taglio della spa>
214
DIVINA COMMEDIA
però che le ferite son ricliiuse
42 prima ch'altri dinanzi gli rivada.
Ma tu chi se* che in su lo scoglio muse,
forse per indugiar d*ire alla pena,
45 oh* è giudicata in su le tue accuse? >
< Né morte il giunse ancor, né colpa il mena,
rispose il mio maestro, a tormentarlo;
48 ma per dar lui esperiensa piena,
a me, che morto son, convien menarlo
per lo inferno qua giù di giro in giro:
51 e questo è ver cosi com' io ti parlo ».
Più fCLr di cento che, quando l'udirò,
s'arrestaron nel fosso a riguardarmi,
54 per marayiglia obbliando il martiro.
< Or di' a fra Dolcin dunque che s'armi,
tu che forse vedrai il sole in breve,
57 s'egli non vuol qui tosto seguitarmi,
si di vivanda che stretta di neve
non rechi la vittoria al noarese,
d*, ogni ToUa ohe abbU oompinto il giro
dicoUre della bolgia. — 41. però eco. poi-
ché dorante questo giro le nostre ferite si
rimarginano. — 43. Ma (a eki eoo. Maometto
non ■' accorge, come altri dannati, che Dante
sia FÌTO (ofr. JH/l xxvn 61) e lo crede on'a-
nima indngiatan sol ponte della bolgia per
isfoggire ancora per un poco alla pena asse-
gnatale da Hinos. — mese: il vb. musare
esprime V atto proprio di chi goarda tenendo
il muso verso una data cosa o persona ; tolta
l'imagine da certi animali, come le rane che
guardano sporgendo in fuori il muso (cfr. Pa-
rodi, BuU. lU 153). — d6. eh' è glodlcaU
ecc. : li ricordi ohe Minos pronunzia le sue
sentenze dopo ohe i poocatorì si sono confes-
sati delle loro peccata ; cfr. Inf, v 7-15. —
46. Ké morte ecc. Virgilio interviene a di-
singannare Maometto sul conto di Dante, di-
cendogli eh' egli d ancora viro e che nessuna
colpa lo porta ai tormenti ecc. : cfr. Inf» xn
85 e segg. ~ 50. di giro la gire: di cer-
chio in cerchio : cft". Inf. x 4, xvi 2. — 52.
Pii tkt di e«Bto ecc. : si paragoni la mera-
viglia dì questi dannati con quella delle ani-
me del pargatorio {Pufrg, n 67-75). — 54. per
maraTiglia ecc. Questi dannati li fermano
dimentichi della pena inflitta loro; le anime
penitenti si fermano e quasi obbliando d'ire
a farsi beUe > {Pwrg, n 75). — 55. Or df' a
fra Dolela ecc. Tu, che presto tornerai su
nel mondo, fa sapere a fra Dolcino che, s'e-
gli non vuol venir presto a raggiungermi, si
provveda tanto largamente di vettovsglie che
una grande nevicata non dia ai novaresi
quella vittoria che altrimenti sarebbe difficile
a ottenere. — fra Doleia t Dolcino da Ro-
msgnano novaroee, discepolo 4ol parmigiano
Gherardo Segalelli fondatore della sotta reli-
giosa degli Apostoli 0 fratelli i^ostolici, al-
lorché il maestro fu arso vivo nel 1296, si
mise alla testa di questa setta e predicando
la carità e la comunanza dei beni e delle
donne raccolse molti proseliti nel Trentino e
nei territori di Brescia, Bergamo e Como:
contro Dolcino fu bandita una crociata, ed
egli dopo aver resistito per pid di due anni
nella Valsosia con l' aiuto dei eonti di Bian-
drate, nel 1306 si ridusse con cinquemila se-
guaci sopra il Monte Zebello nel biellese, vi
si fortiflcò ed oppose ancora una vigorosa
resistenza sulle forti posizioni occupate ; ma
per la mancanza di vettovaglie e per la ca-
duta grande di neve fti costretto ad arren-
dersi il 26 marzo 1807, e pochi mesi dopo fu
giustiziato insieme coi capi della setta (cfr.
Hiataria Duloini haeregiarehaé in Mur., Bar,
U. IX 429-460; C. Morbio, PnpMta di mi
nuonssimo commmUo per eia eh$ riguorda la
storia novarese, Vigevano, 1883, pp. 9-20;
C. Baggiolini, Doleino e % PtUamU^ Novara,
1888; F. Eroner, Fra DoMno und die Ai-
tarener^ Lipsia, 1844; Q, S. Ferrari, Fra DfÀ'
omo n^ Rwiata eurcpea, a. 1879, voi. XVI ;
F. Toooo, Oli ApostoU e fra Doleino nellUreft.
etor. i<., serie G^ voi. XIX; A. Segarizzi,
Oontributo alla storia di fra Dok,, Trento,
1900; e 0. Begani, Fra DOokio netta kadi-
INFERNO - CANTO XXVHI
215
60 eh* altrimenti acquistar non saria lieve >.
Poi che Pan piò per girsene sospese,
Maometto mi disse està parola,
63 indi a partirsi in terra lo distesOi
Un altro, che forata ayea la gola
e tronco il naso Infin sotto le ciglia,
6C e non avea ma che un* orecchia sola,
restato a riguardar per maraviglia
con gli altri, innanzi agli altri apri la canna,
69 ch'era di fuor d'ogni parte vermiglia;
e disse : < 0 tu, cui colpa noB condanna,
e cui io vidi su in terra latina,
72 se troppa simigliania non m'inganna,
rimembriti di Pier da Medicina,
80 mai tomi a veder lo dolce piano,
75 ohe da Yercelli a Marcabò dichina.
tìùm § ntOa Mkria, Milano, 1901). — 60.
«k'iltrlaeBtl ooo.: in&tti si legge neDa
cit EitL DuloM in Mar., Ber. U. IX 482,
eh* 1 wgaaei di fra Doldno « a nomine ez-
pognaii potarant, neo aliqnem hominem ti-
nébant, dommodo tamen liaberent Tlcto»-
fia>. — 61. Pel thè eoe. Maometto mi feoe
fMito disoono dopo aver già alzato uno dei
fMi per rimetterei in cammino, e, appena
ebbe Unito, compio il primo paaeo: ynol dire
Q poeta che O suo intozlooatore parlò rapi-
damente, come se la fretta lo aoepingeaie ol-
trt. — 62. efta parola: cfr. ^i/l n 48. —
^ Vm altro eoe : la deeorizione dantesca
ricordala Tiri^Hana dell'io TI 494: « At-
qoehio Priamiden i^^nUtaim ooipore toto Dei-
phoboffl Tidit, laoerom enideliter ora. Ora
aanwiae ambaa, popnlataqne tempora raptie
Anzlbos, et tnmcas inhonesto minore na-
wi». — 68. MA ohe: cfr. ^f. iv 26. — 67.
retiate eoe : oontinna la rimembranza tÌt-
pHana, En, ti 487 : < Noe vidisse semel sa-
^ est : turat aeqae morari, Et oonferre gra-
dua et Teniondi disoere canasas ». — 68. con
tU altri: con gli altri più di conto, che
s'erano formati a guardar Dante. — apri
U caaia eco. apri a parlare la canna della
gola, nngoinante per le ferite. — 70. e dia*
h: questi che parla è Pietro da Medicina,
di uà funiglia ohe col titolo di cattani eh-
V«o nel secolo zm la signoria di Medicina,
intu tona matildica nel piano tra Bologna
e la bsssa Bomagna : non pecò quel Pietro
daMs^ksina, ohe è ricordato in atti pubblici
bolognasl del 1219-20, fri giudice generale
BeOa Marca anoonitMiA per 0 rettore ponti-
tdo nel 1286 ed è menzionato anche nel 46
coae testimonio a un atto a Bologna; po-
trebbe più tosto essere un suo figlio e omo-
nimo quello che nel 1260 andò pretore a Ca-
stelfldardo e iti spogliato degli ayeri da un mi-
nistro di Pdderioo II ohe rtrendicara all' im-
pero lo terre occupato dai legati pontLOd :
forse fri oompreso nel bando da Bologna dio
colpi tutu i suoi 0 che fri oonflennato nel
1287, e allora potè aggirarsi por le piccolo
corti romagnole a sominarrl discordie, come
già aroTa fatto tra i suol concittadini (ofr.
G. Gozzadini, Ditk toni gmUUhcie, pp. 874 e
^Eg- 1 ^' Brognoligo , Un fmofpo doommnUt
pok, volffon del dugmUo, Fermo 1901). Bonr.,
al quale dobbiamo lo |id ampio notizie sullo
cose romagnole, raooonta ohe Pietro da Medi-
cina si arricchì con V arte di spargere dissen-
sioni, spedalmento tra Guido da Polenta si-
gnore di Barenna e Malatesta da Verrucchio
signore di Bimini (ofr. Inf. xxvn 40, 46), a
ciascuno dei quali raooomandaya di guardarsi
dall' altro ; e cosi « utorquo deoeptns mitte-
bat Potrò equos, iocalia, mnnera magna, et
uterque habebat ipsum in amioum ». — 71.
e evi lo Tldi eco. Ben^. attesta che a Me-
dicina, alla piccola corte feudale dei cattani
di quella terra. Dante si reod una yolta e
Ti fu accolto con onore : « et interrogatus
quid sibi Tideretur do curia Illa, respondit
80 non ridisse polcriorem in Romandiola, si
ibi osset modicum ordinis » : bella dunque la
terra, per la forte rocca che arerà e per le
fertili campagne, ma disordinato il goremo
del suoi turbolenti signori. ~ terra lattnat
cfr. £%f, xxm 26. — 74. lo dolco plano
eco. la bella pianura dall'Italia superiore,
che si stende da Voroelli in Piemonte al co-
stello di Marcabd, costruito dai renesiani alJa
foce del Po di Primaro e distrutto dai signori
216
DIVINA COMMEDU
E £a saper ai due miglior di Fano,
a messer Guido ed anoo ad Angiolelloi
78 che, se l'antiveder qui non ò vano^
gittati saranfuor di lor vasello,
e mazzerati presso alla Cattolico,
81 per tradimento d'un tiranno fèllo.
Tra l'isola di Cipri e di Maiolica
non vide mai si gran ìSelIIo Nettuno,
84 non da pirati, non da gente argoUca.
Quel traditor, che vede pur con l'uno
e tien la terra, che tal è qui meco,
87 vorrebbe di veder esser digiuno,
£arà venirli a parlamento seco;
poi £Etrà si che al vento di Focara
90 non iaxk lor mestier vóto né prece ».
Ed io a lui: < Dimostrami e dichiara,
se vuoi ch'io porti su di te novella,
93 chi è colui dalla veduta amara »•
Allor pose la mano alla mascella
dA Fblanta n«l 1800. — 76. I fa i
Lana : e predico lo predetto Fiero a Dante
la morte di mesMr Guido [dal Gasiero] e di
Angiolello [da Carignano] nobili di Fano, li
^Qali ftiron ri<^esti da Malatoetino de* Ma-
latéati da AriMino di paxlamentaie insieme
per prorredere al buono stalo della oontai»-
da; et ordlnonno lo parlamento alla Oatto-
lioa, per luogo oomnnole : seppe si ordinare
lo detto Malatestino, oh'eUi U fece noddere,
e caodò faori di Fano tatta eoa parte » : il
taJtto accadde poco dopo il 1813, quando Ma-
latestino Al SQOoedato al padre nella signoria
riminese (cfr. L. Tonini, Sult atmo in oui
prvtfo alta CaUolioa fu Vagta$rimo di' faneri
«fMSMT Ouido dal Oasaoro • Angioletto da Oor
rignamo^ wHÌ* BooUammUo^ a. 1858, pp. 681*
686 e Del Lnngo, Damté^ I 426). — 78. se
l'antlTeder eoo. : efr. Virgilio, Ai. i 892 :
e Ni firastra angoiìam yani docoece paren-
tis >. — 79. ghtitl eoo. Benv. : e qni, oom
yenirent per mare in nari et pervenissent
ad plagiam inxta montem qui Tocstor Fo-
caria, fùenint praeoi^tati in mare et soiTo-
cati ab iis qui ecant in nayi, siont praeordi-
natom erat per dictom Halatestinam ». ~
Tasello: ofr. Pmg, n 41. ~ 80. suneratl:
il Tb. fiuwMrar», attesta il Bnti, significa
e glttsro l'aomo in mare in nno sacco legato
con ona pietra grande, o legate le mani ot
i piedi et nno grande sacco al collo ». —
Catlelleat piccola terra sol mare Adriatico,
quasi a messa strada fra Bimini e Pesaro, sul
confine tra la Bcmagna e le Marche. — 81.
tlnuuMt cfr. T. 86. ~ 82. Tra Hiola di
Cipri eoo. n dio del mare non TÌd» Bai
oommettsre nel Mediterraneo, dall'isola di
Cipro a quella di Maiorca, un delitto cosi
grande per mano dei pirati o dù gxed che
anticamente corseggiarono quelle aoque. —
86. <|nel traditor ecc. Malatestino dei Ma-
latesti, che era chiamato Malatestino doifoo-
gMo « perché era manco di un occhio » sin
dalla nascita, successe al padre nella signo-
ria di Bimini nel 1812 e mor£ nel 1817 : cera
tanto amato che non si porrla contare », dioe
Tanonimo autore della Oron, riwimsa (Mnr.,
J20r. ìL XV 886), ma i suoi atti furono di
eflérato tiranno (cfr. Inf, zxrn 47). — 86.
tien la terra eoo. signoreggia la dttà di
Bimini, che un mio compagno di pena Tor^
rebbe non arer mai lista: ofr. ▼▼. 91-102.
— 89. farà si eoe Lana : « Focara è uno
luogo sopra mare nella Marca, tra Pesaro e
la Cattolica, in lo qual luogo è spesso di
gran fortune ; e usano molto li marinari, ohe
si trovano in quello luogo al tempo della lop-
tona, di pregare Dio e li santi e di fare molti
T6ti: si ohe prelude alli predetti che non li
farà mestieri né vétare né fare preghiera per
loro scampo > : cfr. F. Vatielli, Focara^ Pe-
saro, 1898, e Bassermann, ^. 287-289. —
91. Dimostrami t dichiara eco. Dante chiede
a Pietro ohe gli indichi e gli dica chi è quel
suo compagno die mal rido la tena di Bi-
mini: e Hotro lo compiace tosto, ponendo
la mano alla bocca di Curio per indicarlo a
Dante (tv. 94-96) e dicendo chi egli fu nel
mondo (tt. 97-99). — 98. dalla Tedata ama-
ra: che vorrétbe tamr digiuno di veder» Bimini
INFERNO — CANTO XXVIH
217
d*an Bao compagno, e la bocca gli aperse
96 gridando: « Questi è esso, e non favella;
questi, scacciato, il dubitar sommerse
in Cesare, a£Eermando ohe il fornito
99 sempre con danno P attender sofferse».
0 quanto mi pareva sbigottito
con la lingua tagliata nella strossza,
102 Curio, ch'a dire fu cosi ardito!
Ed un, di'avea l'una e l'altra man mozza,
levando i moncberin per l'aura fosca,
105 si che il sangue &cea la faccia sozza,
gridò : < Eicordera' ti ancbe del Mosca,
che dissi, lasso ! ' Capo ha cosa fatta ',
106 ohe fu il mal seme per la gente tósca »:
ed io gli aggiunsi: € E morte di tua schiatta » ;
per ch'egli, accumulando duol con duolo,
111 sen gio come persona trista e matta.
Ma io rimasi a riguardar lo stuolo,
e vidi cosa ch'io avrei paura.
(t. 87). » 96. Qa«itl è mio eoo. : questi è
il oompegno, di coi t' ho detto ; e non pad
pezlaie perohó ha e la lingoa tagliata nella
itzoaBa» (t. 102). — 97. tvettt, aeaeelat*
eoe. C. OÒzione, tribuno della plebe, x^ fio-
Mu^ tbgiiM, QMda» (Velleio Pateroolo n
46), esUato da Boma perohó troppo i^^erta-
■onte fivoiiya la parta di Cesare, si rooò
praao di lai eaoiìandolo, secondo Laoaao
Ars.i280 (cit.daDanteneU'epi8t. vn 4),a
pssnreil Bobioone, oon queste parole : «Dam
trspidant nullo ilxniatae robore partes ToUe
notas : semper nocait diffuTe paratis » (cfir.
Mooce, I 228 ): perdo Dante dioe oh' ei spen-
se in Cesare ogni dubbio, ricordandogli che
ehi è pfonto a on' impresa non deve in-
dngiare a porvi mano. — 99. l'attender:
r indagiaie, il differire. — 102. a dire fa eos£
ardite : cfr. Lucano, J^br*. i 269 : « Audax
Teaali comitatur Curio lingua >. — 106. Ed
■■9 ch'afe* eoe Questo dannato, ohe legava
tristamente i monoheiini per l'aria oscura
déQe regioni infernali, era uno di quei fio-
rentini àA buon tempo antico, ohe I^nte de-
lidecaTa di rodere (cfr. Jn/l n 80), Mosoa
dei Lamberti : il qùkle nella rannata dei pa-
renti degli Amidei per deliberare circa l'in-
gioiia ftittB a quella Duniglia da Buondel-
iMntB (efr. Far, xn 186 e segg.), détte il
ooesi^ di uoddere a dirittura il giovine
etnlisre ohe aveva mancato alla promessa
tt sposare una donaalla degli AmideL Mori
poi i Begsk), ov'eca podestà, nel 1243. — 107.
che diasi eoo. Baooontano i cronirti floren-
ttai che discutendosi in queir adunanza se
la vendetta da prendere di Buondelmoate do-
vesse essere < di batterlo 0 di fedirlo >, Mo-
sca Lamberti pronunziò le parole : Gbes /otta
ùoufo hOy consigliando cosi che rawecsarìo
fosse ucciso ; oooie di fatti segui (G. 'dilani,
O. V 88; D. Compagni, Or, i 2; P. IHerì,
Or, p. 16 ; e altre cronache in Hartwig, Quel-
\m %knì JTbrsoAciri^wi, cit, voi. II, pp. 228,
278). — Cosa fatta capo ha : droa queste
parole, ohe sono riferite cosi anche dai cro-
nisti dt., non s'accordano gì' interpreti ; me-
gUo di tutti le ha spiegate il Del Lungo, II
15 : < Cosa latta non può disfarsi ; liesce ad
un capo, ad un fine, a un effetto : e perciò
si uccida addirittura Buondelmonte, senza
pensar troppo oom' andrà a finire ; basta
eh' e' muoia ». — 108. che t^ U mal ecc.
che f^ principio alia divisione della cittadi-
nanza fiorentina in guelfi e ghibellini, da
Firenze propagatasi alle altre terre di To-
scana. — 109. I morte di tua schiatta:
perché i Lamberti Girono esiliati oon gli al-
tri ghibellini nel 1268 (0. Vili., Or, vi 65),
e da quel momento scompaiono qoasi del
tutto dalla storia fiorentina. La fiera rampo-
gna di Dante al Lamberti ricorda nella pron-
tezza della mossa le parole dette dal poeta
a Farinata, Inf, z 49. » 110. dnol con doe-
lo t il dolore della pena ool dolore cagionato
dal sisero ohe la sua stirpe fosse rovinata.
— 111. eeme persona ecc. come fja l'uomo
che per l'eccesso del dolore è fuori del sen-
no. — 112. lo stuoie : la schiera dei semi-
natori di discordie. — 118. t vidi cesa eoo.
e vidi uno spettacolo cosi straordinario, che
218
MVnTA COMMEDIA
114 senza più prova, di contarla solo;
se non che coscienza mi assicura,
la buona compagnia che Puom francheggia
117 sotto Tosbergo del sentirsi pura.
Io vidi certo, ed ancor par eh* io '1 veggia,
un busto senza capo andar, si come
120 andavan gli altri della trista greggia;
e il capo tronco tenea per le chiome,
pésol con mano a guisa di lanterna,
123 e quei mirava noi, e dicea : < 0 me ! »
Di sé faceva a sé stesso lucerna,
ed eran due in uno, ed uno in due:
126 com' esser può, quei sa che si governa.
Quando diritto al pie del ponte fue,
levò il braccio alto con tutta la testa
129 per appressarne le parole sue,
che fCLro : < Or vedi la pena molesta
tu che, spirando, vai veggendo i morti;
132 vedi s' alcuna ò gprande come questa.
E perché tu di me novelle porti,
Eappi ch'io Bon Bertram dal Bornio, quelli
dubiterei a daKsiiyerlo sens' altra testimo-
nianza ohe lo oonfennasse, se non foesi aa-
sieon^ dalla ooedenza ohe ho di dire il
yero. Dante sa ohe le rerità ohe hanno /bo-
eia di munobogna fknno parer bugiardo ohi le
dioe (cfr. bif, ziy 124-126) ; peroid, come
prima di desoriyere il volo e la Agora di
Gerione credette neoossarìa nna diohiaraadone
esplicita di Teridioità (Jnf. rx9 127-129), cosi
ora ch'egli dere narrare di nn nomo deca-
pitato il quale portava in mano la testa a
guisa di lanterna per illuminare il cammino,
dice ohe temerebbe di non esser creduto se
non fosse sicuro di raccontar cose reramente
vedute. Dante pud aver tratta l'idea dalla
leggenda di san Miniato, che decapitato prese
la testa in mano e tornò alla sua sedo (cfr.
BuìL VI 42). — 114. sensa pltf prora: sen-
z' altra conferma ohe le mie parole. Quei com-
mentatori che intesero : e senza fune altro
esperimento, senza riveder prima la cosa
eh* io narro», dimentioarono il v. 118; ove
la certezza del Catto è affermata cosi esplici-
tamente. — 116. la bnoma eempagafa eco.
la coscienza di dire la verità ohe assicura
l'uomo con la difesa efficace ohe Cs il sen-
timento d' essere immune da colpa di men-
daci parole. Sono da ricordare accanto alla
sentenza dantesca quelle d'Ovidio, BUd. i
485 : « Consoia mens ut cuique sua est, ita
oondpit intra Pectora prò facto spemque me-
tumque suo > e di Orazio, Epitt, i 1, 60 :
« Hio murus aeneua osto, Nil consclro slbl,
nulla palleeoere culpa ». » 120. della trlsu
greggia! dello stuolo del seminatori di di-
scordie. — 122. pisoli pendolo, sospeeo. —
a galsa di lanterna s a quel modo che Tuo-
mo camminando nell'oscurità tiene innanzi
a s6 la lanterna per illuminare la via. —
128. 0 meli ofr. Inf, vn 28. — 126. ai
eran eoo. e le due parti (busto e oapo) erano
del medesimo corpo, il quale pur cosi diviso
in due conservava l'unità dei movimenti:
cosa mirabile che solamente Iddio sa come
possa avvenire. — 127. diritto : aw., pre-
cisamente, appunto : ofr. Inf. zvtn 4. ~ 128.
con tutta la testa: Udta non è proprio un
riempitivo, come dicono i commentatori, ma
serve a rilevar meglio l'identità del movi-
mento delle due parti (braccio e tasta); co-
me nd Booc, D00. g. X, n. 9 : < il letto con
tutto messer Torello f^ tolto via». — 181.
spirando: le anime si accorgono plA volte
ohe Dante è vivo dal suo respirare (ofr. bif.
rsm 88, P^, v 81, xm 182). — 182. Tedi
ecc. : è una rimembranza del pensilo di Ge-
remia I 12, cosi parafìrasato da Dante nella
F. iV: vn 14: < 0 voi, che per la via d'A-
mor passate. Attendete e guardate 8' egli è
dolore alcun, quanto '1 mio grave ». — 184.
Bertram dal Bornie t Bertrando de Bom,
signore del castello di Hautefort (ofr. Inf,
xzEC 29), vissuto nella seconda metà del se-
colo zn, fu uno dei pid grandi poeti oho
INFERNO - CANTO XXVm
219
135 olle diedi al re giovane i ma* conforti.
Io feci il padre e il figlio in sé ribelli:
AoHitofel non fé* più d'Absalone
138 e di David co* malvagi pungelli
Perch*io partii cosi giunte persone,
partito porto il mio cerebro, lasso!
dal suo principio, ch*ò in questo troncone:
142 cosi s'osserva in me lo contrapasso ».
» in lingua prorenzale ai tnoi tem-
pi; e Danto lo zioorda oon onoro nel Dt
wJff, 9hq, n a, oome ooUore deUa Urica eroi-
ca: raccontano i suoi biografi ohe seminò
diaoordia tra Enrico II re d'Inghilterra 116i-
1189) ed il figlio ano primogenito pur di nome
Enrioo, dìiamato dai troratorl e dai cronisti
contemporanei il n ^ìomnm; e ohe, morto
qoeaf ultimo nel 1183 e eooppiato un oon-
taeto fra Bertrando e Biocardo Ooordileone
seoondogenito dol re d'InghUterim Enrico K,
inaiti e perdo ohe Tolera male a Bertrando
p«dié era amioo e consigliere del re gio-
Taae, ino figlio, il quale arerà aruta guerra
con lui e crederà ohe Bertrando n' eresse
tutta la colpa, prece ad aiutare il secondo-
genito conto Biccardo e fecero grande osto
e assediarono Hautefort e finalmento proaero
il castoUo e Bertrando > : al quale poi lo ri-
lasciarono, per amore del morto Enrico, del
quale Bertrando ricordò la lunga amicizia
(ofr. le biografie antiche riferito da A. Stim-
ning, Bertrtm d$ Barn, min Lébm und §&ìm
Wtrke, Halle, 1879, pp. 110, che è il miglior
laroro su (jnésto trovatore : sul quale si pos-
sono rodere anche F. Dies, Lebm und Werké
der Tnmbadoun, 2» ed., Lipsia, 1882, pp. 148-
192; L. aedat, Du rdU Mstorique de B«r-
trm d» Bom, U76'1200, Parigi, 1878; M.
Schermo, BeUram dal Bornio nella Nuova
Àrdoloffiaj &. 1897). — 136. ebe diedi eco.
Leggono molti testi : che diedi al re Oiovaimi
wiai eonfartit lesione acoettoto comunemento
contro la ragione storica, porche presento un
reno di costituzione pid regolare : ma nella
poesia antica T endecasillabo era molto più
Tarlato d'accenti e di cesure che non sia
nella moderna ; ed era ammeeso anche quello
oon gli acconti principali sulle sillabe quarto
e ottora seguito da cesura; come p. es. nella
r. N. xxm 20: e Che fia li miei spirili gir
parlando >. — al re gleTane eco. H princi-
pe, al quale si dicera ohe Bertrando arosse
dato i tnof confòrti, suggerendogli di ribel-
larsi al padre, fu cortamente Enrico, che era
il primogenito del re Enrico II ed era chia-
mato U re giovane (pror. Jo^fet reie) non so-
lamente in Francia, ma anche in Italia (cfr.
Q. Biagl, Le novelte anUehe ecc., Firenxe,
1860, p. 178, 180 ecc.; G. Villani, O. r 4:
e Questo re Oiorane fu il pid cortese signore
del mondo e ebbe guerra col padre per in-
dótto d'alcuno suo barone»): a ^^ certa-
mento roOe alludere Danto, non ali* ultimo
dei figli di Enrico II, Qioranni Swizatarra,
col quale Bertrando de Bom non ebbe rap-
porto alcuno; sicché la les. <As diedi al re
OiovoneU, sebbene dato da molti autoreroU
testi, è da ripudiare oome erroifea (cfr. Q,
OalTÌstti, Oeeerv, p. 468 ; F. Dies, Làbm und
Werke cit, p. 157; F. Oerroti, Discorso sto-
rieo nel quale «i avvera la lex, del r. 186,
0. zxnn deWInf. di Dante, Boma, 1866;
H. 0. Barlov, The Yomg King and Bertrand
de Bom, Londra, 1882; Bull 1, 119, VI 160).
— 186. Io fed ecc. : in una delle antiche
biografie di Bertrando (Stimming, op. dt.,
p. 104) si legge che e seppe trattare male e
bene ed era signore tutto fiato che rolera
del re Enrico dlnghilterra e del figlio di lui:
ma sempre rolera eh* essi aressero guerra
insieme, il padre e il figlio > ; e in un'altra
(p. 106), che e arerà tal usanza che sempre
Cacera sorger guerra tra i baroni e fece az-
zufbre il padre e il figlio dlnghilterra >. —
187. AeliitcfiBl eoe Acbitofel, consigliere di
Deride re d*Israole, eccitò Absalone a ribel-
larsi al padre Darid e ad uodderìo (II Re
xr 12 e segg., xn 16 e segg., xm 1 sogg.).
— 188. malragl piogelUi eccitamenti al
malo. — 189. Perch'Io ecc. Perché seminai
la discordia fra uomini ood strettamente con-
giunti, sono condannato a portare il cerrello,
eh* è nel mio capo, disgiunto dal auo prinei^
pio, dalla midolla spinale, che è nel mio bu-
sto. — 142. cesf eco. cosi appare oesorrata
in me la loirge del taglione, por la quale la
maniera della pena deve corrispondere alla i
natura della colpa.
220
DIVINA COMMEDIA
CANTO XXIX
Parlando di Q%tì del Bello, parente di Dante, punito fra I dannati della
nona bolgia, i due poeti pervengono sul ponte della decima e di qui per
veder meglio vanno sairultimo argine, che divide Malebolge dal pozso dei
giganti: Ivi si manifestano loro Grlifolino d*Arezio e Capocchio da Siena,
due dei falsari paniti con la lebbra nella decima bolgia [9 aprllCi tra Pana
e le due ore pomeridiane].
La molta gente e le diverse piaghe
ayean le luci mìe si inebriate,
8 che dello stare a piangere eran vaghe;
ma Virgilio mi disse: < Ohe pur guato?
perché la vista tua pur si soffblge
6 là giù tra l'ombre triste smozzicate?
Tu non hai fiitto si all*altre bolge;
pensa, se tu annoverar le credi,
9 ohe miglia ventidue la valle volge,
e già la luna è sotto i nostri piedi:
lo tempo è poco ornai ohe n'è concesso,
12 ed altro è da veder, che tu non vedi ».
TYnC 1. lA atlU gente eoe. H nomeio
gonade dei eeminatoxi di disDoxdia e la diver-
sità dal)p ferite ond'eruìo straiUti m'averaiio
cosi riempito di lagrime gli oochi che essi
erano desiderosi di effondere ^angendo il mio
doloro. — > 2. laelbrlate: pregne di lagrime;
bel traelato ohe ricorda il biblico (Isaia xvi
9): e Ti Inebrierd delle mie lagrime >. — 6.
pereM eoe. perché la tua vista si ferma sa
qoolle anime ecc. : il vb. aoffoigtn o toffokon
(i\r. zzm IdO) risale al lat. tuffvMn^ so-
stenere, e qni pare che detto dogli occhi si-
gniflchi appunto sostenersi, trattenersi, far-
marsi in on obbietto; lonso che è confermato
dai w. 18-10: si cfr. per altro Parodi, BuìL
m 108, 166. — 6. ombre triste eoo. le ani-
me dei seminatori di discordia, i quali sono
dolorosamente tagliati a pexzi ecc. : cfr. I%f.
xznn 19, 108. — 7. all'altre belge: di fotti
Dante si ò sempre allontanato da ogni bolgia
senza dimostrare rincrosoimento di partirsene
(cfr. Inf, xvm 67, 186, xix 124, xr 130, aaoi
151, xnn 147, xxn 18, xxvn 188). — & se
ta annOTtrar eoo. so ta credi di poter oe-
sorvare tatto le anime di questa bolgia. —
9. che miglia Teatldae ecc. che ha un cir-
cuito di ventidue miglia ; però è grandissimo
il numero doi dannati che vi sono compresi.
— 10. e già la luna ecc. Quando i poeti si
formarono a parlare con Malacoda erano cinque
ore innanii ai mesaodf {h%f, zzi 112): pre-
sero a camminare in compagnia del diaToli
sull'argine ohe separa la quinta dalla sesta
bolgia {Inf» zzi 186), oonvarsarono con Ciam-
polo di Kavanm, più tosto a lungo {Jb^. zzn
81-106X e Tidero il mnvo Judo tra lui e i dia-
voU {hif, zzn 106-160); poi s'aArettarono a
scendere nel ftmdo deUa sesta bolgia {Inf,
zzm 87 e segg.), oto conversarono con Ga>
talano dei Catalani {Inf, zzm 76 e segg.) e
donde risalirono al ponticello deUa bolgia
settima {Inf. zziv 32 e segg.): quindi disce-
sero sull'aigine intormedio Iht la settima e
Tottaya bolgia {Inf, zziv 78 e segg.), assi-
stendo alle trasformazioni dei ladri, e ripre-
sero la yia per i ponticelli fermandosi su
quelli della bolgia ottava e nona ( Ji/l zzn
43, 188) a conversare con pareochi dei dan-
nati di ciascheduna: tutto questo li tenne
occupati per più ore, dalle sette antimeridiane
sin oltre all'una pomeridiana all'indroa, che
Viigilio volge a Dante parole d'eccitamento ad
affrettare il oammino. — la lana eco. la luna,
che ieri notte fu nel plenilunio {Inf, zz 127),
trovasi ora sotto ai nostri piedi; vale a dive
è passata un'ora dopo il mezzodì: cft. DeUa
Valle, il santo gtogr, astmn, dt., p. 20-21 e
Moore, p. 66. — 11. lo tempe eoo. : dovendo
i due poeti percorrere i nove cerchi in un
solo giorno, non restavano loto più che dn-
INFERNO - CANTO XXIX
221
< Se tu ayeasi, rispos' io appresso,
atteso alla cagion per ch'io guardava,
15 forse m'avresti ancor lo star dimesso ».
Parte sen già, ed io retro gli andava,
lo duca, già facendo la risposta,
18 e soggiungendo: e Dentro a quella cava,
dov'io teneva or gli ocdii si a posta,
credo òhe un spirto del mio sangue pianga
21 la colpa che là giù cotanto costa ».
AUor disse il maestro: < Non si franga
lo tuo pensier da qui innansi sopr'ello;
24 attendi ad altro, ed ei là si rimanga:
ch'io vidi lui a pie del ponticello
mostrarti, e minacciar forte col dito,
27 ed udi' '1 nominar G^i del Bello.
Tu eri allor si del tutto impedito
sopra colui òhe già tenne Altaforte,
qw ore eim per visitare l'oHlma bolgia e il
nono corchio (ofr. Ifi/'. zxziv 68). — 18. 8«
ta ATeid eec. Dante ai aoosa a Virgilio del
no indogiare afUsnaando ohe per oneeta oft-
gìone egli s'ecm trettemito a guardare nel
fondo dell'ottava bolgia, gerendo di vedere
nn too oonginnto ohe doveva eaaervL — 15.
ikaeaaet oonoeaao, penioaao; nel aenao del
lat dtmitttn. — 16. Parte tea f<a eoo. 8i
ooitniiioa: Birff io dtua t&ngta» faemudo già
m fitpotttB, td io qH fliMOM Tttto toggwinQ9ii
éù eoo. oioè: Mentre ohe (ofr. IStrg, xn 19)
Virgilio ae n'andava in atto di aprir la boooa
a rispondermi, io lo segoiva aggiungendo alle
atee Biie parole eoo. Riguardo al oamUamen-
to della eoetrosioBe, ohe di snbordinata si fa
'^'***Hinata per e^riser meglio la oontempo-
naafttà delle azioni ofr. in/: zxv 84. — 18.
Bsntre a snella eoo. Sntro alla valle, coi io
ttneva oosi fisamente rivolti gli ooohi, deve
essere nn mio oonsangalnoo a pianger la
00^ d'avere promosso discordie. — 22. Al-
ter disse eoe Mentre Dante era sol ponte
della nona bolgia, tatto intento alla Agora
epaveatoaa di Bertrando de B(an, l'anima di
un suo parente aveva appontato oontro di Ini
Q ditD per segno di minaoda; ma e' non se
l'era accorto, e Virgilio, che aveva notato
qasU'atlo e aveva sentito prononziaM agli
altri peooatori il nome di qnel dannato, ora
ne iafoma Dante eoeitandolo ad allontanare
dalla mente il pensioro di quel suo parente.
— Hea al ftranga eoo. È chiaro ohe Virgilio
sedia Dante a non pensar pi6 al sno oon-
langoineo; ma la frase «i franga lo tuo pm^
ém oopr'tUo ha dato molto da ftue agli in-
terpreti: aloui dei qaaU intendono U frm^
gmi per intonerirsi, oommnoveni; altri, per
intSRompeiti, distrarsi; altri infine per ri-
flettersi, ripiegarsi, volgersi : è, ad ogni modo,
on bel trsslato assai atto a signifloare la vio-
lensa ohe il sentimento dell'uomo medioevale,
consorte dell'onta Invendicata, ftM)eva sull'a-
nimo dell' Alighiori, costringendolo a ripen-
sare al dovere di compiere la vendetta. —
27. 6erl del Bello: 6eri figlio di messer
Bello di Alaghiero (ofr. Fw. zv 91) fu cu-
gino carnale del padre di Dante, e fiori in-
tomo alla metà del secolo xm, poiohó nel
1269 è nominato nell'estimo dei danni Catti
dai ghibellini dopo Montaperti (FratioeUi, cap.
m; L. Passerini, DeUa faimUgìia di Dante nel
I>iwifo • i< suo seoo<o,pp. 60 e segg.; M. Barbi,
BuiL n 65-70). Scrive UDel Lungo, Dani$,
n, p. 108: e La storia di Qeri del Bello è
variamente narrata dagli antichi commenta-
tori: brutta ad ogni modo. Uccisore a tradi-
mento, e dopo avere con una menzogna fSatto
poaar l'arme al suo avversario, egli stesso ò
poi uodso in Fuoecohio da un parente di
questo: che iìamiglia fossero, non è ben chia-
ro. E notisi t Qeri aveva ucciso, dicendo al-
l'altro, * Messere, ecco la famiglia dol Potestà,
riponete l'armo ' : e ruccìBore suo fa la ven-
detta, essendo davvero ufficiale di Potestà e
mostrando di cercargli arme addosso. Nel ohe
par di vedere un'osservanza di forme feroce,
la dottrina del eontrapasao applicata (n6 dò
d senza riscontri) con pedanteria «*"gninosa ».
La flamiglia deirucciso da Qeri e del suo uc-
cisore fu quella dei Qerini o Qeremei, secondo
Lana, Buti, An. fior.; ta quella dei Sacchetti,
secondo Ott., Benv., Land. — 29. lepra co-
lai ecc. Bertrando de Bom, signore del ca-
222
DIVINA COMMEDIA
che non guardasti in là, si fu partito ».
< 0 duca mio, la violenta morte
che non gli ò vendicata ancor, diss'io,
per alcun che dell'onta sia consorte,
fece lui disdegnoso; ond'ei sen gio
senza parlarmi, si com'io estimo:
ed in ciò m' ha e* &tto a sé più pio ».
Cosi parlammo infino al loco primo
che dello scoglio Taltra valle mostra,
se più lume vi fosse, tutto ad imo.
Quando noi fummo in su Tultima chiostra
di Malebolge, si che i suoi conversi
potean parere alla veduta nostra,
lamenti saettaron me diversi,
che di pietà ferrati avean gli strali;
ond* io gli orecchi con le man copersL
Qual dolor fora, se de^Ii spedali
86
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42
45
«tello di Haniefort: ofr. hif, xxnn ISi. —
80. li tm pMTkltoi sino a oh« egli ai fa al-
lontanato: qaecto #1 per tino a thAy già in-
contrato in Inf. XIX 4i, 128 è àbbaitania
finente nei nostri antioU. — 81. 0 daea
■le eoe. Dell'nociiione di Geri del Bello nee-
inna rendetta presero i snoi oonsangninei,
oome attestano Ott, Bnti, An. fior, ecc.: so-
lamente Bony. nana ohe la vendetta fu fatta
trent' anni dopo la soa morte dai nipoti di
Qerl, e il Land, conferma il racconto aggion-
gendo ohe e on figlinolo di messor Olone [di
Alaghlero] uccise uno de' Sacchetti sa la
porta della casa sua >. Ad ogni modo, pe^
Dante, quell'onta era rimasta invendicata, e
perdo fi oraocio di Gezl sosdtd in lai nn
sentimento di pietà dolorosa, rincrescendogli
ohe la vendetta non fosse ancor fatta: in
questo Dante si mostra uomo del suo tempo,
allorché dei fiorentini poteva scrivere l'Ott
che e mai non dimenticano la ingiuria né per-
donano senxa vendetta l'offesa» (ofr. Del
Lungo, DanU, II, pp. 106-128, e P. Santini,
AppunH 9uUa vmdtUa privata , nell' Areh,
dor, «., 4* serie, voL XVm, pp. 162 e segg.).
— 86. ed la ciò eoe e cosi mi ha contristato
per la pena ohe egli softre e più per avere,
con la sua fierezza sdegnosa (cfr. BulL Vin
85), rinfrescato in me il dolore ohe l'onta fhtta
a lai sia rimasta invendicata: cfr. la firase
m' ha fatto piA pio con le parole dette a Fran-
cesca, Inf, V 116-7. — 87. Cosi parlammo
eoe Cosi andammo parlando insino al kco
primo dello teogUo^ al principio del ]>ontioello,
donde, se vi fosse stato maggior lame, sa-
lebbesi veduto il fondo della decima bolgia.
— 40. eUeitra: luogo chiuso, valle o bolgia
chiusa tra gli argini ( cfr. Petrarca, sonetto
Gxcn 8: e Per questa di bei colli ombrosa
chiostra»): nel Purg. vn 21 designa generi-
camente una parte dell' infamo. — 41. eoB-
versli avendo indicata la bolgia col nome dì
càioi^a, che significa anche monastero (Air.
in 107), chiama eonverH, dò sarebbe firati
laid, uomini claustrali, i dannati che vi sono
raccolti a penare, oome nei conventi i reli-
giod a far penitenza. — 48. laaeatl satt-
taren eoe stranissimi lamenti, che erano
l'espressione di gravi dolori, mi oolplrono sf
eh' io mi turai gli orecchi per non sentirli :
giustamente osserva il Biag. che e bellissimi
d'espressione, da gran forza vibrati sono i
primi due versi, e quali nel solo Dante s'am-
mirano, e che già preparano il lettore agl'In-
finiti mali che s'appressano ». — 44. ehe di
pietà ecc. come la punta fonata è propria
degli strali, cosi la pietà, il dolore cagionato
dai tormenti, era espresso da cotesti lamenti :
panni da intendere cosf, perché l'effetto dei
lamenti è accennato nel verso seguente, e
qui Dante vuol dire solamente che osd erano
l'espressione di grandi dolori; of^. Petrarca,
sonetto ooxLi 6: « [Amor] per avanzar sua
impresa Tina saetta di piotate ha presa ; £
quind e quindi il cor punge et assale ». —
46. Qual dolor fbra ecc. U dolore raccolto
nella decima bolgia ora tale quale sarebbe se
d riunissero tutti insieme in un solo luogo i
morbi che nell'estate infestano i paed paln-
dod della Val di Chiana, della Maremma e
della Sardegna ; e il puzzo che ne usdva pa-
reggiava il fetore delle membra mardte. Il
Torraca dta questi verd di Onesto da Bolo-
gna : e Se li tormenti e' dolor eh* omo ha
conti Fossero indeme tutti in uno loco ». —
degli spedali di Tal di QUaaax ai tempo
INPERNO - CANTO XXIX
223
di Val dì Chiana tra il luglio e il settembre,
48 e di Maremma e di Sardigna i mali
fossero in una fossa tutti insembre;
tal era quivi, e tal puzBo n'usciva,
51 qual suol venir delle marcite membre.
Noi discendemmo in su l'ultima riva
del lungo scoglio, pur da man sinistra,
54 ed allor fu la mia vista più viva
giù vèr lo fonde, là Ve la ministra
dell'alto Sire, infeaiibil giustizia,
57 punisce i fÌEdsator che qui registra^
Non credo ohe a veder maggior tristizia
fosse in Egìna il popol tutto infermo,
00 quando fii l'aer si pien di malizia
che gli anJTnali infino al piccaci verme
cascaron tutti, e poi le genti antiche,
63 secondo che i poeti hanno per fermo,
si ristorar di seme di formiche;
a Danto BtlU Val di CAiana, paeae aUora
palodoio per- lo atagnan delle aeque deUe
Chiane tra Axeso, Cortona, Chinai e Honto-
pokiano, torgérano oapiit, dipendenti dalla
eiaa dd frati ospedalieri d'Altopasdo, nei
^nali oepizt, oltre i peliegiini ohe andayano
a Boma o ne litomaTano, a'aoooglioTano nel-
l'aitato i malati di febbri o d'altri morbi pro-
dotti daU' inaalubrità deU' aria. 8i roda il
TWMaennwnn, pp. 296-801. — 48. di Hareai-
BU e di SairìUgaa: la Maremma toscana
(cfr. Inf, zm 7-0, zzr 19) e la Sardegna
erano nel medioero oos( spopolato e paladose,
che grandi malori tì si srUapparano speoial-
mento nei caldi mesi estiri. — i9. latembrei
insieme, Tooe arcaica, derivata come lo spagn.
«uMtòro e fl ftr. mmmbU dal lat inrimul
(Diaz ISA): si trora osata anche fatai di ri-
ma, p. ea. da QaUo da Fisa (VaL I 444):
« Viriamo insembre senza partimento >. --
62. lei dlfeendemat eoo. Perché dal pon-
ticello non si pnò, per l'osooiita grande, di-
ttingaer bene il fondo della bolgia, i dae
poeti scendono all'estremita di esso snll'nlti-
Bo degli argini di Malabolge, qnello ohe se-
pera l'ottaTo dal nono cerchio, tonendo sem-
pre il cammino verso sinistra. — 64. fa la
mU Tlsta ptd tItu la mia vista potò me-
^ distingoere; poiché per la maggior vici-
aan» dell'obbietto U senso del vedere acqni-
Ma qnaai maggiore capacità di vedere: cosi
naQ' Bif. znv 70 Danto dice gU ooehi Wrt\
par esprimere l'idea che si sfollavano, sob-
bana inntilmento, di penetrare sino al fondo
UOm aettima bolgia. — 66. dell'alto «rsx
4iDio; efr. iWy. zv 112. — 67. che qsl
figifltrs: ohe essa divina ginstiria registra,
qui nd mondo, nel gran libro dei peccatori ;
espressione conforme a molto della Bibbia
(Daniele vn 10, Apoeal» xx 2 eoo.) e alle par
role del Diei trae : e Liber soriptns profere-
tnr Di qno totom continetor, Unde mnndos
iadioetor >. — 68. Hon eredo eoo. Non oredo
che la triaUxiaf il doloroso spettacolo, che
apparve noli' iaola di Egina allorquando fu
devastata dalla pesto mandata da Qionone,
fosse più grave a vedere di qaello offerto dai
dannati nel fondo della decima bolgia, e II
lungo giro del periodo, osserva il Diag., la
similitadine della pestilenza di Egina, con le
circostanze ohe la fanno pid spaventosa an-
cora, empiono l'anima di tanta tristesza e ri-
brezzo, éìB rifogge quasi dall'orrenda vista di
quegli spiriti ammucchiati e languenti, come
con ai forti e diversi colori da Danto solo si
potova ritrarre > ; da Danto, il quale per altro
ebbe l'occhio alla deecririone die della pesto
di Egina si legge in Ovidio, M«L vn 628-660,
e ne ooLbo, ravvivandoli, i tretti più effloacL
— 60. l'aer sf pien di auillzlat l'atmoafara
piena di germi di corrurione peatilenziale ;
ofr. Ov., Met. vn 682 : « Letiferis calidi spi-
rarunt flatibus Austri ». — 61. eÌM gli ani-
mali eoo. Ov. Met, vn 686: e Strage canum
prima volacmmque, oviumque, boumque, In-
que feris subiti deprensa potontia morbi ». —
62. e poi le geati aatlclie eoe. e gli abita-
tori primitivi di £^;ina si rinnovarono dalla
razza delle formiche; poiché Eaco, re del-
l' isola sopraviBSuto alla strage , chiese a
Giove che a ripopolare il paese convertisse
in uomini tutto le formiche dal luogo, e oos(
ebbe origine il popolo del Mirmidoni. — 63.
1 peett : gli antichi poeti ohe raccontarono il
224
DIVINA COMMEDIA
cVera a veder per quella oscura valle
66 langmr gli spirti per diverse biche.
Qual sopra il venire, qual sopra le spalle
Pan delPaltro giacea, e qual carpone
69 si trasmutava per lo tristo calle.
Passo passo andavam senza sermone,
guardando ed ascoltando gli ammalati,
72 che non potean levar le lor persone.
Io vidi due sedere a sé poggiati,
come a scaldar si poggia tegghia a tegghia,
75 dal capo al piò di sohianze maculati*
e non vidi giammai menare stregghia
da ragazzo aspettato dal signorso,
78 né da colui ohe mal volentier vegghia,
come ciascun menava spesso il morso
dell'unghie sopra sé per la gran rabbia
81 del pizzicor, che non ha più soccorso;
e si traevan giù l'unghie la scabbia,
come coltel di scardova le scaglie
84 0 d*altro pesce che più larghe l'abbia.
fatto furono paieochi, ma Dante accenna in
partioolar modo ad Gridio (MeL vn 662 e
segg.)- — 66. ek'era a Teder ooo. Or., Mei,
wa 647: e Omnia langoor habet: silvisque,
agriaqno, ylisqne Coipoia foeda iaoent», e
ib. 684 : e Qoo se oumqne adee ocnlorom fle-
zerat, illio Vnlgna erat stratom; velati oom
patria motis Poma oadont lamis, agitataqne
ilice glandee*. — 66. Mebe: lo bieh» tono
propriamente i macchi dei covoni di grano o
della paglia, che si fanno presso le case dei
contadini (Dies 867), e qai, in senso traslato,
i macchi dei dannati ; cosi almeno intendono
i commentatori moderni : ma gli antichi in-
tesero più tosto diverm biehe per le diverse
maniere dei morbi ond'erano oppressi; e ve-
ramente non di tatti i falsari si paò dire cho
sono addossati gli ani agli altri, ohe anzi ana
^parte ne va carpone p$r io irido ocUU (v. 69).
*. 67. Qaal sopra 11 Tentre eco. I dannati,
che primi si offrono allo sgaardo di Dante,
sono i falsari ohe esercitarono raloMmia a
fini fraadolenti: essi sono tatti lebbrosi o
scabbiosi o paralitici, e se ne stanno distosi
col ventre a terra o addossati l'ano alle spalle
doU'altro 0 vanno camminando a stento con
le mani e coi piedi. — 69. si trasHatara :
si trasferiva da an laogo all'altro. — 70.
Passe fasto ecc. Noi andavamo adagio sa
per l'argine, guardando ed ascoltando i pec-
catori che non potevano tenersi dritti salla
persona, essendo oppressi da tanti morbi. —
78. Io ridi d«e ecc. Questi due dannati che
stanno sedati l'uno contro le spalle dell'altro,
grattandosi i corpi lebbrosi e pieni di orosts
sono Qriffolino d'Arezzo (v. 109) e Capocchio
da Siena (v. 124), due alchimisti dei tempi
di Dante. — 74. eOMt a scaldar eco. come
sol fornello della caoina s'accostano Tona al-
l'altra dae teglie, perché si sostengano col
vicendevole appog^o. — 76. tchlaase : sono
le macchie della scabbia, o, come altri inten-
dono, le croste delle piag^ disseccate. — 76.
e nea Tldl eoo. non vidi mai garzone, ohe
fosse aspettato dal soo padrone o soqùnto dal
desiderio d'andare a dormire, menar la strì-
glia addosso al cavallo con impeto tanto af-
frettato qaanto era nel grattarsi di questi
due fislsarL — 77. ilgaorso : signore soo ;
forma di composizione frequente nella lin-
gua antica (es. fràtelmo, mòglietOy pàtreto eco.)
0 rimasta viva in qaalche dialetto moder-
no, specialmente dell' Italia meridionale (cf^.
Parodi, BulL UL 123). — 79. 11 morso del-
l' iBghle : le onghie che stracciavano, mor-
devano quasi la pelle. — 80. per la graa
rabbU ecc. per l'acutiasimo e pungente pru-
rito della scabbia, che non trova altzo sol-
lievo. — 83. e sf traSTaa ecc. o le unghie
traevano giù le sohianze della scabbia, come
il coltello del cuoco leva via raschiando le
sqaame della scardova o di altro peeoe ohe
le abbia più larghe della scardova. — 8S.
leardovat è on pesce d'acqua ddoe («f|iiv
futf latus di Linneo), ohe ha squame molto
grandi e spesse, a levar le quali biaogna
lavorar forte di coltello. Si noti come daK
l'osservazione dei fatti pia comuni della vit»
INFERNO - CANTO XXIX 225
« 0 tu olle con le dita ti dismaglie,
commciò il duca mio a un di loro,
87 e che ÙA d'esse talvolta tanaglie,
dinne s'aloun latino è tra costoro
che son quinc'entrO| se l'unghia ti basti
90 etemalmente a cotesto lavoro ».
< Latin sem noi, che tu vedi si guasti
qui ambedue, rispose l'un piangendo;
93 ma tu chi se', che di noi domandasti? »
E il duca disse: « Io son un che discendo
con questo vivo giù di balzo in balzo,
96 e di mostrar lo inferno a lui intendo ».
Allor si ruppe lo comun rincalzo;
e tremando ciascuno a me si volse
90 con altri che l'udiron di rimbalzo.
Lo buon maestro a me tutto s'accolse,
dicendo: < DI' a lor ciò che tu vuoli »;
102 ed io incominciai, poscia ch'ei volse:
e Se la vostra memoria non s' imboli
nel primo mondo dall'umane menti,
105 ma s'ella viva sotto molti soli,
ditemi chi voi siete e di che genti;
la vostra sconcia e fi»tidiosa pena
106 di palesarvi a me non vi spaventi ».
€ Io fui d'Arezzo, ed Alberò da Siena,
Dtnte nppiA tnixe imagini di potente eflS- yisitetoii ò ancora rivento (ofr. Inf, zzimi
ead* zafpreeentetiTa : le oompanuioni déUe 62 e iogg.) ai aoocterono oiaacimo dalle apalle
teg^e (t. 74)i del mono di atella (t. 76) e dell'altro, al che <i rupp$^ renne meno, h
dalle wqpMOB dal peaoe aono ooai vive e in- oomun rkieatxo, il yloendevole appoggio; e
dalTe ehe mal al aaprebi» cenanzaxe il poete tremando di paora al volaero veno Dante in-
d'aver tolti i ano! colori de tanto umile ta- aieme con altri oompagnL — 99. di rliMbal-
▼olosa. — 86. Il dlaBUifflle!tÌ8Qroati,atao- io: indirettamente; perohó Virgilio areva
cando con le im|^ le achianie aoTxappoato rivolto eoe parole ado a Qriffolino. — 102.
runa all'altre come le mafl^ di un'aimatora. relae; ofr. Inf, n VB. — 106. Se le Toaftre
—87. t ehe fai d^eaae eoo. t ohe le adoperi, ecc. Coai noi mondo la memoria di voi non
come ae foaMro tenace, afBarxando e traen- a' involi, non fogge daUe monti degli nomini,
doti di doeao le croate. — 88. 4UBe ae al- ma dori per molti anni. — 106. 41 che genti:
: è la ataaaa domanda fiatto già a di quali cittadinanze, fra le molto d' Italia,
Olampolo di Navaira; ofr. 3iA zzn 66 ^ Toifoate. — 107. la Ttatraaeenela eoe Danto
" 89. «vlne'eBlrot efr. Mf, z 17. — te forae ricordava i tre fiorentini aodomiti ohe
l'nghla eco. Oaaerva il Loml>. ohe e non per la miaera lor condizione temevano d'ee-
potondo quo* dennati ^eiaze altro aocoorao seng^ m ditpeUo (Inf, zvi 28 e aegg.): pen-
ali' ineoffribUe pnizito, che qnello dello nn- sando che tanto maggior ragione d'avere un
g)ÙB, non poteva oertamento ae non grato simile timore c'era pei duo alchimiati, quanto
riasair loro preghiera cotale > : ato bene; ma più edhifoaa e vergognoaa era la loro pena,
la depreceaione angualo di '^nrgilio non è egli li incoraggiò a manifaatarai affidandoli
tea» odUve di lepido e arguto motteggio. — oon corteei parolo. — 109. le fai d'irezse i
91. Iiatlmaea nel eco. Italiani aiamo noi dne, il Lana dice: cQaeato aretino fu nnaaorit-
che vedi eoe! lovinati daUa aoabbia; ma ta tnmto peraona, aottile e aagace, ed ebbe nome
ehiaei? — 9A. It aea aa eoo.: tstr, Inf. maaetro Oriffolino; aapea e adópezava quella
zma 46-61. — 97. Aller il rnppe eco. I due parto d'elohfmia che ò appellato aoft«tloa, ma
filaari meravi^iatl al aantìre ohe l'ano dei ftceelo al aeoretamento ohe non era aapato
DAim 16
226
DIVINA COMMEDIA
rispose l'un, mi fé' mettere al foco;
111 ma quel per ch'io mori' qui non mi mena.
Ver è eh' io dissi a lui, parlando a gioco,
*Io mi saprei levar per l'aere a volo'j
114 e quei, ohe avea vaghezza e senno poco,
volle ch'io gli mostrassi l'arte, e solo
perch' io no '1 feci Dedalo, mi fdce
117 ardere a tal, che l'avea per figliuolo.
Ma nell'ultima bolgia delle diece
me per l'alchimia, che nel mondo usai,
120 dannò Minos, a cui fallar non lece ».
Ed io dissi al poeta: < Or fu giammai
gente si vana come la sanese?
123 certo non la francesca si d'assai ».
Onde l'altro lebbroso che m'intese
per alcona penona. Or qoesto maestro avea
contezza con un Albero, figlinolo secreto del
yescoTO di Siena, e questo Albero era per-
sona raga e semplioe ; ed essendo nn die a
pariamento eolio detto maestro GxiiSolino, e
per modo di troppo lo ditto maestro disse :
* 8' io Tolessi, io anderei volando per aire
come Dumo U ncoelli e di die e di notte ',
soggiungendo a eoa novella : < E* si potrebbe
andar per tntta la taira e in li segreti luoghi
senza dubbio di signoria o di persona che of-
fendesse *. Questo Albero si idse le parole al
cuore, e credettelo ; infine strinse lo detto
maestro ch'olii li insegnasse volare. Lo mae-
stro pur li dioea di no, oome persona che non
sapea flue niente. Costui li prese tanto odio
addosso, che 1 padre predetto dee il vescovo
li informò una inquisizione adesso e fèllo
ardere per patazino >• Oli altri antichi com-
mentatori, Ott, Pietro di Dante, Benv., Buti,
Land, eoe ripetono press' a poco questo rac-
conto : gli eruditi senesi tengono che il fiotto
succedesse a tempo del vescovo Bonflglio,
che resse la chiesa di Siena dal 1216 al 1262
e fti gagliardo persecutore d'eresie, ma a dò
si oppone ohe maestro Griffolino viveva an-
cora nel 1268, ascritto alla sodetà de' Toschi
in Sdegna. Di Albero, figliuolo o semplice-
mente protetto del vescovo (da alcuni tenuto
una stessa persona con quell'Alberto da Siena
di cui novellò F. Sacchetti, nov. n-xiv), si
hanno notizie dal 1288 al 1294, si che il fatto
dovrebbe essere accaduto neUa sua prima
gioventd (cfir. B. Aquarone, Dante in SwWj
pp. 69-61). — 111. ma quel ecc. non sono
qui per 1* inganno fatto ad Albero, inganno
che mi costò la vita, ma come alchimista (cfr.
V. 119). — 112. a gloeo: proprio come dice
il Lana < per modo di troppo >. — 116. De-
dalo: àtr, Inf, zvn 109. — 117. a tal ecc.
al vescovo di Siena. ^ 119. aldifaia : dd-
l'oleMmia (voce derivata dall'azalx) o^-HeOS :
Diez 11) gli antichi distinguevano una parte
ledta consistente ndla ricerca e neQ'eetm-
zione dd metalli nobili, oro e argento, dxd
minerali, e una parte illedta o mfitHoOt quan-
do nella purificazione dei metalli si prooo-
deva con inganno : e d die ofaiaro appare
(dice U Lana) ohe nell'aite d'alchimia pud
essere fkllanzla, sf oome puote in dascnna
altra arte, e questa è illidta e vietata, e dil
la usa d sottomette a vizio di fteudolenzia ».
— 121. Or fa giaanial eoo. Il rioordo ddla
f atoitik di Albero da Siena suggerisce a Dante
questo giudizio sopra la vanità dd senesi, il
quale rispecdiia dò che di qudla dttadinanxa
pensarono i contemporanei (cfr. Airy. xm
161): al qud propodto scrive A. D'Ancona,
Studi dierit, $Mt. idi,, p. 192, die cfl gio-
dido comune, compendiato, esageranddo, in
qud dettato che dice tutti matti i seneei, ce
li rappresenta dotati fi vivido e balzano in-
gegno, di animo pronto e lieto, fortemente
inclinati d più nobili piaceri dd senso, agli
spettacoli, d sollazzi, alle giocondità ddla
vita: facilmente mutabili e disposti a correre
da un estremo ddle cose alTaltro >; e il Bae-
sermann, p. 906 : e L' amore eccessivo aUa
bella apparenza e la soonsiderata fiduda nella
propria forza, sono i due tratti oaratteristìd
che Dante prende di ndra nd sened»; e nota
che a tali qualità d oollegano i rioosdi deOa
brigata spendereoda e dd volo Idia ded-
derato da Albero, tioorrentl in questo can-
to. — 123. eerte non eco. la gente /HMssaea
(cfir. Inf, xxm 115), die pur ò vairiiwhna, è
meno fktua della seneee. B gludido ddla vani-
tà francese ò antico quanto qud popde: «un-
de multum ndror (scriveva già Benv.) et indi-
gnor animo quando video italioos et praedpue
noblles, qui oonantor imitari vestigia eoram ».
^ 124. l'altro lebbroseeeo. È Ot^eeohio da
INPERNO — CANTO XXIX
227
rispose al detto mio : < Tràmmene Stricca,
126 che seppe £ur le temperate spese^
e Niccolò, che la costuma ricca
del garofano prima discoperse
129 nell'orto, dove tal seme s'appicca;
e tranne la brigata, in che disperse
Oaceia d'Asdan la vigna e la gran fronda,
132 e l'Abbagliato suo senno proferse.
Smba, seeosdo Lana, Dati, Land, ecc., o da
FlKMizB, seooodo Ott, Fiotro di Dante, Denr.,
Ck.an.eoc.;Uqaale,dieerOtt, clnaottllis-
UBO aldUndata, e però ohe operando in Siena
coarta «li^iifair»*^ Ali azso, ti laoatra eoo odio
ooBCim i laaeal > : il eappIUo di Gapooohio
te Mirasoeto del 1288 (D. Aq^oarone, op. dt,
f. CBV — 126. rlifoie eoo. Oapoodiio a oon-
fnaare il gtsdiiio di Dante segue dicendo
iroolBaiBente ohe dal norero dei seneai vani
s* hanno a to^ieiie i dna fratelli Stiloca e
Kicoolò è^ SaliabeBi e gli altri tatti della
iridala ifmdtnooia: eboa la quale è da la-
pere die salla aeooiida metà dd seoolo xm
■i temo in Siena iotto cotale dmiomlnailone
nn^ lìtnaftagM^ di dodid giovani liodiianini,
coolacendo daaoano nna forte somma di de-
mro, per Tirerà lietamente in oonyiti e feste:
di tde compagnia corsero subito diTOcse no-
TeOe, per coi le yioende di essa perrennero
a ad rifiorita di SMlti partiodari iinitasticl,
ia mecBO ai quali è difficile determinare la
T«dtà; ma doUa cosa e della mlseraliile fine
di ooteata Vogata, dd nomi dd principali soct
e d'altri miaori pazticolari non pam ohe sia
te dnbitai«: cfr. B. Aquarone, op. dt, pp.
15-66; G. Bondoni, Tradizioni popolari e leg-
gmid§ di un commt medioevak {Simui 6 Van-
ti» amtado 9cmm\ Firenie, 1886, pp. 44 e
SQgg.; A. D'Ancona, op. oit, pp. 296 e segg.
— Strleea, elM seppe eoe : gli antichi non
d dioono di die fkiilglia iòsse : il Lana at-
testa ch'ai « fu uno riooo giorana da Siena,
il quale Ceoe afolgorato ^ese, e appeUayad
la tua InifBta, spender^ecia > ; pare molto
prohabUe eh' d fosse Strioca di Gioranni
«e* i^imiwmt, stato podestà di Bologna nel
1286, non già Stzioca dei Tolomd ohe vivera
in patdA, frate gaudente, nd 1294 (cfr. B.
Aquame, op. ctt., p. 66). ~ 127. e Hleeeld :
Niccolò de* SaUmbeni, figlio anoh'egli di Gio-
mni oona lo Strioca, fri uno dd promo-
tori deQa brigata spendereccia, alla rorina
defla qoala aopraTiase tanto ohe nd 1811 era
ia Loinbardia fra i grandi signori ohe fooe-
Tiao eoronn all^ inventore Arrigo VII (cfr.
Del Lavo, H 69fr-604 e F. Flamini, BuU. I
31): « fri, dice U Lana, largo e spendersodo,
e to, deDa brigata, e fri lo pdmo die trorò
nettare, in fiìgiani e psnid arrosto, garofop-
ni ». — la iiislaMa rlaea eoo. la signorile
usanza di mettere nelle rlvande e special-
mente nella cacdagione arrostita i g&rofiuii o
altre spezie. Alcuni commentatori, come il
Buti, Land. eoo. riforisoono la roce che il
cuoco dd SaUmbeni facesse e il libro delle
Tirando > trovate da qud ddla brigata; che
potrebbe essere il FrtmmmUo di un libro
di eueénOf pubbL da 0. Guerrini, Bologna,
1887, ove sono mdte ricette apidane per
dodici ghiotti, proprio Q numero dd compa-
gnoni spenderecd, o speciali arrertimenti
drca l'uso dd garofoni. — 129. melI'ortOy
fiOTt eoo. Benissimo il Lana spiegò: e mise
tale uso tra li ghiotti e golod > ; iuTece Ott.
e Bear, intesero l'orto per la dita di Siena,
nella qude € cotaU costumi s'impiccano bene
per gola e ghiottomia », e il Buti tenne ohe
fosse detto tanto della brigata quanto della
città. — 180. e tranae eoe : e per ^aodard,
dice U Buti, li conta tutu indeme » ; poiché
lungo sarebbe stato enumerare i dodid com-
pagnoni e Dante d limita a ricordare pure l
maggiori : la brigata dd resto aveva avuto i
suoi poeti, prima che nd fiorentino, in Fol-
goro da San Gimignano e in Gene dalla Chi-
tarra aretino ; 11 primo dd quali cantò in una
sorìe di sonetti le giocondità deUa « brigata
nobile e cortese > distinte per ogni mese dd-
Tanno, e il secondo, parodiando, ne rappre-
sentò le nde e i fostidl della miseria che
seguitarono alla lieta vita (cfr. le ^irns d< F.
da S, Oomignano é di O, do la OkUarrOj ed.
da G. Navone, Bologna, 1880). B D'Ancona,
op. dt., p. 206, ricostruirebbe il catalogo dei
compagnoni cod: 1. Leno (cfr. Jbif, zm 118),
2. Nlooolò SaUmbeni, 8. lo Strioca, 4. Caccia
d' Asdano, 5. l'AbbagUato ; ricordati daDante :
6. Tingoccio, 7. lOno di Tingo, 8. Ancaiano,
9. Bartolo, 10. Hugavero, 11. Fainotto, e 12.
Folgore da S. Gimignano, ohe ricorda neUe
sue rime i sd precedenti. — 181. Caeela
d'Asdan: Caccia degU Sdalenghl, del ramo
di questa fomigUa che fri detto dd Caccia-
conti (ofr. Bepettl VI 64-67), possedeva vi-
gneti e boschi presso il casteUo d'Asolano,
nd territorio senese, e consumò tutto il suo
avere neUe paxze spese della brigata: forse
non è persona diversa qud Caoda da Siena
che nd seoolo xm scrisse canzoni d'amore.
— 182. l'AbbagUato: Bartolommeo dd Fol-
caochieri detto l'Abbagliato fri mdte volte dd
^
228
DIVINA COÌOfEDIA
135
139
Ma perché sappi chi si ti seconda
centra i sanesi, aguzza vdr me l'occhio,
si che la fisuscia mia ben ti risponda;
si vedrai ch'io son l'ombra di Capocchio,
che falsai li metalli con alchimia,
e ti dèi ricordar, se ben t'adocchio,
oom' io fai di natura buona scinda >.
contiglieli del oomime di Siena del 1277 al
1900| oancolHere nel 1279, gonfaloniere d'eeoi»
cito nel 1278 e 1280, rettore di Campagnatico
nel 1288, podestà di Montereggioni nel 1290
e di Montegoidi nel 1800, e capitano degU etl-
pondlari del oomnne in Maremma dal 1289 al
1292 : ai qoall offici forse ti volae dopo la
lieta vita della gioyinetza, durante la quale
ta, nel 1278, multato perché troTato a bere
in nna taverna (c£r. G. Ifazd, Foleaeehiaro
Fbloaoehitri rimatore mnete del mo. ZI2I, Fi^
renze, 1878, pp. 9-10, 21-26) — ISS. si U
seconda: s'accorda cosi bene con te nel de-
riderò la fatuità senese. — 185. sf eke la
facrla ecc. si che il mio volto, da te ricono-
sciuto, risponda per me alla tua domanda.
Tutti gli antiehi commentatori affermano ohe
Dante fu amico di questo Oapocchio ; l'An.
fior., più partitodatmente, dice che < fu od>
nosoente dell'autore, et insieme studiarono ;
et [Capocchio] fu uno ohe, a modo d'uno uomo
di corte, seppe oontimfÌEize ogni uomo ohe
▼olea et ogni oosa, tanto di'egliparea proprìe-
mente la cosa o l'uomo ch'egli oontrafiaoea
in ciascuno atto: diessi nell'ultimo a coatca-
fsze i metalli, come egli fuea gli uomini ».
— 188. se hen t*ade«ehle : se non mi aono
ingannato guardandoti, se tu sei veramente
Dante. — 188. di natva baeaa aelslnt
valente oontcaCattore di nomini e di ocee.
CANTO XXX
I dae poeti yedono tra i folslflcator! di persone, che corrono ria per
la bolgia rabbiosamente, Gianni Schicchi e Mirra ; tra i falsari di moneta,
gravati dal morbo dell* idropisia. Adamo da Brescia; tra i bufiriardi, op-
pressi da ardentissima febbre, la moglie di Pntifarre e il greco Sinone; e
poi assistono a nn singolare contrasto fra Adamo e Sinone [9 aprile, tra le
(lue e le tre ore pomeridiane].
Nel tempo che Giunone era crucciata
per Semole centra il sangue tebano,
8 come mostrò ima ed altra fiata,
Trxx 1. Hel tempo eec La seconda spe-
cie dei Oalsaii, cioò quelli che contrafeoero
in sé le altrui persone, sono condannati a
correre nel fondo della bolgia dominati da
una furia fsroce e addentando rabbiosamente
gli altri: Dante a dare un'idea adeguata
della loro insania ricorre col pensiero ai fu-
rori di Atamante e di Ecuba, deducendo da
Ovidio una narrarione bella e vigorosa, ma
forse alcun poco sproporzionata al caso, e Ma-
gnifico, nou il Biag., fa il principio del canto
questo lungo periodo e il seguente, non tanto
per l'andamento dòl verso, grave e soete-
nuto, quanto per le forti imagini che vi si
ritraggono, tenendo 11 lettore per lungo tratto
sospeso, attento e desideroso ; nei quali sen-
timenti sino al fine ò forzato di sostenersi
con diletto > : ma tuttavia l'erudirione ml-
tologlca pare a noi lettori moderni troppo
prolungata, si che vien meno quella armonica
proporzione ohe siamo soliti di ammirare nello
comparazioni dantesche. — Glaaone era erse-
elata eoo. (Hunone, sdegnata ohe Qiove avease
amato Semole, iigUa di Cadmo re di Tebe e
madre di Bacco, oltre alla vendetta che si
prese facendo si che la sua rivale rimanesse
incenerita Iza gli splendori del divino amante
(cf^. Pùt. XXI 6), infiori contro tutta la stixpe
tebana: cfr. Ovidio, Mei, m 268-815. — 8.
naa ed altra Hata: più volte; i^iohó Giu-
none ta. causa che Atteone nipotcf di Cadmo
fosse sbranato dai suoi cani, che Agave so-
rella di Semole uccidesse il iiglio^enteo, e
die Ino altra eerella di lei si gettasse in maro
INFERNO - CANTO XXX
229
Atamante dìyezme tanto insano
che, veggendo la moglie con due figli
G andar oarcata da ciascona mano,
gridò: < Tendiam le reti, si ch'io pigli
la leonessa e i leoncini al varco »,
9 e poi distese i dispietati artigli,
prendendo l'un che avea nome Learco,
e roteilo, e percosselo ad un sasso;
12 e quella s'annegò con l'altro carco.
E quando la fortuna volse in basso
l'altezza de'troian che tutto ardiva,
15 si che insieme col regno il re fu casso,
Ecuba trista, misera e cattiva,
poscia che vide Polissena morta,
18 e del suo Polidoro in su la riva
del mar si fu la dolorosa accorta,
forsennata latrò si come cane,
21 tanto il dolor le fé' la mente torta.
Ma né di Tebe furie né troiane
si vìder mai in alcun tanto crude,
24 non punger bestie, non che membra umane,
quant'io vidi due ombre smorte e nude,
che mordendo correvan di quel modo
27 che il porco quando del porcil si schiude.
L'una giunse a Capocchio, ed in sul nodo
•ec — 4. ÀUnaate ecc. Atamante ro di Tebe,
iaftnÌAto per rolere di Ginncme, incontrò la
moi^ Ino ohe portsTa in collo i Agnolotti
Lesroo e HeUcexta e facendo tendere le reti
per prenderli come foesoro la leonessa e i
leoncini, preee e sbatto a nn sasso il figlio
Leaico: allora Ino, disperata, si gettò con
Mélìcerta nel mare ricino. La narrazione dan-
tesca segue molto da Ticino quella di Orìdio,
ìitL tv 512-6S0. — 7. TeaAlan le reti ecc.
Or., Ud. vn 618 : e Clamat : ' Io, oomites,
bis reti* tendite bìItìs ! Hic modo oom ge-
iirfi>* Tisa est mibi prole leaena ' >. ~ 9. di*
rteae eoe. afTerrò con le mani spietate il pio-
colo Learco e girandolo per aria lo percosse
a un sasso : Or., Mei, vn 516 : « Deque sinu
Bstrìs ridentem et parv» Learchnm Brachia
tendendem rapit et bis terqne per auras More
Totat fundse, rìgidoque infìuitia saxo Discntìt
ora ferox >. — 12. e osella eoo. Ino, con il
figlinolo Hèlioerta, si gotto da uno scoglio
nel mar». — 18. E qvaido ecc. Quando
Troi» fu distrutta, Eouba moglie del re Pria-
mo tratta in serritA dal greci, por il dolore
d'arer veduta l'uccisione di sua figlia Polis-
sena sulla tomba di Achille e d' aver trovato
Q cadareie di suo figlio Polidoro (cf^. ih/.
zm 88) sulle rive della Tracia, usci fuori di
sé in bestiaU ululati: ofr. Ovidio, M«L zm
899-675. — 14. l'allessa eoe la potenza dei
troiani, ohe osarono di compiere le imprese
piti scellerate (spergiuro di Laomedonte, rapi-
mento di Elena eoe). — 16. lasleae cai re-
gno eoo. con la caduta di Troia fini il regno
e la vita di Priamo : ofr. Ov., Md. zm 404 :
e Troia simul Priamusque cadunt». — 16.
trista, sdsera e eattiva : trista per la morte
dei suoi, misera per la rovina di Troia e
della sua stirpe, e eaOivat perché condotta
via dal greci come schiava. — 20. fonen«
nata eoe. Ov.. Mei. zm 669 e latravit, ce-
nata loquL.. Ululavit moeeta per agros >. —
22. Ha né eoe. Ma nessun l^irore né in Ata-
mante né in Ecuba né in uomo o in bèlva
alcuna fu mai cosi crudele come quello ohe
agitava due anime della dedma bolgia. —
25. qiaat' lo vidi : sottintendi, pungere^ agi-
tare. — due ombre : quella di Gianni Schio-
chi (V. 32) e qaeUa di Mirra (v. 87). — 26.
mordende ecc. correvano addentando a caso
gli altri dannati, come il maiale, al quale sia
aperto il porcile, corre per la campagna af-
ferrando disordinatamente coi denti dò che
gli vione innanzi. ~ 28. L^iaa ecc. Gianni
230
DIVINA COMMEDIA
del collo Paasaniiò si che tirando
80 grattar gli fece il yentre al fondo sodo;
e Taretin, che rimase tremando,
mi disse : « Quel folletto è Gianni Schicchi,
83 .e va rahbioso altrui cosi conciando ».
< 0, diss'io lai, se l'altro non ti fiochi
li denti ajddosso, non ti sia fatica
86 a dir chi è, pria che di qui si spicchi ».
£d egli a me: < Quell'ò l'anima antica
di Mirra scellerata, che divenne
89 al padre, facr del dritto amore, amica.
Questa a peccar con esso cosi venne.
Sohioehi afferrò ooi denti Cf^ooohio al nodo
del collo e lo trascinò via col Tentre fol doro
fondo della bolgia. — im nU aedo eco. nelle
vertebre oerrioali, per le quali il capo ri oon-
ginnge al btisto. — 29. astauò : da tarma
(Inf. xjn 66) il yb. auaiman ha qoi il senso
prc^o di addentare (cfr. Iti/, xvm 99, J\srg.
ziT 69). — 81. Paratia ecc. Oriffolino d'A-
rezzo, ohe temeva d'essere addentato dall' al-
tro spirito. — 82. Glaanl SeUeeU: Oianni
Schicchi dei Cavalcanti fiorentino, del quale
tatti gli antichi commentatori raccontano la
falrità oh' el fece fingendo di essere Booso
dei Donati (cCr. Inf, xzv 140) già morto;
l'An. fior, la racconta cosi : « Essendo mes-
ser Baoso Donati aggravato d'nna infermità
mortale, volea fare testamento, però che egli
parca avere a rendere assai dell' altnii : Si-
mone suo figlinolo [i docomenti dt. dal Del
Lungo, DanUf U 72-78, dicono invece die i
duo Donati fossero firatelli e figli di Forese
il vecchio] il tenea a parole, per ch'egli noi
facesse ; e tanto il tenne a parole eh' elli
morì. Morto ohe fa, Simone il tenea celato
et avea paura eh' elli non avesri Cutto testa-
mento mentre eh' egli era sano ; ot ogni vi-
cino dicea oh' egli Tavea fatto : Simone, non
sappiendo pigliare consiglio, si dolse con
Gianni Sticchi et chiesegU consiglio. Sape*
Gianni contra£are ogni nomo et colla voce
et cogli atti, et massimamente messer Bnoso
eh' era oso con lai ; disse a Simone : ' Fa
venire ano notaio et di' che messer Baoso
voglia fare testamento : io entarrò nel letto
suo, et cacceremo Ini dirietro, et lo mi fa-
scerò bene, ot metterommi la ci^pellina saa
in capo, et farò il testamento come ta vor-
rai ; è vero che io ne vo^o guadagnare '.
Gianni entra nel letto et mostrari appenato,
et oontrafà la voce di messer Buoso che pa-
rea tutto lui, et oominda a testare et dire :
* Io lasdo soldi xx all' opera di santa Bepa-
rata, et lire cinque a' Frati minori, et cinque
a' Predicatori ', et cosi viene distribuendo
per Dio, ma pochissimi danari : a Simone
giovava dd fktto. * Et lasdo, soggiunse, cin-
quecento fiorini a Gianni Sticchi '. Dice Si-
mone a messer Booao : * Questo non bisogna
mettere in testamento : io glid darò ooine
voi lascerete '. * Simone, lascerai lare del
mio a mio senno : io ti lasdo tf bene, ohe
tu dèi essere contento '. Simone per pam
d stava cheto. Questi segue : * Et lasdo a
Gianni Sticchi la mula mia ' ; ch6 avea mes-
ser Buoso la migUore mula di Toscana. * Oh,
messer Buoso, dicea Simone, di ootosta mula
ri cura egli poco et pooo Tavea caia *. ' Io
80 dò ohe Gianni Stiochi vude, meglio di
te '. Simene ri oominda adirare et a oonsa-
marri ; ma per paura ri stava. Gianni Stio-
chi segue : * Et lasdo a Gianni Sticohi fio-
rini cento, che io debbo avere da tale mio
vicino: et nel rimanente lasdo Simone min
reda universale ', eon questa daiisda di' e-
g^ dovesse mettere ad esecuzione ogni lasdo
fra quindid di, se non, che tutto U reditag-
gio venisse a* frati minori dd convento di
Santa Croce ; et fatto il testamento ogni no-
mo ri parti : Gianni esce dd letto et rimet-
tonvi messer Buoso, et lievano il pianto et
dicono ch'egli è morto». Secondo il Tona-
ca, non Simone, che ta fratello di Buoso, ma
il figlinolo di quest'ultimo, per nome Tad-
deo, ta V orditor dell' inganno ; tanto ohe,
più tardi, nd testamento proprio dispose per-
ché fossero psgati tutti i legati fatti da Buoso
suo padre. — 8A. m l'altro ecc. cori l'al-
tro folletto non vonga ad addentarti come
Gianni ha fatto con Capocchio. — 86. si
spieeU : ri allontani ; vb. assai appropriato
ad esprimere gl'improwiri e sùbiti movi-
menti di questi dannati. — 87. inveir è Pa-
nica eoe Mirra, figlia di Ciniia re di Ci-
pro, presa di violento amore per il padre
suo, ottexme di sodiifue le sue voglie in-
cestuoso con l'aiuto della sua nutrice che
la condusse a lui, facendogli credere che fosse
un' altra giovinetta : dopo il fstto, il padre
acoortori dell'inganno voleva ucciderla, ma
ella riusd a fuggire in Arabia, dove Sa oca-
INFERNO - CANTO XXX
231
£Ed8Ìficando sé in altrui forma,
42 come l'altro, che là sen va, sostenne,
per guadagnar la donna della torma,
fÌEdsifioare in sé Buoso Donati,
45 testando e dando al testamento norma ».
E poi che i due rabbiosi far passati,
sopra cui io avea 1* occhio tenuto,
48 rivolsilo a guardar gli altri mal nati.
Io vidi un, fatto a guisa di leùto,
pur ch'egli avesse avuta l'anguinaia
51 tronca dal lato, che l'uomo ha forcuto.
La grave idropisia, che si dispaia
le membra con l'umor che mal converte
51 che il viso non risponde alla ventraia,
faceva a lui tener le labbra aperte,
come l'etico fisb, che per la sete
57 l'un verso il mento e l'altro in su rinverte.
< 0 voi, che senza alcuna pena siete,
Twtita ìb un» pianta (Ovidio, Mtt. x 298-
602). — 41. flUaMeMio eoe. prendendo le
■^«^""^ d'àltia donna: Or. JIU.489* cNo
■In» aantitD veroa eiqponit amoxea >. — 42
mm% Paltro eoo. come Gianni Sohioohi aa-
aoaae fiakamente le sembianze e la vooe di
Booao Donati, dettando il testamento seoondo
tatt» le forme deU' oso e della legge. — 48.
per 9a»4a«aar eoo. per guadagnare la mnla
di Bnoeo, la migHon di Totoana, dioe l*An.
fior., e perciò la doima^ la xegiaa di tatto le
mole. — 45. 4mi4o al teitaneato aozma :
accenna all' avere Gianni Sohioobi saputo far
oasi nataralmente la parte di Bnoso ohe il
notaio ne fu Ingannato e rogò il testamento
come se fosae stato l'espressione della yo-
knxtà del nuoente, eon tatti i particolari e
formule conaoete e legali. — 48. gli altri
■Mi maM. t sono i falsari di moneta, la terza
specie di dannati di qnesta bolgia, paniti dai
morbo deU' idropisia. — i9. Tidl in eco. È
maestro Adamo da Brescia ; del quale scrive
V An. fior. : < Fu tirato in Casentino nel ca-
stello di Bomena, al tempo che i conti [Oaidì]
di qoello lato (ofir. v. 77) stavano male col
eomime di Firenze. Erano allora signori di
Bomena et d'attorno in qoello paese tre fra-
telli, il conte i^hinolfo, il conte Goido et il
conte Alessandro : il maestro Adamo ridot-
tosi con. loco, costoro il mlsono in sol salto
et fòdongli battere fiorini sotto il oonio dol
ooBone di Firenze, ch'erono baoni di peso
ma non di lega... Di questi fiorini se ne spe-
sone assai; ora nel fine venendo an di il
maestro Adamo a Firenze, pendendo di que-
sti fiorini, ftaiono ooiioscliiti esser falsati : fu
presd et ivi fu arso > : il fiitto aooadde nel
1281. — Catte a fvisa ecc. od ventre ri-
gonfiato cosi che, se gli fosse stato troncato
l'inguine dalla parte delle cosce, saiobbe
parso un Unto ; poiché il capo, il collo e il
petto scarni avrebbero resa l'idea del ma-
nico, e U ventre rigonfio della cassa. — 62.
lia grave Idropisia ecc. L'idropisfa gravosa,
la quale, con l'umore mal convertito cioè
con la linfa non elaborata, disforma le mem-
bra in tal modo ohe il volto per l'eccessiva
magrezza non ft piò proporzionato al ventre
tumido e gonfio. ~ dispaia : rende disuguali
dal loro primo essere, fa esser differonti le
nuove membra da quelle di prima : cfr. Inf,
vu i5. — 68. eoa l'umor ecc. cfr. fì-a Gior-
dano da Bivalto, predica lix : e L'idropico,
quanto piò mangia e bee, quelli omeri si
corrompono tutti e oonvertonsi in mali omeri
flemmatici». — 56. teme l'etico ecc. Venturi
2J3: e La similitudino mostra Tatto che, per
ragioni morbose differenti, apparisco lo stesso
nell' etico e noli' idropico ; e rapidamente Io
lumeggia in quel rovesciar eh' essi fanno in
senso opposto le labbra, per tenero più aperta
la bocca ». — 67. Pan ecc. rivolge l'un lab-
bro in giù e l'altro in su, si sforza di tener
aperta la bocca. — 68. 0 toI ecc. Maestro Ada-
mo non ha sentito le parole detto da Virgilio a
Griffolino (Inf, xnx 91), altrimenti saprebbo
già per qual ragione, cioò per essere ancora
vivo, l'uno dei visitatori non sia oppresso
da alcuna pena; e forse la frase virgiliana
« e sf mostrar l' inferno a lui intendo > gli
avrebbe fatto capire che il viaggio era per
volere divino: ma vedendo i due non o^
232
DIVINA COMMEDU
e non so io perché, nel mondo gramo,
60 diss'egli a noi, guardate ed attendete
alla miseria del maestro Adamo:
io ebbi, vivo, assai di quel ch'io volli,
63 ed ora, lasso! un goccici d'acqua bramo.
Li ruscelletti, che de' verdi colli
del Casentin dìscendon giuso in Amo,
66 facendo i lor canali freddi e molli,
sempre mi stanno innanzi, e non indamo;
che l'imagine lor vie pi4 m'asciuga
69 che il male, end' io nel volto mi discarno.
La rigida giustizia, che mi fruga,
traggo cagion del loco ov'io peccai
72 a metter più li miei sospiri in fuga.
Ivi è Romena, là dov'io £&lsai
la lega suggellata del Batista,
75 per ch'io il corpo su arso lasciai.
Ma s'io vedessi qui l'anima trista
di Guido 0 d'Alessandro o di lor frate,
pieosi dall' idropisl» se m mersTlglis e du-
bita ohe dò sia per qualche alta cagione. —
59. Mondo gramo: mondo del doloro, l'in-
ferno. — 60. guardate ed attendete: cfìr.
la nota all'£»/; xxnn 132. — 82. le ebbi,
tIto, atial eoo. nel mondo io èbbi in ab-
bondanza dò eh'io desiderai, ed ora tono
condannato a desiderare inutilmente un sorso
d'acqna. È un ricordo del vangelo, dove si
legge ohe essendo il ricco nell'inferno (Lnoa
XVI 24) e gridando disse : Padre Abrahamo,
abbi pietà di me, e manda Lazaro, aedo che
intinga la punta del dito noli' aoqna, e mi
rinl^esohi la lingua; per dò che io son tor-
mentato in questa fiamma». — 64. U m-
ieelletti ecc. n peccatoro, oppresso nella
valle infernale da orudeUsslma sete, ricorre
naturalmente col pensiero alla frescura delle
sdve del Casentino, nelle quali oserdtò la
sua falsità; e ripensa con accrescimento del
dolore flsioo e morale al ruscelletti che di-
scendono nell'Amo rioohi di fresche acque.
Il Bassermann, p. 106, osserva che i rusoolli
del Casentino sono adesso petrosi e riarsi op-
pure rigonfi per piogge dirótte; ma là ove i
boschi secolari ftirono rispettati e il snolo è
oosparso di fertile terricdo e di feld e anemo-
ni e viole alpestri, e da ogni Iato le acque
mormorano e stillano giù per le pietre musco-
se ». — 66. eaiall freddi e molli: cfr. 'Vl>
giL, Bue, z 42 : e Hic gelidi fontos. hio molila
prata, Lycori ». — 68. rimagine ecc. la loro
vista mi accresce la sete più cho non f&ccia
r idropisia che mi dimagra il volto: « et sic,
nota Benv., verificatur illud dictnm : Nessun
maggior dolore Ohe rioordarti del tempo feUee
NeUa miseria [Inf, v 121] ». 0. Baod, Led,
p. 21, dta questi versi di Torino da Oastal
fiorentino : « Che maggior pena non n pò are-
re Che veder l' acque delle chiare fonti, S
aver sete e non poterne bere ». — 70. Ia rl«
glda ecc. Coef la giustisia di Dio trae oa-
glone a fiumi pensare di più per i) ricordo
del luogo ove lo peooaL — fraga: cfr. A»y.
m 8. — 78. Ivi 4 RMiena eoe H castello
di Romena nel Oasentino, possesso di quel
ramo dd conti 0uidi del quale fu c^o Aghi-
nolfo I, figliuolo di 0uido Ouecra IV (eft.
Inf. zvi 87), fu il luogo dove i nipoti di Ini
Ouido n, Alessandro e Aghinolfo II (efr. t.
77), trassero 11 maestro Adamo a Cslsifloare
l fiorini d'oro della repubblica fiorentina'
cfr. Bassermann, p. 86. ~ 74. la lega eoe
la lega del fiorino; moneta fiorentina inoo-
roindata a batterei nel 12B3 (Q, Villani,
Or, VI 68), la quale aveva dall'una parte il
giglio e dall'altre l'imagine dd santo pro-
tettore di Firenze. — 76. Ha i'ie Tedia-
si eoo. Ma se vedesd qui meco al tormen-
to l tre fratelli, che m'indussero al peccato,
sard lietissimo e non dard qndla vista per
la piti ricca ddle fontane. — 77. Gaido eoo. :
sono questi 1 tre fratelli Guido II, Ales-
sandro e Aghinolfo K dd conti Guidi, si-
gnori del castello di Bomeaa e figliuoli tutti
di Guido I d' Aghinolfo I, dd quali poohe
e confrise notizie registrano i genealogisti
della loro casata (cfr. le op. dt. in Btf, xvi
84): certo due di esd erano ancore vivi
nd ISOO, al tempo della visione dantoica,
INPERNO - CANTO XXX
233
73 per Fonte Branda non darei la vista.
Dentro e* è Fona già, se l'arrabbiate
ombre che vanno intomo dioon vero:
81 ma che mi vai, c'bo le membra legate?
S'io fossi pur di tanto ancor leggiero
ch'io potessi in cent'anni andare un'oncia,
84 io sarei messo già per lo sentiero
cercando lui tra questa gente sconcia,
con tutto ch'ella volge undici miglia,
87 e men d'un mezzo di traverso non oi ha.
Io son per lor tra si fatta fiuniglia:
ei m'indussero a battere i fiorini,
90 che avean ben tre carati di mondiglia ».
Ed io a lui: « Chi son li due tapini,
che fuman come man bagnate il verno,
93 giacendo stretti a' tuoi destri ^nfini? »
€ Qui li trovai, e poi volta non diemo,
rispose, quand'io piovvi in questo greppo,
96 e non credo che dieno in sempiterno.
L'una è la &lsa che accusò Giuseppe
e ri ha daDe parole del poeta, ma non ò
bene accertato quale dei tre fratelli foese
morto innanzi qnell' anno : l' Ott dice Gui-
do II : Benv. e An. fior., Alessandro, ohe
iarece altri documenti direbbero yìfo nel
1316 (ci: Del Longo, H 688). — 78. per
Feate Bnada: eoo. Tatti gli antichi com-
mentatori, Ott, Benr., Bnti, An. fior. eoo.
oedettero accennata qui Fonte Branda, la tur
Basa fontana senese assai abbondevole di
aoqna; ma essendo attestata da antichi do-
comenti resistenza di nna fontana di tal
nome presso il castello di Romena pad ben
eosre che maestro Adamo alladeese alla fonte
ossentinoso e non alla senese, la cai fama
pad arar tratto in inganno i commentatori
(ofr. Bassermann, p. 91 e Beni, ChUda del
Oaamtù», Firenze, 1889, p. 207). — 79. Den-
tro eoo. Dentro a qoesta bolgia, se le om-
bre dei falHJflcstori di persone che corrono
intorno rabbiosamente mi hanno detto il ve-
ro, è già piombata I* anima d' ano di qaei
conti (ofir. ▼. 77); ma dò non mi reca aloon
•oUisTO, perché non posso ire a vederla. ~
82. 8* io fossi eoo. Se io avessi ancora tanto
di ^editezza che potesri in on secolo per-
QQrrsre un brevissimo cammino, mi sarei già
neseo in via per rintracciare quell'anima tra
i dannati. — di taalot cfir. Inf. r? 99. ~
88. nm'OBeU: è la dodicesima parte del
lisde, ndsora di fainghezza, e corrispondeva,
leoondo Benv., alla larghezza del pollice :
^ è detto figoratamente per indicare ano
ipazio cortissimo. — 86. c«m tittt ebe eoo.
sebbene la circonferenza della deoima bolgia
sia di ondici vaif^ (la metà di qaeUa della
nona: cfr. Jta/1 xziz 9) e non abbia in alcan
ponto la larghezza minore d' on meno mi-
glio. — 87. BOB «1 iM : ofr. ^. vn 28. —
88. faalgUai cfr. Inf, xv 22. •.- 90. tre
carati eco. : il earaio è la ventiqoattresima
parte della qualità più para d'on'onda d'o-
ro: i fiorini fiorentini erano di ventiqoattro
carati, quelli Crisati dai conti di BooMna
erano di soli ventano e avevano tre carati
di mondiglia cioè di rame mesodlato all'oro.
— 91. Chi SOB 11 dae ecc. Questi altri dan-
nati appartengono alla quarta classe dei lU-
sari, queDl ohe finsero discorsi non corri-
spondenti alla verità, insomma 1 bugiardi
fraudolenti, e sono puniti con un'ardentis-
sima febjl>re. — 92. eoMS nan eoo. come
dalle mani bagnate, al contatto dell'aria
fredda, sale il vapore in cui si risolve l'ac-
qua per il calore naturale. — 93. a' laol de-
stri eoBflnl: alla tua destra, vicino a te. —
94. Qb) U trovai ecc. Quando M precipi-
tato in questa bolgia, U trovai qui e sono
passati quasi vent'anni senza ch'esri si siano
mosri, e credo che non ri moveranno mai.
— 95. greppo: dice TOtt che ^gnppo è uno
vaso rotto dalle latora, e perdio ò tolto da-
gli altri uri della casa vi ri dà entro bere o
mangiare a gaUine o simili cose » ; ri ohe qui
vorrebbe dire vile luogo : ri pud perd inten-
dere anche secondo il senso moderno di luogo
soosoeso, perché la bolgia ha il fondo e 1
lati di madgno dirupati ed erti. — 97. L'uba
234
DIVINA COMMEDIA
l'altro è il faX&o l^non greco da Troia:
09 per febbre acuta gittan tanto leppo >.
£ 1* un di lor, che si recò a noia
forse d'esser nomato si oscuro,
102 col pugno gli percosse l'epa croia;
quella sonò, come fosse un tamburo:
e mastro Adamo gli percosse il volto
105 col braccio suo che non parve men duro,
dicendo a lui : « Ancor che mi sia tolto
lo muover, per le membra che son gravi,
108 ho io il braccio a tal mestiere sciolto ».
Ond'ei rispose: € Quando tu andavi
al foco, non l'avéi tu cosi presto;
Ili ma si e più l'avéi quando coniavi ».
E l'idropico: < Tu di' ver di questo;
ma tu non fosti si ver testimonio,
114 là 've del ver fosti a Troia richesto ».
€ S'io dissi falso, e tu falsasti il conio,
disse Sinone, e son qui per un £ftllo,
117 e tu per più che alcun altro demonio >.
< Ricorditi, spergiuro, del cavallo.
eoo. L'un* è Ia moglio di Fatifàixe, che ao-
cuBò fidiamente Qioaeppe d'arexle fatta vio-
leiìB^ Bontra invece egli eia itiggito da lei
ohe Tdera eedozlo (cfr. Om. »nn 6-23).
. — 98. l'Altro eco. l'altro ò il greco Sinone,
ohe con false parole perauase i troiani a ri-
oevwe dentro le mora della loro città il ca-
Tallo di legno (Virgilio, Sn. n 67-194): cfr.
in/, zxvx 69. — 99. leypo : Bati : e leppo ò
pozza d*ai80 unto, come quando lo ftioco
8* affiglia alla pentola o alla padella ; e cosi
dice che patìrano costoro, come pntono al-
cana volta ooloro che sostengono si fatta
pa88Ì<NDe>, doò sofErono la febhre acuta. —
100. B !*«■ di lar ecc. Qui inoominoia un
tmovo ludo tra dne dannati, poiché Sinone
adegnato che Adamo abbia rivelato il sno
nome gli dà un pngno sul ventre e l'altro
gli aMOsta un ceffone con tutto il braccio:
poi il contrasto continua a parole, eccitando
la curiosità di Dante ohe sta ad ascoltare il
piato, flnchó Virgilio non lo richiama. —
101. si OMaro: si oscuramente, con vergo-
gna del suo nome, al quale maestro Adamo
aveva congiunto l'epiteto di fcUn, — 102.
l'epa eraia: la pancia dura, per tensione
della pelle irrigidita : il nome epot che d an-
che al V. 119 e Mf, zxv 82, è dal lat hepar
e significa proprio la rotondità del ventre
(Diez S69) ; l'agg. oroto, d'incerta etimologia
(Diez 366, 767) ha vari significati nella lin-
gua antica (ofr. Nannucd, Verbi 373-4) ; ma
quello che meglio conviene a questo luogo
ò il senso originario di duro, o € non arron^
devole», come spiegò l'An. fior.: cfr. P».
rodi, BuU. m 161. — 106. Ae ■•■ pmrw
ecc. ohe non sembrò a percuotere meno forte
del pugno del compagno. — 107. le «levibra
ecc. : cfr. 1 w. 62-68, 8L — 108. a tal w
attere sciolto: idoneo a tal bisogno, agile
a percuotere. — 109. Oad'ol ecc. Sinone,
maliziosamente, ricorda a maestro Adamo il
dolore dell' estremo supplizio, quando con le
braccia legate ta condotto al rogo, o la pron*
tozza di mano ch'avea avuta nel mondo a
falsare 1 fiorini. — 112. B l'Idropleo eoe
Adamo, non volendo rimanere al di sotto,
rinfaccia a Sinone l'inganno ch'ei fece a
Priamo, quando il vecchio re gli chiedeva la
verità intomo al cavallo di legno (cfr. Vir-
gilio, Ehi, n 160). — 115. S'Io dissi eoe.
Questo incalzare di Sinone, che a scusa dei
suoi fallì adduce i falli del compagno, ricorda
nella mossa la risposta di Cecco Angiolieri
a un sonetto perduto dell'Alighieri (cfr. O,
Carducci, Studi letterari, dt, p. 163) : e 8' io
pranzo con altrui, e tu vi ceni ; S' io mordo
il grasso, e tu no succhi il lardo ». ~ 116.
e son qui eco. e io sono qui per un solo
inganno, quello del cavallo, ma tu ci sei per
tanti falli quanti non ne ha alcun altro dei
dannati. Buti : « questo finge Sinone, accre-
scendo la infamia al maestro Adamo, oomo
è usanza de' bugiardi >. — 118. tptrgiart :
INPERNO - CANTO XXX 236
rispose quel ch'ayea enfiata l'epa;
120 e sieti reo che tutto il mondo sallo >.
« A te sia rea la sete onde ti crepa,
disse il greco, la lingua, e l'acqua marcia
123 che il ventre innanzi gli occhi si t'assiepa ».
Allora il monetier: < Cosi ai squarcia
la bocca tua per mal dir come suole;
126 che s*i'ho sete ed umor mi rinfarcia,
tu hai l'arsura e il capo che ti duole,
e per leccar lo specchio di Narcisso,
129 non vorresti a invitar molte parole >.
Ad ascoltarli er'io del tutto fisso,
quando il maestro mi disse: « Or pur mira!
182 che per poco è che teco non mi risso >.
Quand'io senti' a me parlar con ira,
volsimi verso lui con tal vergogna
185 eh' ancor per la memoria mi si gira:
e quale è quei che suo dannaggio sogna,
che sognando desidera sognare,
133 si che quel eh' è, come non fosse, agogna;
tal mi fec'io, non potendo parlare,
che desiava scusarmi, e scusava
141 me tuttavia, e no '1 mi credea fare.
< Maggior difetto men vergogna lava,
disse il maestro, che il tuo non ò stato;
144 però d'ogni tristizia ti disgrava:
ti rioOTdi il ginraiiento éì Sinon» in Viigi- ò lo ^eoohio nel qnale Narciso ride la sua
lio, JH. n 164: « Yoe, aetenii ignei, et non imagine (ofr. Gridio, JM. m 407 e legg.)»
YidaUleTeetnim Tester nnmen, alt, T0B,arae, non avreeti bisogno di un invito di molte
Msesqn* neluidif Qnos fngi, Tittae^e dedn, parole. — 181. Or par ■ira I eco. Parole
qvas hoetia gessi •• — 119. fati eh' afea di leggiero rimprovero, quasi "VlrgUio dioeese
eeo. : maestro Adamo (cfr. r. 48 e segg.). a Dante : Sta por If, intento solamente a oo-
— 120. e alati ree t e ti sia amaro U sapere testo volgare contrasto ; poco d manca ch'io
dio tatto il mondo conosce il tao inganno, non m'adiri teoo per qaesto toa attenzione
— 12L ▲ te sia rea eoo. A te invece sia verso cosa che non merito ecc. ~ 184. eea
cagione di tormento la sete, che ti screpola tal vergogaa eoo. con tale veigogna, che
la lingna, e la linfa guasto (cfr. v. 68), che r impressione di qn^e parole di rimprovero
ti Cs figoollare il ventre sino qoad ad fanpe- non s* ò ancora cancellato dalla mia memo-
dlrtf la vista. — 124. Oesf si sqnarela ecc. ria. — 186. e ^lale è «nel ecc. mi trovai
Cosi si spalanca la toa lingna per la maldi- nella stessa oondiiione di ohi sognando qaal-
oenza, aÓa quale essa fa osa nel mondo; e che dannoso avvenimento desidera in sogno
se io ho sete e rigonflamento d'amori, ta di sognare, e cosi desidera quello ohe ò in
hai l' arsura e lo stordimento della febbre e fatto come so non fosso. — danaaggle :
grandissimo desiderio di bere. — 126. come danno ; voce arcaica che Danto osò sola-
siele X come soleva (ofr. Iti/', zzvn 48) nel mento in qaesto luogo. — 140. che desiava
mondo, quando tu sparlavi dei tool gred eco. die desideravo di scasarmi a Virgilio,
(cfr. Virgilio, Su. n 162 e segg.). — 126. e senz* accorgermene mi scasavo tacendo. —
rinfhrela : il vb. rinfbnlar$, dice l'An. fior., 142. Haggier difetto ecc. Minor vergogna
signiilca insaccare, doè riempire disordina- della tua ò bastevole a scusare una colpa
tBBSDte, e sarà un frequentotlvo composto maggiore che non sia stoto quella di fer-
del vb. infanim ; ma ora ò disusato. — 128. marti ad ascoltare il contrasto dei due dan-
e per leccar eoe e per bere l' acqua, che nati. — 144. trlstisla : ofr. Inf. vi 3. —
236
DIVINA COMMEDIA
e fa ragion ch'io ti sia sempre allato,
se più ayyien che fortuna t'accoglìa,
ove sia gente in simigliante piato;
148 che voler ciò udire è bassa voglia >•
145. • fft rAgl«B eoo. e H conto eh* io ti
sia sempre Ticino, se mtà ti accada por av-
ventora di troTarti a timili oontrastL — 147.
piato I d propriamente la lite agitata innanzi
ai giadid, lat. plaeUntm ; ma qui è esteso a
indicare un contrasto in genere, e massime
di paiole ing»^r*^yfffi — 148. «à< TOler eoe
Biag. : e Questo si è 1* insegnamento, al qoale
ci ha menati per la via che gli ò parsa mi-
gliore, perché pi6 naturale nella presento sl-
toadone ; insegnamento ntUlssimo, e ohe però
espone il poeta in un verso tale che, chi por
una volta lo legge, non se lo sdimentica pi6
per ismemorato ohe egli sia »•
CANTO XXXI
I dae poeti attraversando Taltimo argine, tra l'ottavo eli nono cerchio,
si trovano sopra on pozzo intomo al quale sono collocati del giganti: tra
essi incontrano Nembrotte, che dice loro oscure parole, Fialte che è inca-
tenato fortemente, e Anteo che depone 1 visitatori sulla ghiaccia dell'ultimo
cerchio [9 aprile, tra le ore tre e le quattro pomeridiane].
Una medesma lingua pria mi morse,
si che mi tinse l'una e l'altra guancia,
8 e poi la medicina mi ripòrse.
Cosi od' io ohe soleva la lancia
d'Achille e del suo padre esser cagione
6 prima di trista e poi di buona mancia.
Noi demmo il dosso al misero vallone,
su per la ripa che il cìnge d'intorno
9 attraversando senza alcun sermone.
Quivi era men che notte e men che giorno,
si che il viso m'andava innanzi poco;
XXXI 1. Una medesma eco. La stessa
lingua, qneUa di "y^igìlio, prima mi pansé oon
le parole di rimprovero (Inf, xzx 181-1S2) si
che divenni tatto rosso per la vergogna, e
poi mi racconsolò oon le cortesi parole di
conforto e d'amorevole ammaestramento (Inf,
zxx 142-148). — 4. Ces( od' lo eoo. Allade
alla lancia di Feleo e di Achille sao figlio,
della qaale Csvoleggiarono gli antichi (cfr.
Ovidio, Mèi. xm 171, Trid. v 3, 15, Bem.
amar, 47) che al primo colpo feriva e oon on
altro risanava la ferita, onde i poeti del tempo
di Dante volentieri paragonarono il bacio o
lo sguardo della donna alla landa di Peleo
(c£r. BuU, VI 62); p. es. Chiaro Davanzali
(D'Ano. IV 289): « Cosi m'aven com Feleus
sua lanza, Ca del suo colpo non potea om
guerire, Ifontre ch'un altro a simile sembian-
za Altra fiata non ù Cnciea feiìre » ; Giovanni
dall'Orto (VaL II 101) : « Peleo oon sua lan-
cia attossicata Ferondo, l'uomo non potea
guarire Se non lo 'nde ferisse altra fiata »,
eco. Si veda anche il Moore, I 802-308. —
6. prima ecc.: cosi Ovidio, lùm. am, 44:
« Una manus vobis vulnus opemque ferrot ».
— mancia: dono, regalo, e qui per esten-
sione di significato indica in genere tatto
ciò che d dato (cfr. Bar. v 66). — 7. Kel
demmo eoe I dne poeti, voltando le spalle
alla decima bolgia, si accingono ad abbando-
nare l'ottavo cerchio attraversando il largo
ar^e ond'esso è separato dal nono, che va-
neggia nel centro di Malebolgo : cfr. .Bt/l xvm
4-6. — 10. <{aÌTl era ecc. H luogo era oscoio,
com' d il mondo nel crepuscolo della sera,
allorchó il giorno chiaro è finito e non è an-
cora la notte profonda ; di guisa che la mia
vista non ardvava a distinguere molto in là :
INFERNO - CANTO XXXI
237
12 ma io senti' sonare un alto comO|
tanto ch'ayrebbe ogni tuon fatto fioco,
che, contra sé la sua via seguitando,
15 dirizzò gli occhi miei tutti ad un loco:
dopo la dolorosa rotta, quando
Carlo Magno perde la santa gesta,
18 non sonò si terribilmente Orlando.
Poco portai in là volta la testa,
che mi parve veder molte alte torri;
21 ond'io: € Maestro, di', che terra è questa? >
Ed egli a me: « Però che tu trascorri
per le tenebre troppo dalla lungi,
24 awien che poi nel maginar abborrL
Tu vedrai ben, se tu là ti congiungi,
quanto il senso s'inganna di lontano;
efr. Hoore, I 84. — 12. m» lo Muti' eoo.
au la mìa attenzione fu attirata da on mono
fi corno cosi «Ito che aviebbe laperaco qna-
ianqoe più romoroso tuono. — ■■ alte eerao:
comò die arerà enono alto, forte; al coi pa-
ngme il toono sarebbe pano di fioca Tooe.
— 14. ehe eoatra wé ecc. il quale enono fece
Tolgere a un sol pnnto tutta l'attenzione del
Biei occhi, ohe segoitayano la direzione oon-
traria a quella del suono. — seffaltandot il
gerundio nel senso del participio ò assai 1^
quante in Dante (es. F. N. m 49, Pmg. ix
88, X 66, Par, zym 46) e negli altri scrittori
sntichi; cosi il Petrarca, oanz. oxzn 16:
« Ch' amor qoesf occhi lagiimando chiuda »,
e canx. caos 17 : e Pian di raghecza giove-
nfle ardendo » ; il Boccaoeio, ijéo. g. m n. 8:
« k> Teglio della montagna quando alcun yo-
kra domoìdo mandare nel suo paradiso » ;
rAiiosto, OrL ZI 68: e che lalaaoiò neU'isoIa
domendo», eoe — 16. éopo la doloresa
ece. Nella Ohammm d» JZo&mì, H più antico
e il più beDo dei poemi medioeyali francesi
sulle leggende caiolinge, si racconta lunga-
mente come Oliando sorpreso con la retro-
guardia fianca da un numero sorerdhlante di
laiaoeni nel passe di Bondsralle aiErontasse
arditamente 1 namlol, e dopo arere egli e 1
suoi compagni combattuto con grandissimo
rakffe e Tedutf al suolo la maggior parte dei
suoi A decidesse a chiamare in soooorso Carlo-
magno, ohe era già molto lungi con il grosso
dell' eeerdto; allora recandosi alla bocca il
corno che eoleya portare, tÌ die dentro a
gran flato : « Rolando ha messo il corno alle
sue labhn,-egii l' imbocca bene e lo suona di
potente flato : 1 poggi sono alti e il suono Ta
ten lontano, reco lo r^erouoteatrenta leghe,
e Cado e tutto l'esercito l'hanno inteso » {Oh,
itBoL^ ed. dlL.Gaatier,yT.1768e8egg.):
ma Orlando si vede cadere intomo a uno a
uno tutti i compagni e muore prima che ar-
ririno sul campo i franchi accorsi in aiuto.
— 17. la santa gesta: i paladini che mori-
rono combattendo coatro i nemici della fède;
questo è il senso che gli antichi commenta-
tori. Lana, Ott, Beor., Buti, An. flor., eoe
rilevarono nell'espressione dantesca, ed è
conforme al «ignifloato che nei poemi e ro-
manzi carallereechi ebbero V it ^asto, e il fr.
ffeal», cioè fkunigUa o stirpe eroica (Dies 161) :
cfr. L. Gautier, Let fipapif fintifoiutf Pa-
rigi, 1878, ToL I, pp. 899-409 e Del Lungo,
DarUa, H 487-611. - 19. Pece portai eoo.
Dopo poco tempo eh' io tenera la testa Terso
la parte ond'era yenuto il suono, mi parve di
vedere delle alte toni eco. — 21. che terra
ecc. che città d queeta? A Dante, nell'oscu-
rità del luogo, ò parso di vedere delle torri
intomo all'argine, ma sono invece giganti :
pur è naturalissima la domanda ch'egli rivol-
ge a Virgilio, rioordandoei d'un'altra città
munita di torri da lui veduta in infamo (cf^.
Jnf, vm 67 e segg.). — 22. Però ecc. Vo-
lendo guardare troppo innanzi in quest'aria
tenebrosa ti accade di fhre giudizio erroneo
deUe cose che tu vedL — 28. dalla Inagt i
da lontano ; ctt, V. N, zziv 66 « da lunga
parte». — 24. maginar: imaginare: esteeo
qui a indicare la facoltà di disoemere, giu-
dicare. — abborris confondi nella tua mente
cose disparate, e cosi ti allontani dal vero :
ò il vb. stesso che abbiamo trovato in Iitf,
XXV 144 oon un senso die gli era usuale, come
dimostra il Parodi, Bull, IH 140 con l'esem-
pio di F. degU Uberti, DiU, n 81 : e ìfara-
vìglia sarà se riguardando La mente in tante
cose, non abborri ». -^ 26. Tu vedrai ecc.
Quando tu sarai giunto colà ove sorgono
quelli che ti sembrano torri, conoscorai bone
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però alquanto più te stesso pungi >.
Poi caramente mi prese per mano
e disse: « Pria che noi siam più avanti,
acciò che il fatto men ti paia strano,
sappi che non son torri, ma giganti,
#e son nel pozzo intomo dalla ripa
dall'umbilico in giuso tutti quanti >.
Come, quando la nebbia si dissipa,
lo sguardo a poco a poco rafiSgura
ciò che cela il yapor òhe l'aere stipa;
cosi forando l'aura grossa e scura,
più e più appressando y6r la sponda,
fuggiemi errore, e cresoemmi paura:
però che, come in su la cerchia tonda
Montereggion di torri si corona,
cosi la proda ohe il pozzo circonda
torreggiayan di mezza 1^ persona
gli orribili giganti, cui minaoffla
quanto il moio délU Tista ■* inganni nal fax
giadizio delle ooae lontanew — 27. ^rò eoo.
perciò affrettati alcun pooo. — 28. Poi eai»-
meate eoo. Virgilio con atto affsttooao prende
Dante per mano e oon opportune parole lo
predispone a vedere i giganti ti ch'egli non
abbia poi a temerne, e Oon qneef atto, dice il
Biag., di prendflrio Virgilio per mano, Tiiol
mostrale il poeta quale esser debbo l'uomo
veiBO ohi errò, • lavò poi il suo difetto > :
ma forse Danto non ebbe idtra intonsdoneftior
che di rappresentare la condizione di chi vuole
predisporre altri a uno spettacolo stnoio, che
accompagna le sue parole con atti oàreaMYoli
e amorosi. — 81. giganti: questi esseri mo-
struosi, ohe abusarono della loro foxsa prodi-
giosa IcTHìdosi in Tazio modo contro la divi-
nità, sono collocati da Danto intomo aUe pa-
reli del posso infernale, sulla linea di sepa-
razione fira ìfalebolge e Oocito, Ara l'ottaTo
cerchio ore sono puniti i fraudolenti e il nono
ove sono raccolti i traditori : quanti fossero
questi giganti del pozzo U poeta non dice,
nominando per altro Nembrotto, Briareo,
Eaalte, Tizio, Tifeo e Anteo; ma forse orano
nove e ciascuno aveva il suo luogo in eom-
spondenza ad uno de^ ordini di ponti attzar
versanti ìlaiebolge (ofr. Inf, xvm 16). Se-
condo il Moore, I 178, r idea di collocare i
giganti nel fondo dell' inferno fu suggerito a
Danto dai versi di Virg. J^ VI 680-581. — 83.
e sea nel fosso eoo. dall'ombelico in su essi
sovrastano all'argine che cinge intomo il poz-
zo, dall'ombelico in gid sono dentro al pozzo
erroneamente il Butt intese ohe da
I il ooipo i giganti fossero confitti nella
ghiaccia, mentre invece posavano sovr'easa
i piedi (cfr. i w. 143 e segg.). — SA. Covm,
qvande eoo. Cobm avviene al dissipanii della
nébbia, che la visto va diaoemendo via via
pl6 nettamento i contorni dalle oose, prima
nascosto dal vapore diltaso nell'aria. — 87.
forando l'avrà eco. penetrando meglio oon
lo sguardo per l'aria fittamaato oscura, di
mano in mano eh' io procedeva vene la spon-
da del peno. — 89. fkgfi«d errore ecc. ai
dileguava l'eoonea opinione che quelle fos-
sero torri, e la visto delle gigantesche figure
accrebbe la paura già suscitata in me dallo
parole di Virgilio. — 40. oome Usala oer^
ehla eco. Montaveggioni {eadntm ìùmtU ra- '
giomià) ò un castello senese in Val d' Elsa,
innalzato nel 1218 a difesa dei confini contro
Firenze e rimasto in piedi, come forto arnese
di guerra, sino alla caduto della libortà senese
nel secolo xvi: la sua cinto circolare di oltre
un meszo chilometro em coronato di quat-
tordici grosse torri, ora pareggiato quasi tutto
alle mura alto dna venti metri; e sulla cima
del colle isolato doveva nel suo stato pri-
miero oflHre ai passeggeri un singolare spet-
tacolo e agli esecciii nemici una forto resi-
stensa (cfr. Bepetti m 601 ; Aqaaione, DanU
in 8<0na, pp. 78-78; Bassecmann, p. 818).
— 42. eosi la Koia ecc. cosi gli orribiU
giganti, cui Giove fk ancora sentire fe sua
minacce nel tuono, sorgevano a guisa di
torri con la metà dei loro corpi sulla sponda
che droonda il pozzo. — 48. terreggiafiM :
del vb. tonaggian dice l' Ott che « è formato
da questo torri che faoeano a questo poszo li
giganti » ; e Benv. lo spiega nd senso di eizw
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Giove del cielo ancora, quando tuona;
ed io scorgeva già d'alcun la fìtccìa,
le spalle e il petto, e del ventre gran parte,
e per le coste giù ambo le braccia.
Natura certo, quando lasciò l*arte
di si fatti ammali, assai fe' bene,
per tórre tali esecutori a Marte;
e s*ella d*ele£emti e di balene
non si pente, chi guarda sottilmente
più giusta e più discreta la ne tiene:
che dove l'argomento della mente
s'aggiunge al mal volere ed alla possa,
nessun riparo vi può £bt la gente.
La fietccia sua mi parca lunga e grossa,
come la pina di San Pietro a Roma;
ed a sua proporzione eran l'altr'ossa:
si che la ripa, ch'era perizoma
dal mezzo in giù, ne mostrava ben tanto
di sopra che di giungere alla chioma
tre frison s'averlan dato mal vanto;
oaaiin a modo di toni, il BnA meno bene in
^wOo di apparire oome tocre, aoigere. — 46.
«•Tt eee. Si rioordi la battaglia di Flagra,
liudo fl le degH del ftilmind i figU della terra
Imtiii contro di lai (ofr. Inf, ziv 56). — 48.
• per le eotte eoo. e le braooia Inoperoee,
adenti gii lungo i fianchL — 49. Natira
certe eec Bene prorride la natura qnando
cesfò di piodiure ooe( tetti oeseri animati, i
Tisnti, to^iendo in tal modo tali esecutori
di ICirte, doè combattenti cosi podorod ohe
snebberò oppreeeo gfi nomini. — 52. e f *ella
«ce. e se la natora non ha cessato di pro-
darre grsndi mostri, come sono g^ elefanti e
le Mene, ohi ben oonsideri la giudicherà
giusta e saTla, poioh6 essi non sono fomiti
di ngione e però non poesono arrecare gran
«ale. — 65. éké iere ecc. mentre invece
quando farma del ladoeinio si oongionge al-
l' intenzione di ftre il male e alla forza di
attuilo, gfi nealni non poesono opporre al-
con» efficace resistenza. Sopra il sigTiiflcato
di mfornuUu cfr. Moore, I 101. — 56. t* aff-
finge ecc. : cfr. Inf, xxm 16 e Pyrg, v 112.
-88. ia fieela na eco. La faccia di Nem-
<>nitte, U primo gigante rodato da Dante (▼.
^ en grande come la pina di bronzo, oonser-
ntn a Boma ed alta olrca quattro metri (ai
tanpi di Dante era rotta e malconcia; il 6a-
HM It dice alta elBqoe braccia, tioè metrt
3^; ora ò m. 4,28). — 69. la plaa 41 San
'Ittre eec La Iknoaa pina di braizo, ohe
^Btoanente orasra seeoiido alevnt il nuraso-
leo di Adriano e secondo altri il Pantheon,
era stata collocata ai tempi del ponteioe Sin^-
maoo (496-6U) innanzi all'antica basilica Ta-
ticana, snUa piana di a Pietro; e Ti rimase
ancora per molto tempo dopo Dante, poioh4
solo nel secolo xvi fa trasportata presso il
palazzo di Belvedere e pi6 tsrdi eolia scala
del Bramante, ove adesso si trova (ofr. S. Q.
Visconti, ifiifeo F6o ChmmUno, voL VII, p.
75; A. Monti, Dani» e Amia, pp. 18 e segg.)
— 60. e4 a saa ecc. e le altre membra erano
in proporzione alla facda. Molto si aflktica-
rono gì* interpreti a determinare qnale foese,
neUa mente di Danto, Taltesza preoiB»dÌ
Nembrotto; ma i calcoli riosdrono a oondn-
sioni troppo disparate: tuttavia, se la fMoia
era oome la pina e tre fHsoni posti l'nno sul-
l'altro male avrebbero potato awiolnarsi alla
cima di qaolla parte die torreggiava sopra
l'argino, si jmò appsoesimatIvaoMnte indicare
un'altezza di circa venti metri, dalla tasta ai
piedi. — 61. ti ék» la ripa eco. in modo ohe
la ripc^ die ricopriva da meszo in gid i gi-
ganti, lasciava veder tanta parte del corpo
di Nembrotte, che era più alta di tre altìs-
simi uomini messi l'uno sull'altro. — peri-
zoma: voce greca, ohe significa la veste ohe
ricopre la parte inferiore del corpo; ò osata
qui a indicare che l'argine nascondeva i gi-
ganti dal mezzo in gid: più tosto ohe dal
groco, Dante potò togliere questa voce dalla
vulgata {Ootm, m 7), ove indica la vesta
d'Adamo e d'Eva fatta di foglio. — 64. frlsent
240
DIVINA COMMEDIA
però ch'io ne yedea trenta gran palmi
66 dal loco in giù, dov'uom s'affibbia il manto.
« Bafel mai amech isàbi almi >,
cominciò a gridar la fiera bocca,
69 coi non si conyenian più dolci salmL
£ il duca mio ydr lui: € Anima sciocca,
tienti col corno, e con qnel ti disfoga,
72 quand' ira o altra passion ti tocca:
cercati al collo, e troverai la soga
cbe il tien legato, o anima confusa,
75 e Tedi lui che il gran petto ti doga ».
Poi disse a me: « Egli stesso s'accusa;
questi ò Nembrotto, per lo cui mal coto
78 pure un linguaggio nel mondo non s'usa.
Lasciamlo stare, e non parliamo a vóto:
che cosi è a lui ciascun linguaggio,
i friioiii o abitanti della Fiìsia, nella Qenna-
nia, erano dagli antichi tenuti per 1 più alti
tra 8^ noBdni. — 66. lo ne fedea eoo. io
vedea del ooxpo di Nembrotte, oltre la teita,
tatto il tonato dalla gola all'ombelloo, per la
Innghena di oltre trenta palmi : il palmo,
antica mianra lineare, era prÌBn*a poco diren-
tiqnattro centimetri, ■( ohe trenta palmi sa-
laimo all'indroa tette metri, ai qnali agginn-
gando i tre deUa tetta ti ha die Nembrotte
misoTava nna diecina di metri dall' omboUoo
in ta (ofr. la nota air. 60). ^ 67. Bafel mai
eco. Tatti gli antichi commentatori (Bambtgi.,
Luìa, OtL, Beny., Boti, An. fior., Land., Veli,
ecc.) aflérmaxono ohe qaette pvole non tono
tìgidicatiye, ma potte per dare on'idea della
conAiaione babelica del lingoaggi; tottaria i
moderni, come già per le parole di Flato ( W*
vn IX ti afBuinazono a ricercarne U tento,
mettendosi coti in manifiMta oontradisione
col poeta il qdale & affnmare a Virgilio ohe
il lingnaggio di Nembrotte a mOh èfutair,
81). n prhno (oltre i trecentltti deriti daBeny.)
a tentare la spiegazione di qnette parole fa
a. Ventai! (cfr. StiM intdUi tu Danto, iV
lenie, 1845, p. 87), tecondo il qaale ette ta-
lebbero yool dei yail dialetti ebraici e yar-
robbero: « Per Dio ! o poter di Dici perché
io in qnetto profondo? Toma indietro, na-
sconditi > ; poi M. Land, DitmHaaiom éuì
mrti di Nmfò. e Pt., Boma, 1819, le tenne
per yod arabe: e Esalta lo tplendor mio nd-
Tabiato, ticoome lìfolgorò per lo mondo > ;
pd ahri altro ftntaatioaiono, ma certo par-
larono a yooto (ofr. Ferrani, 11806, IV 162-
167, V 76, e Butt. Vna68). Acute conside-
razioni fa ta qaetto yerto il B' Ovidio, pp.
496-498, in relazione alle idee di Dante talla
natora dd lingnaggio. — 69. plif dolel tal-
mi: pardo più ddd, pid amane. — 71.
tienti eoi eomo ecc. te ynoi sfogare le tao
patdoni, toona il tao corno, né parlare ▼»-
namente, poiché lo tao parole non poaeono
ettere inteee da alcuno. — 78. togai Bnti:
e la coreggia, dd coatto piena, come d Ik
a* moli che portano le some » ; e non Tadl
dire fune, come tpiegano donni, ti nn groato
legacdo di cado (Diei 297). — 75. e vedi
ecc. e yedi il corno che ti segna d'nna stri-
sda sai petto: il yb. dogan deriyato da doga
(ofir. Airy. zn 106) yale listare, segnar d'nna
strisda. — 76. Egli stésso eoe Le sne pa-
role inintelligibili manifestano chi egli ma.
— 77. onesti k Hemkroltot Nembrot perso-
naggio biblico (G^ z 8, ZI 1-9), capo dd él-
toendenti di Oam e primo re di Babilonia, fd,
secondo la tradizione patiistioa (cfr. Mooro, I
78X il promotore della oostnuione della gran
torre di Babde, onde nacque la oonftisìone
dd linguaggi (ofir. Pmf, zu 84). Dante, D9
viiìg, tloq^ I 7: cPtaesumpsit in corde ano
incarahilis homo sub persuasione Gigantia,
arte sna non solnm superare Natorsm, sed et
ipsom Natursntem, qui Deus est; et ooepit
aediilcare torria in Sennaar, quae poetea
dieta est Babd > . — far lo eil mal firn ecc. .
per il cuimal pensiero d'edificsze qudla torre, *
non s'usò più nd mondo un sdo linguaggio;
cfr. Dante, D$ vulg, tloq» 1 7: < oaditus tanta
confDsione percasd sunt, ut qui omnes una
eademque loquela deserviebaat ad opua, ab
opere multls diyersiflcati loqadis desinerent ».
— eotei pensiero; yooe usata anche in Air.
m 26: sulla sua origine cfr. V. Nannuod,
Sopra la parola coto usato da IkmU, Firenze,
1889, Dies 103 e Parodi, Bua. misi. ^79.
a yòte: inutilmente; cfr. Nf, ym 19. ^ 80.
chtf cosi è eoe poiché come ogni umano Un-
INFERNO - CANTO XXXI
241
81 come il suo ad altrui, ch'a nullo è noto ».
Facemmo adunque più lungo viaggio
volti a sinistra; ed al trar d*un balestro
84 trovammo l'altro assai più fiero e maggio.
A cinger lui, qnal che fosse il maestro,
non so io dir,, ma ei tenea succinto
87 dinanzi l'altro, e dietro il braccio destro
d*una catena, che il teneva avvinto
dal collo in giù, si che in su lo scoperto
90 si rawolgea infino al giro quinto.
« Questo superbo voU'esser esperto
di sua potenza centra il sommo GKove,
93 disse il mio duca, ond'egli ha cotal morto.
Fialte ha nome; e fece le gran prove,
quando i giganti fèr paura a' dèi:
96 le braccia, ch'ei menò, giammai non muove >.
Ed io a lui: « S'esser puote, io vorrei
che dello ismisurato Briareo
99 esperienza avesser gli occhi miei >.
Ond'ei rispose: € Tu vedrai Anteo
ffuggio non ò intaso d» Ini, ooi( il suo a
tatti ignoto non ò intaso dogli «ItiL Se Nem-
hrotte non oapiaoe alonn lingaagglo, pnd pa-
rere ftnno cha Virgilio gli abbia parlato (tt.
70-76) ; ma li dere intenderò che le eoe pa-
nda dano dette in modo ohe dalla oondta-
lione, e non dal aenao, Nembrotte comprenda
ohe Virgilio ^ impone fi tacere : mentre poi
in lealtà le parole TirgUiane sono piuttosto
una ^tegaaione Oittta a Dante. — 82. Fa-
eemme eoe Virgilio e Dante, non volendo
fermaial con Nembrotte, passarono oltre sol-*
l'argine rolgendo a sinistra (si ricordi ohe
prima lo pemuierano in senso trasrersale :
cfir. T. 0) • * n<A mcdta distanza trovarono
on altro gigante. — 88. al Irar d*an bale-
stre: a un tiro di balestra. — 84. l'altre:
il secondo gigante autd pìA fiero e maggio
(efr. Inf, VX 48) di Nembrotte, òSflalte, figlio
di Nettano e di Tflmedfa, il quale insieme col
ùateUo Oto Ai dei piA ieri e aodaoi nella
battaglia contro Giove; onde Orado, Od, m
4, 48: « Hsgnnm iDa teirorem intoleret levi
Fidens inventos horrida braohiis, Fratresqoe
teadentes opaco Pelion imposniase Olympo » :
Dante potè conoscerio dal commento di Servio
«U* Ak VI 776. — 86. ▲ eingar eco. Non so
cU foese il maestro che lo incatenò; ma egli
teneva legato il bracdo sinistro svi petto e il
destro al tergo ctm mia catena che lo avvol-
gerà più vcdte dal collo in gid. — ^val che
«Mae ecc.: efir. ^/. XV 14. — 89. s£ Aa In
sa le seeperte ecc. si che in qnoUa parto
DA2m
del corpo, che rimaneva foori d^ pone, i^
perivano dnqne giri di catena. — 91. volle
essere ecc. osò di far prova della sua tank
contro Qiove. — 92. semme Gieve : con que-
sta eepressione nel Pm§, vi 118 ò indicato il
Dio cristiano, mentre il re de^^ dei pagani ò
designato per lo pid col solo nome {Inf, ziv
62, Putrg, xxa. 120, xzzn 112, P», tv 62 e
in questo canto si v. 46); qui Denta accenna
certamente al dio pagano contro il quale E-
flalte combatté, considerandolo come la per-
soniflcasione del concetto della suprema di-
vinità; perdo eg^ <"*g*"* puniti in inferno
coloro che ai levarono contro Giove. » 04.
e face le gran prore eoo. Efialte e Oto fo^
reno quelli che sovrapposero il monte Ossa
al Polio per raggiungere il cielo (cfr. Igino,
Fabul, xxvm); che fti la prima delle grandi
prove contro gli dei. — 97. lo vorrei eco.
vorrei ohe i miei occhi vedessero la smisu-
nta figure di Briareo. — 98. Briareo: figlio
di Dreno e della Terra, fu uno dei tre giganti
oentimani, chiamato da Stazio, Th, n 696
« immensns Briareus ». Virgilio, En, x 664
cosi lo descrive: e Aegaeon quaJJs, oentum
cui brachia dicunt, Gentenasque manus, quin-
quaginta oribus ignem Fectoribusque arsisse,
lovis quum fblmina contre Totparibns stre-
peret dypeis, tot stringeret enses ». — 100.
▲ateet figlio di Nettuno e della Terra fu
anoh'egli gigante ismisureto, alto sessanta
braccia; non pot6 partadparo alla guerra con-
tro Giove, perché venne al mondo dopo la
16
242 DIVINA COMMEDIA
presso di qui, che parla ed è disoiolto,
102 che ne porrà nel fondo d*ogni reo.
Quel che tu vuoi veder più là è molto,
ed è legato e fìbtto come questo,
105 salvo che più feroce par nel volto >.
Non fii tremuoto già tanto rubesto,
che scotesse una torre cosi forte,
108 come Flalte a scotersi fu presto:
allor temett'io più che mai la morte,
e non v*era mestier più che la dotta,
111 8* io non avessi viste le ritorte.
Noi procedemmo più avanti allotta,
e venimmo ad Anteo, che ben cinqu'alle,
114 senza la testa, uscia fuor della grotta.
« O tu, che nella fortunata valle,
che fece Scipion di gloria reda
117 quand'Annibal co' suoi diede le spalle,
recasti già mille leon per preda,
e che, se fossi stato all'alta guerra
120 de' tuoi fratelli, ancor par eh' e' si creda
^he avrebber vinto i figli della terra;
mettine giù, e non ten vegna schifo,
bftttagliA di Flegns xiooonta di Ini Locano, ■aie1>b«ro dunque poco pl6 di setta metri. ~
Faf^. IT 690 e segg., oh' egli arerà la laa lU. gretta: la rooda che forma l'aigine tra
spelonca nella valle del Bagrada presso Zama, TottaTO e il nono cerchio; cfr. Jn/. zxi 110.
ove pasoevasi di leonL — 101. ehe parla: — 115. 0 ta eoo. Anteo, come s'd detto,
che parla on Ungnaggio umano, che pad es- aveva la sua spelonca nella fortuntUa vaiU dal
sere inteso da noL — lOB. Qvel ecc. Briareo, Bagrada presso Zama, dove P. Cornelio Boi-
che ta vorxeeti vedere, ò molto più lontano ; pione si rese glorioso riportando sopra Anni-
egli è Catto oome Bflalte e legato come lai, baie la grande, vittoria ohe pose fine alla se-
salvo che il soo aspetto è più feroce: ofir. oonda gaerra panica. — foriaaate: ooif ohla-
Laoano, FàrM. tv G96 « Briareos férox >. » ma il paese dove Scipione riasci vincitore,
106. Kea fa ecc. Nesson terremoto fa mai oome già Jhf, xzvm 8 ha detto la fortunata
che cosi violentemente scotesse i pid forti Una di Faglia, per aooennaie agii stzaordi-
edifici, oome Eflalte si scosse a sentir le pa- nari avvenimenti di cai fii teatro. — 116.
role di Virgilio (v. 106) ; perché egli voleva reda : erede ; ctr, la nota al Purg, vn 118.—
avere sovra tatti i giganti il vanto della fé- 118. reeasti eco. Lacano, Ì7brt.iv601: « Haeo
roola. — HO. • bob v' era ecc. e s' io non ilU spelanoa domas; lataisse sab alta Bope
svessi veduto le catene, die tenevano avvinto ferant, epnlas raptos habaisse leonas ». —
il gigante, solamente il sno soaotersi sarebbe 119. • che, se fossi eoo. : anche qaesta lode
•bastato a farmi morire di paura. — la dotta: che Virgilio dà al gigante, qaasi per conci-
la paoza; dotto, oome doUanxa ò dal vb. dot- liarai la sua benevolenza, ò un ricordo di La-
tore, dubitare, temere. — 111. ritorte : ca- cane, il quale parlando della Terra, madra di
tane; sul senso proprio di questa voce cfr. Anteo, dice (flirt, tv 696): «ooeloque pe-
Ji^, za 27. — 112. aUoCla : allora; cfir. Jnf. pendt, Qaod non Fhlegraeis Antaeom sustulit
V 68. — 118. elle I^b eoo. ohe usciva dal arvis». — 120. ancor par diV si «rcdax
poBo per pid di cinque alle, senza contar la ò ancora opinione d'alcuno; ofr. locuzioni si-
misura del capo : Valla (frane. halU; oflr. Diez mili in Inf. zn 42, zvn 108. — 122. aMttlBe
609), dice l'An. fior., e è una misura in Fian- ecc. calaci sul fondo di Codto, e non avere
dra, come nd didùno qui eannat eh' è in- a sdegno di rendere questo servigio a noi ohe
tono di bnoda due e mezzo > ; dnqae alle siamo cosi pioooli al paragone delle tue biao.
INFERNO - CANTO XXXI
243
123 doTe Oocito la ù-eddura serra.
Non ci far ire a Tìzio né a Tifo:
questi può dar di quel che qui si brama;
126 però ti china, e non torcer lo grifo.
Ancor ti può nel mondo render &ma,
ch'ei vive e lunga vita ancor aspetta,
129 se innansi tempo grazia a sé no '1 chiama ».
Cosi disse il maestro; e quegli in fretta
le man distese e prese il duca mio,
132 ond* Ercole senti già grande stretta.
Virgilio, quando prender si sentio,
disse a me : « Fatti in qua, si eh' lo ti
135 poi fece si che un fascio er*egli ed io.
Qual pare a riguardar la Carisenda
sotto il chinato, quando un nuvol vada
188 sopr'essa si che ella incontro penda;
tal parve Anteo a me, che stava a bada
di vederlo chinare, e fu tal ora
prenda
da. — 123. CadM: cfr. Inf, tttt 22 e segg.
— 12A. HOB el fkre eoo. Non roleie ohe uu
diano a xichiedere di tale aeryigio aloano
degli altri giganti ohe etanno intorno al pozzo.
^ I1k̫: uno del giganti ohe moesero gaena
a Qiore, morto folgorato da Apollo per ayer
tentato Latona. cft. Virgilio, .BH. vi 694 e
ngg.; Gridio, Met, iv 467 e segg.; Laoano,
Ars. IT 696. — Tifo: Tifeo, gigante fQlmi-
Dito da Oiore e sepolto nell' Etna (cfr. Pur.
fm 70). — 126. «sesti piò dar eoo. il mio
esondo ancora tìto, pud xinfre-
I nel mondo la fama dei dannati, ohe di
dò hanno gran deddeiio (ofr. Inf. n 89, xni
76, XT 119, zn 82, zxnn 106 eoo.). ^ 126.
le grlfe: il muso. Bene osservò lo Scart.
die il poeta pare voglia f&rd intendere ohe
€ il fiero gigante torcesse veramente il grifo
•n'adire le parole di Virgilio, e che tale atto
di dispregio indncesse qoesf ultimo prima
a rinfacciargli la bestiale sua superbia, poi
a ripetere di nnovo e pid estesamente la la-
dnga die Dante vivo gli darebbe fama su
nel mondo >. — 128. e liaga vita eoo. es-
sendo pervenuto al « mezzo del cammin di
nostra vita », egli ha speranza di vivere an-
cora lungamente, se la grazia divina non lo
chiami a eé prima del termine naturale del-
Teeistenza amena. — 182. oad'Kreele ecc.
con quelle mani, dalle quali Ercole si senti
fòrtemente afferrare qaando lottò con Anteo ;
cfr. Locano, .Fbrt. iv 617: e Conseruere ma*
nos, et molto bnohia nera»; ivi 688: cCon-
stitìt Alddee stopeteetns robore tanto ». —
136. pei flsee eco. poi mi abbracciò si che era-
vamo come legati insieme in un solo fascio. —
186. <{oa] pare eoe L' inchinarsi dtAnteo per
deporre i dae poeti sulla ghiaccia di Oocito
richiama al pensiero di Dante un fktto da lai
osservato in Bologna, sulla piazza di porta
Bavegnana, dove sorgono le due torri dei
Qarisendi e degli Asinelli, la prinm delle quali
per la forte inclinazione che ha verso oriente
pare cadere addosso a chi la guardi di sotto
dalla parte ov'ella pende, allorohé dall'altra
parte trascorrono per il dolo le navolo : e da
questo fatto singolare trae una similitudine
di grando efficacia, specialmente per chi,
avendo esperienza della cosa, ne vede ravvi-
vata ai saoi occhi l' imagine per le scultorie
parole del poeta. — la Carisenda : ò la fa-
mosa torre elevata nel 1110 da Filippo e Oddo
dei Oarisendi e rimasta in possesso dei loro
discendenti sino al 1418 : ai tempi di Dante
era già isolata nel mezzo della piazza di porta
Bavegnana, essendo state abbattute a spese
pnbbliche nel 1286 molte case che la circon-
davano; ma era molto più alta, poiché solo
nella seconda metà del sec. ziv fu fatta moz-
zare da Giovanni d'Oleggio signore della città.
Ora è alta metri 47,61 ed ha verso levante
uno strapiombo di metri 2,37, derivato da un
abbassamento del terreno (cf^. Qi. Qozzadini,
DM6 torri gentUixU, pp. 271-2W). — 137.
qoaodo oo anvol ecc. Bassermann, p. 213 :
« La descrizione ò cosf chiara, e ad ontadolla
sua grandiosità e arditezza per so stossa tanto
evidente, che non ha bisogno nò di ossero
verificata nel fktto né di essere commentata » .
Tuttavia ò da notare la frase $Ua incontro
penda^ doò la torre abbia la sua pendenza nel
senso opposto al cammino della nuvola. — 139.
stara a badax badava, guardava attentamen-
te. — 140. e fk tal era eoe. e fu on momento
244
DIVINA COMMEDIA
141
145
ch'io avrei volut'ir per altra strada:
ma lievemente al fondo, che divora
Lucifero con Q-iuda, ci sposò;
né si chinato li fece dimora,
e come albero in nave si levò.
O06f pauroso che io avrei voluto essere per
un altro cammino. — 142. al fondo eoo. sopra
la ghiaccia di Codto, nella qnale sono con-
Ulti i traditori e Lucifero. — 143. sposò : 11
vb. sponv, lat. «xponere, nel senso di deporre,
posare ò anche in Inf. zec 180, usato per un
atto simile a questo. — 146. o eome eoe si
levò sn con la gravezza di movimento onde
si drizza un albero sopra la nave. Venturi
868: e La similitudine dipinge Fatto; e i
suoni del verso, aperti sul primo e vibrati
sull'ultimo, per mostrare e ran^iem dell'ar-
co descritto dal eoxpo di Anteo nel soQevaxsi,
e la fermezza in cui questi tomd iqppena A&
diritto, aggiungono all'arte quel dio SI ]
nello non pud ».
CANTO xxxn
Nel primo giro del nono cerchio, la Caina, Dante e Virgilio trovano
tm i traditori dei parenti Camiclone del Pazzi, e nel secondOi PAntenora,
fra i traditori politici, Bocca degli Abati ; dai quali hanno notizia de! ri-
spettivi compagni : da ultimo incontrano Ugolino della Gherardesca e Rag-
gieri degli Ubaldini [9 aprile, tra le ore quattro e le sei pomeridiane].
S'io avessi le rime aspre e chiocce,
come si converrebbe al tristo buco,
8 sopra il qual pontan tutte l'altre rocce,
io premerei di mio concetto il suco
più pienamente ; ma percli' io non l' abbo,
6 non senza tema a dicer mi conduco:
che non è impresa da pigliare a gabbo
descriver fondo a tutto l'universo,
xxxn 1. S'io avessi poc Dovendo il
poeta descrivere l'ultimo dei cerchi infernali,
il pid orribile e profondo di tutti, e rappre-
sentare la condizione del centro dell'universo,
manifesta il dubbio che la sua lìngua non
possa prestargli le parole e i suoni conve-
nienti alla materia (cfr. Inf. xxvui 1); ma la
sua titubanza accresce nell'animo del lettore
l'ammirazione per l'arte meravigliosa e vera-
monte divina, onde Dante, vincendo tutto le
difficoltà o signoreggiando con la parola una
delle pid fantastiche fira le sue imaginazioni
infernali, riosoe a dipingere con efficacia stu-
penda la paurosa sede del traditori e di Ln-
ciforo. ~ le rime aspre e ehloecot le pa-
role di aspro e oscoro snono, aoconce a rap-
presentare r orridezza del luogo : nel Con».
IV 2, commentando i versi d'una sua canzone:
e Diporrò giù lo mio soave stile, Ch'io ho tenu-
to nel trattar d'Amore, E dirò del valore Per lo
qual veramente ò 1' nom gentile, Oon runa
aspra $ sottile >, Dante osserva d'aver detto
aspra «quanto al suono del dettato ohe a
tanta materia non conviene essere lene», cioè
soave e di dolci rime. — eUooee: detto
delle parole, come già della voce di Fiuto,
JhA vn 2, significa stridenti, rauche (Dies 97).
— 2. al tristo baoo eco. al centro dell' In-
famo, sopra il quale gravitano appoggiandosi
tutti i cachi infernali e tutto l' universo (ofr.
Bit. xxex 56). — 4. Io pronerei eoo. io espri-
merei pid compiutamente la sostanza del mio
fìsntastico concepimento : il vb. j^wnar», co-
me il suo composto esprmnsrs (Bar, iv 112),
qui ha il significato di esprimere, dire a pa-
role. ~ 7. ehtf non k eco. poiohó non è Ik-
cile impresa il descrivere il oentro dell'uni-
verso. — 8. fondo ecc. il luogo che ò oentro
ecc. ctt. Con», m 6: «questa terra ò fissa e
non si gira, e. . . essa col mare ò centro del
cielo » ; dunque il punto su shs DiU sisds
{Inf. ZI 65) è anche centro di tutto il sistema
cosmico. Nota il D'Ovidio, p. 614, che questo
verso « come reminiscenza passata in provBr*
INFERNO - CANTO XXXH
245
9 né da lingua che chiami mamma e babbo.
Ma quelle donne aiutino il mio yersOi
ch'aiutare Anfion a chiuder Tebe,
12 si ohe dal fatto il dir non sia diverso.
O sopra tutte mal creata plebe,
che stai nel loco, onde parlar è duro,
15 me'£o8te state qui pecore o sebe!
Come noi fummo giù nel pozso scuro
sotto i piò del gigante, assai più bas3i|
18 ed io mirava ancora all' alto muro,
dicere udimmi: «Guarda come passi;
fa si che tu non calchi con U piante
21 le teste de' fìratei miseri lassi » ;
Uo, è Twvto ad tmanen un senso diffé-
xsBte da qoel che ha doI testo, il senso dod
di desoiyer da dna a fondo o in Inngo e in
largo tuUo V nniveno » ; erronea interpreta-
lidoe, aiutata dall' insolita espressione fondo
e tetto per dire tf /buio d» tetto eoo. — 9. ■<
da UifBft eoe. (Somonemente si spiega: nò
trio da poter essere pienamente compita con
la lingua daU'nso oomnne nella qoale soriyo
il mio poema ; efir. Epistola a Gangrande { z :
< Si ad Bodom loq[aendi [re^idamus], remie-
sQt est Bodos et hnmiUs, qnia loqnntlo mi-
gans, in qna et mnliercolae oommnnicant».
Ma il D* Gridio, pp. 516-519, ha dimostrato
«he si dere intendere: «questa descrizione
BOB è impresa da bambino > e ohe qneeta ri-
dondanza ornamentale è stata per Dante una
Bsoseùtà dipendente dalla rima. — maa-
■a e hahbo x chi crede che Dante abbia vo-
lato aooennare alla lingua dell' nso comune
ricorda che egli nel JM vulg. etoq, u, 7 eedade
dall' alto stile le parole puerili « propter sai
timpliàtatem, ut mamma et babbo > ecc. Assai
fA opportunamente il D' Ovidio richiama in-
Tsce i passi del Purg. zi 105, zzm 111, Par,
zzzm 106-106, il quale ultimo « è la pi6 ac-
oonoia iUustracione al passo che dice arduo
U dmento di deaorivere l'ultimo fondo deU' in-
tano >. — 10. Ma fucile denueeoc Alle Ma-
ss, già iuTOoate in prindpio di questa cantica
Uàf, n 7), d raeoomanda il poeta, perché gli
Tingano in aiuto si che il suo canto risponda
lUa natura del luogo ch'egli ha a descrivere.
~ U. ch'alitare eoo. Amfione figlio di An-
tiope, nella edifloazione di Tebe, traeva gid
dal Citerone al suono della lira i macigni per
la costruzione delle mura; cfr. Orazio, Arg
poi(.8M: «Dictus et Amphion, Thebanae
ooaditor arda, Saza movere sono testudinis,
et pceoe blanda Ducere quo vellet >. — 13.
e sopra tutle eoo. 0 infelidssimi tra i dan-
nati, ohe siete confitti noli' ultimo cerchio I
■c^ per voi, so nd mondo foste stati bestie.
— 14. eade parlar eco. dd quale ò diffidle
desocivece pienamente la tristissima condi-
done. — 15. labe: capre (cfr. Dies 317, 752);
Lana: « %a6s sono li capretti sdtanti, et sono
detti xsb«j perché vanno zebellando, doè sd-
tando ». — 16. Ceae nei faame ecc. Nd
centro dd baratro infemde d apre un pozzo
non mdto profondo, intomo alle pareti dd
qude sono dicesti i giganti che torreggiano
sulla ripa superiore dd pozzo stesso : nel fondo
di ceso è un lago ghiacciato, di drca due miglia
di diametro, distinto in quattro gironi conoen-
trid, ciascuno dd quali ha un nome partico-
lare e accoglie una speciale qualità di tradi-
tori : la superflde ghiacciata è fortemente in*
dinata ddla periferia verso il centro, nd
quale ò confitto il re ddl'inlèmo. — 17. as«
sai pid tossi: Dante e Virgilio, essendo
stati deposti da Anteo a una certa distanza
dalla parete dd pozzo, venivano a trovard,
per l'inclinadone ddla superficie ghiacciata,
più in basso dd piedi dd gigante; ma tutta-
via nd primo e maggiore dd quattro gironi,
doè ndla Caina (cfr. v. 58), ove sono i tra-
ditori de' congiunti confitti ndla ghiaccia in
modo che fuori i^parlscono solamente le te-
ste chinate sulla superflde gelata. — 19. dl-
eere udlaml eoo. Dante, tutto intento a guar-
dare l'dto muro dd pozzo in cui egli e Vlrw
gilio erano stati calati da Anteo, non s' ac-
corge subito delle teste dd traditori porgenti
dalla ghiaccia: però imagina molto naturd-
mente, che uno dd dannati richiami la sua
attenzione ammonendolo a non odpestare né
lui né il ftatello d qude era strettamente
congiunto. ~ 21. de' fratti : di noi doe che
noi mondo fOmmo fratelli (v. 55). Mde dcuni
interpreti credono che siano cosi indicati tatti
i traditori, quasi fratelli o compagni di pena :
chó colai che parla non ha Tintenzione di
raccomandare gli altri, d bene sé stesso, e d
nomina col fratello solo perché sono en-
trambi cosi strotti insieme che Dante non pò-
246
DIVINA COMMEDIA
24
27
33
per ch'io mi volsi e yidimi davaate
e sotto i piedi un lago, che per gelo
ayea di Tetro, e non d'acqua, sembiante.
Non fece al corso suo si grosso velo
di Temo la Danoia in Osterlic,
né Tana! là sotto il freddo delo,
com'era quivi; che, se Tambemic
vi fosse su caduto o Pietrapana,
non avrìa pur dall' orlo fìbtto cric.
E come a gracidar si sta la rana
col muso fuor dell'acqua, quando sogna
di spigolar sovente la villana;
livide, sin là dove appar vergogna,
eran l'ombre dolenti nella ghiaccia,
irebbe calpestar 1* uno leiua oalpealar l'altro
(cfr. V. 41-42). — 22. per eh' lo mi T^lsl
eoe Dante, al suono di queste parole, si volta
e Tede innanzi a sé la distesa g^daodata di
Oocito, il lago Ibxmato dalle acque dei llnmi
infernali (ofr. ìnf, m 11^.120). — 24. «tm
di ?etr« eoe ofr. Dante stesso nel Ostw.
p. 177: «La teiia & nn sad ohe par di
smalto, E raoqoA morta si conyerte in vetro
Per la freddura die di ftior la serra ». •» 25.
Hon feee eoo. H g^iiaodo di Codto era più
grosso di stuello ohe si forma nell'inverno sol
Danubio e sul Don; tanto ohe se vi fosse ca-
duta sopra un'altissima montagna non avrebbe
fotto alcun segno di screpolature, nemmeno
all' orlo esteriore ove era meno grosso. La
comparazione non ò certamente déUe più belle,
sia per i troppi nomi geografld, sia andie per
la singolarità strana di alcune terminazioni
delle vod: ma ò pur dantesca nd tratto finale,
ove un iMto fidoo difBoOe a spiegarsi od di-
scorso libero ò reso con meravigliosa evidenza
e predsione in poche parole. ^ 26. Danela:
nome medioevale, lat DatmmiiMy del fiume
Danubio. — Osterlie : nome dato dagli ita-
liani nd medioevo all'Austria (cfr. Gh. Villani,
Or, vn 27, 29, 42), e foggiato sul ted. Osstoru
reidi, cfr. Parodi BvXL, m 113. — 27. Taaaf t
Don, lat TVmaif, noto fiume della Bussia,
paese di freddissimo dima; nd medioevo
gì' italiani lo chiamarono la Tama^ e anche
il fiumB Tcmai (la forma oesitona è attestata
da un luogo della Sfarà di L. Dati, ed. di
a. G. Galletti, Firenze, 1869; poemetto geo-
grafico ohe termina : « e finisce qui L'Asia
maggiore al fiume Tanai >). — 28. Tamlber-
■ie : è incerto di quale alta montagna l'Ali-
ghieri abbia vduto parlare : secondo gli an-
tichi e i più dd moderni commentatori è ac-
cennata qui una montagna ddla Schiavonia
(la Fmska Ocra presso Tovamik); secondo
altri invece, U monte Javomik nella Camio-
la, preno ad Addsberg : quesf ultima opinio-
ne è stata difosa oon molto calore dal Bas-
sermann, pp. 4M-471 (ofr. BuìL V 88). —
29. Pietrapana: la Pania o Alpe Apuana
(lat. FlBtra Apuana) gruppo d' alte montagne
iadate dalla catena appenninica, tra il Sei^
chic e la Magra (cfr. Bepetti 1 69-72 • Bas-
sermann, p. 876). — 80. erles voce onoma-
topeica, da coi deriva 11 vb. 9arÌooMoìar9, •
opportuoa a rendere l'idea di qud suono
secco e continuato che fa una superfide gliiao-
data su cui cada un gran peeo. — 81. B
eome a grmddar ecc. Questa simiUtudine
ddle rane, come le altre due dell' ^. oc
76 0 zzn 26, ricorda la descrizione ovidiana,
Md, VI 870: cluvat tese sub undas; Et modo
tota cava submergere membra palude, Nvne
proforre caput, summo modo gurgite nave;
Saepe super ripam stagni oonsidere, saepe In
gelidot resUire laons... Vox quoque lam raaoa
est, infllataque colla tumescunt: Ipsaqne dila-
tant patulos convioia rictus. Terga caput taa-
gunt; colla interoeptavidentur: Spina vfa«t.
venter, pars maxima oorporis, dbet; Limoao-
que novae saliunt in gurgite ranae >. — 82.
quando sogna eoe nd prindpio dall'estate,
allorché per essere il tempo dalla mietìtm» le
donne di villa sognano spesso di spigolale.
Biag. cPer questa perifrad droosorive in
nuova forma il tempo della mietitura nella
state, e d ammaestra ad un tempo essere i
sogni sovente un apparizione ddle Idee rao-
colte e collegate nella vigilia ». — 84. livide,
sin là ecc. le ombre dolenti dd traditori, livide
per la fireddura, erano confitte nella ^liaoda
sino a quella parte su cui appare il rossore
della vergogna, doè fino alla flaoda die era
la sola ohe rimanesse friort Questa èia retta
maniera d'intendere, come è provato daUa d-
militndine che precede, nella qude il tenutale
prindpale ti gta la rana eoi nrnao fiÈor àA-
l*aeqva richiede come logica corrispondenza
DIFEBNO - CANTO XXXII
247
86 mettendo i denti in nota di cicogna.
Ognuna in giù tenea volta la &ccia:
da bocca il freddo e dagli ocelli il cor tristo
39 tra lor testimonianza si procaccia»
Quand'io ebbi d'intorno alquanto TÌstOi
volsimi appiedi, e vidi due si stretti
42 òhe il pel del capo avieno insieme misto.
« Ditemi voi, che si stringete i petti,
diss*io, chi siete? » E quei piegare i colli;
45 e poi eh' ebber li visi a me eretti,
gli occhi lor, eh' eran pria pur dentro molli,
gocci&r su per le labbra, e il gelo strinse
48 le lagrime tra essi, e riserrolli:
con legno legno spranga mai non 6insa
forte cosi; end' ei, come due bécchi,
51 coEsaro insieme, tanta ira li vinse.
Ed un, ch'avea perduti ambo gli orecchi
per la freddura, pur col viso in giùe
64 disse: « Perché cotanto in noi ti specchi?
Se vuoi saper chi son cotesti due,
rUea di ombn ntUa ghiacoia intin là dove
yeyMO, cioè tino alla f«ccia. Altri
no : Le ombre, dolenti nella ghiaccia,
«ano liride sino là dorè eoo. ; nò sono poi
tatti d'accordo dica la parte oto appare la
THgogna: che alcuni tengono essere la fàc-
cia; altzi, le parti Tezgognose, ohe si vede-
Tsao perdio le ombre traapanan oom* fetiuea
m 9dn ilmf. xzzit 12). — 86. metUado eco.
bstteado i denti per il freddo, con il snono
B6000 die Ca la dcogna quando batte insieme
le due parti dd sno bécco; cfr. Gridio, Met,
▼I 97: « Ipea stbi plandat crepitante doonia
rostro». — 87. OfBima la gld eco. I tradi-
tori, non «rendo alcon dedderio d'essere ri-
cordati nd mondo, cercano anche di non ee-
nr conoednti: però tengono il Tolto abbas-
sato, e Dante è costretto a serrìrd dd mezzi
pì6 Tiolenti per indolii a parlare (cfr. y. 07
e segg.). — 88. da becca eoo. il froddo dd
laogo d manifesta per il battere dd denti e
il ddore dd dannati appare nel pianto ch'esce
loco dag^ ocohL — 40. Qaaad'io ecc. Dopo
aver dato uno ignaido generale alla snperil-
c&e i^iiaodata di Oodto, Dante volge gli oo-
chi d sod piedi, a qnella parte ond'era mossa
U Tooe ammonitrioe (cfr. r. 19-21) e vede
4m dannati cod strettamente onlti che le
loro ohiomA erano Insieme confuse. — 48. IM-
t«Bd Tel ecc. Alla domanda del poeta dio
TQol tmfen i kr nomi, i dne dannati ripie*
gando all*indi0tro U odio drizzano i Tid Terso
di fad; e il pianto, che alla vista di Dante
•oorrs loro d«gU occhi, d congela sabitamente
d contatto della fredda aria, d che per la
rabbia qnd due, inTOce di rispondere d yid-
tatQrs^ cozzano Tlolentemente l'ano contro
l'dtro. —48. eh'tran pria 9W dentri aellit
che innand allo staocard dd due capi erano
molli solamente dentro, erano doè pregni di
pianto che wxi qnando ebbero Tolto g^ occhi
a Dante. — 47. le labbra: Lomb. intende le
labbra degli stead occhi, doè ddle pdpotee;
ma osserra ginstamente il Bianchi che non
c'è bisogno di forar cod la lingua indncendo
un modo insdito e arditissimo, poiché d pad
imaginar benissimo che le lagrime scorressero
nel loro erompere dagli occhi dno alla bocca:
anzi d pnd agginngere che in caso contrario
sarebbe stato inatile che il poeta rinhinmassn
poi l'idea degli occhi dicendo tra «sai. — e U
gelo eoo. il gdo strinse, assodò le lagrime
dentro a^ occhi e riserrò, chiuse di nnoro
gli occhi stesd eh' erano aperti a gnardare.
— 49. con legno legno eoe nna spranga di
ferro non tenne md stretti insieme dne pezd
di legno cod fortemente come il ghlacdo to-
nerà ohind gli occhi. — 60. come dae bèo-
chi: come due montoni; cfr. Virgilio Owr. n
526 : e Inter se adversis lactantor comibns
haedi ». — 52. Ed nn ecc. Un dtro traditore
interviene a sodisfare egli il dedderio di
Dante, dicendogli chi siano qnd doe ed enn-
merando dtri dannati della Caina, e in fine
manifestando s6 stesso (cfr. t. 67-69). — 68.
par eoi tIso ecc. senza alzare il volto, pei^
che il freddo gl'impediva di muoversi. — 55.
8« vaol ecc. Cotesti dne furono i fratolli
248
DIVINA COMMEDIA
la valle onde Bisenzio si diclilna
57 del padre loro Alberto e di lor fiie.
D'un corpo uscirò; e tutta la Caina
potrai cercare e non troyerai ombra
60 degna più d'esser fitta in gelatina:
non quelli, a cui fii rotto il petto e 1' ombra
con esso un colpo per la man d'Artù;
Cd non Focaccia; non questf| che m'ingombra
col capo si ch'io non veggio oltre più,
e fu nomato Sassol Mascheroni:
Alessandro e Napoleone figU del conte Al-
berto di Mangona o della oontessa Otialdxa-
da, e signori dei castelli di Vetnio e di Oe>
baia in Val di Bisenzio e di Uaogona in Val
di Siero (BepettlVI 26^); i qoali si «coi-
sero l'on l'altro per odi primati e politid. —
57. éfl padre eoo. : il conte Alberto, ancora
minorenne nel 1209, ebbe dalla contessa Gnal^
drada tre figlinoli; nno di essi, Napoleone, fa
seguace di parte ghibellina, invece Guglielmo
e Alessandro ftirono segaad di parte gael&;
questi firatelli ebbero contrasti per ragioni
politiche e pi& poi per interessi privati, al-
lorché il padre loro nel testamento fatto nel
1250 lasciò a Napoleone scia una decima parte
del patrimonio. Giurarono tutti e tre la pace
àéL cardinale Latino nel 1282, ma poco dopo
accadde la tragedia domestica, cui accenna
Dante, della quale 1 fij^uoli di Napoleone e
di Alessandro si padflcarono nel 1286 (cfr.
K. Barbi, BmO. VI 20A); e la tradizione rima-
stane Tira a lungo in Firenze ò riferita dal-
l'An. fior., il quale dei due fratelli scriye che
e fkxrono di si perverso animo che per tdire
l'uno all'altro le fortezze che avevano in vai
di Bisenzio, vennono a tanta ira et a tanta
malvagità d'animo che l'uno uccise l'altro, et
cosi insieme morirono ». — 58. Calna : il pri-
mo girone dell' ultimo cerchio, destinato ai
traditori dei congiunti, ò cosi denominato da
Caino uccisore del fratello Abele. — 60. In
gelatia»: Benv. spiega semplicemente e in
istam glodem gelatam», ma U Buti amplifica
parlando di « anime fitte nella ghiaccia, come
li polli nella gelatina»: onde forse alcuni
commentatori moderni trassero l'Idea che la
ghiaccia infernale sia detta in tal modo per
ischerzo ; ma lo scherzo, per quanto non inop-
portuno in bocca al loquace e petulante che
parla, suonerebbe troppo scipito. Del resto a
gelatina^ luogo gelato, è utile riawicinaro cal-
dina, luogo caldo, usato da Pietro Alighieri,
DoUrinaU, zxv 56. — 61. bob «utili ecc.
Accenna a Hordròc, nipote o, secondo altre
versioni, figlinolo del re Artà, uno degli eroi
del romanri di Brettagna; al quale Hordrèo,
perché aveva tentato di togliergli a tradimento
la vita e il regno, 11 re Artfi dio un colpo di
lancia nel petto trapassandolo da parte a parte,
in modo che (dice VHisiorta di LcmoOhtio del
Lago, lib. m, cap. 162) « dietro l' apertura
della lancia passò per mezzo la plaga un ca^
giodisole>.~63. B«B Fecaeelas Focaccia
de' OanceUieri Bianchi di Pistoia ò rappreeen-
tato nelle latori» pialoUai, pp. 4-9, come uno
dei più turbolenti • Huiosl di quella parto, e
di lui racconta l' anonimo cronista che e era
prode e gagliardo molto di sua persona, del
quale forte temevano quelli della parte Nera
per la sua perversità, perché non attendea ad
altro che ad uccisioni e ferite > : iniieitti neg^
anni che corsero dal 1286, quando fu tagliata
la mano a Doro del Cancellieri, sino al 1285,
che fri la intera divisione della cittadinanza
pistoiese, egli compiè parecchi misfktti, accen-
nati nelle Id, pisi., e tra gli altri uooiee a
tradimento in una bottega di Pistoia Detto
dei Cancellieri e nel castello di Montemnrlo
il suo concittadino Dottorino dei Bossi, della
consorteria de'CancellieriNeri: i pi6 dei com-
mentatori antichi gU attribuiscono l'ucdaione
di uno zio, per la quale sarebbe qui punito;
solamente Pietro di Dante attesta ch'egli uc-
cidesse il padre, ciò sarebbe Bertacca d^ Can-
cellieri frate gaudente, che sappiamo invece
esser morto per mano di Predi Cancellieri
(ctt, Ist, pisi, p. 6), e Benv. lo fa autore del
taglio della mano di Dore OanceUieri, die fu
opera invece d'un suo parente. Si veda L.
Zdekauer, Siwn pisMaai, I, Siena, 1889. —
65. Sassol MascheroBÌ: An.flor.: e Sassolo
Mascheroni fti de' Toschi da Firenze ; et aven-
do uno suo zio vecchio, ricco uomo, che non
avea altro che uno ftmciullo, pensò, se io uc-
cido questo fanciullo, lo rimarrò roda di questo
mio zio. Stette più tempo di fuori : poi un di
cautamente si mosse con alcuno compagno ; et
fatto lusingare il fanciullo, fl menò fuori dolla
terra et ivi l'uocise, et sconosciuto si parti:
non si sapea chi morto l'avesse. Tornò Sas-
solo d' ivi a uno tempo a Firenze; giugne a
casa, fa lo scarpore grande di questo suo cu-
gino, et prese il reditaggio del zio ch'era già
morto. Infine il fatto al scoperse; fa preeo
costui et confessato il malefirio, fu messo in
una botte d'aguti, et fri strascinato rotolando
INFERNO - CANTO XXXH
249
66 86 tòsco se', ben sai ornai olii fu.
E perché non mi metti in più sermoni,
sappi eh' io fai il Camioion de' Pazsi,
69 ed aspetto Garlin che mi scagioni >.
Poscia yid'io mille visi, cagnazzi
fatti per freddo; onde mi vien riprezzo,
72 e verrà sempre, ''de' gelati guazzi.
E mentre che andavamo in vèr lo mezzo,
al quale ogni gravezza si rauna,
75 ed io tremava nell' eterno rezzo,
se voler fd o destino o fortuna,
non so; ma passeggiando tra le teste,
78 forte percossi il piò nel viso ad una.
Piangendo mi sgridò: « Perché mi peste?
U botte per U teira, et poi gli fti mozzo il
etpo. Fa queit» noTelia al pelose, che per
tutta ToeoaiiA ee ne perid >• — 68. U Gaal-
el«a é^Paxslt Alberto Camioioiie dei Pazzi
; gliibelliiim del Val d'Amo anperioro,
i aach'egli un oongivnto; l'An. fior, rao-
; «Andando un di a diletto messerUber-
tino de'Faoxifiiooaginoet egli, però che aye-
TODO certa fortezze eomimi come consorti,
Guniscione pensa di pigliarle per sé, morto mee*
ter Ubertino: ooei caTaloando gli corse addosso
con uno coltello, et diegli più colpi et final-
mente roodae» : e^ altri commentatori, Lana,
Ott, e Benv. dicono ohe Ubertino eia parente
di Camioione, senza speoifloare il grado di pa-
mtala, e forse da dò si potrebbe indarre che
Poociso foese non già dei Pazzi, ma degli
Ubertini di Val d'Amo loro consorti e con-
giunti di sangae e di fazione (cfr. Del Lango
n 29). — 69. e4 aspette eco. e attendo che
Carlino de' Pazzi, commettendo an tradimento
peggioire del mio, faccia parere meno grave la
mia onta. Allade al tradimento di Carlino
da' Food, il qoale, essendo per la parte dei
»*^w*iii Bel castello di Fiantrarigne con molti
ceTalieri e pedoni, il 16 loglio del 1802 lo dio
in mono ai fiorentini Keii, ohe l'assediaTano
da OH mese, e ottenne cosi di essere riam-
measo in patria {DeUx, IX 101): < Alla fine
(cosi G. Villani, O. ym 58) per tradimento
dal sopcadetto Carlino, per moneta ohe n'ebbe,
i fiorentini ebbono il castello : essendo il detto
Carlino di taaA, fece a'snoi fedeli dare l'en-
trata del castello, onde molti vi farono morti
e pitie! , pare del migliori asciti di Firenze > :
efr. D. Oompagni, C^. n 28. — 70. Pesda
Tl4*le eoo. Procedendo Terso il centro, Dante
perrìene nel sec(mdo girone, doò nelI'Ante-
Bora (c£r. r. 88), ove sono paniti i traditóri
della patria e della parte, i colperoli ciod di
tradimento politico ; i qoali por son confitti
•ella ghiaccia, dal capo in gid, tenendo dritti
i volti. ~ eagMisl fatti per fireUes di-
vtnatl lividi per il freddo; cosi spiega il
Boti, rifinendosi manifestamente al v. 84:
ma Benv. spiega eagnaxxi per canini, doò
forse raggrinzati come la pelle del cane, e
molti moderni intendono che i visi fossero,
per il maggior fireddo che è verso il centro,
divenati paonazzL — 71. rlprcsze: in senso
traslato, orrore, spavento (cfr. Inf, xvn 86,
ov'ò in senso proprio). — 72. gelati gaassl:
le acqae dei fiomi infernali, stagnanti e ghiao*
date in Codto. — 74. al f oale eoo. cfr.
Mf, laxrr ìlU — 76. Beli' eterne rene:
nell'eterno gdo infernale ; il nome rssxo (cfr.
Jn/1 xvn 87) ò ano dd tanti derivati di aura,
ristrettod al concetto di fireddo (Dies 81). ~
76. se reler Ai ecc. Dante non sa perché ac-
cadde eh' egli inciampasse in ona di qaelle
teste : dice donqae che, qaal ne fosse la ca-
gione, o la volontà divina o il destino o an
caso fortaito, il flttto ta eco. Gli antichi com-
mentatori. Lana, Ott, Dati eoo. interpretano
an po' diversamente, dicendo (cod l'nltimo):
< qai tocca tre cagioni, da ohe procedono tatti
li nostri affetti; doò da vdontà di proprio
arbitrio, o da giadizio aniversale delle oostel-
ladoni che d chiama destino, o da giadioio
particolare di aloana costelladone che d chia-
ma fortona > : ma se Dante accennasse al sao
wkr$f non potrebbe poi dabitame, ed egli
non poteva sapere che qaella testa foese d'an
fiorentino traditore. — 79. Plaagende ecc.
L'ombra di Bocca degli Abati rivolgendod
con aspre parole a Dante gli chiede s'ei venga
ad aocresoere la pena che essa ha per il tra-
dimento di Montaperti; ove Bocca, al prìn-
dpio dd combattimento dd fiorentini coi se-
ned (cfr. In^. X 85), combattendo dalla parte
dd gaelfl accanto a Iacopo de' Pazzi che por-
tava l'insegna dd cavalieri fiorentini lo feri
di spada e gli tagliò la mano con la qaale
reggeva l'insegna stcesa; « dò fatto (racconta
250 DIVINA COMMEDIA
86 tu non Tieni a crescer la vendetta
81 di Montaperti, perché mi moleste?»
Ed io : < Maestro mio, or qui m' aspetta,
si ch'io ésca d'un dubbio per costui;
84 poi mi &rai, quantunque vorrai, fretta ».
Lo duca stette; ed io dissi a^ colui,
ohe bestemmiava duramente ancora:
87 < Qual se' tu, che cosi rampogni altrui? >
€ Or tu chi se', che vai per l'Antenora
percotendo, rispose, altrui le gote
90 si che, se fossi vivo, troppo fora? »
€ Vivo son io, e caro esser ti puote,
fu mia risposta, se dimandi fama,
93 oh' io metta il nome tuo tra l' altre note ».
Ed egli a me: « Del contrario ho io brama;
levati quinci, e non mi dar più lagna,
96 che mal sai lusingar per questa lama ».
Allor lo presi per la cuticagna,
e dissi : < E' converrà che tu ti nomi,
99 o che capei qui su non ti rìmagna ».
Ond'egli a me: < Perché tu mi dischiomi,
né ti dirò ch'io sia, né mostrerolti,
102 se mille fiate in sul capo mi tomi ».
Q. Villani, Or, vn 79), la caralleria e popolo interprgtaaton», rimanendo nella tua riraaità
reggondo abbattuta V insegna, e oo«£ traditi l'antiteei tta il diacono del poeta e qnello del
da' loro, e da'tedeeohi ai forte assaliti, in poco peooatore, qualunque senso s'attribuisca alle
d'ora si misono in iaconiltta» ; perdo Booca paiole di quest'ultimo. — 98. attes parole e
é punito nell'Antenora, come traditore della versi, ond'ò intessuto il raooonto del viaggio
parte guéUk fiorentina. — mi sgridò ofr. dantesco (ofr. j&i/. xvx 127). — 94. Del fm-
Inf, xvm 118. — 88. «■ dubbio eoo. un dnb- trarlo eoe Si è già accennato ohe questi
bio ohe mi è sorto per le paiole dette da oo- traditori non hanno desiderio d'essere rioor-
stui. — 84. f lABtviqae s cfr. Inf, v 12. — dati nel mondo, per il timore doU'inlìunia ohe
86. eht bestemmlara eco. che imprecava an- pers^guiteiebbe la loro memoria, e perdo non
Cora con irose parole contro di me. — 88. In- vorrebbero essere riconoeduti: solamente Ot^
tenera: il secondo girone dei traditori è cosi midone dd Pazzi per loquadtà naturale si
detto da Antenore, prindpe troiano, ohe nei mette a dire dd compagni e di sé stesso;
poemi omeiid h rapprssentato come uomo sa- mentre Bocca per vendicaid di un compagno
piente ed doquente e come autore della prò- che l'ha nominato livderà a Dante il n<»ne
posta di reetitniro Elena'ai gred e di fu la suo e di altri, e Ugolino della Qhermrdeeca
pace (cfr. IHad» m 148 e segg., vn 860 e racconterà la sua pietosa istoria per aocre-
sogg.) : da che venne forse la posteriore leg- soere infamia all'arcivescovo suo nsoioo (Jnf.
genda eh' egU fosse traditore della patria e xxzm 7). ~ 96. lagna i molestia, angoada
consegnasse ai nemid il Palladio (Servio, ad die dà motivo a lamentL — 96. lama: cfr.
Am, I 242). — 90. se fossi viro ecc. : due Btf, zx 79, Pmg. vn 90. — 97. eutleagKa:
interpretazioni d possono dare di questo verso; Buti :< la chioma dei capelli, che è nella col-
se fo99Ì è 1* pars., significherà : se io fosd lottda >. — 100. Perché tn eoo. Pttr quanto
vivo non sopporterd l'ingiuria che mi fd cai- tu mi strappi i capelU non ti dirò ohi io mi
pestandomi; se invece 6 2* pera., vorrà dire : sia, né te lo tuo vedere mostrando il viso se
se tu fosd vivo, non potresti percuotermi di anche tu mi salti mille volte sul c^to. —
colpi ood forti. Le parole che seguono, dette 102. toni ; il vb. iomant oihe indica l' atto
da Dante in risposta a Bocca, non danno ra^ del cadere capovolgendosi (cfr. hif, xvx 63),
gione a preferire l'una piti tosto che 1' altra qui è tratto a dgnificare più tosto l'atto del
INFERNO — CANTO XXXH
2B1
Io ayea già i capelli in mano avvolti,
e tratti gli n'avea più d'una ciocca,
105 latrando lui con gli occhi in gi4 raccolti;
quando un altro gridò: «Che hai tu, Bocca?
Non ti basta sonar con le mascelle,
103 se tu non latri? qual diavol ti tocca? >
« Ornai, diss' io, non vo' che tu favelle,
malvagio traditor, che alla tua onta
111 io porterò di te vere novelle >•
« Ya via, rispose, e ciò che tu vuoi, conta;
ma non tacer, se tu di qua entr* esohi,
114 d^ quel ch'ebbe or cosi la lingua pronta.
Ei piange qui l'argento de'franceschi:
' Io vidi, potrai dir, quel da Duera
117 là dove i peccatori stanno freschi '•
Se fossi domandato altri chi v'era,
tu hai da lato quel di Beccheria,
120 di cui segò Fiorenza la gorgiera.
Gianni de' Soldanier credo che sia
olpettar» foaleb» cosa con liolena, qnaai
laadaadoei «ndar» ool paio d«l oorpo torra di
MH. — 105. Utrudo eoo. m«ntro egli con-
tinsft?» A gridare ixoeamente, tenendo gli oo-
eU in basso per non essere rioonoschtto. —
106. «■ altr» gridò eco. Quest'altro traditore,
d» ssntsndo le grida di Boeoa si Tolge a
ehiedergli ohe ooea %^ abbia e ooei dioe in-
Tolontariamente il nome del compagno (ecoo
u esso analogo a quello per coi Dante capi
che slconi spiriti della bolgia settima erano
noi eondttadini : cfr. bif. zxr 40»4S), ò
Bnoso da Dorerà, che insieme al marchese
Uberto FaUaTieini tenne lungamente la si-
gnoria di Cremona, onde fti soacdato nel
1267, n6 pi6 potè riaverla non ostante i molti
t«tatiTi ch'el fece sino al 1283 (cfr. Sslimbene
A Puma, Oh, pp. 218-60, 280): è posto nel-
TAntenora eome traditore della parto ghibel-
lina, perché nel 1266 arendo rioemto dal re
Manfredi motti denari per assoldare milizie
4t oppone in Lombardia all'esercito di Carlo I
4* Aagiò, tenne per s6 la moneta e altra n'ebbe
dai banoeai, ch'el lasciò liberamente passare
(cfr. F. Pipino, Ohr» xxvm 40, in Moratori,
&r. dai. IX 709). — UO. alla taa onta: a toa
falÌMiia e dispetto. — 116. El piange eoo.
Baoso è qoi punito, per essersi lasciato oom-
poxe daU'appiNto o denaro (ofr. Far, xvn 84)
dai franoesL — franeesehls Danto, come
tatti i toscani del ano tempo, disse sempre
frmnmoo {Mf, zxm 44, sax 128, Pwrg, xvi
126) a indicare nomini e cose di Francia, set-
Woe già allora si dioesse anche francese, —
llfi. Baerà: Deverà, lat Ihivaria. — 119.
f nel di Beealieria eoo. Tesanro dei Beccaria
pavese, abate di Yallombrosa e legato ponti-
ficio in Toscana, per sospetto d'avere trattato
per il ritomo dei ghibellini in Firense, dopo
la cacciata del 1258, fti proso e decapitato :
€ quello per martfro (dice Q, Villani, Or. vi
66) gli fedono oonfeesare, e soelleratamento
nella piaxza di santo Apollinare gli feoiono a
grido di popolo tagliare il capo, non guar-
dando a sua dignità, né a ordine saoro; per
la qual cosa il comune di Firenze e' fiorentini
dal papa furono scomunicati, e dal comune di
Pavia, ond'era Q detto abate, e da' suoi pa-
renti i fiorentini ohe passavano per Lombar-
dia ricevevano molto danno e molestia: e di
vero si disse che '1 religioso uomo nulla colpa
avea, con tatto ohe di suo legnaggio fosse
grande ghibellino >. — 120. la gorgiera : in
senso traalato, la gola, il collo. — 121. Gianni
de' Soldanier : fiorentino di parto ghibellina,
il quale, allorché nel 1266 il popolo dopo il
governo dei due frati gaudenti (cfr. Inf. xxin
106) si levò a tumulto, « si fece (cosi O. Vil-
lani, Or, vn 14) capo del popolo per montare
in istato, non guardando al fine, ohe doveva
riuscire a sconcio di parto ghibellina»: Gianni
viveva ancora nel 1285, in cui ebbe una forte
qoistione ool comune di Prato (cfr. Dei Lungo
in Sundby op. cit., p. 217 e segg.). Danto lo
pone noIi'Antonora come traditore della parto
ghibellina, ma il guelfo 0, Villani giunto
quasi alla fine della sua Orùmea (xn 44) lo
ricorda insieme con esso Danto, con Qiano
della Bella, con Viori dei Cerchi tra i « cari
cittadini e guelfi, odorali e sostenitori di
252
DIVINA COMMEDIA
più là con Qaaellone e Tebaldello,
123 eh' sapri Faeiusa quando si dormia >.
Noi erayam partiti già da elio,
ch'io vidi due ghiacciati in una buca
126 si che l'un capo all'altro era cappello;
e come il pan per £Eune si manduca,
cosi il Bopran li denti all'altro pose
129 là Ve il cervel s'aggiugne con la nuca.
Non altrimenti Tideo si róse
questo popolo >, oonM qv6|^ ohe, a mo gin
dizio, eia stato < oapo alla difénsione del po-
polo oontxm al conte Guido Novello e agli al-
tri ^libellini». — 122. «aaeltoMS Oaao (fr.
antico Ovsnet, lai Oando) appara già nella
Ohanmn de Botand oome a tipo del traditore;
perohé mandato ambaaoiatore dai ftanohi ai
saiaoeni preparò la strage della retrogoaidia
comandata da Qdando (efr. Btf. xzzi 16) e
allorquando si senti suonare il corno dell'eroe
egli distolse V imperatore dal pensiero di n-
tornare indietro per soccorrerlo; di ohe fu poi
punito dai suoi con aspra morte : nei poemi
postMioii ta considerato oome figlio di Doon
de Mayence e introdotto cosi nella gesta di
Magonza o dei traditori (cfr. L. Qantier, Spop,
fnmf., Tol. n, pp. 660 esegg., 620 e segg.).
-— Tebaldelle: Tebaldello Zambnsi esentino,
per una beffi» fattagli da alcuni bolognesi di
parte Lambertazxa o ghibellina, riAigiati in
Faenza dopo la lor cacciata dalla patria nel
1274, si sdegnò tanto contro di essi che s'ao-
oordò coi Oeremei o guelfi di Bologna di dar
loro nelle mani la città: accostatosi però
reeeroito bolognese, Tebaldello sull'alba del
18 norembre 1280 introdusse in Faenza i ne-
mici della sua patria, i quali, dice un cronista
contemporaneo, < tamquam leones avidi et
intenti ad praedam, ipeam dvitatem irruen-
tes, quotquot potuerunt gladio ocdderunt,
alios Yulnerantes, alios caroeribus reduoen-
tes », e spogliarono degli arredi sacri le chieee
e altri mali infiniti commisero, massime contro
i ftaorusciti di parte ghibellina (cfr. 0. H. Val-
gimigli, TtboMeiio Zambnui^ Faenza, 1868):
del fstto corse lungamente la lama, special-
mente in Bomagna, e ftirono narrati i parti-
colari in un poemetto volgare, anteriore cer-
tamente ai tempo che Dante scrìveva (pubbl.
neUe Rime dei podi botoffneri del eeo, XUl
Bologna, 1881 e poi da F. Pellegrini, Bologna,
ISfri). — 124. Nel eravaai ecc. Qui incomin-
r a uno del piti famosi episodi del poema,
qu^o doò del conte Ugolino della Qherax^
desca, che attendo a rodere il capo del suo
avversario, Taroivoscovo Buggieri degli XTbal-
dini : episodio diviso in tre parti, rincontro
e la richiesta di Dsnte (w. 12Ì-189X la nar-
razione del misero conte i^, xxxiu 1-75) e
l'invettiva del poeta oontio la dttà di Fisa
(Inf, TTTin 79-90). Varie sono le opinioni d»-
gll interpreti droa il luogo occupato dai dne
dannati neDa ^Uaooia di OoGito; la pM oo-
mune e probsbile è dk'essi sieno confitti en-
trambi in una stessa buca, nell' Antsnora, •
tutti e dna pertrsdimento politico(ofr. le noto
all'Jn/: zzxm 18, 14, 86). — 126. l^n «apa
ecc. il c^^ d'Ugofino stava sopre a quello di
Boggiert — 127. e eome U pan ecc. con
queUa stessa avidità con la quale l'affamato
addenta il pane, Ugolino pose i denti nel
capo di Buggieri, rodendolo rabbiosamente,
n De Sanctis, NwH eaggi erMòi, pp. 61 •
segg. analiszando con finissima critica l'epi-
sodio dantesco, osserva giustamente: < Ugo-
lino non è il traditore, ma il tradito. Certo,
anche il conte Ugolino è traditore e perciò ai
trova qui; ma per una ingegnosissima oombi-
narione, come Paolo si trova legato in eterno
a Francesca, Ugolino si trova legato in etemo
a Buggiero, che lo indi, legato non dall'amo-
re, ma dall'odio. In Ugolino non paria il tra-
ditore, ma il tradito, V uomo ofléso in s6 e
ne' suoi figU. Al suo delitto ntm fk la pid lon-
tana allusione; non è questione del suo de-
litto: attaoeato al teschio del suo nemico,
istrumento dell'eterna giustizia, egU ò là, ri-
cordo vivente e appassionato del delitto del-
l'aroivBSCovo Vba^a^ero, D traditore o' è, ma
non à Ugolino; e quella testa ohe gli sta
sotto a' denti, che non dà un crollo, che non
mette un grido, dove ogni espressione di vita
è cancellata, l'ideale più perfetto deU' nomo
petrifioato. Ugolino è il tradito che la divina
giustizia ha attaccato a quel cranio; e non ò
edo il carnefice, esecutore di comandi, a cui
la sua anima rimanga estranea; ma è insieme
l'uomo oireeo ohe vi aggiunge di suo l'odio e
la vendetta, n concetto della pena ò la legge
dd taglione o il contrappasso, come direbbe
Dante: Buggiero diviene il fiero poeto di un
uomo per open sua morto di feme, lui e i
figli ». — raandieas il vb. mamdiueare e^cime
proprio l'idea dd mangiare avidamente; ett.
Dante, Oanx.t p. 144: < ogni senso O» li
denti d'amor già mi manduca ». — 128. se-
praa : quello che sta di sopra. — 130. Hea
altrimenti ecc. Bacconta Stazio Theo, vin
INFERNO — CANTO XXXU
253
le tempie a Menalippo per disdegno,
132 die quei £Btoeya il tesobio e l'altre cose.
< 0 tu che mostri per si bestiai segno
odio sopra colai che tu ti mangi,
185 dimmi il perché, diss'io, per tal convegno
che, se tu a ragion di lai ti piangi,
sapplendo chi voi siete e la sua pecca,
nel mondo suso ancor io te ne cangi,
139 se quella, con eh' io parlo, non si secca ».
no • togg., oh« Tideo (ofr. Inf. znr 68) fé*
Dto a aorte dal teteao Menalippo liosol ad
Bodderio alla tua rdlta e pregò i compagni a
portar]^ il oapo del no nemioo, • ooii mo-
lent» oooe ei^ en Inoomindd a roderlo con
tanto odio che nm tu. poetibile diatoglierlo
daU'orxniile paltò. — 182. e l'altM OMetU
eerwUo • le parti camoee del capo. — 188.
0 ta eke BMtri eoo. Bene oeserva il De
SancCia: < Ugolino qui non ò il peccatore e
• nco è neppure un eeecatore
della legge divina se non inoonido. Una sola
coea egli sa, di aver eotto a' denti il teschio
del tno nemico e di sfogare in quello il sao
odio. Dante stesso non ò colpito se non da
dò ^he in quel iiiitto d personale, sfogo d'odio
d'oomo ofléeo». — 135. per tei eonTegno:
a questo patto; negli antichi, in questo senso,
si ha per lo pid il femm. eonoegna, — 187.
pece» : cfr. À/l xzxiv 16. — 139. se f nella
ecc. se non sarò impedito dalla morte, la
quale Tenga a togliermi V uso della parola.
CANTO xxxm
U eonte Ugolino della Qherardetea raeeonta la storia pietosa della sua
morte; poi i due poeti passando nella Tolomea, il terzo giro del cerchio,
destinato a coloro che uccisero proditoriamente i commensali, vi trovano
Alberigo dei ICanfredi e Branca d' Oria [9 aprile, alle ore sei pomeridiane,
drea].
La bocca sollevò dal fiero pasto
quel peccator, forbendola ai capelli
8 del capo, ch'egli avea di retro guasto.
Poi cominciò : « Tu vuoi eh' io rinnovelli
disperato dolor che il cor mi preme,
6 già pur pensando, pria che io ne favelli
XXXIU 1. La heeea solleTÒ eoo. De
Sanetia: e Dante dominato dall'onore del
fatto e con in o^o già àbboxwta e fervente
^ imagìne di UgoUno non si arresta alle oer-
reUa ed al sangue, ohe entnmo come ima-
gini ooaftaee nella sua Tisione; egli dice: il
tasdio e l0 altre ocee: e quando Ugolino
soQera la testa e d scopre quel teschio da
lui guasto. Dante non guarda già il teschio,
■a Ugolino, e gittando in messo \* imagine
feroce del pesto e ftMendogli foxhire la bocca
usando de' capelli di quel capo a modo di to-
TsgUudo, sparenta tanto l' imaginasione ,
che la tiene oolà e le toglie il distrani nel
rimanente ddlo ^ettaeolo >. F.Bomani, LkA,
p. 16: < Kel momento ohe quella testa si sol-
leva, noi vediamo disegnata al vivo solo la
bocca, rossa di sangue, e una doppia fila di
denti che hanno assorbito in sé la forza di
tutto il corpo. S il poeta non ci dice che
quel peccatore sollevò la testa, ma la ìfooca,
S questa parola ohe d la prima del canto ed
ha un forte accento su di sé, fk lampeggiare
alla nostra fantasia una vera bocca di belva».
— 4. Tu vuoi eoo. Bicorda le parole di Enea
a Didone, J^ n 8 : «Infandum, regina, iubes
renovare dolorem > ; ma più compiuta ò nel
nostro poeta l'espressione della dolorosa ri-
membranza: in Virgilio l'eroe ohe parla inco-
mincia con dignitosa compostezsa e direi quasi
con epica serenità ; i versi di Dante invece ci
rivelano subito ai primi detti un'anima etra-
254
DIVIKA COMMEDIA
12
Ma se le mie parole esser dèn seme,
che frutti infamia al traditor ch'io rodo,
parlare e lagrimar vedrai insieme.
Io non so chi tu se*, né per che modo
venuto se' qua giù; ma fiorentino
mi sembri veramente, quand'io t'odo.
Tu dèi saper ch'io fili conte Ugolino,
siata dalla disperazione e insodìsflitta della
vendetta ohe pur le d oonoessa, e il sentimento
di quell'anima si riperoaote in paiole di tragica
efficacia. — 7. Ha se le mie eoo. Dante s'era
offèrto al misero oonte, non gì& di linfteflcare
nel mondo la sua fiuna, ma di ricompensarlo
Cucendo conoscere agli uomini lajMOM del sno
avversarlo; e Ugolino, desideroso d'accresce-
rò infamia all'arcivescovo Boggieri, s' indaco
facilmente a manifestarsi e a raccontare la
propria storia pietosa. — 9. parlare e lagri-
mar eoo. fi lo stesso pensiero espresso da
Francesca {Inf, r 126); ma nelle dne situa-
zioni è qualche cosa di diverso, perché, os-
serva il Do Sanctis, < per Francesca ò un
passato volnttaoso e felice congiunto con la
miseria presente, e la sna anima innamorata
ingontilisoe il pianto ed abbeUa il dolore »,
invece < per Ugolino passato e presente sono
d'ano stesso colore, sono ano strazio solo che
sveglia sentimenti feroci e ravviva la rabbia ;
attraverso le lae lacrime vedi brillare la capa
fiamma dell' odio ». ~ 10. Io aoa io ecc.
Ugolino non cara di sapere chi sia il visita-
tore dell' infìBmo : ei l' ha riconosciuto per
fiorentino al parlare, e gli basta; perché ima-
gina d'aver dinanzi un guelfo, che volentieri
ripeterà nel mondo la sua narrazione a ìntar
mia dol ghibellino arcivescovo. — 11. ma ile-
reatino ecc. Come già Farinata (Inf. x 25),
Ugolino riconosce Dante come fiorentino dal
modo del parlaro, dalla loqrula, che s' ha a
intendere piti della pronunzia che della forma
delle parole : poiché le voci notate da alcuni
come fiorentine nel breve discorso del poeta
{Inf. xzxm 188-189: eonvegno, sofpiendo, pw-
ea, auao) erano di tatti i dialetti di Toscana,
tra i quali ai tempi di Dante le più sostanziali
dilFerenze erano di pronunzia. — 18. eonte
Ugeliae : il conte Ugolino della Oherardesca,
di nobilissima fiuniglia d'origine longobarda
oh' ebbe lunga signoria soyza molti castelli
dellA }K»Ttkmmm. e doUa pianura pisana, nacque
nella prima metà del secolo xm, figliuolo al
conte Guelfo I morto intorno al 1274: ebbe
da Margherita dei Pannoochiesohi molti fi-
gUuoU, auelfo n, Lotto, Matteo, Oaddo, Uguo-
cione, Emilia, Gherardeeoa eoe. ; il primo dei
quali, Guelfo n, sposò Elena figlia naturale
del re Enzo e n'ebbe Li^, Enrico, Nino e
Anselmuodo ohe ereditarono i diritti materni
flulla Sardegna e su altri paesi. D oonte Ugo-
lino, che era curatore dei nipoti e in Sardegna
aveva domini fbudaU e governo di giudicati
ottenuti dalla repubblica pisana insieme con
le famiglie dei Visconti e dei conti di Oa-
praia (olir, la nota all' lH/1 zzn 82), s*aooordé
col genero Giovanni Ylsoonti per tramutare
a guelfo il reggimento ghibellino di Pisa :
scoperto il trattato Ugolino e gli altri parte-
cipi fiutino banditi, ma essi presero le armi e
con l'aiuto di Firenze e degli altri comuni
guelfi di Toscana ottennero nel 1276 di rien-
trare in patria e riebbero le loro signorie
sarde. Allora Ugolino incominoid a primeg-
giare nella repubblica, tanto che a lui fb af-
fidato il supremo comando della fiotta armata
a difesa contro Genova: rotti i pisani alla
battaglia della Meloria (6 agosto 1284), ohe ta
un grande disastro militare ma non frutto di
sognati tradimenti, Ugolino ritomd in Pisa,
e mentre i comuni di Genova, di Firenze e
di Lucca stringevano una lega ai danni della
città ghibellina (18 ottobre 1284), assunse nel
pericolo della patria U governo dello Stato
con titolo di podestà (18 ottobre 1284). Fu
allora ohe Ugolino, per dividere i nemici e
salvar Pisa da certa rovina, cedette le ca-
stella di Bientina, lUpaftatta e Viareggio ai
lucchesi e quelle di S. Maria in Monte, Fu-
oecchio, Owtelfranoo, 8. (2roce e Montecal-
voli ai fiorentini e feoe loro intendere d'es-
sere disposto a tramutare a parte guelfia il
reggimonto di Pisa: cosi mentre rlasdva ad
allontanare i pericoli dalla patria, si valeva
di cotesti destroggiamenti per assicurarsene il
dominio, che egli prese nel 1286 insieme col
nipote Ugolino Visconti (cfr. Inf, xxii 81,
Purg, viu 47), raccogliendo in sé sotto diversi
titoli la somma autorità e ordinando poi con
gli statuti del 1286 la nuova tirannide in
modo da conservare una parvenza di libero
reggimento. Ma al Gherardesca non piaceva
la compagnia dol Visconti: però incominciò
a osteggiarlo in più modi, e in mezzo a queste
loro gelosie, fatta la pace con (Hnova e ri-
tornati in patria i prigionieri della Meloria
(aprile e maggio 1288), la parte ghibellina
incominciò a rialzare il capo guidata da Rug-
gieri degli Ubaldini arcivescovo della città e
dalle fsmiglie dei Gualandi, dei Sismondi o
dei Lanfranchi (cfr. v. 82) ; e in breve i ghi-
bellini riuscirono a togliere Ù governo al OMite
(giugno 1288), chiusero lui con due figliuoli
INFERNO — CANTO XXXTH
255
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18
21
e questi è l'arcivescovo Ruggieri;
or ti dirò perché i son tal vicino.
Che per l'effetto de' suoi ma' pensieri,
fidandomi di lui, io fossi preso
e poscia morto, dir non è mestieri;
però quel che non puoi avere inteso,
ciò è come la morte mia fu cruda,
udirai, e saprai se m' ha offeso.
Breve pertugio dentro dalla muda,
la qual per me ha il titol della fìtme
e dae nipoti in una torre oro poi ftirono ]*-
•ciati morire di fune, • l'anno segnante òhia-
aarono a reggere la dttà tornata a parte
^libellìna H conte Guido di Montsfoltro (ofr.
Inf. xxm 29): ai rodano B. Bonoioni, JmUxtì»
pùam», lib. z-xi; F. Dal Borgo, Diuertaxioni
aopn ri9loriapi$am, Pisa, 1761-68; Q. Sfor-
xa, DmU» • % Piami, pp. 90-118. — U. f ve-
sti è l'arelTOseoTO eco. Boggierl degli Ul»al-
dini di Mogello, nipote del cardinale Ottaviano
litf, X 120), tìsm nella soa gioventù in Bo-
logna ooll'offido di anddiaoQno della curia
vescovile e nel 1270 ebbe nn contrasto coi
■aestii e scolari déUo Stadio, per qnistioni
di gxnriadizione ; nel 1271 ta, chiamato arci-
vescovo di Bavenna dai gbibollini di quella
dttà, mentre i goelfl nominavano nn altro,
ma, dopo a^re contese, il papa esdose am-
bedae gli eletti dall'oiBdo. Nel 1278fofitto
aidvesoovo di Fisa, ove, allorquando inoo-
Bindarono le gdode tra Ugolino della Ohe-
lardeeca e Ugolino Visconti, egU s' intromise
■die eoee pobUiche oarcando di rialzare la
depressa parte ghiboUiìia: flngendod amico
dell'ano contro l'altro, rinsd a disfàrd d'en-
tEsmU, e in salla catastrofe del conte da lai
procorata assunse con titolo di podestà il go-
verno ddla dttà (ìxigMo 1288) e lo tonno pa-
ncdd med mostrandod impotente a sostenere
la gttsrra contro gli esali capitanati da Ugo-
lino Visconti, si che dovette lasdare l'affido,
d qoale fa chiamato Goaltieri di Branforte
(dicembre 1288) e poi Gaido di Hontefeltro
(maggio 1289). B malvagio procedere dell'ar-
dveseovx) Rogf^eri contro i gaolfi sasdtò lo
sdegno del ponte&ce Niccolò IV, che lo am-
moni severamente con ana bolla lanciatagli
contro il giovedì santo dd 1289 e poi fece
ironanadare contro di lai ona condanna di
carcere perpetao : ma la morte dd papa sot-
trasBO aJla tempesta il tristo arcivescovo,
il qoale rimase tranquillo nella sua diooed
tao d 1296, in coi mori a Viterbo dove erasi
recato da poco tempo: d vedano Q. B. Ubd-
dd, Istoria dàUa eaaa degli Ubaldinit dt ;
6. Qozzadini, Delle torri gerUilixió^ pp. 606 e
ssgg.; O. Sforza, Dante $ i jnaam^ pp. 106-
122; ▲. F. Kattei, Eoeleeiae pisanae hietoriat
Lacca, 1768-1772, voi. II. — 15. or ti dirò
ecc. ora che ti ho detto chi siamo, ti dirò
perché io gli da cod infesto vicino, porche
io gli roda il cranio. De Sanctis: < Vioino
risveglia idea benigna d'amidzia e dimesti-
chezza di nomini che vivono ed osano indeme;
ma in bocca ad Ugolino è ana ironia amara ».
— Is cfr. 3t/: n 17. — 16. Cke per l'effèlto
ecc. Non è necessario che io dica come per
tristìsdma opera ddl'ardvesoovo, del qado
io mi fidava, fosd preso dd ghibellini e latto
morire; perché la liuna dell'avvenimento
sparsad per tutta Toscana deve essere per-
venuta a te ohe sd fiorentino. - 19. però
qeel eoe Sulla narradone che Ugolino inco-
mincia a fare ddla sua misera fine osserva il
De Sanctis: «Gli antecedenti del racconto
sono condensati in rapidissimi tratti, che ti
risvegliano tutta la vita dd prigioniero, d
quale i med e gli anni che per gli uomini
distratti nelle faccende volano come ore, sono
secoli contati minuto per minuto. Ugolino è
chiuso in un carcere, a cui vieno scarsa luce
da un breve f6ro, d qnde sta affisso; ed il
suo ordogio è la luna dalla qude egli conta
i med della prigionia, (^dl'angustia di car-
cere paragonato ad una muda, qud piccolo
pertugio, e le ore contate sono tutto il romanzo
dd prigioniero nelle sue forme vidbili. Né
con meno sicuri técchi è rappresentato l'ani-
mo. Due sono 1 sentimenti ohe nutrono l'a-
nima solitaria di Ugolino, l' incertezza dd suo
destino e l'accanimento de' sud nemicL Ciò
che pi6 strazia il prigioniero, è il dubbio, è
il che torà di me? la fantasia esagitata dd
patimenti e dalla solitudine d abbandona die
speranze e a' timori. Ugolino ignora la sua
sorte, e teme e spera: l' idea della morte non
può cacciarla da sé. E rimane in qudl'an-
detà, quando viene il mal sonno che gli squarcia
il velams del futuro, B poeta di tatta questa
storia intima non esprime che l'ultima frase,
la qude ad un lettore anche di mediocre ima-
ginadone fa indovinare il resto, ma in qaol
modo vago e madcde che è il maggior in-
canto della poesia ». — 21. se ai*ha oreso:
cfìr. Ihf, xxxn 186. — 22. Brere pertaglo
ecc. Nel giogno 1288 il conte Ugolino fa proi>o
266
DIVIKA COMMEDIA
24 e in che convìen ancor ch'altri si chiuda,
m'ayea mostrato per lo suo forame
più lune gi2s qnand'io feci il mal sonno,
27 che del futuro mi squarciò il velame.
Questi pareva a me maestro e donno,
cacciando il lupo e i lupicini al monte,
80 per ohe i pisan veder Lucca non ponno,
con cagne magre, studiose e conte:
Gualandi con Sismondi e con Lanfranchi
83 s'avea messi dinanzi dalla fronte.
In picciol corso mi pareano stanchi
insieme coi figUaoli Qaddo (r. 68) e Ugrno-
done (V. 89) e coi nipoti IHno detto il Bri-
gata (y. 89) e Anselmacoio (r. 60); gnardati
per oltre venti giorni nel palazxo del Popolo,
ftuono poi trasferiti nel luglio nella torre dei
Gualandi, ove morirono nel maggio del 1289:
oosf racconta un cronista pisano {F)ragm, hùL
pi», in Mar. Bar. «. XXIV 662-666), il quale
attesta ohe giungendo in Pisa il oonte Ghiido
di Hontefeltro (18 maggio 1289) e già erano
morti lo oonte Oaddo e Ugoooione di fome,
e gli antri tre morinno quella medeaima septi-
mana, anco per distretta di fiame, perché non
pagonno > ; doò perchó era loro mancato il
denaro a pagare lo impoeirioni graviadme,
con le qnali sino allora avevano ottennio via
via il vivere. — dalla mnda eoo. : la torre
già dei (Halandi e allora del Comune, che
sorgeva sull'odierna piazza dei Cavalieri, fa.
poi chiamata la tont della fams dopo la morte
d' Ugolino e dei suoi (cfr. J^Vio^m. hisL pìs.
in Mot., Ber. U. XXIV 666; B. Grand, De
proeUie Tueoiae in Hnr., Ber. «. XI 299; G.
Villani, Or. vn 128), e oontinnò a serTlre di
carcere sino al 1818 (cfr. G. Sforza, Dante e
% pisanif p. 112). Quanto al nome di muda
datole da Dante osserva il Buti: •muda é
laogo chiuso ove si tengono li uccelli a mu-
dare: muda chiama Tautore quella torre, o
forse perché cosi era chiamata perché vi si
tenessono Taquile del Comune a mudare, o
per transunzione [intendi, per traslato] che
vi ta rinchiuso il conte e li figliuoli, come li
uccelli nella muda >. — 24. e in che eomvien
ecc. Ugolino, quasi a proprio conforto, ima-
gina che nell'avvenire altri dttadini di Pisa,
e forse in cuor suo pensava alle casate che
pi6 fieramente avevano avversato la sua si-
gnoria, dehbano esser chiusi nella torre della
fame, per effetto di vicende politiche non dis-
simili dalle sue. — 26. m'avea Mostrato ecc.
m'avea lasciato vedere più volte il ritomo
della nuova luna; doè era già prigione da
più med, quando vidi in sogno quale doveva
essere la mia pietosa morte. — 28. i^fstl
parerà ecc. D sogno d' Ugolino rappresenta
alla fantasia dd misero padre in una visione
oontassuta dei ricordi di un recente passato
l'odio de' sud avversari di parte guidati dal-
rardvetoovo, odio dio gli Ca avere un' idea
indetorminata della morte vicina: insomma
la rimembranza della feroce perseoudone dol
^bellini & pensare al guelfo oonte che i
suoi nemid non s'arresteranno ndla vendetta
con la semplioe prigionia, ma làxanno morir
lui e i figlioli di mala morte, vietando loro il
dbo. È una rapprosen tallone vivissima doIUt
crudele realtà trasftamata nd sogno, di qn^la
realtà che l'antico cronista pisano espreeee
non meno efBoacemente con rozza parola
(JPh^m. Md. pis. in Mur., Ber. itoL XXIV
666): « e fu diete al oonte Ugolino oho se non
pagasse u pagasse, era diete che doveaeeno
morire >. — pareva a me eoe. appariva a mo
nd sogno come guida e signore di molta
gente, in atto di cacciare con mdte cagne (i
ghibellini pisani) il lupo e i lupidni (me • i
figliuoli) verso il Monte di S. Giuliano. —
maestre e douies maestro della caoda, guida
e capo dd oaodatorl, e dofMo, signore (cfr.
Inf. zzn 88) di tutta la brigata. — 29. al
monte eco. : il Monte di 8. Giuliano apparte-
nente alla giogaia dei monti pisani, tnt la
valle dd Serchio e quella dell'Ano, segnò
l'antico confine tn ì territori di Lucca • di
Pisa; le quali sono cosi poste ohe se non
fosse quel monto dall'una dttà d vedrebbe
l'altra. Bassermann, p. 129: « La determina-
zione del luogo mostra nuovamente quella
semplice e inddva diiarezza alla qude Dante
d ha avvezzati, e che nondimeno d reca ogni
volta nuova meraviglia >. ~ 81. magre, ata-
diose e eeate : famdidie, soUedte e ammae-
strate a simile caccia; ood spiegano i più dd
commentatori, ma é da rìcordaro col Buti cho
le cagne simboleggiano la plebe pisana, e il
popolo minuto », che segue le novità per desi-
derio di arricchire, è curioso e vago dd muta-
menti e presta d novatori il suo duto. — 82.
Oualandl eoe sono queste le tre grandi case
di Pisa di parte ghibellina, le quali l'ardveaoo-
vo Ruggieri animò contro Ugolino facendose-
ne strumento da abbattore la potenza dd suo
nemico. — 81. In p ledei eorit eoo. Dopo
INFERNO - CANTO XXXHI
257
lo padre e i figli, e con Pacate scane
86 mi parea lor veder fender li fianchi.
Quando fui desto innanzi la dimane,
pianger senti' fra il sonno i miei figliuoli,
89 ch'eran con meco, e domandar del pane.
Ben se'crudel, se tu già non ti duoli,
pensando ciò ch'ai mio cor s'annunziava;
42 e se non piangi, di che pianger suoli?
Già eran desti, e l'ora s'appressava
che il cibo ne soleva essere addotto,
éb e per suo sogno ciascun dubitava;
ed io sentii chiavar l'uscio di sotto
all'orribile torre: ond'io guardai
48 nel viso a' miei figliuoi senza far motto.
Io non piangeva, si dentro impietrai;
piangevan elli, ed Anselmuocio mio
51 disse: ' Tu guardi si, padre, che hai? '
brere insegoimento 0 lupo • i Inpidni cadeva-
Do lotto i denti delle cagne : ecco il preeenti-
manto della morta vicina. ^36. aeate Marne :
Bnti: « team aono li denti pungenti del cane
eh'eUi à da ogni lato, coi qnali elli aiferra»:
cfr. Jrt/*. zQi 56.-87. i^ando fai ecc. Al pre-
sentimento sognato snooede la realtà terribile
espressa oon arte meravigliosa: « È (ooal il
De Sanctis) un capolavoro della maniera dttn-
tesca, che d la grande poesia, quel dipingere
a lai;^ e rapidi tóocM, lasciando grandi om-
l»re illaminate da qualche vivo frazzo di Inoe.
Tatto d al di fuori, tatto è narrato, anziché
descritto o n^resentato, ma narrato in modo
che l'imaginazione, fatta attiva e veloce,
riempie le lacune e indovina il di dentro. Non
è on quadro, ma uno schizzo, tale però ohe
il lettore ti fa immediatamente 11 quadro. . .
La grandezza dell' ingegno non ò in quello
che sa dire, ma in quello che & indovinare >.
— ÌM diaiaae : la mattina; ett, Parodi, BulL
m 151. — 88. alai flgUatll: gran discutere
fumo gì' interpreti se Dante abbia o no tal-
stta la storia chiamando figliuoli i compagni
d* Ugolino, mentre due soli erano tali e gli
altri erano nipoti; ma flffHuoH nel parlare
donreetico e aifettooso si possono ben ohia-
Btaie anche i figli dei figli, come erano per il
conte Nino e Anaelmucoio, e in questo senso
eertsmente un antioo cronista pisano scrisse
(Or. pU, in Mur., B«r, U. XV 979) che Ugo-
Uno < mori oon quattro figliuoli di fame >. —
40. Ben sé' crndel ecc. Osserva il De Sanctis
che < Ugolino nel sogno suo e dei figli vede
già tutta la sua storia, e quando alzando gli
ocdd a Dante, non vede in quel volto più
eoiiaso che commosso le stesse sue impres-
sUrni, gli par quasi che colui non abbia anima
Djlutb
d'uomo, e se ne sdegna, e gliene fa improv-
viso e brusco rimprovero. Fieri accenti, che
usciti dalla sincerità di un dolore impaziente
e sdegnoso non movono collera in Dante,
anzi accrescono la sua commiserazione e gli
tirano per forza lacrime non ancora mature ».
Al Bomani, p. 80, piace invece < d' imagi-
nare il poeta, se non con la faccia lacrimosa,
certo commosso e meditabondo > e che < la
fiera anima del conte pronunzi quelle parole
solo per scusare il suo proprio pianto, die gli
sgorga largamente al rlnnovéUarsi del dispe-
rato dolore ». — 48. Già erma desti eoo. An-
che i quattro giovini avendo nella notte so-
gnato la prossima fine si svegliano col presen-
timento della morte, e temono che da quel mo-
mento abbia ad incominciare il terrìbile digiu-
no. ^ 46. «4 lo sentf! ecc. Questo è il punto
in cui i rinchiusi ricevono la conferma dei loro
presentimenti ; quando sentono inchiodare la
porta della torre si dilegua ogni speranza e il
dubbio si cambia in dolorosa certezza. —
chiavar: inchiodare, assicurare coi ehiauMlU
0 chiodi (cfr. ISirg, vin 188), < ut ampline
non aperiretur», come dice Benv.: Q. Vil-
lani, Or, vn 128 dice che i pisani « fedone
chiavare la porta della detta torre e le chiavi
gettare in Amo », ma dev'essere una leggen-
da nata da falsa interpretazione della parola
dantesca. — 60. ABselmaeelO! il primo doi
compagni d' Ugolinoj che il poeta mette sulla
scena, era anche U piti giovinetto, essendo il
minor figliuolo di Guelfo n della Gherardo-
sca e di Elena figlia di Enzo: inietti egli non
ò nominato coi tnioVii in un atto del 1272
relativo all'eredità dei diritti materni sulla
Sardegna (cfir. F. Dal Borgo, RaoeoUa di aoeUi
diplomi piaanij Pisa, 1765, p. 15). — 51. Tu
17
258 DIVINA COMMEDIA
Però non lagrimai, né rispos'io
tutto quel giorno né la notte appresso,
54 1 Tifili che Paltro sol nel mondo uscio.
Come un poco dì raggio si fu messo
nel doloroso carcere, ed io scòrsi
57 per quattro visi il mio aspetto stesso,
ambo le mani per dolor mi morsi;
ed ei, pensando ch'io il fessi per voglia
60 di manicar, di subito levdrsi,
e disser: * Padre, assai ci fìa men doglist,
se tu mangi di noi: tu ne vestisti
63 queste misere carni, e tu le spoglia '•
Queta'mi allor per non farli più tristi;
quel di e l'altro stemmo tutti muti:
66 ahi, dura terra, perché non t'apristi?
Poscia che fummo al quarto di venuti,
Gkkddo mi si gittò disteso a' piedi,
69 dicendo : * Padre mio, che non m'aiuti? '
Quivi mori; e come tu mi vedi,
vid'io cascar li tre ad uno ad uno
72 tra il quinto di e il sesto: ond'io mi diedi
già cieco a brancolar sopra ciascuno,
e due di li chiamai poi che fftr morti;
75 poscia, più che il dolor, potè il digiuno ».
gaardl if : ta ^aardi con tanto terrore e di- sentito inchiodare la porta della torre sino
gperazione ne^ occhi I — 64. Inflm eoo. fino alla morte di Gaddo erano passati tre interi
all'alba del giorno seguente. — 66. G^me vm giorni, quello della domanda d'Anselmnocio
foeo eoo. De Sanotis : < In quella notte di (tv. 46-54), qnello dell'offerta dei figli (yy,
silenzio la fame avea lavorato e trasformato 66-66), e qudlo in cui tutti stettero muti
il tìso del padre e de' figli, e quando. Catta (r. 65); nel quarto moif Qaddo (tv. 67-70),
un po' di luce, quella vista lo coglie impre- nel quinto e nel sesto gli altri tre (tv. 70-72)
parato, in un momento naturale d'oblio l'uomo e nell'ottavo U conte (w. 78-74). Romani,
si manifesta e prorompe in un atto di rabbia p. 81 : e È maraviglioso come Dante con mozzi
tanto più feroce e bestiale, quanto ia com- cosi semplici sia riuscito ad ottenere un effetto
pressione fu più violenta, e più inaspettata e cosi potente. La catastrofe si compie in otto
più viva è r impressione di quella vista ». — giorni. Oli avvenimenti esteriori sono brevi
60. maaleare: 11 vb. numioare e numuoore e pochi: in tutto il resto del tempo regna il
usarono volentieri i fiorentini antichi invece silenzio e l' immobilità >. — 68. Oaddo: uno
della forma comune, come d attesta Dante dei figliuoli di Ugolino, uomo maturo che
stesso che riprova quest'uso {De ffuig. doq, i avea già assunto il titolo di conte, Ai il
18). — 61. e difser eoo. Belle osservazioni primo a morire, anche a testimonianza del-
Ca su questi versi il De Sanctis, notando la l'antico cronista dt. nella nota al v. 22. È
naturalezza dell'offèrta fatta dai figli al ve- probabile che nel rappresentare la morte di
dorè l'atto disperato del padre e come le loro Gaddo Dante avesse la mente a quella di Po-
parole abbiano virtù di arrestare il misero lite che cade trafitto innanzi a Priamo, in
Ugolino e di rendergli il dominio su sé stesso, Virgilio, Eiu n 612 e segg. — 71. 11 tre i
tanto che egli si quieta per non aocresoere i tre rimanenti, Ugucdone, Brigata e Ansel-
il loro dolore. — 66. ahi, d«ra ecc. : ofr. muodo. — 78. già eleeo eco. : cfir. Ovidio,
YixgUio, .ffpk z 678 : «Et nunc palantes, vi- di Niobe {MtL vi 274): < Gorporibus gelidis
dee, gemitnmquecadentnmAodplo. Quid ago? inoumbit, et ordine nullo Oscula dispensai
aot quae iam satis ima dehiscat Terra mihi? ». natos suprema per omnes ». — 75. posela ecc.
— 67. al quarto di: dal momento che s'era poi U digiuno mi ucdse, facendo quello che
INFERNO - CANTO XXXHI
259
Quand'ebbe detto ciò, con gli occhi torti
riprese il teschio misero coi denti,
78 che furo all'osso, come d'un can, forti.
Ahi Pisa, vituperio delle genti
del bel paese là dove il ' si ' suona,
81 poi che i vicini a te punir son lenti,
muovansi la Caprara e la Gk>rgona,
e fjEu^cian siepe ad Amo in su la foce,
84 si ch'egli anneghi in te ogni persona;
che, se il conte Ugolino avea voce
d'aver tradita te delle castella,
87 non dovei tu i figliuoi porre a tal croce:
innocenti £EUìea l'età novella,
novella Tebe, Uguccione e il Brigata,
non BTOT» potato taxe il dolore. Goti inten-
dono quasi tatti gli antichi commentatoli, Q
pensiero dei qaali ò cosi riaseonto da Benr.:
< qoaai dicat qaod famee prostravit eom,
qnem tanto* dolor non potaerat yinoere et
istnfioere > : ma moderni interpreti hanno in-
▼eeo liantasticato ohe Ugolino finisae oiban-
4osi della carne dei flgliaoli, ohe è contro la
ngione deUa natura e della storia (cfr., per
r inutile oontroTersia, 0. Sfona, Danto » i
pÌMMi, pp. 75-82) ; poiché le parole dell'an-
tica cronaca fiorentina pubblicata dal Villari,
I primi due teooUdeUattoHa di Fir,, 0 261:
« e qoi si trord che Tono mangiò de lo carni
dell'altro > sembrano piuttosto l' eco di una
leggenda, tanto più che seguono a queste al-
tre: « E cosi morirono d' inopia fame tutU 0
cmqué »: cfir. ly Gridio, pp. 671-673. — 76.
eoa gli oeehl tord: con gli occhi biechi, con
quello sgoaido che esprime il rancore (cfr.
hf, VI 91). Nota U Moore I 260 U riscontro
con r espressione di Stazio, Theb. vm Ihl :
r hunina toxra >. — 77. riprese : cfr. tt. 1-8.
— 78. che fire eoe che furono nel rosio-
clììare quel cranio forti come i denti d' on
cane. — 79. Àkl Pisa eoo. Questa impreoa-
ziono, che apre la serie delle invettive fio-
rentine contro la città che ta in Toscana il
centro del ghibellinismo, invettive durate
hmgamente nella letteratura popolare anche
dopo la caduta della repubblica di Pisa, muove
in Dante da un sentimento di giustizia che Io
fpingeva a protestare contro gli abusi che le
làzioni facevano della legge a sodisfadmento
degli odìi privati, condannando sotto colore
di delitto politico gli avversari caduti : Dante
non è qui un uomo di parte, ma il poeta della
na gente che esercita un alto officio di mo-
ralità civile, riprovando gli eccessi a cui le
puiioni politiche traevano gU animi dei suoi
contemporanei. — 80. del bel paese eoe. del
bel paeie italico, ove suona la dolce lingua
che aiferma col H (cfr. De vu!g, eìoq. 1 8). —
82. la €aprara e la eorgoaa: le isole di
Capraia e di Gorgona nel mare Tirreno, l'una
a nord-ovest dell'Elba e l'altra a sud-ovest
di Livorno, erano al tempo di Dante sotto
il dominio del comune di Pisa ( Bepetti II
681, 601): dai monti sovrastanti a Pisa si
vedono nella direzione della foce dell'Amo
(cfr. Bassermann, p. 120). — 88. ad Amo:
il fiume Arno traversa la città di Fisa poco
prima di versarsi nel mare (cfir. Purg. xiv 63).
— 86. se il conte ecc. Queste parole mo-
strano che Dante collocò Ugolino neU'An-
tonora, non già per la cessione dei castelli
ai lucchesi e ai fiorentini con la quale, anzi
che tradire, salvò la patria da certa ruina;
ma per altra cagione, che è da cercare forse
nella condotta del conte rispetto al nipote
Ugolino Visconti nel tempo della comune si-
gnoria (cfir. ia nota al v. 18): a Dante, che
per il Visconti nutriva un vero culto (cfr.
Purg, vm 47), dovette parere assai grave )%
colpa del Gherardesca, che aveva cercato di
sbarazzarsi del nipote, toltigli alcuni castelli
di Sardegna, soccorsi i suoi avversari nel ca-
stello di Buti; e perciò lo pose nell'Anteno-
ra, ove è punito U tradimento politico. — 88.
Inneetntl faeea ecc. l'età giovenile doveva
scusare ai tuoi occhi, o Tebe novella, i figli
e nepoti del conte. — età norella: ò la gio-
vinezza, che secondo le teoriche del Oofw. iv
24 dura dai 26 ai 46 anni; sebbene poi noi
caso presento la designazione di età novella
comprenda tutto il tempo della vita anteriore
alla virilità: infatti Anselmucdo non poteva
avere piti di quindici anni (cfr. la nota al v.
60). — 89. norella Tebe: cosi chiama Pisa,
perché funestata da uccisioni e stragi citta-
dine, come già fu Tebe (cfr. Jnf, xxvi 63,
XXX 4 ecc.). — Ugueeione: figliuolo del
conte Ugolino, anch' egli assai giovine nel
1288, quando successe la catastrofe del padre.
260 DIVINA COMBfEDTA
90 e gli altri due che il canto suso appella.
Noi passamm' oltre là Ve la gelata
ruyidamente nn'altra gente &8cia,
93 non volta in giù, ma tutta riversata.
Lo pianto stesso li pianger non lascia,
e il duol, che trova in su gli occhi rintoppo,
96 si volve in entro a fax crescer l'ambascia;
che le lacrime prime fumo groppo,
e si come visiere di cristallo
99 riempion sotto il ciglio tutto il coppo.
Ed awegna che, si come d'un callo,
per la freddura ciascun sentimento
102 cessato avesse del mio viso stallo,
già mi parca sentire alquanto vento;
per ch'io: « Maestro mio, questo chi move?
105 non è qua giù ogni vapore spento? >
Ond'egli a me: < Avaccio sarai dove
di ciò ti farà l'occhio la risposta,
1G8 veggendo la cagion che il fiato piove >.
Ed un de' tristi della fredda crosta
gridò a noi: e 0 anime crudeli
Ili tanto che data v'ò l'ultima posta,
~ e il Brigata: Ugolino o Nino figlio di eoo. I più anticlii oommeatitori non danno
Guelfo n della Gherardeeca era lopranomi- apiegazione di questo paMo: ma Benr^ Lan.,
nato il Brigata; appare il suo nome nell'anno Veli., Dan. e molti altri di poi intendono
1272, e doveva essere glA maturo d'età nel vision per occhiali, e altri ancora spiegano
1288, poichó i ghibellini volevano associarlo visisra per ia parte anteriore dell'elmo, come
al conte nel governo della città (ofr. F^ragm, se Danto avesse volato accennale a grossi
hist pia. in Mar., Ber, it, XXIV 661). — 90. strati di lagrime ghiacciate ohe ricoprisseso i
e gli altri dae ecc. Gaddo, figlio del conte, soli occhi dei dannati: meglio, ò da ritenere
già ricordato al v. 68, e Anselmacoio, suo ni- che Htitn in senso traslato non altro valga
potè, ricordato al v. 60. — 91. Nel passsm- qoi se non veli o bende di cristallo, come si
m'oltre ecc. Dante e Virgilio passano nel ha dal v. 112. ~ 99. eoppe: cavità dell'oo-
terzo dei gironi, nella Tolomea (v. 124), nella chiaia; il nome coppo, cho indica ona specie
quale coloro che a mensa tradirono i loro di vaso da acqua, à tratto qui a significale
parenti sono confitti nella ghiacciaia, distesi on'apertaxa concava in genere: cfir. Parodi,
supinamente e col volto in modo da guardare Bull, m 119. — 100. avvegna ehe ecc. aeb-
in alto. — 92. ravldamtnte: aspramente, in bene per il freddo il mio volto avesse perduto
modo tormentoso. — 94. Lo pianto stesso ogni sensibilità, come se fosse stato una parte
ecc. Il pianto stesso è per questi dannati Lm* callosa ecc. — 102. eeasftto eoo. avene abban-
pedimonto a piangere (cf^. w. 97-99), si che donato la stanza del mio viso, si fosse allon^
ò tolto loro questo mezzo di sfogare il dolore; tanato dal mio volto. ^ stalltt cflr. Airy.
anri questo, non avendo sfogo, li agita inter- vi 89. — 104. f vesto ekl novel chi muovo
namente accrescendo l'ambascia. — 96. trova questo vento ? come mai qua giù pad spirare
in s« gli oeekl rlstoppos fimtoppo vale prò- il vento, se non v' ò sole che dilatando l'aria
priamente urto in contrario, onde di rintoppo lo produca ? — 106. Àvaeelo i aw. d* incerta
(7n/l xxn 112) significa in opposizione, in origine (cf. Dles 868, 696, 763), ohe significa:
contrasto ; qui ò tratto al senso di opposirione, presto, fira poco (cf^. Jm/I x 116, Par, xvi 70).
impedimento materiale, formato dalle lagrime — 106. voggeado ecc. : cfr. hif, xixiv 48-
ghiaodate che non lasciano uscire le nuove. 62. ~ 100. Ed bb eco. lientre Dante e Vir-
— 97. le lacrime eccje lagrime, uscite prima, gilio attraversano la Tolomea, uno dei dan-
oongelandosi s'aggroppano e riempiono tutta nati, scambiandoli per traditori die vadano
U cavità dell'occhio. — 98. if come Tlilere al luogo loro assegnato nell'altima jwste, oioò
INFERNO - CANTO XXXIH
261
levatemi dal viso i duri veli,
si oh' io sfoghi il dolor che il cor m'impregna,
114 un poco, pria che il pianto si raggeli ».
Per ch'io a Ini: « Se vuoi ch'io ti sowegna,
dimmi chi sei; e, s'io non ti dishrlgo,
117 al fondo della ghiaccia ir mi convegna ».
Bispose adunque : < Io son frate Alberigo,
io son quel delle frutte del mal orto,
120 che qui riprendo dattero per figo >.
< O, diss' io lui, or sei tu ancor morto ? »
Ed egli a me: « Come il mio corpo stea
123 nel mondo su nulla scienza porto.
Cotal vantaggio ha questa Tolomea,
che spesse volte l'anima ci cade
126 innanzi ch'Atropòs mossa le dea.
BflDa Gindsooa, lirolge loro 1a preghiera di
togUare dai snoi oodd lo strato di g^ìiaodo.
— erotta: cfr. htf. xmv 76. — 112. 1 dar!
fdi : le lagrime ghiacciate (cfr. tv. 96 e 128).
— US. i( «k' lo afoghl eoe. al ohe prima
efae il ^anto >i congeli noramente sogli occhi
io possa sfogare alquanto il doloro ohe mi
liflopie l'animo. — 115. Se noi ecc. Danto
promette a questo traditore di sodisfiuo il
ISO desiderio, por ch'egli manifesti il sno
nome, e aggiunge a conferma della promessa
panie che al dannato devono sembrare quasi
na gimaBento, sebbene altro non significhino
w non die il poeta deve pervenire sino a
f<»do della c^*'*^^«, al centro doro sta Ln-
ciliaro: ma la promessa di Dante non ò poi
msBtsasta (ofr. tt. 149-160). — 118. le loa
frate Alkeriget Alberigo dei Manfredi iìMn-
tino, frate gaudente sino dal 1267, e uno dei
espi di parte goeUs nella sna città, per gare
^ signoria ebbe oonteae coi suoi parenti Man-
fredo e Alberghetto por dei Manfredi e per
vsndicsrsi deOe oOsee rioerote, fingendo di
totani padficaie con essi, li convitò nella
soa TiUa di Cesate il 2 maggio 1286, con l' in-
tendimeato di fttrli ncddere ; infatti, alla fine
^ desinare, quando Alberigo die ad alta voce
l'ordine ohe fossero portato in tavola le frutta,
i noi servi e parenti assalirono Manfredo e
AlWrghetto e li tnuàdarono: da questo fiitto,
ittitta il Lana, venne la firase e frutta di
frate Alberigo >, nel senso di uooisioni o per-
eoM dal» a tradimento (per la storia parti-
eoUiegglata del fatto cfr. F. Torraoa, FaUH
• aoràtf 4i U. Bwixola^ Berna, 1898, pp. 10
• 27). — 119. fratto del Bai orto: frutta,
à» Anoao U sognsìe del tradimento, e perdo
«uè cneduto neU' orto del male. Benv.
isTsee < appellat Faventiam malum hortum,
qoae prodnsdt aliquando tam malos finotiiB
in nobUibos suis: unde auotor posuit duos no-
biles pioditores de Faventia in ista giade,
sdlioet Thebaldellum [bif, tttti 122] de par-
to ghibellina, qui prodidit patriam et partem,
et Albericum de parto guelpha, qui prodidit
oonsangninitatem ad mensam > ; e riferisce
anche una tradizione, secondo la quale il do-
sinare del 2 maggio 1286 sarebbe stato fatto
nell'orto della villa dei ManfredL — 120. ehe
qui riprende ecc. che ricevo qui la pena dol
mio tradimento. ^ 121. 0, disi* le Ini ecc.
Danto, sapendo che Alberigo dei Manfredi
era ancora al mondo nell' aprile del 1800, d
meraviglia di trovar l'anima sua noli' inferno,
e gli chiede se egli sia proprio morto. — 122.
Ed egli a me eco. Alberigo risponde subito
in modo da chiarire il dubbio di Danto, seb-
bene egli non abbia oonosoenxa della condi-
zione attuale del suo corpo. ~ 124. Getal
Tantagglo eoo. Questo terzo girone di Codto
ha il privilegio che le anime spesso d cadono
prima che ceed la lor vita corporea, pren-
dendo il luogo di dasouna e il governo del
corpo suo un diavolo: ardita fuitasia, che
rinnovando più antiche e grottesche imagi-
nazioni popolari, permetto a Danto di segnar
noto d' infunia su uomini viventi ancora nel
1900, senza ricorrere sempre alla forma delle
predizioni (cfr. A/", xvu 68, xnc 79-87, xxvni
66-60, 76-90) o deUe improcazioni (cfr. Inf.
xvn 72, XIX 62-57, xxx 76-78, xxxii 69) fatte
dai dannati rispetto ai vivi. — Tolomea:
cosi ò denominato il terzo girone, da qud To-
lomeo, governatore della pianura di Gerico,
il quale avendo chiamato a un convivio il
suocero Simone Maccabeo, sommo sacerdote,
e i suoi figli Matatia e Giuda, alla fine dd
pranzo 11 fece miseramente truddare (Mao-
eabd 1 16, 11-16). — 126. Atropòs : una delle
tre Pardie, quella ohe ha roffldo di reddere
262 DIVINA COMMEDIA
£ perché tu più yolentier mi rade
le invetriate lagrime dal volto,
129 sappi che tosto che l'anima trade,
come fec'io, il corpo suo l'è tolto
da nn demonio, che poscia il governa
182 mentre che il tempo suo tutto eia volta
Ella mina in si fatta cisterna;
e forse pare ancor lo corpo suso
185 dell'ombra che di qua dietro mi verna.
Tu il dèi saper, se tu vien pur mo giuso:
egli è ser Branca d'Oria, e son più anni
188 poscia passati ch'ei fu si racchiuso ».
« Io credo, diss'io lui, che tu m'inganni;
che Branca d'Oria non mori unquanche,
141 e mangia e bee e dorme e veste panni ».
< Nel fosso su, diss'ei, di Malebranche,
là dove bolle la tenace pece,
144 non era giunto ancora Michel Zanche,
che questi lasciò il diavolo in sua vece
nel corpo suo, e d'un suo prossimano
147 che il tradimento insieme con lui fece.
Ma distendi oramai in qua la mano,
lo stame della yita. — 127. mi rade eoo. mi tutta sua oon^a^nia > : sulla nanaslone le^
tolga le lagrime ghiacciate; ofr. r. 96-112. gondaiia della vendetta, ohe Bnmoa e i saoi
— 129. trade: tradisce; qui e in Inf, xi 66 si sarehbero presa contro Dante per la oon-
Dante osa ima forma delrb. iradar§\ invece danna da lai inflitta al traditore genovese,
al V. 86, tradita ò dal vb. tradire, — 181. eke ofr. Q. Papanti, Dante eeeondo le tradix, e %
poscia ecc. Biag.: < Mirabile dottrina si na- novelL^ Livorno, 1878, pp. 161 e sogg. — pld
scende sotto queste parole, essendo intendi- aani : oioò dal tempo del delitto al 1800. *—
mento del poeta di daioi una lezione di grande 140. nta mori eco. non è anoora morto; e
importanza pel riposo dello fiuniglie e di tatta veramente Branca d* Oria visse molto tempo
la società. Questa si è che l'uomo, ohe s* ò oltre il ISOO, dimorando quasi sempre nei
una volta insozzato e tinto di tradimento, non suoi possessi doUa Nurra in Sardegna ; e si
è più uomo, e perdo pronto ad ogni oocasione sa ohe nel 1807 fu dei promotori dell' impresa
a qualsivoglia scelleratezza >. — 182. mentre del re d'Aragona contro 1 Pisani, e nel 1326
ehe eoe finché sia trascorso il tempo, che fu solennemente bandito da Sassari insieme
quel corpo deve vivere. Dante, come gli altri coi fi^. — 141. e maagla eoo. : tutte opera-
antichi, usa spesso mttUre che a esprimere il doni della vita corporea, perché invece dei-
rapporto temporale terminativo (cfir. Inf. xm l'anima era entrato in Bianca d'Oria un dia-
18, Purg. u 26, xxvn 186, Pitr. zzv 122 ecc.). volo. — 142. Nel fosse eoo. L'anima di Michele
— 183. in ti fatta elstema: in questo pozzo Zanche non era anoora giunta nella quinta
infernale. — 134. forse ecc. forse su nel bolgia (cAr. Inf, xn 16 e segg.), ohe già le
mondo appare ancora tra i viventi il corpo anime di Branca d'Oria e di un suo parente,
di quell'anima ohe sta ghiacciata qui dietro che l'aveva aiutato a compiere il misfatto, la-
a me ; e tu ohe vieni dal mondo devi saperlo, sciando in lor luogo dei diavoli vennero in que-
— 186. par mo: cfr. Inf. xzvn 20. — 187. sto pozzo.— Valebranehetcfr. In/I xzi 87.—
Branca d* Orla : Branca d' Oria, o Doria, gè- 146. «■ suo prosslmamo : questo congiunto dì
novese, era genero di Michele Zanche, signore Branca d'Oria fu un suo nipote, secondo Benv.
di Logudoro (cfr. Inf. xxn 88) : verso il 1290 e An. fior., o un suo cugino, secondo l'Ott.:
egli < avendo jiirìtto l'occhio (cosi l'An. fior.) gli altri commentatori dicono genericamente,
alla signoria di Logodoro, invitò a mangiare parente e consorte. — 148. Ha distendi eoa
seco a un suo castello questo suo suocero, et Alberigo, che ha largamente sodisfistto alle
ivi finalmente il fé' tagliare per pezzi lui et domande di Dante, gli chiede oca 11 mante-
INFERNO - CANTO XXXIII 263
aprimi gli occhi > ; ed io non gliele apersi,
150 e cortesia fu in lui esser villano.
Ahi, genovesi, uomini diversi
d'ogni costume, e pien d'ogni magagna,
153 perché non siete voi del mondo spersi?
che col peggiore spirto di Romagna
trovai di voi un tal, che per sua opra
in anima in Oocito già si bagna
157 ed in corpo par vivo ancor di sopra.
nimento della pxomessa ; ma Dante non lo tadinanza, alla quale volentieri rimpzoveia-
contenta, xicordandoii ohe nell'inferno < vive vano d'essere operosa (dice il Bntì) < in m-
la pietà quando è ben morta > {hif. zx 28). baie et in arrecare roba a oasaetin saperbia»
— 149. gliele : ofr. hif. xn 102. — 160. eor- e la tacciavano (dice il Lana) < d'ogni vizio,
tetla ecc. fa atto di cortesia l'esser vUlano malizia e magagna >. — diversi d'ogai eoo.
contro di Ini, mancando alla f&tta promessa; alieni da ogni onesto ooetome : il giudizio di
e s' intenda atto di cortesia, o di conoscenza Dante trova riscontro nelle parole di Iacopo
e gratitadine verso Dio : non già verso quel d' Oria, ohe delle condizioni di Genova alla
peccatore, come intesero erroneamente alcuni fine del secolo zin scriveva {AnnàU» gmuentet
moderai, fSsntasticando di accrssdmento di in Mnr., B0r. «. VI 606) : < bis temporibus...
pena che Dante avrebbe procurato ad Albe- in dvitate et extra homiddae, malefM^tores
rigo aprendogli la vista si eh' ei conoscesse et institiae contemtores moltiplicare ooepe-
d'aver innanzi nn vìvo ohe avrebbe nel mon- ront: . . . malefoctores qnamplorimi gladiis et
do aocrosdiita la sna infamia parlando di Ini : iacolis ad invioem die noctnqae peroatiebant
tatti i migliori interpreti, da Benv. e dall'Ott ao etiam perimebant v. ~ 162. plen d'ogal
al Lomb., intesero nel primo modo. — 161. eoo. : cosi Q, Villani, Or, vm 92: « Noifo Dei,
ÀU ecc. Qaesta invettiva contro i genovesi, nostro fiorentino pieno d'ogni magagna ». —
inspirata a Dante dal tradimento di Branca 163. perché ecc. : cfr. dò che Danto dice di
d'Oria, raccoglie qnoUo che la tradizione clas- Pistoia in Inf. xxv 10-12. — 164. spirto di
sica imputava alle popolazioni liguri (cfr. Vir- Bomagaa: Alberigo d^i Manfiredi faentino (cfr.
gilio, En, XI 700-717) e il giudizio che gli Pi*rg. xv 44). — 166. 41 toI «a tal x un gè*
aomìni del medioevo fiftcevano di quella oit- novese cosi reo, Branca d'Oria.
CANTO XXXIV
I dae poeti entrano nella Giadecca, quarto e nltimo dei giri di Cocito,
ove coloro che tradirono i benefattori sono confitti sotto la ghiaccia: nel
mezzo di essa sta Lacifero, re dell* inferno, che tiene nelle sne tre bocche
Giada, Bruto e Cassio [9 aprile, tra le ore sei e le sette pomeridiane]. Poi
Dante e Virgilio, oltrepassato il centro della terra, s* avviano sa per uno
stretto passo e riescono alPaperto a rivedere le stelle [9 aprile, dalle sette e
mezzo pomeridiane, in poi].
€ VexiUa regis prodeunt inferni
verso di noi; però dinanzi mira,
8 disse il maestro mio, se tu il discemi >.
XXXTV 1. VexUla regls ecc. Entrando nanzio Fortunato alla croce, che comincia :
i due poeti nell'ultimo giro di Cocito, Vìrgl- « Vexilla regis prodeunt, Fulget crucis myste-
lio avverte Dante che or gli si presenterà la rìum ». I vessilli del re dell' inferno, che si
figara di Ludfero; e glielo dice adattando al mostrano a chi entra nella Giudecca (v. 117),
caso suo il principio dell'inno fiunoso di Ve- sono le sei ali di Lucifero (w. 46-48), le quali
264
DIVINA COMMEDIA
12
15
18
Ck)me| quando una grossa nebbia spira
o quando l'emisperio nostro annotta,
par di lungi un molin che il vento gira;
veder mi parve un tal dificio allotta:
poi per lo vento mi ristrinsi retro
al duca mio, che non gli era altra grotta.
Già era, e con paura il metto in metro,
là dove V ombre eran tutte coperte
e trasparean come festuca in vetro:
altre sono a giacere, altre stanno erte,
quella col capo e quella con le piante;
altra, com' arco, il volto a' piedi inverte.
Quando noi fummo fatti tanto avante
ch'ai mio maestro piacque di mostrarmi
la creatura eh' ebbe il bel sembiante,
dinanzi mi si tolse, e fé' restarmi,
€ Ecco Dite, dicendo, ed ecco il loco,
21 ove convien che di fortezza t' armi ».
Com'io divenni allor gelato e fioco.
trolazzando muovono il vento di che Oocito
8*aggela (w. 49-62). — 4. Comey quAndo eco.
Come 8i vede muovere un molino a vento
allorclió l'aria ò offoscata da fitta nebbia o
dall'oscurità della sera, cosi io vidi muovere
le sue ali Lucifero. La similitudine, tratta dal-
l'osservazione di un fatto comunissimo, rende
mirabilmente il concotto dell'indeterminatezza
di contorni, con la quale appariva a Dante,
nell' oscurità infernale, la mostruosa figura
di Lucifero agitante le immense ali. — 7. di-
fiele: ordigno, macchina; voce che gli antichi
usarono spesso a indicare genericamente i
mangani, i trabucchi, le toni di legno e le
altre macchine di guerra in uso nel medioevo.
— AllotU : allora; cfr. Inf, xn 112. — 9.
■OM gli eoo. non vi era ecc. ; cfr. la nota al-
VInf,xxm 64. — grotta t riparo, difesa. —
10. • con paura ecc. : ricorda il virgiliano, En,
II 204 : e horresco referens * ; cfr. Inf, xxn 31.
— 11. là dOTe l'ombre ecc. : nella Qiudecca,
ultimo dei giri di Oocito, sono puniti coloro
che tradirono i loro benefattori; e sono con-
fitti interamente sotto la ghiaccia, per la quale
traspariscono come le pagliuzze poste sotto a
un vetro : di questi peccatori Dante non no-
mina alcuno, fuorché 1 tre massimi traditori
ai quali dà una pena maggiore e singolare,
ponendoli in booca a Lucifero (w. 66^7).
8ul nome OùtdeeoOf ohe nel medioevo fu usato
anche in Italia a designare il Ghetto o quar-
tiere degli ebrei, si vedano le rioerohe di
0. Salvioni, Bull, VH 259; cfir. ivi, VHISS.
— IS. altre fome eco. Buti : e quattro diffe-
reniie pone, perché quattro sono lo differenzie
di questi traditori : imperò che altri sono cho
usano tradimento alli benefattori suoi pari, e
questi finge che stiano parimente a giacere ;
et altri sono che l' usano contra li maggiori
benefattori, tanto come sono 1 signori e* mag-
giori e' maestri e qualunque altro grado di
maggioria, e questi stanno col capo in giù e
co' piedi in su; et altri sono che l'usano con-
tra li minori che sono loro benefi&ttori, come
li signori contra gli sudditi, e questi stanno
col capo in su e co' piedi in giù; et altri sono
che l'usano contro li minori e centra li mag-
giori parimente, e questi stanno inarcocchiati
col capo e coi piedi parimente in giù nella
ghiaccia ». — 16. altra, eom'areo ecc. An.
fior. : e Come fa uno arco, che l'una cima si
piega verso l'altra, ooa£ il capo d'uno pecca-
tore si piegava et tornava sotto i piedi, £ac-
cendo arco di sé ». — 18. la ereatara ecc. :
cu-. Purg, xn 26-27, Piar, zix 46-48. — 20.
Eeeo Dite: Dite ò U nome che Dante, se-
guendo Virgilio {En. vi 127, 269, 897, vn
668, zìi 199 ecc.), dà per lo più al re dell'in-
ferno, SiììHmperadcr del doloroso regno, da lui
chiamato anche coi nomi di Lucifero, Satana,
Belzebù : egli Ai il capo degli angeli ribelli a
Dio, e precipitò dal cielo noi centro della
terra, divenendo principe dei diavoli e prin-
cipio di ogni male. — 21. ore coMTien ecc.
ove ti bisogna più che altrove la fortezza del-
l' animo per sostenere la vista di Lucifero,
perché, nota il Buti, « convenla che di lui
faoessono scala, se voleano discendere al cen-
tro et uscire dell' inferno ». — 22. gtlato e
Ateo t accenna all'oiftotto fisico e morale dello
INPERNO - CANTO XXXIV 265
no '1 domandar, lettor, eli' io non lo scrivo,
24 però che ogni parlar sarebbe poco.
Io non morii, e non rimasi vivo;
pensa omai per te, s'iiai fìor d'ingegno,
27 qual io divenni, d'uno e d'altro privo.
Lo imperador del doloroso regno
da mezzo il petto uscia fuor della ghiaccia;
80 e più con un gigante io mi convegno
che i giganti non fan con le sue braccia:
vedi oggimai quant' esser dóe quel tutto
83 che a cosi fatta parte si con£ftccia.
S' ei fu si bel com' egli è ora brutto
e centra il suo fattore alzò le ciglia,
86 ben dóe da lui procedere ogni lutto.
0 quanto parve a me gran meraviglia,
quand'io vidi tre fac3e alla sua testa!
89 l'una dinanzi, e quella era vermiglia;
l'altre eran due, che s' aggiugnieno a questa
sopr'esso il mezzo di ciascuna spalla, *
42 e sé giungieno al loco della cresta:
e la destra parca tra bianca e gialla;
la sinistra a vedere era tal, quali
45 vegnon di là onde il Nilo s'avvalla.
ipimito, per il qTule senti raggelarsi le nude. — 88. «oaad'lo Tidl tre feeee eco.
■emlnra e yenir meno il eocaggio. — 24. Dante, tenendosi alle credenze cristiane, se-
f«rè èh« ogal farlsr eoo. perché qnalimqae condo le quali Lucifero ò l'antitesi della Tri-
disootiso non vairebbe a esprimere la oondi- nità divina, e alle tradizioni dell'arte medio-
siooe in coi mi trovai : ofr. locazioni simili evale che gì& l'aveva flgorato oon tre volti in
in J«/. rv 147, zxvm 4. — 26. Io bob morii molte pittare e scoltore, rappresenta il re
eoe Si noti U brevità efficace dell' espres- dell'inferno con tre facoe; in coi certamente
sione che dico mirabilmente tatta la difficile sono simboleggiati gli attributi contrari a
ftTmdÌTi^Ty» di Dante, il oontsasto ch'egli sen- quelli della Trinità (ofr. Inf, ni 6), vale a
tiva in b6 stesso fra il mancare degli spiriti dire l'impotenza, l'ignoranza, l'odio : cosi in-
vitali • la coscienza della vitalità, e l'incer- tesero lettamente Ott, Benv., Pietro di Dante
tazza dell'esistenza sotto l' impressione dello e altri antichi ; mentre i moderni cercarono
spettacolo spaventoso offerto dalla figura di nelle tre facoe di Lucifero significazioni mo-
Locifero. — 26. fler : cfr. Pwrg, in 136. — rali o politiche le quali sarebbero ftior d'ogni
80. e plU ecc. ò minore sproporzione di gran- proposito ; poiché Vimp&rador del doloroso re-
dezza tra mo, nomo comune, e un gigante, di gno, come ò l'antitesi di quòU* imperador eh»
^piella che d tra i giganti e le braccia di Lu- là su rtgna^ cosi deve avere caratteri e at-
dfeio. — 82. vedi oggimai eco. La deter- tributi opposti a quelli della trìade divina,
minazione della misura di Lucifero ha affati- — 89. V una dlaansl ecc. : la fàccia ante-
eato inatilmente gì' interpreti dal Land, in riore ò vermiglia, simbolo dell'odio; la destra
poi; e il problema d stato variamente riso- ò di colore gialliooio, simbolo dell'impotenza;
lato, ma sempre per via di calodi fondati su la sinistra ò nera, simbolo dell'ignoranza. —
dati i^pzossimatlvi : secondo l'Antonelli la 40. t'agglngnfeBO eco. le due Docce laterali
hmghezza delle braccia di Lucifero sarebbe s'ergevano ciascuna sovra una delle spalle e
di 410 metri, e la sua altezza di 1280 metri. tutte tre si congiungevano nelle parti poste-
— 84. S'ttl fa ii bel eoo. Se Lucifero fu riori in modo da formare un sol tutto. — 42.
cod bello come ora ò brutto e osò ribellarsi al loco della eretta: nella parte posteriore
al suo creatore, che lo aveva fatto belliasimo del capo, ove certi animali hanno la cresta,
tra gli angeli, ben ò degno oh' egli per la sua — 44. era tal, qaall vegnon ecc. era nera,
l^[H^o^rwT^^ sia divenuto il principio d' ogni oomo sono gli uomini doli' Etiopia, onde il
266
DIVINA COMMEDIA
Sotto ciascuna tiscivan due grandi ali,
quanto si convenia a tanto uccello;
48 vele di mar non vid'io mai ootali,
Non avean penne, ma di vipistrello
era lor modo; e quelle svolazzava,
61 si che tre venti si movean da elio.
Quindi Oocito tutto s'aggelava:
con sei occhi piangeva, e per tre menti
54 gocciava il pianto e sanguinosa bava.
Da ogni bocca dirompea condenti
un peccatore, a guisa di maciulla,
57 si che tre ne &cea cosi dolenti.
A quel dinanzi il mordere era nulla
verso il graffiar, che talvolta la schiena
60 rimanea della pelle tutta brulla.
Quell'anima là su che ha maggior pena,
disse il maestro, è Giuda Scariotto,
63 che il capo ha dentro, e fuor le gambe mena.
Degli altri due e' hanno il capo di sotto,
Nilo Mende nelle Talli egiziane. — 46. Setto
elasemnft ecc. Ad ognima delle tre iacee cor-
risponderano due grandi ali, proporzionate
all'immane corpo di Lucifero e perdo più
ampie die le vele delie navL — 49, Hon
ATeia ecc. Le arti figarative rappresenta-
rono spesso, anche prima di Dante, i dia-
voli con ali di pipistrello e gli angeli con
ali pennato ; e il poeta segai pare in qoesto
particolare la tradizione artistica del sno tem-
pa. — 61. tre venti : tre divene correnti
aeree, per effetto delle qaali Codto era tatto
gelato. — 63. eoa lei ocelli eoo. H pianto
osdva dagli ooohi dello tre facce colando giù
pei volti e mescolandosi alla sangainosa bava
ch'asoiva dalla bocca. Alcuni tratti di questa
descrizione rioordano i versi virgiliani, Otorg,
m 202 : e Hio vel ad Elei metas et maxima
campi Sadabit spatia, et spamas aget ore
craentas », e m 616 : e Ecce aatem doro fu-
mana sab vomere taoros Conddit, et mìxtam
spomisvomit ore oruorem». — 66. a galla
di madvlla : Lana : « maeiuUa ò ano edifl-
do di tritare lino, il qaale volgarmente ha
nome gramola, si che si dice al lino, quando
il fasto ò ben trito, gramolato ». La compara-
zione dantesca ò tra la violenza con la qoale
la gramola, forte stramento di legno, infiange
le deboli canne della canapa e del lino, e
qaella onde i denti di Ladfero dirompevano
i tre peccatorL — 67. sf che tre ecc. Qaesti
tre peccatori condannati a pena singolarissi-
ma e poeti in bocca a Ladfero, per segno che
la loro colpa fa più grave delle colpe deg^
altri aomini, sono i traditori dello dae auto-
rità, che Dante poneva come volate da Dio
per la direzione spirituale e dvile dell'ama-
nita (of^. £h monarcMa m 16): Oiuda, tradi-
tore di disto e della somma potestà religiosa:
Brato e Casdo, traditori di Ceoaio e della
suprema potestà politica. — 68. A 4|«el él-
■aasi eco. Per Qiuda, che stava nella bocoa
della fkoda anteriore, il mordere dd denti di
Lucifero era nulla al confronto del graffiato
delle mani, ond'era tatto lacerato : al tradi-
tore della roligione d conviene una pena tan-
to più gravo, quanto Cristo ta maggioro di
Cesare. — 69. vene : in oonftonto dd graf-
fiare; nello steAso senso Dante aia verm tU
in ^trg. m 61, vi 142, zxvm 80. — 60.
bniUa: l'agg. brutto e brÌMOf che dioed pro-
priamente dd terreno privo d'ogni vegeta-
zione, significa qui e in Inf, xvi 80 scorticato,
denudato della pelle, oomo in I\»y. nv 91
vde privo, spoeto di virtù (per V incerta
etimologia cf^. Diez 860, 766). — 62. QlaAa
Scariotto : Giuda Iscariotte, uno dd dodid
apostoli, che tradì Qeeù patteggiando eoi sa-
cerdoti di dario loro nelle mani per denari
(Matteo zxvi 14-16, Uaroo ziv 10-11, Luca
zu 8-6), diventò per i cristiani il tipo dd
traditori della religione. — 68. che n capo
eco. : d noti la conformità tra la podtuia di
Giuda e quella dd simoniad (cfr. Inf. nx 22
e segg.), che anch' esd mercanteggiarono le
coso dolla religione. — 64. Degli altri dao
eco. Bruto e Casdo hanno il capo ohe spen-
zola f^ori d'una bocca di Ludfero, il primo
dalla bocca dell' ignoranza, U secondo da
quella dell'impotonsa ; o la loro condiziono at-
INPEENO - CANTO XXXIV
267
quei che pende dal nero oeffò è Bruto;
66 Tedi come si torce, e non fa motto:
e V altro è Cassio, che par si membruto.
Ma la notte rìsurge; ed oramai
69 è da partir, che tutto avem veduto ».
Ck>m'a lui piacque, il collo gli avvinghiai;
ed ei prese di tempo e loco poste,
72 e, quando l'ali ftlro aperte assai,
appigliò sé alle vellute coste:
di vello in vello giù discese poscia
75 tra il folto pelo e le gelate croste.
Quando noi fummo là dove la coscia
si volge appunto in sul grosso del Panche,
78 lo duca con fatica e con angoscia
volse la testa ov'egli avea le zanche,
ed aggrappossi al pel come uom che sale,
81 si che in inferno io credea tornar anche.
tetta in etemo la gravità della colpa di co-
loro che tradirono l'antoxità dell'impero (ofr.
Far, TI 74). — 66. BrnUt M. Oinnio Brato,
UBO dei congiaxatl che ii levarono contro
OinUo Ceeare e l' aodsero, tentando inatti-
Beote di reetanran Tantioa repubblica: mori
combattendo a Filippi contro Ottariano, e la
foa testa epiocata dal bneto fa mandata a
Boma e poeta, qoasi segno di oompiata ven-
detta, innanzi alla statua di Cesaro. — 67.
Casata: C. Cassio Longino, on altro dei prin-
dpali oonginrati contro Cesare, anch' egli
morto nella battaglia di Filippi : Dante, ima-
ginandolo mentbruiOt lo confase oon L. Cassio
accennato come tale da Cicerone nella terza
CatUmoHa tu 7, 16 : mentre del oongiorato
caooonta Ftataroo, Vita di Cto., 62, che era
pallido e scarno: cfir. licore I 266. — die
par ecc. : cft. Purg, vn 112. — 68. Ma la
Botte ecc. Allorché i dae poeti abbandona-
rono il ponte deUa nona bolgia era d' on' ora
passato il mezzodf del 9 aprile (ofir. Inf, tttt
10): visitando la decima bolgia e passando
sol largo argine che divide Malabolge dal
pocro di Coàto oceaparono qualche ora, e
qnakhe altra nel percorrere quasi l'intero
raggio del nono cerchio: ora che sono giunti
al centro risurge la notUt vale a dire inco-
mincia la notte; da ohe si deduce come Vir-
gilio e Dante a percorrere i nove cerchi in-
tesali abbiano impiegato rentlquattro ore,
dalla sera dell' 8 aprile quando « lo giorno
w n'andava » (Ji/l u 1) a quella del 9 aprile
hi cui e risorge la notte >. — 70. Gem'a lai
plaei|ue ecc. Dorendo i due poeti oltrepa»-
laze il centio della terra. Dante s' avvinghia
al collo di Virgilio, e questi appigliandosi al
corpo di Lucifero discende giù sino a mezzo
di esso ; e in corrispondenza del centro deUa
terra si capovolge, passando nell' emisfero su-
peziore, e incomincia a salire sino al piedi di
Ludliero, dai quali depone Dante sulla roc-
cia. — 71. di tempo e loco peste: le op-
portune condizioni di tempo e di luogo; di
tempo, aspettando il momento ohe le ali di
Lucifero fossero bene aperte, e di luogo,
guardando d' appigliarsi a una parte pelosa,
che gli desse agevole modo di scendrae. —
74. di vello ÌM. vello: da un gruppo di pélo
a un altro. — 76. tra 11 folto ecc. tra i pe-
losi fianchi di Lucifero e la ghiaccia, nella
quale egli era immerso da mezzo il petto in
giù (ofir. y. 29). Le gOaU on§U (cfr. Inf,
limi 109) sono le incrostature del ghiaccio
che rivestlTa l' intemo della cavità. — 76.
Quando noi ecc. Pervenuti che ftunmo sopra
la prominenza cho fanno le anche, in quella
parte del oozpo dove la coscia si ripiega per
attaccarsi al fianco, Virgilio faticosamente e
afEumoeamente si capovolse e incomindd a
salire. — 78. eoa fatica e con angoscia:
aooenna allo sforzo fatto da Virgilio per ca-
povolgersi e all'effetto dello sforzo, che fa la
difficoltà del respirare: moralmente vuol diro
che l'uomo molto si deve aflàtioare per avere
orrore del peccato e volgergli le spalle. —
79. le zanche: le gambe; il nome xanea
{Inf, ZEc 46), forse di origine germanica (Diez
346), indica propriamente la parte inferiore
della gamba, quella ohe suole essere calzata.
— 80. eome uom che sale : in atto di salire,
dod spingendo innanzi le mani, non più i
piedi oome avea fatto nel discendere sino al
contro. — 81. si eke in inferno ecc. sf cho
268
DIVINA COMMEDIA
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96
« Attienti ben, che per cotali scale,
disse il maestro ansando com'nom lasso,
conviensi dipartir da tanto male >.
Poi usci faor per lo fóro d' un sasso,
e pose me in sa l'orlo a sedere;
appresso pòrse a me l'accorto passo.
Io levai gli occhi, e credetti vedere
Lucifero com'io l'avea lasciato,
e vidili le gambe in su tenere;
e s'io divenni allora travagliato,
la gente grossa il pensi, che non vede
qual è quel punto eh' io avea passato.
€ Levati su, disse il maestro, in piede :
la via è lunga e il canmiino ò malvagio,
e già il sole a mezsa terza riede ».
Non era caminata di palagio
là 'v' eravam, ma naturai burella.
lo mi crederà di avere a risalire per i cerohì
infernali, per ludre all' aria i^eirta. — Sd.
Àttleatl htm eoo. Virgilio, aooorgendoai del
dubitare di Dante, gli riToIge paiole di ay-
vertimento, nelle quali ò oome l'eoo di quelle
dell' .^1. VI 126 : « Facilia deeoensuf Avwno
eet; NoctesatquediespatetatrilanuaDitis:
Sed reyooare giadum, superasque evadere ad
auras, Eoo opus, hio labor est. Fauci, quos
aequus amavit luppiter, aut aidens evezit ad
aethera Tirtus, Diis geniti potaere». — leale :
ò usata questa Tooe in senso traslato per si-
gniflcaie qualunque mezzo per salire o scen-
dere anche in Jkf. xvn 82, a proposito della
discesa sulle spalle di Oerione • in ih/*, xxrv
66, della salita al monte del purgatorio. —
86. Poi nsef eoo. Giunti ove i piedi di Lu-
cifero toccavano il fondo della oavema, in cui
egli d confitto, i due poeti passano per un
piccolo fóro, e Virgilio depone Dante sull'orto
di quell'apertura e poi lo raggiunge spiccando
un breve salto. — 87. pòrse a me eco. con
un passo avvedutamente latto lasoid il oorpo
di Lucifero e venne anch' egli sull'orlo del-
l' apertura. — 8S. Io levai eco. Dante, che
non aveva ben capito la ragione di quei mo-
vimenti (of!r. w. 81, 100 e segg.), rimase
molto meravigliato quando vide Ludfero ca-
povolto rispetto alla positura in cui l'aveva
lasciato prima d' oltrepassare il centro della
terra. — 91. travagliate : incerto e sgomi-
nato, non sapendo spiegare il fatto. — 92.
ehe BOB vede ecc. ohe non intende come io,
avendo oltrepassato il centro della terra, do-
vessi continuare avanzando in salita e non
già in discesa. — 94. Lavati »m ecc. La
mossa di quesf avvertimento ricorda nelle
parole quello dell'/n/. xnv 62 e nel oonoetto
quello dell'iSH. vi 628 : « Sed iam ago, cupe
viam, et susoeptom perfioe munus: Adoelere-
mus, ait >. — 96. la via eoo. la via è lunga
e il cammino ò difficile, dovendosi risalire dal
centro alla supeifloie della tana, per uno
stretto e oscuro calle sassoso o ineguale. —
96. e già 11 s«le eoo. I due poeti, avendo
oltrepassato il oentro, sono già nell'eanisfeso
inferiore; quindi mentre rispetto all'emisfero
superiore progredisce la notte, già cominciata
quando essi giungono innansi a hwcìSéTo (cfir.
V. 68X rispetto all' altro avaasa il gioòno,
ed ò già mextM tBnsa, doà il meoo del tempo
tra il levarsi del sole e la ter» ora del giorno ;
sono dunque all' inoiroa le sette e messo daUa
mattina : ofir. Moore, pp. 66-58. — a messa
tersai nel Oom, m 6 Dante spiega «^ se-
condo un modo di computare le ore gli astro-
logi « del di e della notte fanno ventiquat-
tr* ore, dod dodid del di e dodid della notte,
quanto dte '1 di sia grande o piooolo, e que-
ste ore d Dumo piodoleo grandi nel di e nella
notte, secondo ohe '1 di e la notte cresce e
scema: e queste ore usa la Chiesa, quando
dice Prima, Tersa, Sesta e Nona; e ohia-
mand cod ore temporali » : nd Cbnv. xv 23
spiega pd il valore ddle ore tempoimli di-
cendo ohe mtKota ttrxa vud dire l'ora prece-
dente il suono che d fia per gli uffid reUgiod
della tersa, oiod delle tre ore di sde. — • 97.
eamlBate41paIagle:Buti: «sala di palazzo:
i signori usano di chiamare le loro sale eo-
minaUf massimamente in Lombardia : e questo
dice perché le ssle- de' palagi de' signori so-
gliono essere ben piane e ben luminose, e
quivi era lo spasso disuguale et aspro, et
oravi grande oeonrìtà». — 98. aateral hm-
rtllas luogo stretto ed oscuro natuxmlnents
INPERNO - CANTO XXXIV
269
99 ch'avea mal suolo e di lume disagio.
«Prima ch'io dell'abisso mi divella,
maestro mio, diss'io quando fui dritto,
102 a trarmi d'erro un poco mi favella.
Ov'ò la ghiaccia? e questi com'è fìtto
si sottosopra? e come in si poc'ora
105 da sera a mane ha fatto il sol tragitto? »
Ed egli a me : « Tu imagini ancora
d'esser di là dal centro, ov'io m'appresi
106 al pel del vermo reo, che il mondo fora.
Di là fosti cotanto, quant'io scesi;
quand'io mi volsi, tu passasti il punto
111 al qoal si traggon d'ogni parte i pesi:
e se' or sotto l'emisperio giunto,
ch'ò contrapposto a quel che la gran secca
114 coperchia, e sotto il cui colmo consimto
fu l' uom che nacque e visse senza pecca;
tu hai i piedi in su picciola spera,
117 che l'altra faccia £& della Giudecca.
Qui ò da man, quando di là è sera:
e questi, che ne fé' scala col pelo,
120 fitto ò ancora, si come prim'era.
Da questa parte cadde giù dal cielo:
(cfr. Diez 74) : in Firenze si darà il nome di
BmtttatSlB Anguste cuoeri ricavate dalle celle
dair antico aniiteatro; ma presto il nome
•flqoistft irfgn«<''<«*^ generico (cfir. P. Toynbee,
nel Giom. dar. deUa tett. U. yoL XXXYIH,
pp. 71-77). — 100. den'Sbifse ecc. mi di-
parta dall'infèrno, detto oMmo andie in Inf.
if 8, 24, ZI 6, Pitrg, i 46. — 102. a trarmi
eoe. pariami per toglier l'errore, nel quale io
tono: la toma trro (lat. irror\ ancor viva
neU* uso popolare toaoano, non d rara negli
antiolii scrittori. — 108. Of'è ecc. Tre ponti
osoari tenerano dabbioso Dante: ore fosse
la gbiacda; pexobó Lndfeio fosse capoyolto;
come dalla sera fosssr passati cosi presto al
mattino. Virgilio |^ chiarisce ogni dabUo si
rispetto a Lndtoo e alla gftiacnia, si rispetto
aU'oia. — 107. Al là dal eeatras neU'emi-
«fero soperiors, ore eravamo quando io mi
appigliai al corpo di Lucifero. — 106. Terme
ne ecc. Lucifero ohe passa da una parte al-
l' altra déDa tetra, avendo il suo mezzo nel
centro di essa: sul nome fermo ofr. Zn/l vi 22.
— 110. Il fusU ecc. il centro della terra, ohe
è anche fl centro di tutto il sistema cosmico,
U peso del quale gravita tutto su quel punto
(efir. inf. zzzn 78) : è traduzione di un passo
di Aristotele, Deeoeio n 14. — 112. e se*er
•oc e ora sei nell' intesno della terra, ma
nell' emisfero inferiore diametralmente oppo-
sto all'emisfero superiore, ohe è ricoperto diUla
superficie teeea e ha per centro Gerusalemme.
— 114. sette 11 cui colme ecc.: il meridiano
teirostre nell'emisfero superiore sta sepia
e col suo piA alto punto » alla dttà di Gerusa-
lemme (ofr. I\Hrff, n 1 e segg.), ove Cristo
ebbe la passione. — 116. l'nom ecc. : cfr. Inf,
IV 58. — 116. ta hai ecc. tu sei sopra un pio-
colo spazzo droolare ohe corrisponde a quello
che nell'altro emisfero forma la Giudecca,l' ul-
timo e più piccolo dei giri di Codto. Questa ò
la risposta alla prima domanda di Dante: ove
fosse la ghiacda (cfr. v. 103). — 118. Qui è
da man ecc. Questa ò risposta alla terza do-
manda di Dante (ofr. v. 104-105) : si veda la
nota al Par. i, 43. — 119. e questi ecc. :
risponde alla seconda domanda (cfr. w. 103-
104), mostrandogli che Lucifero ò ancora con-
fitto come quando cadde dal cielo e come essi
l'avevano veduto. — 121.Da questa parte ecc.
Lucifero, folgorato da Dio, precipitò dal cielo
verso la terra (Isaia ziv 12, 15, Luca x 18,
ApoeaL xu 9 ecc.) dalla parte dell' emisfero
inferiore ; e la terra, che prima occupava que-
sto emisfero, si abbassò per paura di lui che
cadeva e si ritrasse figgendo sotto le acque
verso l'eniisfero superiore: poi trovandosi a
contatto di Lucifero nel centro, quella parte
270
DIVINA COMMEDIA
e la terra, che pria di qua si sporse,
123 per paura di lui fé' del mar velo,
e Yenne all'erniq^io nostro; e forse
per fuggir lui lasciò qui il loco vóto
126 quella che appar di qua, e su ricorse ».
Loco è là giù, da Belzebù rimoto
tanto quanto la tomba ai distende,
129 che non per vista, ma per suono ò noto
d'un ruscelletto, che quivi discende
per la buca d'un sasso, ch'egli ha róso,
132 col corso ch'egli avvolge, e poco pende.
Lo duca ed io per quel cammino ascoso
entrammo, a ritornar nel chiaro mondo;
135 e senza cura aver d'alcun riposo
salimmo su, ei primo ed io secondo,
tanto ch'io vidi delle cose belle
che porta il del, per un pertugio tondo:
139 e quindi uscimmo a riveder le stelle.
che noi di qua vediamo sorgere nell'ampiezza
dell'oceano nell'emisfero inferiore abbandonò
il ino luogo, formando il ynoto ed elevandoai
in forma di montagna, la montagna del poz^
gatorio. — 124. e fona eoo. Si oosfanisca o
si spieghi : quMa Una ehs appar di qua, che
si sporge fuori del mare in forma di monta*
gna, laaoiò fon» qtdilioco vóto, lasciò qneeta
cavità in coi siamo, per fuggir ìiui, per evi-
tare il contatto di Lndfero, • Hoone in «u,
tornò oon impeto verso la saperfide dell'emi-
sfero inferiore, formando la montagna. — 127.
liOeo è là gl< eco. Nell'interno della terra,
dalla parte dell'emisfero inferiore, ò una ca-
vità ohe si distende tanto dal centro ov* ò
Lucifero quanto si distendo nella parte del-
l'emisfero superiore la cavità infernale; e l'e-
sistenza di qnella cavità ò attestata dal ramo-
rio di nn macelletto che discende per essa,
non già dalla vista, poiché ò tanto stretta
che dal fondo non si vede il principio. — 180.
«■ raseellettoi questo piccolo corso di acqua,
che scende al centro della terra dalla mon-
tagna del purgatorio, è il fiume Lete (cfir.
Purg, xxvm 180 e segg.) che porta nell' in-
ferno le macchie del peccato, delle quali lo
anime si mondano nel purgatorio, od ò ima-
ginato in opposizione ai fiumi infernali, che
recano dalla terra le oolpe degli uomini dan-
nati eternamente. — 188. IjO dnea ecc. Vir-
gilio e Dante prendono via per quell'oscuro
cammino per use' dalle viscere della terra,
e senza darsi alcun riposo salgono l'uno die-
tro all' altro sino al principio deUa cavità
tanto da rivedere il cielo e le stelle attm-
verso il buco. ~ 187. eoM bèlle: ofr. Inf. i
40. — 189. 0 quindi eoe e per cotesto Inioo
uscimmo alla superficie della terra. La dorata
del viaggio dei due poeti dal centro della
terra all' isola del purgatorio ò di ventona
ore, dalla mattina dol 10 aprile (cfr. v. 96)
all'alba del giorno seguente; oon l'avvertenza
che anche questo è 10 strile, a cagione del-
l'avvenuto cambiamento di emisfero (cft.
Fwrg, I 19) : eet»! impiegano dunque a risadire
dal centro quasi lo stesso tempo ch'era biso-
gnato a discendere ; vedasi Hoore, pp. 58-68.
— stelle: tutte e tre le cantiche finisoono
oon questa parola per indicare che il fine di
tutto il poema e di ciascuna parte ò il me-
desimo, « rimuovere i viventi in questa vita
dallo stato della miseria e guidarli allo stato
della felicità » (Epis. a Cangrande, % xv) :
perciò Ylnfemo finisce quando Dante eeoo
ftiori dalle viscere della terra a HuMàer k
atelie, il Purgatorio quando, compiuta la sua
purificazione, si senta puro • disposto a salire
atte stsUó {Purg, xxzm 145), e il Fiuradiso
quando sente la sua volontà e il suo deside-
rio conformi a quelle di Dio, ohe muove il sole
e l'altre etelle {Par, zxxm 145).
PURGATORIO
CANTO I
Dante e Vir^rilìo, ascendo ali* aperto, si trovano nellMsoIetta sa cni si
eleva il monte del purgatorio : a guardia di essa sta Catone Uticense, che,
conosciuta la ragione del loro yiaggio, concede ai dne poeti di continuare
il cammino e ammonisce Tirgilio di rlcinger Dante con il giunco delP u-
mi Ita e di layargli il viso [alba del 10 aprile].
Per correr miglior acqua alza le vele
ornai la navicella del mio ingegno,
3 che lascia retro a sé mar si crudele;
e canterò di quel secondo regno,
dove l'umano spirito si purga
6 e di salire al ciel diventa degno.
Ma qui la morta possi risurga,
o sante Muse, poiché vostro sono,
9 e qui Calliope alquanto surga,
I 1. Per Mrrcr eco. Anche U Mconda
cantica comincia con la propodadone dell' ar-
gomento e r inTocadone delle lime ; e sabito
dalle prime parole si diffonde un'intonazione
pi6 serena e tranquilla che fis presentire il
regno deQe dolci mitesce, della speranxa e
deOa parificazione, nel quale Dante sta per
entrare. ~ 2. la naTleella eoo. il mio inge-
gno, ohe ha compiuto la descrizione dell'in-
ferno, si prepara a trattare un argomento
meno doloroso; cfr. Cbm. ni: « lo tempo
chiama la mia nave usdre di porto; per ohe
dirizBito l'artimone della ragione all'Ora del
mio desiderio, entro in pelago con {speranza
di dolce cammino e di saloterole porto ecc. ».
— 8. BAT si endele s materia si aspra e
eroda, quale ò quella deOa prima cantica. —
1 teeoade regie ecc. D purgatorio, imagi-
nato dai padri della chiesa come una parte
delle regioni infeme, quasi come una sezione
dell'infèrno (cfr. Tomm. d'Aquino, Smnma,
P. m, suppL, qu. Lziz, art 6), Al concepito
dall'Alighieri assai più poetioamente; poiché
egli lo odllooò in una regione aperta e lumi-
nota, néll' ampiezza dell' oceano, sopra un'iso-
lettaaf^ antipodi di Gerusalemme: il secondo
regno è diviso anch'esso in nove parti, ohe
tono r antipurgatorio {Pmg. n-a), i sette oei^
oh! del purgatorio {Purg. x-xxm) e U para-
diso terrestre il\arg, xxvm-zxxm). — 5. si
parga: si purifica, si emenda doi peccati mor-
tali; lo stesso senso del vb. purgarti d al v. 66
e in I\Ky. zm 83, zxvi 92 ecc. — 7. Ma
qui la marta ecc. Ma qui la poesia, che si-
nora ha cantato la gente morta alla grazia
divina, risorga più serena e luminosa ; e fra
tutte le Muse m'inspiri Calliope, accompa-
gnando il mio canto oon le sue dolcissime ar-
monie. — moria s Lana : « per quello oh' ella
ha trattato pure deUe morte genti > ; inter-
pretazione felice, che fri accettata da tutti
quasi i commentatori modend. Benv. e Buti
intendono invece che Dante accenni allo stato
della poesia ai suoi tempi, come se fosse stata
negletta e trascurata ; che ò contro la storia.
— poesi : poesia ; voce arcaica, usata anche
nella prosa (cfr. Nannucd, Nomi 44-46). —
8. 0 sante Mase; l'invocazione delle Muse
in generale si ripete poi verso la fine di que-
sta cantica (Purg. znz 87 e segg.) ~ polche
vostro SOBO : poiché Dante, come poeta, era
devoto delle Muse, per le quali Bottri fami,
freddi e vSgiHt {Pmg, xzee 87); cfr. Orazio,
(M. MI 4, 21 « Voster, Oamaenae, vester in
arduos Tollor Sabinos eoo. ». ~ 9. Calliope:
una delle nove Muse, spedale protettrice della
272
DIVINA COMMEDIA
seguitando il mio canto con quel suono,
di cui le Piclie misere sentirò
12 lo colpo tal che disper&r perdono.
Dolce color d'orientai zaflSro,
che s'accoglieva nel sereno aspetto
15 dell' aer, puro infine al primo giro,
agli occhi miei ricominciò diletto,
tosto ch'i' uscii fuor dell'aura morta,
18 che m'avea contristati gli occhi e il petto.
Lo bel pianeta che ad amar conforta
fìkceva tutto rider l'oriente,
21 velando i Pesci ch'erano in sua scorta.
Io mi volsi a man destra, e posi mente
poesia epica, d qui invocata a inspirare se-
renità e armonia al canto ; come già in Vir-
gilio, En, IX 625 : « Vos, o Calliope, precor,
adspirate canenti». La forma oesitona ri-
sponde alle regole date per i nomi gred nel
leesioo di Giovanni da Genova (cfr. Parodi,
Bull, m 106). — alquanto inrga t si elevi
nobilitando la mia poesia ; ofr. Ovidio, HM.
V 888 : e Sorgit, et immiasos hedera oollecta
capillos Calliope quemlaa praetentat pollice
chordas Atqae haec percossis sabinnglt car-
mina nervis >. — 11. di eoi le Plelie eco.
Accenna alla favola mitologica delle figlie
di Pierio, re di Tessaglia, le quali, avendo
osato di sfidare al canto le Hose, furono
vinte da Calliope e trasformate in piche (ofr.
Ov. Met, V 802 e sogg.). — 12. che diiverir
eoo. : poiohó le ninfe, chiamata a giudicare
la tenaono, ebbero sontenziato in fisvore delle
Muse, le flfl^e di Pieiio non volevano rico-
noscere la loro inferiorità, sebbene noli* in-
temo dell'animo loro sentiisero di quanto il
loro canto fosse inferiore a quello delle di-
vine sorelle : ecco perché esse disperarono
di ottenere perdonanza. — 18. Dolee oolor
eco. Passando dall' inferno al purgatorio.
Dante esce dalle tenebre alla luce, dal re-
gno dell'oscurità profonda e incresdosa a
quello degli splendori puri e lieti, e la prima
impressione è quella dell'uomo die, liberato
dall' oppressione d' eeser chiuso in luogo buio,
alza gli occhi al dolo e s'innebria della luco
che lo drconda. Dice dunque che il colore
dolcemente azzurrino che appariva nell'axia
purissima fino ali* estremo orizzonte fece pro-
vare nuovamente ai suoi occhi un diletto, al
quale non erano più avvezzi fino da quando
egli era entrato neU' inUsmo. — orieatal zaf-
firo: Buti: e questa ò una pietra preziosa
di colore biadetto, ovvero celeste et azzurro,
molto dilettevole a vedere ; ... e sono due
spedo di zaffiri : l'una si chiama l'orientale,
perché si trova in Media ch'ò nell'oriente,
e questa ò melliore che l'altra e non trslu-
ce ; r altra si chiama per divord nomi, oo-
m'ò di diversi luoghi ». — 14. cke i'ace»-
gllOTA eoo. Lomb. : « esprime, credo, la ca-
gione dell' i^parenza di ootal colore, dall'am-
mucchiamento dell'aria, quad dica die pei
molti strati dell'aria veniva ad adunarsi eoo. »
— 15. primo giro t il primo tn i oeroht della
sfera, l'orizzonte, dcoome quello che solo
è parvente e serve alla determinazione di
tutti gli altri ; cosi spiega giustamente l'An-
toneUi (ofr. F. Angditti, Le rtgimH déWaria
nella Div, Cbimn., Palermo, 1899). Ma i vec-
chi commentatori dal Lana al Vent credet-
tero aooennato il dolo della luna (ofr. If^.
n 76), e il Lomb., il primo e più alto giro
delle stelle doò il primo mobile. — 17. del-
l' asm morta t dell' aria osonra dell* inferno.
— 18. m*ftTea eco. : accenna aU'eflétto fidoo
e morale del viaggio per le regioni infamali,
increscioso ai send e all'animo. — 19. Le
bel piaaeta ecc. Il momento, che i due poeti
uscirono all'aperto sull'isdetta dd purgato-
rio, fti tra le 4 e le 5 antimeridiane del giorno
di Pasqua, 10 aprile 1800 ; momento dte Dante
designa dicendo ohe il pianeta di Venere (cfr.
f^. xxvn 95) risplendeva dalla parte di
oriente velando con la sua luce quella della
coetellarione dd Fesd: ohe risponde al-
l'indrca a duo ore innanzi al sorgere dd
sole. Per le quistloni astronomiche su questi
verd cfr. Ferrazd V 67-69 ; Moore, pp. 68-
71; e P. Angelittt, BulL Vm 216-217. —
ad uua eonfortai cfr. Ptur, vm 1-6. —'21.
velando eco. ofr. Oonv, u 14: e {Mercurio]
più va velata de' raggi dd sole che null'd-
tra stoUa». — ek' erano !■ ama scorta:
oh' erano in congiunzione con la stalla di Ve-
nere. — 22. Io ■! Tolsi ecc. Dante volgen-
dod alla destra, doò verso il pdo antartico,
vede quattro stelle; ddle quali gli antichi
commentatori. Lana, Ott., Benv., Buti^ In.
fior, eoe, seguiti dd moderni, oonoordemonte
affermano che hanno un significato simbolico,
rappresentando le quattro virtù cardinali (pru-
PUEGATORIO - CANTO I
273
all'altro polo, e vidi quattro stelle
24 non viste mai fuor clie alla prima gente.
Goder pareva il ciel di lor fiammelle:
o settentrional vedovo sito,
^ poiché privato sei di mirar quelle!
Com'io dal loro sguardo fui partito,
un poco me volgendo all'altro polo
30 là onde il Carro già era sparito,
vidi presso di me un veglio solo.
denza, giustìzia, forteoa, temperanzaX a qnol
modo che le tre ttalle ohe vedrà più tardi
(Purg, vm 89-98) aimbdeggiano le tre virtù
teoIegaU (fede, speranza, carità) : di dd non
à può dubitare perché le quattro virtù ear-
dioali nel paradiso terrestre appariscono poi
penonificate in quattro belle flanciiille, che
cantano (i^. zxzx 106): «Noi sem qui
ninfe e nel del seme stelle ». Ma la questione
fetta dai moderni ò se Dante imagfnawwe egli
resistettxa dì cotesto quattro stelle, sol»-
aente per attribuii loro un signifioato sim-
bolioo, o se invece conoscesse la esistenza
deU» quattro beUissinie stelle della costella-
zione del Centauro, le quali formano la cosi
detta Oro» del sud, non lungi dal polo an-
tartico: le oonclosioni delle molte ricerche
fette a questo proposito sono die Dante po-
teva conoscere resistenza della Once dal tud^
o almeno averne avuto una vaga idea da al-
cuno due avesse viaggiato in Oriente; ma
per il sflenzio dd commentatori antichi d
deve credere die egli imaginasse poetioa-
mento ooteste quattro steUe, per feme il sim-
bolo delle virtù cardinaU (cfr. gii scritti in-
djaiti dal Fertazd H 688, IV 14S, 146-146).
— 24. alla prlsia gente : tre interpretazioni
d danno i commentatori antidii di questa
genie che vide le quattro stelle: il Lana dice
esser gli uomini dell' età di Saturno o del-
l'oro (cfr. Inf. ziv 106); Benv., gli antichi
romani die praticarono le virtù (dta sanfA-
gostino. De em. Dei zv : « ostendit Deus in
opulentissimo regno romanorom quantum d-
viles Tiitotes valeant etiam sino vera rdi-
gione ») ; e il Bnti, Adamo ed Sva i quali
dimorando nel paradiso terrestre (cfr. Pi^g,
zxvm 91-94) potevano vedere le stelle dd
pdo antartico: quest'ultima interpretazione
è aoosttata da tatti i moderni, sebbene quella
a Benv. convenga meglio al valore pura-
mente simbolico delle stelle. — 26. Goder
pareva eoo. n ddo che sovrasta al regno
della poriflcadone appariva rallegrato dalla
luce deQe virtù cardinali ; la qude non ri-
iplende più al mondo degli uomini, che quelle
virtù abbandonarono per seguire il vizio. —
28. €oai*io eoo. Yolgendod verso sinistra,
doè verso il polo artico, Dante vede la dir
DAMm
gnitosa figura di un vegliardo che gì' inspira
un sentimento di profendo rispetto, non solo
per la nobiltà dd sembiante, ma spedd-
mente perché appare fregiato dalla luce delle
virtù dvOL — 80. là onde U Carro ecc.
dalla quale parte a noi, ohe eravamo nell'e-
misfero inferiore, non appariva più la costd-
lazione dd Oexto di Boote o dell' Orsa mag^
giore, che appare invece a chi è ndl' emi-
sfero superiore (cfr. Bar. zm 7). ~ 81. un
veglie : ò M. Foroio Catone Uticense, nato
nel 96 e morto nd 46 a. 0., il qude per
tutta la vita fe ardente difensore della libertà
romana : da giovine aveva concepito il pen-
siero di liberare Boma dalla tirannide di
Siila, uoddendolo, e combatto con onore nelle
guerre di Spartaco e di Macedonia; fetto tri-
buno dd popdo, d condlid l'affetto di tutti
i dttadini, e con Cicerone fu dd più fieri
peivecutori di Catilina: d oppose inutilmente
al primo triumvirato, e poi d fece seguace
di Pompeo, nel qude vedeva il sdo capace
di serbare gli ordini repubblicani; ma, trion«
fendo da ogni parte (Hulio (tesare. Catone
d ritirò in litica, ove per non sopravivere
alla rovina della libertà d uccise di propria
mano. Oli antichi ne fecero come il tipo del-
l'uomo amante ddla patria e delle virtù ci-
vili; e il suo nome, droondato da questa
gloria, passò attraverso il medioevo sino a
Dante, il qude in più luoghi delle sue opere
ne fe dtìsdme lodi {Cfono. iv 6, 27, 26, De
man. u 6). Non deve quindi parere strano
che l'Alighieri, con quella libera elezione
che d concede d poeti, di questo pagano e
sddda feoesse 11 custode dd purgatorio: già
l'idea prima può essergli venuta da "Virgilio,
il qude Imaginò raflSgurato (datone ndlo scudo
di Vulcano come capo e guida degli uomini
virtuod {Eit. vm 670 : e Secretosque pios :
bis dantem iura Catonem >); e in quesf idea
l'avrà confermato il giudido ch'd feoeva
dd sacrifido di CJatone, die mori per accen-
dere negli uomini l'amore della libertà {De
moti. 1. dt : e Accedit et Ulud inenarrabile sa-
crìfldum severissimi libertatìs anctoris Hard
Catods, . . . [qui] ut mundo Ubertatis amo-
rom acoenderet, quanti libertas esset osten-
dit, dum e vita liber decedere mduit, quam
18
274
. DIVINA COMMEDIA
degno di tanta riverenza in vista,
33 che più non dèe a padre alcun figliuolo.
Lunga la barba e di pel bianco mista
portava, a' suoi capegli simigliante,
86 de*quai cadeva al petto doppia lista.
Li raggi delle quattro luci sante
fregiavan si la sua faccia di lume,
39 eli' io '1 vedea come il sol fosse davante.
€ Chi siete voi, che contro al cieco fiume
fuggito avete la prigione etema?
42 diss'ei, movendo quell'oneste piume.
Chi v'ha guidati? o chi vi fu lucerna,
uscendo fuor della profonda notte,
45 che sempre nera fa la valle infema?
Son le leggi d'abisso cosi rotte?
o è mutato in ciel nuovo consìglio,
48 che dannati venite alle mie grotte?»
Lo duca mio allor mi die di piglio,
e con parole e con mano e con cenni,
61 riverenti mi fé' le gambe e il ciglio.
gine Ubertate renumore in Illa » : cfir. Cioe-
rone, i>« off", i 81), e però appAiìra ben de-
gno di essere, egli Tiglio difensore della lir
bextà dvlle, U onstode del secondo regno,
oYe le anime procedono all'acquisto della li-
bertà morale, che di quella ò il primo e 11
più saldo fondamento. Intorno al Catone dan-
tesco si cfr. G. Wolf, Caio dttr jùngen bei
Danlt nel Jahrbueh dtr d&uitohm DarU^-Od-
telltehaft, a. 1870, toL II, pp. 225 e segg.;
a. P. aezìoi, Studi vaH nUla Dw. Oomm,,
Città di Castello, 1888, pp. 1-40; JL Bartoli,
St. delia leu. ÌL, toL VI, parte i, pp. 198-
206; G. Grescimanno, Fiifure dantesche^ Ve-
nezia, 1893; Moore 1 170 e 231 ; BuU. H 74,
VI 149, Vm 76. — 82. in Tlstox alla tìsU,
all'aspetto; locuzione frequente in Dante;
cfr. y. 79 e Purg. x 81, xzzn 147, Far, ix 68
epe. — 88. che pid bob d4e eco. Dante, De
mon, m 8: « illa reverentLa ftotus, quam plus
filiuB debet patri, quam plus filios matri eoo. »:
ma l'idea di paragonare il rispetto doTuto a
Catone con quello dovuto al padre fu forse
suggerito al poeta da Lucano, il quale dice di
Catone {Fare* ce 601) : « Ecce pareus verus
patrìae, dignissimus ads, Boma, tuia ». — 34.
Lmnga la barba ecc. La descrizione ricorda
i Tersi di Lucano, J^lirs. u 878, di Catone :
« Ut primum tolli feralia Tlderat arma In-
tonsos rigidam in fh>ntem descendere canoa
Passus eiat, moestamque genia incresoere bar-
bam ». — 86. doppia lista: due lunghe cioo-
che di bianchi capelli cadenti sul petto. —
87. LI raggi ecc. : vuol dire ohe nel Tolto
di Catone risplendoTano le ylrtd cardinali,
come se fosse stato illuminato dalla luce della
grazia diTina. — 40. CU sleift Tol ecc. Ca-
tone, ignorando ohi siano i due Tisitatori, e
credendoli due dannati fbggiti dall'inferno,
prorompe in parole misto di meraviglia e di
sdegno, alle quali Virgilio si albetta a rispon-
dere mianifestando la condizione sua e del
compagno. — contro al cltM flvae: risa-
lendo il corso del fiumicello, ohe metto in
comunicazione il centro della terra con l'iso-
letta del purgatorio. ~ 42. omeste piarne *.
barba Toneranda ; cosi Orazio, Od, it 10, 2 .
« Insperata tuae cum Teniet piuma superùae,
Et, quae nunc humexls inTolitant, dedderint
comae ». — 48. chi t1 fa ecc. chi Ti ha il-
luminato l'oscuro cammino? — 46. Sob le
leggi ecc. Avete voi Tiolato le leggi infor-
nali, che proibiscono ai dannati d'uscire dal
luogo ove sono confinati, oppure In cielo ai
ò fatta una nuova legge, che permetto ad
alcun dannato di uscire dall' inferno ? — 48.
alle mie grotte: ai luoghi sottoposti alla
mia vigilanza, ai cerchi del monto sacro (cfir.
Inf, ZZI 110). — 49. Lo duca ecc. Virs^,
desideroso di rispondere subito a Catone, non
può rivolgere un lungo discorso al suo com-
pagno; però alle poche parole, con le quali
gli accenna 11 grande personaggio, accompa-
gna atti opportuni perché Danto s' inginoochi
e abbassi gli occhi per segno di riverenza.
-> mi die di pigilo : mi afferrò ; ò la stessa
PURGATORIO - CANTO I 276
Poscia risposa lui : < Da me non venni ;
donna scese del ciel, per li cui preghi
54 della mia compagnia costui sovvenni.
Ma da eh' è tao voler che più si spieghi
di nostra condizion com'ella è vera,
57 esser non paote il mio ohe a te si neghi.
Questi non vide mai l'ultima sera,
ma per la sua follia le fu si presso,
60 che molto poco tempo a volger era.
Si come io dissi, fui mandato ad esso
per lui campare, e non v'era altra via
63 che questa per la quale io mi son messo.
Mostrato ho lui tutta la gente ria;
ed ora intendo mostrar quelli spirti,
66 che purgan sé sotto la tua balia.
Come io l'ho tratto, saria lungo a dirti:
dell'alto scende virtù che m'aiuta
69 conducerlo a vederti ed a udirti
Or ti piaccia gradir la sua venuta;
libertà va cercando, che è si caray
72 come sa chi per lei vita rifiuta.
Tu il sai, che non ti fu per lei amara
in litica la morte, ove lasciasti
75 la vesta che al gran di sar& si chiara.
Non Bon gli editti eterni per noi guasti;
> dàSTAf. zzrr 24. — 62. Da me femo. — 66. «oelll ipirtl: le anime del por-
Ma naaì eoo. Non Tenni ipontaneamente gatoilo. — 69. a Tedtrtl ed a «dirti t a
a foerto viaggio, ma per imito di una donna viaitare il tao regno e a sapere da te in qoal
«iMte, Beatrioe (cfr. ih/, n 62-76). — 66. modo egli possa peroonere le regioni del por-
eke pli ti spleg hi eoo. die meglio si di- gatorio. — 71. libertà eoo. egli la questo
ddaà qnai ai* veramente la nostra oondi- viaggio per liberarsi dal vislo, per aoqaistace
dona. — 60. vera : agg. in AmiAone awer- a sé qoeUa libertà morale oh* è si caia agli
Uile; oosi nel C<mx., p. liO : < La nemica animi nobili, oome sanno ooloio ohe eleggono
figua... Vaga di sé medesma andar mi lane di morire liberi più tosto die vivere nella
Colà dov* ella è vera ». — 68. 4}nestl non servita. La libertà ooroata da Dante ò quella
vide ecc. Il mio compagno ò ancora vivo, dello spirito (cfr. Purg, xov 141, zxvu 116,
Màbene per san follia si sia trovato smarrito JPar, xxxi 86), la quale ò U fondamento della
ia una selva e vicinissimo alla morte. Alle- libertà civile, cui Catone sacriflcò già la vita,
gorioamente a' intenda che Dante non aveva — 78. Tn 11 sai ecc. Tu, che per non so-
mai perduto U grazia divina, ma fu assai vi- pravivere alla rovina della libertà romana
«ano a perderia, quando allontanandosi dal- ti togliesti la vita in Utioa, sai per esperienza
Taso dèlia ragione si trovò in balia dei vizi ; propria quanto amore gli animi nobili pon-
ftaàà le parole di Virgilio non sono altro gano alla libertà. — 76. la veata eoe la
ehe la siniaei dell' allegorìa fondamentale con- veste corporea, che nel giorno della resur-
, neU*^. z. — 60. molto poeo eco. rezione e del giudizio finale, apparirà ciioon-
• tempo sarebbe passato e poi egli fusa dello splendore della sua gloria puris-
iBtbbe stato perduto, se non avesse avuto sima (oCr. Pur. sv 43 e aegg.). — 76. Non
Faiato dalla ragione e della fède. — 61. fisi son gU editti ecc. Vedi dunque che noi non
; cfr. Mf. n 68-69. — 62. e abbiamo violato alcuna delle leggi infernali;
■sa ¥*«« eee. : ofr. ^. i 91 e segg., 112- poiché il mio compagno è ancora vivo, e io
lae. — 6A. la geate riai i dannati doli' iik- non sono fi» i dannati soggetti a Hlnos, il
276
DIVINA COMMEDU
elle questi vive e Miuos me non lega,
78 ma son del oercMo ove son gli occhi casti
di Marzia tua, die in vista ancor ti prega,
0 santo petto, che per tua la tegni:
81 per lo suo amore adunque a noi ti piega.
Lasciane andar per li tuoi sette regni:
grazie riporterò di te a lei,
84 se d'esser mentovato là giù degni »•
«Marzia piacque tanto agli occhi miei,
mentre ch'io fui di là, diss'egli allora,
87 che quante grazie volle da me, fei.
Or che di là dal mal fiume dimora,
più mover non mi può per quella legge
90 che £atta fu quando me n'uscii fuora.
Ma se donna del ciel ti move e regge,
come tu di', non c'è mestier lusinghe;
93 bastiti ben che per lei mi richegge.
Va dunque, e fa ohe tu costai ricinghe
d'un giunco schietto, e ohe gli lavi il viso
96 si che ogni suoidune quindi stìnghe;
giudico dell'inferno, ma nna delle anime del
limbo. — 77. Mlmei eco. Mino* non mi ha
in soa balla ; infatti la giozisdizione del gin-
dioe infernale inoominda al eeoondo oerchio
(ofr. Inf, ▼ 4 e eegg.). — 78. dal cerchio
eoo. del primo oerchiOi ore risplendono gli
ooohi delia toa Marzia, la qnale ti serba an-
cora fèdeliasimo il cuore e per la qnale io ti
prego a concedord rolentieri il permeeao di
yìsitare il porgatoiio. — 79. Manda: cfr.
Inf, IT 128. — 80. 0 tanto pdtox cfr. Oowo.
IT 5 : e 0 noratissimo petto di Oatone, ohi
presumerà di te parlare? » ~ 82. tvol sotto
regni: 1 sette cerchi del pnigatoxio, già da
Oatone chiamati « nde grotto » (v. 48), pei>
chó alla sna TigUanza sono affidati g^ spi-
riti del secondo regno (y. 66). — 86. Marzia
eco. Catone, senza rinnegare i dolci Tincoli
d'alletto ohe già l'aTOTano legato alla sna
donna, Tnol pnre mostrarsi Indifferento alle
lusinghe di lei ; poiché il suo officio presento
non gli permetto d' ascoltare sltre Toci, fuori
di quelle che vengono dal cielo. — 88. dllà
dal mal flnino : al di là dell' Acheronto (cfr.
Inf, m 78), oltre il quale chi entra nell' in-
ferno trova il primo cerchio, or* ò Marzia.
— 89. pi< moTOr ecc. non può piti indurmi
a fare alcuna grazia, perché le leggi divine
separano in modo assoluto le anime dell' in-
forno da quelle del purgatorio. — 90. cke
fstta eoo. Scart: «Catone mori 46 anni
avanti la nascita di Cristo, dunque circa 80
anni prima doUa morto del Salvatore. Prima
di quest* ultimo punto, oioò prima doliu di«
scen diOristo agli inferi, sptrifo' umcmi wm
eron aafcott (Jbkf. iv 68). Oonvenà dunque
suppone ohe anche Catone si ritzovasso nel
limbo dalla sua morto sino alla venuta del
pottmUé {finf, IV 68) e che eg^ fosse uno di
qusiM ottH moUi {Inf. iv 61), che fl posaniik
trasse dal limbo s ftùtgìi beaH > : da questo
considerazioni segue ohe la legge, cui accenna
Catone, ta. Catta quand* egli usci Itaori dal lim-
bo , non già quando egli morf o usci dal meik-
do, oome erroneamente spiegano molti com-
mentatori antichi e moderni. — 91. donna del
eiol: Beatrioe (ofi:. v. 62). — 94. Ta dnafoo
eoe. Catone nell'atto di eonoedere ai poeti
il permesso di visitare il purgatorio aounao-
stra Viigilio di lidngere Danto oon un ramo
di giunco e di togliergli dal viso fl nero velo
depositatovi sopra dall'aria infiamale, cioè di
predisporre l'animo del discepolo all' nmUtà,
e di allontanarne ogni rimembranza dell'in-
ferno. — 96. flnnoo schietto t questo giunco
mondo e levigato (cfr. Jbif, xui 6% ohe cnsoe
nella parto più bassa dell' isoletta lungo la
riva del mare (w. 100-102), simboleggia l'u-
miltà del cuore, oome spiegano dal Lana in
poi quasi tutti i oommentatori; se non che
devesi avvertire ohe vmiUà o ttmiliià per
Danto e per g^ altri antichi fti, non puro la
viltà contraria alla superbia, sf in generale
lo stato dell' animo non perturbato dalla pas-
sione, la serenità dello spirito ohe è Awri
del male e però disposto a operare il bene.
— 96. si die ogni eoo. s£ che dal volto di faii
tu espurghi o zimovm ogni bnittua (nmdmm
PURaATORIO - CANTO I
277
chó non si converria 1* occhio sorpriso
d'alcuna nebbia andar davanti al primo
99 ministro, oh' ò di quei di paradiso.
Questa isoletta intomo ad imo ad imo,
là giù, colà dove la batte l'onda,
102 porta de' giunchi sopra il molle limo.
Nuli' altra pianta, che facesse fronda
0 indurasse, yi puote aver vita,
105 però che alle percosse non seconda.
Poscia non sia di qua vostra redita;
lo sol vi mostrerà, che surge omai,
108 prender lo monte a più lieve salita >.
Cosi spari; ed io su mi levai
senza parlare, e tutto mi ritrassi
111 al duca mio, e gli occhi a lui drizzai.
Ei cominciò : e Figliuol, segui i miei passi :
volgiamci indietro, che di qua dichina
114 questa pianura a' suoi termini bassi ».
L'alba vinceva l'ora mattutina
eome moids, {I»f. ym 10) : ttkigh» è Tooe del
Tb. Mugen (ofr. Fazodi, BuXL m 108). ~
97. eW BOB il eoe perché non sarebbe con-
TAniento andaxe, con roocbio sorpreso, offa-
sesto da qualche nebbia, innanzi al primo
angelo, al primo celeste ministro che vi ap-
psnzft nel purgatorio. — 96. primo Mini-
stre eco. Sebbene fl primo angelo veduto
dai due poeti sia quello che accompagna dalla
foce del Tonreie adi' isola della parificazione
le «Dime elette (cfr. P^irg, n 29), è da rìte-
nsie con Bewr. che Oatone aocenni invece
a qaeOo che siede a goardia del purgatorio
hutanzi all'entrata (ofr. I\i^, ix 78 e segg.) :
poiché Timo non esercita alcun officio ri-
cetto a Dante e casnale ò l'imbattersi dei
pseti al sao arrivo, mentre l'altro ò posto in
feisdone diretta e necessaria coi due visita-
toli^ si idie anche Gadone poteva sapere che
essi rsnebbero Incontrato alla porta cho
nette ai totehL — 100. i^esia Isoletta ecc.
n gionco del qoale ta xidngerai il compagno
enaoe nel ponto più basso dell' isola, longo
la spiaggia, ove è il molle e fengoso terreno
propizio » questa pianta. — 103. NolPaltra
«ce : il Lana intende rettamente il senso di
q[iusti versi scrivendo ohe Dante t osdnde
ogni atto Atari che nmilità essere princìpio
di pnrgadone » ; e Benv. compie rinterpre-
tazione aggiungendo che le altre piante sono
shre vìrt6, oome la giustizia, la magnani-
sita, la fiortezza, le qìoali non si piegano in-
nanzi ai colpi delle avversità, e però non
possono emere il principio della pnrificazione.
— pianta eoo. : cfr. in nna canz. già trìbolta
a a. Cavalcanti (Val. II 812): «Quando con
vento 0 con fiume contonde. Assai più si di-
fende La sottil canna, che ben piega e colln.
Che dura quercia che non si dirende >. •—
106. non seconda: non cede, piegandosi, ai
colpi delle onde, che battono la spiaggia (v.
101). — 106. rediU: ritorno. — 107. lo sol
ecc. il sole, che ormai soige (cfir. la nota al
V. 19), vi mostrerà 0 cammino, per il quale
dovete accedere al monte, senza ripassare da
questa parte. — 109. Cosf spari : detto que-
sto, scomparve; porche l'officio di Catone,
rispetto ai due visitatori, già era compiuto.
— B« mi ISTait Dante si era inginocchiato
per segno di rispetto a Oatone (v. 49 e segg.),
ed era rimasto in tale atteggiamento durante
il colloquio, dimostrandosi cosi ben disposto
ad accogliere l' avvertimento di Catone circa
l'umiltà. — 118. volgiamci ecc. Danto e Vir-
gilio, usciti dalla via sotterranea, si volsero
od oriente (w. 19 e segg.), poi successiva-
mente alla parte meridionale (v. 22) : in quo-
sf ultima situazione videro Catone (v. 29-31)
e parlarono con lui; quindi, se finito il col-
loquio si voltarono indietro prendendo via
verso la marina, ò manifesto che v' arriva-
rono in direzione della parte meridionale. Si
noti questa particolare condidone, perché n' ò
agevolata la piena intelligenza dei versi so-
guenti. — dlchlna: declina, discendo; ò
detto anche in Inf, xxvm 75, del piano di
Lombardia. — 114. termini bassi: la spiag-
gia, che è il limite deli' isoletta ed ò anche
il punto più basso, ad imo ad imo^ di quellA
pianura. — 115. L'alba* Tlneeva ecc. Varie
278
DIVINA COMMEDIA
cHe fuggfa innanzi, si che di lontano
117 conobbi* il tremolar della marina.
Noi andavam per lo solingo piano,
com*uom cbe toma alla smarrita strada,
120 che infino ad essa gli par ire in vano.
Quando noi fummo dove la rugiada
pugna col sole, e, per essere in pai*te
123 ove adorezza, poco si dirada,
ambo le mani in su 1* erbetta sparte
soavemente il mio maestro pose:
126 ond'io che fui accorto di sua arto,
pòrsi Ter lui le guance lagrimose:
quivi mi fece tutto discoperto
129 quel color che l'inferno mi nascose.
Venimmo poi in sul lito diserto,
che mai non vide navicar sue acque
132 uomo che di tornar sia poscia esperto.
Quivi nù cinse si come altrui piacque:
o maravigliai che qual egli scelse
l'umile pianta, cotal si rinacque
136 subitamente là onde la svelse.
intorprotAzioni si dAnno di questo luogo.
Quella degli antichi, esposta dal Butl cosi :
« Ualba, cioè la bianchezza ohe imparo nel-
r Oliente quando incomincia a venlxe lo <{(,
vinetva Vara matMìma, dod Torà del mattino,
ohe ò r ultima parte de la notte, eh» fiiggia
imumxi, cioè a l'alba», è difesa dal Blanc,
ohe xlgnardo alla peisonificazione delle oro
richiama i luoghi del Purg, xn 84 e xzn 118.
Dei moderni, alcuni prendono Óra per aura
e spiegano ool Ces. : « L' alba caodava da-
vanti a sé quel venterello, ohe suol muoversi
innanzi al sole, e che increspando la marina,
la facea tremolare», citando poi a oonferma
i versi del Purg, xziv 146-147; altri pren-
dono Sra per ombra e intendono : « L'ombra
mattutina, ossia dell' ultima parte delia notte,
fuggiva davanti all'alba che vittoriosa l'in-
calzava > : cfr. Hoore, p. 71. — 117. il tre-
■olar della nariaa : è il movimento leg-
giero delle onde del mare, che ^pare per i
riflessi del sole nascente a chi guardi la su-
perficie delle acque, non tenendo g^ occhi
verso oriento, ma verso l' una delle parti la-
terali * tale appunto era la situazione doi due
poeti, che camminando verso la parte meri-
dionale avevano l'oriente alla destra (cfr. la
nota al v. lld). — 120. Inflno ad essa ecc.
finché non sia giunto sulla buona via, gli par
di fare un cammino inutile. — 121. dOTe la
rugiada eco. Lana: «in luogo, dove per
fteddura e bassezza di luogo -lo raggio del
sole non avea anoor resoluto la rugiada, quasi
a dire: all'ultimo termine di quell'isola».
— 128. ad^ressai spira il rscso (ofr. Jn/*.
xm 87). — 126. lesTentite : efr. Ji/: xix
180. — 126. di ina arte: del fine di quel-
l'atto, di dò che Virgilio intendeva Une. —
127. le gaanee lagrlmos*: le guance che
portavano ancora i segni deOe lagrime Tei>>
sate neU' infamo. — 128. falri ai ftee eoo.
cosi lavandomi con le mani il volto, 'Vigilio
liberò il naturale odore dalle sovrappodzioni
caliginose, ohe vi si erano fermate sopra du-
rante il viaggio per l' inferno. — 181« elie
mal eoo. il qual lido non vide mai appro-
dare, navigando per le acque, uomo alcuno
che pd riuscisse a tornare indietro (cfr. Inf,
XXVI 141). — 188. QnlTl eco. Sulla riva dd
mare Virgilio mi cinse con unpuneo sdUstfo,
seguendo gli ammonimenti di Oatone (tt. 94
e segg.). — 184. fctise: colse Boe^iendda
di mezzo agli altri giuncht — 186. l'vMlle
pianta eoo. Dante applica al giunco, simbdo
ddl'umiltà, dò che Virgilio dice dd xmmo-
soelli d'oro staccati da Enea (Eh, vi 148):
« Primo avulso, non defidt alter Aurens; et
simili frondesdt virga metallo » ; non senza
un significato allegorico per ricordare ohe la
grazia divina, 09de procede all' uomo l'umiltà
dd cuore, è inesauribile.
PURGATORIO - CANTO II
279
CANTO n
I dne poeti itando sulla spiaggia dell' isola vedono arrivare una navi-
eclla gnidata da an angelo, dalla qnale discendono molte animo giunto per
tal modo al purgatorio: tra esse Dante riconosce quella del suo amico Ca-
sella, che intnona un dolce canto d'amore, interrotto da Catone venuto a
rimproverare le anime dell' inutile dimora [10 aprile, verso le 6 antimerid.].
Già erft il aole all'orizzonte giunto,
lo cui meridian cerchio coperchia
8 Gterusalem col suo più alto punto,
e la notte che opposita a lui cerchia
uscia di Gange fuor con le bilance,
6 che le caggion di man quando soperchia;
si che le bianche e le vermiglie guance,
là dove io era, della bella Aurora
9 per troppa etate divenivan rance.
Noi eravam lunghesso il mare ancora,
come gente che pensa suo cammino,
12 che va col core, e col corpo dimora;
II I. tìià erft eoo. Dante e Viigilio sono
usciti airaperto giungendo nell* isolettft tra
lo 4 0 le 5 antimeridiane, doò qnalohe tempo
prima del sotgeie del iole (ofr. Pmg, 1 19):
noi colloquio con Catone e nell'andare alla
■piaggia hanno oonsnmato un pò* di tempo,
ad ora siamo Toreo le sei del mattino, essendo
già il sole sall'orizEonto: ofr. Moore, p. 76. H
poeta, al solito, determina il tempo in modo
imaginoeo, dicendo che il sole già era spun-
tato sull'orizzonte del purgatorio, il qnale
essendo anche orizzonte di Qenisalemme ha
nn dxoolo meridiano il coi zenit o puntopiu
aUo sta sopra a qoeeta città: da dò segue ohe,
essendo Toiizzonte del purgatorio comune a
Gerusalemme, i due luoghi sono antipodi (ofir.
Pivy, IT 67 e seg.). — 4. e la motte ecc. La
determinazione astronomica contenuta in que-
sti Tersi è fondata sopra un'opinione erronea,
che Dante professaTa (cfir. Purg. xzm 1 e
segg.)i dod ohe Gerusalemme fosse, quanto
sUa longitudine, equidistante dalle sorgenti
deU' £bro e dalle foci del Gange e ohe tra
questi due punti della terra fosse una distanza
di 180 gradi; oosf ohe, secondo Dante» l'oriz-
zonta orientale di Gerusalemme era una stessa
cosa con il meridiano delle fod del Gange,
dò posto, egli pezsoniflca la notte, imaginan-
do eh'tila giri diametralmente opposta al sole,
opposUa a lui e^rcAis, e passi sucoessiTamente
per tutti i punti della volta celeste sebbene
diffonda la sua oscurità su tutto l'emisfero
superiore; e determina il tempo dicendo che
allora essa iuoia di Cfange^ cioè appnriTa al-
l'orienta di Gerusalemme, oon le bilanoe doò
nd segno della libra (nel quale la notte ò
quando il sole ò in Aiieta, nell'equinozio di
primaTora), dal qual segno osco, cadendole di
mano le bilance, quando soperchia^ quando
essa ò più lunga del giorno, doò dopo l'equi-
nozio di autunno, perché allora il sole entra
nella Libra e questa costellarione non ò più
nell'ambito della notte. — cerehia : cfr. Pwrg,
xiT 1. — 7. sf eÌM le bianche eco. Accenna
poeticamente ai tre colori che appariscono
nd dolo al mattino : il bianco dell'alba, il
vermiglio dell'aurora, e il giallo aurato che
accompagna l'apparire del sole. G. Albini,
Ltot, p. 16: « NotoTolissimo ò come a Dante,
oosl adoperando Io figure mitologicho con
ardimento quad eccedente la consuetudine
di esd gli antichi, succeda di dare alle ima-
glni un senso di vita per cui egli, pid che
personificare, umanizza ». — 9. per trop-
pa ecc. perché essendo passato qnalohe tem-
po inoomindava ad apparire il sole: cfr.
Boco. Dee g. m, introd. : « L'aurora già di
Tenniglia cominciaTa, appressandod il sole,
a dlTenir randa » : sull'agg. raneio cfr. Inf,
xzm 100. — 11. eome gente eco. nell' incer-
tezza di chi non sapendo qual Tia d pren-
dere desidera andare o intanto sta formo;
cfir. L. Puld, Mcrg, xxvui 81 : « E come pe-
regrin rimaso in Tia, Che Ta pur sempre 44
280
DIVINA COMlfEDIA
ed ecco, qtial sul presso del mattino
per li grossi vapor Marte rosseggia
15 giù nel ponente sopra il suol marino,
cotal m'apparve, s'io ancor lo veggia!,
tin lume per lo mar venir si ratto
18 che il mover suo nessun volar pareggia:
dal qual com'io un poco ebbi ritratto
l'occbio, per domandar lo duca mio,
21 rividil più lucente e maggior fatto.
Poi d'ogni lato ad esso m'appario
un non sapeva die bianco, e di sotto
24 a poco a poco un altro a lui uscio.
Lo mio maestro ancor non fece motto
mentre che i primi bianchi apparser ali;
27 allor che ben conobbe il galeotto,
gridò: € Fa, fa che le ginocchia cali;
ecco l'angel di Dio, piega le mani:
nio cammin diritto Col pensier >, e la nota
al T. 183. — 18. ed «eeo eoo. e snMtamente
m*appar7e uno iplendoze ImidiioBO, come
quello dol pianeta Marte, aUoiohó all'aTrid-
nanl del mattino, nell'aurora, appare roeeog-
giante veno occidente por i vapori densi dai
quali ò circondato. Questo ò il senso chiaris-
simo della comparazione ; ma non ngoalmente
sicnra è la lezione : poiché inrece di sul presso
dèi mattino (cosf lessero Benr., Bnti e i più
dei moderni) altri leggono sorpreso dal mot"
Uno (doò sopraggionto dalla Inoe dinma sol-
1* orizzonte), altri suol presso del mattino (e
intendono poi al t. 14 rosseggia come nn
infinito, por rosseggiare)] ma la lezione più
comnne e più semplice d in questo caso la
migliore. A questo modo, osserra il Blnnc,
sono secondo l'uso di Dante accennate tatto
le circostanze: perché Marte rosseggia più
del solito al mattino, quando s'alzano le neb-
bie; quando egli sta verso occidente, poiché
in oriente il sole lo renderebbe invisibile;
quand'egli si trova prossimo alla superfido
del mare, ove più densi sono i vapori. — 14.
per 11 grossi vapor eoo. Dante stesso nel
Oonv. n 14 scrive: < Marte dissecca e arde le
cose, perché il suo calore d simile a quello del
faoco, e questo ò quello per che esso appare
affocato di colore, quando più e quando meno,
secondo la spessezza e rarità delli vapori che
il seguono, li quali per loro medesimi molte
volte s'accendono, siccome nel primo della
Meteora è determinato * : cfr. Par, zrv 87. —
15. gli Bel ponente: nelle parti ocddentali;
c£r. 0. Villani, Or. i 7: « Atalante abitò in
Africa giù nel ponente, quasi di contro alla
Spagna». — 16. s'io aneor lo vegglat cos£
lo possa rivedere quel lume I Dante augura a
sé stesso la salute deU' anima; perché non
avrebbe veduto un'altra volta l'angelo noo-
oldsro, se non andando al purgatorio, che è
luogo di salvazione. — 17. «■ lane eoe Que-
sto lume, ohe si mostra a Dante nell' immen-
sità del mare e avanza cosi rigidamente che
nessun vdo può uguagliare la sua celerità,
d la prima apparizione, ancora indistinta per
la grande lontananza, dell'angelo nocchiero, la
coi figura si va via via determinando man
mano ch'ei s'awidna alla spiaggia, finché
appare in tutto il divino s^endore del suo
aspetto che Dante non può sostenne. — 18.
ehe U mover ecc.: ofr. dò che dice dèlia
barca di Flegias, JH/. vm 18 e segg. — 21.
rividil ecc. lo rividi di'era già divenuto più
luminoso e più grande, perché s'era awid-
nato alla spiaggia. — 22. Pei d'ogni ecc.
Alla destra e aUa sinistra del lume Danto
incomincia a distinguere una massa bi^^Tlfn^
quella delle ali, e poi a poco a poco un'altra
massa bianca, quella delle vesti, nella parte
inferiore. — 26. Lo mio Maestro eco. Vir-
gilio non pariò sino a tanto ohe ebbe rìoo-
noeduto sicuramente la natura di qoeU'ap-
paririone; ma quando t primi bianchi ovvero
le masse bianche apparse già ai lati del lume,
doè della faccia angelica, si dimostrarono i^er-
tamente per ali, egli riconobbe qudla figura
per un angelo e gridò a Dante d'inginoc-
chiarsi in atto di preghiera. — 27. galeeite:
cft. Inf. vni 17. — 28. Fa, f!s eke le glnee>
ehla eco. Come davanti al messo oeleste, ve-
nuto ad aprire la porta della dttà di Dite
{Inf. IX 87), e innanzi a Oatone custode del
purgatorio {Putg. i 61), Virgilio fa inginoc-
chiar Dante all'apparire dell'angelo nocchie-
ro; aggiungendo di piegare le mani, in atto
PURGATORIO - CANTO H
281
GO ornai vedrai di si fatti ufficiali.
Vedi che sdegna gli argomenti umani,
si che remo non yuol né altro velo
88 che l'ale sue tra liti si lontani.
Vedi come l'ha dritte verso il cielo,
trattando l'aere con l'eterne penno,
86 che non si mutan come mortai pelo >.
Poi come più e più verso noi venne
l'uccel divino, più chiaro appariva;
89 per che l'occhio da presso no'l sostenne,
ma chinai '1 giuso; e quei sen venne a riva
con un vasello snelletto e leggiero,
42 tanto che l'acqua nulla ne inghiottiva.
Da poppa stava il celestial nocchiero,
tal che farla heato pur descritto;
45 e più di cento spirti entro sediòro.
€ In exitu Israel de Egitto »,
oantavan tutti insieme ad una voce,
48 con quanto di quel salmo è poscia scritto.
Poi fece il segno lor di santa croce;
di progUera, per dimoetiazione deDft xlveien-
a dovuta ài divino mioiftro. — > 80. ornai
?«drai eoo. d'aia innanzi Tediai freqnente-
aeote di ootali ministri di Dio; inCrtti nel
raglio deiree^axione i dne poeti vedranno i
dB0 eagéU dalle verdi vesti disossi dal dolo
ecmtro il serp«ita tentatoce a difesa delle
soine deU'antipiiigatorio (Aify. vm 26-42,
M-106), l'angelo che sta dia porta del pnr-
fstoiio {IStrg. xz 78 e segg., 106 e segg.)* i
•ette angeli dascono a gnaidia di ano dei
■ette oerohl (f^. ni 79-99; xv 28-86; xvi
144; zvn 44-57, 67-69; zxx 40-48; zxn 1-6;
xsv 183-164; zzvn 6-18) e quello ohe sta
fra l'ultimo cerchio e il paradiso terrestre
{Purg. xxvn 66-98). — 81. sdegna gli argo-
venti eoo. non fo nso di quelli stnunenti,
di coi gli nomini si servono per navigare ; si
che in nn viaggio cosi lungo egli non adopera
«hri remi o altre vele ohe le sue ali. — 88.
tra mi tf IraUnix dalla foce del Tevere
all' isola del purgatorio: ofr. t. 100 e segg.
— 86. trattABde eoo. agitando l'aria con le
penne eterno, non soggette ai cambiamenti
come quelle de^ uecelli della terra. — 88.
rseeel élvlne: l'angelo di Dio, cosi detto
perché aveva le afi: con la stessa immagine.
Stazio diiama il dio Morourio (7V&. i 292)
inpiger alta e (SUv. i 2, 18) votue&r TBgtaH-
«M. ~ 89. l'oechlo eoe 1 miei occhi, che
trevano potuto guardailo mentre era lontano,
Don sostennero la vista della facda luminosa
delTangdo aflorohé ta vicino. — 41. vaselle
flec : è il iJNxs Ugno o vwoello (ofir. Inf, xzvm
79) già aooennato a Dante da Oaronte (efr.
Inf, m 98), chiamato aneUtUo per la sveltezza
della forma e l'agUità dei movimenti, e leg^
gierOf perché correva a fior d'acqua sebbene
fosse carico di anime. —42. tante eke l'aeqea
eco. cosi che non s' immergeva nello aoque,
ma i^pena le sfiorava; proprio fl contrario
dell' ontioa prora di Fleglas (fitf, vm 29 e
segg.). — 48. n eelestial neecUerei que-
st'angelo ohe ha per ufficio di trasportar le
anime al regno della purifloasione, è l'anti-
tesi di O9mDt»,nnoeehi0rdeUaUHdap(andé,
che porta le anime nd regno dell'eterna dan-
nazione (ofr. Inf, m 82-111). — 44. tal clie
farfa eoo. tale, doè con aspetto e atti di cosi
divina maestà, che solamente descritto, sen-
z'esser veduto, fkiebbe beato ogni uomo. La
lezione di questo verso non é ben sicura ;
che altri leggono: Tal eh$ pafda beato per
iaeritiOj interpretando : tale che pareva avoro
scritta in viso la beatitudine. — 46. sedière :
sedevano (Benr. : < tederò prò atdebant >); in-
atti ha dimostrato il Parodi, BulL m 127,
IX 108, òhe eedUro è nna forma d' imperfetto,
come Mcttmo. — 46. In eziti ecc. È il prin-
cipio del Salmo czrv, assai opportunamente
messo in bocca alle anime che venivano al-
l'opera della loro puiiflcadone per rendersi
degne di salire al dolo; perché, neU'usdta
del popolo d' Israele daU' Egitto, dice Dante
(Cbnv. n 1) che e spiritualmente s* intende
che, ndl'usdta dell'anima del peccato, si ò
fatta santa e libera in sua podeetade ». — 49.
Poi fece ecc. Appena la navicella ò giunta
282
DIVINA COMMEDIA
ond'ei si gittàr tatti in su la piaggia,
51 ed ei sen gì, come venne, veloce.
La turba che rimase li selvaggia
parca del loco, rimirando intomo
54 come colui che nuove cose assaggia.
Da tutte parti saettava il giorno
lo sol, ch'avea con le saette conte
57 di mezzo il ciel cacciato il Capricorno,
quando la nuova gente alzò la fronte
vèr noi, dicendo a noi : € Se voi sapete,
60 mostratene la via di gire al monte >.
E Virgilio rispose : « Voi credete
forse che siamo esperti d'esto loco;
63 ma noi siam peregrin, come voi siete.
Dianzi venimmo, innanzi a voi un poco,
per altra via, che fu si aspra e forte
66 che lo salire omai ne parrà gioco ».
L'anime, che si f^ di me accorte,
per lo spirare, ch'io era ancor vivo,
69 maravigliando diventare smorte;
e come a messagger che porti olivo
alla rìra, le anime intaonano il oantioo della
liberazione e l'angelo impartisoe loro la be-
nedizione: poi eaee scendono prestamente
folla spiaggia e il divino nocchiero riparte
con la velocità stossa con eoi d venato. ~
60. si glttAr eoo. : cfir. Inf, m 116 : « glttansi
di quel lito ». »61. ed el len gi ecc.: os-
serva U BartoU, Si, deUa letL U., voL V, p.
182, che « nel numero del verso o' ò tatta la
rapidità del volo > ; a qnel modo, aggiungasi,
ohe nel silenzio e negli atti dell'angelo è
tutta la maestà della soa natora e del sno
officio divino. — 62. La tarba eoo. La mol-
titodine degli spiriti, por allora giunti al pur-
gatorio, pareva non avere alcuna conoscenza
del luogo e dò dimostrava col riguardare al-
l' intomo in cerca della via, come fa chi si
trova innanzi alle novità. — selvaggia: Ven-
turi 294: « Ardita estensione del senso pro-
prio; ma efficace e giusta, in quanto l'idea
che si unisce alla voce tdoaggi» va congiunta
con quella d' ignoranza ». H Torraca cita op-
portunamente questo posso di Gino da Pistoia:
« Selvaggia... doò strana D'ogni pietà di cui
siete lontana ». — 66. Da tutte parti ecc. Il
sole, che coi suoi raggt luminosi avea sospinto
oltre il meridiano tutto il segno del Capri-
corno, essondo salito di nove gradi sull'oriz-
zonte diffondeva la sua luce su tutte le parti
dell'emisfero australe: era, secondo i cal-
coli astronomici, poco pi6 di mezz'ora che il
sole era sorto, oioò le soi e mezzo antim. (cfir.
Della Valle, B sento geogr, osfcnm., p. 96, e
Moore, p. 77). — 66. saette eoate: rag^t
luminosi, chiari. — - 67. di mezzo U elei ecc.
Essendo il sole nel segno dell'Ariete aveva
innanzi a sé il segno del Oaprioomo, U quale,
oltrepassato il meridiano, andava desinando
di mano in mano che il sole asooideva. —
68. la naeva gente! gli spiriti arrivati al-
lora. — 62. esperti: conoscenti, pratici del
purgatorio. — 63. ma ■•! slam eoo. Dante,
V. N. XL 80, dice che in largo senso e ò pe-
regrino chiunque d fbori de la sua patria »;
definizione ohe bene s'accorda col senso di
straniero dato a tal voce qui o in l\0y, xm
96, Bar, vi 186. — 66. per altra via ecc.
per un altro cammino tanto malagevole e dif-
ficile (cfr. Inf, n 142), che ormai d parrà fa-
cile e piacevole la salita del monte. — 68.
per le spirare: per U respirar, per Vailo della
gola (cfr. Inf, xzui 88), le anime riconoscono
che Dante ò ancora vivo e impallidiscono per
la meraviglia mista al timore. — 69. marar
vigllaade ecc. Albini, p. 26 : « Verso n^
presentativo stupendo che tornerà a mente,
come il resto del passo, a un passo del canto
quinto », cioè al Purg. v 4-9, 26-27. — 70.
come a messagger eoe La comparazione è
tratta non tanto dal ricordo dei luoghi classici,
ove ò accennato questo uso antichissimo di
portare l'olivo per segno di pace (Virgilio, En,
vm 116, XI 100, Stazio, Teb, n 889), quanto
dalla consuetudine dei tempi di Dante, nei
PUBGATOBIO - CANTO H
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72
76
78
81
84
87
traggo la gente per udir novelle,
e di calcar nessun si mostra Bchivo,
cosi al viso mio s'affissar quelle
anime fortunate tutte quante,
quasi obbliando d'ire a iaxBÌ belle.
Io ridi una di lor trarsi davanie
per abbracciarmi, con si grande affetto
cbe mosse me a far lo simigliante.
O ombre vane, faor cbe nell'aspetto 1
tre volte retro a lei le mani avvinsi,
e tante mi tomai con esse al petto.
Di Qiaraviglia, credo, mi dipinsi;
per che l'ombra sorrise e si ritrasse,
ed io, seguendo lei, oltre mi pinsL
Soavemente disse cb'io posasse;
allor conobbi chi era e pregid
ohe per parlarmi un poco s'arrestasse.
Bisposemi: « Cosi com'io t'amai
foaU]
Tottro «m Mgiio in guMn di Itoto no-
moftia U Boti! «al BtMO oh»
Ttené 00* FiiUto ognuno li li tpp^)Minu^ por
wtftt noréOo,». • dico «^ foris «Nw, oome
è US» foiindo lignifloa oom d'aUegioBEa,
ooBO vittori», poco ot aoqoifto di tene e d-
bIU 0000 >. Nei cnniirti medioeTili l'nianza
è ■oiionnete ipeMo; p. ee. O. Villani, Or, xn
106: « Xeiidonno lettere e meeil oon olivo al
noetzoCoBiineeeqneUodiPenigi»»; Agno-
lo a Tu», Or, Mi».in Mnr., Ber. IT. IX 128:
< Seneei si iérmazo e QaeroU groesa... e poi
Intmo in Siena con gli nliri oon grande
onow»; B. della Pngliola, Or.boLin Mor.,
Bit. ìL XVni463: < Venne in Bologna nn
nmwn da JlreDie ooU'nliro in mano e disse
ohe Voltarra era data al oomnne di Flrenxe ».
^ 75. f nasi eoo. Questo reno, lodato dal
Ventali 272, oome e nn gioiello di semplicità
dolce e serena », rloorda qnel deQ' Inf, xxviu
64,-76. «nn di lor eoo. L'anima, ohe stao-
fffffAìri dalla oompagnfa delle altre muove
per àbIiraoGiar Dante, d quella di Casella, del
qoale dioe TAn. fior. : « Fne Casella da Pi-
gtoin grandinimo mnsioo et massimamente
nell'arte dfèDo 'ntonare; et fb molto dime-
stioo deU'antore, però che in sna giovinezza
fece Dante motte canzone et ballate che que-
sti intonò; et a Dante dilettò forte l'udirle
da lui et massimamente al tempo ch'era in-
nanozato di Beatrice o di Fugoletta [cfr.
Avy. -»"f" 60] o di quella altra di Casentino >:
y.^^^ e Ott nulla dicono della patria di Ca-
tella; Benv., Case., Land, e quasi tutti i mo-
derni lo ftumo iorentino: in Siena viveva
nel 1282 nn OamBa homo euHoif che d detto
iMhe OommUa d$ FkfrmUia ; forse V amico
di Dante, vissuto nella seconda metà del
secolo zm e venuto a morte parecchio tempo
(cfir. V. 9A) innanzi al 1800. — 79. 0 ombre
vane ecc. Quanto alla natura del ooipo tri-
buito dal poeta alle animo cfir. la spiega-
zione messa in bocca a Stazio nel Purg.
zxv 79-108; qui basti avvertire che in più
luoghi Dante mostra d'avere imaglnato que-
sto corpo oome fittizio (cfir. Inf, vi 86, Purg,
XXX 182, XXVI 18 eoo.) e ohe descrivendo
gli abbracciamenti suoi con Casella si ò ri-
cordato di Virgilio, En, vi 700 : e Ter oo-
natus Ibi collo dare biaohia droum; Ter fru-
stra oomprensa manus effugit imago, Par lè-
vibus ventis, voluorique similllma somno >.
Albini, p. 26: < Bsempio di quel che sia l'imi-
tazione nei sommL Un poeta minore, lascia-
tosi sopraiEare alla compiacenza dell'arte, un
poeta che nella sincera e calda invenzione
non avvolgesse temperandoli e sommettendoli
ai nuovi gli elementi rinnovati, diflSdlmente
qui intralasciava di compiere la ripresa del
motivo epico, di un' ombra non potuta ab-
bracciare, oon le imagini omeriche e virgi-
liane del soffio e del sogno ... Dante prendo
dal primo verso tr$ volU ecc. ma poi, perché
qui bisognava succinta vivezza e non poetico
ornamento, seguita e chiude di suo, e tante
nd tomai eoo. ». — 82. Di Baravlglia eco. Nel
mio volto e nei miei atti dovettero apparir se-
gni di meraviglia; per la qual cosa Casella
sorrise del mio errore. — 88. si ritrasse: si
tirò indietro, allontanandoei un po' da me. —
8A. mi plnsi: mi avanzai, accostandomi a lei.
— 88. Cosi som* io ecc. Come io t'amai noi
mondo, cosi t'amo ora che sono sciolta dai le-
gami corporei: affettuose parole che bene ri-
284
DIVINA COMMEDIA
nel mortai corpo, cosi t*amo sciolta;
90 però m'arresto: ma tu perché vai? >
€ Casella mio, per tornare altra volta
là dove son, fo io questo viaggio,
93 diss'io; ma a te com'è tanta ora tolta? »
Ed egli a me: € Nessun m*è fatto oltraggio,
.se quei, che leva e quando e cui gli piace,
96 più volte m*ha negato esto passaggio;
che di giusto voler lo suo si face:
veramente da tre mesi egli ha tolto
99 chi ha voluto entrar, con tutta pace;
ond'io ohe era ora alla marina volto,
dove l'acqua di Tevere s'insala,
102 benignamente fui da lui ricolto.
A quella foce ha egli or dritta l'ala;
però che sempre quivi si raccoglie
105 qual verso d'Acheronte non si cala >.
gpeoohiano V afléttaosa memoria che Dante
BOibava di Casella, dal quale nel mondo do-
veva essere stato ricambiato di calda e vera
amicizia. — 91. Catella mio eoo. Amico mio,
lisccio qnesto viaggio per i regni eterni per
poter poi tornar qni, in loogo di salate, quan-
do sarò morto. — per tornare eco. Dante
accenna più volte apertamente che il Une del
suo viaggio d di acquistare la salute del]*a-
nima imparando a vivere virtuosamente (cfr.
Jnf, xxvm 48, Purg, v 61, xxvi 68, txx 136
eoe). — 93. a te eom' è tanU ora tolta f
oome mai, essendo tu morto da qualche tompo,
sei pervenuto solamente ora al purgatorio?
perché ti ò stato tolto un tempo prezioso per
Tospiazione dei tuoi peccati? Questa è Tin-
terpretazione data dai più autorevoli commen-
tatori antichi, Lana, Ott, Pietro di Dante,
Benv., Buti ecc., e moderni, Biag., Costa,
Tomm., Bianchi, Scart eco. La lez. ifa a («
eom'srts tanta terra tottaf ohe vorrebbe dire:
Come mai ti era impedita, sino a poco fti,
questa terra meravigliosa del purgatorio?, già
nota ai commentatori antichi e difesa, tra i
moderni, dal Lomb., d oggi abbandonata dai
pid. — 94. KessBB B* è fktto ecc. Dante ima-
gina che quelli che muoiono riconciliati con
Dio si raccolgano alla fooe del Tevere per
passare al purgatorio e òhe l*angelo nocchiero
trascelga, secondo i meriti di ciascuno, quelli
che vuole accogliere nella sua navicella nei
singoli passaggi. Casella, morto qualche tempo
innanzi al 1800 (An. fior, dice: e crono pas-
sati pl6 mesi ch'egli era morto »), non fu ac-
colto subito dall'angelo, il quale anzi pi6
volte gli negò il passaggio; finché nel tempo
dol Giubileo, avendo l' angelo trasportato
quanti vollero entran nella baraa, anoho Ca-
sella potè passare al purgatorio. — 96. f«el,
che leva ecc.: cftr. VbgiBo, Bfm, vi 815:
e Navita sed tristis nuno hos, nono aeoipit
Olos ». — 96. pli volto eoo. L'Idea di qna^
ritardo pud essere stata soggedta a Dante
dalla finzione mitologica delle animo tratto-
nute pid o meno lungamente all'una riva di
Stige prima di eesere trasportato all'altra;
finrione accennata da Virgilio, Em, vi 818 o
segg. — 97. A4 41 giasto eoo. penAé la
volontà dell'angelo procedo daBa giusta vo-
lontà divina. — 98. da tre Mesi eoo.: dal
giorno di natale del 1299, in cui era comin-
ciato il giubileo di Bonifazio Vm (cfr. Imf.
zvm 28), al 10 aprile 1300, giorno in cai
Casella arrivava al purgatorio, erano appunto
passati poco pid che tre mesi (ma non ancom
quattro), durante i quali Tangelo sonsa ta/ro
alcuna scelta aveva accolto nella sua nave le
anime ohe volevano passare, pokSàé tutte par-
tecipando alle indulgenze giubilari erano de-
gne del passaggio. — lui tolto... eoa tatta
pace: ha accolto senza opporre alcuna diffi-
coltà. — 100. era ora eco. era giunto già
alla spiaggia, presso la quale 0 ftome Tevere
entra nel mare. Benv. osserva: e per quod
intelligit quod erat oonvorsus ad obedientiam
romanae ecdesiae». — 102. fai... riooRo:
ftii preso dentro alla barca. Si noti il parti-
colaie uso che gli antichi flacevano dol vb.
rioogliere a denotare Tatto del prendore su
una cosa, sollevandola da terra (c£r. Inf, m
69). — ice. À quella fooe eco. I^ si ò in-
dirizzato ora con rapido volo alla foco del
Tevere. — 104. sempre qairl eoe. quivi con-
vengono da ogni pule del mondo lo
PURGATORIO — CANTO U
2So
Ed io: € Se nuova legge non ti toglie
memoria o uso all'amoroso canto,
108 ohe mi solea quetar tutte mie voglie,
di ciò ti piaccia consolare alquanto
l'anima mia, che, con la sua persona
IH venendo qui, è a£Eannata tanto ».
€ Amor ohe nella mente mi ragiona »,
cominciò egli allor si dolcemente
114 che la dolcezza ancor dentro mi suona.
Lo mio maestro ed io e quella gente
oh'eran con lui parevan si contenti,
117 come a nessun toccasse altro la mente.
Noi eravam tutti fìssi ed attenti
alle sue note; ed ecco il veglio onesto,
120 gridando : € Che è ciò, spiriti lenti ?
Qual negligenza, quale stare ò questo?
Correte al monte a spogliarvi lo scoglio,
123 ch'esser non lascia a voi Dio manifesto ».
Come quando, cogliendo hiada o loglio,
li colombi adunati alla pastura,
126 quoti senza mostrar l'usato orgoglio.
teHnato «1 poigstoiio, oone soUe rive d' A-
cÉeraato le aniae dannata (ofr. £*f, m. 121-
128). — 106. nvoT» legge: prescrizione ino-
roflto aUft nuora condizione di Casella e delle
altre anioM yennte nel purgatorio. ^ 108.
che ■! selen eoo. Dante, Obnv. n 14 scrive
che la « miiaica trae asé gli spiriti nomni, che
sono qoasi principalmente vapori del onore,
■f ohe qnad cessano da ogni operazione, sf
è l'aninin intera qnando l'ode, e la virtà di
tatti [gU spiriti] qnaai corre allo spirito sen-
sibile che riceve il soono ». Il Boccaccio,
Vita di DcmU, | 8, racconta: « Sommamenl^
si dilettò in suoni e in canti nella saa gio-
vinezza, e a dascimo che a qne' tempi era
ottimo cantatore o sonatore ta amico e ebbe
soa nsanzn; e assai cose, da questo diletto
tirato, oonpoa», le quali di piacevole e mae-
itievole nota a qioeatleotalillMea rivestire».
— 111- fUiwii 4«lt percorrendo l' inferno
per gimngere al purgatorio. ^ 112. ÀMor
dM Bella MWti ecc. È questo il principio
di UM cassone di Dasle, la quale il poeta
iwi>n.^itA nei Obne. m 2-10, cercando di pro-
fare dM le lodi deQa donna in essa conte-
■sto sono le lodi déUa Ulosofla e conchiu-
4sado eon calda panda di eccitamento agli
wamàai afflndié vogliano onorare i fllosofl e
■tguima gl'insagnaniantL Fu composta non
■Dito 4opo il 1294, e Mmoto, come allora
iieovasi, o maslcats da Casella, secondo dko
, ^ cagtklii. Lana, Ott, Benv^ •
perold da lui cantata nel purgatorio più toeto
ohe qualunque altra delle canzoni dantesche.
— 114. che la delcezsa eoe : cfr. Piar, xxm
128: e cantando si dolce Che mai da mo non
d parti U diletto». - U7. aeae a aessaa
ecc. come se noi non avessimo altra cura oho
rattendere a quel canto. — 119. ed ceco 11
veglie eoo. quando d' improvviso apparve
Catone, ronorando vagUardo, a rimproverarci
del nostro indugiate. —12L ^aal negligenza
eoe: cfr. Virgilio, J^ vi 872: « Festinato,
viri, nam quae tam sera moratur Segnities? ».
— 122. le seeglios Lana: « lo peccato ohe
oscura si ogni cogniziono d'anima, che la
somma felicità per essa non pud essere co-
gnosduta » : il nome soogUo^ che vale pro-
priamente scaglia, scorza, integumento (cfr.
P. Crescenzio, Agricoltura v 8 : e le avellano
manifestano la loro matnritade, quando dai
loro scogli si partono ») e qui ò usato a indi-
care il peccato che avvolge come rigida scorza
le anime, era già oscuro agli antichi; tanto
che Benv. l'interpreta per e saxnm et onus
vitiorum, quod pergravat animam ad ima » :
ma nei poeti del seo. xm è usato abbastanza
frequentemente anche in senso figurato ana-
logo al dantesco (cfr. Parodi, Bull, m 166). —
124. Coma quando eoe Come i colombi, quan-
do, raccolti per il pasto, si stanno, senza il
mormorio e la vivacità abituale, beccando gra-
nelli di biada o loglio, se appare cosa alcuna
ohali^avanti abbandonano d'improvviso il
286
DIVINA COMMEDIA
129
138
se cosa appare ond*elli abbian paura,
subitamente lasciano star Fésca
perché assaliti son da maggior cura;
cosi vid'io quella masnada fresca
lasciar lo canto, e gire in vèr la costa,
come uom che va, né sa dove riesca:
né la nostra partita fu men tosta.
dbo, aoallti dal pensiero di metterai in salvo
eoo. — 180. fieli* ■>■■><> eoo. ^ella oom-
pagnfa di leoente arriyata: il nome momaiei,
ohe signifloò in origine la famiglia di un nKMwo
o podere oonoesso da un signore, assonse pre-
sto nella nostra lingoa il senso generico di
oomitiva o compagnia, ohe ha qoi e in Inf,
X7 41. — freseat giunta di fresco, di recente
(cfr. 1x(, xiY 42). — 182. OMM aoa eoo. :
cfr. Dante, F. ^. zm 19: e mi faoea stare
qoasl come colni, ohe non sa per qoal via
pigli il suo cammino, e ohe ynole andare •
non sa onde se ne Tsda»; Petrarca, son. znn
7: € Vommene, in guisa d'orbo, senta looe.
Che non sa ore si Tada e por si
Frezzi, QiMuirJr. i 8: e Come ohi va né sa
dorè cammina >. — 188. b4 te B«str* eoo.
né io e Virgilio indugiammo a partirci. Oa-
BOTTa il GiuL ohe nei limproreri di Catane
alle anime, rimaste inopportanamente e troppo
a lungo intente al canto di Casella, DsAte
Tuoi porre innansi al pensiero del lettore ohe
reoceaslTo e inten^estlTo amore del diletti
terreni, per quanto pori e innocenti, può di-
stogliere 0 impedire l'uomo taH cammino ohe
deve percorrere seguitando t^iiMU •
(^. zxviiaO).
CANTO in
Volgendo i loro passi verso il monte, i dne poeti ancora Incerti suite
via da segaire vedono venire nna compagnia di anime, con le quali si oni-
scono procedendo verso il calle per salire al purgatorio : intanto nna di
qaeste anime si manifesta per quella del re Manfredi e parte di sé e delte
tua condizione [10 aprile, ore sei e mezso antimeridiane].
Awegna che la subitana fuga
dispergesse color per la campagna,
8 rivolti al monte, ove ragion ne fruga,
io mi ristrinsi alla fida compagna;
e come sare'io senza lui corso?
6 chi m' avrla tratto su per la montagna?
Ei mi parca da sé stesso rimorso:
m 1. ATTegia che ecc. Sebbene la foga
improvvisa per i rimproTexi di Catone {Puirg,
u 190-182) disperdesse per la campagna o
pianura dell' isola la oomitiTa delle anime
fermatesi ad ascoltare il dolce canto di Ca-
sella, le quali corsero tutte verso il monte
del purgatorio, io nondimeno non fuggii, ma
mi avvicinai di pid a Virgilio per averne
consiglio. — 8. ove ragion ecc. ove la giu-
stizia divina d punisce e con la pena ci pu-
rifica; cosi intesero 1 più dei commentatori
dal Lana e da Benv. al Lomb. e al Tomm. :
ma il Bati, seguito da molti moderni, come
Biag., Bianchi, GiuU, intende: la ragione
unuuia, che sollecita e stimola le anime al-
Topera della purtflcailone. — ftraga t il vb. /hi-
gam noli' Inf, xzz 70 è detto deUa e rigida
giustizia » divina, e certo nel sento di punire;
e qui secondo la varia intarpretasione dello
parole precedenti è spiogato nel signifloato di
punire o in quello di eooltsre, ttiatolare. ~
i. mi rlstrUsl ecc. mi tonni vicino a Vlr»
gilio, mia fedele compagnia : si noti l'oso del
nome vmipagpM o compagnia (ofr. Fmg, zzm
127) per indicare la persona ohe & compagnia;
che trova riscontro nell'uso ohe Danto fa del
nome teorin {Inf, xn 64, xx 26) per designare
Virgilio. — 7. Bi na pare* eoe. : Vizg^ di-
mostrava d' essere pentito dell' indugio seb*
bene i rimproveri di Catone fossero stati ri-
volti alle anime, non a lui ; e questo fktto
trae sulle labbia di Danto una »»^*— ««^f asa-
PUEOATORIO - CANTO HI
287
o dignitosa coscienza e netta,
9 come t'è picciol fallo amato morso!
Qaando li piedi suoi lasciar la fretta,
che l'onestade ad ogni atto dismaga,
12 la mente mìa, che prima era ristretta,
lo intento rallargò, si come vaga;
e diedi il viso mio incontro al poggio,
15 che inverso il ciel più alto si dislaga.
Lo sol, che retro fianmieggiava roggio,
rotto m'era dinanzi, alla figura
18 eh' aveva in me de' suoi raggi l' appoggio.
Io mi volsi da lato con paura
d'esser abbandonato, quando io vidi
21 solo dinanzi a me la terra oscura;
e il mio conforto: € Perché pur diffidi?
a dir mi cominciò tutto rivolto;
24 non credi tu me teco, e ch'io ti guidi?
Yespero è già colà, dov' è sepolto
tam, ndla quale ò con nofyità attoggUto un
po' direnamenta il penaiero di Gioranale,
8aL un 140: «Omiia animi yitiam tanto con*
ipMtiiis in w Oriman habet, quanto maior
qoi peocat habetor ». — 8. • Algnltoia eoo.
0 anima noUle e pua, quanto amaro ximoiso
ta aoiti aaohe dei pioooU&Ui! Sizioordila
TBKgognA di Dania per easeni tmttennto ad
aaoolttfe il contrasto fra due dannati della
decima bolgia e le parole ohe Virgilio gli dioe
ia qodl'oooaa&one (Inf, xzz 133 e segg.). ~
K). Qvuéo 11 fledi eoo. Qaando Virgilio in-
eomìnoiò a rallentare il passo, lasciando qoella
fretta che to^ decoro ad ogni atto del-
l'amo eco. Bart da San Conoordio, Amf
mtmtr. dtj^ mMoM, td 1 : «Nel morimento
e nell'andare e na^ atti ai debbo tenere one-
itlL n soperbo si dUstta dello sraziato andare;
roomo disonesto nell'andare si mostra». — 11.
dlnuigAt il Tb. éumagam (efr. Inf, xxr 146
e I\rg. to. 20) Tale in questo luogo : toglie-
rà, tu Tenix meno. — > 12. la BMnte eoo. la
mU mente, die prima era tutta raccolta in un
•do pensiero (quello dell'amico Casella e dei
limpiuTeri di Oatone), allargò di nuore l'in-
tento, ritornò a pensare al viaggio e al luogo,
oome quella ch'era desiderosa di redere e co-
noscere nuore cose: intnUo qui e altroye
(F. N. zix 90, Aify. zvn 48) significa il pen-
Bflto in quanto ò rivolto a un determinato
obUetto, che in questo caso era il viaggio;
oQsf bene intesero e spiegarono gli antichi
eoflosentatoii (Lana: € la mento s'allargò nel
pdmo proposito e cominciò a rendersi attenta
aloammino»; Bali: « rallargò s6 a lo intento,
flioè a la natoiia intesa, dee ritornò alla ma-
tsna presa a tiatt»»» eoe). — 14. diedi U
viso : rivolsi gli oochl verso il monto. — 15.
che Uverso eoo. : il purgatorio ò detto in
Piar, xxYi 139 il « monto che si leva pid
dall' onda > ; il quale riscontro mostra ohe il
verbo di$lagani significa innalzarsi in messo
al lago, alla distesa delle acque che droon-
dano la montagna del purgatorio (ofr. anche
Inf. zxvi 188). — 16. Lo sol eoe H sole,
che dietro a noi fiammeggiava rosso, come
suole al suo primo levarsi sull'orizzonto, da-
vanti a me, oioò sul suolo, era interrotto per
l'ombra coxrispondento al mio corpo, sul quale
i raggi si posavano : modo imaginoso di dire
che r ombra, che si stendeva iniiansi sul
snolo, aveva la Agora del corpo die la proiet-
tava, e interrompeva la luce ohe illuminava
il suolo stesso. — 16. roggio t ofr. Btf, xi 78,
Ar.xivd?. — 17. alla flgira eoe secondo la
iigora dd mio corpo eco. —19. Io mi volsi ecc.
Allorohó vidi la terra oscura sdo dinanzi a me,
to mi veld dalla parto ove prima solca esser
Virgilio, temendo di essere rimasto sdo. Dan-
to, non vedendo ombra corrispondento alla
figura ddla sua guida, e non pensando che
Virgilio era puro spirito, non poteva credere
altrimenti; e cedendo all' impulso del timore
d vdto a guardare paurosamente se egli
Pavesse abbandonato. — 22. il mie conforto :
Virgilio, cod ohiamato anche in I^trg. ix 43.
— 24. me teso : che io sia ancora teco. —
26. Tesporo è già ecc. H corpo, oho awol-
gevami facendo ombra, è rimasto nell'Italia
meridlonde, ove adesso è già U vespero,
cioè dopo le tre pomeridiane (ofr. Moore, p,
77): infatti, se al purgatorto sono le sd e
mezzo antim. e per conseguenza a Qerosalem-
me le id e masso pomeiid^ a Napoli, dttà
288
DIVINA COMMEDU
lo corpo, dentro al quale io £stcea ombra:
27 Napoli l'ha, e da Brandizio ò tolto.
Ora, se innanzi a me nulla s'adombra,
non ti maravigliar più che de' cieli,
80 che l'uno all'altro raggio non ingombra.
A sofferìr tormenti, caldi e geli
simili corpi la virtù dispone,
33 ohe, come fa, non vuol che a noi si sveli.
Matto è chi spera che nostra ragione
possa trascorrer la infinita via,
86 che tiene una sustanzia in tre persone.
State contenti, umana gente, al quiaf
che, se potuto aveste veder tutto,
89 mestier non era partorir Maria;
e disiar vedeste senza frutto
tai, ohe sarebbe lor disio quotato,
42 eh' etemalmente è dato lor per lutto:
io dico d'Aristotele e di Plato
e di molti altri » : e qui chinò la fronte ;
oooidaBtalo lispetto a Oonualemme, stianno
leoiedelTMpeio: dcfr. andieAMy.xvG.— >
27. H*poll l'In eoo. Baooontano Donato e
Srvtoiiio nelle loro biografie di Virgilio, ohe
il oorpo del poeta morto a Brindisi ta ta^
sportato a Napoli per ordine di Angusto (cfr.
iWy. TU 6) e sepolto in nn tamnlo onorato
snUa via di Ponaoli (ofr. Oomparstd, Virg.
nd tmdùmot n 46 e segg. e Feignot, Beohtr-
ehmmtrÌBkm^becmdóVwfiU, Bigione, 1840).
— Brmnilxlet xidnsUme medloenJe (cfr. .fii-
UUigmuMf 121, Q. Villani, O. i 12, ti 46
eoo.) del lat. Brundutium^ none della dita
ore mori Virgilio. ^ 28. Ora, se lanansl eoo.
Però, se ta non vedi aloona ombra stendersi
ianansi a me, non devi meravigliarti, come
non ti mermrigli dei cieli, ohe essendo dia-
fani non ii^edisoono il passaggio dei raggi
InadnosL <— SI. À seYlsrlr eoo. L'onnipo-
tenia difina dispone tkiUH corpif doò le for-
me ooxpoiee simfli alla mia, a sofldre i tor-
menti, il caldo e il freddo, come se fosssro
corpi sensibili. — 88. ehe^ eome fl^ ecc. la
qnide non vnole ohe sia manifesto agli no-
mini il modo del sno opersre. — 84« Matto
è eoo. Oolni ohe spera di poter pervenire con
la rsgione a conoscere V impenetrabile opera
della divinità, nna nella saa essensa e trina
nelle persone, è motto, doò fbori di rsgione.
— 86. ehi tlMe eoo. ofr. Cono, n 6 : < la
Maestà divina è in tre persone ohe hanno
una sostanza >. — 87. Slate eonlenti eoo.
Oli nomini si contentino di sapere ohe le cose
sono, sema voler investigare il perohó delle
cose stasse; quando seno tali che non si possa
assegnar loto nna rsgione o esosa certa, bi-
sogna confessare ohe sono sopranatonli e
ohe non se ne pnd aver notizia se non psc
la fede. — 88. eh^ se petalo eoo. perohó,
se gli nomini avessero potato oonosoere chia-
lamento tatto le cose, se Dio avesse voluto
die le conoscessero, non avrebbe proibito al
primo uomo di gustare il frutto dell' albero
della eden» e cosi non sarebbe stato neoee-
sarlo che nascesse Cristo per rsdinMie l' ama-
nita dal peccato originale. Altri intendMio:
Se gli uomini avessero potato oonosoere tatto
con la rsgione naturala, non. sarebbe biso-
gnato che Cristo venisse al mando por dare
loro la fode; ma osserva Bsnv. : « credo quod
prima expositio slt magis de intantione poetae,
quia Thomas de Aquino, quem ipso satis se-
qnitnr in divinis, tenet quod si Adam non
pecoasset non oportebat Chiìstum nasd, nam
ubi non est plaga, non est opus medicina;
sed unusquisque suo ingenio teneat quam qpi-
nionem vult». —40. e disiar eco. Virgilio,
a maggior conferma delle sue parole, dta
r esempio dei filosoil dell'antiohità, dioendo :
Voi vedesto desiderare inntilmento di oono-
soere la ragione delle cose tali uomini, fllo-
soA d' ingegno oasi grande e profondo, che,
se fosse stato possibile alla mento umana rag^
giungere questa cognizione, avrebbero sodi-
sfatto il loro desiderio ; U quale invece è dato
loro etomaimtnto per pena, poich6 wMxa sps-
fiM vivono in 4ÌM>(Jfi/l IV42). —48. d'Ari-
stotele e di PUlot ofr. Mf. IV 181, 134. —
44. e di Moltl altri t accenna agii altri savi,
ohe frano corona ad Aristotele nel limbo
PURGATORIO — CANTO 111
289
45 e più non disse, e rimase turbato.
Noi divenimmo intanto al pie del monte:
quivi trovammo la roccia si erta
48 che indamo vi sarien le gambe pronte.
Tra Lerici e Turbia, la più diserta,
la più romita via è una scala,
51 verso di quella, agevole ed aperta.
« Or chi sa da qual man la costa cala,
disse il maestro mio fermando il passo,
51 si che possa salir chi va senz'ala? »
E mentre ch'ei teneva il viso basso
esaminando del cammin la mente,
57 ed io mirava suso intomo al sasso,
da man sinistra m'appari una gente
d'anime, che movieno i pie vèr noi,
CO e non parevan si venivan lente.
« Leva, diss' io, maestro, gli occhi tuoi :
ecco di qua chi ne darà consiglio,
GB se tu da te medesmo aver no '1 puoi ».
Guardommi allora, e con libero piglio
rispose : € Andiamo in là, eh' ei veguon piano ;
(MA IT ldO-144). — 45. rlmMo tubato : U
toiUmeato di Virgilio procede dal pensiero
d' essere anch' egli ano dei savi escloai per
tempre dalla dttà santa..— 46. dlTeAlmmo:
cfr. htf, ziT 76. — 48. indarno ecc. inatàl-
mmte s'avrebbe aynta prontezza di gambe a
Eslira; perché l'erta era ti rapida ohe sarebbe
Insognato volare (cfr. v. 64). — 49. Tra Le-
rlei ecc. Lerici, antico castello sol golfo della
Spezia, e Tnrbia, borgata del territorio niz-
zudo, segnavano e s^Tiano ancora, Tono a
oriente e V altra a occidente, i confini della
lignzia marittima : ai tempi di Dante le strade
OQirentì tra i monti scoscesi delle dne lUviere
gBooresi dovevano essere molto difflcili e fa-
ticose (cfr. Any. XV 25) ; però egli ne trae
u' opportuna comparazione a dare un' idea
della salita del poigatorlo, dicendo che la piò
ripida e aspra via della Ligoria ò agevolo e
piana al paragone di quella del monte sacro ;
cfr. Bassermann, pp. 846 e 881. — 51. verso
di: cfr. Inf. zmv 59. — 52. da q«al man
eoe. da quale parte, se a destra o a sinistra,
la costa del monte discende meno erto, si
de ri possiamo salir noi? — 54. ehi ta
Mu'àla : cfr. Purg. iv 27. — 56. E mentre
«e Mentre Virgilio teneva gli occhi volti a
iena, pensando intomo alla Via che dovo-
Ta&o prendere, e io guardava in alto intomo
■loonte oeroando quasi di scoprire una sa-
lita agevole^ dalla nostra sinistra apparve una
Miieia di anime ohe procedevano lentissi-
Damtb
mamente. Dante, descrivendo l'apparizione di
questa schiera, vello accennare in quale at-
teggiamento fossero egli e Virgilio, per gin-
stificaro l'invito rivolto al maestro (w. 61-68) :
perciò pormi che la vera ledono sia quella
dol testo, perché con essa ò espressa Tanti-
tosi tra le situazioni rispettive doi due viag-
giatori ; mentre ciò non si avrebbe più con
la vulgata: Emmtre ehe, tmmdo il viso basso,
Esaminava del cammin la mentef Ed io mi-
rava ecc., con la quale anche si rende più
difficile l'interpretaziono del verso 56. — 56.
esaminando ecc. essendo la sua mente oc-
cupata a considerare la difficoltà del cammino.
Su questo verso variamente interpretato, si
cfr. la Corrispondmxa letiararia inedita di
G. Ooxati, O, Omnari è O. Fiatriarchi intomo
un passo delia Die. Gotnm., Padova, 1863.
— 58. una gente: la prima sóhlora incontrata
dai due pooti nell'antipurgatorio ò quella di
coloro che essondo morti pentiti e riconciliati
con Dio, ma fuori della grazia della Chiesa,
devono orraro fuori del purgatorio per un
tempo trenta volto maggiore di quol che vis-
sero scomunicati. — GO. e non pareTsn occ
0 non sembravano nò pure in movimento,
tanta era la lentezza del loro cammino. •—
63. se tn ecc. se non riosci da te medesimo
a trovare il modo di salire. — 64. con libero
pigilo: con sembìanto franco e lieto, come
di colui che non s'olTendo degli avvertimenti
onesti e si rallegra di ossor aiutato da altri
l'J
290
DIVINA COMMEDIA
G6 e tu ferma la speme, dolce figlio ».
Ancora era quel popol di lontano,
dico dopo li nostri mille passi,
G9 quanto un buon gittator trarrla con mano,
quando si strinser tutti ai duri massi
dell* alta ripa, e stetter fermi e stretti,
72 come a guardar, chi va dubbiando, stassi.
€ 0 ben finiti, o già spiriti eletti,
Virgilio incominciò, per quella pace
75 ch'io credo che per voi tutti si aspetti,
ditene dove la montagna giace,
si che possibil sia l'andare in suso;
78 che perder tempo a chi più sa più spiace ».
Come le pecorelle escon del chiuso
ad una, a due, a tre, e l'altre stanno
81 timidette atterrando l'occhio e il muso;
e ciò che fo la piima, o l'altre fanno,
addossandosi a lei s'ella s'arresta,
84 semplici e quete, e lo 'mperché non sanno :
si vid'io movere a venir la testa
di quella mandria fortunata allotta.
noi suoi dabbt. •— 66. ferna 1» ip«me: laf-
fonna la tna speranza d'aver consiglio da que-
ste anime riguardo alla via. — 67. Ancora
eoo. Dopo che noi ayemmo fktto nn miglialo
di passi, qnelle anime erano ancor Ivngi da
noi un baon tiro di sasso, allorché si raccol-
sero insieme presso ai macigni del monte e si
fermarono le une accanto alle altre, come so-
gliono fermarsi a guardare i passeggìeri im-
pauriti. Meravìglia e timore cagionarono Tatto
di questo anime : meraviglia di vedere i due
poeti che movevano in direzione contraria a
quella che ò usuale nel regno della purifica-
zione, dove si procede sempre da pìnistra
verso destra ; timore, vedendo ohe essi corre-
vano fhinchi e sicuri verso di loro e igno-
rando quali fossero le intenzioni dei due sco-
nosciuti. — 69. m bion gittator : nn uomo
valente a lanciar sassL — 7S. 0 ben flnlil
eoo. Virgilio per rinftanoar subito quelli spi-
riti dice parole per le quali essi possano ri-
conoscere che i due viaggiatori sono spinti
a muover loro incontro da buone intenzioni :
e li chiama ben finiHy perché morti nella
grazia di Dio, ed eMt», perché fatti degni
dell' etoma beatitudine. — 74. per qvella
pAce ecc. : ofir. Purg. v 61. — 76. giace :
cfr. la nota all'In/', xxra 81. — 78. perder
tempo ecc. Bella e vera sentenza, nella qnale
si raccoglie tutto ciò che Dante dice qua o
là per il suo poema intomo alla cura che
l'uomo deve avere del tempo (ofr. Inf, n IS-
IS, Airi;, ni 84, xvn 88-90, zvm lOB-105,
XIX 129-181, xxni 6-6, xxiv 91-93, Far, xxvi
4-6) ; e ben conveniva questa sentenza in bocca
a Virgilio, che aveva scritto (En. x 467) :
e Stat sua cuique dios; breve et irreparabile
tempus, Omnibus est vitae ; sed fkunam exten-
dere Cetctis, Hoo virtutis opus ». — 79. Goaie
le pecorelle ecc. É questa una delle più cele-
brate comparazioni dantosohe, si ò viva la
pittura che il poeta con cura scrupolosa dei
piti minuti particolari seppe ùao di nn fktto
comune, ma per sé stesso singolare e difficile
a rappresentare con misurata parola. H gorme
della comparazione è già nel Con», i 11:
« Questi sono da chiamare pecore, e non no-
mini : che se una pecora si gitiasse da una
ripa di millo passi, tutte l'altre V andrebbono
dietro ; e se una pecora per alcuna cagione
al passare d' una strada salta, tutte l' altre
saltano, eziandio nulla veggendo da saltare :
e i' ne vidi già molte in uno pozzo saltare,
per una che dentro vi saltò, forse credendo
saltare uno muro, non ostante che il pastore,
piangendo e gridando, colle braccia e col
potto dinanzi si parava ». — 81. atterrando
tonendo gli occhi e il muso verso la terra.
— 86. teita : la prima linea di una schiera.
— 86. mandria : cosi chiama la compagnia di
quelle anime, non tanto per rimembianza bi-
blica (Geremia xm 17, Luca xn 82, Gio-
vanni X 1-18, AUi degli Jp. xx 28X quanto
per aver paragonato il loro avanzare al cam-
S7
93
C3
OG
09
102
106
PURGATORIO - CAirro in
pudica in faccia, e nell* andare onesta.
Come color dinanzi yider rotta
la lace in terra dal mio destro canto,
si che l'ombra era da me alla grotta,
restaro, e trasser sé indietro alquanto,
e tutti gli altri che venleno appresso,
non sapendo il perché, fanno altrettanto.
€ Senza vostra domanda io vi confesso,
che questo è corpo uman che voi vedete,
per che il lume del sole in terra è fesso.
Non vi maravigliate; ma credete
che, non senza virtù che dal ciel vegna,
cerchi di soperchiar questa parete ».
Cosi il maestro; e quella gente degna:
« Tornate, disse, intrate innanzi d'iuquo »,
coi dossi delle man fìtcendo insegna.
Ed un di loro incominciò: € Chiunque
tu se', cosi andando volgi il viso ;
pon mente, se di là mi vedesti unque ».
Io mi volsi vèr lui, e guardai '1 fiso :
291
niBar delle pecore, — Allotta i ofir. Inf, xzi
112. — 88. Oe»e «olor eco. Le anime della
pràu fila Tedendo die la fignia di Dante get-
tava ombi» ani asolo a' acconezo ch*egli era
Tiro, e per la grande merariglia ai f enna-
roBo e ai ritraaaero nn po' indietro imitate an-
Uto da quelle delle rimanenti file che igno-
nrano la ragione di quell'atto. — retta: cfr.
i TT. 15-18. — 89. dal mio deatro «ante :
i due poeti avevano alla deatza il monte e
•Ha ainiatra il aole ; però 1' ombra di Dante
B atandeva Terso deatra, da lai alla monta-
gna. — 94. Bensa Toatra eoo. Virgilio, a to-
glier ogni ragione di timore o di meraviglia
in quello anime, dice loro ohe il ano com-
pagno è vivo e ohe a'aooinge a aaliro al por-
gatorioperconoeaaione divina. — 96. èftai^x
è interrotto. — 99. di aepereklar ecc. di
superare qneato monte, erto oome una pare-
te. — 101. Tarmate eoo. Voltatevi indietro e
procedete «^"«"»<»^"^ innami a noL — 109.
cel deaal eco. accennando, col rivolgere a
■ci \ dosai delle mani, che dovevamo cammi-
nara nella loro staaaa direnone, oioò girando
intorno al monta dalla parto deetra. — 102.
laatgaa: aegno, cenno; aenao generico che
spesso gfi antichi tziboivano a qneata vooe
(cfir. Pmg, zzn 124). — 108. Kd «a di loro
eoe. Uno di qnelli apiriti invita Danto a goar-
daxk), ponendo mento ae mai l'aveese veduto
nel mondo; ma il poeta dopo averlo bene
osservato gli dice di non averlo mai cono-
schito, e aUoaa Taltio ai rivela per Manfredi.
figlinolo naturale di Federigo II e di Bianca
Lancia, lianfredi nato intomo al 1232, allor-
quando mod ano padre tonno con forto mano
il regno finché fa venato dalla Germania ad
aaanmome 11 governo il fratollo Corrado IV ;
alla morto del quale, ai fece incoronare re di
NapoU e SidUa e rease lo Stoto dal 1258 ni
1266; ma non riusd a placare la Corto ro-
mana, la quale spinse contro di lui Carlo
d' Angiò (ofir. Purg, vu 113), inveatito di quel
regno da demento IV U 25 febbraio del 1265:
Carlo entrò nel territorio napoletano e il
26 febbraio 1266, aconfiBae a Benevento Teser-
dto di Ifanfiredi, ohe mori valoroaamonto sai
oampo (cf^. O. Di Ceaare, Storia di Manfredi
n di SieiUaédi PugUa, NapoU 1887). G. Vil-
lani, Or. VI 46, ne fa questo ritratto : e Man-
fredi. . . fb bello di corpo, e, come il padro
e più, diaaoluto in ogni lossoria : aonatore e
oautotore era, volentieri si vedea intorno
giooolari e uomini di corto e belle concubino,
e aempro veatio di drappi verdi ; molto Tu
largo e cortese di buon aire, ai che egli era
molto amato o grazioso ; ma tutto aua vita
fu epicuria, non curando quaai Iddio nò aanti,
se non a diletto del corpo. Nimico fu di
santo Chiesa e de' oherid e de' religiod, oc-
cupando le chieae corno il auo padre, e piò
ricco signore fu, ai del teeoro ohe gli rimase
dello 'mperadore e del re Currado ano l^tollo,
si per lo auo regno, che era largo e fruttaoso :
e e^, mentre che rivetto, con tutto le guerre
eh' ebbe colla Chiosa, il tenne in buono aUto,
292
DIVINA COMMEDIA
biondo erft e bello e di gentile aspetto;
JJJ ma l'un doccigli un colpo avea diviso.
Quando io mi fui umilmente disdetto
d' averlo visto mai, ei disse : € Or vedi »,
1 1 1 e mostrommi una piaga a sommo il petto.
Poi sorridendo disse: € Io son Manfredi,
nipote di Costanza imperadrice;
Hi ond'io ti prego cbe, quando tu riedi,
vadi a mia bella figlia, genitrice
dell' onor di Cicilia e d'Aragona,
8( che 'I montò molto di ricchezze e in podere
por mare o per terra ». — 107. Mondo ecc. :
uos£ Saba Halaapina, Hiai. rer. sto. in Mar.,
Jìer. U. Vm 880, deeorìve Manfredi : e Homo
aavos, amoena Hicie, aspeota pladbilis, in
maxillis mbeos, ocolis sidereia, per totom
niveos, statara mediooris ». — 108. mm l'vm
oco. ma*4a bellezza del ano volto era detar-
pata da ana ferita al ciglio d'an occhio (cfr.
▼. 118). — 109. mi fui disdetto eoo. ebbi
affermato di non averlo mai rodato : il yb.
disdire nel senso di negare è anche nel Cbnv.
IT 8: < io, che in questo caso allo imperlo
rererenzia avere non debbo, se la disdico,
irriverente non sono. — 112. lorridendo :
Lomb. : « H parer mio sarebbe che sorridesse
Manfi^di per sappor Danto persoaso, colla
cornane degli aomlni, die non potess' egli ee-
ser salvo ; e peroiò viene sabito a diohiarar-
gli come ottenne da Dio perdono delle sae
colpe » ; e già Benv. aveva inteso ohe Man-
fredi sorridesse « qoia salvas erat, qaod Dan-
tos non patabat ». — 118. nipote eco. nipote
di Costanza, moglie di Arrigo VI e madre di
Federico II (efr. Ar. m 118 e sogg.). Se-
condo alcani commentatori imagìna Danto
ohe Manfredi non ricordi il padre, perché ciò
avrebbe richiamato alla mento degli altri l'il-
legittima saa nascita. — 116. mia beUa figlia
ecc. la figlia di Manfredi, anch'essa nominata
Costanza, andò sposa a Pietro m re d'Ara-
gona, al qaale partori tre figliaoli, Alfonso,
Giacomo e Federico (cfr. Aify. vn 112 o segg.).
Scrive di lei M. Amari, Laguerra dèi vespro
tioil», voi. n, p. 824 : « Tra qaestl e qaantl
altri, o saddlti o principi, fturon grandi ne'
fatti nostri di qael tempo, sospinti da ambi-
zione a vizi non senza gloria, spicca la can-
didissima fama della regina Costenza, avve-
nente della persona, bellissima d' animo, per
le care virtù di donna e madre, e credente
nel vangelo. La fine di Manfredi avvelenò il
fior degli anni saoi ; poi, s'ella vide ponito lo
stermlnator del sangae avevo e libera la Si-
cilia, ebbe a tremape ad ogni istante pe' saoi
più cari ; pianger la morto di dae figliaoli, la
nimistà d' altri dae ; né troppo la poteano
far lieta le nozze della figlia neU' abbonita
casa d'Angiò. Naoqae e Ai educata in Pm-
termo : tornata ta SioilU per ti rare vicende,
la governò dòloemente dopo la partenza di
Pietro : dettò alcuna legge ohe non è per-
venata a noi ; fb amorevole coi sodditL . .
Non ebbe ambisiooo, lasciando prima a Pietro,
poi a' figlinoli, la corona di Sicilia, oh' em
soa se si potea rivendicare per diritto : n6 tal
moderazione naoqne da pochena d'animo in
costei, che ben seppe in perioolodnlmi tempi
provvedere alla difesa della Sldlia, e dna
volte oon molta destrezza salvar Ifedezigo
da'partigiani di Oiaoomo. Qnetata la ooadanzn
oon la benedizione papale, poeate poco ap-
presso le tempeste di Sicilia, l' anno mede-
simo 1802, finf i saoi giorni in BaroeUona, ove
attendeva a frkbbricar monasteri e ad altre
opere che cristiana piota la saggeriva nella
vecchiezza ». — 116. delPener eco. ; Gli an-
tichi commentatori concordemente intesero
che qoi fossero accennati i dae figli di Co-
stanza viventi nel 1800, Oiaoomo n re d'An^
gona e Federigo n re di Sidlia (cfr. Purg,
vn 119>; ma alcani moderni, considerando
che Danto noi Oon, rr 6 enei De mdg. eHoq,
I 12 biasimò Federico, e tatti e dne i fratelli
censarò aspramente nel Pw, zxx 130-188 co-
me cattivi principi, giadicarono che fosso ac-
cennato il primogenito Alfonso m (cfr. Pmg,
vn 116). Ma si consideri ohe qneeto parole
sono poste da Dante in bocca a Manftodi, il
quale parla di dae nipoti, meritevoli della saa
lode perché entrambi tennero la Siollia contro
gli angtoùìi, e s'intenderà ohe la sola inter-
pretazione giosta ò qaella degli antichi. Si
noti ancora il riscontro, certo casaale, tm il
verso dantesco e il verso di nn' iscrizione
metrica agrigentina del 1298, ove la madre
di Giacomo II e di Federico II è ohiamata *
Fulgidior mAé gemina OonatanOa prole (cfr..
F. Testa, De vUa ei rebus gesHs F^tdmioi H
SicUias regis, Palermo, 1776, p. 286). 8. Fer-
rari, Led, p. 28: «In qaesto determinare Co-
stanza come madre di dae re, pad darsi ohe
ohe vi sta ana periftasi che in qaei tempi
era di colore storico, dacché, a qoanto aiCer-
ma G. Villani nella Or, vn 77, il marito, por
di Costanza, si era fktto intitolare jmt i^
PURGATORIO - CANTO III
293
117 e dìchi il vero a lei, s* altro si dice.
Poscia chT ebbi rotta la persona
di due punte mortali, io mi rendei
120 piangendo a quei che volentier perdona.
Orribil furon li peccati miei;
ma la bontà infinita ba si gran braccia
123 che prende ciò, che si rivolge a lei
Se il pastor di Cosenza, che alla caccia
di me fu messo per Clemente, allora
126 avesse in Dio ben letta questa faccia,
l'ossa del corpo mio sarieno ancora
in co* del ponte presso a Benevento,
129 sotto la guardia della grave mora.
Or le bagna la pioggia e move il vento
giadrìa, Pietro éPAragona eaioatten epadn di
ém n é tignon dsl nnmdo ». — Clelll»:
cfr. W- zn 106. — 117. s'altro il dlee:
•• nel mondo oozxe di me altra funa, cioò
che MiBiìdo morto loomiinioato non possa
e»ere in luogo di salvazione. Oorse però ao-
ch0 la Tooe che Man&edi morisse pentito di-
offlìdo la Dunose paròle: Dmu, prcpitiua osto
mOd peeeatorif e sa dò fti intessnta una leg^
genda che Danto fórse non ignord : ofr. F.
Norwti, Indagmi eposUUe doniesehSy Bologna,
1899, pp. 117 e segg. e D' Ovidio, pp. 67-68.
— 118. tbèi rotta eoo. ebbi ferito il corpo
di due oolpi mortsli. Tono al volto (cf^.
T. 106), raltro a sommo il petto (efr. v. Ili) :
i cronisti ohe piil minatamente raccontano le
Tioende della battaglia di Benevento, come
G. Villani, Or, vn 7-9, non accennano alle
ferito riportato da Manfredi, raccogliendo solo
la voce allora corsa oh*ei fosse ucciso da ano
floodiero fjranocse. — 121. Orrlbll turon
eco. : cf^. le parole del Villani riferito al v. 103.
— 123. éhe preade ecc. che volentieri acco-
glie tatti coloro che si rivolgono pentiti a lei.
— 124. Se 11 pastor ecc. Bacconta Q, Vil-
lani, Or, vn 9, che pregando i baroni fran-
eeei il loro re di dare onorata sopoltora a Man-
fredi, € imperò eh* era scomonicato non volle
Il re Carlo che fosse recato in luogo sacro;
ma a pie del ponto di Benivento ta. seppel-
lito, e sopra la saa fossa per ciasoono del-
l'osto gittate ona pietra, onde si fece grande
Biora di eas^: ma per alcuni si disse che poi
per mandato del papa il vescovo di Cosonza
il trasse di quella sepaltara e mandoUo fuori
del Begno, ch'era terra di Chiesa, e fti se-
polto hmgo il fiume del Verde a' confini del
Begno e di Campagna : questo però non affer*
■liamo. Danto adunque raccogliendo queste
•voce fia dire a Manfredi : Se il pastore di
Cosenza, che U pi^ Clemente IV spinse a
perseguitarmi oltre la tomba, avesse cono-
sciuto quella pagina delle sacre scritturo ove
si legge ohe Dio accoglie i pentiti che si ri-
volgono a lui, non avrebbe fatto disottorraro
il mio corpo. — pastor di Gosensa : Barto-
lommeo Fignatolli, cardinale e arcivescovo di
Cosenza dal 1264 al 1266 (ofr. Ughelli, BaUa
sacrciy IX 215); secondo altri fu invece il suo
suooessoie (cfr. BuU. U 61, 163). — 126.
Clemente: il pontefice Clemente IV (1266-
1268). — 126. tacita fisccla: quella pa-
gina del vangelo, che 4ice ((Giovanni vi ^ :
« Tutto quello che il Padre mi dA verrà a
me, ed io non caccerò fuori colui che viene
a me ». Altri intondono : questo aspetto di
Dio, doò la misericordia grande verso chi
muore pentito. — 127. l'ossa ecc. : del sep-
pellimento di Manfredi scrive Mauro da Pog-
gibonsi, 0 chiunque sia l'antico versificatore
del Tesoro : « E per ciò oh* egli era scomoni-
cato Non fu sepulto in sagrato : A capo del
ponte a Benevento Fu sotterrato e messo
bene adrento, £ fa fatto di ronohioni in me-
moria Altura Orando acervo sopra la sua so-
poltora». — 128. in eo'del ponte ecc. ò
spiegato dalle parole di G. Villani, a piò del
ponte di BeniverUo : H eo' del ponte (cfr. Inf.
XXI 64) è la teste o l'estremità del ponto, es-
sendo eo' uno de' riflessi del lat. caputa che
Danto usa nel senso della forma più comune
eapOf in più luoghi (cf . Inf, xx 76, Piar, m
96). Questo ponto è quello della Maorella sol
Calore ; cfr. Bassermann, p. 267. — 129. mora :
ammasso di piotro (cfr. Diez 217); noteva
su queste voce il Borgh. : e è in uso ancora
de' nostri lavoratori che una massa di fra-
sconi chiamano mora^ e di qui è morioeiaf
che vale quo' monti di sassi che da' lavora-
toli si fanno per nettare i campi d' intomo,
o in una parto più comoda », e all' esempio
di G. Villani, Or, vu 9, qoest'altro oggiun-
294
DIVINA COMMEDIA
di fuor del regno, quasi lungo il Verde,
dovrei le trasmutò a lume spento.
Per lor maledizion si non si perde
che non possa tornar l'eterno amore,
mentre che la speranza ha fior del verde.
Ver è che quale in contumacia muore
di santa Chiesa, ancor ohe al fin si penta,
star gli oonyien da questa ripa in fuoro
per ogni tempo, ch'egli è stato, trenta.
132
135
133
141
145
in sua presunzion, se tal decreto
più corto per buon preghi non divento.
Vedi oramai se tu mi puoi fax lieto,
rivelando alla mia buona Costanza
come m' hai visto, ed anco osto divieto ;
che qui per quei di là molto s* avanza ».
gora di M. Villani, O. m 8 : < bene dna
braccia si alzò la mora delle pietre sopra il
corpo morto del loro senatore >. — 181. qvatl
Imago il Verde : ò antica la divergenza de-
gli interpreti a questo passo : il Lana, corto
leggendo qtuui hmgo il v&rd6f spiega: «lo
fé' tórre e gittarlo fuori del regno alla ma-
rina dove le onde yerdi dell'acqua bagnano
la terra > ; Pietro di Dante ed il Buti dicono
il Verde essere un affluente del Tronto, fiume
che segna il confine del regno di Napoli con
le Marche, e furono seguiti da molti moderni,
Vent, Lomb., Biag., Tomm.; Benr. invoco
dice essere il fiume Liri nella Campania, e
la sua opinione fu difesa dal Blano, mentre il
Bassermann, pp. 269-272, ha sostenuto, con
buone ragioni, trattarsi precisamente del Ca-
stellano o Suino, affluente del Tronto (cfr.
Par. vm 63). — 132. a lame ipeoto: An.
fior. : « doò come si fa quando alcuno si sco-
munica, che si suonano le campane et spen-
gonsi i lumi >. — 183. Per lor ecc. Per le
scomuniche ecclesiastiche l'uomo non perde
tanto che non possa litomare a lui la grazia
del Signore (cfr. Purg, xi 7-9), finché essendo
vivo ha ancora un filo di speranza. — 135.
■«■tre che la iperaua ha fior del verde:
finché la speranza ha alcun poco di vigore,
verdeggia ancora un poco: fior è qui, oomo
in Inf. XXV 144 e xxxrv 26, un avverbio di
quantità ftequentemente usato dai nostri an-
tichi in senso di pwUOj poeo^ alquanto ecc. —
136. quale ecc. chiunque muore fbori della
comunione della Chiesa deve stare fuori del
purgatorio, ritardare doò il oomlndamento
della sua purificazione, per un tempo trenta
volta maggiore di quello eh' eg^ ò stato in
presuKxione della Chiesa, doò scomunicato.
— 138. star ecc. : anche qui risuona l'eco doì
versi di Virgilio, En, vi 827 : < Neo ripas
datur horrendas, nec rauca fiuenta Transpoi^
tare prius, quam sedibus ossa quiemnt. Cen-
tum errant annos, volitantque haec lltora
circum: Tnm demum admissi stagna exoptata
rovisunt >. — 141. buon preghi : cfr. IStry.
IV 184. — 148. Costanza : la figlia di Mau-
f^-edi vissuta, si ricordi, sino al 1802 (vedi
V. 116). — 144. osto dlTlete: la proibizione
di entrare nel purgatorio ; per toglier la qua-
le, prima del tempo proscrittomi, ho bisogno
dei suffragi dei vivi. — 145. ehé qui ecc. cfr.
Purg. IV 183, vi 26 e sgg., xi 31-86 occ
CANTO rv
Salendo per una stretta via loro additata dalle anime, i due poeti per-
vengono non senza difficoltà sopra un ripiano, ove Virgilio spiega a Dante
la posizione del purgatorio rispetto al sole : poi ali* ombra di un masso
trovano una schiera di anime, che furono negligenti a pentirsi^ e tra esse
Dante rìeonoRce quella del suo concittadino Belacqua [10 aprile, dalle nove
antim. al mezzogiorno].
PURGATORIO — CANTO IV
29l
12
15
18
21
Quando per dilettanze oyyer per doglie,
che alcuna virtù nostra comprenda,
l'anima bene ad essa si raccoglie,
par che a nulla potenza più intenda;
e questo è centra quello error, che crede
che un'anima sopr' altra in noi s'accenda.
E però, quando s'ode cosa o vede
ohe tenga forte a sé l'anima volta,
vassene il tempo, e l'uom non se n'avvede;
ch'altra potenza è quella ohe l'ascolta,
ed altra quella che ha l'anima intera:
questa è quasi legata, e quella è sciolta.
Di ciò ebb'io esperienza vera,
udendo quello spirto ed ammirando;
che ben cinquanta gradi salito era
lo sole, ed io non m'era accorto, quando
venimmo dove quell'anime ad una
gridare a noi : < Qui è vostro domando >.
Maggiore aperta molte volte impruna,
con una forcatella di sue spine,
l'uom della villa, quando l'uva imbruna,
IV 1. Qmaate eoo. Quando por Impre»-
lioni gagliardo di dolore o di piacerò, le quali
operino lopra una delle facoltà dell' anima,
l'Anima itessa ai raccoglie tatta in questa fa-
coltà, pare che non intenda più ad alcnn'altra.
— 2. eoMprenda: rìoeya in aó le impreaaioni
che operano sovra di oaaa. — 6. e qaeato
eco. e qnaato fiitto sta contro l'erronea dot-
trina professata dai platonici e dai manichei,
che ammettono la ploralità delle anime, la
Tegetativa, la aensitiya o l' intellettiva} men-
tre l'aomo ha un'alma sola (Purg, zzv 74).
— 7. però eoo. perciò, quando si ascolta o si
vede cosa che fortemente attiri a sé l'atten-
zione dell' anima, passa il tempo senza che
l'uomo se n'accorga, perohó l'anima ò tutta
concentrata nell' esercizio delle facoltà sen-
sitive e inoperosa nella feodtà intellettiva.
— 10. altra poteasa eoo. altre ò la facoltà
che ascolta o vede, altre ò quella che l'anima
serba Mfra doò inoperosa, non toccata dal-
l'impressione; e la prima è impedita e la
seconda è lihera. — 18. Di old ecc. Di questo
btto io ebU vere esperienza, ascoltando Man-
fredi (cfr. ISurg, m 112-146) e moreviglian-
domi di dò eh' egli mi dicova di sé e dei
compagni ; poiché non m' accorsi che erano
paante altre due ore. — 15. ben cinquanta
soc il sole, che percorre quindici gradi al-
l'ora, ere aalito di oltre cinquanta gradi,
doè erano ormai passate tre ora e venti mi-
nuti dal suo levarsi sull' orizzonte: al mo-
mento che Dante aveva temuto d' essere stato
abbandonato da Virgilio ere un' ore di sole
(cfir. Purg, m 25); due altre ore, adunque,
erano passate noli' andare dei poeti verso la
montagna {ISurg, m 46 e segg.), nella ricerca
di una via più agevole a salire (Airy. m 61
e segg.X noli' incontro con la schiere delle
anime (IStrg, m 64 e segg.) e nel conversare
con ICanfredi (Aify. in 103 e segg.); ofr.
Moore, p. 84. — 17. ad «nat insieme, ad
una voce ; cosi anche in Purg. xzi 85. ~ 18.
Qui à vostro donando : qui ò il luogo < dove
la montagna giace si che possibil sia l' an-
dare in suso >, oome VirgUio aveva chiesto
alle anime {Purg, m 76). — 19. Maggiore
aperta ecc. Il contadino, nel tempo che le
uve maturano, spesso con una piccola for-
cata di ^ine riserre nelle siepi che circon-
dano il suo campo un'apertun più larga che
non fosse il sentiero per cui imprendemmo a
salire. — 20. di sue spine : osserva il Ven-
turi 528: clmagine forse aoelta avvisata-
mente, in quanto colà stanno le anime che
aspettano d' ire a purgarsi, avendo differita
per pigrizia la conversione all'estremo di lor
vita >: infatti ò sentenza biblica {Prov, zv 19)
che < la via del pigro ò come una siepe di
spine». — 21. qaando l'ara imbruna: al
tempo in cui maggiore dev' essere la vigi-
lanza del pentadi no e la cure di chiuder bene
29G
DIVINA COMMEDIA
che non era la calla, onde saline
lo duca mio ed io appresso, soli,
21 come da noi la schiera si partine.
Vassi in San Leo, e discendesi in Noli;
montasi su Bismantova in caciune
27 con esso i pie: ma qui convien ch'uom voli;
dico con l*ali snelle e con le piume
del gran disio, di retro a quel condotto,
CO che speranza mi dava e facea lume.
Noi saliyam per entro il sasso rotto.
i btiohi aperti nelle siepi dai ladri. — 22.
calla: ò lo stesso ohe oalUf sentiero, e ac-
cenna come qnesto per cni saliyano Dante e
Virgilio fosse stretto e difficile, perché inca-
rato nel macigno e molto erto (cfr. yt. 81-
84). — ialUe: cfr. Bif. xi 81. — 24. cerne
occ appena le anime si furono allontanate
da noi. — il partine x se ne partL ^ 26.
Tassi ecc. Dante paragona la difficile yìa del
purgatorio alle più malagevoli che fossero ai
snoi tempi in Italia, ricordando il sentiero
intagliato nella roccia sa coi sorge il castello
di San Leo, gli scaglioni per coi si discende
dai monti circostanti alla dttà di Noli, e i
gradini onde si monta alla pietra di Bisman-
tora. — San lieo: piccola città del territorio
d' Urbino verso la Romagna, sitoata sopra
un' erta montagna alla destra del Home Ma-
rocchia; Benv. cosi la descrive: « iam satls
deserta tempore nostri pootae, et hodie plus ;
in altissimo monto sita, montibos altissimis
aggregatis circomcincta, ita quod coUigit in-
tra fortilitiam fractns et omnia necessaria
ad victom et snbstentationem homanae vitao,
sicnt Samorinom, castmm natorali sita ma-
nitisstmam ot optimum, distans a Sancto
Leone por qoataor milliaria > : cfr. 6asse>
mann, pp. 195-197. ~ HoU: piccola città
nolla riviera ligure di ponente, tra Savona e
Albenga, in fondo a un golfo circondato da
monti che al tompi di Dante rendevano diffl-
dlissimo r accedervi ; poiché si doveva di-
scendere por gli scaglioid intagliati nei monti
ertissimi, spocìalmonte il Capo Noli e 11 Mon-
te Castello, che circondano Noli come se
fosse il centro di un anfiteatro : cfr. Basser-
mann, pp. 200-202. — 26. BlsmantOfa: la
pietra di Bismantova ò una montagna di dif-
ficile accesso, por le pendici tagliato a picco,
la quale sorge neH'Àpennino nel territorio
di Roggio noli' Emilia : < Tota saxoa viva
(dico Bonv.) altissima, ita quod superat om-
nes colles 'vicinos et habot unam solam viam
in circuitu, qoam paud defenderent a tote
mando; in ooios summitate est planitìes,
quae colitur quando est opportanum, ot loca
circumvicina sunt sylvestria et aspora, onde
habitantes in plano inferìus refugiunt ad
iitom looum tatisslmum tempore belU. . • In
ista iommitato est una pars in extxemo «mi-
neni et altior ; modo viilt dioore autor qood
non solum ab homlne potest iri ad tammi-
tatem huius mentis, sed etiam ad ipsnm caca-
men particolare ». - la eaevMe : sino alla
parte eminente sulla cima di Bismantova,
notata da Benv., dod a quel punto più alto
ohe si aderge nella parte sud-ovest della vetta
formata da una specie di ripiano, come ha
osservato sul luogo il Bassermann, p. 199.
Altri leggono • in Caeume e credono che vi
sia accennato il Monte Cacume, non lungi
da Fresinone (cfr. V. Bossi, BulL V, 41-44,
112), ma il Bassermann, pp. 621-626, ha di*
dimostrato l' erroneità di questa interpreta-
rione. — 27. eoa esso 1 pU ; solamente coi
piedi, senz'altro aiuto: cfr. Pwy. zxiv 98.
— qal coarlea ecc. qui bisognava volare,
tanto diffidlo era la salita. Biag.. < È inten-
zione del poeta di mostrarci, per la difficoltà
e fatica di questa lunga salita, più assai delle
altro ripida e malagovole, la pena che ha
r uomo, neir uscir del vizio, d' entrare por
la porta della penitenza, il cui sentiero non
potrebbe snperare, se dal desiderio della fo-
lidtà e dal lume dolla ragione assistito non
fosso» U concetto di Dante risponde al-
l'avvertimento evangelico (Matteo vn 14):
«Quanto ò stretta la porta od angusta la
via che mena alla vita l e pochi son coloro
che la trovano ». — 28. dice occ bisognava
volare con le ali agili della fede e con le
piume della carità, come volava io dietro a
Virgilio, cho mi infondeva la speranza e il-
luminava la mia ragione. — 29. eoadotto:
guida, scorta; cosi spiegano Bonv., Buti, An.
fior.. Land., YelL, Dan. e quasi tutti i mo-
domi, alcuni derivando la parola da oo)ufue(tM,
agg. sostantivato, e altri da eonduetor. In-
vece Biag., Bianchi, Blanc e altri costrui-
scono : eondoUo di retro a quel eh» mi doMi
ecc., tratto dietro a Virgilio, che eoe ; ma
ò una spiegazione da dubitarne. — 81. Hol
■allfam ecc. I due poeti salivano dal piede
del monto verso il primo balzo per un sen-
tioro incavato nella roccia, stretto sf cho cam-
minando toccavano le sponde laterali e tanto
PURGATORIO - CANTO IV
297
e d'ogni lato ne stringea lo stremo,
33 e piedi e man voleva il suol di sotto.
Poi ohe noi fdmmo in sa Torlo sapremo
dell'alta ripa, alla scoperta piaggia:
36 «Maestro mio, diss'io, ohe via £ivremo? >
£d egli a me : « Nessun tuo passo caggia ;
pur su al monte retro a me acquista,
80 fin che n' appaia alcuna scorta saggia ».
Lo sommo er'alto che vincea la vista,
e la costa superba più assai
42 che da mezzo quadrante a centro lista.
Io era lasso, quando cominciai:
€ 0 dolce padre, volgiti e rimira
45 com' io rimango sol, se non ristai ».
« Figliuol mio, disse, infin quivi ti tira »,
additandomi un balzo poco in sde,
48 che da quel lato il poggio tutto gira.
Si mi spronaron le parole sue,
ch'io mi sforzai, carpando appresso lui,
61 tanto che il cinghio sotto i pie mi fue.
A seder ci ponemmo ivi ambedui
vòlti a levante, ond'eravam saliti,
54 ohe suole a riguardar giovare altruL
ttto eha UsognftTft aintani con le mani a sa-
lite. G. Picdola, LuL p. 18: «Il laoconto
deU'aaoeniione d d'una drammaticità eriden-
ta, rapida, perfetta »: al può raffrontarlo con
qaeUo dell'in^, zxiy 25 e legsr. — 8i. Poi
elM Mi eoo. Quando ftammo pervenuti al
tonnine di quella via incavata, sopra il ri-
piano superiore dell' alta ripa ohe ooetituiBOO
la base del monte, ripiano ohe si stende al-
l' ^erto eoo. L' aUa tipa ò la base del mon-
to; la quale nella parte superiore si syUuppa
oon un <]TÌo o ripiano, che forma una aoopeirta
viaggia^ uno spario ove texmina la via inoa-
Tito. — 87. HesSBB tao eoo. Dante aveva
chiesto da qual mano avrebbero preso sull'orto
«MprwNO della ripa, e Virgilio risponde ammo-
nsndolo di non volgersi né a destra nò a si-
nistn (Benv. « maggia idett dedinet in dexte-
nuD vd sintotrsm >), ma di continuare a sa-
lire su verso il monte. — 88. aefuista: pro-
cedi, avanza ; cfir. Inf, xxvi 186. — 89. al-
ena Morto saggia: qualcuno ohe sappia
gnidarci al purgatorio. — 40. Le sommo
•T'aito eoe La cima del monte era tanto
alto ohe la vista non la disoemeva: ofr.
▼t. 86-87. — 4L 0 la OMto eco. e il fianco
^ monte aveva un'inclinazione maggiore
di 46 gradi : il qmàranU i il quarto del cir-
colo e gli corrisponde 1* angolo retto ; alla
metà del quadrante corrisponde quindi l'an-
golo di 46 gradL ~ 44. dolce padre : uno
dei più affettuosi modi coi quali Dante desi-
gna Virgilio ò questo di dolce padn (ofr. Inf.
vm 110, Puirg, xv 25, 124, xvn 82, xvra IS,
rxm 18, xzv 17, xzvn 62), usato di prefe-
renza neUa seconda cantica. — 46. io ri-
mango eoo. io resterò addietro, se tu non
ti fermi ad aspettarmi. — 46. inda qaivi
eco. sfòizati di pervenire sino a cotesto balzo.
— 47. nn balzo ecc. uno spoigimento del
terreno, che girava intomo al monte da quella
parte ove erano i poeti. — 60. earpaado ecc.
arrampicandomi, andando carpone dietro a
Virgilio. — 61. tanto ecc. finché mi trovai
sopra il cinghio o balzo, che da quel lato
sporgeva dal monte. — 63. vòlti a levante
eoo. volgendoci verso oriente, a quella parte
dalla quale eravamo saliti. — 64. chtf suole
eco. perché il riguardare dall' alto la strada
percorsa suole rinfrancare e rallegrare chi ò
stanco della lunga salita: cfr. con le paix)Ie
di Geremia vi 16 : < Il Signore avea detto
cosi : Fermatevi in BuUe vie, e riguardate: e
domandate dei sentieri antichi, per saper
quale d la buona strada, e camminate per
essa ; e voi troverete riposo all' anima vo-
298
DIVINA COMMEDIA
Gli occhi prima drizzai a* bassi liti;
poscia gli alzai al sole, ed ammirava
67 che da sinistra n'eravam feriti.
Ben s'avvide il poeta che io stava
stupido tatto al carro della luce,
60 dove tra noi ed Aquilone intrava.
Ond' egli a me : « Se Castore e Polluce
fossero in compagnia di quello specchio,
68 che su e giù del suo lume conduce,
tu vederesti il Zodiaco ruhecchio
ancora all'Orse più stretto rotare,
66 se non uscisse fuor del cammin vecchio.
Come ciò sia, se il vuoi poter pensare,
dentro raccolto, imagìna Sion
69 con questo monte in su la terra stare,
si che ambedue hanno un solo oriiszon
e diversi emisperi; onde la strada,
72 che mal non seppe carreggiar Feton,
8tra>. — 66. Gli occhi priva eoe Danto,
volgendo gli occhi alla marina, doè verso
oriento, e al sole, si meraviglia vedendo ohe
il iole gira dalla sua sinistra: e ViigiUo gU
espone minatamente la ragione di tale feno-
meno, che doveva parere strano a chi nel
mondo, guardando verso oriente, aveva sem-
pre veduto il sole girare dalla destra. La
meraviglia di Dante ricorda quella dogli Arabi,
venuti in aiuto di Pompeo, seoondo Lucano,
Fan. m 247 : « Ignotum vobis Arabes ve-
nistis in orbem, Umbras mirati nemorum non
ire sinistias»: ofr. Omo, m 6 e anche il
Moore, I 289. — 69. al carro della Uee:
al sole; ofir. v. 72. — 60. dove ira sol ecc.:
il sole nasceva ù« noi e V aquilone, vento
settentrionale ; al contrario di dò ohe suc-
cede nel nostro emisfero, ove il sole nasce
tra noi e l' austxo, vento meridionale. Si cfir.
anche qui Lucano, Far», ix 688 : « At tibi,
qnaecumque es Libyco gens igne diremta,
In Noton umbra cadit, quae nobis ozit in
Aroton >. — 61. 8e €aatere • Pellvce eoe
Se il sole, che illumina vicendevolmente
r emisfero boreale e l' australe, fosse nella
costellazione dei Gemini (Castore e Polluce,
i Diosouri figli di Giovo e di Leda), tu ve-
dresti la parte rosseggiante dello zodiaco,
ov' ò il sole, ruotare più da presso alle Orse,
cioè al polo artico, perché la ooeteUaxione
dei Gemini è più settentrionale di quella del-
l'Ariete, in cui ò ora il sole (ofr. Della ViOle,
U $mao geogr, adnn. ecc. p. 46). ~ 64. Zo-
diaco mbeeehle : quella parte roseggiante
dello todiaoo, nella quale 4 il sole : nf^teoMo
é agg. da rvbtu» (mMoulMs), appropriato allo
sodiaco per ricordo virgiliano, Otorg, i 234:
« Quinque tenent coelum lonae, quanun una
corusco Sompor sole rubens, et torrida sem-
per ab igni > ; cosi intesero Benv., Buti, Land.,
VolL, Dan. e tutti quasi 1 moderni oommen-
tatorL Invece parecchi hanno voluto risoaoi-
tare l' interpretazione di Pietro di Dante e
del Oass. che spiegarono ruòsocAio come < rota
dentata mdendini >, cosi che %oèktoo rubto-
chto significherebbe ruota zodiacale. ~ 66. m
BOB «sflliM eco. pur ohe non nsdsso dal-
l' eolittica, suo corso abituale. ~ 67. C«hm
old ala ecc. Dante, volendo spiegare perché
al purgatorio il sole si veda dalla parte set-
tentrionale mentre a Gerusalemme si vede dalla
meridionale, dice i due luoghi essere antipodi
avendo lo stesso orizzonto e appartenendo a
due emisferi (ofr. IStitg, n 1 e segg.X e suppone
che il lettore sappia che come Gerusalammo
ò al di qua del Tropico del Oancro, cosi il
purgatorio ò al di là del Tropico del de-
corno: in queste oondirioni s' intonde bene
ohe i fenomeni solari al purgatorio saranno
tutto il contrario di ciò che sono a Gerusa-
lemme, perché l' eclitlica, la atroda che mal
no» Beppe eaneggiar .FWon, a Gerusalemme
corre da sinistra a destra, quindi il sole ò a
destra, e al purgatorio ooize da destra a si-
nistra, quindi il sole ò a sinistra (ofr. Della
VaUe, pp. 40 e segg.). — 68. deaftr* fa«eelte
ecc. zaooogliendo il tuo pensiero alla medi-
tazione, considera che il monte Sion e il
monte del purgatorio sono collocati solla
terra in modo da avere ecc. ~ 72. Feten:
ofr. B%f, xvn 106; per la forma ossitona pro-
pria del nominativo, secondo le regole della
PURGATOEIO - CANTO IV
299
vedrai come a costui conyien che vada
dall'uni quando a colui dall'altro fianco,
75 se l'intelletto tuo ben chiaro bada >.
« Certo, maestro mio, dìss'io, unquanco
non vidi chiaro si com'io discemo,
78 là dove mio ingegno parea manco,
che il mezzo cerchio del moto superno,
che si chiama Equatore in alcun' arte
81 e che sempre riman tra il sole e il verno,
per la ragion che di' quinci si parte
verso settentrion, quanto gli Ebrei
84 vedevan lui verso la calda parte.
Ma se a te piace, volentier saprei
quanto avemo ad andar, che il poggio sale
87 più che salir non posson gli occhi miei ».
Ed egli a me: < Questa montagna è tale,
ohe sempre al cominciar di sotto è grave,
90 e quanto uom più va su, e men fa male.
Però quand'olia ti parrà soave
tanto che il su andar ti fia leggiero,
93 come a seconda giuso andar per nave,
allor sarai al fin d'esto sentiero:
quivi di riposar l'affanno aspetta;
96 più non rispondo, e questo so per vero ».
gnumnatioa medioeirale, ofr. Parodi, BuU. JU
105 e 120. — 78. a eoitvl : rispetto «1 monte
del pupitorio. — 74. a eolvl: rispetto al
monte Sion ossia a Genisalemme. — 76. iib-
«imm: ancora mai, o, meglio, mai sino a
questo momento ; cfir. Inf. zxxm 140, JRir. i
48, e Parodi, BuU. m 138. — 77. ■•■ ridi
ddaro eoe io non intesi oosi chiaramente
cosa die prima fosse inesplicabile alla mia
mente, come ora per la ragione o spiegazione
«rata da te intendo ohe V Equatore d tanto
distante dal purgatorio quanto ò da Oemsa-
lemme. — 79. 11 messo eercUe eoo. il droolo
di mezzo del cielo cristallino (il moto «upemo
cioè il più alto dei cieli che girano), circolo
che in astronomia ò detto Equatore e che
resta sempre tra U toh « U vento (perché
qoando il sole ò nd Tropico del Gaprioomo
Pinyemo d nell' emisfero boreale, quando il
•ole è nel Tropico del Cancro rinyemo è nel-
l'emisfero austeale : onde l'Equatore ò sempre
tit il sole e r inremo), i lontano dal monte
del purgatorio Torso settentrione tanto, quanto
è lontano da Gerusalemme, la città santa do-
^ Ebrei, verso mezzogiorno, -r- 88. gli Ebrei
Tcdtram eoe. pdma della dispenione del po-
polo ebraico, quando esso ora raccolto nella
t^rrasanta; perché adesso, essendo sparsi gli
Ebrei per tutto il mondo, non si potrobbo
più ricordare quel popolo per indicare il luogo
ove sorge Qemsalomme. Questa lozione e l'in-
terpretazione data già dal BuU furono poi
abbandonate dai posteriori commentatori, leg-
gendo: quando gli Bbm ecc., che darebbe
un senso meno chiaro e meno esatto. — 86.
thè U poggio ecc. : cf^. v. dO. — 88. innesta
montagna ecc. La natura di questa montagna
ò tale che a chi inoominda a salire presenta
gravi difficoltà, che poi diminuiscono renden*
dod agevole il cammino a chi va con sicu-
rezza e costanza {Purg. ix 132, x 6-6) ; sinché
la strada diventa soave e dilettevole (ofr.
Purg, VI 50, xxvn 74-75). È quasi inutile av-
vertire che Dante vuol significare che il cam-
mino della virtù ò da principio faticoso e dif-
cile, ma poi con l'abito delle buone operazioni
si perviene al conseguimento dell'innocenza,
che ò la vera felicità e libertà (cfìr. Purg. xxvii
140-142). — 92. leggiero: facile e piano;
ofr. Pìirg. vui 21, xvii 7. •— 98. oome ecc.
come è agevole il corso della nave, che di-
scende a seconda della corrente (cft. jRir.
xvn 42) ; ricorda le parole del Ootw, xv 5 :
e la nave dell'umana compagnia direttamente
per dolce cammino a debito porto correa >.
— 96. pli non rispondo eco. : cfir. Purg,
300 DIVINA COMMEDIA
E, com'egli ebbe sua parola detta,
una voce di presso sonò : € Forse
99 che di sedere in prima avrai distretta ».
Al auon di lei ciascun di noi si torse,
e Tedemmo a mancina un gran petrone,
102 del qual né io né ei prima s'accorse.
Là ci traemmo; ed iyi eran persone
cbe si stavano all'ombra dietro al sasso,
105 com'uom per negligenza a star si pone;
ed un di lor, che mi sembrava lasso,
sedeva ed abbracciava le gitioochia,
108 tenendo il viso giù tra esse basso.
« 0 dolce signor mio, dìss'io, adocchia
colui che mostra sé pid negligente
111 che se pigrizia fosse sua sirocchia ».
Allor ^ volse a noi, e pose mente,
movendo il viso pur su per la coscia,
114 e disse : « Or va su tu, che se' valente ».
Conobbi allor chi era, e quell'angoscia,
che m'avacciava un poco ancor la lena,
117 non m' impedi l'andare a lui; e poscia
che a lui fui giunto, alzò la testa appena,
dicendo : € Hai ben veduto come il sole
120 dall'omero sinistro il carro mena? »
Oli atti suoi pigri e le corte parole
mosson le labbra mie un poco a riso;
zxvn 127-129, che spiegano qoetta parole di dalla bocca del popolo cho n' ha consorrato
Vlzgilio, il quale non poteva diacecnere più ancora qualcuno analogo. ~- IH. slroerhU:
oltre, perché dalla dma del purgatorio in sa forma arcaica (dal lat. tonrmta) rimasta rìTa
Dante doTora esser goidato da Beatrice, opra nella lingua sino al dnqaeconto. — US. «••
di fede {Purg, xvm 48). — 97. farcia: cfir. Tendo ecc. rolgendo appena gli occhi sa
Inf, n 48. — 98. ana roee eoe La voce ohe Inngo la coscia, quasi gli fosse grave 1* al-
risaona improvvisa ad ammonire i dae viag- zare O capo. — 114. Or va eco. Dante aveva
giatori che prima d'arrivare alla dma àsà ad alta vooe additato qaesto spirito a Virgilio,
purgatorio avrebbero forse sentito il bisogno come quello che appariva il più pigro fra
di riposarsi, muove di dietro a un gran masso ; tutti ; od egli con sottile ironfa rispondo rim-
presso il quale erano distese e sedute anime beccandolo. — 115. ConobM eoe Riconobbi
di negligenti e pigri a pentirsi. — 99. di- alla voce chi era quello spirito, e la stan-
stretta: necessità, bisogno che stringe l'oomo. chezza, che m'affrettava ancora un pò* il
— 100. Ài saon di lei ecc. Al suono di quo- respiro, non m* impedi d' awidnarmi'a lui.
sta voce io e Virgilio ci voltammo e vedemmo — aagoselat stanchezza prodotta dalla fa-
alla nostra sinistra un gran masso, del quale tlcosa salita {ott, w. 81 e segig.). — 116.
prima non c'eravamo aooortL — 106. eom'aom avaceiava : afbrettava, accelerava : il vb. ofo»-
ecc. distesi o sodati in quell' abbandono che dare deriva da avawio (cfr. B^. xxxm 106)
suole essere atteggiamento proprio degli nomi- e si ha anche in Pwy, vi 27. — 119. Hai
ni pigri. — 106. tenendo ecc. tenendo il volto ben ecc. Continua lo spirito a parlare ironi-
chino a terra fra i ginocchi. — 109. adoeebla camente, derìdendo Dante di non aver capito
ecc. guarda quello spirito che par più pigro che da sé ciò che Virgilio ha dovuto spiegargli
se fosse fratello della pigrizia. Si noti il vivo a lungo, vale a dire la ragione per cui il
ed efficace modo usato dal poeta per dipin- sole apparisse alla sinistra di ohi guardava
gerci questo spirito, modo còlto certamente verso oriente (cf^. w. 66-84). -* 121. atti
PURGATORIO - CANTO IV
801
123 poi cominciai : € Belacqua, a me non duole
di te omai; ma dimmi, perché assiso
qniritta se'? attendi tu iscorta,
126 0 pur lo modo usato t'hai ripriso?»
Ed ei: € Frate, l'andare in su che porta?
che non mi lascerebbe ire ai martiri
129 l'uccel di Dio che siede in su la porta.
Prima convien che tanto il ciel m'aggiri
di fuor da essa, quanto fece in vita,
132 perch'io indugiai al fine i buon sospiri,
se orazion in prima non m'aita,
che surga su di cor ohe in grazia viva:
135 l'altra che vai, che in ciel non è udita? »
E già il poeta innanzi mi saliva,
e diceit: « Vienne omai, vedi eh' è tócco
meridian dal sole, e dalla riva
139 copre la notte già col pie Morrocco ».
iMft qaém aooeimAti nei tv. 118 o 118. —
123. BdMfVA s ^ ^^ flortntino • oontsm-
ponueo di Dante, ma nulla di Ini d dioono
i più antichi commentatori, Lana, Ott, Bntl,
FtotxD di Dante eoo.; leoondo Benv., Be-
Uoqna < ftwiebflt oithana el alia instramenta
Basica, nnde com magna cura eoolpebat et
inddebat colla et capita dtharanun, et ali-
quando etiam pnisabat: ideo Dentea Dunilia-
rìter noTerat enm, qoia ddeotatna eet in
lono > : r An. fior., raooo^endo nna tradì-
nn"o Tira nella dttà, dice: «Qneeto Bo-
lacqua fa nno dttadino da Firenze, artefice,
et Iacea cotai colli di Unti e di chitarre, et
era il più jAgn nomo che fosse mai ; et si
dice di Ini ch'egli Tenia la mattina a bottega,
et ponevasi a sedere, et mai non si levava
■e non quando voleva ire a desinare et a
dormire. Ora Tantore fa forte suo dimestico;
molto il riprendea di questa sna negligenzia;
onde nn di, riprendendolo, Belaoqoa rispose
colle parole di Aristotile : SMimdo 0< ^uiMomdo
swisM •fJtcUyr taptmt; di che l' autore gli
rispose : * Per certo, se per sedere si di-
venta savio, ninno tu. mai più savio di te ' >.
— 124. eauil : perché ti vedo in Inogo di
nlvaxione. Questo compiacersi di trovar Be-
iMqoa in purgatorio d segno certo che Dante
fa sao amico (cfr. Airy. vm 68-64), come ap-
pare dal racconto aneddotico dell' An. fior. ~
125. qnlrltU: qui appunto (cfir. Purg. xvn
86). -. 126. ]• mede usato f la pigriria solita
che avevi al mondo. ~ t*lui eco. hai tu rìas-
fonto quelle abitudini di pigrizia eoe — 127.
Frate eoe Fratello mio, l'andare in su non mi
niebbe d' alcun giovamento, poiché l' angolo
guardiano della porta del purgatorio non mi
lascorebbo oatrare. Si noti che la voce fraUf
per indicare genericamente una persona cara,
assai più spesso che nelle altre si trova nella
seconda cantica;; ove Dante trova per le ani-
me le più affettuose espressioni (cfir. I\trg,
XI 82, zm M, XXI 18, 181, xxm 97, xxiv 66,
XXVI 146, XXIX 16 ecc.). — 129. ueeel di Dlox
angelo ; come uoeel divino ò detto l' angelo
nocchiero (Purg. n 88). Altri leggono angel
di Dio; lezione che sarebbe conformata dal
verso dol Purg. ix 104. — tlede in sa la por-
ta i cf^. PU97. ix 76 e segg. — 180. Prima eon-
viea ecc. Le anime di coloro che per negli-
genza tardarono a pentirsi all'ultimo momento
della vita devono rimanere nell'antipurgatorio
tanto tempo quanto vissero nel mondo, se non
sono aiutato dallo preghiere dei viventi (cfr.
ISurg, XI 127-182). — che il eie! ecc. che il
dolo giri intomo a me nell' antipurgatorio
tanto tempo quanto mi girò intomo nella
mia prima vita. — 182. i bioa sospiri;
quelli del pentimento. — 133. se orazion
ecc. Secondo i dogmi cristiani, le preghiere
dd viventi, che sieno nolla grazia dd Si-
gnore, giovano alle anime dd poigatorio
abbreviando l'espiazione e diminuendo la
pena (cfr. Tommaso d' Aquino, Summa^ lu,
suppl., quest. Lxxi, art. 2, 6) : a dd Dante
accenna più volte, estendendo l'efficacia dei
suffragi anche alle anime dell'antipurgatorio
(cfr. Purg, in 140-141, 146 ; vi 2G e segg. ;
XI 130; xxni 85-90 ecc.). — 187. è tòcco ecc.
già è r ora del mezzogiorno, poiché il sole è
già sul meridiano e la notte d distende dalla
riva del Qange al Marocco, doò su tutto
r emisfero boroalo (cfir. Airy. n 4) : Moore,
p. 86. — 139. eopre ecc. Dan. cita l'ori*
302 DIVINA COMMEDU
diano, Md. ii 142: cDtun loqadr, Hesperio antidii nosial chiAmAzono (ofr. anche Inf.
positas in littore metas Hamlda nox tetigit»; xxvi 104) la regione africana della Maurita-
inacCr. Moore, I 226.— Morr«eee: ooaigU nia, oggi denominata Maioooo.
CANTO V
Allontanandosi dai negligenti, i dae poeti ineontrano la schien. di co-
loro che morirono di morte violenta e si pentirono all^estremo della vita :
tra gli altri parlano, raccontando o accennando a Dante la propria morte» Il
fanese Iacopo del Cassare, Baonconte di Hontefeltro e la senese Pia [10 aprile,
dal mezzogiorno sin verso le tre pomeridiane].
Io ero già da quell^ ombre partito,
e seguitava l'orme del mio duca,
3 quando di retro a me drizzando il dito,
una gridò : « Ve' die non par ohe luca
lo raggio da sinistra a quei di sotto,
6 e come vivo par ohe si conduca >•
Gli occhi rivolsi al suon di questo motto,
e vidile guardar per maraviglia
9 pur me, pur me, e il lume ch'era rotto.
€ Perché l'animo tuo tanto s'impiglia,
disse il maestro, ohe l'andare allenti?
12 che ti & ciò che quivi si pispiglia?
Y 1. le ere eoe Danto e Tirgilio, allon- {Purg* ni 88) e sarà fra poco nella acUera
tanandoà da Belacqna e dai compagni, li- dei morti per forxa (vy. 25-86). — 9. par me
prendono la salita del monte (cfr. Utrg, iv eoo. solamente me, e non Vligilio : e la ri-
136), andando al solito il maestro innanzi o petizione , insistendo snll' idea, ci fa vedero
il discepolo dietro a lai : quando ona dello meglio oome l' obbietto della cniloeità delle
anime, accorgendosi che la figura di Danto anime fosse il solo Dante. La ripetizione poi
gettava ombra, si Tolge oon parole di mera- deirespressione limitatiya ò analoga a quella
viglia alle altre, additando loro il novissimo della F. N, xxm 188: < Por morràti, mor-
fatto; e allora tatto quanta si pongono a rati », doò tu solamente, e non altri, mor^
mirar Dante e l' ombra oh' ei lasdava di so rai. — 11 lame ecc. : cfr. Purg, m 88-89. —
sul terreno. -> 8. «vaado eco. Seguito la 10. Perché T anime eoe. Virgilio, aooor-
comune punteggiatura; sebbene non senza gendosi che Dante distratto dal discorso di
qualche ragione il Lomb. preferisoa: quando quell'anima, rallentaya il cammino, gli rì-
di rdro, a ma drixxcmdo il dito: che quanto volse subito parole di eccitamento, miste al
al senso starebbe meglio, ma anohe sarebbe solito di severità e di soUecitudino. Alle
verso cattivo per la pausa dopo la quinta quali parole osserva Benv. : e Isti merito mi-
sillaba. — 4. non par ecc. Salendo oon le rabantur de Dante, qui orat vivus Inter tot
spalle volto ad oriente i due poeti avevano mortuos, quia ante tempus mortìs venerat
il sole alla destra (cfr. Purg, iv 68 e segg.); ad purgatorium ad emendandaa vitam vitio-
perciò l'ombra di Dante, che seguiva Yir- sam; mirabantur etiam quod erat sapiens
gilio ed era più in basso rispetto a lui, do- Inter tot ignorantes. . . et solus fadebat tam
veva cadere verso la sua parte sinistra. — sanctum opus, per quod inVitabat vivente»
6. e come tìto eco. Lomb. : < par che si adhac in mondo ut exemplo sui venirent mi
inaovn in modo come se vivo Tosse ; dando, conversionem dum tempos haberent Ipee au-
a cagion d' esempio, segno di gravezza col tem, audiens voces istorum, quae sonabaot
rumoro ohe nel camminare facevano i piedi laudes eius, gloriabatur audiro eos et libenter
percotendo il suolo diversamente da quello che audiebat dici quod ipso solus erat vir singu-
faoessero 1' ombre » — 7. Oli occhi : cfr. laiis exoellentiae . . . Yirgilius, perpendens
Purg, IV 100. — 8. per maraviglia : la stessa quod ipso inflammabatur vanis laudibus istius
meraviglia di questi negligenti era stata prò- moltitudinis imperitae, increpuit rigide eum >.
dotta dal medesimo fatto negli scomunicati — 12. si pls^ilgUa : si bisbiglia, si parla som-
PURGATORIO — CANTO V
'ÒJ'Ò
Vien retro a me, e lascia dir le genti;
sta come torre ferma, che non crolla
15 giammai la cima per soffiar de'yentl:
che sempre l'uomo, in cui pensier ramp/ila
sopra pensier, da sé dilunga il segno,
^Q perché la foga l' un dell' altro insella ».
Che poteva io ridir ? se non : € Io vegno » ;
dissilo, alquanto del color consperso
CI che & l'uom di pardon talvolta degno.
E intanto per la costa da traverso
venivan genti innanzi a noi un pocO|
21 cantando Afiserere a verso a verso.
Quando s'accorser ch'io non dava loco,
per lo mio corpo, al trapassar de' raggi,
27 mutar lor canto in un * oh ' lungo e roco ;
Mtsamente, < tacito mannaie > dioe fieny.:
efr. IStrg. zi 111. — 18. iMcla eoo. lascia
par che ti goardino e parlino di te le genti ;
tu non devi oompiaoerti dell'ammirazione ohe
folciti passando in meno agli aomini. Beny.:
€ Qnotiena potas hoo noci disse nostro poetao
doffl transiiet per terras Italiae, qaod ocali
oaniom otmyertebantor in eiun et ora om-
nium loqaebantor do eo, et ipso in animo
oomplacobat sibi! ». — U. sta eome torre
eoe : cfr. Viig., JEH. z 696, di Hezenzio :
«Ole, yelat n^es, yastom qaae prodit in
aeqaor, Obria ventonun ftiriis, ezpostaque
ponto, Vim oanotam atqoe minas perfert coe-
Uqoe marìaqae, Ipea immota manens » eoo. ;
ma il oonoetto di Dante maoye più tosto
dalle parole di Seneca, De oohbI. m : < Qaem-
«ijinpiinm pn^ecti in sltam soopoli mare fran-
grmt, ita sapientis animos solidos est ».
— 16. l*a«ni* eco. l'oomo, nella mante del
qoale nuovi pensieri si soyrapongono ognora
ai altri, alk>ptB"f^ da s6 il fine propostosi ;
perché il pensiero soprayeniente indebolisce
la Ama dell' altro. — 18. perelitf ecc. Seb-
b«e Bon ci possa esser dubbio quanto al
ooBostto espresso da Dante, si danno di quo-
ifa> yerso dae inteipretaxioni differenti; il
Bati coatruisoe: l^un intoUa in foga deU'aUro
e spiega : « 1' uno pensiero soprayenlmte
noéè yuDO lo solUcito esordrio del primo »;
Ben?, invece ordina e spiega: < la fog<h id^
pnsBQza, deU'aUro sdlicet, oogitaminis secun-
dado advenientis, iitBoUa i'tN», idest pxirat
Tal deUlitat piimum > : ma l' idea resta poi
MBprs la stsssa. — Insalla: da aoUOf ce-
diTole, deboU (efr. Inf, xn 28), il yb. iti-
«flsra significa rendere sello, indebolire, come
■piagano Boti, Beny., An. fior., contro i qoali
poso vale il ragionamento per cui il Borgh.
VBoibbe dai» a questo yb. il senso di solie-
yare, spiegando: e il nuovo pen^ioro elio so-
praviene, come sottentrando e sollevando
r altro, se lo leva come dire in capo e facil-
mente lo oaoda via »: del resto un altro esem-
pio antico del vb. iruoUare, nel senso certis-
simo di attonuaro, indebolire, ha citato il
Parodi, BtUL JH 152 dal Reggimento dei fVm-
dpi, p. 807: e somigliante cose che inaoUino
pid il colpo della pietra ». — 20. alquanto
del eelor eoe arrossendo un po' di quella ver-
gogna, che suole render l'uomo degno di
perdono; ofr. Conv, iv 19: < Buono e ottimo
segno di nobiltà è nelli pargoli e imperfetti
d'etade quando dopo il fallo nel viso loro ver-
gogna si dipigne ». ~ 22. per la eosta ecc.
per la costa del monte, intorno al quale le
anime giravano ; dunque in direzione trasver-
sale a quella dei due poeti ohe salivano. —
23. fanti : questa nuova schiera di anime ò di
coloro che morirono di morte violenta, < tutti
per forza morti > e < peccatori infine ali' ul-
tim' ora », nella quale poi si pentirono (cfr.
w. 62-64) : sono anch' esse destinate a ri-
manere nell'antipurgatorio per un certo tempo
che Danto non dice, ma in sua mento doveva
essere uguale la leggo di questi e dei negli-
genti giÀ incontrati ; onde anche questi nuovi
spiriti si raccomanderanno a Danto per otte-
nere suffragi che valgano ad abbreviare la
loro dimora in questo luogo di sospensione
(cfr. yy. 70-72, 87 e Purg, vi 26-27). — 24.
cantando Miserare eoe. cantando il salmo u,
a versetti altomati, cioò l' una parto delle
anime il primo versetto, l' altra il secondo,
0 poi la prima il terzo e via via ; < come
cantano li chierici in coro», aggiunge il
ButL — 25. eh* Ì0 non dava ecc. che io in-
terrompeva col mio corpo i raggi solari, fa-
cendo ombra. — 27. in an * oh ' ecc. in una
esclamazione di meraviglia, che proruppe in
304 DIVINA COMMEDIA
e due di loro, in forma di messaggi,
corsero incoiiti*o a noi e domandarne:
50 € Di vostra condizion fatene saggi ».
£ il mio maestro : « Voi potete andarne,
0 ritrarre a color che vi mandaro,
83 che il corpo di costui è vera carne.
Se per veder la sua ombra restaro,
com'io avviso, assai è lor risposto:
86 faccianli onore ed esser può lor caro ».
Vapori accesi non vid'io si tosto
di prima notte mai fender sereno,
8) né, sol calando, nuvole d'agosto,
che color non tomasser suso in meno ;
e, giunti là, con gli altri a noi diér volta,
42 come schiera che corre senza freno.
< Questa gente, che preme a noi, è molta,
e vengonti a pregar, disse il poeta;
45 però pur va, ed in andando ascolta ».
< 0 anima, che vai per esser lieta
con quelle membra, con le quai nascesti,
4S venian gridando, un poco il passo quota:
guarda se alcun di noi unque vedesti,
si che di lui di là novelle porti;
51 deh, perché vai? deh, perché non t'arresti?
un saono oontinaato e alterato per la sor- verso di noi. — 42. eome schlAr» eco. Ven-
presa. — 28. In forma di messaggi : a modo tori 478 : < Qnesta seconda similitodine, che
di messaggierì ; cosi in Purg, xxii 78 chiama accenna al ritomo, offre idea di celerità soni-
gli apostoli e l messaggi dell'eterno regno >. mamente minore di quella che desoriro il par-
— 32. ritrarre: alt, Inf, iv 146. — 34. Se tirsi: pur tuttavia ben mostra l'impetnosa
per veder eco. Se, come io penso, si sono corsa di nna moltitudine ». — 43. preaie a
formati per aver veduta la sua ombra, basti lol : s* aAretta verso di noi ; Bnti spiega n
loro il sapere eh* egli è vivo. — 36. ed esser vb. premo per « discende gioso », e Benv. per
può lor earo: per^é Dante tornato nel e cum pressura venit >. H Del Lango,Amten
mondo potrà procurar loro suffragi e ricordarli 447, richiamando a confh>nto nn passo del
con onore ai viventi. — 37. Vapori aeeeil Diario dei (3ompi (« molta gente premè loro
ecc. Paragona la velocità dei due mossag- addosso >), spiega : < fa pressa, oaioa, addosso
Rieri nel ritornare verso la schiera delle ani- » noi, oi si accalca dintorno »: pinttosto che
me a quella dei vapofri accesi o stelle cadenti, l'adone del venire verso i due poeti, sarebbe
che traversano per il cielo sereno al prin- dunque descrìtta quella posteriore àU'airivr
ci piar della notte (cfr. Par. xv 13 e segg.), di codesta gente; ma il tmgmUi a pregar lo
e a quella dei baleni che al tramontare del esclude. — 45. jjmi va eoe non ti fermare,
sole fendono le nuvole nella calda stagione; e ascoltali camminando. — 46. 0 abIma ecc.
e la velocità ò bene osprossa nell'incalzante Questi spiriti si volgono a Dante, oh' ei sanno
succederai dolio parolo, pregio che manca al- essere ancora in prima vita, pregandolo a fer-
r imitazione che di questa similitudine fece marsi e a guardare se egli riconosca alcuno
il Prezzi, Quadr. iv 14: < Vapore acceso nel fra essi : ma Dante non s'arresta, e seguendo
nioso d'agosto Mai non trascorre fl del tanto il consiglio della sua guida ascolta senza in-
vclooo >, che Ò comparazione pid compren- terrompere il cammino e promettendo si li-
siva, ma fredda e scolorita. Sulla relarione bora finalmente da queste animo (oir. Pyrg,
di questa terzina con h\ dottrina aristotelica, vi 26). — per esser lieiA: per acquistare la
cfr. Moore, I 132. — 41. eoa gli altri eco. beatitudine, che ò il fine del viaggio di Dante.
rituruarono iudiuu-u con gli ului, volandosi — 61. deh, perché ecc. Qoeito raooomandi^
puBGATORio - Canto v
306
Noi fummo già tutti per forza morti,
e peccatori infine all' ultim' ora:
54 quivi lume del oiel ne fece accorti
si che, pentendo e perdonando, fiiora
di vita uscimmo a Dio pacificati,
57 che del desio di sé veder n' accora >.
£d io : < Perché ne* vostri visi guati,
non riconosco alcun: ma, se a voi piace
60 cosa ch'io possa, spiriti ben nati,
voi dite; ed io farò per quella pace,
che, retro ai piedi di si fatta guida,
63 di mondo in mondo cercar mi si feuse ».
£d uno incominciò : « Ciascun si fida
del beneficio tuo senza giurarlo.
lumi delle anime sono opportnnaimmte inter-
calate al loro diacono per mostrare qoanto
Tiro fosse in esse il desiderio ohe Dante fér-
naflse il passo, per ascoltare più riposata-
Mute le loco preghiere. — 62. per fona
■erti : uccisi in modo violento, o in goerra
(Boonconte di Uontefeltro, (hiodo dei Tar«
lati, Federico NotcUo) o per inimicizie (!»-
•opo del Gassare, Benincasa da Laterina,
Farinata Scomigiani, Pier della Broccia ecc.)
0 per opera dai loro parenti (Ra senese, Orso
della Cerbaia). — 64. ««Irl laaa occ al
Bomsnto della morte la grazia del Signore
d iUominò, si che uscimmo di rita jientiti o
psdflcati con Dio, che tien yìto nell'animo
nostro il desiderio di vederlo. — 60. bea
aatl: perché destinati alla gloria del para-
diso; efr. Bar, m 87, ▼ 116. — 61. per ««ella
pace ecc. La jnus ohe Dante cercava ò quella
itssn per eoi sospirano le anime del porga-
totio (ofic Fwg, m 74, ZI 7, xvx 17 eoe),
eioè la beatitudine del paradiso (cfr. Fuitg,
xzno 9B) ohe 4 < vita intera d' amore e di
pace > (fbr. zzx 103). — 64. Ed «ne eoe
Lo spirito ohe volge a Dante U discorso ò
quello del faneeo Iacopo del Cassare : figlio
di Ugoooione, capo di una nobilissima Dami-
glia che aveva avuto parecchi crociati, e ni-
pote di Martino, fismoeo gioreconsolto, con-
giottie le virtà militari al senno civile ; noi
1288 fo tra i goelfl delle Marche venati in
aiuto ai Horentini nella prima levata d'armi
oootro Areno ghibellina (a. Villani, Or, vu
120), e nel 1296 fa «gitano di gaerra e po-
destà a Bologna, mentre fervevano le osti-
lità fka quel comone gaelfo e i vicini mar-
ebaai di Ferrara, che da tempo tentavano
Inaili— «to di allargalo la- signoria sopra
la dotta e ricca città e r* avevano soscitata
ima forte ihfione di loro partigiani (cfr. hif,
zrm 60). Iacopo oombatt6 vigorosamente le
BBbizioni estensi; ma, dice il Lana, cnon
Danti
li bastava costai fiare de' fatti centra gli amici
del marchese, ma olii contìnuo usava villa-
nie volgari centra di lai, ch'elli giacque con
sua matrigna, e oh'elU era disceso d'ona 1»-
vandara di panni, e ch'elli era cattivo e co-
dardo, e mai la soa lingua saziavasi di vil-
laneggiare di lui ; per li quaU fatti e detti
l' odio crebbe sf al marchese ch'elli li tcattd.
morte >; e Benv. aggiunge ohe Iacopo spar-
lando del marchese lo chiamava qmi tradii
tor» da EsU a diceva che aveva favorito in
Bomagna i ghibellini, onde il marohose sde-
gnatosi ona volta giurò ohe questo asinaio
della Marca sarebbe stato punito della sua
asinina impnidenxa. Intanto, finito l' officio,
Iacopo ebbe facoltà di partire sansa sottosta-
re al sindacato, essendosi saputo ohe gli amici
dell' Estense tramavano qualche cosa ai suoi
danni ; e cosi tornò a Fano, ove negli ultimi
mesi del 1297 ebbe contese faziose con Tero-
sino e Quido da Oarignano. Nei 1298, chiamato
podestà a Milano, parti per mare recandosi
a Venezia e di li per la via di Padova s' av-
viava in Lombardia; ma, sorpreso non lungi
da Oriago, castello sulle rive della Brenta,
dai sicari del marchese di Ferrara e impi-
gliatosi fuggendo nei cannotì del luqgo, fu
ucciso : il suo corpo fu portato a Fano e se-,
polto nella chiesa di San Domenico, ove
anche oggi una lunga e retorica inscrizione
metrica zicorda il podestà eternato nei versi
di Dante : qSt, C. Masettì, lUustraxwne sioriah
fiiologioa della epigrafe eepohraU di Mariino e
Jacopo del Casaaro neU* Omaggio a Dante Aligh,
offerta dai Cattolioi ìtaL^ Roma 1866, pp. 671-
689; P. M. Amiani, Memorie ietorÌQhe della
città di Fano, Fano 1761, parte I, pp. 231 e
segg. ; Del Lungo, DanUi I pp. 423 e segg.;
A. Bosohini, Alcuni docum. intomo a Iacopo
del Cau,, Pesaro, 1898. — 66, del beaeflcio
tao eoe. del beneficio di sufEragi, che tu pro-
curerai ad ognuno di noL — senza giurarlo t
20
306
DIVINA COMMEDIA
66 pur ohe il voler nonpossa non rìcida.
Ond'iOi ohe solo innanzi agli altri parlo,
ti prego, se mai vedi quel paese
69 . ohe siede tra Eomagna e quel di Carlo,
che tu mi sie de' tuoi preghi cortese
in Fano si che ben per me s'adori,
72 perch'io possa purgar le gravi offese.
Quindi fii' io ; ma li profondi fóri,
onde usci il sangue in sul qual io sedea,
75 fatti mi fiiro in grembo agli antenori,
là dov'io più sicuro esser credea:
quel da Esti il fé' feur, che m' avea in ira
78 assai più là che dritto non volea.
Ma s'io fossi fuggito in vèr la Mira,
quando fui sopragiunto ad Oriago,
81 ancor sarei di là dove si spira.
Corsi al palude, e le cannucce e il brago
m'impigliar si ch'io caddi, e li vid'io
Mnxa Uaogno ohe ta givi di nuuitoner la
promessa. — 66. v«r ehe U T«ler «oc por
ohe V impotenze (nonpotMi i nome composto
come MOfMiirofMEa ecc.) o le mancete occa-
sione non tronchi e renda inutile il tao pro-
ponimento. — 68. «eel paese ecc. la Marca
anconitanai posta tra la Bomagna e il regno
di NapoU, del quale nel IdOO ayera il governo
Carlo n d*Angid (cfr. ftar. yi 106): Basser-
mann, p. 286. — 72. possa ecc. possa entrare
nel porgatorio a incominciare 1* espiazione
dei miei peocatL — 78. i^mìméì eoe Kaoqoi
in Fano e ftai ncdso nel territorio di Pa-
doTa, k% grembo agU and&wrì ossia ai pado-
vani, discendenti del troiano Antenore (cfir.
Livio I 1): Bassermann, p. 448. — 74. onde
eseC ecc. dai qnali nsd il sangoe, in coi io,
anima di Iacopo del Cassero, avevo la mia
sode; oppore, nel qnale il mio corpo si trovò
immerso: cftr. Bua. Vni 84. — 76. làdOT*lo
ecc. in Inogo ove mi teneva sicuro, essendo
long! dal territorio dd mio principale ne-
mico. — 77. «nel da EsU : Azze Vm, già
ricordato in Inf, zn 112 come parricida, e
accennato anche in Pmrg, xx 80 fa figlio di
Obizzo n (cfr. Inf. zn 111) e di nna donna
ignota, e tenne la signoria di Ferrara dal
1293 al 1808, dominando anche su Modena e
Seggio e tentando inutilmente di aggiongere
ai suoi possessi Bologna e Parma, che ^ si
opposero gagliardamente. O. Villani, Or, vm
88 raccontando la sua morte dice cho « era
stato il pid leggiadro e ridottato e possente
tiranno ohe fosse in Lombardia >, e Dante,
De vulg, tloq. i 12, n 6 accenna doe volte a
Ini, r nna con parolo di vitaperio, V altra
con motti di pungente ironia. — 78. assai
pld ecc. 8e fossero veri i racconti del Lana
e di Benv. (cfr. v. 64), Azze Vm non era
senza ragione di sdegno oontro Iacopo del
Cassaro, che usava vituperarlo e schernirlo
oittd pài (& che non consentisse la lotti d' in-
tereesi politici in coi il marcheee veniva a
trovarsi di fronte al podestà: ma raflérma-
zione è in bocca doli* cffeeo, il quale na-
turalmeojte non d portato a confoesare d'ee-
sere stato il primo ad aver torto. Secondo
una testimonianza abbastanza antica (cfr. 0.
Mazzoni, BulL VI 81) l'assassinio di Iacopo
sarebbe stato opera di Francesco d'Bste, fra-
tello di Azze vm. — ehe dritte eoo. Soba-
bra accennato il diritto medioevale di rappr^
saglia, che non poteva applicarsi al caso di
Iacopo, perché questo era stato ostile al mar-
chese d' Este por dovero di officio. — 79. •*!•
fessi ecc. se quando frii sorpreso ad Oriago
fossi friggito per la via Saetta verso la Mira,
borgo tra Padova e Oriago sulle rive d' un
canale che eece dalla Brenta, avrei potato
fodlmente sfuggire ai sicari ; ma invece, la-
sciata la strada battuta, corsi verso il pedule,
e mi impiotai tra i canneti e il Ciuigo si
oh' io caddi e fui sopragiunto ed ncoiao. —
82. le eannneee ecc. Preeso Oriago, come si
ha da un documento del 1282, era an eeteso
canneto di proprietà pubblica; particolarità
che mostra la grande precisione di Dante nel
rilevare anche le minuzie del fatti e dei luoghi
(cfr. K. Barozsi, Aeemni a eom «enete eco.
nel DanU 9 H mio aeoolo, p. 796). U Beaeer-
mann invece, p. 468, ricerca U luogo ove
caddo Iacopo in una «piaggia paladoea e
ricca di canne quasi altrettanto lontana da
Oriago, quanto ò Mira dalla banda opposta >:
PUEGATORIO - CANTO V
307
84 delle mie vene farsi in terra lago ».
Poi disse un altro: < Deh, se quel disio
si compia che ti tragge all'alto monte,
87 con buona pietate aiuta il mio.
Io fui di MontefeltrOi io son Buonconte:
Giovanna o altri non ha di me cura,
90 per ch'io yo tra costor con bassa fronte ».
Ed io a lui: € Qual forza o qual ventura
ti traviò si fiior di Campaldino
93 che non si seppe mai tua sepoltura? >
€ Oh, rispos'egli, a piò del Casentino
traversa un'acqua che ha nome l'Archiano,
96 che sopra l'Ermo nasce in Apennino.
oa eoni al pahide è locazione che aooezma
pinttotto » luogo anai profliimo. Secondo nn
wtìoo chiosatore del FUogtOf xomanao del
secolo znr, il hiogo del delitto fa la Volta di
Marcane, a nna sroltata dd canale di Brenta
tn le Porte della Mira e la Malcontenta (cfr.
Aifi. VISI). — 85. u altroi d Boonoonte
flgiiodi Gnido di Monteléttro (oflr. W- xzvn
2S): di lai sappiamo che nel 1287 fa dei prind*
p^ aintatori alla caodata dei gaelfl d'Azeszo
(e. Villani, Or. vn 116), nel 1288 comandò
gli aretini alla battaglia della Fiere del Toppo
contro i senesi (cfr. Inf, zm 121), e nel 1289
Al dd primi a^taoi dei Ghibellini nella
gurra tra Arezzo e Firenze: nella battaglia
di Ounpaldino, V U giogno 1288, egli rimase
ucciso sol campo (G. VUl., Cfr, vn IBI, D.
Compagni, Or. i 10), n6 si rinvenne il sao
csdsraie. Beny. racconta: cBoncontee, laye-
m, strenniasimaB azmoram, ... in confllcta
uetfnonim apod Bibenam, missos a Gailliel-
nino episcc^ aretino ad oonsiderandam sta-
tnm hoatiam, retolit qood noUo modo erat
pognandnm. Tono episonpos, yelat n^mi^nin
aaiffloeae, dizit: * Ta namqoam ftdsti de
domo ma'; coi Bancontes respondit: *8i
▼enecitis quo ego, nonqoam rerertemini ' ;
•t sic foit de facito, qoia aterqae probiter
pognans xenumsit in campo > : la memoria
tndizioDale della morte di Baonoonte era
Tira ancorm ai tempi del Sacchetti, che no-
vellò di una figlinola di lai e di una del
eoate Ugolino, maritate noi Guidi, pangen-
&i Tona e l'altra con motti relativi alla
tdstiannia fine dei loro padri (nov. cr.Tnr).
— 87. eoM kaoaa eoe con preghiere e altre
opere di carità cristiana aiuta il mio deei-
dsrio d' entrare al purgatorio. — 89. filo-
Tsnaa eoo. poiché non hanno più alcun pen-
serò per me la mia vedova, Giovanna, e gli
altri miei parenti ; quali erano la figlia Ma-
neotsasa, maritata in casa dei conti Guidi,
e il fratello Federico, che nel 1800 era po-
destà di Arezzo C^inmìm arrtU in Mar. lUr,
U. XXIV 862). — 91. Qiai forza • «oal rea-
tara ecc. Dsjite, se si trovò a Campaldino
(cfr. Inf, xzii i), potò ben conoscere questo
particolare della battaglia, che non fosse cioò
rinvenuto il cadavere di Buonconte, che pur
era caduto combattendo: imaginò quindi ohe
pn l'anima di Buonconte insieme contrastas-
sero un angelo e un diavolo, come già per
quella del padre suo aveano disputato san
Francesco e uno dei neri cherubini (cfr. Inf,
xxvn 112 e segg.), e che il diavolo, sfaggi-
tagli di mano l'anima per il pentimento del-
l'ultima ora, si sfogasse contro il corpo, tra-
scinandolo per mezzo d'un temporale nei gor-
ghi dell'Amo. — 92. Campaldlao : il laogo
ove accadde la battaglia dell' 11 giogno 1289
ò nel piano tra Poppi e Bibbiena nel Val
d' Amo oasentinese ed ò designato dagli sto-
rici col nome di Campaldino o di Certomondo,
ohe ò veramente il nome d'un monastero
francoscano fondato in quella contrada dai
conti Guidi nel 1262 (cfr. BepotU, I 671 e
Bassermann, pp. 75-79, 98-100). ~ 94. Ca-
sentlaa : cfr. Purg, znr 43. — 95. trarersa
QB* aeqaa eoe n torrente Arohiano, che si
forma da due rivi sopra il monastero di Ca-
maldoli, scende a valle accogliendo le scarse
acque degli altri torrentelli di Carlese e di
Gressa e si versa nell' Amo a piò del pogj^o
settentrionale di Bibbiena (Bepetti, I 103).
Bassermann, p. 102: «Nessuna pid adatta
ospressione poteva trovarsi per il corso in-
feriore dell' Arohiano che la voce traversa.
Poiché nel luogo in coi l'Archiano sbocca
nell'Amo, questo scorre interamente noi lato
desteo della valle, mentre quello scende dal
pendio a sinistra, e deve perciò attraversare
la vallata in tutta la sua larghezza, prima
di raggiungere l'Amo. Queste sono finezze
dell'espressione che si possono solamente ap-
prezzare sul luogo, e che il poeta stesso non
poteva se non sul luogo imaginare >. — 96.
rKnaox il famoso Eremo di Camaldoli, fon-
dato sopra un monte presso il giogo della Fai-
308
DIVINA COMMEDIA
Dove il vocabol suo diventa vano
arrivalo forato nella gola,
99 fuggendo a piede e sanguinando il piano.
Quivi perdei la vista, e la parola
nel nome di Maria finii ; e quivi
102 caddi, e rimase la mia carne sola.
Io dirò il vero, e tu il ridi' tra i vivi;
l'angel di Dio mi prese, e quel d'inferno
105 gridava: ' O tu del elei, peroHé mi privi?
Tu te ne porti di costui l'eterno
per una lagrimetta che il mi toglie;
108 ma io farò dell' altro altro governo *•
Ben sai come nell'aere si raccoglie
quell'umido vapor, che in acqua riede
111 tosto che sale dove il freddo il coglie.
Giunse quel mal voler, che pur mal chiede,
teron* da san Bomnaldo {Par, xxn 49) al
principio del seoolo xi, in mezzo a ona folta
selva di grandi abeti, che separa quasi il
laogo da ogni mondano rumore e ne fa nn
asilo di pace e di tranqoUUtà (Bepetti, I
402-404, Bassermann, p. 104)..— 97. Doft
eco. Dove vien meno il nome di Arohiano,
perché le sne acque entrano noi fiume Amo.
— 100. <2bÌt1 perdei ecc. Quivi smanù i
sensi, e finii il mio parlare, dod dissi le ul-
time mie parole, invocando la Vergine Maria;
e quivi caddi ed esalai la mia anima. Molti
commentatori, Benv., Land., Dan., Yent,
Tomm. eco. punteggiando un po' diversa-
mente: Quivi pordei ia rida § laparola/Nel
nomi di Maria finii, e qviH Caddi ecc., spie-
gano: Quivi perdetti i sensi e la favella,
morii invocando Maria eoo.: ma (sebbene
questo modo d' intendere sia oonfermato da
un riscontro del Bocc., i>w., g. iv, n. 7:
e non istette guari che egli perde la vista o
la parola, ed in breve egli si mori >) sarebbe
strano che Dante avesse distinto il perdere
la favella dal dire l' ultima parola, che non
sono due azioni diverse, si una sola; e d'altra
parte la morte è accennata nel v. 103 e sa-
rebbe inutile ripetizione del finii del t. 101.
— 104. Paagel ecc. Per questi contrasti cfr.
Inf. XXVII 112 ; e nota ohe una tenzone per
il corpo di un uomo ò già acoennata nella
bibbia {E^nst. di san Giuda 9) : < Là dove
r arcangelo Micael, quando contendendo col
diavolo disputava intorno al corpo di Moisò,
non ardi lanciar contro a lui sentenza di
maldicenza > : nelle leggende cristiane del
medioevo questi contrasti si svolsero per lo
più intorno al possesso dell' anima. — 107.
per ana lagrimetta: in molte leggende me-
dioevali si trova svolto questo ponsiero, che
una lagrima e una raccomandazione a Dio o
alla Vergine sul finir della vita basti a pro-
curare la salute dell' anima (ofir. F. Boedigor,
OonirasH ontieM^ dt, p. 96); e Dante r'ao-
oenna pifi d' una volta (p. es. JWy. in US),
'- 108. ma io fare ecc. ma io, per compenso,
strazierò a modo mio il corpo. — 109. B«b
■al eoe. Descrive la formazione della pioggia,
con precisione di concetto edentifioo o con
movenza di parola poetica; non senza un zi-
oordo virgiliano, oèorg, i S22: < Saepe etiam
immensum ooelo venit agoien aquanun, £t
foedam glomerant tempestatem imbribus atris
Conlectae ex alto nubes». Nota il Moore,
I, 183, come le parole Ben sai ecc. conten-
gano un tadto richiamo alla dottrina drtla
formazione della pioggia esposta da Aristotale,
Md. n 4 e I 9. — 112. Glaass «ael eco.
Lomb. : < Quel^ colui (gutl d'inferno suddetto)
ooW intelletto giunee^ aggiunse, accoppiò mal
voler, la cattiva volontà, ehe pur fnal chiedi^
la quale solamente il male desidera e corca,
e per la virtdf ohe ma natura dwdé, per dù'
dègUf mosse^ ecdtò il ftimo, l' evaporaxioni
umide, e *l vento, altro requisito per susdtar
temporale ». Questa interpretazione, la piA
semplice ed esatta di tutte, ò confermata dai
luoghi dell' Inf, xxm 16, e xxzi 66, ove mal
voUr significa la disposizione a Due il male,
nel primo congiunta all' ira dd diavoli e nd
secondo all' oypomètitoifeito manto e alla yosso;
ed d già vagamente accennata dal Lana che
spiega: € lo mai volere dd demonio oon la
sua intelligenzia e le naturali cose che li
obbediscono» ecc. Oli altri commentatori,
BeuT., Buti e tutti qnad i modami spiegano:
qìul fìial valor, il diavolo, che oon l' intelletto
cerca, studia solamente il male, ffiunoe, ar-
rivò, e mosse ecc. ; ma il diavolo eia già sul
PURGATORIO - CANTO V
309
con l'intelletto, e mosse il fummo e il vento
114 per la yirtù| che sua natura diede.
Indi la vallOi come il di fii spento,
da Pratomagno al gran giogo coperse
117 di nebbia, e il ciel di sopra fece intento
si che il pregno aere in acqua si oonverse:
la pioggia cadde, ed ai fossati venne
120 di lei ciò che la terra non sofferse;
e come a* rivi grandi si convenne,
vèr lo fiume real tanto veloce
123 si minò, che nulla la ritenne.
Lo corpo mio gelato in su la foce
trovò l'Archian rubesto; e quel sospinse
126 nell'Amo, e sciolse al mio petto la croce,
luogo e non s* intende dorè e come doreese
ghugere. Piuttoeto, ohi non rogUa accettare
la ipiegaxione del Lomb. poò intendere : qtul
malvoler, Q diarolo, ohe con Tintelletto ecc.
fiMiM • Mom, oongionee e mise in moto, il
/IwwM, la nebbia, • U «mto, eoo.; oppure,
eoi Tooaca: gkmm il fimwm « moMf ti «Mito,
ndnnò il Tepore aoqneo ecc., se a ciò non
ostasse la diffleoltà di spiogaie il vb. giui^
fen nel senso di raoeogiiere. — 114. per la
lìità eoo. Dice Tommaso d'Aqnino, Smnma,
p. I, qn. LxiT, art 1, ohe la cognizione della
Terità è triplice: una che si ha per natura, e
doe, Tona specolatiTa e Taltra affettiTa, che
A hanno per graada; e seguita : e Hamm an-
tem tzinm oognitionnm prima in daemonibns
neo est ablata neo diminnta; conseqnitor
eoim ipeam natoram angeli, qui secondom
•oam natoram est quidam intelleotos rei
mens: propter simplidtatem antem snae snb-
•tantiae a natura eios aliqnid sabtrahi non
poteet, nt sio per snbtractionem natoraliom '
poniatnr... Seconda antem oognitio qnae est
per gcatiam, in specnlatlone oonsistens, non
tst eia totaliter ablata, sed diminata... Ter-
tia rero cognitione snnt totaliter privati ».
— 115. Ia41 la falle eoo. Poi, come il di fu
wfmào doò appena si fo, fatto notte, ricoperse
dì nebbia la ralle da Pratomagno al gran già-
fo, tatto il Val d' Amo casentinese ohe si
iténde tra i monti di Pratomagno alla dostra
e il pwi giogo cioè la Giogana di Oamaldoli'
alla sinistra. Bassermann, p. 102: e La effi-
csee descrizione del temporale sembra a me
MUTO qoaloosa di più che il solo prodotto
daUa fr*^H«i«- Dante stesso Tide certo alla
ma della battaglia il temporale distendersi
4a Pratomagno alla Qiogana, il gran giogo,
Is doe msnen di monti che spponto entro sé
rsoehiodono la pianata di Campaldino. Egli
ride le nabi sciogliersi in aoqoa, e le ondo
4sIl*Amo, fatte turgide dagli affluenti, por-
tar seco 1 cadareri dei caduti ; e può l' im-
pressione profonda di quella giornata averlo
condotto a vedere nel temporale mugghiente
e nell' ira indomita dei flutti, V opera di un
demonio malefico ». — 116. Pratomafaei è
come, bene intesero Benr. e Butl, il contraf-
forte altissimo che separa il Val d'Amo ca-
sentineee dal Val d* Amo superiore, all' occi-
dente dell'uno e all'oriente dell'altro; non
giA, come erroneamente ripeterono dopo il
Vent. alcuni moderni, il borgo di Pratovec-
chio nell'alto Casentino. — 117. lateato;
coperto, offuscato di vapori ; la loouzione dan-
tesca ricorda quelle d' Orazio, EpodL zm 1 :
e Horrida tempestas ooelum contrazit > e di
Virgilio, Owrg, i 248 : e obtenta densentur
nocte tenebrae ». — 120. di lei ecc. quolla
parte doli' acqua caduta che non fu assorbita
dalla terra. — 121. e eosie eoo. e l' acqua
raccoltasi nei rivi grandi ossia nei torrenti
del Casentino (la Staggia, U FiumiceUo, U
Solano, la Seva, il CorMlone, l' Arohiano eco.)
si precipitò verso l'Amo tanto velocemente
che nessun impedimento potò rattenerla. Tutti
i commentatori antichi e moderni tengono che
il fiium noi sia l' Arno, detto appunto e rea-
le » da 0. Villani, O. I 48 e e imperiale >
da D. Compagni, Or, i 1, come quello che
porta direttamente le acque al mare: solo
Benv. prende il fiume real per l' Archiano, e
Io Scart si sforza ingegnosamente di soste-
nere questa interpretazione. Baste osservare,
in contrario, che nei versi 119-128 ò descritto
il fenomeno della pioggia e dei suoi effetti,
in generale, in quanto si riversò su tutto il
Casentino e ne gonfiò i torrenti; cosi ohe
non c'è ripetizione in quel che Dante sog-
giunge dell' Archiano, in particolare, in quanto
trascinò seco il corpo di Buonoonte, caduto
appunto alla foce di quel torrente. — 125.
rabeste : violento, impetuoso (cfìr. Inf, xxn
106). — 126. e seiolse ecc. Lana : e qaando
310
DIVINA COMMEDIA
129
132
eh* io fei di me quando il dolor mi vinse:
Yoltommi per le ripe e per lo fondo,
poi di sua preda mi coperse e cinse ».
€ Deh, quando tu sarai tornato al mondo,
e riposato della lunga vìa,
seguitò il terzo spirito al secondo,
ricorditi di me, che son la Pia:
Siena mi fé', disfecemi Marenmia;
salsi colui che inanellata pria
si senti che *1 moria elli s'inorooiò le brao-
cia; poi quando ta nToItato dall'acqua; la
crooe delle bxaoda il disfece >. » 128. toI-
tomnil eoo. e la corrente m' a^rgirò per le rive
e per il fondo dell'Amo sin che m*ebbe ri-
coperto di sopra e d'intorno con i sassi e
l'arena, ohe trasdnaTa con sé. — 180. Deh,
f vaade ecc. A Baonoonte ségoita con breve
e afléttaoso pailare un' altra anima, la senese
Pia ohe raccomanda al poeta di ricordarsi di
lei qoando sarà tornato nel mondo. Alonni
commentatori antichi, Lana, Ott, Case., Bnti,
furono concordi neU' aflérmare, sena' accenno
alcuno al casato di lei, ohe la donna ricordata
daU' Ali^iieri fosse la mos^e di NeUo delU
Pietra, osna di Nello d'Inghiramo dei Pan-
noochiesohi, signore del castello della Pietra
in Maremma, podestà di Volterra nel 1277 e
di Lacca nel 1818, capitano della taglia guelfa
di Toscana nel 1264, e capitano del popolo
in Modena nel 1810, vissuto sino al 1322, in
cui fece testamento nel castello di Oavorrano
(cfir. Bepetti, VI 74; Aqnarone, Dante in
Siena ecc., pp. 79 e segg. ; Q, IDlaneei, noi
Oiomale ttoHeo degli archivi toseanif a. 1859,
ToL m, p. 40). Invece secondo Pietro dì
Dante, Bràv., An. fior., e altri chiosatori an-
tichi (cfir. M. Barbi, ButL 1 61-68X la moglie
di Nello ta nna Tolomei di Siena : • nobilis
domina senensis de stirpe Ptolomaeonim »,
dice Benv., e l'An. fior, e nna gentil donna
della famiglia de' Tolomei di Siena > : cho
gli eroditi senesi spiegarono poi essere nna
Pia Gnastelloni, moglie in prime nozze di
Baldo de' Tolomei, rimasti vedova di lui noi
1290, e poi passata a seconde nozze con Nello
Pannocchieschi e da Ini ncdsa nel 1295 (cfr.
Aqnarone, L dt; Q, Tommasi, Eistoria di
Siena, Vennia, 1626, parte n, p. 188; G. Qi-
gU, Diario «anate, Lucca, 1723, voL I, p. 883).
Ma i documenti trovati da L. Banchi (cfr. F.
Donati nella Riv. crii, delia letL itaL, a. 1886,
n. 6, e A. Lisini, Nuovo documento della Pia
da' ToL figlia di Buonineontro Quaetelloni,
Siena 1893) provano che la Pia Gnastelloni,
vedova di Baldo Tolomei, era sempre viva e
vedova nel 1818. Quindi la donna che parla
si dolcemente a Dante non pud essere costei,
si invoce una Pia nata della famiglia Tolomei,
sposata in prime nozze da Nello deDa Pletzm
• da lui fatta uccidere, non già per aloan
iUlo da lei commesso (Lana, Ott , BotQ n6
per semplice sospetto (Benv., An. fior.), ma,
come altri raccolse dalla tradizione ed è confer-
mato indirettamente da documenti, per desi-
derio di sposare la contessa Margherita degli
Aldobrandesohi già vedora di Guido di Miont-
fiort (fitt. Inf, zn 119) e di Orso Orsini, poi
data nel 1296 da Bonifioio Vili al nipote
Loffredo (}aetani con un matrimonio ohe fti
sciolto due anni dopo. Da ohe si ritnarebbe
che la morte violenta della Pia kam acca-
duta nel 1297, quando per Io sdogUmento
del terso matrimonio di Marg^ksiita, NeUo
potò concepire il pensiero di sposaila, oodm
ibce realmente (cfir. specialmente il Baner-
mann, pp. 882-348). — 184. SleM ad fé*
eco. : nacqui in Siena e venni a morte in Ma-
remma. Quanto alla morte di Pia, eecondo
Lana, Ott e Buti, fu a( pelatamente che nm
si seppe per alcuno né la cosa né il modo ;
secondo Benv. e An. fior., e essendo ella alle
finestre d' uno suo palagio sopra a una valle
in Maremma, messer NeUo mandò uno suo
fante che la prese pei piedi di rietro et oao-
dolla a terra delle finestre in quella valle
profondissima, che mai di lei non si se^w
novelle >. n luogo della uccisione è, secondo
la tradizione comune, il Salto della Omtassa,
presso il castello della Pietra, nella Maremma
massetana, alla destra del torrente Brana.
— 185. salsi colai eco. bene oonoece la mia
storia Nello, della quale io era legittima mo-
glie; poiché egli, dichiarando di ooaaentize
al matrimonio {diapomxndo\ m' avea tolta per
sua donna mettendomi in dito la sua gamma,
cioè con tutte le formalità usate nelle oeri-
monte nuziali: cfir. Del Lungo, Dcmàe II 441-
448. Un antico chioeatore dice coM eoo. e^
sere il fkmiglio, Magliata da Piombino, che
uccise la Pia per ordine di Nello, dopo es-
sere stato procuratore di lui a dada l'anello.
— che iaaaeilBta eco. Le ultime pende della
Pia sembrarono oscure ad alonni oooimenta-
tori ; i quaU, non pensando ai due atti ma*
trimoniali simultanei che vi sono accennati,
quello dello tpooan o dichiarare di toglieie
in moglie, e quello del imméOan o dar l'a-
PURGATORIO - CANTO V
811
136 disposando m* avea con la saa gemma ».
BeDo nuziale eloè oelébiar» A matrimonio se-
eondo il rito della Chiesa, o credendo erro-
neemente che Nello della Pietra sposasse Pia
già redora, dod pria JnofMUato da altro no-
Bo, prererizono la lezione dùpoaata m'aem e
coitrairono eon la mu gmnma «ma Htpoèoia
me, ohe glàpKs era stata {fUMaOMa dal primo
marito : inteipretasione non por oontradetta
dalla storia, ma dal senso generale, poiché
nn' aiféttaosissima erocazlone di intime gioie
domestiche si xidvrsbbe a un giochetto d^
parole.
CANTO VI
Sieonoseliite altire anime di morti pejr fona, Dante e Virgilio continuano
il loro cammino finché s' Incontrano co! mantorano Sordello : la lieta acco-
glienza dei dne concittadini offre a Dante occasione a nna nobilissima In*
rettlTa contro i mail d'Italia in generale e di Firenze In particolare [10
aprile, ore tre pomeridiane eirea].
Quando si parte il giuoco della zara,
colui che perde si riman dolente,
8 ripetendo le volte, e tristo impara.
Con l'altro se ne va tutta la gente:
qual va dinanzi, e qual di retro il prende,
6 e qual da lato gli si reca a mente.
Ei non s'arresta, e questo e quello intende; .
a cui porge la man più non fa pressa;
9 e cosi dalla calca si difende.
Tal era io in quella turba spessa:
volgendo a loro e qua e là la faccia,
VI 1. 4{aaado eco. Dante dzoondato dalle
anhne dei morti per forza, che gli si racco-
mandano riramente perché ottenga loro dei
tolbagi nel mondo, paragona s6 stesso al vin-
citore del ginoco della zara, che ò incalzato
dai sollecitatori di doni e di mance e se ne
libera promettendo a tatti: la scena eh' ei di-
pinge, cogliendo dal vero un fatto che doveva
ai snoi tempi accadere frequentemente nelle
vìe e sulle piazze, è piena di vita e di eflS-
cacia descrittiva. — si parte : si finisce, se-
parandosi i giocatori ; cfr. Puty. zxvi 37. »
li givoeo della cara: fa questo nel medioevo
il tipo dei molti giuochi fatti coi dadi (sozo,
mnrbiola, allesso, gherminella, coderone, ma-
rcile, boCEa ecc.)» e dagli statati manidpali
risalta ch'esso si faceva con tre dadi, perle
più senza il tavoliere, sopra nn banco o altro
piano qualunque, e che durante il giuoco,
secondo determinate combinazioni, la parola
tara (lat. «arum, ìt, xaro e tara, dall'arabo
xM^, dado : cfr. Diez 33) era dotta da uno
dei giuocatorL Queste combinazioni, secondo
U Lana, erano le meno probabili, cioè quelle
dei numeri più bassi (8 e 4) e dei piò alti
(17 e 18), che non avevano altro valore che
di %airi e e non sono computati nel gtooeo > ;
erano computati invece quelli intermedi, dal
5 al 16, e per vincere bisognava fiue il ponto
dichiarato o dtiamato innanzi; e tutta l'abi-
lità consisteva nel chiamare, dice il Lana,
e cotal numero che è ragionevole a dovere
venire >, dod il 10 e r 11, i più probabiU a
formarsi in nna combinadone di tre dadi :
cfr. L. Zdekauer, il giuon in Bàlia mi •»-
eofi xui e ziv, cit., pp. 7-9, e N. Tamassia,
Odo/redo, Bologna 1894, p. 178. — 8. rlpetea-
do if volte ecc. esercitandosi a gittare i dadi^
a ripetere le tratte ; e cosi impara per un'aU
tra oooasione : se ha perduto coli' undici, os-
serva il Lana e elli impara di non ohiamare
un'altra fiata xi». — 4. Cea Peltro ecc.
Lana : e con quello che ha vinto a giuoco»
tutta la brigata va : quale li domanda parte ;
quale domanda provigione, perché tenea le ra-
gioni al giuoco ; quale domanda di vincita >•
— 8. a evi porge eco. colui, al quale il vin-
citore allunga la mano con la mancia e il dono^
più non r incalza o preme (cfr. Airy. v 43),
ma va per altra parte essendo già sodisfktto. —
10. Tal era eco. : in mezzo a quelle anime io
era come il vincitore del giuoco in mezzo ai
2fl2
DIVINA COMMEDU
12 e promettendo, mi sciogliea da essa.
Quivi era Paretin, che dalle braccia
fiere di Gliiii di Tacco ebbe la morte^
15 e 1* altro che annegò correndo in caccia.
> < Quiyi pregava con le mani sporte
Federico Novello, e quel da Pisa
18 clie.fe' parer lo buon Marzucco forte.
sollecitatori, e mi liberavo da eese px>inetten-
do di raocomandarle alle preghiere dei viventi.
— 18. 1'«retlB : Beninoasa di^ Laterioa, terra
del Val d' Arno superiore, ta ginreoonsulto
valente del secolo zm, e, secondo Benv., pzo-
festò leggi nello stadio bolognese : raccontano
gU antichi commentatori che, essendo sssea-
soie o Radice del podestà di Siena, condannò
a morte nn fratello (Tarino, secondo Pietro
di Dante, Bati, An. fior., Land., YelL; Cer-
vo, secondo Lana; Tacco, secondo Ott., Dan.)
e ano do (Tacco, secondo Lana, Bati, Land.,
Veli.) di Ghino di Tacco, peiohó essendo,
dice il Bati, crabatori et omini violenti,
aveano tolto al comone di Siena ano castello
che era in Maremma, • qoive stavano e ra-
bavano chianqae passava per la strada > : il
castello asaipato paze ohe fosse qaello di
Torrita nella Val di Chiana (Bepetti V 550).
Ghino di Tacco, per vendicare la morte dei
congionti, aspettò l'occasione l&vorevole, ed
essendo Benincasa passato ad esercitare il
sao ofBoio da Siena a Roma, andò a sorpren-
derlo nel tiibanale e lo accise, dice il Lana,
e solla sala dove si tiene la ragione >. — 14.
CAln di Taeeot gentilaomo senese dei signori
della Fratta, vìssuto nella seconda metà del
secolo xm nel castello di BadicoDuii e dive-
nato e per la sua fleressa e per le sue robe-
rie nomo assai famoso > (Booc, Dea* g. x,
a. 2, ov'è messa in novella la presura ch'ei
fece dell'abate di Clugny): negli ultimi anni
della sua vita par oh' entrasse nelle grazie
del pontefice Boniftaio Vm, il quale, dicono,
lo beneficò largamente e lo padfiod col co-
mune di Siena ^si veda D. H. Manni, Istoria
del Deoammmé^ Firenze, 1742, pp. 543-661 ;
3. Aqoarone, Danto in SienOy pp. 98-101).
— 16. l'Altro eco. Oucdo del Tarlati, signori
della rocca di Pietramala nel territorio are-
tino e capi della parte ghibellina d'Arezzo,
fiori nella seconda metà del secolo zm e fu
zio di Ouido vescovo di Arezzo : mentre i
suoi avevano guerra oon 1 Bostoli, guelfi fuo-
rusciti d' Arezzo e rifugiati in Castel di Bon-
.dine, perseguitando una volta i nemici, tra-
sportato dal cavallo nel fiume Arno, vi an-
negò. Cosi racconta Benv.; ma Lana, Ott.,
Buti accennano invece che Gucdo trovasse
la morte, inseguito dai nemici dopo la batta-
glia di (Tampaldino o di Bibbiena, del 1289
(cfr. Purg. V 92). ~ 17. Federiee Novello:
figlio di Guido Novello dei conti Guidi, uc-
ciso presso Bibbiena da uno dd Bostoli fuo-
rusciti d'Arezzo, essendo in alato ai Tarlati
di Pietramala. — e «ael da Plia eco. D pi>
sano Boti racconta: cQoesti ta. Farinata,
fiUiuolo di Bussar ICarzucco de li Soornigiani
da Pisa ; lo quale messer Marzucco fti caval-
Uere e dottore di legge, et essendo Ho in
Maremma, cavalcando da Saveieto a Sdher-
lino, ne la via si fermò lo cavallo per ano
ismisurato serpente, che correndo attraverso
la strada ; del quale lo detto messer Marzaooo
ebbe grandissima paura, et awotossi di fiusi
fhtte minore, e cosi fece poi die campato fti
del peiioulo... Fatto Arate Io detto meeser
Marzucco, avvenne caso che Farinata eopra-
detto, suo fiUiuolo, fti morto da uno cittadino
di Pisa [Becdo da Gaprona, secondo Fietio
di Dante e An. fior.] ; unde lo detto measer
Marzucco colli altri fhttl di santo Fimnoseoo
andati per lo corpo del detto suo fiUiaolo,
come ussnsa d, fisce la predica nel capitolo
a tutti consorti, mostrando oon bellissiffie an-
toritadi e verissime ragioni ohe nel caso av-
venuto non era nessuno miUiore remedio che
pacificarsi col nimico loro; e cosi ordinò poi
che si fece la pace, et elli volse badara quella
mano che avea morto lo suo fiUiuolo ». Cos(
il Buti; il racconto del quale ò conforme a
quelli di Pietro di Dante e dell' An. fior., ed
ò in alcuni particolari confermato dai docu-
menti ; poiché Marzocco Soornigiani (fattora
di Mariano giudice d'Arborea nel 1266, uno
dei rappresentanti di Pisa nella pace del 1276
oon liienze, ambasciatore dei pisani ai fuo-
rusciti nel 1278, amico di fin Guittone d'A-
rezzo) nel 1287 entrò come novizio nell'ordine
fi«ncescano restituendo alla moglie la dote e
il corredo (cfr. G. Sforza, Dante § i pisani,
dt. pp. 129-182, 166-169). Magli antichi com-
mentatori raccolsero altre versioni del fatto
in cui Manucco mostrò la sua fortezza: Tana,
accennata dal Lana e dall' Ott, secondo coi
Marzucco avrebbe ucciso un condttadino di
nome Federico, il quale aveva alla sua volta
ucciso Vanne degli Soornigiani figlio di lui ;
V altra, raccontata da G. Boccaccio a Benv.
e riferita da questo e dall' An. fior, cosi:
e Questo Farinata per uno trattato gli ta
mozzo il capo in Pisa al tempo che di Pisa
era signore il conte Ugolino, et lasciato stare
.più di cosi smozzicato in sulla piazza; onde
PURGATORIO — CANTO VI
313
Vidi coni' Orso, e ranima divisa
dal corpo suo per astio e per inveggia,
21 come dicea, non per colpa conunisa;
Pier della Broccia dico: e qui provveggìa,
mentr*è di qua, la donna di Brabante,
24 si clie però non sia di peggior greggia.
Come libero fui da tutte quante
quell'ombre, che pregar pur ch'altri preghi,
27 si che s'avacci il lor divenir sante,
io cominciai : € E' par che tu mi neghi,
0 luce mia, espresso in alcun testo,
80 che decreto del cielo orazion pieghi;
e questa gente prega pur di questo:
sarebbe dunque loro speme vana?
83 o non m'è il detto tuo ben manifesto? >
Ed egli a me: € La mia scrittura è piana,
■Mier Xaxzacco ano padre, trasfigniatoai ot
•oonoednto, andò un di al conte Ugolino di-
eendo : * Signore, piacciavi che qoello sven-
tazato eh' è in sólla piazza sia sotteirato, ao-
dò die '1 poso che già ne Tiene di lai non
fMda noi» alla Tidnanza '. H conte Ugolino
gaaidd oostoi et zioonobbelo; diasegU : * La
tua fellema ha Tinto la mia pertinacia et la
sia dnreiza : Ta et ftame qneQo che tn to-
^ ■ >. ^ 19. coni* Orto : Orso degU Alberti
deOa Oerbaia, figlio del conte Napoleone nno
dai fratricidi della Caina (cfr. Irf, zzzn 66),
gioTÒ col padre e od fratelU Alberto e Guido
la pace del cardinale Latino ( ivi, 67 ) e fa
nodso nd 1286 dal cogino Alberto figlio dd
conto Alessandro ; il qoale Alberto ToUe forse
Tendicare ood la morte dd padre e fti poi
egli stesso aodso nd 1826 da Spinello sao
nipote, bastardo: cosi la tragedia domestica
continnò per alcune generazioni, finché, spenti
g^ Alberti, il cornane di Firenze prese il pos-
■esso di qod loro fèndi di Vd di Bisenzio
per i qoali s'erano commessi tanti fratricidi
(cfr. a. Villani, O. a 818 e Bepetti, VI 80).
— raalaift eco. l'anima di Pietro della Broc-
cia, che fti aodBO, com' egli dioera, per odio
e per invidia, non per dcona colpa che avesse
oommess». — 20. Inveggia i voce arcaica,
formata sol prov. mceja (ctt. Parodi, BuU.
m 100). — 22. Pier deUa Broecia : Pietro de
la Broese, sebbene di amili natali e dato
all'esercizio ddla chirnigia, acquistò gran
fkvoze presso Filippo m (cfr. Purg, vn 108)
re di Frauda, che Io innalzò alle prime ca-
iv»iu> di corte : essendo morto nd 1276 Lai-
gi, il primogenito dd re, pare che Pietro
aeeosaase Haiia di Brabante, seconda mo-
1^ di Filippo m, di avere fiitto awelonare
il figliastro per asdcaiare la saccessione al
figlio Filippo II BeUo (efir. Purg. vu 109),
e per dò incomindò ad ossero odiato dd fon-
tori della regina: scoppiata la gaerra tra
Filippo m e Alfonso X re di CastigUa (cCr.
Par, XIX 126), Pietro fa dd nemid acca-
sato di tradimento e il re lo léce impicca-
re, non senza influenza della regina e dei
partigiani di lei ; anzi gli antichi commenta-
tori aggiangono che Pietro ta fatto ncddere
a istanza di Maria di Brabante, che lo avrebbe
accasato presso il re d'avere tentato la sna
castità. — e qal provreggla ecc. e in que-
sto mondo, Uaria di Brabante provveda fin
che è Tiva ad espiare il sao peccato, se non
vuole andare a finire in nna ptggior grtggia^
ndla schiera dod dei fdd accasatori che
sono in Mdebolge. — 28. la deus 41 Bra-
bante: Maria, figlia di Enrico VI daca di
Brabante e moglie in seconde nozze di Fi-
lippo m, morta nel 1821. — 26. Come Ubero
eoe Liberatod dalle ombre, che gli d racco-
mandavano cddamente per ottenere saibagt
nel mondo, Dante espone on sao dubbio a
ViigUio, perché l'efficacia ddle preghiere
affermata da queste anime gli sembra essere
contradetta da un passo dell' EneùU, vi 876,
dove la Sibilla dice a Palinuro : e Deaine fata
defim flecti sperare precando > : e Virgilio gli
dà subito una spiegazione ddl' imparento oon-
tradizione. — 26. pregar par ecc. pregarono
solamente affinché altri pregasse per loro, ad
aflltettare l'opera della purificazione. --> 27.
8*avaeel: s'aifretti (cfir. Purg, iv 116). ^
28. tn mi neghi ecc. tu affermi esplidta-
mente in qudche luogo dd tuo poema che
le preghiere non valgono a mutare i decreti
divini, e queste anime chiedono solamente
che le preghiere affrettino la loro salita al
purgatorio : or dunque, ò fallace la speranza
di queste anime, o io non ho ben capito le
tue parole ? — 84. La mia leriltara eoe
814
DIVINA COMMEDIA
e la speranza di costor non fialla,
36 se ben si guarda con la mente sana;
che cima di giudizio non s'ayyalla,
perché foco d'amor compia in un punto
89 ciò che dèe satisfar chi qui s' astalla:
e là doy'io fermai cotesto punto,
non si ammendava, per pregar, difetto,
42 perché il prego da Dio era disgiunto.
Veramente a cosi alto sospetto
non ti fermar, se quella no '1 ti dice,
45 che lume fia tra il vero e l'intelletto.
Non so se intendi; io dico di Beatrice:
tu la vedrai di sopra, in su la vetta
48 di questo monte, ridente e felice >.
Ed io : < Signore, andiamo a maggior fìretta;
che già non m'affatico come dianzi,
61 e vedi omai che il poggio l'ombra getta >.
€ Noi anderem con questo giorno innanzi,
rispose, quanto più potremo omai:
54 ma il fatto è d'altra forma che non stanzi
Prima che sii là su, tornar vedrai
Né l'vna ooea né l'altra, rispondo Virgilio:
tu hai inteso le mie parole, • 1* speranza di
queste anime non è fallaoe; e tn i dne ter^
mini non e' d, ohi bene consideri, alcona con-
tradixione. *— 87. th4 tìwuk eoo. perché cima
di gktdixiOt V altezza del giudizio divino, non
B*awaUaj non si abbassa, perché fooo d'amor^
per il fatto ohe V ardore di carità delle anime
buone, preganti per queste dell'antipurgato-
rio, compia in vnpmiioy in un momento solo,
ciò ehó dèe tatiafar chi qui c'asiaUa, quell'e-
spiazione che ò dovuta dalle anime, ohe senza
l'aiuto delle altmi preghiere la compirebbero
stando qui più lungo tempo. —89. s'Mtalla:
il rb. astaltarCf derivato dal nome atollo che
nel senso di dimora s' incontra in Inf. xzxm
102, significa aver dimora, dimorare, tratto-
nersi in un luogo per un lungo tempo. —
40. • là dOT*lo eoo. e nel caso, nel quale
dissi che le preghiere non valevano a piegare
il divino vdere, non poteva certo la colpa
essere espiata con preghiere, poiché chi pre-
gava era ftiori della grazia del Signore, e per-
ciò le sue parole non potevano avere alcuna
efficacia presso Dio (cfr. Purg, rv 133-185).
— 48. TerAmente ecc. Ma tu non fermare
la mente a questioni cosi profonde, se non
ti richiama a ciò quella donna che al tuo in-
telletto rischiarerà con la luce della scienza di-
vina la verità. Virgilio, simbolo della ragione,
non pud sciogliere 1 dubbi di natura teolo-
gica, per i quali ò necessario l'intervento di
Beatrice, simbolo della fede (cfr. ih/l n 70).
— 46. ehe lume eco. ohe tra la verità e ik
tua mente farà come il lume, che rischiarando
le cose le rende visibili al senso. — 46. Kob
so eoo. o£r. Inf, xziv 67. — 47. tv la ve-
drai ecc. Beatrice sorridente di etema feli-
cità apparirà al suo fedole sulla cima del
monte sacro, nel paradiso terrestre (ofir. Py/rg,
XXX 28 e segg.). — 49. Signore eoe Tomm.:
e Al nome di Beatrice il poeta si sente rin-
vigorito dal desiderio e già ascende coli' »-
nima le altezze del monte ; perché il desido»
rio di vedere lei si confonde col bisogno di
conoscere la verità >. — 61. e vedi eoo. Era
mezzogiorno quando 1 due poeti s'allontana-
rono da Belaoqua (Purg. iv 187), e molto
tempo avevano perduto nei colloqui oon le
anime dei negligenti : si che in questo mo-
mento il sole era già occultato dal monte che
gittava la sua ombra sul luogo ov* erano i
due poeti, essendo circa le tre ore pomeri-
diane : cfr. Moore, tav. vi : e prime ore dopo
il mezzogiorno >. — 62. Noi anderem ecc. Con-
tinueremo a salire finché durerà il giorno; ma
il fatto è ben diverso da quello che tu imagi-
ni: la salita ò lunga o difficile e a compierla
bisognerà più tempo che tu non pensL — 65.
Prima ehe sii ecc. Prima di giungere sulla
cima del monte vedrai fìA volte rinascere il
sole, che ora si nasconde dietro il monte si
che tu non gitti più ombra. Dante e Virgilio,
usciti all' aperto sull' isoletta la mattina del
PUBGATORIO - CANTO VI
816
colui olle già si copre della costa,
si clie i suoi raggi ta romper non iaL
Ma vedi là un'anima, clie, posta
sola soletta, verso noi riguarda^
quella ne insegnerà la via più tosta >.
Venimmo a lei. O anima lombarda,
come ti stavi altera e disdegnosa,
e nel mover degli ocdii onesta e tarda!
Ella non ci diceva alcuna cosa;
ma lasciavano gir, solo sguardando
a guisa di leon quando si posa.
Pur Virgilio si trasse a lei, pregando
clie ne mostrasse la miglior salita,
e quella non rispose al suo domando;
ma di nostro paese e della vita
c'inchiese. £ il dolce duca incominciava:
< Mantova... », e l'ombra, tutta in sé romita,
67
60
63
66
72
surse vèr lui del loco ove pria stava,
dicendo : € O mantovano, io son Sordello
10 aprile, entrano nel vero purgatorio nella
mattina deQ' U (efr. Purg, vl 44), la mattina
del 12 salgono al quinto cerchio (cfr. Purg,
zxx 87) ; pd Dante solo entra nel paradiso
teiieatie la mattina del, 18 aprile (cflr. Berg,
xxm 109 e segg., xxrm 1 e segg.). — 68.
festa Mia eoe separata del tatto dalle altro
anime. Bnti e molti con Ini intendono potta
per sedata, posta a sedere ; e veramente, se
poi si allò, «Urss del ìooo ove pria ttava^ Sor-
dello doveva essere sedato. — 61. O aalma
lombarda ! Dante scrivendo ha ancora in-
nanzi agli occhi Tatt^ggiamento di Sordello,
che gli era sabito apparso come aomo d'alto
e nobile animo e di grande saviezza e gra-
vità; e nella forma esclamativa fit sentire il
perdarare dell* impressione riportata di quella
singolare flgoia. — 62. àttera e disdegsosa:
Land. : « In nostra lingna diciamo altero e
disdegnoeo colai che per eccellenza d'animo
non riguarda né con pensiero a cose vili, nò
qaeUe degna; si che dimostra ona corta
gfliifff^^^ generosa e senza vìrio»; e dta
^esempio del Petrarca, canz. cv 8 : e £d in
donna amorosa anoor m'aggrada Che 'n vista
vada altera e disdegnosa. Non saperba e ri-
trom >. — 66. sgaardande : il vb. eguardare
bene esprime l' idea di on' adone continaata
e calma. — 66. a galea eco. Ventari 892 :
e Molte sindlitadini del leone sono in Omero,
e alcune in Virgilio e nei poeti latini : ma
siano lo ritrasse in qaeet' atto dantesco, che
mostra la Aera maestà dello sgoardo e la di-
gnità dei ripoeo >. ~ 67. Par Tirgille eoo.
ViigiUo i' avvicina a Sordello, chiedendogli
qaale sia la strada pid agevole per salire ;
ma egli invece di rispondere alla domanda
chiede alla sua volta ohi siano i dae visita-
tori, e appena Virgilio ha pronanziato il no-
mo della pàtria, con on impeto grande d'a-
more si leva e abbraccia l'ignoto visitatore,
manifestandosi per sno concittadino. — 72.
totta la sd romita : prima raccolta tatta in
sé stessa, poeta eola eoletta, — 74. le son Sar-
delle eoo. Sordello nacqae a Goito, nel terri-
torio di Bfantova, sai principio del secolo xm,
e fti di ana ùtmiglia di nobiltà campagnaola :
entrò giovine nella oorte del conte Biocardo
di San Bonifisrio, signore di Verona, e inva-
ghitosi della moglie di lai, Ca^zza da Ro-
mano (cfir. iV. iz 82), la rapi intomo al 1224
d'accordo col fratello di lei Ezzelino m (cfr.
Inf, TU 110) e si recò con essa nella Marca
Trivigiana : dopo avor peregrinato pid anni
per qael paese, abbandonò l'Italia intomo
al 1229, e visitò le corti dei oonti di Pro-
venza, di Tolosa, di Boassillon e forse anche
qaella di Castiglia e qualche paese di Poitoa.
Allorquando Carlo I d'Angiò ebbe la contea
di Provenza, Sordello si mise ai soci servigi,
come cavaliere e come poeta, e certamente
fa tonato in gran conto da qoel principe,
poiché il sao nome appare insienie con quelli
dei maggiori cortigiani in parecchi trattati e
documenti angioini dal 1262 al 1266. SordeUo
segui Carlo nella spedizione d' Italia, ma pare
oh' ei rimanesse prigioniero dei ghibeUini pri-
ma di giungere nel regno di Napoli : certo,
nel settembre del 1266 era in prigione a No-
vara, e il papa Clemente IV eccitava il re
816
DIVINA COMMEDIA
75 della tua terra»; e l'iin 1* altro abbracciava.
' Ahi serva Italia, di dolore ostello,
nave senza nocchiero in gran tempesta,
78 non donna di provincie, ma bordello!
. Quell'anima gentil fu cosi presta,
sol per lo dolce suon della sua terra,
81 di £Eu:e al cittadin suo quivi festa;
ed ora in te non stanno senza guerra
li vivi tuoi, e l*un l'altro si rode
84 di quei che un muro ed una fossa serra.
Cerca, misera, intomo dalle prode
le tue marine, e poi ti guarda in seno,
87 se alcuna parte in te di pace gode.
angioino a liscaftaro 11 sao fedele ; e liberato
dal carcere, ottenne nel 1269, come ricom-
pensa dei sarrigi prestati, dnque castelli,
nell'Abrono, presso A fiume Pescara, ma
poco dopo mort Fu, a giudizio degli antichi
biografi 0 commentatori, di bella persona e
▼iraoe amatore ed ebbe tatto le parti di on
perfetto cortigiano : tra gli italiani che scris-
sero poesie in provenzale ta senza dnbbio il
maggiore, tanto por ricchezza e yarietà di
intenzioni, qnanto per il aicoro nso della
lingua e dello stile troTadorìco; delle poesie
avanzateci di SordeUo (circa quaranta), parto
deUe quali sono d' argomento amoroso, alcune
sono reramento notoToli; più d'ogni altra,
la canzone di compianto per la morto di Bla-
catz nobile signore prorenzale, anteriore al
1287 (cfr. F. Diaz, Lebm mdé Work», dt
pp. 275-888; 0. Schnlts, DU LOenavarhàtt'
Hit» der iUU, TVobadora in ZeUaokrift fùr r(h
mtm. Philohgie, a. 1888, voi. VII, pp. 202-
218; gU studi di C. De LoUis, di P. E.
Ouamerio, di F. Torraoa e di V. Creeoini
riassunti dal Parodi, BulL IV 186-197; D^O-
Tidio, pp. 1-18, 668-670). Sopra il motivo
per cui Danto potò dar luogo cosi onore-
vole nel poema al trovatore mantovano cfr.
la nota al Airy. vn 46. ^ 76. Ahi serra
Itslia eco. Lo spontaneo movimento d'af-
fetto, per cui Sordello si gittò al collo del
concittadino, senza pur aspettare che questi
si rivelasse, richiama al pensiero di Danto
le fiere discordie che dilaceravano ai suoi
tempi l'Italia ed erano precipua cagione dei
mali della patria; • lo trasse a questa invet-
tiva vtolento contro tutti coloro che con i
loro atti concorrevano a mantenere cotesto
condizioni tristissime : ma anche nell'impeto
della concitazione lirica, procedento dallo
sdegno e insieme dall'amore, Danto seppe
da gran poeto contenere il suo pensiero en-
tro i termini dell' arte, sfuggendo al pericolo
di lasciarsi andare a una verbosa e vuota
declamazione. La sua invettiva d un quadro
storico, in cui per efEotto di un'analisi pro-
fonda, rivive in tutti i suoi aspetti la con-
dizione politica deU'ItaUa nel 1800: U pa-
pato usurpatore del potere civile, l'impero
ormai noncunuito della sua parto plfi beDa,
le cittadinanze divise dalle fazioni, la no-
biltà feudale e ghibellina dedinanto rapida-
mento a rovina, la democrazia comunalo e
guelfa procacdanto per la conquisto del go-
verno, campeggiano vlvamento tratteggiato;
e in fondo, quasi specchio della rimanonto
Italia, Firenze, percossa dal suo fiero citta-
dino e poeto con ironia cosi efllcaoe e con
parola cosi potonto che il lettore trascinato
e vinto non ha agio di discutere giudizi ed
espressioni, ma si sento commosso ed ammira.
— serra: cosi chiama l'Italia, perché stra-
ziato dalle tirannie feudali e dai governi po-
polari, mentre il poeto la va^eg^va ordi-
nato sotto l'autorità dell'imperatore; cfr.
Ds tnon, i 12 : e humanum genus existens
sub monarcha est potissime liberum ». — 4i
dolore ostello: albergo d'ogni male civile.
— 77. aare eco. sbattuto dalle agitazioni
politiche, senza la direzione dell* imperatore.
— 78. non donna ecc. non più signora delle
altre provinde, ma bordeiioj luogo di corru-
zione e di vizL — 79. ij^ell* anima ecc.
Quasi per dar ragione del^ sua invettiva,
Danto metto In rilievo il contrasto fht la
carità dttadina dimostrato da Sordello nel
purgatorio, ove le anime sono stretto in
una comunanza piti ampia (cfr. I\trf, zm 94),
e gli odi che dilacerano i viventi nelle terre
d'Italia. — 88. l»nn Paltro ecc. gli uomini
nati e cresduti entro la medesima cinto di
mura e di fossa si straziano vicendevolmento
per odio di parto : infitti nd 1800 tutto quasi
le dttà che si reggevano a comune erano
divise in due fazioni, che avevano vari nomi
secondo i luoghi e continuavano fienunenfo
la piti antica discordia di guelfi e di ghibel-
lini. — 85. Cerea misera eco. Considera lo
tue regioni marìttiffie lungo il Tirreno e l'A-
PURGATORIO - CANTO VI
817
Che vai, perché ti racconciasse il freno
Giustiniano, se la sella è vota?
90 senz*esso fora la vergogna meno.
Ahi gente, che dovresti esser devota
e lasciar seder Cesar nella sella,
93 se bene intendi ciò che Dio ti nota, *
guarda com'esta fiera è fatta fella,
per non esser corretta dagli sproni,
96 poi che ponesti mano alla predella.
O Alberto tedesco, che abbandoni
costei eh' è fatta indomita e selvaggia,
99 e dovresti inforcar li suoi arcioni,
giusto giudizio dalle stelle caggia
sopra il tuo sangue, e sia nuovo ed aperto,
102 tal che il tuo successor temenza n'aggia;
che avete tu e il tuo padre sofferto,
per cupidigia di costà distretti,
105 che il giardin dell'imperio sia diserto.
Vieni a veder Montecchi e Cappelletti,
driatiM> e !• regioni interne, e vedrai che
nesfona è in paco. — 88. Che Ttl ecc. A
nulla 8:ìotò l'ordinamento delle leggi impe-
riali latto da Giustiniano (cfr. Par. vi 12),
perckó r imperatore non ha piti alcuna anto*
lità «all'Italia. » 89.. it la sella eco. se
non vi è aloono che fàccia rispettare le leggi
imperiali (cRr. Purg. zvi 97). Dante, Oonv,
IT 9 scrive : e dire si pad dello imperatore,
volendo il sao officio flgnrare con una ima-
gine, che elli sia il cavalcatore della nmana
Tolontà, lo qaal cavallo corno vada sanza il
cavalcatore per lo campo assai d maniresto,
e spezialmente nella misera Italia ohe sanza
mezzo alcnno alla sua governazione ò rimar
la >. — 90. seax' esso ecc. minore sarebbe
la vergogrna, sm»' «sm> /Vmo, se non vi fosse,
il corpo delle leggi giustinianee, fondamento
del diritto imperlale, o smx'taao OiustiniaftOf
cioè se qaell' imperatore non avesse dato or-
dine alle leggi. — 91. Ahi gente ecc. Si
volge alla gente di chiesa, al papa e ai sa-
cerdoti, che invece di attendere alle cose re-
Ugioee n adoperavano ad osnrpare il potere
civile, dimenticando il precetto evangelico
(Uatteo zxn 21): e Rendete dnnqne a Cesare
le cose ohe appartengono a dosare, ed a Dio
le cose che appartengono a Dio > : cfir. Purg,
XVI 94-112. — 92. lasciar eco. lasciare al-
l'imperatore l'esercizio dell' autorità civile.
— 94. gaarda ecc. Guardate, o ecclesiastici,
come l'Italia è divenuta ribeUe ad ogni po-
testà, essendo mancato ogni autorevole ed
elBcaoe governo da poi che presumeste voi
di reggerla a vostro talento. ~ 96. poi che
poaestl eco. Sebbene il concetto del poeta
sìa manifesto, gran discordia ò tra gl'inter-
preti nel determinare U valore del nome prv-
della: il quale indica propriamente quella
parte della briglia, che va sUa guancia del
cavallo sopra il morso, e qui è usato a
indicare il f^no in genere. — 97. O Al-
berto tedesco ecc. Alberto I d'Austria, figlio
dell' imperatore Rodolfo (cfr. Purg, vn 94), ta
eletto imperatore nel 1296 e fu ucciso da
Giovanni duca di Svevia, nel 1908 : egli non
venne mai in Italia, ove l' impero fa oonsi-
derato come vacante dalla morte di Federi-
co n sino all'eledone di Arrigo VH; e per-
ciò Dante si scaglia contro di lui, minaccian-
dolo di quella vendetta divina, che quando
il poeta scriveva era già compinta. — 96. In-
domita e selvaggia : ribelle e disubbidiente
all' impero. — 101. nvovo ed aperte : inso-
lito e manifesto. — 102. Il tao snecessor:
Arrigo vn : cflr. Par, xxx 186. — 108. avete
tu ecc. tu e Rodolfo tuo padre avete lasciato
rovinare l'Italia dalle fazioni, trattenuti in
Germania dal desiderio di assicurare e accre-
scere i vostri domini tedeschi. G. Villani, Or.
vn 146 dice di Rodolfo : e sempre intese a
crescere suo stato e si^orfa in Alamagna,
lasciando le 'mprese d' Italia per accrescere
terra e podere a' figliuoli, ohe per suo pro-
caccio e valore di piccolo oonte divenne kn-
peradore e acquistò in proprio il ducato d'O-
sterich e gran parte di quello di Soavia >.
— 106. Tieni a veder ecc. È questo uno dei
passi storici di maggior difficoltà cho siano
nel poema dantesco, e intorno ad osso tea-
318
DIVINA COHICEDU
Monaldi e Filippeschi, aom senza cura:
108 color già tristi, e costor con sospetti.
Vien crudel, vieni, e vedi la pressura
de' tuoi gentili, e cura lor magagne,
IH e vedrai Santafior com'è sicura.
Vieni a veder la tua Roma che piagne,
vedova e sola, e di e notte chiama:
114 < Cesare mio, perché non m'accompagne? »
Vieni a veder la gente quanto s' ama;
e se nulla di noi pietà ti move,
117 a vergognar ti vien della tua fama.
£ se licito m'ò, o sommo Giove
gono il campo due interpietazioiìi prindpaU.
L'ana d quella del Todeeohini (eepotta e so-
fteiMita in due Iettare pabbL dietro la Xattar»
ttoriehe diL,da Porto^ Fiienxe, 1867, pp. 861-
429), il quale, ritenendo che la quattro ùuni-
glie ricordate da Dante fossero ghibelline e di
quattro diverse citt&, spiegò il passo oosf:
e Vieni a vedere a qual partito siano ridotti
in molti luoghi d'Italia 1 sostenitori deU* im-
peziale autorità : osserva i Monteochi di Ve-
rona, ed i Cappelletti di Cremona, osserva 1
Monaldi di Perugia, e i FiUppesohi di Or-
vieto: colorò son già sconfitti ed oppressi:
questi altri non si sostengono se non in mezzo
alle inquietudini del pericolo ». L'altra d
quella della maggior parte dei commentatori,
i quali, discordando nei particolari, conven-
gono nel ritenere che Duite abbia voluto ri-
cordare due coppie di Cuniglie che in due
diverse città fossero rispettivamente a capo,
runa di una fazione e l'altra della farione
contraria : i Monteochi a i Cappellotti, due
famiglie veronesi di parte ^dbellina, ma ni-
wicissime per il triste caso di Giulietta e
Bomeo; 1 Monaldi o Monaldeschl e i Filip-
peschi, due famiglie orvietane, la prima di
parte gueliìa a la seconda di parte ghibellina
e in grandi contrasti al tempo della passata
di Arzigo Vn (cfr. O. Villani, Or, iz 40).
Delle due interpretazioni ò molto più attraente
quella del Todeschini, ma non si pud accet-
tare, essendo certo che i Cappelletti, comò
ai ha da Salimbene da Parma {Ckr. p. 186),
aut(»0vole testimonio, erano in Cremona capi
della parte di Chiesa, non già della parte d' Im-
pero. Sulla questione si cfr. F. Soolari, Sa
la pietosa morte di OùtUa CappelletH e Romeo
MonlMohi, UU$r$ oriikhe, Livorno, 1831 e Q.
Brognoligo, Moniteoki § CofpeU. nella Div,
Conmi,, nel Prcpugnaton^ N. S., VI, parte I,
pp# 262-290 ; il quale ultimo ritiene che Dante
abbia voluto riprovare le fazioni cittadine,
ricordandone alcune senza distinzione di parte
rispetto a una medesima dttà, ma pi4 tosto
distinguendo le fazioni già spente nel se-
colo xni (come i Montecchi ghibellini di Ve-
rona abbattati dai San Bonifacio e i Ciqtpel-
letti guelfi di Cremona vinti dai Pelavicini)
da quelle tuttora operanti al principio del xnr
(Monaldo e Illippesohi di Orvieto): « questo
porre di fronte, egli conclude, discordie pas-
sate e discordia presenti poteva servire, nella
mente del poeta, a mostrare come esse foe-
sero male antico e profondamente radicato
d' Italia >. — 100. la pressvra eoe Toppree-
done dei signori feudali; i domini dei quali
vennero mancando o restringendosi nel se-
colo xm per l'espansione del governi comu-
nali a danno della feudalità del contado.
L'espressione dantesca ricorda la e pressura
gentium > del vangelo di Luca, xzi 25 (cfr.
Moore, I 49). — 110. tao! geatlU i i mar-
chesi, i conti, i cattani, tutti insomma i si-
gnori che tenevano torre per concessione
imperiale. — 111. a vedrai Santaflar eoo.
Cita per esempio della decadenza delle signo-
rìe ghibelline e feudali la contea di Santa-
fiora, nel Montamiata: questo dominio feu-
dale della famiglia Aldobrandeschi (cfr. Pitrg,
ZI 68 e segg.), che l'aveva posseduto insieme
con la contea di Soana sina dal secolo iz,
toccò nella divisione dol 1274 al conte Dde-
brandino di Bonifioio e ta, costituito coi ca-
stelli di Santafiora, Aiddosso, Selvena, Oam-
pagnatioo, Boccastrada a OtfÓglione d'Orda:
Bonifario e Omberto, figli d' Ddebrandino, fu-
rono in grandi contrasti col comune di Sena,
massime negli ultimi anni del secolo, finché
nel 1800 s' accordarono coi senesi cedendo
loro alcune tene e castelli (cfr. D. Berlin-
ghieri, Natiieie degli Aìdobrandeedd, Siena,
1846 ; B. Aquarone, Dante in Siena^ pp. 108
e segg. ; Bepetti, V 148 a segg., VI 66-68;
Bassermann, pp. 829-881). — 112. tua Roma
ecc. Boma, la dttà dell'impero, derelitta e
abbandonata dall' imperatore, che essa vana-
mente invoca da tanto tempo. <— 115. la
gente eco. le dttadinanze discordi e agitato
dalle fiere passioni partigiane. — 117. a ver-
gognar eco. vieni a riconoscere quanto vile
e spregevole sia ormai agli occhi degli ita-
liani l'autorità imperiale. — 118. loainia
PURGATORIO - CANTO VI
319
che fosti in terra per noi crocifisso,
120 son li giusti occhi tuoi rivolti altrove?
o ò preparasion, che nell'abisso
del tuo consiglio fai, per alcun bene
123 in tutto dall* accorger nostro scisso?
che le terre d'Italia tutte piene
son di tiranni, ed un Marcel diventa
126 ogni villan che parteggiando viene.
Fiorenza mia, ben puoi esser contenta
di questa digression che non ti tocca,
129 mercé del popol tuo che s'argomenta.
Molti han giustizia in cor, ma tardi scocca,
per non venir senza consiglio all'arco;
182 ma il popol tuo l'ha in sommo della bocca.
Molti rifiutan lo comune incarco;
ma il popol tuo sollecito risponde
135 senza chiamare, e grida: < Io mi sobbarco ».
Or ti fa lieta, che tu hai ben onde:
tu ricca, tu con pace, tu con senno,
138 s'io dico '1 ver, l'effetto no '1 nasconde.
fflOTe: cfr. hif. xzxi 92. — 120. toa U flw
ttl ecc. hai fone liyolti gli occhi altroye,
9«aii per onroie delle nostre malragità? hai
kftm TolQto abbandonare ritaUa? — 121. o
i pirtparaslM eoo. o coi mali presenti pr»-
pid nel tao imperBcmtablle consiglio qualche
bene remoto, che noi non possiamo oonce-
pize? o la presente rovina è forse la pre-
psiaiione necessaria di nn miglioramento ar-
Tenirs? — 122. kene In tatto eco. bene
anohitamente seitso, separato, lontano dal
lostro accorger^ dal nostro intendere. — 124.
le terre d'Italia ooc. le dttà italiane sono
piene di tiranni, e noli* affannarsi della plebe
al goTsmo ogni peggior cittadino, oho se-
gna la parte popolare, diriene nn flerissimo
oppognatore del diritti e dell' sntorità del-
l'impero. — 126. Mareel: qnad tatti i com-
aentatori antichi e moderni credono che,
qoasi tipo degli oppositori all' impero, ria ri-
eoidato C. Clandio Marcello, console nel 60
a. C, e flerissimo avrersario di Cesare (o£r.
Saetonio, Cast. cap. zxix); e nota acuta-
Biente il Koore, I 281, ohe Dante si riferi
assai probabilmente al « Maroellns loqnax >
di Locano, .Fbrs. i 818. Altri invece inten-
dono di M. Clandio Karoello, il vincitoro
di Siracusa, ohe sarebbe ricordato qni come
gnode dttsdino e capitano, malamente emn-
lato dai partigiani dà oomnni medioerali. —
127. Floreaia eco. Dante, che in più laoghi
del SBO poema ha già rimproverato amara-
mente i viit, le discordie, le ambizioni dei
saoi concittadini (cfr. Inf. w 49-60, 68-76,
XV 61-78, XVI 73-76, xxvi 1-12 ecc.), ohinde
la sua invettiva contro i mali d' Italia con
un'apostrofe d'amara e tagliente ironia a
Firenze; e alla patria rinfaccia spedalmente
la rapida e violenta evoluzione del reggi-
mento democratico, ohe a lui, uomo di spiriti
aristocratici e di politica moderata, appariva
come un dissolvimento morale e civile. — •
129. aieretf ecc. in grazia del tuo popolo, ohe
s'ingegna, si adopera a non meritare tali
rimproveri. Quasi tutti i moderni leggono :
ehè ti argomenta e spiegano : che ragiona e
conchiude cosi come ragiono io; oppure:
opera cosi rettamente che questa digressione
non può toccarlo. » ISO. Molti haa eco.
Molti cittadini d'altre terre italiane hanno
nell' animo il sentimento della rettitudine po-
litica, ma tardi lo manifestano per non par^
lare sconsideratamente; invoce i fiorentini
l'hanno di continuo sulle labbra, non parlan-
do che di giustizia e di onestà, senza poi pra-
ticarle neUa vita pubblica. — 183. Meitt rl-
flataa ecc. Molti nelle altre città rifiutano 1
pubblici offici ; ma i fiorentini si dichiarano
pronti a sostenerne il peso, senza pur essere
chiamati. — 136. Or ti fa lieta eco. : cfr.
Inf. XXVI 1. ~ 137. ta ricca eco. : ironica-
mente rimprovera ai fiorentini le ricchezze
male acquistate col traffico, col giuoco, con
l'usura; le discordie inteme, cagione di tur-
bamento continno alla città; e la mancanza
di assennata moderazione in ogni cosa del
governo. — 188. l'effetto: i mutamenti ra-
pidi e violenti, accennati noi versi seguenti
320
DIVINA COMMEDU
Atene e Lacedemone, che fenno
l'antiche leggi e faron si civilif
141 fecero al yiver bene un picciol cenno
verso di te, che fai tanto sottili
provvedimenti che a mezzo novembre
144 non giunge quel che tu d'ottobre fili.
Quante volte del tempo che rimembi^i
legge, moneta e ufficio e costume
147 hai tu mutato, e rinnovato membrel
E se ben ti ricordi e vedi lume,
vedrai te simigliante a quella inferma,
che non può trovar posa in su le piume,
151 ma con dar volta suo dolore scherma.
erano, secondo Dante, gli effetti di ooteite
trìstiasime passioni della cittadinanza fioren-
tina. ~ 189. Atene e Ijaeedemone eco. Atene
e Sparta, le doe città greche rette con oi^
dini sapienti di goTemo, con le oostitozloni
di Solone e di Ucnrgo, dettero nn esempio
imperfetto di libero reggimento al oooftonto
di Firenze. — 142. Terse di te: al paragone
di te ; ofr. Inf. xzxiv 69. — che fai tante
ecc. Tutti i commentatori erodono che Diuite
accenni genericamente alla mutabilità degli
ordinamenti politici di Firenze ; né altro senso
che generico danno a questi rersi 0. Villani,
che due rolte li dta in biasimo della patria
nella sna O. zn 19 e 97, e D. Qiannotti,
che nel suo trattato DeUa repubbLfiormLt n
18, li riaTTidna al motto popolare : legffé fio-
rentina, faUa la $era e guatta la mattina. • ICa
perché Dante (cosi il Del Lungo, II 620) fra
i dodici mesi dell' anno soegliesse appunto,
nel significare il proprio concetto, i due mesi
dell' ottobre e del novembre, questo nessuno
cercò; nessuno pensò che appunto fra l'ot-
tobre e il novembre del 1801, toccò a Fi-
renze una di quelle mutazioni e rinnovazioni
di membro, ddle quali parla il poeta, ma per
lui la piti memorabile e dolorosa, perché in
conseguenza di essa l'ambasciatore del Co-
mune al Pontefice diventò esule senza ritor-
no > : il mutamento adunque, che avrebbe
suggerito a Dante le sue parole, sarebbe
quello dell' autunno 1801, quando ai priori
di parte bianca entrati in ofSdo il 16 ottobre
furono per legge straordinaria surrogati l'S
novembre, prima doò del termine legale della
loro signorùi, l priori di parte nera, per il
tradimento di Carlo di Valois (cfr. D. Com-
pagni, Cr, u 19). ~ 1 15. Quante Tolte ecc.
I piindpaU mutamenti politid di Firenze nel
tempo di Dante, e almeno quelli cui egli do-
veva avere il pensiero mentre scriveva que-
sti veni, ftirono i seguenti : giugno 1282,
istituzione dei Priori delle Arti; gennaio-
aprile 1298, istituzione del Oonftdoniere di
Giustizia e promulgazione degli Ordinamenti
di Giustizia ; 1296, esilio e condanna di Giano
della Bella ; maggio 1800, divisione dei guelfi ;
giugno-agosto 1800, esilio dei capi delle due
fazioni; aprìle-^ugno 1801, congiura dei Neri
in S. Trinità e prevalenza dei Bianchi ; no-
vembre 1801, venuta di Carlo di Vaiola, oe*-
sazione della signoria bianca, prindpio déDa
signoria nera, morte dvile della parte bian-
ca; 1802-1804, tentativi dei Bianchi di ri-
tornare in patria; 1908-1806, discordie fra i
Neri sino alla morte di Corso DonatL — 147.
■lenbre: dttadinanza; perché al prevalere
dell'una fazione l'altra era caodata e cosi
la dttà era in una continua permutazione
degli abitanti. Quanto alla forma, mmnbn
(anche in Inf, xxel 61) ò nn plurale neutro
con terminazione non insolita (Acry. zn 21,
zxzzn 108, PO/r. xxxi 81): cfir. Parodi, BuU. TU
122. — 148. E se bea ti ricordi eoe e Fi-
renze non si muove, se tutta non si duole »,
dicevano per proverbio i contemporanei di
Dante (cfr. G. Villani, Or, zn 16); ma il poeU
del motto popolare fece una similitudine di
stupenda efficacia, paragonando la patria agi-
tata dalle dvili perturbazioni all'inférma, che
non trova requie sul letto del dolore e cerca
difesa e sollievo contro i suoi mali volgendosi
ora sur un lato, ora sur un altro, ma sempre
infelice e dolento. — 161. ackeniftt dk.
Pwrg. XV 26.
PUEGATOBIO - CANTO Vn 3?^
CANTO VII
Aeeompagrnati da Sordello, Dante e Virgilio visitano nna Talletta nei
fianchi del monte, nella qnale sono raccolte le anime di grandi principi e
signori : tra essi riconoscono Rodolfo imperatore, i re Ottocaro II di Boemia,
Filippo III di Francia, Enrico I di Nararra, Pietro ITI e Alfonso III d'Ara-
gona, Carlo I d*Angiò, Arrigo III d'Inghilterra, e il marchese Gnglielmo VII
di Monferrato [10 aprile, dalle ore tre circa alle sette pomeridiane].
Poscia che raccoglienBe oneste e liete
furo iterate tre e quattro volte,
8 Sordel si trasse e disse: € Voi chi siete? >
€ Prima che a questo monte fosser volte
l'anime degne di salire a Dio,
6 fiir l'ossa mie per Ottavian sepolte:
io son Virgilio; e per nuli' altro rio
lo ciel perdei, che per non aver {& ».
9 Cosi rispose allora il duca mio.
Qual è colui che cosa innanzi sé
sùbita vede, ond'ei si maraviglia,
12 che crede e no dicendo : € Eli' è, non è »;
tal parve quegli, e poi chinò le ciglia,
ed umilmento ritornò vèr lui,
15 ed abbracciollo ove il minor s'appiglia.
€ O gloria de' latin, disse, per cui
vn I. P«Mlm eoo. Bordello, dopo avere la moeia della frase. — 8. ptr ■•■ ater
più Tolte abbiaoolato il rao eonoittadino, do- ftf : per non aver oonoidnto la vera religione
a Vizgilio ehi egli ria; e l'antioo (cfr. ^f, x 126, vr 88). — la Qaal è ecc.
poeta ai Bumifesta, aggiungendo alcnni par- Come rn(»Bo che, Tedeado d'imprpTviio in-
tioolaii intorno aUa propria oondliione. — 2. nansi a sé nna ooea neraTiglioea, resta in-
Ifterste eoo. ripetute più Tolte; Htné gwoflro certo tra il crederla o no e non sa e* cesa ila
fott» indica in genera nn numero ripetuto di Torsmente dò die gU pare, cosi rimase Sor^
Tolte (cfr. Inf. Tm 97), secondo Taso Tiigl- dello dubitando se proprio fosse Virgilio co-
UsBO delF J^ I M: e 0 tarque quaterque lui che s' era manifestato per tale. — 18. e
heali >, IT 688 : « Terque quatraque manu poi chinò eoe Ma V incertesxa tn di breve
psolaspersnssadeoorum»eec. — 8.8itrasse: durata, e preralendo subito il sentimento
■i zittio alquanto indietro, e come donno ùm della rìTerensa dovuta al suo grande oondt-
(oUoaa il Butl) le saTie persone, che non tadlno, Bordello gli si accostò di nuovo con
demio stara oon Tolto a Tolto >. — 4. Prima atto xispettoso e si chinò ad abbracdarìo ai
eoo. FrìmA della passione di Cristo, nel tempo glnocchL — 16. ove 11 minor eco. : si rl-
cèe le anime dei giusti andavano dopo la cordi il luogo del i\iry. xxi 180, oto è detto
morte del corpo al limbo, lo morii e il mio che Stazio e si chlnaTa ad abbracciar U pie-
cape fu sspdto per ordine di OttaTlano Au- di > a Virgilio ; e s' Intenderà che la parte
gusto Imperatora (cfr. Inf, i 70, Acry. m 27). ora il minor $* appiglia ò quella delle gambe,
~ 7. ries cfr. A/. irdO. D Parodi, BulL m dai ginocchi In giù, ove può arrivare ad ap-
135 lUostia questo uso dell'aggettivo adope- pigliarai il fandnUino. — 16. O gloria ecc.
rate nome sostantivo, oon l' esempio ddla Ad alcuni sembra ohe nella figura di Soi^
ToftolA fiUmda^ 126 : e Non ftae per altro rio dello sia un difetto di costruzione morale,
né per altro affare >, ove è dantesca anche come se nell' espAndeisi in una tenera ed
DAirri 21
Sia DIVINA COMMEDIA
mostrò ciò che potea la lingua nostra,
18 0 pregio etemo del loco ond'io foif
qual merito o qual grazia mi ti mostra?
S*io Bon d'udir le tue parole degno,
21 dimmi se yien d'inferno, e di qual cliiostra ».
€ Per tutti i cerchi del dolente regno,
rispose lui, son io di qua venuto:
24 virtù del ciel mi mosse, e con lei vegno.
Non per far, ma per non ùa lio perduto
di veder l'alto sol che tu disiri
27 e che fu tardi da me conosciuto.
Loco è là giù non tristo da martiri,
ma di tenebre solo, ove i lamenti
30 non suonim come gval, ma son sospiri.
Quivi sto io coi parvoli innocenti,
dai denti morsi della morte avante
83 che fosser dell' umana colpa esenti*
Quivi sto io con quei che le tre sante
virtù non si vestirò, e senza vizio
86 conobber l'altre e seguir tutte quante.
Ma se tu sai e puoi, alcuno indizio
dà noi, perché venir possiam più tosto
89 là dove purgatorio ha dritto inizio >.
Rispose: «Loco certo non c'ò posto:
umile unaiiracioiie per Virgilio egli dieoen- eoe con le anime dei bambini, 1 qoali mo-
done dalla sna rablimità; ma il Manonl, BulL rirono prima di rioerere il batterimo, e per-
vi, 85-86, e il D* Gridio, pp. 11-13, hanno dò prima d' essere pnrillcati della macchia
dimostrato la perfetta ooerenxa di tatti gli del peccato originale : cfr. Inf. it 80. — 84.
elementi del Bordello dantesco. » per eii een f«el eoe con le anime dei grandi eroi
eoo. nelle opere del qnale la lingoa latina die e sapienti dell* antichità, die non oonobbero
r esemplo più eccellente delle sue attltodini né praticarono le tre virtd tedogali, fede,
artistiche. ~ 18. del lece eco. di Mantova, speranza e carità, pur oonoscMido e pntt-
mia patria. — 19. ^al merito ecc. qnale oando le altre Tirt6, dTili e natorali : ctr.
mio merito o qoalo grazia diTina mi ha ser- Jhf, it 8i e segg. — 87. se tv sai e p«el:
bato ali* onore di vederti ? — 21. st vlea se tn oonosd la via e se non ti è impedito
d'Infermo ecc. se ta vieni dall'inferno e da di venire ad additarla a noL — 88. aois a
qnale parte di esso. — ehiostr* : cfr. Inf, noi ; cosi anche in Acry. zzzi 188. — 88.
zxDC 40. — 22. Per tnttl eco. Io sono ve- là dove ecc. al Inogo ove veramente inco-
nnto in purgatorio passando por tatti i ceroht minda il purgatorio. — 40. Loco eerU eco.
infernali, mosse da ona virtd celeste che mi Da queste parole di Bordello si ritrae die
accompsgna in questo viaggio : cfìr. Inf. n allo anime dell* antipurgatorio non è asse-
62-75, Airy. 1 62-69. — 26. Nei per far eco. guato an posto detanninato, ma che esse a
Ho perduto di vedere quel Dio, al quale tu lor piacere possono camminare Intorno in-
dodderi di salire, non per alcuna mia colpa, tomo al monte e verso la porta dd purga-
ma per non aver conceduta la vera fede : torio. Alcuni credono ohe Bordello, piuttosto
cfr. 1 w. 7-8. —26. l'alte sei: Dio; cfr. Bar. che alla schiera dd morti per fona, appara
oc 8, X 68, xvm 106, xzv 64, zxz 126. — 27. tenga al gruppo dei grandi
tm tardi eoe Virgilio conobbe il vero Dio odti nella valletta (cfr. la nota al v. 46); ma
. solamente quando Cristo discese al Umbo questa terrina dimostra oome egli, aooompa-
(cfr. Inf. IV 62). — 28. T«eee è là gld ecc. gnando colà i due vidtatori, d allontanava
Questa desoririone dd Umbo d cfr. con qudla dalla propria sede abituale (cfr. Bmtt. IX 61).
ddl' Inf. IV 26 e segg. ~ 81. eoi parroll Dd res&, nd partioolarii abbiamo qui qual>
PURGATORIO - CANTO VU
323
licito m'ò andar suso ed intorno;
42 per quanto ir posso, a guida mi t'accosto.
Ma vedi già come dicliina il giorno,
ed andar su di notte non si puote;
45 però ò buon pensar di bel soggiorno.
Anime sono a destra qua rimote;
se *1 mi consenti, io ti merrò ad esse,
43 e non senza diletto ti fien note >.
« Com' è ciò? fu risposto : chi volesse
salir di notte, fora egli impedito
51 d'altrui? o non sarrla che non potesse? »
E il buon Sordello in terra fregò il dito,
dicendo: € Vedi, sola questa riga
die derirazione dai Toni di ^>nrgìllo, En. vi
673 e igg. (ofr. Mooie, I 169). — 42. per
fmto eoe. io mi aooompagno a te per ee-
•erti guida sili là d<nre mi è lecito di per-
Teoize. — 4S. Ma Tedi eoo. I due poeti ave-
Tiao iDOontrato Sordello aU'inciroa aUe tre
poBflcidlaiie del 10 ^rile (ofr. Purg, yi 61);
ÈJitno il Mie Tolgew all' oooaso, ma non
era ancora 1* aera, ohe sorprenderà i yisi-
tMori nellA valletta dei principi (ofr. i\iry.
vm 48). ~ 44. andar mi di notte eoo. Ge-
ne aana la Inoe deila divina graiia l' animo
QBMoo non può procedere nella via della
parificazione, cosi nella notte la aalita del
Boote laoro è impedita dall' ceomità (ofr.
la nota al v. 68): perdo Dante imagina
di panare la notte del 10 i^le dormendo
oaUa valletta dei principi (Acry. iz 10-12),
quella dell' 11 nel quarto cerchio del purga-
torio (JWy. zvm 76 e aegg.) e qneUa del
12 aoÙa icala che dall' ultimo cerchio sale
al paradiso terrestre (i\iry. zzvn 61-98). —
46. peniar di bel eco. pensare a un luogo
ove poesiamo passare la notte. — 46. Ànlate
ecc. Bordello propone a Virg^ilio di aooomp»>
gnatlo aUa valletta dei prinoipi (w. 7&^)f
dei quali il trovatore dice dalla sponda i
aomiegU atti ai due visitatori (w. 86-186) ;'
poi li conduce nel fondo della valletta a con-
vemie con qu^e anime (Airy. vm 48 e
•egg.). Molto e gran disputare a' è fatto tra
gì' interpreti dica la ragione, per la quale
Dante volle eleggere Sordello a cosi singo-
lare offido : ma la più ragionevole opinione
è questa : Sordello, tra molte altre poede in
lingua provenzale (ofr. Acry. vi 74), scrisse
quella assai eetobrata, per compiangere la
morte di Blaoats, gentiluomo valoroso e vir-
tuoso: ora in questa poesia il trovatore af-
fermando che con la morte di Blacatz era
vennta meno ogni virtù, augurava che del
eooce di lui d dbassero i prindpi d ohe dai
loro animi fosse scacciata viltà, e di questa
fantasia d servi per giudicare e oensorare
i più alti signori del suo tempo. Federico II
imp., il re Luigi IX di Franda, Anigo m
d'Inghilterra (ofr. v. 180X Ferdinando m di
Gastiglia, Giacomo I d' Aragona, Tebaldo I
di Navarra, il conte Baimondo di Tolosa e
il conte di Provenza Baimondo Berlingierl IV
(ofr. Par. VI 184). Dante, dovendo enumerare
e giudicare i prindpi dd suo tempo, imaginò
quindi assd opportunamoite d' essere accom-
pagnato da Sordello alla valle ove esd sono
raccolti e fece liberamente giudicare qud
prindpi a. chi liberamente aveva giudicato i
loro avi e alcuno di esd in una poesia che
d prindpio dol secolo xiv non poteva esser
caduta in dimenticanza. Il compLuito di Sor-
dello d può leggere nd Baynouard, Ohom,
voL IV, p. 67, nd Mahn, Wèrke d&r TVtm-
badofwr», voL II, p. 248, nd Bartsoh, Chtt-
tUmaihù prvm^,^ 4' ed., p. 206; e, tradotto
e illustrato con note storiche, nella Fkfnlok
di Uriehé pnmnxaU di U. A. Candlo, Bdo-
gna, 1881, pp. 69-61, 164-161. — 47. Morrò:
contradone di mmurò (ofr. Kannucd, Verbi
241). —49. fa risposto: da YirgiUo (ofr. 61);
il qude chiede a Sordello: ohi volesse salire
sarebbe impedito da qudche forza superiore?
oppure non salirebbe per mancanza di forza
in s6? la causa dell'impedimento a salire
potrebbe trovaid in altri o in lui stesso? —
61. sarrfa : salirla, salirebbe ; per la forma
verbde contratta, ofr. Nannuod, Verbi 246.
— 52. in terra eoo. : Sordello che segna
questa linea sul terreno ricorda Cristo ohe
per due volte d chinò a scrivere sul suolo,
quando i Farisd gli presentarono la dcnna
adultera (ofr. Giovanni, vm 6-8). — 68. Tedi
eco. Questa legge dd purgatorio ò conforme
all' ammaestramento evangelioo (Giovanni zn
35): e Gesù adunque disse loro, Ancora un
poco di tempo la luce ò fra voi : ^M'mTninat»
mentre avete la luce: ohe le tenebre non vi
colgano, perdocché chi cammina nello tene*
324 DIVINA COMMEDIA
51 non varcheresti dopo il sol partito:
non però che altra cosa desse briga,
che la notturna tenebra, ad ir snso;
67 quella col non poter la voglia intriga.
Ben si poria con lei tornare in giuso
e passeggiar la costa intomo errando,
60 mentre che l'orizzonte il di tien chiuso >.
Allora il mio signor, quasi ammirando:
« Menane dunque, disse, là ove dici
63 che aver si può diletto dimorando ».
Poco allungati c'eravam di liei,
quand'io m'accorsi che il monte era scemo,
66 a guisa che i valloni sceman quicL
«Colà, disse quell'ombra, n'anderemo
dove la costa face di sé grembo,
69 e quivi il nuovo giorno attenderemo ».
Tra erto e piano era un sentiero sghembo,
che ne condusse in fianco della lacca,
73 là dove più. che a mezzo muore il lembo.
Oro ed argento fino e cocco e biacca,
indico, legno lucido e sereno,
75 fresco smeraldo in l'ora che si fiacca,
dall' erba o dalli fior dentro a quel seno
posti, ciascun saria di color vinto,
78 come dal suo maggiore è vinto il meno.
1)re non sa dove si vada > : cfr. anche Gio- chó il l«mbo o II maigino dalla Tallstta è
vanni X3 8-10. — 66. bob però eco. non peiv pi& Imsso della metà die non ala nelle altre
che a salirò fosse d' impedimento alcuna altra parti e finisce ore raTraHameiito inoonlB-
coea che V oscurità della notte : ohe proprio da (efir. i\ffy. Tm 46). — -78. Or« té ar-
qaesta generando V impotenxa impedisce la gtmtiè ecc. Nella valle dei piriwdpi Dante
volontà. — 68. coB lei : con l' oscorìtà, fin- nota foni tatto i yiradsaiDi odori ieà fleti,
chó dnra la notte e il sole non risplende sol- dicendo che restexebbe intelore al ftngmtn
V orizzonte, si può ben tornare in gid (rìoa- qnalnnqtte pid bello e TiTao» odoro: il giallo
dere nel peccato) o camminare intomo al dell' oro, il bianco splendente dell' argento
monte (non procedere nella parificazione). — pid poro, il roseo della grana, H Waaoo della
6t. fnasl ammiraBdo: si ricordi ohe Vir- biacca, 1* azznrro dell' indaco, il brano dd
gilio ignora le leggi del purgatorio. — 68. legno levigato e polito, O verde ddlo ame-
ehe aver eoo. : ofr. v. 48. — 64. Ilei : cfr. raldo nel momento che d ipeaiu » 74. 1b-
Inf. XIV 84. — 66. 11 monte ecc. il monto dico eoe : parto dd commentatori oredomo
aveva nna insenatora perché la ooeta fiaoeva che qni sia indicato nn solo cokm, «indie di
di sé grembo, d modo die s' aprono 1 rd- nn legno die cresce nell'India, seooado alcnni
loncelli nei fianchi delle montagne della ter^ V ebano (ofir. Vìtg. Oeory, n 116 : € aola In-
ra. — 66. qnld : qni, qna giù (cflr. Purg, vm dia nigrom Fert hebannm »X secondo dtri
121, xn 180). — 70. Tra erto e plano eco. dtro : parto invece credono indicati qd dne
In quel luogo correva nn sentiero tortnoso, colori, l' azsnrro ddl' indico o indaco, e il
ora inclinato e ora piano ; il qude d portò brano del legno, spedalmento daOa qnerda.
di fianco a quella cavità, ove Tawallamento — 76. fireseo mBeraMe eoo. lo oneraldo,
è mono profondo. — 71. Iacea : fossa, ca- pietra di odor verde ohe d contatto dell'aria
vita (cfì'. Inf, vn 16), 6 qui usato a indicare perde ddla eoa vivacità ; la qnde i^iparo in-
la valletta. — 72. là dove ecc. Verso difii- vece allo specsard deUa pietra. — 76. 4b1-
Cile a intendere, ma per lo pid spiegato : 1* erba ecc. sarebbero vinti dd colori della
ove 1* avvallamento è meno profondo, per- fiorita ed erbosa valletta, come la fiantità
PURGATORIO - CANTO Vn
825
Non avea pur natura ivi dipintO|
ma di soavità di mille odori
81 vi facea un incognito e indistinto.
Salve, Regina, in sul verde e in sui fiori
quivi seder cantando anime vidi,
84 che per la valle non parean di fuori.
< Prima clie il poco sole omai s' annidi,
cominciò il mantovan che ci avea vòlti,
87 tra color non vogliate ch'io vi guidi
Da questo balzo meglio gli atti e i volti
conoscerete voi di tutti quanti,
90 che nella lama giù tra essi accolti.
Colui, che più sied'alto e £» sembianti
d'aver negletto ciò che far dovea,
93 e che non move bocca agli altrui canti,
Ridolfo imperador fu, che potea
sanar le piaghe e' hanno Italia morta,
96 si che' tardi per altri si ricrea.
L'altro, che nella vista lui conforta,
resse la terra dove l'acqua nasce,
90 che Molta in Albia *ed Albia in mar ne porta:
Otàcchero ebbe nome, e nelle fasce
rainore è snpenta dalla maggiore. — 79. Hoa
area ecc. Né la natoia avoYa sparso in qnella
A-allotta solamente i colori bellissimi dei fiori,
ma T* avea sparsa una fragranza insolita e
moltoplioe, resoltanta da mille soavissimi
odorL " 82. SAlre» Be^ÌMa eoo. È la nota
preghiera cristiana alla Vergine, ohe snoie
recitarsi dopo i re^ri per inrocare 1* aiuto
ddla madre dirina in questa valle di lagrime
e per chiederle ohe d faccia degni di veder
Qmù. Cristo. — 83. quivi eoo. cfr. Virg. En.
VI 666: « Dextra laevaque per herbam Ve-
soentea, laetumque choro paeana canentes >.
— 84. eht per la valle eoe le quali anime
non ci erano apparse prima, per essere eo-
dute sul basso suolo della valletta. — 85.
11 p«eo sole ecc. Dante e Virgilio avevano
incontrato Sordello nel pomerìggio, dopo le
ore tre (cfr. PUrg, vi 61); parlando con lui e
camminando verso la valletta avevano occu-
pato qualche ora, al che in questo momento il
sole era por tramontare : Moore, p. 86. — 86.
el atea vòlti: ci aveva indirizzati a quel luo-
go. — 90. che sella lama eco. che giù nella
valletta, accolti e mischiati fra ossi: sul
nome lama cfr. ^f, zx 79. — 91. Colui ecc.
Quello che, per segno di maggior dignità,
siede più in alto e dimostra nel suo atteg-
giamento d'aver traeouiato i propri doveri o
non il accompagna agli altri nel canto della
Salvai Begina, fu l' imperatore Rodolfo. — 94.
Bldolfo: Rodolfo d'Asburgo, nato nel 1218,
coronato imperatore ad Aquisgrana nel 1273
e morto nel 1291, fti, secondo G. Villani, Or.
vn 55, « di grande afGore e magnanimo e
prò' in arme e bene avventuroso in batta-
glie, molto ridottato dagli alamanni e dagli
italiani ; e se avesse voluto passare in Italia,
senza contrasto n'era signore». — che po-
tea ecc. : cfr. Purg. vi 103. — 96. sf che
tardi ecc.: allusione ai tentativi di Arrigo VTL
imperatore di restaurare in Italia l' autorità
dell'impero, i quali riuscirono vani (cfr. Par.
XXX 137). — 97. li' altro ecc. L' altro prin-
cipe, che mostra di confortare Rodolfo, go-
vernò con titolo di re la Boeniia. Si noti che
Danto accoppiò a due a due questi prìncipi,
imaginando che quelli ch'erano stati nemici
nel mondo, sedessero insieme a ragionare e
a confortarsi l' un l' altro nel regno della
purificazione e del perdono. — 98. la terra
ecc. la Boemia regione dove nascono le acque,
che raccogliendosi nella Moldava (lat. Moìda)
entrano nell' Elba (lat. AU>Ì8\ che le porta
nel maro Germanico. — 100. Otàcchero ecc.
Premislao Ottocaro II, succeduto nel trono
di Boemia al padro suo Vencoslao m nel
12Ó3 e morto nel 1278, fu valente in guerra
0 tiranno nel governo : fioro avversario di
Rodolfo d' Asburgo, protostò contro la sua
elezione all' impero e combatto per più anni
contro di lui. Gli antichi commentatori lo
326
DIVINA COMMEDIA
fu meglio assai che Yincislao suo figlio
102 barbuto, cui lussuria ed ozio pasce.
E quel nasetto, che stretto a consiglio
par con colui e' ha si benigno aspetto,
105 mori fuggendo e disfiorando il giglio:
guardate là come si batte il petto;
l'altro vedete e' ha fatto alla guancia
108 della sua 'palma, sospirando, letto.
Padre e suocero son del mal di Francia:
sanno la vita sua viziata e lorda,
111 e quindi viene il duol che si li lancia.
Quel che par si membruto, e che s'accorda
cantando con colui dal maschio naso,
lodano di Tilore e di llboxmlità, e per questi
pregt Dante l' avrà xiooidato onorevolmente
senza tener conto della voce ohe attriboira
a qnesto re il oonaiglio dato a Carlo I d'An-
giò di acddere Corradino (cf^. Purg, xx 68).
— e selle f atee ecc. e sino dalla sua prima
età Ottooaro n fa molto pili raloroso e vir^
tnoso ohe non fosse poi anche nell'età virile
il figlinolo di lui Venceslao IV. » 101. Vln-
dslaos Venoeslao IV, nato nel 1270, salito
al trono di Boemia nel 1278 e a qoello di
Polonia nel 1300, e morto nel 1306, fu prin-
cipe dappoco e nomo vinosissimo, e che mai
valor non conobbe nò volle > (Far, xiz 125).
— 103. E qael nasetto eco. Filippo m detto
l'Ardito, secondo figlinolo di Lnigi IX re di
Francia e padre di Filippo il Bello e di Carlo
di ValoLs, nacque nel 1246, successe al padre
nel 1270 e mori nel 1286, fuggendo e disfio-
rondo il giglio oioò ritirandon dai paosi oo>
capati nella guerra contro Pietro IH d'Ara-
gona dopo che Buggero di Lauria ebbe di-
strutta la flotta francese, e vituperando cosi
r onore delia casa di Francia, che aveva per
insegna i tre gigli d' oro in campo azzurro.
Dante lo chiama noMtto, perché, come mo-
strano i monumenti iconografici e attestano
i commentatori antichi, Filippo m ebbe un
piccolissimo naso. — 104. eolol e* ha ecc.
£nrico I re di Navazra succeduto nel trono
al fratello Tebaldo II (cfr. Inf. xxm 52) nel
1270 e morto nel 1274, ta padre di Giovanna I
che, lui morto, ebbe essa il regno e fu poi
moglie di Filippo il Bello; ed ò certo il
principe accennato qui da Dante; sebbene
gli antichi commentatori credano che questo
sia invece Guglielmo, figlio di Tebaldo U. --
106. €«ardate ecc. Filippo UE si batte il
petto, Enrico I sospira; l'uno e l'altro addo-
lorati per le malvage opere di Filippo il Bello,
del quale il primo era padre e il secondo era
suocero. — 109. mal di Francia: su Fi-
lippo il Bello e i giudizi che ne faceva Dante
cfr. Purg, rz 86-98. — 111. quindi ecc. da
tale cognizione procedo il dolore che li tor^
menta. — 112. Q«el eke par ecc. Piotro m
d'Aragona detto il grande, nato nel 1236 e
succeduto nel trono d'Aragona a Giacomo I
nel 1276, avendo sino dal 1262 sposata Co-
stanza figlU di Manfiredi (olir. iVry. m 114),
ta dopo la rivoluzione del Vespro (cfr. Bar,
m 116) chiamato re di Sicilia, e mori nel
1286. G. Villani, O. vn 103 lo loda come
< valente signore e prò' in arme, e bene av-
venturoso e savio e rìdottato da' cristiani e
da* saracini altrettanto o pid, come nuUo ra
che regnasse al suo tempo » : e il Lana at-
testa che « ta nomo molto bello e membruto
di sua persona, e probissimo e virtndicMo >.
— 118. colui dal maschio naso : Carlo I
d' Angiò figlio di Luigi Vm re di Francia
e fratello di Luigi IX, nacque nel 1220, sposò
Beatrice figlia dell'ultimo conto di Provenza
(cfr. Par, VI 134) e cosi ebbe quel dominio
(cfr. Rtrg, zz 61), e nel 1266, chiamato dal
papa a riconquistare alla Chiesa il regno di
llanft^di, venne in Italia, tu incoronato in
Roma re di Napoli, e con le vittorie di Bo-
nevento (cfr. Purg, m 118) e di Tagliacozzo
(cfr. Inf, zxvu 17; ottenne il possesso di quel
reame: mori nel 1285, l'anno stosso della
morte di Pietro m d' Aragona, col qualo
ebbe guerra per cagiono della Sidlia. G. Vil-
lani, O. vn 1 ne fa questo ritiatto : « Carlo
fu savio, di sano consiglio e prode in arme
e aspro e^molto temuto e rìdottato da tatti
i re del mondo, magnanimo e d'alti intendi-
menti, in &re ogni grande impresa sicuro,
in ogni avversità fermo, e veritiere d* ogni
sua promessa, poco parlante e molto adopo-
rante, e quasi non ridea se non poco; onesto
com* uomo religioso e cattolico, aspro in giu-
stizia; e di feroce riguardo, grande di per-
sona e nerboruto, di colore ulivigno e con
grande naso, e parea bene maestà reale più
ch'altro dgnore; molto vegghiava e poco
dormiva, e usava di dire che dormendo tanto
tempo si perdoa ; largo fu a' caralìorì d' ar^
Tf *
PURGATORIO - CANTO VII
327
114 d'ogni valor portò cinta la corda.
E 86 re dopo lui fosse rimaso
lo giovinetto che retro a lui siede,
117 bene andava il valor di vaso in vaso;
che non si puote dir dell* altre rede:
Giacomo e Federico hanno i reami;
120 del retaggio miglior nessun possiede.
Kade volte risurge per li rami
l'umana probitate: e questo vuole
128 quei che la dà, perché da lui si chiami.
Anco al nasuto vanno mie parole,
non men eh' all' altro, Pier che con lui canta,
12G onde Puglia e Provenza già si duole:
tant'è del seme suo minor la pianta,
quanto, più che Beatrice e Margherita,
129 Costanza di marito ancor si vanta.
ne, ma coridioto d'Aoqiilttera ten» e tigno- .
ria e moneta d' onde li reniae ». Dante air
trore giudicò jSA leTexamente i snoi atti
( A»y. zx 68), e a 8110 governo {Par, vm TSy.
efr. le belle pagine sa Caiio scritte da M.
Amari, La gu&rra «M vespro^ cit., toL I,
pp. 107 e segg. — 114. d'ogni ralor eoe
Pietro m Iti dotato d* ogni rirtù, dvile e
militale: efr. il ritratto delineato dall'Amari,
op.,eit., ToL n, pp. 166-9. — 115. B se re
eoel Pietro m lasciò morendo tre figlinoli:
Alfbneo m, il primogenito, ohe gli snooe-
dette nel trono d' Aragona e mori, gioTine
di Tentisette anni, nel 1291; Giacomo II, ohe
alla morte del padre fa coronato re di Sici-
lia, e alla morte del fratello maggiore ta pro-
damato re d' Aragona e di SioUia, e mori
poi nel 1887 ; o Federigo H, che alla par-
tenza di OiaooBU) n dalla Sicilia nel 1291 fb
i«^r4*»i^ Inogotenente noli* isola, e, procla-
mato re di Sicilia dal generale parlamento di
Catania nel 1296, aoetenne contro gli an-
gioini e contro il fratello ana longa guerra
sino alla pace di Caltabellotta del ia02, che
lo riconobbe legittimo signore dell' isola, e
flMnl nel 1337. Alfonso HI, lo giovinetto che
sederà accanto al padre nella valletta del-
Pantipargatorio, ta ottimo principe, e, a gio-
disio di Dante, ereditò tatto le virtù paterne:
de^ altri doe invece, ohe nel 1900 tenevano
i reami patemi, Giacomo II l'Aragona e Fe-
derigo n la Kcilia, Danto recò gindizio se-
voco non por qoi, ma anche nel Far, xxr
130-138. — 117. di vaso la vaso : di padre
in figlio; ofr. Geremia xlvui 11, secondo la
Tolgsta: « transfrisos est de vaso in vas >.
— 118. re4e: eredi; la forma arcaica reda
è preterito da Dante, che l'osa in Jnf, xxxi
116, f^iry. XIV 90, xvin 186, xxxm 37, Pur.
zn 66. — 120. del retaggio eco. nessono
dei dae possiede nnlla della migliore ere-
dità, doò delle virtù del padre e del fra-
tello. — 121. Bade Tolto eco. Baramento la
virtù dei padri trapassa e perdura nei figli ;
cosi vuole il signore, afl&nohó l' nomo rìco-
noeca da lai, e non dalla nasdta, la propria
virtù : cfr. Par, vui 86 e segg. » 124. An-
ce eco. Le mie parole sono da riferire, non
pare a Pietro m d'Aragona e ai snoi figliaoll,
ma anche al nasuto^ a Carlo I d'Angiò (cfr.
V. 112) e ai snoi discendenti, per il malgo-
verno ch'essi fumo del loro stoti di Paglia
e di Provenza (cfr. ì^trg. xx 80, Par, vui
76 e segg., zix 127 e segg.). » 127. toat'è
ecc. tanto la piemia doò Carlo n d' Angiò,
sucoeesore del padre nel regno di Napoli e
nella contea di Provenza, è miiiion d$l trnns
doò di Carlo I, quanto questi ta inferiore di
virtù a Pietro m d' Aragona, o come dice
Danto, qoanto Costanza moglie di Pietro ni
(cfr. Piàrg, m 115) ha maggior ragione di
vantarsi del marito che non avessero del
proprio Beatrice e Margherita, mogli che fu-
rono di Carlo l d' Angiò : Beatrice, figlia di
Raimondo Berlinghieri conto di Provenza, fa
la prima moglie di Carlo e mori nel 1267 :
Margherita, figlia di Eude duca di Borgogna,
fri la seconda moglie, sposato nd 1268. Que-
sta spiegazione, data primamento da F. Mer-
curi nel OiomaU areadioo^ a. 1842, voi. XCm,
pp. 209-216, è la sola che s' accordi con la
storia; quella degli antichi commentatori che
credettero paragonato la moglie di Pietro m
con quelle dd figliuoli, contradioe alla sto-
ria; perché la moglie di (Hacomo II fri Bian-
ca figlia di Carlo n d' Angiò sposato nd
1296, e qaoUa di Federico n fu Eleonora,
altra figlia di Carlo II, sposato nd 1803. »
328
DIVIITA COMMEDIA
Vedete il re della semplice vita
seder là solo, Arrigo d'Inghilterra:
132 questi ha ne' rami suoi migliore uscita.
Quel che più. basso tra costor s'atterra,
guardando in suso, è Guglielmo marchese,
per cui ed Alessandria e la sua guerra
136 fa pianger Mon^nrato e Canavese ».
190. Tedeft« ecc. Anigo m, nato nel 1206, ano-
cedette nel trono d'In^^dUena al padre Oio-
ranni Sensatema nel 1216 e moti nel 1272 ;
fu principe inetto e debole, « ma (dioe 0.
Villani, O. Y 4) fti semplice nomo e di bnona
fó » : SordeUo nella pceeia dt al ▼. 46, lo
chiamò vU$ 9V oooitaTa a mangiar bene del
cote di Blacata per afforsarsi e rioonqniatare
i territori tolti dai firanoed a Giovanni 8en-
zatotra. — 1B2. f ««iti eco. Allude a Edoar*
do I, nato nel 1240, enocednto al padre Ar-
rigo m nel 1272 e morto nel 1807, ohe ta.
chiamato il Oiostlniano inglese per ayere
ordinate le leggi del suo regno e fu lodato
da Q. Villani, O. vm 90 come < nno de' più
Taloroei signori e savio de* cristiani al suo
tempo, e bene avrentoroso in ogni sua im-
presa, di là da mare centra i Saraceni, e in
tao paese contra gli Scotti, e in Gnasoogna ,
centra 1 Franceeohi >. — 138. Quel eoo. Co-
lai che sta sedato a terra più In basso degli
altri, perché fu principe di minor grado e po-
tenza, è Guglielmo VII Spadalonga, marchese
di Monferrato dal 1264 al 1292 : erede dei
domini di nna della maggiori fkmlglie fen-
dali d^* Italia sopeziore, Guglielmo Vn ac-
crebbe il sno potine deetregglandod tra la
parte gaeUk e la ghibellina, impazeotandoci
per matrimoni con re e impersAorl, • vigo-
maamente combattendo i oomoni gaelA di
Lombardia : nel 1290 Aleaaandria gli al ri-
bellò a iatigarione del comnne di Aiti ed
egli accorse a sedare il romore, ma il popolo
gli si levò contro più fleramente: pieao e
messo in ona gabbia di ferro, vi ta tanato
alno alla morte aooadata nel 1292. Suo figlio
Giovanni I per vendicarne la morte moeae
gaerra al oomane di Aleaaandria, con eaito
infelice, tanto che lungamente Ù ano mar-
chesato pianse i danni di quella lotta. » 186.
Honferrato • Canaveat: sono le dna re-
gioni che coatituivano il marchesato di Gu-
glielmo vn : il Monfarrsto ò propriamente Q
territorio che ai atende dalla riva deatrm del
Po all'Appennino ligure; il Oanaveae, quello
che ai atende dalle falde delle Alpi Grate e
Pennino alla riva ainiatra del Po.
CANTO vm
Aecompagnati da Sordello, i due Tisitatori scendono nella valletta dei
prìncipi, ore incontrano Ugolino de* Visconti pisano, e, osservata la cacciata
del serpente tentatore per opera degli angeli, parlano col marchese Corrado
Malaspina, che predice a Dante il futuro esilio [10 aprile, circa le sette e
mezso pomeridiane].
Era già l*ora che volge il disfo
ai naviganti, e intenerisce il core
vm 1. Ira già Pera ecc. Era già l'ora
della aera ; quell'ora che richiama il deaiderio
dei naviganti alla patria e riempie loro di
tenerezza il cuore nel giorno ch'eeai partendo
si aono congedati dagli amici; quell'ora che
suscita affettuoso desiderio della patria nel-
l'uomo avventuratosi per la prima volta a un
lungo viaggio, se ode risuonare da lungi una
campana, che sembri piangere il giorno mo-
rente. Nota il Biag. e queet' arte nuova che
ha Dante d'associare alle più semplici circo-
o di tempo o di luogo o d'altro, ora
una dottrina che t' ammaestra, ora un pre-
cetto morale che ti seduce, ora una verità
che ti colpisce e f innamora, ed ora una di
quelle soavi sensazioni, le quali, se ftiron
anche mille volte da te sentite, ti rinnovano
l'impressione medesima per la novità de' co-
lori ond' è rivestita-, e se per la prima fiata
le senti, f intenerisoono il cuore come se tu
fossi in atto : tanto naturale e possoite e
a tempo è il mezzo che Danto sa ben oppor-
PURGATORIO - CANTO VIH
n29
12
15
18
lo di o'han detto ai dolci amici addio,
e che lo novo peregrin d'amore
punge, se ode squilla di lontano,
che paia il giorno pianger che ai more;
quand'io incominciai a render vano
l'udire, ed a mirare una dell'alme
surta, ohe l' ascoltar chiedea con mano.
Ella giunse e levò ambo le palme,
ficcando gli occhi verso l' oriente,
come dicesse a Dio : € D' altro non calme ».
Te luci» ante si devotamente
le usci di bocca, e con si dolci note
che fece me a me uscir di mente;
e l' altre poi dolcemente e devote
seguitar lei per tutto l'inno intero,
avendo gli occhi alle superne rote.
Aguzza qui, lettor, ben gli occhi al vero,
taoamaiitB adoperare9. » 8. Io df : in quel
gjorno, tifo éU\ ctt. V, N. v 6: € U mio m-
gxeto non ez» oomnnicato, il giorno, altrui
per mia rista «. —4. !• noTO eoo. il pellegrino
(cfr. I\ey. B 68) non abituato ancora alla
lontananza dalla patria, perché meesosi in
cammino quel giorno. — d'amore punge:
tocca, oolpisoe con un' impreesione di tene-
recza. — 6. eke pala eoe Secondo la mag-
gior parte dei commentatori, al tratta del
goono dèlTavemarìa; ma poiché questa usan-
za ta introdotta in Italia lolamente nel 1818,
è meglio intendere con Lana, Ott e Cass.
del suono deUa campana di compiìta (ultima
déOe ore canoniche dell* ufBdo), al quale la
GUaea accompagna appunto il canto dell'in-
no di oompiòto Ti Iuoìb ohìó eco. (cfr. Terso
18): si Teda F. Norati, Indagini cit — 7.
fiaad* lo ecc. quand' io incominciai a non
udir più alcuna Toce, né quella di Bordello
die areTa oessato di parlare né quella delle
MtimA che aTorano finito U canto della Salw
Strina ; e inTece inoominciai a guardare una
delle aijme ohe acoennaTa alle altre di ascol-
tare. — 9. sarta s si ricordi che i principi
sederano sull'erba della ralletta fiorita (cfr.
A«7. TU 88). » ehe l'aieoltar ecc.: ofr.
Virgilio, IDn, zn 692: e Significatqne manu,
et magno simul incipit ore >; Oridio, Md, i
206: < Qui postquam Tooe manuque Murmura
cumpioueit, tenuere silentia cunoti » ; e Atti
dtgU Apoti, zm 16 : € Allora Paolo, rizzatosi,
e fitto cenno con la mano, disse. Uomini israe-
liti e Toi ohe temete Iddio ascoltate >. — 10.
glanae ecc. congiunse e lerò al delo le mani;
atto proprio di chi prega. — 11. flceando ecc.
Bati : « come de* fare 1' omo quando adora
Iddio, che si de' Tolgere all' oriente : e però
tutte le chiese antiche &nno Tolto li altari a
r oriente ; ma ora, quando non si può oom-
modamente fare, non t' ò cura, imperò che
Iddio ò in ogni luogo >. — 12. D'altre eco.
Non ho altra cura ohe quella di pregar te.
— 18. Te laels aate ecc. £ il principio del-
l' inno di sant'Ambrogio, che si canta secondo
la liturgia cristiana nell' ultima parte del-
l' ufficio, per implorare la difesa diTina con-
tro le tentazioni della notte; eccolo per in-
tero : < Te lucia ante terminum, Berum Crea-
tor, posdmus, Ut tua prò olementia, Sis prae-
sul et custodia. Procul recedant somnia Et
noctium phantasmata: Hostemque nostrum
comprime. Ne pollnantur corpora. Praesta,
Pater piiùime, Patrique compar Unloe, Cum
Bpiritu Paradito Begnans per omne saecu-
lum ». — 16. eke léce ecc. che tutto mi rapi
a sé, distraendomi da ogni altro pensiero;
cfir. Airy. zzxn 68. -- 18. areado ecc. te-
nendo gli occhi allp sfere celesti. Si noti che
nel regno della purificazione le anime non
Tolgono mai gli occhi al cielo, anzi si stu-
diano quasi di guardare in basso per segno
d' umiltà (ott. Purg. iii 89, it 121, t 90, xi
64, XIX 72). — 19. Ago zza ecc. Gli antichi
commentatori, dal Lana al Land., dettero di
questo passo la piti semplice interpretazione,
cosi esposta dal Blanc : « Aguzzate la Tostra
Tista, o lettori, poiché il Telo che copre il
senso nascosto, l' allegorfa di quanto segue,
ò cosi sottile e trasparente, die non Ti co-
sterà fatica il penetrarlo, ed intendere il pid
profondo senso dell' allegoria ». B Veli., se-
gofto da parecchi moderni, oppose l'inutilità
dell' arrertimento, se si fosse trattato di al-
legoria facile a raccogliere dalle parole del
poeta, e spiegò inTece : « B senso letterale
330
DIVINA COMMEDIA
che il velo è ora ben tanto sottile,
21 certo che il trapassar dentro è leggiero.
Io vidi quello esercito gentile
tacito poscia riguardare in sue,
24 quasi aspettando pallido ed umile ;
e vidi uscir dell'alto e scender gide
due angeli con due spade affocate,
27 tronche e private delle punte sue.
Verdi, come foglietta pur mo nate,
erano in veste, che da verdi penne
80 percosse traean dietro e ventilate;
1* un poco sopra noi a star si venne
e P altro scese in Popposita sponda,
38 si che la gente in mezzo si contenne:
ben discemeva in lor la testa bionda;
ma nelle &cce l'occhio si smarria,
86 come virtù che al troppo si confonda.
< Ambo vegnon del grembo di Maria,
ò ori tanto ditncilo t potorio allogoricaiuente
iuterpetrare, che il trapanario sema trame
osso yero sentimento è legger cosa >. Ma a
questa interpretazione contrasta il trapassar
dentro che significa solo : passare dentro at-
traverso Il velo, penetrare nel senso allogo-
rioo sotto il yelo del senso letterale ; e poi
r allegoria d molto fàcilmente intesa, perché
il serpente, che ora Terrà, simboleggia mani-
fostamonte la tentazione (▼▼. 97-102) e gli
angeli, che scendono a difesa delle anime
(▼▼. 25-89, 108-106), significano il presidio
che contro la tentazione il cristiano trova
nella sna fedo. Torraca: « Appanto perché
il velo ò leggerissimo e 1* occhio pad sabito
e facilmente cogliere sotto di esso la yerìtà,
a qaesta goardi il lettore, più che al velo;
non essendo mestieri fatica nella sposizione
dell*allegoria, badi alla sentenza {Oom. iv 1)>.
— 22. Io Tldl eoo. Le animo, finito il canto
dell'inno e la redtarione della prosa che se-
guita a quello (< Visita, quaesumus Domine,
habitatione istam, et omnes insidias inimici
ab ea longo repello; Angeli tui sancti ha>
bitent in ea, qui nos in pace oustodiant »),
continuano a guardare in alto, in silenzio,
dimostrando noi pallore doi volti e noli* n-
miltà doir atteggiamento d* aspettare V aiuto
invocato degli angeli. » 26. die angeli ecc.
Questi duo angoli, discesi dal cielo empireo
a difesa doUe anime contro il serpente, sono
armati di due spade fiammeggianti e spun-
tate, a significare che il presidio ohe Dio con-
cedo alle animo è manifestazione della sua
giustizia e misorioordia: tale è, In sostanza,
Tallogorla riconosciuta dai oommentatorì an-
tichi pi6 autorevoli e dalla maggior parto dei
moderni. — 28. Verdi eco. Gli angeli appa^
rivano vestiti di verdi vesti, le quali segui-
tavano percosse e agitate da verdi ali: come
l'arte medioevale rappresentò pifi volte gli
angoli vestiti di verde e con ali verdeggianti,
co8£ anche Dante in questo caso preferì al
bianco delle altre figure angeliche il verde,
che simboleggia la speranza end' erano so-
stenute le anime della valle fiorita. 81 ofr.
Qm, m 24: < Egli cacciò l'uomo e pose dei
Cherubini davanti al giardino d' Eden, con
una spada fiammeggiante^ .... per guardar la
via dell' albero della vita ». » eeme fa-
gllette ecc. di quel verde chiaro , ohe è nelle
tenore foglie recentemente spuntate. — yar
mo: cfr. bìf, xxvn 20. — 81. Pam yeee
eoo. l'uno dei due angeli si collocò sulla
sponda, ma un po' più in alto cho noi non
fossimo, e l'altro sulla sponda opposta; si
che le anime rimasero nel mezzo. — 84. b«a
oco. io vedeva distintamente i biondi cnpoUi
rilucenti sulle loro testo, ma non poteva so-
stonerò con lo sguardo il vivo splendore dei
loro volti (cfr. IStrg, n 89) ; come succede
ad ogni senso umano che si smarrisce innanzi
a un'impressione troppo gagliarda. — 87. del
greMbo di Maria : dall'empireo, ove risiede
la Vergine. Lomb. : < Figuzando Dante la
magion del beati in paradiso a modo di om-
dida rosa (Air. rm 1), le foglie della quale
Siene le sedie de' beati, in guisa disposte che
dal mezzo verso la circonferenza della rosa
vadano d' ordine In ordine rialzandosi, qvatt
di vali» andando a montò (ivi v. 121X e facen-
dovi in una delle più alte sedie, posta alla
circonferenza, assisa Maria Vergine, e festeg-
giata dagli Angeli; perché non intenderemo
PURGATORIO - CANTO VITI
331
disse Sordello, a guardia della valle,
89 per lo serpente che Terrà via via »;
oad*io, che non sapeva per qual calle,
mi volsi intomo e stretto m'accostai
42 tutto gelato alle fidate spalle.
£ Sordello anche : € Ora avvalliamo ornai
tra le grandi ombre, e parleremo ad esse:
45 grazioso fia lor vedervi assai >.
Solo tre passi credo ch'io scendesse,
e fui di sotto, e vidi un che mirava
48 pur me, come conoscer mi volesse.
Tempo era già che l'aere s'annerava,
ma non si che tra gli occhi suoi e i miei
•he, eome gnmJbo appella il poeta la cavità
doT» siedono qaesf anime (canto preoed.
T. 68X ooei grembo di Maria appelli la cavità
■taHa della celeste rosa, a coi Maria pre-
siede, per cai quasi in grembo tienai tntte
l'anime de' beati? ». ~ 88. per lo serfeste:
cilr. ▼▼. 97-102. — Tla Tlat or ora, fra poco.
— 40. Mid' le ecc. Dante, non sapendo per
qui Tia dovesse venire questo serpente, si
guida intorno smanito e si stdnge tatto
spcrentato a '^Higilio. » 48. Ora eoo. Di-
*rflnflttai»5f oramai nella valletta a paiiare in-
Éfmm eoa le anime del grandi prìncipi e si-
ne saranno molto lietL » 46. gra-
Fsrohé debba xlasoiie gradita a
la visita di Dante e Virgilio
non è detto dai vecchi commentatori : sola-
mente rOtL dice : « per doe cose. Tana per
la novitade, l'altra per oostitoire l'autore lo-
ro pcoeaimtoie e messo alli amici ohe prie-
^dno per loro e psròhé esso aatoxe sia ban-
ditole di loro fama »; e Benv. annota : e qaia
viri iUnstras et moderni sommi delectantar
videre et aodlre poetss, qai possint Cuore
de eis memoriam et fìunam ». Pi4 general-
meote si poA intendere che la visita di un
tìvo dovesse tornar gradita a rissonno di
qoesti spiriti come ona occasione di aver
notizie della propria famiglia e di parlare di
■6 e del snol (efr. 1 w. 87-81, 115-189). —
46. tee MuAs la valletta era assai poco
profonda e i tre poeti s' erano messi, si ri-
cordi, oltre il meno della sponda declinante
(cfr. 1\»V. vn 73). » 47. aa «he mirava
eco. Qoesf anima, che guardava solamente
Dante, mostrando di volerlo rioonoecere, era
quella di Ugolino Visconti pisano, che fa
fglio di Giovanni Visconti capo dei gaelfl
pisani e di ona figlinola di Ugolino della
Qharardeeca (ofr. Inf. kiiiii 18). Ugolino o
Nino Visoonti, detto per lo più dai oontem-
pofaael U Giodloe di OaUora per il governo
eh' el tenne di quella terra di Sardegna (cfr.
hif, zzn 81, 82), fu nella prima giovinezza
co^to dall'esilio con tatta la parte guelfa e
ritornò in patria nel 1276: partecipe alla
lega goeUs nel 1284 oontro la patria, nel
1285 fu assunto ool conte Ugolino alla si-
gnoria di Fisa, ma presto si manifestarono
tra i due gravissime discordie, delle quaU
abilmente si valse l'aroivesoovo Buggiori (efr.
Hf, xzzm 14) a procurare la rovina d' en-
trambi : dopo la catastn^ del Qherardesca,
il giudice Nino, capo de' guelfi pisani faoru-
sdti, fu dal 1288 al 98 l'anima della guerra
onde i comuni di Firenze, Genova e Lucca
travagliarono Fisa, tentando di punire la no-
vella Tebe per la strage del oonte e dei fi-
gliuoli, e nel 9B fft capitano della Taglia
guelfa di Toscana oontro la patria: il 12 lu-
glio di quell'anno fa fatta la pace di Unceo-
chio, tra la lega guelfa e Fila, e Nino avrebbe
potuto ritornare in patria; ma prevalendovi
i ghibellini non vi rientrò, e riparò prima a
Genova e poi in Sardegna : mori ancora gio-
vine nel 1296, e volle che il suo onore fosse
portato dall'isola a Lucca, in terra di guelfi,
e Tale r uomo (ooal il Del Lungo, DanlU^ I
290) a cui l'Alighieri fa festa, incontrandone
lo spirito nella valletta de' Frinoipi soli' ul-
timo balzo dell'antipurgatorio, e che egli di-
spone intomo a sé e a Virgilio in nobile
compagnia oon Currado Malaspina e il man-
tovano Sordello. Bisplendono sul loro capo,
di prima sera, le stelle, che irraggiano la sacra
montagna e le sconfinate soiitadini dell' o-
oeano antartioo : per l' aere, che si è fatto
scuro, lampeggiano le spade angeliche ousto-
ditrid della valle dagli assalti del serpente,
e luce sovramana mandano le teste bionde
e le isooe de' due celesti oombattitorL L'ul-
tima ora del giorno ò stata salutata da quelle
gentili ombro con l'inno di oompiòta. Te
hteia anU tormsmim, ohe al poeta estatico
ricorda, dal mondo di qua, le ineffabili mor
linconie del tramonto e le squille dell'ave-
maria piantanti il giorno che muore. Nes-
sun' altra, forse, delle figure del poema ha
332
DIVINA COMMEDIA
Ql non dìchiarisse ciò che pria serrava.
Vèr me si fece, ed io Ter lui mi fei:
giudice Nin gentil, quanto mi piacque,
54 quando ti vidi non esser tra i rei !
Nullo bel salutar tra noi si tacque;
poi domandò: < Quant'è che tu yenisti
57 a pie del monte per le lontane acque? »
€ 0, diss* io lui, per entro i lochi tristi
venni stamane, e sono in prima vita,
60 ancor che P altra si andando acquisti >.
E come fu la mia risposta udita,
Sordello ed egli indietro si raccolse,
63 come gente di subito smarrita.
L'uno a Virgilio e l'altro ad un si volse,
che sedea li, gridando : « Su, Currado,
66 vieni a veder che Dio per grazia volse >.
Poi volto a me: < Per quel singular grado,
che tu dèi a colui, che si nasconde
69 lo suo primo perché che non gli è guado.
avuto dft Dante nn tal fondo, doro luci od
ornine, imagini od attoggiamenti dispongano
a maggior delicatezza e intimità d' affètti il
onore di chi legge >. — 61. boi dlchlarlise
ecc. non laadasse apparire chiaramente ciò
che prima era impedito dalla lontananza. —
62. Ter me eco. L'amicizia di Dante por Nino
Visconti, cominciasse poi come alcuni vogliono
all'assedio di Caprona del 1289 (otr, hif, xxi
94), 0 come par più probabile, nella stessa
Firenze durante le molte relazioni ohe il giu-
dice di Gallura ebbe con la città guelfa sino
al 1298, dovette essere amicizia calda e af-
fettuosa, nata dal consenso delle opinioni
politiche, accresciuta dalla comunanza dei de-
sideri e delle speranze, e tenuta viva nel
poeta dai ricordi suoi giovenili di guelfo, che
egli non cancellò mal dalla memoria (cfr. Del
Lungo, Dante^ I 203). — 64. quando ti vidi
ecc. Benv. nota che Dante tràieva della sal-
vezza di Nino perchó a lungo aveva guerreg-
giato contro la patria ; che potò essere in-
tenzione del poeta, sebbene a questi versi
si possa attribuire anche un senso piò posi-
tivo : quanta gioia provai a trovarti fra le
anime elette, in luogo di salvazione! — 66.
(jnamt'à ecc. Da quanto tempo sei tu venuto
nell' antipurgatorio dalla foce del Tevere ?
Nino, non sapendo che Dante è ancora vivo,
crede ch'egli sia stato portato al regno della
purificazione nello stesso modo che ci ven-
gono le altre anime (cfr. Purg. n 101 e segg.).
— 68. per entro ecc. Venendo attraverso
l'inferno, sono giunto questa mattina (10
aprile : cfr. Purg, 1 19) al purgatorio ; e sono
ancora nella vita corporea, sebbana lo Cuoia
questo viaggio per acquistare la vita eterna
(cfr. Purg, n 91) — 61. E ecsM fa eoo. Sor-
dello, ohe pur era in compagnia di Danto a
Virgilio da qualche tempo, non si era aooorto
ancora che uno dei due viaggiatori tome vivo:
che non è in oontradizlone con gli alfzi oasi
in cui le anime s'accorgono dell'essere veco
di Dante o dal respirare (Inf. zzni 88, I\Hry,
n 67) o dal muovere quel oh' ei tocca (li^.
xn 81) o dall'ombra del suo oocpo (Avy. m
88, V 4, 26) ; perché Sordello era stato oosi
sorpreso dal trovare Virgilio, il suo grande
concittadino, che non aveva badato pl6 che
tanto al suo compagno (e sì ricordi la do-
manda, Airy. vn 8 : Voi eki tieU? rimasta,
quanto a Danto, insodiafSitta, senza che il
trovatore v* insista), e O segno pi6 manito-
sto, ohe sarebbe stato quello dell'ombra, non
appariva perché il sole era già nascosto dalla
montagna (cfr. Purg. vi 66). — 68. ••se
gento eoo. come fii chi resta colpito da im-
provviso stopore. — 64. Lhino eoo. Sordello
si volge a Virgilio, suo concittadino, a Nino a
un suo compagno della valletta, Corrado Mala-
spina (cfr. T. 109). — 66. a vadar che eoo.
a vedere cosa meravigliosa ohe Dio volle con-
cedere a costui, d' andare vivo per il regno
doi morti. — volse: cfr. Inf. u 118. — 67.
Per «ael slagilar eco. Per quella gratitu-
dine singolare ohe tu devi a Dio, ti prego
ecc. — 68. cke sf naseande eoo. òhe na-
sconde le prime cagioni del suo opeiare in
modo che restano inaccessibili alla manto uma-
na. — 69. non gii ecc. non vi è passaggio ad
PURGATORIO - CANTO Vm
333
72
75
quando sarai di là dalle larghe onde,
di* a Giovanna mia, che per me chiami
là dove agl'innocenti si risponde.
Non credo che la sua madre più m' ami,
poscia che trasmutò le bianche bende,
le quai convien che misera ancor brami.
«a», BOB Ti si «iriTm (per ti Moto di gli ofr.
Btf. zxm 64). — 70. fwid «oo. qvudo ta
mai Tìtonuàto nel mondo di' ali* mia Gio-
Taima che innalzi per me me preghiere al
dolo. — 71. Glovanaa «lai Nino Viaoonti la-
add morendo una flgliaola di nome Oioranna,
natagli intomo al 1291 da Beatrice d'Este eoa
donna: qneeta Okrranna laooomandata nel
1295 da Bonifazio Vili alla tatela del com^^M
di Volterra, oome figlia d'on guelfo che bene
ayeva meritato deDa parte di CSiieia, ta, epo-
^Uta di tatti i suoi beni dai g^bellini, e ee-
gnf la madie a Ferrara e a Milano, finché gio-
Tinetta ancora fti datain moglie a Bizzardo da
Camino tignore di Treriio (oCr. Par, ix 60) :
aOa morte del marito, nel 1812, non ti sa
s'ella rimanesse nella Marca trivigiana o se
n' allontanaase subito; certamente nel 1828
si era ridotta a rlTero a Firenxe, in misera
condizione, ma cdives yirtntibtu et bona
spe », come dice una provrisione del comune
per la quale, in memoria dei meriti guelfi del
giudice Nino, ta assegnato a Woranna un
dono di milleduecento lire: non appare quan-
do eOa morisse, ma sembra certo innanri al
1839. « Questa donna (osserva il Del Lungo,
Danit, I 888) Dante ritrasse del 1800 orfluia
CuiciuUetta con que* due Tersi, che sono una
musica di affetto paterno : ma nella fluidul»
letta decenne i leggitori che egli pili deside-
rò, con ispesanza di yinceme la crudeltà, i
Guelfl suoi emliatori, dorenrano subito ripen-
sare la donna, la moglie del wignon dalla
Ua^aUa satireggiato altrove nel PwaditOt ri-
pensare la donna e la guelfii sua istoria; e
a questo, certsmente, avere anche la mira il
poeta ». — 72. là dove eco. Si ricordi ciò
che ha detto Belaoqua, Pwrg. iv 184, essere
efRcad rispetto alle anime le preghiere che
s' alzano dai cuori viventi nella grazia del
&gnore ; e s'intenda quindi là dov6 eoo. non
por la chiesa o il luogo sacro ove Qiovanna
dovesse redtaie le sue orarioni per il padre,
come spiegano il Buti e il Land., ma per il
delo al quale suonano gradite le pregiiiere
dei buonL — 78. Hon eredo ecc. Beatrice
d'Este, fl^ia del marchese Obizzo II (ofr.
ìnf, zn Ul) e moglie di Nino Visconti, alla
morte del marito ritornò con la figlioletta
Giovanna a Ferrara, neDe case paterne; e ivi,
prima fu promessa, ma non data, a un figlio
di Alberto Scotti signore di Piacenza, e poi
sposata a Galeazzo figliaolo di Matteo Vi-
sconti, signore di Milano: le nozze, già in-
nanzi conduse per trattato, furono con so-
lennità grande celebrate in Modena nel pri-
mo semestre del 1800. Beatrice entrò in Milano
il 8 luglio, con molto seguito nel quale appa-
riva la figliuola Giovanna ; ma n' nscf presto,
cacciati nel 1802 tutti i Visconti per il preva-
lere dd Torriaai, e seguì le vicende ora liete
ora tristi della saa nuova famiglia e del ma-
rito, che spodestato ai tempi di Ludovico il
Bavero d ridusse in Toscana, soldato di Ca-
stmcdo CJastraoani e vi mori noi 1828. Ma
Beatrice tornò presto in buona fortuna, quan-
do Azze suo figlio ebbe riavuta la signoria
di Milano, e visse fiino al 1834: morendo
voUe essere sepolta in un'arca ornata con le
insegne delle due famiglie dd Visconti mi-
lanesi e pisani, la vipera e il gallo, sebbene
in vita avesse nel suo sigillo congiunta alla
vipera maritale l'aquila patema. Giustamente
osserva il Del Lungo, IkmUy I 807, che la
gelosia di Nino non basta a spiegare le sue
violente parole e che il suo cruccio non è
solamente maritale, ma s( anche vi ri sente
l'uomo di parte per caverò Id, Beatrice
d'Este, figliuola d' Obizzo, sorella d'Azze,
guelflssiffii e de' pifi fieri e rinomati e tra-
vaglianti partigiani, vedova di lui Nino Vi-
sconti vissuto tutto in combatter pei Guelfi
e morto in guelfo edlio, avere accettato pa-
rentado co' Visconti di Milano capitani di
parte ghibellina in quasi tutta Lombardia, e
segnacolo di Ghibellini la loro bisda ». — 74.
traamatòi so nell'aprile del 1800, che ò il
tempo della vidone, le nozze di Beatrice con
Galeazzo fossero già state celebrate, non 6 ben
corto: poiché mentre G. Fiamma, Rer. Hai.
XI 716, le pone all'anno 1299, i cronisti mo-
dened le assegnano, senza pi6 precisa deter-
minazione, al primo semestre 1900 (Oon, mo-
deri. , Modena 1888, pp. 88-89); il che può
voler dire che furono concluse per trattato
nel 1299 e celebrate di fatto nel 1300 (cfr.
sulla questiono BuU. VI 187-138, 144-146).
— le bianche bende: furono segno di ve-
dovanza nel costume femminile del medio-
evo le vesti nere e i veli bianchi (cf^. Boo-
caccio, Ckjrbacdo: e Guarda come a cotal
donna stanno bene le bende bianche e i
panni neri >). — 76. le f sai eco. non già
per infelìdtà coniugali di che nulla sappiamo,
ma per le sciagure viscontee del 1902 e de-
gli anni seguenti, esdusa per altro la misera
334
DIVINA COMMEDIA
Per lei assai di lieve si comprende,
quanto in femmina foco d'amor dura,
78 se rocchio o il tatto spesso non l'accende.
Non le feurà si bella sepoltura
la vipera che i milanesi accampa,
81 com' avria fatto il gallo di Gallura >.
Cosi dicea, segnato della stampa
nel suo aspetto di quel dritto selo,
84 che misuratamente in core avvampa.
Gli occhi miei ghiotti andavan pure al cielo,
pur là dove le stelle son più tarde,
87 si come rota più. spesso allo stelo.
E il duca mio : < Figliuol, che là su guarde ? »
ed io a lui: < A quelle tre fisu^elle,
90 di che il polo di qua tutto quanto arde ».
Ed egli a me : € Le quattro chiare stelle,
che vedevi staman, son di là basse,
9B e queste son salite ov' eran quelle ».
Com'ei parlava e Sordello a sé il trasse
dicendo: « Vedi là il nostro awersaro »;
96 e drizzò il dito, perché in là guardasse.
fine del marito male a proposito ricordata qui
da alcuni commentatori. — 76. Per lei eco.
Per r esempio di Beatrice si vede quanto
breve sia la dorata dell' amore donnesco, se
non è tonato acceso dalla Ticinanza dell'aomo
amato. — 79. Mùm le Ikrà ecc. L' insegna
dei Visconti di Milano, posta snlla sua se-
poltora, dimostrando ch'ella passò a seconde
nozze in casa di ghibellini non le farà tanto
onore, quanto onore le farebbe l'insegna dei
Visconti di Pisa, mostrando che si fosse ser-
bata fedele alla nascita gnelfa e al primo
marito. — 80. la Tlpe^* «ce la vipera o la bi«
sda Tiscontea, diyennta insegna di guerra dei
milanesi. Lana : « Quando 11 milanesi vanno in
oste, dove si pone quella insegna si pone il
campo; e fine che quella bandiera non è po-
sta, è grande bando a penare altra insegna,
ed ò stato sempre, e per tempo di parte gaelik
e per tempo di psite ghibellina »; chiosa con-
fermata da una esplicita tsetimonianza di
Bonvesino della Biva, D$ magnalibua urbig
Mediolani (cfr. F. Kovati, Indagim cit).
— 82. segnate della eoo. commosso da quel
nobile e sdegnoso rammarico, che accende
gli animi senza divenire volgare e dispet-
toso rancore. — 85. Gli cechi ecc. Dante,
bramoso di vedere nuove cose, guardava so-
lamente al cielo, verso il polo antartico, ove
le stelle appaiono pid lentamente, come fanno
le parti della ruota più vicine all' asse. —
88. E il d«eA eco. Virgilio chiede a Dante a
che cosa mai guardi con tanta attendono, e
il suo discepolo risponde, quasi intenogan-
dolo, di guardare a tre stelle risplendenti di
viva luce verso il polo antartico. — 89. tre
facelle: le tre stelle simboleggiano, per oo-
mune consenso degli espositori, la vizt& teo-
logali (fede, speranza e oaritàX come lo quat-
tro stelle vedute al mattino (cfìr. Puirg, i 22)
simboleggiano le virtd cardinali: alonni per
altro vogliono ohe le tre stelle, come già lo
quattro, non fossero imaginate dal poeta;
ma oh' ei pensasse a vere stello delle coetel-
larioni della Nave e dell' Erìdano noto per
antichi trattati d'astronomia. — 91. Le %mmt-
tro ecc. Lo stelle vedute stamane sono on
al di. là del meridiano, e queste che tu vedi
hanno preso il loro luogo. Lomb. : < Signift*
cando le quattro stollo del primo canto le
quattro cardinali vlrtó, fecole il poeta appa-
rire sui principio del giorno j ed oi% al prin-
cipiar della notte fa in luogo loro vedersi
altre tro significanti le tre virtà teologali, a
dinotare cho appartengono quelle alla vita
attiva, a cui meglio si confà il di, e questo alla
vita contemplativa, a cui meglio la notte si
oonvieno ». — 9i. Com'el ecc. Mentre Virgilio
parlava a Dante intomo alle stelle, Sordello
richiamò la sua attenzione e gli additò il sei^
pente che si avanzava. — 95. il nostro av-
versare: cosi è chiamato nella bibbia il dia-
volo (Pietro, / Epist,^ v 8), il quale assume
la forma del soxpente per sedurre gli uomini;
PURGATORIO - CANTO Vili
335
Da quella parte, onde non ha riparo
la pioclola vallea, era una biscia,
99 forse qual diede ad Eva il cibo amaro.
Tra Perba e i fior venia la mala striscia,
volgendo ad or ad or la testa al dosso,
102 leccando come bestia ohe si liscia.
Io non vidi, e però dicer non posso,
come mosser gli astor celestiali,
105 ma vidi bene e l'uno e l'altro mosso.
Sentendo fender l'aere alle verdi ali,
fuggi il serpente, e gli angeli diér volta
108 suso alle poste rivolando eguali.
L'ombra, che s'era al giudice raccolta
quando chiamò, per tutto quell'assalto
111 punto non fii da me guardare sciolta»
€ Se la lucerna che ti mena in alto
trovi nel tuo arbitrio tanta cera,
114 quant'è mestiere infino al sommo smalto,
dir. ApoeaL xn 9 : «0 serpente «itico, ehe
è difim«to Diarolo e Satana, il quale aed-
dnoe tatto il mondo ». ~ 97. Da qnella eoo.
n aenNante a'aTansa entrando nella valletta
da qiuSbk parte or* eaM è aporta, forse nello
stssao modo tenuto qTiando pdtse ad Era il
frutto rietato. Certamente questo serpente
siaboleggì* la tentadone; al qnale proposito
■saai aontusente scrisse il Gea., seguito poi
dai miglioxi interpreti modemL «lo oredo
aror rolato Dante a questi nogligenti del-
l' antiporta del porgstotio, assegnar eziandio
questa pena (oltre al dover aspettar di fboil
la kv pQigazione), di temere e tribolani per
la venuta del serpente ogni sera; ed ogni
■era volgerai a Dio oon quelle loro preghiere,
invocando il socoocso degli Angeli contro
r assalto lor minacciato : dico del temere e
tribolarsi senxa pid : perché non voglio cre-
dere che Dante gli iàoone in Catto soggetti
a quelle carnalità alle quali slam noi, essendo
troppo sicuro che l' anime usdte da questo
stato di vita, come di merito cosi né di tenta-
zione non sono capaci: ma per loro pena basta
U timore. E volle forse Dante simboleggiar
un'altra ordinazione della provvidenza di
Dìo : cioè ohe coloro i quali nella vita pre-
sente indugiano la penitenza, per divino giu-
dizio e per malo effetto degU abiti loro ad-
dosso lasciati invecchiare, sono pid duramente
tempestati dalle diaboliche suggestioni: il
poche di piti guardia e di più orazioni fa
loro bisogno, ad impetrare il soccorso cele-
sta. £ questo è, pare a me, quel vero, coi
a ravvisare ò mestieri aguzzar gli occhi ». —
99. Forse «sai eoo. cf^. Om. ni 4-6. —
100. la mala itrliela : il serpente tentatore
che avanzava strisciando. •— 101. ad or ad
or: cfir. Jbif. xv 81. — 102. leccaado ecc.
leccandosi come sogliono Care gli animali che
si lisciano, ripiegandosi col capo sul dosso.
— 108. !• noB vldt eoo. Dante non può ri-
dire come gli angeli spiccassero il volo con-
tro il serpente perchó non vide la lor mossa
essendo tutto intento alla mala sMsda; si vi-
de gli angeli ohe già volavano e il serpente
che ftiggi al solo muover delle loro ali. —
104. aator eelestlall t angeli celesti ; chia-
mati aatoriy che sono uccelli di rapido volo
e nemici delle serpi. — 107. dlSr volta «co.
tornarono indietro volando su verso il dolo
oon volo uguale. — 108. peste: il nome po-
«to, ohe sìgniiica luogo assegnato (^f, xiii
118, zzn 148 ecc.), ò tratto qui a signifloare
il cielo, luogo assegnato agli angeli come pro-
pria dimora. — 109. L'ombra ecc. L'anima,
che da Nino era stata chiamata a vedere il
miracolo di Dante vivo, durante l'assalto de-
gli angeli contro il serpente non allontanò
mai gli occhi dal poeta. Quest'anima ò quella
del marchese Corrado Malaspina il giovine,
figlio di Federigo I marchese di Yillafranca
e vissuto fino al 1294 (cf^. E. Branchi, Storia
detta Lunigicma fntdale, H 9-12). — 112. 8e
la Iseema ecc. Cosi la grazia illuminante
del Signoro, la quale ti trae verso il dolo,
possa trovare tanta cooperazione nella tua
volontà quanta bisogna per arrivare sino al
paradiso ecc. — 118. trovi ecc. la cera ò
r alimento del lume, come la volontà della
grazia; ofr. Tommaso d'Aquino, Smnmaf
p. n, 2*, qnest. vm, art 4 : « In omnibas
habontibus gratiam necesse est rectltndinom
yoluntatis ». — 114. sommo smalto: i più
336
DIVINA COMMEDIA
cominciò ella, se noTella Tera
di Val di Magra o di parte yicina
117 sai, dilla a me, che già grande là era.
Chiamato fui Corrado Malaspina;
non son l'antico, ma di lui discesi:
1*20 a' miei portai l'amor che qui raffina ».
€ 0, diss' io lui, per li vostri paesi
giammai non fui; ma dove si dimora
123 per tutta Europa, ch'ei non sien palesi?
La fama che la vostra casa onora
grida i signori e grida la conlarada.
del oommenUtoTi aattohi inteeero ohe fosse
indicato oocf il cielo, luogo dell* eterna bea-
titudine, ohe all' occhio nostro appare oome
ricoperto di anorre smalto: invece Benv. se-
guito da molti moderni spiegò mmwno miiatto
per la cima del monto sacro, ov* ò il para-
diso terrestre, loogo d'eterna primavera. —
115. se Borella eoo. 0 Malai^ina domanda
a Danto vere notizie solle condizioni della
vai di Magra e dei paesi vicini, ove egli e i
snoi consorti ebbero lungamente signorìa; e
accenna in partioolar modo alla vai di Hag^
perdié proprio nel centro di essa sorge fi ca-
stello di Villaftanca, ohe nelle divisioni dei
possessi fendali della lamigiia Malaspina era
toccato a sno padre Federigo I e di coi egli
e i fratelli ricomprarono nel 1281 la parte
toccate già ad nn altro parente: in Villa-
franoa Oonado foce il sao testamento nel
129A. — 119. Pantlee: Oonado Malaspina
il vecchio, figlio di Obizzo II e vissato molti
anni, sino almeno al 1268, fa antere del ra-
mo dei Malaspina detti di Mnlazzo osria dallo
Spino secco, e padre di Federico I di Villa-
fhuica, e perciò avo di Corrado il giovine:
dei tuoi fatti paria lungamente il Branchi,
op. dt, I lU e segg., 161 e segg. L'ipo-
tesi di 0. Schultz e a. Del Noce, L$ epidoU
del trowUon Bombaldo di Vaq%t«itra8f Firenze
1888, .pp. 166-168 e 176-182, che prima del
laOO siano vissuti tre Malaspina di nome
Corrado, il prime alla fine del sec zn, il
socondo nella prima metà del xm e il terzo
nella seconda, e che l' anitieo sia il «SKmdo,
non ha fondamento. — 120. a' Miei ecc. ai
miei consorti portai quell'amore, ohe nel
mondo volge gli uomini alla cura dello dbee
torrone e qui invece si purifica volgendoli a
Dio. Queste è Tinterpretarione pi6 comune,
accanto alla quale altre dettero gli antichi ;
r Ott. : e Portai tanto amore a' miei, che io
ne lasciai la cura dell'anima ed indugiai
r opere meritorie della salute per guerreg-
giare ed acquistare amici ; il quale amore qui
bì ammenda e puxiga », o TAn. fior. : < L' a-
more ohe io portai a' miei consorti ancora qui
mi giova ». Benv. aeceina che Corrado va-
nendo a morte senza figliuoli maschi divise
i snoi possessi tra i sud parenti, eccitandoli
alla eoneordia ; e Pietro di Dante e il Gms.
con pid particolari dicono che questi poseosnl
furono la città di Bosa o alcuni castelli di
Sardegna, pervenuti a Corrado come doto
della moglie : oertamento nel sno testamento
del 129A lasciò < ogni sno feudo, ragioni • be-
ni allodiali ai fratelli • nepoti, la eoooordto
e l'unione pel mantenimento della giandena /
della femiglia raccomandando » (Branchi, op.
dt, n 11), e nulla ditone a fiorare deUa
mofl^ Oriette o della flgUa ^ina, delle
quali novellò poi il Boccaccio, g. II, n. 6 ;
si che potrebbe intendersi eeser Corrado in
puxigatorio a seoatare l'seeessivo aaora per»
tato alla grandes» delle proprte stirpe, ohe
gli fece posporre i snoi pii sferettt di sangne.
— 121. O, «issle eco. Nel laOO Dante non
aveva ancora visitato le tstie feudali dei
Malaspina, par oonoaeendo per fema il vaUwe
e la Uberafità di qoei marchesi : v'andò poi
nel 1806 e forse altre volte, nel primi anni
del triste esilio, accolte con molte dimostra-
zioni di benevolena da paitwchi di quei si-
gnori (cfr. L. Staibttl, BMtt. VI 105-118).
— 128. ei ■•■ sten ecc. quelli deD» vostra
fìuniglia; poiché col pronome «(, piti tosto
ohe riferirsi ai jMtsi, Dante riprende l'ao-
oenno di Cocrado (v. 120: a'oiM) alla grande
casate dei marchesi Malaspina, die il poeto
spedfioa pd pld ^wrtamente nella tersine
segnsnte (la vottn essa, i tignoiij. — 12&. La
fama ecc. Non deve sembnwe fit eeagsiata
U lode che Dante dà qui alla fkod^ Mala-
spina; poiché veramente qnd signori sia per
imprese proprie, sia per le molto reladoai
con le repubbliche toccane, liguri e lombarde,
sia per i parentadi stretti con molto case fen-
dali, sia finalmento per c^talità concedute
ai trovatori provenzali, ersno notissimi, non
pure in Italia, ma anche in altri paed d' Eu-
ropa e massime in Francia; cfr. 0. Schultz,
op. dt, pp. 168-172. — 126. grida 1 slgnerl
ecc. celebra i signori e celebra il paese. —
PURGATORIO - CANTO Vm
337
126 bL che ne sa chi non vi fd ancora.
Ed io vi giuro, 8*io di sopra vada,
che vostra gente onrata non si sfregia
129 del pregio della borsa e della spada.
Uso e natura si la privilegia
che, perché il capo reo lo mondo torca,
132 sola va dritta e il mal cammin dispregia ».
Ed egli : e Or va, ohe il sol non si ricorca
sette volte nel letto che il Montone
185 con tatti e quattro i piò copre ed inforca,
che cotesta cortese opinione
ti fia chiavata in mezzo della testa
con maggior chiovi che d'altrui sermone,
139 se corso di giudizio non s* arresta >.
127. f *lo di 10^» Tftdm : ood io poM» gimi-
gere al aommo mnaUoy compiendoai il TMtro
anicino. ~ 128. Tostra geuìè eoo. la yottra
stirpe onorata non ha perdato il pregio della
liberalità e del Talore, le dae somme virtà oa-
TaUeresche, lodate piti volte dai tioralozi nei
personaggi della iÌEumglia Malaspina. — 180.
Ciò • BAtvra eoo. Le naturali inclinazioni e
la domestica educazione la privilegiano, ti che
eaea continoa a battere la via della virtd e a
fuggire quella del vizio, sebbene i reggitori
dell'unanità la traggono per il cammino del
male. — 131. perektf 11 eapo ecc. Si pud
oostniire e intendere in due modi : sebbene
il mondo torca il reo capo dalla via virtuosa;
oppure: sebbene il reo capo torca il mondo
dal retto sentiero. Quest'ultima d l'intexpre-
tadone preferita dai piti dei oommeutatoii :
discordi poi quanto al capo no^ che seconde
alcuni è il demonio, secondo altri il papa o
l'imperatore : ma 1 versi del Pmg, xvx 100-
106 non laadano alcun dubbio ohe Dante ab-
bia voluto aooennaie il disordine cagionato
dal papato, con la oonftasione dolio due po-
destà, oivUe e religiosa. Si oh, Arrigo da
Settimello, in 199 : € Ipsa caput mundi ve-
nalls curia Pi^ae Piostat, et inllimat caetera
membra caput ». ^ 188. Bd egli ecc. Cor*
rado predice a Dante ohe non passeranno
sette anni ch'egli oonoecerà di persona le
virtti dei Malaspina, quando sarà accolto nei
loro castelli ; che fu nel 1806. — U sol eco.
il sole non tornerà sette volte ad adagiarsi
nel segno dell'Ariete o montone, nel quale
ò ora. — 187. ti Ha ecc. ti sarà confermata
nella mente con maggiori prove che non siano
quelle della fama, doò con l' eepeiienza tua
propria. — 189. se eorio eco. non s' intei^
rompa 11 ooxso del divino giudizio, che ti
serba ad essere esiliato dai tuoi concitta-
dini e a portare la tua infelicità per le terre
d'Italia.
CANTO IX
Dante, addonnentatosl nella valle del principi, è trasportato nel sonno
alla porta del purgatorio da Lucia, mentre egli ha di ciò una visione sim-
bolica : svegliandosi si trova accanto il solo Virgilio ; col qnale, dopo il per-
messo ottenuto dall' angelo portiere, entra nel purgatorio [10 aprile, prime
ore della notte, fino alle prime ore della mattijia delP 11 aprile].
La concubina di Titone antico
IX L lA eoneublaa eco. Dante, aooom-
pagnato dai due poeti mantovani, è stato
sorpreso dal tramonto del sole sulla sponda
della valletta {FUirg, vm 1 e segg.), ha ascol-
tato il canto ddl'inno di oompièta, ha aspet-
tato e osservato lo sosnduo degli angeli a
Dantb
difesa delle anime contro il serpente, e poi
con gU altri è disceso giti nella valletta steràa,
quando già I'mt «'amwrova (iVy. vm 49),
oio4 un'ora dopo l'avemaria: si ò fermato un
po' a lungo con Nino Visconti (Aw^. vm
62-84), ha pariate eoa YiisiUo intomo alle
333
DIVINA COMMEDIA
già s'irabUncava al balco d'oriento,
fuor delle braccia del suo dolce amico;
di gemme la sua fronte era lucente,
poste in figura del freddo animale,
che con la coda percote la gente:
e la notte de* passi, con ohe sale,
tre stello (Atfi;. Tin 85-93), ha osserrato l'as-
salto degli angeli contro il serpente il\trg.
▼m 94-106) e poi ha avuto un colloquio con
Oonado Halaspina (Purg, ym 109-1S9); e
tutto ciò importa almeno il tempo di oltre
un' ora. Siamo dunque, al purgatorio, fra le
due circa e le tre ore di notte del 10 aprile;
e il poeta determina questo momento in ma-
niera fantastica e con precisione astronomica
mettendo in oontraposizione V ora del mondo
di là con quella del mondo di qua, come egli
stesso si compiace di fare altre yolte (Inf.
TTTTT 104, Fìo^, n 1-9, in 25-27, iv 187-139,
XT 6, xxvn 1-6, Air. i 48) ; di modo oho i
suoi Tersi significano: Qui in Italia appariva
gin Taurora solare e dalla parte d' oriente si
mostravano ancora le stelle della costellazione
dei Pesci; e invece nel purgatorio erano al-
l' incirca due ore e mezzo di notte. Questa
interpretazione, proposta nel 1775 da B. Fe-
razzini, Jn DarUis Oomoediam eometiones et
adnotationea (2* ediz., Venezia, 1844), accolta
dal Della Valle, il mnao geogr, attron. pp. 86-
92 e difesa con larga dimostrazione da Q. P.
Glerid, Studi vari tuUa Dio, Ckmm, dt.,
pp. 41-98, è la più naturale di tutte quelle
che furono date intomo a questo passo, uno
dei pid discussi del poema. Le altre inter-
pretazioni principali sono : quella degli an-
tichi oommentatrài, dal Lana al Land., se-
guiti da molti moderni, per la quale la otm-
eubina di TUom sarebbe l' aurora lunare (cfr.
Moore, pp. 96-98); quella, già nota a Benv.,
difesa dal Veli, e accettata da molti moderni
suU' autorità di 0. Mossotti (Opuio. dant.
n.* 7), secondo cui sarebbe l'aurora solare al
purgatorio (oflr. Moore, pp. 94-95); e quella
proposta dall'Ani, e propugnata dallo Scari.,
i quali leggendo La concubina di Titano antico
intendono che Danto parli dell'onda marina
(Teti, moglie dell'Oceano) che s'imbiancava
sotto i raggt della luna (doò non sotto quelli
di TitanOf del iole, che d l'amico col quale
dimora nella notte) sorgente al purgatorio
verso la terza ora dopo il tramonto del sole
(cfr. Moore, pp. 100-104). — Tltone : figUo di
Laomedonte e fratello di Priamo, òhe l'Au-
rora, innamoratasi di lui, rapi e portò nel-
r Etiopia, ove lo sposò e gli ottenne da
Giove l'immortalità : Dante dice l'Aurora sua
eonoubinOf nel senso di compagna o sposa,
senza dare alla parola alcun significato cat*
tivo, come suol fare d'altre voci (cfr. Par, m
66). — 2. già •' ImblameAT* ecc. appariva
biancheggiante all'orizzonte orientale dell'Ita-
lia: perché essendo al purgatorio quasi tXB
ore di notte, dovevano essere quasi tre oro
di giorno a Gerusalemme (cfr. Purg, iv 67 e
segg.), e per oonseguonza essere l'aurora in
Italia, che secondo Dante ò a tre ore di «ole,
oioò a 45 gradi di longitudine occidentale da
Gerusalemme (cfr. Purg, xv 6). — baleo
d'orlcBte : il balcone d'oriente è l'orizzonte
orientale (cfr. Tasso (Far. Ub. ix 74). — 3.
fÉor delle bracala eoe : avendo abbando-
nato il suo dolce marito Titone. Si noti poi
che tutta la descrizione dantesca ò amplifica-
zione della virgiliana, En. iv 82 : e Et iam
prima novo spargebat lumino terras Tithoni
croceum linquens Aurora cubile », che ricorre
nella stessa En, ix 460 e con lieve differenza
nolle Odorg, i 447. — 4. di gevoie ecc. la
fronte dell'Aurora, in Italia, era ornata daUe
stelle, che formano la costellazione dei Pesci
(ricordata a proposito dell'alba del 9 aprile in
Inf. n 118, e per quella del 10 aprile in
Purg, 1 21); le quali stelle appunto nel tempo
equinoziale di primavera si vedono da noi,
poco prima del sorgere del sole, dalla parte
di oriente. ~ 6. poste la figura eoe disposte
nella figura del pesce boreale, quello che con
la coda sta rivolto verso l'emisfero abitato :
poiché gli antichi astronomi alla parte pid
alta di quella costoUazione dettero il nome
di Piaeii borealiSf ed ò quello che volge la
coda verso l'emisfero superiore, abitato dagli
uomini, e alla parte piò bassa U nome di Pi'
tei» aiugbraU»t ed ò quello che volge la coda
verso l'emisfero inferiore, che ò il mnndo s&nxa
genie (Bif. zxvi 117). — fredde salatale :
dal Lana in poi quasi tutti i commentatori
tennero che fosse accennata la costellazione
dello Scorpione, pid forse per rimembranza
dei luoghi d' Ovidio (Fbsf. nr 168, Mei, xv
871) ove quell'animale ò rappresentato come
terribile per la sua coda, che per ragioni
astronomiche; e dimenticarono che Virgilio,
Georg, i 84 dice : « ipso tibi iam brachia oon-
trahit arden» SoorpiuSf et eoeli insta plus
parte reliquit ». Ma l'astronomia d richiama
ai Pesci : e Dante dice freddo animate per-
ché parla del solo pesce boreale (come Vir^
gilio, (Taori^. r7 234: e sìdus... Pisds aquoei»)
0 pur per la ragione che gli fece chiamare la
stessa costellazione col nome di eelette tasca
Purg. xzxii 54): cfr. Moore, pp. 90-93, che
sostiene trattarsi delle stelle dello Scorpione,
opinione difesa anche dal Tonaca. ^ 7. e la
PURGATORIO — CANTO IX
839
&tti avea due nel loco oy* eravamo
9 e il terzo già chinaya in giuso Pale;
quand'io, che meco avea di quel d'Adamo,
vinto dal sonno, in su l'erba inchinai
12 ove già tutti e cinque sedevamo.
Nell'ora ohe comincia i tristi lai
la rondinella presso alla mattina,
15 forse a memoria de' suoi primi guaì,
e che la mente nostra, peregrina
più dalla carne e men da'pensier presa,
18 alle sue vision quasi è divina;
in sogno mi parea veder sospesa
un' aquila nel ciel con penne d' oro,
21 con l'ali aperte ed a calare intesa:
ed esser mi parea là dove £5ro
abbandonati i suoi da Ganimede,
24 quando fu ratto al sommo consisterò.
■•tie eoe. inreoe nel pvugatoiio la notte aveva
giàoompiitti due dei pasti onde sale e il tezTo
Tolgera a oompieni, eioè ttano qaasi le tre
otedi notte; ^ckùié pasti eoH eh$ la notU tale
sono dette poeticamente le ore dal principiare
di «Ba notte sino alla mezxanotte; e cosi in-
tendono dal Lana im poi la maggior parte de-
gli itttnpsetL Si noti inoltre che la cong. • ha
qui, come in altri luoghi di Dante (ofr. Inf,
mi 12, zzz 68, Purg, ti 09 eoo.), il senso
arrefiatiTO di (meee, e serre a mettere in op-
ponadone l'idea d^'ora in Italia e quella della
eoxziapondente ora del purgatorio. Si cfr.
Moore, pp. 87-90. — 8. nel loeo eoo. nel
purgatorio, ofr. ISÈry, n 8. — 9. e 11 terzo
•ce : »»"»c<^M> ohe ricorda la Tiigiliana, En.
Tin 368 : e Nox rnit et ftiscis tellurem am-
plectitor aUs ». — 10. qannd'io eoo. allor-
ché io Tinto dal sonno, perché ero là col
corpo e non puro spirito come i miei com-
pagni, mi addormentai sull' erba, ore sede-
vano insieme con me Virgilio, Sordello, Nino
e Oorrado. — di qnel d'Adatte: il corpo;
cfr. fWy. ZI 48. ~ 18. Nell'ora eco. Dante,
addormentatod reiso le tre ore di notte del
IO aprile, si risreglla poi solamente oltre le
due ore di giorno dell' 11 aprile, dopo un
•onno di dodid ore (cfr. tt. 48 e segg.); ma
dorante il sonno, e proprio mentre egli so-
gna ohe un'aquila lo porti su alla sfera del
ftioeo. Tiene dal cielo Lucia e lo reca, se-
guita da Virgilio, sino presso alla porta del
pittgatorio. Sono dunque due azioni parallele,
qaeUa della Tisione (tt. 18-46) e quella della
i«altà (TT. 46-68); l'una avuta da Dante
stosso dormendo, l' altra raccontata a luì da
Virgilio, rimasto vigile scorta. — ohe eomia-
elm ecc. Il tempo ohe precede il sorger del
sole, quando la rondinella incomincia a fare
i suoi lamenteroli trilli, ò anche, secondo i
poeti, queOo in cui la nostra mente, essendo
più libera dalle impressioni dei sensi e meno
occupata dai pensieri, ò nei suoi sogni quasi
divinatrice dell' avvenire (ofr. Ihf, xzvi 7).
— 16. forse ecc. in ricordanza dei lamenti
dolorosi che ella fece, non già quando di
donna fu tramutata in uccello (cfr. JWy. xvu
19); ma allorché subì l'oltraggio di Tereo,
« Iriistra clamato saope parente, Saepo sorore
sua, magnis super onmia divis (Ovidio, Met, vi
626) : ofr. Moore I 210. — 19. In sogno eco.
mi apparve in visione un'aquila dalle penne
dorate, librata nell' ampiezza del cielo e vo-
lante verso di me. Quest'aquila non ò altro
che la forma che nel sogno dantesco prende
la figura reale di Lucia (ofr. v. 66), e gli atti
che Dante le attribuisce sono quelli della
donna divina : dunque le due figure sono sim-
bolo della stessa idea, e significano la grazia
illuminante. — 22. ed esser ecc. mi pareva
di esser sul monte Ida nella Frigia (diversa
da quello di Creta, Inf. sv 98), ove Gani-
mede, figliuolo di Troo re d'Ilio e ^ovinette
bellissimo fra i mortali, fa rapito da un'aquila
mandata da Giove o tratto su in cielo a far
da coppiere agli dei (cfr. Viig., En, v 233,
Orazio, Carm, rv 4, 4, Ovidio, Mei. x 156'
161 ecc.). — 23. 1 suoi : i compagni di cac
eia, eh' erano con Ganimede sul monte Ida
(Orazio, Carm, in, 20, 15, Stazio, Tib. 1 548
e segg., Valerio FI., Argon, u 414 e segg.).
— 24. al somme eonslstoro : al concilio de-
gli doi C^^ig*! Osorg. i 24 «deorum concilia»).
Buti : e eonsistoro si dice lo luogo dove si sta
insieme; e però Io luogo, dove sta il papa coi
cardinali ad audienza o a Consilio, si chiama
340
DIVINA COMMEDIA
Fra me pensava: « Forse questa fiede
pur qui per uso, e forse d' altro loco
27 disdegna di portarne suso in piede ».
Poi mi parea che, roteata un poco,
terribil come folgor discendesse,
80 e me rapisse suso infino al foco.
Ivi pareva eh' ella ed io ardesse ;
e si l'incendio imaginato cosse
83 che convenne che il sonno si rompesse
Non altrimenti Achille si riscosse,
gli occhi svegliati rivolgendo in giro
8Q e non sapendo là dove si fosse,
quando la madre da Chiron a Schiro
trafugò lui dormendo in le sue braccia,
89 là onde poi li greci il dipartirò;
che mi scoss'io, si come dalla &ccia
mi fuggi il sonno, e diventai ismorto,
42 come £a l'uom che spaventato agghiaccia.
Da lato m'era solo il mio conforto,
e il sole er' alto già più che due ore,
45 e il viso m'era alla marina torto.
oonsUtoro >. — 26. Fr* me eoo. Dante, io*
gnando l'aquila di Giove e il monte Ida, pensa
ohe il divino oooello non usi di andare in al-
tri looghi a oeroare sue prede e disdegrni di
portare in cielo prede tolte altrove. — flede
pur qal per vto: suole ferire, Un prede sola-
mente sol monte Ida. — 26. e forse eoe. e
forse disdegna diportcame inpitd$, di portare
coi suoi artigli prede d'aUro toeOf d'altri lao-
glii, tU9o su al cielo : il ns di portarne può
essere particella pronominale (portar di eam
prede, idea implicitamente contenuta nel ftedet
te prede), o vero particella avverbiale (por-
tar dalla terra al dolo, col vb. portare detto
assolutamente inveoe di recar preda). — 28.
Poi mi parea eoe. L'aquila, fatti alcuni lar-
ghi giri circolari, piomba con la velocità della
folgore su Dante e lo trae su sino alla sfera
del fìiooo (cfr. Air. i 87 e segg.). — 29. ter-
rlbUx oCr. Virgilio, i^ xn 2i7: clovis
alee. . . subito cum Lapsus ad undas Cycnum
ezcellentem pedibus rapit improbus uncis > :
ma l'imagine dantesca, più vivamente scol-
pita nella sua semplicità, rende meglio la ra-
pidità del volo. — 81. Ivi pareva eoo. Nella
sfera del ftiooo pareva che bruciassimo, io e
l'aquila ; e l'impressione di quell'incendio in
visione fti cosi forte ohe io mi svegliai. —
84. Non altrimenti eoo. Teti rapi il figliuolo
Achille, affidato alle cure di Ohirone (cft,
Jnf, xn 71), e mentre il fanciullo dormiva lo
portò nell'isola di Sdro, ove rimase vestito
da donna finchó per astuzia d' Ulisse e di
Diomede fli tratto alla guerra oontro Troia
(ott, Inf, zxvi 61): racconta Stazio, AehilL i
247 e segg. ohe il fanciullo al primo sve-
gliazsi in Sdro ebbe grande meravig^ di
trovarsi in luogo ignoto e in diversa com-
pagnia. Dante, addormentatod nella valletta
fiorita ove era oon quattro compagni, sve-
gliandod in altro luogo e trovandosi accanto
il solo Virgilio, prova uno spavento non mi-
nore di queUo d'Achille. — 87. Seklre:
Sdro, lat. Seyroe, isola del mare Egeo, nella
quale Teti portò U giovinetto Achille. — 88.
dormendo : il quale dormiva (ctr. Inf, xm
14). —89. 11 greel: XTlisse e Diomede. — 41.
e diventai eoo. e divenni pallido, oome l'uo-
mo cui s'aggela il sangue per lo spavento.
— 48. IHi lato eoo. Tre cagioni di stupore
trova Dante svegliandod, tanto potenti da
indurre nell'animo suo un sentimento diverso,
lo spavento : l' essere aooanto a lui il sdo
Virgilio, mentre s'era addormentato nella
valletta ov* erano altri tre spiriti; l'essere
il sole tanto alto, mentre egli aveva chiusi
gli occhi al sonno nelle prime ore della sera ;
e il vedere dall' alto la distesa delle acque,
che dalla valle non poteva socngere perchó
entrandovi aveva voltate le spalle al mare;
insomma un complesso di droostanse per cui
Dante capi che durante il suo tonno qualche
gran fatto doveva essersi oompinto di lui, sen-
za per altro oh' ei potesse intendere di che cosa
si trattasse. — mio eonf orto : ofr. iWy. m 22.
— 44. 0 U iole eoo. Erano adunque le otto
PURGATORIO — CANTO IX 341
€ Non aver tema, disse il mio signore ;
fatti sicnr, che noi siamo a buon punto:
48 non stringer, ma rallarga ogni vigore.
Tu se*omai al purgatorio giunto:
vedi là il balzo che il obiude d'intorno;
61 vedi V entrata là Ve par disgiunto.
Dianzi, nell'alba che precede al giorno,
quando l'anima tua dentro dormia
64 sopra li fiorì, onde là giù è adomo,
venne una donna, e disse: ^ Io son Lucia:
lasciatemi pigliar costui che dorme,
67 si l' agevolerò per la sua via '.
So];del rimase, e l'altre gentil forme:
ella ti tolse, e come il di fd chiaro,
60 sen venne suso, ed io per le sue orme.
Qui ti posò: e pria mi dimostrare
gli occhi suoi belli quell'entrata aperta;
68 poi ella e il sonno ad una se n' andare »..
A guisa d'uom che in dubbio si raccerta
e che muta in conforto sua paura,
66 poi che la verità gli è discopertai
mi cambia' io : e come senza cura
videmi il duca mio, su per lo balzo
69 si mosse, ed io di retro in vèr l'altura.
Lettor, tu vedi ben com'io innalzo
siitiiii0ridi«ii0 dall' 11 lutile 1800. — 46. Non oorporis ; . . . non enim fonna corporia^ acd-
ATtr eoo. "Vigilio, vedendo Dante ood tpa- dentalia, wd sabstantUdis >). — 69. eoMe 11
Tentato e fone credendo ohe il suo discepolo df eoo. appena si fu fatto giorno : si ricordi
pensi a nn'internuione del viaggio, lo assi- la legge per ool non si pad salire se non da-
onra saUto con effload parole di conforto e rante il giorno (Purg. vu 44 e segg.). — 62.
poi g^ zaeoonta che oosa sia aocadnto mentre entrata aperta s ingresso ohe s* apre, ohe ò
se^ dormiva. — 48. non stringer ecc. non praticato U nel balzo ; ingresso che 1 poeti
devi restringsre o rinchiadere l'animo tao nel troveranno ohiaso da an atrrams (v. 108) o
timore, ma allargarlo ed aprirlo alla speranza. ukÌo (v. 130). — 68. poi ella eco. poi Lacia
— 61. r entrata eoo. l' ingresso, là ove il se n'andd, mentre ta ti risvegliavi; ofìr. Vir-
helzo pare interrotto (ofr. w. 74-76). — 62. gilio, .^i. vni 67 : « Nox Aenean somnosqae
Dlaul eoe Pooo fa, nei primi albori ohe reliqoit». •• 64. A gnlsa eoo. Dante, alle
precedono il sorgere del sole, mentre ta dor* parole di Virgilio che lo ha confortato sco-
rnivi sull'erba e sai fiori della valletta, prendogli tntta la verità, si mostra sabito
venne Lucia a prenderti per portarti qoi : rassioarato ; e allora il sao daca, vedendolo
Sordello, IQno e Corrado rimasero nella vai- tranquillo, s'incammina sa verso il balzo ohe
letta ed lo segaitai Laola, che scomparve dnge all'intorno il purgatorio. — 70. Lettor
mentre ta ti svegliavL — aell' alba ecc. : ecc. Più volte Dante si rivolge ai suoi lettori,
determina altrimenti U momonto già descrìtto ma quasi sempre per dar varietà alla forma
nei w. 1&-1B. — 66. Io son Leelat Luda, del suo dire (ofr. 3i/. vm 94, xx 19, xxn 118,
simbolo deUa grazia illuminante (cfir. Inf, n Purg, xvu 1, zxix 96, xxxi 124, txtitt iqq^
97), che nel sogno di Dante aveva assunta la Par, v 109, zza 106) o per dare qualche
figura di aquila. — 68. e l'altre gentil for- avvertimento a conferma o a migliore intel-
mei e gli altri nobili spiriti-, che ci facevano ligenza dello sue parole (ofr. ^f. zvx 128,
compagnia (ofr. Tommaso d'Aquino, SwmmOf zzv 46, zzziv 28, Atry» vm 19, z 106, Par. z
p. 1, qu. Lzzvx, art 7, 8 : « Anima est fonna 7, 22). Fi6 singolare ò l' invito di questo
342
DIVINA COMMEDIA
la mia materia, e però con più arte
72 non ti maravigliar s'io la linoalso.
Noi ci appressammo, ed eravamo in parte,
che là dove pareami in prima un rotto,
75 pur come un fesso clie muro diparte,
vidi una porta, e tre gradi di sotto,
per gire ad essa, di color diversi,
78 ed un portier che ancor non £acea motto.
E come l'occhio più e più v'apersi,
vidil seder sopra il grado soprano,
81 tal nella £Etccia ch'io non lo soffersi;
ed una spada nuda aveva in mano,
che rifletteva i raggi si vèr noi
84 eh' io dirizzava spesso il viso in vano.
«Dite costinci, che volete voi?
cominciò egli a dire: ov'ò la scorta?
87 Guardate che il venir su non vi noii
« Donna del ciel, di queste cose accorta,
rispose il mio maestro a lui, pur dianzi
90 ne disse: ' Andate là, quivi è la porta ' ».
loogo, OTO D&nte richiama l' attonxtono del
lettore soll'iimalzarsi dello stile rispondente
all'innalzarsi dell'argomento : a Danto dorerà
sembrare, ed ò reramentoi esperimento di
difficile arto la rappresentazione delle dae
azioni paraliole, quella della yisione e quella
della realtà, da lui descritto sinora (c£r. la
nota al y. 13). — 71. eoo pU arte eco. non
ti meravigliare se io la sorreggo e sostongo
oon più efficaci mezzi di arto. — 74. là doro
pareaMl eoe. in quella parto del balzo, la
quale prima mi era sembrata inturotta da
una stretto apertura (cfir. 1 yy. 60-61), come
sarebbe quella di una screpolatura che spar-
tisse in due un muro, yidi distintamento una
porta. — 76. un* porta eoe La porto del
purgatorio, stretto e chiusa, il oontrario doò
di quella dell'Inferno (cfr. Inf. in 11), si apre
nel balzo che dnge intomo il luogo destinato
alle anime penitonti (ttr. y. 60), al sommo di
tre gradini : e sulla soglia di essa siede l'an-
golo guardiano. — 78. «n portier ecc. : ri-
jraardo all'allegorico significato di questo an-
gelo gli antichi oommentotori sono tutti d'una
sentonza, cosi esposta dal Buti * « Questo por-
tonaio, che l'autore finge qui secondo la let>
tera che sia uno angiulo posto a guardia
del purgatorio, significa allegoricamento lo sa-
oerdoto lo quale ò portonaio de la penitonzia.
Finge cha non faeea motto, imperò ohe il sacer-
dote non de'assolyere ohi no '1 domanda; ma
s* elli è richiesto, de' essere presto ed appare<y
chiato >. — 81. tal nella fkecift eco. : con la
faocia luminosa; cfir. Pitrg. n 89, ym 86. —
82. ed «BA spada eoo. : non s* aooordano gli
antichi droa il significato di quatto spada lu-
minosa; la quale per il Lana, Ott, Boti,
Land, è U simbolo della giustiiia, per Beny.
la parola del saoerdoto che deve eccitare il
peccatore alla penitenza, per il Cass. l'officio
del saoerdoto rispetto al penitente : tutto que-
sto interpretazioni del resto t'aoooniaiio nel-
l'idea di un ministoro di giuitisia diyiaa eeer-
citoto dal saoerdoto con la parola del Signore
eh' ei comunica all' uomo ; ohe è ooofooM
al detto di san Paolo, J^KJB/Myi 17: «Fi-
gliato ancora l'elmo della saluto; o la spada
dello Spirito, ohe è la parola di Dio». » 86.
Dite eottlnel eoe : cfr. a sisBOe pano del-
l'ili/, xn 68. — 86. ay^à la laarta t Questo
domanda corrisponde a quella di Catono( Aoy.
1 4&)Chif^haguUitMf^ ma non c'è Uaogno di
imaginare col Biag. ohe le anime dalla spiag-
gia siano accompagnato alla porto del purga-
torio da un angelo; significando la domanda
dell'angelo • Quale potenza ha guidati sin qui
yoi due, che non sieto di questo regno f —
87. Guardate ecc. Badato che il salire non yi
sia cagione di male ; penh6 l'uomo dM non è
ben contrito non è disposto a yeraoe penitonza.
— noi: cfr. JHf. xzm 16. » 88. Dania del
elei eco. Virgilio risponde all'angelo, in modo
analogo a quello tonuto oon Oatone {J^my, i
62 e segg.), ohe eg^ o il suo oonpagno sono
yenuti innanzi oon l'ainto e l'approyailone di
Lucia, donna celeste, cioè ohe li illumina la
PURGATORIO - CANTO IX
3i3
« Ed ella i passi vostri in bene avanzi,
ricominciò il cortese portinaio:
93 venite dunque a* nostri gradi innanzi ».
Là 've venimmo, allo scaglion primaio,
bianco marmo era si pulito e terso
96 ch'io mi specchiava in esso quale io paio.
Era il secondo, tinto più che perso,
d'una petrina ruvida ed arsiccia,
99 crepata per lo lungo e per traverso.
Lo terzo, che di sopra s'ammassiccia,
porfido mi parca si fiammeggiante,
103 come sangue che fuor di vena spiccia.
Sopra questo teneva ambo le piante
l'angel di Dio, sedendo in su la soglia,
105 che mi sembiava pietra di diamante.
Per li tre gradi su di buona voglia
mi trasse il duca mio, dicendo : « Chiedi
108 umilemente che il serrame scioglia ».
Divoto mi gittai a' santi piedi:
gnzU dhriiUL ~ 91. Ed olla eco. L'&ngolo,
oome già Catone {I^arg. x 91), appena sentita
ricordare la donna oeleete, ti dispone ad ao-
eordare ai due visitatori il pennesio di acco-
dar* al purgatorio, e angnrando loro che la
grazia divina li aiuti a compiere il loro viag-
gio li invita ad awicinani alla porta. — 94.
Là 've vtalMao eoe* Il primo gradino, al
quale noi pervenimmo, era di bianco marmo,
locente come uno ^occhio; il eeoondo, di
madgno oeoiiro screpolato in croce; U terzo,
di porfido di vivissimo color roseo. Poiché
r entrata al pargatorìo ò simbolo del sacra-
mento della penitenza, è manifesto che i tre
gradini significano le tre parti ohe in e«o di-
stinguevano i teologi (p. e. Tommaso d' Aqnino,
Smmma, p. ni, qnest xo, art 2, e Pietro
Lombardo, SmtmU, iv 16 eoe.) : amtrUio eor-
di», confeuio orig^ ioHafaetio cpmis, — 96.
Mance manne eoo. An. fior. : < Per questo
primo scaglione è da notare la eoniriosioné ohe
debbo avere ciascon fedele prima ohe venga
alla confessione, che, esaminato in sé mede-
simo et specchiatosi nel onore sno, recasi a
mente tntti i snoi peccati et di qnelU penteei
interamente con buona contrizione ; et in quel
ponto rimane bianco come il marmo, senza
remna macchia o oscurità di peccati ». —
97. Bra il aeeende eco. : la pttrma ruvida $
artieoia è il macigno ohe non ha la oompat-
teoa e levigatezza del marmo : il oofon tinto
fià eke peno ò oscuro e nereggiante (ofr.
lnf, V 89). An. fior, i « Per questo secondo
jnik<f o sì dèe intendere la eonfèssioM, ohe, poi
che l'uomo ò contrito et puutito de'suoi pec-
cati, li dèe confessare al sacerdote». Si noti
che i pili dei commentatori dal Lana in poi
invertirono 1' ordine di questi due simboli,
ponendo il primo gradino per la confessione
orale e il secondo per la contrizione del cuore :
più esattamente Ott, Benv., An. fior, e tra i
moderni Tonun. e Scart. si tennero all'ordine
della partizione teologica. — 99. crepato ecc.
le screpolature, che s'incrociano sul secondo
gradino, significano che la confessione rompe
la durezza del cuore estendendosi a tutti i
peccati commessi dall'uomo. — 100. Le tene
eoo. Il terzo gradino, ohe ò sovraposto agli
altri due, pareva di porfido e rosseggiava
come sangue spicoiante dalle vene : ò il sìm-
bolo della sodisfazione dei peocati per l'opera
di penitenza. An. fior., : e questo coloro di
fuoco hae a denotare l'ardore della carità et
dell'amore che accende gli uomini et sospigne
a fare la penitenzìa de' peccati commessi ». —
103. Sepra questo eoo. L'angelo portiere sta
seduto sulla soglia sovraposta ai tre gradini,
sull'ultimo dei quali tiene i piedL — 105. che
mi lemblàva eco. Oli antichi, dal Lana al
VelL, intendono per questa soglia di diamante
la fermezza e costanza del sacerdote che ascol-
ta la confessione ; i moderni, dal Lomb. in
poi, vi trovano simboleggiata 1* idea del so-
lido fondamento su cui posa la Chiesa, che
ha r autorità di concedere 1' assoluzione dei
peccati. I passi biblici, ove 11 diamante ò
simbolo della costanza di chi M>nnn^ià la pi^
rola divina (Ezechlel in, 9; cCr. Matteo xvi
18), confermano l'interpretazione degli anti-
chi. — 108. imlleaeate : clr. Fur^. i 95. ^
344
DIVINA COMMEDIA
misericordia oliiesi che m^aprisaei
111 ma pria nel petto tre fiate mi diedi.
Sette P nella fronte mi descrisse
col punton della spada* e : « Fa* che lavi,
114 quando se' dentro, queste piaghe », disse
Cenere o terra che secca si cavi
d'un color fora col suo vestimento,
117 e di sotto da quel trasse due chiavi:
l'ona era d'oro e l'altra era d'argento:
pria con la bianca e poscia con la gialla
120 fece alla porta si ch'io fui contento.
« Quandunque 1* una d' este chiavi fìJla,
che non si volga dritta per la toppa,
123 diss' egli a noi, non s' apre questa calla.
Più cara è l'una; ma l'altra vuol troppa
d'arte e d'ingegno avanti che disserri,
126 perch'eli' è quella che il nodo disgroppa.
Da Pier le tengo; e dissemi ch'io erri
anzi ad aprir, che a tenerla serrata,
129 pur che la gente a' piedi mi s' atterri >.
Poi pinse l'uscio alla porta sacrata,
dicendo: « Entrate; ma fiEicciovi accorti
132 che di fuor toma chi indietro si guata >.
ehe U MrrABte eoo. che ti apra la porta,
ciod che ti conceda l'aaiolazlone. — 111. wèm
pria eco. An. fior. : « Dassl tre volte nel
petto a mostrare che in tre modi si pecca, et
di tatti li debbo pentere et amendare con pe-
nitenzia: però che si pecca in deeideiare, in
parlare et in operaie >. — 112. Sette eco.
L' angelo, con la punta della ipada, segna
snDa fronte di Dante sette p, i segni cioè dei
sotte peccati mortali, del qnali egli dovrà pu-
rificarsi con la penitenxa: questi segni sa-
ranno poi cancellati di mano in mano che
Dante uscirà da ciascun cerchio di purgato-
rio (cfr. PuTfft zn 121 e segg.). — 114. plaghe :
cfir. Purg, xv 81. — 116. Cenere eco. La ve-
ste dell'angelo era del colore della cenere o
della terra disseccata nelle cave, d'un colore
doò non virace, ma dimesso ; quale conviene,
appunto alla veste dell'angelo che simboleg-
gia, secondo i piii autorevoli interpreti, l'umil-
tà con la quale il sacerdote deve procedere
nell'esercizio del suo ministero. — 117. dee
eUavlt sono < le chiavi del regno dei deli *
(Matteo XVI 18), simbolo dell'autorità e della
sdenza dei sacerdoti (cfr. ^f^ xzvn 104).
An. fior. < Quella dell'oro significa l'autorità
che debbo avere il sacerdote di potere ammi-
nistrare i sacramenti della Ohiesa, la quale
autorità gli d data dal sommo pontefice o da
cui commeno l' avessi : .. per la chiave
dell'aziento d dimostra la sdensia». — 119.
pria ecc. prima con la diiave d'argento,
doè esaminando con la sua dottrina me pec-
catole, e poi oon li. chiave l'oro, doè per la
sua autorità aasdvendoBi, cfmò in modo che
la porta s'aprisse ed io fossi oontBoxo di ve-
dere ^erto per me il regno della purificaaone.
— 121. Q»uidua«ae ecc. Qualunque volta
accade che una di queste chiavi venga meno
al suo oflldo non volgendcd bene per la sei^
ratura, questu passaggio non d apre , ooè
quando il sacerdote difetta d'autorità o di dot-
trina, Passolusione oh' egli concede è mefll-
cace. — 124. Pid cara eoo. Più preDou ò la
ddave aurea, l'autorità, perdio acquistata col
saoiifido di Oliste : ma la ehiave argentea,
la dottrina, prima di aprire esige molto la-
voro intellettuale, perchè è quella che sdo-
glie il nodo dd peccato, raddirisanoo la co-
sdensa dd peccatore e formando un retto
giudizio delle sue cdpe. — 127. Da Pier eco
Io le ebbi dall'apostolo san Pietro, che ie aveva
ricevute da Cristo (ofr. Inf. zxx 92): ed egli
mi disse che, pur die i peccatori invocassero
il perdono, fbsd disposto ad aprire la porta
pid tosto die a tenerla chiusa, doè a conce-
dere pid che a negare l'assolùione. — 131.
dicendo eco. L'angdo invita i due visitatod
PURGATORIO — CANTO IX
345
£ quando f£lr ne* cardini distorti
gli spigoli di quella regge sacra
135 che di metallo son sonanti e forti,
non rugghiò si, né si mostrò si aera
Tarpeia, come tolto le fa il buono
138 Metello, per ohe poi rimase maora.
Io mi riTolsi attento al primo tuono,
e < Te Deum laudamuè » mi parea
141 udir in voce mista al dolce suono.
Tale imagine appunto mi rendea
ciò ch'io udiva, qual prender si suole
quando a cantar con organi si atea,
145 che or si or no s'intendon le parole»
ad entrare, ammonendoli di non ilTolgenl
indietro a goardare; perohó perde del tatto
la grazia del Signore ohi ritoma al Teoohi peo-
ottL — 18S. B fieado eoo. Locano Fan, m
154 e aegg. dice die, allorqaando (Hnlio Oe-
aaie spogUò per fom il pobUioo erario outo-
dito nella roooa Tarpeia, e aDontand di là il
tribano L. Oeoilio Metello ohe il opponera
alla fpoUaxione, la rape risonò fortemente:
« Tono rapea Tarpeia aonat, magnoqae re-
ehiaae Testator stridore fores > : Dante pa-
ragona a questo stridore quello prodotto dalla
porta del paigatorio ohe s' apri sai cardini
metallici : oCr. Moore, 1 2B1. — fftr eoo. Qao-
sto luogo è da Benr. costraito cosi: « qwmdo
ffU 9pfgoU di qu$aa ngg$ man fùr distorH
n§' eardkd eht di mttaUo eoo. ; ma V ultimo
Terso pud bene riferirsi anche agli spigoli :
poiché metanici doTerano essere tanto i car-
dini o arpioni, quanto gli spigoli o bandelle.
— 184. regge: porta. — 186. sf aera: si re-
sistente ad aprirsi. — 188. maera: spogliata
del tesoro. ~ 189. Io mi vItoIsI eoo. En-
trando nel purgatorio Dante sente cantare
linno ambrosiano èhe si recita dalla Ohiesa
in rendimsiito di grazie al Signore, e qui ò
cantato per ringraziare Iddio d'aver concessa
a un'anima l'entrata nel regno della puriflca-
sione. « 141. Toee mista al delee saone :
Toce di parole, congiunta al dolcissimo canto.
— 142. Tale Imaglne eoo. Quel complesso
di voce e di suono, di parole e di armonie,
che io sentiva nel purgatorio, mi pareva si-
mile a quello che si ascolta quando si sta a
sentire un canto accompagnato dall'organo ;
che alcune volte le parole del canto escono
nette e distinte fra le armonie dell'organo,
altre invece sono coperte da queste e quasi
confuse con il suono dello strumento.
CANTO X
Entrati nel purgatorio, Dante e Virgilio pervengono al primo cerchio,
ore si purgano le anime dei superbi camminando sotto gravi pesi; e ve-
dono scolpite, nella ripa del cerchio, rappresentazioni figurate di esempi di
umiltà : da ultimo incontrano una schiera di anime, che avanzano cantando
l'orazione domenicale [11 aprile, circa dalle nove alle dieci antimeridiane].
Poi fummo dentro al soglio della porta,
ohe il malo amor dell'anime disusa
X 1. Poi fmmo eoo. Entrando nel por-
gatorio. Dante e Virgilio prendono su per una
viuzza incavata nel madgno, la quale dalla
porta del secondo regno gaida al ripiano oir-
eolare che coetituiBoe fl primo cerchio. Quanto
ai poi, che significa poi ehe^ cfr. la nota al
T. 128. — 2. che 11 male eoe. la qual porta
è pooo unta, ossia è aperta rare volte, a ca-
gione della tendenza peocaminosa dogli uo-
mini, n Torraca cita questo passo di Gior-
dano da Rivalto, pred. lzvi : € Tutto U no-
stro peccato sta pure nel malo amore, per
amare le cose troppo e disordinatamente :
questo ò il malo amore de' mondani ; però
ohe tutte le cose di questo mondo o sono
malo ad amarle o sono nodve a s6 ». —
846
DIVINA COMMEDIA
12
15
18
perché & parer dritta la via torta,
sonando la sentii esser richiusa:
e s'io avessi gli occhi volti ad essa^
qual fora stata al fallo degna scusa?
Noi salivam per una pietra fessa,
che si moveva d'una e d'altra parte,
si come l'onda che fugge e s'appressa.
« Qui si convien usare un poco d'arte,
cominciò il duca mio, in accostarsi
or quinci, or quindi al lato che si parte ».
E ciò fece li nostri passi scarsi
tanto che pria lo scemo della luna
rigiunse al letto suo per ricorcarsi,
che noi fossimo fuor di quella cruna;
ma quando fummo liberi ed aperti
su dove il monte indietro si rauna,
io stancato ed ambedue incerti
di nostra via, ristemmo su in un plano
8. p«reM eoo. penhó il mah amar, U ten-
douza al male, fa parer diritta la ^ torta,
fa sembrare buono ciò ohe ò oattiyo. — 4.
•OBftBdo eoo. la sentii rinchiadere dietro di
me, e me no aoooni dal «nono perohó non
mi volsi a guardare. — 6. e t'io eoo. neo-
sana scusa sarebbe stata basterole a farmi
perdonare l'errore di rivolgermi indietro, per-
ché l'angelo molto chiaramente m'aveva am-
monito e ohe di fuor toma ohi indietro si
guata » (Pmrg. a 182). — 7. Noi sAllvam
ecc. La strada per la quale Dante e Virgilio
salivano era stretta e incavata nel macigno,
e non procedeva in linea retta, ma tortuosa ;
in modo ohe era un contìnuo lientrare e spor-
gere delle due sponde laterali, ohe rendeva
imagine dell' andare e venire delle onde ma-
rine sulla spiaggia. Cos{ intesero tutti i com-
mentatori più aut'^revoli, e rettamente: ma
Pietro di Dante e il Cass. prendendo alla let-
tera la similitudine delle onde marine, inte-
sero che le pietre della strada si movessero
realmente sotto i piedi di Dante (cfir. Inf.
XVIII 16-18); e la loro interpretazione ft di-
fesa dal Fanf., ma con deboli ragioni. — 10.
Qui si ooBTien ecc. Virgilio insegna a Dante
U modo di camminare per qudla via senza
percuotere contro le sporgenze delle sponde:
bisogna, gli dice, procedere avvedutamente,
piegando successivamente ora alla destra, ora
alla sinistra secondo le rientrature del maci-
gno. — 13. al lato eho si parte: a quella
sponda laterale, ohe rientrando lascia libero
il passaggio. Si noti questa frase, la quale
esclude ohe Dante abbia voluto parlare del
fondo dell» via, e ci richiama invece ad una
situazione simile a quella del Pury, iv 82.
— 13. E eiò feeo ecc. Questa noooisltà di
camminare adagio por quella viuzza tortuosa
fece si ohe noi arrivammo alla fino 41 oosa,
ohe erano già oltre quattro oro di solo; duo
ore adunque sono passate dal risvogUftzsi di
Danto innanzi alla porta del purgatorio (ofr.
Purg. tx. 44) all'arrivo dei due poeti al pximo
cerchio. — 14. lo seomo della Imaa eoe la
luna, ohe ora scema perché si trovava quasi
nell'ultimo quarto, era già tramontatai pai^
venuta all'orizzonte sotto al quale va a oo-
ricarsi ogni mattina : dò corrisponde a oltre
quattro ore di sole (ofr. Della Valle, Il Mnso
ecc. p. 94, SuppL p. 60 e Moore, p. 108). —
16. ervaa : propriamonte il forelUno dell* ago
(Jhf. XV 21) ; qui, lo stretto passaggio della
viuzza aperta nel macigno, cosi chiamato non
senza ricordo dell'evangelico (Matteo xix.
Marco x 25, Luca xvni 26) : < £^li ò pi4
agevole che un cammello passi per la cruna
d'un ago, ohe non ohe un tiooo entri nel ro-
gne di Dio >. — 17. liberi od aportt: Uberi
dalla difficoltà della via e usciti fuori all'a-
perto. — 18. sa dove eco. in luogo elevato,
ove il monte restringendosi lasda intomo
a sé un ripiano circolare. — 19. io ttaaoato
ecc. Dante ò stanco perché è salito su còl
oorpo (cf^. Purg, iv 48 e segg.); ambedue
sono incorti, perché ignari deUa via ohe de-
vono prendere. — 20. ma plano ooo. Questo
ripiano droolaie, limitato dall' una parte dal-
l'orlo esteriore, ove confina U sano, o dall'al-
tra dalla ripa marmorea che s'alza dritto,
perpendioolarmento, ha una larghezza di oiroa
cinque metri e forma il primo dei sotte OirM
(cfr. iWy. xvn 187, xxn 92) d^ regno della
penitenza : in esso stanno ad espiare la loro
PURGATORIO - CANTO X
847
21 solingo più ohe strade per disertL
Balla sua sponda, ove confina il vanO|
al pie dell'alta ripa, che pur sale,
24 mìsurrebbe ia tre volte un corpo umano:
e quanto l'ocdiio mio potea trar d'ale
or dal sinistro ed or dal destro fianco,
27 questa cornice mi parca cotale.
Là su non eran mossi i piò nostri anco,
quuid'io conobbi quella ripa intomO|
80 che dritto di salita aveva manco,
esser di marmo candido e adomo
d'intagli si che non pur FolicretO|
88 ma ia natura li avrebbe scorno.
L'angel che venne in terra col decreto
della molt'anni lagrimata pace,
86 che aperse il ciel dal suo lungo divieto,
dinansi a noi pareva si verace
quivi intagliato, in un atto soave,
eolpa quelli che pecoaiono di mtpfrMo, il pxi-
Bo dd sette peccati capitali. — 2L follaffe
eco. solitario come •ogUono essere le yie dei
deserti o dei luoghi abbandonati. Beny.: «pao-
dastmi gradivntar per istam Tiam poeniten-
tiae, et aazime si^orbi ». — 22. Hall* sba
spoB4a eoo. La larg^Misa del ripùuio, dal-
Vaào eeterioie alla baee della ripa intema,
era tze Tolte la loaghecsa del corpo umano :
qtdndifll piedi, dicono Lana e Boti, oioò quasi
cinque metri. Solamente Beny. intese ohe il
corpo umano misozerebbe in ir» voUe cioè con
tre passi e con tre braeoU la largheua del
ripiano; ohe sarebbe molto pi4 plooda, doò
meno di dne metrL — 24. alsirreMe : for-
ma contratta, da mhunnbbe, ^ 25. e qaaalo
ecc. e per quanto l'occhio mio poteva ginn-
gere oosi alla destra come alla sinistra, il ri-
plano nd appariva della medesima lazgbeaa.
— 27. earaleet cosi Dante chiama assai spesso
i ripiani del poxgatorlo (f, es. J\trg, xi 29,
zm 4, xyn Ifii, zzr US, Rtr. X7 96X per-
ché cingono tatf all'intorno il monte della
penitenza. — 2S. Là 8« ecc. Prima ancora
di morersi sol ripiano Dante s'accorge ohe
la ripa intenia è di marmo bianco, nel quale
■piccano bellissime n^rosentasioni figurate :
sono gli eeempi di nmUtà (Maria Vergine,
Darid, Traiano), ohe in forma di vitibiUpar-
ìan ricordano continnamente ai superbi la
TÌrt& contraria al loro peccato, come le scoi-
ture nel piano della Tia rappresentanti esempi
di superbia ricordano ai penitsnti la loro colpa
(cfr. Pierg. zn 16-69). — 80. ehe dritte di
salita ecc. che non offnira, non presentaya
alenn modo a salire. Questo ò certamente il
pensiero di Dante ; ma non cosi sicura è la
, d'intendere le sue paiole, yariamente
dichiarate dai commentatori : ocwv manco pud
bene significare non ottert (cfr. monoo per fmm-
eammto in Air. m 80), e dirìUo significa an-
che modot mcmi&ra di far una cosa qualun-
que ; e ohi non yolesse intender cosi potrebbe
accettare la lezione di molti codici, preferita
da parecchi interpreti : eh», firitìa, di salila
av§va maneo e spiegare con essi : « la quale
ripa, a cagione dell'esser diritta quasi a per-
pendicolo, ayeva mancanza, impossibilitai di
saUta >. — 81. adorno ecc. figurato di bas-
sorilievi cosi perfetti che vincevano non pur
l'opera dei più eccellenti artefici, ma anche
quella della natura : e invero questi bassori-
lievi erano lavoro di Dio (clr. yy. 94-96). —
82. Policretot Folicleto, contemporaneo e
competitore di Fidia (600-433 a. C), fu il
capo della scuola statuaria argiva e autore
dJle famoso statue del Doriforo e di Era ;
notissimo nel medioevo por 1 ricordi che di
lui sono negli scrittori latini (Cicerone, Bru-
tm 86, Quintiliano, v 12, Plinio, H. N. xruv
60, 66 ecc.), ta non di rado citato come per-
fettìssimo artista dai rimatori italiani ante-
riori a Dante. — 84. L'angel ecc. La prima
storia scolpita nel marmo della ripa ò l'An-
nunoiasione della Vergine, soggetto i^uen-
tissimo nell'aite medioevale, e caro spociol-
mente ai pittori fiorentini ; i quali, come Dante,
non si allontanarono mai, pur yariamente fi-
gurandola, dalla narrazione evangelica (Luca
I 26-88). — venne eco. venne in terra ad an-
nunziare la pace lungamente invocata tra Dio
e gli uomini, onde ta. aporto alle anime il re-
gno dei delo chiuso sino àeà tempi d'Adamo.
— 38. ia «■ atto soavt: in un atteggia-
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che non sembiava imagine che tace.
Giurato si saria ch'ei dioeese: « Ave >,
però che ivi era imaginata quella,
che ad aprir l'alto amor Tolse la chiave;
ed ayea in atto impressa està £Ekvella,
« .Ecce andUa Dei >, propriamente,
come figura in cera si suggella.
« Non tener pure ad un loco la mente »,
disse il dolce maestro, che m'ayea
da quella parte onde il ocre ha la gente;
per ch'io mi mossi col viso, e yedea
di retro da Maria, da quella costa
onde m'era colui che mi morea,
un'altra storia nella roccia imposta:
per ch'io varcai Virgilio, e femmi presso,
acciò che fosse agli occhi miei disposta^
Era intagliato li nel marmo stesso
lo carro e i Vuoi traendo l'arca santa,
per che si teme officio non commesso.
Dinanzi parea gente; e tutta quanta
partita in sette cori, a due mìei sensi
mento di doloe soavità. — 89. cIm bob eoo.
che non pareira scolpito e mvto nel manno,
ma pexsona viva e pariante. — 40. Ito: il
salato dell'angelo Gabriello alla Vergine fa
appanto Ave, gnOta piena, dombnu Uemn
(Laca I 38) eco. — 41. «nella ehe eco. colei
che mosse V amore dirino ad ayer pietà degli
uomini. — 43. ed area eoo. e la Vergine era
effigiata in atteggiamento d'amiltà si che dalla
sua imagine, con la precisione della flgaia im-
pressa dal sigillo nella cera, parevano osdre
le parole eh' ella rispose all' angelo : Eooe of»-
eiUa domini, fiat miSki eeoumdmn verbmn tmmn
(Laoa 1 88). — 46. Hoa teser eoo. Dante s'era
tatto raccolto ad ammirare la storia dell' An-
nandarione; ma Virgilio lo avrerta di non
tener sempre gli occhi salla stessa rappresen-
tazione, si di volgerli ad altre imagìni. —
47. che a* ave* ecc. Dante era alla sinistra
di "^rgilio, perché nel pargatorio i dae poeti
procedono sempre verso destra e U maestro
resta sempre dalla parte estema per tatelar
meglio il sao discepolo e impedire eh' rt cada
(ofr. Pmg. ZI 49, zxx 81, xxn 128 ecc.). ~
48. da «nella parte eoo. dalla parte sinistra,
ove secondo l'opinione volgare è il onore.
— 49. per eli*lo eco. per la qnal cosa io
goardai e vidi al di là della storia dell' An-
nonciarione, alla mia destra, on' altra storia
essere figorata nel marmo. — 60. di retro :
al lato destro della prima rappresentanza se-
gniva la seconda, alla storia dell' Annanda^
rione qneUa di David. — da qnella eoo. da
qoella parte dalla qoale io aveva Virgilio, la
mia gaida, oà« mi movecu — 68. per ck* lo
ecc. Dante, per vedete la storia di David,
passò al di là di Virgilio, alla eoa deetn, e
si awicind al bassorilievo perché apparisse
distintamente ai saoi oochL — 66. Era lata-
gltato eoo. D soggetto della seoonda storia ò
il racconto biblico (Il Samoele, vi 1-28) del
trasferimento dell'Ansa di Dio dalla oaaa di
AHnadab a Gerasaleoune ; dorante il qoab
« David e totta la oasa d' Israel Daoevano fe-
sta davanti al ignora, sonando d'ogni sorta
di stramenti datti di legno d'abete con oetere
e oon salteri e oon tamburi e con sistri e con
cembali » : dioe il racconto che Uzza, ano dei
oondattori del carro, avendo toccato l'Arca per
sostenerla fti percosso da morte improvvisa:
e che giangendo l' Arca in Qerasalemme, Mi-
ool « vide il re David, che saltava di forza
in presenza del signore, e lo sprezzò nel oaor
sao », si che fb poi panita con la sterilità.
— 66. traendo : ohe traevano (cfir. Ihf, zzxi
14). — 67. per dM eoo. : accenna al fktto
di Uzza, ohe preeamendo di ten ofJMo nm
eommeatOy di sostenere l' arca che non aveva
bisogno del sno arpeggio, fu pnnito di morte.
— 68. DlBABsi eco. Il racconto biblico ori-
ginale dice soltanto ohe oon David erano
« tatti gli nomini scelti d'Israel, in naoMco
di trentamila » ; ma Dante segno la valgala,
che dice : eremi own David eeptem ehori^ eioè
sette schiere di popolo. — 69. a dae idei
sensi ecc. : a giadicar dall' adito si diceva
PURGATORIO — CANTO X
349
CO Deiceva dir l'iin « No », l'altro e Si, canta >
similemente, al fummo degl'incensi
che v'era imaginato, gli occhi e il naso
63 ed al si ed al no discordi fònsL
Li precedeva al benedetto vaso,
trescando alzato, l'umile salmista,
66 e più e men che re era in quel caso:
d'incontra effigiata ad una vista
d'un gran palaszo Micol ammirava,
69 si come donna dispettosa e trista.
Io mossi i piò del loco dov'io stava,
per avvisar da presso un'altra storia
72 che di retro a Micol mi biancheggiava.
Quivi era storiata l'alta gloria
che non eantarano, perché non il tontiTA
noUft; a giudicar dalla Tista il saiabbe detto
ehe caataMero, con tanta yeiità erano tool-
pite qoalle fiorare in atto di cantare. — 61.
italleaieate ecc. e ood gd occhi guardando
Aeerano credere che proprio ftunaaeero gli
ineanfli «ni daranti «H'aroa, io non che il
naeo non tentindo aloon odore toglieva Til-
luioiie della Tiita. — 64. li precederà ecc.
David, il re poeta autore dei Sakni (c£r. Jnf,
IT 68), eia raflBgniato innanzi all'Ansa eanta,
al eoao, santo simbolo dell' alleanza, in atto
di danzare con la vwte alzata. ~ 66. ire-
■win eoo. : si ricordino le parole ironiche,
eoa le qnaU ìllcol rimprorerò David, secondo
il raoeonto blblioo : e Quanto è egli stato oggi
onoceroto al re d'Israel d'essersi oggi sco-
perto davanti agli occhi dsUe serventi dei
suoi servitori, non altrimenti ohe si scopri-
rebbe un uomo da nulla ! > , e per queste
s* intriderà che ahuUo si riferisce, come bene
videro 1^ antiofai commentatori, ti vestimen-
to obe David si trasse su per essere pld li-
bero nei movimenti della danza, con la quale
^umiliava Innanzi all'Arca. Invece il Dan.
seguito da molti moderni rilari Vabtah al
eorpo di David, tale per i movimenti stsssi
della danza afrenata; ma quesf idea ò già nel
vb. Irsseor» ohe significa ballare saltando in-
eompoetamente (cfr. Inf. ziv 40). — 66. e
pM eoe più che re, perché aveva indoeso
l' abito pcntiflcale (L'efody descritto nell' Aodo
zxvm 6-12), e meno che re, peitehó per umiltà
fMeva atto oonveniente più tosto a uomini
di oondizioiie servile. — 67. d^lneoalra eco.
nello stesso bassorilievo, ma nella parte de-
stra, era raffigurata Ificd, che da una fine-
stra del palazzo reale guardava meravigliata,
eon atto di disdegno • di dolore. — vista:
come Ib h%f. x 03 significa apertura in ge-
aere, per la quale si vede, doò, nel caso di
in patao, la finestra, ali
il racconto Ublioo, si era aflkcciata lOool. —
68. Mleal: figliuola di Saul, data in moglie
a David in premio della vittoria riportata sui
gigante Golia (cfr. I Samuele, xvn 25, xvm
17, 20 e segg., za 11 e segg.). — 70. Io
BMsl eoe Alla destra della seconda storia,
dalla parte ove era effigiata Micol, era rap-
presentata la storia di Traiano e della vedova,
e Dante s' avviò verso di quella per vederla
più da vidno. — 78. q^ìjì era eco. Il sog-
getto della tersa rappresentazione ò la leg-
genda di Traiano imperatore e della vedova
cui egli rese giustizia; la quale leggenda ori-
ginata da un aneddoto riferito da Dione Cas-
sio, XIX 5, e largamente diffusa nel medioevo
(cfr. e. Paris, La Ugmdé de TVoion, Parigi
1878), è cosi raccontata dall' An. fior.: e Es-
sendo rubellata allo imperio romano una città,
Traiano, armato cono esercito suo, colle ban-
diere levato et uscendo di Boma, il figliuolo
del detto Traiano o vero d' uno suo principe
disavvedutamente avea morto uno figliuolo
d'una vedova di Boma. Questa vedovella,
nel meo» delle schiere, portata dal dolore,
prese U freno del cavallo di Trsiano impera-
dere dicendo : * Signore, ftunmi vendetta della
morto del mio figliuolo '. Traiano umilmento
ristette, dicendo: * Aspettati, tanto ch'io tor-
ni'.Costei, impronte per lo dolore ehe aveva,
disse : * Et se tu non tomi? ' Traiano umil-
mento le rispose: * Quelli che terrà il luogo
mio il ti fltfà '. Costei, oome dice nel testo,
disse: * Et a te che ila prò il bene ehelkrà
un altro? ' Costui fermossi, et fé' fermare
tutte la sua gente, et chiamò il fiducie et
privoUo della eredità». Nello stesso modo,
salvo qualche variante partlodare, la leggenda
ò narrate da tutti gli antichi commentatori,
Lana, Ott, Benv., Buti ecc. e In altri testi
volgari, oome le Ncfctlk onMeAs (ediz. Bisgi,
p. 66), U Fiore di filosofi (eà. Orpelli, p. 68)
eoe. ; e tutti v'aggiungono il racconto di Gio-
350 DIVINA COMMEDIA
del roman principato, il cui valore
75 mosse Gregorio alla sua gran vittoria:
io dico di Traiano imperadore;
ed una vedovella gli era al freno,
78 di lagrime atteggiata e di dolore.
Intorno a lui parea calcato e pieno
di cavalieri, e l'aquile nell'oro
81 sopr'esso in vista al vento si movièno.
La miserella intra tutti costoro
parea dicer: « Signor, fammi vendetta
84 del mio figliuol eh' è morto, ond'io m'accoro >;
eè ttgU a lei rispondere : « Ora aspetta
tanto ch'io tomi»; ed eli»: «'Signor mio,
87 come persona in cui dolor s'afiretta,
se tu non tomi? » Ed ei: « Chi fia dov'io
la ti farà»; ed ella: «L'altrui bene
90 a te che fia, se il tuo metti In obblio? »
Ond' elli : « Or ti conforta, che conviene
ch'io solva il mio dovere, anzi ch'io mova:
93 giustizia vuole e pietà mi ritiene».
Colui, che mai non vide cosa nuova,
produsse esto visibile parlare,
96 novello a noi, perché qui non si trova.
Tanni Diacono (ofir. nota al Par, xx 106), co- nella dignità imperiale, ti rendetà quella glu-
me il pontefice Gregorio I ottenesse ohe per stlzia ohe ta chiedi. — 88. L'altrml eoo. Che
(faesta giostìEia fatta alla redova l'anima di vantaggio verrà a te dal bene Catto da altri,
Traiano dall' inferno passasse al paradiso (cfr. da poi ohe ta metti in dimenticanza, traacnri
Pw. zx 44, 106). ^ l*alU gloria ecc. il fatto di ùm ^nel bene ohe dovresti per obbligo
glorioso di Traiano imperatore, la virt6 del del ino officio t » 92. eh*ie MlTa eoo. ohe
quale indusse Gregorio I a strapparne l'aaima io, fisoendoti giustizia, adempia ai miei de-
dali' inferno. — 74. prÌBeipato : qnl vale non veri d' imperatore, prima d' aUontananai di
l'officio, ma la persona del principe (per ana- qni con l'esmoito. ^ 96. glestlsl» eoo. la
logia con la denominazione di uno degli or» ginstizia vnole che io eeerdti il mio minlstaio
din! angelici: cfr. Air. zzvm 126). — 78. 41 e la pietà m'indnce a non fti^porre indugio
lagrLne ecc. In atteggiamento di piangere e aloono. ^ 94. Celai ecc. Dio, a coi aolla è
di lamentarsi. — 79. latorao a Ini eoo. In- nuovo, peiohó è infinito ed etema, creò qoe-
tomo all'imperatore erano raffigorati 1 oa- sto imaginl mevaviglioBe che ooi loro atti
valierl, che si affollavano a vedere, e saOe esprimono non pare on determinato pensioro
schiere spiccavano le insegne imperiali ohe o sentimento, come ftumo le figure dell' arte
parevano moversi al vento. ~ 80. aquile amana, ma una serie di penderi e di senti-
uell'oro : le bandiere, che portavano Intoe- menti diversi. < Oosi si soosa (osserva il Gio-
ente nel campo d' oro le aquile, emblemi del- stl) dell* aver posto ohe una effigie possa eepri-
r impero. 81 noti che Dante imaginò le inse- mere con l'atto, non un solo, ma pid ailbtti
gne imperiali dei tempi di Traiano fhtte, oome oonsecotlvi. L'artista potrà benissiiso ginn-
quelle dei snoi tempi, di drappi con l'aquile gore a imprimere negli atteggiamenti e nel
ricamate ; mentre si sa che i romani usavano volte delle sue figure la domanda e la rispo-
aquile d'oro o di bronzo dorato poste in cima sta, ma non mai un dialogo continuato, per-
alle aste. — 82. Intra tutti «estero : in che l'attitudine delle figure, intagliato o di-
mezzo all'esercito di Traiano. — 87. eeme plnte, ò una e permanente ». — 96. aoTelle
persóna eoe con l' impaziente insistere prò- ecc. insolito per noi uomini, perdio l' arte
prìo di ohi è dominato da un vivo dolore, umana non è capace di riprodurre con le soe
— 88. CU fla ecc. Colui che sarà nell'officio creazioni la successione del dialogo e U sen-
nel quale ora sono io, doò il mio successore timtnto d'umiltà diffuso in quelle figure, open
PURGATORIO - CANTO X
351
Mentr'io mi dilettava di guardare
le imagini di tante nmilitadi,
99 e per lo fabbro loro a veder care;
« Eoco di qua, ma lamio ì passi radi,
mormorava il poeta, molte genti:
102 questi ne invieranno agli alti gradi >.
Gli occhi miei cb'a mirar eran intenti,
per veder novitadi onde son vaghi,
1C5 volgendosi vèr lui non furon lentL
Non vo'però, lettor, che tu ti smaghi
di buon proponimento, per udire
108 come Dio vuol che il debito si paghi.
Non attender la forma del martire:
pensa la succession; pensa che, al peggio,
111 oltre la gran sentenza non può ire.
Io cominciai: « Maestro, quel ch'io veggio
mover a noi, non mi sembran persone,
1 14 e non so che, si nel veder vaneggio ».
Ed egli a me: < La grave condizione
di lor tormento a terra li rannicchia,
117 si che i miei occhi pria n'ebber tenzone.
Ma guarda fiso là, e disviticchia
col viso quel che vien sotto a quei sassi:
120 già scorger puoi come ciascun si picchia ».
dell'arto divina. — 98. le imaglul eco. le
nppresentazioiìl figurate di ^eUi esempi cosi
grudi di umiltà, le quali sono care a vedere
anche per essere opera di Dio. — 100. di
4aa: dalla parte di Virgilio, doè alla slni-
stza rispetto ai dae poetL — 101. molte gta-
tl : sono le anime dei superbi ohe girano in-
torno al monto, andando dalla sinistra Terso
la deetra, cnmiti sotto il peso di grandi ma-
cigni (cfr. rr. 127 e segg.). — 102. questi
ecc. queste anime insegneranno a noi la vìa
per arrhraie alla scala onde si sale ai oercht
snperiori (cfir. Purg, xi 40, 49). — 106. OU
eeekl ecc. Dante, che era tatto raccolto nel-
roeserrare le scoltore, desideroso com'era
di Todar cose nuove, s'affrettò a guardare
Terso sinistra, appena ebbe intese le parole
di Virgilio. ~ 106. Non ve' però ecc. Am-
monisce Q lettore a non disanimarsi dal buon
proposito della penitenza, vedendo quanto
gravi sono le pene per mezzo delle quali l'uo-
mo espia le proprie colpe. — sasagM: cf^.
Inf, XXV 146. — 108. H on attender eoe Non
bsdare slla qualità della pena, si si firutto
ddla penitenza, dod alla beatitudine ohe tien
dietro sii' espiazione; e considera ohe nel peg-
giore dei casi ossa penitenza non può duraro
oltre si giudizio finale, cessando per tutti nel
giorno del twoxMimo bando (Purg. ttt is).
— 112. Maestro ecc. A Dante quelli esseri
curvati sotto il peso dei macigni non sem-
brano figure umane : pur avendo il maestro
già accennato alla venuta di gmU (v. 101),
limita ad esporgli la impressione ch'ei prova
a quella vista, per avere in proposito qual-
che schiarimento. — 114. e non so eco. e
non so né pur io che cosa mi sembrino, tanto
vaneggio nel veder^ cioè guardo inutilmente,
perchó ora mi si presenta una figura, ora
un' altra. — 116. La graie ecc. La qualità
della pena Inflitta a questi peccatori li tiene
rannicchiati e curvi sotto il peso dei sassi,
in modo che anch'io al primo vederli non
seppi discemere che cosa fossero. — 117.
n'ebber tenzone: riportarono diverse im-
pressioni oirca quelli esseri, poiché parevano
e non parevano persone. — 118. dlsTitle-
ehla ecc. con gli occhi tuoi cerca di distin-
guere la figura umana oh' è sotto a ciascuno
doi sassi : comò 0 vb. awitiecMore (cti. £tf,
XXV 60) significa stringerò, avvinghiare, oesf
il suo contrario disviticchiare vale sciogliere ;
e qui figuratamente, discemere, distinguere,
con una metafora ardita, ma efficace a espri-
mere lo sfoRo della vista. — 120. si picchia:
si batto il petto, per segno di penitenia. Bl-
352
DIVINA COMMEDIA
0 superbi Cristian miseri lassi,
che, della vista della mente infermi,
123 .fidanza avete ne* ritrosi passi ;
non v'accorgete voi, che noi siam vermi
nati a formar P angelica farfidla,
126 che vola alla giustizia senza schermi?
Di che l'animo vostro in alto galla?
poi siete quasi entomata in difetto,
129 si come verme, in cui formazion falla.
CJome, per sostentar solaio o tetto,
per mensola talvolta una figura
182 si vede giunger le ginocchia al petto,
la qual fa del non ver vera rancura
nascere a chi la vede; cosi fatti
135 vid'io color, quando posi ben cura.
Ver è che più e meno eran contratti,
corda l'atto del pabblioano nel rangelo di
Luca xvm 18; cfr. Moore, 1 49. — 121. 0 m-
perbl eco. 8cart : < Al vedere la pena dei
superbi il poeta il dimanda con iitopore di
che l'aomo il pena vantare nel momento in
cui nel suo orgoglio ei dimentica intieramente
la sua condizione, dò ohe egli è, e ciò ohe
sarà, miHsimmnente allorquando egli sarà
chiamato a comparire davanti alla giustizia
divina ». — 122. della vista eoo. essendo di
deco intelletto avete la fidada di perveniro
a boon Une camminando all' Indietro, volete
conseguire il premio destinato alla virtù pro-
cedendo nella via del vizio. » 124. aol siam
ecc. noi uomini siamo vermi destinati a for-
mare l'angelica farfalla, dod l nostri corpi
sono pura materia ohe riveste l'anima, incor-
porea come gli angeli; la quale anima, uscendo
dall'involucro materiale, sale poi davanti al-
l'eterno giudice senza poter ricoprire le pro-
prie colpe. — 126. gioitizla eoo. giustizia
divina, <PF*#"*^ fiii^ quale l'anima è unita
tehtrmi, senza difesa che nasconda o attenni
le sue colpe ; perchó la fooda di Dio ò tale
che ad essa « nulla si nasconde > {Piar, zza
78). — 127. ÌM alto galla t monta in super-
bia (cfr. Inf, ZZI 67). — 128. poi siete eco.
pdchó siete come gl'Insetti difettivi o im-
perfetti, come 11 verme che per incompiuta
formazione non sia giunto a esser farfalla:
vuol dire che l'uomo nel mondo è un essere
imperfetto, perché la parte materiale o cor-
porea non ha per sé alcun valore, e la parte
spirituale oida l'anima è destinata a svol-
gere la ma perfettibilità nel mondo di là. —
fel : frequente è In Dante e negli altri an-
tldìi l'uso assoluto del poi non seguito dal
flàs, da con vilore causale come qui (e Air.
B 56, m 27), sia oon valore temporale oome
nel vene 1 (e Purg. ziv 190, zv 84, Bir. x
76, ziz 100). — entomata X Dante ha voluto
dire insitti, facendo volgare la parola greca,
che avrebbe dato propriamente iitioma: ma
egli scambid la forma del plurale per una
forma di singolare, declinandola come decina,
thtma eoo. in dopnata, thmnaia eoo. ; oppure
leggendo in qualche lesdoo énioma, tà (^
insettS) non distinse il nome dall'articolo e
ne fece tutta una parola : cfr. C. Oavedoni,
0$8ervaxwni eritieh» dt p. 78. — 180. Cene
ecc. Venturi 846 : < È nota la storia delle
donne di Caria condotte schiave dai Gred
conquistatori ; onde 11 termine architettonico
di eariatidL Óotall figuro d'uomini e d'ani-
mali usò l' arte del medioevo a regger pul-
piti e porte decome ornamento o, idft spesso,
come simbolo. In Dante la dmilitudine, ri-
chiamando l' Idea delle donne di Oada, ricorda
nel senso sllegorioo la schiavitù dovuta a chi
Insuperbì e d lovò sopra i fhitelli, imaglne
conforme alla biblica: Stqrra dormtm mntm
fabnoan&rmi peeoatona {Pè. czzvm 8); e nd
senso letterale mette In atto con robuste pen-
nellate la penosa contrazione di quelle anime,
che d rannicchiano fino ad sggiungere le gi-
nocchia al petto >. — 188. la qual eoe la
quale figura od suo atteggiamento tà provate
a chi la vede una vera pena per un afBumo
che non è rode, ma solamente figurato. —
184. eoif f atU : rannicchiati oon le ginocchia
contro il petto. — 186. Ver è ecc. Le figure
dd superbi apparivano più o meno rannic-
chiate secondo 11 maggiore o minor peso dd
masd che avevano addosso : e tutti d dimo-
stravano ood itanchl (cfr. Pitry. zi 26: e sotto
il pondo... lasse »), che quegli ohe pareva pi6
padente degli dtrl sembrava dire od pianto :
non posso sostenere questo grave peeo. Cod
-rwr
PURGATOBIO - CANTO X 353
secondo ch'avean più o meno addosso;
e qnal più pazienza avea negli atti,
139 piangendo parea dicer : € Più non posso ».
dal Imbm e da Beny. in poi intoaaro questo moctraya di soffrire pi6 che gli altri, pian*
luogo quasi tatti i commentatori; aolamente gendo parea ohe dicesse eoo. > ; e la raa spio-
il Toam. s'aliontand dalla inteiprotazione gazione fa difesa dal Fanf., che sostenne po-
eoBune, slegando: « Quegli ohe agli atti «ùnxa arer qai il significato di dolore fisico.
CANTO XI
IneontrandoBl con le anime dei superbi, Dante e Virgilio domandano loro
da qoal parte sia la scala per salire al secondo cerchio ; e mentre tutti in-
sieme procedono verso destra in cerca della scala, dee di quei peccatori,
U eonte Omberto Aldobrandeschi e 11 miniatore Odorisi da Gobbio, si mani-
festano ai due poeti [11 aprile, dalle dieci alle undici antim., circa].
< 0 padre nostro, die nei cieli stai,
non circonsoritto, ma per più amore
8 che ai primi effetti di là su tu hai,
laudato sia il tuo nome e il tuo valore
da ogni creatura, com'è degno
6 di render grazie al tuo dolce vapore.
Yegna vèr noi la pace del tuo regno
che noi ad essa non potem da noi,
9 8* ella non vien, con tutto nostro ingegno.
Come del suo voler gli angeli tuoi
fan sacrificio a te, cantando ' Osanna ',
12 cosi feuìoiano gli uomini de' suoi
Dà oggi a noi la cotidiana manna,
XI 1. OfAireeoo. La preghieca ohe Dante la«dato eoo. ogni oreatoia Iodi U tao nome
nette In bocea ai n^erU (ofr. rr, 25-26) è e la tua potenza e ti renda giade dell' amozo
UBA pazaftaal deU' orarinne domenicale, ohe ohe loro dimoetcL Alooni oommentatoxi come
ai legg® Mi rangell di Matteo, yi 9-18, o di Land., VelL, Dan., oredono ohe alano coti
Looa, n 2-4 : non è indegna di Dante, oa- accennate le tre penone della Trinità, nel
serra il Team., ma è par aempre ima para- valon il Padre, nel fiome il Figlio, e nd «a-
feaai, otre la lempUflltà dd oonoetti erange- por» lo Spirito Santo ; e altri intendono il
Bai ai Bmaziieoe nelle aggiomioiil eaplicatiye dotoB vapor» per la sapienza divina: cfr. Moo-
e nella oonridesadoni tecdoglehe che molto re, 1 61. — 7. Tega* rtr eoo. Diaoenda yerso
tolgono aDa eemplidtà della pregherà. — 2. di noi qneUa beatitadine celeste, poiché noi
B«B dreouerltte eoo. non già perché ta aia non poseiamo conseguirla oon gli sforzi del
diinao dontio ai limiti dello spazio: infatti nostro ingegno, se essa non d è spontanea-
Dio ò seoondo U oonoetto firistiano nn essere mente oonceesa. — 10. Come eoo. Come del
« Bon drooocritto e tatto diooscdre » (Air. loro yolere ti ftnno sacrificio gli angeli che
xiT 80); si cfr. la parole del Cbnv. ir 9: e An- sn in cielo cantano le tne lodi, cosi facciano
che ddla natoxa nnireisale egli è limitatore, snUa terra gli uominL — avo : ofir. iHf. x 18.
(kètà che da nulla è limitato, dod la prima — 11. Osanna: ofr. Air. yn 1. — 18. la eo-
bcBtà, oh' è Iddio, che solo colla infinita oa- tidlana mannai è il panem qttoHdianum dd
padtà l'infinito oompimide ». — 8. prlnd ef- Pater notUr, ohe in senso letterale ò il yitto
f etti eoo. le prime onatore, le prime opere giornaliero cosi detto per ricordo biblico (c£r.
della divinità, cesia i deli e gli angeli. — é. Air. zzzn 181), e in senso spiiitoale è, se-
DA:rrx 23
354
DIVINA COMMEDIA
senza la qual per questo aspro diserto
15 a retro va ohi più di gir s'affanna;
e come noi lo mal che ayem sofferto
perdoniamo a ciascuno, e tu perdona
18 benigno, e non guardare al nostro merto.
Nostra virtù, che di leggier s* adona,
non spermentar con l'antico awersaro,
21 ma libera da lui, che si la sprona.
Quest'ultima preghiera, signor caro,
già non si fa per noi, ohó non bisogna,
24 ma per color, che retro a noi restaro >•
Cosi a sé e noi buona ramogna
quell'ombre orando, andavan sotto il pondo,
27 simile a quel ohe talvolta si sogna,
oondo gli antiohi commentatoli, la graiia del
Signore che è cibo quotidiano dell'anima. —
14. ■ensa la qnal eco. fuori della grazia di-
vina, chiunque più l'afbtlca di procedere
neU' opera della penitenza, più toma indie-
tro. — q«eite aipro diserto : in quanto la
preghiera domenicale d fatta dagli nomini
t'intenda il diatrto per il nostro mondo; in
quanto poi d cantata dalle anime s'intenda
per il purgatorio, OTe non s' sTanserebbe più
neUa purMosaione se Tonisss a mancare l'a^
luto della grazia. — 17. e ti perdona ecc.
anche tu perdona benignamente, senza guar-
daro ai nostri scarsi meriti. — 19. Hostra
jìrié eoo. Non mettero alla prova con le ten-
tazioni diaboliche la nostra virtù che resta
facilmente vinta dal gran nemico. — s*ado-
na ; resta abbattuta, vinta (ofìr. htf, vi Si e
Zing. US). — ao. antico awersaro : ofr.
JFWy. vin 96. — 21. aa Ubera ecc. ma li-
bera la nostra virtù dal diavolo, che con tanti
allettamenti la spinge al male. — 22. Qae>
st'altlna eco. Quest'ultima parte del JMer
noaltr: Et n» not induou in imtcUionmn, ted
tìb$ra Mos a imUo, non d detta per noi che
già siamo in luogo « dove poter peccar non
d più nostro» {Pwrg, zzvi 182), ma per quelli
che rimasero di tvtro a noi. Tutti quasi i com-
mentatori intendono ohe quest'ultima pre-
ghiera sia fstta per gli uomini del mondo,
come è confermato dai w. 25 e 31: il solo
Benv. dubita se si abbia da intender fatta
più tosto per le anime dell'antipurgatorio,
soggette come sappiamo (cfr. Pwrg, vm 97)
alla paura quotidiana della tentazione, e que-
sta interpretazione è sostenuta dal Blano;
ma basta a persuadere del oontrarlo, oltre
r aflérmazione dei w. 26 e 81, il considerare
ohe le anime dell'antipurgatorio hanno una
difesa contro la tentazione nei due angeli che
ogni sera scendono dal grembo di Maria, a
guardia della valle, e non hanno bisogno delle
preghiere delle loro consorelle già entrato nel
purgatorio. — 25. Cosi a sd eoo. Cosi quelle
anime, pregando a sé e a noi uomini un f^
lice canùnlno, procedevano tutte in giro ei»>
colare su per la prima oomice, in diversa
misura angosciato e stanche sotto il peso op>
primente, espiando in tal modo la loro su-
perbia. — raoiegna: cammino, viaggio; cosi
spiegano Lana e An. fior., e poco divecsap
mento il Buti (« seguir nel viaggio ») e Benv.
(e augnrium », s' intenda di viaggio) : e a que-
sta idea d rioonduoe forse la ragione etimo-
logica (come in ramkigoy da ramtis), ohe da-
rebbe alla parola il significato di movimento
da un luogo a un altro (cfir. Zlng. 132). Tut-
tavia un altro esempio antico, nel TVaOato
M giuooo degU toaeehi (ci Tarantini ... Il
mandavano Mions ramqgn» », che traduco bona
knpnearoiUur del testo latino) sembra richi^
mare piuttosto all' idea dell' augnzto : cfr. Pa-
rodi, Bulk m 154, VI 198. Qui è «vidoite
ohe Danto ha voluto dire : pregando per sé
e per noi un buon prossguimento nella via
della purificazione; rìfsrendosl le sue parole a
quelle della pre^^iiera recitato dalle anime ove
d detto ohe senza la grazia « a relxo va chi
più di gir s'aiEsuna ». ~~ 26. p^de: peso dei
massi; cfr. Pu/rg, x 119. — 27. sUille eoo.
-simile all' oppressione dell' inoobo, ohe alcuna
▼cito si prova sognando. Iacopo Passavanti,
SpeooMo detta vera pmitenna, nel capitolo fi-
nale sulla scienza diabolica, sottve : « Dor-
mendo la persona in sul lato manco, o quando
il corpo ftasse ripieno di sangue grosso o d'sl-
tri grossi umori, e spezialmento dopo il man-
giare, le pare avere un gran peso addosso, in
tanto che non pere che si possa muovere 0 crol-
lare, e pare slla persona dovere affogare, s
▼dòrsi stare e non potere, e gridare per soc-
corso e non le pare aver booe; e alcuna volta
grida la persona e piagne infta tale sogno, ram-
maricandosi: e chiamano alcuni questo sogno
PURGATORIO — CANTO XI
366
dìsparmente angosciate tutte a tondO|
e lasse sa per la prima cornice,
80 purgando le caligini del mondo.
Se di là sempre ben per noi si dicOi
di qua che dire e far per lor si puote
83 da quei e' hanno al voler buona radice?
Ben si dèe loro aitar lavar le note,
che portftr quinci, si che mondi e lievi
86 possano uscire alle stellate rote.
€ Deh! se giustizia e pietà vi disgrevi
tosto, si che possiate mover Pala,
89 che secondo il disio vostro vi levi,
mostrate da qual mano in v6r la scala
si va più corto; e se c'è più d'un varco,
42 quel ne insegnate che man erto cala;
che questi che vien meco, per 1* incarco
della carne d'Adamo ond'ei si veste,
45 al montar su, centra sua voglia, è parco >.
Le lor parole, che renderò a queste
che dette avea colui cu* io seguiva,
48 non fùr da cui venisser manifeste;
ma fu detto : € A man destra per la riva
con noi venite, e troverete il passo
51 possibile a salir persona viva.
) o Toro <fi0MÒo, dicendo ohe è uno
, modo d'uno satiTO o come un
gatto mammone, ohe va la notte e tu qneUa
BoleatU alle genti». — 28. dìsparmente:
cfr. iWy. X 186 e legg. — 80. le eallglml
ecc. gli atti di fopextia ohe fecero nel mondo.
— 81. Se di là eoo. Se nel purgatorio le
anime pregano aempre per i viventi, quelli
txa essi ohe tono néUa grazia divina non pre-
gfaermnno mai abbastanza e non faranno mai
opere pietose adegoate per ricompensar le
anima. — 88. e*haBBe eoo. che alla loro vo-
lontà di auffragare le anime hanno buon fon-
daffifonto nella giaxia del Signore ; poiché ef^
fieaoe è e<^ quella preghiera e dub sorga su
di cor che in grada viva» (JFWy. tv 184).
— 84. Bea si dde eco. Grande obbUgo ab-
biamo di aiutare quelle anime a puiifioarsi
dai pec<*ati, ohe dal nostro mondo portaron
seco nel purgatorio, 8£ ohe pure e leggiere
possano salire alle sfere celesti. — 87. Deh,
se giustizi* eco. Virgilio si rivolge alle
anime dei supetU con un augurio, del quale
nessuno potSTU suonar loro più grato, dicen-
do: Cosi la giustizia e la misericordia del
Sgnore vi liberino presto dal peso dei vostri
peeoati ■£ ohe possiate volare al eielo, se-
lli Tostio éariderio eoo. eu antichi Ott,
Benv., Buti intendono giustamente cho Vir-
gilio si riferisca alla gi%uHxia e alla jrittà di
Dio, i due attributi che si manifestano spe-
cialmente neU' assegnaro allo anime dei morti
la dannazione o la beatitudine (cfir. Tommaso
d'Aquino, Summa^ p. I qu. xxi, art. 4); ma
il VelL, seguito da molti moderni, riferisce
sola la ffUuIMa a Dio, e la pklà ai viventi,
che con i loro soflkagi devono aiutare le ani-
me a pnrifioarri. — 40. d* «mal mane ecc.
da qual parte s' arriva pi6 presto alla scala
del seoondo cerchio, e se e' è pi6 d'un passo
insegnateci quello che è mono ripido. — 43.
qaestl ecc. il mio compagno, essendo ancora
rivestito del suo corporeo involucro, sale len-
tamente né senza difficoltà, sebbene sia ani-
mato dal desiderio di pervenire presto alla
cima (cfr. Purg, vi 49). — 44. iella carne
d*A4ÀHe: il corpo dell'uomo, cho partecipa
della natura del primo padre (ofr. I^trg, jx
10). — 46. Le ler parole ecc. Le parole di
risposta che le anime resero alla mia guida
non apparve da chi venissero, perché i su-
perbi erano rannicchiati sotto i grandi massi :
olii risponde a Virgilio è Omberto Aldobran-
desohi. — 60. 11 pasto ecc. la scala per la
quale anche un uomo vivente pud salire al
cerchio soperiore (ofr. fWy. xn 106-106). —
356
DIVINA COMMEDIA
£ s'io non fòssi impedito dal sasso,
che la cervice mia superba doma,
51 onde portar conviemmi il viso basso, -
cotesti che ancor vive, e non si noma,
guardere' io, per veder s' Lo *l conosco,
67 e per farlo pietoso a questa soma.
Io fili latino, e nato d'un gran tòsco:
Guglielmo Aldobrandesco fu mio padre; «
60 non so se il nome suo giammai fu vosco.
L'antico sangue e l'opere leggiadre
de' miei maggior mi fér si arrogante,
63 che, non pensando alla comune madre,
ogni uomo ebbi in dispetto tanto avante
ch'io ne mori', come i saneei sanno.
68. lA MrrlM mi* «oo. : è maniera blbUoa
molto comune quella d' eepzimeie l'idea della
superbia con la firaae àura e$rvÌM (cfr. Btodù
xxxu 9, ixiiii 8, Devitir, xx 18, Isaia XLvm
4, Fam degli JLp. yn 61 eoo.); ma la fhwe
dantesca risale pi& tosto aU* oraziana, Epiti.
I 3, 84 < indomita oervioe fbroe». ~ 65. «#•
testi eoe Dante non solo non s* era mani-
festato, ma né pnr avera aperto boooa, la-
sciando parlare a Virgilio ; quindi le parole
di Omb^to non possono esser considerate
come on mite rimprovero, s£ più tosto come
un' indiretta maniera d' inyitarlo a parìare e
di chiedergli chi egU fosse. — 58. Io Ad la-
tine ecc. La famiglia fèndale degli Aldobran-
desohi (cf^. Pwrg, vi lllX che ebbe signoria
su quei territori ohe ooetitaisoono all'inciroa
la moderna provincia di Grosseto, aveva rag^
ginnto il colmo della sna potensa col conte
palatino Ildebrando morto nel 1208, il quale
lasciò i snoi domini ai figliuoli Ddebrandino
maggiore, Boniiìuio, Ddebrandino minore e
Guglielmo. Questo GugUelmo fb certo uno
dei pt6 potenti • procaccianti signori del
tempo suo in Toscana : nel 1221, insieme coi
fhktelli, sottomise i suoi castelli al comune
di Siena obbligandosi a pagare il censo, e
nel *7ìL si obbligò allo stesso comune di ri-
trsrsi a vivere a Orooseto; ma presto si mise
in guerra con quella repubblica, e pare infe-
licemente, se nel ^27 fb per sei mesi in pri-
gione a Siena: ma sppena liberato, continuò
la guerra, aiutato sottomano dalla Chiesa
romana, sino al 1287, in cui strinse sodetà
col senesi : nel 1260 era al bando dell'impero
insieme ool figlio Udebrandino il Bosso, non
sappiamo bene per quale ragione : tra il 1258
e U '66 mori, lasciando i suoi diritti feudaU
ai figliuoli Udebrandino e Omberto ; il primo
dei quali, rimasto presto il solo erede, léoe
poi nel 1274 con i suoi consorti la divisione
dei doaiint nelle due contee di Scena e di
Santaflora (Bepetti, VI 66-68, :
pp. 827-880, 637). Omberto, nominato una
sdla vtrfta in un documento del 1256, ebbe
la signoria del castello di Campagnatioo (t.
67), donde scendeva a depredare i viandanti
e danneggiare i senesi; tanto che nel 1269
il comune di Siena mandò a lui alcuni sicari
che lo affogarono nel suo letto (A. Dei, Onm.
acm, in Mur., Bar U, XV 28). — 60. aea ••
se eoo. n nome di Guglielmo Aldobrandeschi
doveva suonare ancora fiynceo ai tempi di
Dante, almeno in Toscana e tra i ghibellini,
se non altro perehò ei fu l'autore di quel
ramo delia sua casa che prese il titolo dalla
contea di Soana: ma per umiltà il figlio di
lui dubita che pur il nome sia mai pervenuto
agli orecchi di Dante. ~ 61. Ii*aatieo san-
gue ecc. La famiglia Aldobrandeschi era an-
tichissima tra le case feudali toscane, e il
primo di essa di cui ci avanri memoria fti
Alperto, vissuto alla fine dell' vm secolo : e
antichi appariscono i titoli nobiliari ddla ta^
miglia, poiché un Ildebrando era measo im-
periale al principio del secolo a, e un altro
Ildebrando era già assai potente aign(«e alla
ilne di quel secolo e aocolae nella sna contea
di Boselle l'imperatore Guido. — 62. mi fir
si eoe mi resero cosi superbo; cfr. Virgilio,
Bn, ZI 84 : « genus buio matscna superbum
Nobilitas dabat >. — 68. nen pensando ecc.
non considerando che tutti gli uomini sono
ugnaH, perché usciti tutti dalla terra, madre
comune, ebbi tanto superbo dispreizo degli
altri, ohe esso fu cagione della mia morte.
— 65. io ne aeri* : gli antichi commenta*
tori non dioono il modo della morte di Om-
berto, genericamente aifermando che fu fatto
uccidere dai senesi; Benv. inveoe lìferisoe
la voce oh' ei cadesse in un' avvisaglia coa-
tro i sucd nemid presso Campagnatioo, e dò
s' accorda in parte oonlanamaione di un'an-
tica cronaca senese (cfr. Fesxaszi, V 393): nm
PURGATORIO - CAKTO XI
357
QQ e Ballo in Campagnatico ogni fante.
Io sono Omberto: e non pure a me danno
superbia &, che tutti i miei consorti
69 ha ella tratti seco nel malanno.
£ qui convien ch'io questo peso porti
per leiy tanto che a Dio si satis&ocia,
72 poich'io no'l fai tra* vivi, qui tra' morti >.
Ascoltando, chinai in giù la &ccia;
ed un di lor, non questi che parlava,
75 si torse sotto il peso che lo impaccia;
e videmi e conobbemi e chiamava,
tenendo gli occhi oon fatica fisi
78 a me, che tutto chin con loro andava.
€ O, dissi lui, non sei tu Odorisi,
l'onor d'Agobbio, e Ponor di quell'iurte
pare in qtiMto caso asMi più «ototevole la
testiiBonSattsa dal Del, il qnala toAre (L o.):
«la quaato anno [1269) Iti morto il conto
Uberto di Saltatore in Campagnatioo, e Iti
affocato in ani latto da Stiioh» Tobaldncd,
da Fèlaoana di Baniari Uliriari e da Tor-
chio Maxagoasi; a ISDo affogare il oomone
di S«nn per danari >. — 66. Campagaatieo t
Corto faflnr"*^ nella Tallo dell' Ombrone aeneae,
sppartanento ai domini degli Aldobrandeechi
tino dal aecolo x, divenne nel aeoolo xm as-
sai intoato per lo violenze dei aaoi aignori,
di modo cbe nel 12i8 il oomone di Siena do-
retto prendere alooni prorvedimenti atraor-
dinari per tatolare 1 cittadini taglieggiati e
derabeti al paaaare sotto qoel castello : dopo
la morto di Omberto il poaaenso di Campa-
gnatico andò dìTiso tra rarie famiglie, flnchó
il castello ta ceduto nogli ultimi anni del
secolo xm al comune di Siena. — ogni fan-
te : Boti : « in quella contrada solliono essere
molti Talenti nomini d' arme, li quali si chia-
mano Csntì, li quali o perché ftinno ad ucci-
derlo o forai perch* erano oon lui a fare di-
spiacere ad altrui ot era loro noto... dice ohe
in Campagnatioo lo sa ogni fante •. Il Veli.
iuTOca intonde font» per fanciullo, e il Lomb.
per uomo in genere; e forse Danto Tolle
dire che penino i fanciulli saperano che la
cagifHBe dell» uccisione d' Omberto era stata
U superbia. — 67. le sobo Oaiberto: que-
sto specificazione di nome era necessaria,
perché altrimenti si sarebbe potuto pensare
all'altro figlio di Ouglidmo Aldobrandeschi,
cioè il conto Ddebrandino (cfr. la noto al v.
68). — 68. 1 miei eoasortl : il nome con-
sarti qui e in i\tr. xri 139 ò usato nel suo
propDO senso medioevale di consanguinei,
■ombri di una eotuortma o gruppo di dami-
glie derivato da uno stesso ceppo : e a ra-
gione, che gli Aldobrandeechi nel 1800 erano
ormai divisi nelle due lluniglie di Soaaa e di
Santaflora, alle quali apponto era riuscito
funesto la superbia : che il ramo di Scena
fini con MaTi^erita, nlpoto di Omberto e fi-
glia d'Bdebxandino, la quale per dealdsMo di
alto nozze ^oeò Guido di Montfort (ofr. Jnf.
xn 119) e lasciò solo una figliuola ohe tra-
smise quella contea agli Orsini di Pitigliano ;
e il ramo di Santaflora ai trovd involto in
lunghi contrasti col oomone di Siena, il qoale,
se non riuscf a domare del tatto la superbia
di quei feudatari, molto assottiglid i loco do-
mini ed abbassò la loro potenza (c£r. Bepetti,
V 149-161, 418). — 71. per lei: per le mie
colpe di auperbia. — 78. eUaal U gld la
faccia : peróhé Dante, conoscendoai di animo
altero e disdegnoso (cfir. Purg, xm 136), te-
meva per sé la pena di cui gli aveva parlato
r AldobrandeschL — 74. ed «n di ler eco.
un altro superbo, torcendosi sotto il peso del
grave masso, guairdò a Danto e lo riconobbe;
e senza curare la fatica lo chiamò rìpetata-
mento, tenendo sempre gli occhi fissi in lui.
— 79. Oderisl : quest'altro superbo, ohe Danto
riconobbe nel purgatorio e dovetto easere suo
amioo nel mondo, era Odorisi fi|^ di Guido
da Gubbio, del quale sappiamo che nel 1268
e nel 1271 dimorava e lavorava in Bologna,
nel 1296 si recò a Boma e nel 1299 mori :
fu, a giudizio del Vasari {Open, ed. Milanesi,
1 3^) e eccellento miniatore in quel tempi, il
quale, condotto perciò dal papa, miniò molti
libri por la librerìa di palazzo, che sono in
gran parto oggi consumati dal tempo » : pure
nella canonica di San Pietro, In Boma, si
conservano anohe oggi due messali sttqwnda-
monto miniati e attribuiti a OderiaL — 80.
▲gobbio: nome medioevale dèlia dttà di
Gubbio nelle Marche, anticamento detto Jgìi-
358
DIVINA COMMEDIA
81 che * alluminare ' è chiamata in Parisi ? >
€ Frate, diss*egli, più ridon le cartei
che pennelleggia Franco bolognese:
81 l'onore ò tutto or suo, e mio in parte.
Ben non sare'io stato si cortese
mentre eh* io vissi, per lo gran disio
87 dell'eccellenza, ove mio core intese.
Di tal superbia qui si paga il fio;
ed ancor non sarei qui, se non fosse
90 che, possendo peccar, mi volsi a Dio.
0 vanagloria dell'umane posse,
com' poco verde in su la cima dura,
93 se non è giunta dall' etati grosse!
Credette Cimabue nella pittura
tener lo campo, ed ora ha Giotto il grido,
vium od Euifiibkm, — 81. eh« allaUBtro
eoo. r arte del minio, o miniatura, detta in
fitanoese art d'$nkmAnur, Salimbene da Par-
ma, nella CAr., p. 64, dioe di on ftate En-
rico : « Sciebat soribere, miniare, qnod aliqui
iUnminaie dioont, prò eo qnod ex minio liber
iUnmihatar >. — Parlali Parigi, lat. PaririL
-^ 82. Frate eco. Atto d' umiltà conyanlente
alla natura della colpa oh* egli sta espiando
ò questa spontanea confessione di Odorisi
d' essere stato superato neU' esercizio dell'arte
sua da Franco bolognese, le cui carte miniate
erano più vivacemente colorite e più belle a
vedere. — 88. Fraaoe: miniatore e pittore
fiorito tra la fine del secolo zm e il principio
del zxv : il Vasari (Qp. 1 885), ohe possedeva
« di sua mano disegni di pitture e di minio,
e fini es6i un' aquila molto ben fatta, ed un
leone, che rompe un albero, bellissimo >, lo
giudica < molto miglior maestro > di OderisL
— 84. l'onere eoo. ora eh' io sono morto il
vanto dell' eccellenza è tutto di Franco bo-
lognese, ed io non ho se non quello d'esser
stato il primo buon maestro della mia arte;
la fiuna sua tiene il campo, e la mia comin-
cia a venir meno. Veli., Dan., e molti mo-
derni deducono da queste parole che Franco
sia stato discepolo di Odorisi: pud essere;
ma nessuna autorevole testimonianza lo af-
ferma, anzi Benv. parrebbe aooennare che il
miniatore bolognese fosse emulo e competi-
tore del gubbiese. — 85. Ben non ecc. Qui
confesso il vero; ma vivendo non avrei sa-
puto riconoscere la mia inferiorità, tanto vivo
era il mio desiderio di conseguire il vanto
dell'eccellenza. — 89. ed aaeor eoo. e non
sarei ancora in questo cerchio, ma nell'anti-
purgatorio, tra i negligenti, se non mi fossi
pentito a tempo. Cosi intendono a ragione
gli antichi, Lana, Ott, Benv., An. fior. ;
primo, credo, il Land, seguito dai moderni,
spiegò : non sarei qui, ma nell' inferno ; che
non può esaere, poiché la superbia dell' arti-
sta non potè essere oosi peccaminosa da esclu-
derlo dalla grazia del Signore. — 91. O va-
nagloria eoo. La gloria ohe al ottiene con
le opere umane è vana; • non si aantìffiie
viva, se non seguono età di decadenza, nelle
quali la mancanza di opere migliori fa si òhe
non siano dimentioate le precedenti. — 94.
Cre4ette eco. Dante oonfeima la sua dottri-
na, cioè che le glorie umane tono oAuoate
dalle maggiori glorie del tempo ohe segue,
con due esempi, tratti l' uno dallo stato della
pittura al suoi tempi, l'altro dallo stato della
poesia; e dice ohe come la gloria di Giotto
(1286-1887) ha oscurato quella di Cimabue
(1240-1802), cosi la lama di Guido Cavalcanti
(1266-1800) ha offuscato quella di (Juido Gui-
nizelU (1280-1276). — Cimabne: Giovanni
o CvnxA figlio di Pepo detto per sopranome
Cimabue fiorentino, nato nel 1210 e morto
intomo al 1802, pittore di molto merito per
aver iniziato il ritorno dell' arte alla n^re-
sentaiione del vero, ft^ a tastimonlanaa del-
l' ott, « sf arrogante e ai sdegnoso ohe se
per alcuno gli fosse a sua opera posto alcuno
difetto 0 egli da sé l'avesse veduto,... im-
mantanente quella cosa disertava, fosse cara
quanto si volesse >. Fu sepolto in patria, in
Santa Maria del Fiore, ove g^ Ai posta l'iscxi-
done inspirata dai versi di Dante : « Credi-
dit ut CLmabos pioturae castra tenere, Sic
tenuit, vivons ; nuno tenet astra poli » (cft.
Vasari, Qp. 1 247-267). — 95. «letto: Giotto,
figlio di Bondone dal Colle, nato a Veepì-
gnano prosso Firenze nel 1266 e morto in
patria nel 1837, fu il maggiore artista dei
tempi di Danto, al quale fii legato di stretta
amicizia: fu il primo di quella schiera di
grandissimi fiorentini, che nei seooli seguenti
fecero con universalità d'ingegno e varietà
PURGATORIO - CANTO XI
359
96 si che la fSeona di colui è oscura.
Cosi ha tolto l'uno all'altro Guido
la gloria della lingua; e forse è nato
99 chi l'uno e l'altro caccerà di nido.
Non è il mondan remore altro ohe un fiato
di vento, che or vien quinci ed or 7ien quindi,
102 e muta nome, perché muta lato.
Che fÌEuna avrai tu più, se vecchia scindi
da te la carne, che se fossi morto
105 innanzi che lasciassi il pappo e il dindi,
pria che passin mill'anni? ch'ò più corto
spasio all'eterno, che un mover di ciglia
106 al oerchio che più tardi in cielo è torto.
Colui, che del cammin si poco piglia
4'attitiidiiii dd cà'Md fioenruio l'arte, pit-
tori, ecoltoit, aidiitetti e poeti nello steeso
toi^; iBA U sua gloria maggiora fti quéDa
di enatora deDa pittura toscana. La ma fiuna,
già aanl gnnde allorché Dante sortrera, d
maatemne lempie viva di poi, sebbene non
fcMM gkmta daWdadi gros» ; pezohó era ce-
lebrità rispondente a meriti veA (cfr. Vasari,
Op. I 969-428). - 97. I>uh> aU'altro Chii-
ée : Guido Cavaloanti (cfir. Jnf, z 60) a Onido
Qninlselli (cfir. fWy. zzn 92). — 98. e forte
eoe. I piò dei oonuaentatori, dal Lana in poi,
cedettero die Dante intendesse qni di par-
lare di sé mededmo, avendo la cosdenza
die la eoa gloria di poeta avrebbe offtwcato
qneOa dd due Gnidi; ma assd meglio alcnnl
moderai, Lomb., Tomm., Soart., intesero ohe
Dante parlasse in generale, avendo U pen-
derò alla legge già da Ini enunciata, ohe le
glorie d'un dato tempo fumo dimenticare
queQe dd passato. Veramente sarebbe assai
strano che Dante vantasse sé eocellente poeta,
proprio nd loogo ove sono puniti quelli ohe
peccarono per disfo dM' teeMmxa nell' arte;
e aadie il farm applicato a ) nato fa prefe-
rire IMnterpretadone in senso generico: ofr.
sona questione Bufi. Vm 829-880 e U D'Ovi-
dio, pp. 667-668. — 100. Kon è U mondan
eco. La fum ohe s'acquista nel mondo ò co-
me lo spirare del vento, che ora è in una di-
rettone, ora in un' dtra, e riceve diversi nomi
secondo lo varie parti ddle quali spira. —
lOB. Che fame eoo. Si costruisca e d spie-
ghi : Pina th$ ptunn tnSW amUj prima ohe
sia trascorso un millennio, eh'è aWel&mo spa-
ssio piA corto, die ò d confronto dell'eternità
un tempo pid breve, dhs tm mover eco. che un
batter d* oodd d paragone dd movimento dd
cido stellato, dhs fama avrai fu più, qude fa-
ma avrai tu maggiore, ss vtodhia ecc. se muori
odia veochiaia, db» ss foni eoe. di quella
che avi^ aviUa «e tu fosd morto da fan-
duDettor Dante atteggia con novità di forma
I concetti espread da Boedo, Cbuf. n, pr. 7;
cfr. Moora, I 287. — se veeeàla selndl ecc.
se dividi dd tuo spirito la tua carne vecchia,
se muori in età senile. — 106. iiBanal ecc.
prima di lasdara l' uso ddle pardo infantili,
prima d'usdra dall' infknda. -^ il pappe e
II dindi t sono voci puerili, dell'idioma «ohe
pria li padri e le madri trastulla » {Par, zv
128); e in qud linguaggio pappo dgniflca il
pane o generalmente il cibo, e dimdi, le mo-
nete 0 dtri oggetti risonanti: cfr. la nota
all'^A xzzn 9. — 106. al eerehle ecc.: il
cielo delle stelle fisse , secondo le anttdie teo-
rie astronomidie, d spoeta di un grado da
ooddente vorso oriente in cento anni (cfr.
Cono, n 6, 16, r. 2^. 1 7) : l'intera rivolu-
rione d compie dunque in 860 seoolL — 109.
Colei eco. (Merid a conferma ulteriora delle
sue parole dta un dtro esempio, traendolo
questa vdta dalla storia politica di una delle
dttà toscane e additando a Dante uno spirito
che camminavagli innand assd lentamente.
È lo spirito di Provenzano Sdvani senese,
che intomo alla metà del secolo xm era capo
della parte ghibellina preponderante nella sua
patria e di grande autorità presso tutti i ghi-
bellini toscani ; ebbe gran parte nd £e^ che
condussero alla sconfitta dd guelfi fiorentini a
Montaperti, e nel convegno d'Empoli propu-
gnò il disegno di togKor via Fiormxa (cfr. Inf,
X 91): nel 1261 fu podestà a Montepulciano,
e la sua autorità in Siena andò sempre au-
mentando dno d tempo della venuta di (yor-
radino (cfr. Purg. xx éS): mori noUa battaglia
di CoUe nel 1269 (ofr. Parg, xm 118). Bao-
oonta G. Villani, O. vn 81 : « Messere Pro-
venzano Sdvani fa preso, e tagliatoli il capo
e per tutto il campo portato fitto in su una
landa. E bene s' adempio la profezia e reve-
lazione ohe gli avea fatta il diavolo por via
d'incantesimo, ma qpn )a intese *, che «rei^-
n
360 DIVINA COMMEDIA
dinanzi a me, Toscana sonò tutta.
Hi ed ora a pena in Siena sen pispiglia,
ond*era sire, quando fu distrutta
la rabbia fiorentina, che superba
114 fu a quel tempo, si com*ora è putta.
La vostra nominanza è color d'erba,
clie viene e va, e quei la discolora,
117 per cui eli' esce della terra acerba».
Ed io a lui: € Lo tuo ver dir m* incora
buona umiltà, e gran tumor m'appiani:
120 ma chi è quei di cui tu parlavi ora ? >
€ Quegli è, rispose, Provenzan Sai vani ;
ed ò qui, perché fu presuntuoso
123 a recar Siena tutta alle sue mam.
Ito è cosi, e va senza riposo,
poi che mori: cotal moneta rende
126 a satÌB&,r chi è di là tropp' oso ».
Ed io : € Se quello spirito che attende,
pria che si penta, l'orlo della vita,
129 là giù dimora e qua su non ascende,
se buona orazion lui non aita,
prima che passi tempo quanto visse,
132 come fu la venuta a lui largita?»
dolo fatto oostrignere per sapeie come capi- < il maggiore del popolo di Stona >. — 116.
terebbe in qnolla oste, mendaoeinente lispuose Ia TOttra eoe. La (ama tenena d mutabile
e disse: ' Anderai e oombattorai, Tlnoorai oome U colore deU'eiba, la quale in breve
no morrai alla battaglia, e la tua tèsta fia la tempo verdeggia e cade avrisiita, e qveUo
più alta del campo ' ; ed egli, credendo avere stesso sole ohe la fa natoera la fa anohe in-
la vittoria por quelle parole e credendo rima- giallire : oob£ n mondo ohe dà la Ikma, la
nero signore sopra tatti, non fìsce il pnnto toglie. — 116. eh* viene eoo. TTn antico ri-
alia fallacie, ovo disse : * vincerai no, morrai matoro dt dal Torraoa : « OhA per virtd del
eco. ' [cloò intese : vincerai, non morrai] ; sol nasce la rosa E qnel medeimo fa cader
e però è. grande foUfa a credere a si fittto le foglie *. » 118. Le Ine eoo. Le toe ve-
consiglio, com' è quello del diavolo >. La rad parole eodtano nel mio animo un santi-
leggenda, che risale certamente a tradidoni mento buono di umiltà e tu ooaf parìando
contemporanee a Provenzano, < preeiqipone, abbassi la mia superbia. — 119. t«Bi«r : gon-
secondo il Basseimann, p. 818, i superbi di* flezza d' animo, superbia : modo biblico (Estsr
segni diluì, coi quali appunto suole il dia- zvx 12, Paolo, IIEp.ùi Cor, zn 20). — 122.
volo intessero le sue burlo beflEkrde >. A. Dei, fa presintiose eoo. : peooò, dunque, di su-
O. tanta» in Mur. Bw, UaL XV 86, aggiunge perbia partigiana, sfinzandocl d'imporro l'an-
il nome dell'ucoison di Provenzano, meeser torità sua o deUa parte ghibellina su tutti i
Gavolino del TolomeL — HO. Toieana ecc. cittadini senest — 125. ••tal m«MU ecc.
tutta Toscana lo celebrò ed ora appena in questa penitenza devono soatenaro ooloro che
Siena se ne parla sommessamente. — 112. nel mondo furono superbi, troppo aiditL —
end' era ecc. della quale dttà di Siena era 127. Se qaello eoo. Dante d menvIgUava
capo, quando i superbi fiorentini furono vinti che il Sdvanl fosse già in purgatorio, pen-
a Montaperti. — sire: qui ò nel senso di sando che egli d fosse pentito all'orlo ddla
dttadino grande, che ha preponderanza per vita e psrdò avesse dovuto rimanere ndl'aa-
la sua autorità e potenza, ma non vera e tlpurgatorlo tanto tempo quanto visse (ofr.
propria signoria; e risponde alle parole di Ad^. iv 180) : chiese quindi per qoal ragione
a. Villani, O. VX 77 òhe dice Provenzano gli em stato oonosMo di salire ooii fieatad
PURQATOEIO - CANTO XI 361
€ Quando ylvea più glorioso, disse,
liberamente nel Campo di Siena,
135 ogni vergogna deposta, s'affisse:
e 11, per trar l'amico suo di pena,
ohe sostenea nella prigion di Carlo,
188 si condusse a tremar per ogni vena.
Più non dirò, e scoro so che parlo;
ma poco tempo andrà ohe i tuoi vicini
faranno si che tu potrai chiosarlo.
142 Quest* opera gli tolse quei confini >.
luogo di ponflcazione. — 188. Q«Mio t1t«a cod, zaooolti i denari dellA taglia, Tamioo fa
eoe Baoràntano gli antichi commentatori òhe liberato. Questo Crtto uìvò V antina di Pn>-
alla batta^ di Tagliaoozso (ofr. Inf. xivm rensano. — 184. Campo di Sleaa i ò la piazza
Ifi, 17) rimase prigioniero un amico di Pro- maggiore della dttà di Siena. — 185. ogni
Tozano (di nome Yinea, secondo Benv. ; rergegaa eoo. ofir. Vita Franoiaoi di san Bo-
IGno dei IGni, secondo lo chiose senesi rife- nayentora n: e deposita omni Tareoiindia ....
rite da O. Bondoni, Tradix4oni popolari $ tég» mendioabat >. — 183. a tremar eoo. a pn>-
pemde di un eomuns medioevaley Firenze, 1886, vare qnel commoyimento che accompagna ne-
p. 187) e che Cario I d' Angiò pose^i taglia gli nomini alteri l'atto del richiedere aiuto,
di diecimila fiorini (rentiofnqQemila, secondo — 140. 1 t«ol tIoIbI ecc. i fiorentini, tuoi
le chiose senesi, dt, le quali aggiungono concittadini (cfìr. Jnf, xvn 68), esiliandoti ti
che la somma doTora qutri d mtndieari amon ridurranno a mendicare (cfir. Bir. xm 68-00);
2M): « Tenne la norella (cosi il Lana) al detto si che arendone fatta esperienza in te stesso,
roesser ProTenzano, ed avendo temenza del- potrai spiegare agli altri U significato del tró-
ramloo suo, feoe ponere uno bsnoo con uno mar per ogni vona. Nota il Basserman, p. 812:
tappeto aalla piazza di Siena, e puosorisi a « Noi vediamo il poeta attratto da un certo
seder suso e domandava ai senesi vergogno- sentimento di affinità morale Terso l' orgo-
saoMoto ch'elU lo dovossino ahttaie in que- gliosa e sovrana natura del personaggio, e
sta eoa bisogna di alcuna moneta, non sfor- in lui rispecchiare le sue pid intime comrao-
zaado peisona, na umilemento domandando mozioni ». — 142. Quest'opera eoe Quest^o-
aiuto; • veggésdo U senesi il signore loro, pera di pietà e di umiltà risparmiò a Pro-
^e sólea eeser siqierbo, dimandare cosi gra- venzano di restare noli' antipurgatorio, prima
zìonaMBte, si oommossono a pietade e da- di salire a questo cerchio, per tanto tempo
senno, secóndo suo potave, gli dava aiuto > : quotato viaee.
CANTO XII
Dante e Virgilio procedono in compagnia delle anifne nel primo cerchio
e osservano gli esempi di superbia punita raffigurati nel mannoreo piano
sul qoale camminano : gianti alla scala, nn angelo li accoglie e dalla fironte
di Dante toglie il segno della superbia ; quindi i due yisitatori salgono al se-
condo cerchio [11 aprile, delle undici antim. circa oltre il mezsogiomo].
Di pari, come buoi che vanno a giogo,
m* andava io con quella anima carca,
8 fin che il sofferse il dolce pedagogo.
Ma quando disse : € Lascia lui, e varca,
TTT 1. Bi pari eoe Dante camminava stro. — 4. Lesela eco. lascia la compagnia di
chino accanto ad Odorisi, si òhe tutti e due Odorisi e va avanti ; perché qui è uopo sfor-
ptocederano insieme o con passo lento ed zarsi in tutti i modi a compier l'opera della
aguale, come due buoi sotto il giogo. — 8. Ila penitenza, né bisogna fermarsi troppo a con-
th» eoe finché Io permise il mio dolce mao- sideiwe 0 Tirio di cui questi spiriti vanno
362
DIVINA COMMEDIA
elle qui è buon con la vela e coi remi,
6 quantunque può ciascun, pinger sua barca » ;
dritto, si come andar vuoisi, rifèml
con la persona, awegna che i pensieri
9 mi rimanessero e chinati e scemi
Io m' era mosso, e seguia volentieri
del mio maestro i passi, ed ambedue
12 già mostravam come eravam leggieri,
quando mi disse : e Volgi gli occhi in giùe :
buon ti sarà, per tranquillar la via,
15 veder lo letto delle piante tue ».
Come, perché di lor memoria sia,
sopra i sepolti le tombe terragne
18 portan segnato quel ch'elli eran pria,
onde li molte volte se ne piagne
per la puntura della rimembranza,
21 che solo ai pii dà delle calcagno;
si vid*io li, ma di miglior sembianza,
pnrgandoBl. Si noti ohe, per raYTertimonto
di Virgilio, Dante non si cara pi6 dei superbi
tra i quali, come saprà da Gacdag:Qida, avreb-
be potato troyare on sao antenato (eh Par,
zv 92). — 6. eoa la Tela eco. con ogni
sfoTTO dell'anima e del corpo bisogna spinger
innanzi l'opera dell'espiazione. — 7. sf eoae
aadar ecc. come è pi6 conforme alla natura
del corpo amano. — 8. avregaa ohe eoe. seb-
bene i pensieri miei non si rialzassero insie-
me con la persona, ma restassero depressi e
omiliati. La depressione o omiliazione morale
di Danto d dagli antichi, Lana, Ott, An. fior.,
Benr., Bnti eoo., spiegata come on effetto
della predizione fatta da Odorisi (cfr. Purg, n
1S9-141); dai moderni inrece, Vent, Lomb.,
Biag., Costa, Cee., Tomm., Bianchi eoe.,
come effètto deU' aver rodato i saperbi oo-
strotti sotto cosi gravi pesi: altri, come il
Land., e il Veli, la prendon per an effètto di
pietà, come se Dante fosse depresso per com-
miserafllone provata verso le anime; le qoali,
si noti, non possono esser compiante, perché
si trovano già in laogo di salvazione. — 12.
già mostravam eco. andando pi6 rapida-
mente ohe non facessero i penitenti. — 18.
mi disse eoo. Mentre nella ripa ohe s' alza
dalla parte intema del cerchio sono raffigu-
rati esempi di umiltà (ofr. Purg, x 81 e segg.),
nel piano marmoreo sul quale camminano i
penitenti sono rappresentati esempi di su-
perbia punita ; e Virgilio richiama l'attenzione
di Dante su questi esempi affinché ne tragga
argomento ad umiliarsi o a persistMe nella
virt6 dell' umUtà. — 15. veder lo letto eoe
osservare il piano sul qualo si posano i tuoi
piedL Lana : e Vuol dire che [a] temperare
la superbia d buono guardare 1* uomo alla
terra, imperquello che, se l'uomo pensa ohe
è di terra, la snpecbia cala molto le vele ».
— 16. Come eoo. Dante paragona le imagiiii
figurate, nel piano del prlino oerohio a quelle
scolpite sulle grandi lastre di marmo oh« oo-
prono le sepolture; sulle quali lastre, pezohé
restasse memoria quasi pariante del d^romto,
si figurava nel medioero il ootpo del morto
rivestito di quell'abito ch'era oonforme aUa
sua condizione : come andie oggi si può Te-
derò nelle Umb» t&mgm^ eioà in piana terra,
del Camposanto pisano, della chiesa di Santa
Croce in Firenze e d'altri luoghi d'Italia, es-
sendosi mantenuto l'uso di queste tombe sino
al seoolo xvi. — 17. tombe terragaet Butì:
e li avelli che sono plani in terra co' le lapide
sopra. — 18. portaa eoo. Buti : e cioè lo se-
polto co* la soprasciiiione, co' l'anne, oo' la
figara corporale a modo di iudid o di medico
0 di cavallieri, secondo oh' d stato ne la
vita>. — segnate: qui e al v. 88 il vb. se-
gnar» vale raffigurare, effigiare. — 19. onde
]{ ecc. onde spesso accade che ohi visita luo-
ghi ove siano cotesto tombe piange per il ri-
cordo vivo e parlante del defunto, di cui vede
l'imagine e la condizione rappresentata sopra
l'avello. — 21. ehe solo ecc. la quale rimem-
branza dei morti dà dolore solamente agli
animi pietosi, poiché gli uomini di duro onore
nulla provano per i loro morti. ^ 22. §( vld*lo
ecc. in ootal modo tutto il piano che oosti-
tuisoe il primo cerchio era pieno di figure,
sebbene con piil perfetta rappresentazione,
per dò ohe riguarda il magistero tdeQ' arte,
che non soglia essere sulle Umb» farrt^ns : si
ricordi che queste sooltore sono opera delU
PURGATORIO - CANTO XII
363
secondo l'artificio, figurato
21 quanto per via di fuor dal monte avanza.
Vedea colui, clie fa nobil creato
più d'altra creatura, giù dal cielo
27 folgoreggiando scendere da un lato.
Vedea Briareo, fitto dal telo
celestiale giacer dall'altra parte,
80 grave alla terra per lo mortai gelo.
Vedea Timbreo, vedea Pallade e Marte,
armati ancora intomo al padre loro,
83 mirar le membra de' giganti sparte.
Vedea Nembrot a piò del gran lavoro,
quasi smarrito, e riguardar le genti
86 die in Sennaar con lui superbi fdro.
0 Niobé, con che occbi dolenti
nuno di Dio (ofr. Purg, x 94-96). ~ 24. qmàM-
te eco. tatto Io spazio che si distende in piano
eotto la ripa del monte, e serve di via ai pe-
BitentL — 26. T«4ea ecc. Si osservi l'artlfl-
do del poeta per coi quattro terzine si segnono
incominciando tatto con la stessa parola, «e-
iea (TT. 25, 28, 81, 84); poi quattro, con la
particella vocativa o (w. 87, 40, 48, 46) e
quattro con il verbo mostrava (w. 49, 62,
56, 68) : e si chiude la triplice serie con una
terzina, i coi versi eomindano ciascuno con
una di coteete parole. A. Medin, Dm ehiom
dasUeacha^ Padova 1896, ha illustrato questo
passo, mostrando come l'artiflcio si fondi so-
pra lo stesso principio per cui i poeti ante-
riori a Dante scrissero canzoni nelle quali
certe espressioni determinate si ripetevano
sirametricament». Aggiunge poi che la va-
rietà dell» parola iniziale risponde in questo
passo a tre diverse categorie degli esempi di
superbia: la prima di coloro che furono pu-
niti dalla divinità mentre si ostinavano nel
peccato (Lucifero, Briaieo e gli altri giganti,
Nembrot); la seconda del puniti dal rimorso
della co^ commessa (Nlobe, Saul, Araone,
Boboamo); la terza di quelli ohe furono pu-
niti dai nemici e dalle vittime loro (Erìflle,
Sennacherib, (3ro, Oloferne): nella terzina
finale V esemplo di Ilio riassume in un solo
ricordo la punizione del superbi per opera
dellA divinità, del rimorso e degli uomini. —
c«]«l che Ite eco. La prima imagine, tratta
dalla mitologia biblica, è quella di Lucifero
(ett. Inf. zxzxv 20), rappresentato nell'atto di
precipitare dal dtio, allorohé per pena della
sua ribélUone superìm fb fulminato dal Si-
gnore; ofr. Luoaz 18: « Io riguardava Satana
cader dal delo a guisa di folgore >. ~ 27. da
«■ late: da una parte della strada ostia del
riplano del cerchio. Benv. e Buti riferiscono
questo particolare all'atto di Ludforo, piom-
bato, secondo l' uno, dalla parte dell* emisforo
inferiore (cfr. Jnf, zzxiv 121), e secondo l'al-
tro da quella del superiore; ma meglio i mo-
derni commentatori riferiscono 1* espressione
da «MI lato al vb. vtdaa, come Tespressione dal-
VaUra part» che sogue nel v. 29. — 28. Tede*
eoe La seconda imagine, tratta dalla mito-
logia classica, ò quella dei gigantie di Briareo
(cfr. Inf. zzzi 98), che trafitto dalla saetta
di Giove cadde e ta sepolto sotto il monte
Etna, nella guerra sostenuta contro gU dei.
— 29. dall'altra parte : dalla parte opposta
a quella ov'era figiurato Lucifero. — 80. grave
eco. col corpo Immobile sul suolo, perché già
preso dal gelo della morte. — 81. Tedea
eco. Apollo, Pallade e Marte, ancora In armi,
erano raffigurati intomo a Óiove loro re, in
atto di mirare le sparse membra dei giganti
vinti nella piigna di Flagra. La terzina di
Dante ricorda, almeno in parte, I versi di
Stazio, Tsft. n697: «Bino Fhoebi pharetras,
hinc torvae Palladis angues. Inde Pelethro-
nlam praeflxa cuspide pinum Martls » ecc., e
quelli d'Ovidio, Md. xl60: «Cecini plectro
gravioro gigantas Sparsaque Phlegraels viotrì-
cia ftilmina campls». — Timbreo: Apollo,
cosi detto dalla città di Timbra nella Troado
ov'era venerato con culto speciale (ofr. Vir-
gilio, Owrg, rv 828, ^. m 86 eoe). — 84.
Tedea N«aibrot eco. La terza imagine à
quella di Nembrot (cfr. J^f. zzzz 77), rap-
presentato al pie della gran torre innalzata
nella pianura di Sennaar e in atto di uomo
smarrito, al manifestarsi doUa confusione delle
lingue, per cui egli e 1 suoi più non s'inte-
sero. — 86. superbii un sentimento di super-
bia mosse Nembrot e i suoi compagni ai gran
laverò della torre, che doveva innalzarsi fino
al dolo (ofr. Omteti zi 1-9), — 87. O Nlob4
ecc. La quarta rappresentazione è quella di
Niobe, moglie di ijnfione re di Tebe (ofr.
3G4
DIVINA COMMEDIA
vedeva io te, segnata in su la strada,
39 tra sette e sette tuoi figliuoli spenti!
O Saul, come in su la propria spada
quivi parevi morto in Gelboè,
42 che poi non senti pioggia né rugiada!
O folle Aragne, si vedea io te
già mezza aragna, trista in su gli stracci
45 dell' opera che mal per te si fé*,
0 Eohoam, già non par ohe minacci
quivi il tuo segno; ma pien di spavento
48 ne '1 porta un carro prima che altri il cacci
Mostrava ancor lo duro pavimento
come Almeón a sua madre fé' caro
61 parer lo sventurato adornamento.
Inf, xzzn U), la qaale, superba della sua po-
teiia, della sua xiochiezza e bellezza, della
sua ozigine divina e della numerosa prole,
▼olsTa ohe i Tebani ftoetsero sacrifici a lei
e non a Latona; onda Apollo e Diana, figli
della dea, nodsero a colpi di freoda la sua
famiglia e Niobe impazzita dal dolore fti tra-
mutata in una stataa (ofir. Gridio, Md. vi
146-812. — «on ebe oeeU eoo. Ov. MtL vi
801: e Orba lesedit Exanimes intar natos na-
tasqne vimmqae, Dirignitqne malia: nollos
movet anxa capilloa. In volta color est sino
sanguine, lamina moeetis Stant immota genis,
nihil est in imagine vivi » : ofir. Hoore, 1 208.
— 89. tette • sette : Dante segno [Ovidio,
che a Niobe attribaisce quattordici figli {Met,
Vi 182 : e natas adiice septem et totidem in-
venes >) ; ma la leggenda è varia quanto al
numero dai Niobidi nei vari scrittori greci,
ohe la raocontazono prima del poeta latino.
— 40. 0 8a«l eoo. La quinta rappresentazio-
ne è quella della morte di Saul, re degli Israe-
liti; il quale, essendo stato vinto noUa batta-
glia di Ghilboa dai Filistei e avendo veduto
morire i suoi tre figliuoli, si uccise lasdan-
dosi cadere sopra la propria spada (I Samuele
zzzi !-«). — 41. flelboè: U monto di GhU-
boa nella Palestina, ove i Filistei sconfis-
sero il re Sani. — 42. ehe poi ecc. Si rac-
conta nella bibbia (II Samuele i 21) che Da-
vid ilsoendo lamento deUa morte di Saul
esdamasse : « 0 monti di Ohilboa, sopra voi
non sia giammai né rugiada né pioggia n6
osmpi da portale offerte : perdooché quivi ò
stato gittate via lo scudo dei prodi, lo scudo
di Saul » : non è detto per altro ohe l'impre-
casione di David avesse effètto. » 43. 0 folle
Aragae eco. La sesta imsgine ò quella di
Arsene superba tessitrice lidia (ofir. Inf. xvn
18); la quale a gara con Minerva esegui il
lavoro meraviglioso degli amori di Giove, ma
avendole la dea per dispetto stracciata la tela
si appiccò per dispeiaxione e Ai tramutata la
ragno. Qui era rappresentata nel momento in
cui avveniva la trasfòrmadone, essendo già
mmoM aroffna, e ritenendo ancor tanto della
forma di donna da poter mostrare il dolore die
la travagliava. — 44. già ■«zsa eoe Ovidio,
MeL VI 140, cosi descrive la trasformazione:
< extemplo tristi medicamine tactae Defluxere
comae, cnmque Is et narlB et auree, Fitque
caput minimum, totoque corpore parva est;
In latore exiles digiti prò cruribus haerent,
Cetera venter habot; de quo tamen illa re-
mittit Stamen, et antiquas ezeroet aianea te-
las >. — 45. che msl eoe che tu iaoesti con
tuo danno. — 46. 0 Roboam occ La settima
figura è quella di Boboamo, il superbo figliuolo
di Salomone, che fu cagione della divisione
degli Ebrei: si racconta nella bibbia (IBe vii
1-11) che, avendo gì' Israeliti chiesto a Bo-
boamo di allievare la durezza del governo,
egli rispondesse : < mio padre vi ha caricato
addosso un grave giogo, ma io lo forò vie
più grave : mio padre vi ha gastigati con
sferze, ma lo vi gastigherò con fiagelli pun-
genti » : ma il popolo si ribellò e Boboam fa
costretto ( J JBs xn 18) a salire « prestamente
sopra un cario per fuggirsene in Gerusalem-
me > : Dante imaginò appunto che il apgno o
rimaglne scolpita lo raffigurasse nel momento
della fuga, che fu prindpio della punizione
della sua superUa. — 49. Mostrava ancor
ecc. L' ottava rappresentazione è quella di
Erìfile moglie di Amfiarao (ofr. hif, xz 81) ;
la quale tu. uccisa dal figliuolo Alcmeone,
perché fosse vendicato Amfiarao ohe ella ave-
va tradito sooprendone il nascondiglio a Po-
linice, allettata dal dono dell'inUgaista collana
deU' Armonia (cfr. Ftir, iv 103-106). Nel pa-
vimento marmoreo dd primo cerchio era raf-
figurata nel momento della uccisione, < moe-
stamque Eiiphylen, Crudelis nati montran-
teo vulnera » (Viig.» En. vi 445). — SI* lo
PURGATORIO - CANTO XH
8G5
Mostrava come i figli ai gittaro
sopra Sennaclierfb dentro dal templO| ,
54 e oomei morto lui, quivi il lasciaro.
Mostrava la mina e il crudo scempio
che f!ft*Tamiri| quando disse a Ciro:
57 « Sangue sitisti, ed io di sangue t* empio >.
Mostravi^ come in rotta si fuggirò
gli assiri, poi che fti morto Oloferne,
GO ed anche le reliquie del martiro.
Vedeva Troia in cenere e in oaviimet
o nìon, come te basso e vile
63 mostrava il segno che li si discerné I
Qual di pennel fii maestro o di stile,
che ritraesse l'ombre e i tratti, ch'ivi
66 mirar fiarieno ogn' ingegno sottile?
■fftwto adonaMesto: la ooDaiia infau-
sta, fabbricata da Vulcano a donata da Va-
nara alla flglhidla Annonfa nelle ine none
con Cadmo ; la qoala collana fa cagione di
■rentaiB a tutte le donne ohe la poeeedottero,
a eiocaata, a Semele, ad Aigia (ofr. Stazio,
Afr. a 372, Ovidio, IM. ix 407) ecc. — 62.
MeatraTa ee»e ecc. La nona rappceeenta-
cione ò qnella ddl'ooolsione di Sennacberlb
re d«^ Aatlri per opera dei figUnoli Adram-
mélae e Sareaer, i quali lo colpirono men-
tr" eg^ pregara nel tempio del dio Kisroo e
poi ftaggbono nel paeee di Azarat (Il JBs xoc
37, Isaia zxrvn 88). ~ 66. Moitrara la
ridna eoe. La dedma rappresentazione è
qnolla àeSìo strazio ohe del corpo di Ciro, fon-
datore dell' impero persiano (660-680 a. C),
fece Tamiri o Toadri regina dei Ifassageti : la
qnalo, ascondo il racconto fttròloso di Ero-
doto, I 106 e aegg., ripetuto da Giustino 1 8,
sdegnata contro C^tro, ohe le arerà ftttto mo-
rire il Sgfinolo, fece ricercare 11 corpo morto
di Ini e spiccatone il capo io gettd in nn'otre
piena di sangue dicendo : «Satia te sanguine
qaem sitisti >. Dante lesse il racconto e que-
ste parole in Orosio n 7, 6 (ofr. Toynbee, I
ai). — 68. MostraTS eaae ecc. L'undedma
rappzeseotasione d quella della ftiga degli As-
siri, dopo ohe Giuditta ebbe tagliato U capo
al loro generale Oloferne, mandato dal re
Kabueodoncsor ad assediare Betulia dttà
deDa Giudea (ofr. Libtr Judilh^ zi-xxv). ~
60. li reilqnl* del martfra : non i corpi do-
gi! AMiri morti o teitl durante l' assedio o
àbbaadfOiiaAi sul campo, come intendono dal
Lana in poi quasi tutti i commentatori, o il
ccpo di Olofeme portato dai Giudei sur un'asta,
come spiegano Pietro di Dante, Buti, An. fior.
• altri ; ma più tosto il cadavere di lui rima-
sto priìno di capo ani campo, come dice il dt.
Lib$r Judith ziv 16 : « £oce Holofemes iacet
in terza, et ci^at eins non est in ilio » : cfr.
Moore, I 68. — 61. Tederà ecc. La duode-
cima ed ultima rappreeentazione era quella
deU'inoendio e distruzione di TroU • di Dio
(ofr. Inf. I 76, zzx 18); Virgilio, Sn, m 2:
« cedditque superbum Bium, et omnis humo
ftimat neptunia Troia >. — la etaere o la
esTerae ; brudata e rovinata ; il nome oo-
«ems qui indica i mucchi delle rovine, ohe
sovz^onendosi formano come delle grotte.
— 68. U segae eoo. la figura scolpita nel
piano del cerohiio. — 64. <^l di penati eoo.
Come già ha fktto per gli esempi di umiltà
(ofr. Purg. X 81 e segg.X cosi per queati
della superbia punita Dante aooenna l'eooel-
lenza del lavoto aitistioo onde anno rappre-
sentati, dicendo ohe nessun maestro di pittura
o di disegno seppe ritrarre con tanta arte g^i
aspetti e i contomi deOe ligure, quanta ap-
pariva nelle soolture di quel piano, le quali
avrebbero susdtata l'ammirarione di qualun-
que più eccellente artista. — stllet à la sot-
tile verghetta di piombo e stagno adoperata
dal diMgnatori. — 66. l'ombre e 1 tratti 3
sono i due elementi della figura, doò l'aspetto
complessivo della figura (cfr. embra in Btrg.
xm 7) e le linee esteriori ohe la determinano
ossia i contorni ; quindi è detto bene cosi
delle figure disegnata o dipinte, come delle
figure scolpite : ohe se s'intendesse omòrt per
ombreggiature e tratti per tratteggiamenti del
pennello o della matita, come TogHono alcuni
commentatori, non si potrebbero riferire se non
alla prima maniera di figure, mentre Dante
parla manifestamente in modo generico. U
Tornea intende <mbr$ per le parti piane dei
bassorilievi e tratti per le parti rilevate ; e
conforta la sua interpretazione con osserva-
zioni fatte sulla impronta dei sigilli conispoB-
■rff
366
DIVINA COMMEDIA
Morti li mortii e i vivi parean vivi:
non vide me' di me chi vide il vero,
GO quant* io calcai fin che chinato givL
Or superbite, e via col viao altero
figliuoli d'Eva, e non chinate il volto,
72 si che veggiate il vostro mal sentiero.
Più era già per noi del monte volto,
e del caTTìTnin del sole assai più speso,
75 che non stimava l'animo non sciolto ;
quando colui, che sempre innanzi atteso
m'andava, incominciò: € Drizsa la testa;
78 non è più tempo da gir si sospeso.
Vedi colà un angel che s'appresta
per venir verso noi ; vedi ohe torna
81 dal servigio del di l'ancella sesta.
Di riverenza gli atti e il viso adorna,
si che i diletti lo inviarci in suso:
84 pensa che questo di mai non raggiorna ».
Io era ben del suo ammonir uso,
pur di non perder tempo, si che in quella
d«ntl «lift diy«na profondità doU« inoaratoro.
— 67. Morti U Mortt eoe Con tanta eoool-
lenza di aito enno condotto quelle figora,
che in tnelle dei morti appariTsno i caratteri
della morte e in quelle dei vivi g^ aspetti
deUa Tita, e in tatto poi la realtà era calta e
resa con singolaie maestria. — 68. qvaai'lo
eco. per tatto quello spedo ohe io percorsi
tenendo il -riso basso a rimirare quelle rap-
presentasioni Ufoxato, le dodici imaÌBrini di su-
perbia punita. Si noti ohe Danto imaglnò al-
temativamento istoriati nel manne ayrenip
menti della leggenda biblica (1. Lucifero,
8. Kembrot, 5. Sani, 7. Boboam, 9. Sennache-
Tib, 11. Oloferne) e ayyenimenti della leggen-
da classica (2. 1 Giganti, 4. Niobe, 6. Aracne,
8. Eiiflle, 10. Giro il grande, 12. Troia ed Dio).
— 70. Or iaperUts eoo. Blpeto più brere-
mento V apostrofe agli uomini superbi, già
fatta raccontando il suo incontro con i peni-
tonti di questo cerchio {Purg. z 121-129. —
71. nen chinate eoe non volgeto gli occhi
alla terra a yedere quanto sia fallace il cam-
mino che perooneto: vuol rimproyeraxe ^
uomini pe^hé non pensano agli esempi terri-
bili della superbia punita, i quali dovrebbero
rimoTerli dal Tìzio. — 78. Pi< era ecc. Già
noi avevamo percorso di quella via circolare
e già il sole aveva peroorso del suo oauìmino
una parto maggiore che non pensassi io, tutto
attento a riguardar quelle ilgare, allorchó
Virgilio mi ammoni d'aliaie il viso all'angelo
già appaiM verso di noi. — 75. PakImo aen
selelto; 1* animo mio, che tutto occupato
nella considerazione di quelli esempi di su-
perbia punita, non badava plii al cammino e
al tempo ohe trascorreva; ofr. Jhtrg. iv 1-16.
— 76. iBuaasI eoo. mi precedeva, sempre
attonto a ciò che i^pariva. — 78. non b pl<
ecc. hai considerato abbastanza cotesto ima-
gini; cfir. Virg. En^ vi 87 : « Non hoc ista
sibi tempns spectaoola posoit ». — 79. un an*
gèl eoe È il primo degli angeli custodi del
cerchi di purgatorio, e sto in basso della scala
ohe porto al secondo cerchio per togliere in
chi sale ogni avanzo del peccato della super-
bia : a Danto cancellerà dalla fhmto il primo
dei setto segni del peccato, impressivi dall'an-
gelo guardiano del purgatorio (cf^. A07. ee
112). — 80. vedi che tona ecc. vedi ohe
ormai sono passato sei ore di sole : Danto e
Virgilio, entrati nel regno della penitenza
circa alle ore nove e giunti al primo cerchio
alle died antimeridiane dell' 11 i^rile (cf^.
l\ffy. XX 44, X 13), si sono trattenuti nel
primo cerchio più di due ore ; si che al mo-
mento della loro salito al secondo è passato
già il meszodi di quel giorno : cfir. Moore,
p. 109. — 81. Paaeella sesta: cfr. Purg, xxn
118. — 83. sf che ecc. si che a lui piaccia di
lasciarci salire al secondo cerchio. — i i cfr.
Inf, n 17. — 84. queste 4f eco. il tempo ohe
fogge non ritoma mai più. •» 86. le era ecc.
Io era abituato agli ammonimenti di Virgilio
di non perdere inutilmento il tempo (cfr.
Purg, m 78), e però le sue parole non pote>
PURaATORIO - CANTO XH
367
87 materia non potea parlarmi cliiuso.
A noi venia la creatura bella
bianco vestita, e nella Deuicia quale
90 par tremolando mattutina stella.
Le braoda aperse, ed indi aperse Pale;
disse : « Venite, qui son presso i gradi,
93 ed agevolemente omai si sale >•
A questo invito vengon molto radi:
o gente umana per volar su nata,
96 perobé a poco vento cosi cadi?
Menocci ove la roccia era tagliata:
quivi mi battéo l'ale per la fronte,
99 poi mi promise sicura l' andata.
Come a man destra, per salire al monte,
dove siede la chiesa che soggioga
102 la ben guidata sopra Eubaconte,
si rompe del montar l'ardita foga,
per le scalee, che si fdro ad etade
Tino ritudraii «euro. — 87. ehl«fO t oeoa-
naeiite (cfir. Pùfr, xi 78): onde pariar» chktèo
disseco i contenponiiei di Dante une ma-
Bisn di poesiA ertìfldoeainente osonia (ofir.
VsL I 868). ~ 88. 1 nelTtnfe eoo. BeUis-
sima è qneeta fittola dell'angelo, la onl ilgora
il poeta, sema indogianl nei paitioolaii, ha
eòlta e iosa nsi tratti ptd essenxiaU, la bian-
chezza del Testimento e fl Tolto laminoso : è
deQ' arte grandissima il raocogliere oosf In
poche parole gli aspetti delle cose con qnsl-
l'efficada ohe non aTrebbero le più minute
desorizionL — 89. bUaee TetUtat come gi&
l'angelo nocchiero ( Aey. n 23), cosi l'angelo
dol primo cerchio è Tostlto di bianco a signi-
ficare la pnrezsa deQ'nmiltà, ohe in Ini è sim-
boleggiata. — 91. Le %raeela eoo. Aprendo
le braoda e le ali l'angelo manifesta a Dante
che la misericordia e la grazia del Signore lo
accolgono e lo dispongono a salire. •» 92. I
gradi : i gradini della scala ohe porta al se-
condo cerchio. ~ 98. eé ageroltaente eoo. e
agerde è la salita a ohi non sia oppresso dal
peso della snperUa. — 94. A. queste ecc.
Oneste parole, che rloordano l'erangelioo
(Matteo Txn 14) « MoUi son chiamati ma po-
chi eletti », e qn^e die segnono, rirolte agli
nomini ohe s'abbandonano ftusUmente ad atti
di sttperUa, formano tutte insieme un'apo-
strofo ohe Dante rivolge al Tiyenti peccatori,
come le altxe già incontrate nd tt. 70-72 di
questo canto e in Pwrg, x 121-129 : cosi ret-
tamente intesero gli antichi commentatori,
Lana, Benv., Bntl, An. fior. Primo il Land.
esBsrrò ohe e le parole di qnesto ternario pos-
sono essere et dell'angelo et del poeta » ; e
dietro alla sua ossemudone qoasi tatti 1 mo-
derni dal Lomb. allo Scart intesero ohe fos-
ser parole dell'angelo : il Blanc giustamente
ritiene erronea qnesf interpretazione, oonteo
la qnale sta 1* analogia dd pasd simili dd
fWy.xyS6, xm 47, zxz 48, zxxv 189, xxm
10, oragli angeli non dicono al Tidtatori altxe
parole che quelle dell'invito a oontlnnare il
lofo cammino. -* 96. a yeeo rcate : alla
tentazione della superbia, al desiderio della
gloria mondana che è im fiato di vetUo (fWy.
n 100). — 97. ève la reeda eco. oto la co-
sta laterale dd monte era tarlata a modo di
soda. — 98. Mi batttfe ecc. mi peroosse la
fronte con le sii, togUsndomi cosi il segno del
peccato della soperbla : ofr. tt. 18S-186. —
99. pei ni eco. poi mi asdonrd ohe la salita
d sard>be compiuta senza impedimenti. —
100. Cerne a Man destra eoo. Fìuragona la
soala dd seoondo oerddo alla via per eoi d
sde d Monte alle Orod presso Firense, la
qude ria d tempi di Dante d dividerà a un
certo punto in due e quella di destra aveva
ddle scdee ossia degli scaglioni di nutoigno
per rompere la rapidità della salita. — 101.
deve slede eoe sul Monte die Crod sorge
la chiesa di 8. Miniato a Monte, ohe domina
specialmente la parte di Firenze posta d di
sopra dd ponte di Bubaoonte, ora ponte alle
Grazie. — 102. la bea gvldata : Firenze,
cod mal governata dalle dgnoiie democra-
tiche (cfr. Purg, vi 127 e segg.). — Bnba-
eonte : il ponte Bubaoonte, cod detto per
Bubaoonte da Mandella podestà di Firenze,
nel 1287, d tempi dd qude fo incominciato
(O. VUlani, Or, vi 28). — 108. l'ardita
foga : l' eccessiva rapidità. — 104. per ie
scalèe ecc. per mezzo degli sosglioni di mad-
368
DIVINA COMMEDIA
105 ch'era sioaro il quaderno e la doga;
cosi 8* allenta la ripa che cade
quivi ben ratta dall' altro girone :
106 ma quinci e quindi l'alta pietra rada
Noi volgendo ivi le nostre persone,
€ Beati pauperes spirUu >, voci
111 cantaron si che no '1 dirla sermone.
Ahi! quanto son diversa quelle foci
dalle infernali; chó quivi per canti
114 s'entra, e là giù per lamenti feroci
Già montavam su per li scaglion santi,
ed esser mi parea troppo più lieve,
gno ohe ▼! si collocarono in tempi, nei quali
i capi del goTemo, iureoe di attendere a fikl-
saie le mittoze e le miaiife pdbtiliche, ooi»-
yano g^'intereni e il bene della dttadinanza.
— lOS. Il qvadene e 1* dogai la fiera al-
lofioneii riferìsoea due grandi firodi commee-
ae in Firenze ai tempi del poeta, Tona ddle
quali d raccontata da D. Compagni, Or, x 19,
e tutte due fono raccontate da due commen-
tatori antichi, l'Ott e l' An. fior. Quanto alla
ftode del ^mdmrr» nana il Compagni e con-
fermano i documenti (Del Lungo n 80-81),
che il podeità di Ilrenze Monflorito da Co-
derta tririglano, depoeto daU'ulBcio il 6 mag-
gio 1299 per eeaeni lasciato tiane dai pessimi
cittadini a Car e della ragione torto e del torto
ragione », messo ai tormenti confessò, tra gli
altri suol atti malTagl, d'avere in un proosiso
accolta una felsa tsetimonianga per assolTsre
messer Niccola Acciaioli; del che te fetto
nota negli atti del sindacato : pl6 tardi, l'Ac-
ciaioli sedendo tra i priori del bimestre 16 ago-
sto - 16 settembre 1299, consigliatosi con
Baldo d'Aguglione (cfr. Piar, zn 66), yoUe
distruggere il documento al quale era conse-
(piata la mem<Mia della falsa testimonianza
resa in suo fevore, e amilo il quaderno de-
gli atti del sindacato ne fece fasehiare quella
parte che poteva eesergU di danno: scoperto
il Tatto, l' Acciaioli fu preso e condannato e il
suo consigliatore Baldo d'Agu^^ne fuggi e
fu confinato per un anno. Quanto alla Ikode
della dogOf narrano Ott e An« fior, che ee-
seado messer Donato dai Chiaramontesi pre-
posto aU'offido del sale {emmrUnffo dM^cth
mtn dd aois dd Oommu di JItwmm), sdera
adoperare rictorsndo in eonsegna il sale uno
staio di giusta misura e nel distribuido al
popolo uno staio di misura ahsrata, al quale
aveva tolto una delle doghe, poiché eiano le
e stara fette a deghe di legname come bigoo-
doli > ; cosi e^ veniva a guadagnar laiga-
mente sulla misura ; ma scopezto V inganno
< te condannato et gravemente et vitupere-
volmente, onde poi i discendenti tuoi, che
sono antichi uomini, essendo loro ricordato
anosBono et vergognonsi; et ièesi di dò, in
lor veigògna, unacanzoncella che dicea: E^U
» tratta ma doga da mU Et gH u^ mm
luM «oMMi >; cfr. Pbr. SVI 106. — 106. «Mf
eco. permesso di aimiU gradini si addoldaoe
la salita rigida veiso il seooido oerohio. —
106. ma f ulne! ecc. se non che da una parte
e dall'alt» le parati latenU toccano quasi il
viandante, doè la scala è stretdasinia nel pur-
gatorio, mentre è assai più larga per salire a
San Miniato. — 109. Hot velgenda eoo. Men-
ile Dante • Virgilio s' iiM^Mamina^i^ f^ p^r
la salita, sentono oantan soavemente la prima
delle beatitudini erangeUche ossU il primo
degli insegnamenti che Cristo dòtte ai disce-
poli sulla beatitudine del suo regno (Matteo
v8: «Beati ipoveri in ii9ÌrUo,peroioodh6 il
regno de' deli d loro »): i* quale beatitudine,
secondo Tommaso d'Aquino, Summa, p. II, 2^,
qu. LXEc, art. 8, d riferisce al di^racao delle
rìodietze o a quello de^ onori, che d genera
dall'nmiltju — 110. veclt usando Dante il plu-
rale, parrebbe che egli avesse voluto tribuiie
questo canto a pid esseri; ma siccome in tutti
gli altri cerchi è sempre il solo angelo che
canta la beatitudine (ofir. Purg, xv 87, zvn 67,
zxz 49, zzn 4, zziv 161, xxvn 7), è rsgio-
nevole ammettere die anche nd primo le voci
alano dd solo angdo : né 11 plurale disdice
in questo caso, come non disdice in Virgilio,
Sa. I 64 : « Ad quem tum Inno supplex his
vodbus usa eet», e in Dante steeso, Purg,
xzn 6. — 111. nel dirfaecc; ofir. V. N. "r*^
98 : « Lingua no' è che dioer lo sapeaae > ; e
un rimatore antico (VaL I 260) s « Core nd
penseria né diria lingua». — 112. feds aper-
ture, aditi (cfr. Virg. JE!n. vi 201 : feuoea. . . .
Avemi »). — 118. f uItI per eantl eco. nd
purgatorio d passa da un oerohio all'altro ac-
compagnati da ddd canti, nell'infénio in?eoe
con fieri lamenti (ott, Mf, m 22, iv 26, v 25,
VI 19, vn 26 eoe). — 116. iMppe pld ecc. m-
sai ^ù leggiero al salire, ohe non fesd ststo
a camminare sul ripiano dd primo cerchio. —
PURGATORIO - CANTO XH 369
117 die per lo pian non mi parea davanti;
ond' io : € Maestro, di', qnal cosa greve
levata s'è da me, che nulla quasi
120 per me fatica andando si riceve ? »
Kispose: € Quando i P, che son rimasi
ancor nel volto tuo presso eh' estinti,
123 saranno, come Pun, del tutto rasi,
fien li tuoi piò dal buon voler si vinti
che non pur non fatica sentiranno,
126 ma fia diletto loro esser su pinti k
Allor fec'io, come color che vanno
con cosa in capo non da lor saputa,
129 se non che i cenni altrui suspicar fanno,
per che la mano ad accertar s' aiuta,
e cerca e trova, e quell'officio adempie
132 che non si può fornir per la veduta;
e con le dita della destra scempie
trovai pur sei le lettere, che incise
quel dalle chiavi a me sopra le tempie:
13G a che guardando il mio duca sorrise.
120. f«r Ht ffttlea eoe. non tento pid fatica chùuidoei A vede in fronte Io ooma : « Fal-
ndl'andAre. — 121. Qvuido eoe Quando i samqno in imagine credens Esse fidem, digi-
legni dei peccati, segnati sulla tua frontedal- tis ad frontem saepe relatis, Qae yidit teti-
l'sngelo goaxdiano {Purg. xx 112) e già quasi git >. — 1S8. t eoa le dita eoo. e allaigando
sranitl perché Tala dall'angelo ha oanoellato la mano e posando lo dita cosi disgiunte sulla
il segno della superbia, ohe è to radiM d'ogni ftonto, trorai ohe solamente sei etano rimaste
ftooaio {EBetst, z 16), saranno interamente delle sette lettere ohe l'angelo portiere avoya
qpenti, ta ti sentSiai spinto a salire, non pur descritte sulle mie tempie col puntone della
senza Iktioa alcuna, ma con tuo grande di- spada. — 186. a ehe gaardaade eoo. Vir-
letto (cfir. Pwg, zzm 121 e segg.). — 127. f^ vedendo l'atto di Dante, ohe s'era toc-
eeaie e^lor eoe Yenturi 285 : « La simUitu- cata la fronte per accertarsi del numero dello
dine, tratta dall'osserTazione di uno dei fatti lettere ohe ancor vi rimanevano, volle, pi&
più cornimi, dipinge con viva proprietà di pa- tosto che schernirlo dolcemente, còngratu-
role il dnbUo e l'accertamento ». » 129. s«* larsi seco che già avesse espiato U peggiore
splcar s ofr. htf, x 67. — 180. la waao eoe : di tutti i vizi, quello onde muovono gli altd
cosi Ovidio MtL XT 666, di Cipo che speo- che doveva espiare nsi cerchi superiori.
CANTO xni
Pervenuti al secondo cerchio, i due poeti sentono ignote voci che cele-
brano esempi di carità e poi vedono le anime degli invidiosi, che rivestiti
di vile cilicio e con gli occhi enei ti da nn filo di ferro stanno sedati intomo
alla costa del monte : tra essi incontrano la senese Sapia dei Saracini [11
aprile, prima ora circa dopo il mezzogiorno].
Noi eravamo al sommo della scala,
ove secondamente si risega
Xm 1. Koi eraTama ecc. Dante e Vlr- intomo a formare un' altra cornice o ripiano
gilio sono pervenuti alla sommità della scala, circolare, come il primo, ma di minor dianie*
là ove il monte del purgatorio si ristringe tro. — 2. secondamente : por la seconda volta*
Danrs U
370
DIVINA COMMEDIA
8 lo monte, che salendo altrui dismala:
ivi cosi una cornice lega
dintorno il poggio, come la primaia,
6 se non che Parco suo più tosto piega.
Ombra non gli ò né segno che si paia;
par si la ripa e par si la via schietta
9 col livido color della petraia.
« Se qui per domandar gente s'aspetta,
ragionava il poeta, io temo forse
12 ohe troppo avrà d'indugio nostra eletta >.
Poi fisamente al sole gli occhi pòrse;
fece del destro lato al mover centro
15 e la sinistra parte di sé torse.
€ 0 dolce lume, a cui fidanza i' entro
per lo nuovo cammin, tu ne conduci,
18 dicea, come condur si vuol quinc' entro.
Tu scaldi il mondo, tu sopr'esso luci;
scaltra ragione in contrario non pronta,
21 esser dèn sempre li tuoi raggi duci >.
— 8. ehe salendo eoo. ohe purifica dal male
• dal peccato ooloro die ri salgono. — 4.
eonlee t cfr. Purg, x 27. ~ 6. «ome Ia prl-
alla: eoo. della stessa fotnia e larghezza
della pxima (cfr. Pttrg. x 20). — 6. l*«reo
sio eoo. : essendo l cerchi del purgatorio con-
centrici, ò manifesto che via via che si sale
sono pii piccoli, e il loro raggio diventando
sempre minore, sarà sempre maggiore la cor-
Tatara. — 7. Ombra ecc. Dante vnol dire
che la via e la ripa della seconda oomloe gli
apparvero di pietra liscia, senza le Agore scol-
pite che aveva trovate nella prima (cfr. I\ay,
X 28 e segg., xn 16 e segg.) : ombra adonqoe
significherà, come spiega il Boti, figvn in
genere (cfr. Purg, xu 66) e ugnOf Parte di
qoeeta figora, doè la sooltora, come se di-
cesse: non V* appariva aloona iigora scolpita.
Male qoindi i commentatori moderni, seguendo
il Dan., distingoono imaglni dipinte (ombra)
e imagini scolpite («(^no), che a qoelle Dante
non poteva pensare poiché sol macigno non
si dipinge ; e peggio altri prend<mo ombra nel
senso di anima (Benv., Vent., Blane eoe) o in
qoollo proprio di loogo ombreggiato da alberi
(Lana, Ott eoe). — gli : cfr. Inf, xxra 64. —
8. par si eco. invece la ripa e la via appa-
rivano liscie e levigate (cfr. tehieUo in Inf,
xnx 6, Purg. i 96), mostrando solo il livido
colore del macigno. — 10. Se f ni ecc. Se ci
fermiamo ad aspettare le anime per chiedere
loro da qoal parte dobbiamo incamminarci per
trovare la scala, dobito che dovremo aspet-
tar molto. Virgilio, osserva il Tomm., < con
la ragione prevede ohe gì' invidi non devono,
come i soperbi, girare; perché T invidia ha
astio dell'andare altroi, ma non va». — 12.
■ostra eletta! la nostra scelta, la eleadone
che noi dobbiam fkre della strada. — IS. Pel
fisamente ecc. Virgilio, incerto del cammino,
si volge al sole fermandosi sol piede destro
e movendo la parte sinistra del soo ooq>o ;
cioè si volta a destra, daUa qoal parte, es-
sendo già passato U menoglomo (cfr. iVy.
XII 81), doveva essere U sole. — 16. 0 delee
lume ecc. Qoesf apostrofe di Virgilio al sole,
che a giodizio del Yent sarebbe empia nel
senso letterale e che perdo deve interpre-
tarsi allegorioamento prendendo il sole come
simbolo di Dio o della soa grazia (ofr. Par,
XXV 64), è ona natorale consegoenza doll'av-
vertimento dato ai doe visitatori del porga-
torio da Catone (Ikay, i 107) : < Lo sol vi
mostrerà... Prender lo monto a piA lieve sa-
lita > ; al qoale avvertimento richiamano le
parole di Virgilio a otti fidanxa «* eniro. —
20. s* altra ragteae ecc. se altra ragione
non d sollecita a mooveroi altrimenti, noi
dobbiamo sempre seguire la direzione dei tool
raggi : voci dire che devono camminare sem-
pre a deetra (ofr. iVy. xxn 128). — pr^ata :
il vb. jyrtmterv, parlandosi di movimenti del-
l'animo, significa disporre, stimolare; cfr.
F. N. xn 86, del ooore « die 'n voi servir
r ha pronto ogne penswo > e on rimatore
antico (D'Ano, l 606) : < Però se di pensieri
U cor mi pronta >: più fireqoento, in qoesto
senso, è il soo composto improtitaré (cfr.
PURGATORIO — CANTO XH!
371
Quanto di qna per un migliaio si conta,
tanto di là eravam noi già iti,
24 con poco tempo, per la voglia pronta;
e verso noi volar furon sentiti,
non però visti, spiriti, parlando
27 alla mensa d'amor cortesi inviti.
La prima voce che passò volando,
€ Vinum non habent >, altamente disse,
80 e retro a noi l'andò reiterando;
e prima che del tutto non s'udisse
per allungarsi, un' altra : € Io sono Oreste »
83 passò gridando, ed anco non s'affisse.
< 0, diss'io, padre, che voci son queste? >
e com'io domandava, ecco la terza
80 dicendo: « Amate da cui male aveste ».
E '1 buon maestro: € Questo cinghio sferza
la colpa dell'invidia, e però sono
89 tratte da amor le corde della ferza.
Lo fren vuol esser del contrario suono;
credo che l'udirai, per mio avviso,
42 prima che giunghi al passo del perdono:
ma ficca gli occhi per l'aer ben fiso,
e vedrai gente innanzi a noi sedersi.
A»y. xm 12B). — 22. Qiailt eoe Ato-
Tcmo già peroono mi secondo cerdiio ano
spazio che nel mondo sarobbe computato per
nn miglio (Ut. nniHaHmm), — 25. e Tene
eoe. Gli esempi dellA carità e qnelli della in-
Tidia ponita sono ricordati alle anime del
secondo oerdiio da voci di spiriti invisibili,
le quali trasoonono via per Taxia risonando
senza posa. — 27. alla Menta eoo. gP inviti
oorteai alla mensa d'amore sono gli esempi
della carità che traggono gii animi a questo
mite sentimento. ~ 28. La prima eco. U
primo esempio di carità ò quello della Ver-
gine Malia; la quale, secondo il racconto
evangelioo (GioviÀni n l-ll), trovandosi col
figlio alle noczé che si celebravano in Cana
ed essendosi accorta del vino che stava per
mancare, per carità ohe ebbe degli sposi disse
a OesA : « Non hanno vino » ; ed egli foco
il suo primo miracolo, per cui le pilo dell'ac-
qua si trovarono piene di vino. — 81. e prl-
Ma eoe. U secondo esempio, che risuona in-
nanzi ohe la prima voce si perda nella lon-
tananza, è quello dell'amicizia generosa di
Oreste, figlio di Agamennone e di Clìtonne-
■txa, e di PUade, fl^ di Strofto re della
Fodde ; dai quali raooonta la leggenda clas-
sSoa <^e, afEsrmaado Pilade di essere egli Ore-
ste, perché voleva morire in luogo dell'amico,
questi perseverò nel dichiarare d'essere Ore-
ste : generosa gara, della quale il motivo era
l'ardore della reciproca carità. Del fktto Danto
aveva notiria da Cicerone, De amioUia vii 24
e De finUmt v> 22 (< cum illa dicuntur : * Ego
sum Orestes ' »), e da Valerio Massimo, iv 7.
-- SS. aaco eco. anche questa non si fermò.
— 35. ecco la tersa ecc. n torzo esempio ò
quello della carità insegnata da Cristo agli
Apostoli col noto precetto evangelico (Matteo
V 44) : « Amate i vostri nemici, benedite co-
loro ohe vi maledicono, fate bene a coloro
che v'odiano, e pregate per coloro che vi
fanno torto e vi perseguitano ». — 87. Qne*
sto elag hlo eco. In questo cerchio le animo
si purgano della colpa dell' invidia ; e gli
esempi col quali si correggono sono tratti
dalla carità, che è la virtó contraria all' in-
vidia. — 39. le eorde della férza: le strì-
sce che formano la sferza (cfir. Inf, xvni 85),
cioò i mezri adoperati alla correrione, gli
esempi di carità che traggono a questo sen-
timento. — 40. IjO frea ecc. U ùreno deve
essere di snono contrario al pungolo, cioè gli
esempi di invidia punita devono essere ricor-
dati in suono di minaccia. — 41. eredo ecc.:
cfr. Purg, xiv 180 e segg. — 44. gente ecc.
Sono gl'invidiosi, assisi sul piano del cer-
chio, intomo alla ripa del monte alla quale
372
DIVINA COMMEDIA
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CO
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66
e ciascun è lungo la grotta assiso >.
Allora più che prima gli occhi apersi;
guarda' mi innanzi, e vidi ombre con manti
al color della pietra non diversi.
E poi che fummo un poco più avanti,
udì' gridar : < Maria, óra per noi >,
gridar Michele e Pietro e tutti i santi.
Non credo che per terra vada ancoi
uomo si diu'o, che non fosse punto
per compassion di quel ch'io vidi poi:
che, quand'io fui si presso di lor giunto
che gli atti loro a me venivan certi,
per gli occhi fili di grave dolor munto.
Di vii cilicio mi parean coperti,
e l'un sofferia l'altro con la spalla,
e tutti dalla ripa eran sofferti.
Cosi li ciechi, a cui la roba falla,
stanno ai perdoni a chieder lor bisogna,
e l'uno il capo sopra l'altro avvalla,
perché in altrui pietà tosto si pogna,
non pur per lo sonar delle parole,
ma per la vista che non meno agogna:
appoggiano Io spallo. — 46. grotto: cfir. Jn/l
zxi 110. — 47. ombre eoa maatl ooo. anime
riyoBtlto di manti del livido ooloio del maci-
gno (cfr. V. 9). — 60. «df' grldmr: gl'invi-
diosi cantano le litanie dei Santi, le quali
cominciano appunto con l'invocazione dello
tre persone divine, seguitano oon la triplioe
invocazione della Vergine: Saneta Maria,
ora ffro nobis; Saneta Dei gmUrix.,,; Saneta
Virgo virginunu,., oon quella dell'arcangelo
Hicliele e degli altri ordini celesti, oon quella
di san Pietro e degli altri apostoli, e via via
oon gli altd santi e sante, e si chiudono oon
la generica invocazione: Omnu Saneti et
Sanetat Dei^ intareedite prò nobis, — 62. ehi
per terra ecc. che al mondo vìva adesso un
uomo di cosi duro cuore, il quale non fosse
rimasto commosso alla vista dolorosa degl' in-
vidiosi. — aneol : oggi ; formazione (dal lat.
hane hodi» : cfir. Diez 17, 107, Zing. 144) viva
noi dialetti dell' Italia superiore, e ai tempi
di Dante anche in quelli di Toscana (cfir. Purg,
XX 70, xxxm 96) : si veda U Parodi, BuU.
m 133 e 145. — 66. ohe gU Atti eoo. che
distintamente vedevo la lor condizione e i
loro attL — 57. per gli occhi eoo. fui cosi
dolente, da dover versare lagrime di com-
passione. — 68. DI vii elllelo eco. GÌ' invi-
diosi erano ricoperti di vile cilicio, si appog-
giavano l'uno idle spalle dell'altro e tutti
insieme s'appoggiavano alla ripa. — cilicio:
Buti : « si fSft di setole di cavallo annodate, li
quali nodi pungono oontinuamento la carne,
et è fireddissimo a tenere indosso imperò che
ò fatto a mallia come la rete : e questo si
conviene a l'invidiosi che sono stati fireddi
de r amore del prossimo >. — 61. Cosi 11 de*
ehi ecc. Venturi 239 : « È similitudine di
ciechi con deohi, come spesso nel poeta:
nella quale i moti, l'atteggiamento e quasi
la parola è descritta oon tutta l' imitazione
del vero, senza per altro scendere alle ultime
minuzie o ad ignobili paxticolaii ». — a cai
la roba falla: ai quali ftanca ogni mezzo
per vivere, che sono povorL — 62. al per-
doni : innanzi alle chiese, nei giorni di feste
solenni o di straordinarie indulgenze: pèr-
dono e perdonanxa dissero gli antichi, pid
spesso di noi, le feste religiose, alle quali ac-
corrano le genti da luoghi vicini e da lontani,
per finire di particolari indulgenze concesse a
chi visiti in date occasioni certe determinate
chiese. — 63. e Tuie eco. Lana: e Li orbi,
che sono in istato di povertà, stanno alle
chiese e alle perdonanze, e domandano ele-
mosine, e molte fiate stuino travolti ed ap*
poggiati r uno all' altro, perohó di sua disoon-
cia vita e tenebrosa vegna alli uomini oom-
passione, e facdanli bene si per la veduta,
come per le parole umili e pietoee, con le
quali olii domandano ». — 66. eht non meno
agOfBft : che non chiede, non esigo minort
PURGATORIO - CANTO Xin 873
e come agli orbi non. approda il sole,
cosi all' ombre, là V io parlav' ora,
69 luce del ciel di sé largir non vuole;
che a tutte un fil di ferro il ciglio fora,
e cuce si, come a sparvier selvaggio
72 si £e^ però che queto non dimora.
A me pareva andando far^ oltraggio,
veggendo altrui, non essendo veduto:
75 per ch'io mi volsi al mio consiglio saggio.
Ben sapev'ei che volea dir lo muto;
e però non attese mia domanda,
78 ma disse : € Parla, e sii breve ed arguto ».
Virgilio mi venia da quella banda
della cornice, onde cader si puote,
81 perché da nulla sponda s'inghirlanda:
dall'altra parte m'eran le devote
ombre, che per l'orribile costura
84 premevan si che bagnavan le gote.
Yolsimi a loro, ed : € O gente sicura,
incominciai, di veder l'alto lume,
87 che il disio vostro solo ha in sua cura;
se tosto grazia risolva le schiume
di vostra coscienza, si che chiaro
pietà deUe parole. ~ 67. approda ; il vb. Dante sembrò qtiasi an oltraggio verso qaelle
approdam da alcani ò inteso qui nellu stesso anime l' andare per il oerohio senza dir loro
senso dì giovare che ha in Inf, xxi 78 (La- pnr nna parola, e si rivolse perciò a Virgilio,
na, Ott., Benv.% da altri invoce in quello quasi chiedendo col suo silenzio il permesso
di arrivare, pervenire (Buti, seguito da tutti di parlare. — 76. eoBslgllo saggio : sapiente
quasi i moderni) : che sembra essere il senso consigliere. — 76. ehe volea eoe. ohe cosa io
più conforme a quello delle parole che se- voleva dire, pur rimanendo silenzioso : cfr.
guono, ove ò detto che la luce della grazia Jnf, xvi 119 e segg. — 78. Parla eoe È,
divina non vuole lasciarsi vedere agi' invi- sotto altra forma, lo stesso avvertimento dato
diosi, sebbene non manchi a molti di loro il in Jnf, x 89. — 79. Virgilio eoo. I due poeti
beneficio di essa; tanto è vero che una parte camminavano sul ripiano del cerchio verso
degli invidiosi ò all' inferno (Jnf, vn 97), una la destra ; e Dante aveva alla sua sinistra le
parte nel purgatorio. — 68. là 'v*lo ecc. nel anime appoggiate alla riva, alla destra Vir>
luogo, del quale io ora pariavo. — 70. ft tutte gilio, il quale, come guida saggia, va sempre
ecc. agli invidiosi sono chiusi gli occhi, per della parte di fuori, perché il discepolo non
mezzo di una cucitura di filo di ferro, come cada gid dai cerchL — 81. da nulla ecc. non
à fa con un filo di refe agli sparvieri sei- ò circondata e difesa da alcuna sponda. —
vaggi, che altrimenti non si potrebbero ad- 83. ehe per l'orribile ecc. le quali attra-
domesticare. Buti : « l' invidiosi debbono te- verso all' orrìbile cucitura spingevano fuori
nere cuciti li occhi per non vedere quello che le lagrime, che scendevano poi sui loro visi.
lì debbia muovere ad invidia, infine a tanto — 86. l'alto lame eco. Dio, che è il solo
che non sono ben purgati del peccato ». — oggetto del vostro desiderio (cfr. Pwrg, v 67,
71. ei^arrler lelvagglo i è Io sparviero che, vn 26 ecc.). -- 88. te tolto ecc. Dante ri-
senza l'operazione della cigliatura, sarebbe peto agl'invidiosi con altre parole l'augurio
intollerante della vista dell' uomo e farebbe fatto da Virgilio ai superbi (JPurg, zi 37-39)
continui sforzi per ftiggire ; secondo la spie- e dice loro : Cosi la grazia divina presto pn-
gazione di Federico n, Do arU wnandi ii 46, rifichi la vostra coscienza da ogni macchia
citato opportunamente dal Torraca a illustra- di peccato, di modo che la vostra memoria
zione dei versi danteschL — 78. ▲ »e eoo. A non ne serbi più alcuna ricordanza, cioò voi
374
DIVINA COMMEDIA
90 per essa scenda della mente il fiume,
ditemi, che mi fia grazioso e caro,
s'anima ò qui tra toì che sia latina;
93 e forse a lei sarà buon, s'io l'apparo >.
€ 0 frate mio, ciascuna è cittadina
d'una vera città; ma tu vuoi dire,
96 che vivesse in Italia peregrina ».
Questo mi parve per risposta udire
più. innanzi alquanto ohe là dov'io stava;
99 ond'io mi feci ancor più là sentire.
Tra l'altre vidi un'ombra che aspettava
in vista; e se volesse alcun dir: € Come? >,
102 lo mento, a guisa d'orbo, in su levava.
€ Spirto, dlss' io, che per salir ti dome,
se tu se' quelli che mi rispondesti,
106 fammiti conto o per loco o per nome ».
€ l' fui sanese, rispose, e con questi
altri rimondo qui la vita ria,
108 lagrimando a colui, che sé ne presti
Savia non fui, awegna che Sapia
siato fatti degni di salir» al paradiso, ore le
colpe terrene non si affAcdano più agli spi-
riti beati se non come occasione ad ammi-
rare anche In esse 1* opera di Dio (cfir. Par,
IX 108-106). — 90. della veatt U flaae: U
corso della memoria, dalla quale le acque del
fiume Lete rimuovono il ricordo del peccati
iPurg, xxxin 91-96); cosi spiega il Blano,
contro r opinione di tutti i commentatori cho
per il fmm» della fnenU intendono ohi una
cosa, ohi r altra (la ragione umana, la luce
intellettuale, l' idea del bene, la rerìtà ecc.),
ma sempre pooo conyeniente alla forma £&n-
tastioa data qui da Dante al suo pensiero.
— 92. i*aBliiu ecc. : cfr. Jhf, xxii 65. —
93. i*ie l'apparo: se io vengo a saperlo,
se io la riconoBco. •> 94. 0 frftte ecc. Uno
spirito risponde da lontano a Dante, dicen-
dogli che tutte le anime dei penitenti appar-
tengono alla città celeste, cioè che non v' ò
nel purgatorio alcuna distinzione di patria,
e che perciò la domanda di lui deve inten-
dersi nel senso ch'el cerchi qualche anima
che passasse in Italia il breve tempo della
vita mondana, che ò come un esilio della pa-
txia celeste. — 96. vera elttà : quella di Dio,
la Gerusalemme celeste (<dr. Apooolme xxi
10-11, xxn 14; Paolo, Ep, agli Ebmii 10,
zìi 22, zm 14 ecc.). •— 96. peregrina : f^iori
della sua patria coleste; cfr. Fitrg, n 66. —
99. mi feci ecc. alzai la voce per esser sen-
tito da quell'anima, volendo chiederle chi
ella fosse o di che luogo (cfr. w. 108-105).
— 101. ìm Titta: cfr. ISirg. i 83. — e te
TOlesie ecc. e se alcuno mi chiedesse in qual
maniera un dece potesse dimostrare in vùta
di aspettare la risposta, direi ohe teneva le-
vato in su il mento, come iknno impunto i
ciechi che attendono. — 108. per salir eoe.
per salire al dolo stai espiando la tua colpa.
— 104. se ta occ cf^. w. 94-98. — 106.
I* fai saneae eco. L'anima che risponde a
Dante ò quella di una donna senese di nome
Sapia, d'incerta fiuniglia e moglie di Viviano
dei Saraoini signore di Gasti^ionoello presso
Montereggioni {Inf. xxn 40) : di lei sappiamo
che nel 1266 promosse la fondazione di un
ospizio per i viandanti, sulla strada fioren-
tina presso (^astigUoncello, e che nel 1269,
morto il marito, raccolse in sé per oessione
dei cognati i dMtti della famiglia sa cotesto
castello e li cedette a sua volta al comune
di Siena (Aquarone, DanUé m SimM^ pp. 126
e segg. ; Bepetti, I 691). Tutti i commenta-
tori affermano ohe Sapia fòsse invidiosissima
dei suoi oondttadini, o forse piA che di altri
di Provenzano Salvani Ikttod quasi signore
di Siena (cfr. Purg, zi 109), e che percid
desiderasse la sconfitta dd sened alla batta-
glia di Colle e tanta letizia prendesse della
strage dd sud (cf^. w. 116-123). — 107. ri-
monde ecc. purifico me dalle colpe tenone,
piangendo nel cospetto dd Signore afflnchó
egli ne conceda la beatitudine (cfìr. Par. i 22).
-- 109. Savia ■•■ fkil ecc. Dante d com-
piacque delle pi6 ingegnose speculazioni sul-
PURGATORIO - CANTO XIII
87B
fossi chiamata, e fui degli altriii danni
111 più lieta assai che di ventura mia;
e perché tu non credi eh* io t'inganni,
odi se fili, compio ti dico, folle.
114 Già discendendo l'arco de' miei anni,
eran li cittadin miei presso a Colle
in campo giunti coi loro avversari,
117 ed io pregava Dio di quel ch'ei volle.
Botti fClr quivi, e volti negli amari
passi di fuga, e veggendo la caccia,
120 letizia presi a tutte altre dispari;
tanto ch'io volsi in su l'ardita feuscia,
gridando a Dio : ' Omai più non ti temo ',
123 come fa il merlo per poca bonaccia.
Pace volli con Dio in su lo stremo'
della mia vita; ed ancor non sarebbe
126 lo mio dover per penitenza scemo,
se ciò non fosse che a memoria m'ebbe
Pier Pettinagno in sue sante orazioni.
l'iathno senso dei nomi personali (of^. F. N,
xzrv 16-29, Bv. xn 79-81X in relazione si
^eeetto sooisstico : Nomina tuni eonaeqttenHa
nrwm (F. N. xxn 15) ; era naturale qaindi
ch*ei zilevasse l'antitesi tra il nome deUa
donna senece e la soa poca saviezza; tanto
pi6 che ootali antitesi erano notate volentieri
da^ anti^, come prova 1* inscrizione sulla
tomba pisana di Beetrioe contessa di Toscana,
ove si legge : « Qoamvis peccatrìx snm domna
vocato Beatrix». — 114. Già diseeadeodo
eoe. avendo io oltrepassato già Tetà dei tren-
tacinque anni (cfir. Inf. i 1); che ò qnella
in coi ciascnno dovrebbe lasciarsi governare
dulia ragione più tosto che dalla passione*
— 115. 11 clttaAla miei eco. Nel 1269 i
senesi e ^ altri ghibellini toscani si recarono
a oste oontro la terra di Colle di Valdelsa,
che alcuni anni innanzi s* era data a Carlo I
d'Angiò ed era tennta allora dai fiorentini :
aooorsero col vicario angioino Giovanni Ber-
taod i guelfi fiorentini, e 1' 8 giugno di quello
stesso anno assalirono gli avversali e (dice
0. Villani, Or, vn 81) e come ardita e franca
gente, bene avventurosamente, come piacque
a Dio, mppono e soonflssono i sanasi e loro
amistà, ch'erano quasi due cotanti cavalieri
e popolo grandissimo, onde molti ne furono
morti e presi » : tra i morti ta Provenzano
Salvani. — 117. lo pregava ecc. io pregava
Dìo peroh6 1 senesi fossero sconfitti, come a
lui piacque ohe fossero. — 119. la eaeela:
la persecuzione, l'inseguimento dei fuggenti.
— 121. io volsi ecc. neir esultanza eh' io
provai per la sconfitta dei miei concittadini
levai arditamente la fiaccia al cielo, gridando
a Dio che liaoeese ormai di me ciò che gli
era a grado, dhó io non temevo pid la sua
ira, avendo ottenuto ciò ohe desiderava. —
123. eouie fa eoo. È antica credenza popo-
lare ohe il merlo al tempo della neve sia
molto dimesso e avvilito, ma ai primi segni
del buon tempo si rassicuri e dica : < Non ti
temo, domine, che uscito son del verno > :
cosi gli antichi. Lana, Ott., Benv., Buti,
An. fior. ; e la loro interpretazione ò confer-
mata dalla citazione, che del proverbio £a il
Sacchetti (nov. cxlix), e dal motto vivente
in Lombardia, ove di della marta sono detti
gli ultimi di gennaio. — 125. ed ancor ecc.
e non avrei ancora compiuta parte alcuna
della mia penitenza, ma sarei gid nell' anti-
purgatorio tra i negligenti, se a salire presto
in questo cerchio non m'avessero aiutata le
preghiere di un sant' uomo (cfr. Purg, iv 133).
— 128. Pier Pettinagno : Pietro da Campi,
castello del Chianti, vissuto lungamente in
Siena, ove faceva bottega di pettini che gli
dettero il sopranome di pettinagno o petti-
naio, e ove mori il 6 dicembre 1289, in con-
cetto di santità presso quella cittadinanza,
che lo fece tumulare in un nobilo sepolcro
eretto a pubbliche spese e lo veneto lunga-
mente come uno dei santi suoi protettori.
DoIIa sua leggenda ci ha conservato quosti
tratti l'An. fior. : e Andava a Pisa a compe-
rare pettini et comperavagli a dozzina; poi
che gli avea comperati, egli se ne venfa con
quosti pettini in sul ponte vecchio di Pisa
et sceglieva i pettini, et se ninno ve n' avei^
376
DIVINA COMMEDIA
129 a cui di me per cantate increbbe.
Ma tu chi Be', che nostre condizioni
vai domandando, e porti gli occhi sciolti,
132 si come io credo, e spirando ragioni? >
«Gli occhi, diss'io, mi fieno ancor qui tolti;
ma picciol tempo, che poca è l'offesa
135 fatta per esser con invidia volti.
Troppa è più la paura, ond'ò sospesa
l'anima mia, del tormento di sotto,
138 che già lo incarco di là giù mi pesa >.
Ed ella a me: « Chi t'ha dunque condotto
qua su tra noi, se giù ritornar credi? »
141 Ed io : € Costui eh' è meco, e non fa motto :
e vivo sono; e però mi richiedi,
spirito eletto, se tu vuoi ch'io mova
144 di là per te ancor li mortai piedi >.
€ Or questa è ad udir si cosa nuova,
rispose, che gran segno è che Dio t'ami;
147 però col prego tuo talor mi giova.
E cheggioti per quel che tu più brami,
se mai calchi la terra di Toscana,
160 che a' miei propinqui tu ben mi rinfami.
Tu li vedrai tra quella gente vana
èhe fosie fesso • non buono, egli 11 gittav»
in Amo. Fngli detto più Tolte : * Perché il
pettine aU léeeo e non cosi buono, egli pur
Tale qualche denaro, Tendilo per fesso ' :
Piero riapondea : * Io non Toglio che ninna
persona abbia da me mala mercatanda '. Qoan-
do Tedea andare Terono ooUa famiglia de* ret- <
tori alla giustizia, s' inginocchiaTa et dicoTa:
* Iddio, laudato sia tu, che m' hai guardato
da questo pericolo '. Et per cosi fatti modi
et simiglianti, 1 sanesi, èie sono gente molto
maraTigliosa, dioeano ch'egli fti santo, et per
santo U riputarono et adorarono ». •— 131. e
porti ecc. e non hai, come noi, gli occhi
cuciti : la qual cosa Sapia potoTa argomen-
tare dalle parole di Dante (tt. 85-93, 103-
106). — 183. Gli occhi ecc. Forse un giorno
dorrò anch'io espiare in questo cerchio il
peccato d'iuTidia, sebbene per poco tempo,
perché poco ho io inTÌdiato nel mondo. —
136. Troppa è pld ecc. Molto maggior paura
ho io della pona data allo anime nel primo
cerchio e già mi pare d'aTer indosso il masso,
onde ìtì sono caricati i superbi. La superbia
di Dante, fosse pure alterezza di nobile animo
o disdegno della Tiltà altrui, fu notata dai
suol più antichi biografi; G. Villani, Or, tx
186 : < Questo Dante per lo suo savore fa
fjquanto presuntuoso e schifo e isdegnoso, e
quasi, a guisa di filosofo mal gradoso, non
sapea oonTersare co' laid » ; e G. Bocc, Vita
di DanUt { 12 : e Fu il nostro poeta di animo
alto e disdegnoso molto... Molto, simigliant»-
mente, presunse di sé, né gli parre meno
Talere, secondo che li suoi contemporanei
rapportano, che e' Taleese », e già nel { 8
aTOTa scrìtto : e Vaghissimo fu e d* onore e
di pompa per aTrentura più che alla sua in-
clita Tirt6 non si sarebbe richiesto » : si noti
ohe tra le forme della superbia di Dante pone
l'ambizione e il desiderio della gloria (cfr.
Purg, XI 86-108). — 140. gltf: nel primo
cerchio ; Sapia non sa ancora che Dante sia
tìto e or ora se ne meraTìglierà. — 141.
Cosivi ecc. Virgilio. — 143. se tm raoi eoe.
se desideri che io ti procuri suffragi dai Ti-
Tenti. — 146. gran segno eco. il Tiaggio che
fai ò gran dimostrazione della grazia che Dio
conoode a te. — 160. tn ben wl rlnfkml :
tu faccia sapere che lo non sono dannata,
ma In luogo di salTazione (cfr. la preghiera
di Manfredi, Purg. m U7). — 161. Ta U re-
drai ecc. I miei propinqui appartengono alla
Tana cittadinanza senese, cosi facile a ten-
tare le più disperate imprese da aTer fiducia
nella prosperità del porto di Talamone, nel
quale perderà più speranza che non abbia
perduto in cercare l'acqua della Diana. -^
■pml^
PURGATORIO - CANTO XIH
377
154
cbe spera in Talamone, e perderagli
più di speranza che a trovar la Diana;
ma più vi perderanno gli ammiragli >.
gcito Taa»: efir. htf, xnz 122. — 162. eht
■fOTA eoe n cMtaUo • porto di Talamono
sol Tirreno, di fronte al Monto Aigentaro,
che nel sec xm erano proprietà della Badia di
San Salratore del Montamiata, fttrono acqui-
etati nel aettembre del 1803 dal comune di
Siena, il quale desideraya da molto tempo il
possesso di quel luogo, sia per Dune nn cen-
tro di difesa del territorio contro i turbolenti
feodatari della MaTenìma, sia per avere nno
scalo marittimo per i commerci della dttà.
I fiorentini, emnU dei senesi e nella politica
e nel commercio, dovettero assai per tempo
diffondere motti e fkoesie soli' acquisto di Ta-
laaone, come se per qoesto porto Siena vo-
lease contrastare a Pisa, a Oenora, a Vene-
sia il primato sol mare : e di questo senti-
mento, paramento fiorentino e goellò, sono
•00 le paiole derisorie che Danto metto in
bocca a Sepia, liMendole dire che i senesi
più arrebbero perduto in Talamone che nella
ricerca della Diana : che non fa Tero, perché,
almeno per qualche tempo, il luogo tu. risa-
nato e il porto ^profondito, e divento una
stazione marittima di qualche importanza,
tanto che nella seconda metà del secolo xiv i
fiorentini, avendo guerra coi pisani, si volsero
col loro commercio a Talamone e fecero patti
ooi seneei per regolare l' uso di questo porto
(efìr. Aquarone, DamU in 8i$na, pp. 67-71 ;
Bepetti,y 486-498; L. Bianchi, I porti detta
manmma mmm nell'^lfio^ dor, UaL, voL
X'XI) : poi tutto ricadde nell'abbandono (tstr,
Baasermann, p. 809). — 168. a trovar la
IMaaa : ta. una già credenza popolare in Sie-
na, nato forse dall' esistonza di profondissimi
poni, che nella città e nel torritorio scor-
resse un fiume sotterraneo, che ta chiamato
la Diana : a cercare il quale, secondo la te-
stimonianza degli antichi commentotori, molto
inutili spese con perdite di denaro e di uo-
mini avrebbe fatto il comune di Siena, sol-
lecito di procurare abbondanza di acque ai
cittadini e di ooUegare la dttà al mare con
una via sottorzanea. È manifesto che an-
che qui abbiamo, alterato dall' ironia fioren-
tina, un fatto semplicissimo ; e il fiotto che
in Siena, povera d'acqua,, si cercasse sempre
di mcoogliere e regolare quanto ne potevano
offrire le sorgenti del luogo, ta dai risenti-
menti municipali rappresentato come un vano
tentativo di rintracciare cosa impossibile (cfir.
Aquarone, Dante in Sima^ pp. 68-70 ; Bon^
doni, Tradixiom popokui dt, pp. 49-50 ; Baa-
sermann, pp. 807-806). — 164. aa pld vi
per4erauo eco. Benv. racconto che un se-
nese, assai studioso di Dante, gli affermò es-
sere questi ammtragìi certi uomini che per
guadagno prendevano a scavare un dato nu-
mero di pertiche o canne di terra (nei lavori
dell'acqua Diana) a un prezzo fisso e ohe
molti vi logorarono il proprio avere : dunque,
appaltetori che si rovinarono in tali lavori
di scavo; e cosi intondono anche Lana, Ott,
e altri. Ma Pietro di Danto, Bufi, Casa, e
quasi tetti i moderni prendono ammiragU nel
senso proprio di comandanti dell' armate na-
vale, che sarebbero morti in Talamone per il
cattivo aere, mentre assistevano ai lavori di
quel porto.
CANTO XIV
Dopo aver conversato con due romagnolii Gaido del Duca e Rinieri da
Calboli, intorno alle condizioni politiclie e \norali della Toscana e della
Romagna, i dne visitatori sentono gridare a voci ignote alcuni esempi dMn-
Tidia pnnita [11 aprile, yerso le ore tre pomeridiane].
€ Chi è costui che il nostro monte cerchia,
prima che morte gli abbia dato il volo,
8 ed apre gli occhi a sua voglia e coperchia ? »
XIV 1. Chi è eostai ecc. Dne romagnoli,
chinati l'uno verso l'altro alla destra di
Dante, avendo sentito ch'egli ha detto a
Sepia senese d'essere ancora vivo (Purg.
xm 142), si domandano meravigliati chi sia
mai il singolare visitatore; e prima Qnido
del Duca domanda al compagno : Chi ò co-
stai che gira intomo al monto del pargnto-
rìo prima d' esser morto e non ha impodi m,
come noi, il libero movimento degli ocelli?
— cerchia: gira intomo; cfr. Puty. n 4,
XIX 69, xxn 93, Ftir, xxi 26 ecc. — 8. ed
apre ecc.: Gaido sa ohe il visitatore non Iia
gli occhi cuciti, perché i' ha sentito diro a
;73
DIVINA COMMEDIA
12
16
« Non 80 chi sia ; ma so eh* ei non è solo :
domandai tu che più gli t' ayyicini,
e dolcemente, si che parli, accdlo ».
Cosi due spirti, l' uno all' altro chini,
ragionavan di me ivi a man dritta,
poi fèr li visi, per dirmi, supini;
e disse V uno : € O anima, che fìtta
nel corpo ancora, in vèr lo ciel ten vai,
per carità ne consola e ne ditta
onde vieni e chi sei; che tu ne fai
tanto maravigliar della tua grazia,
quanto vuol cosa che non fu più mal >.
Ed io : « Per mezza Toscana si spazia
un fiumicel che nasce in Falterona,
1
Sapfa e oonférmare dallo fieno Dante (Puiy.
XIII 131-138). » 4. Non •• eoe. Riniezi dA
Oalboli risponde di non sapere chi si» il vi-
sitatore, si d'arer sentito ch'egli non è solo;
infatti Danto parlando con Sapia ha accen-
nato Virgilio, dicendo (i^. zm Ul): < Co-
stai eh* ò meco e non £» motto ». — 6. t*ftT-
Tlelni : sei Ticino. — 6. • doleeatnto ecc.
e fagli cortese accoglienza si eh* egli s* in-
daca a parlare. — aeeftle : è forma contralta
per aeoogliht conforme a quella dell'/fi/', znn
18. •— 9. poi f Sr ecc. poi aliarono in sn i loro
volti, per parlarmi, facendo cosi l' atto pro-
prio dei ciechi che Toli^ono il disoorso ad al-
cuno (cfr. PuTff, mi 102). — 10. rnne: ò
Guido del Duca, nobile e raloroso nomo della
famiglia dei signori di Bertinoro (cfr. t. 112),
del quale gli antichi commentatori dicono
solo che fu. InTidiosissimo uomo; era giudice
in Bimini nel 1199, giurò nel 1202 una ces-
sione di beni alla chiesa di Barenna, segui
parto ghibellina coi TraTorsari e visse sino
verso il 1245. Su lui e gU altri ricordati in
questo canto vedasi il mio scrìtto, DanU e la
liomagnay nel Oiom, dantesco I 19 e sgg. —
12. ditta: il vb. dittare è il frequentativo di
dirOy invoco del quale l'usarono non di rado
gli antichi; p. es. Petrarca, canz. xv 6:
e Mi lascia in dubbio, si confuso ditta ». —
13. ta ■• fai eco. : ai penitonti appare straor-
dinaria la grazia conceduta a Danto di viag-
giare per il regno de' morti (cfr. I\erg, viii
66, SUI 146 ecc.). — 15. qaaato viol ecc.
quanto esige una cosa che finora non si
vide mai. — 16. Ed io ecc. Danto accenna
copertamento alla patria e al fiume che la
bagna, e cosi si apre la via all'invettiva che
seguita, posta in bocca a Guido, contro tutto
le regìoi^ e città di Toscana bagnato dal
fiume Amo. — Per messa Toscaaa ecc. G.
Villani, O. I 43 cosi descrìve il corso del-
l'Arno: e Questa provincia di Toscana ha più
fiumi : intra gU altri reale e maggiore il è il
nostro fiome d'Amo, il quale naso» di quella
medetiima montagna di FaltMona die nato»
il fiume del Tevere, che va a Boaa; e que-
sto fiume d'Amo corre quasi per lo messo di
Toeeana, scendendo per le montagne della
Vemia, ove il beato santo Fraiioeece féoe
eoa penitonzia e romitaggio, e poi passa per
la contrada di Casentino presso a Bibbiena a
pie di Poppi, e poi si rivolge verso levante
vegneado presso alla città di Arezso a tr«
miglia, e poi corre per lo nosizo Val d'Amo
di sopra, seendendo per lo acetro piaao, e
quasi passa per lo messo della noetia città
di Firenze. £ poi uscito, per cono del no-
stro piano passa tra Montelapo e (Capraia,
presso a Empoli, per la contrada di Greti e
di Val d'Amo di sotto, a pie di Fuceoohio;
e poi per lo contado di Lucca e di Pisa, rac-
cogliendo in sé molti fiumi, passando poi
quasi per mezzo la città di Fisa, ove assai
ò grosso, si che porta galee e groasi legni ;
e presso di Pisa a cinque miglia metto in
mare, e '1 suo corso ò di spazio di miglia
contovonti >. Si cfr. Bepetti, I 137-146, Bas-
semann, pp. 69-94 ; il quale rileva che la de-
scrizione dantesca del corso dell'Amo < sve-
glia piuttosto r idea che U poeta segua il
corso del fiume di luogo in luogo anziché
quella eh' egli lo osservi da un solo punto >.
— 17. flnmleel: cosi chiama l'Amo, pei^
ohe tale ò veramente nel suo principio, cui
qui il poeto aveva la mente. — la Falte-
roaa: il Monto Falterona, che soige nel-
l' Apennino toscano, fra la Toscana e la Bo-
magna, dà orìgine nel suo fianco meridio-
nale al fiume Amo, ed è uno dei centri oro-
grafici più importanti della catena apenninlca,
poiché da esso hanno il loro principio la ca-
tona secondarìa di Pratomagno (cfr. iWy. v
116) e i contraforti che vanno verso U set-
tontrìono a formare le valli del Bidente, del
PURGATORIO — CANTO XIV
379
18
21
24
30
33
e cento miglia di corso no '1 sazia.
Di sopr'esso redi' io questa persona;
dirvi ch'io sia, saria parlare indarno,
che il nome mio ancor molto non suona >.
< Se ben lo intendimento tuo accamo
con lo intelletto, allora mi rispose
quei che prima dicea, tu parli d' Amo ».
E l'altro disse a lui: € Perché nascose
questi il vocabol di quella riviera,
pur com'uom fa dell'orribili cose? >
E l'ombra, che di ciò domandata era,
si sdebitò eosi : € Non so, ma degno
ben ò che il nome di tal valle pèta:
che dal principio suo, dov'ò si pregno
l'alpestre monte, ond'è tronco Peloro,
che in pochi lochi passa oltra quel segno,
B«bU • del Montone (cfir. 3i/. xn 97) nella
BoBMignA toeouia : cfr. la nota al t. 81. —
19. DI ■•pr'tMe eeo. Da nna dttà poeta so
questo flome (cfr. Inf. xxm 94-95. — 21.
mmtwe aeite ecc.: infiattl nel IBOO Dante
potevm eaaer noto come troratore di rime
amorose, e non pid (c£r. Inf, i 87). È nota-
bile queste tratto di umiltà in ohi poo* anzi
(/Vry. zm 188 e segg.) si era oonfossato trop-
po pid snperbo ohe invidioao. — 22. Se ben
•oc Se con la mente ho bene penetrato il
tao concetto ecc. — 26. B Paltre eoe Bi-
niari da Calboli il meraTìglia cho Dante ab-
bia indicato l'Amo per meno d'una peritasi,
come se questo flnme fosse orribile cosa a ri-
cordale col sno proprio nome; e ne domanda
ragione al compagno. — 27. pnr cem* aem
fa eoo. eoa qoel modo di parlare, la droon-
looozione, ohe s* adopera solo a indicare le
ooeo orribili. — 28. E 1* ombra eco. Gnido
del Dnea risponde di non conoscere le ra-
gioni particolari per eoi il visitatore non ha
nominato rAmo, se ben sappia che U nome
di quella rslle d ben degno di perire. — 29.
al sdebitè eesf: dld questa risposta; poiché
chi è interrogato ha quasi il dorerò, il de-
bito di risponderò, e Guido dorerà compia-
cere Rinieri, che s* era poco prima ingegnato
di rispondere alla meglio a una sua interro-
gazione (cfr. VT. 4-6). — degno bea è ecc.:
di imprecazioni simili, oltre che nei classici,
Dante troraya eeempi frequenti anche nelle
scritture sacre; p. es.. Job zym 17 : e La lor
memoria perirà d' in sulla tana >; Sakn. csx
13 : € ^eno distrutti 1 suoi discendenti, sia
cancellato il lor nome nella seconda genera-
zione», eoe. — 81. dal prlnelple ecc. in tutta
la -raUo dell' Amo, dalla sorgente alla foce,
gK uomini sono cosi malragi ohe tengono
lontana da sé la yirtd come insidiosa nemico.
— dOT'è if pregno eoo. ove Valpettro monte,
V Apennino, la catena di montagne onde è
staccato il capo di Peloro, d cosi pngno che
in pochi altri punti della sua lunga eeten-
sione è pi6 pregno di quel che sia nella Falte-
rona. La difficoltà di questo passo sta nel
determinare U valore dell* aggettìvo pngno ;
e tre opinioni, su questo proposito, tengono
il campo. Secondo Benr., Pietro di Dante,
Buti, segniti da parecchi moderni, prtgm si-
gnifica otto (alcuni citano Lucano, Fan, n
897, che di una cima dell' Apennino dice :
e nuUoque a Tertioe teline Aitine itnhmmU »,
cfr. Moore I 240), ma a dò si oppone la geo-
grafia, essendo noto che moltissimi monti del-
l'Apennino sono più alti della Falterona (m.
1650). Secondo Land., seguito dalla maggior
parte dei moderni, jfregno A deve intendere
come riùoo di aeqw (cfr. Purg, ▼ 118, Piar.
z 68); ma anche a ciò contrasta la geografia,
perché dalla Falterona non scendono molte
acque e porerisslmi sono nei loro prinoipf,
oltre l'Amo, anche il Dioomano, il Babbi e
il Bidente ohe da quella montagna traggono
orìgine. Secondo il Cass. pregno vuol diro
€ grossum et amplum proptor annexionem
aliorum montium », doò accenna al fatto che
la Falterona ò uno dei principali centri oro-
grafici dell' Apennino, perché da essa si di-
ramano molte catene secondarie (cfr. la nota
al y. 17). Quest' ultima interpretazione, ac-
cettata dal Cam. e dallo Scart., ò la migliore,
cosi per la geografia come per la lingua. ~
82. end'è troaee Pelore: dal quale ò stac-
cato il capo di Peloro o del Faro (cfr. Par.
vm 68), nell' estremità orientale della Sici-
lia di fh>nte alla Calabria. È un accenno
alla tradizione, non smentita dalla geolo-
gia, che un tempo la Sicilia fosse congiunta
aU' Italia (cft. Virgilio, En. ni 414-419; Lu-
3S0
DIVINA COMMEDIA
infin là 've si rende per ristoro
di quel che il ciel della marina asciuga,
86 end' hanno i fiumi ciò che va con loro,
virtù cosi per nimica si fuga
da tutti, come biscia, o per sventura
89 del loco o per mal uso che li fruga ;
end' hanno si mutata lor natura
gli abitator della misera valle,
42 che par che Circe gli avesse in pastura.
Tra brutti porci, più degni di galle
che d'altro cibo fatto in uman uso,
45 dirizza prima il suo povero calle.
Botoli trova poi, venendo giuso,
ringhiosi più che non chiede lor possa,
48 e da lor, disdegnosa, torce il muso.
Yassi cadendo, e, quanto ella più ingrossa,
cano, Fbrs, n 437-438). — 84. là *t» il
rende eoo. là ore sbooca nel maxe Tiiieno.
Ant : < Per dire semplicemente infimo al
«10910, il poeta espone in questa tenina la
magniflca teoria, o meglio lo stupendo latto,
che il delo, mediante il calore che d com-
parte specialmente ool sole, £a evi^rare le
acqae dei mari ; i vapori acquei ricadono in
pioggia; le piogge alimentano i fiumi, o por-
gono loro Tacqua, la qualo è ciò che va con
essi ; e questi infine ia rendono al mare per
ristoro delle perdite fatte da lui con la eva-
porazione». — 88. o per irentara ecc. o
per infelicità del luogo che disponga natu-
ralmente gli uomini al malo, o por la cattiva
abitudine fatta al peccato la quale cod li ec-
dta a Aiggir la virtù. — 40. ond'haBBO ecc.
di modo che gli abitanti della valle dell'Amo
hanno ood mutata la lor natura umana che
sembrano diventati più tosto esseri bestiali,
come se fossero stati soggetti a Circe, la fa-
mosa maga ohe tramutava gli uomini in bmtL
— 42. Ciree : figlia del Sole e di Perse, di-
morava nd monte OiroeUo e per incantagioni
e veleni dava forme ferine agli uomini, cfr.
Virgilio, En, vn 10-20. — 43. Tra br«tti
perei eoe Da prima V Amo volge il suo
corso, scarso di acque, tra gli abitanti del-
l' alto Casentino, finché tra Pordano e Ro-
mena la sua valle va dilatandod in un dolce
pendio. Dante accenna in particolar modo ai
conti Guidi del ramo ghibellino di Bomena
e di PoTciano, forte castello quest' ultimo ai
piodi della Falterona (Bepetti IV 683), che
col suo nome di un fondo gentllido romano
gli ha suggerita l' imagine dei poroi, appli-
cata a quei dgnori. Questi, secondo gli an-
tichi commentatori, erano dati a sfrenate lus-
surie e alla vita più immonda; sf che il giu-
dizio di Dante avrebbe una ragione tutta
morale: ma pare assai più naturale, data
l'intonarione di questa invettiva, oh' esso sia
l'eoo di un risentimento politioo, perché quei
signori dd Casentino d opposero lungamente
al Comune di Firenze e non dutarono ab-
bastanza i Bianchi nei loro tentativi di ri-
tornare in patria. •— pie degni ecc. più de-
gni di ghiande ohe d'altro dbo oonveniente
a uomini. — 46. Botoli eoo. Poi continuando
a discendere per il Casentino verso mecBo>
giorno traverso d piani di Poppi, di Bib-
biena, di Chitignano e di Subbiano arriva
noi territorio d'Arezzo, e improvvisamente
cambiando di diredone d volge a ooddento
entrando nd Vd d'Amo superiore ; ood quasi
per disdegno torce il muso dagli aretini, che
Dante chiama bctoli raccogliendo anche qui
gì' improperi ohe i fiorentini gudfl amavano
di scagliare contro le dttadinance ghibelline
della Toscana. — 47. ringhiosi eoe, An. fior.:
e perché hanno maggiore l'animo che non a
richiode alla forza loro, et ancora perché è
scolpito nd segno loro : A eam» non magno
Moepe tsndur aipvr > ; e F. Sacchetti , consi-
gliando un fiorentino rettore in Arezzo {Ser-
matd eco. ed. Gigli, p. 180): < Gli uomini che
reggete forono sempre chiamati ean frotott, e
veramente cod sono, però che sanza intel-
letto sempre abaiano, s'è* loro signori non
gli battono; e per lo battere d rimangono
d' abbaiare, e dopo le battiture stanno sug-
getti con timore, e oon più amore ohe non
essendo battuti. ». Anche qui, oltre l' oppo-
sirione di Arezzo dttà ghibellina d gudfi-
smo di Firenze, Dante doveva avere presenti
alla mente le vane promesse di duto che gli
Aretini fecero d Bianchi. — 49. Tassi ca-
dendo eco. Continua procedendo sempre pi 6
a vdle per il paese di Laterina e poi in dì-
redone settentrionale da Montevarchi a Fon-
PURGATORIO - CANTO XIV
381
tanto più trova di can farsi lupi
51 la maledetta e sventurata fossa.
Discesa poi per più pelaghi cupi,
trova le volpi, si piene di froda
54 che non temono ingegno che le occupi.
Né lascerò di dir, perch* altri m*oda;
e buon sarà a costai, se ancor s*ammenta
57 di ciò, che vero spirto mi disnoda.
Io veggio tuo nipote, che diventa
taasisra nel Val d'Amo saperìore, riooTendo
alla destr» gli afflaenti che scendono dai monti
di Fratomagno e alla sinistra quelli ohe sooi^
nmo dai monti del Chianti, finché arricchito
delle aoqne della Siove Tolge di nnoro a oo-
cidento, yexBo Firenze. Cosi di mano in mano
che ingrossandosi si avridna a questa città,
l'Amo troTa sempre plA mutata la natura
de^ abitanti, tanto piA lupi quanto pid son
fiorantinL — 60. lipl i erxxmeamente si suole
spiegare questa denominazione applicata ai
fiorentini come se Dante li ritenesse domi-
nati più d* ogni altro popolo dall' ararizia
(efr. Inf, I 49) ; mentre inreoe si tratta dei
bipi eh» dormo guerra a Firenze (Air. xxv 6),
dei cittadini grandi e potenti e dei magnati
di contado, che la legislazione statutaria qua-
lifloaTa come hipi ra/pad^ perché avrersi al-
Tespanaione territoriale del Comune. — 62. Di-
setaa pel eco. Discendendo poi nel Val d'Amo
inferiore, oltrepassata la profonda foce della
Pietra Oolfolina entra nel basso letto della
pianura di Empoli e di Pisa, e trova nuova
natura di aUtaton, i pisani, tanto maliziosi e
astuti che non temono le frodi e gl'inganni al-
trui. — pelaghi enpl: profondi burroni, per i
quali icorre l'Amo dopo Signa, < con avvolgi-
menti che precludono sempre la visuale allo
sguardo e spezzano lo stretto corso del fiume »
(Bassermann, p. 78). — 63. trova le volpi:
anche qui Dante fSa suo un appellativo che
già la voce popolare riferiva ai cittadini di
Pisa, rappresentata specialmente dai guelfi
come una voì/pe^ animale di frode; perché,
dice il Lana, quel cittadini «sono uomini
viziosi, fraudolenti • ingannatori », e il Buti
stesso : < li pisani tono astuti, e con l'astuzia
pi6 che con la forza si rimediano dai loro vi-
cini ». — 64. temono eco. essendo essi mao-
stii d* inganni, non temono le frodi escogi-
tate da altri per sottometterli. — 66. Ré la-
scerò ecc. Guido del Dnca vuol parlare delle
tristizie commesse in Firenze da un nipote
del suo compagno Binlori: questa sua di-
chiarazione si può dunque intendere riferita
tanto a Binieri, che doveva sentir dispiacere
delle male opere di suo nipote, quanto a
Dante che poteva adontarsi o vergognarsi
delle discordie fiorentine; la prima spiega-
zione dà l'An. fior., la seconda danno Lana,
Benv., Buti, Dan., Vent, Blag. Tomm. In-
veoe altri commentatori dal Lomb. in poi ri-
forisoono ootosta dichiarazione alla presenza,
non del solo Dante, ma di Dante e Virgilio
insieme. Bisogna distinguere : fMrvA^oZH m'o-
da si riferisce senza dubbio a Binieri, come
se Guido dicesse : la presenza deUo zio non mi
impedisce U severo giudizio sul nipote ; e in-
vece buon torà a oosdit ecc. ò detto per Dante.
— 66. e buon sarà eco. e sarà utile a co-
stui, a Dante, se tornato in patria si ricor-
derà di old che per mia bocca rivela lo Spi-
rito Santo, facendomi predire le tristizie di
Fulderì da Calboli. — 66. s'aameata: cfr.
Pwg. xxv 22. — 68. Io veggio ecc. Ful-
derì da Calboli, nipote di Binieri (cfr. v. 88),
fu uno di quo! signori romagnoli ohe vissero
eserdtando podesterie ed offici nelle dttà rette
a comune : noi 1297 fu podestà a Milano, nel
1298 a Parma, nel 1306 a Modena donde fu
oacdato via, e nel 1809 capitano del popolo
in Bologna: ma ò pia famoso por la pode-
steria tenuta in Firenze nel primo e secondo
semestre del 1803, durante la quale si fece
docile frumento alle vendette della parte
Nera e continuatore delle persecuzioni ordi-
nate da Caute de' Gabrielli e da Gherardino
da Gambara, i due podestà dell' anno prece-
dente (cfr. Del Lungo I 621 e segg.). G. Vil-
lani, Or. vin 69 racconta : e Essendo fatto
podestà di Firenze Folderi da Calvoll di Bo-
magna, uomo feroce e orodele, a posta de' ca-
porali di parte Nera, i quali viveano in grande
gelosia perché sentivano molto possente in
Firenze la parte Bianca e ghlbeUhia, e gli u-
sdti scriveano tutto ài e trattavano con quegli
oh' erano loro amid rimasi in IHronze, il dotto
Folderi fece subitamente pigliare certi dtta-
dlni di parte bianca e ghibellini, dò furono
messer Bette Gherardini e Masino de' Caval-
canti, e Donato e Tegghia suo fhitello de' Fi-
niguerra da San Martino, e Nuodo Ooderino
de'Galigai, il quale era quasi uno mentecatto,
e Tignoso de' Maod, e a petizione di messec
Husciatto Franzed, eh' era de' signori della
terra, vollero essere pred certi caporali di
casa gli Abati suoi niòdd, 1 quali, sentendo
dò, si fuggirò e partirò di Firenze, e mai poi
non ne furono dttadini; e uno massaio delle
Calze fb de' presi. Opponendo loro ohe trat-
3S2 DIVINA COMMEDIA
caccìator di quei lupi, in sa la riva
€0 del fiero fiume, e tutti gli sgomenta.
Vende la carne loro, essendo viva;
poscia gli ancide come antica belva:
G3 molti di vita, e sé di pregio priva.
Sanguinoso esce della trista selva;
lasciala tal che di qui a mill'anni
G6 nello stato primalo non si rinselva >.
Come all'annunzio dei dogliosi danni
si turba il viso di colui che ascolta,
* Cd da qual che parte il periglio lo assanni;
cosi vid'io 1* altr' anima, che volta
stava ad udir, turbarsi e farsi trista,
72 poi ch'ebbe la parola a so raccolta.
Lo dir dell' una, e dell' altra la vista
mi te' voglioso di saper lor nomi,
75 e domanda ne fei con preghi mista;
per che lo spirto, che di pria parlòmi,
ricominciò: «Tu vuoi ch'io mi deduca
78 nel fare a te ciò, che tu far non vuòmi;
ma da che Dio in te vuol che traluca
tanta sua grazia, non ti sarò scarso :
81 però sappi ch'io son Qxiido del Duca.
Fu il sangue mio d'invidia si riarso
tarano tradimento nella cifctà oo' Bianchi osci- l' esseni latto piA profondo, per le persa-
ti, 0 oolpa 0 non oolpa, per martorio g^ fece cnzioni di Folcieri, il distaooo tra i Neri •
confessare che doreano tradire la tana, e i Bianchi, e impossibile quindi la loro rioon-
dare certe porte a' Bianchi e ghibolUni ; ma ciliazione, sebbene più volte di poi fosse len-
ii detto Tignoso de' Maoci per gravezza di tata. •— 67. Come all' aiBomzlo eoe Come
carni mori in sa la oolla. Tutti gli altri so- si turba colui che ascolta la predizione di ar-
pradettl presi g^ giudicò e fece loro tagliare venlmenti per lui dolorosi, cosi si turbò e
le teste; e tutti quegli di ossa gli Abati con- rattristò Binieri, appena ebbe inteso il di-
dannaie per ribolli e disfisre i loro beni: onde scorso del compagno : il turbamento di Ri-
grande turbaàone n* ebbe la dttà, e poi ne nieri è d' aver un nipote, ohe co* suoi atti
segui molti mali e scandali ». — 69. eaeelator doveva mostrani indegno dei virtuosi ante-
eco, persecutore dei cittadini grandi e ma- nati. — 69. da qval che eco. qualunque sia
gnati di parte bianca, ohe anch' essi erano la parte onde il pericolo lo stringe, gli so-
di quei hipi rapaei infesti al Comune. — 61. vrssta : il vb. a$9amtaré (cfr. Iitf. xxx. 29),
Tende la earae ecc.: accenna al fatto che per estensione di significato, qui vale strin-
Fulcieri si lasciò trascinare dai Neri alle gra- gore, sovrastare o simile. — 72. la i^arolat
vi condanne e n' ebbe in compenso la ricon- cf^. Inf. n 43. — 78. Lo dir dell' ann eoe.
ferma noli' ufficio per un altro semestre. — Le parole di Guido e il turbamento di Bi-
62. posola ecc. e qui allude ai tormenti, coi nieri. — 76. lo spirto ecc. Guido che per il
quali Fuloierl stradò i miseri cittadini, e pid primo aveva rivolto il discorso a Dante (clr.
particolarmente alla morte di Tignoso dei v. 10 e segg.). — 77. Ta Tmoi eco. Tu de-
Maod 0 al supplizio straziante e derisorio di Sideri che io m' induca a rivelare il mio nome
Donato Alberti p. Compagni, O. u 29-SOj. e non vuoi dirmi il tuo (cfr. v. 20); pure ti
— 64. Sanguinoso eoe Fulcieri depone il suo compiacerò per riguardo a Dio, elio ti ha
uffldo, avendo ancora le mani tinto nel san- concesso tanto della sua grazia da lasciarti
gue cittadino, o lascia la dttà in tale tristizia compiere un viaggio poi regni eterni. — 80.
che neppure un millennio basterà a rimet- non ti sarò scarso t ti sarò liberalo o laigo
terla nella condizione primitiva: accenna al- di risposta. — 82. Fn il sangm eoe Io ftii
PURGATORIO - CANTO XIV
883
che, se veduto avessi uom farsi lieto,
84 visto m'avresti di livore sparso.
Di mia semente cotal paglia mieto:
o gente umana, perché poni il core
87 là Ve mestier di consorto divieto?
Questi è Rinier, quest'ò il pregio e l'onore
della casa da Calboli, ove nullo
90 fatto s'è reda poi del suo valore.
E non pur lo suo sangue h fatto brullo,
tra il Po e il monte e la marina e il Reno,
98 del ben richiesto al vero ed al trastullo ;
che dentro a questi tannini è ripieno
di venenosi sterpi, si che tardi
96 per coltivare omai verrebber meno.
Ov'è il buon Lizio ed Arrigo Manardi,
per natura cosi inyldioeo ohe ia felicità altrui
flusolteTa odio nell' animo mio ; ofir. Orazio,
EjHmL I 2, 67 : < InTidoB eltetias macresoit
roboB oplmiB ». — 86. Di oda itnente eoe
In questa pena sto espiando le mie colpe
d* inTidia ; pensiero che Dante eeprime con
nn modo biblico risentito e reso eon stupenda
efflcada : cfir. Paolo, Ai Galati vi 8: « Oolni
che semina aUa soa cane mieterà daUa car-
ne oormzione », e Brootrbi xzn 8 : < Chi se-
mina iniquità mieterà vanità > eoo. — 86.
e fCBte eoe. 0 nomini, perché mai desi-
derato qnei beni per possedere i qnaU bi-
sogna spogliame il proesimo? Ricorda, nel
pensiero, le parole di Boezio, PkUo&oph, cot^
aoL n: < 0 angnstss inopeeqne divltias, qnas
non habere ploribas lioet, et ad qnemlibet
sino caeteromm panpertatom nonveniont».
— 87. di eeuorte dlvlelo : eeclnsione del
compagno, del proprio simile; oflr. I\tfff. tv
44-81, ore Danto propone e Virgilio risolve
nn dubbio intomo al significato di questo
parole. — 88. Qaestl à Blnler: il mio com-
pagno ò Binierì da CalbolL Questi fu uno dei
capi di parto guelftt e involto nelle lotto che
tmbaiwìo nel secolo zni la Bomagna: po-
destà in varie dttà deU' Italia centrale dal
1247 al 1292, mori nel 1296 in Ferii difen-
dendo la città contro i ghibellini. Gtddo era
stato ghibellino e vissuto nella prima metà
del secolo zm ; Binieri, guelfo e fiorito nella
seconda. Danto li riuni a oonversare, sebbene
di opposto fiutone e di generazioni diverse,
per queUo stseso oritorìo morale e artistico
per cui néDa valletto fiorito dell' antipurga-
torio accoppiò in amichevoli ooDoqui i prin-
cipi che più ilenunento si erano combattuti
r un r altro sulla terra (cfr. Aity. vn 91 e
segg.). — 89. ove nnUe eoe. nella quale funi-
glia nessuno ha ereditoto poi le sue virtù:
Danto, oltre ohe a ITulcieri, doveva pensare
anche a Franceeco da Calboli, capitano del po-
polo in Firenze nel 1807 al tompo degli ultimi
tentotivi fiitti dai Bianchi per ritornale in pa-
tria. — 91. E aea ^r eoe Né solamento la
casa dei signori di Calboli a' ò spogliato in
Bomagna delle virtù civili e cavalleresohe, ma
tutto quel paese è pieno di uomini viziosi.
— brullo: cfr. Inf. zzznr 60. — 92. tra 11
Pa eco. nella Bomagna, confinato a setten-
trione dal Po e a mezzogiorno dell' Apennino,
all' oriento dal Mare Adriatico e ad occidente
dal fiume Beno. — 98. del bea eoe deUe
virtù morali necessarie all'anima, e di quelle
necessarie alla vito pratica, cioè delle virtù
civili e eavallerssohe (cftr. Pturg. xvi 116). —
94. dentro a «sesti eoe U paeee compreso
tra questi confini è cosi pieno di storpi ve-
lenosi ohe, per quanto vi si lavorasse, non
sarebbe fiidle estirparli. Lana: e Quasi a dire :
le genti sono si piene di veleno di parto e
di malavoglienza e d'invidia, ohe indamo la-
vorerebbe chi li volesse raddurre alla diritto
e vertudiosa vito». — 97. il buea lizlot
Lido da Valbona, detto dal Lana e largo e
curiale nomo e di grande cortesia», fu un
gentiluomo di Bomagna, d' una funigUa di
feudatari ohe dominò le terre costituenti ora
il oomune di Bsgno. Benv. e Pietro di Danto
raccontano che, annunziatagU la morto di
un figlio di poca virtù, non si soomponesso
e dicesse di non averlo mai creduto vivo, e
l'Ott narra ohe per tàn un desinare ven-
detto una coltre di zendado. Lizio era nel
1260 ai servigi di Guido Novello podestà
di Firenze; segui parto guelfis e aiutò Bi-
nieri da Calboli contro i ghibellini di Ferii
e giurò eon lui una pace nel 1279. Ebbe due
figli, ohe morirono prima di luL — Arrigo
Maaardl : era di Bertinoro, prigioniero alla
battaglia di S. Varano nel 1170, vissuto al-
meno dno «1 1228 ; fti e savio, largo e pru-
384
DIVINA COMMEDIA.
99
102
106
Pier Traversaro e Guido di Carpigna?
O romagnoli tornati in bastardi!
Quando in Bologna un Fabbro ai ralligna?
quando in Faenza un Bernardin di Fosco,
verga gentil di picciola gramigna?
Non ti maravigliar, s'io piango, tòsco,
quando rimembro con Guido da Prata
Ugolin d'Aszo che vlvette nosco, ^
Federigo Tignoso e sua brigata,
dentiflsima penona >, secondo a Lana, 6 molto
amioo di Qaido del Duca, secondo Benr.; il
qnale taoconta òhe Qoido alla morte di Ar-
rigo « fecit secari lignnm per mediom, in quo
soliti entnt ambo sedere, asserena qnod non
remanaeiat alias similis in liberalitate et ho-
norificentia 9.-98. Pier TraTeraar« s fi
capo della famiglia ravennate dei TraTersari
e signore della dttà e contado di Bavenna
nella prima metà del seoolo zm; mori nel
1226, lasciando la signoria al figlio Paolo
morto poi nel 1240. — Childo 41 Carpigna :
figlio del conto Banieri di Gaipegna nel Mon-
tefeltro, fi gneiro e podestà di Bayenna nel
1261, alleato nel 1266 oon atta di Castello
per la guerra contro gli nomini della Massa
Traballa, e Tisse sin verso il 1289: 6 loda-
to dagli antichi commontatori per la libo-
raUtà e per l'altezza dell'anima. — 99. O
romagnoli eoe 0 romagnoli, tralignati dalle
antiche virtd e divenuti vili e malvagL —
100. Qiando U Bologna eoe Quando mai
in Bologna si avrà nn cittadino cosi vir-
tooso come Fabbro del Lambertazzi. La fa-
miglia Lambertazzi, d'origine fendale, ap-
pare delle principali di parte ^bellina in
Bologna snl principio del seoolo zm : da Bo-
nifiuio, podestà di Padova nel 1216 e capo
del crociati bolognesi a Damiata nel 1217,
naoqne alla fine del secolo zn Fabbro, ohe
snooedette al padre . nel goidaro la fuione
ghibellina, fa podestà più volte a Viterbo, a
Pistoia, a Pisa, a Faenza, e combattè contro
Modena e Bavenna: Fabbro mori nel 1269
e la saa morte fa il principio della decadenza
della parte ghibellina in Bologna (cfr. Q. Qtozr
zadini, DeUe torri gmHUxiCt oit. p. 828 e seg.).
— 101. qiando In Faenza ecc. Qoando in
Faenza si avrà nn cittadino come Bernardino
di Fosco, che sebbene fosse d'amile origine
por fti nobilissimo nomo? Bernardo di Fceoo,
e uomo di piccola condizione > secondo il
Lana, e figlio di an lavoratore di terra se*
oondo l' Ott, per le sae virtd divenne ano
dei primi cittadini di Faenza, che difese nel
1240 contro Federico n, e fti podestà in Pisa
nel 1248, in Siena nel 1249. Della sna libe-
ralità racconta l' An. fior. : e Fa questi nato
di piccola gente et fa cittadino di Faenza,
grandissimo ricco nomo, et tenea molti ca-
valli et molti famigli, et avea imposto a' fa-
migli snoi che chianqne chiedesse veruno
de' cavalli suol, che a tatti gli dessero. Av-
venne che un ài, volendo costui cavalcare
a' suol luoghi, comandò a' ftunigli che ISaoee-
sono porre la sella a' cavalli: fagli detto
ohe tutti crono prestati: mandò richeggendo
de* cavalli de' cittadini, et perché erono in
diverse faccende aoperati, veruno ne potò
avere. Chiama uno suo famiglio, et fassi
recare uno libro por giurare: il famiglio,
che 11 oonosoea cortese, perché egli non giu-
rasse cosa ch'egli s'avesse a pentere, cre-
dendo òhe del caso fosse irato, non gliela
volea recare : noli' ultimo, avendogli recato
il libro, giurò che mal ninno cavallo g^ sa-
rebbe ddcsto, quantunque egli n' avesse bi-
sogno, ch'egli non prestasse, però ch'egli
avea provato quanto altri avea caro d'esser-
gli prestati quando altri n' avea Usogno >.
— lOB. Non ti ecc. Tu che sei toscano non
devi meravigliarti che lo ricordi tra I vir-
tuosi uomini vissuti in Bomagna anche Ugo-
Uno di Azze, che di famiglia fu toscano. —
104. Guido da Praia t valoroso e virtuoso
uomo della torra di Prata, nel piano di Bo-
magno ; è ricordato in un documento del 1184
e fu presente a un consiglio in Bavenna nel
1228. — 106. VgoUn d*Aszo: secondo al-
cuni fu il rappresentante di Faenza alla pace
di Gostanza nel 1186 ; meglio, secondo altri,
Ugolino d'Azio degli XTbaldini, della celebre
famiglia toscana (cfir. Inf, x 120 ISurg. zziv
29), vissuto per lo più nei castelli che I suoi
p(»Bedevano in Bomagna e morto nd 1298.
— che vlvette eoe Dante sapeva bene come
e quanto Intimamente quei signorotti dell' A-
pennlno toscano fossero legati d' interessi
domestici e politici con I signori e I comuni
di Bomagna, e volle consacrare in un mezzo
verso il ricordo di ootall legami. — 106.
Federigo Tignoso : riminese < nobile e co-
stumato >, dice il Lana; la saa casa, aggiun-
ge Benv., e erat domicilium liberalitatia, nul-
lo honesto dansa; conversabatur laete cum
omnibus bonis, ideo Dantes desoribit ipsum
a societate sua, quo erat tota laudabilis > :
cf^. A. Brìgidi, Fs<Ur, Tiffnoao • la sua bH^
PURGATORIO - CANTO XIV
385
la casa Traversara e gli Anastagi
106 (e l'una gente e l'altra è dìredata),
le donne e i cavalier, gli affanni e gli agi,
che ne invogliava amore e cortesìa,
111 là dove i cor son fatti si malvagL
O Brettinoro, ohe non fuggi via,
poi che gita se n* è la tua &miglia
114 e molta gente per non esser ria?
Ben & Bagnaoaval, che non rifiglia,
e mal & Gastrocaro, e peggio Conio,
117 che di figliar tai conti più s'impiglia.
Ben faranno i Pagan, da che il demonio
lor sen gira; ma non però che puro
120 giammai rimanga d'essi testimonio.
O Ugolin de' Fantolin, sicuro
è il nome tuo, da che più non s' aspetta
123 chi £bu: lo possa tralignando oscuro.
Ma va via, tòsco, omai, eh' or mi diletta
seoolo zn. — 116. Bei fa BftfHM*T»l eoo.
BagnacaTallo, piccola dttà della pianura ro-
magnola, tra Logo e Ravenna, era signoreg-
giata nel seoolo zm dai conti Kalvioini : que-
sta stirpe potente in Bomagna per tre secoli
si era nel IdOO ridotta a tre donne, Bengar-
da, Idana e Caterina, qneet'nltima moglie di
Gnido Novello da Polenta. — 116. e mal fli
eoo. Oastrooaro, terra della valle del Montone,
e Gonio, castello nelle vicinanze di Imola, eb-
bero nel seoolo zm propri signori col tìtolo
di aontì; i qnali al tempo di Dante erano
crescintì di nomerò, ma degeneri dagli avi,
stati illustri per Uberalità e cortesia. — 118.
Ben faraaao eoo. La famiglia Pagani di
Faenza sarà in miglior condizione, quando
sarà morto Maghinardo (cfr. Inf, zzvn 49),
chiamato dmwnio, secondo Beny., perché fa
il più astato e sagace degli oominL — 119.
ma BOB però eoo. sebbene resterà por sem-
pre in qaesta Diuniglia qualche macchia ohe
n' offènda il nome. — 121. O Ugolln ecc.
Ugolino dei Fantolini faentino, detto dal
Lana e valorosa, virtodiosa e nobile perso-
na», fti signore di parecchi castelli in vai
di Lamone e di terre nella pianura bagnata
dal Senio ; fu imparentato coi signori di Oal-
boli, di Montefeltro e di Bomena, e parte-
cipe a molte delle lotte che agitarono la Bo-
magna ; ebbe due figli che nel 1900 già erano
morti, ed egli mori nella strage dei guelfi a
Forlì nel 1282 (cft. Inf. zzvn 43). — 124.
Ha va via eoo. Bloordando le spente vlrtd
dei suoi compaeeani e considerando la pre-
sonte decadenza morale e civile della Boma-
gna, Guido del Duca interrompe il suo di-
scorso: tanto piti ch'egli sente di dovere
25
patOf Boma, 1858. — 107. la eaia ecc.:
f aroiio i Traversari e gli Anastagi due prin-
etpalissiaie Huniglie di Bavenna, in grande
splendore nel Bee<do zm, ma già al tempi
di Dante tatf e due decadute; ond'egli le
dioe MredatB, do» sensa eredi delle virtd de-
gli ari eome spiegò Q Lana, o meglio senza
disoendeatt, ossia del tutto spente, come
spiegò Benv. — 108. le dOBBS eoe accenna
in complesso i^ virtd cavalleresche delle
antlohe case romagnole, neUe quali l' ideale
eroioo era temperato dallo spirito delle ar-
ventnr» d'amore: di ohe una imagine viva,
sebbene tardiva, abbiamo nella novella boo-
caooesca, Dto, g. v n. 8, di Nastagio degli
Onesti innamorato della figliuola di Paolo
Trareraari. — 111. là dove eoe in quello
steseo paese di Bomagna, ove ora gli animi
sono vòlti alla cupidigia dell' avere e della
BigBoila (ofir. Inf, zzvn 87 e segg.). — 112.
O BretUaero eoo. Bertinoro 6 una piccola
città tra Ferii e Cesena, die nel medioero
tu. sede di signori famod per la loro liberar
Utà; e tra 8^ altri ddla famiglia Mainardi,
die, dioe l' Ott e crono tanto cortesi, che
r uno a;vea invidia dell'altro ohi facesse più
oorteefa, et ndl' ultimo fedone Ikre campa-
nelle a' palagi loro in so la piazza, et qua-
famqoe forestieri vi capitava, dov'egli legara
11 cavallo quivi gli conveniva albergare».
Dante allude alle gare che turbarono Berti-
noro dal 1296 in poi, ma non è ben certo se
nella famSgUa die ss n'à gita dano da rlco-
noeeere 1 Mainardi, o plA genericamente quel-
la fecola iodetà cavaUereeca formatad in
Bertfnoio Intorno alla femlglia dd Oaval-
II, signori dd loogo sino alla fine dd
DÀtTTM
386
DIVINA COMMEDIA
troppo di pianger più che di parlare,
12G si m'ha nostra ragion la mente stretta ».
Noi sapevam che quelP anime care
ci sentivano andar; però tacendo
129 facevan noi del cammin confidare.
Poi fummo fatti soli procedendo,
folgore parve, quando l'aer fende,
182 voce che giunse d'incontra, dicendo:
« Andderammi qualunque m' apprende » ;
e fuggi, come tuon che si dilegua,
185 se subito la nuvola scoscende.
Come da lei l'udir nostro ebbe tregua,
ed ecco l'altra con si gran fracasso
188 che somigliò tuonar che tosto segua:
€ Io sono Aglauro che divenni sasso »;
ed allor per ristringermi al poeta,
141 indietro feci e non innanzi il passo.
Già era V aura d' ogni parte queta,
ed ei mi disse : « Quel fu il duro camo,
attondore più tosto ali* open dell'espiazione
ohe alle oonyersazioni; perciò lioenzia Dante.
~ 126. BOitra ragtoa : U nostro ragiona-
mento, il nostro conyersare : ofir. Inf, xi 88,
Purg. xml 12 eco. — la oMate eoo. Vìig.,
JBfn. TX 292: < Atqne animom patrìae stzinxit
pietatis imago >. — 127. Noi laperam eoo.
Si rioordi che Gnido del Dnoa ha domandato
chi sia colai ohe eerehfa il monte (t. 1) : dun-
que le anime sanno qoal sia il cammino dei
dne yisitatoii, i quali dal silenzio di eeae ar-
gomentano di essere sulla buona via per
giunger presto alla scala. — 180. Poi fkmHO
eoo. Appena Dante e Virgilio si sono allon-
tanati dal luogo degli invidiosi, ricominciano
a risonare per aria le Tod ammonitrioi : se
non òhe, mentre quelle di prima aveyano ce-
lebrato esempi di carità (cfr. I\frg, zm 26 e
MSSO» ^QABte gridano esempi d' invidia pu-
nita. — 181. folgore parve eoo. risonò di
contro a noi una voce con l'intensità di suono
propria della folgore. — 183. Aneiderammi
ecc. n primo esempio d* invidia ò quello di
Caino, il quale, dopo avere uooiso il fratello
Abole per invìdia, al Signore ohe l' aveva
maledetto disse (Cfenui nr 14): e Ecco, tu
m*hal oggi cacciato d'in sulla ùmAa della
terra, ed io sarò nascosto dal tuo cospetto,
e sarò vagabondo, ed errante nella terra; ed
avverrà che chiunque mi troverà m'ucci-
derà >. Queste ultime parole sono parafrasate
da Dante, sul testo della vulgata: Omni* q%d
kimnerit «m, oeeidd m§ (cfr. Koore, I 40);
cosi che manifestamente il vb. apprmdtn si-
gnifica tiovarii zioonoicera. ^ 134. «tme
tuon eoo. Lomb. : e Pare che supponga con
Lucrezio (De rtnm noL lib. vni 197 e segg.)
essere i tuoni venti che, * magno indignantor
murmurc dausi Nubibos, in caveisque fera-
rum more minantur: Nuno hino, nuno <iiW
fremitos per nubila mittunt, Quaerenteaque
viam droumversantor ' ; e ohe peiciò il su-
bito ditegtiarH del tuono, doò il trasoorreze
dello strepito che il tuono fa, avvenga dal
subito aootoirubr», squarciale il vento la nu-
vola ohe lo inchiude, e dalla m^flaim»^ allon-
tanarsi >. — 186. Come da Iti eoo. Appena
la prima voce si fa dileguata, un'altra risonò
anch'elsa rumorosamente come il fracasso
dd tuono die tien dietro allo schianto del
frdmine. Bigoardo alla costruzione eom$dM
M.... ed ecoo, si noti die non è già una irre-
golarità, ma una maniera frequente per espri-
mere la immediata continuità di due azionL
— 189. Io sono Aglauro eoo. Il secondo
esempio d'invidia 6 quello di AgÌMnio, figlia,
di Cecrope re di Atene, la quale si oppose a
Mercurio, che voleva entrare da Erte sorella
di lei, e i^ dal dio convertita in sasso (Ovidio,
Metam. ii 706-832). — 140. ed aUer eoe
Danto, spaventato da queste vod tembilmen*
te risonanti per l' aria dd purgatorio, retro-
cede per istzìngerd a Virgilio, alla sua guida,
che subito gli porge spiegadone delle vod
stosse. — 148. <{ael tm ecc. Queste vod gri-
danti esempi d'invidia punita sono il freno che
dovrebbe trattener l'uomo dal porre la mente
al bene altruL — eaao : è la muaeroda o
freno, già accennato in Purg. xm 40; e l'oso
della voce camo fa certo suggerita dalla vul-
PURGATORIO - CANTO XIV
387
144 che doyria Pnom tener dentro a sua meta.
Ma voi prendete Pésca si che l'amo
dell'antico avversare a sé vi tira;
147 e però poco vai freno o richiamo.
Chiamavi il cielo, e intomo vi si gira,
mostrandovi le sue bellezze eteme,
e l'occhio vostro pure a terra mira; .
151 onde vi batte chi tutto disceme ».
gsta UbUca, Sakn. zxn 9: «In oamo et
fraeno «m^t^^^— eonun oonstziiige) q;ai non
^f^oximaat ad te > (ofir. Moore, I 60). —
146. Ma Tel eoe. Voi, o uomini, vi lasdate
ingannale dall' allettamento dei beni mondani
(éaoa)^ ohe è Q mezzo (oHnd) onde il diarolo
T* attrae a e6, goUe vie del peocato. — 146.
aatloo aTTtraaro: ofr. Pi/trg, vin 95, xi 20.
— 147. freno e rleldam* : gli eeempl del
tìsIo pulito o quelli della rirtd premiata. —
148. CUmmtI eoo. H cielo vi chiama a sé
• ruota eopra di tqI moetiandoTi g^ astri,
die neUa loxo eterna beUeoa attestano e ce-
lebrano Dio creatore. — 148. beUezge eterne :
sono le stelle, dette anche in Inf. 1 40, zxzzy
186 le 0OS0 Ml8 del delo. — 160. e Poechlo
eoo. e la vostra mente è rivolta solo alle cose
mondane: ofir. Oom, m 6: «0 inefbibile sa-
pienza ohe oosf ordinasti, quanto è povera la
nostra mente a te comprendere I E voi a cui
utilità e diletto io scrivo, in quanta oeohità
vivete, non levando gli occhi suso a queste
cose, tenenddi fissi nel fango della vostra
stoltezza I > — 161. onde vi batte eco. per
dò vi punisce quel Dio ohe tutto oonosoe.
CANTO XV
Arriyati alla scala del terzo cerchio, i due poeti alP invito delP angelo
incominciano a salire, ragionando intomo alla distribnzione dei beni, e per-
vengono sul ripiano snperiore : qnivi a Dante appariscono in visione esempi
di mansaetndine, finclié egli e Virgilio sono avvolti entro a nn forno den-
sissimo [11 aprile, dopo le tre pomeridiane].
Quanto tra l'ultimar dell'ora terza
e il princìpio del di par della spera,
B ohe sempre a guisa di &nciullo scherza,
tanto pareva già in vèr la sera
essere al sol del suo corso rimase:
6 vespero là, e qui mezza notte era.
XY 1. Quanto tra P ulttaar eco. Dante
• Virgilio sono entrati nel secondo cerchio
tra il meoodf e Tuna ora pomeridiana dell* 11
aprile (ofr. Puifg, zn 80), vi si sono fermati
press* a poco quanto nel primo, oioò più di
due ore: cosi ohe in questo momento sono
le tre pomeridiane di quel giorno. H poeta
determina quest'ora dicendo ohe il sole do-
veva percorrere anoora, prima di giungere
al tramonto, un arco ddl* eolittioa uguale a
quello che peroone dal momento ohe sorge
ano al finire della tene ora di giorno, doò
che mancavano tante ore al tramonto quante
sono dalla prima alla terza ora del mattino
(cfr. DeUa Valle, Senao geogr, a$tr, pp. 46 e
legf. ; Moove, pp. 78 e 109% — 2. spera,
die itflipre eoo. : è la sfera o oielo del sole,
nella quale è 1* eolittioa percorsa da quost* a-
stro nel suo apparente movimento diurno;
paragonata por il suo movimento continuato
col fanciullo, òhe schoRando non si ferma
mai un momento, o, come dice Orazio, An
poeL 160, cmutatnr in horts *. La similitu-
dine non è oerto delle pid felici, ma nò pare
ò fialsa come parve ad alcuno, poiché della
sfera e del fanciullo sono messe a confronto
le condirioni di mobilità, che sono per queUa
dipendenti da una legge naturale, per questo
dalla sua naturale vivacità. — 6. vespere là
ecc. : al purgatorio era già inoomindata l'ul-
tima parte del giorno {vespero è il tempo dal-
l'uttimar (Mi' oro nona, tre pomeridiane, al
388
DIVINA COMMEDIA
e ì raggi ne ferian per meszo il naso,
perché per noi girato era 8i il monte
9 ohe già dritti andavamo in vèr l'occaso,
qnand'io senti* a me gravar la fronte
allo splendore assai più che di prima,
12 e stupor m*eran le cose non conte;
. ond*io levai le mani in v6r la cima
delle mie ciglia, e fecimi il solecchio,
15 ch'ò del soperchio visìbile lima.
Come quando dall'acqua o dallo specchio
salta lo raggio all'opposìta parte,
18 salendo su per lo modo parecchio
a quel che scende, e tanto si d^arte
dal cader della pietra in egual tratta,
21 si come mostra esperienza ed arte;
cosi mi parve da luce rifratta
tramontale del sole), e qui in Italia ent già
la mezzanotte. Abbiamo altri Inoghl ore Dante
detennina il tempo in maniera uialogs a qoe-
8ta (ofr. la nota al Purg, ce 1), mettendo in
contnposto Torà del pxugatorio con la cor-
lispondente d'Italia: se al pnigatorlo erano
le tre pomeridiane, a Qenisalemme erano le
tre antimeridiane ; e se in Italia era la mez-
zanotte, questa penisola deve essere a 46
gradi di latitudine ooddentale da (Hrosa-
lemme (cfr. Parg. xx 2) : questa distanza ap-
punto ammettevano gli antichi cosmografi
seguiti da Dante (cfir. DeUa Valle, op. cit
p. 63, e Hoore, p. 76). — 7. • 1 raggt eco.
e avendo tanto girato intomo al monte da
esser ora in^iizzati veno rocddente, i raggi
del sole cadente d ferivano nel messo della
fiMxsia. — 10. gravar 1» fronte : ò locuzione,
usata anche altrove {Purg, zxx 78^ a signi-
ficare in genere Tesser vinto da qualche forte
sensazione o sentimento; qui riferita all'ef-
fetto dello splendore angelico vuol dire lo
stesso 0^0 granar la vUta (Ptarg, xvn 62) o
gravar 1$ eigìia (Par, xi 88), cioò abbarba-
gliare gli occhi. — 11. assai pltf che di prl-
Bw: assai maggiore ohe quello del sole. —
12. le cose bob eonte s questa luce, eh* io
non sapeva ancora esser quella dell' angelo.
— 18. lev»! ecc. È l'atto òhe Ovidio dice
(Met, II 276) : « Opposuitque manum fhmti >,
e (Fast. IV 178) : « ante oonlos opposuitque
manus 9. — 14. 11 soleeeUos l'atto di ripa-
rarsi gli occhi dal sole; atto che sminuisce
rocoessivo splendore, come la lima sminuisce
il ferro. — 16. sopereliio visibile: espres-
sione aristotelica, per dire eccesso di luce
(cfr. Moore I 118). — 16. Come «oando ecc.
(Venturi 162) : < La simiUtudine ò tratta dalla
nota proposizione di Euclide, che dimostra
pome U raggio riflesso dall' aoqiia o dallo Bpe(^
chic ximbalsa all'opposta parte, in :
fsooMo, pari, slmils a quello eoa coi discende
(formando doò l'angolo di riflessione uguale
a quello dlnoidensa) : e si dlparU dalla linea
perpendicolare tanto, quanto da essa linea d
diparte in $gual tratta, per uguale spailo, Q
raggio inddente >. Si cfr. intono a questi
verd Ù, Torelli, Littera Marno a dm patti
di DantSj Verona, 1760 (ristampata nelle Capare
di O. T., Pisa 1884, voL II), il quale ^iega
il luogo cod : e (}ome quando un raggio di
luce dall'acqua o dallo specchio salta all'op-
posta parte, toroendod dal suo cammino e
risalendo con l'istessa legge oon cui discese,
facendo dee l'angolo di riflessione ugnale a
quello d'inddenza, • tanto dalla perpendico-
lare d scosta scendendo, altrettanto se ne
scosta salendo, soorso ch'ego abbia un tratto
eguale ; vale a dire che, se il raggio d sup-
ponga discendere dall'altezza, p. es., di un
miglio, e salire dtrettanto le sue estremità
saranno da una parte e dall' altra egualmente
distanti dalla perpendicolare, stocome dimo-
stra artifldosa esperienza, cod mi parve di
essere percosso in volto da luce rffloMa. E
questa luce veniva immediatamente da Dio
aU'angdo, e da questi riverberava su I& fac-
cia del poeta >. — 17. salta lo ragg:le eoe:
cfr. Virg., i^ vm 22 : « Sicut aquae trs-
mulum labris ubi lumen ahenis Sole r^er-
oussum, aut radiantìs imagine lunae, Oxnnia
pervolitat late loca, iamque sub auxas Bdgi-
tur, summique férit laqnearia teoti >. — 18.
pareeehlet pari, dmile; forma non m&ne-
gU antichL — 20. dal eader eco. dalla linea
perpendicolare. — tratta: tratto di q^aiio,
distanza. — 21. efperiaBsa e4 arte: l'espe-
rimento pratico (cfr. Par, n 96) e la teoria
esposta da Endide, OakOrieo, prop. i. — 22.
da luce ritratta eoo. da una 1
PURGATORIO — CANTO XV
389
ivi dinaTiri a me esser percosso,
24 per che a foggir la mia vista fa ratta.
«Che ò quel, dolce padre, a che non posso
schermar lo tìso tanto che mi vaglia,
27 diss'io, e pare in vèr noi esser mosso? »
« Non ti maravigliar, se ancor t'abbaglia
la Maniglia del cielo, a me rispose:
80 messo è, che viene ad invitar ch'uom saglia.
Tosto sarà che a veder queste cose
non ti fia grave, ma fleti diletto,
83 quanto natura a sentir ti dispose ».
Poi giunti fummo all'angel benedetto,
con lieta voce disse: « Entrate quinci
86 ad un scaleo vie men che gli altri eretto 2>.
Noi montavam, già partiti da linci,
e « BecOi miserieordes » fue
89 cantato retro, e « Gk>di tu che vinci ».
Lo mio maestro ed io soli ambedue
suso andavamo, ed io pensava, andando,
42 prode acquistar nelle parole sue;
ni nudo inaaiud a me iall'aogelo. Dante
dbttngiM du* moBOiti dirani: quello in coi
Il santi aUMC^iatodallAhioe diletta deU' an-
salo, dalla foale il i^aid fitoendoai il soleo-
càio (tt. 10-16) ; e qaello in oni d aentl
eolpllo dalla looe, che xlflettandoii ani avolo
centra a fteixlo indirettamente (tv. 16-24).
— 2L a fkgflr eoo. 1 miei ooohi ai robero
iBpidaaente Tane '^^igflio, per afuggire la
tace abbagUaoAe. — 36. aetaennar lo Tlao :
fiue •ohamo alla Tiata, difanderla contro
l'ecoeeaivo aplendore ; ofr. Airy. ti 161. —
27. aliar ■eaaa : gli angeli ohe atanno a
gnaidia dei oeraht, appena vedono venire le
aniaie, ai volgono ad eaae per aooogUerle e
eoniurtagio a aalire (efr. JViy. zn 88, xvn
67, XIX 46-48, xm 2, xziv 189-141, zzvn
86 e segg.). — 29. la fiualglla del elalo:
gli angeli, ohe ooatitaiBOono la oeleate ftuni-
gUa. — 80l «Mie è eoo. : qoeato aplendore
è qoollo del nuudo oeleate, ohe viene a in-
vitare le anime a aalire al oerohio anperioro.
— 81. Toitoaarà eco. Preato accadrà, quando
ta aacai poriilcato delle toe colpe, che non
ti sarà gxavoao, ma dilettevole il contem-
^are qoeatt aplendorL — 88. qaaato eoo.
per q;aastD la natua toa è capace di aentire
dOotto alla vieta delle ooee celeati. — 86.
Batrate falad eco. SaUte da qoeata parte,
per una acala meno erta delle precedenti. —
86. al ■■ aealeo eoe Sembra più natnrale
alio q[iieete paiole aleno dette dall' angelo,
COBO iataodoBO qvaii tatti 1 commantatori j
ma SI Tomm. lo oonaidora oomo m* oaaarva-
dono del poeta. ^ aealeo: acala; voce ar-
caica, ohe è anche in Far. xzi 29. ~ 87.
già partiti da Uael: eaaandod gii moaai di
U dove d era apparaci' angelo.— dallaeit
di U ; forma popolare, analoga a gumoi^ eo-
atitui eoe. (ofr. Parodi, BulL JU 188). —
88. Beali ■iaerleordoa eco. È la quinta
beatitodine evangelica (cfr. J\iirg. xn 109),
che nel teato biblico anona ( Matteo v 7) :
e Beati i miaericordioii, per dò ohe miaerì-
oordia aarà lor fatta >, e ben conviene a qoe-
ato laogo perché la miaerloordia d oppone
all'invidia (Tommaao d' Aquino, Summa^ p.
n 2», qn. xxzvi, art 8 : « invidna enim tri-
atator de bone proximi, miaerioon aotem de
malo proximi; onde invidi non annt miaeri-
cordea) >. — f^e cantato : daU' angelo (ofr.
Puiy- zn UO). — 89. Ckidl ta ecc. : godi tn
ohe vind l'invidia, perohó ti aarà naata mi-
sericordia. Le parole aogginnte dall'angelo
sono nna libera parafrad dell' nltima parte
deUa beatitadine evangelica ; aecondo altri
invece, delle parole di Orlato (Matteo v 12):
< Ballegratevi e giubilate, per dò ohe il vo-
stro premio è grande nd deli > ; nuu qaeate
d riferìacono a tatto le beatitadini, non alla
aola quinta. ~ 41. ed le peaaava ecc. Dante
era rimaato dabbioeo circa 11 significato di
alcone parole di Gaido del Daca, e perdo
pensò di chiederne spiegadone a Virgilio,
mentre procedevano nella salita verso il terxo
cerchio. ~ 42. proda ecc. tnore vantaggio
daUe parole dd maestro : prode, prò, utilità
eoo., è vooe che ricorre dtio vólto in Dante
390
DIVINA GOMMEDU
e dirizza' mi a Im si domandando:
« Che volle dir lo spirto di Romagna,
45 e ' divieto ' e ' conaorto ' menzionando ? »
Per ch'egli a me: e Di sua maggior magagna
conosce il danno; e però non s'ammiri,
4B se ne riprende perché men sen piagna.
Perché s'appuntan li vostri disiri
dove per compagnia parte si scema,
51 invidia move il mantaco ai sospiri:
ma se l'amor della spera suprema
torcesse in suso il desiderio vostro,
54 non vi sarebbe al petto quella tema;
che per quanti si dice più li nostro,
tanto possiede pia. di ben ciascuno,
57 e più di caritate arde in quel chiostro >•
€ Io son d'esser contento più digiuno,
diss'io, che se mi fossi pria taciuto,
60 e più di dubbio nella mente aduno.
Ck>m' esser puote che un ben distributo
i più posseditor faccia più ricchi
{Fitrg. ZZI 75, Pkir. vn 26). — 44. Chi rellt
eoo. Glie cosa rolle dire Guido del Daca
(Airy. ziY 87), limpioyenndo gli aomini di
porre il lor desiderio in quelle ooee ore è
meaùier di eonsorto dkfieto? — ipirto di Bo«
niACPnA : i<r>^™* romagiiola (ofr. £tf, «*»i"
154). — 46. DI luft maggior eoo. Quido del
Duca oonoBoe per prova i dolorosi effetti del-
l'invidia, ohe te il no vizio maggiore (ofr.
Purg, ziv 82); e peroid tu non devi meravi-
gliarti se egli rimprovera agli uomini l'invi-
dia, aflSnchó se ne guardino e non ne sen-
tano poi le tristi oonsegnenie. ^ 48. Perehtf
s'appnntan eco. L'invidia aooende nei cuori
l'ardore del desiderio, ohe si manifesta nel
sospirare per i beni altrui, perché gli animi
si volgono a quei beni, dei quali tanto pid
diminuisce la parte di ciascuno quanto pid
cresce il numero di coloro che vi partecipano.
— 8*appnntan; si volgono, tendono (cCr. Pur,
zzvi 7). — 60. dove per eco. ai beni terreni,
i quali di loro natura sono tali ohe quanto
maggiore è il numero degli uomini che ne
godono, tanto minore ò il godimento di cia-
scuno. — 51. neve 11 mantaeo eco. suscita
sospiri: e s'intenda col Land., seguito dai
moderni, sospiri di desiderio, di cuindigia,
accennando qui il poeta agli effetti che l' in-
vidia produce nell' animo dell' uomo vivente,
non ai sospiri dolorosi ooi quali il penitente
si purifica di quella colpa nel secondo oe>
Ohio. — 52. ma se eoo. se invece l'amore
delle cose divine volgesse gli animi vostri al
cielo, non avreste negli animi giMtto tomo,
il tìmwe della diminuzione dei beni il quale
suscita in voi quelU passione azdente, thè è
r invidia ; poiohó quanto maggiore è il numero
di oobro che posseggono la bestitndlne, tanto
più glande è la beatìtodine di ciascuno • l'ar-
dore di carità ohe avviva le anime beate. —
65. eli4 per quanti eoo. A illustzaiione di
questi versi citano Lana, Retro di Dante,
Land. eoo. i seguenti paesi di Agostino, D$
ùML Dei zv 16 : « Nullo eiim modo flt minor,
accedente sed permanente oonsorte, poeseasio
bonitatis ; imo poesessio bonitatis tanto flt la-
tior quanto ooncordior eem individua eooio-
rum poesidet oharìtas. Non habebit denique
istam poesoosionem qui eam noluerìt haboo
oomnnem, et tanto eam reperit ampliorem,
quanto amplius ibi poterit amare oonsortem »;
e di Gregorio Magno, MoraL iv 8t : « Qui
ergo livoris peste cerere desiderat, illam hae-
reditatem diliga^ quam cohaerendum nume-
rus non angustat, quae et omnibus una est
etsingulis tota; quae tanto laigior esse oetan-
ditur, quanto ad hano perdpiendam multitudo
dilatatur >. — 57. eklostre : ofir. Hmy, zzvi
128. — 58. le son d'esser ecc. Io sono più
lontano' dall' esser sodis&tto della tua rispo-
sta ohe non sarei se non f avessi interrogato,
poiché essa, invece di chiarire il mio dubbio
primitivo, un altro maggior dubbio mi ha htìo
nascere in mente. — 61. Gem*eea«r eoo.
Dante non intende come sia possibile che un
bene distribuito tra molti possessori li ftiooia
pi6 ricchi di sé, cioè tocchi in maggior quan-
tità a dasounO) ohe se è distribuito tra pò-
PUBOATOBIO — CANTO XV
391
C3 di sé, che se da pochi è posseduto? »
Ed egli a me : « Però che tu nficchi
la mente pure alle cose terrene,
66 di vera luce tenebre dispicchi
Quello infinito ed ineffabil benOi
che ò là su, cosi corre ad amore,
69 come a lucido corpo raggio yiene;
tanto si dà, quanto trova d'ardore,
si che quantunque carità si estende,
72 cresce sopr'essa l'eterno valore:
e quanta gente più là su s'intende,
•pia. v'ò da bene amare, e più vi s'ama,
75 e come specchio l'uno all'altro rende.
E se la mia ragion non ti disfiama,
vedrai Beatrice, ed ella pienamente
78 ti terrà questa e ciascun' altra brama:
procaccia pur che tosto sieno spente,
come son già le due, le cinque piaghe,
81 che si richiudon per esser dolente ».
Com'io voleva dicer: < Tu m'appaghe »,
vidimi giunto in su l'altro girone.
efaL — 64. Id egli ecc. Virgilio gU zigponde
tnbito, non senza piemettere nn amorerole
zìmpioTero al sao discepolo, che non ha sa-
puto InnaìwtTiri col pensiero alle cose celesti.
— Pird eh* ta eoo. Per qnesto che ta lir
Tolgi la mente solo alle cose tenone, dal
mio verace pariare («fra htot) raccogli nuovi
enoii e dabbiezie (fmàbn): sono parole di
rìmproYQKo e insieme di ammonimento a pre-
stare maggiore attenzione. — 67. ideilo In-
flmlto eoo. Dio oomonioa s6 stesso alle anime
buone e caritateroU, come i raggi solari si
diifondono sopxa i corpi eapad di riflettere
la luce. — 70. tanto si dà eco. Dante stesso
nel Cono, ir 20, spiegando questi suoi versi :
« solo Iddio all'anima la dona, Ohe vede in
sua persona Perfettamente star, si ohe ad al-
quanti Lo seme di felicità s'accosta Messo da
Dio nell* anima ben posta >, scrive : e Dice
adunque ohe Iddio solo porge questa grazia
ali' anima di quelli, cui vede star perfetta-
mente nella sua persona aooonoio e disposto
a qnesto atto divino ricevere ;... onde se l'a-
nima è imperfettamente posta, non ò disposta
a ricevere questa benedetta e divina infusio-
ne » : ofr. anche Far. ziv 40 e segg. — 71.
Mi «he ecc. di modo che l^ttemo valore, doò
« l'infinito ed ineflEsbil bene ^ di Dio, la bea-
titudine, tanto pi6 si comunica all'anima,
quanto più questa ha di carità. — 78. • quanta
eoe. e quanto maggiore è il numero di coloro
che pongono aaoiB alle cose celesti, tanto
più grande è il bene e tanto pid grande ra>
more di dasouno ; perché, come Dante stesso
dice nel Con», ni 16, < U santi non hanno
tra loro invidia, però ohe oiasouno aggiugna
il fine del suo desiderio, il quale desiderio à
colla natora della bontà misurato >. — 76. •
come speeelilo eco. e l' una anima riflette al*
r altra la propria beatitudine, come g^ speo*
chi riflettono redprooamente la luce. — 76.
E te la Mia ecc. E se non ti ha sodistetto
il mio ragionamento, aspetta quando vedrai
Beatrice, la quale ti chiarirà questo o ogni
altro dubbio, circa le cose della fede. — di-
sfama : metafora, che bene risponde a quella
del digiuno, usata da Dante nella domanda
(V. 68). — 79. procaccia ecc. per ora attendi
solamente ali' opera della puriflcasione, si ohe
sieno tolti dalla tua fronte i segni dei pec-
cati d'ira, d'acddia, d'avarizia, di gola e di
lussuria, come sono stati tolti quelli dei peo-
cati di superbia e d'invidia. — 80. plaghe :
cosi chiama i segni impressi sulla fhmte di
Dante dall'angelo, perché fatti con la punta
della spada (cfr. Purg. iz 112 e segg.). —
81. che si ecc. che si rimarginano con l'e-
spiazione delle colpe : l' età» dolmU è pro-
priamente la contririone del cuore, fenda-
mento della penitenza (ofr. Purg, a, 96). —
82. Com'io eoe Mentre io voleva ringra-
ziare Virgilio, mi vidi giunto sul ripiano del
terzo cerchio, e il desiderio di veder cose
nnove m'impedì di parlare. — 88. l'altro
892
DIVINA COMMEDIA
84 si che tacer mi fòr le luci vaghe.
Ivi mi parre in una Yisione
estatica di subito esser tratto;
87 e vedere in un tempio più persone,
ed una donna in su P entrar con atto
dolce di madre dicer : e Figliuol mio,
00 perché hai tu cosi verso noi fiitto?
Ecco, dolenti, lo tuo padre ed io
ti cercavamo » : e come qui si tacque,
03 ciò che pareva prima dispario.
Indi m'apparve un'altra con quelle acque,
giù per le gote, che il dolor distilla
OG quando per gran dispetto in altrui nacque;
e dir: « Se tu se' sire della villa,
del cui nome ne' dèi fu tanta lite
00 e donde ogni scienza disfavilla,
vendica te di quelle braccia ardite
che abbracciar nostra figlia, o Pisistràto > ;
102 e il signor mi parea benigno e mite
risponder lei con viso temperato:
e Ohe ùaem noi a chi mal ne disira,
105 se quei, che ci ama, è per noi condannato? »
Poi vidi gente accese in foco d'ira.
rlreies è il terzo cerchio, ore sono le
anime ohe si palificano della colpa dell'ira;
cfr. Purg. XYi 16 e segg. — 86. ItI h1 farre
eco. Kel luogo di pnigatorìo oye sono gli ira-
condi Dante imaglna Tisioni di esempi di
mansnetndine, I quali a lui appariscono co>
me in nn momento di estasi improvrisa:
sono tre, qnello di Maria Vergine, qnello di
Pisistràto e quello di santo Stefano proto-
martire. ^ 87. e Te4ere In u tempio ecc.
È seguito il racconto evangelico (Luca n 48
e segg.), ove si narra che, fatta la Pasqua
col genitori in Gerusalemme, Gesd ancora
dodicenne non li segui a Nazaret, e che essi
non avendolo trovato tornarono in Gerusa-
lemme cercandolo: «Ed avvenne che, tre
giorni appresso, lo trovarono nel tempio, se-
dendo in mezzo dei dottori, ascoltandoli e
facendo loro delle domande... E, quando essi
lo videro, sbigottirono. E sua madre gli dis-
se : Figliuolo, perché ei hai fatto ooei? ecco,
tuo paàn ed 4o U e&reaoamo, etendo in gran
dolore ». — 93. come qui ecc. appena Maria
ebbe detto queste parole disparve la prima
visione. — 9i. Indi m* apparve eco. H se-
condo esempio ò tratto da ciò ohe Valerio
Massimo, v 1, 2 e altri antichi raccontano
di Pisistràto, tiranno di Atene (660-627 a.
C.) ; il quale alla moglie, che chiedeva ven*
detta contro un giovine ardito ohe nel mano
della via aveva dato un bado alla loro fl^
gliuola, rispose, con memorabile miteaa : Sa
noi puniamo coloro che ci dimostrano amore,
ohe cosa fiuemo a quelli che d odiano f —
eoa qvélle aeqie ecc. col volto rigato di
lagrime, spremute dal dolore suscitato da un
forte dispetto ; lagrime Insomma di dolore •
insieme di sd^o. — 97. 4eUa villa ecc.
della dttà di Atene, intomo al nome della
quale fta grande contesa tra Minerva e Ke^
tuno (cfr. Ovidio, MeL vi 70 e segg.) e dalla
quale si diffuse per il mondo la luce della
dviltà. ^ 99. e donde ecc. Cicerone, OrasL
I 4 : « omnium doctrinarum inventrioee Athe-
nas». ~ 108. con viso temperato: con
aspetto mansueto. — 104. Che fkrem eoo.
Sono proprio le parole di Valerio, 1. dt. :
« Si noe, qui nos amant, interfloifflus, quid
his fBMsiemus, quibus odio iumus ? > — 106.
Pel vidi ecc. H terzo esempio è tratto dal
martirio di santo Stefano, quale è nanato
negU AtH degli Apostoli vn 64-60 : « Or essi,
udendo questo cose, scoppiavano nd lor onori,
e digrignavano i denti contro a lui. Ma e^^
essendo pieno dello Spirito Santo, afOsatl gli
occhi al delo, vide la gloria di Dio, e Gesd
che stava alla destra di Dio : e disse, Ecco,
io veggo i deli aperti, td il figUnd dell'uomo,
PURGATORIO - CAKTO XV
393
con pietre un giovinetto ancider, forte
106 gridando a sé pur: € Martire mariira »;
e lui yedea chinarsi per la morte,
che l'aggravava già, in vèr la terra,
111 ma degli occhi &cea sempre al del porte,
orando all'alto Sire in tanta guerra,
che perdonasse a' suoi persecutori,
114 con quell'aspetto che pietà disserra.
Quando l'anima mia tornò di fuori
alle cose, òhe son fuor di lei vere,
117 io riconobhi i miei non falsi errori.
Lo duca mio, che mi potea vedere
far si com'uom che dal sonno si slega,
120 disse: « Che hai, che non ti puoi tenere,
ma se' venuto più òhe mezsa lega,
velando gli occhi e con le gambe avvolte,
128 a guisa di cui vino o sonno piega? »
€ 0 dolce padre mio, se tu m'ascolto,
io ti dirò, dlss'io, ciò che mi apparve
cke «ta «Uà éaetn di Dio. M* eMÌ, gittando
di gmn gridi, il tanrono gli oreodhi, e tatti
iiuisaie di pari oonsentimento ■' ayrentarono
•opn di Ini. E, cacciatolo toat della dttà,
lo l^daTBno : ed i teatimoiii miaer gi6 le
lor resti ai piedi d'un gioTane, chiamato
Sanlo. E lapidayaiio Stefìmo, ohe inTocaya
6es6 : e dioeTa, Signor Gesti rìoeri lo iplrito
■io. Poi postoai in ginocchioni, gridò ad alta
Tooe, Signore, non inpittar loto qneato pec-
cato. E, detto questo, a'addormentd»^ —
genti aeceee ecc. : i Oindei, che lapidarono
•anto Stafiuio, edegnati ch'egli predicasse
tanto efficacemente contro la loro legge (clt,
AtU dtgli ApotL TX 8-15, vn 1-68). - 107.
■a glerlBOtta t secondo alooni, Dante, o per
errore di menHnria o per alteradone che fosse
nel eoo testo blhlico, rifori a Stellano la qna-
UtàdipMMtto,òheilsaoro libro attribnisce
inreee a QÈnUi{AMdegìiApotLym 68); me-
glio, ai pnò ritenere che in questo partioo-
lare ai abbia nn esempio dell' eiflcacia eser-
citata daUa pittura cristiana, ore santo Sto-
Cane fa rappresentato in età gioranile : cfir.
Moore, I 84. — farle grldande ecc. le quali
genti gridaTano, l'un l'altro incoraggiandosi
al martirio del santo. — 111. degU eechl
eoe. tenera gli occhi flsri al delo, accogliendo
cosi in s6 la Tiaione di Dio. — 112. orando
eco. pregando Dio, toA. martirio, per coloro
die lo lapidavano. — 114. con «aeU'aspeCto
eoe. eon l'aapetto benigno e mansueto, che
apte il eoore al mito sentimento deUa pietà.
— 116. Qaanda ecc. Scart : « Danto distin-
gue qui ika obUettlTltà e lobbietttTità. Uò
che egli avea risto nella sua visione erano
rerìtà, 0 come egli si esprime oom ««rv ; ma
le erano rerìtà subUettire, cose che sono
noli' anima, non fuor di ki ver». Ma l'uomo,
uso a percepire le cose come esistenti fuori
di 86, trasforma il subbiettiro in un obbiet-
tivo, imaginandosi di vedere estomamento
dò che e' non vede che internamento. Cosi
anche Danto aveva creduto duranto l'estasi
che quanto egli vedeva ed udiva avvenisse
realmento fuori di aé, fossero fatti obbietti-
vamento veri; e questo era il suo errore, di
cui si accorge subito che l'anima sua è ritor-
nato alla peroerione delle coee obbiettive.
Ma egli aggiunge che questi errori erano non
faltif essendo conscio di non essersi ingan-
nato, ma di aver proprio veduto dò che gli
apparve, quantunque le fossero tmma^ti^ ^i-
ttmH si, ma non stusisteniL L'occhio suo
corporale non avea visto, eppure le cose gli
erano stoto prosenti». — tornò di f aeri
ecc. si risvegliò dall'estasi, tornando alla
peroerione degli obbietti eatorìori, alle realtà
obbiettive, mentre nell'estasi era volto alle
realtà subbiottive, che sono errori mm falsi.
— 119. dal senno si slega: si disdoglie dal
sonno, si sveglia. — 120. Che hai ecc. Vir-
gilio s' ò accorto che Danto ha avuto una
visione, vedendo ohe il discepolo quasi non
si può reggere in piedi e ha percorso un
buon tratto di cammino con gli occhi chiosi
e le gambe vacillanti, come uomo vinto dal
vino 0 dal sonno. ~ 121. lega : Lana : e mi-
sura di spario in loquela firancesca, lo quale
è nomo di misura come in Lombardia mi-
394
DIVINA COMMEDIA
126 quando le gambe mi foron si tolte ».
Ed eì : « Se tu avessi cento larve
sopra la fenicia, non mi sarien chiuse
129 le tue cogitazion, quantunque parve.
Ciò ohe vedesti fu, perché non scuse
d'aprir lo core all'acque della pace
1S2 che dall'eterno fonte son diffuse.
Non domandai, ' Che hai ', per quel che face
chi guarda pur con l'occhio che non vede,
135 quando disanimato il corpo giace;
ma domandai per darti forza al piede:
cosi frugar conviensi i pigri, lenti
133 ad usar lor vigilia quando riede ».
Noi andavam per lo vespero attenti
oltre, quanto potean gli occhi allungarsi,
141 centra i raggi serotini e lucenti;
glia 9. ^ 126. «luido le g»mbe eoo. qnando
incominoisi a prorare questo impedimeiito
alle gambe. — 127. Se tv aTeiil eoo. Se an-
ohe ta aTetsi oento masdieie sol Tolto, non
mi lazebbero naeooitl i tod minimi pensiezi.
— larre : maschere, e cosi anche in jRir.
xzx 91 : < est enim larva (cosi Benr.) Illa
figura sive simnlacmm, qaod apponitor tsoiei
ad fK^lfttì^^y.™ notitiam honiinis, ad teziendiun
poeros ». — ISO. Ciò che TedesU eoo. Que-
ste yisioni ti sono apparse affinché tu non
ti astenga con vane scuse dall' apnre l'animo
a quel sentìmento di mansuetudine, ohe pro-
cede da Dio. Virgilio accenna indirettamente
che Dante, oome uomo iracondo, dorerà e-
spiare questa sua colpa; al quale proposito
il Booo., Vita di Dante 9 12, racconta : e pu-
bliohissima cosa è in Bomagna, lui ogni fem-
minella, ogni picciolo fiandullo ragionando
di parte, e dannante la ghibellina, rarrebbe
a tanta insania mosso, che a gittare le pietre
l'aTrebbe condotto, non avendo taciuto 9. —
188. Hen demandai ecc. VlrgUioTuol dire:
Ti domandai che cosa tu ayessi, non per co-
noscere la cagione del tuo vadUare, ma per
accrescere forza al tao animo ; perdo le pa-
role che seguono devono spiegarsi cosi : per
quel motivo che induce l' uomo volgare a do-
mandare che cosa abbia il suo compagno,
quando lo vede vacillare o cadere a terra.
— 184. clil guarda eoo. Tuomo ohe guarda
solo con gli occhi del senso, non con quelli
della ragione. Quasi tutti i commentatori da
Benv. in poi spiegano : Voeehio, ch$ non vede
quando ecc. l'occhio che perde la sua facoltà
visiva allorquando l'uomo muore; non ba-
dano dod ohe le parole quando disanimato
U oorfo giace sono da riferire, non giÀ al-
l' OGcMo che non vede^ ma alla domanda e^
face l'uomo comune. Il Torraca spiega : come
fa ohi, guardando solo con l'occhio, non vede,
non s'accorge di avere innanzi un cadavere;
oonglungendo che non vede con ehi guarda,
non già con ooehio: è spiegazione ingegnoaa,
secondo cui dovrebbe punteggiarsi : Ohi guar^
da pur con ToooMo, ehe non vede quando éimr
fwmato eoe — 1B6. per darti fona ecc. per
incoraggiarti a continuare con sicuro passo
il tuo cammino. — 187. eesf fregar eoe
in tal modo bisogna stimolare gli uomini pi-
gri, i quali svegliandosi non sanno rimet-
tersi subito all' opera. — 188. vlgillat è U
tempo in coi l'uomo è desto, il tempo del-
l' operosità utile e vera. — 189. Hel aMda-
vam ecc. Dante e VlrgUio continnavano a
camminare durante il vespro, guardando in-
nanzi a sé con attenzione, per quanto era
loro concesso dal vividi raggt del ede mo-
rente ; e cosi procedendo si trovarono avvolti
da un denso fame. Non si pud precisare il
tempo impiegato per passare dal secondo al
terzo oerddo ; ma si può ritenere che a que-
sto momento del viaggio siano drca le cin-
que pomeridiane dell' 11 apxUe. — 142. an
foBUBO : questo fomo denso, nero, amaro del
terzo cerchio avvolge entro di sé gl'iracondi
penitenti (ofr. Purg, xvi 1-24), a dgnificare
che l'ira offosca l'intelletto dell'uomo si
ch'egli non discerné più 0 bene dal male.
Buti: « Finge l'autore die questo ftimmo non
sia per tutto lo girone; ma l'anime ohe si
purgano non osceno d'esso, ma vanno qua
e là oome lo volere le porta, sf die non
escano da la nebbia. E questa'Ò conveniente
pena a purgare lo peccato dell'ira;... finge
l'autore che l'anime vadano per questo Itim-
mo, o vero nebbia, ripensando la loro d*-
ohità e turbolensia ohe ebbero ne la vita ».
PURGATORIO - CANTO XV 395
ed' ecco a poco a poco un fummo farsi
verso di noi, come la notte, oscuro,
né da quello era loco da causarsi:
145 questo ne tolse gli occhi e l'aer puro.
— 143. eo«t la notte: ofr. Puifg. xvi 1. — fumo che ci tolse l' oso degli occhi e la yi-
144. né da qaeUo ecc. e non v'era alcuna ita dell'aria,
parte, nella qoato si potMte eriteie quel
CANTO XVI
Tra gli iraeondi, avrolti nel Aimo del terso eerchlo, Dante e Virgilio
incontrano Marco lombardo ; il quale, dopo aver parlato loro del libero ar-
bitrio e della corrazione del mondo, ricorda alcuni signori di Lombardia,
esempi Tiventi delle anticlie virtù [11 aprile, circa alle ore cinque pome-
ridiane].
Buio d'inferno e di notte privata
d'ogni pianeta sotto pover dolo,
8 quant' esser può di nuvol tenebrata,
non fece al viso mio bì grosso velo,
come quel fummo ch'ivi ci coperse,
6 né a sentir di cosi aspro pelo;
che l'occhio stare aperto non sofferse:
onde la scorta mia saputa e fida
0 mi s'accostò, e l'omero m'offerse.
Si come cieco va retro a sua guida
per non smarrirsi, e per non dar di cozzo
12 in cosa che il molesti o forse ancida;
m'andava io per l'aere amaro e sozzo,
ascoltando il mio duca che diceva:
XVI 1. Bido d'inferao ecc. L'oscurità palude Stige (cfr. Inf, zx 75, S3-8A). ^ 7.
dttUe regioni ioTemali o quella della notte che l'occlilo ecc. per questa làstidioBa im-
più nera 6b» possa averd sulla terra è mi- pressione Dante non potò tenere aperti gli
nore dell'oscuriti che mi avrolse nel terzo ooohl, e Virgilio gli si ayricind di pid per-
oeichio dd puigatorio. — di notte prlrata chó il discepolo appoggiandosi alle sue spalle
eoo. di una notte senza stelle, col cielo pieno potesse procedere senza smanirsL — 8. sa-
q;oanf esser può di dense nuvole, veduta da pota o Ada > Virgilio d per Dante una guida
on luogo angusto. Dante raccoglie tutte le saggia, che lo tiae oon ingegno s con arU
drooetanzo ohe sulla terra possono conoox^ (-fWy* zxvn 180), si che il discepolo ha in
rare ad accrescere agli occhi dell' uomo l'o- lui piena fiducia (cfir. J^srg, rr 4, vm 42,
scurità doUa notte : la mancanza d'ogni astro zvn 10 ecc.). A. Zenatti, Led, p. 9: « Nes-
Inminooo, la densità delle nuvole e il pover suno meglio del mite irìrgilio , ohe pure a
oMo, cioè il limitato orizzonte di chi si trovi tempo e luogo aveva francamente lodata l'o^
in fondo a una stretta valle. — 4. non fece ma adegnoaa di lui [B^f, vm 44], poteva es-
60C. non impedi mai la mia vista, come il sere qui il simbolo, coti della ragione, come
tomo che c| awolae nel terzo cerchio. — 6. della mansuetudine, tanta è la pace e la dol-
b4 a sentir ecc. nò te mal cosi fastidiosa ai cozza ohe viene all'animo da' suoi versi soa-
miei aapA : di agpro peìo, in quanto le par- vi >. — 11. per non dar ecc. per non ca-
tieéOe del forno «lano acri e pungenti, oome, dere in pericolo di male o di morte. — 13.
qiMUe della nebbia acerba MUevatasi daUa aaere o leue : fastidioso e nero (ofr. la
396 DIVINA COMMEDU
15 € Pur giarda che da me tu non sie mozzo »•
Io sentia voci, e ciascuna pareva
pregar, per pace e per miflerìcordìa,
18 Pagnel di Dio, che le peccata leya.
Pure € Agnus Dei » eran le loro esordia:
una parola in tui^ era ed un modo,
21 si che parea tra esse ogni concordia.
« Quei sono spirti, maestro, eh* i' odo? »
diss'io; ed egli a me: « Tu vero apprendi,
24 e d'iracondia van solvendo il nodo ».
€ Or tu chi se', che il nostro fummo fendi,
e di noi parli pur, come se tue
27 partissi ancor lo tempo per calendi ? »
Cosi per una voce detto fde;
onde il maestro mio disse: «Bispondi,
80 e domanda se quinci si va sue ».
Ed io: € 0 creatura, che ti mondi
per tornar hella a colui che ti fece,
83 maraviglia udirai se mi secondi >.
< Io ti seguiterò quanto mi lece,
rispose; e se veder fummo non lascia,
86 l'udir ci terrà giunti in quella vece ».
note al T. 6). — 16. Por gvardA eoo. Bada il Tanno pmlfioando del peccato deU'liaoon-
solamento a non separarti da me. Oos£ s'in- dia. — 26. Or ta eoo. Una delle anime, ao-
tenda con Benr. e Bati, oonaiderando il jwr oorgendod dal modo del pedate di Dante
dooome nn complemento limitetiyo del Tb. oh' egli è ancora Tito, gli chiede ohi efl^ eia.
guarda^ contro l' erronea interpretazione e — 26. cerne ae eoo. come te ta fosti ancora
punteggiatura dei moderni, i qoali lo riferì- tìto, fbsal ancora in qnélla oraidixione in coi
soono invece al vb. cUom». — »•»• s qui li divide il tempo per meal, mentre tali di-
ha il senso più generale di separato, dlsgìonto. visioni non si fumo più nei ngoì etemi. —
— 16. le sentf a eco. Le anime degli iracondi 27. ealeadi : calende, che acno i primi giomi
cantevano con la stessa intonaaione di voce di ogni mese, qui lignifica mesi; di qneite
la medesima preghiera, chiedendo pace e mi- forma di plorale femminile ofbe esempi t»-
sericordia a Gesù Cristo, l'Agnello del Si- qnentissimi la UngQa antica (cfr. Parodi, BmO.
gnore, che togUe i peccati (cCr. (Hovaani i m 121 e Zenatti, Uct, p. U). — 29. Bl-
29). — 19. Piure Agaas ecc. Cantevano la ipeadl eoo. rispondi alla domanda di qne-
note preghiera, i cni versetti hanno lo stesso sf anima e chiedi a lei se da queste parte
cominciamento : « Agnus Dei, qni tollis peo- e* è una scala che conduca A quarto cerchio.
cate mundi, miserare nobis; Agnus Dei, qui — 81. o creatura ecc. 0 anima, che ti pu-
tollis peccate mundi, miserare nobis; Agnus riilchi per ritornare a Dio ohe ti creò; cCr.
Dei, qui tollis peccate mundi, dona nobis l'esidioazione ohe di questo concetto è nei
pacem > : coi due primi si prega per miseri- w. 86-90. — 88. le ■! ieeea41: se mi ae-
cordia, con l'ultimo si prega per pace. — esor- compagni (cfr. il vb. assondorv nello stosso
«la: ed un latinismo pretto e trovasi pure signiflcato in Inf, zn 117, Purg» zzi 60,
nei DiUam. n 18 >, Parodi, BvU. IH 119. — zxm 128 ecc.). — 84. le U segidtef^ eco.
22. Quel sono ecc. Danto, che nel cerchio in- Danto non dice se gì' iracondi stessero férmi
ferlore ha sentito ignoto vod gridare esempi o camminassero nel forno; ma par eh' el foe-
dl carite e d' invidia, non sa con certezza se sere Uberi di stare o di muoversi, purché ikmi
il canto dell' J^vum Dei ^ delle anime pe- uscissero dal forno (cfr. r. 148); ooaf che
nitenti o d'altri esseri; e s'aArette a chic- qwmto mi ìee$ signLldherà : sino aU'eetre-
deme a Virgilio, sua « scorte sapute >. — 28. mite di queste nube che ci arrolge. — 86.
Ta vero ecc. Pensando che siano anime, tu l'a41r eoo. potremo stare insisaM, per glln-
hai pensato U vero ; e t'aggiungerò che esse disi ohe dell'esser vieinl oi darà a pad»».
PURGATORIO - CANTO XVI
897
Allora inooTTìiiìciai : cCon quella fìiscia
che la morte dissolve men vo suso,
89 e venni qui per la infernale ambascia;
e, se Dio m'ha in sua grasia richiuso
tanto che vuol ch'io veggia la sua corte
42 per modo tutto fuor del modem' uso,
non mi celar chi fosti anzi la morte,
ma dilmi| e dimmi s'io vo bene al varco;
45 e tue parole fien le nostre scorte ».
€ Lombardo fui| e fui chiamato Marco;
del mondo seppi, e quel valore amai
48 al quale ha or ciascun disteso l'arco:
per montar su dirittamente vai ».
^ 87. 0«B fM«U* fkieU eoo. Io tàùdo qm»-
■to Tiaggio Tono il dolo inflomo eon Qmio
oarfOy dio è qoell'ottsiiom inrdhioKO del-
VuàmB ohe è diioiòtto dalk morte, • lono
▼«rato al pozgBtozio paiMiido < por tatti i
oOToiil dal ddlanto xogno» (A«y. vn 22). —
40. i^ st IMO 000. o poiohó Dio mi ha acoolto
B^ sua giada alno a oonoedonni di vialtaio
i ngnl otoini ooo. — 41. la aia eortos la
€ oort* dal dolo > (^. n 126), il paiadiao.
— 42. «atta ftior ooo. dol tatto insolito nei
tamfi modan&i, né più oonoednto ad aloon
nomo, dopo Enea e Pedo (ofr. £*f. n 18-U).
« 4A. Ma éll«l eoo. ma dimmi ehi ta fosti
a ^Hjdjbì se da qoesta parte si trova la soala
per salile al qoarto oerohio. Dante xipete oid
ohe i^ ha suggerito VizgQio (▼. 80). — 46.
a ftaa parala eoo. e la tao paiole d guidino
al Taroo, die nd oeiehiamo. — 46. Lambardo
lU aoc Mano di Lomhaidia, che ta detto
tanftordo o per il loogo della saa nasdta o
perdié frequentò spedalmante la case piin-
cipaadia dell'Italia sn^eiioie, fb, seoondo gli
antlolil oommantatoii, un saiio e Talente
uomo di OQrta^ fiorito intorno alla seoonda
meta dd seodo xm. Di lai si laooonta ndle
No», md. (ed. Biagi, p. 221, ofr. p. 78) : « Fue
ano nobile haomo di ooite et ftie mdto savio.
Foa a a' natale a una oittà dove ri donavano
mdta xobe : non ebbe neana ; trovò on altro
di eocte^ H quale era neodante peisona appo
Marco, e avea avute roba. Di qaesto naoqae
ona bella sentsnia, di6 questo giullaie disse
a Marco: * Ohe è dò, ch'io ò septe et tu
non ninna, et se* Iro^ migliore homo e piti
ssvio di' io Y non so quale è la lagione '. Et
Marco lispaose: 'Kon è altro se no' ohe ta
tiovMti ptd di tod ch'io di miri ' » : l'aned-
doto, per attio, è da aloono tribuito ad altri
uomini DuBooi, per esempio anohe a Dante
(ofr. G. F^ntlt IkmU mondo ìa tradixiom^
éLf p. 81-88). Altre novelle di Maioo xso-
eostano g}i ai^dii commentatori Buti, Benv.,
An. floi. ; fra tatto notevole è qudla rifiorita
da O. Wlaai, O. vn 121, nqade nana die
Ugolino della Ohsrardesoa, Ustto signore di
Pisa, « féoe per lo giorno di sua natività una
ricca festa, ov* ebbe i figliuoli e nipoti e tatto
suo lignaggio e parenti nomini e donne, con
gnnde pompa di vestimenti e d' arredi, e ap-
parecchiamento di ricca festa ». V'intervenne
Maioo lombardo; e e il conte prese U detto
Marco, e venne^ mostrando tatta sua gian-
desia e potenria e ^pareochlamonto della
detta fiBSta; e dò &tto, U domandò: * Mar-
co, che te ne pare? ' D savio gli rispose sa-
bito e disse : * Vd sete meglio apparecchiato
a ricevere la mala mesdanza, che barone
d'Italia*. E il conte, temendo della parola
di Marco, disse : * Perdio? ' E Marco rìspuo-
se : * Perché non vi fslla altro che l'ira di
Dio ' ». Da dò die di lui raccontano gli an-
tichi ri ricava che Marco lombardo non ta
an vdgare cortigiano o buffone, d ano di
qud gentiluomini di corte, dd quali il Boco.
descrisse i caratteri pariando dd fiorentino
Guglielmo Borsiere : ofr. Inf. xvi 70, e Ze-
natti, X«0^, pp. 16-17. — 47. del meado ecc.
ebbi oognirione degli aflSsri dd mondo e pra-
tiod qodle virtd, alle quali ora nessono
vdge pid la sua attenrione. Queste qualità
di Marco ricordano quelle di Ulisse {£*f. zxvi
98-99X e rispondono d concetto die dd cor-
tigiano lombardo ebbero i sud oontemporand :
« Marco (cosi gli diceva an dtro cortigiano,
secondo le Nov, anLf p. 227), tu sd il pid
savio hoomo di tatta Italia et se' povero et
disdegni di chiedere >: sapienza e dignità ohe
separarono anche Dante, randagio per le cit-
tà d'Italia, dalla restante turba degli uomini
di corte. — 48. al qaale eoo. : oome imd«r«
o drixaar Vairco significa volgere la mente a
un oggetto (cfr. Par, xxvi 24), cod distmd&r
Varco vad dire rivolgerla, rimaoveila dall' og-
getto. — 40. per montar eoo. Marco rispondo
alla seoonda domanda di Dante (v. 44), dioen-
398
DIVINA COMMEDIA
Cosi rispose; e soggitmse: « Io ti prego
51 die per me pregH, quando sa sarai ».
Ed io a lui : < Per fede mi ti lego
di £Gtr ciò che mi cHiedi; ma io scoppio
54 dentro a un dubbio, s'io non me ne spiego.
Prima era scempio, ed ora è fatto doppio
nella sentenza tua, che mi fai certo,
57 qui ed altrove, quello ov'io l'accoppio.
Lo mondo è ben cosi tutto diserto
d'ogni virtute, come tu mi suone,
60 e di malizia gravido e coperto:
ma prego che m'additi la cagione;
si ch'io la vegga e ch'io la mostri altrui;
63 che nel cielo uno, ed un qua giù la pone ».
Alto sospir, che duolo strinse in e hui »,
mise fuor prima, e poi cominciò: < Frate,
66 lo mondo è cieco, e tu vien ben da lui
Voi che vivete ogni cagion recate
dogli ohe appunto nella direzione del suo cam-
mino troverà la ecala. — 61. quando ai i*-
rat t varie interpretazioni si danno di questo
laofiTO. Oli antichi Bntl e Benr. , segniti da
molti moderni, intendono : quando sarai sa in-
nanzi a Dio, nella oorte del cielo; e qnestf in-
terpretazione è la migliore, perché sta bene
in relazione con dò che ha detto Danto nei tv.
i(M2, ed ò confermata dall* analogia del iVy.
zxn 127 e segg. Invece Lomb., Cos., Blanc
spiegano : qnando sarai tornato al mondo ; e
il Tomm. : qnando sarai sulla dma di questo
monte. ~ 62. Per fede ecc. Ti giuro di fare
ciò che mi domandi : ma per compenso scio-
glimi un dubbio, ohe io già aveva e che mi
ò stato confermato dalle tue parole. — 63. !•
seopplo ecc. io non posso più mantenermi
nel dubbio ohe mi stdnge, se non ziesoo a
liberarmene. — 66. Prln* era eco. Questo
dubbio, suscitato in me dalle parole di Chiido
del Duca, il quale a proposito dei viti dei
toscani mi ha detto che tutti fuggono la virtó
e per sventura del loco o per mal uso * {Purg.
XIV 88), prima era toempiOy cioè aveva fon-
damento nella sola affermazione dello spirito
di Bomagna ; ma ora ha trovato un altro fon-
damento nelle tue parole, che mi hanno con-
fermato quella corruzione dei costumi, alla
quale il mio dubbio si riferisce. — 67. qui
ed altrove : per quello che mi hai detto tu
(w. 87-48) e per quello che nel secondo cer-
chio mi ha dotto Quido del Duca. — 68. Lo
Hoado k ben ecc. H mondo è certamente
spogliato d' ogni virtd e pieno d* ogni vizio,
come tu m' hai detto : su questo non ho dub-
bio alcuno ; sf invece sono dubbioso droa la
cagione di questa universale corruzione. —
60. gravide • ceptrt« s Lomb. : « lordo inter-
namente ed esternamente > : meg^, Tomm. :
€ gravido dice Q seme nascosto del male; co-
ptrto il suo esterno rampollare e adombrare
la terra ». — 68. ehtf nel elel« ecc. polchó
alcuni pongono questa cagione della corni-
tela universale nelle influen» celesti (gli
astri che agiscono sulle passioni, sulla vo-
lontà, sulla vita degli uomini) ; altri invece
la pongono negli uomini stessi e nella loro
natura ed educazione. — 64. Alte sesplr ecc.
Marco, per incresdmento oh* egli ebbe del-
l'ignoranza di Dante, mandò fhori un pro-
fondo sospiro, che il dolore fisco terminare
in un' esclamazione di lamento. — 66. Frale :
ofr. Purg, IV 127. — 66. lo mondo è eleee
eoo. il mondo è involto nell'ignoranza della
verità, e tu, col dubbio che hai intomo alla
cagione della corruzione umana, ben dimostri
di venire dal mondo, doò d' essere ignorante
come gli altri uominL — 67. Tei elle vivete
eoe n discorso di Uarco ò diviso in tre parti :
nella prima egli espone la teorica del libero
arbitrio (w. 67-81), la quale d da paragonare
a old che dice Virgilio nel Iharg, zvm 49-76;
nella seconda esplica i princij^ del governo
dell' umanità e addita la cagione della oom-
zione nella confusione del potere civile col
potere spirituale (w. 82-112); nella terza
conferma la sua dimostrazione con l'esempio
dedotto dalle condizioni morali della sodelà
lombarda, paragonando la corruzione presente
con la virtd antica (vy. 118-180). Inoominda
la prima parte richiamando l'errore degli uo-
mini, i quali attribuisoono la cagione del bene
PURGATORIO - CANTO XVI
399
pur suso al delo, si come se tutto
C9 movesse seco di necessitate.
Se cosi fosse, in voi fora distrutto
libero arbitrio, e non fora giustizia,
72 per ben, letizia, e per male, aver lutto.
Lo cielo i vostri movimenti inizia,
non dico tutti; ma, posto ch'io il dlcc^
75 lume v'ò dato a bene ed a malizia,
e libero voler, che, se ùAìosl
nelle prime battaglie col del dura,
78 poi vince tutto, se ben si nutrica.
A maggior forza ed a miglior natura
liberi soggiacete, e quella cria
81 la mente in voi, che il del non ha in sua cura.
Però, se il mondo presente disvia,
in voi ò la cagione, in voi si cheggia,
• àél male solunente all' iiìflnent» delle stelle,
co— ee naouMiTiimmite dlpondoiwiTO dei ino-
Timenti oelattt tatte le azioni unane. — ogni
aegleB eoo. È degno di nota ohe la oentenza
Amwkttmtm^ è analoga all'omeiloa (OfKc x 88 e
Mgg.), xiféiita da A. Gelilo, ti 2 : « Oh oome
i mortali inoolpoiio gli dei 1 poiché da noi
eifJMTnann piooedere i maU, ed eiii hanno a^
Ianni non per destino, ma per le loco std-
tesxe ». — 70. Se eoli fetae eoo. Dante mette
in roak la dottrina di Tonmaeo d' Aquino,
Summa, p. I, qo. oxy, art A: «SiinteUeò-
toa et yolantae e«ent Tiiee ooiporais oigania
alligstae, ^ ex nocearitato teqneretar, qood
oorpora ooeleetia enent causa electionnm et
actmim hnmanomm ; et ex hoo •eqneretor,
^od homo naturali instlnota agezetor ad mas
aetkmee, rient caeteia animalia, in qnibos
non font niii viree animae oorporeia oiganla
aUigatae: namillnd, qnod Ut in iftis inferiori-
bili ez improeiione eoiponim ooelestiam, na-
toialitar agitar; d ita mjittnàmr, quod homo
mm mttt Ubtri orMHi, ped haberet aotionee
d0t«minataa, doot et caetexae reenatozales:
qnae manitetefontihlia». — 71. e nea Ara
eoo. e non nrebbe ginato ohe alle opere boone
al oonooileMe il premio della beatitadine e
aUe opere malragie la pena della dannaikme.
— 78. Le doto eoo. L'inilniio deUe iteUe
soli' nomo ai limita, aeoondo Dante, a lasd-
tare nell'animo ino i primi moHmmUf i primi
appetiti, e né pur tiùti, perché gU atti del-
rintelUgensa e deDa Tolontà non sono sog-
getti a tale inflniio. Tommaso d'Aquino,
Smnmm, p. II2m, qu. sor, art 6: e Corpora
eoeleetla non po«unt esse per se causa ope-
rationum liberi arbitrii; poosunt tamen ad
hoo disporitire inclinale, in quantum imprì-
must te OQipM hnmanum, et per oonasquens
in Tiies sensitiTas, quae sunt aotus corpora-
lium ocganamm, quae inolinant ad i»«^*«iM?f
aotus >. -^ 7S. lume eoo. la ragione per di-
scemere U bene dal male. — 76. e Ubero
Toler eoo. e Ubera Tolontà, la quale, •• /Si-
Uea dura mU» primi baUagìié eoi eia cioè wb
rssiste nelle prime lotte contro gli appetiti
suscitati nell'uomo dalle influenxe celesti, rie-
sce a vincera ogni influenia quando è fortifl-
cata dalla sapUÓisa, dall'amore e dalla virtù.
— 78. pei Tlnee tette ecc. Tommaso d' A-
quino, Smrnnat p. I, qu. ozr, art A: e Vo-
luntas non ex neoessitsto sequitur inoliiìa-
tionem appetitua inièriozis >, e art 6 : e Ni-
hil piohibet per Toluntariam aotionam impe-
diri effectum ooelestium cozporum > ; e p. n
2^, qa. xoT, art 6 : e Oontn indinationem
ooelestium cozporum homo poteet per atlo-
nem operari ». A Zenattl, LteL p. 26: « Ora
che spariti i nove deli medioevali col rovi-
nare del sistema tolemaico e spenta ogni fe-
de in quei loro influssi, ... tuttavia si nega
il nostro libero volere, attribuendo ogni no-
stro atto alla foxxa degli istinti ereditarii e
alle inflnense dell'educarione e di quello che
chiamano ambiente; .» venga presto un poe-
ta vero, che con l' arte di Dante e con piA
moderna dottrina ridia a tutti la fede neDa
nostra libertà e la coscienza della responsa-
bilità umana ». — 79. A maggior fona eoo.
Gli uomini, senza perdere il libero arbitrio,
sono soggetti a Dio, il quale d di potenza
maggioro e di natura migliore ohe i corpi
celesti ; o la potenza e nature divina crea
l'anima umana, la quale non è sottoposta ai
movimenti celesti, doè è libera e raglone-
vde. — 80. quella: qnella forza maggiore e
quella natura miglioro, doò Dio. — orla:
crea, anche in Inf, xi 68, forma usuale nella
400
DIVINA COMMEDIA
Si ed io te ne sarò or vera spicu
Esce di mano a lui, che la Taglieggia
prima che sia, a guisa di fanciulla
87 che piangendo e ridendo pargoleggia,
l'anima semplicetta, che sa nulla,
salvo che, mossa da lieto &ttore,
90 Tolentier toma a ciò che la trastulla.
Di picciol bene in pria sente sapore;
quivi s'inganna, e retro ad esso corre,
93 se guida o fren non torce suo amore.
Onde convenne legge per fren porre;
convenne rege aver, che discemesse
96 della vera cittade almen la torre.
Le leggi Bon, ma chi pon mano ad esse?
Nullo, però che il pastor che precede
99 ruminar può, ma non ha l'unghie fesse;
lìngua antica (cfr. Parodi, BuU, m 97). — 84.
•4 lo eoe. ed oia io te lo dinKMtrerd aperte-
mente. — iptai dal dgnifioato etimologico
di etpkratora (ofr. Diei 806), per un fludle
trapaaeo, è tratto al senio di eapoiitore ; onde
poi «sptorv in iWy. zxvi 86, vale esplorate,
rioeroare. — 86. Esce di mane eco. L'anima
umana è creata immediatamente da Dio, il
quale la Tede nella sua idea prima eh' essa
sia creata. È conforme alla dottrina tomi-
stica, per cui € anima rationalis non potest
produci nisi a Deo immediate > (cfr. SummOf
p. I, qu. XT, art 8). — 86. a guisa 41 Usa-
elnlU ecc. con l'ingenuità della fanduHetta
che piange e ride, si rattrista e si raDegra,
mole e disvuole, doè, detto dell'anima, è
disposta e muterole ad ogni passione. — 88.
che sa Bulla ecc. la quale, mancando lo svi-
luppo delle sue facoltà intellettire, non ha
idee, sebbene per essere stata creata da Udo
fatton, da Dio ohe è il bene sommo, si volge
per istinto a dò che la diletta. Dante stesso
illustra questo concetto nel Cono, tv 12:
e L'anima nostra, incontanente che nel nuovo
e mai Catto cammino di questa vita entra, di-
lizza gli occhi al termine del suo sommo bene,
e perO qualunque cosa vede, che paia avere
in sé alcun bene, crede che sia esso ; e per-
ché la sua conoscenza prima è imperfetta per
non essere sporta né dottrinata, piodoli beni
le paiono grandi ; e però da quelli comincia
prima a desiderare ». — 90. volentler ecc.:
cSt. Pwg. xvm 20. — 91. DI pleelol ecc.
L'anima, gustato da prima il sapore dd beni
mondani, s'inganna credendolo quello dd
vero bene; e corre dietro a qud fidiaco sa-
pore, se non ha una ^da ^e la indirizzi
al vero bene o un freno che le impedisca di
correr dietro ai beni mondani — 98. guida
o frea: il fmo è quello della legga (r. 96),
la g¥Ua è l'autorità dell'imperatore (v. 96).
— 9A. Onde e^mveutt ecc. Ferolò bisognò
fermare leggi, le quali prop(»endod perfine
il bene comune fossero fl vlnoolo ddla so-
detà umana e la rimovessero dal liir male
(cfr. Ds moli, D 6). — 96. eemveuM rege
eco. bisognò creare un' autorità suprema, l'of-
fido di un imperatore (cfr. D$ mom, i 12 e
segg.), che conoscesse e amministrasse la giu-
stizia. — 96. della vera cittade eoe. Da^
Ds fNon. z 18, esplica lungamente il concetto
che il monarca universale, da lui sognato,
deve possedere, sopra le altre, la viitd della
giustizia: appare quindi manifesto die la km
detta vtra eiàad$y ch'egli deve discemere, d
la giustizia, splendore della corte cdest», co-
me rettamente intese, tra gli antichi, fl Buti.
— 97. Le leggi ecc. : d lo stesso pensiero
espresso nd J^trg. vi 88-89. — 98. Valle
ecc. Nessuno, penshò l'impero è oome vacante
(cfr. iWy. VI 97), o il pontefice, die essendo
costituito in massima dignità dovrebbe dare
agli altri fl buon eeemplo, non sa distinguere
le cose temporali dalle ^irituaU. — 99. ra-
ndnar eco. La legge mosaica proibiva agU
ebrd di mangiare la carne deg^ animali che
non ruminano e non hanno l' unghia Ibssa
(LevU, ZI 8 e segg., Dmitenm. xiv 7 e segg.);
e Tommaso d' Aquino, Annmo, p. I ^, qu.
cn, art 6, spiegando U significato aflegoiico
di questa legge, dice: e /Mò «nynha sigi^
flcat distinctìonem duorum testamentorum,
vd Patria et fiUi, Td duarum natnnmm in
(?hrÌ8to, vd discretionem boni et maH ; m-
nuSnath autem significat meditationem Scrip-
turamm et sanum intelleotum earum > : dun-
que Dante ha voluto dire che 1 pontefid,
sebbene siano sapienti ndla conosoenTa deUa
PURGATORIO - CANTO XVI
401
per ohe la gente, ohe sua guida vede
pure a quel ben ferire end' eli' è ghiotta,
102 di quel si pasoe, e più. oltre non ohiede.
Ben puoi veder ohe la mala condotta
ò la cagion ohe il mondo ha &tto reo,
105 e non natura che in voi sia corrotta.
Soleva Boma, che il buon mondo feo,
due soli aver, che l'una e l'altra strada
108 facean vedere, e del mondo e di Deb.
L'nn l'altro ha spento, ed ò giunta la spada
col pastorale; e l'nn con l'altro insieme
111 per viva forza mal convien òhe vada,
però che, giunti, l'un l'altro non teme:
se non mi credi, pon mente alla spiga,
114 ch'ogni erba si conosce per lo seme.
In sul paese ch'Adige e Po riga
solea valore e cortesia trovarsi,
■aora iciittm», Bon Mimo lare la distinzione
del b«BO • del male, deUe coio ipiiitaaU dalle
tanponU, e, confóndendo in t6 le dne pote-
età, eono cagione della nnirezsale corrasione
(ofr. i TT. 107-112, 127-129). — 101. Fare a
«Mi eoo. tendere solamente a quei beni mon-
dani, del qnali anch' essa è desiderosa. — 106.
Bea 9«el eco. Dunque la cagione della cor-
ratela è il mal goremo dei pontefici e degli
imperatori, non l'inflnensa delle stelle o la
cattirm natoza de|^ oomlnL — 106. e non
■ntera eoo. < Con un ragionamento senato,
in eoi non si sa se pifi ammirare la logica
stziiigsttle e la fona dell' argomentazione o
U TBiletà e beOezsa delle imagini, U poeta
ci kn data limpida e chiara la soa teoria del
libero arbitrio, e ne ha dedotto la necessità
deDa monarchia nnlTemle e della divisione
del potere laico dal sacerdote», A. Zenatti,
LteL, p. 29. — 106. SolOTa Berna ecc. Boma,
che dando ordine di leggi civili al mondo lo
prepard ad accogliere la fede cristiana (cfr.
Li/, n 22, 27), ebbe già nel passato le due
saune antoiità, qneDa dell' imperatore e qnel-
U del pontefice, che come due soli illnmina-
vaso aU' umanità il ^**«"n<wo deUa vita tem-
porale e della spiritoale. Secondo Dante, D$
«•OA. m 16, €opa8 Mt homini duplici dixe-
ctivo, eecandnm dnplioemflnem; soUicet sue»-
«10 ptmHfioe, qui seonndnm revelata hnmanmn
gemo» perdnceiet ad vitam aetemam ; et im-
qoi seoondnm philooophica dooo-
k geoos homannm ad temporalem feUd-
dizigeiet».— 109. L»u l'altro ecc.
I/sntosità pontificia si ò sovrapposta, in Bo-
ma, aU'Mitnità imperiale; la spada, segno
del potere dvilei è congiunta ool pastorale,
DAim
segno del potere religioso, e i dnepotad, te-
nuti insieme per fona, non possono produrre
se non grave disordine, perché essendo con-
giunti nella stessa persona è venutamene la
soggezione reciproca. — 112. però die, gliall
ecc. Buti, ingenuamente, ma con efficacia :
< quando li chexioi non ayeano se non lo spi-
rituale, temevano di fallire e di vivere diso-
nestamente, se non per l'amore di Dio, al-
meno per paura de' seculari, che vedendo la
loro mala vita, non denegasseno loro le loro
elemosine, e cosi li secolari temevano di fal-
lire e vivere male, oondderando: 'lo prelato
è ti diritto che non m'assolverà ' ; ora ve-
dendo lo cherioo dato a le cose temporali^
dice : ' Cosi posso fare io oom' eUi ' ; appresso
dice: *Io posso prestare ad usura ch'io las-
eerò a la chiesa, e sarò assoluto ' ». — 118.
pon mente ecc. considera gli effetti di questa
conftisione dei due poteri, poiché la natura
della pianta si riconosce dal ihitto. È ricordo
dell' evangelico (Katteo vn 16 e segg.) : e Or
guardatevi dai falsi profeti... Voi li ricono-
scerete dai frutti loro : oolgonsi uve dalle
spine, e fichi dai triboli? Cosi ogni buon al-
bero fa buoni frutti ; ma l'albero malvagio fa
frutti cattivi eoe ». — 116. paese ch'Adige
ecc. la Lombardia bagnata dal Po e dall'Adi-
ge ; ma intesa, al modo antico, in pifi largo
senso, per tutta l'Italia superiore: infatti
dei tre personaggi ricordati più innanzi, uno
appartiene all' Emilia e un altro alla Marca
Trivigiana (ofr. T. 124-126). — U6. vnUttt e
eertesin: sono le due virtd più proprie del
cavaUere, il vaiar», virtù militare, e la eor-
tesìOy virtù dvile ossia liberalità (cfr. Inf. xvi
67); quelle virtù insomma che Dante ammV-
402
DIVINA COMMEDIA
117 prima che Federico avesse briga:
or può stcuramente indi passarsi
per qualunque lasciasse per vergogna
120 di ragionar coi buoni o d'appressarsL
Ben y'6n tre vecchi ancora, in cui rampogna
l'antica età la nuova, e par lor tardo
123 che Dio a miglior vita li ripogna:
Corrado da Palazzo e il buon Gherardo
e Guido da Castel, che me' si noma
126 francescamente il semplice Iconbarda
lETS nel Malaspina (iWy. Txn 129), cfl pre-
gio della bona e della spada >. — 117. prlna
eco. prima dei contraiti tra l'imperatole 7e-
daiioo n (olir. I%U x 119) e la Gldeea, 1 qnali
•1 fTolaeio ipecialBeBte nell'Italia n^erioro,
néUe lotte tra le Qtttà gnelii», Milano, Bologna,
Fìtnaa eoo., e le otttà e dgnoile ghibelline,
come Cremona, Modena, Bnelino e Alberico
da Romano eoo. In qneete lotte ebbero campo
di oresoere le pM fiere peedoni partigiane,
ohe Airono nna déUe più potenti cagioni della
oomnlone : • omwtù già flalimbene da Faiw
ma, Okr» p. 198, come € omnea anpiadiotas
partoa et eoWmata et diviaionei et maledi-
otionee, tam in Toaoia qnam in Lombardia,
tam in Bomagncla qnam in Marchia aneho-
nitana, tam in Marchia tririiina, qnam in
totaltaUa, fcdt Friderioaa, qni quondam di-
otaa eet Ìmp«ator: et ideo ralde bene Itiit
pnnitna >. — US. or piò eco. adeiio ogni
malTagio nomo, al quale la Tergogna in^e-
dlMe di oonTemre ooi Tirtood o anche eolo
di aTTidnanl ad eeii, pad liberamente pee-
fve per le terre dell'Italia enpeiiore; non
trorerà ae non pochi nomini Tirtnoai, in con-
fronto al qnali egli debba arroaaire. — 121.
Bea T*ta eoo. Ben d rero die virono nel-
r Italia anpeiiore tre rirtaod nomini, ma ap-
partengono aDa yecchia generadone ; e aono
come fimproreri Tlrenti ohe la yecchia età
fa alla nnoya. e A dimoatrare che gentilezza
e Tixtd, come non aono pririlegio di caate,
cosi non aon neanche priTìlegio di parti po-
liticlie, i tre Tecchi lombardi, che l'oomo di
corte ghibellina qui esatta, aono tre goelfi >,
A. Zenatti, Ln^ p. 86. — 122. e par ler
ecc. e ad eaai medesimi increeee che Dio
tardi tanto a richiamarti a 86. — 121. Corrado
4a Palatie i Corrado m da Palaiso, di no-
bile famiglia breseiana, del qnale aappiamo
ohe fa vicario in Firenae per Cario I d'Angid
n^ 1276, capitano nel 1279 nella gnerxa del
Breaoiani contro Trento e podeatà di Piacenza
nel 1268, d lodato da tatti i commentatori
come nomo dotato di ogni virtd caTalleresca :
e portò, dice rott, in sna vita molto onore,
dilettoaai la beDa famiglia ed in Tita poUta,
In gofemamenti di cittadi, dove acquistò
molto pregio e fhma > : ofr. 0. Boad, JOogi
UtorM di bntehtd OludH, Breada, 1620,
pp. d2-i6. — U Wm Cfterardot Gherardo
da Camino, lodato come nobUiaaimo uomo
anche nel Cbftv. rr 14, f^ della fkmig^ che
raeoolae nella Marca trivigiana la dgnoria
degli Eczalini : egli ateaao fti acclamato ca-
pitano generale di Treviso nel 1288, e con
queato titolo tenne il dominio di qneUa città
Bino alla aoa morte avvenuta nd 1806, in
cui gli auoceaae il figlio Bizzardo (cfr. Ar.
IX 60). DeUe ano virt6, oltre gii accenni dd
cronisti contamporanal, abbiamo taatimonSan-
ze nd commentatori antidii, tra I qnaU l'Ott.
aodve che € d dilettò non tn una, ma In tutte
coae di valore >. 81 ofr. litta, .9IMI. esi. «oL,
da aimifM,tav. H; D.M. SMarid, iXaaarw
(ew. imiamo àOé mtMt éar, pausai, driia fo-
imU$ famlgUa a vario domiaio ita* Oamitmi
neUa Marca Triurlgiaaa, Yeneda, 1789. —
126. Gni4e 4a Oàatelt Onido della Auiglia
da Castello, uno dd tre rami Mìa conaor-
terfa dd Bòberti di Beggio, fk anch' egU lo-
dato come nobile uomo nel Cbna. rv 16 : viaae
dal 1288 drcaal 1816, maaeolato eanqptaalle
gare di parte In Beggio, o potò eaaar ooso-
aduto da Dante in Verena, ove ripsò ee-
aende atato caodate dalla patria come g^
bellino (cfr. 8. da Gasata, Okr. In Mur., Btt.
UaL XXm 2; 0. Fanali, G. da Oaaltìh a
U XYI 0. da PiMrg^ Beggio 1878; L Mal»-
gozzi, (?. ita OiaMo a D.jlA^àùH, ifl,1878,
e JVwmwawtf ttariei, ivi 1887). L'Ott aodve
di lui : e Meaaer Guido atidlò In ononve li
valenti nomini, che passavano per lo «•»»■«»»><>
franceeoo, e molti ne rimise in «valli ed ar^
mi, che di Francia erano paaaatl di qua ono-
revolmente, [e] crnianmate loro flwnltadl tor-
navano meno ad amed di'a loro non d oon-
venia, a tutti diede aensa aperansa di merito
cavalli, arme, danari >. — che me* si «ama
eoo. die meglio ò oonosduto od aopnineme
di atmpfioa lomòoiKfo, datogli al modo franceee.
Ott ! e Per Fianda di ano valore e oortaaia
toL tanta fama che per eccellenza 11 valenti
nomini il chiamavano 11 aemplioe lombardo >.
Sopra le varie apiegadonl di questa eqcee-
aione cfr. Zenatti, ImL pp. 86 e 66. —
PURGATORIO - CANTO XVI
403
Di' oggimai che la Chiesa di Eoma,
per confondere in sé due reggimenti,
129 cade nel fango e sé brutta e la soma ».
<0 Marco mio, diss'io, bene argomenti;
ed or discemo, perché da retaggio
182 li figli di Leyi furono esenti:
ma qual Gherardo è quel che tu, per saggio,
di' eh' è rimase della gente spenta,
135 in rimproverio del secol selvaggio ? >
« 0 tuo parlar m'inganna o e' mi tenta,
rispose a me, che, parlandomi tòsco,
188 par che del buon Gherardo nulla senta:
per altro sopranome io no 1 conosco,
s'io no '1 togliessi da sua figlia Gaia;
141 Dio sia con voi, che più non yegno vosco.
Vedi l'albór che per lo fummo raia
già biancheggiare, e me convien partirmi,
l'angelo ò ivi, prima ch'io gli appaia >.
145 Cosi tornò, e più non volle udirmi
127. UT oggimal eoo. To pool onnai oon-
dndoie ohe la Chiesa romana, per la oonfti-
skiDe che là in sé dei due poteri, cade nel-
l'aTTÌlimento e disonora 86 stessa e qnel
potare ci?ile ohe essa nsnipa. — 181. ed or
eoe. od ora comprendo perdio I discendenti
di Lori o Leviti, presso i quali era l'autorità
sacerdotale, furono esdnsi dal possesso dei
beni, dovendo essi attendere ai ministero spi-
ritnale (otc. Nmmtri, xvm 20, Oiosoò xm 14,
zn l-à). — 184. gSBfte speaU : la genera-
doaedea'oNMM dà (t. 122). — 185. te rlm-
frervilo eoe. a rampogna della proeente ge-
necaiione, priva delle virtd. — selvaggio:
Ott.: «dbe viro viziosamente e con peccato».
— 186. O tae ecc. Uaroo si mexavigUa che
Dante non abbia capito saUto che il btwn
Ohtntrdo ò U signore di Treviso, notissimo
in Toecan* ; e perdo gli dice : o io non ca-
pjsoo le toe parole o esse sono dette per mno-
vend a dire altre cose intomo a questo Ghe-
iBido. — 138. par che eco. Della notorietà di
Ohecardo da Gemino in Firenze, nata certo
daDe eoe relazioni con i Donati, d sono do-
cumento le Nov, <mL (ed. Boi^ghini, n.* xv),
ove d nana di Ini die, poco prima di mo-
rire, prestò osa egregia somma di denari a
Oofso Donati, il qtuJe poi nel 1806 fu pode-
stà di Treviso (efir. Dd Lnngo, I 696-7, Il
477). — 188. per altre ecc. Non saprei chia-
mado attximentl che il èwm Oherardo, a meno
die non tog^iesd da soa figlia Gaia un' altra
ft^^^j^r^ d'indicado, chiamandolo Upadndi
Omia, — 140. da sna llgliat Gaia, figlia di
Gherardo da Camino e di Chiara della Torre,
sposò un irao parente, Tolberto da Camino, e
mori nd 1311: cfir. Litta, L dt ; N. Baxcszi,
Aoommiaeosó vmeU in DanUé • il tuomeoio,
p. 804 ; P. Bigna, Cfaia da OaumnOt néH'Areh,
8ior. ital,, 6» serio, - voi. IX, pp. 284 e segg. ;
A. Zenatti, Ltot, pp. 88-41, 66-68. Di Id dice
il Lana : e Fa donna di tale reggimento, dica
le delettadoni amorose, ch'era notorio il sao
nome per tntta Itdia » ; ohioea equivoca, che
forse trasse in inganno Bnti, An. fior., Land.,
VelL, Dan., i qnali lodarono Gaia di padici-
zia e di onestà. Benv. attesta che la figlia
di Gherardo ta al modo delle trevisane (of^.
Bit. zz 82) di Ucenzicd costomi e scrive :
< Ista enim erat famosissima in tota Lom-
bardia, ita qnod nbiqoe dioebatnr de ea: * Mn-
Her qoidem vere gaia et vana ', et, nt bre-
viter dioam, tarvisina tot» amorosa, qnae di-
cebat domino Bizardo fratti suo : * Frocnra
tantom mihi iavenes prooos amorosos, et ego
procarabo tibi paellas fìormosas ' : molta io-
cosa, sdens, praetoreo de foemina lata, qnao
dioere pador prohibet >. Manifestamente la
figlia d ricordata qai in opposizione d padre
virtaoeo, e però la chiosa di Benv., cui non
s'oppone quella del Lana, è la migliore. —
142. Tedi eco. Vedi il chiarore dell'angelo,
cho già raggia traverso il ftuno ; io devo d-
lontanarmi prima ch'egli mi veda. - 144.
l'aagflo I l'angelo della paco : cfr. Purg. zvu
46-69. — 146. Oosf ecc. Cosi ritotnò indie-
tro, senza férmard ad aspettare risposta a
dò ch'egli m'avea detto.
404
DIVINA COMMEDIA
CANTO XVII
Uscito dal tono con Virgilio, Dante ha la visione di alcun! esempi dM-
racondia punita; poi all'inylto dell'angelo della pace ! due poeti salgono
verso il quarto cerchio : pervenuti sul ripiano di esso, Virgilio espone la
teorica delP amore per spiegare il sistema morale della partizione del pur-
gatorio [11 aprile, dopo le ore sei pomeridiane].
Eicorditi, lettor, se mai nell'alpe
ti colse nebbia, per la qual Tedessi
8 non altrimenti che per pelle talpe;
come, quando i vapori umidi e spesai
a diradar cominciansi, la spera
6 del sol debilemente entra per essi;
e fia la tua imagìne leggiera
in giugnere a veder com'io rividi
9 lo sole in pria, ohe già nel corcare era.
Si, pareggiando i miei co' passi fidi
del mio maestro, uscii fuor di tal nube,
12 ai raggi, morti già nei bassi lidi.
0 imaginativa, che ne rube
XVn 1. Bieoraia eoo. Ventali 117 : e Co-
stmiid: Se mai, o lettore, eoli' alpe ti colse
nebbia, per coi ta non potessi vedere te non
come vede la talpa a traverso la pellioola
ohe ha sogli occhi; ricordati come i raggi del
sole entrano debilmente per gli amidi e spossi
vapori, quando qaesti cominciano a diradarti ;
e fMilmente intenderai ecc. CIÒ per dire ohe
il poeta nsoendo dal tristo ftamo, in cai stan
chiosi gl'iraoondi nel teno ceroliio del Par-
gatorio, rivide il sole vicino al tramonto,
qoasl ravvolto da fitta nebbia. Evidente nel-
r imagine, benché nn po' involata nella lo-
cazione, è la similitadine >. — nell'alpet
Benv. : < nota qood lioet Alpes sint diversae
in divexsis partibas mandi, tamen forte poeta
noster loqaitor de Alpe Apennini, et de ea
parte qnae est Inter Bononiam et Florentiam,
ahi ftierat ezportas istam casam, sicat et ego
recordatas som istias dicti, dam simili modo
nebala ocoapasset me in dieta Alpe >. •« 8.
per peUe talpe : è noto che secondo gli an-
tichi naturalisti la talpa avrebbe l'occhio ri-
coperto di ona sottile pellicola; e veramente
la saa papilla è velata da una tale pellicola, ^
ma ha an' i^ertara piccoUssima per la quale *
l'animale può vedere. — 4. 1 rapori ecc. i
vapori della nebbia, che sono tanto piA densi
quanto ossa appare più fitta. — 5. la spera
del sol : i ra^ luminosi del sole. — 7. e
fla la tva ecc. e la tua imaginazione sariH
facilmente in grado di anivare a Intenden
come a me, ohe stavo per uscire dal Aimo,
apparisse il sol^ da occidente. — 9. ael eor-
eare era s era prossimo al tramonto, poiohó
erano le ore sei pomeridiane dell* 11 aprile :
cfr. Moore, p. 109. — la 8<^ paregglasAe
ecc. Cosi, dod a questa scarsa luce solare,
seguendo di pari passo Virgilio, uscii dalla
nuvola di fumo alla vista dei raggi del sole, i
quali non illuminavano più i bassi lidi, la
pianura dell'isoletta, ma solo l'alto della mon-
tagna. — 18. O IsaglaatiTa eoo. Entrando
nel terzo cerchio Dante ha avuto visioni di
esempi di mansuetudine (Purg, xv 8&-1U);
prima d'uscirne egli vede in estasi eeempi di
iracondia punita: di quelli, due sono tratti
dalla leggenda cristiana (Maria e SteCano) e
uno dalle tradizioni classiche (Pisistrato) ; di
questi due sono di materia classica (Progne
e Amata) e uno di materia biblica (Haman).
— ae rube eoo. ci togli alle impressioni eateme
si che il risonare di mille trombe non baste-
rebbe a fsroi accorti di ciò che succede intonto
a noi. Sebbene i^partenga più alla leggenda
che alla storia dantesca, d da richiamare qui
l'aneddoto riferito dal Bocc., Vita di Dante
I 8 : < Secondo che alcuni degni di fede rac-
contano di questo darsi tutto a cosa che gli
piacesse, egli Pante] essendo una volta tra
le altre in Siena, e avvenutosi per accidente
alla stazzone d' uno speziale, e qoivi statogli
PURGATORIO - CANTO XVII
405
tal volta si di fuor, ch'uom non s'accorge,
15 perché d'intorno snonìn mille tube,
cbi mnoye te, se il senso non ti porge?
Maoyeti lume, che nel del s'informa
18 per sé o per voler che giù lo scorge.
Dell' empiezza di lei, che mutò forma
nell'ucoel che a cantar più si diletta,
21 nell'imagine mia apparve l'orma:
e qui fu la mia mente si ristretta
dentro da sé, che di fuor non venia
24 cosa che fosse allor da lei recetta.
Poi piovve dentro all'alta fantasia
un crocifisso, dispettoso e fiero
27 nella sua vista, e cotal si moria:
intomo ad esso era il grande Assuero,
Ester sua sposa e il giusto Mardocheo,
recato mio libretto daTanti promeMOgli, e
tzm* Talenti uomini molto Dunoso, né da lai
•tato giammai rodato; non arendo per ar-
yentoia apazlo di portarlo in altea parte, io-
pra la panoa ohe davanti allo ipeziale eia, li
pnoee col petto, e meieoai O litoetto daranti,
qoeOo copidiMimamente oomindd a Tedexe;
e oome ohe pooo appresso in qaeUa contrada
■tassa, dinanxi da Ini, per alcana general fo-
lta de' sanasi si oominHssse da gentil giovani
e Caoesse ana grande armeggiata, e con qaeUa
grandissimi lomori da' circostanti, siccome in
eoCal casi con istramentl rarii e con Tod ap-
pìandanti sad farsi, e altre ooee assai T'av-
venissero da dover tirare altrol a vedersi,
giooome balli di vaglie donne e giuochi molti
di giovani ; m^ non fu alcuno ohe muovere
quindi il vedesse, né alcuna volta levar gli
occhi dal libro ». — 16. ehi maoTe ecc. che
cosa mai là operare l' imaginazione, quando i
tensl le porgono alcun obbietto? — 17. Mao-
veti ìrnmt eco. L' imaginazione, quando non
è mossa dalle percezioni doÌ sensi, è mossa
da un hmUf da una fona la quale prende
forma, i^ooedo dal dolo, o peràéf doò natu-
lafaBonte, per la naturale inflaenza degli astri,
o jMT toùre, per una particolare volontà di
Dio che la manda ad operare sull'uomo. —
19. Dell* CMplessa eco. La prima visione
avuta da Dante fu quella di Progne, figlia
di Fandione re d'Atene e moglie di Tereo re
di Tracia : la leggenda raccolta da Ovidio,
UtL VI 412-676, racconta che Tereo violò
Ukunela, sorella di Progne, e che questa per
Tendatta, seguendo l' impulso di un' ira bru-
tale, dio a mangiare al marito carne del lor
igliuolo Iti ; finché gli dèi a punire tante
•eeOerateaze trasformarono Tereo in upupa,
e le due donne l' una in usignuolo, 1* altra
in rondine: i mitogiail e poeti gied dicono
che in rondine f^ cambiata Filomela, in un
usignuolo Progne: i latini invece fumo di
Filomela un usignuolo, e di Progne una ron-
dine (efr. Virgilio, Buò, ti 78, Otofg. r? 16,
611; Ovidio, JLtnor. n 6, 7-10, Marziale ziv
78 eoe). Dante segue Ovidio rappresentando
Progne, come dominata dall'ira o mnpinata
(cfr. JM. VI 610, 628), ma poi si accorda coi
mitogiail ohe la dicono trasformata in usi-
gnuolo, doò nell'uccello che a cani» più ti
diletta : invece la rondine è la trasformazione
di Filomela, die veramente secondo la leg-
genda ebbe a provare i maggiori piai, cui il
nostro poeta accenna in Purg. ix 16. Su tutto
dò cfr. D' Ovidio, pp. 679-681 , e Moore, I
209-210. — 22. e «ni tm eco. la mia mente
si restrinse, si raccolse tanto in aé stessa su
questa visione che non percepì più nulla di
dò che accadeva di f^iori : cf^. w. 18 e segg.
— 26. Poi plOTVt ecc. D secondo esempio ò
quello di Haman, del quale nana lungamente
la bibbia {Ester m-vn), come essendo nel fa-
vore del re persiano Assuero avesse grande
ira contro Mardocheo e volesse farlo impic-
care; se non che la regina Ester scopri al
re le grandi soelleratozze di Haman, e cosi
questi fu impiccato al legno che aveva fatto
apprestare per il suo awerssiio : cfr. Moore,
I 76. — 28. 11 grande Assuero! mitico re
dei Persiani, il quale (Ester i 1) < regnava
dall'India fino in Etiopia, sopra centoventi-
sette provinde >. — 29. Ester i la bellissima
fandolla ebrea, che il re Assuero elesse per
moglie e regina, essendo rimasta oltana era
stata allevata da Mardocheo, suo zio {Eeter
II 6 e segg.). — il giasto Mardechee ecc.:
Mardocheo è rappresentato nel lAbro di Btter
come uomo giusto e di grande rettitudine,
406
DIVINA COMMEDU
80 che fu al dire ed al far cosi intero.
£j come questa imagine roxnpeo
sé per sé stessa, a guisa d'una bulla
83 cui manca P acqua sotto qual si feo,
surse in mia visione una fiemciulla,
piangendo forte, e diceva: < 0 regina,
86 perché per ira hai voluto esser nulla?
Ancisa t'hai per non perder Lavina;
or m'hai perduta; io son essa che lutto,
89 madre, alla tua pria eh' all' altrui ruina».
Come si frange il sonno, ove di butto
nuova luce percote il viso chiuso,
42 che fratto gnizza pria ohe muoia tutto;
cosi l'imagìnar mio cadde gìuso,
tosto eh' un lume il volto mi percosse,
45 maggiore assai che quello eh' è in nostr'uso.
Io mi volgea per vedere ov'io fosse,
quand' una voce disse : « Qui si monta », e
48 che da ogni altro intento mi rimosse;
e fece la mia voglia tanto pronta
di riguardar chi era che parlava,
61 che mai non posa, se non si raffronta.
oosf nel pailaie come nell'operaie. •» 81.
rompeo 9é eoe. •* interrappe di per sé steesa,
senza che alcnn fktto esteriore veniase a ri-
chiamar Dante alla realtà. — 82. s ^Ita
ecc. come si rompe la bollicina dell' aoqna,
qnando l' aria di sotto infrange il sottile velo
dell'acqua che la ricopre. — 84. sorse In
min eoe. La terza visione è quella del soi-
cidio di Amata, moglie del re Latino e ma-
dre di Lavinia : Dante imagina di vedere in
sogno la giovinetta Lavinia che piangeva la
madre, la quale, credendo ucciso Turno re
dei Butuli e la figliuola data in isposa ad
Enoa, si era con furore disperato appiccata
alle travi del letto (cfr. Virgilio, JEh. xn 595
e segg.)- — 86. esser nella; annientarti,
tcglìerti la vita. -- 88. lo son essa eco. ed
io sono Lavinia, che piango, madre, prima
per la tua morte che per quella di Turno,
cui ero promessa sposa. — latto : il vb. hd-
tarOf di cui non mancano esempi anche nella
prosa antica, ò formato sul lat hteius e si-
gnifica plorare, piangere. — 40. €enM si
frange ecc. Dante, rapito in estatiche visio-
ni, 6 richiamato alla realtà dalla luminosa
apparizione di un angelo, alla stessa guisa
che l'uomo addormentato si sveglia se una
viva luce viene a colpire d'improvviso gli
occhi chiusi. La stessa comparazione ò in
Par, XXVI 70. — di bettn t ofr. B%f, xxxv
105. — 43. che frattt eoo. Yentori 288:
€ Piena d'evidenza è l'imaglne del toono,
ohe prima di svanire del tutto par ehe ftigga
e tomi, quasi combattendo sulle palpebre con
la vigilia. VirgiHo del oomindiff del sonno
dice: Quie» mortalibu$ megris,,, graiiukmi
Mrpit (En. II 268): Dante, del troncarsi, pite-
la. Bello in ambedue : ma forse con maggior
efficacia il nostro poeta trae dal veloce moto
de' peed cotesto traslato, e lo adatta qni al
sonno, come altrove alla fiamma che s* agita
(Inf, xxvn 17), e alla vibrazione deOa corda
sonora oscillante (Air. xx 148). E se bene
appropriato è alle cose materiali, non meno
è all' itnaginan^ ì cui atti interni si foggiano
in modi infiniti, e spesso inawertilaniente
rapidissimi ». — 46. maggiere nstnl ecc.
molto più vivo del lume del sole : è la luce
dell' angelo (cfir. w. 55-67). ^ 47. nnn tm*
eco. È la voce dell' angelo del terso cerchio
che invita i due visitatori a salire per la eeala
che conduce al quarto (cf^. JFWy. zn 92, xv
85). — 48. f he da ogni ecc. la qnal voce
rimosse la mia mente da ogni altro pensiero.
— 60. eU em eoo. pendié, oome la sna hioe
superava quella del sole, oosf la sua Tooe
era più ohe umana. — 5L ehe ani eoo. Lonb.
spioga : € che mai posata non si sarebbn, se
non si fòsse raffrontata, incontrata, trovata
a fhmte dell' oggetto amato > ; meglio il fiiag.
e il Bianchi tengono ohe Dante aocenni in
generale il carattere di un desiderio intana^
PURGATORIO - CANTO XVn 407
Ma come al sol, che nostra vista grava,
e per soperchio sua figura vela,
54 cosi la mia virtù quivi mancava.
« Questi è divino spirito, che ne la
via d'andar su ne drizza senza prego
57 e col suo lume sé medesmo cela.
Si & con noi, come l*uom si £a sego;
che quale aspetta prego, e Puopo vede,
60 malignamente già si mette al nego.
Ora accordiamo a tanto invito il piede:
procacciam di salir pria che s'abbui,
63 che poi non si porla, se il di non riede ».
Cosi disse il mio duca, ed io con lui
volgemmo i nostri passi ad una scala;
66 e tosto ch'io al primo grado fui,
senti' mi presso quasi un mover d'ala,
e ventarmi nel viso, e dir : e Beati
69 pacificij che son senza ira mala ».
Già eran sopra noi tanto levati
gli ultimi raggi, che la notte segue,
72 che le stelle apparivan da più lati.
€ O virtù mia, perché si ti dileguo? »
fra me stesso dicea, che mi sentiva
e pelò interprotano : « ohe qmndo la voglia tanto cortese con noL — 62. pria ooo. pri-
ò a tal Mgno, mmpo$afnai^ non b' acquieta, ma ohe scompaiano gli aitimi bagliori del
m nei» ti raffronta, le non Tiene a fronte crepuscolo ; cfr. Hoore, p. 110. — 63. poi
con la cosa o persona bramata >. — 52. Ma MB si porfa ecc. : cfr. Purg, vn 4A, 63-60.
•«■• eoe Ma la mia virtù Tisira maneavaf — 67. santf* mi presio eco. : è il movimento
non poteva sostenersi, innanzi all'angelo, delle ali dell'angolo, che agita l'aria e cosi
come in generale la vista umana non si so- toglie dalla fronte di Dante un altro dei se-
stiene innansi al sole, ohe la opprime e per gni dì peccato, mentre dice un' altra delle
la luco eccessiva le nasconde la sua figura, beatitudini evangeliche. — 68. Beati pacl-
— 66. Qvestl è eco. Virgilio interviene a Ilei ecc. È una dichiaradone delle parole di
spiegare a Danto quella splendente appari- Gtesù Cristo (Matteo v 9) : > Beati i pacifici,
clone • gii dice die ò un angelo, il quale perciocchó saranno chiamati figliuoU d'Id-
eenz* aspettare preghiere insegna loro la via dio » ; dichiarazione resa necessaria dalla di-
per salire e si nasconde, come creatura beata, stinzione che i teologi fecero dell' tra bona,
nel suo pcoprio ftilgore. — ne la: cf^. Par. ohe è secondo ragione, e dell'ira nutla, che
XX 13. ^ 87. e eoi sue Urne ecc. : si noti ò fuori di ragione (cfìr. Gregorio Magno, ito-
la piena oerriq^ondenza tra questo e il v. 68. ral, v 80, Tommaso d'Aquino, Summaf p. II
— 68. 8£faeeB nel ecc. Quest'angelo, ani- 2^, qu. clvui, art. 1-8). — 70. Già eran
nato da verace spirito di carità, opera ri- ecc. Qli ultimi raggi, che il sole già tramon-
■petto n noi oon quell'amore spontaneo che tato mandava alla terra, già illuminavano
r noBso pratica verso 86 medesimo : d un con- solo la cima e le parti più aito della monta-
eetto xiftBSSo da notissimi precetti evangelici gna, tanto che da piti parti incominciavano
(Loca VI 81, Matteo vn 12, Marco xn 81). ad apparire le stelle, non velato dalla luce
— seg* t seco. — 69. qnale aspetta ecc. del crepuscolo. — 78. O vlrttf ecc. Danto
l'uomo, ohe vedendo il bisogno altrui aqwtta incomincia a sentirai mancare la forza per
di eesare prsgato, si prepara già maligna- continuare il cammino, non già per stan-
mento a non porgete il suo aiuto. — 61. ae- chezza, ma perché si ùl notte e per la note
eerdlaaia ecc. inoomindamo a salire, accet- legge del puigatorio e salir su di notte non
tando 000^ l'invito dell'angelo, che è steto ^i puoto» {Pwrg, vu 44): perdo dice ch^ l^
403
DIVINA COMMEDIA
75 la possa delle gambe posta in tregue.
Noi erayam dove più non saliva
la scala su, ed eravamo affissi,
78 pur come nave ch'alia piaggia arriva;
ed io attesi un poco s*io udissi
alcuna cosa nel nuovo girone,
81 poi mi volsi al maestro mio e dissi:
< Dolce mio padre, di' quale offensione
si purga qui nel giro, dove semo:
84 se i piò si stanno, non stea tuo sermone ».
Ed egli a me: € L'amor del bene, scemo
di suo dover, quiritta si ristora,
87 qui si ribatte il mal tardato remo:
ma perché più aperto intendi ancora,
po89a delle gambe era come tospeta o oeesata
temporaneamente, potia tn ingve. — 77. era-
jàMù afllail eoo. eravamo rimatti immobili,
oome le nari ohe, arrivando in porto, ai fer-
mano alla riva. — 80. mèi avevo glroaet
nel quarto cerchio, ove sono le anime degli
aoddioiL » 81 offlBBiloBe t è il peccato,
considerato come un' offesa a Dio. — 84. se
1 pie eoo. se non possiamo oontinnare il cam-
mino, almeno parlami e ammaestrami snlla
oondidone di qaesto luogo; cfr. i^f* zi IS-
IS. — 86. Ed egli eco. Yiigìlio risponde alla
domanda di Dante con una lunga digressione
intomo alla natura d' amore ; digressione che
fu filosoficamente illustrata da B. Varchi, Le-
%wni mU Danle^ Firenze, 1841, voi. I, pp. 117-
166, e dal Tomm. nei due discorsi annessi a
questo e al seguente canto. La dottrina dan-
tesca ò cosi riassunta ed spoeta dal Poletto,
Pt». I 45 : < L' animo è fatto naturalmente
per amare, ond'ha una natorale tendenza a
tutto quello che piace, e questa tendenza la
si ravvisa subito che fl piacere lo risveglia
aU'atto. La facoltà intellettiva ritrae 1* i-
magine dell'oggetto reale esteriore, la pone
dinanri all' anima e la svòlge, finché v* abbia
attratto l' attenzione di lei. Ora, l' amore al-
tro non è ohe questa tendenza o abbandono
dell' anima sull' imagine dell* oggetto, e oosl
viene ad essere natura stessa dell' anima, na-
tura che di nuovo si lega nell' uomo per vlrtd
del piacere. Di vero, il primo legame dell'a-
nimo ooUa natnra è di avere questa disposi-
rione ad amare, e la natura di nuovo con
esso animo si unisce. Quindi, in quella ma-
niera che il faoco tende sempre in alto per
Tirt6 dolla sua forma o essenza (che è nata
a salire), per egual modo l'animo preso dal
piticere entra nel desiderio, che è moto non
materiale come quello del fuoco, ma spiri-
tuale ; e si, che piò non s' acquieta se prima
non giunge in possesso della cosa amata. Da
tutto questo risulta erronea l'opinione dì co-
loro ohe credono eh' ogni amore sia in 86 lo-
devole, fono perché la materia dell' amore
(doè oodesta disposizione ad amare) è sem-
pre buona: ma posto pur ciò, non è buono
ogni amore, come non ò buona ogni figura
che si suggelli od imprima neDa cera, anco
se la cera sia buona. Ma tale tendenza ad
amare non nuoce alla libertà dell'arbitrio?
non mai, perché ci è dato la fìscoltà dol di-
soemere, ci è dato la ragione, onde poesiamo
acconsentire o no a tali allettativi. I filosofi,
anco pagani, riconobbero questa innata libertà
nell'uomo, e perdo stabilirono la moralità
delle azioni, e la responsabilità dell'operan-
te; poiché, se tale libertà non fosse nell' uo-
mo, sarebbero una manifesta ingiustizia si i
premi che i castighi >. — a«er del beae
eco. amore divino difettoso della dovuta sol-
lecitudine, definisce il poeta l' aoddia, aooor-
dandosi con Tommaao d'Aquino, Ammuo, p.
I, qu. Lxm, art 2 : < Aoddia... est quaedam
tristitia qua homo reddltor tardos ad spiri-
tnales actus proptar ooiporalem laborem >.
— 86. «mlrltUi oft. Pmg. iv 125. — si ri-
stora: Buti: e Quando s'ama Iddio e le virté
si eserdtano et amansi oon minor cura che
non si de', in questo quarto girone si ram-
menda ; imperò ohe quivi d purga Io peccato
de l'acddia, et aoddia è esser negligente al
bene ». — 87. qui si rlkatts eeo. qui d gua-
dagna con la diligente soUedtudine dò che
d ò perduto per la negligente trascuratezza;
oome il navigante battendo oon maggiore ce-
lerità i remi riacquista il tempo perduto oon
la lentezza del vogare, od mal tardato remo,
— 88. ma psreké eoo. NeU' indugio ohe i due
vidtatori fecero prima d'uscire dal sesto cer-
chio infemsle "^^rgilio aveva spiegato a Dante
il sistema motale dell'inferno (ofr. .fii/*. zi 16
e segg.); ndla loro fermata nd quarto cer-
chio del purgatorio, espone al disoepoto fl si-
J
PURGATORIO - CANTO XVH 409
volgi la mente a me, e prenderai
90 alcun buon frutto di nostra dimora ».
€ Né creator né creatura mai,
cominciò ei, figliuol, fu sensa amore,
93 o naturale o d'animo; e tu il saL
Lo naturai ò sempre senza errore,
ma l'altro puote errar per malo obbietto,
96 0 per poco o per troppo di vigore.
Mentre oh' egli ò ne' primi ben diretto
e ne' secondi sé stesso misura,
99 esser non può cagion di mal diletto ;
ma, quando al mal si torce, o con più cura
o con men che non dèe corre nel bene,
102 centra il fattore adopra sua fattura.
Quinci comprender puoi ch'esser conviene
amor sementa in voi d'ogni virtute
105 e d'ogni operazion che merta pene.
Or, perché mai non può dalla salute
amor del suo suggetto torcer viso,
108 dall'odio proprio son le cose tute:
e perché intender non si può diviso,
e per sé stante, alcuno esser dal primo,
ttema morale del regno del penitenti. — 89. gola, lattaria). — 97. Mestre eh* egli eoe.
e yrtBderftl ecc. cfr. Inf, zi 18-16. — 90. Qoando l'amore di elezione è rivolto a Dio
aleaB bvoa eoe. Oserra il Biag. che e qoe- e alle 7irt6 {primi hmi) e sa contenere nei
Ito profóndo ntgionamento ta 1* amore, ohe giosti limiti amando i beni terrestri (Moorui»),
noi rimanente del oanto si comprende e in non è colpa ; ma qaando si volge al male o
parta nel segnante, è on rero capo d'opera si dimostra pi6 desideroso che non convenga
di morali insegnamenti e di poetiche bellet- dei heni terreni o meno desideroso che non
Eo; • benchó non sia pane da tatti, ma per bisogni del bene infinito, allora opera contro
qael soli o pochi, i qnali, penetrando oltre Dio ed è peccato. — 102. e^ntra ecc. l'oomo,
la scorza, possono alla sugosa sostanza della creatara di Dio, opera contro Dio, suo crea-
midollft arrivare ; nondimeno ogni mediocre toro. — 108. Qvlnei eco. La consegaenza di
ingegno pad cavarne par alonn utile e di- qaesto ragionamento è che l'amore è negli
letto, ponendo ben mente allo stile ohe dal uomini principio d'ogni adone bnona e cai-
primo all' ultimo tratto sente della possanza tiva (of^. Purg, zvin lé-16) : dottrina che
del suo creatore ». — 91. H4 ertator eco. Dante riprende direttamente da Tommaso d' A-
Né Dio né le creature furono mal senza amo- quino {Summat p. I, qu. xx, art 1 e qu. lx,
re, o matmuU cioè innato e istintivo, o d'a- art 1 ; p. 1 3^, qu. xzvu, art 4, qu. zxvm,
fMmo, doè d'eledone e libero. — 98. e ta art 6, qu. zli, art 2, qu. lzx, art 8). —
il sai: Dante lo sapeva per esperienza e per 106. Or, perché ecc. Perché amore non può
stadio ; e infatti nel Cbne. ni 8 tratta a lungo tongr viso dalla salica, cioè deve neoessaria-
di questo amore naturate, ossia dello naturali mente mirare al bene dfl tuo tuggetto, di co-
tendenze dei corpi per*istinto. — 94. liO ma- lui nel quale opera, avviene ohe U ooto, tutti
tnral eoo. L'istinto non erra mai per sé gli esseri, sono tuie dall'odio proprio, sonod-
se non è traviato o impedito dall' af- cure contro il proprio odio doè tutti devono
fstto d'eledone (cfr. Tommaso d'Aquino, A«m- amare sé stesd; e perché non può ammet-
ma, p. I, qu. LX, art 1). — 96. l*altro ecc. terd che akun eesere sia divito dai primo es-
l'amore di libera eledone può errare in tre sere, doè da Dio, e sia esistente per sé stesso,
modi, o por malo abbietto, eleggendo il male avviene che ogni affètto è lontano dell'odiare
(supeórbia, invidia, IraX o amando il bene in- quello, doè Dio. Questa dottrina che la crea-
finito con pooo di vigore (acddia), o amando tura non possa dedderare il male del creatore
11 bene finito oon kofpo di vigore (avarida, perché non può dedderare il proprio male è
410
DIVINA COMMEDIA
IH da quello odiare ogni a£fetto è deciso.
Eesta, se dividendo bene estimO|
che il mal ohe s'ama è del prossimo, ed esso
114 amor nasce in tre modi in vostro limo.
È ohi per esser suo vicin soppresso
spera eccellenza, e sol per questo brama
117 eh' e' sia di sua grandezza in basso messo ;
è chi podere, grazia, onore e fama
teme di perder perch' altri sormonti,
120 onde s'attrista si che il contrario ama;
ed è chi per ingiuria par ch'adonti
si che si fa della vendetta ghiotto,
123 e tal convien che il male altrui improntL
Questo triforme amor qua giù di sotto
si piange; or vo'che tu dell'altro intende,
126 che corre al ben con ordine corrotto.
Ciascun confdsamente un bene apprende,
nel qual si cheti l'animo, e disira:
120 per ohe di giugner lui ciascun contende.
Se lento amore in lui veder vi tira.
ricavata da Tommaso d' Aquino (Amhno, p. I
2m, qo. xziz, art A 6 p. Il 3^, qn. xjlijv,
art t). — 111. è 4eeliot propriamente: ò
tagliato; ma per estensione di lignifioato,
qui Tale: è limoiao, ò lontano. — 112. Be-
tte eoo. Se l*aomo non pnd amare il proprio
male né qneUo di Dio, retta ohe egli pud
amare il male del proadmo ; e questo amore
del male altmi appare di tre maniere. — se
dlTideade eoo. se in questa mia dimostra-
zione non m' inganno ; dmden, dalla parti-
zione di una qualsiasi proporzione nelle sue
parti, passò a significare nella lingua filoso-
fica antioa la dimostrazione di ciascuna parte
e poi la dimostraziono complessiva; onde
Dante chiamò dwitioni le chiose apposte alle
rime della VUa Nuova (cfr. V. N. xiv 75:
e la divisione non si fa, se non per aprire
la sentenzia della cosa divisa »). — lU. In
vostro limo : nel vostro fango, nella vostra
natura umana (cfr. Omesi^ u 7, secondo la
vulgata: cFormavit igitur Dominus Deus
hominem de limo terree »). — 116. È ehi per
esser ecc. Tra gli uomini v* è chi desidera
<li elevarsi con l'oppressione del suo prossi-
mo, e per questo desidera che gli alM va-
dano in rovina : questo è il peccato della su-
perbia, la quale (scrive Tommaso d'Aquino,
Svmma, p. n 2^, qu. cLxn, art 2) e didtur
osse amor prcprias ÉXceUeniiad^ in quantum
ox amore causatur inordinata praesumptio
alios superandi ». — 117. e' : egli, il vicino
0 prossimo, — X18, è chi podere ecc. v' ò
chi teme di perdere per U sormontare degli
altri la propria potenia, il favore, Tonore e
la gloria ; però s' attrista tanto da desidarsre
ohe gli altri discendano : questo è il peccato
dell' invidia, per la quale (cosi Tommaso d'A-
quino, Summa, p. n 2^, qu. zzzvi, art 1)
« precipue de illls bonis homines invident,
in gwbtu «ti gìoHa^ et <n ^vdtu komStm
amant honorari d m opmion$ esM ». — 121.
e4 è ehi ecc. infine v* ò chi ricevendo alcuna
ingiuria si sdegna tanto da divenire avido
della vendetta, e cosi gli bisogna procacdazv
U male degU altri. — 128. Impresti: U vb.
improntare ha lo stesso significato del sem-
plice pronlar$ (cfr. I^, xm 20), stimolare,
suscitare; e bene spiegò il Butì : cfieiocia o eso-
da fisre male al nimico suo ». — 124. levette
triforme ecc. Queste tre maniere dell'amore
rivolto a maio obbieUo si espiano nei primi
tre cerchi del purgatorio (cfr. I\Mrg, x 101,
xm 87, XVI 24) : ora ti parlerò di quell'amoie
che ò peccaminoso per poeo o per troppo di
vigore (v. 96). — 127. €laseui ecc. Ogni uomo
ha una vaga idea di un bene sommo, nel
quale possa trovare ' sodisfisoimento l'anima
sua, e desidera quanto bene : perdo ciascuno
si sforza di raggiungerlo. — 190. Se leat*
amore ecc. Se alla cognizione o al conse-
guimento di questo sommo bene l'uomo è
tratto da un lènto amore, ossia se l^aimor del
bene è in lui ecemo di tuo dover (v. 86), pecca
di acddia; e quando egli muoia pentito dal
suo peccato viene ad espiarlo in questo quarto
PURGATORIO - CANTO XVII 411
o a lui acquistar, questa cornice,
132 dopo giusto penter, ve ne martira.
Altro ben ò che non fa Puom felice;
non è felicità, non è la buona
135 essensa, d'ogni ben frutto e radice.
L'amor, ob'ad esso troppo s'abbandona,
di sopra noi si piange per ire cercbì;
ma come tripartito si ragiona,
139 tacciolo, acciò che tu per te ne cerchi ».
eerchio. — 133. Altro bea è eoo. Yi tono frutto radie$j ohe Torxebbe dir» : principio
altri beni, qneUi mondani, che non rendono d'ogni vera felidlà; ma Dante distingue 11
r nomo Mioe ; ch6 qnella ohe da eiii prooede principio della feUoità (radieé)^ ohe è in Dio
non è felicità rera, non è quella ohe viene stesso, dal compimento di essa (frutto)^ ohe
dalU perfetta sswiwa, da Dio. È detto In con- egli concede nell'altra Tita agli nomini che
fbnnità alla dottrina teoiogioa (ofir. Tommaso furono TirtnosL — 186. L'aaor eco. L'amor»
d'Aqidiio, Summa, p. I, q. ti, art 8 e ma- che si Tolge con tnppo di vigore ai beni ter-
ni^iTttnwi est qnod solus Deus habet omnlmo- reni si espia negli ultimi tre cerchi del pnr-
dam perfectionem seonndnm suam essentiam, gatorio, ove le anime si purificano deUe colpe
et ideo ipse sdus est bonus per suam essen- di avarizia, gola e lussuria. — 188. «a eoaie
tiam »). — 186. d'egnl ben ecc. Dio è prin- eoe ma non ti dirò come questo amore ap-
d^ e oompimento, eansa ed effetto d'ogni parisca in tre maniere affinché tu lo xicerohi
ben*. Altri Isggono meno bene : d'ogni bwm da te stSHO.
CANTO xvni
Blprendendo la saa esposislone, Tirgilio spiega qnale sia la natura del-
P amore e in qoale relazione esso sia con la libertà dell' arbitrio : poi i doe
poeti incontrano anime di accidiosi, che arridano esempi di sollecitadine, e
tra essi si manifesta loro P abate di San Zeno: finalmente, dopo aver sen-
tito ricordare esempi di accidia, Dante si addormenta [11 aprile, yerso la
mezzanotte].
Posto avea fine al suo ragionamento
l'alto dottore, ed attento guardava
8 nella mia vista s'io parca contento;
ed io, cui nuova sete ancor ù'ugava,
di fuor taceva e dentro dicea : < Forse
6 lo troppo domandar, ch'io fo, gli grava ».
Ma quel padre verace, che s'accorse
del timido voler che non s'apriva,
9 parlando di parlare ardir mi porse;
XVm 1. Peste SToa eco. Virgilio, dopo Dante, non ancora compiutamente sodislatto
il suo ragionamento sull'amore come prind- perché Virgilio non arerà detto qual fosse
pio d' ogid bene e d' ogni male, guarda atten- la oatura di questo amore, non arerà animo
tamente Q suo discepolo per redere s'egli di rìrolgere altre domande al maestro, te.
sia rimasto sodisfotto della esposirione fkt- mondo che il troppo parlare, come già in al-
taglL — 8. nella ala rista: nel mio aspetto, tri momenti del riaggio (ofr. Inf. m 80, zm
nel fl^ rolto ; Buti : e quire si oognoeoe l'a- 66 ecc.), areeee a riuscirgli grare. — 7. Ma
bito d'entro per li segni che nel rolto si re- «nel padre eoe Dante tacerà, segno ohe non
deno > : efir. PUrg, zzx 111. — 4. ed lo ecc. era ancora contento ; e Virgilio, accorgendosi
412
DIVINA COMMEDIA
ond'io: «Maestro, il mio veder s'avviva
si, nel tuo lume, ch'io discemo chiaro
12 quanto la tua ragion porti o descriva;
però ti prego, dolce padre caro,
che mi dimostri amore, a ctd ridaci
15 ogni hnono operare e il suo centrare ».
< Drizza, disse, vèr me T acute luci
dello intelletto, e fieti manifesto
18 Perror dei ciechi che si fanno duci*
L'animo, eh' è creato ad amar presto,
ad ogni cosa è mohile che piace,
21 tosto che dal piacere in atto è desto.
Vostra apprensiva da esser verace
tragge intenzione, e dentro a voi la spiega,
24 si che l'animo ad essa volger fìkce;
e se, rivolto, in v6r di lei si piega,
quel piegare è amor, quello è natura
27 che per piacer di nuovo in voi si lega.
Poi come il foco movesi in altura.
éhA il desiderio di Ini non ardirà di manife-
■taiBi, gli rivolse per primo la parola e cosi
Inooraggld il discuoio a parlare. — 10. 11
»!• Teder eco. la mia mente li rischiala
tanto per la toa dottrina, ohe io intendo chia-
ramente tatto dò ohe tn proponi o dimostri.
— 11. nel ino Umet nella Ince di verità
èhe è nelle tae dimostrarionL — 12. la tia
raf lei eoo. il tao ragionamento perla cioè
propone senza fame dichiararione aloana (ofir.
J\Hrg. zm 196-189) oppore detoHiM doò di-
mostra e spiega. — 14. ehe mi tflaoitri
eoo. che ta mi dimostri che cosa sia l'amo-
le, al qoale ta riporti, come a prima causa,
ogni haona e cattiva operazione (ofir. IVy.
zvn lOA e segg.). — 16. Drlzia, dlsie eoo.
Porgi molta attenzione raccogliendo tatta la
fona della taa mente al mio ragionamento,
e ti apparirà chiaro l'errore di qoelli nomini
che essendo dechi della mente por d vogliono
fare maestri e dnd agli altri, insegnando che
ckuoimo amore è in té kmdàbil eoaa (v. 86).
— 18. l*error del eleeU eco. Qaeet' espres-
dono riceve Ince dalle parole del Oom, 1 11 :
e anelli oh' è dece dd lame ddk diioredone,
tempre va nel sno giadido secondo il grido,
o diritto o ftilso ohe sia; onde qoalanqne ora
lo guidatore è deoo, conviene die esso e
quello anche deoo ek'a lui s'appoggia ven-
gano a mal fine >. — 19. L'anlno eoo. L'a-
nima umana, ohe è creata con la disposizione
ad amare, d volge ad ogni tota etu piaee, ad
ogni piacere, ad ogni imagine di bene (cfr.
Jktrg, zvn 85-98), sabito che il piacere své-
glia e attua questa sua potenza d'amore. È
manifesto che Dante vuol dimostnre die l'a-
more resta in potenza nell* animo umano fino
a che il piacere lo fk divenire attuale e reale;
pero in atto non può oongiungerd, come fanno
alcuni interpreti moderni» con jriaoen, d bene
con l' eepresdone è detto : vivissima imagine
per rendere il penderò filosofico ddl' attuarsi
di una disposirione rimasta sino allora allo
stato potenziale. — 22. Vostra eco. La fa-
coltà intellettiva, l'intelletto umano trae l'i-
maglne, l'impresdone dalla realtà delle oooe
esteme, e svolgendola in sé la presenta al-
l' animo ohe si rivolge ood verso le cose che
gli sembrano degne di amore. — 23. latea-
slone: è l' imagine e impresdone che per
mezzo dd senso perviene all'intelletto dal-
l'«sser verace^ doò dalla realtà esteriore, dal-
l'obUetto reale estrinseco. — 26. e se, ri-
volto, eoo. e se l'animo rivdto cod a una
data inltnxione d piega o congiunge ad ossa,
questa indinadone o congiungimento è amo-
re, questo è l'amore naturale die diviene
sendtivo e ti leffa in voi^ ti oongiunge nd-
r animo umano al primo, in causa ddla cosa
piacente. Dante distingue ood l'oMors note-
rate, che è innato e senza apprensiva (ofr.
iVy. zvn 92 , e Vomere d*animo o di libera
dedone, il quale d tentUivo^ quando l'animo
d volge per piactre alla cosa amata, oppure
iniMiatwo^ quando 1* animo per moto t/rirUale
d oongiunge alla cosa amata. — SS. Pel
eome ecc. Fd come il ftiooo d muove verso
l'dto, per la sua forma o natara essenzlde
che tende a salire alla sfera dd fiiooo (cfir.
Far, I 79), ove per essere nd suo demento
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per la sua forma, oh' è nata a salire
là dove più in sua materia dura;
cosi l'animo preso entra in disirOi
ch'ò moto spirituale, e mai non posa
fin che la cosa amata il £a gioire.
Or ti puote apparer quant'ò nascosa
la veritade alla gente, ch'avvera
ciascuno amore in sé laudabil cosa;
però che forse appar la sua matera
sempr' esser buona, ma non ciascun ségno
ò buono, ancor che buona sia la cera ».
< Le tue parole e il mio seguace ingegno,
risposi lui, m'hanno amor discoperto,
ma ciò m'ha fatto di dubbiar più pregno;
che, s' amore ò di fuori a noi offerto
e l'anima non va con- altro piede,
se dritta o torta va, non ò suo morto >.
Ed egli a me: € Quanto ragion qui vede
dirti poss'io; da indi in là t'aspetta
pure a Beatrice, ch'opera ò di fede.
il mastieiie più che snlU tem; coti l'aoimo,
preso dal piacere dell' «tatr fMti, entra in
deeiderio della cosa amata per un movimento
natorale dello s^to e non poea fino a ohe non
al sia oongionto ad essa: poiché, oome dice
Dante stesw nel Oom. m 2, < amore, yer»-
mente pigliando e sottilmente considerando,
non è altro che nnimento spizitnale dell'anima
e della cosa amata, nel qnale nnimento di
propria soa natua 1* anima corre tosto 0 tardi,
secondo ohe è libera o impedita». — 84. Or
ti yaote eoo. Per qneete ragioni puoi vedere
oome siano ignari della verità qaei filosofi,
g^li epionrei, che ammettono come principio
indiscntihile che qnalonqne amore sia per sé
stesso cosa lodevole. — 85. avvera : ofir. iVy.
zzn 81. — 87. però che forse eoe perché
sembra che l'ideale oni si volge l'animo umano
aia sempre boono, mentre in realtà l'obbietto
dell' amore pad essere cattivo. Tomm. : € Il
bene d materia dell' amore : sempre donqne
la materia ò buona, perché anco nel male
che s* ami ò sempre alcun bene reale, cagion
dell' amore : ma U troppo amore che a minor
bene si porta, o il poco che al maggiore, sono
quasi un brutto suggello impresso in buona
cera. Oli aristotelici chiamano materia il ge-
nere delle cose, determinabile da varie diflSo-
xenxe, oome la materia prima ò determina-
Ule da più forme. La cera appunto è la ma-
teiria determinabile; il seguo ola figura ch'ella
prende è la forma determinante. E siccome
la cera o buona o non cattiva può essere
impressa di mal segno, coti il naturale amore
non tristo in sé può piegare a mal segno ».
— asterà : è la forma arcaica preferita da
Dante, specialmente nel linguaggio filosofico
0 dottrinale; ofir. Putrg, zxu 29, Pntr. i 27,
F. iV: vm 42, xm 86 eoe — 88. non eia-
seiB segno eoe l'impressione del suggello
non è sempre buona, anche se buona sia la
cera, cioò l'amore attuato può esser non
buono, anche ammettendo die sia sempre
buono l'amore in potenza. — 40. Le (se pa-
role ecc. n tuo ragionamento e l'attenzione
con la quale la mia mente l'ha seguito mi
hanno manifestato quale sia la natura del-
l' amore, ma un nuovo dubbio è sorto in me.
— 48. éhéf s* amore ecc. perché, se l'amore
si sviluppa in noi per lo cose estrinseche
messe innanzi all' an^na nostra e questa non
può oporare che per impulso di amore, non
ò merito o colpa dell' anima l'operare bene o
male. Dante formola cosi sotto forma di dub-
bio una delie obiezioni che si opponevano
dai filosofi del suo tempo alla libertà doU'ar*
bitrìo (cfr. Tommaso d' Aquino, Summa^ p. I,
qu. Lzxxm, art 1). — 46. Ó^anto ragion
ecc. Io ti posso dire ciò che la ragione umana
è atta a conoscere su tale questione, dò che
resta nd confini della filosofia; per dò che
esce da questi confini e appartiene al campo
della teologia, aspetta ad averne la 6pioi*n-
zione da Beatrice. — 48. eh' opera è di fedet
dò ohe trasoonde l limiti doUa ragione appar-
tiene alla fede, alla sdenza delle cose divine,
414
DIVINA COMMEDIA
Ogni forma sostanziai, che setta
è da materia ed è con lei unita,
51 specifica virtade ha in sé colletta,
la qual senza operar non è sentita,
né si dimostra ma che per effetto,
54 come per verdi fronde in pianta vita.
Però là onde vegna lo intelletto
delle prime notizie, uom non sape,
57 né de' primi appetibili l'affetto,
che sono in voi, si come studio in ape
di fiar lo mèle; e questa prima voglia
60 merto di lode o di biasmo non cape.
Or, perché a questa ogni altra si raccoglia,
innata v'è la virtù che consiglia,
63 che dell'assenso de' tener la soglia.
personificato in Beatrice ; ofr. dò oh* ella dirà
a Danto in Par. y Id e aegg. — 49. Ogml
ferma eco. Ogni anima ohe è unito alla ma-
texia, ma distinto da essa, ha in ié raccolto
una vkt& specifica, la qnale non d oonoeoiato
per 86 stessa, senza operare, e non si palesa
altrimenti òhe per gli effstti, come la Tito
della pianto si manifèsto nel yerdeggiare delle
fronde. — ferma sasUrnslalt e anima est
forma snbstantialls hominis >, dice Tommaso,
Summa, p. I, ^ lzxvi, art 4; segofto qjol da
Danto anche per l' idea che l' anima ha anione
con la materia (am lei unita\ ma non iden-
tito rimanendone distinta, non confondendosi
con essa ($eUa è da materia), — setta: se-
parata, distinta, lat. seoto. — 51. speclflea
Tirtnde ; d la particolare disposizione nata-
rale dell'anima a conoscere e ad amare. —
63. ma che: c£r. Inf, iv 26. — 66. Però là
eade eco. Questi Tersi sono stati chiariti,
per il loro yalore filosofico, da P. Paganini
(Di un luogo fiha, della Dio. Oomm. in Opuae.
daiU. n.* 6); egli ne ha mostrato la conformito
con le dottrine di Tommaso d'Aqalno, e cosi
riassame il oonoetto di Danto, il qoale dice :
e 1. che la qiecifioa yirtà dell' anima umana,
forma sostanziale che nel tempo stesso ò sce-
vra di materia ed unito con lei, ò la virtù
del oonoscere e la virtù dell' amare ; 2. che
ciascuna di questo virtù ha i suoi propri og-
getti, doò la virtù del conoscere certe prime
notixie ohe la dirigono nelle sue particolari
operazioni e la virtù dell' amare certi primi
appetibili che similmente la muovono e la
guidano nelle sue particolari operazioni, e
ohe Vinielletio di tali notizie e l'aflétto di
tali appetibiU precedono perciò di loro natura
tutte le partioolari operazioni di esse virtù ;
8. ohe queste due virtù per una legge gene-
rale, a cui sottostanno tutte le forme della
stessa specie dell'anima nostra, sempre si
rimarrebbero ooonlte, se uscendo nelle loro
partioolari operazioni non si tooessero in que-
ste sentire e per queste non si dimostras-
sero, come per verdi fnmde i» pHamia nto;
4. che conseguentMDente, quando l'uomo
opera o ooU'una o ooU' altra di questo virtù,
gU si rende bensf sensibile e gli si dimostra
quella oon cui opera, ma non anche quell'at-
teggiamento precedente di essa per il quale
ò causa al tutto proporzionato e pronto al
suo operare, quindi non anche T intelletto
delle prime notizie noli' operare della prima,
nò l' sifetto dei primi appetibili nell* operare
della seconda ; 6. finalmente che quesf intel-
letto e quest' affètto, solo discopribili nel se-
greto dell'anima all'acuto sguardo d'una
tarda riflessione filosofica, sono tanto conna-
turali all'anima, quanto le sono connaturali
le specifiche virtù delle quali non sono cho
proprietà, e da paragonarsi perciò agli istinti
che differenziano le varie classi di animali,
allo eXMdio p. os. ohe è iMlTops di farlo lAd-
le > : ofìr. anche Q. Della Valle, biUrpréta-
xione di un paeeo deOa Die. Ccmen. che si
fyrooa in rapporto coHa teoria deO^origùm del-
l'idee di ean Tommaeo, Faenza, 1874. — 66.
«om Bea sape ; non si sa dag^ uomini co-
muni. — 68. ehe bobo eoo. i quali appetìbili
sono negli uomini, come gl'istinti, le incli-
nazioni naturali negli animali. — 69. fMita
prima voglia ecc. questo disposizione in-
nata, non essondo Ubera, non può meritare
nò lode né biasimo. — 61. Or, perché ecc.
Afllnché poi a queeta prima voglia si accordi
ogni altra voglia, cioè alle disposizioni innato
seguitino gli atti della Ubera volontà, i quaU
possono essere buoni e cattivi, ò innato nel-
r uomo la ragione, la quale deve assentire e
negare. — 63. dell'asseate eco. deve gover-
nare la volontà, oonsentendo o no ; efr. Oom.
IV 26: < Yeramento questo appetito conviene
PURGATORIO — CANTO XVIII
416
Questo è il prinolpìo, là onde si piglia
ragion di meritare in voi, secondo
6G che buoni e rei amori accoglie e viglia.
Color che ragionando andare al fondo
s'accorser d'està innata libertate,
C9 però moralità lasciare al mondo.
Onde, pognam che di necessitate
surga ogni amor che dentro a voi s'accende,
72 di ritenerlo è in voi la potestate.
La nobile virtù Beatrice intende
pei' lo libero arbitrio, e però guarda
75 che l'abbi a mente, s' a parlar ten prende >.
La luna, quasi a mezza notte tarda,
iacea le stelle a noi parer più rade,
78 ffttta com'un secchione che tutto arda;
e correa centra il ciel, per quelle strade
che il sole infiamma allor che quel da Roma
81 tra i sardi e i còrsi il vedo quando cade:
e quell'ombra gentil, per cui si noma
Pietola più che villa mantovana,
84 del mio carcar deposto avea la soma;
OMBfi MYakato dalla ragione ; che, il oom»
uno sciolto oaTallo, quanto eh' olio aia di no-
terà Bobile, par sé sansa il buono oayalo»-
taro ben* non si eondnoe) a cosi questo ap-
petito, ohe iraastUle e oonoapisoibilo si ohia-
■a, qioaato ch'elio aia nobile, alla ragione
mbUdiT conTiene, la qoale goida quello con
freno e oon l^ioai ». — 6i. <)aesto i U
prlaclple eoo. Dalla ragione, data agli no-
mini COBO regolatrice dei loro atti, viene la
leaponsaMlIfi di daeomno, secondo ohe essa
accoglie • separa gli amori buoni e oatttvi.
— ee. Tl^Uis il Tb. 9ÌgUaxB (male da alcnnl
spiegato par «fiè^ UgaH) signillea mpararé,
fcwwirs : e set (cosi Bear.) Teibnm mstico-
rvm pnrgantiom framantnm in area, qui ex-
eladitnt snpoiihia ab eo». — . 67. Caler eco.
I llloeofl, che con la ragione inTestigarono le
natara dell' anima umana (Aristotele, Platone
eoo. ofr. iWy. m 4S\ riconobbero l'esisteMa
di qMsto libertà deU' arbitrio; perdo dettero
al mondo le dottrine morali, secondo le quali
l'uomo doreose govenarsi. — 70. Onde, pe-
gmam eoo. Per la qua! cosa se ogni amore,
dibeneo di male, si suscita nell'animo umano
per Beoeasità, fhori dee della sua Tolontà, ò
iMototo all'uomo la ilMoltà di ritenerlo o di
MMolBrlo con la fona dell* ragione. — 78.
La meMle Tirttf eco. Beatrice chiama libero
arb&rio questa nobile Ihooltà della ragione
regolstriee defletti umani: riodxdatene, caso
mai ch'ella ti ayesse a parlare di questa ma-
teria : ofr. Bar, y 19 e segg., ore la libertà
del yclere ò detto da Beatrice il maggior
dono largito da Dio agli uomini. — 76. La
lana eoo. La luna, cho avevu tardato a mo-
strarsi sin yerso la mezzanotte, fiunra appa-
rire più rare' le stelle, nascondendo le pi6
piccole col suo splendore. A questo momento
del viaggio di Danto siamo verso la mezza-
notte dall' 11 al 12 aprile, avendo l due poeti
incominciato a salire verso il quarto cerchio
nella sera dell' 11 (ofr. JP^. zvn 70). H
Moore, pp. 110-117, discuto minutamento le
questioni astronomiche inerenti a questi versi.
— 78. flitta ecc. la lana essendo calanto si
prosontova tonda e illuminate solo da una
parto, rendendo imagine di una gran seochl*
che ardesse. — 79. e eerrea eoe e saliva
per il cielo da ooddento verso oriento (eon-
irò il eorso del oiel : etr. Pur, vi 2), per quelle
regioni aeree ohe sono percorse dal sole nel-
l'avvidnarsi del solstizio invernale, quando
chi ò a Boma lo vede tramontare fra la Sar-
degna e la Corsica. — 82. quell'ombra ecc.
Virgilio, per il qoalo il villaggio di Piatole
(lat Andèe) sua patria ò pi6 famoso che la
stessa città di Mantova (Benv.) o ohe alcun
altro villaggio mantovano (Butì, An« ilor.).
Qnesf ultima spiegazione è da preferire. —
84. del allo earear ecc. mi aveva tolto il
peso del dubbio, rispondendo alle mie do-
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per ch40| ohe la ragione aperta e piana
sopra le mie questioni ayea ricolta,
stava com'uom che sonnolento yana.
Ma questa sonnolenza mi fd tolta
subitamente da gente, che dopo
le nostre spalle a noi era già volta:
e quale Ismeno già vide ed Asopo
Itmgo di sé di notte furia e calca,
pur che i teban di Bacco avesser uopo;
cotal per quel giron suo passo fsilca,
per quel ch'io vidi di color, venendo,
cui buon volere e giusto amor cavalca.
Tosto f^ sopra noi, perché correndo
si movea tutta quella turba magna;
e due d man ri gridavan piangendo:
« Maria corse con fretta alla montagna >,
e: < Cesare, per soggiogare Ilerda,
punse Marsilia e poi corse in Ispagna».
maxids. — 85. «he U rafloat eoo. ohe già
avera eoeolto nella mente la dimostrazione
manifesta e agevole, ohe Virgilio ayera (atta
aopra le mie qneetionL ~ 87. eom>«om eoo.
come roomo ohe yaneggia per sonnolenza.
Onesta sonnolenza di Dante è intesa da al-
ooni oome segno dell* aoddia, della qnale efi^
si sarebbe rioonosdnto colpevole ; meglio, il
Lomb., osservando ohe non solo In qneista
notte e in qnesto Inogo, ma ancora nella prò-
cedente notte (Airy. ce 11) e nella seguente
(Purg, zxvn 92) Dante ò occnpato dal sonno,
intende la sonnolenza presente oome cansata
dall' aver seco < di qnel d'Adamo > (Purg, ix
10). — vana t vaneggia; il vb. vanare si trova
in altri poeti antichi dtati dal Parodi, BuU.
m 140. — 88. Ha questa ecc. Le anime degli
accidiosi si purgano nel quarto cerchio corren»
do giorno e notte con grande ardore di solle-
citudine, in una schiora fitta e raccolta, prece-
duta da due anime che gridano esempi di sol-
lecitudine (w. 99-102) e seguita da altre due
che dicono esempi di accidia (w. 183-138). n
sopragiungere di questa schiera eccita la cu-
riosità di Dante e lo risveglia dalla sonno-
lenza che r aveva vinto. — 89. ehe dopo le
nostre eoe la quale, compiuto già il girò del
monte, correva velocemente dietro alle no-
stre spalle. — 91. e qaale eoo. Paragona
l'impetuosa oona degU accidiosi alla furia
con la quale i tebani correvano di notte con
&oi acosse lungo l'Ismeno e l' Asopo, finmi
della Beozia, invocando l' aiuto di Bacco loro
patrono; ofir. Stazio, Teb, ix 4S4 e segg.,
ove il fiume Ismeno dice : e Ole ego, olama-
tus sacris ululatibus amnis, Qui molles tyrsos
Baoòheaque comna puro Fonte lavare iéror...
Frater tadtas Asopos eunti ConoiliatTires»
ecc. — 94. eotal ecc. simile impeto muove in
cerchio il passo degli accidiosi, cosi impetuo-
samente corrono in giro gli aoddiosL — ttl-
eat il vb. fahan, dall'idea della fiilet in
moto, esprime l'idea di un movimento oiroo-
lare e rapido (ofir. Parodi, BulL TU 186).—
96. per q^tl ecc. per quanto l' osouiità deOa
notte mi lascid vedere di quelle anime che ve-
nivano dietro a noi, mosse dal buon volere e
dal giusto amore. — 96. giusto eco. L'ima-
gine dell' amore che cavatoa gli innamorati,
quale si trova figurata nelle pitture medio-
evali e ripresa da altri poeti, pud aver sug-
gerito a Dante questa efficace espressione. —
97. Tosto fAr sopra eoo. Ci rsggiunsero pre-
sto, perché tutti procedevano correndo. — > 99.
d«e dlnanti eoo. AUa schiera deg^ aooMiosi
precedono due anime, ohe gridano gli eeempi
della sollecitudine di Maria Vergine e di Giu-
lio Cesare. — 100. Marta eerse ecc. A.eeeniia
alla visita ohe Maria fece alla sua parente Eli-
sabetta, raccontata nel vangelo di Luca x 89 :
< Or in que' giorni, Maria si levò ed andò in
fretta nella contrada delle montagne, nella
città di Giuda; ed entrò in casa di ZaoMria, e
salutò Elisabetta >. — 101. Cesare eco. Allude
ai fatti di Cesare racoontati nei commentali
De bello dv, i 86 e segg., quando egli, la-
sciando Bruto all' assedio di ManriHa con ftil-
minea rapidità corse nella Spagna, ove Afka-
nio e Petreio luogotenenti di Poo^peo ftiroio
da lui sconfitti presso Borda, in una batta-
glia che fti più di celerità che di armi (ofr.
i>« (. 0. I 70 : € Erat in celeritate omne pò-
PUBGATOBIO - CANTO XVm
417
«Batto, ratto, che il tempo non bl perda
per poco amor, gridavan gli altri appresso;
105 che stadio di ben far grazia rinverda >.
< 0 gente, in cui fervore acuto adesso
ricompie forse negligenza e indugio,
108 da voi per tepidezza in ben far messo,
questi che vive, e certo io non vi bugio,
vuole andar su, pur che il sol ne riluca;
111 però ne dite ov'ò presso il pertugio ».
Parole furon queste del mio duca;
ed un di quelli spirti disse: « Vieni
114 di reti*o a noi, e troverai la buca.
Noi Siam di voglia a moverci si pieni
che ristar non potem; però perdona,
117 se villania nostra giustizia tieni.
Io fui abate in San Zeno a Verona,
sotto lo imperio del buon Barbaroesa,
120 di cui dolente ancor Milan ragiona.
£ tale ha già l'un pie dentro la fossa,
che tosto piangerà quel monastero
128 e tristo fia d'averne avuto possa;
Btam oerUmen, utti prins angostias mon-
taaque oooaparent >) : Bolla yelooità di Cesare
cfir. Ar. TI 62. Por qaeati yerti del I^trg»
Dante attinie a Locano, Fan, m 468 e segg.
(efr. Moore, I 280). — Uerda: dttà deUa
Spagna, sol flome Segre, detta oggi Lerida.
— 108. Batto, ratte eoo. Agli eaempi di sol-
ledtadine gridati dalle doe anime totta la
•ohlera degli aooidioal risponderà, eodtan-
doti l'on r altro a non eeeere pigri, oon qoe-
■te parole : Presto, presto, per deficienza di
amore non si perda il tempo, affinché la no-
stra solleoitadine del bene rinTigoiisca in noi
la grasin divina. — 106. 0 gente eoo. Vir-
gilio rirolge la parola a^^ accidiosi, chie-
dendo kno da qoal parte sia il passo per
salire al qointo cerchio. — la eoi ecc. nella
quale il presente intenso fervore d'amore oom-
penea la ne^igSDxa e la trasooratessa del ben
Dare che osaste in Tita per tiepidezza d'af-
fetto. — aeate: cfr. Inf, zzvi 121, IStrg, xnr
110. — 109. e eerto lo b«b t1 bagle i e cer-
tamente non dico bogia, affennandori che il
mio compagno è ancora tìto. — baglo i il
▼b. bvgian, mentire, ò freqoente negli an-
tiohi anche in prosa: p. es. OaTaloa, SptO"
òkSo di «nocf : < l'oomo per lo soo bogiare o
mentire a ninno giora»; si cfr. anche il Pa-
rodi, BuìL m 186. — UO. pu ebe 11 iol
eoe. appena il sole ci risplenderà neramen-
te. — IIL er* è presfe eoo. in qoal parte
èplù Ticino U passo ^salile. — 118. Tltni
Bamtb
di retro eoo. Oontinoa a camminare dietro
a noi, da sinistra Terso deetra. — 114. bnea:
il pertogio, il Tarco inoaTato nel sasso (o£r.
Putg, ZBC 48). — 115. Nel slam eco. Noi
siamo dominati da tanto desiderio di com-
piere la nostra penitenza correndo intomo al
monte che non possiamo fermarci: perciò
perdona la nostra apparente villania, se gio-
dichi atto scortese dò che ò effètto di divina
giustizia (il non soffermarci). — 118. Io tal
eoo. : abate del monastero di San Zeno in
Verona, ai tempi dell'imperatore Federigo I
(1158-1190) fa Gherardo n, morto nel 1187
(cfr. Q. B. Biancolini, NoHxie ttoriéh» deU»
dUm di Vtnna, pp. 60-61): tatti gU antichi
commentatori, senza dame il nome, dicono
oh' egli fosse molto accidioso, ma certo non
n'ebbero notizia che dai Tersi di Dante. —
120. di eoi dolente ecc. del qoale Milano
serim ancora dolorosi ricordi, specialmente
per la distrazione della dttà che il Barba-
rossa ordinò nel 1162. ^ 121. S tale ha
già eoe Alberto della Scala, signore di Ve-
rona, aTOTa daTvero nel 1800 CimpO dtniro
la fona (d^. D' Gridio, p. 665), e infletti mori
il 10 settembre 1801, lasciando tre flgUodi
legittimi (Bartdommeo, Alboino, Gangrande)
e ono illegittimo (Oioseppe, abate di San Ze-
no). — 122. toste piangerà ecc. presto pian-
gerà neU' infamo l'ofllosa recata a qxiel mo-
nastero e sarà dolente d'arare eserdtato
sopra di esso la soa antorità, ponendoTi per
27
418
DIVINA COMMEDIA
perché suo figlio, mal del corpo intero,
e della mente peggio, e che mal nacque,
126 ha posto in loco di suo pastor vero >.
Io non so se più. disse, o s'ei si tacque,
tant'era già di là da noi trascorso;
129 ma questo intesi, e ritener mi piacque.
E quei che m'era ad ogni uopo soccorso
disse: « Volgiti in qua, vedine due
182 venire, dando all'accidia di morso».
Di retro a tutti dicean ; t Prima fue
morta la gente, a cui il mar s'aperse,
135 che vedesse Giordan le rode sue » ;
e: « Quella, che l'affanno non sofferse
fino alla fine col figliuol d'Anchise,
188 sé stessa a vita senza gloria offerse >.
Poi, quando fCLr da noi tanto divise
quell'omhre che veder più non potérsi,
141 nuovo pensiero dentro a me si mise,
del qual più altri nacquero e diversi:
abate il Aglio sao Oinseppe. — 124. sao fi-
glio eoo. Giuseppe, figlio illegittimo di Alber-
to della Soala, nato nel 1263, Ai abate di San
Zeno dal 1292 al 181B, lebbene < indegno di
tale prelatura (dloe U Lana), imprima ch'eUi
era loppo del oorpo, seoondo eh' elU era cosi
difettooao dell'anima come del corpo, terzo
oh'eUi «ra figlinolo naturale». Beny. rao-
oonta di Ini : e mo fliit abbaa Saacti Zeno-
nis ; Tir probna et Integer a prinoipk), eed
conéiUo medioorom tasta maUere, Telai in«
qninatoa pioe diaboli, fàotna est fceUeratis-
simia. Nam enm Alboinna, <iai ■nooeierat
Barthdomaeo in dominio, TeUet ex pasilla-
nimitate rednoere oomites Saaoti BonÙteii in
Vidronam, abbas, oon^oetente Oane, tamqnam
animoflw inorepana amare Alboinnm, armata
mann lTÌt et trnoidaTit mnltoe ex dietb oomi-
tiboa ad Tillam eomm, qnae Insula Comitom
primo, pottea vocata est Insula de la Scala » ;
e aggiunge ohe meglio gli sarebbe stato il
nome di lapo rapace ohe di pastore, e ftJt
enim homo riolentus, de nooto diaourrens
per snburbia cum armatis, nqgiens multa et
replens meretridbns looum illum : ideo bene
dioebat quidam veronensis, qnod sanctus Zeno
eaqpellebat daemones et habebat*eos intra do-
nram». Per altre notìxie ofr. BuìL Vn 69
• 806. — 125. Mal n^equo: tn. generato 0-
Isgittimamente. — 126. 41 avo paster mot
di abate legittimo di quel monastero. — 127.
I« BOB ■• eoo. Gli aecidiosf non si fermano
a parlare, ma parlano eorrendo: Dante non
sapeva quindi se l'abate ai fosse tadnto o
ii della ■■• parole altro ma ùmm più per-
Tenato a lui per la lontananza. — 180. ^«el
che m*era ecc. Virgilio, pronto a eooooirermi
in ogni mio bisogno. — 181. Tedine dne eoiL
Dietro la schiera degli acddiosi due spiriti
venirano gridando esempi di accidia punita,
biasimando in tal modo questo peccato. —
188. Prima fae ecc. H primo esempio di ao-
ddia d quello degli Ebrei, i quali essendo
stati ribelli a seguire Moeè perirono tutti,
eccetto Giosuè e Caleb, nel deeerto, prima
che la terra promessa, la Palestina, fosse
abitata da coloro die Dio avera Iktti eredi
di quella proyinda (cfir. K$odo zxy 10-20,
Nmmiy ziY 1-88, Dmiitr. i 26-86). — 1S4.
a evi 11 mar eco. ai quali Ebroi si apri per
volere divino il Mar Bosso, msatre ftiggivano
inseguiti da Faraone (ofr. Xaodo sx 21 e
segg.). — 186. GlerAaat il fiame Giovdaao,
posto qui a designare tutta la PlslesCina. —
186. ideila, tk% PafllMUie eoo. I compagni
di Enea, ohe non seppero tdlerare con Ini le
fjfttiche del Tisggio dno al termine di esso,
ma si fermarono in Sicilia con Aceste: ofr.
Virgilio, lOi. T 604 e segg. —189. Poi, «vairfe
tur ecc. Allontanatosi tanto le anime degli
accidiosi ohe Dante e Virgilio non potevano
plii vederie. Dante tr^assò a pooo a pooo
dalla veglia al sonno : con arte flnlsshna egU
rappresenta questo trapasso, del quale il primo
grado ò appunto quel vagare della mente da
nn pensiero a un altro ohe risponde al venir
meno deU' attività intallettnale, e l'nltimo
grado ò il conoretarri dei precedenti pensieri
in una viilonew — 142. éék «aal pttf altri
eoo. 2 ofr. TligiliOk JRk fin 20: € Atqoe ani-
PUBGATOBIO - CANTO XVHI
419
145
e tanto d'uno in altro vaneggiai
che gli ooolìi per vaghezza ricopersi
e il pensamento in sogno trasmutai
■nm nono Ilvo oelairai, nnno dividit ilhio,
In partesqiie npit vaiias pexqne omnia rer-
nt 9. — 141, gU «Mk! eco. Lomb. : e por
««lon dol Tagamonto de' pensieri, eiod per
pi6 la mente in aloon ponitero,
oeosando agU occhi itimelo di restare aperti,
mi si chioserò >.
CANTO XIX
Dante vede In sogno una donna, Blmbolo dei vizt dell'avarìzia, della
gola e della loasoria; poi riSTegliato da Virgilio sale con Ini al qointo cer-
chio, ove tra le anime che si parificano della colpa dell'avarìzia si ma-
nifesta e parla a Ini il pontefice Adrìano Y [12 aprìle, dall'alba in poi].
Nell'ora ohe non può il oalor diurno
intiepidar più il freddo della luna,
8 vinto da terra o talor da Saturno;
quando i geomanti lor maggior fortuna
veggiono in oriente, innanzi all'alba,
6 surger per via che poco le sta bruna;
mi venne in sogno una femmina balba,
TEL 1. Hen'on eoo. Lomb. : e (Srco-
serive Fnltima ora deUa notte dalla fiteddezza
^0 legokimsnte tool avere maggiore sopra
!• ore pieoedeati, e toooa nel tempo stesso
la mgifmo per ooi dò avviene, cioè perché
ìa qaeQ' oaa U eahr dmmo, il caldo rimasto
■eDa tana e nell' atmosfera dal sole del prò-
oedsnfte giomo, fiato, estinto, da terra^ dal
Miftval freddo deDa tena, nonpuò mHepidarey
snudar minore, il freddo della hmOf della not-
te >. — 2. U fre44e ieUa lana: «la lana
(dfoe il Boti) non ò fredda in sé, ma ò effet-
tiva di freddo, ooi raggi ohe percootano in
«■sa et ella li riflette gioso, e la riflessione
«ho visse di sa gid csgicma freddo, come
fBoUa diA è di giù sa cagiona caldo, e peid
ìm Ima la notte ndbedda Paize e la terra».
— a. • taler da Salarao : o talora anche
da Satnmo, allorohé qnssto pianeta si trova
oall' orianote : credevano gli antichi che Sa-
tnmo fosse apportatore di freddo, onde Vù>
giUo, Oeorg, i 886 dice : e Hoc metaens ooeli
mnases et sideza serra, Frigida Satnml sese
qiio stella recsptet ». — 4. qaaado i geo-
MSBtl eoo. e Oeomanzia, dice il Land., ò spe-
da di divlnsfione, la quale gli orientali mas-
sfaM ssaicltsvano droa l' aorora in su i liti :
ftanod aedid righe, non di linee, ma di ponti
Hortaitt et non nnmeAttl da chi gli ilEt, poi si
dMdoM» in quattro parti, si che ogni parte
ita quattro zi|^ et accoppiano i punti della
jiga ia lòau éhie nell'ultima rimane pari o
caffo, e d'ogni quaternario traggono Tultime
parti et fanno una figura. I nomi delle figure
sono latiiitat trittitìa, fortuna maior, fortuna
minor, aoq%isitio, omissio, aWuf, rùbeua, eo-
muneUo, eoneer, popuhu, via, puer, puelta,
eaputf eaiuda ». La figura di fortuna maior ò
una disposirione di punti somigliante alla
odlooasione delle stelle che sono negli ultimi
gradi dell' Aquario e nei primi dd Pesd ; e
Dante, invece di dire eh' era l'ora in cui, es-
sendo il sole nella oostelladone dell'Ariete,
erano già sopra l'orizzonte quella dell'Aqua-
rio e parte di quella dd Pesd (o per esser que-
sti segni immediatamente precedenti quello
d'Ariete sarebbe stato lo stesso che dire poco
prima del urger del tole)^ dice ch'era l'ora
in cui i geomanti vedono la lor maggior for-
tuna soxgere in oriente kmanxi all'alba^ per
quella via che poco la ala bruna^ per poco
rimane oscura ad essa Tortona (Aquario e
Pesd), poiché dopo poco tempo nasce il sole:
cfr. Moore, p. 117. — 5. Inaanxl all'alba s
il momento predso del sogno di Dante, se-
condo i calcoli più accurati (Della Valle,
Senso geog. dt. p. 70), sarebbe un' ora e venti
minuti prima dell' alba dd 12 aprile, il tempo
adunque vicino al mattino, allorché la nostra
mente < alle sue vision quad è divina » (I^trg,
IX 18). — 7. mi venne ecc. La donna, ohe
appare eia in visione a Dante e ohe Virgilio
ohiamerà < antica strega Che sola sopra noi
omd d piagne » (v. 68), è una figura simbo-
420
DIVINA COMMEDIA
negli occhi guercia e sopra i piò distorta,
9 con le man monche e di colore scialba.
Io la mirava; e, come il sol conforta
le fredde membra che la notte aggrava,
12 cosi lo sguardo mio le £acea scorta
la lingua, e poscia tutta la drizzava
in poco d'ora, e lo smarrito volto,
16 come amor vuol, cosi le colorava.
Poi ch'ell'avea il parlar cosi disciolto,
cominciava a cantar si che con pena
18 da lei avrei mio intento rivolto.
« Io son, cantava, io son dolce sirena,
che i marinari in mezzo mar dismago;
21 tanto son di piacere a sentir piena.
Io volsi Ulisse del suo cammin vago
col canto mio; e qual meco si ausa
lica dell'amore «mute par troppo di vigort
ossìa dal tM dell' avarìzia, deDa gola e della
lossoiia (cCr. iWy. zvn 96). Questa doxma,
della quale secondo alonni Daate avrebbe
tolta la prima idea dalla femmina dei i¥o>
verbi vn 10-12, ò rappresentata baiba o bal-
buziente, perché r avarizia fa parlare l'uomo
equivocamente, la gola gì* impedisce di favel-
lare compiutamente e la lussuria lo spinge
all' adukòione e alla finzione ; gttereia negU
ocehif perché l' avaro non vede per cieca cu-
pidigia d' avore, il goloso ha ^ occhi cisposi,
il lussurioso altera la vista corporea ed in-
tellettuale; diatortatopraipièf dod sciancata,
perché l' avarizia toglie il diritto giudizio delle
cose, la gola to(^ la saldezza delle gambe,
la lussuria snerva e debilita tutto il corpo ;
001» k man monohé, perché l'avaro non dà
mai nulla, il goloso non vuole e U lussurioso
non può tu nulla ; finalmente di colore ooial-
fra, pallida e squallida, perché il pallore co-
lora il volto di ohi è dominato da uno di oo-
testi tre vizt. — 10. eome 11 sol ecc. come
i raggi del sole rinfrancano le membra intor-
pidite per il freddo della notte, cosi il mìo
sguardo rendeva spedita a quella donna la lin-
gua, la faceva in breve alzare sovra i piedi,
e le colorava il pallido volto di quel roseo
colore ch'd proprio dell'amore. Questa tra-
sformazione della donna sotto lo sguardo di
Dante significa che 1 iUsi beni (ricchezze,
piaceri della gola, piaceri sensuali) per sé
stessi turpi acquistano pregio all' occhio del-
l'uomo, che li vsgheggia e li vede pieni di
allottamentL — 12. MorU: sciolta, pronta
a parlare ; ofir. FiortUi di nn Frane, : < ben-
ché il beato Francisco non avesse scorta la
lingua ad essere bello parlatore >. — 16. eo-
mt amor wolt oon quel oolore di perla,
misto di roseo e di pallido, che conviene a
chi ama (cfr. F. N. xdc 63, jllxvi 2). ~ 18.
intesto : il pensiero volto a un determinato
obbietto; cfr. Pwg, m 12. — 19. Io son
ecc. Secondo la mitologia, le Sirene erano
bellissime di volto e di corpo mostruoso, o
abitavano nell' alto oiare, traondo a sé col
soavissimo canto i marinai • oonduoendoli
alla rovina : già presso gli antichi esse sim-
boleggiavano gli allettamenti dei falsi bonL
Torraoa : e n canto della Sirena, nel sogno
di Dante, è come l'ultima e, naturalmente,
piii perfetta elaborazione di un motivo fre-
quente ne' versi de' rimatori, che lo prece-
dettero di non molti anni, o Airono contem-
poranei alla sua giovinezza > ; e dta versi
di Gugliolmo Beroardi (D'Ano., Il 862), di
maestro Binuocino (D'Ano., IV 189) eco. ~
20. In mezzo mar: cfr. Inf, xzv 9i. — di-
smago : tolgo a sé stessi, &cdo perdere (cfr.
Pmg, m 11). — 21. tanto ecc. cosi gnuido
ò il piacere ohe induco noli' animo di chi mi
ascolta. — 22. Io Tolsi ecc. Quella cho coi
suoi allettamenti fece deviare Ulisse dal corso
della sua navigazione, trattenendolo più d'un
atmo presso di sé (cfr. hvf. xxvi 90), fd la
maga (Srce (cfr. Pwrg. xrv 42), la quale non
era sirena : anzi dalle sirene, secondo la tra-
dizione omerica {Od, xnX tnisso riusoi a li-
berarsi per gli ammaestzamenti ricevuti da
Circe stessa. Bisogna ricordare p^ altro che
Dante non lesse Omero, ma i versi omerid
tradotti da Cicerone, Ds fMXAU v 18, seg.
(cfr. Hoore, I 264), e potò bene ammettere
che (yiroo fosse una si^na, come dice il La-
na; o identificarla con la donna veduta in
sogno, perché l' una e l' altra simboleggiano
il falso piacerò ohe trae l'uomo dal retto
- 23. Il adias d avret»; oAx
PURGATORIO - CANTO XIX
421
24 rado sen parte, si tutto l'appago >.
Ancor non era sua bocca richiusa,
quando una donna apparve santa e presta
27 lunghesso me per ùa colei confusa.
€ 0 Virgilio, o Virgilio, chi è questa? >
fieramente dicea; ed ei venia
80 con gli occhi fitti pure in quella onesta.
L'altra prendeva, e dinanzi l'aprla
fendendo i drappi, e mostravami il ventre;
83 quel mi svegliò col puzzo che n'uscia.
Io mossi gli occhi, e il buon Virgilio : « Almen tre
voci t'ho messe, dicea: surgi e vieni,
86 troviam l'aperta per la qual tu entre».
Su mi levai, e tutti eran già pieni
dell'alto di i giron del sacro monte,
89 ed andavam col sol nuovo alle renL
Seguendo lui, portava la mia fronte
come colui che l'ha di pensier carca,
42 che fa di sé un mezzo arco di ponte,
quand'io udi: « Venite, qui si varca >,
parlare in modo soave e benigno.
Ji/l 23 11. ~ 24. ndo ■§■ parto : xanmente
■l alloniuia da me, perché chi ti lascia ade-
scare dalle losliiglie del làlso bene assai di
rado liesoe a liberarsene tornando alla yirtù.
— 26. Ameer Ben era eoo. Mentre la Sirena
cantava, i^parre a Dante nn' altra donna,
Tenuta a confondere T ingannatrice (t. 27),
a rampognare Virgilio di non ayer distolto
il ano discepolo dal ragheggiar la fmmnina
haìba (tt. 28-29), e a dlscopxire le sossore
di questa nascoste sotto gli allettamenti del
falso piacere (tt. 81-88). Chi sia questa donna
non appsre con certena e assai discordi sono
sa questo ponto i ccnnmentatori : i piii degli
antichi, Lua, Ott., Benr., Pietro di Dante,
Bati, An. fior.. Land., intendono eh* essa sia
la ragione, la quale mostra all' nomo la fal-
lacia d^ piaceri mondani (ricchezze, gola,
lossuia), squarciando il t^elo onde li ricopre
la fantasia. Solo il Cass. vi rayrisa la virtù
dalla temperanza; e dei moderni, alcuni la
recita, altri la rolontà umana, altri Lucia o
la grazia illuminante; ma T interpretazione
de^ antichi è la migliore. — 28. elil i f ne-
sta I chi è questa femmina, che il tuo disce-
polo Taghe^^? — 29. fleramente dleea:
la santa donna o la rsgione parla sdegnosa-
mente a Virgilio, per mostrar subito il di-
spreizo in che ha la femmina balba. -~ 80.
ftttt fsre eoo. fitti solamente alla santa don-
na. — 81. L'altra eco. La santa donna pren-
der» la linnmina balba e V apriva dayanti,
sf nilando i panni end' era rivestita, e oosf
mostrava a Dante il ventre di lei, dal quale
usciva un puzzo che lo risvegliò. — 84. Io
mossi ecc. Appena Dante svegliandosi volse
gli occhi al suo maestro, questi, ohe già Pa-
reva chiamato almeno tre volte, g^ ripeto di
alzarsi e venire, per salire ai cerchio supe-
riore. — Àlmen tre : ctt, Inf, vn 28. — S6.
aperta: apertura, valico (cfr. I^, iv 19).
— 87. e tutti eoo. e tutti 1 cerchi del pur-
gatorio erano giii illuminati dai raggi del sole
già alto: siamo nelle ore antimeridiane del
12 aprile ; ctt. Moore, p. 118. —89. andavam
eoo. i due poeti procedevano da destca verso
sinistra (v. 81) nìel fianco settentrionale della
montagna, percid goardavano verso occidente
e volgevano le spalle all' oriente ; s£ che il
sole perooteva loro le reni. — 40. portava
eoo. Dante, ancora occupato dalle rimem-
branze della recente visione, camminava cur-
vo, come r uomo dominato da gravi pensieri.
Era, del resto, sua abitudine, e racconta il
Beco., Vita di D, l 8: « poi ohe alla matura
età fu pervenuto, andò alquanto curvetto, e
era il suo andare grave e mansueto ». — 42.
ehe fa ecc. doò cammina oon la testa e il
busto oosf piegato come un arco di ponte dal
mezzo alla sponda. L' imagine apparirà tanto
più viva e perspicua quanto più avremo pre-
sente la forma degli archi nei ponti medio-
evali, i quali svolgevano le loro incurvature
a sesto acuto. — 48. qaand' lo ecc. È l' an-
gelo del quarto cerchio che addita ai due
poeti il passo onde si sale, parlando in modo
422
DIVINA COMMEDIA.
45 qual non si sente in questa mortai marca.
Con Pali aperte che parean di cigno,
volseci in su oolni che si parlonne,
48 tra due pareti del duro macigno.
Mosse le penne poi e ventilonne,
qui lugent affermando esser beati,
61 ch'avran di consolar l'anime donne.
« Che hai| che pure in yér la terra guati ? »
la guida mìa incominciò a dirmi,
54 poco ambedue dall' angel sormontati.
Ed io : < Con tanta suspizion & irmi
novella vision, eh' a sé mi piega
57 si ch'io non posso dal pensar partirmi >.
< Vedesti, disse, quella antica strega,
che sola sopra noi omai si piagne;
60 vedesti come l'uom da lei si slega.
Bastiti, e batti a terra le caloagne,
gli occhi rivolgi al logoro, che gira
63 lo rege etemo con le rote magne ».
Quale il falcon che prima ai piò si mira,
indi si volge al grido, e si protende
66 per lo disio del pasto ch^ là il tira;
■oare e benigno e tenendo dritto yeiso U
scala le bianchissime alt — 46. la «vesta
mortai narea: in questo nostro mondo, in
qnesta regione abitata dagli nomini. — 4A.
eoa l'ali aperte eoo. tenendo le ali aperto
nella direzione della scala; non già hnpe-
dendoci con le ali di camminare più oltre per
il riplano del cerchio, come intese il Lomb.
— 48. tra doe ecc. per la scala, fiancheg-
giata da due pareti di macigno. — 49. t tob-
tlloBse ! col ventilare delle ali l'angelo tolse
dalla fronte di Danto il quarto segno di pec-
cato, quello dell'accidia (ofr. Ihirg. xx 112,
xn 98). — 60. qai Ingeat ecc. È la seconda
delle beatitudini evangeliche, Matteo v 4:
< Beati coloro che fanno cordoglio, per ciò
che saranno consolati >, ben conveniento agli
accidiosi, i quali piangendo corrono intomo
al monto (I^urg, xvm 99), o cosi espiano la
lor colpa terrena che fu difetto di fervento
carità. — 61. eh'avraa ecc. : parafrasi poe-
^ tica del testo evangelico ; nella quale molto
' ha dato da fare agi' inteipreti la frase : l'o-
nime donne di eonsolar ; meglio di tutti, Benv.
spiegò : < qui habebunt in coelo animas suas
dominas consolationis >, dod saranno beati,
avranno le anime signore di quella felicità
che viene dall' etoma saluto. — 62. Che hai
ecc. : si ricordi che Dante soguitova Virgilio
col capo chino, sino da quando s' era svegliato
dal sonno (v. 40). — 54. foco ambedve eco.
svendo entrambi oltrepassato di poco il luogo
ov'erm l'angelo. — 66. C<m tasta eoo. Una
reoento visione, ohe tiene volta a sé la mia
mento, mi Ik andare ooaf pensoso die non
riesco a liberarmi dal ricordo di essa, ffi Boti
ohe Danto non ha avuto campo di dir prima
d' ora a Tirgilio di questa sua visione, per^
che, appena svegliatosi e messosi dietro i
passi del maestro, è apparso l' angelo a voi-
gerU alla saUta. — 68. Vedesti eoo. T^igOio,
che conosoe ogni minimo pensiero di Danto
(cfr. IKuy, XV 127), dimostra al discepolo di
conoscere bene la visione ch'egli ha avuta
e gliene dichiara il senso, aocennaBdo èhe la
femmina balba apparsagli aimbdeggiB i tra
peccati che si esplano nei tre rimanenti cer-
chi, e che la santa donna signiiloa la ragione
per mezzo deUa quale l'uomo si Hbera da
questi peccati. — 61. t tetti eoo. e affretta
il passo per il tuo cammino, tonendo gli oc-
chi alle bellesze del cielo, a quell'invito che
il re dell'universo ti là col movimento deUe
sfere celesti, qxiasi a dimostrazione della sua
potenza. — 62. logero : cfr. iH/l xzvn 127.
— 64. Quale 11 fìaleon eoo. Come il falcone,
ohe stando sulla pertica o portato sulla mano
si goarda ai piedi, quasi per desiderio di li-
berarsi, si volge al grido del fUoooisso e ai
stende in avanti per gittorsi sabito sulla pro-
da, ooaf io, ohe camminava curro, alle pa-
role di Yiigilio mi zialsai e aflbettai il passo.
I la^
PUROATORIO — CANTO XIX 423
tal mi £ec'Ì0| e tal, quanto si fende
la roccia per dar via a chi va suso,
69 n'andai infino ove il cerchiar ai prende.
Com'io nel quinto giro fui dischiuso,
vidi gente per esso che piangea,
72 giacendo a terra tutta volta in giuso.
« Adhaesit ^pavimento anima mea >,
senti' dir lor con si alti sospiri
75 che la parola appena s'intendea.
€ O eletti di Dio, li cui soffiriri
e giustizia e speranza fan men duri,
78 drizzate noi verso gli alti saliri >.
< Se voi venite dal giacer sicuri
e volete trovar la via più tosto,
81 le vostre destre sien sempre di furi > :
cosi pregò il poeta, e si risposto
poco dinanzi a noi ne fu; per ch'io
84 nel parlare avvisai l'altro naacosto,
e volsi gli occhi allora al signor mio:
end' egli m'assenti con lieto cenno
87 ciò che chiedea la vista del disio.
Poi ch'io potei di me fare a mio senno,
trassimi sopra quella creatura,
— 07. • tal, OMito eoe • con tele spedi- finché insognino » lai ore sia la aoala per sa
> oamininai per tatto qael tiatto ore la lire al sesto oerofaio. — 79. 8e loì Ttalte
roccia ò apeita per dar via a dii sale, cioè eoo. Un' anima, ohe poi si manifesterà per
per tutta la aoala. — 69. o?e 11 ctreklar qaella del pontefice Adriano V (t. 99), ri-
eoo, ave s* twftftnifaftiA a camminare in oer- sponde a Virgilio che, se non devono fer-
chiow — 70. Cmà* lo eoo. In questo qainto marsi nel oexchio a pnrgard della colpa d'a-
firona del porgatoiio sono le anime degli yarizia, potranno ttorare pid presto la salite
avari e dei prodighi (cfr. Purg, zxn Ì9-64), ai cerchi saperiori camminando da deetra
di ooloro insomma ohe eccedettero nell' oso verso sinistra. — 81. le vtstre Assire eoo.
delle liocheoe : Danto per altro considera procedete, tenendo sempre la vostra destra
in questo girone specialmente gli avari, 1 dalla parte estema. — di full di faori ; ò
qo^ aono distesi a terra e piangono con forma popolare toscana, come ha dimostrato
amare lagrime il loro peccato {Purg. xx 7). il Parodi, ButL m 98. — 88. per ek'lo eoo.
« 72. tatto volta la glasot gli avari hanno onde io nel parlar», mentre qaello spirito
e i dossi volti al sa » (v. 94), per la ragione parlava rispondendo a Virgilio, ovrisoi Val-
trirnìv^*^ più innanzi da ano del penitenti tro tuuoosto, posi mente a dò che prima mi
(cfr. TV. 118 o segg.). — 73. Adlueslt eoo. era nascosto, cioè alla persona del parlante.
Sono parole del Salmo gzdc 26 : e L'anima Cosi pare avere inteso Benv. e cosi retto-
mia è attaccate alla polvere ; vivificami se- mento spiegarono alcani moderni ; mentre i
oondo la toa parola » : e sono bene appro- piti degl' interpreti videro in questo parole
piiato agii avari per il contrasto tra l'amore accennato il pensiero che Adriano V igno-
delle ricchezze, che fece aderire l'anima loro resse che Danto fosse vivo. — 85. t valsi ecc.
al peccato, e la vivificanto grazia del Signo- Danto si volge a Virgilio, chiedendogli con
re, alla quale aspirano. — 74. alti sospiri: Io sguardo il permesso di intrattoneni a par-
profondi sospiri, segno di dolore intonso (cfr. lare con quello spirito; e Virgilio assento
J^. xvx 64). — 76. 0 eletti ecc. Virgilio par con gli occhi al desiderio manifestatogli
si volge ai penitenti, ai quali la giustizia di- in tal modo dal suo discepolo. — 89. trai-
vina e la speranza della beatitodine rendono slnd sopra ecc. mi avvicinai a quell'anima,-
BMBo duo te soiforenze dell' espiazione, af- che con le sue parole aroTa attirata a a^la
424
DITINA COBIÌfEDIA
90 le oni parole pria notar mi fennOi
dicendo : « Spirto, in coi pianger matura
quel senza il quale a Dio tornar non puossi,
93 sosta un poco per me tua maggior cura.
Chi fosti e porcile volti avete i dossi
al su mi di', e se vuoi ch'io t'impetri
96 cosa di là ond'io vivendo mossi».
Ed egli a me: « Perché i nostri diretri
rivolga il cielo a sé, saprai; ma prima,
99 ioia$ quod ego fui successar PetrL
Intra- Siestri e Ghia veri si adima
una fiumana bella, e del suo nome
102 lo titol del mio sangue & sua cima.
Un mese e poco più prova' io come
pesa il gran manto a chi dal fÌEmgo il guarda,
105 che piuma sembran tutte l'altre some.
mi» attenzione. — 9L Spirto» 1b eoi eco.
0 anima, nella qnale il pianto matoia il fratto
4ella penitenza, senza il qnale non 'ai può
salile alla beatitudine del paradiso, inter-
lompi per nn momento la tna penitenza per
parlare oon me. — 9i. Chi fosti eco. Dimmi
ohi ta fosti, dimmi perché giacete cosi col
volto a tona, e dimmi se vnoi che io ti ot-
tenga nnlla nel mondo, dal qnale io mi sono
partito prima di morire. — 97. Ed ogU a me
eoe Adriano V risponde a Dante sa dascan
ponto della sua domanda : ohi sia (▼▼. 99-
114), perché gli avari siano in qaell* atteg-
giamento (VT. 116-126), e dò che gì' importi
ancora nel mondo dei viventi (w. 142-145).
— Perehtf 1 nostri eco. Ti dirò poi perché
il cielo d tenga coi dossi rivolti a sé, doè
con la iRcda a terra. — 99. selas q«od ecc.
sappi che io ftii nno dd saocessori di san Pie-
tro. Ottobnono dei Fieschi, della famiglia ge-
novese del conti di Lavagna, fa eletto papa
col nome di Adriano V il 12 loglio 1276 e
mori il 18 agosto dell* anno stesso, in Viterbo
(cfr. O. Villani, Or. vii 60) ; di lai dicono le
Oh, 9opra Danio : < Oostai tatto il tempo di
sua vita non avea atteso ad altro che a ran-
nare peoonia e avere, per ginngere a qael
panto d' essere papa, posto die pooo il go-
desse : e veggiendod papa e nella maggior
signoria che d possa avere, d riconobbe e
parvee^ essere entrato nd maggior laodeto
del mondo, e ooef de' essere avere a gover-
nare e avere a cara dell* anime di tatta la
cristianità; e rioognosdatod sé medesimo
ispregiò r avarizia e tatti gli altri vizi! ». —
100. Intra Slestrl eoo. Fra Sestri Levante
0 Chiavari, piccole dttà della riviera ligare
orientale, scorre dall'Appennino al mare il
flame Lavagna : il qaale dio nome a nn borgo
di qad territorio, centro nd medioevo della
contea del signori dd Fiesoo, ehs nel 1196
la cedettero al cornane di Genova e d iéoero
dttadini, oonservando però il titolo di conti
di Lavagna. — lOL «ma fluu»* eoe. D
Bassennann, pp. 881-884, dopo aver descritto
i Inoghi nota : < Ohi ha vedato la vallo di
Lavagna, sabito intende oon qaanta ragione
Dante applichi al nome della flamana 1* epi-
teto di btUOt e qaad vorrebbe Ano nella tem-
pra espresdva dd tenero verso ritrovare lo
scorrere della bella flnmana attraverso la
ricca 0 delidosa contrada ». — 102. lo titol
eoo. la mia casata trae il sao maggior vanto
dd titolo di conti di Lavagna; ood intendono
i migliori interpreti, contro l'opinione d'dtri
che spiegano : il titolo della mia fkmiglia trae
da qnesto fiame l' origine saa. — 108. Ut
mese eoe Adriano V pontificò per soli 83
giorni e non ebbe agio né pare di esser con*
sacrato e coronato ; ma qnesto breve tempo
gli bastò per conoscere qaanto fosse grave
l'ofBdo del papato a ohi lo vaol eeerdtaro con
rettitadine. Ciò è confermato dd Petrarca,
R«r, memor, in 2, 64 : > Hadrianam romanam
pontificem saepe dicentem andlvìsso Pdy-
crates refert, qai dbi praefamUiaris fbit,
nallam se ab hoste sao qaolibet maios sap-
plidam optare qoam at Papa fieret. Et pro-
feoto, nid fdlor, sammi pontificatos saidnam,
qnae valgo fOlix et invidiosa videtar, home-
ris sabiisse difflniìlimam et gioriosam miseriae
gonna est: hi», dico, qai eam seqae ab omni
contagio praedpitioqae praesorvare decxeve-
ront; reliqais enim qaanto levior videtar,
tanto fonestior statos est; videtar itaqoo
apad atrosqae foxmidabilis, qaod d Ole £»-
tebator qai id onxu pands diebas pertalit,
qaid illis videri debeat qai sab fuco senae-
rant? >. — 104. graa Manto : cfr. Inf. n 27.
— 106. che piama ecc. ohe al pongono con
PURGATORIO — CANTO XIX 425
La mia conyersìone, o me! fu tarda;
ma, come fatto fui roman pastore,
106 cosi scopersi la vita bugiarda.
Vidi che li non si quotava il core,
né più salir poteasi in quella vita;
111 per che di questa in me s'accese amore.
Fino a quel punto misera e partita
da Dio anima fui, del tutto avara:
114 or, come yedi, qui ne son punita.
Quel ch'avarizia fa, qui si dichiara
in purgazion dell'anime converse,
117 e nulla pena il monte ha più amara.
Si come l'occhio nostro non s'aderse
in alto, fisso alle cose terrene,
120 cosi giustizia qui a terra il morse:
come avarizia spense a ciascun bene
lo nostro amore, onde operar perdési,
123 cosi giustizia qui stretti ne tiene,
ne' piedi e nelle man legati e presi;
e quanto fia piacer del giusto Sire,
126 tanto staremo immobili e distesi >.
Io m'era inginocchiato, e volea dire,
TnlBoio fi pontafipe sembra toggiera qiiAliin« contìnuo rimprovero della « aoonoacente Tita
quo altra più gcare dignità. — 106. Lft mia che i fé* tozzi > (htf, vn 63). — 118. Sf e«-
ceaTcnione eco. Io indngiai longamente a ne eco. Oome il noetro pensiero rirolto tatto
oonyartinni; ma iq»pena ftd fatto pontefice al conseguimento dei beni mondani non si
lioonòbbl la fìsDaoi* dei beni terreni, ta vita innalzò a Dio nella prima vita, oosf i nostri
htigiarda che condace ohi non ha l'animo ri- occhi per divino giudizio sono ora abbassati
Tatto al sommo bene. — 109. Vidi ehe li alla terra : in tal modo appare manifesta la
ecc. Provai che l'animo cupido non era so- corrispondenza tra la natura della colpa e
diafktto né pure nel godimento di una cosi qaoUa dell'espiazione. — 120. eesf glvstlsla
alta autorità, al di sopra della quale nessu* eco. cfr. Stazio, Teb. v 603 : < nie graves
n' altra ò neDa vita umana : per la qual cosa oculos languentiaque ora oomanti Mergit bu-
si acoese in me il desiderio della vita etema, mo ». — 121. come avarizia eoo. come l'a-
— 111. di fletta: della beatitudine, alla varizia spense nei nostri animi ogni sentì-
quale si perviene per la via della penitenza, mento del vero bene, onde mancò in noi la
— 112. Fino a o«l pvnto ecc. Fino al mo- facoltà e l'occasione di fitre il bene, ood la
mento della mia elezione al pontiflcato, la divina giustizia ci tiene qui strettamente av-
mia anima dominata interamente dall'avari- vinti e legati nelle mani e nel piedi Questi
zia fti infelice e divisa a Dio ; e perciò ora vincoli, che impediscono gli avari, simboleg-
mi trovo qui ad espiare la mia colpa. — 116. giano le cure ond' essi custodirono nel mondo
Qmel eoe. Viene ora Adriano V a rispondere le ricchezze, e l' idea può esseme venuta a
a Dante circa l'atteggiamento degli avari, e Dante da san Paolo, I JS)»{sl. a Timoteo n 9 :
dice : Quel ehs avariana fa^ cioè i tristi effetti < Coloro che vogliono arriochire caggiono in
dell'avarizia sull'animo dell'uomo, H dichiara tentazione e in laodo e in molte concupi-
g%n, 8i manifestano In questo cerchio, nel scenze insensate e nocive >. — 126. franto
modo od quale i penitenti si purificano della ecc. e resteremo cosi immobili e distesi a
loro colpa. — 117. e Balla eoe e nessun' al- terra finché piacerà a Dio, il quale solo sa
tra delle pene di purgatorio ò più dolorosa ; il termine della nostra espiazione. — glasto
e il maggior dolore degli avari ò cagionato Sire: Dio, signore della giustizia (cfr. Inf.
dal loro atteggiamento, per il quale essendo xzix 66, Purg» xv 112). — 127. le m'era
piivati déUa vista del dolo hanno in ciò un eco. Dante, che anche nell' infemo aveva
426
DIVINA GOMMEDU
ma com'io cominciai, ed ei s'accorse,
129 solo ascoltando, del mio riverire:
€ Qual oagion, disse, in giù cobI ti torse? >
Ed io a Ini : « Per vostra dignitate
182 mia coscienza dritto mi rimorse >•
€ Drizza le gambe, e levati su, frate,
rispose; non errar, conservo sono
185 teco e con gli altri ad una potestate.
Se mai quel santo evangelico suono,
che dice ' Neque nvòent \ intendati,
188 ben puoi veder percb'io cosi ragiono.
Vattene omai, non vo' che più t' arresti ;
che la tua stanza mio pianger disagia,
141 col qual maturo ciò che tu dicesti.
Nepote ho io di là e' ha nome Alagia,
serbata una certa xiyeienza per obi in Tlta
era stato insignito della dignità pontificia
(oCr. Ihf, ZDc 101), 8* inginocchiò innanzi ad
Adriano V e yolle pailare in tale atteggia-
mento ; ma il pontefice toh ateoUtmdOf sema
Tederò doè poiohó dò gli era impedito dalla
Boa positura, s*aooone dell'atto lorerento
dell'ignoto visitatore e gli chiese perché si
fosse cosi inginoochiato. — IBO. Q«al ea^ton
ecc. Si consideri questo dialogo tra il poeta
e il papa, per mezzo del qnale Danto volle
poeticamente significare il pensiero ohe la
morto ngoa^ia tatti gli nomini, togliendo di
meczo ogni differenza di grado o di condi-
zione, e ohe tatti siamo ogoali davanti alla
podestà divina. — 181. Per vostra ecc. La
mia coscienza mi rimorse dello star dritto
innanzi a voi, che siete degno di riverenza
per essere steto p^Mu Qnest^ interpretazione
che d del Fanf. e dello Scart, discorda da
qnella degli antichi e moderni commentetori,
da Benv. e dal Buti al Tomm. e si Bianchi,
i qoali leggono driita, riferendolo a doseimxa,
senza badare òhe cosi Danto farebbe di so
an vanto inopportono, tanto più ch'el si ò
già parificato della superbia. H Lomb. leg-
gendo dritto, spiega : < la mia coscienza ret-
tamente, giastamento, mi diede stimolo a
qoesto doveroso atto». — 133. frate: cfr.
Purg, nr 127. — 184. bob errar ecc. non
commettere l'errore di ossequiarmi in purga-
torio come avresti fatto neU'sltra vita, poi-
ché io e tu e tutti gli altri spiriti damo nella
stessa maniera servi di una sola autorità,
quella di Dio. Lo parole di Adriano V sono
le stesse ohe l'angelo disse a Giovanni, git-
tatosi innanri ai suoi piedi (ApoeaL zix 10):
e Qoardati che tu noi faccia ; io son conservo
tao e de' tuoi fratelli, che hanno la testimo-
nianza di Gesù; adora Iddio» eoo. ~ 186.
Se mal eoo. Baocontano gli evangelisti (lUt-
teo zxn 29-80, ICaroo zn 18-26, Luca zz
27-86) die allorquando i Sadduod diieeero
ironiosonente a Gesù ohi nella resnrresion*
sarebbe stato lo sposo della donna che ebbe
in terra sette mariti, egli rispondeste loro :
e Voi errate, non intendendo le Scrittore,
né la potenza di Dto; per dò dte nella risozw
reziome non d prendono né d danno mo^
(vulgate : ntqu» nubmU, neque nubetOm') ; aod
gU uomini son nd ddo oome angeli di I^ ».
Ora, eesendo il papa lo sposo ddla Chiesa
(cfr. Inf. zzz 66, Purg, zziv 22), Adriano V
richiamandod aUe parole evangeliohe vuol
dire che nd purgatorio non ha conservato
alcuna delle prerogative che ebbe in terra
come pontefice : quindi non dev* essere rive-
rito e inchinato, per ossequio a una podestà
che non ha più. — UO, la tia iteaza eoe.
la tua dimora, il tuo stare a convenar meco,
dieagiOf rende difficile, impedisoe la mia pe-
nitenza. — Ul. eoi qnal eoo. : ofr. v. 91 e
segg. — 112. Nepote ecc. Dante avea chiesto
ad Adriano se voleva eh' d gU ottenesse qual-
che cosa nd mondo dd viventi (v. 96); e il
papa risponde ohe di là non ^ è rimasto
cara se non una nipote virtuosa, alla quale
Dante possa raccomandarlo. — AlagU: fk
una delle tre figliuole di Niooold Fieechl (le
dtre due ftirono Fieeca msritete ad Alberto
Mdasplna e Giaoomina mog^ di Obisio II
d' £Bto, cfr. Ir^, zn 111, JWy. v 77) e ni-
pote dol papa Adriano V, data in moglie a
Moroello Malaitpins (cfr. itf, zziv 146) e san-
tamente vissute ; di Id dice il Buti : e Ebbe
nome la gran donna di gran vdore et di gran
bontà; et l'autore, che stette più tempo in
Lunigiana oon questo Moroello de' Malespini,
conobbe queste donna et vidde che continoa-
mento faceva dire messe et orazioni divota-
PURQATOBIO - CANTO XIX
427
ImoDA da sé, pur ohe la nostra casa
non ùuoÒA Idi per esemplo malyagia;
145 e questa sola di là m* è rimasa».
I per qneeto no ilo >. — US. far ehe
eoe, por eha 1* womplo Mttttvo ottarto ad Ala-
gSa dagli «Itii déUA ina fnniglU non k tenda
malragia; Benr., eechidendo qoahinqiie xa-
gione d'odio politico di Dante eontro i He-
■eU, aeiive: e lete nceidoe loqnitor honeste
et oante: ditdt enin qnod neptls eet bona}
niri fanitetoT ezamplnm aHainm de dono ino.
Per hoo eaim dat intilUgi caute, qnod nm-
fiecee inomm de TUsoo fkienmt noUlea me-
qnalis, ii fluna non mentitor, fnit
Qzoi Petd de Bnssii de Panna, etrenniasimi
militia. Qoid dlcam de Isabella, nzoze domini
Luohini, potentissimi et iostissimi tyianni in
Lombardia? » — 1^. «veeia sola eoo. que-
sta sola mi è rlmaeta al mondo, òhe possa
eiSoaoemente pregare per me; poiché gli altri
miei parenti sono malvagi e non si corano
di me, e ee anche rolesseio fsrmi del bene
le loro preghiere non trorerebbero ascolto
nel delo (c£r. Purg, iv 186).
CANTO XX
Continuando 11 loro eammino per 11 qointo eerchio, i doe poeti sentono
celebrare esempi di poyertà e di liberalità; poi si manifesta loro Ugo Ca-
pete, che parla a hingo dei snoi discendenti e dice quali esempi di avarizia
punita Siene gridati nella notte : finalmente 11 monte si scuote per la libe*
rasione dell'anima di Stazio [18 aprile^ ore antimeridiane].
Contra miglior Toler yoler mal pugna;
onde contra il piacer mio, per piacerli,
8 trassi dell'acqua non sazia la spugna.
Mossimi; e il duca mio si mosse per lì
lochi spediti pur lungo la roccia,
6 come si va per muro stretto ai merli;
che la gente, che fonde a goccia a goccia
per gli occhi il mal che tutto il mondo occupa,
9 dall'altra parte in fuor troppo s'approccia.
Maledetta eie tu, antica lupa,
XX 1. Centra eoo. Kesson volere pad
reetstere a nn volere migliore; doè il desi-
derio fi Dante di conversare ancora con
Adxiaiio ▼ non poteva resistere al desiderio
di qneetf anima di continuare la sua peniten-
za. — a. onde eco. per la qnal cosa, contro
il mio desiderio, mi taoqni per piacere ad
AdriywA Y, ohe mi avea invitato a lasciarlo
in pace (cfr. iVp- ^^ ^^^ — ^* trasa
eoe. Boti: «Fa qni similitodine, doè ohe la
volointà eoa era come nna spagna, e che li
desideri, di'elH avea di sapere altre cose da
quello spirito, rimasene non sazi, come ri-
maoe la spagna quando si cava dall'acqua
inaati ohe sia tutta piena >. — 4. per 11 :
«fr. £i/: vn as. — 6. leehl spediti ecc.
parti diri girone non impedite dalle anime
gìftoenti tà, muHo. Queste parti essendo eola-
mente quelle pid vicine alla costa del monte,
i due poeti camminavano cosi rasente ad essa,
per uno spailo angusto, oom' è quello che corre
lungo la meriatura di un muro. — 7. éké la
gente eoe poiché le anime, che piangendo
si vanno pùilloando deDa colpa dell' avari-
ria, sono distese sul piano sino all' estremità
estema, e ri avridnano tanto all'orlo ohe
non vi ri può camminare. — 8. 11 mal che
tutte eoo. l'avariria, che essendo piindpio
d' ogni altro virio (cfr. ^. 1 60), domina so-
pra tutta l'umanità. — 9. s' a^reeein : cfr.
J&i/: xn 46. — 10. Maledetta eoe Questa
imprecarione, die Dante la contro l'antica
lupa nel cerchio degli avari, oonfuma l'in-
teipretarione morale ohe dagli antichi com-
mentatori fo data dalle tre fiere della sdva
selvaggia, massime della lupa simbolo dol-
l'avarizia (cfr. Jnf, i 49). -^ antica lupa:
come quella che usd tra |^ nomini, al prin-
4SS
DIVINA COMMEDIA
ohe più di tutte l'altre bestie liai preda,
12 per la tua fame senza fine cupa!
0 del, nel cui girar par che si creda
le condizion di qua giù trasmutarsi,
15 quando verrà per cui questa disceda?
Noi andavam con passi lenti e scarsi,
ed io attento all'ombre, ch'io sentia
18 pietosamente piangere e lagnarsi;
e per ventura udi' : < Dolce Maria >,
dinanzi a noi chiamar cosi nel pianto,
21 come £& donna che in partorir sia;
e seguitar : € Povera fosti tanto,
quanto veder si può per quell'ospizio,
24 ove sponeeti il tuo portato santo >•
Seguentemente intesi : « 0 buon Fabrizio,
con povertà volesti anzi virtute
27 che gran ricchezza posseder con vizio ».
Queste parole m'eran si piaciute
ch'io mi trassi oltre per aver contezza
80 di quello spirto, onde parean venute.
Esso parlava ancor della larghezza
ì
dpio dri mondo, mowa dallA (nvtdia prima
di Luoifoxo ilnf, i 111). — 11. elie ^i eoo.
ohe dgiLoreggi T umanità pl6 largamente che
non fMìciano gli altri vizi : cfr. Inf, i 51. —
12. i^er 1a tia eoo. per la tna inMudabile on-
pidigia : cfr. Inf, i 97-99. ~ 18. mei evi gi-
rar eco. nel Tolgersi del qnale, secondo l'o-
pinione Tolgare, ò la ragiono dei mutamenti
delle condizioni tenone : cfr. i\<fy. xvi 67 e
segg. e Cbfiv. n U. — 16. quando Terrà
eoo. quando verrà quel veltro invocato (ofr.
Inf. I 101), per opera del quale la lupa larà
costretta ad abbandonare la terra e licao-
data nell'inferno? — 16. eoa pasai ecc.
Boti : e per lo luogo stretto non al potea am-
pliare né spesseggiare lo passo ». — 19. e
per ventura eoo. Le anime degli avari du-
rante il giorno (ofr. v. 100-101) gridano esempi
di povertà e di liberalità; e il primo ò anche
qui, come negli altri oerchf, quello della Ver-
gine Maria, di cui gli spiriti penitenti ricor^
dano la povertà del luogo in cui partorì e
compose in miseii panni il figliuolo Gesù. —
20. ehlamar cosi eoo. invocare con quella
voce di pianto afEcuinoso e straziante che ò
propria delle donne còlte dai dolori del parto.
La similitudine, dice U Ventar! 804, ò bella
e giusta, e ohe in quelle anime l'acutezza dol
dolora ò compensata dalla segreta gioia d'un
bene lontano, come nel cuor della donna, dal
casto pensiero di divenir madre > ; ed d fre-
quente nel linguaggio biblioo, p. es. Isaia
xxvx 17 : < Come la donna gravida, quando
■1 avvicina al parto, si duole e grida ne' suoi
dolori ; cosi siamo stati noi, por cagione di
te, 0 Signore ». — 22. Povera festl eoe Fo-
sti tanto amante della povertà, quanto ai può
vedere dalla stali* ove deponesti il tuo santo
parto; cfr. il vangelo di Luca n 7: € Ed ella
partorì il suo figliuolo primogenito, e lo ^
sdò, e lo pose a giacer nella mangiatola;
per ciò che non vi era luogo per loro nell'al-
bergo ». — 26. Seguentemeate eco. n se-
condo esempio ohe Dante udì celebrare fa
quello di Caio Fabrizio Lusdnio; il quale
essendo oonsole nel 282 a. 0. rifiutò i doni
dei Sanniti, cui aveva ottsnuto paoe, e nel
276 a. 0. essendo censore scaodò dal senato
P. Gomelio Rufino a motivo della sua prodi-
galità, e poi mori cosi povero ohe i suoi fu-
nerali dovettero essere celebrati a pubbliche
spese (cfr. Valerio Massimo i 8, n 9, iv 4
eoo.) : Dante lo celebra per questo nobile di-
sinteresse anche nel Omv, iv 6 e nel Ds mon.
n 6 ; cfr. Moore, I 187. — 26. mb povertà
eoo. volesti pi4 tosto essere povero e virtuo-
so, ohe ricco e disonesto. — 28. <2««>te Pa-
role ecc. Danto, ohe veniva dal mondo ove
gli nomini benedicono e invidiano le ricchez-
ze si compiacque tanto di sentir celebrare
l'amore alla povertà che si fece innanzi per
conoscere quell'anima, dalla quale sembra-
vano esser venuto le parole di lode a Maria
e a Fabrizio. — 81. Esse parlava eco. n
PUEaATORIO — CANTO XX
429
che fece Nicoolao alle poloelle,
83 per condurre ad onor lor giovinezza.
< O anima che tanto ben favelle,
dimmi chi fosti, dissii e perché sola
86 tu queste degne lode rinnovelle?
Non fia senza mercé la tua parola,
s'io ritomo a compier lo cammin corto
89 di quella vita che al termine vola ».
Ed egU: < Io 1 ti dirò, non per conforto
ch'io attenda di là, ma perché tanta
42 grazia in te luce prima che sii morto.
Io fui radice della mala pianta,
che la terra cristiana tutta aduggia
45 si che buon frutto rado se ne schianta.
Ma, se Doagio, Lilla, Guanto e Bruggìa
potesser, tosto ne saria vendetta;
48 ed io la cheggio a lui che tutto giuggia.
t«n> esempio d quello della liberalità di san
Niccolò, resooTo di Mira nella Licia, reno
le tre Oanoiolle destinate dal padre alla pro-
ttìtnzione: il santo nomo per tre notti di
seguito andò a portare alla casa delle lan-
cinlle tanto denaro, quanto era bastante a
costituire ad una di esse un' onesta dote, e
eosi trasse ad onor krrgwvmuuM^ poiché tat-
t^e tre furono onoratamente maritate e sai-
rate dal peccato. ~ 84. 0 aalma eoo. Dante
xiToIge la parola a quest'anima, ohe va ce-
lebrando esempi di poyertà e di larghezza,
domandandole chi sia e perché sia sola a ri-
oozdare queste lodevoli opere, e prometten-
dola in ricambio di procurare a lei suffragi
nel mondo. — 86. degne lode i atti degni di
lode, quelli della Vergine, di Fabrizio e di
san Hiocolò. — 87. Noa Ha eoe Non sarà
senz* alcun compenso la tua parola^ il tuo di-
soorrer meco, pur ohe io ritomi tra i tìvì,
ore potrò procurarti sufltagi e preghiere. —
88. !• cAmmU eco. il corso della vita uma-
na, la quale è brevissima, poiché il < viver
è un oonere alla morta > {Purg. min 64).
~ 40. Ed egli eoo. L'anima, cui Danto si
è rivolto, risponde largamente aDe sue do-
mande, prima dichiarando di parlare perché
vede conoeesa al suo interlocutore tanta gra-
zia divina (tv. 40-42), e poi dicendo di sé
e dei sud discendenti (w. 48-96) e toccando
dog^ esempi di virtù e di vizio che si gri-
dano in questo cerchio (w. 97-123). ~ Io 1
ti dirò eco. n Lana spiega queste parole nel
sanso ohe S discendenti di quest'anima es-
sendo malvagi non l'avrebbero aiutata con
orazioni a compiere la sua espiazione ; il Butl
nel senso che l' anima stessa non ou-
I pi6 la fama o altra cosa mondana; e
Benv. reca l'Atta e l'altra sposizione. È in-
certo adunque se si abbia a intendere con-
forto per suAragio procurato da alcun parente
nel mondo o per linfireecamento della Cuna
procacciato da Dante : il Lomb., seguito da
tutti quasi i moderni, spiega nel primo modo,
dicendo che quesf anima non poteva sperare
alcun efficace aiuto dai discendenti suoi, pec-
catori e cattivi; invece lo Scart. modifica
r interpretazione nel senso ohe quest' anima
non attendesse più conforto di preghiere per
essere vicina al compimento della sua purifi-
cazione. — 41. taatft grazia ecc. quanta si
dimostra nella concessione fatta a te di an-
dare ancor vivo, per i regni dei morti (ci^.
Purg. ziv 80). — 48. Io fkl ecc. Io fui U
progenitore dei re fhuioesi della stirpe capo-
tingia, stirpe malvagia che raramente dà al
mondo alcuna persona savia e virtuosa (cfr.
la nota al v. 49). ~ 44. adnggia: cfr. Inf.
XV 2. ~ 45. le ae schianta: si stacca, si
coglie da essa pianta. — 46. Ha^ se Dosglo
eoe Accenna, designando coi nomi delle prin-
cipali città fiamminghe {DoagiOt Donai ; LiUa^
Lille; ChiantOj Gand; Bruggiof Bruges) la
regione delle Fiandre, agli avvilimenti della
gruerra tra Filippo il Bello re di Francia e 1
Fiamminghi, e particolarmente alla celebre
battaglia di Coltrai (26 marxo 1802), nella
quale i firanoesi toccarono una grande scon-
fitta con molta strage e perdita di uomini e
di cose (cfr. O. Villani, Or. vm 66-68). —
48. ed lo la ebeggle ecc. ed io domando
questa vendetta sopra i miei discendenti a
quel Dio, ohe è giusto giudice di tutto e di
tuttL — glnggla : il vb. giuggiare, usato an-
che da ite Quittone (D'Ano. Il 252), ò deri-
vato alla nostra lingua dal prov. ju^ar (lat.
430
DIVINA COMMEDU
61
54
Chiamato ftd di là Ugo Ciapetta:
di me 8on nati i Filippi e i Loigi,
per oui novellamente è Franoia retta.
Figlio fa' io d'un beccaio di Parigi:
quando li regi antichi venner meno
tutti, fuor ch'tm rondato in panni bigi,
troyaimi stretto nelle mani il freno
iÈuUatn). — 49. Chiamalo eoo. Stoiioamento,
il fondatoM della dinaatia oa^ettngia ta Ugo
il grande, duca di Franala, Borgogna e Aqjaà'
tania e oonte di Parigi e di OxleanB, fi quale
goTomò di iktto il regno tenuto di nome da
Lndo^ IV (9e6.9M) e da Lotario (964-966),
mori nel 966 e laaold nn Agnolo, Ugo Oa-
peto, ohe dopo l'effimero regno di LndoTi-
00 V il negUttoao (965-967) fti inoofonato xe
di Fnnoia (967, 8 In^o), a mori nel 996.
Danto, non bene infennato delle origini sto-
riche doUa terza dinaitta ftaneeae, Introduce
il progenitore di eeia, Ugo il grande, ma ri-
feri a Ini alonne partìoolarità proprie InTeoe
del figlinolo: do6 il nome di (Ji^eto o Ola-
pttta (coal ta reeo italiano il frano. Ohapd),
l'esser flg^ secondo la leggenda di «m btieaio
di BaHffi, e l' oasersi trovato potente qtumdo
Urtgimtkfdvmmmrm$mictt.r,SB)\ eooaf
di dne distinto persone féoe nna sola: la <inal
cosa non gli pad essere rimproverata, se si
consideri ohe al tempo di I^nto mancavano
sicari snssidt di opere storiche e genealogi-
che, ed egli era por nomo oome gli altri, nò
poteva indovinare dò ohe i libri e la tradi-
zione non gli dicevano. — 60. di ne ecc. I
re di FranoU della terza dinastia fbrono,
sino a Danto, 1 segnenti : Ugo Gapeto (987-
996); Roberto U (996-1061) ; Arrigo I (lOSl-
1060); FiUppo I (1060-1106); Lnigi VI, U
grosso (1106-1187); Lnigi VII, il giovine
(1187-1180) ; FiUppo U Angnsto (1180-1228) ;
Lnigi Vm, il leone (1228-1226); Lnigi EÉ,
il santo aaa8-1270); Filippo m, l'ardito
(1270-1286) ; Filippo IV, il bello (1286-18U)
eoe — 6L nevèllamente : i Capetìngi ftarono
nna nnova dinastia saocednta a qneUa dei
Oaxolingt — 62. FigUe ftiMe eoo. Om le
altre leggende importato in Italia nei poemi
epici francesi, passò tra noi anche la tradi-
zione che il prbno re della stirpe capetingia
fosse figlinolo di nn beccaio parigino e ohe
per le sue valorose imprese ottenesse la mano
dell' nnica figlia dell' nltimo carolingio e con
la mano di lei anche il regno di Francia :
qnesta tradizione, nota p. es. a G. Villani,
Or. XV 4, e molto diiftisa tra noi (e per li pid
si dice che '1 padre ta. ano grande e ricco
borghese di Parigi, stratto di nazione di bno-
deri, ovvero meroatanto di bestie»), ta il
fondamento della canzone di gesta di Buon
Chapet (pnbbL dal La Grange, Parigi, 1864),
nno dei poemi lìranoed oonsacntialle arreii-
tnia penonaU dei re fraaoesi (ofr. Q, Paris,
La mSr. frm^ m mo^m ag^ Parigi, 1888,
p. 41). Danto, o per incompinta wìnnanenra
deDa storia o per fini artlstid (stava baaa a
qoeeto progenitore dei re franoed affanuoe
nd regno della penitenza la bassa origine
della sna stirpo ed era atto d'nmiltà da pa-
ragonare eon qiello di Omberto Aldobsaade-
sdii, IWy. n 60), accolse qnesta tradlztoiie
sulla radice della mala pianta francese. —
fcsssats t nel senso laigo dd frano. òoMoMr,
odni ohe mercanteggU di bod. «- 68. fnanéa
li regi eoo. aQorohé i disoendenti della veo-
chia ^*w^^ *<*^lngia fruono manflatl tatti,
^Mur ék'wi fWNlMto la jkmmiì 6^ mi trovai
avere ndle mani il governo dd regno di Fran-
cia ed essera ood potento, per nnove conq;aÌ-
sto e per grandi amidrie, che mio figlio potò
essere incoronato re di Franda. Se qni par-
lasse Ugo il grande, fl figUo pnmotm alla
corona di Franda sarebbe Ugo Gapeto ; ma
qoando Ugo il grande mori, avanzavano an-
cora parecchi della stirpe oaroUngta ; se paria
Ugo Capoto, il qnale, secondo alonni atocid
non volle corona per sé e fece inoocoBsre
nd 968 il figUnd sno Boberto, a questo in-
tenderebbe di alladere Danto; ma in tutto fl
passo d manifesta la oonftisione Ihtta dd
poeta dd dne Ughi in nn solo, e però è im-
posdbile metter d'accordo le perda di Ini oon
la storia. — 64. ftior di'an eoo. D solo ca-
rolingio vivento nd 987, alla morto di Ln-
dovioo V e all'esdtazione di Ugo Capato,
era Carlo, istallo di Lotario e do di esso
Lndovioo V; il qnale Cado, contrastando d
Capoto la signoria dd regno, fri preso in Leon
nd 989 e gittato in nna ture, ove mori nd
991 : ma par difficile riferire a Ini l'espsea-
done rmànOo «a jnmmiì Ugi^ che tatti i ooni-
mentatori antichi a i pi4 dd moderni spie-
gano ginstamento nd senso di faUoai moiMeo
(cfr. fl vb. rmàani in In/l xzzn 88). D Lomb.
sagalto da pareochi dtìl, spiegò rmdmh in
pamU bigi per spogliato della porpora regala ;
e il Vent., andL' egli non senza asgolto, pensò
scambiato da Danto l' nltimo dd carolingi oon
1* nltimo dd merovingi, ChUderlco in, fl qoala
nd 762 fri deposto dd trono e fini la sna tfta
in nn convento : ma l'nna a l'altra intarpra-
tadone sono poco sodistacenti, la prima perw
ohe ibrza e fdsa fl valore deDa parole, la
PUEaATORlO - CANTO XX
431
del goyemo del regno, e tanta possa
67 dì nuovo acquisto, e si d'amici pieno,
ch'alia corona vedova promossa
la testa di mio figlio fu, dal quale
60 cominciar di costor le sacrate ossa.
Mentre che la gran dote provenzale
al sangue mio non tolse la vergogna,
63 poco valea, ma pur non &oea male. '
Li cominciò con forza e con menzogna
la sua rapina; e poscia per ammenda
66 Ponti e Normandia prese e Guascogna.
Carlo venne in Italia; e per ammenda
vittima fd'di Curradino; e poi
69 ripinse al ciel Tommaso, per ammenda.
meoném peroké attriboiiM a Dante troppo
grande SgBonnxe dellft itori* tenoeie, di oni
por «^ padAT». — fiS. eoresA vedeT»:
trono Teeeste per I* morte di Ladorioo V.
^ 60. «MBlMlir eoe inooBdiMid U serie dei
xe lesittimi delle tenca dinaetie: meraU 09$a
aeao detto le perMne del re eapetingi, in
quanto le coMacrariope solenne, ohe di essi
tooeTB per diritto e per tndixione V aroive-
Booiro di BeiiBSi Tonir» e eonfexir loro la le-
gittlBa podestà regale. <— 61. Heatre che
eoa. I adei diMSodenti non si distinsero né
per opese di bene n6 par opere di male fino
al pnnoipio del seoolo zm, sino a Laigi IX;
le loro malvagità inoeminoiaiono oon Carlo I
d'Aagid, il qaale avendo sposato Beatrice,
6gli"ffU del oonto di Provenza Raimondo IV
Betliashieri, ne eredito ^ Stati nel 1246
(ofr. Par. VX 128 e segg.). La fran doU prò-
wtmxuh è adonqne la contea di Ptovenaa,
eone rettamento in toserò tulli i oommenta-
tori sino al Lomb. ; il qaale per il primo
septassn il pensiero die si trattasse della con-
tea di Tolosa, cbe i re di Fkanda, prima Fi-
lippo n oon la eroeiato de^ Albigesi e poi
ni^po m, riunirono ai loro StatL — 62.
maA tolse la varffegnat non tolse il rossore
del mal Ilare. Ooei Intendono alonni antidii
e 1 mig^Uofi interpreti moderni, Lomb., Ces.,
ToBB., Bianchi; invece Oass., Benv., Boti,
Land, e altri spiegano: finché il parentado
atretto con la nobilissima casa del conti di
Frovenia non ebbe tolto ai miei discendenti
la vergogna della loro bessa origine; ma è
manifwtir che Danto parla di vergogna in
aeaso morale, volendo dire che i capetingi in-
coodaoiaiono a non aixoesire pid delle opere
malvage. -- 6A. Lf eemlaald ecc. Dal eon-
segaimento della contea di Provenra inco-
ila serie delle violenze e dei tradimenti
i di Vtanda: si accenna spedal-
I al modo onde lUippo l'ardito oonqni-
sto le oontee di Vaiola, del Poltea e del-
l' Atvemia e il regno di Kavana, e aUa per-
fidia di FiUppo il bello per impadronirsi dei
paesi francesi soggetti aU'Inghiltena. — 66.
per asmeadas amara ironia che acquista
maggiore efOcaoia dalla ripetizione, che è
come nn insistere sul pensiero delle malva-
gità aggiunto alle malvagità per opera del
tristissimi signori della casa di Francia. —
66. Penti e Kenaaadfa ecc. Accenna alla
conquista della contea del Ponthieu fittto da
Filippo il bello; a quella del ducato di Nor-
mandia, ohe FiUppo n avea tolto agli inglesi
nel 120A e fb più volto restituito e ripreso;
e a quella della Guascogna, tolta da Filippo
il bello a Edoardo L — 67. Carlo veaae ecc.
Oaxio I d'Angid (cfr. Purjf, vn 118) venne
in Italia, alla conquista del regno di Napoli,
e oommise il delitto di tu morire il giovine
Ooxradino, figlio di Corrado IV e ultimo ram*
pollo della casa sveva, caduto nelle mani del
suo nemico dopo la battaglia di Tagliaoosao
(ofr. Inf, zxvnx 17). — 68. rlplase eoo. léce
sslire al eido, ordinandone T uccisione, U
santo Tommaso d'Aquino {ctt. Bar, x 99).
Danto accetto, quanto alla morto dell' aqui-
nato, una tradidone assai divulgata ai suol
tamfd (cfr. 0. Villani, Or. ix 218), secondo
la quale Tommaao, recandosi nel 1274 al con-
cilio di lione, sarebbe stato avvelenato nel-
l'abbazia di Fossanuova per ordine di Oarlo I
d'Angid (ofr. P. Uccelli, D$U$ diffèrmU am-
Uhm di akmi eotpicid amkjri iniorm aOa
tfMrtt d< eoo Tbai. d'il^., Napoli, 1800). Lana :
«Fra Tommaso d'Aquino dell'ordine de li
predicatori, essendo maestro parigino, stava
a N^oli, imperquello che '1 detto Oaxio l'a-
vea volentieri apreeeo di sé e oonsigliavasi
spesso oon lui, awegna che rade volto tenea
suo oonsiglio. In processo di tempo ta ordi-
nato per messor lo papa oondlio a Lion sovra
Bedano di Pzovansa, e Ibrooo li invitali o
432
DIVINA COHMEDU
Tempo yegg'io, non molto dopo ancoi,
ohe traggo un altro Carlo fuor di Francia,
72 per fìar conoscer meglio e sé e i suoL
Seoz' arme n' esce solo e con la lancia
con la qual giostrò Giuda; e quella penta
75 si eh' a Fiorenza £» scoppiar la pancia.
Quindi non terra, ma peccato ed onta
guadagnerà, per so tanto più grave,
78 quanto più lieve simil danno conta.
dtati brevemente tatti 11 tbIoiobI oheiici, e
tth gli altii fu xnandAto per tn Tommaso pie-
detto. Quando venne al di della partita di
tn Tommaso da Ni^li, ed elli fa al detto
Oarlo a chiederli commiato e a sapere s' elli
li Tolea commettere aloana cosa, lo re 11 dis-
se : ' Fra TommasOi se '1 papa vi domanda
di me, die risposta farete voi? ', e fica Tom-
maso disse : * Io dirò pare la yeiità '. Or par-
tissi fra Tommaso per andare a Lione : lo re,
considerando la parola di fra Tommasoi te-
mette, imperqaello eh' elli sapea che, se '1
vero si sapesse deUe soe opere, elio dispia-
cerebbe a tatti ; davasene molta maUnoonfa ;
li medici ohe aveano goardÌA di saa persona,
arredendosi di qaesto, domaadonno la cagio-
ne. Costai lo disse a ano *, lo detto medico
disse : € Messere, se voi volete, lo rimedio ò
trovato ' ; Io re disse : * Ydllo £ue '. Lo detto
medico montò a cavallo con qoella compagnia
che a Ini piacque, e di e notte cavalcò oh'elli
l'ebbe aggianto, e disse a fra Tommaso: * Mes-
ser lo re ò stato molto malinconioso, ohe vi
lasciò partire senxa ano medico oh' avesse
gaardia della vostra persona in qaesto via^
gio, e però m* ha mandato ch'io vegna a vo-
stra costodia '. Lo frate lo lingrasiò com' ora
da £ue e disse: * Sia la volontà del Signore '•
Da He a doe die lo medico anse lo neoossa
rio d'ano veleno, per lo qoale lo detto fica'
andò all'altra vita >. «- 70. Teapo vegg*!*
eco. Vedo molto vicino ad oggi on tempo
nel qnale on altro Carlo nsdrà fuori della
Francia per Ux conoscer» meglio la neqaizia
saa e qaella della sua stirpe. Qaesf altro cat*
tivo ramo della pianta oapetingia fu Carlo
conte di Yalois e d'Alenpon, flg^ di Filippo
l'ardito e fratello di Filippo il beUo: nato
nel 1270, fti investito nel 1284 dal reame
d'Aragona per opera della corte pontificia e
noi '90 rinanziò a qaesti diritti per sposare
la flc^ di Carlo II d'Angiò, die gli recava
in dote le contee d'Angiò o del Maine; ri-
masto vedovo nel '99 e acquistatosi nome di
valente gaeiriero nelle lotte della Francia
con l'Inghilterra e con le Fiandre, ta attit-
rato in Italia da Bonifazio Vm, perché rioon-
qnistasse agli angioini la Sicilia perduta dopo
U vespro (ofr. Par. vm TS), oon grandi pro^
fiarte di anni e denaro e oon promessa di nulo
salire all'impero d'Oriente mediante il matri-
monio eh' si contrasse nel gennaio tSOl con
Catarina di Ooortenay. Nel settembre dd laoi
Carlo giunse in Anagni, alla oorte pontificia ;
e invece d'esser mandato all'imprèsa di Si-
cilia, fa inviato a Firenze come padaro, oo-
stitaito in tale ofBdo da Bonifkcio Vili: en-
trò nella dttà il 1 novembre 1301, abbatté
la parte Bianca e ikvorf la parte Nera, che
ebbe sali' avversaria compiuto tdonfo, e vi
rimase traendo denari ai cittadini per fona
e per inganno sino al febbraio del 1S02 : tor-
natovi nel marzo, s'iniziarono sotto i suol
auspiot le proscrizioni dei Bianchi (ofr. Inf.
VI 67), e finalmente nell' aprile di quali* anno
egli parti per sempre da Slranze, laudando
la guasta dttà in mano dd Neri (ofr. D. Com-
pagni, Or. n 2-28). Fallitagli poi l'impresa
di Sicilia, se ne ritornò in Francia, ove moi£
nd 1326. — 78. Seni*ama ecc. Sena' eser-
dto; infatti Carlo venne in Francia oon la
sola compagnia d'alcuni conti e baroni • un
seguito di drca cinquecento cavalieri (ofr.
a. Villani, Or. vm 49). — eoa la laaela
eoe con l'arma dd tradimento e della men-
zogna, già adoperata da Giuda a danno di
Cristo : infatti il Valese, venuto a FIrense
per pacificare le parti e frcendo promesn di
conservare la dttà in buono stato, fkvoif i
Neri contro i Blandii e guastò la dttà. —
74. foata : impunta. ~ 75. si eh*a Fioreaaa
eoo. accenna spodalmente agli esilt, allo con-
flsdie, alle morti che accompagnarono in Fi*
renze il trionfo ddla parte Nera per opera
di Cario di Valois. — 76. Quindi aea terra
eco. Da questa spedizione in Italia, invece
di guadagnare una signoria, acquisterà onta
di uomo traditore^ acquisto tanto più dannoso
a lui, quanto meno egli considera il peooato:
vud dire insomma dio il Vdese, non dando
importanza allo sue odpe, non se ne pentirà
e cosi morirà dannato. — 77. g«a4agaeràt
cfr. 0. Villani, O. vm ÒO: «Si disse per
motto : * Mssser Cario venne in Toscana per
padaro, e lasdò il paese in guerra; e andò
in Cidlia per tu guerra, o reoonne vorgo-
gnosa pace ' >, o aggiunge che e d tornò in
Francia, scemata • consumata saa gente o
PURGATORIO - CANTO XX
433
L'altro, che gi& usci preso di nave,
veggio vender sua %lìa e patteggiarne,
81 come fanno i corsar dell'altre schiave.
0 avarizia, che puoi tu più faxne,
poscia e' hai lo mio sangue a te si tratto
84 che non si cura della propria carne?
Perché men paia il mal futuro e il fatto,
veggio in Alagna entrar lo fiordaliso,
87 e nel vicario suo Cristo esser catto.
Veggiolo un'altra volta esser deriso;
con pooo onoze ». — 79. L'altro eoo. Cftrlo H
d'Angiò (cfr. Fùr. yi 106, xiz 127), figlio di
Carlo I, ta fatto prigioniero nella battaglia
naTBl» di Ni^Ii del 6 giugno 1284 da Bog-
gezo di Laniia, aauninglio aragonese, e dopo
la morte del padre ta liberato o gli aoooeeae
nel regno : tra gli atti di lai, ohe i oontem-
yoT^Ti^ oentorarono, ta l'aver dato in moglie
nel 1306 ad Azze Vili marchese di Ferrara
(cfir. Purg, t 77), già assai vecchio, la gio-
Tanisaima figlinola Beatrice, indnoendosi a
consentire a tale matrimonio per la gran quan-
tità di denari che n' ebbe dal genero. — 80.
• patteggiane ecc. e cedere, mercanteg-
giando il prezzo, nna propria figliuola, cosi
come i oorsari lianno delle schiave che non
sono loro figliuole, ma d' altri. ~ 82. 0 aTft-
rÌMÌM ecc. Ugo, pensando alle malvage opere
coi la cupidigia (ofr. Fùr, vm 82) ha tratto i
suoi discendenti, dice che a nessun peggiore
misfatto potrebbe condurli poiché gli ha disa-
morati dai propri figliuoli : se non che, a delitti
anoor piò gravi doveva trascinarli, cioè alla
persecuzione dell'autorità pontificia e alla di-
struzione dell'ordine del templari. ~- 86. Per-
éké sica eoo. AfBnchóle male opere passate e
pBtbaxe dei miei dlMendenti appariscano atte-
nuate al paragone, vedo già quelle inlami di
Filippo il bello. Questo re, succeduto nel 1286
al padre Filippo l'ardito e morto nel 1314, fu
tra i principi del suo tempo quello ohe suscitò
il maggiore sdegno nell'Alighieri, il quale
rimproverò la sua vita vixiaia § lorda {Purg,
vn 109), in generale, e in particolare poi le
male arti per l'elezione di aemente V (Inf.
zix 85) e la falsiflcariane della moneta (Bir,
xcE 118), e qui la persecuzione di Bonifa-
zio vm e la distruzione dei templari : final-
mente, secondo alcuni, lo rafiigurò nel gi-
gante che delinque in oompsgnia della me-
ivttioe, nella visione finale del purgatorio
(iVy. xxxu 148 e segg., xsxm 48 e segg.).
— 86. vegffle Im Alagaa eoo. D contrasto
fica Sll^po il bello e Bonifazio Vm, comin-
ciato sino dal 1296i, quando il pontefice s' in-
tromise Belle qussàoni che il re di Frauda
aveva con quello d'Inghilterra, e alimentato
da varie cagioni, quzdi la proibizione papalo
Danti
fatta al re circa l' imposizione di tasse agli
eodesiastiol, e l'aocoglienza che Filippo fece
a Steflwo e a Soiarra Colonna nemici di Bo-
nifazio, crebbe a tal segno che il pontefice,
scomunicò il re (13 aprile 1308) e il re oon-
vocò un generale concilio per la deposizione
del pontefice (10 giugno 1303) : allora ta man-
dato a Boma Guglielmo di Nogaret, ministro
di Filippo il bello, a pubblicarvi le decisioni
del parlamento fhmoese contro Bonifazio vm,
e questi rifugiatosi in Anagni soaglid cinque
bolle contro il suo nemico ; ma mentre si
preparava a lanciarne un' altra per sdosserò
dall' obbligQ di fedeltà i sudditi francesi, ta
arrestato il 7 settembre 1303 da Guglielmo
di Nogaret e da Sciarra Colonna, e sostenuto
per tre giorni, dopo i quali potè ritornare in
Boma : e « come piacque a Dio, il dolore im-
petrato nel cuore di papa Bonifazio per la
ingiuria ricevuta, gli surse, giunto in Boma,
diversa malattìa che tutto si rodea come rab-
bioso, e in questo stato passò di questa vita
a di 12 d' ottobre » (G. Villani, O. vm 63):
cfr. per questi fatti il Boutaric, La Frano§
«0149 PhU, I» Bel dt, L. Tosti, Storia di Bo-
nif. vm, lib. VI, e J. Jolly, PhUippé Bel,
lib. m. ~ Uagna : cosi dissero i nostri an-
tichi (p. es. G. Villani, Or, v 8, vm 63, 64,
D. Compagni, O. n 85 ecc.) la dttà di Ana-
gni, lat. AnofMky già capitale degli Eroici e
patria di Bonifazio Vili {jaSr, Par, xxx 148).
— lo ilordallio: il giglio, fr. fUur de Ila,
insegna della casa reale di Francia (cfr. Purg.
vn 105, Par, vi 100, 111). — 87. e nel ?1-
eario ecc. e Cristo esser catturato nella per-
sona del pontefioe, suo vicario in terra. —
88. Teggiole ecc. Vedo le derisioni di cui
Cristo fu oggetto nella sua passione (Matteo
xxvu 39-44, Marco xvi 16-20, 29-82, Giovanni
XIX 2-3) rinnovarsi contro il suo vicario. G.
Villani, Or, viii 63, racconta che, entrato
Sdarra Colonna in Anagni con le insegne
apiegate del re di Francia, e papa Bonifazio,
sentendo il romore e veggendosi abbandonato
da tutti i cardinali, fugati e nascosi per paura
0 chi da mala parte, e quasi da' più de' suoi
famigliari, e veggendo eh' e' suoi nemid avear
uo prosa la lena o '1 palazzo ov' era, si cus-ò
28
431
DIVINA COMMEDIA
veggio rionovellar l'aceto e il fele,
90 e tra 9^iyì ladroni esser anciso.
Veggio il nuovo Pilato si crudele
che ciò no 1 sazia, ma, senza decreto,
93 porta nel tempio le cupide vele.
0 Signor mio, quando sarò io lieto
a veder la vendetta, che, nascosa,
96 fa dolce l'ira tua nel tuo segreto?
Ciò ch'io dicea di quell'unica sposa
dello Spirito Santo, e che ti fece
99 verso me volger per alcuna chiosa,
tanfo risposta a tutte nostre prece,
quanto il di dura; ma, quand' e' s'annotta,
102 contrario suon prendemo in quella vece.
Noi ripetiam Pigmalione allotta,
morto ; ma come magnanimo o Talento dine:
* Da ohe per tradimento, come Gesù Cristo,
▼Oi^o esser preso e mi conviene morire, al-
meno voglio morire come papa ' : e di pre-
sente si fece parare dall'ammanto di san Pie-
ro, e colla corona di Costantino in capo e
cdle chiavi e croce in mano e in sa la sedia
pi^e si pose a sedere : e giunto alni Sdarra
e ^ altri suoi nimici, con villane parole lo
schernirono e arrestaron Ini e la soa fami-
glia, che con Ini erano rimasi ; intra gli altri
lo schemi messer Guglielmo di Longhereto,
che per lo re di Francia avea menato il trat-
tato donde eia preso, e minaodollo dicendo
di menarlo legato a Leone sopra Bedano e
qnivi in generale concilio il farebbe dlporre
e condannare >. ~ 89. Paceto e il fele : ac-
cenna all'aceto e al fiele dato a bere a Gesù
sulla croce (cfr. Matteo zzvu 48, Marco zv
86, Giovanni nx 29), per significare i pati-
menti di Bonilkzlo Vili nei tre giorni della
prigionia, durante i quali non obbe altro cibo,
a testimonianza del Buti, se non ova fresche
recategli da una sua nutrice. — 90. e tra
Tifi eoe Gesù Cristo ta messo in croce in-
sieme con due ladroni, che morirono con lui
(ofìr. Matteo zzvu 88, Marco zv 27, Luca
■«"rnt 88, Giovanni ziz 18) ; Bonifazio vm
invece mori, e rimasero in vita e impaniti i
due capi dell* attentato compiuto a suo danno,
Guglielmo di Nogaret e Sdarra Colonna. —
91. reggia eoe L'altro gran deUtto di Fi-
lippo il bello fu la soppressione violenta e
iniqua dell' ordine dei cavalieri del Tempio,
fondato nel 1119 a Gerusalemme e cresduto
assai presto di potenza e di ricchezza: il re
di Francia per cupidigia d'impossessarsi dei
loro beni, colse il pretesto di false accuse
scagliate contro i Templari e, assenziente il
Pontefice Clemente V, nel 1807 U fece arre-
stare e li condannò al rogo, confiscandone i
beni e ottenendo dal papa la ioppreeslone
dell* ordine (cfr. "W. F. Wilken, OesekiehU dm
TWiptlonfoif, 2^ed., Halle, 1860; L. Obrario,
iV Tempieri, Torino, 1868 ; G. Salvemini nel-
l'^yvfc. seor. it., G* serie, voi. XV, pp. 225-264).
— aaova Filata : Filippo il bello, che al Co-
lonna abbandonò il pontefice Bonifuto VIU,
oome già Ponzio Pilato aveva abbandonato
Gesù ali* odio dei suoi nemid (dr. Luca -r^n^
26). — 92. elle eld io '1 ecc. non contento an-
cora della persecuzione eserdtata contro il
papa, volle sfogare 1* insaziabile cupidigia snl-
r ordine del Templari, eenxa decreto doò aver
prima chiarito per le vie legali se essi foe-
sero veramente colpevoli dd delitti apposti
loro. — 98. le eoplie Tela: G. Villani, Or.
vm 92 : € Per molti si disse che furono morti
e distrutti a torto e a peccato e per occupare
i loro beni, i quali poi per lo papa ftirono
privilegiati e dati alla magione dello spedale,
ma convennegli loro ricogliere e rìcompezmre
dal re di Frauda ». — 94. O Sigiar ecc. 0
Dio, quando potrò rallegrarmi vedendo at-
tuata quella vendetta, che, nascosa ora nd
tuo eegreto doè preordinata nd segreto della
tua volontà, radddoisce la tua ira s£ cho non
d manifesta prima dd tempo da te stabilito:
cfr. Par, zzn 16 e segg. — 97. Ciò eh' le
ecc. Ugo risponde qui alla seconda domanda
di Dante (v. 86), dicendogli innanzi tutto
che le lodi degli esempi di povertà e di lar^
ghezza sono Catte dalle anime solo durante
il giorno. ~ di «aell* «alea ecc. della Ver-
gine Maria : cfr. w. 19-24. — 99. per aleaaa
chiosa : per avere qualche spiegazione delle
mie pardo. — 100. taat'è rispetta ecc. gli
esempi virtuod seguitano quan naturale ri-
sposta ad ogni nostra preghiera finché dura
il giorno, ma quando viene la notte s'inoo-
mindano a gridare esempi dd vizio. — 102.
eonirarlo suon: cfìr. Purg. zia 40. ~ ICS. Xol
PURaATOBlO - CANTO XX
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coi traditore e ladro e patrioida
fóoe la voglia sua dell'oro ghiotta;
e la miseria dell'avaro Idlda,
ohe segui alla sua domanda ingorda,
per la qnal sempre oonvien che si rìda.
Del folle Aoam ciascun poi si ricorda,
come furò le spoglie, si che Pira
di Giosuè qui par eh' ancor lo morda.
Indi accusiam col marito Safira,
lodiamo i calci ch'ebbe Eliodoro,
ed in infemia tutto il monte gira
Polinestor ch'ancise Polidoro;
ultimamente ci si grida: ' Grasso,
dicci, ohe il sai, di che sapore è l'oro? '
Talor parla l'un alto e l'altro basso,
secondo l'affezion, eh' a dir ci sprona
ora a maggiore ed ora a minor passo;
rlpctlaa eoe. Ogni notte gli ipiziti di que-
sto oeraliio xipetono etempi di aTmrizia, nei
quali SODO rilJBeee le «doni melrage ohe Tom-
■aao d'Aquino diitingue dedrite da questo
Tizio iSumma, p. n 2^, qu. cxmi, ait 8),
cioè il tradimento (PiginaUone), l'inquietu-
dine (ìOda), la frode (Acam), lo spengluio
(Anania e Saflia), la ftdsltà (imodoro), l'inu-
maaità (Polinnestore) e la Tiolenza (Orasso).
— Plyaialieue eco. Pigmaliooa, re di Tiro,
per cupidigia d'impadionini dei tesori di 8i-
cheo suo zio e oognato, lo ucdse proditoria*
mente, ooetzingendo Didone sua sorella a
ftiggìre in Africa (cfr. Virgilio, En. i 840-
351). — alletta: cioè durante la notto. —
104. traditore ecc. tradi la soroUa Bidone,
tentò di rubare i tesori del marito di lei e
uccise il congiunto Sicheo. — 106. e la mi-
seria eco. Mida, re della Frigia, ottenne da
Bacco ohe si cambiasse in oro tutto dò ch'ei
fosse per toccare : privato cosi d' ogni cosa
necessaria alla yita, e traragUato da una con-
tinua inquietudinOi si liberò dalla dannosa
concessione con un bagno nel fiume Fattolo
fcfr. Ovidio, Mei. xi 86-146). — 109. Del
folle Aeaai ecc. Alla presa di Gerico, Qio-
loò arerà ordinato agli ebrei ohe nessuno
s'appropriasse alcuna benché minima parte
del bottino ; ma Acam, figlio di Carmi, con-
tro quesf ordine s' impadroni d'alcuni oggetti
preziosi e li nascose nella sua tenda: allora
Oìosoò e tutto il popolo a gran furore pre-
sero lui e la sua famiglia, e li lapidarono o
bnuàarono nella Valle di Acor (cfr. Oiosuè
n 17-19, rn 1-26). — 112. Indi aeeuslam
eco. Anania e la moglie Saflra ingannarono
per svazizia 8^ apostoli, recando loro solo
una parte dei denari ricarati dalla vendita
delle possessioni, i quaU dorerano esser tutti
portati alla comunità cristiana; ma fbrono
degnamente puniti, perché caddero come eli-
minati alle parole di rimprovero riroHe loro
dall'apostolo Fistio (cfr. Atti degli Apoti, r
1-11). — 118. lodiaao eco. Eliodoro, man*
dato da Seleuoo re di Siria a Qemsalemme
per spogliare il tempio, appena entratovi si
ride innanzi un carallo ohe portara un fiero
cavaliere, e percosso dai cald dell'impetuoso
animale se ne tornò umiliato e oonfbso, senza
aver potuto rapire i tesori (cfr. MàooabH n
8, 7-40). — U4. ed In Infamia eoe e tut-
f intomo al monte si ricorda con infamia ecc.
~ 115. Pollmestort FoUnnestore, re di Tra-
cia, il quale uodse il giovinetto Folidoro,
figlio di Friamo e di Eouba, affidato alle sue
cure, al solo fine d'impadronirsi delle sue rìo-
chezze (Virgilio, En, m 4Si e segg. ; Ovidio,
Mei. zm 429-488; cfr. Moore, I 212).— 116.
■Itinameite eco. l' ultimo esempio è quello
di M. Licinio Crasso ( 114-63 a. 0. ), ara-
rissimo tra i grandi romani degli ultimi tempi
repubblicani : raccontano gli antichi storici
che Orodo re dei Farti, essendo stata recata
a lui la testa di (Trasse, ordinò che gli fosse
versato in bocca dell'oro liquefatto, per scher-
nire cosi la cupidigia insaziabile del suo ne-
mico (cfr. Ploro, ui 11). — 118. Talor par-
la ecc. Questi esempi buoni e cattivi sono
da noi gridati ad alta voce o a voce bassa,
secondo l' intonsiti del sentimento che ci ec-
cita a parlare ora con più ora con meno di
forza. Alcuni sostengono nel v. 119 la le-
zione eh' ad ir ci aprono, come pM appro-
priata alla metaforica espressione del mag-
giare o minor passo: ma l'effetto dell'a^axiòns
non ò di movimento, si bene di reco ; e i
436
DIVINA COMMEDIA
^
però al ben che il di ci si ragiona,
dianzi non er'io sol; ma qui da presso
123 non alzava la voce altra persona ».
Noi eravam partiti gi& da esso,
e brigavam di soperoliiar la strada
126 tanto, quanto al poder n*era permesso;
quand'io senti', come cosa che cada,
tremar lo monte: onde mi prese nn gelo,
129 qual prender^ suol colui che a morte vada.
Certo non si scotea si forte Delo,
pria che Latona in lei £ftcesse il nido
132 a partorir li due occhi del cielo.
Poi cominciò da tutte parti un grido
tal che il maestro in v6r di me si feo,
136 dicendo: < Non dubbiar, mentr'io ti guido ».
€ Oìoria in excdsis, tutti, Dw »,
dicean, per quel ch'io da'vicin compresi,
138 onde intender lo grido si poteo.
Noi ci restammo immobili e sospesi,
come i pastor che prima udir quel canto,
141 fin che il tremar cessò, ed ei compiési;
penitenti di qnesto oerohio sono condannati
air immobilità, « nei piedi e nelle man logati
e presi » (Awy. xix 124) : perciò ò da ser-
bare la lesione rolgata. — 121. però al kea
ecc. perdo puoi intendere che a cantare gli
esempi di vìrtà, ohe noi andiaae ripetendo
durante il giorno, io non era sdio. allorchó
tu ti avvicinasti a me (ofr. vr. 29, 85-S6);
ma accanto a me nesson' anima alsava tanto
la voce da poter essor da te udita. -^ 12dL
Kel eravam ecc. cfr. Ihf, zzzn 124.-125.
brigavam: ci davamo briga, d studiavamo.
Borgh. : € Briga importa quistiom e liUf ma
importa ancora tforxot shidio, e come dir prova
che si mette in fkre alcuna cosa : e da que-
sto ò brigmn in questo luogo ». — 126. qaaate
al poder ecc. con quanto maggiore velodtà
d era concessa dalla strettezza del passo (cfir.
w. 4 e segg.). -^ 127. faaai'le eoo. allor-
chó io sentii il monte del purgatorio tremare,
come se rovinasse : riguardo a questo terre-
moto, ohe aooompagna la liberazione di ogni
anima che ha compiuta la sua penitenza, cfir.
Purg. xn 40*72. — 128. «■ gale eco. un
gdo di spavento pari a quello dell'uomo
tratto all'estremo supplizio. — 180. Certe
BOB si seotea eco. Secondo le leggende mi-
tologiche l'isola di Delo, una delle Cidadi,
era in origine mobile e vagante per il mare
e agitata da continui terremoti; e diventò
stabile dopo ohe Latona, fOggendo Tira di
Giunone, vi si fermò a partorire Apollo e
Diana, 1 due gemelli dd quali Oiove Favwa
resa madre (cfir. Virgilio, .A», m 69 e segg.;
Ovidio, HsL VI 189 e segg.). — XS2. eeeU
4el elela t Apollo e Diana, il sole e la luna,
ai quali Dante die quest'appellativo rioor-
dandod d'Ovidio, che disse mundi oculua H
sole (UiL IV 228). — 183. Poi eoadmeld eoo.
Al terremoto, die scuote il purgatorio per la
liberazione d'un* *n<»»n, d unisce un cantico
di lode al Signore, innalrato dai penitenti di
tutti i cerchi: e il canto erompe oosl improv-
viso che Dante resta quad atterrito e Vìi^
gìlio deve rincorarlo oon prontezza affsttaosa.
— 136. COoria eoe Tutti i penitenti canta-
vano Gloria in toxeUia Deo, l'inno oioò che
fa cantato degli angeli alla nasdta di Gesù
(Luca n 14), per quello ch'io compred dai
penitenti vidni a me, dd quali d potevano
distinguere le parole cantate. — 187. 4a* Vi-
da: ood rettamente d deve scrivere e in*
tendere: da quelle anime ch'orano più vi«
cine a me, dalle anime dd quinto oerdùo ;
come dimostra il tutti dd v. precedente. AU
tri meno bene scrivono : da «Mn, dd vidno
luogo. — 138. OBie : dd quali; particdla pro-
nominde, frequentissima in Dante anche ri-
ferita a un plurde (cfr. Inf. ix 42, xzzi 132
ecc.). — 140. eoaie 1 pMtor ecc. come i pa-
stori che per la prima volta sentirono oantare
Gloria in «xeelti*, allordió ti loro Rnnnlw^lltm
la nasdta dd bambino Qesd (Luca n 8-14).
— 141. ed el eemplési: o il canto, essondo
PURGATORIO - CANTO XX
437
poi ripigliammo nostro oammin santo,
guardando l'ombre cke giacean per terra,
144 tornate gi& in su l'usato pianto.
Nulla ignoranza mai con tanta guerra
mi fé' disideroso di sapere,
147 se la memoria mia in ciò non erra,
quanta pare' mi allor pensando avere ;
né per la fretta domandarne er'oso,
né per me li potea cosa vedere:
151 cosi m'andava timido e pensoso.
tenninalD rumo, fini. — li2. aoitro Mm-
mÌM samto : la nostra via per il purgatorio,
tede di anime eletto alla beatltadine del pa-
radiso^ — 144. tonate eco. ritornato al pianto
interrotto per un momento al fine di cantare
la liberazione di nn* anima. — 146. Ralla
Ifseraiisa eoo. n torremoto e il canto sn-
scitarono nell'animo di Danto nn ooei yivo
desiderio di oonoeoeme la ragione, ch'egli
non si era mai sentito cod annoso di si^re
la causa d* altri Catti. Il passo ò da oostroire
cosi: Ss m ciò la mia memoria wm erra, nulla
ignoranxaf nessuna ignoranza delle canse di
cose Tiftdnto, mi fé* mai desideroso di eapere
eon tanta ffuerraf con tanto ansietà, quanta
parkai avere allora^ quanto mi pareva d*ayere
allora, peneandot nel ripensare al terremoto
e al canto. ~ 149. mi per la fretta eoo. né
per la fretto che Virgilio dimostrara nel cam-
minare io osavo di chiedere spiegazione a lui,
n6 da me stesso riusciva a determinare qual
fos* la cagione dol terremoto e del canto.
— 161. cesi B'andava eco. perciò io proce-
deva, timoroso di domandare e pensoso del
ftitto inespUcabile.
CANTO XXI
Dante e Virgilio prosegaendo il loro cammino nel quinto cerchio incon-
trano r anima di Stazio, che, compinta la sna purificazione, sale al cielo:
Stazio, richiesto da Virgilio, spiega la ragione del terremoto e del canto,
sodisfacendo cosi an vivo desiderio di Dante, e si manifesta ai due poeti,
coi quali si aocompagna [12 aprile, ore antimeridiane].
La sete naturai che mai non sazia,
se non con l'acqua onde la femminetta
8 samaritana domandò la grazia,
XXI 1. La sete eoe n desiderio di sa-
pere innato negli uomini, U quale non resto
sodisfiatto se non col conseguimento della
reotà, mi travagliava eco. Danto, dóno, 1 1 :
< Si come dice il Filosofo nel prindpio della
prima Filosofia [Aristotele, Metafiaiea^ i 1],
tuta gU «fomM naturalmente deeiderano di sa-
pere : la ragione di che puoto essere ohe cia-
scuna cosa, da prowidenria di propria natura
impinto, è inclinabile alla sua perfezione;
onde, aodò che la scienza d l'ultima perfe-
zione della nostra anima nella quale sto la
nostra ultima fiaUcità, tutti naturalmento al
suo desiderio siamo soggetti >. •- 2. se Boa
ttm l'aef aa eoo. Baooonto il vangelo (Gio-
vanni IV 6 ecc.) die essendo giunto una volto
Cristo alla fonto di Giacobbe e avendo chie-
sto da bere a una donna di Samaria, questo
si meravigliò che ©gli, giudeo, trattasse con
una samaritana ; allora Gesti le disse : e Se
tu conoscessi il dono di Dio e chi ò colui
che ti dice ' Dammi da bere ', to stessa gliene
avresti chiesto, ed egli ti avrebbe dato del-
l' sequa viva » ; e ad altre inchiesto della
donna soggiunse : e Chi berrà dell* acqua ch'io
gli darò non avrà giammai in etemo seto;
anzi l'acqua ch'io gli darò diverrà in lui
una fonto d' acqua sagliento in vito etema >.
Allora la samaritana disse a Gesd : < Signo-
re, dammi cotesto acqua, acciò ohe io non
abbia piti seto, e non venga pi6 qua ad atti-
gnerne >. Qnesf ooTtia viva chiesto in grazia
a Gesù dalla samaritana è pei teologi la gra-
zia divina, e per Danto la verità, che sola
4^8
DIVISA COMHEDU
mi travagliava, e pungeami la fretta
per la impacciata via retro al mio duca,
G e condoleami alla giusta vendetta.
Ed ecco, si come ne scrive Luca
che Cristo apparve ai due ch'erano in via,
0 gl& surto fuor della sepulcral buca,
ci apparve un* ombra, e retro a noi venia
da pie guardando la turba che giace;
12 né ci addemmo di lei, bì parlò pria,
dicendo: < Frati miei, Dio vi dea pace ».
Noi ci volgemmo subito, e Virgilio
15 rendégli il cenno eh' a ciò si confiace.
Poi cominciò : < Nel beato concilio
ti ponga in pace la verace corte,
18 che me rilega nelP etemo esilio ».
€ Come ? diss' egli, e parte andavam forte,
se voi siete ombre che Dio su non degni,
21 chi v'ha per la sua scala tanto scorte? »
E il dottor mio : « Se tu riguardi i segni
pad saxUro la lete natorale del sapere. —
i. e paige»MÌ eoo. e, oltre al desiderio di
sapeze, mi pnngera la fretta dell' andaie, die-
tro a Virgilio, per quella strada impedita
dalle anime degli ayari, • mi dolora meoo
medesimo della giusta pena alla quale vedevo
esser soggette le anime stesse (efr. I^erg, xs
i-9). — 7. Ed eeoo ecc. Sabitamente, come
al due discepoli (Cleopa e Almeonó) sulla
strada di Emmaus apparve Gosd nel giorno
stesso della sua resurrezione, secondo il rao-
conto dell'evangelista Luca (xxiv IB- 16 : € Or
ecco, due di loro in quell' istesso giorno an-
davano in un castello, il coi nome era Em-
maus, distante da Gerusalemme sessanta stadi.
Ed essi ragionavan fra loro di tutte queste
cose ch'erano avvenute. Ed avyenne che,
mentre ragionavano e discoirevano insieme,
OoBÙ si accostò e si mise a camminar con
loro »); cosi a Dante e a Virgilio apparve
l'ombra di Stazio. — 9. già sirto eoo. già
lovatosi su dal sepolcro, dopo la resurrezione. -
— 10. ■■' ombra : quella di Stazio, ohe or
ora si manifesterà (cfr. w. 83 e segg.). —
11. da pie ecc. guardando al suolo le anime
deprli avari, che v' erano stese. ~ 12. mi ci
addemmo eoo. e non ci accorgemmo di quol-
l' ombra, finché non oi ebbe rivolto il discorso,
come i due discepoli non s'aocorsero di Orì-
sto se non quando egli ebbe loro parlato. —
si : sino a ohe; cfr. Inf. zzix 80. — 18. Dio
Ti dea eoo. Dio vi dia pace : ò il salutoohe
Gesù rivolse ai discepoli dopo la sua resur-
rezione (ofr. Giovanni zx 19, 26). — 16. ren-
dali ecc. gli rispose con un cenno di sa-
luto, conveniente all' aifottnoso augurio di
quell'anima. Altri, meno bene, intondono die
al PasB vaòU di Btado, Virgilio lispondeiBe
con le parole liturgiche : tt eum sptrite tuo.
— 16. Poi eominelò t Virgilio rivolge il di-
scorso a Stario per chiedergli spiegazione del
terremoto e del canto o incomincia con pa-
role di augurio, dalle quali Stazio oomprende
che i due ignoti non sono spiriti che salgano,
come lui, alla beatitudine del paradiso : perft
egli interrompe VirgUio chiedendogli come
mai possano esser pervenuti sino a quel punto.
~ beato eoaclllo t il concilio dei beati, il
paradiso (cfr. Par. zxvi 120). ~ 17. la ve-
race corte: la corte di Dio, dell'infallibile
giudice, che mi ha assegnato, come sede, il
limbo, rilegandomi cosi per sempre friori della
sua città (cfr. Inf, i 124-126). ~ 19. parte :
aw. di tempo, che qui significa àifoMto, e
pi6 spesso si trova negli antichi col senso di
mentre^ ohe ha p. es. in Inf, xzzx 16. — 20.
se voi eco. se non siete anime elette alla
beatitudine, chi vi ha guidati sino a qui a
traverso il purgatorio? — bob iegal: non
reputi degne. ~ 21. la saa scala: il purga-
torio, che è la scala, la via per cui si sale
al paradiso. — 22. Se ta rignardl ecc. Vir^
gilio risponde a Stazio ohe il tuo compagno
ò ancor vivo e viene a purificarsi delle ano
colpe sotto la guida di lui, ohe a questo ufll-
cio fu eletto per divina volontà : gli risponde
insomma oon altre parole, ma ndlo stesso
modo onde rispose a Catone : ofr. Jiiry, 1 62
e segg. — 1 iegil eoo. I mgid dei sette pec-
cati impreasi sulla fhmta di Dante dall' atf
•^;vi»" M
PURGATORIO - CANTO XXI
439
che questi porta e che Pangel profila,
24 ben vedrai ohe coi buon convien ch*ei regni
Ma perché lei ohe di e notte fila
non gli avea tratta ancora la conocchia,
27 che Oloto impone a ciascuno e compila,
r anima eua, eh' è tua e mia sirocohia,
venendo su, non potea venir sola;
80 però ch'ai nostro modo non adocchia:
end* io fui tratto fuor dell'ampia gola
d'inferno, per mostrargli, e mostrerolli
88 oltre, quanto il potrà menar mia scuola.
Ma dinne, se tu sai, perché tai crolli
die dianzi il monte, e perché tutti ad una
86 parver gridare infino ai suoi piò molli ? »
Si mi dio, domandando, per la cruna
del mio disio, che pur con la speranza
89 si fece la mia sete men digiuna.
Quei cominciò: «Cosa non è che sanza
golo (efir. iVy. oc 112) erano in gran parte
•oompani: tre aoU ne rimaneraac, quelli
dell* a;Tarìzia, della gola e della loBsoria ; e
tàò bastaya a hr intendere ohe Dante, am-
MiMO per tal gniaa nel regno dei penitenti,
era destinato a taUre nn giorno a quello dei
beatL — a&.eeltoaeBeco.èftaUUtoo]i'eg1i
dinosl net regno dei boonii nel paiadiao. —
25. Ha perebtf eoo. Ha perché Lacbeai, qnella
delle tre parche la qnale fila lo stame della
Tita a elaeoan nomo, non avoTa ancora per
hd finito di trarre giù, di filare la conooohia
pieparata per dasovno da Cloto, Tale adire
pervhé 0 ndo compagno non era ancor giunto
al temine della rita. — 26. non gli area
eoe *tvre is eonoe^da signifloa filare, dee
tirar gtfi filo a filò avrolgendo il lino o la
•toppa poeta eolia rócca : cfr. Ftir. xr 124.
— 27. Impone a eUsenno eco. Lomb.: « Due
atti d fumo nel mettere sopra della rócca
fl pennecchio : il primo è di sopr^>por7elo
largamente, Csoondolo dall'aggirata rócca a
poco a pooo lambire, e questo appella Dante
impom ; Taltro è di aggirare intomo al pen-
necchio medesimo la mano per unirlo e re-
stringerlo, e questo appella compilare >. —
28. èk' è taa e mia eco. che è nostra sorella,
perché tatto e tre le anime sono uscite dalle
mani dello steeso creatore. — 29. non potea
eoe. cfir. Cbnv. !▼ 4 : e L* umana civiltà è a
uno fine ordinata, oio^ a vita felice ; alla
quale nuUo per s6 è sufficiente a yenire senza
Tainte d' alcuno •, — 80. però che eoo. per-
ehó non guarda ai modo nostro, non redo
come le anime liberate dal vincolo corporeo.
^ 81. fai tratte ecc. fui tratto dal limbo,
il primo e più ampio dei cerchi iniìsmali (ctr,
Inf, n 49 e segg.). — 88. «nanto U potrà
ecc. fino al termine della sua penitenza, alla
quale lo poesono bene guidare gli ammaestra-
menti della filosofia, la ragione umana, che
io rappresento. — 84. perché tal eroUl eco.
perché pooo fa il monte fb agitato da crolli
cosi violenti e perchó tutti gli spiriti, dalla
cima sino ai piedi di queeto monte, canta-
rono ad una voce Tinno Ohria la ne$l8i$9
— 87. 8( mi die eoe Virgilio, fluendo que-
sta domanda a Stazio, colpi tanto dirittamente
nel mezzo del mio desiderio, ohe solo con la
speranza di oonosoere dò che bramavo inoo-
minoiò a farsi meno intenso il desiderio. —
p«r la ernaa: osserva il Ces.: «Se altri
aguzzando gli occhi accerta il piccolo fóro
della cruna, infilandovi il refe, egli è aver
cólto in un segno ad imberciar difficile, ed
ò però molto caro, cosi qui avvenne a Dante;
che r aver Virgilio imberciato nel diritto se-
gno del suo desiderio, gli tu. carissimo ». —
40. Quel eomiaelò eoe Scart : < Virgilio
ha chiesto a Stazio quale si fosse la cagione
del tremuoto e del canto universale udito
poco fa. Stazio incomincia la risposta col dire
ai due viandanti che quanto essi udirono
non è né straordinario nò fuori o contrario
al sacro regolamento del monte (v. 40-42).
Continua poi col dire che la montagna del
purgatorio dalla porta in su ò libera da tutte
quelle alterazioni a che va soggetta la terra
abitata dagli uomini, e che pertanto la ca-
gione delle novità che vi accadono non può
essere da altro che di qusl che il del da Ȏ
in té riceve (v. 43-45). Questa terzina contiene
440
DIVINA COMMEDIA
ordine senta la religione
42 della montagna, o che sia fuor d'usanza.
Libero è qui da ogni alterazione;
di quel che il ciel da sé in sé riceve
45 esserci puote, e non d'altro, cagione:
per che non pioggia, non grando, non neve,
non rugiada, non brina più su cade
48 che la scaletta dei tre gradi breve.
Nuvole spesse non paion né rade,
né corruscar né figlia di Taumante,
51 che di là cangia sovente contrade.
Secco vapor non surge più avante
ch'ai sommo dei tre gradi ch'io parlai,
64 ov'ha il vicario di Pietro le piante.
Trema forse più giù poco od assai;
ma, per vento che in terra si nasconda,
già in nuee la risposta alla dimanda di Viigi-
lio. Ma Stazio sviluppa 1 dae concetti espressi
nella medesima più ampiamente. Prima egli
spiega perché il monte è libero da ogni alte-
ratone (▼. 46-57) ; poi egli spiega quale sia
la cagione delle novità che vi accadono (▼.
68-60). Dopo aver dichiarato quando tale ca-
gione in generale occorra (▼. 61-66), • per-
ché essa sia occorsa in questo momento (v.
67-69), conohinde che appnnto per questo i
due iKandanti udirono il terremoto e il can-
to ». — Cosa BOB è ecc. Non vi è cosa al-
cuna sentita dal sacro monte, la quale non
sia prestabilita o non sia consueta; nulla
dunque di straordinario succede nel purga-
torio e nulla che sia taorì delle leggi cho Io
goyemano. — 41. la rellgioiie della bob-
tagna: la santità del monte, il santo monte;
espressione calc4kta sulle virgiliane, reUigio
loei {En. vm 849) ed aetheris alti redigio (En.
xn 181). — 48. libero ecc. Questo luogo ò
libero da ogni perturbazione degli elementi:
cfir. w. 46-67. ~ 44. di «uel ecc. di tutto
quello che succede in questo luogo pud os-
sero cagione dò che il cielo riceve in sé da
sé stesso (un* anima, che creata in cielo, ctr,
Pwrg. XV] 85, ritomi nel cielo), e non dò
che il cielo riceve in sé dal di fuori (1 va-
pori, che soigendo dalla terra producono le
alterazioni atmosferiche) : cfr. w. 68-69. —
46. per che ecc. per la qual cosa, cioè che
il luogo libero ^ da ogni attvroMone^ non pos-
sono essere nei gironi del purgatorio piog-
gia, grandine, neve, rugiada, brina, nuvole,
lampi, arcobaleno. Tento, nessuna insomma
delle perturbazioni d'elementi por cui il monte
possa tremare. — grando: latinismo, per gran-
dine. — 48. la scaletta ecc. la scala breve
di tre gradini, por cui si accedo alla porta
del purgatorio (cfr. Pmg, ix 76 e segg.), al
di sopra della quale non sono pi4 perturba-
zioni atmosferiche. — 49. KiTole ecc. Non
appariscono nubi, dense o rare die siano ; né
alcun lampeggiamento né 1* arcobaleno, il
quale di là nel mondo è sempre in opposi-
zione al sole e perciò nel mattino si vede a
oooidento, nel mezzodi a settentrione e nella
sera a oriente. — 60. flglU di Tannuuite :
Iride, figlia di Tanmante e di Slettia, era la
personifloazione dell'arcobaleno, oonddente
dagli antichi come una celeste messaggora
che saliva e discendeva per l'arcobaleno. CSt,
Cicerone, Ds noL dtar, m 20 : < Thaumanto
didtur Iris esse nata ». — 52. Stoee Tnpor
eco. Secondo la fisica aristotelica (cfr. Mooce,
I 181), le alterazioni del mondo sono pro-
dotte dal vapore che sorge dalla terra; il
quale, se è umido, genera foggia, neve, gran-
dine, rugiada, brina, se ò secco e sottile ge-
nera vento, se ò secco e forte genera terre-
moto : il vaporo non pud salire oltre la tonta
delle regioni che sono tra il cmitro della
terra e il cielo della luna, dee oltre la re-
gione fredda. Dante dicendo ohe il secco va-
pore non sale oltre la porta del purgatorio,
viene a collocar questa al confine superiore
della regione fredda (cfr. Pmg, xxvin 97-
102). — 68. al somme ecc. alla soglia della
porta, che sta sopra ai tre gradini soprac-
connati ; sulla quale soglia tiene « ambe le
piante > l'angelo portiere {FSirg. ix 106), vi-
cario di san Pietro {Pwrg. ne 127). — 66.
Trema ecc. n monte trema forse al di sotto
dd tre gradini, ove il luogo non è libero
dalle perturbazioni atmosferiche; ma quas-
sù, non so in qual modo, non f^ mal alcun
terremoto cagionato, come qud della terra,
da vento che si nasconda nella terra 8t9fr>
PURGATORIO - CANTO XXI
441
57 non so come, qua sa non tremò mai.
Tremaci quando alcuna anima monda
si sente, si clie surga, o die si mova
60 per salir su, e tal grido seconda.
Della mondizia sol voler & prova,
che, tutta libera a mutar convento,
63 Palma sorprende, e di voler le giova.
Prima vuol ben; ma non lascia il talento
che divina giustizia centra voglia,
66 come fu al peccar, pone al tormento.
Ed io, che son giaciuto a questa doglia
cinquecento anni e più, pur mo sentii
63 libera volontà di miglior soglia:
però sentisti il tremoto, e li pii
spiriti per lo monte render lode
72 a quel Signor, che tosto su gì' invìi >.
Cosi ne disse; e però ch'ei si gode
sa. — 67. BOB IO cmm: Torraca: «B wm
m otfmB 8i coDgiange ool non trtmò ». — 68.
Treaiacl eco. In questa regione niperiore
■II» porta del pnigatorio i moTimenti ac-
cadono qoando qoalohe anima si sente pn-
zìfioata. — 69. itf ebe sorga ecc. : tre di-
vene spiegazioni si d&nno di questo luogo:
qnélU di Benv., accettata dal VelL, Dan.,
Biag., Bianchi ecc., per coi wirga d detto
delle anime de^ avari cho sono stesi al
saolo, e H mova, delle anime degU altri pec-
catori ; quella del Bati e del Land., per coi
gurga è detto dell' anima che si leva dalla
penitenza per salire al cielo, e ti tnoea del-
l' anima che da nn cerchio, ore ha espiato
nn peccato, sale a nn altro per purificarsi
dn un' altra colpa ; e quella del Lomh., se-
condo oni il poeta dioe wirga a proposito
di ogni anima che si trora ridna alla scala
die dal sno girone mena al di sopra, e si
ffioc», rispetto a quelle ohe essendo lontane
da eesa scala devono fue un certo cammino
prima di salire. La prima interpretazione è
la pili semplice e perft sembra anche la più
Tera. — GO. e tal gride eoo. e il canto
del OkfHa in exeelsÌB accompagna il terre-
moto, segno della liberadone dell' anima. ->
61. Della noidisla eoo. La sola volontà che
Tiene all'anima di salire basta a provare
di' eesa anima sia compiutamente puiiflcata ;
la quale volontà occupa di sé tutta V anima
libera di mutar dimora e all' anima giova que-
sta volontà. — 62. eonvente s compagnia di
anime, perché da quello dei penitenti passa
al consorzio dei beati. — 64. Prlaa vuol
eoe. Anche prima d' essere purificata Tanima
vuol salire, ma il tahtUOy dod la volontà con-
4iz}onata di es;^are la colpa, non lo permette ;
la quale volontà condizionata ò posta dalla
divina griustlzia contro la voglia o volontà
assoluta, cosi al tormento, come già fu al-
l'atto del peccato. Dante insomma vuol dire
che la divina giustizia come allorquando la
volontà assoluta vuole il male gli oppone la
volontà condizionata, cosi quando quella vuole
uscire prima della purificazione dal ponato-
rìo gli oppone la stessa volontà. La dutin-
zione scolastica della volontà assoluta e re-
lativa o condizionata fu già applicata alle
anime del purgatorio da Tommaso d'Aquino
(Stitmna, p. m, tuppl.^ append. qu. n, art. 2),
il quale ragionando su questa distinzione con-
cluse che la volontà di sopportato la pena ò
condizionata al fine che per essa si vuol con-
seguire e che in questo senso, doò che e sino
poena ad bonum pervenire non possumus »,
le pene del purgatorio sono volontarie. —
67. a f ueita doglia t alla pena degli avari
del quinto cerchio. ~ 68. elaf nMente anni
ecc. Stazio passò pifi di dodid secoli al pur-
gatorio : i primi tre o nell' antipurgatorio o
nei primi cerdit; poi quattro secoli nel cer-
chio degli aoddiod (ofr. I\»rg. zxii 92); e
gli ultimi cinque nel cerchio degli avari. —
pnr mo : cfr. Inf, xxvn 20. — 70. Pere ecc.
Per questo tu hai sentito il terremoto scuo-
tere il monte e tutte le anime del purgatorio
lodare con l'inno Ohriaim «cetMs quel Dio,
che io auguro le awii pieeto al paradiso :
gentilissimo concetto questo, per cui Stazio
prega Dio di sollevare presto idla beatitudine
quelle anime ohe si sono accordate nel rin-
graziare il Signore per la liberaziciie di lui.
~ 73. però eh* el si gode eco. perchò del
bere si gode tanto quanto ò grande la sete,
doò del sapere acquistato tanto piti ò sodi-
442
DIVINA COMMEDU
tanto del ber quant'ò grande la sete,
75 non saprei dir qaanVei rù fece prode.
E il savio duca: « Ornai veggio la rete
che qui vi piglia, e come si scalappia,
78 per che ci trema e di che oongaudete.
Ora chi fosti piacciati ch'io sappia,
e, perché tanti secoli giaciuto
81 qui sei, nelle parole tue mi cappia ».
€ Nel tempo che il buon Tito con l'aiuto
del sommo rege vendicò le fora,
84 ond'usci il sangue per Giuda venduto,
col nome che più dura e più onora
era io di là, rispose quello spirto,
87 famoso assai, ma non con fede ancora.
Tanto fu dolce mio vocale spirto,
che, tolosano, a sé mi trasse Roma,
90 dove mertai le tempie ornar di mirta
Stazio la gente ancor di 1& mi noma:
cantai di Tebe e poi del grande Achille,
ifAtto raomo quanto pi6 tìvo n'ebbe U de-
siderio, non uprei dire quanto mi sodisfa-
oesseio le parole di Stazio, cioè ebbi delle
parole di lai un piacere corrispondente al-
l'intensa brama ch'io area di conoscere la
ragione del terremoto e del canto: cfr. Purg.
XX 145-161. — 76. Ornai Teyglo ecc. Ormsi
ho capito qoal sia la rete che tì trattiene
nel purgatorio (la volontà oondizionata) e
come potete disrilapparyBne (con la parifi-
cazione oompiata), e ho capito per quale ra-
gione tremi il monte e le anime tutte no go-
dano, cantando gloria al Signore. ~ 77. si
scalappia s verbo e rifatto su aocahppiar»
(Parodi, BuU. Ili 139)». — 78. eoagande-
te: godete tutte insieme. ~ 79. Ora ecc.
Ora dimmi chi tu fosti e manifestami por
qoal motivo sei stato tanti secoli alla pena
dogli avari. — 81. selle parole tae ni eap-
pia : Bati : < ne la risposta tua mi sia ma^
nifesto » : il vb. capere significa aver$ in ai,
eorUenen {Purg. xvm 60, Par. xvii 15, xxvm
68), e anche starò, aver hiogo {Par, m 76);
dai quali signifloati, trattandosi di pensiero
contenuto In una risposta, è taoUe il pas-
saggio a quello rilevato dal Buti in questo
verso. — 82. Mei lempo eco. Publio Papinio
Stazio, nato in Ni^li verso il 60 e morto
in patria intorno al 96 d. C, fu uno dei mag-
giori poeti dell* età argentea della lingua la-
tina, e nel medioevo fu tanto stimato che gli
fa dato luogo accanto a Virgilio, come a uno
dei principi della poesia epica, specialmente
per i due poemi della Tebaide e dell'^cAì^
leide (cfr. v. 92), essendo allora ignorate le
Selve che furono poi scoperte nel secolo zv.
Fiori già famoso in Boma ai tempi dell'im-
peratore Vespasiano (69-79 d. 0.), allorché
Tito, figlio di Vespasiano, distrusse Oerusa-
lomme (cfr. Par, vi 92), vendicando cosf con
l'aiuto divino le piaghe di Cristo, che era
stato venduto da Giuda (Luca xzvi 14-15). —
88. f Jra: f6rì, forma di neutro piar. (cfr. Pa-
rodi, BuU. ni 119). — 84. oad* asci eca cfr.
Puvg. V 74. ~ 85. eoi aoaie eco. col nome di
poeta, che ò il pifi durevole e il pid onorato tra
gli uomini ; cfr. Lucano, Fara, iz 980 : « 0
sacer, et msgnus vatum labor, omnia fato
Eripis, et populis donas mortalibns aevum 1 »
— 87. ma loa eoa feda aaeora: ma non
convertito ancora al cristianesimo : cfr. JKirg.
xzn 69 e segg. — 88. Tanto fi ecc. 0)ei
grande fu la doloezsa del mio canto poetico
che, sebbene fossi nato taoxi di Boma, fui chia-
mato a Boma, ove meritai di essere coronato
di mirto, oome eccellento poeta. — 89. tale-
saae t Dante segue qui un* opinione oorronte
ai temjd suoi, nei qusli, essendo soonoMiate
le Seke donde appare manifesto cho Stazio
fu napoletano, l' autore della Tebaide era cre-
duto tolosano, perché era confuso con Lu-
cio Stazio Ursolo, retore del tempo di Ne-
rone, che tu veramente di Tolosa e oeleber^
rimo fra i maestri della Oallia narbonese. —
91. Stasle eoo. sono ricordato ancora dagli
uomini col mio proprio nome di Stazio: in-
fatti nel medioevo i poemi di lui frirono te-
nati in grandissimo conto e studiati larga-
mente nello scuole e dai dotti. — 92. eaatal
ecc. Di Stazio- Dante conobbe la Tebaide^
PUBaATORIO — CANTO XXI
443
03 ma caddi in via con la seconda soma.
Al mio ardor f&r seme le &yille,
ohe mi scaldar, della divina fiamma,
06 onde sono allumati più di mille;
dell' Eneida dico, la qual mamma
fammi, e fammi natrice poetando:
OD senz'essa non fermai peso di dramma.
E, per esser vivato di 1& qnando
visse Virgilio, assentirei un sole
102 più che non deggio al mio uscir di bando ».
Volser Virgilio a me queste parole
con viso che, tacendo, dicea: < Taci »,
105 ma non può tutto la virtù che vuole;
poema eroico di dodici libri, ohe tratta della
guerra dei Sette contro Tebe e mastimamente
della lotta fra Eteode e Polinioe, e rile^O-
IriiUt poema rimasto incompiuto a mezzo U
•eoondo libro, ma di ampio concepimento,
come quello ohe doTeva lÀbraodare la nar-
zaziofiie di tutta la leggenda d'Achille: gli
rimasero Ignote le Stflw, raccolta di trenta-
due piccoli poemi d'occasione, distribuiti in
dnqoe libri e giudicati il mig^or parto del-
l'ingegno di Stazio. — 94. Al alo ardor
eoe. Al mio ardore poetico ftirono principio
le eodtattici faTille di quella divina fiamma,
dalla quale furono accesi tanti altri poeti :
la divina fiamma è il poema maggiore di Vir-
gilio ; eome si ha dalla T$b, xn 816 ore Sta-
no pariando al suo proprio poema, dice:
e Vive, precor, neo tu dirinam Aeneida
tempta, Sed longe sequere, et yestigia sem-
per adora > (cfr. Moore, I 243), — 96. onde
ecc. cfr. fi minto che Dante rivolge a Vir-
gilio in Jnf. X 82. — 97. la qaal ecc. la quale
mi fa madre e nutrice al poetare, doò su-
icitd ed educò In me V amore all' arte della
poesia. — 99. seni' essa ecc. senza l' esem-
]ùo deìVEnndè io non seppi tu cosa che
areese il minimo valore : infatti tutto il pre-
gio delle opere di Stazio consiste nella felice
imitazione delle forme virgiliane. È opportuno
riferir qui le giuste considerazioni del D'Ovi-
dio, pp. 176-177 : e Quando Stazio proclama
che r Emide gli to. mamma § mUriee poetandOf
che ssftx'Msa non fermò peto di dramma^ e,
con uno slancio poco ortodosso in anima bea-
ta, protesta che per aver conosciuto Virgilio
in terra darebbe un anno di Paradiso, e sa-
puto che Virgilio è li si precipita ad abbrac-
ciargli i piedi dimenticandosi che entrambi
sono ombre ; il fondo realistioo della cosa sta
in tutto qued che a Dante risultava dalla let-
tura delle opere di Stazio, ma il calore fan-
tastico e l'impeto del cuore muovono da dò,
che in Stazio erompe tutta la gentile pas-
sione di Dante. X^uesta aveva avuto un primo
sfogo innanzi alla selva selvaggia, ma quale
era stato possibile tra quelle strette, in un'a-
gnizione improvvisa, con l'animo angosciato
da terrori e perplessità. Altri infiniti sfoghi
ora venuto facendo via via, e nel pi6 sva-
riati modi, ma più o meno contenuti dalle
necesdtà del cammino, dalla familiarità della
continua convivenza, dalle preoccuparioni pe-
dagogiche di Virgilio. Una manifestazione in-
diretta v' era pure stata mediante Sordello,
ma il trovatore aveva con Virgilio rapporti
meno intrinsed. Un*ultima esplosione avrebbe
potuto aver luogo nel Paradiso terrestre, dove
però sarebbe riusdta per più rispetti inop-
portuna e il pianto del dlstaooo l'avrebbe
strozzata, sicché vi fu sostituita la tadta spa-
rizione del maestro e l'accorato rimpianto
dell' alunno. La tenerezza per ViigiUo è uno
dei motivi fondamentali della polifonia dan-
tesca, e nell'episodio di Stazio quel motivo
ha tutto il suo sublime svolgimento». ~
100. E per esser ecc. La mia ammirarione per
ViigHio è tanta che per averlo conosduto
mi contenterei di stare un altro anno nel pur-
gatorio. — 101. au sole: un anno solare
(cfr. Inf. VI 68). Lana e An. fior, spiegaro-
no : e un sole cioè uno ddo solare eh' ò 28
anni», forse per la ragione detta dal Buti
che < uno anno... benchó grande spazio sia
al desiderio de la beatitudine, pur pare pÌo-
cula cosa a noi mondani, misurandolo co' lo
etemo, e ood [Stazio] mostrerebbe poca af-
fezione». Invece alcuni moderni sdoccheg*
glarono che Dante volesse dire un giamo I
— 106. Telser ecc. Queste parole di Stazio
fecero volgere verso di me Virgilio con un
atto del viso che, senz' altro pariare, mi fece
capire che io doveva tacere. Virgilio, per
modestia, non volle essere riconosduto da
Stazio nel momento che questi pariava con
tanta ammirazione di lui ; temendo che Dante
saltasse su a dire a Stazio eh' ei parlava con
l'autore delVEneide^ gii fece oenno di ta-
cere; -* 105. ma aoi può ecc. La volontà
444
DIVINA COMÌfEDIA
che riso e pianto son tanto seguaci
alla passion, da che ciascun si spicca,
108 ohe men seguon voler nei più veraci.
Io pur sorrisi, come l'aom ch'ammicca;
per che F ombra si tacque, e lignardommi
111 negli occhi, ove il sembiante più si ficca.
£ < Se tanto lavoro in bene assommi,
disse, perché la faccia tua testeeo
114 xm lampeggiar di riso dimostrommi? >
Or son io d'una parte e d'altra preso;
l'una mi £a tacer, l'altra scongiura
117 ch'io dica, ond'io sospiro, e sono inteso
dal mio maestro ; e « Non aver paura,
mi disse, di parlar; ma parla e digli
120 quel eh' ei domanda con cotanta cura >.
Ond' io : € Forse che tu ti maravigli,
antico spirto, del rider ch'io fei;
123 ma più d'ammirazion vo' che ti pigli
Questi, che guida in alto gli occhi miei,
ò quel Virgilio, dal qual tu togliesti
126 forza a cantar degli uomini e de' dèi.
Se cagione altra al mio rider credesti,
lasciala per non vera esser, e credi
nnutnft ò limitata ; ohe il riso e il pianto se-
guitano oosf prontamonte quella pasnone,
gioia o dolore, onde dasonno procode, che
quanto più V nomo ò linoero tanto meno essi
obbediscono alla volontà. Cosi Dante giusti-
fica 86 stesso del sorriso sfuggitogli, pur dopo
il cenno di Virgilio eh* si dovesse tacere. —
109. le far ecc. Sebbene il mio maestro
m' avesse &tto capire eh' io tacessi, non seppi
trattenermi dal sorridere, quasi accennando
a Staxlo col mio sorrìso che il poeta da lui
ammirato ^ era Innanxi. — ammicca: il
vb. ammieoan significa quell'atto per cui
s'accenna con l'occhio qualche cosa, senaa
parlare: Dante, paragonando il suo sorrìso
all'atto dell' uoM eh'ammiecaj vuol dire che
fti un sorriso col quale accennò a Stazio dò
ch'egli ignorava. — 111. ove U sembUate
ecc. ove più appare manifesta la condizione,
l'aspetto dell'animo. Dante, Cam. m 8:
e nella faoda massimamente sa due luoghi
adopera l'anima, però che in quelli due luo-
ghi quasi tutte e tre le nature dell' anima
hanno giurisdixione, doè negli occhi e nella
bocca». — 112. Se tante eco. Cosi possa
compiersi felicemente il tuo difficile vìsggio,
perché testé il tuo volto mi è apparso per
un momento sorridente? Stazio, non com-
prendendo la ragione del sorriso di Dante,
dovette provare grande curiosità di cono-
scerla; e poiché non rìusd a intenderìa fis-
sandolo bene negli occhi, gliela domandò
apertamente. » 113. lestese: testé; forma
che si frova, pur in rima, in Par, xxx 7, e
in altri antichi scrittori ( cl^. Psrodi, BulL
m 183). — 114. nn lampeggiar eoo. un sor-
riso durato brevemente, come il corruscare
del lampo. » 115. ùr sem le eco. Dante si
trovò fka due diverse volontà, quella di Vir-
gilio che ^ aveva accennato di tacere e
quella di Stazio che con tanto calws lo aveva
pregato a parlare : mentre sospirava per l'in-
certezza, tn. inteso da Virgilio, il quale lo
incoraggiò e gli permise di parlare. — 120.
fael eh'ei ecc. la rsgione del tuo sorriso,
ch'egli ti domanda con tanto interesse. —
121. Ond' le eoe Appena avutone il permesso
da Virgilio, Dante s' slEretta a dichiarare a
Stazio perché avesse sorriso e gli dice chi
sia il suo compsgno. » 124. la mìf : su
verso la dma del monte sacro. — 125. dal
qnal eoe dal quale traesti efficace iqiirazione
a cantare gli eroi e gli dòi, che sono i per-
sonaggi dd poemi di Stazio, come di quello
di VirgiUo. — 127. Se eagieM eoo. Se tu
hai creduto che il mio sorriso abbia avuto
altra cagione, da questa diifsrente, lasciala
come non vera, e credi òhe sola cagione del
mio sorriso sono state le parole di ammira-
zione che dicesti di Virgilio a lui stesso, da
PURGATORIO - CANTO XXI 445
129 quelle parole che di lui dicesti >.
Già si chinava ad abbracciar li piedi
al mio dottor; ma egli disse: « Frate,
182 non far, che tu se* ombra, ed ombra vedi >.
Ed ei surgendo : « Or puoi la quantitate
comprender dell'amor cVa te mi scalda,
quando dismento nostra vanitate^
186 trattando l'ombre come cosa salda >•
te non oonosdato. — 190. Già •! ehlBAT* la nota al Pwrg, ii 79. — 188. Or paol eco.
eoo. Stazio in segno di xiyexenxa ri mnove Or» puoi eomprendere l'intenaità dell'affetto
per abbracdaie i piedi a Viigilio, oome già che mi acoende toibo di te, vedendo che io
aTera fatto SordeUo appona rìconoeciato il dimentioo la nostra vanità, trattando le om«
sno grande concittadino (cfir. Pwrg, vn 16). bre oome ae fossero reri oorpL ~ 1S5. 41-
— ISl. Frate: cfr. Pwrg, iv 127. — 183. tm mealei dimentioo ; ò il contrario di am'
sei eco. siamo entrambi ombre incorporee, e mmUan (Purg, znr 66). — vanltate x cfr.
1 noetzi abbracciamenti sarebbero vani : cfr. Inf, vi 95.
CANTO xxn
Mentre 1 tre poeti 8alfi^>no insieme verso il sesto cerchio, Stazio ragiona
del suo peccato e della sua conversione alla fede cristiana, e Virgilio parla
dei suoi compagni del limbo : pervenuti al sesto cerchio, trovano nel mezzo
della via un albero carico di fhitti, bagnato da nna limpida sorgente, dal
quale esce una voce che ricorda esempi di temperanza [12 aprile, ore an-
timeridiane sino alle ondici].
Già era l'angel retro a noi rlmaso,
l'angel clie n'avea volti al sesto giro
3 avendomi dal viso un colpo raso,
e quei c'banno a giustizia lor disiro
detto n'avea beati, e le sue voci,
6 con siUunt, senz'altro, ciò fornirò;
ed io, più lieve che per l'altre foci,
xxn 1. dà tra eco. Dopo che Stazio impressi sulla mia lh>nte con la pnnta del-
ebbe Tìoonoecinto Virgilio, i tre poeti si av- p angelica spada. — 4. e qaei ecc. e 1* an-
viarono verso la scala del sesto cerchio, e a gelo aveva detto a noi essere beati quelli
piò di essa trovarono l'angelo ohe li indirizzò che desiderano la giustizia, cioè ci aveva
SQ per la scala, disse loro una delle beatitu- cantata la quarta beatitadine evangelica, Mat-
din! evangeliche e cancellò dalla fronte di teo v 6 : e Beati coloix) che sono a&mati ed
Dante nn altro àeì segni di peccato. 8u tutto assetati di giustizia, per dò che saranno sa-
questo il poeta trapassa, accennandolo assai ziati >. — 6. e le sne voci ecc. e le sue pa-
brevemente in principio di questo canto, men- role compirono il canto con il aiUuntj sen-
tre gli altri pamaggi da nn cerchio all' altro z* altro sggiungere. Dante si riferièce mani-
tono da lui narrati con maggiore larghezza: festamonte al testo biblico della vulgata, che
e forte egli volle cosi evitare la ripetizione di nel luogo dt ha : Beati qtd eauriurU et sUktnt
narrazioni molto conformi per la somiglianza iusiUiam ; e vuol significare che Tangelo non
di tati passaggi. — 3. l'angel ecc. l' angelo, disse intera questa beatitudine, ma solamen-
che accennando la scala o invitando con amo- te : Beali qui MiiimU iiutitiam ; infatti il Beati
revdi parole (cfr. Airp. xn 91, xv 86, zvn qui esxariunt iustitiam è messo dal poeta in
47, axx 47 eco.) ci aveva indirizzati al sesto bocca a un altro angelo, sebbene parafrasato
girone, togliendomi con un colpo delle suo e modificato (cfr. Purg. xxrv 161-164). — 7.
ali un altro dei setto segni di peccato già pili Utre : ad ogni nuovo cerchio Dante si
446
DIVINA COMMEDIA
m'andava si che senza alcun labore
9 seguiva in su gli spiriti veloci,
quando Virgilio cominciò : € Amore,
acceso di virtù, sempre altro accese,
12 pur che la fiamma sua paresse fuore.
Onde, dall'ora che tra noi discese
nel limbo dello inferno Giovenale,
15 che la tua affezion mi fé' palese,
mia benvoglienza inverso te fu quale
più strinse mai di non vista persona,
18 si ch'or mi parran corte queste scale.
Ma dimmi, e come amico mi perdona
se troppa sicurtà m'allarga il freno,
21 e come amico omai meco ragiona:
come potè trovar dentro al tuo seno
loco avarizia, tra cotanto senno
24 di quanto, per tua cura, fosti pieno ? »
Queste parole Stazio mover fenno
un poco a riso pria; poscia rispose:
27 « Ogni tuo dir d'amor m' è caro cenno.
Veramente più volte appaion cose.
sente pift leggiero, perobó sgniTAto del pec-
cato che li etpfa nel precedente (ofir. Pwrg,
IV 88 e segg., xn 116). — foelt cfr. Pwrg.
xu 112. — 8. MBBA aleiim eco. senza alcuno
afono poterà nella salita tener dietro a Vir-
gilio e a Stazio, ombre leggiere e rapide. —
lalK»re i dal lat. ioòor, forma frequente negli
antichi poeti (cf^. Nannnooi, Ncmi 106) : ò
anche in Par, xxm 6. — 10. Virgilio eo-
aineiòt alle grandi dimostrazioni di riyeren-
za fattegli da Stazio, Virgilio doTt va pnr rif
spondere oortesemente ; e lo fsoe oon le p^
role ohe seguono, aprendosi anche la via a
chiedergli come mai egli si fosse lasciato do-
minare dall'avarizia. — ÀMore eoo. Ogni
amore nato dalla virtà, appena manifestatosi,
ne suBoita un altro : ò un' esplicazione del
ooncetto espresso in htf. v 106. — 18. Onde,
dall'era eco. Cosi dal momento che venne
nel limbo Giovenale, il quale mi manifesta
l'amoroso onlto ohe tu avevi per me, io oo-
minciai a sentire tanto amore per te, ohe mi
parrà troppo breve il tempo ohe staremo in-
ùome. — 14. Giovenale: Decimo Ginnio Gio-
venale, il maggior satirico latino, nacque in
Aquino verso l'anno 47 e mori verso il 180
d. C; ta. dunque contemporaneo di Stazio,
e siccome si chiari, nella Sai. vn 82 e segg.,
ammiratore della Tebaidtt dovette sembrare
assai conveniente a Dante il lame un inter-
mediario £ra i due epici, ohe dopo morte fu-
rono separati per la diversa fede. — 16. mia
benveglleua eoo. il mio affatto per te fb
cosi grande oha nessuno al mondo amò mai
tanto una persona non vista, ma conosciuta
solo per Cuna. — 18. al yama ecc. corte
al desiderio grande di stare nolto tempo in
compagnia di Stazio. — 19. e «Mie avie*
eoe. 0 come mio boo» amico ohe tu sei per-
donami se troppa Cranahwia m'induce a chie-
derti ciò ch'io sto per dire. — 21. e come
amleo •mal eoe e tu rispondimi oon la con-
fidenza d'un amioo, non oon la riverenza
d'un ammiratore. — 22. eeme peU eoo. oo-
me mai nel tuo animo, ohe per lungo studio
ta tanto assennato, potè trovar luogo l'ava-
rìzia? Virgilio e Dttnte non sapevano ancora
ohe in questo cerchio fossero coloro che in
generale malo usarono le ricchezze; poiché
da Adriano V avevano inteso che qui si pur-
gava il peccato dell'avarizia (fWy. zix 115).
— 26. Qveett parole eoe. U riso di Stazio
ò quello dell' uomo savio, ohe si oompiaoe di
poter trarre gli altri dall' errore, • però ò
riso temperato e modesto ; ofir. Cbne. m 8 :
e si conviene all' uomo dimostrare la sua ani-
ma noli' allegrezza moderata, moderatamente
ridere oon un' onesta severità e oon poco mo-
vimento delle sue membra >. — 27. Ogal tao
eoe Ogni tuo discorso mi ò gradita dimostra-
zione dell' affatto che hai per me. — 28. Ve-
ramente eoo. Spesse volte i^parisoono coee,
le quali danno iislso motivo di dubitare, per-
ché sono occulte le loro veraci ragioni. —
PURGATORIO - CANTO XXU
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39
42
che danno a dubitar &l8a matera,
per le vere ragion ohe sono ascose.
La tua domanda tuo creder m'avvera
esser ch'io fossi avaro in l'altra vita,
forse per quella cerchia doy'io era:
or sappi ch'avarizia fu partita
troppo da me, e questa dismisura
migliaia di lunari hanno punita.
E se non fosse ch'io drizzai mia cura,
quand'io intesi là dove tu esclame,
crucciato quasi all'umana natura:
' Per che non reggi tu, o sacra fame
dell'oro, l'appetito de' mortali? '
voltando sentirei le giostre grame.
Allor m'accorsi che troppo aprir l'ali
potean le mani a spendere, e pentémi
29. Mfttcrft ! cfr. Purg, xrm 87. — 81. La ina
é^aaada eoe. La domandai che tu m'hai ri-
Tolta, mi dimostra essere toa opinione^ fone
per arermi troTato nel quinto cerchio, eh' io
neU' altra rita fòssi ayaro. — a'a?Tera: il
Tb. ovcvrorf, ohe in l^trg, zTxn 86, significa
Untr per mro, qui pinttosto vale dimottrar
«ero, promn, ~ 8i. or sappi eoe. ma devi
sapere ohe l'aTarizla fa da me lontanissima
• che anzi sono stato tanto tempo in peni-
tenza per V eccesso contrario, per la prodi-
gaUtà. — 86. Migliaia él lanari : parecohie
migliaia di mesi, più di seimila mesi o di
cinquecento anni (cfr. Pmrg. xxi 68). — 87.
B ■• BOB fossa eoo. E se non fosse stato
che Tolsi al bene lo stadio posto sino allora
nel male, quando attesi a qoel laogo del tao
poema ore ta, qaasi sdegnato contro la cor-
rotta amanita, esclami (En, m 66). cQoid
non mortalia pectora oogis, Aori sacra fa-
mes ? », io sarei andato tra i dannati. ~ 40.
Per ekt nea reggi eco. Forte questione tro-
rano a qoesto passo 1 commentatori e dalle
loro menti escono le sentenze pid disparate.
11 Lana erede ohe Dante abbia Telato dire:
€ O omana nataxa, perché non reggi tde, per-
ohé non ossenri ta la sacra fiune dell'oro,
cioè lo Tiitadioso appetito delle ricchezze? > ;
ma dd sarebbe contro la letteia e contro la
morale dantesca. Benr. opina che le pardo
di Virgilio, dette a proposito dell' aTarizia di
Polinnestore, siano stata tratte da Dante a
OB più largo signifioato per rimproverare l'in-
Vffiffpt»T"*» delle rioohezze cosi nel ritenere
ooBe nello spendere. Il Bati spiega : e Ftr-
ekS non nggi^ o santo desiderio (ùnohó non
passi ne li estremi, ohe altramente non ò
santo, anzi ò maladetto e vizioso) dell'oro
la Tolontà dalli omini ? >; e, osservando che
Dante ha presa e la ditta autorità In altro
modo », cioò le parole di Virgilio in altro
senso, perché e li aatori osano l'altrai aato-
ritadi arrecarle a loro sentenzia, qaando com-
modamente vi si possono arrecare », aggiange
che Dante ha dato al vb. eogia il signifioato
di ootini^i o carreggi e alla dizione qvid
quello di jpmrehL La chiosa del fiuti, che in
sostanza sTilnppa più largamente il pensiero
di BenT., non trord grande fsTore presso
gl'interpreti posteriori; dei qaali alenili ac-
cettarono l'idea di B. Bolgarini (disposto
a* rogitmammUi dd tig, Immmo Zoppio, Sie-
na, 1686, p. 80) che Dante per la soom famet
abbia inteso « ona Tirtù di cai fosse oifisio
il regolare l' appetito delle ricchezze » ; altri,
quella del Lomb. che legge : A eh» non reggi
ecc. e spiega : « ▲ che non trasporti l'appe-
tito de' mortali, esecranda fiune doU' oro 1 » ;
altri infine, leggendo : e Br oAs non reggi
eoo. spiegano : e Per che distorte Tie, per
che malTagità non condaci e gold! ta, o ese-
cranda fiune dell'oro, l'appetito degli nomi-
ni?» Qaesf ultima interpretazione, confer-
mata dalla dottrina aristotelioa che la prodi-
galità e r aTarizia traggono similmente gli
nomini a male opere (ofr. EHea iv 1), ò la
più semplice e la più rispondente al oonoetto
dantesco; ma risponde anche a nna firaso
contorta e poco perspicua : cfr. Moore, 1 81 e
186. — 42. Toltaade eoe. sarei in inferno,
nei quarto cerchio, ove gli avari e i prodighi
voltano pesi e per forza di poppa», urtan-
dosi gli uni con gli altri e scagliandosi amari
rimproveri (cfr. Inf, vu 25-85). — le gio-
stre ecc. quelle dei punti del cerchio ove si
incontrano gli avari e i prodi^ (cfr. Jhf,
vu 85). — 48. lUor m'accorsi ecc. Allora
m'avvidi ohe l'uomo poteva peccare d'in-
448
DIVINA COMMEDIA
45 cosi di quel come degli altri mali
Quanti risurgeran coi crini scemi,
per ignoranza, che di questa pecca
48 toglie il penter vivendo e negli estrem;!
E si^pi che la colpa, che rimbecca
per dritta opposizione alcun peccato,
51 con esso iTisìeme qui suo verde secca.
Però, s'io son tra quella gente stato
che piange l'avarìzia, per purgarmi,
54 per lo contrario suo m'ò incontrato ».
« Or quando tu cantasti le crude armi
della doppia tristizia di Giocasta,
57 disse il cantor de' bucolici carmi,
per quello che Oliò teoo li tasta,
non par che ti £B,cesse ancor fedele
60 la £&, senza la qual ben far non basta.
Se cosi è, qual sole o quai candele
ti stenebraron si che tu drizzasti
63 poscia di retro al pescator le vele? »
Ed egli a lui: «Tu prima m'inviasti
tempennn nello gpendeie e tai pentito della
mia prodigalità • dogli altri miei peooatL —
•46, i^MMtì eoo. Qvanto grande ò il nomerò
dai prodighi, 1 quali nel giorno del giudizio
finale xiaorgeranno ooi orini moni (ofr. Inf.
m 66), perehé ignorando ohe la prodigalità
è peooato non ae ne pentono dorante la rita
o negli nltimi momenti di esaa. — 49. E tappi
eoo. Sappi ohe qni nel pugatorio ò legge ohe
intieme oon oiaaoano dei aetto peooati mortali
aia eapiata anche qnaldie colpa direttamente
oppoate ad eaao : eoa! nel qnlnto ai porgano
le anime degli avari insieme oon qnelle dei
prodighi 81 ofr. an dò U d*Ovldio, pp. 2A9-
261. ~ 61. ano rerde aeeea : conaomi il ano
rigoglio, la ana intenaità, sia eloò capiate
con la penitenza. — 63. Però eco. Per qne*
Bte legge, ae io aono steto insieme oon gli
avari nel qninto cerchio, mi è accadnto per
eaaere ateto prodigo. — 66. Or qaande eoe
Allorché tn oantaati nella Tìbaide la lotte
fratricida di Eteoole e Polinice non pare che
foeai anoora oriatiano, perché in qnel poema
to ti dimoatri del tatto pagano. — 66. dop-
pia eoo. i dne fratelli Eteode e Polinice,
nati da Olocaate moglie di Laio e dal figlio
di lei Edipo, al qnale ella ai oonginnse igno-
rando d'easergli madre. — 67. il eantor eco.
Virgilio, antore della BueoUea^ opportnna-
mente designato qni oon tale perìfrasi, per-
ché Stazio, xiapondondo alla ana dooAnda,
al richiamerà or ora ad una delle edoghe
virgiliane. — 66. per qaello ecc. per quello
ohe moatra il tao poema della Ttbaìde^ al
quale chiamanti aintelrioe o inspiratrioe Clio,
la mnaa che predede alla atoria, la diapen-
aatrìoe ddla gloria : inftetti in pzìndpio deUa
Teb,, X 41 ai legge : « Qnem prìoa heronm,
Clio, dabia? » e x 680 : « Memor indpe Clio,
Saeoola te qnoniam penea et digeate vota-
ataa»: ofr. Moore, I 24L -» CUò: forma
oadtona, aeccmdo le regole della grammatica
medioevale; ofr. Parodi, Bull, m 106. — 68.
teco li teata: tratte oon te in qad poema-,
perohé l'opera d'arto ò qnad lavoro collettivo
dell' autore e ddla Mnaa : il vb. taaian pare
aver qui il significato di toocan^ irattan. —
60. la té, aenia eoo. la fede oriatiana, senza
la qnale non beate operare virtoosamente :
ofr. Inf. IV 88-42. — 61. Se ceaf è ecc. Se
quando componeati la Tébaid» eri anoora pa-
gano, qual 9oUt qnale Ince della divina gra-
zia, o quai eandeU, o qnaX ammaestramenti
nmani, ti ^ni|"w^pyi^no la mente ai che tn ti
vdgeed al eriatianeeimo ? — 63. al pesea-
tor: a aan Pietro, fatto da Cristo uno degli
apoatoli e peacatori di nomini (ofr. ÌCatteo iv
12, BCaroo i 17, Lnca v 10). — 64. Ed egU
a Imi ecc. Stazio rìconoeoe Virgilio, non por
come il ano maeatzo nell'arto della poesia,
ma anche come quegli che lo volse alla virt&
(ofr. w. 87 e aegg.) e alla religione oriatia-
na : e Danto imaginando questo aeguiva l'o-
pinione assai divulgate nel medioevo che il
cantore di Enea fosse steto uno dd precor-
aori dd Bedentore. — prima m'invlaatl ecc.
prima tu m' avviasti all' orto della poesia, a
bere nella fonte pogasea oh' esce dallo grotte
PURGATORIO - CANTO XXH
449
verso Parnaso a ber nelle sue grotte,
66 e poi appresso Dìo m'alluminasti
Facesti come quei che va di notte,
che porta il lume retro e sé non giova,
69 ma dopo sé £a le persone dotte,
quando dicesti: ' Secol si rinnova;
toma giustizia e primo tempo umano,
72 e progenie discende dal del nuova '•
Per te poeta fui, per te cristiano;
ma perché veggi me' ciò eh* io disegno,
75 a colorare stenderò la mano.
Già era il mondo tutto quanto pregno
della vera credenza, seminata
78 per li messaggi dell'eterno regno;
e la parola tua sopra toccata
si consonava ai nuovi predicanti,
81 ond'io a visitarli presi usata.
Yennermi poi parendo tanto santi
che, quando Domizian li perseguette,
del monte Panuso; a poi, dopo Dio prima
caua di tatto, mi apristi la manta alla yera
fede. — 67. Faeattl aoc Virgilio inspirò in
altri la feda cristiana, ma non la conobbe
por sé (cfr. Inf, i 125) ; come l'uomo, che va
di notte precedendo altri col lame, non illa>
min* la yia a s6, ma a qaelli che lo segui-
tano. La similitadine può essere stata sag-
g^ta a Dante dall' osserTarione personale
dal fiatto ; ma è già in an antico rimatore,
Paolo Zoppo da Castello {Rwm dei poèti ho-
kgntai del eee, zni, Bologna, 1881, p. 120) :
« SI corno qaal ohe porta la lamera La notte,
quando passa per la via, Alluma assai più
gente de la spera Gho sé medesmo ohe l' ha
in balia » : del resto il germe di essa ò nei
Tersi di Ennio riferiti da Cicerone, De off,
I 16, 61; cfr. Moore, I 296. — 69. dotte:
detto delle persone, cui altri illumina la via,
mol dire istruite, scorte, non ignare della
ria. — 70. f ■andò dieestl eco. Accenna e
traduce liberamente da Virgilio, Bue. rr 4 :
« Ultima Camaei yenit iam carminis aetas ;
Uagnus ab integro saedorom nasdtur orde.
Iam redit et Virgo, redeunt Saturnia regna;
Iam nera progenies ooelo demittitur alto > ;
i quali versi, oom' ò noto, col presagio della
nascita di un iianciullo che avrebbe rinnovato
il mondo (Salonino figlio di Asinio Pollione,
o, secondo altri, il nascituro da Livia Dm-
^lla, moglie di Augusto), fnrono sino dai
primi tempi del cristianesimo interpretati co-
me un annunzio deUa nàscita del Redentore:
' questa interpretazione appare già diifosa nel
IV secolo d. C. e largamente svolta in un'ol-
Diirri
locuzione di Costantino, V accennano Lattan-
zio {Die. ineHt, vn 21) e s. Agostino (De ciò,
(in' X 27) a la combatte s. GHrolamo {EpisL
Lm ad Bxulin.\ e più tardi dòtte origine a
leggende religiose di conversioni alla fede
cristiana prodotte, come quella di Stazio,
dalla lettura dei versi virgiliani: cfr. D. Com«
paretti, Virg, nel medioeoOf dt. pp. 128 e segg.
— 71. prlao tempo ecc. per Virgilio ò l'età
dell' oro, il tempo del regno di Saturno (cfr.
Inf, jjT 96) ; per Dante, ò lo stato dell' in-
nocenza, prima del peccato di Adamo ed Eva.
-^ 78. Per te poeta ecc. : riassume oosf ciò
che ha detto innaniJ, riconoscendo da Virgin
Ilo la propria arte e la propria fede. -» 74.
ma perché ecc. ma afSnohó tu intenda me-
glio ciò che io ho accennato della mia con-
versione (diaeffno), te la racconterò pid com-
piutamente (eokfiire) : il disegno è il principio
del quadro, il colorare g^ dà compimento. —
76. Già era ecc. Già per il mondo era lar-
gamente diifnsa la fede cristiana, sparsavi
dagli apostoli, allorché io intesi come i tuoi
versi fossero in armonia con le dottrine dei
predicatori della nuova religione, ond'io,
grande ammiratore d'ogni tua parola, inco-
minciai a praticare coi cristianL — 78. mas-
saggi: cfr. Purg, V 28. — 79. la parolai
cfr. Inf. II 4S. — 82. Tennerad ecc. Prati-
cando coi cristiani li conobbi essere di cosi
santa vita che, quando Domiziano li perse-
guitò, accompagnai i loro pianti con le mie
lagrime, partecipai vivamente al loro dolore.
— 83. Domizian ecc. T. Flavio Domiziano,
imperatore dall' 81 al 96 d. C , ordinò, se-
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senza mio lagrimar non fùr lor pianti;
e mentre che di là per me si stette,
io gli sovvenni, e lor dritti costumi
fèr dispregiare a me tutte altre sètte:
e, pria ch'io conducessi i greci ai fiumi
di Tebe poetando, ebb'io battesmo,
ma per paura chiuso Cristian fdmi
lungamente mostrando paganesmo;
e questa tepidezza il quarto cerchio
cerchila: mi fé' più ch'ai quarto centesmo.
Tu dunque, che levato hai il coperchio
che m'ascondeva quanto bene io dico,
mentre che del salire avem soperchio
dimmi doVò Terenzio nostro antico;
Cecilie, Plauto e Varrò, se lo sai,
condo gli soiittori cristiani (EoBobio, Hist,
eeoUt. m 18| 3; Tertalliftno, ApoL v), ana
flerissima penecnzione contro i segaaci del
▼angelo ; ma la crìtica moderna ha rìoono-
■dato cho nulla di certo si sa intomo a talo
persecozione. — 85. e ateatre ecc. e finché
Tl88l aiatai sempre, con elemosine e d'altre
guise, i cristiani, e la santità doUa loro vita
mi fece abbandonare e dispretzare qualunque
altra credenza e opinione. — 88. e pria eoe
E prima ancora ch'io compissi il poema della
Tebaid$t nel quale (lib. n) descrìTo in reni
come i greci Tenuti in aiuto di Polinice sotto
la guida di Adrasto giungessero ai due fiumi
di Tebe, l' Ismeno e l' Asopo {ttt. Purg, xvui
91), ricevetti il battesimo. — 90. ma per
paura ecc. ma per timoxo delle persecuzioni
rimasi lungamente cristiano occulto, per molto
tempo non dimostrai apertamente la mia nuo-
va fedo, facendo vista d' esser sempre pagano.
— 91. loagameate : si pud riferire al fui
ehktao orisHanOf che ò ptd logico perché d
richiama l' idea degli anni trsscoisi dalla con-
versione al pentimento per averla tenuta na-
scosta ; oppure al moeirando paganeimot i^ol
qual caso sarebbe poco esatto, perdio Stazio
era esteriormente pagano anche prima della
conversione. — 93. e qaesta tepide na ecc.
e quesf aoddia, durata lungamente noli' ani-
mo mio, mi tenne poi per oltre quattrocento
anni nd quarto cerchio a espiare e 1* amor
del bene, scemo di suo dover » (Purg. xvn
85). — 93. eereMar : girare intomo (cfr.
Purg, Tsv 1); perché iH;>punto gli acddion
corrono sempre in giro attomo al monte sa-
cro iPtfrg- 3cvni 91 e segg.). — 94. Ta d«»-
qie eco. Narrata la sua conversione. Stazio
richiede a Virgilio ove siano alcuni dd prin-
dpali poeti latini ; e Virgilio gli risponde
largamente, enumerando gli scrittori latini e
g;ied suoi compagni dd limbo, • alcuni dd
personaggi dei poemi del suo ammiratore:
nella quale risposta ò notevole che Dante
non faccia ricordare a Virgilio pur uno di
quelli nominati già nell'^. iv 88-90, 121-
144, salvo Omero indicato qui per una poii-
frad. — che levato eoe che mi hai levato
dagli occhi il velo che mi nascondeva un
bene cosi grande, come è la verità della fede
cristiana. — 96. meatre che eoe. prima ohe
arriviamo alla cima del monte, dod finché
dura il tempo che d ò concesso di passare
indeme. — 97. diami eoe. In questo denco
di scrittori dasdd Dante raooolse rimem-
branze dd propri studt, quad a compimento
di ciò che aveva detto nell' Inf. iv 88 • segg.
I primi tre, Terenzio, Cecilie e Flauto, sono
insieme menzionati da Orazio, S^iriaL n, 1,
58-69; ivi pure 6 ricordato, v. 247, il poeta
Vario (cfr. la nota al v. 98). — Tereaslo :
Publio Terenzio Aite, nato a Cartagine nd
192 e morto in Grecia nel 159 a. C, fti uno dd
prindpali scrittori latini di commedie e ami-
dsdmo di Sdpione Africano e di Lelio : le
commedie ch'egli d lasdò sono sei, VAndriOt
gli Eumiekif VHtautonHmonmmotj gii AéU'
pMj VEeoyra e il Phormio, Stazio chiama Te-
renzio nostro anUeOf per dirlo vecchio poeta
nella nostra lingua latina : e veramente ri-
spetto a Stazio, Terenzio vissuto più di due
secoli innanzi, ere già antico. — 98. Geel-
Ho: CeciHo Stazio milaneee, poeta dramma-
tico, un po' più veodìio di Terenzio, m<»i
circa l'anno 168 a. C. ; ddle sue trenta com-
medie nessuna d ò rimasta, ma Dante può
aveme avuto notizia da A. Qdlio, N. A,,
IV 20, 18. — PiMto: M. Aodo Piante, il
famoso poeta usto a Sarsina nell' Umbria nd
254 e morto nel 184 a. C, del quale d in-
stano venti commedie, che Dante certamente
non lesse, perché Airone trovate sdo nd so-
oolo XV. — Varrò: M. Terenzio Vanone,
PURGATORIO - CANTO XXH
461
09 dimmi se son dannati, ed in qual vico ».
« Costoro e Persio ed io e altri assai,
rispose il duca mio, siam con quel greco
102 ohe le muse lattar più oh' altro mai,
nel primo cinghio del carcere cieco:
spesse fiate ragioniam del monte,
105 che sempre ha le nutrici nostre seco.
Euripide v*ò nosco ed Antifonte,
Simonide, Agatone ed altri piùe
108 gieci, ohe già di lauro om&r la fronte.
Quivi si veggion delle genti tue
Antigone, Deifile ed Argia,
111 ed Ismene si trista come fue.
nato a Bietì nel 116 • morto nel 27 a. d^
autore di molteplià opere latine di varia eru-
dizione, giudicato dagli antichi come il più
dodo tza i romani (c£r. Gioerone, Bndus xv
60; Quintiliano, x i, 96; Lattanzio, Inat. i
6; a. Agostino, D$ oh, d§i yi 2). Alcuni po-
chi intexpieti ritengono che Dante abbia vo-
lato xìooràare F. Terenzio Yarrone Atacino,
poeta dal i secolo a. C. : e alooni altri leg-
gendo Vario vi trovano il nome del poeta L.
Yaiio, amico di Orazio e di Virgilio (ofr. Ora-
sio, Anpod. 63: e Qoid antom OaecUio Pian-
toqne daUt Bomanns, ademptom Virgilio Va-
lioqne?»). — 99. se MB dannati eoo. se
sono dannati e in qnal cerchio. — 100. Per*
sie: Aulo Persio Flaooo, nato a Volterra
nel 34 d. C. e morto in Boma nel 62, celebre
come antere di sei satire scritte secondo le
dottrine deg^i sto^d e in nno stile vigoroso
e doro : molto rinomato sino dai tempi snoi
(ofr. Quintiliano z 1), fti conosciate anche
nelle scoole medioevali, che molto si com-
piaoqnsvo del chioso parlare dei soci versi.
— 101. qmél greco eco. Omero, poeta sovra-
no, pcediletto £fca i discepoli delle Muse (cfir.
Jn/: IV 86;. ^ 106. nel primo cinghio ecc.
nel primo cerchio dell' Inferno, nel limbo. —
— eareere eieee i cfr. £*f, x 68. — 104.
spease flato eco. spesso rsgioniamo insieme
dal monte Parnaso, ove dimorano lo nove
Uose, natrici dei poeti, doò ragioniamo del-
l'arte nostra: ofr. Af, iv lOA. — 106. Euri-
pide : il terzo dei tre grandi tragici greci,
nato a Salamina nel 480, vissuto qnaai sem-
pre in Atene e morto alla corte di Archelao
re di Macedonia nel 406 a. 0.; fa autore di
molte tragedie, delle quali sono pervenute
sino a noi solamente diciotto, oltre un gran
aameio di finonmenti delle altre. Dante non
eonobbe direttamente le opere di Euripide e
degli altri poeti gred da lui ricordati, ma
n' ebbe notizia dagli scritti di Aristotele, di
Gleasene^ di Quintiliano e di ICacrobio. —
Anttfonte: Antifonte, poeta tragico ateniese
ricordato con lode da Aristotele e da Plu-
tarco, autore di tre tragedie ora perdute:
forse Dan ne faceva un solo uomo con An-
tlfonte Bamnnsio, il primo dei dieci oratori,
ricordato da Quintiliano in 1, 11. Altri leg-
gono Aftaarwntef che d il famoso lirico na-
tivo di Teo e fiorito intomo al 630 a. 0. —
107. Simonide: Simonide di Geo, nato nel
666, vissuto prima in Atene e in Tessaglia
e poi alla corte di Gerone signore di Sira-
cusa, ove mori nel 469, fu poeta lirico, fa-
moso specialmente per i carmi col quali ce-
lebrò gli eroi delle Termopili e di Maratona.
— Agatone: poeta tragico ateniese nato nel
448 e morto nel 400 circa a. C, autore di
drammi perduti, tra i quali Aristotele loda
singolarmente il Fion, — ed altri pide ecc.
e molti altri greci, i quali si cinsero già del
lanro apollineo, furono poeti. — 109. delle
genti tue: del personaggi, che tu cantasti
nei tuoi poemL — 110. Antigene t figlia di
Edipo e di Qiooasta, accompagnò il padre
nell'Attica facendogli compagnia sino alla
morte di lui, poi ritornò a Tebe, ove contro
il divieto del tiranno Creonte diede sepoltura
con la sorella Ismene al cadavere del fratello
Polinice e fu perolò chiusa in una caverna,
in cui mori disperatamente : ofr. Stazio, Teb.
xn 849 e segg. — Delflle : figlia di Adrasto
re di Argo, moglie di Tideo, uno dei sette
re che assediarono Tebe (cfr. Inf. xiv 68),
e madre di Diomede. — Argia: sorella di
Deifile e sposa di Polinice, fìunosa per aver
posseduto la collana infausta dell'Armonia,
< lo sventurato adornamento » già ricordato
da Dante in Purg. xn 61 : di lei, cfr. Stazio,
T^. XIII 111 e segg. — IH. Ismene : figlia
di Edipo e di Giocasta, fti promessa sposa a
Girreo, che fti ucciso prima che si compis-
sero le nozze, vide tutte le sventure che op-
pressero la sua fkmiglia e finalmente fu con-
dannata a morte con la sorella Antigone dal
452
DIVINA COMMEDIA
Yedesi quella che mostrò Langla:
èwi la figlia di Tìresìa e Teti,
114 e con le suore sue Deidamia ».
Tacevansi ambedue già li poeti,
di nuovo attenti a riguardare intomo,
117 liberi dal salire e dai pareti;
e già le quattro ancelle eran del giorno
rimase a retro, e la quinta era al temo,
120 drizzando pure in su l'ardente corno;
quando il mio duca: « Io credo eh* allo estremo
le destre spalle volger ci convegna,
123 girando il monte come ùat solemo >.
Cosi l'usanza fu li nostra insegna,
e prendemmo la via con men sospetto
126 per l'assentir di quell'anima degna.
Elli givan dinanzi, ed io soletto
di retro, ed ascoltava i lor sermoni
timnno Creonte. — 112. qaelU che MOttrò
eco. Iflifile (cfr. Jhf, xrm 9Ò\ che, essendo
schiava del re Licoigo, dopo la sua foga
dall' isola di Lemno, indicò ai sette eroi che
gneiieggiarono contoo Tebe la fonte Langla
presso Nemea (cflr. Purg. xxvi 94 e segg.):
si veda Stazio, Teb. lib. v, ore e Hypsipyles
lactoB, narratqne dolores >. — 118. la flgUa
di Tirtslat Manto, la famosa indovina, è
collocata da Dante nella quarta bolgia (Jhf.
zx 62 e segg.), mentre qui Virgilio pare ri-
cc^darla come dimorante nel limbo : la oon-
tradizione tu. già rilevata da Benv., il quale
anche osservò ohe Dante può avere intoso
di dire genericamente che questi personaggi
di Stazio, e poro anche Manto, sono tutti
nell' inferno, alcuni nel limbo, altri in altri
cerchi ; ma può anche essere il caso di una
pura 0 semplice dimenticanza. Quanto all'in-
dovina Manto si cfr. Stazio, Teb. iv i63 e
segg., vn 768 e segg., x 689 e segg. — Tetis
la dea del mare, moglie di Peleo e madre
del grande Achille; cfr. AeMlL i 26 e segg.
— 114. Deldamfai figlia di Licomede re di
Saro, della quale Achille s' innamorò quando
era nascosto alla oorte di quel re: Stazio,
Aehill, 1 296: e effnlget tantum regina decori
Deidamia chori , pulchrisque sororibus obstat > .
— 116. TacATaBsl ecc. I poeti pervengono
sul ripiano del sesto cerchio e perdo inter-
rompono la loro conversazione per osservare
all' intomo e cercare la scala onde si sale al
cerchio superiore. — 117. dal salire eoo.
compiuta la salita si trovavano ormai all'a-
perto, non più chiusi tra le sponde del ma-
cigno, nel quale era incavata la scala. —
pareti! forma maschile insolita. — 118. e
già le qnaitre ecc. Le ore, già imagìnate
dai poeti antichi come ministre del sole del
quale guidavano i cavalli (cft*. Ovidio , MeL
u 118 e segg.), sono dette da Dante, qui
e in Purg, zn 81, ancelle del giorno, per-
ché questo nasce e muore col sole : rimaste
addietro le quattro prime ancelle e venuta
al governo del carro solare la quinta, ecmno
dunque passate le prime quattro ore e inoo-
mindata la quinta dal sorgere del sole, allor-
ché i poeti giunsero nel sesto cerchio. Era
già la mattina del 12 aprile, quando Dante
e Virgilio incominciarono a salire vecM> il
quinto cerchio (cfir. Purg, znc 87): nel per-
correre dunque questo cerchio, conversando
con gli avari, e nel salire verso il seeto in
compagnia e in colloquio con Stazio, impie-
garono da drca quattro ore : cfr. Moore, p.
118. — 119. tento t timone; latinimo ohe
ricorre anche in Jhtrg. imi 49, 140, Air.
zm 9, zzzi 124. — 120. drlssaBdo eoo. ae
la quinta ora volgeva in tu forimi» eornOf
la punta del timone, non era ancora giunta
al suo mezzo, dunque erano drca quattro ore
e mezzo di sole, cioè le undid antimeridiane,
ora ardénU perché prossima al meoogiomo.
— 121. ek'allo eetreme eoe ohe d convenga
prendere a destra, tenendo le destre spalle
verso l'Orio esteriore del cerchio. — 123.
come far eoe : i poeti visitatori del purga-
torio sono proceduti sempre, come sappiamo
(cfr. IStrg. ZI 49, zm 18, nz 81), dalla si-
nistra verso la deetra : ood ohe qui ViigìUo
può prendere questa direzione, demo di non
fallire. — 124. Usegnat cfr. Purg, m lOfi.
— 126. quell'asina degnai Stazio. — 127.
EUl gifan ecc. Virgilio e Stado oammina-
vano avanti, conversando : Dante, da mode-
sto discepolo, li seguiva ascoltando i loro di-
PURGATORIO - CANTO XXH
453
129 eh' a poetar mi davano intelletto.
Ma tosto rappe le dolci ragioni
un arbor che trovammo in mezza strada,
132 con pomi ad odorar soavi e buoni;
e come abete in alto si digrada
di ramo in ramo, cosi quello in giuso
135 cred'io perché persona su non vada.
Dal lato, onde il cammin nostro era chiuso,
cadea dall'alta roccia un liquor chiaro
138 e si spandeva per le foglie susa
Li due poeti all' arbor e' appressare;
ed una voce per entro le fronde
141 gridò : « Di questo cibo avrete caro >.
Poi disse: « Più pensava Maria, onde
fosser le nozze orrevoli ed intere,
144 ch'alia sua bocca, ch'or per voi risponde;
e le romane antiche, per lor berCi
contente fiiron d'acqua, e Daniello
•coni, dai quali traeym ntili ammaeetramentl
al poetare. — 130. Ma tette eco. A inter-
rompere i ragionamenti dei poeti apparre
loro nel mezzo della via un albero oarioo di
ftotti buoni e odorosi. Qoeef albero è da con*
fiderare in relazione oon quello che i poeti
troveranno all'osata di qoesto oerchio (cfr.
iVy. xziT 108 e segg.), nato, secondo che
dioe Dante stesso, dall'albero della scienza
del bene e del male : ora, secondo la bibbia
(Om, n 9), e il Signore Iddio fece germogliar
dalla terra ogni sorte d' alberi piaoeToU a ri-
goardare, e booni a mangiare; e Valb&ro della
viia, m mtsuco del giardino] • l'albero della
conoscenza del bene e del male >. Però, se
l'albero posto all'nscita del sesto cerchio
derira da quello della scienza del bene e del
male, questo collocato Tidno all' ingresso di
esso cerchio, in mezzo alla strada, sarà deri-
rato dall' albero della vita. — ISS. e eoms
aWte eoe come l'abete presenta i suoi rami
più sottili di mano in mano che dal tronco
salgono Terso la dma, cosi V albezo del sesto
cerchio li presenta più sottili via via che
dalla dma scendono Terso il tronco : ò un
albero, insomma, come gli altri, né ha le ra-
dici in cielo e la dma verso la terra come
vogliono alcuni interpreti ; ma ha di partico-
lare che la psarte più grossa dei rami ò sem-
pre Terso la dma e la parte più sottile Terso
il tronco. — 185. ered*io perché ecc. forse
affinchè nessun nomo possa salir sopra a co-
gliere i fruttL — 186. Dal Uto ecc. Dalla
parte intema, oto la costa del monte limi-
tsva la nostra Tia, cadoTa dall' alto della roo-
da uà,' acqua limpidissima, la quale si river-
saTa sopra le foglie dell' albero. — 188. si
spaadeva eoo. d spargoTa sulle foglie, le
quali tutta l' assorblTano senza lasciarne ca-
dere a terra puro una goccia. — 140. ed aaa
vece ecc. Dall'interno dell'albero muoTe una
Toce, forse di angelo, ma non dell'angelo
custode di questo cerchio (cf^. I\arg, xxrr
188 e segg.), la quale ammonisce le anime,
che in penitenza della colpa della gola aTranno
oaro di questo dbo, carestia o mancanza dd
cibo dell'albero della Tita, doò della beati-
tudine, e poi grida esempi di temperanza. —
142. Pid pensava ecc. Il primo esempio di
temperanza ò quello offèrto da Maria Vergi-
ne, la quale alle nozze di Cana avverti Gesù
che mancava il vino al convito, non già per
sodisfare alla propria sete, ma perché le nozze
fossero onorevoli e compite (Qiovanni, ii 11):
ctr. Purg. xni 28 e segg. ove lo stesso fatto
ò recato come esempio di carità. — 144. ch'or
per voi eco. la quale Vergine Maria ò avvo-
cata di vd peccatori penitenti, presso Dio.
— 146. e le ronaae ecc. Il secondo esempio
ò quello delle antiche donne romane, che non
usarono per sobrietà altra bevanda che l'ac-
qua ; cAr. Valerio Massimo n 1, 8 : e Vini
usus olim romanis foeminis ignotus foit >,
passo dt. da Tommaso d'Aquino, Swmma^
p. u 2m, qo. czux, art. 4, ove ferma cho
la sobrietà d conviene massimamente alle
donne e d giovini. — 146. e Daniello ecc.
11 terzo esempio ò quello del profeta Daniele,
il quale rilutò ed tro compagni di mangiaro
0 bere alla mensa del re Nabucodònosor per
non esseme contaminato, e ne fu compen-
sato da Dio Cd dono della sapienza (ofr. Da-
454
DIVINA COMMEDU
147
150
154
dispregiò cibo ed acquistò sapere.
Lo secol primo, che quant'òr fu bello,
fé' saporose con fame le ghiande,
e nettare con sete ogni ruscello.
Mèle e locuste furon le vivande,
ohe nudriro il Batista nel diserto;
per ch'egli è glorioso e tanto grande
quanto per l'evangelio v'è aperto ».
niele i 6 e segg.). — 148. Lo Mool eoo. H
quarto esemplo ò quello degli aomini yissati
nella pxima età del mondo, quella dell' oro
(cfr. Inf, ziT 106, Purg. zzmx 1S8), ai qnaU
la fame fece parere saporiti i pid umili frutti
doUa terra, e la sete fé' parere soave l'acqua
dei msoeUi; tSt\ Ovidio, MéL i lOS esegg.:
e Contentique cibis nullo cogente creatis, Ar-
buteos fetus montanaque ftaga legebant Cor-
naque et in duris haerentia mora rubetis Et
quae doddérant paiola lovis arbore ^(ondos....
Flumina iam laotis, iam Hwnina ntetaria ibant,
Flayaque de viridi stillabant ilice molla >. ~
151. Mtie e locaste eoo. H quinto esempio
ò quello di san Giovanni Battista, che nel
deserto si cibava di locuste o cavallette e di
miele silvestre (ofr. Karoo i 6, ìfatteo m 4).
— 154. fuanto eoo, quanto vi si dimostra
per il vajigelo ; nel quale si legge (Matteo n
11) : « Io vi dico in verità che, fra quelli
che son nati di d<mne, non sorse giammai
alcuno maggiore di Giovanni Battista » : e
ancora (Luca vn 28) : e Io vi dico che, fra
coloro die son nati di donna, non vi ò pro-
feta alcuno maggior di Giovanni Battista >.
CANTO xxm
Nel sesto cerchio i tre poeti incontrano 1 golosi ridotti per penitenza a
un^orribile magrezza : tra essi Dante riconosce il suo amico Forese Donati,
il quale gli parla di sé e dei compagni e prorompe in una violenta invet-
tiva contro gli sfacciati costami delle donne fiorentine [18 aprile, dalle on-
dici antimeridiane al mezzodì].
Mentre che gli occhi per la fronda verde
ficcava io cosi, come far suole
3 chi retro agli uccellin sua vita perde,
lo più che padre mi dicea: «Figliuole,
Vienne oramai, che il tempo che e* è imposto
6 più utilmente compartir si vuole ».
Io volsi il viso e il passo non men tosto
XXTTI 1. Mentre eco. Dante, all' udire
la voce misteriosa che usciva dall' albero, si
era fermato a guardare attentamonte, per cu-
riosità di scoprile chi fosse che celebrava gli
esempi di tolleranza (cfr. Purg, xxxn 140 e
segg.); e Virgilio ora interviene opportuna-
mente a distoglierlo da tale contemplazione.
— 2. come far ecc. come suol fare il cacoiar
tore, che perde il suo tempo cercando gli uo-
ceUi: eia vita dell'uccellatore (osserva il
' Buti) non ò utile a nulla, se non a la gola;
e però meritevilmente la riprende qui >. —
4. lo pld che eco. Virgilio chiamato più volte
da Dante col nome di padre (£i/. vm 110,
Purg. XV ^, 124, xvn 82, xvm 7, 18, xxv
17, xxvn 62, e in questo canto v. 13X è qoi
detto per maggiore dimostrazione d'amore più
ehè padre, — Flgllaole t forma di vocativo,
foggiata sul lat. fUiok; l'esempio del vocativo
non ò raro nelle nostra lingua antioa (cfr.
Parodi, BuU. HI 120). — 6. U teMpo eoe. il
tempo assegnato al tuo viaggio deve essere
compartito più utilmente : cfr. I\arg, m 78.
— 7. le volsi eoo. Dante, aeatendosi ood
richiamare da Virgilio, rivolse subito gli o^
chi dall' albero ai suoi compagni e s' incam-
minò dietro ai due poeti, «he paxiavano di
cose tanto piacevoli per lui da non fiugli pa-
PUBGATOBIO - CANTO XXIII
455
.appresso ai savi, che parlayan sie
9 che l'andar mi feusean di nullo costo.
Ed ecco piangere e cantar s*udie
< Labia tnea Domine », per modo
12 tal che diletto e doglia parturle.
« O dolce padre, che è quel eh' i' odo? »
comincia' io; ed egli: «Ombre che vanno
15 forse di lor dover solvendo il nodo >.
Si come i peregrin pensosi tanno,
giugnendo per cammln gente non nota,
18 che si volgono ad essa e non ristanno;
cosi di retro a noi, più tosto mota,
venendo e trapassando, ci ammirava
21 d'anime turba tacita e devota.
Negli occhi era ciascuna oscura e cava,
pallida nella faccia, e tanto scema
21 che dall' ossa la pelle s' informava.
Non credo che cosi a buccia strema
Eresitene fosse fatto secco.
x«re granoso il cammino : ofir. Fitrg. zzn 127.
— 8. MTl: poeti; ofr. Inf. rr 110. — 10. Ed
fl6M 90C Sono le anime dei golosi, die in
quatte ccroldo piangono per dimostrare la
contrizione del loro peccato e cantano, inro-
cando 1» graiia divina, le parole del Salmo u,
16 : « Signore, aprimi le labbra ; e la mia
bocca racconterà la tna lode >. Il canto, se-
condo Il Boti, signifloa e lo rìcognoedmento
de la gra^ ohe aveano ricevuta da Dio, che
del loro peccato s'erano pentiti » ; secondo il
Land. Inrece eia sparanxa di poterlo pnigare,
et poxgatolo andare alla salate >. ~ 12. di-
UUm eco. diletto, il canto di speranza e di
lode ; dolore, il pianto di penitenza che a
qoel canto si conginngera. — 13. 0 delee
ecc. : sitaaiione e parole molto simili, come
ayy ottono I commentatori, a qnelle del I\trg.
xn 22-34. — 16. forse di lor eco. purifican-
dosi ddla loro colpa con quella penitenza,
che case devono alla divina giustizia. — 16.
m COMO i peregrU ecc. Yentori 217 : e Bella
di semplicità e naturalezza d la similitudine,
in cui non ò paiola da sggiungere o togliere,
tutte accortamente scelte e disposte a dipin-
gere U reio». — 17. glagnsnde eoe allor-
dk6 p^ via raggiungono gente sconosciuta.
— 19. eosf di retro eoo. cosi una schiera
di anime allensioee e devote, venendo dietro
a noi mossa pid Velocemente, con maggiore
velocità déUa nostra, e trapassando, passando
imanzi a noi, ci guardava meravigliata. —
21. taelta e devota: primo il Veli, rilevò l'ap-
parente oontiadizione tra questo verso e i
precedenti, ove Dante dice che le anime dei
golosi cantavano e piangevano, e osservò,
seguito dal Dan., dal Biag., dal Tomm., che
queste anime cantando abitualmente sospen«
dono qui il loro canto per osservare 1 tre poeti,
n Lomb. invece, seguito dal Ces., dal Gesta,
dal Bianchi, dallo Scart e da altri molti, ri-
chiamò a questo passo i w. 67-69 di questo
canto e i w. 106-108 del canto seguente,
cercando di dimostrare che le anime dei golosi
piangono e cantano solamente quando sono
intomo ai due alberi del loro cerchio. Pare por
altro che dallo parole di IVnese (v. 64), e està
gente che piangendo canta > , si possa ricavare
che il canto e il pianto dei golosi sia conti-
nuo, in tutti i punti del cerchio. — 22. Negli
occhi eco. Gli occhi dei golosi erano oosf in-
fossati ohe avevano perduto il loro splendore;
i volti pallidi, o amunti; le persone, tanto
scarne che la pelle prendeva la forma delle
ossa su cui si stendeva. Si ctt, questa descri-
zione con quella che Ovidio fa dalla fame
(Met, vili 808) : e Hirtus erat crinis, ectva
JMmina, pallor in or$y Labra incana sita, sca-
brae rubigine faùces, Dura cutis, per quam
speotari viscera possent: Ossa sub ineurvit
eadabarU arida ImnbiSy Ventrìs erat prò ven-
tre locus ; genuumque tumebat Ocbis, et immo-
dico prodibant tubero tali > : cf^. Moore 1 211.
— 25. Ken credo eoe Erisitone figlio di un
re della Tessaglia, avendo osato di tagliare
una quercia in un bosco sacro a Cerere, ta.
dalla dea condannato a essere keeiato dalla
ftune : dominato cosf dalla più fiera voracità,
Erisitone mangiò via via tutto ciò eh' egli
potè avere, vendendo persiAO una figiiuola por
466
DIVINA COMMEDIA
27 per digiunar, quando più n'ebbe téma.
Io dicea &a me stesso pensando : € Ecco
la gente che perde (Gerusalemme,
80 quando Maria nel figlio dio di bécco ».
Parean l'occhiaie anella senza gemme:
chi nel viso degli uomini legge * omo ',
83 ben ayrla quivi conosciuto l'emme.
Chi crederebbe che 1* odor d' un pomo
si governasse, generando brama,
86 e quel d'un' acqua, non sapendo comò?
Già era in ammirar che si gli affama
per la cagione ancor non manifesta
89 di lor magrezza e di lor trista squama;
ed ecco del profondo della testa
volse a me gli occhi un'ombra, e guardò fiso,
42 poi gridò forte: € Qual grazia m'è questa? >
Mai non l'avrei riconosciuto al viso;
ma nella voce sua mi fu palese
prooacdani altro cibo, finché non gli rimase
più da mangiare altro ohe il proprio corpo (cfr.
Otì4ìo, MéL vm 741-884). — a baeela ettre-
MM eoo. ridotto alla tola pelle esteriore. —
27. f laudo ifìé eoo. nel momento in coi
ebbe maggior timore di rimanere senza dbo,
quando dod gli restava a mangiare solo il suo
corpo; cfr. Ovidio MbL vm 876: e Vis tamen
illa mali postqnam consnmpserat ftwinam Ma-
teriam, deileratqae gravi nova pabnla morbo,
Ipso snos artos lacero divellere morsa Ooepit,
et infeliz minoendo corpus alebat ». È inutile
avvertire la (Usità della ledono tèma, argo-
mento, cagione, accolta da alcuni editori e
interpreti moderni. — 28. Eeeo la gente eoo.
La vista dei golosi cosi dimagrati e disfatti ri-
chiama alla memoria di Dante le sofferenze del
Oindei durante l'assedio di Gerusalemme per
opere dei romani (ctt, Fiwg, uà 83 e segg.).
— 80. qaaado Maria eoo. Baooonta Giuseppe
Flavio {Delia gìurragindaieaj vi 8), tre gU al-
tri orrori dell'assedio di Gerusalemme, che
nna nobile donna, Ilaria di Eleazaro ftariosa e
disperata per la fame uooise un suo figlioletto
e ne mangiò una parte per cibarsi. ~ 81. Pa>
reaa ecc. Le cavità degli occhi sembravano
due anella, da cui fossero state levate le gem-
me; perché g^ ooohi erano ooif infossati, ohe
non i^pariva il luodcare delle papille (oCr.
V. 22). — 83. ehi nsl viso eco. coloro che nei
volti umani leggono la parola omo, formati gli
0 dai due oochi e Tm dalla congiunzione degli
archi della dglia e del naso, avrebbero distin-
tamente veduto nella fàccia di qnosti golosi il
segno dell' m, dod la linea formata dal naso
e dagli archi ddle dgUa, parti messe in rilievo
. Dante aooenua l'opi-
nione del leggerd omo nel viso «mano, eomo
propria di altri ; e anche i suoi antichi com-
mentatori la ricordano non come crodensa co-
mune, si pi& tosto come opinione partioolaie;
e ta veramente odo dd tedogi e dd pre-
dicatori mistid. - 84. €ki eroderebl^ ecc.
Nessuno, ignorandone il modo, otedezebbe mai
che la magrezza dd gdod losse prodotta dal
gran dedderio susdtato dall'odore di un
pomo (quello ddl'dbero, cfr. Pmg. xxn 131)
e di un'acqua (qudla della fontana, ol^.
FUrg, xxn 136-188). — 86. govenasae: trat-
tasse male, sconciasse riducendolo a tale ma-
grezza. — 86. non sapoado eoo. non oooosoen-
do il modo od quale d prodnoe la magrezza:
cfr. i w. 61-76, dove Forese ^lega a Danto
quali dono ^ effètti della pianta e dell'acqua.
— eomot forma arcaica dal lat. gmmodo tn-
quentissima negli antichi poeti e rimasta più
a lungo nd dialetti settentrionali (cfr. Zing.
18). — 87. Olà ora eoe Non oonosoendo an-
cora la cagione della loro magrena e ddla sec-
chezza ddla loro pdle, io ere già od pen-
sloro in grande ammixadono di dò ohe ^^f^m».
quelle anime e le fa ood magre. » 40. ed
eeeo eoe quando im^owisamonte un' anima
volse a me gli ooohi profondamente affossati
e mi guardò fisamente ; e avendomi rioono-
sduto gridò ad dta voce: Qual grazia mi è con-
ceduta? » 43. Qaal grazia eoo. Queef anima
ha rioonosduto in Dante un suo oondttadino
e amico: però alza un grido di gioia meravi-
gliandod d' avere una td grazia singdare.
— 43. Mal BOB ecc. Dante non avrebbe md
rioonosduto il suo amico all' aspetto, che la
magrezza aveva dterato profondamento; ma
alla voce potò apparirgli dò che il sem-
PURGATORIO - CANTO XXIH
457
45 ciò che l'aspetto in sé avea conquìso.
Questa favilla tutta mi raccese
mia conoscenza alla cambiata labbia,
48 e ravvisai la faccia di Forese.
€ Deb, non contendere all' asciutta scabbia,
cbe mi scolora, pregava, la pelle,
51 né a difetto di carne cb'io abbia;
ma dimmi il ver di te, e chi son quelle
due anime che là ti fiemno scorta:
54 non rimaner che tu non mi favelle >.
€ La faccia tua, eh' io lagrimai già morta,
mi dà di pianger mo non minor doglia,
57 rispos'io lui, veggendola si torta:
però mi di', per Dio, che si vi sfoglia;
non mi fax dir mentr'io mi maraviglio
60 che mal può dir chi è pien d' altra voglia ».
bianto gU naaoondeTa. — 45. elò tkt Paipet-
U 600. il aooto generale ò ohUriMimo, non
co«Ì roepromfoncw D Bati spiegò: e dò che la
fOA rista et apparemi» in Ini area goasto,
doò 1a eognoacenria > ; mtk in té ti rìferisce
senza dubbio tJl*(upttto, e non pnò spiegarsi
in htij in Forese. Benr. lesse oiò ek$ VtuptUo
tuo m^avea conqttito e spiegò: «dAoserat
et ceUrexat oognitioni mese >. I moderni ri-
petono, sa per giti, la chiosa del Enti; si cfr.
ad ogni modo il passo dell'/n/l xy 26-29, che
può dar hioe sull'intelligenza di qneeto reiso.
— 46. Qaetta eco. L'indizio della voce, a
me non ignota, aiutò la mia conoscenza zi-
goardo al rotto trasformato, e oos£ mi fa pos-
sibile riconoecenri le sembianze di an mio
amico. — 47. laMla t il rdto ; in tale senso
qaeeto nome s'incontra assai spesso in Dante
(F. N, xxn 89, xzn 99, zzzrx 18, Inf, vn 7,
xir 67, XDC 122) e negli altri nostri antichi.
— 48. Forese t Foreee Donati sopranomlna-
to Bicd Norello, fiorentino, figlio di Simone e
fratello di Ck»rso e di Piocarda (cfr. Atr^. xxir
IS), risse néUa seconda metà del secolo xm
e morì il 2B lagUo 1296 (Del Dango n 611);
ddla soa amicizia con Dante abbiamo dooo-
mento, oltre ohe qaesto canto del poema, ana
tenzone di sei sonetti tra barleschi e sa-
tirici, scambiati fira 1 dae concittadini poco
dopo 11 1290 e pieni di motti e frizzi non
sempre da scherzo : questa tenzone ò stata illu-
strata dal Del Lungo, II 610-624, e da altri, e
poi pHk oom^utamente dal medesimo Del Lun-
go, Damtt, I 4S7-4B1. Quanto al nzio di Fo-
rsse, dicono tatti gli antichi commentatori
eh'el Coese molto goloso, e più d'un accenno
se n'ha ancora nel sonetti della dt. tenzone;
cosi nel son. m dice Dante : « Ben ti fa-
ranno il nodo Salamone» Biod Norello, e'pet-
ti delle stame. Ma peggio fia la lonza del
castrone, Oh6 '1 cuoio farà rendetta della
carne », e nel son. r : « Biod Norel, figliuol
di non so cuL.., Qiù per la gola tanta roba ò
mossa, Ch'a forza ^ conrene or tòr l'altrui».
— 49. Dell BOB eenteadere eco. Non badare
al disseccamento della mia pelle prodotto dalla
scabbia, né alla eccessira magrezza (cfr. r . 89),
ma dimmi come ti trori qui e chi sono 1 tuoi
due oompagnL — eenteadere: i più dei com-
mentatori, dal Lana in poi, danno a questo
rb. il significato di aUmtdertf che ha p. es. in
Giordano da Riralto, ^rtd. uz : « non po-
toano contendere alle cose mondane » : altri
inrece, quello di rieutart^ neffort^ che qui par-
rebbe friori di luogo. — 62. éimni il Ter ecc.
Si noti che Forese s'era subito accorto che
Dante era ancor riro (cfr. r 112 e segg.); cosi
la sua domanda all'amico che gli dica « «or di
sé acquista un più predso e determinato ra-
lore. — 66. La faccia eoe H tuo rolto, che io
piansi già estinto, mi cagiona adesso un pianto
non meno doloroso, apparendomi cosi tramu-
tato dalla primitira sembianza. — 68. però
mi df' eco. perdo parla tu a me, per quel Dio
che ri dimagra in tal maniera : non volere
che io parli finché sono cosi meravigliato per
la tua tramutata sembianza, poiché mal può
parlare chi ò dominato da altro desiderio. Si
osservi il modo nuovo e originale, col quale '
Dante chiede indirettamente a Forese la ca-
gione per cui le sue sembianze sono cosi al-
terate; e si noti anche il ricorrere del vb.
4ire in tutti e tre i versi della terzina, ohe
6 Tina ripetizione frequente nd poeti del dn-
gento. — sfoglia t il vb. tfogliar» in qaesto
senso di denudare ò froquente nd rimatori
antichi (cfr. Ohiaro Davanzati in D'Ano, m
29, anonimo ivi m 197; Guittone d'Arezzo,
458 DIVINA COMMEDIA
Ed egli a me: «Dell' etemo consiglio
cade virtù nelP acqua e nella pianta
63 rimasa a retro, ond'io si m* assottiglio.
Tutta està gente, che piangendo canta,
per seguitar la gola oltra misura
66 in £eune e in sete qui si rifa santa.
Di bere e di mangiar n'accende cura
l'odor di' esce del pomo e dello sprazzo
69 che si distende su per la verdura.
E non pure una volta, questo spazso
' girando, si rinfresca nostra pena
72 (io dico pena e dovrei dir sollazzo)^
che quella voglia all'arbore ci mena
che menò Cristo lieto a dire: 'Eli,'
75 quando ne liberò con la sua vena ».
Ed io a lui : « Forese, da quel di,
nel qual mutasti mondo a miglior vita,
78 cinqu' anni non son volti infino a quL
Se prima fu la possa in te finita
di peccar più, che sorvenisse l'ora
81 del buon dolor eh' a Dio ne rimarita,
come se' tu qua su venuto? Ancora
Rìm I 124). — 61. Deir etano eoo. DiOla e EU, EU, lamma tabftotud ? doò : Dio mio,
▼olontit divina discende nell'acqua, che cade Dio mio, perché mi bai lasciato?». — 75.
dall'alta rooda {Purg. zzn 187), e nell'albero qaaado eco. aUorchó redense il genere una-
dai buoni e odorosi pomi (ivi, 181) una viit6 no col sangue deUe sne Tene. — 76. Foreee,
per la quale lo sono cosi dimagrato. — 68. ri- ìa qael ecc. Dante si mecsyigliA che Forese,
masa a retro: perché Dante e gU altri dne morto da poco tempo, sia già pervenuto al
poeti s'erano aUontanati dalla pianta sorgente purgatorio ; mentre per ossemi pentito all'al-
ali'ingresso del cerchio (cfr. v. 7 e segg.). — timo della vita avrebbe forse dovuto <
64. Tvtta està eco. Tutte queste anime, che ancora tra i negligenti neU'antipurgmtorìo ; e
cantano e piangono, espiano in questo cerchio chiede all'amico come mai dò sia accaduto,
la colpa della gola soffrendo la fìune e la sete. D'Ovidio, p. 219 : « Le rime txondte, raris-
— 67. DI liere eoo. La Came, owm di mangiarti sime nel poema, danno al ritmo una cadenza
è susdtata in noi dagU odorosi frutti dell'albe- moUe, e oontribuisoono aU'intonazione tenera
re : la sete, fswra di btr^ dal getto d'acqua ohe che è già noU' emistichio Fbrm$, da quel di,
si diffónde sopra i rami dell'albero. — 70. B rassomigliante a Franeeaea, % tuoi w%artki,
non pure ecc. £ questa pena si rinnova molte Oiaeeo il tuo a f arnia ». — 78. elafn' anni ecc.
volte, girando noi per il ripiano di questo È storicamente esatto, perché Forese mori il
cerchio, perdié tutte le volte che giungiamo 28 lugUo 1296, quattro anni quasi innanzi il
sotto l'albero riproviamo U desiderio dei frutti viaggio di Dante. — 79. Se prlMa eoe Se la
e dell'acqua. — spazio : cfr. Inf. ziv 18. — facoltà di peccare venne meno in te prima
72. lo dico ecc. : le pene del purgatorio sono ohe arrivasse l'ora del pentimento, ohe zioon-
volontarle e desiderate dalle anime; quindi giunge le anime con Dio, so tu insomma in-
Forese osserva che, a parlar propriamente, dugiasti a pentirti a^^ ultimi momenti del
dovrebbe dire sollazzo, e non pena. — 73. thè viver tuo ecc. Racconta l'Ott. che « questo
quella ecc. poiché ci trae a qnell' albero cose sa bene l' autore per la oonversaùone
queUo stesso desiderio di conformare la nostra oontinova, ch'olii avea col detto Forese, ed
volontà al volere di Dio, peroni Cristo sop- esso autore fti quegli ohe, per amore che
portò volentieri la morte sulla croce, — 74. aveva in lui e famigliaritade, lo indusse alla
ohe nenò ecc. Bacpontano i Ubri evangeUd confessione : e confessosd a Dio innanzi l'ul-
(Matteo xxvn 46, Marco xvi 84) die Oriate, timo fine ». — 82. ABMra lo ti eoo. lo ore*
poco prima di spirare suUa croce, gridasse : deva di trovarti ancora neU' antipurgatorio,
PURGATORIO - CANTO XXIU
459
io ti credea trovar là gi4 di sotto,
84 dove tempo per tempo si ristora ».
Ed egli a me: «Si tosto m*ha condotto
a ber lo dolce assenzio de* martiri
87 la Nella mìa col suo pianger dirotto.
Con suoi pregili devoti e con sospiri
tratto m'ha della costa ove s'aspetta,
90 e liberato m'ha degli altri giri.
Tant'è a Dio più cara e più diletta
la vedovella mia, che molto amai,
93 quanto in bene operare è più soletta;
che la Barbagia di Sardigna assai
nelle femmine sue è più pudica
96 che la Barbagia dov'io la lasciai.
0 dolce frate, che vuoi tu ch'io dica?
fra i negligenti che devono stare in quel
luogo tanto tempo quanto risserò, se non sono
aiutati da buone orazioni : cfr. Purg. rv 130
e segg., XX 127 e segg. — 86. Sf tosto ecc. Mi
ha condotto cosi presto alla espiazione della
mia colpa, a quei patimenti che por noi sono
d5>irfyrim<, la mia Nella piangendo e pregando
per me. — 87. la NeUa oda : nulla sappiamo
dalla storia intomo alla moglie di Forese
Donati, e nulla ne seppero i commentatori, 1
quali lodandola di pudicizia e di altre virtù
non fecero che parafrasare i versi di Dante.
A lei si riferisce il son. x della cit tenzone
tra Dante e Forese, nel quale il futuro autore
della Cbmmadio, cosi descriveva le infelicità
coniugali della Nella : « Chi udisse tossir la
mal fatata Moglie di Biooi Tocato Forese, Po-
trebbe dir che la fosse vernata Ove si fa 1
cristallo in quel paese. DI mezzo agosto la
trovi infreddata; Or sappi che de* far d'ogni
altro mese ! E non le vai perché dorma cal-
zala Merzé del copertoio o'ha cortonese. La
tosse, il freddo e l'altra mala voglia Non le
addivien per umor c'abbia veccM, Ma per di-
lètto ch'^a sente al nido. Piange la madre,
o'ha piò d'una doglia, Dicendo : * Lassa, cho
per fichi secchi Messa l'avre' in casa il conto
Quido ' ? >. Osserva il Del Lungo n 624, che
leggendo questi versi « se la mente ci corre
a ben altra pittura di questa medesima donna,
quando quel medesimo Forese riferisce alle
lagrime, alle preghiere, ai sospiri di Nolla sua
il benefizio della pi6 pronta espiazione de'suoi
Mi; e la imagine della sua vedovella cara
e difetta a Dio, e soletta in bene operare,
della vedovella sua che molto egli amò, lo
commuove a sdegno e pietà delle donne fio-
rentine e de' futuri guai della patria ; sentiamo
non solamente che qui è il vero Dante, il
Dante la cui Commedia ha nome divina, ma
ci vien fatto altresi di pensare (nuova, e,
parmi, bella illustrazione a quell' episodio),
che forse il poeta ritimendo con tanta genti-
lezza di linee e soavità di colori quelle ima-
gini di Forese e della Nella e poi di Piccarda,
intese, li dov'è espresso accenno a incresciose
memorie, rivendicare per bocca dell'antico
compagno delle sue fbllfe, e con versi degni
veramente del paradiso, la santità della fa-
miglia e della virtù, dileggiate dalle rime
plebee della sua gioventù mondana». Più
brevemente il D' Ovidio, p. 220: < L* episo-
dio apparisce sopratutto una pubblica scon-
fessione dei sonetti ». — 89. della eosta eoo.
dall' antipurgatorio. — 90. degli altri ecc.
dai cerchi del purgatorio sottostanti a que-
sto, nei quali avrei dovuto rimanere per pur-
gami d' altri peccati : quali fossero questi
non appare ; forse, di superbia e d'intempe-
ranza nell'uso delle ricchezze, difetti di Fo-
rese rivelati dai son. n, iv, v della cit. ten-
zone con Dante. — 91. Tant' à ecc. La mia
donna, che molto amai nel mondo, è tanto
più cara e diletta a Dio, quanto più è soletta
in Firenze a praticare la virtù della castità.
— 94. eìki la Barbagia eoe. La Barbagia è
un regione montuosa della Sardegna (intomo
al M. Oennargentu, regione distinta nelle tre
Barbagie di Beivi, OUolai e Senio), che, secondo
gli antichi commentatori, era abitata nel me-
dioevo da una gente barbara, proverbiale per
la vita licenziosa e dissoluta degli nomini e
delle donne ; anche oggi le donne di Barbagia
lasciano intravedere nel negletto costume le
forme esuberanti, ma ciò accade senz'ombra al-
cuna di mal costume ; e probabilmente la ma-
la ffuna delle Barbariclne txi dovuta nel me-
dioevo ad esagerazioni dei mercanti e marinai
genovesi e pisani. Vuol dunque dire Forese
che In Firenze le donne erano meno oostuma-
ts, anzi più dissolute e licenziose, ohe le fem-
mine della Barbagia in Sardegna. — 97. fra-
460
DIVINA COMMEDIA
Tempo futuro m*è già nel cospetto,
99 cui non sarà quest' ora molto antica,
nel qual sarà in pergamo interdetto
alle sfacciate donne fiorentine
102 l'andar mostrando con le poppe il petto.
Quai barbare f&r mai, quai Saracino,
cui bisognasse, per ùale ir coperte,
105 o spiritali o altre discipline?
Ma se le svergognate fosser certe
di quel che il del veloce loro ammanna,
108 già per urlaie avrian le bocche aperte ;
che, se l'antiveder qui non m'inganna
prima fien triste che le guance impeli
IH colui che mo si consola con nanna.
to: cfr. Purg. rr 127. — «he t«oI eoe ohe
oosa POMO dire di peggio? ~ 98. Tempo fii-
taro eoo. Vedo già nella mia monte vicino
il tempo in coi larà dal palpito proibito alle
efaooiate donno di Fiienxe di andar mostrando
lo mammelle e il petto. — 99. eii non
■ara eoo. non molto lontano dal presente. ~
100. farà U pergase eoo. Non è ben oerto
se Dante abbia yolato allndere a qualche pre-
dicazione contro ^ scandalosi costami delle
donne ilorentine, come intesero dal Lana in
poi i commentatori, o a qualche proibizione
▼escorile lanciata contro essi oostomi dal per-
gamo delle chiese: né si conoscono provri-
sioni della Signoria o decretali di Vescovi, cai
Dante abbia potato alladere, poiché le prime
leggi santaarie fiorentine ftuono del 1324 e ri-
volte specialmente contro la preziosità delle
vesti e degli ornamenti maliebri (cfr. G. Vil-
lani, O., IX 246). — 108. qaal torbare ecc.
Ott : « Questo dice in in&mia • vitaperìo
delle dette donne, dicendo che U primo atto e
il pi6 popolesco e volgare della onestade della
femmina è il tenere coperte quella membra
che la natura richiede che siano chiuse; e
però quello, che é natarale, in ogni luogo ò
uno medesimo. Onde dice : le barbare, le quali
sono si partite da' nostri costumi • le sa-
radne, ohe sono cosi date alla lussuria, ohe
dovunque la volontà giugno qaivi per l'Al-
corano di Maometto si dòe sodisfare alla lu*-
suna, si vanno coperte le mammelle e '1
petto ; e voi, che dovete vivere per legge ro-
mana, avrete bisogno d'essere scomunicate •
pubblicate in piazza ». — 106. • spiritali
eco. o pene ecclesiastiche (interdetto, scomu-
nica eoo.) o pene civili (multe, carcere ecc.).
— 106. Ha se le svergogmate eoo. Ma se le
impudiche donne fiorentine fossero certe delle
sventare che il cielo prepara loro per un
tempo vicino, già avrebbero aporte le bocche
ai lamenti della penitenza. — 109. dki, se
l'antiveder ecc. che, se non m'inganna la pre-
veggenza che noi abbiamo dei Iktti avvenire
(cfir. anche ^. zxvm 78), saranno dolenti
pv cotesto sventure prima ohe siano giunti
alla pubertà i fanciulli ohe adesso sono lat-
tanti. Qaanto agli avvenimenti, cui Dante pud
avere accennato, il Del Lungo, n 624 e aegg.,
ricordando le parole con le quali Dino Com-
pagni (O. m 42 : < 0 iniqui cittadini, che
tutto il mondo avete corrotto e viziato di «*•"
costami e fUsi guadagni I Voi siete quelli che
nel mondo avete messo ogni male uso. Oxm
vi si ricomincia il mondo a rivolgere addosso :
lo Imperadore colle sue forze vi Cara pren-
dere e rubare per mare e per terra I ») annun-
ziava sul declinare del 1812 ai vincitori Neri
la venuta imminente di Arrigo vn, e rlawi-
cinandole alle due terzine dantesche, scrive:
« Sento in quelle la profezia d'un latto pe-
dale e determinato ; e i termini di tempo di
cotesta profezia mi conducono o alla venuta
d'Arrigo contro Firenze neH'estate del '12, o
se mai ad altro, alla rotta di Montecatini nel-
l'sgosto del 1816. Ma se l'accenno a quosta,
come lutto di madri e di spose ilorentine,
potrebbe per tale rispetto parere pid probabile
li dove di gastigo di donne si parla, mi fk tut-
tavia preferire l' allasione alle vendette im-
peziali dò che l' idea di queste ha in sé di
pid universale ed ampio e, per Dante, di prov-
videnziale. Per tal modo quel carico d' ìm .
divina ohe Forese pid di dodid anni innanzi
avea veduto, quad assumendo l'nlBdo de'pro*
feti biblici, apparecchiarsi nelle sfere celesti,
Dino annunziava agli ittiqui eittadM essere
per piombare su di loro. Oosi se e storico e
poeta erano riserbati ad un medesimo disin-
ganno, la dolorosa smentita, die le loro parole
rioevetter da' fatti, pare a me che, invece di
scemarne la bellezza artistica e la storica im-
portanza, le renda anzi pid solenni e pid tra-
giche ». — 111. eolil eoo. il bambinello che
PURGATORIO - CANTO XXHI 461
Deh, frate, or fa che più non mi ti celi;
vedi che non pur io, ma questa gente
114 tutta rimira là dove il sol veli ».
Per ch'io a lui: < Se ti riduci a mente
qual fosti meco e quale io teco fui,
117 ancor fia grave il memorar presente.
Di quella vita mi volse costui
che mi va innanzi, l'altr'ier, quando tonda
120 vi si mostrò la suora di colui
(e il sol mostrai); costui per la profonda
notte menato m*ha da' veri morti,
123 con questa vera carne ohe il seconda.
Indi m'han tratto su li suoi conforti,
salendo e rigirando la montagna,
126 che drizza voi che il mondo fece torti.
Tanto dice di fJEtrmi sua compagna
ch'io sarò là dove fia Beatrice;
129 quivi convien che senza lui rimagna.
Virgilio è questi che cosi mi dice
(e addita' lo), e quest' altro è quell' ombra
per cui scosse dianzi ogni pendice
133 lo vostro regno che da sé lo sgombra ».
on si cheta e s' addormonta al canto della 1' 8 aprile 1300. — 119. qnaado ecc. qnando
ninna nanna: cfr. Inf. xzzn 9. — 112. Dth fece la luna piena; cfr. Inf, zxi 127, ove, al
eoo. Ora oh'io ho sodisfatto il tao desiderio, mattino del 9 aprile ò dotto : « e già iemotte
dimmi come sei qoi ; te ne piegano anche fa la lana tonda >. — 120. la sacra ecc. la
i mim compagni, i qoali come me gaaidano lana, sorella del sole. — 121. eostnl eco. egli
tatti all'ombra che ta gitti col corpo, mera- mi ha condotto per l' osoorità dell' inferno,
vigliati che nn yirente percorra qoeste re- dalla sede di coloro che sono morti alla gra-
gioni dei morti. — £rate : cfìr. la nota al Purg. zia divina. — profonda motte : cft. Purg, i
nr 127. — 115. Se ti ridici eco. Se ta ri- 44. — 123. con qiesta ecc. oon qaeeto mio
diiami alla toa memoria la stretta amicizia corpo reale, ohe g^li tien dietro. — 124. Indi
che ci oonginnse nella giorentti e le oonsne- m*haa ecc. Dairinfemo sono passato al por-
tadini di rita viziosa che avemmo insieme (di gatorìo, con l'aiato dei saoi consigli. — 126.
che sono dooamenti i sonetti della cit. ten- che driiza ecc. che vi parifica dalle colpo
sono), ti sarà grave anche in qaesto laogo della vita terrena. — 127. Tanto eco. La mia
di penitenza il triste ricordo ; a Dante co- guida mi dice che mi farà compagnia sino
me a Forese doveva increscere la rimembranza alla cima del monte, ove sarà Beatrice e ove
di on periodo della loro vita, in cai se- dovrò essere abbandonato da Virgilio: ctr.
guondo le false imagini di bene (cfr. Purg. xxx I^U > 121, Pvirg, vi 45. — compagna: compa-
130 e segg.) s' erano abbandonati al vino : a gnfa ; forma arcaica, che si trova anche in
Dante doveva increscere, perché ora sotto la Inf. xxvi 101, Pwrg. m 4, e in molti altri lao-
gaida di Virgilio si stadiava di ritornare alla ghi di scrittori antichi. — 181. • quest'altro
virtù; a Forese, perché aveva per grazia di- eco. e l'altro mio compagno è Stazio, per il
vina iniziata già T espiazione dei suoi peo- quale poco fa il monte sacro del purgatorio,
cati. — 118. DI qiella vita ecc. Dalla vita onde egli è licenziato por salire al cielo, scosse
terrena mi trasse volgendomi a questo viaggio tutte le sue pendici (cfr. Pwrg. xx 127 e segg.,
Virgilio, che mi precede, pochi giorni or sono, xxi 84 e segg.).
462 DIVINA COKMEDU
CANTO XXIV
Camminando per il sesto cerchio, Forese indica a Dante molti dei suoi
compagni di penitenza e tra essi Baonaginnta Orbicciani lucchese: poi, al-
lontanatosi Forese, i tre poeti arrìyano sotto on altro albero, di mezzo al
quale nna voce ignota ricorda esempi di golosità, e finalmente perrengono
alla scala che condaee al settimo cerchio [12 aprile, dal mezzodì alle ore
dae pomerid.].
Né il dir Pandar, né l'andar lui più lento
£&cea, ma ragionando andavam forte,
3 si come nave pinta da buon Tento.
E l'ombre, che parean cose rimorte,
per le fosse degli occhi ammirazione
6 traean di me, di mio vivere accorte.
Ed io, continaando il mio sermone,
dissi : < Ella sen va su forse più tarda
9 che non flBirebbe, per l'altrui cagione.
Ma dimmi, se tu '1 sai, ov'è Pìccarda;
dimmi s'io veggio da notar persona
12 tra questa gente che si mi riguarda ».
« La mia sorella, che tra bella e buona
non so qual fosse più, trionfa lieta
15 nell' alto Olimpo già di sua corona ». |
Si disse prima, e poi: e Qui non si vieta
XXIV 1. He il dir eco. Dante e Foiose 133) : si ricordi che Dante eia anirato a par-
procedeyano conversando animatamente, nò lare di Stazio e della eoa liberazione e si oe-
il parlare ritardava il camminare, come il cam- servi con quanta natoralezza egli oontinni il
minare non impediva la conversazione. Del precedente discorso, non interrotto nella si-
verso dantesco si ricordò T Ariosto, OrL xua toazione reale, ma solo nell'opera scritta, per
84 : « Non, per andar, di ragionar lasciando, descrivere in nn breve intermezzo (w. 1-6)
Non di segnir, per ra6:ionar, lor via >. — 8. la posizione sna e del compagno rispetto agli
s£ cene Bara eoo. come nna nave spinta da altri personaggi. — 8. Ella len va eco. L'a-
vento favorevole. Bnti : < Àddnoe sìmilitn- nima di Stazio va sa verso il cielo pia lenta
dine, che andavano fortemente come la nave che non fEuxtbbe se fosse sola, se non le fosse
qoand'ella ò spinta da buon vento; e cosi cagione a indugiarsi il desiderio ch'essa ha
noi eh' eravamo oondntti sa dal boon volere, della compagnia di Virgilio : cJ^. I^irg» tto
guidati dalla grazia di Dio ». — 4. che pa- 96. — 10. ov* k Pleearda : Ficcarda Donati,
reaa eco. che per l'estrema magrezza pare- sorella di Forese : cf^. Par, m 49. — 11.
vano cose ormai oonsonte ; qoando ai rimort»f dlnMl s* lo eco. : cfr. Inf, xx 104. — 13.
dice il Ventali 248 : « parola stupendamente La mia aorella ecc. Ficcarda, la quale non
coniata dal poeta, non è l' iamqw Uamm mo- so se fosse piò bella o pi6 buona, è trion-
rien» di Ovidio, ove narra di Euridice (lùL, fante già nel paradiso, lieta della sua beati-
X 60), ma risponde più tosto all'otitorM bia- tudine: inftttti Dante l'incontrerà nel cielo
mortuoó di s. Giuda, 12 ; ed esprime idea non della luna, tra gli spiriti ai quali fu impedito
di ripetizione, ma si d' aggrandimento ». — di compiere i vóti religiosi (Bar. m 88-120).
6. per le fosse eoo. con gli oochi profonda- — 16. i^nì non si vieta eco. In questo cer-
mente incavati mi guardavano oon gran mera- chic non è proibito, anzi ò pi6 opportuno che
viglia, essendosi accorto che io era ancora altrove, l' indicare per nome daacuno dei pe-
vivonte. — 7. il mio sermoae eco. il discorso nitenti, poiché la nostra sembianza è coti
incominciato con Forese (cfr. Pitrg, xxm 115- consunta per l' astinenza che non
"■W^
PURGATORIO - CANTO XXIV
463
di nominar ciascun, da eh' è si munta
18 nostra sembianza via per la dieta.
Questi (e mostrò col dito) è Bonagiunta,
Bonagiunta da Lucca; e quella faccia
21 di là da lui, più che P altre trapunta,
ebbe la santa Chiesa in le sue braccia:
dal Torso fu, e purga per digiuno
24 l'anguille di Bolsena e* la vernaccia ».
Molti altri mi nomò ad uno ad uno;
e del nomar parean tutti contenti,
27 si ch'io però non vidi un atto bruno.
Vidi per fiome a vóto usar li denti
Ubaldin dalla Pila, e Bonifazio
rioonoteiatt al Tolto: ofr. D'Ovidio,
pp. 610-611. — 19. BoMfllaBto: Bonagiunta
OiUodaiii des^ Oreraidi IncohMe, Tisaato
BtDa Moo&da metà del aeo^ zm, almeno
lino al 1296, in coi fti operaio dell* chiesa
di 8. Martino di Lneca, tu. nn rimatore sfa-
Torerolaieiite gindioate da Dante, De vuig,
fiorii. I 18 : le sue poesie, delle quali aranza
nn nvmero oeserrabile (Val. I 471-688), mo-
■trano eh' egli fti alletto imitatore doUa lirica
proTonzale, aenza originalità d'inyenzioni e
senza alcon pregio di eeproaaione e di stile
(efr. la nota al r. 60). Come nomo fb « cor-
rotto molto nel Tizio della gola», dice il La-
na; e lo steaso ripetono sa per giù tatti i
poslarl<»i interpreti, dedncendo probabilmente
la notizia del Tizio di Bonagianta dal laogo
die Dante gU assegnò nel poxgatorio : cfr.
C. Minatoli, OmImmi « gU ottH ImooAmì eco.
nel Dagd» • U mn moolo, pp. 222 e segg. —
20. 0 ««ella faeeia eco. OsserTa il Ces. che
Dante dice qmUa faeoia cper tsner chi legge
più aiBaato all' idea dell'emadazione : la quale
tro^o più ohe attxoTe nella fitoda appaiisce;
anche, perché le fattezze ohe oontradiitin-
gaono ano dall'altro, dimorano in ispedeltà
neOa faoela ». ~ 21. travoata t estennata,
eonsonta, eome se le infossatore e le scabro-
sità deQa pèlle rendessero idea di on layoro
di trapanto. — 22. e%l»e la santa eco. tn
spoeo drila Chiesa (cfr. Inf. xa 67, Purg,
XB 186): qaesto pontefice, allogato da Dante
fta i golosi, tu Martino IV, eletto nel 1281
e morto nel 1286, lasciando ftuna di nomo
« magri f>p<™» e di grande onore ne' fatti della
chiesa » {Q. Villani, O. td 68). Del sno Tizio
della gola seiiTe il Lana : < Fa molto tìzÌoso
della gola, e fta l' altre ghiottomle nel man-
giale ch'eUi asaTa, faoea tórre l'angaille dal
lago di Bolsena, e qaelle faoea annegare e
morire n/A Tino della Teraacda, poi fatto ar-
rosto le mangiaTa ; ed era tanto sollecito a
qoèl boccone, che oontinao ne Tolea, e fa-
esite corsie e annegare nella soa camera :
e circa lo fatto del Tontre non ebbe né oso
né misnra aloona, e qnando elli era bene in-
cerato, dioea : 0 tanotuM Dmu, q%ianla tnaia
patimur prò BooMa mnda Dd ». Oli altri
antichi commentatori confermano qaesf osan-
za di Martino IV; e P. Pipino OItnx., Rer,
TX 726) dà i Tersi posti sai sao sepolcro :
CfoMdttuU ùnffuiUa», quod morkm» ui homo
UU, Qui guati morte reat nooHabai «m: il
Bati poi riferisce altri particolari droa le ga-
lanterie cnlinarie di qaesto pontefice. — 23.
dal Terso eoo. Martino IV fa di Montpinoé
nella Brio, ma è detto dal Torso per essere
stato tesoriere della cattedrale di Toors. —
per diglinet per mezzo del digiano, cai
sono astrette le anime di qneato cerchio (cfir.
Purg, xxm 67). — 26. e del nomar ecc. e
d' eesur nominati paroTano tatti contenti, spe-
rando che io fossi per procurar loro soffragi
di pressore; di gaisa che nessano fece di-
mostrazione di rincrescimento dell'esser stato
indicato per nome. — 28. per IkiM eco. mao-
Tere inutilmente i denti, quasi Toleesero man-
giare. È un ricordo OTidlano, M§t, vm 824,
di Erisitone (cft. Pu/rg. xxm 26) : « petit iUe
dapes sub imagine somni, Oraque Tana mo-
Tet dentemque in dente fatigat, Ezeroetque
cibo delosum guttur inani, Proque epuUs te-
nnos nequiquam doTorat auras ». — 29. Uàal-
dlB daUa Pila: Ubaldino degU XJbaldini, di
quel ramo della celebre famiglia che prese il
nome dal castello della Pila nel Mugello (Be-
petti IV 262), Tisse nella seconda metà del
secolo xm, e si ha memoria di lui nel 1291,
qoando Airono liberati dalle caroeri di Lucca
egli e Bonaccorso da Bipafratta stati presi
innanzi nel castello di Buti (Bepetti IV 769) ;
fu fhttello del cardinale Ottaviano, h^f. x
120, e di Ugolino di cui si cfr. Purg. xnr
106, e padre di Buggierl sroiTeeooTo di Pisa,
Inf, xxxm 14 (cfr. G. B. Ubaldini, JUor. della
casa tkgH Ubald, cit., p. 68 e aogg.). Dicono
gli antichi commentatori eh' ei fbese molto
goloso, sebbone non s' accordino nei partioo-
464
DIVINA COMMEDU
SO che pasturò col ròcco molte genti.
Vidi inesser Marchese, ch'ebbe spano
già di bere a Forlì, con men secchezza,
83 e si fii tal che non si senti sazio.
Ma, come fa chi guarda e poi fa prezza
più d'un che d'altro, fé' io a quel da Lucca,
86 che più parca di me aver contezza.
Ei mormorava; e non so che « Gtotucca »
sentiva io là, ov'ei sentia la piaga
89 delibi giustizia che si li pilucca.
€ O anima, diss'io, ohe par si vaga
di parlar meco, & si ch'io t'intenda,
42 e te e me col tuo parlare appaga ».
1
lari ; che il Lana attesta che peood < in q[aan-
tità oltr* misora », l'Ott inreoe nella qo*-
lità, piacendogli la < elezione dei piA diletti
cibi». — BenllÌMio: Boniftoio dei Fieeolil
genoTese, nipote di Innocenzo IV, nominato
aidreecoTo di Ravenn» nel 1274, legato pon-
tifiolo in Bomagna, nunzio del papa al re di
Francia, morto nel 1294, tn anch'e^ se-
condo gli antichi, golosissimo nomo. — 80.
eàe pastarò ooo. La retta spiegazione di que-
sto verso è data dal Lana: < Fa aroirescoTo
di Barenna, lo qoale non porta lo pastorale
cosi ritorto come gli altri arciTesooTi, ma è
fatto di sopra al modo di ròooo degli scac-
chi » ; e veramente il pastorale antico degli
arcivescovi di Ravenna, che ancor si con-
serva, porta alla dma nn prisma esagonale
terminante da ambo le parti in piramide, che
rende l'idea di nna piccolA ròcca o torre,
come il ròcco degli scacchi (cfr. Ferrazzi V
416). Secondo un'altra interpretazione, il vb.
padurò sarebbe nel senso proprio di alimen-
tare, nutrire, e conterrebbe un'allusione alla
beneficenza esercitata da Bonifazio verao la
popolazione di Argenta, alla quale avrobbe
aperto i granai aroivoscovili in tempo di ca-
restia (cfir. F. Savini, Oiom. danL I 171).
— molte gtHil : perché 1' arcivescovo di
Ravenna estendeva la sua autorità spiritua-
le su tutta la Bomagna e parte dell' Emi-
lia, ricco e grande paese. — 31. Tldl mes-
■cr Hareliese ecc. Marchese degli Argogliosi,
nobile cavaliere forlivese, fu podestà di Faen-
za nel 1206; di esso racconta Benv. che
avendo chiesto al suo canovaio che cosa la
gente dicesse di Jui senti rispondersi : « Si-
gnore, si dice che voi non fate mai altro che
bere > , ed egli allora soggiunse rìdendo : < Per-
ché non dicono mai che ho sempre sete ? ».
— eh* ebbe spazio ecc. che vìvendo ebbe
agio di bere in Ferii, ove abbondano i vini
buoni e potenti, con minor sete eh' ei non
abbia in purgatorio; e pure non riusci mai
a saziarsi. — 8L eoae fi eoo. come fa cohd
che guarda tutti i presenti e poi Ca stima piA
di uno che di altri, cosi io goaidando tutti
quei penitenti féd maggiore stima del luc-
chese Buonagiunta, il quale pareva cono-
soermi me^o degli altri. — prtsia: stima,
prezzo; of^. Parodi, BuU, m 118. ~ 87. Kl
normorava eco. Buonagiunta parlava som-
measamenta, ma nella sua bocca io sentiva
distintamente il nome Gentucca. n Boti fu
il primo a ravvisare in questo nome il ri-
cordo di una donna amata da Danto : « l'au-
tore (dice il Buti) essendo a Lucca puoee
amore ad ^p^ gentil donna chiamata w»^^ «*■»«»*
Gentucca, che era di Bossimpelo, per la virtd
grande et onestà ohe era in lei, non per al-
tro amore », • la notizia da lui data fu a^
colta dalla maggior parto dei commentetori
posteriori: poi C. MinutoU, OmUueea • ffK
altri hueh, nel DtmU • ti suo geo.^ pp. 233
e segg., dimostrò con l'aiuto dei dooumeati
che tra le donne lucchesi di cotesto nome
quella cui meglio si conviene l' accenno dan-
tesco è Qentaoca Moria, maritata a Buona»-
corso Fonderà, la quale viveva, nel fiore d^Ia
giovinezza, nel 1317, a poca distanza cioè dal
tempo in cui Danto può aver visitato Lucca
(cfr. w. 43-48). Oli altri antichi, Lana, Ott,
An. fior., Benv. (cfr. per altro la noto al
Purg. xzxi 69, ove Benv. manifesto un'altra
opinione) intondono gótUueea come nome co-
mune, por gmiuoeia^ riferendolo alla turba
delle anime ch'erano sotto l'albero in gran
desiderio del frutto e dell'acqua. — 88. là
ov*ei ecc. nella bocca, ove più forto egli
sentiva il tormento della fame inflittogli da
Dio. — 89. pilieea: rode, consuma a poco
a poco (cft. Parodi, Bulk m 154); lo stesso
dello sfoglia del PÙrg, xzm 68. ~ 41. eh' la
riateada: Buonagiunto aveva pariato aom-
messamento, né Danto aveva capito che cosa
significasse quel nome di Oentucca bisbigliato
dal lucchese; però gliene chiese ^iega^one.
PURGATORIO - CANTO XXIV
455
€ Femmina è nata, e non porta ancor benda,
cominciò ei, che ti farà piacere
45 la mia città, come ch'uom la riprenda.
Tu te n'andrai con questo antivedere;
se nel mio mormorar prendesti errore,
48 dicliiarìranti ancor le cose vere.
Ma di' s'io veggio qui colui che fiiore
trasse le nuove rime, cominciando:
61 ' Donne, ch'avete intelletto d'Amore ' ».
— 43. renalM eoo. É già nata (siamo nel
1300) ed è ancora gioTÌnetta, non porta le
benda déDe donne maiitate, nna femmina,
cioè qaella Oentnoca poc* anzi ricordata, la
quale ti fuh piacere la città di Lacca, seb-
bene or sia generalmente rìpiefla. — 45. eome
dk* eem ecc. Accenna ai motd coi quali i to-
scani in generale e massime i fiorentini e
^sam persegoitarono in ogni tempo i Ino-
chesi, tenad oonserratori della loro indipen-
denza ; e forae anche alla fama ch'essi are-
Tano di ban^tieri, raccolta da Dante, Inf. xxi
41. — 46. Ta «e a'aadral eco. Ta te n'an-
drai con qnesta profezia, di* io f ho fatta,
cioè ohe una glorine donna luodhese ti tuh
piacer la mia città. — 47. se ael mio ecc.
se ta tt sei ingannato quanto al Tslore delle
parole ch'io monnorara, i fatti ti chiariranno
a loro significato. — 49. Ha di* eoo. Ma
dimmi se io non sono in errore, se tn sei
Toramente quel Dante Ali^^eri, che iniziò
nna naoya maniera di poetare, dandone il
primo esempio con la canzone Donne, eh' aveU
intellMo d^ Amore, — 60. le aiOTe rime ecc.
Per la i^na intelligenza dì qaosto passo ò
da notare che qoando Dante incomincid a
poetare, circa nel 12B3, dae scuole di poesia
lirica fiorivano in Italia: la scuola sioaùuta,
cosi detta dal luogo ore prima si formò, al-
largandosi poi assai presto a tutto il mezzo-
giorno d'Italia e alla Toscana, doUa quale
Bcoola furono capi, in Sicilia il notaio Oia-
oomo da Lentini (ofr. v. 66) e in Toscana
Boonagiunta da Lucca; e la scuola doUrinalet
che teorizzò largamente sull'amore, fiorita
specialmente in Toscana con Guittone d' A-
rezzo (cfr. Purg. xxvi 124) © in Bologna con
Guido Gulnizolli (cfr. Pwrg, xxvi 92). I poeti
della scuola siciliana non fecero altro che
dare reste italiana alla lirica provenzale, re-
ftiingendola agli argomenti amorosi e predi-
ligendo laforma metrica della canzone: queUi
della scuola dottrinale si staccarono dalla poe-
sia provenzale, introducendo nelle lor rime
le teodche e le discussioni intomo all'amore,
allargando^ alcuni ad argomenti filosofici o
religiosi o poUticl, tentando di nobilitare lo
stile poetico coU' avvicinarsi più alla costru-
zione del periodo Utino, accogUendo accanto
Daictb
alla canzone il sonetto. A queste due scuole
seguitò la fiorentina, detta del dolee stU nuovo
(cfr. r. 67), cui appartennero, oltre Dante,
Guido Oavalcanti (cfr. Inf. z 60), Lapo Gianni,
Dino Frescobaldi, Gianni Alfani e pid altri.
Questi poeti, morendo dalla teorica del Gui-
nizelli sulla natura dell'amore, considerato
come 11 sentimento proprio delle anime vir-
tuose, crearono tutto un sistema d'idealiz-
zazione della donna, mescolando le specula-
zioni dottrinali allo imaginazioni geniali della
fantasia, e della poesia amatoria fecero per
1 primi in Italia una vera opera d'arte: poi-
ché alla profondità e novità dei concepimenti
seppero far corrispondere uno stile più franco
e perspicoo, una lingua più naturale • più
efficace, e forme metriche meglio determinate
(canzone e sonetto) o raccolte dalla poesia
del popolo (ballata). Tale svolgimento della
lirica italiana nella seconda metà del se-
colo xni è poeticamente rappresentato in que-
sto episodio di Buonagiunta. — 61. Donae,
eh' avete eco. Cosi comincia la prima can-
zone della Vita imiomi, zix 17-86, della quale
ecco sommariamente il contenuto : n poeta
canta della sua donna per isfogo dell' animo
commosso, rivolgendo le sue parole alle donno
innamorate (17-90) : le nature angeliche pre-
gano il Signore di accordar loro la compa-
gna di Beatrice, ma la misericordia divina
vuol eh' ella rimanga anoora sulla terra (81-
44). D poeta vuol dire le virtù della sua don-
na, la quale ove appare spegne ogni malva-
gio pensiero, nobilita chi la vede e ottiene
la grazia divina a chi le parla (46-58) : Amore
stesso non sa come ella possa essere mortale
e la giudica opera divina, chó il suo corpo
ò diffuso d'un soave colore di perla, gli oc-
chi feriscono il cuore a chi la riguarda e tutto
il suo aspetto è sorridente d'amore (59-72).
Da ultimo il poeta manda fuori la sua can-
zone perché trovi la via a Beatrice, ferman-
dosi a chieder di loi solo a donne gentili e
a uomini cortesi che la accompagnino là ove
potrà raccomandar lui ad Amore (73-86). Que-
sta canzone, nella quale, come Dante stesso
dice (F. N, XVII 6), gli « convenne ripigliare
materia nova e più nobile che la passata >
dod la lode della gentilissima Beatrice, fu il
30
466
DIVINA COMMEDIA
I2d io a lui : « Io mi son un che, quando
amor mi spira, noto, ed a quel modo
54 che ditta dentro, vo significando ».
€ 0 frate, issa veggio, disse, il nodo
che il Notare e Guittone e me ritenne
67 di qua dal dolce stil nuovo eh' i' odo.
Io veggio ben come le vostre penne
di retro al dittator sen vanno strette,
60 che delle nostre certo non avvenne;
e qual più a guardar oltre si mette,
non vede più dall' uno all' altro stilo » ;
63 e quasi contentato si tacette.
Come gli augei che veman lungo il Nilo
alcuna volta in aer fanno schiera,
66 poi volan più in fretta e vanno in filo;
prindpio delle mtov» rium, dod della liiioa
della scuola fiorentina, ooi accenna Baona-
ginnta. — 62. Io mi bob ecc. Dante espone
qui il prindpio fondamentale della poeda, por
coi lo stile ò l'intima rispondenza della pa-
rola al penderò (ofr. Inf. i 87), e dice : Io
sono uno ohe, quando mi sento inspirato dal
sentimento dell'amore, oesenro la natina di
qnesto sentimento, e in oonformità a oid di' d
snsdta nell' animo mio, ai fantasmi che eodta
nella mia imaginazione, yado dgniflcando nelle
parole. — 56. 0 frate ecc. Bnonagiunta, ri-
matore d' imitazione, confessa la sua inferio-
rità, poiché non conobbe questo princ^o fon-
damentale dell'arte della parola, e involge
seco, in nna sola condanna, il capo della scuola
siciliana e quello della scuola dottrinale, di-
cendo : Fratello, ora vedo l' impedimento che
tenne il notaio Qiacomo da Lentini, fra Chiit-
tone d'Arezzo e me lontani dalla perfedone
della poesia di cui tu hai dato l' esempio. —
issa: cfr. Inf, zzvz 21. — 66. 11 Notare:
cosi fa chiamato, quad per antonomasia, Gia-
como da Lentini, uno dd prindpali notai
della curia di Federico n, autore di un can-
zoniere di rime provenzaloggianti (VaL I
249-819): visse contemporaneo a Pier della
"Vigna, appena redattore di atti imperiali nd
1233 e venne a morte intomo al 1250. Dante,
De vuig, etoq. i 12 ricordd una canzone del
Notare non senza parole di lode per la lin-
gua ; ma qui nd poema dio di lui più severo
giudizio, avendo il penderò a tutta l' arte di
Giacomo da Lentini, che fu di pretta imi-
tazione trovadorica : cfr. F. Tornea, IlnoL
O. da J>iU%n<, in Studi au la lirica Ual.,
Bologna, 1902, pp. 1-88, e A. Zenatti, Il No-
tato da LtnHnif Messina, 1889 (ofr. BuU, VI
222). — e Guittone : su Guittone d' Arezzo,
capo in Toscana della scuola dottrinale, ofir.
Purg, xzvi 124. — 67. dolee stil buovo : que-
ste parole divennero poi appellativo proprio
della scuola fiorentina, di cui Dante io. pro-
motore e massimo ornamento (cfr. la nota al
V. 60). — 68. Io Ttgglo eoo. Bnonagiunta non
fa che ripetere dò che Danto ha detto a lui,
dod: Io ora conosco corno vd sorìvondo se-
guite r ispirazione d' amore, mentre noi ba-
dammo più tosto all'imitazione dd provenza-
li. — 61. 0 q«al ecc. e chiunque d mette a
conddorare più oh' io non ho fatto la differen-
za fra il vostro e il nostro stile non può ve-
dere altro di diverso tra l'uno e l'altro, se non
che il vostro risponde all' ispiradone d'amore,
il nostro a un pedissequo criterio di imita-
done. È incredibile la quantità e la qualità
delle stranezze, in* cui s'avvolsero antichi e
moderni interpreti per questi verd e per i
precedenti : mi sono tenuto alla spiegazione
più sempUoe e più naturale, che d offre spon-
tanea a ohi legge le parole di Dante con qual-
che conoscenza dell' argomento e senza pre-
concetti ; chi voglia un saggio ddle altrui idee,
cfr. L Ddla Giovanna, NàU UUerarié, Faler-
mo, 1888, pp. 1-26. — 63. e qaaal ecc. Bno-
nagiunta, sodisfatto delle parole di Dante
e della propria confesdone, d tacque e non
volle più saper dtro. — 64. Come gii aagel
eoo. dome le gru, uccelli che passano l'in-
verno lun^ il Nilo (cfr. I^trg, jlulvi 46),
formano qudche volta una schiera larga e
compatta, che poi per la fletta dd volare d
risolve in una lunga riga; cod le anime,
raooolted per un momento a guardare, ripre-
sero a camminare in fila. Il germe della oom-
parazione ò in Lucano, Fan, v 711 : < Stry-
mona do gelidum, bruma pellente, réUnquuut
Poturae te, Nilo, grues, primoque volata £f>
fingunt varìas, casu monstrante, figuras».
>- 66. vanao in filo: cfr. Inf, v 47. —
PUBGATORIO — CANTO XXIV
467
cosi tutta la gente che li era,
volgendo il viso, raffrettò suo passo,
69 e per magrezza e per voler leggiera.
E come l'uom che di trottare è lasso
lascia andar li compagni, e si passeggia
72 fin che si sfoghi PaflPòllar del casso;
si lasciò trapassar la santa greggia
Forese, e retro meco sen veniva,
75 dicendo: « Quando fia ch'io ti riveggia? >
<Non so, rispos'io lui, quant'io mi viva;
ma già non fia il tornar mio tanto tosto
78 ch'io non sia col voler prima alla riva:
però che il loco, u'fui a viver posto,
di giorno in giorno più di ben si spolpa,
81 ed a trista mina par disposto ».
« Or va, diss' ei, ohe quei che più n' ha colpa
68. TOl^eado il Tito eoo. ▼olgondosi a desti»,
nella direnone del loro cammino, mentre sino
allora arerano guardato Dante (cfir. tv. 4-6).
— 69. e per magressa eoo. la magiesza e
il dedderio della penitenza rendevano le ani-
me pi6 agili al oorso. — 70. trottare: oor-
rere ; e dioed più propriamente degli animali,
ma anche degli nomini (p. ee. Booo., D«o.
g. n, n. 2). — 71. paiieggia : U vb. jiOMéi^
gian qtd vale camminare al passo. — 73.
fin elie eoe. fino a che sia calmata V affan-
nosa reepiradone, prodotta dalla corsa. —
Mito X cfr. Inf. zn 122. — 73. if lasciò eoo.
cosi Forese lasdd passare avanti la schiera
dei golosL — 76. Q«Mdo fla ecc. Quando
accadrà che io ti riveda, o qoi o altrove ?
Notano alcnni commentatori ohe, ponendo in
bocca a Forese queste parole, Dante abbia
Tolnto indirettamente confsesarsi colpevole
del vixio della gola; ma, oltre ohe l'inten-
zione sna non sarebbe troppo manifesta, ò
da osservare òhe il nostro poeta Ai molto
temperato : « nel dbo e nel poto (scrive il
Bocc, VUa di D. 9 8) fu modestissimo, si in
prenderio all' ore ordinate e sf in non tra-
passare 11 segno della necessità qnel pren-
dendo ; né alcuna curiosità ebbe mai più in
uno che in un altro : li dilicati lodava, e il
più si pasceva di grossi, oltramodo biasimando
coloro, li quali gran parte di loro studio pon-
gono in avere le cose elette e quelle fare
con somma dUigonzia apparecchiare >. — 76.
Kob so ecc. Non so quanto tempo io debba
vivere ancora, ma non morird mai cosi pre-
sto come desidererei ; perché vedo la mia Fi-
xonze precipitare di giorno in giorno di più
nd male e inchinata alla peggiore rovina.
Accenna novamente alle discordie fiorentine,
che s' andavano manifestando nella città in-
tomo al 1800, cagione primissima della ro-
vina di Firenze ; cfr. Inf. vi 64 e segg. —
77. il tornar eoe il mio ritomo nel purga-
torio, dopo la morte. — 82. Or va eoo. Fo-
rese cerca di consolar Dante predicendogli
in forma oscura la prossima morte ignomi-
niosa di Oorso Donati, il maggior colpevole
dei mali ohe oppressero Firenze nel principio
del secolo xiv. — qiel ohe pld ecc. Corso
Donati, fratello di Forese e di Fiocarda, tu.
podestà negli anni 1283 e '88 a Bologna, e
nel 1289 a Pistoia, e a Bologna capitano
del popolo nel '93 ; e come capitano dei Pi-
stoiesi combatté a Gampaldino: più tardi ebbe
gravi inimicizie coi Cerchi e coi Cavalcanti,
contro i quali seguitò parte Nera; confinato,
durante il priorato di Dante dal giugno al-
l'agosto 1300, rappe il confine e alla venata
di Carlo di Valois (cfr. Purg. xx 70) rientrò
in Firenze ; alla cacciata della parte Bianca,
rimase uno dei capi della parte Nera, gui-
dandola alle mberìe e ai maleflzt ; nel 1303
incominciarono le sue discordie coi Neri e
specialmente con Bosso della Tosa, le quali
toccarono il colmo quando Corso oongìorò
per farsi signore assoluto della città: ma i
suoi avversari presero le armi, e Corso co-
stretto a fuggire cadde morto presso San Salvi
il 6 ottobre 1308. « Fu (scrive D. Compagni,
Or, m 21) cavaliere di grande animo e nome,
gentile di sangue e di costumi, di corpo bel-
lissimo fino alla sua vecchiezza, di bella forma
con dilicate fattezze, di pelo bianco; piace-
vole, savio e ornato parlatore, e a gran cose
sempre attendea; pratico e dimestico di gran
signori e di nobili uomini, e di grande ami-
stà, e famoso per tutta Italia. Nimico tu. dei
popoli e de' popolani, amato da' masnadieri,
pieno di maliziosi pensieri, reo e astuto. Morto
468
DIVINA COMMEDU
yegg'io a coda d*ana bestia tratto
84 in vèr la Valle, ove mai non si soolpa.
La bestia ad ogni passo va più ratto,
crescendo sempre, fin ch'ella il percuote,
87 e lascia il corpo vilmente disfatto.
Non hanno molto a volger quelle rote
(e drizzò gli occhi al oiel) che ti fia chiaro
90 ciò che il mìo dir più dichiarar non puote.
Tu ti rimani ornai, che il tempo è caro
in questo regno si ch'io perdo troppo,
98 venendo teco si a paro a paro ».
Qual esce alcuna volta di galoppo
lo cavalier di schiera che cavalchi
96 e va per fiirsì onor del primo intoppo,
tal si parti da noi con ma^ior valchi;
ed io rimasi in via con esso i due,
99 che fÙr del mondo si gran maUscalchi.
E quando innanzi a noi entrato foe,
che gli occhi miei si fero a lui seguaci,
102 come la mente alle parole sue,
parvermi i rami gravidi e vivaci
fa da uno straniero ood Tilmente; e ben sep-
pono i consorti dii l'noolsei che di subito
da' snoi fi mandato via. Ooloio ohe uccidete
Io fedone furono m. Bosso della Tosa e m.
Pazzino de' Tbxsì, che yolgarmente per tatti
si dicea : e tali li benedioeano e tali il con-
trario >. — 88. Tegg'lo a eoda ecc. veggio
tratto a coda di cavallo verso l'inferno. Il
Compagni, Or, m 21, dice che Oorso Donati
fa preao dai mercenari catalani della Signo-
ria mentre fuggiva verso la badia di San
Salvi, faori della città, e che on di quelli
gli did d' ona lancia alla ^la e nel fianco si
eh' egli cadde a terra morto ; il Villani, Or,
vm 96, lo Stefiuii, 2ìrf. ;^. iv 264, a Ma-
chiavelli, Ist. fior, n 28, e i commentatori
antichi raccontano variamente la morta di
Corso: Dante, giovandosi delle varie voci
corse sa questo fatto e colorendole libera-
mente, rappresentò la fine del grande agita-
tore di parte Nera come miracolosa, imagi-
nando ch'ei fosse tratto a coda di cavallo
verso l'inferno. — 86. ratto: rapidamente.
— 87. vllmeate disfìatto: ignominiosamente
aociso ; perché il corpo di Corso rimase ab-
bandonato sulla via, e fa poi ricolto dai mo-
naci di San Salvi. — 88. Naa haaBO eoe
Non devono lungamente rotare le celesti sfe-
re, non devono cioè passare molti anni : dal
1800 al 1808 Ò spazio di tempo relativamente
breve. — 91. Tu ti rlmaal ecc. Ormai ri-
mani pure addietro coi taci compagni, dio
nel purgatorio il tempo è cosC prezioso cha
io venendo teco di pari passo troppo ne per-
dere. — 94. Qaml etee eoe Lomb. : € dome
interviene aloana volta ohe, cavalcando adde-
rà di soldati per incontrare il nemico, alcun
de' pifi arditi esce dalla schiera di galo^o
incontro al nemioo, per aver esso l' onore
d' essere il primo a combattere ». — 96. 1m-
topi^: «primo incontro coi nomid», dice
il Boti ; significalo che bene risponde all' eti-
mologia della parola (cfir. Dies 821) e al va-
lore dd vb. inkippar» (ofr. Inf, vn 2S, xn
99). — 97. eoa maggior valeklt oon passi
maggiori dei noatri: talco è forma contratta
dieoMoo (cfir. Parodi, BtdL WL lOlX varoo,
tratto al senso di pano. — 98. eoa e«8« 1
dnet oon soli Stsdo e Virgilio, aenz* altra
compagnia: cfir. Puirg, iv 27. — 99. bmOI-
sealdil: maestri; significazione gwwrica a
cui la parola è tratta dal suo partioolar senso
di maestro d'anni e di cavaUi (ofir. Diez 204).
— 100. f nasda eco. allorché fa tanto lon-
tano da noi che 1 mid occhi lo vedevano
oonfoMBiento nello stesso modo che la mia
mente consideraTa la profeda da Ini *'***«n''
— 101. gli «eeki eoo. cfir. Virgilio, £bi. vi
200 : < Qoaatam ade possent oonli servare
sequentum > (cfir. Moore, 1 181). — lOB. par-
vermi eoo. Quesf albero che sorge aU' uscita
del sesto cerchio è un rsmpdlo deU' albero
della scienza dd bene e dd male (ofr. r. UT),
ed è imaginato in CQrrispcmdMkia all' albero
PURGATORIO — CANTO XXIV
469
d'un altro pomo, e non molto lontanì|
105 per esser pare allora volto in làci.
Vidi gente sott'esso alzar le mani
e gridar non so ohe Terso le fronde,
106 quasi bramosi £Euitolini e vani,
ohe pregano, e il pregato non risponde,
ma per òae esser ben la voglia acuta,
111 tien alto lor disio e no 1 nasconde.
Poi si parti si come ricreduta;
e noi venimmo al grande arbore adesso,
114 che tanti preghi e lagrime rifiuta.
< Trapassate oltre senza feurvi presso;
l^QO è più su ohe fu morso da Eva,
117 e questa pianta si levò da esso » :
si tra le frasche non so chi diceva;
per che Virgilio e Stazio ed io, ristretti,
120 oltre andavam dal lato che si leva.
< Ricordivi, dicea, dei maledetti
nei nuvoli formati, che satolli
123 Teseo combatter coi doppi petti;
e degli ebrei, ch'ai ber si mostrar molli,
per che no' i volle G^eon compagni,
eb» foi|^ air entrate (ofr. IStrg, xxn 180) :
da questo vsoiraimo Tod a xicaidaxe esempi
di gokMltà punite. — grarldl • TlTftel : ca-
liobi di Cnitd e di verdi foglie. — 106. per
•ntr eoo. perohó eolamento allon ero stoI-
teto daOa eorva del monte, nella diiexione
del Inogo ore l'albero aoigev». ~ Uelt là
(efr. Parodi, BmU. m 188). — 106. Tldl eoe
I golosi itenno sotto Palbero, con le mani
risate • gridando paiole di desiderio verso i
rami, ch'essi vedono Iwn oaiiehi di fratta. —
106. fnasl %raai<^BÌ eco. oome Canno i tendol-
letti, che slzan le mani e gridano chiedendo
qualche cosa a nomini, ohe non rispondono
né poro alle loro preghiere, ma mostrano loro
la oosa desiderate tenendola alte perché non
v'arrivino, e oosf -eccitano maggiormente il
loro desiderio. Si consideri la bellezza di que-
ste comparaxione, còlta dal vero e resa con
tratti cosi fedeli ohe l'azione appare quasi
agli occhi del lettore con tutti i caratteri
deDa realtà. — HO. senta: ofr. Jnf, zxvx
121. — 112. rlerednte: persuasa ormai di
non linsoiie a cogliere 1 pomi dell'albero
vietato. ~ 118. e nel eoo. e noi ci acco-
stammo snUto SU' albero, che non esaudisce
le lagiimose prei^ìiere di tanto anime. —
■fleis»; oltre il signiflcato moderno (I^irg,
xvm 106), due altri ebbe questo avverbio
nella lingua antica; nella quale assumeva
spesso il valore di ««mprs, e non di rado
quello di «uMto, tosto, che ha in questo luogo
di Danto (cfr. Parodi, BulL TU 182). — 116.
Trapassate eltre eoo. : cfr. Purg. zzn 141,
e rioorda il luogo del Ometi n 17 : «Ma non
mangiar dell' albero della conosoenca del bene
e del male >. — 116. legno è eoo. nel para-
diso terrestre, sulla cima di questo monto,
è l'albero della scienza, dal quale £va stsocd
a pomo (Omu m 6), e dall' albero della scienza
derivò questo del sesto cerchio. — 118. non
se ehi : l'ignoto custode dell' albero, forse un
angelo : cfr. Purg. zzn 140. — 120. dal Iato
ecc. dalla parto, che si leva in alto, dalla
parto della costa. — 121. Bleerdlvl ecc. n
primo esempio gridato dall'ignote voce è
quello dei Centauri, nati da Iasione e da Ne-
fele ossia dalla nuvola cui Giove aveva date
la forma di Giunone, ohe, inviteti dai Lapiti
alle nozze di Pirìtoo e Ippodomfa, s' ubria-
carono e avendo tentato di forzare le donne
furono combattuti e vinti da Teseo (ofr. Inf.
zn 66, 72). — 128. eoi doppi peta : d' uomo
e di cavallo: cfr. hif, zn 84. — 124. • de-
gli ebrei ecc. D seconda esempio è quello
degli ebrei, che seguivano Gedeone contro i
Madianiti : si raoconte nella bibbia (Oiudiei
VI, VII) che Gedeone rimandò tetti coloro che
alla fónte di Arad s' inginocchiarono per bere
e invece elesse e condusse seco all' impresa
470
DIVINA COMMEDIA
126 quando vèr Madian discese i colli >.
Si, accostati all'un de' due vivagni,
passammo, udendo colpe della gola,
129 seguite già da miseri guadagni
Poi, rallargati per la strada sola,
ben mille passi e più ci portare oltre,
182 contemplando ciascun senza parola.
« Che andate pensando si voi sol tre? >
sùbita voce disse; ond'io mi scossi,
135 come fan bestie spaventate e poltre.
Drizsai la testa per veder chi fossi;
e giammai non si videro in fornace
188 vetri o metalli si lucenti e rossi,
com'io vidi un che dicea: <S'a voi piace
montare in su, qui si convien dar volta;
141 quinci si va, chi vuole andar per pace ».
L'aspetto suo m'avea la vista tolta:
per ch'io mi volsi retro a' miei dottori,
144 com'uom che va secondo ch'egli, ascolta.
E quale, annunziatrice degli albori,
l'aura di maggio movesi ed olezza,
147 tutta impregnata dall'erba e da' fiori;
tal mi sentii un vento dar per mezza
la fronte, e ben senti* mover la piuma,
quelli chA s'exano leoato r acqua alla bocca
con le mani. — 126. «vMido Tir Madlàa
eco. : cfr. OUidioi im 8 : e il campo de' Ma-
dianiti era disotto di Ini nella valle ; e in
quella notte il Signore gli disse : * Levati,
scendi nel campo ' ». — 127. TlTagal : parti
estreme; cfir. B%f, ziv 128. — 128. colpe
della goÌM ecc. esempi di golosità seguita
dal debito castigo. — 180. Poi raUargatt
ecc. I tre poeti, che s* erano fra s6 ristretti
(v. 119) per passare tra Talbero e la costa,
ora si staccano l'nno dall'altro allargandosi
per il ripiano e cosi camminano tacendo e
contemplando per oltre un miglialo di passi.
~ 188. Tol sol tre: Toi tre soli; cfr. Bif.
vn 8. — 184. itfblta voce eoe la voce del-
l'angelo, che rìsnona d'improvviso in qnel
raccoglimento dei tre poeti. — 186. eoae
fiM ecc. come fanno le bestie distorbato nella
loro quieto, spaventato mentre riposano. Cosi
pare da intondere questo passo, se si voglia
dare all'agg. poUn il valore di tranquille,
riposato (ofr. Dies 268). Altri invece, come
liina, Benv. ecc. spiegano ix>ttrv per |N>tt0dr0,
glovini, non dome o simile; e finalmente al-
tri intendono poUn per paurose, imbelli (ofr.
Diez 740). Non è ben chiaro il senso ohe
questa voce ha nell' Ariosto, OrL xxm 90 :
« La bestia eh* era spaventosa e poltra », ove
è, pift ohe altro, un xioordo dantesco. — 136.
fossi: ^ pera.; cfr. Jnf. iv 64. — 187. t
glaMmai ecc. non apparvero mai ri^Iandenti
di tanto e cosi intensa luce i vetri e i me-
talli in fruione, quant' era lo sfolgorare del-
l' angelo. — 189. um che dic«a eco. d V an-
gelo della temperanza, custode di questo cer^
Ohio, che invito i poeti a volgersi alla sinistra
per incominciare a salire. ~ 141. f olici eoo.
da questo parto si va, se si vuole andare
alla beatitudine.' — 142. L*Mpetto eco. : so-
lito effetto delle apparizioni angeliche, che
per il troppo splendore vincono i sensi di
Danto (ofr. Purg. n 89, ix 81, zv 25 eoo.).
— 143. mi Tolsi ecc. I poeti camminavano
alla pari : Danto, vinto dall' improvviso ba-
gliore, rivolse indietro il viso, ma continuò
a camminare alla pari con loro, tenendo sem-
pre la faccia rivoltato indietro e seguitando
il suono delle parole e il rumore dei passi
dei suoi compagm. — 145. E «lale ecc. Ven-
turi 46 : e Similitudine ohe fa sentire la fra-
granza delle angeliche piume, e in cui alla
soavità dell'imagine consuona la dolcezza
delle parole e degli accenti ». — 148. «■
vento dAT eoo. : è il ventilare delle ali an-
geliche, por cui è tolto di messo alla fronte
PURGATORIO - CANTO XXIV
471
150
154
che fé' sentir d'ambrosia l'orezza.
E senti' dir : < Beati coi alluma
tanto di grazia che l'amor del gusto
nel petto lor troppo diair non fuma,
esuriendo sempre quanto è giusto >.
di Dante un altro dei sette segni di peccato.
— 160. ehe fé' eoo. la qoale mosse all'in-
torno nn efflavio odoroso d' ambrosia, nn' odo-
rosa aura di diyinità. — oreiia: la firagran-
xa, r efflayio odoroso (da a/urat ofr. Diez 81) ;
tanto d vero che Dante traduce l' espressione
Tiigiliana {Owrg, iv 415) : e et liqnidom am-
brosiae difladit odorem >. — 151. Beati eil
eoe È nna parafhusi della qoarta 'beatitadine
evangelica (Matteo v 6), limitata alle parole ,
Beati qìd wmwmt wsiitiam (ofr. Pwrg, zxii
4), esplicate da Dante oos( : Beati ooloro, che
sono Ulnminati dalla grazia divina in modo
che nei loro petti l'amor del ffusto, la gola
non soscita eccessivo desiderio, estarimdOf ap-
petendo essi solo ciò che è conveniente. —
154. esnrleado: il vb. esurtre^ come inlat.,
significa aver tmn.e, appetire.
CANTO XXV
Mentre salgono verso il settimo cerchio, Stazio per invito di Vir^rilio
espone a Dante la teoria della generazione e formazione del corpo e del-
l'anima vegetativa e sensitiva, l'origine dell'anima razionale, l'esistenza
dell'anima dopo la morte del corpo: poi pervengono nel settimo cerchio,
oconpato da nna fiamma, di mezzo alla quale gli spiriti dei lussuriosi can-
tano esempi di castità [12 aprile, dalle dae pomerid. sino oltre le quattro].
Ora era onde il salir non yolea storpio,
che il sole avea lo cerchio di merigge
8 lasciato al Tauro e la notte allo Scorpio:
per che, come fa l'nom che non s'affigge,
ma yassi alla via sua che che gli appaia,
6 se di bisogno stimolo il trafigge,
cosi entrammo noi per la callaia,
imo innanzi altro, prendendo la scala
XSV 1. Ora tra ecc. I tre poeti erano
pervenati al sesto cerchio alle ore nndid an-
timerìdiane (ofr. Purg, xnx 118-120); nel
oammino e nel conversare tra loro e con le
anime impiegarono un certo tempo (ofr. iVy.
zzrv 91), ohe si pad raggoagliare a tre ore
cizea, poiché la maggior parte degli interpreti
ammettono che al momento d'incominciare a
salire verso il settimo cerchio fossero le dne
pomeridiane. Questo tempo ò determinato da
Dante oosf : 1^ già nn' ora per la qnale la
salita non ammetteva più indugio, perché il
sole, avanzandosi alla ooetaUazione dell'Arie-
te, aveva già oltrepassato il cerchio meridiano,
lasciandolo presso alla costellazione del Toro
e ximanendo la Notte, dod il ponto onlmi-
sante di essa, nella costellazione dello Scor-
pione diametralmente opposta a quella del
Toro: Hoore, pp. 119-120. — onde 11 salir
eco. la mfcr^** difficoltà all' interpretazione
di questo verso è nella parola storpio, spie-
gata dal Lana, Bnti, An. fior, per impaeoiOy
e da Benv. per impedimdrUum ; nel qoal senso
si ha atorpio in parecchi scritti antichi (ofr.
Parodi, Bull. JH 165) e stroppio nel Petrar-
ca, Bon. zzxn 1 ; il verso dantesco significa
dunque : Era ora tanto tarda, per cui il sa-
lire non volea, non tollerava pid alcun impe-
dimento, esigeva dod ohe deposto ogni indu-
gio d aiCrettassimo su per la scala. — 4. eome
fk eoo. come l'uomo che stimolato dal bisogno
non d ferma, ma continua il suo cammino
qualunque cosa gli apparisca. — s* af Agge :
d ferma ; ofr. Lif. xn 116, Purg, xi 186, zui
83 eco. — 5. che ehe t formadone pronomi-
nale analoga al guai eh» del I^trg. zvi 69. —
7. callaia: stretto passaggio; quello della
scala del settimo cerchio (ofr. eolia, nello stesso
senso, in Purg, xv 22, ec 123, e Parodi, Bull.
m 160). — 8. nno Innanzi altro i ofr. Pwg.
472
DIVINA COMMEDIA
9 che per artezza i salitor dispaia.
E quale il cicognin, che leva l'ala
per voglia di volare, e non s'attenta
12 d' abbandonar lo nido, e giù la cala;
tal era io con voglia accesa e spenta
di domandar, venendo infino all'atto
15 che fa colui eh' a dicer s'argomenta.
Non lasciò, per l'andar che fosse ratto,
lo dolce padre mio, ma disse: < Scocca
18 l'arco del dir che insino al ferro hai tratto ».
Allor sicuramente aprii la bocca,
e cominciai: < Come si può &r magro
21 là dove l'uopo di nutrir non tocca? »
€ Se t'ammontassi come Meleagro
si consumò al consumar d'un stizzo,
24 non fora, disse, questo a te si agro;
e se pensassi come al vostro guizzo
guizza dentro allo specchio vostra imago,
27 ciò che par duro ti parrebbe vizzo:
ma perché dentro a tuo voler t'adage.
■^MM
zzvi 1. — 9. ehe ptr artMM «». ohe per
U sua strettezza oostrìnge coloro die salgono
a metterai un dopo l'altro: ortexgM è nome
derirato dall*agg. arto, vai quale cfr. Far,
xxym 8S. — 10. fwde 11 deogmlm ecc. Si
paragoni la atopenda aimilitodino dantesca,
che rende oon poche parole • mirabile effi-
cacia una aitoazione coaÌ difficile a rappre-
aentare, oon qneata di Stazio, Tèb, x 468 :
« Volucrom aio torba reoentom, Cnm redn-
cem longo prospexit in aethere matrem, Ire
cnpit centra, aummoqne e margine nidi £x-
atat hiana; iam iamqne oadat, ni pectore
toto Obstet aperta parens, et amantìboa in-
crepet alia >. — 18. aeeeaa e aptita : accesa
dal desidezio di sapere, spenta dal timore di
rìnadre importano. — li. ali* atte eoo. al
muover delle labbra, proprio dell' nomo che
ai dispone a parlare. — 16. per l'aadar ecc.
per quanto rapido fosae il nostro camminare.
— 17. Seoeea eoo. Virgilio vuol dire a Dan-
te : Di' pnre liberamente dò ohe ti è Tenuto
alno alle labbra, e che tu hai taduto per ti-
more ; e lo dice imaginosamente, paragonando
la Toglia dd parlare che ata per prorompere
all'arco teao alno a toccare il fèrro dello
atrale, dod alno all'ultimo limite, oltre il
quale non d pud pid tendere, come la parola
non può pld oltre andare, aenza parìare,
quando ò giunta alle labbra. ~ 20. €eae al
può ecc. Oome mai le ombre dd acato cer-
chio, oho non aentono biaogno di nutrimento,
poaaono aoffirire la magrezza? Questo dubbio
d era suscitato nella mente di Dante alla
▼lata deUe anime dd golod o alle parola
dette da Foreee drca la loro condizione (ofr,
Pwy, xxm 61 e aegg.). — 22. Se t'aamea-
total eco. Virgilio cerca di chiarire il du^
bio dd ano diaoopolo con un esempio ndto-
logioo e oon una comparadone tratta dm un
fittto naturale, e gli dice: 6e tu penaaad
oome Mdeagro d oonsumd in brevissimo tem-
po 0 come istantaneamente lo apeochio riflette
i movimenti dd corpi, non ti sembrerebbe
difficile intendere come le ombre dd golod
presentino tanta magrezza. — Hdea^ra: Me-
leagro, figlio di Oeneo re di CaUdone e di Al-
tea, doveva vivere tanto tempo quanto avreb-
be impiegato a bruciare un tizzone acceso al
momento della sua nascita: sua madre lo
apenae e lo oonaervò per mdti anni; ma
quando Mdeagro ebbe uodd Fledppo e Toa-
seofiratdU di Altea, essa sdegnata gettò sul
fnooo il tizzone, e nd tempo che questo d
oonsumd andie Meleagro ta disfatto e morto
(cfr. Ovidio, IM. vm 4A&-626). — 28. atf t-
za: tizzone, tronco gittate a brudare: ofr.
Inf, zm 40. — 24. agre t difficile a inten-
dere. ~ 25. eoBie al vastra eoo. al voetro
rapido movimento a' accompagna nello apeo-
chio il repido movimento dell' imagina. ~
27. vizza : molle, appaadto; qui, per tra-
slato, aignifica faoiU, in oppoaiziona a tficro,
che vale diffleile, — 28. ma perdio eoo. Vizw
gilio non ha potuto chiarire il dnbUo di Dan-
te : oon 1' eaempio di Mdeagro ha valuto mo-
atrargli ohe l'uomo può dimagrare alno alla
oonannsone, par oai^ont divena dalla naa-
PURGATORIO - CANTO XXV
473
ecco qui Stazioi ed io lui cMamo e prego
80 che sia or sanator delle tue piage >.
< Se la veduta etema gli dislego,
rispose Stazio, là dove tu sie,
83 discolpi me non potert'io far nego ».
Poi cominciò : < Se le parole mie,
figlio, la mente tua guarda e riceve,
86 lume ti fieno al come che tu die.
Sangue perfetto, che mai non si beve
dall'assetate vene, e si rimane
89 quasi alimento che di mensa leve^
di nutrimento; con l'aismpio dello
specchio ha Tohtto dire ohe eome lo specohie
rende ogni moto di chi vi guaxda, cosi le
ombre, specchi delle mime, mostrano al di
fùoii le soffivense delle anime stesse, e nella
magrezza gli «flètti della lor penitenza. In-
Tita pendo Staado a dare a Dante una più
piena e dottrinale spiegazione del flktto che
ha suscitato il dubbio del compagno. — den-
tre a tao Teler eoo. : dne interpretazioni
e* hanno di questo luogo, quella del Lomb. :
€ afltnché ti aooonodi • acquieti nel desiderio
tao », e quella del Torelli: « Vadagi dentro
e toc volere, a toa posta > : la sostanza poi
ddla sentsnza è U stsssa: aiBnòhó tu possa,
eome d tuo desidaiio, intendere pienamente
la cosa. " 29. eeeo «al Stsstet IHrgiUo
commette e Stazio l' esposizione delle dottrine
ttSaMm ella generazione dei corpi e alla f or-
maslone dell'anima, perchó questo esa un
ponto di filosofia da trattare al lume della
fede cristfana, e bisognava un cristiano a
pazkue hi oonformità allo dottrine di Tom-
■aeo d'Aquino. — 80. déDe tae »iag«: dei
tuoi dubbi, che sono oome le piaghe della
menta. Quanto alla Ibrma, nota Q Parodi,
Bufi, m 122: € i plurali di Danto in ùi, ce
ecc. 9000 latinismi; latinismi però che si
usarano al suo tempo anche in prosa >: cfir.
Av. TI ISe, zxa 4. — SI. Se la TSduU
eoo. Se io (^ spiogo dò ch'egli ha visto nel
purgatorio, mentre sei presento tu ohe potre-
sti me^ di me illuminailo, me ne scusi il
£rtto ch'io sono stato pregato da to a &r dò.
Stazio, JiwftmmAj premetto garbatamente pa-
role di scasa, parendogli quasi superbo il
prendere il luogo del maestro. — veduta eter-
na: € veritetem aetemam hulus qoaestio-
nis >, dice Benv. ; ma meglio V Ott « fa m-
4uta dsQ' anime ohe sono eteme > : poiché
appunto il fine della esposizione di Stazio d
di mostrare come le ombre, veduto magre da
Danto, possano apparir tali (cfr. v. 106). Al-
tri leggoBO wmdita «tema (Buti: «doò la
giustizia di Dio >) o etrtudd etema (Lana :
« doè la virtnde di Dio droa lo fatto del-
l' uomo >), lezioni che non hanno suadenti
testimonianze in loro lìivore. — 82. ta sie:
tu sia; forma di congiuntivo assai firequento
in Danto e negli altri antichi (cfr. Parodi,
BtOL m 126).— 84. Pel eemladò: si noti
die Stuio rivolge le parole di scasa a Vir-
gilio, quelle dell' esposizione dottrinale a Dan-
to. — Se le parole eco. Biooria questo av-
vertimento quello dd Prov. u 1 : < Figliaol
mio, se tu rioevi i mid detti, e riponi appo
to i ndd comandamenti, ... allora tu inton-
derai» ecc. Questo ragionamento di Stazio
svolge le dottrine azistotoliche salla genera-
zione degli animali (De gener. animaL i 18-
19, n 1-4; cfr. Kooro, I 868, ove sono in-
dicati i singoli pasd in corrispondenza od
verd di DantoX intese secondo l'intorpre-
tazione tomistica (cfr. specialmento Tomm.
d'Aq., Summa.^ p. I, qu. oxvm e cziz), e
fa mostrato fllosoflcamento dal Varchi, Le"
%4oni eul Danie^ voi. I, pp. 4-116, e da più
altri moderni. D ragionamento è diviso in
quattro punti : prima sviluppa la teorica della
generazione doli' uomo e il graduato svolgi-
mento dd feto e ddle forze corporee, doò
dell'anima vegetativa e sendtìva (w. 87-60),
e poi spiega corno s'infonde neùa creatura
r anima razionale (w. 61-78); spone qoindi il
modo dell' esistenza doli' anima dopo la morte
del corpo (w. 79-87), e finalmente la genesi
e la condizione delle ombre (w. 88-108). —
86. Inae ecc. ti saranno lume a intendere
come avvenga dò che ta did, doò che le
anime sono consunte per magrezza. — die:
did ; formate dalla voce tronca di* e daU'epi-
ted (cfr. Nannucd, Verbi 570 e Parodi, BuU.
ni 126). — 87. Sangue perfetto ecc. Lo
sperma, aangue perfetto^ da una certa dige-
stione preparato al conoepimente, sangue che
non d mai assorbito dalle vene e non essendo
necessario alla nutrizione è come il dbo su-
perfluo che dopo il paste rimane e d leva
dalle mense, prende nel cuore ddl'uomo «tr-
imU infarmatiioa^ una virtd che dà essenza e
natora a tatto l^membra umane, ocme quello
ohe, essendo qaell' elemento che scorre per le
474
DIVINA COMMEDIA
prende nel core a tutte membra umane
TÌrtute informativa, come quello
42 eh' a &r8i quelle per le Tene Tane.
Ancor digesto scende ot'ò più bello
tacer cbe dire; e quindi poscia geme
45 sopr* altrui sangue in naturai Tasello.
Itì s'accoglie l'uno e l'altro insieme,
l'un disposto a patire e l'altro a fare,
48 per lo perfetto loco onde si preme;
e, giunto lui, comincia ad operare,
coagulando prima, e poi avviva
51 ciò cbe per sua materia fé' constare.
Anima fatta la virtute attiva,
qual d'una pianta, in tanto differente
54 cbe quest'ò in via e quella è già a riva,
tanto opra poi cbe già si move e sente,
come fango marino; ed indi imprende
57 ad organar le posse ond'è semente.
Or si spiega, figliuolo, or si distende
T«ne a farai quéttet a diyenira membia uma-
ne, a generare nn altro ooipo. — 42. Tàat :
▼a; ò la 8* pera. sing. oon Tepiteii (otr.
Purg. IT 22) ; ooti F. da Baibexino, i>O0iiiii.
d'Amor» : « Tutta la gente ohe apexando Ta-
ne » (ofr. Kannnooi, Vèrbi 628). — 48. An-
eor dlgeste eoo. KnoTamente digerito, lo
sperma soende nel teetiooli ; e da queeti ftilla
eopra il sangoe mestruo della donna in ttO'
éural vatMot nella matrice. — pltf bello eoo.
più opportuno, più oonTeniente usare nn' e-
spressione pudicamente Telata; ofr. D' Ori-
dio, pp. 609, 612. — 44. geme : ofr. In/1 xm
41. — 46. iTi 8' aeeogUe eco. Nella matrice
si rinnisoono il sangue dell'uomo, ossia lo
sperma, e n sangue della donna : questo, di-
sposto a riooTere la forma datagli dallo sper^
ma; queUo, disposto a operare, in causa del
perfetto loeOf del cuore onde è usdto. — 49.
e, gionto eco. e questo sperma, congiunto
al sangue femmineo, comincia ad operare,
prima eoag%tiando cioè formando l'embrione,
e poi dÀ Tita a ciò cui did consistenza, a
ciò che ooagold, come materia necessaria alla
sua operazione. ~ glaato lui : il participio
del Tb. giungere ha qui il signiflcato di eoi»-
giuniOt vnHo, come altioTe in Dante (Inf.
xxvm 139, Purg, zti 86, 112); e lui ò U
notissimo datlTO (cfr. In/', i 81). — 60. eoa-
gulando : il Tb. coagutaret che indica Tatto
del ridurre a consistenza le sostanze liquide,
ò bene appropriato a esprimere 1* idea del rao*
cogliersi degli elementi s^di che costitui-
scono r embrione. — 61. eonstare : stare in-
sieme, prendere consistenza. — 6!
Cstta eoo. La Tirtd attiTa del seme pateimo
diTenuto cosi anima TegetatiTa come quoUa
della pianta (salTo ohe l'anima TegetatiTa
dell'uomo è in via cioè è principio allo btì-
luppo di altro «niaM, mentre iuTeoe la Tirtft
dalla pianta è a riva cioè è oomplnta in sé,
non dA luogo ad ulteriori STiluppi) eontinna
ad operare tanto che la materia finimata si
muoTO e sente. — 68. In taat« eoe Vanhi :
e Se bene pare ohe Dante in queste parole
non Teglia ohe tra l'anima TegetatiTa dell»
piante e quella degli uomini sia altra diffe-
renza, se non che quella delle piante è com-
pita e formata, non aspettando altra anima,
n6 sensitÌTa come i brutif né razionale come
gli uomini, non doTemo pesò otedere che egU
Tolesse dire questo solo e che non allesse
che l'anima TegetatiTa delle piante a delle
fiere e delli uomini sono diTerse di spezie » :
si cfr. inf&tti le idee esposte da Dante droa
la diTorsa Tita delle piante, dei bruti a degli
uomini, nel Oom. rr 7. ~ 66. eoae Auge
marino: Lana: « Aingo marino è una ooa-
grolazione materiale, la quale si fk in mare,
e sente e muoTeei, ma non è organato » ;
cosi press' a poco gli altri antichi, i quali
crederano ohe i zoofiti fossero dotati di un'a-
nima TegetatiTa. — ed Indi eoo. e di qui,
da questo stato, la Tirtfi attira del germe
cominoia ad organar k poem, a formare ^
organi delle potenze delle quali è princ^
generante, doè dei dnque sensL — 68. Or
il spiega eoe A questo punte la Tirtfi at-
tiTa del germe, che deriTa dal cuoia dell'uomo
(cfr. T. 87 e segg.), nel quale cuore la Tirtù
PUEGATOKIO - CANTO XXV
476
60
63
69
72
76
la virtù eh' è dal cor del generante,
ove natura a tutte membra intende.
Ma come d'animai diyegna £Gaite,
non Tedi tu ancor: quest'ò tal punto
che più savio di te fé' già errante;
si che, per sua dottrina, fé' disgiunto
dall'anima il possibile intelletto,
perché da lui non vide organo assunto.
Apri alla verità che viene il petto,
e sappi che, si tosto come al feto
l'articular del cerebro è perfetto,
lo motor primo a lui si volge lieto,
sopra tanta arte di natura, e spira
spirito nuovo di virtù repleto,
che ciò che trova attivo quivi tira
in sua sustanzia, e fassi un'alma sola,
che vive e sente, e sé in sé rigira. •
E perché meno ammiri la parola,
guarda il calor del sol che si fa vino,
nstniale sttende ali* formazione di tatto le
membra {etr, y. 40-41), ti ipftga « ti diiitndó,
si dilata doò sa tatto le parti del oorpo,
estendendo ad esse la propria potenza, oo-
monicando a dascnna la propria forza : cosi
ai forma 1* anima sensltlTa. » 61. M* eeme
eoe. Ma io non ti ho àncora spiegato l'ori-
gine dell' anima razionale, come t^tmfmaltf il
feto, diyenti /bufo, nomo dototo di ragione:
e qoesto è nn ponto cosi difficile, ohe già
toasse in errore degli nomini più sapienti di
te. — 68. pltf saile eoo. n savio qoi aooen-
nato d, come ben Tide Benr., Ibn-Bosohd
(efr. Inf. IV 144), il qoale nel suo commento
sopra Aristotele distingue due principi intel-
lettivi, VifUtUetto attivo ohe è impersonale,
etemo, separato dagli individoi, e VinttUtUo
pattim ohe è transitorio e dipende dall' al-
tro: l'intelletto attivo è donqae disgiunto
quanto all' oosonn dafi^ individui ed ò un
solo per tutti gli uomini; e oosi per questa
dottrina essendo distrutta la diversità del-
l'intelletto possibile, ohe solo è immortale,
ne segue ohe dopo la morto non resta altro
delle anime umane se non l' unità dell' intel-
letto attivo, e non sono ammesse le pene e
le lioompenBe della vita etema (ofr. E. Be-
nan, Averrdet tt VAvtrroitms, dt, pp. 122 e
segg.). La dottrina averroistica ta strenua-
mente combattota da Tommaso d'Aquino,
Stimma, p. I, qu. Lzxvi, art 2: qu. t.ttit,
art. 5; qu. ozvn, art. 1; qu. ozvm, art. 2;
e p. I ^, qu. L, art 4. ~ 64. fé' dlsgianto '
eoe pose come separato dall'anima umana
VkiMUaopottibik, doà» leoondo la filosofia
sodastioa, un' intelligenza universale di cui
le anime partedpano, perché non vide or-
gano attuiUo da lui, organo alcuno deputato
propriamente a questo intelletto possibile. —
67. Afri eco. Disponi la tua mento ad acco-
gliere la verità intomo a questo argomento.
— 68. sf teste ee»e eoe appena nel foto è
compiuto l^arHeular dtl etnbrot l'organizza-
zione del cervello, il primo motort, doò Dio,
d volge lietamento a M, al feto stesso, topra
taatfartt di natmra, sopra il corpo umano con
tante perfezione conformato, e v'infonde la
nuova anima razionale ripiena di virtà. —
70. si volge Usto : ofr. Pmg, xvi 89 : e l'a-
nima Bkossa da lieto fattore ». — 72. muevo:
nuovamento creato, non preesistento. ~ 78.
che dò ohe trova eoo. la quale anima ra-
zionale tira in ttta tottanxa, identifica nella
sua sostanza eid che quM trova ottico, quelle
potenze ohe nd feto trova sviluppato, doò
r anima vegetativa e la sendtiva; e di tutto
d forma una tota anima, ohe vive, sento e
pensa. ~ 75. ehe vIto eco. : vkft in quanto
ò facoltà vegetativa, tonte in quanto ò fMohà
sendtiva, e «^ m «^ rigira, doò rifletto in
s6 stessa su sé stessa, acquisto la oosdenza
di sé, in quanto ò faodtà inteUettìva. — 76.
E perehtf eoo. £ perché ta non abbia a me»
ravigliarti tanto di dò ohe ti ho detto, oon-
ddera come il calore dd rsggt solari oon-
giungendod all' umore della vito lo trasforma
in vino : cod lo tpòrito nuovo infuso da Dio
noli' anima oAs v»M « santola tramute in anima
intellettiva. — parola i ofr. Inf, n 48. — 77.
guarda il eàlor eoo. Ventali 14 : « Mirabile
476
DIVINA COMlfEDU
78 giunto all'umor die dalla yite cola.
E quando LaolieBis non ha più lino,
Bolyesi dalla oame^ ed in virtute
81 Beco ne porta e Pomano e il divino:
l'altre potense, tutte quante mute;
memoria, intelligensa e yolontade,
84 in atto molto più che prima aoutOi
Senz'arrestarsi, per sé stessa cade
mirabilmente ali* una delle rive;
87 quivi conosce prima le sue strade.
Tosto che loco li la oirconscrive,
la virtù formativa raggia intomo,
90 cosi e quanto nelle membra vive;
e come l'aer, quand'ò ben piomo,
per l'altrui raggio che in sé si riflette
93 di diversi color diventa adomo,
cosi l'aer vidn quivi si mette
in quella forma, che in lui suggella
96 virtualmente l'alma che ristette;
è U proprietà di queste BimilHndine, qnalniH
qne ne sia fl yalore sdentifloo. n genne di
siffiitte imagine trorasi in più greci poeti;
e anco Cicerone disse dell' aya: Sueeo ttm§
et eaìon tolia augetemi {De smucL xv 68) >.
— 79. qvude IiMhesfs eoo. quando la Par-
ca, ohe fila lo stame della Tlte (ofr. Purg»
zxi 26), non ha più lino da filare, cioè quando
l'uomo perviene al termine deUa soa esisten-
ca, r anima si scioglie dal corpo e ne porte
seco Vstmano e il divimt doè le poton» oor-
poree o sensitiTe, e le potenze intellettaalL
— 82. l'altre potense eoo. le AuM>Ità sensi-
tiTe, distratti per morto i loro organi, riman-
gono inattive: le fftoolte spirituali invece,
non più offoscato dalle infloense ooiporee,
divengono più pienamente attive che non
fossero prima. — 84. pltf thè prima aoite :
perché, dice il Bnti, « hanno memoria senza
dimenticazione, tntoìligenria senza difetto, e
volente ferma ed invariabile >. — 86. 8e«*
a* arrestarsi eoo. L' anima, liberate dal corpo
per morto, senza fermarsi nn momento prende
per se ttetea^ istintivamente, la direrione del-
l'inferno o del purgatorio, ignara del proprio
destino, ginnte all'una delle rive, alla riva
d'Acheronte se d destinate alla dannazione
(cfr. Inf. m 121 e segg.) o alla foce del Te-
vere se è destinate a luogo di salvazione (cfr.
Purg, n 104), conosce primamente le ave etro'
de, dove cioè essa debba andare. — 88. To-
sto che loco ecc. Appena essa anima è cir-
coscritte dal luogo, cioè è giunte al luogo
assegnatole (riva d' Acherooto o foce del Te-
vere), la virtù formativa ohe è in lei (cfr.
TT. 40-42) raggia^ inooadnola a asoraitate la
sua potenza suIT aria dreustente (ofr. tt. 94
e segg.), in queUa 8ts«a forma, coH, e In
quella stessa misura, qmmto, ohe gte Mar-
cito sul corpo, sulla veembra vke. Dawilia
poeticamente il flmnant dell' ombia intorno
a ciascuna anima, la quale oosf Tiene ad as-
sumere una sembisnsa oorporsa oonfòme alla
sostanza ooiporea in cui frr rtauslihisa neOa
prima vite : sulle questioni lelatlvv a qoesto
passo ofr. K. Soarano, La saliiama détte on»-
bre nella D. C. nella Ihuva JM., a. 1866,
serie 4% voL LYTTT, pp. 127-16L » 91.
eoae Pacr eoo. come l'sìla, quando è assai
pregna di vapori, a cagione del taggt solari
rifitatti in essa dalle gooolcUne dsn'aoqua si
adoma dei vaxl colori dsU'irlde eoo. È dot-
trina aristotelica, Mtteor, nt 4. » plerae :
e pieno fi nuguli acquosi >, dioe n Boti ; eCi-
mologicamoito, è un' alterazione deQ'agg. ^ie-
«omo, dal lat pkivto. — 94. «atf Paar eoo. in
cotal modo, l'arte circostante si luogo ovo
l'anima s' è arrestete ei matts, si di^sa In
qurila forma fi oorpo che ranlma stessa, ter-
matasi in quel luogo, <n hd enggeOa^ iaprime
in essa aria vMnaAnfftft, per la virtd form%
tiva da lei conservata. — 96. 1b o<na fanui
ecc. 8i noti che questo ooacetto deD* anima
che dopo morto per la sua potenn creativa si
forma intomo una sembianza oorporsa non è
conforme alle dottrine di Vommsso d'Aquino,
U quale dioe: e Anima separate a ootpoto non
babet aliquod ooipus» {Summa^ p. in, Bug^L
qu. Lzix, art. 1); ma Danto doveva di no-
oessite imaginare le anime dei suoi zegni con
■?« "^
PURGATORIO — CANTQ XXV
477
e simigliante poi alla fiammellay
ohe segue il fuoco là 'vunque si muta,
99 segue allo spirto sua forma novella.
Però ohe quindi ha poscia sua paruta,
è ohiamat' ombra; e quindi organa poi
102 ciascun sentire infino alla veduta.
Quindi parliamo, e quindi ridiam noi,
quindi facciam le lagrime e i sospiri
106 che per lo monte aver sentiti puoi.
Secondo ohe ci affliggono i desiri
e gli altri affetti, l'ombra si figura,
106 e questa è la cagion di che tu ammiri >.
£ già venuto all' ultima tortura
s'era per noi, e volto alla man destra,
111 ed eravamo attenti ad altra cura.
Quivi la ripa fiamma in fuor balestra,
e la cornice spira fiato in suso,
114 ohe la riflette^ e via da lei sequestra;
B^or» corporea, altrinMBti aon «vrebbe po-
tato oCtoncr» quelli effetti d'erte, ohe egli
ei jnfODBWh, ~ 97. e etMlgllaMle eoo. Ven-
tali 79 : e La fama è il murro oorpo aeieo,
onde imagiAA fl poete rireetlie le enime
dopo la motte; la quale finma eegne lo ^
rito» oome la flamnella fl fnooo. Similitudine
tasto Mo^pUa, qianto aemplioe >. — 96. al
MBlAS li tiamuta, si tresporta. ~ 100. Però
Ae eoe Per qoeato ohe l'anima ha ma pa^
fvta, aoqaiita pazranxa, appare Tisibfle, tfii^
M^ da qaeito ooepo aereo, è chiamata ombra,
cioè eoaa ohe lupare ed è impalpabile. —
lOl. • faUdl «rfaBa eoo. e di quecto corpo
aereo irif r***^ tatd i eenai, tino a quello
della Tieta, ohe è il più compleeso e il pid
pedétto di tato. — 106. ({aUdi parliamo
eoo. Per qaeeto cozpo aereo noi anime pos-
tiamo parlare e rìdere, piangere e soepixare,
oomo ta puoi arerò oeeerTato perooirendo il
pugatocio. Vizgilio, a propoolto del contatto
deUe anime od ooipo, dice {En, ti 788):
« Hino metonnt copiiintqae, dolent gandent-
qne » ; e Dante iTdge lo atoeso pensiero dr-
ooecriTendolo agli atti propri delle anime del
pnzgatorio, le qnali, come si rode ad ogni
momento, parlano e rìdono, piangono e so-
ipixano. — 106. Secamde che eoo. Secondo
ohe i dedderf e gli altri sentimenti, la spo-
tanxa, la panra, il piacere, la gioia eco. d
toccano, la nostra ombra yviamente H figura,
prende direno aspetto. La lezione a/fliggono
sta benissimo, pnr ohe al yb. affliggere si dia,
non U senso di addohntr», ma il più generico
Il eperar sopra, toeoare ; d' altra parte la pid
eonnne ledono affiggono darebbe al Tb. affig-
gere un significato che non ha mai in Dante,
il quale l'osa sempre a esprimere l'azione
del fermare o fieeare il corpo, i sensi o il
pensiero (cfr. Ji/: xn 115, xtui i3, Purg,
ZI 135, zm 88, xm 77, zzrd, zzz 7, zzzzu
106, Par, I 48, ZZY 26, zzzm 183). — 106.
di ehe t« eco. di qoel dimagrimento del quale
ta ti sei mostrato meravigliato : cfr. ty. 20-
21. — loe. B gìk Tenato eoo. A questo
ponto del discorso di Stazio, i tre poeti già
penrennti al sommo dolla scala, sol ripiano
dell'ultimo cerchio, si Tolgono alla destra,
non pensando pid alla questione trattata nel
lungo ragionamento di lui, ma attenti a un'al-
tra necessità, quella di causare le fiamme che
occupavano tutto il luogo. — altlma torta-
ra : ultimo cerchio ; so non che il nome tor-
tura, secondo Beny. seguito da altri inter-
preti, significali cammino circolare che i poeti
incominciano entrando nel cerchio (e nunc in-
traturi ipsum ciroulum indpiebant torquere
et flectere ylam, ideo talem deflezionem ap-
pellat torturam >); mentre secondo il Boti e
i pid dei oommentatori di poi ò nel signifi-
cato usuale di tormento, pena, né e* d ragione
di allontanarsi da questa pid semplice e na-
turale interpretazione : si noti che tormento
ò detta pid volte la pena delle anime del
purgatorio (IKtrg. z 116, zm 187, zzi 66 ecc.).
— 112. Qalvl la ripa eco. Nel settimo cer-
chio, la costa del monte scaglia in ftiori una
fiamma e i'orìo esteriore manda in su un
vento che fa ripiegare indietro la fiamma o
l'allontana dall'orlo stesso: la fiamma esco
dunque con tanto impeto dal monte che oc-
cuperebbe tutta la via circolare, ma un vento
che spira dall' estremo lembo del ripiano ri-
caccia la fiamma in dentro in modo da la-
478
DIVINA COMMEDU
onde ir ne convenia dal lato sohiuso
ad uno ad uno, ed io temeva il foco
117 quinci, e quindi temea cadere in giuso.
Lo duca mio dicea: € Per questo loco
si vuol tenere agli occhi stretto il freno,
120 però ch'errar potrebbesi per poco >.
< Summae Deus clementiae » nel seno
del grande ardore allora udii cantando,
123 che di volger mi fé' caler non meno:
e vidi spirti per la fiamma andando;
per ch'io guardava loro ed a' miei passi,
126 compartendo la vista a quando a quando.
Appresso il fine eh' a quell'inno fassi,
gridavano alto : < Virum non cognosco » ;
129 indi ricominciavan l'inno bassL
Finitolo anco, gridavano : < Al bosco
si tenne Diana, ed Elice caccionne
IdQ che di Venere avea sentito il tòsco >.
Indi al cantar tornavano; indi donne
gridavano e mariti, che fùr casti,
185 come virtute e matrimonio impónne.
n
sciare uno stretto passaggio sull'orlo este-
riore. — 115. OBde Ir ecc. per la qnal oosa
ci bisognaya camminare per Torlo uno dopo
l'altro (cfr. iVry. zzvi 1), ed io dalla parte
sinistra temeva di cadere nel ftioco, dalla
destra di cadere noi ynoto. Erroneamente al-
cuni commentatori, Benv. tra gli antichi,
Scart tra i moderni, spiegano quinei, dalla
deetra, e quindi, dalla sinistra : i poeti en-
trati nel cerchio piegano a destra (ofir. ▼. 110)
per la legge solita da essi seguita (cfr. Purg.
xxn 123); perciò anche qui hanno le desbre
di furi {Purg, xix 81) e la sinistra verso la
ripa e la fiamma. — 119. si Tiol eco. biso-
gna frenare gli occhi, che non divaghino,
altrimenti d facile mettere i piedi in fallo.
— 121. Soauiae eco. Le anime dei lussuriosi,
stando a espiare la loro colpa in mezzo alle
fiamme, cantano un inno al Signore e alter-
nano eeempi di castità (cfr. w. 1S3 e segg.) :
r inno ohe essi cantano è quello che la Chiesa
recita nel mattutino del sabato, molto appro-
priato ai lussuriosi, massime per i vr. 9-12:
« LomboB iecurque morbidom Flammis adure
oongruis, Accincti ut artus excubent Luxu
remoto pessimo » : si noti per altro che que-
sf inno comincia Summa» parmu eìemeniiae
ed ò ben diverso dall' inno che comincia 5um-
fna« Dem elemmiiae, cantato dalla Chiesa
nella festa dei sette dolori della Madonna;
ma forse anticamente i due inni avevano lo
stesso piincipio o Dante, pur volendosi rife-
rire a quello del sabato, scrisse il primo verso
dell'altro, per la conformità del pensiero •
deUe parole. — 123. che di volger eoo. fl
qual canto mi foco premuroso di volgami
alla fiamma non wmo che di attendere a non
uscire dallo stretto passo. — 124. spirti ecc.:
questi spiriti sono i lussuriosi, che procedono
per mezzo alla fiamma distinti in due sdiiere
(cfr. Purg, xrvx 28 e segg.). — 126. guar-
dava eoe guardava, oompartendo il mio guar-
dare, ora alle anime, ora al mio cammino.
— 127. Appresso U flae eoe Finito fl canto
dell'inno, le anime gridano esempi di casti-
tà : Dante sente cosi celebrare la virt6 della
Madonna e di Diana. — 128. Tinta ecc.
Maria Vergine, secondo U vangelo (Luca i
34), disse all' angelo OabHele : e Come av-
v«n:à questo, poiché io non conosco uomo? » ;
e cosi qui con le sue proprie parole è cele-
brata come esempio di donna casta. — 129.
bassi : a bassa voce, quasi a modo di pr^
ghiera. — 180. aaeo: nuovamente. Vuol
dire il poeta che, cantato che avevano l'inno
per la seconda volta, gridavano il secondo
esempio di castità: quindi d erronea la pun-
teggiatura dello Scart., che pone la virgola
dopo fimtoto. — Al bosco si ttaae ecc. Elice,
figlia di Licaone-, era una delle ninfe compa-
gne di Diana; sedotta da Giovo to. dalla dea
vergognosamente scacciata dal bosco perché
rimanesse pura e incontaminata la dimora sua
e delle altro ninfe: Ovidio, Met. n 401-508;
cfr. Mooro, I 221. — 133. al cantar: al canto
dell'inno Summae Deus eltmmtiae. — 136.
PURGATORIO - CANTO XXV
479
E questo modo credo ohe lor basti
per tutto il tempo che il foco gli abbrucia;
con tal cura conyien, con cotai pasti
189 cbe la piaga da sezzo si ricucia.
e«ne Tlrtsto e<ìo. come impongono le leggi
morali e leliglose. — InpdBae : impone a noi
nomini ; forae si potrebbe sorìTere impon «0,
eonaidenndolo come nn omo di rima compo-
sta (ofr. Inf. TH 28). Parodi, BuU, m ìli:
e Si noti che certe asprezze, ohe urtano il no-
stro gusto moderno, nrtavaQo cosi poco glian-
ticlii nostri in genere e Dante in ispede, ohe
egli assai spesso non si cara di evitarle, oome
potrebbe, modificando il rerso nel più som-
plioe e più fa/cSÌ» modo >. ~ 136. kastl : duri,
oontinni. — 188. eoa tal enra eco. in tal
maniera, 00» tal owra^ quella del canto del-
l'inno, eon colai jMsh', quelli degli esempi di
castità, conylene che alla fine si ricuoia, si
rimargini la piaga, si purghi il peccato della
lussuria. — 188. 4a sesso s da ultimo; cfr.
JB*f. vn laO.
CANTO XXVI
Continuando in compagnia di Virgilio e dì Stazio il sno cammino nel
settimo cerchio, Dante vede rincontro delle due schiere in coi sono partiti
i lussuriosi ; poi trova Oaido Gninizelli bolognese, col quale conversa lun-
gamente, e il trovatore Arnaldo Daniello, che gli rivolge la parola in lin-
gua provenzale [12 aprile, da oltre le quattro pomeridiane sino alle sei].
Mentre che si per l'orlo, uno innanzi altro,
ce n'andayamo, e spesso il buon maestro
8 diceva: «Guarda, giovi ch'io ti scaltro >,
feriami il sole in su l'omero destro,
che già, raggiando, tutto l'occidente
6 mutava in bianco aspetto di cilestro:
ed io facea con l'ombra più rovente
parer la fiamma; e pure a tanto indizio
9 vid'io molt' ombre, andando, poner mente.
Questa fu la cagion che diede inizio
loro a parlar di me; e cominciarsi
12 a dir: < Colui non par corpo fittizio ».
XXVI 1. sC per l'orlo ecc. cosi, uno
dietro l' altro, lungo il maigine esteriore del
cerchio : cfr. Purg. xxv 116 e segg. — 8.
Otarda, giovi eco. Bada dove metti i piedi,
non sia vano l' avvertimento che io t' ho dato :
ofr. Purg. xxv 118-120. — A. ftriami U sole
eoe. il sole, che diffondendo i suoi raggi mu-
tava in bianco l' azzurrino colore della parte
occidentale del cielo, mi colpiva sulla spalla
destra. Dal momento in cui i tre poeti ave-
vano inoomindato a salire per la scala verso
U settimo cerohio {Purg, xxv 1) dovevano
OMOio trascorse due buone ore ; poiché il mo-
mento descrìtto qui da Dante cade all' Incirca
tra le ore quattro e le cinque pomeridiane,
àDorqTiando la luce bianca del sole domina
nella plaga occidentale del cielo : cfr. Moore,
pp. 120-121. — 7. ed lo faeea ecc. L* ombra
di Dante, cadendo da destra verso sinistra
proiettata sulla fiamma, la fhoeva parere più
rosseggiante; perché la luce solare non fe-
riva più direttamente quei punti della fiamma
su cui l'ombra cadeva. — 8. e pare ecc. e
solamente a cosi piccolo indizio, qual era il
rosseggiar della fiamma coperta dalla mia om-
bra, vidi che molte anime camminando por
mezzo alla fiamma stessa ponevano mente.
— a tasto : a cosi piccolo eco. : cfr. Inf, iv
99. — 10. Questa fa eco. Questo ta il fatto
ohe die oocasione alle anime a pariare di me.
— 12. Colai eco. Le anime vedendo proiet-
tarsi sulla fiamma l'ombra di Danto s'accora
sero ohe il suo non era eov:po fUtixio, doò
aereo e impalpabile, si bene corpo reale, e
480
DIVINA COMMEDIA
Poi Terso me, quanto poteyan farai,
certi si feron, sempre con riguardo
15 di non uscir dove non fossero arsi
< 0 tu clie Tai, non per esser più tardo,
ma forse reverente, agli altri dopo,
18 rispondi a me che in sete ed in foco ardo:
né solo a me la tua risposta è uopo;
che tutti questi n'hanno maggior sete
21 che d'acqua fredda indo o etiòpo.
Dinne com'è che fed di te parete
al sol, come se tu non fossi ancora
24 di morte entrato dentro dalla rete >.
Si mi parlava un d'essi, ed io mi fora
già manifesto, s'io non fossi atteso
27 ad altra novità ch'apparve allora;
che per lo mezzo del cammino acceso
venia gente col viso incontro a questa,
80 la qual mi fece a rimirar sospeso.
Li veggio d'ogni parte farsi presta
ciascun' omhra, e haciarsi una con una,
83 senza restar, contente a breve festa:
ohe però ogli dorerà essere ancoim viyente.
— 18. Poi Terso ve eoo. Alcane delle anime
del Inssiirìosii per la cniiosità eccitata In loro
dall' ignoto visltatoTe, oeroarono dì aoooetarai
a Dante per quanto potevano, badando per
altro di non ludre dalla fiamma; perché an-
ch' essi, oome tatti gii altri penitóitìi, erano
dominati dal desiderio di non interrompere
nò pare on momento l'opera della lor pali-
ficazione (cfr. Pmg, ny 124, XVI 142, xvm
116, nx 189 ecc.). — 16. 0 1« eke ecc. Uno
degli spiriti, facendosi interprete del deside-
rio degli aitai, xiTolge la parola a Dante e ^
dice : e 0 tn, che cammini dopo ai tad oom^
pagni, non per pigrizia ma per segno di rive-
renza, fermati a parlare con me, che ardo
in 99tB é in foeOf nel desiderio di sapere se
veramente ta sei vivo, oome sembra, e nella
fiamma espiatrioe della mia oolpa. — 19. mi
solo * me eoo. né sono solo a sentire il M-
sogno di ona toa risposta; ma tatti i miei
compagni n' hanno desiderio più vivo che non
abbiano di aoqoa firesoa i popoli d^e ^ù calde
regioni. — 21. Udo o etiòpo: ^ abitatori
deU' India e deU' Etiopia, paesi riarsi dal ca-
lore tropicale. — 22. Diane eoM' h eoo. Di'
a noi come mai avvenga ohe ta impedisci i
raggi solari, getti ombra col tao oorpo, oome
se tn non fossi ancora morto. — f al di to
eoo.: cSr, Purg. ni 15-18, 88-90, 96. — 26.
Si mi parlava eco. Cosi mi diceva ona di
qoelle anime, qoella di Ghiido GainizeUi (oft.
T. 92); e io mi saiti manilèetato ad essa, se
non avessi badato a an' altra novità eh» al-
lora m'apparve. — 27. ad alCni novità s la
novità, coi Dante rivolge la saa attensione,
d l'arrivo di on' altra schiera di luasoziosi,
la qoale cammina In direzione contraria aDo
schiera neDa qaale al è primamento inoon-
trato : oome siano distinti i lassariosi dirà or
ora il Gainizelli, w. 76-87; ma sin d'ora è
da avvertire che l' ona, qa€dla coi ^pazten-
gono le anime primamente vedute da Dante,
è la schiera di coloro ohe eccedettero noQ' oso
doi piaceri carnali qoanto alla misora, P altra
è di coloro che peccarono contro natora. —
28. per lo messo eoe per n mezzo dalla via
oooapata dalla fiamma sopraginnaeiuia nnovm
sohióra, la qaale attraendo a sé la mia atten-
zione mi fece indagiare a risponderà. — 81.
li veggio eoo. Al ponto deU'inoontio vidi
tatfee le anime che a* ailtettavano o si booia-
vaao vicendevolmente, ma senza fennazai o
oontentandosi di on breve indagio per Ibsteg-
giaisi. Batl: e Finge l' antere che le pcoditfce
genti si fucino festa e bacinosi in boooa nal
paigatoik) per grande zelo di carità, per li-
stero di si tetti atti osati nel mondo per di-
sonesto amore, e per arrioordamento d'essi
se li rappresentino ne la memoria, acciò ohe
se ne vergognino et àbbianne gzandiatia»
dolore o oontzizione, oonsiderando di quanto
merito sarebbe stato avendo osato tali Cwt»
e tali atti per onesto amoro e tervozo di «»
PURGATORIO - CANTO XXVI
481
cosi per entro loro schiera bruna
s'ammusa Tona con l'altra formica,
36 forse a espiar lor yia e lor fortuna.
Tosto che parton l'accoglienza amica,
prima che il primo passo li trascorra,
CD sopragridar ciascuna s'affatica;
la nuova gente: < Sodoma e Gomorra >,
e l'altra: « Nella Tacca entra Pasife,
12 perché il torello a sua lussuria corra >.
Poi come gru, eh' alle montagne Bife
Tolasser parte e parte in vèr l'arene,
15 queste del gel, quelle del sole schife;
l'una gente sen ya, l'altra sen viene,
rità ». — 84. eod p«r estr» eoo. Ventali
453 : e La glmilitadixke è tviflcersta dall» n»-
tozm. VligUio, namndo raooorrexe de* Troiani
alle nsrl, daeorire minutamente il brolichf o
dell» formiche, e U loro afEaccendarsi a far
proTTisione per 1* Inremo : i2 nigrum campi»
\ eoe {En, ir 404) ; e Ovidio osa la
k oomparasione : Atpisoinm» affmin» km-
ffo, Omni» omu txiguo fomUea» ùregennU»,
Bitgonqu» «uwm mnanisM eortiee eattem (Mei.
vn 624). Altri poeti la naarono del pari : ma
neesiino notd quello che Dante ben dioe am-
umwani, ohe ò if natonle e tatto proprio
dalle formiche; H q;aal Terbo formato oppor-
tanamente da lai rende esatta e viyìnima
imagine dell' affettaoao baoiaxsi di qaelle »-
BìoM». — lare tehlera bma: la linea
nera formata dalle formiche. ~ 86. fan o a
•eyUr eco. forM a ricercare, chiedendone
l' ana all' altra, notizie intomo alla via per-
ooiaa e alla Cortona buona o cattira del cam-
mino, doè ee Ti sia da trovare o no il cibo
deeldeiato : qnaato al rb. Mptar$f cfr. la nota
al Acry. xn 84. — 87. Testo ehe partea ecc.
Appena le anime delle due schiere hanno com-
pi ata ramioherole accoglienza, prima ancora
di fere on passo dal ponto d'incontro, da-
seona schiera si sforza di gridare più forte
dell' altra esempi di lassarla ponita. — 89.
saprayrldar: gridare a roee più alta. —
40. la aaoTa ecc. La schiera sopraTonata,
qoella di coloro che peccarono contro natora
(▼T. 7e-81), grida l'esempio delle città di Sot
doma e Gomorra, le qoali ftuono distratto
dal fnooo oelesto perché i loro abitanti erano
colperoU di sodomfa (cfr. Inf, xi 51). — 41.
Falira eoo. La schiera primamente incon-
trata da Daate, qaella dei lossoriosi propria-
mente detti (tt. 82-87), grida l'esempio di
Paaifé, figlia di Apollo e di Perseide e moglie
di Minos, la qoale per eccesso di libidine,
essendosi innamorata del toro fatto osdredal
mare da Posidone, entrò in una Tacca di le-
Danti
gno costrotta da Dedalo e in tal modo potè
aTore col toro il moetrooso commercio, onde
nacque il Hinotaoro (cf^. Inf. xn 12). — 4S.
eese gn eoe come doe schiere di gra che
Tolassero tn direzione contraria, 1* ana Terso
te morUagn» Rife per fuggire il caldo e l'altra
Terso le orwis dell' Africa per fOggire il freddo
eoe. Blano : « Kessono ha rieonosoiato V im-
possibilità di ciò che oostitaisce U fondo di
questa similitudine. Poiché iuTero gli ocoelli
migrano in primaTeza Terso il nord per fug-
gire il calore estiTo, e nell' autunno Terso
il sud, ma essi, dall' istinto guidati, seguono
tutti senz* ecoosione, la stessa Tia; ed è im-
possibile ohe di una sola specie di uccelli ad
un tempo una parte cerchi il freddo e l'altra
il caldo. Tutto dò che può dirsi a scusa del
poeto n è che egli paria degli opposti toU
di questi oooelli non come di un fatto, e non
dioe voUuty ma piuttosto d' un' ipotesi, quan-
d'essi vo!a$t&ro : posto doè che fosse per loro
possibile il dlTidersi in tal modo, essi d se-
parerebbero nella stessa goisa che qui le om*
bre >. — moaiagae Btfs s 1 monti Bifd o
Iperborei, collocati dagli antichi in posidone
indetorminate al nord-est dell' Europa e da
loro creduti fedissimi e coperti di noTi eter-
ne, rispondoTano a una Taga nodone che gli
antichi stesd aTerano di alcune diramadoni
europee dd monti Urali : qui sono posti a
indicare i freddi paed settentrionali. 8i noti
che Danto riprese liberamente il concetto che
è espresso nd Tord di Locano, Fan. t 711-
712 (cfr. Piar, zTm 73), oto il fiume Strimene
sta a indicare il nord e il Nilo il sud. — 44.
le arene: i doserti arenod ddla Libia (cfr.
Inf. xxit 85), posti qui a dedgnare le calde
regioni del mezzogiorno. — 46. I*aaa gente
eoo. la nuova gmU, la schiera dei sodomiti,
se ne Ta in direzione contraria alla nostra,
e l'o/tra, quella dei lussuriod, Tiene nella
nostra stossa direzione: dunque la schiera
dei sodomiti avanzava da sinistra Terso de-
81
482 DIVINA COMMEDIA
e tornan lagrimando ai primi canti,
43 ed al gridar che più lor si conviene.
E raccostarsi a me, come davanti,
essi medesmi che m'avean pregato,
51 attenti ad ascoltar nei lor sembianti.
Io, che due volte avea visto lor grato,
incominciai: < 0 anime sicure
64 d'aver quando che sia di pace stato,
non son rimase acerbe nò mature
le membra mie di là, ma son qui meco
57 col sangue suo e con le sue giunture.
Quinci su vo per non esser più cieco:
donna è di sopra che n'acquista grazia,
60 per che il mortai pel vostro mondo reco.
Ma se la vostra maggior voglia sazia
tosto divegna, si che il ciel v'alberghi,
63 eh' è pien d'amore e più ampio si spazia,
ditemi, acciò che ancor carte ne verghi,
chi siete voi, e chi è quella turba
66 che se ne va di retro ai vostri terghi >.
Non altrimenti stupido si turba
lo montanaro e rimirando ammuta,
69 quando rozzo e salvatico s'inurba,
■tn, r altra da destra yeno sinistra. ~ 47. corrispondonza tra questi yenl e qveni àt^
• toraan eco. e tornano piangendo a can- 1'^. u 94-96, intonde ohe la donna celeste,
tare l' inno Summae Dem ciemmUioét e agli che acquista grazia agli nomini (»' a^ptitia),
esempi di castità, più convenienti alla parti- sia la Vergine Maria, la qnale appunto ot-
colare conditone di ciasonno (cfr. I^trg, xxvi tenne a Dsnte la singolare coneesaione di
121 e segg.)* — 49. B raeeostlrsi ecc. £ questo riaggio por i regni etemi. — 60. per
quelli medesimi, che già m' aTovano per bocca ehe il norial eco. per la quale grazia reco
d' un di loro pregato di parlare, si raccosta- il mio corpo per il purgatorio. — 61. te la
rono a me oomt davanti^ cioè « con riguardo TOstra eoe cosi il vostro maggior desiderio
di non uscir dove non fossero arsi > (v. 14), sia presto sodis&tto, si eh» v* accolga il
mostrando nel loro atteggiamento d'aspettare cielo empireo, sede dei beati. ~ Q^. ck' è
la mia risposta. — 62. dae volte : adesso, e plea ecc. : cfr. Pttr. zxz 40-42. ~ 64. ae-
prima dell'arrivo dei sodomiti (w. ISesegg.). elò ehe ancor ecc. affinché anche di voi io
— 64. 4*aver ecc. di conseguire presto o tardi possa raccomandare la memoria alle mie carte,
la beatitudine del paradiso. — 66. aoa soa affinché io possa scrivere anche della vostra
rimase ecc. non ho lasciato nel mondo le condizione. — 66. quella tarba eco. la schie-
mie membra acerbe o mature, non sono an- ra dei sodomiti, che andava in direzione oob-
oora morto né giovine né vecchio; ma ho trarla a questa. ~ 67. Hea altriMeati eco.
arrecato qui le membra mie con il loro san- Come il montanaro pieno di stupore si con-
gue e con le loro giunture. — 67. svo: cfr. turba e meravigliato ammutoUace quando fws-
Jnf, X IS. — 68. Qvlaci sa vo eoe Da questo xo a aakaUeo^ cioè non ancora spogliato d^la
luogo io salgo alla cima del monte, per ao- rozzezza e selvatichezza naturale, entra in
quistare la luce della mente, per non essere una città ; cosi stupirono tutte quelle anime
più ottenebrato dall' errore. — 69. donna h a sentire che Dante era vivo. « Questa aimi-
di sopra ecc. Questa donna, secondo la mag- litudine, dice il Biag., è vero ritratto £ na-
gior parte dei commentatori, dal Lana, dal tura, e non si pud descriver me^o la prima
Buti e da Benv. al Lomb. e al Tomm., sa- impressione del montanaro ohe, entrato la
rebbe Beatrice, come proverebbe il riscon- prima volta in città strepitosa, rimane per
tro oon il verso dell'In/', n 70: meglio, lo meraviglia ammutolito, osta guardando ooUa
8cart., osservando come più perfetta sia la bocca aperta >« — 69. f * iporha: va in citt^
PURGATORIO — CANTO XXVI
433
che ciascun' ombra fece in sua parata;
ma poi che faron di stupore scarche,
72 lo qual negli alti cor tosto s'attuta,
< Beato te, che delle nostre marche,
ricominciò colei che pria m'inchiese,
75 per viver meglio esperienza imbarche!
La gente, che non vien con noi, offese
di ciò per che già Cesar, trionfando,
78 ' Regina ' centra sé chiamar s'intese;
però si parton ' Sodoma ' gridando,
rimproverando a sé, com'hai udito,
81 ed aiutan l'arsura vergognando.
Nostro peccato fu ermafrodito;
(cfr. Paxodi, BuU. m 188). — 70. ék9 «la-
■caB* ombrm eco. Venturi 297 : e Dicendo Ù
poeta in mta jtamda accenna ohe la Bimilita-
dine del montanaro al rifeiiaoe al iolo atto
esterno del tuiMunento; perché (quanto al-
l'animo) diverso è lo atnpore dell' ignoranza,
proprio al rillano oh* entra in dttà, da quello
die si desta negli tpixiti nobili. L' uno d prin-
cipio d'istapidimento; l'altro, ammirazione».
— 71. ma pel elM eoe ceesata l' ammirazione
di qnelle anime, colei che prima aveva rivolto
il diacono a Dante (of. v. 16 e aegg.) riprese
a parlare. — 72. lo qmtl ecc. ohe presto si
spegne negli animi elevati. Dante, Cono, rv
25 : < Lo stopore d nno stordimento d'animo,
per grandi e maravigHose cose vedere o udire
o per akan modo sentire; che, in quanto paio-
no grandi, flanno reverente a sé quello ohe le
■ente; in quanto paiono mirabili, fianno vo-
glioso di sapere di queUe quello che le sente > .
— t'attuta : si attutisce (ofir. Parodi, BuU. m
140). — 73. Beate te ecc. Te beato, che per
vivere nella grazia del Signore sei venuto a
visitare le nostre regioni, raccogliendone i
frutti dell' esperienza : le parole di quesf ani-
ma sono un' esplicazione di ciò che Dante ha
detto (V. 68) : « Quinci su vo per non esser
più cieco », però ò Cadle coglierne il senso
generale; quanto all'espressione É^Mrienxa
émòarehé, spiegata dal Lana, « prendi espe-
lìenzia », Benv. la chiarisce cosi : e ooUigis
•t reponis in barcam tui ingenii », e il Buti :
« metti nel tuo animo : come ai mette, quel
che si vuole portare, nella barca; cosi quello
chB l'omo vuole tenere a mente, mette nel-
l'animo ». — marche : regioni, territori; cfr.
Purg, XDE i5. — 76. La gente ecc. La schiera
di anime, ohe cammina opposta a noi, peccò
di aodomla. — 77. di eiò eoo. Suetonio, Càea.
oap. 48, tutto dedicato alle impudicizie di
Giulio Cesare, laooonta che per le obbrobriose
eonsuetudini sue oon Nioomede re di Bìtinia
fu salutato col nome di rtgina da un corto
Ottavio e chiamato regina bUmioa dal collega
M. Bibulo, e ohe nel trionfo gallioo i addati
intonarono, tra altri, il notissimo canto e 6al-
lias Gassar subegit, Nloomedes Oaeaarem»
eoo. : Dante, o non ricordasse bene il testo
di Suetonio o alterasse a posta la narrazione,
confuse più Catti in un solo, trasportando al
canto del trionfo gallioo il motteggio di Ot-
tavio e di Bibulo, a significare in sostanza
che Gesare peocfr di sodomia. — 79. però si
parteu ecc. cfr. v. 40. — 81. ed *latan ecc.
e oon la vergogna ecdtata dal continuo rim-
provero oh' essi flEuino a sé medesimi aiutano,
facilitano, favoriscono, l'armtra cioè l'opera
dell'espiazione. Quest'interpretazione, cosi
semplice ed evidente, è dello Scart, prima
del quale gl'interpreti, antichi e moderni, si
sbizzarrirono a chiosar falsamente questo verso
in più maniere, che non mette oonto riferire.
— 82. Kostre peeeate eoe Invece il peccato
della schiera, cui appartengo io, non fti con-
tro natura, tn. da uomo. a donna; ma perché
in uso die per sé è lecito non osservammo
legge umana e seguimmo l' appetito sensuale
eom» betti», all' infuori dd vincoli matrimo-
niali oppure oon intemperante abuso, gridia-
mo il nome di Padfe. — enuifroAlto : gran
questione liumo a questo luogo gì' interpreti,
e oon le loro spiegazioni riesoono ad abbuiare
un passo chiarissimo di per sé. Tommaso d'A-
quino, Summa, p. n 2^, qu. cun, art 2,
dice : « Usus venereorum potest esse absque
omni peccato, d fiat debito modo et ordine,
secundum quod est conveniens ad flnem ge-
nerationis umanae », e subito dopo, qu. cuv,
art 1, definito il peccato ddla lussuria come
r uso fatto « non secundum rectam rationem »,
ne distingue le varie maniere : fornicazione,
adulterio, incesto, stupro, ratto e vizio con-
tro natura. Dante distingue i lussuriod in
due schiere, l'una di sodomiti, lerd contro
natura, e l'altra di lussuriod propriamente
detti i quali peccarono in una o più delle
cinque prime forme di lussuria: dunque la
schiera, cui appartiene il Guinizelli, è di adol-
484
DIVINA COMMEDU
H
87
90
93
ma perché non servammo umana legge,
seguendo come bestie l'appetito,
in obbrobrio di noi, per noi si legge,
quando partiamcif il nome di colei
che s'imbeetiò nell'imbestiate schegge.
Or sai nostri atti, e di che fummo rei:
se forse a nome vuoi saper chi seme,
tempo non è da dire, e non saprai
Farotti ben di me volere scemo:
son Guido Guinizelli, e già mi purgo
per ben dolermi prima oh' all' estremo >.
Quali nella tristizia di Licurgo
tori, inoettaosi eoo. ; tatt» gente che peoo*-
rrao osando oon femmine e non seoondnm
reotam lationam ». È manifesto <inindi ohe
0rmafirodito è nn agg. coi Danto ha dato nn
partloolaie Talora a aignifloara ohe il peccato
di costoro t% per cosi dira, bisessuale, tra
maschio e femmina, in antitesi a qneHo della
prima schiera, che fti tra maschio e maschio;
parlicolara Talora deriTato a cotesta parola
dalla leggenda mitologica di Ermafrodito, fi-
glio di Mercurio e di Venere, il qnale si con-
ginnse strattamento oon la ninfe Saìmaoe in
modo che si formò nn solo ooipo, coi carat-
teri mseoolini e femminini insieme (cfr. Gri-
dio, MtL IT 288-888). — 83. nmana legge :
quella che la retto ivgione impone agii no-
mini, quanto all' uso dei piaceri veneroL ~
86. In ebkrebrlo eoe a nostra Tergogna gri-
diamo noi stessi l' esempio di Pasife, che be-
Btialmento nsò dentro alla felsa Tacca di le-
gno (cfr. T. il). — 89. se forse ecc. se ta
aTessi mai il desiderio di conoscerci per no-
me, non è qnesto il momento opportono (si
ricordi che il sole TolgOTa al tramonto) e io
non saprei sodisferti, non conoscendo tatti
i miei nomerosi oompagnL — 91. Faretti
ben eco. TnttoTia ti fero teemo il volere, so-
disferò il tao desiderio, di ms, quanto a me,
dicendoti chi sia io. — 92. «niao «alnlzelU :
Guido di Guinizello de' Principi, caTaliere
bolognese, nato intomo al 1280: di lui sap-
pianio che fe podestà di Castelfranco nel 1270,
parteggiò, come altri dei principali suoi con-
cittadini, por la fedone ghibellina dei Lam-
bertani, e nel 1274 fri bandito insieme con
tutti 1 suoi compagni di parto: mori esule
nel 1276 (cfr. Q, Fantuzzi, Notixie degU aortt-
tcfi bolognesi, Bologna, 1784, toL IV, pp. 845
e segg. ; L. Frati, nel PrvpugncUon, N. Se-
rie, voi. I, p. 1% pp. 6-80; F. Pellegrini,
ibid. ToL m, p. 1% pp. 244-266). D Guini-
zelli deve la sua fema di poeto in parto a
un piccolo canzoniere (nelle Rime dei poeti
bdoffn. del tee, xin, Bologna, 1881), per il
quale egli è da considerare come il migliora
dei rimatori della scaola dottrinale (cfr. JVy.
xxzT 60), e in parto alle molto lodi ohe Danto
fece di lui qui e altrore {Ooim, it 20, Ds
vuiff. eloq, I 9, 16, n 6, 6, Jn«y. n 97, V,
^. zx 11) : aneh* efl^ ineominoiò, ocme gli
altri poeti oontempoanei, imitando la lirica
proTenzale, ma sotto l'influensa degli stodt
fllcsofloi GoltiTati nello stadio bologneae ini-
ziò, contemporaneaaento a Gnittone d'Areno
(cfr. T. 124) e con gli stsssi intsadioMnti,
una nnoTa maniera di poesia, ohe fri qneUa
della senola dottrinale : e mentra Onktone
traoTa dalla scienza motìro a moralinanani
e sillogismi in forma Tieto e fetioosa, il G«i-
nizelli, dotato di fervida fentasia e di pronto
intelletto, atteggiaTa il pensiero dot^inale
nelle imsgini nuoTe ed efflcad delle sue can-
zoni ed effnndera il sentimento assotoso in
sonetti ove per la prima Tolto nella poeala
italiana apparve la bellezza della forma (ofr.
A. Gaspary, Storia della letL HaL, Tera. it,
voL I, pp. 88 e segg. ; G. Koken, Omttom'e
wm Arenato DieMimg und «fi» VerhSUnig» xm
Gui$meUi, Lipsia, 1886). — 98. per ken 4e-
lerad eco. per essermi pentito prima di giun-
gere al termine della Tita. Quale fosse la na-
tura della colpa, di eoi il GuiniaelU si pesti
a tempo, non dicono g^ antichi interpreti,
contenti di lodarlo come «ornato parlatore»
e «fino dicitore in rima»: BeuT. attesto:
« Fuit ipee Guido Tir prudens, eloqnens, in-
Teniens egregie pulcn dicto materna; sicut
autom erat ardentis ingenii et »nguae, ito
ardontis luxuriae, quales multi iuTeniuntur
saepe » : solamento il Lana spedflca la odpa
di Guido, dicendolo « nel Tizio di contro na-
tura nn poco impeciato nella prima Tito»,
ma ò una conseguenza della erronea classi-
ficazione che efl^ fe dei penitenti di questo
cerchio. È manifesto che il GninizeUi e i
compagni sono qui psr aTera eooedoto nel-
Tuso dei piaceri Tenecel, ma non contro na-
tura, si bene oontro la retto ragione (cfr. la
noto al T. 82). -> 9i. Quali neUa trlstisla
eoo. Baoconto Stazio, ohe Isifile (cfr. Jh/1
PURGATORIO — CANTO XXVI
485
si fòr due figli a riveder la madre,
96 tal mi fec*io, ma non a tanto insurgo,
quand' i' odo nomar sé stesso il padre
mip e degli altri miei miglior, che mai
99 rime d'amore nsàr dolci e leggiadre:
e senza udire e dir pensoso andai
lunga fiata rimirando lui,
102 né per lo foco in là più m'appressai.
Poi che di riguardar pasciuto fui,
tutto m'offersi pronto al suo servigi o,
105 con l' affermar che £a credere altrui.
Ed egli a me: <Tu lasci tal vestigio,
per quel eh' l'odo, in me e tanto chiaro,
108 che Leto no '1 può tòr, né farlo bigio.
Ma, se le tue parole or ver giurare,
dimmi che è cagion, per che dimostri
xrni 86) oMondo ■chiava di Licurgo re di
Nemea fii condannata a morte, per punirla
d* avere abbandonato Oléite, figlioletto del re,
per mostrale agli eroi la fonte Langfa {.Pwrg,
zxn 112) ; ma mantn li stava p«r eeegoire
la ■entaoxa eopraginnaero i flgliaoU di lei
Toant» ed Eoneo e rioonoednta la madre la
■ahranmo. I due giovini ti volsero alla ma-
dre con tale impeto di affètto, ohe, oome dice
Stano, 7M. v 721, e Per tela mannsqne Ir-
memnt, matremqne avidis complexibns ambo
Dirìpinnt flentea, altemaqno pectore mutant > :
cfr. Moore, I 247. — 96. tal mi fee'lo eco.
oosi Dante, rìoonoeeendo il Gninizelli, si sentf
preso da un vivissimo desiderio di abbrac-
ciarlo ; ma non insorse a tanto, doò si astenne
dal oompime l' atto, perché avrebbe dovato
entrare in mezzo alle fiamme. Tale ò la retta
q»iegazìone data dal Bati, accolta da molti
moderni e confermata dalla rispondenza con
rincontro di Dante e di Bronetto {Inf, xv
4S e segg.). Altri interpreti sogoirono il La-
na, ohe spiegò: «L* amoro ch'io portai a
moesor Ooido non è cosi stretto come da
figUodo a madre » ; ma il vb. inavirgo d ri-
^iama all' idea di nn movimento doUa per-
sona, non dell'intensità maggiore o minore
di nn afletto. — 97. 11 padre mie eoo. il
amestro mio e di tntti i rimatori migliori di
me, 1 qnali alla dolce ispirazione oongion-
■ero la forma leggiadra. Cosi Dante delinea
i caratteri della poesia dello ttU muovo (ctt.
Pmg, xxrv 60, 67), di qnella scuola qoasi
tntta fiorentina e di parte bianca della quale
egli e il Oavakaati ftirono promotori e mas-
simo ornamento : dolcezza e leggiadria sono
appunto i oaiattaxi doUa lirica giovanile dan-
tesca, dolcezza di sentimento, di parola, di
lima e leggiadrìa d'imagini, di locuzioni, di
metri; e cosi anche riconosce che la scuola
dello stil nuovo procede dalla poesia del Gui-
nizelli, unico tra 1 rimatori della scuola dot-
trinale che saposse oongiungere alla since-
rità dell'ispirazione la bellesza della forma,
alla dolcezza la leggiadria. — 96. miei mi-
gUer: migliori di me; oome tuoi maggiorif
in due luoghi di F. da Barberino, dtati dal
Torraca, significa 1 maggiori di te. — 102.
■tf per le fece eco. e non mi accostai di piò
al Ooinizelli, a cagione del fuoco, nel quale
avrei dovuto entrare. — 105. een raffermar
eoo. con giuramento (cfr. v. 109). — 106.
Ta lasci eoo. Per quel eh* t* odo, tu lasd in
me tale memoria che le acque del fiume Lete
(cf^. Purg. zxvm 180) non potranno mai spe-
gnere né oscurare. La difficoltà è nel deter-
minare ohe cosa sia dò che n Guinizelli dice
quel -eh' i* odo, che può essere dò che Dante
ha detto prima che il poeta bolognese gli si
manifestasse (w. 66-60) e dò che gli ha detto
dopo offerendosi pronto al suo servigio (w.
104-106) : nel primo caso, s' avrebbe una pro-
fonda impressione prodotta nel Ouinizelli dalla
singoiar grazia concessa da Dio a Dante di
viaggiare ancora vivo per il regno dei morti ;
nel secondo, l'impressione sarebbe prodotta
dalle particolari dimostrazioni di affetto che
a quell'anima fa l'ignoto visitatore. I com-
mentatori antichi e moderni non avvertirono
questa difficoltà e spiegarono un po' grossa-
mente queste parole, con le quali credo che
il Ouinizelli si richiami a dò ohe Dante gli
ha detto del suo viaggio ; poiché alle dimo-
strazioni d'affetto accenna invece, e in ma-
nifesta antitesi col precedente ricordo, nelle
parole che seguono. — 110. ohe è eaglon ecc.
quale ò la cagione per cui dimostri nel dire
(V. 104-105) e nel guardar (w. 100-102) ecc.
483
DIVINA COMMEDIA
111 nel dire e nel guardare avermi caro >.
Ed io a lui : « Li dolci detti vostri
che, quanto durerà Fuso moderno,
114 faranno cari ancora i loro inchiostri >.
€ 0 frate, disse, questi ch'io ti scemo
col dito (ed additò un spirto innanzi)
117 fii miglior fabbro del parlar materno.
Versi d'amore e prose di romanzi
soperchiò tutti, e lascia dir gli stolti
120 che quel di Lemosi credon ch'avanzL
A voce più ch'ai ver drizzan li volti,
e cosi ferman sua opinione
123 prima ch'arte o ragion per lor s'ascolti.
Ck>si fdr molti antichi di Guittone,
— 113. LI dold eoo. Dante dà ragione deUs
sua ammirazione, tatta letterariai per il Gni-
nizelli dicendo eeaeme cagione le sne dolci
poesie, le qnali piaceranno finché dori Pn-
sanza di scriyere in lingua volgare. — detti :
poesie ; neU' ital. ant. detto e dittato (cfr. V.
N, xz 11), come in frane, dit^ significarono
genericamente ogni specie di componimento
poetico, massime didascalico o dottrinale. —•
118. l'oso noderao : l*nso recente dello scri-
rere nelle lingae Tolgari di origine latina;
cfr. r. N. zxy 22 : e non è molto numero
d'anni passati che apparirono prima questi
poeti Tolgari *. — 115. 0 frale eoo. H Oni-
nizelli, quasi rifiatando per modestia (cCr. il
caso di Oderisi da Gubbio, Puirg, zi 82 e segg.)
il pregio di maestro del poetare in lingua vol-
gare, addita a Dante un suo compagno ohe
nell'uso del proprio volgare tu. migliore ar-
tista ; gli addita Arnaldo DanieUo, trovatore
provenzale, fiorito tra il 1180 e il 1200 (cfr.
F. Diez, Lebm und Werk$, dt. pp. 279-292).
Questo trovatore, del quale ci è rimasto un
piccolo canzoniere di dioiotto componimenti
(edizione critica procurata da U. A. Canello,
La vita 0 le opere del trovai. A, Daniello^ Halle,
1888), tìx molto stimato da Dante, il quale lo
ammirò specialmente come inventore della
eeetina e introduttore nella poesia lirica di
forme complesse od elaborate e di situazioni
concettose e profonde (cfìr. De vulg, eloq, n
2, 6, 10, 13) : anzi dalle lodi di Dante derivò
la gran fkma che il Daniello ebbe in Italia
dal sec. ziv in poi (cfr. Canello, op. dt. pp.
44-76). — ti seerBO : ti mostro, distinguen-
dolo dagli altri. — 118. Versi d'amore ecc.
Fu il più eccellente di tutti i moderni scrit-
tori nelle lingue volgari, superò con l'eccel-
lenza dolio sue poesie quella di ogni altro
componimento di poesia e di prosa volgare,
i verei d'amore ossia le canzoni amatorie in
lìngua provenzale, e le prose di romanzi os-
sia i romanxi in prosa fhuioese (cfir. G. Paris
nella Romania, a. 1881, voi. X, p. 479). Molte
questioni sono state sollevate e discusse in-
tomo a cotesto prom di romanxi, che altri
spiegano variamente e alcuni tengono come
un accenno a romanzi composti proprio dal
Daniello; chi voglia averne un* idea compiuta
cerchi il dt libro del CaneQo, pp. 29-88. —
120. q«el di Tiemoff eco. Giraldo di Bomélli,
trovatore nato presso Bssiduell nel Iiimosino
e fiorito tra U U76 e U 1220, dotato di laiKo
e vivace ingegno poetico, introdusse nella
lirica provenzale una maniera più popoUre
e trattò con la stessa fisdlità i generi pid
svariati, acquistandosi gran ftuna presso l
contemporanei : « fu (dice un antico suo bio-
grafo) miglior trovatore di quanti l'avevano
preceduto e di quanti gli vennero dietro ; e
però venne chiamato il maestro dei trova-
tori, e per tale si reputa ancora da ehi sa
apprezzare i detti sottili e ben assettati, in
argomenti d' amore e di morale > : cf^. Diet,
op. dt, pp. 110-124 e Canello, op. dt p. 38
e segg. Dante, cho pur ne conobbe le poesie
(cfr. De vuig. et, n 2, 6), ne recava giudizio
meno favorevole, forse perché la sua arte gli
pareva troppo semplice e popolare. — 12L
▲ voce ecc. Badano più alla «oet, all'opinione
comune, che alla verità ; e cosi fermano il
loro erroneo giudirio senza considerare le
leggi dell'arte e della ragione. ~ 124. Cosi
fSr ecc. Cosi in Italia hanno fatto molti vec-
chi a propodto di Guittone, 1 quali seguendo
l'opinione comune hanno dato a lui solo il
pregio dell' eccellenza nella poesia, finché la
verità eonpiupermmef dimostrandosi a molti,
ha trionfato. — Onlttone : Guittone del Viva
aretino, nato intomo al 1220, visse per lo
più in Firenze, ma anche in altri luoghi <&
Toscana e in Bologna, ascritto all' ordine del
frati gaudenti (cfr. ^f. zzm 108), e mori
nel 1294: fecondissimo scrittore di canzoni
PURQATOBIO - CANTO XXVI
487
di grido in grido pur lui dando pregio,
126 fin che Pha vinto il ver con più persone.
Or, se tu hai si ampio privilegio,
che licito ti sia l'andare al chiostro,
129 nel quale è Cristo abate del collegio,
fagli per me un dir di paternostro,
quanto bisogna a noi di questo mondo,
132 dove poter peccar non è più nostro >.
Poi, forse per dar loco altrui, secondo
che presso avea, disparve per lo foco,
185 come per l'acqua pesce andando al fondo.
Io mi feci al mostrato innanzi un poco,
e dissi ch'ai suo nome il mio disire
13S apparecchiava grazioso loco.
Ei cominciò liberamente a dire:
€ Tan m* àbellis vostre cortes defàan,
141 qu* ieu no me puesc ni-m voiU a vos cobrire.
leu sui Amaut, que piar e vau cantan :
consiros vei la passada folor,
e mMtti (iftcoolti da L. Valeriani, Rim» di
fr. a. <f^., Firenxe, 1828; ediz. crìtica a
con di F. PeUegrini, Bologna, 1901) e di
•pistol* (pnbbL da Q, Bottari, LtU.difr. G.
d'A.f Booia, 1746), ta il capo rìconosditto
deOa scnola dottrinale (c£r. Purg, xav 60) ;
ma -reno di Ini Dante, ohe forse Io conobbe
▼eochio in Firenze, non li volse beneyolo,
anzi oontro la soa poeda e i suoi ammira*
tori si scagliò pid ToHe, p. es. nel D9 vulg,
0hq. n 6 : < Desistant ergo ignorantiae seota-
tatm Onidonem aretinnm et qnosdam alios
extoDentas, nnnqnam in Tocabolis atqne oon-
stmeticme desnetos plebesoere » ; parole che,
mentre piegano il disprezzo di Dante per
Onittcme, ci aiutano anche a intendere per-
ché egli gindicasse Arnaldo Daniello miglior
trovatore che Giraldo di Bomelh. — 126. eoa
pie persone: oon molti nomini, i quali rico-
nobbero r errore degli antichi. Altri inter-
preti, YeU., Vent., Blag., Bianchi ecc. spie-
gano : oon il maggior merito di parecchi poeti
che forono più eccellenti di lui; mApiùper-'
mms è in rapporto oon «notti antichif cod che
anche qui si tratta delle persone die giudi-
carono Gttittone, non dd merito dei suoi suo-
oeesozL — 128. andare al chiostro ecc. an-
dare al paradiso, ove Cristo è capo della
sodata dei beatL Buti: « Il paradiso d chiu-
sura de* beati come lo chiostro d de* religio-
si,... oome l' abbate ò padre e signore de* mo-
naci, cod Cristo via maggiormente è padre
e dgnore de' beati >. — 180. fàgli per me
ecc. recita a Cristo in mio sufbagio quel tanto
dd paternostro che bisogna alle anime peni-
tenti, le quali non possono più peccare. Vud
dire il Ouinizelli che non importa dir per lui
r ultimo versetto dell'orazione domenicde,
il qnde non bisogna a lui e alle dtre anime
del purgatorio (cfr. Bify. zi 22). — 188. forse
per dar ecc. forse per dare posto ad un d-
tro, secondo che gli veniva appresso ecc.
Questa punteggiatura e interpretazione pro-
posta dd Fanf. d assd migliore della vul-
gata : per dar toeo cUirìd ateondo, che pruso
eco. per dar luogo secondo a un dtro, che
aveva vidno. ■— 186. come per Faeqaa eco.
come scompare dalla superfide dell' acqua un
pesce, ohe d cacd verso il fondo. — 136. al
feci ecc. mi aocostd un poco d moBtrato,
allo spirito che Guido m'aveva additato (v.
116). — 187. al sao nome ecc. desideravo
dì conoscere il suo nome : gentilissima espres-
sione, della qude ognuno vede la spigliata
bellezza e l' efficacia, contro il giudizio d' d-
cuni commentatori che l'hanno consunta.
— 139. El cominciò ecc. Amddo Daniello,
poeta provenzdo, parla in sua lingua, con
versi che furono molto soonciati da antichi
copisti e da moderni editori, e che ho ri-
prodotti secondo il testo datone da B. Be-
nier, Giom. ator, della Idt, «., voL XXV,
n.* 74-75, accompagnandoli via via d'una
traduzione letterde. — 140. Tae M* abellls
eoe Tanto mi piace vostro cortese dimando,
che io non mi posso nò mi voglio a voi co-
prire. — 142. lei sai ecc. Io sono Amddo,
che piango e vado cantando ; pensoso vedo
4S8
DIVINA COMMEDIA
144 e ve» jaxizen lo jom, qu* esper, denan*
Ara U8 prec, per aqudla valor
que V08 guida al som d'està escaUna,
sovenha vos a temps de ma dolor ».
148 Poi 8* ascose nel foco che gli affina.
la passata follia, e vedo giocondo il giorno,
che spero, dinanzL — U4. lo Jora, qv* esper,
denaa : il giorno che spero vicino, il giorno
cioè della mia salita al cielo. ~ 145. Ara os
ecc. Ora Ti prego, per qael Talore che roi
guida al somme di questa scala, soyyenga roi
a tempo di mio dolore. — ao^HA valer : d
il valore, la virtù di Dio. ~ U7. a teapa :
a tempo opportono, lat. ad trnnpuM, — 148.
■d fiseo ecc. nella fiamma, ohe parifica que-
ste anime dalle loro colpe.
CANTO xxvn
Airinyito dell'angelo della castità i tre poeti trayenano le fiamme del
settimo cerchio ; poi riposano e Dante yede in sogno Lia, simholo della yita
attiva, che va raccogliendo fiori ; finalmente ani far del giorno riprendono
il cammino salendo verso il paradiso terrestre, ove Virgilio si congeda dal
sno discepolo [dal 12 aprile, ore sei pomeridiane, sino al 18 aprile, ore sei
antimeridiane].
Si come quando i primi raggi yihra
là dove il suo fattore il sangue sparse,
8 cadendo Ibero sotto l'alta Libra
e Pondo in Gange da nona riarse,
si stava il sole, onde il giorno sen giva,
6 quando l'angel di Dio lieto ci apparse.
Fuor della fiamma stava in su la riva
e cantava: < Beati mundo corde »,
9 in voce assai più che la nostra viva.
Posola: < Più non si va, se pria non morde,
xxvn 1. Si come ecc. Il sole n «(oco,
era ciod nella stessa posi2ione, come quando
manda i suoi primi raggi sopra Gerusalemme,
ove Cristo morendo spaxse il suo sangue;
vale a dire, il sole era, al purgatorio, vici-
nissimo al tramonto, perdo a Gerusalemme,
luogo antipode (cfr. ISurg, iv 67 e segg.), ap-
parivano i primi raggi del sole oriente. Quale
momento preciso accenni qui Dante non d
determinato dagli interpreti: certo un mo-
mento anteriore al tramonto (cfr. w. 73 e
segg.), e forse anteriore di pochi minuti ; di
quel tempo doò durante il quale la luce del
sole tramontato si vede ancora per la rìfra-
sione dei raggi (cfr. Della Valle, B tenao ecc.
p. 72 e segg. e Suppl.y p. 44). — 3. cadendo
ecc. Dante vuol dire che mentre rispetto al
purgatorio il sole tramontava e rispetto a
Gerusalemme nasceva, alle sorgenti doli' Ebro
estremo confine ooddentale a 90 gradi da
Gerusalemme doveva ossero mezzanotte, il
tempo doò in cui la costellazione della Libra
si trova al meridiano insieme con la notte,
e che alla foce del Gange estremo confina
orientale a 90 gradi da Gerusaleoune ttm già
passato il mezzogiorno, il tempo in cui le ao*
quo di quel fiume sono riarse dai caldi raggi
della nona. — 4. nona : una delle parti del-
l' uffizio divino, qui significa il mezzogiorno,
perché, come Dante stesso scrive nel Cont.
IV 23 « la dritta nona sempre dèe sonare nel
oomindamento della sottima ora del di ». —
6. cade il glorio ecc. per la qual condizione
di tempo si faceva sera, allorché d apparve
l'angelo custode del settimo cerchio: erano
le sei pom. del 12 aprile ; cfr. Hoore, pp. 79
e 121. — 8. Beati ecc. L'angelo della castità
saluta i poeti cantando la sesta beatitudine
evangelica (Matteo v 8) : « Beati i puri di
cuore, per dò che vedranno Iddio >. — 10.
Poscia ecc. Cantata la beatitudine, l'angelo
della castità invita i poeti a entrare In mezzo
alle fiamme purificatrid e a poigere ascolto
al canto Venite, bentdieli cho zisuona al di
PURGATORIO - CANTO XXVn
489
anime sante, il foco; entrate in essoi
12 ed al cantar di là non siate sorde > ;
ci disse come noi gb' fiunmo presso:
per ch'io divenni tal, quando lo intesi,
15 quale è colui che nella fossa ò messo.
In su le man commesse mi protesi,
guardando il foco e imaginando forte
18 umani corpi già veduti accesi
Yolsersi verso me le buone scorte,
e Virgilio mi disse : e Figliuol mio,
21 qui può esser tormento, ma non morte.
Ricordati, ricordati... e, se io
sopr*esso Corion ti guidai salvo,
24 che farò ora presso più a Dio?
Credi per certo che, se dentro all'alvo
di questa fiamma stessi ben mill'annì,
27 non ti potrebbe far d'un capei calvo;
e se tu credi forse ch'io t'inganni,
fatti vèr lei e fatti far credenza
80 con le tue mani al lembo de' tuoi panni
Fon giù omai, pon giù ogni temenza;
là dol fuoco, in bocca ad un altro angelo
(clr. TT. 66-60). — Pltf BOB si TB eco. Non
■i pad più prooedexe, se prima non si ò pa-
lificati da questo fuoco: ò il concetto teolo-
gico cristiano, espresso da Gregorio Magno,
Maral, zzi 9 cosf : « Si per oordis monditiam
Ubidinis fiamma non extingaitor» ecc. —
14. per eh* la eco. per la qnal cosa, quando
intesi di dover attrayersare il faoco, mi spa-
Tentai come colui che ò condotto a morire.
— 16. OAle i eco. Dante dice la stessa cosa
elle ha detta in Purg, zx 128: « mi prese on
gielo Qnal prender' suol colai ohe a morte
Tada > : se non che qui determina anche il
genere della morte, richiamandosi al terrìbile
supplizio della propagginazione, per cui il pa.
ziente era « fitto > tìto nella fossa (cfr. Inf,
xxx. 60) ; e cosi significa più efficacemente lo
spaTento die lo prese all' idea di dover tra-
Tersare la fiamma. — 16. In s« le mbb ecc.
Congiunte le mani mi sporsi innanzi guar-
dando verso il fuoco e col pensiero corsi al-
l'idea di corpi umani, ohe già nel mondo io
aveva veduti sul rogo: l'atto del corpo e
r atto della mente cosi opportunamente col-
legati a nqppresentare la terrìbile situazione
di Dante sono colti dal vero ed espressi con
tanta felicità da giustificare il giudizio del
Tomm., ohe tenne questa come «una dello
fiA belle terzine del poema ». — 17. imagi-
BBBdo eoo. richiamando con un intenso atto
dell' imaginazione eoo. -^ 19. le baeBe seor-
te : Virgilio e Stazio. — 20. e Tlrgillo eco.
n maestro, veduti gli atti di^ spavento del
suo discepolo, subito lo conforta e rassicu-
ra, avvertendolo che il fuoco del purgato-
rio può essere cagione di tormento, ma non
di morte è faoco ohe purifica ma non con-
suma, e ricordandogli i maggiori pericoli dal
quali l'aveva tratto fuori. — 22. Blfordatl
ecc. Ces. : « Maestrevole reticenza I che dice
dieci tanti piti, che a ricordarli ad un per
uno i tanti pericoli dai quali l'avea cavato,
e le ragioni che egli avea di fidarsi di lui >.
— 23. sopr'esso ClerloB ecc. : cfr. Inf. zvii
79-136. — 24. elle farò ecc. tonto pid facil-
mente ti trarrò in salvo quanto più siamo
ormai vicini a Dio. — 25. Credi ecc. Sappi
che, se tu rimanessi immerso oltre mille an-
ni nella parte pifi intensa di questa fiam-
ma, essa non potrebbe consumarti pare un
capello. — alvo : propriamente il ventre (lat.
o/vus), e qui per traslato il mezzo della fiam-
ma, ove essa ò più viva. — 27. bob ti po-
trebbe ecc.: ricorda il detto evangelico di
Qesù (Luca xxi 17) : « E sarete odiati per Io
mio nome, ma pure un capello del vostro
capo non perirà ». — 28. e se tn ecc. e se
tu dubiti mai che io con queste parole f in-
ganni, accostati alla fiamma e toccandola col
lembo della tua veste assicurati ohe essa non
consuma. — 30. al lembo: cfjr. Inf, zv 24.
— SI. Pon gid ecc. Deponi, deponi ogni ti-
more, volgiti da questa parte ed entra sica-
490
DIVINA COMMEDIA
volgiti in qua, e vieni oltre sicuro ».
33 Ed io pur fermo e contro a coscienza!
Quando mi vide star pur fermo e duro,
turbato un poco disse: € Or vedi, figlio,
36 tra Beatrice e te è questo muro ».
Come al nome di Tisbe aperse il ciglio
Piramo, in su la morte, e riguardolla,
89 allor che il gelso diventò vermiglio;
cosi, la mia durezza fatta solla,
mi volsi al savio duca, udendo il nome
42 che. nella mente sempre mi rampolla.
Ond*ei crollò la testa e disse: e Come?
volemci star di qua ? > indi sorrise,
45 come al fJEinciul si £» eh' è vinto al pome.
ramente nelU flammA. -> 88. EA lo par fera*
eoo. Non ostante ohe Vizgilio l'abbia confor-
tato oon oaloroso disooiao a entrare nel fuoco,
Dante rimane perplesso e immobile, anche
contro la voce della sua rtessa coscienza che
lo ammonisce d' ubbidire alla soa gnida. —
84. fermo e duro i U primo epiteto dice l'im-
mobilità del corpo, Il secondo l' ostinazione
daU' animo ; tutti e due esprimono la condi-
zione già descritta nel rerao precedente. —
86. tvrkato eco. Virgilio si conturba un poco
perché Tede che le sue autorevoli parole non
sono state abbastanza efficaci su Dante ; e
ricorre però al più potente degli argomenti,
onde egli può persuadere il discepolo : gli ri-
corda Beatrice, dicendo che da lei ormai lo
separa solamente la fiamma da attrayersare;
e allora Dante si sente disposto al difficile
passo. Cosi nell'antipurgatorio la semplice
menzione di Beatrice suscitò nel cuore di
Dante un tìto desiderio d' andare e a mag-
gior firetta», tanto che Virgilio dovette con
opportune parole moderare l'ardore del sue
discepolo: cfr. Purg, vi 49 e segg. — 87.
Come al nome eco. Piramo e Tisbe, due
giovinetti babilonesi che si amavano contro
il volere del loro genitori, deliberarono d'ab-
bandonare la rispettiva casa patema, dandosi
convegno sotto un gelso che sorgeva accanto
a una tomba presso la città : Tisbe, giunta
per prima al luogo convenuto, dovette allon-
tanarsene e nascondersi per l'arrivo di un
leone, il quale insanguinò il velo caduto alla
giovinetta 'fuggendo : sopravenne Piramo, e
alla vista del velo credette fosse stata uccisa
l'amante, e disperato si feri a morte con la
propria spada. La giovinetta ritornata a quel
luogo, e visto Piramo morente, gli si gittò
sopra con atti di dolore e di affetto, chiaman-
dolo e dicendogli d' esser la sua Tisbe ; e cosi
insieme morirono, e il gelso, presso il quale
era accaduto il doloroso fatto, produsse d'al-
lora in poi dei frutti vermigli (cfr. Ovidio,
IM. XV 66-166). Dante accenna specialmente
ai versi ovidiani, MtL iv 145 : « Ad nomen
Thisbet oouloe iam morte gravatos Pyramua
erexit, visaque reoondidit illa >. ~ 89. Il
gelso eoo. : ofr. I\ufg, xxxm 69. ^ 40. 1a
Mia durezza ecc. poiché l'ostinazione del
mio animo, il mio animo ostinato fti divenuto
cedevole. — sella: l'agg. boUq^ ohe già ab-
biam visto nel significato proprio in hnf, svi
28, è qui tratto al senso di arrendevole, di-
sposto a far una cosa. — 41. 11 neae eoo.
il nome di Beatrice, che mi sorge sempre
nella mento, che ò sempre presente al mio
pensiero; cosi il Petrarca, canz. ccLxvni
49 : « n suo chiaro nome. Che sona nel mio
cor sf dolcemente». — 48. Oad'el crollò
eco. Virgilio, oonoscendo che il ricordo di
Beatrice ha disposto a Dante a passare per
mezzo alle fiamme, crolla il capo e accompa-
gna quesf atto con parole nelle quali l'affetto
non vela la punta ironica : d una situazione
naturalissima, nella quale il maestro, la cui
autorità è stata quasi disconosciuta, si prende
una spedo di rivincita sul discepolo, che s'ò
lasciato vincere facilmonte da altri argomenti ;
ma il rimprovero e l' amorevolezza sono con-
giunti insieme nelle parole di Virgilio con
tanta delicatezza, che il loro effetto d di be-
nevolenza, è il sorriso che Virgilio fa a Dante,
come r uomo maturo sorride al bambino che
s' ò lasciato adescare dal pomo. — 44. vo-
lemel ecc. ora che sai che e tra Beatrice e
te è questo muro », non vorrai mica rimaner
di qua dalla fiamma. — 45. cene al fknclal
ecc. come si sorride al fanciullo, che dal dono
d'un pomo o d' altro firotto s' è lasciato trarre
a far ciò ohe prima ricusava. Bella e vera
imagine, che richiama e compie quella del
Pwrg: xxrv 106. ~- poaie : pomo ; forma ar^
calca, frequente nei contemporanei di Dante,
anche fuori di rima: cfr. Nannnod, Abati,
PURGATORIO - CANTO XXVII
491^
Poi dentro al foco innanzi mi si mise,
pregando Stazio che yenisse retro,
48 cHe pria per lunga strada ci divise.
Come fui dentro, in un bogliente vetro
gittato mi sarei per rinfrescarmi,
51 tant'era ivi lo incendio senza metro.
Lo dolce padre mio, per confortarmì|
pur di Beatrice ragionando andava,
54 dicendo : € Gli occM suoi già veder parmi >.
Guidavaci una voce che cantava
di là; e noi, attenti pure a lei,
57 venimmo fuor là dove si montava.
€ Venite henedicH patria mei >,
' sonò dentro ad un lume che li era,
60 tal che mi vinse e guardar no '1 potei.
€ Lo sol sen va, soggiunse, e vien la sera:
non v'arrestate, ma studiate il passo,
63 mentre che l'occidente non s'annera >.
Dritta salia la via per entro il sasso,
verso tal parte ch'io toglieva i raggi
144, 149, 151 e F&rodi, B\dL lUidl?. — 46.
Poi dcBtro eco. I tre poeti entrano nella
fiamma : YligUio ya innanzi, Dante lo segno,
e Stazio Tiene ultimo ; e a denotare, dice il
Bati, ohe la ragione gradava la sensoalità, e
lo intelletto la toUìcitaTa a passare per lo
tnft^pdift de la lossoria con oontridone del
peccato >. — 48. che pria ecc. Stazio sino
allora era stato sepondo camminando dietro
a Virgilio e innanzi a Dante (cfr. Purg,
Txn 127, rnn u 7-8, xxrv 119,, rr» 8-9,
116-116, xxn 1). — 49. Come fai eco. Ap-
pena ftd entrato nella fiamma, per rinfre-
scarmi mi sarei gettato in nna massa di ye>
tro incandescente ; tanto era ecoessiyo il ca-
lore a essa. — 61. scasa metro : senza mi-
sua, 0, meglio, tale ohe non se ne può con-
cepire l'intensità. — 52. Lo dolce padre
eoe Virgilio, che per indarmi a entrare nella
fiamma m' aroya ricordato Beatrice, ora eh' io
t' era in mezzo yolendo oonfortarmi a perse.
yerare noli' opera della penitenza non mi par.
laya ohe di Beatrice, dicendo che già gli pa-
rerà di yederla, doò che sostenessi la proya,
perché qnesta era ormai alla fine. — 54. Oli
oeeU ecc. Bnti : « li occhi di Beatrice sono
le ragioni sottilissime et efficacissime e l' in-
telletti sottilissimi, che anno ayuto li teologi
in considerare e oontemplare Iddio et inse-
gnare a considerarlo e contemplarlo ». — 55.
OaiéaTsei eoo. Secondo l'ayyertimento dato
dall'angelo della castità ai poeti di non es-
ser sordi « al cantar di là » (y. 12), ossi en-
trati nella fiamma porgono ascolto a una yooe
ohe risaona dall' opposta parte, e segnendo
qnosta Tooe riescono faorì della fiamma, al
laogo oye incomincia la scala per salire al
paradiso terrestre. — 66. attenti paro a lei :
badando solamente a quella yoce, non ad al-
tri indizi del cammino che doyeyano tenere.
— 68. Temila ecc. Al di là della fiamma ap-
pare ai poeti la figura laminosa di un angelo,
che ò oostode della scala onde si sale alla
cima del monte sacro. Quest'angelo invitai
poeti a salire con le parole ohe Cristo, se-
condo il vaticinio evangelico, dirà nel giorno
del giudizio nniversale alle anime elette (ICat-
teo XXV 84) : • Venite, benedetti del Padre
mio, eredate il regno che vi è stato prepa-
rato fino dalla fondazion del mondo ». — 69.
■a lame : la laminosa figura dell' angelo. —
60. Ul che ecc. : cfìr. Puirg. xxrv 142. ^ 61.
Lo sol eco. All'invito di salire l'angelo ag-
giunge l'avvertimento di afiirettarsi, ricor-
dando ai poeti ohe potranno salire finché il
sole non sia tramontato. Si noti che all'en-
trare di Dante e dei suol compagni nella
fiamma mancavano pochi minuti al tramonto
(v. 1), e che all' usoime il tramonto non era
ancora avvenuto, anzi avvenne solo dopo
qualche istante (v. 67-69) : ne segue che la
traversata della fiamma si è compiuta in un
tempo brevissimo, quanto appunto Dante vivo
poteva sopportare l'ardore del fuoco. — 64.
Dritta salfa ecc. La scala era incavata nei
macigno e saliva in dilezione da occidente
verso oriente, verso tal parie, che il corpo di
Dante gittava l'ombra innanzi a sé, impe-
492
DIVINA COMMEDIA
66 dinanzi a me del sol ch'era già basso;
e di pochi scaglion levammo i saggi,
che il sol corcar, per l'ombra che si spense,
69 sentimmo retro ed io e li miei saggL
E pria che in tutte le sue patrti immense
fosse orizzonte fatto d'un aspetto
72 e notte avesse tutte sue dispense,
ciascun di noi d'un grado fece letto;
che la natura del monte ci affiranse
75 la possa del salir più ohe il diletto.
Quali si fanno ruminando manse
le capre, state rapide e proterve
78 sopra le dme, avanti che sien pranse,
tacite all'ombra, mentre che il sol ferve,
guardate dal pastor, che in su la verga
81 poggiato s'è, e lor di posa serve;
e quale il mandrian, che fuori alberga.
dendo cosi i raggi del sole che già era per
tramontare. — 67. • di pochi eoe. e potemmo
salire pochi gradini della scala, ohe redendo
scomparire la mia ombra io e i poeti miei
compagni d accorgemmo che il sole era tra-
montato. — leTaMBO 1 faggi: facemmo le
proTe, eeperimentammo ; e parlandosi di gra-
dini, salimmo, montammo. — 69. miei sa^gl:
VirgiUo e Stazio, poeti: cfr. Jn/l i 89. —
70. E pria ecc. Mentre i tre poeti salgono
per 1* scala del paradiso terrestre, sono còlti
dalla notte essendo tramontato il sole del
giorno 12 aprile, dorante il quale Dante ha
Tisitato gli nltimi tre cerchi (cfr. Pury, xa,
87) ; • per la legge che gorema il purgato-
rio, ore « andar sa di notte non si paote >
{Pwg. vn 44), si dispongono a riposare sai
gradini dell» scala stessa. — che la latto
eoe che tatta T immensità della Tolta celeste
fosse diyeniita escara e la notte avesse dif-
fuse totte le sae tenebre. — 72. netto aTeise
ecc. È chiaro che Dante ha Telato dire : prima
che per tatto il cielo fosse l' oscurità della
notte; ma ò difficile interpretare alla lettera
questo Terso, con sicurezza. Degli antichi,
BenT. spiega dispmm per diapmwtUmtMy che
non dice nulla; meglio il Boti, per fwrti^ e
coel Dante aTiebbe detto : prima che la notte
avuM^ tenesse, occupasse tutte le regioni
del cielo, che dere occupare dopo il tramonto
del sole. Dei moderni iuTBce i più costrui-
scono: pria eh» noti» ovtfsss fatto tutte I» §u»
dtspsfiM, cioè aTesse diffuse le sue parti, di-
stribuzioni, su tutta la iacda del cielo. —
78. d'«n grado ecc. si coricò sur un gradino
della scala. — 74. ehi la natura ecc. poiché
la natura del monte, la legge che goTema il
purgatorio (cfr. Purg, tu 44 e sogg.) d tolse,
non la Teglia, ma 1* forza di salire. » 76.
Qvall ecc. Con le due similitadini delle ca-
pre e del pastori deeoriTe Dante come s'ada-
giassero egli e le sae gaide per passare 1*
notte sull»80ala del paradiso tatrestit» : egli
quasi c^n custodita dal pastore, la so» guide
come mandriani che attendessero al gregge.
— al fanno eoe. le capre che prima d' esKr
paadate sono andate oorrondo reloel e pe-
tulanti sopra le balze, si ftuuio man— eto,
attendendo in silenzio a ruminare le etto al-
l'ombra, durante le ore pi6 calde, sotto la
Tigilanza del pastore, che posato sopm 11 ba-
stone le fa riposare. — 81. o ler di posa
serre : e questo lor ruminare all' ombra serro
alle capre di riposo. Questa interpretazione,
già accennata da Bout. e dal Boti, non fa
dire a Dante cosa oontaraxia al Tero, ooom
Terrebbero alouni, perché nel tetto mentre
riposano le capre riposa anche il loro pastore,
e Ticerersa; e il poeta ha riaTrlctnato qui
r idea del doppio riposo, per queir amore
oh' egli ha dimostrato tanta Tolto a raggrup*
pare concetti simili (cfr. Inf. zm 25). La le-
zione : e lor poggialo mtm, più oomanemeato
accolta dai moderni, è pid fhoila a spiegarsi :
e, cosi appoggiato, presta l'opera propria,
serre alle sue capre ; ma tribuisoe a Danto
un arzigogolo inlslioe : tanto pid ohe il poeta
tuo! qui paragonare sé stesso alle capre, il
proprio riposo sullo scalino al riposo delle
capre meiìggianti, e l'Idea del pastore non
ha importanza, ma questo figura è introdotte
solo per colorire e compiete il buooUeo qua-
dretto. — 82. e «aale eoo. e ooom fl owtoda
di una mandra troTandoei ccm essa In aperta
campagna passa la notte Tagliando accanto
al suo gregge per difenderlo dagli assalti delle
PURGATORIO - CANTO XXVH
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102
Itùigo il pecalìo suo queto pernotta,
guardando perché fiera non lo sperga;
tali erayamo tatti e tre allotta,
io come capra ed ei come pastori,
fendati quinci e quindi d'alta grotta.
Poco potea parer li del di fuori;
ma per quel poco yedèy'io le stelle,
di lor solere e più chiare e maggiori.
Si ruminando e si mirando in quelle,
mi prese il sonno; il sonno che sovente,
ansi che il &tto sìa, sa le novelle.
Nell'ora, credo, che dell'oriente
prima raggiò nel monte Citerea,
che di foco d'amor par sempre ardente,
giovane e bella in sogno mi parea
donna vedere andar per una landa
cogliendo fiori; e cantando dicea:
€ Sappia, qualunque il mìo nome domanda,
ch'io mi son Lia, e vo movendo intorno
le belle mani a farmi una ghirlanda.
ter* eoo. — 83. pceillo: ott. Par. zi 124.
— 86. allotUt eh. Jn/: ▼ 68, zxi 112. —
8S. !• mm» eapra eoe. Dante oome capra,
dee par ripoeare le membra dalla fatica del
glocno; Virgolo e 8tiaÌo oome paetori, doò
per gvardarlo e difenderlo dorante la notte.
~ 87. falciati eoo. obinii, dall'ona parte e
dall'altra, dalle alte pareti, tra le quali eaUra
la acala. ~ 88. Peee pelea eoo. A cagione
daU'altnxa deUe pareti laterali e della atret-
tazia della ecala, Dante poterà vedere lola-
mente una piooda itriaoia di cielo : pur in
qoeeta ^ooola atriaola vedeva le itelle ohe
lispleodevano pi6 laminose e piA grandi del
aolito. — 90. pltf ehiare e MagflorI i Ant:
« L' aooreaoiata ^iarezsa ai spiega ooU' ao-
BMitata polita e flneiza dell' aria in qoel-
r alta regione ; e qoanto alla parvenia di pi6
gnnde volame, bisogna dire ohe il poeta cre-
deaae di svere salito tanto da essersi avvi*
oiBSto Ib modo appreisabile alla sfera stel-
lata, d ^e le stelle dovessero comparire pid
granii ; oonoetto ohe per le dottrino di qoel
tompo snlla distania di qoesti astri, niente
ha di Msiiiiiln >• Moore, p. 122 : e Con qoesto
piMo siasM alla fine del terso giorno, doft
di martedì 12 ^rile, e i poeti hanno ormai
ragghiato la flae del Porgatorio proprìamente
detto >. — 9L rvBtaaBde t pensando alle
eoee vednte sino aUora, e spedalmente alla
travenata della iamaia e all' apparizione del-
l' angelo eoatode della soala. — 92. il seaao
eoe. qoel aonno, che spesso annonria on av-
\ ohe esso sia compioto, per
mezzo delle visioni ohe appariscono all' nono
nelle ore immediatamente precedenti ai mat-
tino (cfr. per la veridicità del sogni, Inf,
XXVI 7, iWf. IX 16-18X — 94. HeU'era ecc.
Nelle ore che precedono il sorgere del sole,
allorohé il pianeta di Venere incomincia a
mandare i sooi raggt da oriente verso il
monte del porgatorio. — 96. Citerea i nome
di Venere, in qoanto ebbe colto noli' isola
di Citerà, è tratto qoÌ a indicar» il pianeta
e che ad amar conforta » {Pttrg. 1 18). — 97.
glovaae e btUa ecc. Bolla scala del paradiso
terrestre Dante ha la visione di ona donna
giovine e bella, che va cantando e racco-
gliendo fiori per ona pianora, e parla di sé,
e di ona eoa sorella: qoosta donna ò Lia,
simlxdo della vita attiva, o la soa sorella è
Rachele, simbolo della vita contemplativa:
ofr. V. 108. — 96. landa t cfir. Inf, xiv 8.
— 101. liai figlia di Labano e prima moglie
del patriarca Giacobbe {Otti, xxix 16 e segg.),
f o già per i teologi il simbolo della vita at-
tiva (cfir. Tommaso d' Aqoino, Summa^ p. II
2m, qo. cLxxix, art. 2): Dante, por censi-
dorandola oome tale, imagind di vederla in
sogno come on' spparizione anticipata della
e donna soletta ohe si g(a cantando ed iooe-
gliendo fior da fiore > nel paradiso terrestre
{Purg, xxvm 40) ; perdo la rappreoentò nello
stesso atteggiamento, ossia « ooglieado fiori »
e e cantando >. — vo me vendo eoo. vado sce-
gliendo qoa e là dei fiori per farmene ona
ghirlanda. Boti : e le belle mani significano
l'operare li atti vìrtoosi, li qoaU come fiori
494
DIVIKA COMMEDIA
Per piacermi allo speccliio qui m'adorno;
ma mia suora Bachel mai non si smaga
105 dal suo miraglio, e siede tutto giorno.
EU'ò de' suoi begli ocelli veder vaga,
com'io dell* adomarmi con le mani;
108 lei lo vedere, e me l'oprare appaga».
E già, per gli splendori antelucani,
che tanto ai peregrin siirgon più grati
111 quanto tornando albergan men lontani,
le tenebre fuggian da tutti i lati,
e il sonno mio con esse; ond'io levami,
114 veggendo i gran maestri già levati.
€ Quel dolce pomci che per tanti rami
rait fumo ooiona di loda • di gloria a ohi
li collie e ponaeli in capo, dee in su lo ino
intelletto ». — 106. Per plmeermi ecc. mi
adomo di qneetì iiori, cioè di atti yirtaosi,
per piacere a me stessa quando mi specchierd
in Dio. — 104. ma mlA nera eoe ma mia
sorella Bachele, figlia anch' essa di Labano
• seconda moglie di Giacobbe e per i teologi
simbolo della vita contemplativa (cfr. Tomm.
d' Aqn., L dt.), non si allontana mai da Dio,
sno specchio, e tatto il giorno sta seduta a
oontemplaiio : Rachele, ohe nel dolo fa com-
pagnia a Beatrice (cf^. Inf» n 102), ò Agora
antidpata della donna dantesca, la qoale ap-
parirà al poeta soUa dma dol monte sacro.
— si smaga: si distoglie, si allontana : cfr.
Inf, zzv 146. — 106. miraglio t specchio;
è nome formato sol prov. miraik e ricorre
pi6 volte negli antichi. Qoi significa Dio, in
coi le anime contemplandolo si specchiano.
— tatto giorno: sempre, senza interruzio-
ne ; cfr. Fatti di Oeaaref m 6 : « Sarà tatto
giorno Pompeo signore di Roma? >. — 106.
Eli* è de* saol eoe Bachele d tanto deside-
rosa di contemplarsi allo specchio qoanto io
sono dell'adornarmi con fiori trascelti di mia
mano ; ella ò sodisfi&tta nella contemplaziono
delle opere divine, io nell' operare secondo i
divini precetti. — 106. lei lo vedere ecc.
Risponde alla distinzione teologica della vita
attiva e contemplativa; cfr. Tommaso d'A-
qnino, Amuno, p. II 2»*, qn. ct.tttt, art 2:
« Divido ista datar de vita homana, qaae
qaidem attenditar secondam intellectom. In-
tellectos autem dividitor por activam et con-
templativam, quia finis intellectlvae cogni-
tionis vd est ipsa cognitio verìtatis, qaod
pertinet ad intelleotam contemplativam ; voi
est alìqaa ezterior actio, qaod pertinet ad
intellectom practioom dve activam » ; qo.
cLTTxn, art. 2: «Deom diligere secondam
se est mae^ merìtorìom qoam diligere prò-
ximam : ... vita aotem contemplativa directe
0t immediate pertinet ad dilectionem Dei ;
... vita aatem activa direotias ordinatar ad
dilectionem proximi ... Et ideo ex sao genere
contemplativa vita est maioris moriti qoam
activa » ; e art. 4 : « Secondam soam nata-
ram ... vita contemplativa est prior qoam
activa, in qoantom prioriboa et melioribos
insistit; ... qooad noe, ... vita activa est
prior qoam contemplativa, qoia disponit ad
contemplativam ». ~ 109. E già, per gli
splendori ecc. Già da ogni parte friggivano
le tenebre cedendo il campo al chiarore che
precede l'aorora: era donqoe l'alba del 18
aprile, avendo i poeti passata la notte sai
gradini della scala del porgatoxlo (cfr. vr.
70 e segg.). — Ila che Unte eoe D Lana,
leggendo pie lontani , spiega: « Qoanto lo
peregrino è più lontano della eoa casa, tor-
nando dal suo viaggio, tanto li è più a gra-
do lo die e l'aorora: qoindi festina e viag-
gia ». Ha ò assai migliore la lezione quanto
tornando alb&rgan mm lontani, accettata da
Benv. e dal Boti, o da molti moderni ; ee-
condo la qoale d ha ona sentenza più con-
forme d concetto espresso più volte da Dan-
te, che (Cbne. m 10) e qoanto la cosa di-
dderata più s' appropinqoa d dedderante,
tanto il dedderio ò maggiore » (cfr. anche
D» fnon., I 11), e anche alla dtoazione pre-
sente, essendo Dante più vicino al paradiso
terrestre, già sede del genere ornano, e d
cielo, vera patria dell' nomo. — 114. 1 gran
maestri: Virgilio e Stado; cfr. Purg. zxiv
99. — 115. Qnel ecc. Qod sommo bene, che
gli nomini d stodiano di rintracciare (cfr. le
parole dd Conv, iv 12 riferite in Purg. xvi
88) per vie cod diverse, oggi appagherà i
tool doddert Cod Virgilio annonzia a Dante
ch'egli arriverà oggi d paradiso terrestre,
che ò simbolo ddla fdlidtà della vita terre-
na; e osa parole che richiamano qoeDe di
Boezio (PhiL eon». m, pr. 2) : e Omnia mor-
taliom cara qoam moltiplidom stodionim la-
bor exeroet, diverso qaidem calle procedit,
sed ad onom tamon beatitodinia finem niti-
PURGATORIO - CANTO XXVII
496
cercando va la cura de' mortali,
117 oggi porrà in pace le tue fami >.
Virgilio inverso me queste cotali
parole usò, e mai non furo strenne
120 olle fosser di piacere a queste eguali.
Tanto voler sopra voler mi venne
dell'esser su, eh* ad ogni passo poi
123 al volo mi sentla crescer le penne.
Come la scala tutta sotto noi
fu corsa, e fummo in sul gprado superno,
126 in me ficcò Virgilio gli occhi suoi,
e disse: « Il temperai foco e F etemo
veduto hai, figlio, e sei venuto in parte
129 ov'io per me più oltre non discemo.
Tratto t'ho qui con ingegno e con arte;
lo tuo piacere omai prendi per duce:
132 fuor sei dell'erte vie, fuor sei dell'arte.
Vedi là il sol che in fronte ti riluce;
vedi l'erhetta, i fiori e gli arbuscelli,
135 che qui la terra sol da sé produce.
tur perrenire : id aatem Mt bonam quo qnU
adepto nihil olterìiis desiderale qaeat >. —
dele« pome: è il sommo bene, in quanto
Bodiafsoendo all'umano desiderio dà all' nomo
la boatitadine, oome il pomo appaga il desi-
derio del Dandollo (cfr. y. 46) : si veda an-
che Inf, xn 61 e Pwrg, xzxn 74. — 116. la
Mira iti mortali: gli nomini che pongono
enrm, ohe stodiano di trovare eoo. Cosi il
Petrarca, caos. Lzzm 8S disse « l' indn-
strÌA d' alquanti nomini », ciod alcuni pochi
uomini ingegnosi. — 119. e mal nen faro
eco. • mai non furono doni ricevuti con tanto
piacere quanto mi procurò l'annunzio di Vir-
gilio. I più dei commentatori antichi e mo-
derni spiegano ttrwn» nel senso di don/i, r&-
gaU, a^ggiungendo alcuni che cosi si chia-
massero i regali fatti nell'occasione di solenni
feetiTità : altri spiegano ttrmmé per aniMinxl,
fhuitendendo la chiosa del Lana : « ttrmme
cioè noreUe », la quale s' intende benissimo
chi pensi che il dono fktto da Virgilio a Dante
fa l' annunzio che era per airiyare nel para-
diso terrestre. — 122. dell* esser eco. di per-
venire alla cima del monte sacro. — 123. al
velo eoo. mi sentiva crescere la lena al sa-
lire ; cfir. dò ohe Virgilio dice in Pwrg, xu
121-126. — 124. Come la scala ecc. Com-
piuta la salita della scala o giunti all'ultimo
gradino, all'entrata doò del paradiso terre-
stre, Virgilio guarda fiso negli occhi il suo
discepolo 0 gli dice le ultime parole di con-
gedo, perché qui cessa la sua autorità e in-
comincia quella di Beatrice : chó ove finisce
r opera della ragione o della sdenza umana
comincia quella della fede o della sdenza
divina. Virgilio però quind' innanzi accompa-
gna Dante senza pid parlare (cfr. iWy. xxvm
145 e segg. e xxix 65 e segg.) e scompare
al venir di Beatrice (.Pvrg, xxz 49). — 127.
n temporal eoe 0 figlio, io ti ho condotto,
secondo la mia promessa (Jnf, i 112-120), a
traverso il purgatorio, luogo di pena transi-
toria, e a traverso l'inferno, luogo di pena
etema; cfr. Tomm. d'Aq., Stmmd^ p. JR,
sappi., appendice qu. i, art 2 : e Poena dam-
natorum est aetema, ut didtur Matth. zxv :
Ibufd hi in ign&m aettmum ; sed purgatorius
ignis est temporalis ». -> 128. sei venato
ecc. sei giunto nd paradiso terrestre, in luogo
doò ove la ragione non basta pid a discemere
le cose, che sono opsra di fede (Aivy. xvm
48). — 130. ooB Ingegno ecc. : cfr. Inf. n 67.
— 131. lo tuo piacere: la toa vdontà, la
tua naturale disposizione verso il sommo beno
sia quind' innanzi la guida che tu seguirai.
— 132. fnor ecc. ormai sd ftiori da ogni dif-
ficoltà, cosi dalle vie ripide come dalle stret-
te : cfr. Inf, xra 26. — arte: cfr. Bir. xxvm
83. — 133. Tedi là U sol ecc. Butì : e Se-
condo la lettera, stava volto inverso l' oriente
d che il raggio li perooteva la ftonte ; et alle-
goricamente dà ad intendere che la grazia di
Dìo riluce nella fronte sua,... e per tanto vuol
dire: Spenti sono in essa li segni dd pec-
cati, per ohe tu sei purgato d'esd, si che
la grazia di Dio ti riluce nella fh>nte ». —
135. sol da §i: cfr. Purg, xxvm 69. —
496
DIVINA COMMEDIA
Mentre ohe vegnan lieti gli occhi belli,
ohe lagrimando a te venir mi fenno,
138 seder U puoi e puoi andar tra elli.
Non aspettar mio dir più né mio cenno:
libero, dritto e sano è tao arbitrio,
e €ei11o fora non fare a suo senno:
142 perch'io te sopra te corono e mitrio >.
136. leatre che eoe. Fino a die ti apparinui-
nu lietamente i belli occhi di Beatrice (iVy.
XXX 28 e seggOf i V^^ piangendo mi mossero
a venire in tao soccorso nella selva selva^
già (ofr. Inf, n 116), sei Ubero di sederti o di
andare tra i fiori e gli arboscelli di questo
laogo, sei libero di scegliere tra la vita con-
templativa {federe) e la vita attiva (andare).
— 189. Non aspettar eoo. Non aspettare pi6
mie parole o miei cenni: la tua volontà d
libera da ogni influenza degli appetiti, è dritta
ossia oonforme alla giustizia divina, è sana
ciod non più impedita nelle sue operazioni;
e però sarebbe errore non operare secondo
essa volontà. — 142. perch'Io te eoo. per-
ché io ti costituisco libero signore di te stes- '
so. La ragione umana, la qualo ha guidato'
l'uomo alla virtó, lo costituisce signore del
proprio volere, lo mette doò in oondizione
di non vros più bisogno di awertimèoti al-
trui (« non adottar mio dir pi6 nò mio oen-
no >), ma di operare secondo l' arbitrio suo
« libero, dritto e sano ». Alcuni interpreti,
Ott, Buti, Land, tra gli antichi, Vent.,
Lomb., Tomm., Bianchi tra 1 moderai, videro
distinte nei verbi corono e mUrio (ohe espri-
mono con ripetizione intensiva la,fto88a idea)
due autorità, por dir cosi, conferite d* Vir-
gilio a Dante : la temporale (corono) e la ^»i-
rituale (mUrio) ; ma è un* interpretazione die
mal risponde al concetto fondamentale del
poema, per cui la ragione non può essere
guida ali* uomo se non al conseguimento deDa
felidtà temporale, bisognando la fede oom*
guida alla félidtà spirituale o etorna.
CANTO xxvin
Entrato nel paradiso terrestre, Dante giunge alle sponde del fiume Lete
e al di là vede Matelda ; la quale conversando con lui e rispondendo a una
sua domanda espone qual sia la condizione del luogo e qua! sia Porigìne
delP aria che agita le fì-onde e dell* acqua che scorre per la deliziosa pia-
nura [18 aprile, dalle sei alle sette antimeridiane circa].
Vago già di cercar dentro e dintorno
la divina foresta spessa e vìva,
3 eh' agli occhi temperava il nuovo giomO|
senza più. aspettar lasciai la riva,
prendendo la campagna lento lento
XXVm 1. Tage già eco. Desideroso
oramai, per le parole di Virgilio (Purg, xxvn
116 e segg.), di percorrere per mezzo e al-
l'intomo la foresta del paradiso terrestre.
Dante procede innanzi seguito dai due poeti.
— 2. divisa foresta ecc. È il paradiso terre-
stre, che già i teologi avevano iinaginato sulla
cima di un monte altissimo nelle partì orien-
tali della terra ( p. es. Tommaso d'Aquino,
SummOt p< Il qu. cn, art. 1-4): cfr. E. Coli,
Il paradUo Urreetre danteeeo, Firenze 1897, e
F. Flamini, BuU, V 9-14. Ma Dante collo-
candolo sopra la mon tigna che forma il r^^o
della penitenza ha fantasticamente compiuto
e determinato dò òhe innanzi a lui era stato
imaginato in modo generico ed ha collegato
insieme il luogo dell* espiazione delle anime
con quello ove avviene la sua purificazione
individuale per mezzo dell' immersione nei
due fiumi divini (Pwrg, xxn 91-102, «««m
142-145). — 8. eh* agli occhi ecc. la quale
foresta con i rami spessi e verdeggianti tem-
perava, rendeva meno vivi ai miei oodd i
raggi del sole reoentemente sorto. — 4. seisa
pld aspettar ecc. senz'attender parola o
cenno di Virgilio (cfr. Pwrg, xxvn 139), Dante
lascia la ritti o estremo confine del luogo,
l'ingresso del paradiso terrestre, e incornino
PURGATORIO - CANTO XXVm
497
6 su per lo suol che d'ogni parte oliva.
Un'aura dolce, senza mutamento
avere in sé, mi feria per la fronte
9 non di più colpo che soave vento,
per cui le fronde, tremolando pronte,
tutte quante piegavano alla parte
12 u' la prim' ombra gitta il santo monte ;
non però dal lyr esser dritto sparte
tanto che gli augelletti per le cime
15 lasciasser d'operare ogni lor arte:
ma con piena letizia Pdre prime,
cantando, ricevieno intra le fogb'e,
18 che tenevan bordone alle sue rime ;
tal qual di ramo in ramo si raccoglie
per la pineta in sul lito di Chiassi,
21 quand'Eolo Scirocco fuor discioglie.
Già m'avean trasportato i lenti passi
dentro alla selva antica tanto ch'io
24 non potea rivedere ond'io m'entrassi:
ed ecco più andar mi tolse un rio,
da a eamminare lentamente soli' odoroso
iQolo. — 6. allTai mandava graditi odori,
per le erbe e i fiori ond' era adomo. ~ 7.
•cmsa wvtaataito eco. lenz* avere in sé al-
cuna di quelle pertorbaiioni, coi è foggetta
l' atcia filila terra. « 9. boi di ^tf eoe ool
solilo leggiero di nn soave venticello. — 10.
per tmì eoo. per la qnale aura, le firande de-
gli alberi senza opporre resistenza piegavano
tutte vem occidente, da quella parte ove il
■Mwta glttava la soa ombra in quell'ora mat-
tutina. — 18. aea perd eoe le fronde per
tàò non si piegavano tanto dal ìor eastr dritto^
dalla loro naturale posizione, che gli nooelli
lasciassero d' operam ogni lor arU^ di volare
di ramo in ramo cantando e sollazzandosi.
Ynol dire che il movimento dei rami era
doloe, perché se fosse stato violento gU no-
eelli non sarebbero rimasti a scherzare e a
cantare sui ramL — 16. ma con pleaa ecc.
ma cantando accoglievano, bevevano, re-
spiravano le 9n prinUf le anretto mattati-
ne, in mezzo alle fog^, le quali leggermente
agitato accompagnavano il loro canto. — Ore:
aore; questa voce (Va, che alcuni riconoscono
in Pk»y. I 116, si trova qualche volta nogii
antichi poeti, p. es. Petrarca, son. clxxvi 9 :
« Farmi d' udirla, udendo i rami e l' Ore E le
frondi e gli sugei lagnarsi, e l'acque > eoo. —
IS. tOMvan lardone: accompagnavano stor-
mendo, doò con suono uguale e continuato,
il canto degli uoceDi, le sus rime, — 19. tal
«Mi eoe nello stesso modo che lo stormire
xisoona nella grande pineta di Bavenna, al-
Damti
lorquando spira il vento di Scirocco. Ventini
60, ponendo a riscontro della desorisione dan-
tesca luoghi oonsimiU d' altri poeti (Ovidio,
MtL zv 60B; Poliziano, OrftOt i; Ariosto,
Ork XLv 112; Tasso, 0§r, Kb, m 6), osserva
ohe e Dante, meglio di tutti, dice che quel
mormorio si raoooglie di ramo in ramo, con
che esprime quasi ogni minimo suono di
fronda, prima òhe si faccia tutto un rumo-
re». — 20. lite di CUassl: è la porzione
della spiaggia adriatica, presso Bavenna, oo-
cupata da un grande bosco di pini, di mera-
vigliosa beOezza ; designata qui da Dante col
nome dell'antica borgata di Classe (lat. Olaa"
si»), ohe vi sorgeva sino dal tem^ dell'impero
romano e ohe era una forte stallone navale,
a difesa dell' Adriatico: cfr. Bassermann, pp.
218-226. — 2L «uand' Eolo eoo. Eolo, re dei
venti, secondo la fontasia virgiliana {Bfn, i
62 e segg.) tiene chiusi in una grande ca-
verna i suoi sudditi che poi sprigiona a suo
volere sulla terra e sui mari. — 22. €Uà
m* avean eoe. Dante, procedendo lento lento,
s'era ormai addentrato tanto nella selva del
paradiso che non vedeva più il luogo ond'era
entrato. Si noti la conformità di pensiero e
di espressione con la terzina àsSVÌnf, zv 13-
16. — 28. selva antica i cfr. Virgilio, En,
VI 179 : e itur in antiquam sUvam >. — 26.
ed ecco ecc. U flumioello di Letd, ohe scor-
rendo alla sinistra di Dante, gli impedi di
procedere oltre per la selva del paradiso ter-
restre, fn da lui imaginato in conformità di
dò ohe si legge nella bibbia ( Gmeti n 10-14)
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498
DIVINA COMMEDIA
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C6
che in vèr sinistra con sue picciolo onde
piegava l'erba che in sua riva uscio.
Tutte l'acque che son di qua più monde
parrieno avere in sé mistura alcuna,
verso di quella che nulla nasconde;
avvegna che si mova bruna bruna
sotto l'ombra perpetua, che mai
raggiar non lascia sole ivi né luna.
Coi piò ristetti e con gli occhi passai
di là dal fiumicello, per mirare
la gran variazion dei fìreschi mai ;
e là m'apparve, si com'egli appare
subitamente cosa che disvia
per maraviglia tutt' altro pensare,
una donna soletta, che si già
•al flame che e osava d' Eden, per adacquare
il giardino, e di là si spartiya in qoattro capi
(Piaoni Ghinon, Hiddechel, Eaù-ate) » : ma
Dante poee due soli fiumi nel sao paradiso
terrestre, procedenti da ona stessa sorgente
• finenti in direzione opposta, l' nno verso
sinistra e l' altro verso destra ; e a questi
fiumi pose il nome di Letd e di Eunoò, a si-
gnificare ohe il primo porta con sé la dimen-
tioanxa del peccate espiato e il secondo la
memoria del bene operato (ofr. vr. 127-132).
— 27. FerkA eoo. le erbe nate eolie sue
sponde. — 28. Totto 1* acqve eco. Tutte le
acque più limpide della terra (e sicot aoqoa
Ticini i^d Papiam et aqoa Benad apud Ve-
ronam », chiosa Benv.) parrebbero vren in
sé qoalche torbidezza, essere doò alqoanto
torbide, al oonftonto della limpidissima aoqoa
di Lete. — 8L avregoA eke eoe sebbene
scorra via oscora sotto l'eterna ombra degli
alberi, che non lascia ponotrar mai in quel
luogo raggio alcuno di sole nò di luna. Fit
tosto che correr cogli interpreti al significato
allegorico di questi particolari, molto dubbio
e incerto, ammiri il lettore la meravigliosa
descrizione di un singolare fatto naturale,
che Dante potò osservare, meglio che altrove,
nelle solitudini malinconiche e insieme gran-
diose della pineta di Ravenna, attravenata
da canali di limpide acque che brune brune
si muovono sotto V ombra degli alberi seco-
lari. — 88. raggiar eoe Ricorda il Salmo
cxn 6: e di giorno il sole non ti ferirà né
la luna di notte » : cfr. Moore, I 61. — 84.
Col pie ristetti eco. Fermandosi alla riva
del fiumicello e drizzando gli occhi al di là
per osservare la gran varietà degli alberi fio-
riti. Dante vede oltre Lete una giovine donna,
che va cantando e raccogliendo fiori, e attira
a sé tutta l'attenzione del poeta. — 86. gran
Tarlnzlon ecc. molta varietà delle pianta fio-
rite : maioj attesta il Buti, si chiamano « Il
rami dalli arbori che arrecano molte persone
a casa la mattina di calendimaggio per po-
nere a la finestra o inanti all'uscio »; e cosf
erano detti appunto perché destinati a festeg-
giare il principio del mese di maggio. ^ 87. sf
com'egli eco. come un'improvvisa appari-
zione, ohe distene l' uomo meraviglila da
ogni altro pensiero ; ofr. questa similitadin»
con quella del J\irg. vn 10-12. — 40. «Ha
deaaa eoe Questa donna, che dalle paiole
di Beatrice in Pmg. zzxm 118-119 appare
essere Matelda, è una delle figure pifi sin-
golari introdotte da Dante nel suo poema, e
le discussioni fSstte dagli interpreti intorno
al significato storico e allogorioo di lei sono
state tante che riassumerle in breve q»axio
à impossibile. L' officio di questa donna ò di
esplicare a Dante la condirione del paradiso
terrestre (w. 88-144), di guidarìo a osservare
la processione che simboleggia il trionfo della
Chiesa (cfr. Pttrg. xxix 16, 61, rsxi 108 e
segg.), di immergerlo nei fiumi di Lete e
d' Eunoè (cfr. Purg, zxxi 91 e segg., *««iii
127 e segg.) : Matelda Insomma guida Denta
dal momento in cui Virgilio l' ha dichiarato
libero signore di sé stesso (iVy xxvu e segg.)
sino a quello in cui egli si sente « puro e di-
sposto a salire con Beatrice al pazadÌM
{Purg. nini 145). Storicamente, la donna
apparsa a Dante oltre il fiumiceUo, è per
tutti i commentatori antichi e per molti mo-
derni la contessa Ustilde di Toscana (n. 1046 -
m. 1116), grande propugnatrice de^ interessi
deUa Chiesa nella lotta deUe investitore (cfr.
A. Overmann, Oragfki MaOdUé vm TSuiimn,
Innsbruok 1895) ; ma a qussta interpretaaiime
si oppongono ragioni assai Ibrti (ofr. special-
mente U Fan>di, BwO. VI 166-169 eU D'Ovi-
dio, pp. 878-879). Meglio fondata appare oca
1* ipotesi, secondo la qoale Matelda sarebbe
PURGATORIO - CANTO XXVIH
499
cantando ed iscegliendo fior da fiore,
42 ond'era pinta tutta la sua vìa.
€ Deh, bella donna, ch'ai raggi d'amore
ti scaldi, s'io vo' credere ai sembianti
45 che soglion esser testimon del core,
yegnati voglia di trarreti avanti
diss'io a lei, verso questa riviera,
48 tanto ch'io possa intender che tu canti.
Tu mi fai rimembrar, dove e qual era
Proserpina nel tempo che perdette
51 la madre lei, ed ella primavera >•
Come si volge, con le piante strette
a terra ed intra sé, donna che balli.
onm delle donne, di coi Dante parla nella
VUa Nuoca^ lebbene prà gran disaooordo d
lia nel determinale quale di esse; al qnal
proposito, otterrà 11 Parodi ohe e in quella
diTina gioia primayerile, i rioordi rampollano
in mente all' inebriato poeta che mole con-
ooncaao tatti a dir finalmente di Beatrice
qmeUo éhB mai wm fi» detto d'aleuna» e però,
qoanto a Matelda, e non resta quasi ohe fi-
gnrarcéla come una leggiadra donna floren-
tin», ricordo gentile della giorinezza del poe-
ta, e pid laminoso degli altri, porche Intima-
nente legato in alcun modo col più intenso
e pid splendido ricordo di Beatrice ». Nessun
serio fondamento ha invece l'opinione che si
tjBttì di una tanta donna tedesca (Matilde,
figlia di Arrigo I, Tissuta nel secolo x, o pure
y^iAfc di HacJcenbom, ohe scrisse il libro
IMtta ftaxia tpbrUwUey morta intomo al ISIO
eoo.). Allegoricamente poi Matelda è per gli
antii^^* e per i più dei moderni il simbolo dolla
vita attiva, appunto come per i teologi ò Lia,
apparsa in sogno a Dante quasi a preannnn-
eiare l' incontro con la donna del paradiso
ttsieatie (cfr. IStrg. xzm 101): alcuni in-
vece tengono che simboleggi l' amore della
Chiesa, altri V innocenza, altri infine il mini-
stero ecclesiastico. Si cf^., oltre lo Scart che
la ona lunga analisi della questione, M. A.
Caetani, Ojaue, doni, n.» 11 ; S. Betti, La
MaL deUa Duo, Om,^ Boma, 1858 ; A. Lubin,
La Mal, di DomU^ Graz, 1860 ; S. B. Minich,
SuUa MaL di Dante^ Venezia, 1862 ; S. Ba-
stiani. La Mài, e lo Siaxio natta D. C, Na-
poli 1865 ; A. Borgognoni, Maietda, Città di
Castello, 1887 ; K Dal Bò, Mot. studio dant.,
Catania, 1894. — 43. Deh, bella ecc. Dante
invita Matelda ad accostarsi alla riva del fiu-
mioello perché desidera d' intendere il suo
canto, ed ella si avvicina sorrìdente e splen-
dida di belleTza incoraggiando il poeta a
chiedere ciò che egli desidera sapere. — 44.
t* lo ve' erodere eco. se posso erodere al tuo
wpetto, che mi dimostra il sonti monto di di-
vino amoro dal quale sei riscaldata. — 46.
che ecc. : cfir. T. ^. zv 26 : e Lo viso mo-
stra lo color del core ». — 46. regnati ecc.
compiaciti di accostarti eoe — 49. Tn mi
fai ecc. Tu mi richiami alla mente Proser-
pina (cfr. B%f. IX 44), allorquando fu rapita
da Plutone sf che Cerere sua madie perdette
lei ed ella perdette l fiori ohe aveva raccolti ;
cfr. Ovidio, Met. v 891 : e Quo dum Proser-
pina luco Ludit, et aut violas aut candida
lilla carpit, Dumque puellari studio calathos-
que sinumquo Implet, et aequales certat su-
perare legende, Paone simul vìsa est diloo-
taqne raptaque Diti : Usque adeo est prope-
ratos amor. Dea torrita maesto Et matrem
et comltes, sed matrem saepins, ore Clamat :
et ut summa vostem laniarat ab ora, Col-
lecti flores tunicis cecidore remissis». —
dove e qua] : per il luogo e per V aspetto
giovenile e giocondo. — 61. primavera: l
pi6, dal Lana al Tomm., intendono l fiori
raccolti già da Prosorpina e caduti a terra
con gran dolore doUa giovinetta; altrì come
Buti, Lomb., Biag., Cos., il luogo amono e
la primavera etema del luogo donde Proser-
pina fu rapita (Ovidio, Met. v 391 : « Porpo-
tuum ver est ») ; altri finalmente, la von^-
nità. La prima interpretazione è la miglioro
(cfìr. Paar. xxx 63), anche per la conlspou-
donza coi versi d' Ovidio, Met. v 397 : « Ma-
trem saepius ore clamat... Collocti flores tu-
nicis eccidere remissis » : cCr. Moore, I 43,
223. — 52. Come ti Tolge ecc. Notano i
commentatori la singolare bellezza di questo
luogo, ove il muoversi di Matelda ò para-
gonato a quello di una donna che nel dan-
zare compio mnli e leggieri movimenti, stri-
sciando a terra le piante dei piedi insieme
congiunto e avanzando a brevissimi passi, e
il volgersi di loi a Dante ò paragonato al-
l' atto verecondo di una vergine, che pur ac-
costandosi ad alcuno abbassa gli occhi por
segno di pudore. — le piante ecc. le pianto
doi piedi cho strisciano sul suolo e sono strette
500
DIVINA COBIMEDIA
54 e piede innanzi piede a pena mette,
yolsesi in sui vermigli ed in ani gialli
fioretti Terso me, non altrimenti
57 che Tergine ohe gli occhi onesti aTrallI:
e fece i preghi miei esser contenti,
si appressando sé che il dolce suono
60 Teniva a me co' suoi intendimenti
Tosto che fu là dove l'erbe sono
bagnate già dall'onde del bel fiume,
63 di levar gli occhi suoi mi fece dono:
non credo ohe splendesse tanto lume
sotto le ciglia a Venere trafitta
66 dal figlio, fuor di tutto suo costume.
Ella ridea dall'altra riva dritta,
traendo più color con le sue mani,
69 che l'alta terra senza seme gitta.
Tre passi ci facea il fiume lontani;
ma Ellesponto, dove passò Xerse,
72 ancora freno a tutti orgogli umani,
insieme, unite, come volevano le leggi della
danza osata ai tempi di Dante. — 64. e piede
eoe : cfr. Purg. zxix 7. — 67. che gli oeehl
eoo.: eh, i versi di Stazio (cit. da Dante nel
Oom. IV 26) solle figlie di Adrasto {Téb. n
SO): e Ibant insignoe valtnqne habitaque vo-
lendo, Candida poipnream fosae saper ora
mborem, Deiectaeqne genas >. — 69. U dolet
su OMO eoe U dolce canto, del quale pzima
sentiva sola l'armonia, perveniva ai miei
orecchi in modo che io distingueva chiara-
mente le parole. — 60. InteadlMeatl : dò
che s' intende. — 61. Tosto che eoe Giunta
sol margine erboso del fiume Leto, Matelda
alzò gli occhi sino allora tenuti bassi per ve-
recondia. — 64. aoa credo eco. non credo
ohe sfavillassero tanto gli occhi di Venere,
che pur dovettero rìsplendere d' insolita vi-
vacità, allorquando ferita a caso dal figlio
Cupido si senti presa d' amore per Adone ;
cfir. Ovidio, MtL x 626: e Kamque pharetra-
tus dum dat pner oscula mairi, Inscius extanti
dostrinxit harundine pectus >. — 66. fior di
tatto ecc. contro ogni costume di Cupido, cho
non soleva ferire a caso, come fece con la
madre : cfr. Moore, I 226. — 67. Ella ridea
000. Matelda mi sorrideva dalla destra riva
di Leto, continuando a raccogliere i fiori
svariati che quella terra produce da sé. Il
Buti, seguito da alcuni moderni, riferisce
dritta ali* atteggiamento di Matelda; pud es-
sere, anid sarebbe assai meglio : ma bisogne»
rebbe anche al v. seguente leggere, come han-
no alcuni, trattando più color eoo. cioò tra»
scegliendo o intrecciando 1 fiori, o pensare
che li venisse staccando, mentre avaiiza;vB,
dai freschi mai ossia delle fiorite piante (ef^.
PuU. n 27). — 69. l*alto terra ecc.: lo st8»-
so ha detto Dante in I\grg, xxvn tS6, ap-
plicando al paradiso terrestre dò ohe 1 poeti
l&volegglarono della terra nell' età dell' oro
(Ovidio, M«t, I 101-102): cfir. Mooie, I 218.
— 70. Tre passi eco. Dante vuol dire che
quanto minore era la distanza che lo sepa-
rava da Matolda, tanto pifi vivo era n suo
desiderio d* esserle vicino ; non crederei quin-
di col Buti e con alcun moderno cho 1 in
passi abbiano un determinato senso allegorioo,
corrispondendo quasi ai tre gradini per cui si
sale al purgatorio, simbolo dd tre atti della
penitenza (cfr. Jhirg. tx 64). — 71. ma Klle-
sponto ecc. Allude alla favola di Leandro di
Abido sull* Elloeponto, il quale innamorato
di Ero, fìftndulla di Sesto sull'altra riva dello
stretto, soleva traversare a nuoto ogni notte
il canale, finché vi si annegò: all'odio di
Leandro per l'Ellesponto accenna Ovidio
{Eyoid, xvm 139 e segg.), ondo Dante attinse
per questa fàvola. — dove passò eco. per il
quale passò sovra un ponto oon tutto l'eser-
dto il re Serse (ofr. Fair, vm 124% la cui
sconfitta per opera dei gred dovrebbe essere
ancora esempio efficace a flrenare ogni umano
orgoglio, n concetto di Sorse oome tipo del-
l'orgoglio umano ò forse derivato da un passo
di Lucano, Fbrs. n 672 (ctnmidum super
sequoia Xeixem Construxisse vias »), che
Dante dta nd De mon. n 9 : cfr. Moore, I
PUEGATORIO - CANTO XXVHI 501
più odio da Leandro non soflferse,
per mareggiare intra Sesto ed Abìdo,
75 che quel da me, perché allor non s'aperse.
€ Voi siete nuovi, e forse perch'io rido,
cominciò ella, in questo loco eletto
78 all'imiana natura per suo nido,
maravigliando tienvi alcun sospetto:
ma luce rende il salmo DeUdastiy
81 che puote disnebbiar vostro intelletto*
E tu, che sei dinanzi e mi pregasti,
di' s'altro vuoi udir, ch'io venni presta
84 ad ogni tua question, tanto che basti >.
€ L' acqua, diss' io, e il suon della foresta,
impugnan dentro a me novella fede
87 di cosa, eh' io udì' contraria a questa >.
Ond' ella : € Io dicerò come procede
per sua cagion ciò ch'ammirar ti face,
90 e purgherò la nebbia che ti fiede.
Lo sommo Ben, che solo esso a sé piace,
fece l'uom buono e a bene, e questo loco
93 diede per arra a lui d' etema pace.
Per sua diffalta qui dimorò poco;
per sua diffalta in pianto ed in affanno
96 cambiò onesto riso e dolce gioco.
Perché il turbar, che sotto da sé fanno
282. — Ti. per fluuregglar*: per il movi- rendogli che qaelli fossero effetti di altera-
mento delle sue onde, che impedlya a Leanr- doni atmosferiche ed acquee ; e però ne ri-
dro di recarli a trovare la soa donna. -* 76. chiede subito Matelda. — 88. Io dietro eoe.
percM eec peiobé m' impedf di passar oltre, Ti spiegherò quale sia la causa di quest'acqua
•ino a Matelda. — 76. Voi slote eco. Voi e di questo vento, di che tu ti meravigli, o
ignonte la condizione di questo luogo, e oosf ti libererd dal dubbio ohe ti offende. — 91.
lìaiso perché io vi apparisco ridente siete me- Lo sombo ecc. Dio, che esso solo piace a
xmvigliati e insieme dubitosi ; ma sappiate che sé, che non si compiace che di sé stesso, creò
io sono Ueta per 1' opera mirabile della crea- l' uomo buono e perché operasse il bene; cfr.
stono divina. — 77. ««esto loco eco. il Genesi i 81 : « Iddio vide tutto quello ch'egli
paradiso tenestre, ohe Dio creò corno sede avea fatto; ed ecco era molto buono». -~
destinata all' uomo (of^. v. 92-93). ^ 80. Ma 92. e fnesto loeo eco. e all'uomo assegnò il
loco ecc. ma vi può chiarire il salmo Deleo- paradiso terrestre, come pegno della beatitu-
Uutif nel quale è detto (8ahn, zen 6): «Per dine che gli avrebbe ooncossa nel paradiso
eiò che, o Signore, tu mi hai rallegrato colle coleste ( eh, Omesi, n 8-26). — 98. arra :
tao opere, io giubbilo ne' fktti delle tue ma- cfir. Inf, zv 94. — 94. Per sna diffalta eoo.
ni ». — 83. eh' lo voaii eoo. ohe io sono Per il suo peccato dimorò brevissimo tempo
Tonata al tuo invito, pronta a rispondere ad nel paradiso terrestre (cfr. Ptar. zzvi 189) ;
ogni domanda sino a ohe tu sia sodisfatto, per il suo peccato l'onesto piacerò e la dolco
— 86. Ii'Aoqva eoo. Dante aveva sentito giocondità dell'uomo si cambiarono nel pianto
diro a Stazio {Putg, zzi 48 e segg.) ohe al e nel dolore (cfir. Oenesi mie segg.). — - 97.
di iopra della porta del purgatorio non era Perché 11 tirbar eec. Affinché poi l' uomo
akmna alterazione di aria e di acqua: ve- non fosse molestato dalle perturbazioni che
donde il fiume Lete e udendo stormire gli sotto da aé^ sotto questo monto ossia nelle
albati della selva, ta novelia fede, la recente regioni della terra, producono le o»ilazio-
cpiaiono oh' oi s' ora formata, fa scossa pa- ni dell'acqua o della terra dipendenti dalie
502
DIVINA COMMEDIA
Pesalazion dell'acqua e della terra,
99 che, quanto posson, retro al caler yanno,
all'uomo non facesse alcuna guerra,
questo monte salio verso '1 ciel tanto;
102 e libero n'è d'indi, ove si serra.
Or, perché in circuito tutto quanto
l'aer si volge con la prima volta,
105 se non gli è rotto il cerchio d'alcun canto;
in questa altezza, che in tutto è disciolta
nell'aer vivo, tal moto percote,
108 e fa suonar la selva perch'è folta;
e la percossa pianta tanto puote,
che della sua virtute l'aura impregna,
111 e quella poi girando intomo scote;
e l'altra terra, secondo eh' è degna
per sé e per suo ciel, concepe e figlia
114 di diverse virtù diverse legna.
Non parrebbe di là poi maraviglia,
udito questo, quando alcuna pianta
mutazioni di temperatura ecc. Questa d dot-
trina di Aristotele, Meteor, n 4 : cfir. Moore,
1 131, e F. Angelitti, Ia regioni deWarìa netla
P. C, Palermo 1899. — 99. die, qaaBto poi-
lOB eco. Io quali esalazioni sono dipendenti
dal calore, seguitano le vicende di caldo e di
freddo. — 101. fneito aoBte ecc. questo
monte fcL elerato tanto verso il cielo e Ai
creato libero dalle perturbazioni atmosferi-
ohe , da quel punto ove s' apre la porta del
purgatorio sino alla cima: cTr. Aristotele,
Met, X 8. — 102. B' è d* Udi ecc. doò daUa
porta del purgatorio in su. — 103. Or, f«r-
ehi ÌM eirealto eco. Matelda sinora ha con-
fermato a Dante ciò che già egli aveva sa-
puto da Stazio (Purg, zxi 43-54): ora passa
a dichiarare l' origine del vento, che fa stor-
mire le fronde (w. 103-120), e dell'acqua,
che forma il fiume di Leto. — perché la
eireaito ecc. Scart. : e La terra, secondo la
falsa astronomia di quei tompi, rimane ferma
nel centro dell' universo. L' aria si gira con
la prima rolto, cioò col Primo Mobile e con
tutti i cioli a quello sottoposti da oriente a
ponente, poiché girando il Primo Mobile fa
girare anche l' aere sottoposto. I vapori che
fanno il vento danno quaggiù molte volte
all' aria altro moto che non quello da oriente
a occidente. Lassù i vapori non salgono:
dunque l' aria vi gira sempre col Primo Mo-
bile, se non ò in qualche parte interrotta da
impeto estraneo. Movendosi dunque da oriente
ad occidente l'aria trova lassù resistenza
nella spessezza della solva, e ciò produce
quel suono udito da Dante e di cui egli di-
mandò Matelda >. — 105. te bob eco. se fl
movimento rotatorio non ò in qualche parto
interrotto. ^ 106. eàe 1b latto eco. che spa-
da interamente libera nell'aria poriadma. —
107. tal moto; il movimento dell'aria de-
scritto nei versi precede&li. — 109. • la ptr-
ooita plaata eco. e le piante oosf perooese
dall'aria hanno potere di impregnar l'aria della
loro virtù vegetativa; e l'aria rotando ìb-
tomo alla terra §eoU imtomo fusUs, diifonda
per le regioni terrestri tale virtù vegetatira.
— 112. e V altra terra ecc. e la tetra di*
versa dal paradiso terrestre, doò quella delle
regioni abitate dagli uomini, secondo che è
atta per sé e p«r tuo eiel^ per la eoa paitieo-
lare natura e per il suo particolar dima, oon-
cepisoe e produce secondo le varie spedo della
virtù vegetativa le varie spedo di piante.
Alcuni leggono aUa terra, riferendo anche
questi versi al paradiso torrestre ; ma bene
è stato osservato in contrario òhe il concetto
di Dante d allarga anche alla terra abitata
dagli uomini, in quanto egli spiegando oome
d diffondono i semi arriva a oondudere non
essere meraviglioso che nascano piante e sen-
za seme palese »: fenomeno ohe accade sulla
tona, non per virtù vegetativa dell'aria, ma
per semi che l'aria trasporta di luogo in
luogo. — 114. legaa: piante, alberi; secondo
il valore scritturale del lat tignum (cfr. Imf.
Tui 73, J^. mv 116, xxxu 44, Piar, xra
70 eoe.). — 116. Kob parrebl^ eoo. Kob do-
vrebbe quindi nd mondo parer cosa aata-
vigliosa, ohi avesse udito dò eh' io ti ho
detto, il veder germogliare qualdie pianta
PURGATOETO - CANTO XXVHI
603
117 senza seme palese vi s'appiglia.
E saper dèi che la campagna santa,
ove tn sei, d'ogni semenza è piena,
120 e frutto ha in sé che di là non si schianta.
L'acqua che vedi non surge di vena,
che ristori vapor che gel converta,
12B come fiume ch'acquista e perde lena,
ma esce di fontana salda e certa,
che tanto dal voler di Dio riprende,
126 quant'ella versa da due parti aperta.
Da questa parte con virtù discende,
che toglie altrui memoria del peccato;
129 dall'altra, d'ogni ben fatto la rende.
Quinci Lete, cosi dall'altro lato
Eunoè si chiama, e non adopra,
132 se quinci e quindi pria non è gustato.
A tutt' altri sapori esto ò di sopra:
ed avvegna ch'assai possa esser sazia
135 ia sete tua, perch'io più non ti scopra,
darotti un corollario ancor per grazia;
•enea che alcuno n' abbia gittate il seme.
— 118. la campagna eoo. il paradiso tei^
reatre, nel qoale ta ora ti trovi, è pieno
d^ogni amMrwa, cioè di ogni specie di alberi,
ed ba tali fratti die non si spiccano dagli al-
beri deUe regioni terrestri. — 119. d* egnl
•eBeasa: Benr.: csoilioet in ea snnt ger-
mina omniom arboram, idest, yirtatam et vir-
taosanim operationtun > ; e Bnti : « la santa
acrittnra questo dice che '1 paradiso terrestre
è pieno d* arbori e d' erbe odorifere, et alle-
gorice, pieno d' ogni Tirtà >: cfr. QmeH n 9.
— 120. si schianta: si coglie, si stacca;
cfir. Purg, zx 46. — 121. L'aeqva che Tedi
ecc. L' aoqna che ti scorre innanzi in questo
ilamicello non sorge da alcuna polla alin^en-
tats dal Tepore convertito in pioggia per ef>
fetto di abbassamento della temperatura: cfr.
Oemtsi u 6-6 : » H Signore Iddio non aveva
ancora Datto piovere in su la terra » ; . . . or
un vapore saliva dalla terra, che adacquava
tutta la faccia della terra » : dallo quali pa-
role scrittniali Dante trasse V idea dell' orì-
gine dei fiumi del paradiso terrestre. — 128.
fmt flniM eoe come V acqua di un fiume,
il quale si gonfia o si dissecca secondo che le
sue sorgenti sono alimentate o no dalla piog^
già: anche questo ò detto secondo la dot-
trina aristotelica, Meltor, i 13 ; cfjr. Moore, I
1S4. — 1^ ma elee ecc. ma deriva da una
fonte immutabile e durevole, la quale dalla
volontà divina riprende tanta acqua, quanta
essa ne riversa nei due fiumi che bagnano
questa campngna. — 126. da d«e parti : per-
ché 1 due fiumi, che hanno comune la sorgen-
te, procedono in direzione opposta. — 130.
({aiBci Lete: il fiume che eoone da questa
parte ha il nome di Lete, ohe fti già per ^i
antichi uno dei mitologici fiumi delle regioni
averne. Dante lo là nascere sulla cima del
monte sacro, finire traverso la pianura del
paradiso terrestre, e cadere al piedi del monte
e di li per la « buca d' un sasso oh' e^ ha
róso » al centro della terra, dove porta le
memorie del peccato (cfr. Bìf. nv 186 e segg.,
xxziv 180, i^. I 40). — 181. Enneè: ò U
nome formato da Dante (sul greco EùnouSf
di buon sentimento) per designare il fiume
imaginario che ravviva la memoria del bene
operato (cfr. Purg, zxxni 127 e segg.). — e
non adopra ecc. Il soggetto d sempre Toc*
qua del v. 121; e Dante vuol dire che quo-
st* acqua del paradiso terrestre non porta il
suo effètto, che d di render l' anima degna
di salire al dolo, se questa non gusta il sa-
pore di Leto e quello di £unod,«cioè se non
perde la memoria delle operazioni cattive e
se non acquista quella delle operazioni buone.
— 133. À tntt'altrl ecc. L'elTetto di queste
acque ò superiore a qualunque altro, è il più
benefico per le anime, poiché le rende pure
e disposte al salire al cielo (cfr. Purg, zrzm
142-146). — 134. awegoa ch'assai ecc. seb-
bene il tuo desiderio di sapere possa esser so-
disfatto anche so lo non ti manifesti altre cose,
voglio senza tua domanda aggiangere un'al-
tra dichiarazione, che ò una conseguenza
delle cose dette sinorar — 136. ^rellar|Q^
604 DIVINA COMMEDIA.
né credo che il mio dir ti aia men caro,
138 se oltre promission teco si spazia.
Quelli, che anticamente poetaro
l'età dell'oro e suo stato felice,
141 forse in Parnaso esto loco sognaro.
Qui fu innocente l'umana radice;
qui primavera è sempre, ed ogni frutto;
144 nettare è questo di che ciascun dice >.
* Io mi volsi di retro allora tutto •
a' miei poeti, e vidi che con riso
udito avean l'ultimo costrutto:
148 poi alla bella donna tomai il viso.
d tarmine matematioo per dgnifloue un» con- tendo ; appunto perché fl fenteima, ohe pren-
dnsione seoondaiiA, che li licaTE, oltre le de tignn e realtà nell' opera del poeta è
principale, da una dimoitrasioiie geometrica: oome l' effètto di una intema Tiiione. — 142.
nel linguaggio flloeoiloo o dottrinale fa naato <^ fk ecc. Nel paradiao terreetre li rsrrisa
in genere a indicare una giunta qualunque a tutto dò ohe i poeti fmagjnarono dall' età
un pracedento ragionamento. Boedo, Oon8.ph, ddl' oro : che in eaaa gli uomini ftinmo pari
m prof. 10: «vduti geometrae aolent,... ita d'ogni colpa («fine lege fldem raotmnque
ego quoque tibi Yeluti oorollarium dabo >. — colebat >, Ovidio, ÌÙL X 90), in eaaa fa etar-
187. Btf erede ecc. e credo die il mio diaoor- na primayera (« Ter erat aetemum > , Mèi.
80 non ti aarà meno gradito per a Catto ohe x 107), la terra producera da aó ogni fimtto
eaao d allarghi oltre la mia promeaaa. Ma- (« frugea talloa inarata ferebat >, MèL x 109),
tdda aveva promesao a Danto di a^egargli e acoirava d' ogni parto il nàttare (« iaa
le origini dd vento e dei fiumi dd paradiao flnmina nectarlB ibant >, MeL i IH). — 144.
terraetre : aggiunge ora die i poeti cantando mèttart ecc. il nettare, dd quale parlano
in verd la iéUdtà ddl' età dell' oro ebbero tutti i poeti, è l' acqua di queati due fiumi
quad una vìdone làntaatica dd paradiao divinL — 145. le ai velai ecc. Danto
terrestre, l' imaginarono conforme allo atato volgendod indietro d due poeti ohe l'aooom-
della aanta campagna. — 139. Quelli eco. pagnavano vede die le parole di Katelda
Odoro che già poetarono aulla feUdasima aull* età dd}' oro hanno fatto una grata im-
età ddl' oro : Danto allude apedalmento alla preadone aovra di eaai, Impraarione che ap-
deacridone ovidlana, Met, i 89-112; cfr. Inf. pare nd aorrieo con che aoodgono <' ultùm
zvi 106, Ptirg, xzn 148. ~ 141. forae eoe: ooafmtto, l'ultima parto del diaoorao della don-
iognaré in Pianuuo vuol dire imaginare poe- na. — 148. teraal eco. mi dvold a Hatdda.
CANTO XXIX
Dante e Matelda avanzano ciascono longo una delle rive di Lete, quando,
preceduta da un grande splendore e da un dolcissimo canto, appare nna
mistica processione formata da sette ardenti candelabri, da ventiquattro
seniori coronati di gigli, da quattro animali che circondano nn carro trion-
fale tratto da un grifone, accompagnato alla destra da tre, alla sinistra da
quattro donne, e seguito da sette seniori coronati di fiori yermigli [18 aprile,
dalle sette antim. circa alle otto}.
Cantando come donna innamorata,
continuò col fin di sue parole:
ZXIX 1. Caatande ecc. Uatdda, finito contro il coxao del fiume : Danto d muove
il suo discorso, riprende a cantare, e a' av- nella atesaa diredone aulla riva ainistrm, caa-
via a brevi paad auUa destra riva di Lete minando di pari paaao con la donna. Il primo
PURaATORIO - CANTO XXIX
505
8 € Beati, quorum tecta sumt peccata >.
E come ninfe che si givan sole
per le salvatiche ombre, disiando
6 qual di veder, qual di fuggir lo sole,
allor si mosse contra il fiume, andando
su per la riva, ed io pari di lei,
9 picciol passo con picciol seguitando.
Non eran cento tra i suo' passi e i miei,
quando le ripe igualmente dièr volta,
12 per modo eh' a levante mi rendei;
né ancor fu cosi nostra via molta,
quando la donna tutta a me si torse,
15 dicendo : « Frate mio, guarda ed ascolta >.
▼eno ricorda qaello di B. CaTsloanti (balL
TV) : « CantaTm come fosse 'naiAprata ». — 8.
Beati eoo. Sono le parole del Salmo zzzn
1 : « Beato oolni, la cid trasgressione è ri-
e il eoi peccato è coperto t » ; parole
, opportime a questo momento, poiché
Dante era per passare il fiume che toglie la
BBomoria del peccato. — i. K come alafe
eoo. Ventari 666 : « Continoa la descrizione
di Katelda; e qui il poeta la paragona alle
ninfe della farcia, per mostrare la vereconda
leggiadria del muoversi di lei lungo la riva
del flondoello, quasi in luogo ad essa sacro ;
conforme al virgiliano : Nympluuque Moront,
Cmtum guM sUwu, cenimn quas flxtmina s&T"
vani {Georg, iv 882) ». — 6. qnal di Teder
eco. alcune nei luoghi aperti, altre nei bo-
schi ombrosi. — 7. centra 11 flamei risa-
lendo il corso di Lete (cfir. Purg, x 40), òhe
in quel punto finiva verso settentrione : dun-
que Hatelda s' avviò nella direzione dol mez-
sogiomo. ~ 8. ed le pari ecc. ed io mossi
nella stessa direzione, sulla riva sinistra, mi-
surando i miei passi coi brevi passi di Ma-
telda. — 10. Hen eran ecc. Non avevamo
fatto ancora ciascuno cinquanta passi che
le rive di Lete piegarono a sinistra, si eh' io
mi trovai con la faccia volta a oriente. —
18. mt ancor eoo. e non avevamo ancora
percorsa molta strada in questa direzione,
quando Katelda, volgendosi tutta a me, ri«
chiamò la mia attenzione su ciò che era per
apparire. — 16. Frate: anche qui non ha
altro valore che quello dichiarato in Purg,
IV 127. — gnarda ed ascolta ; Blatelda am-
monisce Dante di prestare attenzione alla
visione, che ora egli deve avere del trionfo
della Chiesa. È questo uno del luoghi più
singolari del poema, e a dichiarare questa
visione s'affaticarono assai, oltre i commen-
tatori, molti studiosi di Dante ; i piò note-
v<di lavori su questa materia sono quelli di
V. Barelli, AU^oria deUa Din, Oom., Firenze,
186Ì, pp. 148-168, 241-293, e di G. A. Scar-
tazzini, DamU't VisUm im trditókm Bmh
diete und die bibtttohe ApooaiyfHk nel Jakf"
huh d&r deuttehen Dante- OeeeUschaftf a. 1869,
voi. n, pp. 99-160 : U migUore di tutti è lo
studio di e.ehiraidini, DeUa vitione tU DanU
nel paradiso terretire nel Bxpi^notors, a. 1877-
78, voL X, p. n, pp. 1^-227. e voL XI,
p. I, pp. 27-76. Dal lavoro del Ohirardini
tolgo la seguente esposizione generale della
visione e della sua importanza. < Dante s'in-
cammina con ICatUde : vede subitamente un
grande fulgore diffondersi per la selva ; oda
una melodia soave ; ecco : s'apre la visione,
n poeta ha da descriver oose si alte, ohe
avanzano di tanto l'umana natura, ohe gli
è bisogno aflhmcare la sua poetica virtù e
chiede mercede alle muse. Gli appaiono sette
accesi candelabri, le cui fiammelle più chiare
assai ohe la luna, lasciano dietro per l'aria
sette liste di luce dipinte ne' colori dell' iride.
Seguono ventiquattro seniori biancovestiti e
coronati di giglio; quattro animali dnti di
verdi fronde con sei ali ciascuno, e nel mezzo
un carro trionfale, splendido e maestoso, tratto
da un grifone, òhe solleva le ali tra mezzo
alle strisele di luce; alla destra ruota del
carro li fanno innanzi carolando tre donne,
l'una rossa, verde l'altra, l'ultima candida
come neve, e altre quattro dal lato sinistro,
vestite di porpora; dietro due vecchi, l'uno
dei quali ha sembianza di medioo, l'altro di
guerriero ; poi quattro d' umile aspetto, e per
ultimo un altro vecchio dormente, ma col
volto vivo e animato [o. xxix]... In mezzo
una nuvola di fiori scende Beatrice e si pone
sul carro; riprende acerbamente a Dante i
suoi trascorsi: Dante. li confessa; è tulEato
in Leto da Matilde ; obblia ogni colpa, e poi
che Beatrice si togUe il velo dal viso, egli
vede maravigliando la seconda bellezza di
lei, lo splendore della eterna luce [e. xxz*
xxxi]. La gloriosa schiera ed il carro volgono
a destra e si drizzano tutti verso oriento;
giungono presso un albero altissimo, spoglio
506
DIVINA COMMEDU
Ed ecco un lustro sùbito trascorse
da tutte parti per la gran foresta,
18 tal che di balenar mi mise in forse;
ma perché il balenar, come vien, resta,
e quel durando più e più splendeva,
21 nel mio pensar dicea: € Che cosa è questa? >
Ed una melodia dolce correva
per l'aer luminoso; onde buon zelo
24 mi fé* riprender l'ardimento d'Eva,
che, là dove ubbidia la terra e il cielo,
femmina sola, e pur testé formata,
27 non sofferse di star sotto alcun velo;
sotto il qual, se devota fosse stata,
avrei quelle ineffabili delizie
80 sentite prima, e più lunga fiata.
di foglie e fiori, al quale il grifone lega il
carro; e a vn tratto l'alberD germogUA e
a' adoma di fiori Termigli. Dante a' addor-
menta : riacoiao dal aonno Tede atargU presso
Matilde, e Beatrice sedani in sa la radice
dell' albero. U grifone e gli altri tatti aal-
gono al cielo, tranne le ninfe che con i can-
delabri Iknno corona a Beatrice. Scende nn*a-
qoila dall'alto; ferisce l'albero e il, carro;
a' avventa aorr* esso nna yolpe, che Beatrice
pone in sùbita itiga; riscenda l' aquila e ]a>
acia al cano delle sue penne; apresi la terra
e n'esce un drago, cho protendendo la coda
snl carro trae a so parte del fondo. S allora
ecco apparire nn nuovo spettacolo: il carro
ai ricopre tatto delle piume ; mette fìiori sette
teste cornute: sopra s'asside una meretrice
e allato a lei un gigante, che pieno di so-
spetto trascina per la selva il mostruoso si-
mulacro [e xxzn]. Nell'ultimo canto Bea*
trice annunzia a Dante che non rimarrà senza
erede l' aquila c^e lasciò il carro pennato e
che un inviato da Dio ucciderà la meretrice
e il gigante ; gli tiene discorso dell' albero e
gli dice di scrivere quel che ha veduto. Di
poi lo fa immergere nell'acqua dell'Eonoò,
dond' egli esce puro e diapoito a talirB alte
tióUé [e xxxin]. Da questa brevissima espo-
sizione appare la vastità della fantasia di
Dante. "Egli è mosso da due fini : vuole rap-
presentare dall' un lato sé dirimpetto a Bea-
trice, l'uomo che si lova dal peccato, che
s'appura e rinnova col sentimento e col ri-
tomo alla scienza divina ; dall' altro delineare
la storia deUa Chiesa, la origine, il progresso
di essa, il suo stato presente e le sorti fu-
ture. £ che la egli ? I suoi concetti trasforma
in imagini simboliche e ne intesso il quadro
meraviglioso della visione. Quanto alla parte
pi6 universale che si contiene in ispeoie nel
G. jxoi, nel xxiii e noi primi cento versi
del xzxm, trascorrendo il meglio ddle r^-
presentanze dei profeti Ezechiele e Daniele
e dell' apostolo Oioranni, fa rinverdire ancora
tante imagini avvizzite, le rinnovella, le svol-
ge, le colora qilendidamente ; le intreccia, le
rannoda in una grandiosa, fantastica, sva-
riata unità, e eolia potenza dell'ingioino e
dell' arte adopera si che quelle meraviglie ti
rapiscano, ti attraggano a a6, ti tengano l'a-
nimo religiosamente attento e raccolto, quasi
che atieno da vero innanzi ai tuoi ocdii >.
— 16. Ed eeeo eco. Improvvisamente si dif-
tuae per tutte le parti della selva una gran
luco, la quale mi fece dubitare che fosse ba-
lenato. — 19. MA pereké eoe ma perché la
luce del baleno cessa nello stesso momento
in cui appare e invece la luce apparaami
durava e a' avvivava sempre pi6, io pensava
meco stesso che cosa mai fosse questo splen-
dore. — 22. Ed «na ecc. E insieme con la
luce si diifose per l'aria una dolce melodia,
la quale a Dante fece sentire vivissimo rin-
crescimento della perdita che l'uomo fece
del paradiso terrestre a cagione del peccato
di Eva. — 28. buon sele ecc. l'amore del
prossimo mi fece rimproverare Eva, la quale,
femmina aotOf non eccitata da alcun senti-
mento di emulazione, e pur lesti formaiA,
creata aolamente allora, non ancora scaltrita
dall' esperienza della vita, non tollerò di star
setto al vdOf di essere sottoposta alla volontà
divina, là dove ubbidia la terra e U eiffe, noi
paradiso terrestre ove tutto il creato ubbi-
diva a Dio. — 27. aotte alcun velo: non il
velo dell'ignoranza, come intendono i più
dei commentatori, ma qneDo dell' ubbidienza,
coi Eva si sottrasse contravenendo al divino
precetto di non mangiare il frutto dell' albero
della scienza (cfir. Osn, u 17, m 5-6). — 26.
aotte il qaal ecc. che se Eva fosse stata
ubbidiente al precetto del Signore, 1' i
PURGATORIO - CANTO XXIX
607
Mentr'io m'andava tra tante primizie
dell'eterno piacer, tutto sospeso,
83 e disioso ancora a più letizie,
dinanzi a noi tal, quale un foco acceso,
ci si fé* l' aer sotto i verdi rami,
36 e il dolce suon per canto era già inteso.
0 sacrosante vergini, se fami,
freddi o vigilie mai per voi soffersi,
39 cagion mi sprona, ch'io mercé ne chiami.
Or convien ch'Elicona per me versi,
ed Urania m'aiuti col suo coro,
49 forti cose a pensar mettere in versL
Poco più oltre sette arbori d'oro
falsava nel parere il lungo tratto
45 del mezzo, ch'era ancor tra noi e loro;
ma quando fui si presso di lor fatto,
che l'obbietto comun, che il senso inganna,
48 non perdea per distanza alcun suo atto,
la virtù, eh' a ragion discorso ammanna,
si com'elli eran candelabri apprese,
non sarebbe stato cacciato dal paradiso ter-
restre e lo arrei sino dalla nascita e per pift
lungo tempo godnto le indicibili delizie di
qnel luogo felice. — 81. Bentr'!* eco. Men-
tre io procedeva tra quella Ince e quella me-
lodia, primi segni della beatitudine etema,
tutto pieno di stupore e desideroso di mag-
giori piaceri eoo. — 83. ^tf letlsle : queste
letìzie maggiori, delle quali Dante era an«
sioeo, s' assommayano tutte nel piacere del«
V imminente apparizione di Beatrice. — 84.
dlaansl a noi eco. la luce primamente ap-
parsa incominoid a rosseggiare per l' aria sotto
le verdi piante, come viva fiamma: effetto
dell' aTTÌdnarsi dei sette candelabri ardenti
(rv. 49-54). -^ 86. e 11 dolce ecc. e la me-
lodia sino allora indistìnta si senti essere un
canto formato di parole : ere il canto d' 0-
aanna dei ventiquattro seniori, che si avvi-
cinavano sempre piti al fiume (w. 61, 85-87).
— 87. 0 saerosante.eoc. Come già verso la
fine della prima cantica {Inf, xxzn 10 e segg.),
cosi verso la fine della seconda U poeta si
raccomanda novamente alle Muse, già da lui
invocate da principio (I\trg, i 7 e segg.)» af-
finché lo aiutino a mettere in versi la grande
visione con la quale il I^trgcUorio si chiude.
— se fami eco. se psr voi, per cagione di
studio, sopportai ogni disagio di fame, di
fiieddo, di veglia, on la necessità m'induce
a chiedere 11 compenso del vostro aiuto. Dante
stesso, Com, ni, 1 dice : e Oh quante notti
furono, òhe gli occhi dell' altre persone chiusi
dormendo si posavano, che li miei nell'abi-
tacolo del mio amore fisamente miravano t > !
e il Bocc, Vita di DanU^ § 2: « Non curando
né caldi né freddi, vigiUe né digiuni, né al-
cuno altro corporale disagio, con assiduo stu-
dio pervenne a conoscere » ecc. e $8: » Ninno
altro tu. piti vigilante di lui e negli studi e
in qualunque altra sollecitudine il pugnesse » .
— 40. Or coBTlen eco. Ora bisogna che il
monte Elicona, sede delle Muse, versi larga-
mente le sue acque in mio soccorso, e che
Urania, la musa che reppresenta la scienza
delle cose celesti, mi aiuti con le sue com-
pagne a mettere in versi cose che sono dif-
ficili pure a pensare; cfr. Virgilio, En, vn,
641, X 163 : « Bandite nunc Helicona, doae,
cantusque movete ». — 43. Poco pld ecc.
Al di là dello splendore rosseggiante, la grande
distanza fdlaava nel parere, faceva falsamente
apparire sette alberi d'oro. — 44. 11 lungo
ecc. il lungo spazio intermedio tra il luogo
ov' erano Dante e Matelda e quello delle lu-
minose apparizioni. — 47. elie Pobbletto eoo.
che la somiglianza (cioè le qualità sensibili
comuni agli alberi e ai candelabri), la quale
Inganna il senso, per la minore distanza non
m' ingannava piti, non perdea aieu/n tuo atto^
mostrava le qualità sensibili sue particolari
(cioè la forma di candelabri, e non di alberi).
Si cfr. nel Conv, iv, 8 : e sensibili comuni,
là dove il senso spesse volte ò ingannato»;
che risale ad Aristotele, De anima n 6 (Mooro,
I 112). — 49. la Tirtd ecc. il discernimento,
che propara la materia al raziocinio umano,
mi fece capire cho erano candelabri.— 50. ea«-
508 DIVINA COMMEDIA
61 e nelle voci del cantare, € Osanna ».
Di sopra fiammeggiava il bello arnese
più chiaro assai die luna per sereno
54 di mezza notte nel suo mezzo mese.
Io mi rivolsi d'ammirazion pieno
al buon Virgilio, ed esso mi rispose
57 con vista carca di stupor non meno.
Indi rendei l'aspetto all'alte cose,
che si i^oveano incontro a noi si tardi
00 che fòran vìnte da novelle spose.
La donna mi sgridò : « Perché pur ardi
si nell'aspetto delle vive luci,
63 e ciò che vien di retro a lor non guardi ? >
Gfónti vid'io allor, com'a lor duci,
venire appresso, vestite di bianco;
Q6 e tal candor di qua giammai non fùcL
L'acqua splendeva dal sinistro fianco,
e rendea a me la mia sinistra costa,
69 s'io riguardava in lei, come specchio anco.
Quand'io dalla mia riva ebbi tal posta
che solo il fiume mi facea distante,
72 per veder meglio ai passi diedi sosta,
e vidi le fiammelle andar davante,
delabri: i sette laminosi candelabri d'oro, abbandonandola oasapatema e andando Terso
coi qoali comincia la processione, simbolep- la casa ooniogale. — 60. che fbraa eoe.: si-
giano, secondo l' interpretazione più comune, militndine esplicata ood dal Frexzi, Quadrir,
che per tatta la visione è anche la più ra- i, 16: e E come ra per via sposa novella A
gionevole, 1 sette doni dello Spìrito Santo : passi rari, e porta gli occhi bassi Con fàccia
pietà, timore, fortezza, scienza, consiglio, in- vergognosa, e non favella. — 61. ■! tgrldò :
telletto, sapienza (of^. Conv, zz 21) ; o l' idea cfir. Inf, xvm 118. — PereM p«r eco. Per-
d tolta dai sette candelabri àeW Apocalisse, che guardi con tanto ardore solamente allo
I 12, IV 6. — 5L e nelle voci ecc. è il canto spettacolo dei sette candelabri, e non gnardi
dei ventiquattro seniori, i qnaU cantavano a dò òhe viene dietro ad essi? Cfir. Psr.
Osanna (of^. Bar. vn 1) e la salntazione che xxm 70-72. — 64. Genti eco. Reso più at-
Dante riferirà più innanzi (w. 85-87). — 52. tento dall'avvertimento di Matelda, Dante
W. fopr* eco. L' ordine, l' insieme dei sette vede nna schiera di persone vestite di bianco,
candelabri nella soa parte superiore fiammeg- che segoivano, come loro goide, i candelabri :
giava più chiaramente che non fiMscia la Iona chi fossero dirà nei w. 82-87. — 66. e tal
quando è nel suo maggior lame, cioè allor- ecc. e nna cosi viva bianchezza non ci /k mai,
ohe la lana ò in tatta la sua pienezza e si non appsive giammai ad aloano nel nostro
mostra nell'aria limpidissima, nel momento più mondo. — fdel: ci fu; cfir. Parodi, ButL IH
osoaro della notte. — 66. Io mi rivolsi eoe 108. — 67. L'aeqaa eoo. L'acqoa del fiamo
Dante si rivolge a Virgilio qaasi per chie- Leto per il flammeggiaie dei candelabri ri-
dergli con lo sguardo pieno di stupore la ra- splendeva alla sinistra di Dante, e se egli ri-
glone di tante meraviglie ; ma Virgilio, giunto guardava in essa l'acqua gli riJSetteva, come
onnai in luogo ove più oltre per lai non ai specchio, il fianco sinistro. — 70. Qma«d*lo
disceme (cf^. Puirg, xxvn 129), non pud dar- ecc. Quando presso la riva sinistra del fiume
gli alcuna spiegazione e gli risponde con uno ebbi tal posia^ ebbi occupato tal luogo, tid
sguardo altrettanto stupefatto. — 58. rendei giunto tanto vicino ad essa ohe solamente il
ecc. volsi novamente il viso a quelle mera- corso dell'acqua mi separava dalla piooeesione,
viglio che si movevano verso di noi più len- mi fermai per osservaria meglio. — 73. le
tamente che non sogliono fare le nuove spose flammelle andar ecc. le fiamme dei oaade>
^r— T-^
PURGATORIO — CANTO XXIX
509
lasciando retro a sé l'aer dipinto,
75 e di tratti pennelli ayean sembiante;
si che li sopra rimanea distinto
di sette liste, tutte in quei colori,
78 onde fa l'arco il sole e Delia il cinto.
Questi ostendali retro eran maggiori
che la mia vista; e, quanto al mio ayyiso,
81 dieci pABBÌ distavan quei di fuori.
Sotto cosi bel ciel, com'io diviso,
ventiquattro seniori, a due a due,
84 coronati venlan di fiordaliso.
labri aTanarano in testa alla prooessioiie,
lasciando dietro a so strisce luminose per l'a-
ria, si che areano aspetto di tratU ptnnellL
In queste Uste laminose alcuni commentatori,
Bati, Land. VelL ecc., vedono simboleggiati
i sette sacramenti della Chiesa ; meglio s'hanno
da intendere i doni dello Spirito Santo con-
siderati nei loro benefici effètti. — 76. e di
tratti eoo. Questa similitudine ha dato luogo
a grandi discussioni tra i moderni interpreti,
la quali si sono aggirate specialmente sopra
& ralore della parola jMfinsUi. La pi6 comune
intarpretarione d quella degli antichi com-
montatori, Ott, Buti, Benr., Land., Veli.,
accolta poi dal Vent, Lomb., Biag., Ges.,
0iul., per i quali Dante avrebbe paragonate
la strisce luminose dei candelabri che si mo-
vevano ai tratti di pennello che i pittori con-
ducono sulle loro tele. L'altra interpretazione,
confermata dal v. 79, fa data gìk dal Dan.,
che spiegò ÈratH pmneUi per « portati sten-
dardi et gonfaloni >, e ravvivata da V. Monti,
Pnpoeta di ahuns eorr, ed aggiunta al Voeab,
delia Omtea, Milano 1824, voL II, p. Il, pp.
88-48, e, sebbene combattuta da F. Del Fa-
ria, Esame della epiegax, data dal Dan. e da
aUri modani ad unpaaso del o, uax del Purg.
negU AtU dell' L e R. Aeoad, della Omsea,
voL m, pp. 868-872, fa accettata da molti,
come Costa, Tomm., Bianchi, Frat. eco. e nao-
vamente dìfeea dal Del Lungo, DarUe^ U 623-
626 : secondo questi interpreti, Dante avreb-
be paragonato le strisce dei candelabri a pic-
cole bandiere spiegate al vento; e veramente
pmtruUo ebbe nella nostra lingua antica (es.
Guido delle Colonne in Val. 1 197 ; Ohr, par-
Msns. in Mur., Bar. itoj. IX 834 ecc.) U si-
gniflcato di banderuola. Altri, come l'An. fior.,
loasero panelU, che sarebbero fiochi messi ad
ardere snlle lumiere, in cima delle torri per
segnali o per allegrezza, o portate in asta
nelle processioni, nelle marce notturne ecc.
(cfir. r lllustrarione storica del loro oso in
Del Lungo, Dante, H 614-619). — 76. s( che
Il sopra eco. di guisa che Tana rimaneva
distinta da sette liste laminose, ohe avevano
in sé tutti i colori dell'arcobaleno e dell'alo-
ne. — 78. e Delia 11 eUto : la luna o Diana,
nata nell' isola di Dolo, dipinge della sua luce
l'alone, che è poeticamente chiamato U suo
cinto. — 79. iresti «steadall ecc. Questi
stendardi, questi tratH pennelU, ossia le liste
laminose che tenevano dietro ai candelabri, si
allungavano tanto nella lontananza ohe la
mia vista non ne disoemeva la fine. Allego-
ricamente vuol dire che i benefici effietti del
doni dello Spirito Santo sono infiniti e innu-
morevolL — 80. e, qaaato ecc. e, secondo
il mio giudirio, le due Uste estreme distavano
fia loro dieci passi; si che questa era la lar-
ghezza del fascio luminoso formato dalle sette
liste. Allegoricamente significa che gli effetti
del doni dello Spirito Santo illuminano e san-
tificano la Chiosa compiutamente e perfetta-
mente; e ciò in relazione al valore simbolico
del numero dieci considerato come perfetto e
compiuto in so stesso : 1 più degli interpreti
per altro vedono nei dieoi poeti simboleggiati
i died comandamenti, l'osservanza dei quali ot-
tiene all' nomo i doni dello Spirito Suito. —
82. di ri so : dico descrivendo e raocontando.
— 83. ventiquattro seniori: l'idea di que-
sti seniori procedo dall'iljwea/issf iv i, ove
è detto ohe intomo al trono di Dio sedevano
e ventiquattro vecchi, vestiti di vestimenti
bianchi, ed aveano in su le lor teste delle
corone d' oro » ; e quasi tutti i commentatori
s' accordano ned riconoscervi simboleggiati,
come già san Girolamo nel Prologui gcUeatue
alla Bibbia aveva dichiarato dei seniori del-
VApoc.f ventiquattro libri del vecchio testa-
mento 0 i loro autorL I commentatori discorw
dano nella enumerarione di questi libri, ma
d ragionovole credere che Dante avesse la
mente all' interpretarione di s. Girolamo, il
quale cosi li rassegna : 1. Genesi, 2. Esodo,
8. Levitloo, 4. Nameri, 6. Deuteronomio, 6.
Giosuè, 7. Giudici, 8. Samuele, 9. Be, 10.
Isaia, 11. Geremia, 12. Ezechiele, 18. Profeti
minori, 14. Giobbe, 16. Salmi, 16. Proverbi,
17. Ecclesiaste, 18. Cantico dei Cantici, 19.
Daniele, 20. Croniche, 21. Esdra, 22. Ester,
23. Rath, 24. Cinoth. — 84. 41 flordaUto*
qaesti seniori erano incoronati di gigli a si-
BIO
DIVINA COMMEDIA
Tutti cantavan: «Benedetta tue
nelle figlie d'Adamo, e benedette
87 sieno in etemo le bellezze tue ! »
Poscia die i fiori e l'altre fresche erbette,
a rimpetto di me dall'altra sponda,
90 libere flr da quelle genti elette,
si come luce luce in elei seconda,
vennero appresso lor quattro • animali, *
93 coronato ciascun di verde fronda.
Ognuno era pennuto di sei ali,
le penne piene d'occhi; e gli occhi d'Argo,
96 se fosser vivi, sarebber cotali
A descriver lor forme più non spargo
1
gnificare la parexza della dottrina oontenata
D6i libri dei vecchio teetamento. — 85. Be-
nedetta eoe Queste paiole dei seniori, dirette
a lodare ICaiìa Vergine, teoondo il Bnti, o
Beatrice, leoondo il Lana, 1* ano e l'altro ee-
goiti nella rispettiTa opinione da molti mo-
derni, eono qaelle con le quali Gabriele ed
Elisabetta salutarono la madre di Cristo (Laca
I 28 e 42): e Benedetta sii ta fra le donne »,
aggiontavi nna benedizione alla bellezza della
donna divina. — 88. Pesela eoo. La proco»*
sione contìnua ad avanzare e appena sono
passati 1 ventiquattro seniori, lasdando libero
per un momento lo spazio fiorito ed erboso
di fronte a Dante dall'altra riva, appariscono
quattro animaU. — 91. si eeme Uee ecc.
come nel cielo una stella succede a un' altra
occupandone il luogo. Ant. : « A dipingere
l'ordine, la maestà del movimento, la bellezza
Q la giocondità dei personaggi che passavano
dinanzi al poeta, in piccola distanza sull'altra
riva, non si poteva scegliere imagine pi6 con-
veniente di quella del passeggio degli astri
ad un oerohio celeste, cui sia rivolto lo sguar>
do d' esperto osservatore ». — 92. ^nattre
iBlmall : V idea di questi quattro animali pro-
cede anch' essa da fonti bibliche, dalle visioni
doò di Ezechiele, iv 4-14 (cfr. v. 100), o di
Giovanni, ApoeaL iv 6 (cfr. v. 104), nelle
quali sono descritti con gii stessi caratteri
dati loro da Dante. Quanto al valore simbo-
lico dei quattro animali, tutti i commentatori
antichi e molti moderni fturono concordi nel
rioonoecerri simboleggiati gli autori dei quat-
tro evangeli canonici, Matteo, Marco, Luca
e Giovanni: alcuni moderni per altro, come
Lomb., Biag., Costa, Giul., Scart vorrebboro
che fossero penoniflcazioni dei libri evange-
lici, non degli evangelisti, per la ragione che
Luca e Giovanni ri^parirebbero pi6 innanzi,
l'uno in àbito di medico (w. 136-138) e l'al-
tro m umile patruta (v. 142) e poi solitario
oon la faccia arguta (w. 143-144) ; se non
che in queste ultime figure sono da ricono-
scere Luca e Gbvannl, ma non come evan-
geUsti, si bene come autori l' uno degli Atti
degli Apostoli e l'altro delle due Epistole e
mVApoeaiiMm. —98. 41 verde froada: di
alloro eternamente verdeggiante come la dot-
trina evangelica. — 94. Ogaim« eco. CSaacuno
dei quattro animali aveva sei ali, come quelli
dell'^poeaiissi, iv 8; le quali significano, se-
condo Pietro di Dante, le sei leggi (naturale,
mosaica, profetica, evangelica, apostolica, ca-
nonica), e secondo Lana, Buti, An. fior., 1*»-
stendersi della parola evangelica in lunghezza,
larghezza e profondità. — 96. le penne ecc.
le peone piene di occhi significano, secondo
s. Girolamo, Prologus galeatu» cìt., la cono-
scenza delle cose passate e delle future ; e a
questo senso ebbe certo il pensiero il poeta.
— 0 gli eceki ecc. gii occhi di queste penne
erano in atto di continua vigilanza, come
quelli di Argo, l'oodiiuto custode di Io, in-
gannato da Morourìo (cfr. Ovidio, MeL, 1 625
e segg.). — 97. ▲ descrlrer eco. Dante, stretto
dal bisogno di non allargarsi a una doecri-
zione partìoolareggiata, che sarebbe stata spro-
porzionata all'economia del poema, rimanda
U lettore alla sua fonte principale, ove i
quattro animali sono descrìtti cosi (Ezechiele
X 4 e segg.) : e Io adunque vidi; ed ecco un
vento tempestoso, òhe veniva, dal settentrione,
e una grossa nuvola, e un Aioco... Di mezzo
di quello ancora appariva la sembianza di
quattro animali. E tale era la lor forma: aveono
sembianza d' nomini ; ed a veano ciascuno quat-
tro facce, e quattn oM; e i lor piedi orano
diritti, e la pianta de' lor piedi eia come la
pianta del piò d' un viteUo; ed erano sfavil-
lanti, quale ò il colore del rame lìorbito; ed
aveano delle mani d' uomo di sotto alle loro
ali, ne' quattro lor lati ; e tutti e quattro avea-
no le lor fàcce, e le loro ali. Le loro ali si
accompagnavano l'una l'altra; essi non si
volgevano camminando ; ciascuno camminava
diritto davanti a s6. Ora, quanf è alla sem-
bianza delle lor fàcce, tutti e quattro aveano
PURGATORIO - CANTO XXIX
511
rìme, lettor; ch'altra spesa mi strigne
9D tanto che a questa non posso esser largo:
ma leggi Ezechiel, che li dipigne
come li vide dalla &edda parte
102 venir con vento, con nube e con igne;
e quali i troverai nelle sue carte,
tali eran quivi, salvo eh* alle penne
105 Giovanni è meco, e da lui si diparte.
Lo spazio dentro a lor quattro contenne
un carro, in su due rote, trionfale,
108 ch'ai collo d'un grifon tirato venne.
Esso tendea in su l'una e l'altr'ale
tra la mezzana e le tre e tre liste,
IH si eh' a nulla fendendo facea male.
Tanto salivan che non eran viste;
le membra d'oro avea, quanto era uccello.
una faccia d' uomo, e una faccia di leone, a
destra; parimente tatti e quattro ayeano una
Cmcìa di boe, e una Caccia d'aquila, a sini-
•tza. £ le loro facce, e le lor ali, erano divise
di sopra; dasonno area due ali che si accom-
pagnayano Tana l'altra, e dne altre ohe co-
prìrano i lor corpi... E qnant' d alla sembianza
degli animali, il loro aspetto somigliava alle
braee di fuoco ». — 104. salvo che eoe Dante
si allontanò dalla descrizione di Eseohiole
quanto al numero delle ali, per il quale se-
gni Oiovanni, ohe neUTApoóoL rv 6^ cosi do-
■odw i quattro animali: « S quivi in mezzo
il tiono, e d'intorno ad esso quattro animali,
■gieaì d'occhi davanti e di dietro. £ il primo
animale era simile ad un leone, e il secondo
animr'^ simile ad un vitello, od il terzo animale
avea la fsooia come un' uomo, e il quarto ani-
mala era simile ad un'aquila volante. £ i quat-
tro animali aveano per uno sn o^ d' intomo,
9 dentro erano pieni d'occhi ». — 106. filo-
vaasl eec Giovanni li descrive con sei ali,
oonko ho iìktto io, e discorda in ciò da Eze-
chiele. — 106. Le ipaslo eco. Lo spazio ohe
rimase tok i quattro animali tu occupato da
un carro trionfale a due ruote, che avanzò
tirato da un grifone. — 107. uà earro ; la
prima idea di questo carro venne certamente
a Dante dal passo di Ezeohielo, 1 16-21, che
seguita a quello sui quattro animali, poiohó
Il profeta continua dicendo ohe presso a da-
Msmo vide una ruota e ohe tutte quattro si
mavevaao insieme con gli animali ; se non
che il poeta nostro did forma più determinata
alla biblica IkntasUi imaginando un carro, cho
lioorda quelli dei trionfi romani. Tutti l com-
mantatori antichi e i più dei moderni rìcono-
•ooao in questo carro la Chiesa; e solamente
Il Lomb., al quale consentono parecchi in-
terpreti posteriori, intende rappresentata nel
carro la cattedra pontificia : ad ogni modo
le due spiegazioni non si escludono a vicenda,
perché la sede papale rappresenta appunto tra
gli uomini la Chieea; ma la prima ò pi6 esatta
perché nelle vicende del carro (Airy. xrxii
1-12S) sono figurate le vicende della Chiesa,
non quelle del pontificato. — due rotet l'Ott.,
Pietro di Dante, il Bati e tutti i commenta-
tori posteriori vedono in queste ruote simbo-
leggiati il Vecchio e il Nuovo Testamento,
che sono appunto i fondamenti su cui poggia
la Chiesa : soli il Lana, l' An. fior, e Benv.
intendono le ruote per la vita attiva e la
contemplativa, che nel poema dantesco sono
altrimenti simboleggiate. — 106. ma grifoa
ecc. Tutti gl'interpreti, antichi e moderni,
sono concordi nel riconoscere in questo ani-
male che trae il carro, col corpo di leone e
la testa e le ali d' aquila, Gesù Cristo, fon-
datore e duce della Chiesa, essere di doppia
natura, divina e umana: l'idea di figurare
in tal modo il Redentore era antica, trovan-
dosi già in Isidoro, Orig.^ vn 2 : e Christus
est leo prò regno et fortitudine,... aquila prop-
ter quod post rosurrectionem ad astra remoa-
vit ». — 109. Essa ecc. n grifone teneva al-
zate r una e l' altra deUe sue ali negli spazi
ohe rimaneT;|uio liberi tra la media lista lu-
minosa e i due fasci formati dalle tre listo
esteme di destra e di sinistra: insomma, delle
sette listo luminose lasciate dietro a sé diii
candelabri quella di mezzo passava tra lo ali
del grifone, tre passavano alla destra e tre
alla sinistra. — HI. ti eh* a nulla ecc. cosi
ohe il grifone non turbava col movimento
delle sue ali alcuna delle Uste luminose. —
113. le membra ecc. la testa e le ali erano
d'oro, simbolo della natura divina; le altre
512 DIVINA COMMEDU
n
114 e bianche l'altre di vermiglio miste.
Non cHe Boma di carro cosi bello
rallegrasse Afi&icano o vero Augusto,
117 ma quel del sol sarla pover con elio;
quel del sol, che sviando fu combusto,
per Porazion della Terra devota,
120 quando fu Giove arcanamente giusto.
Tre donne in giro, dalla destra rota,
venian danzando: Tuna tanto rossa
128 eh' a pena fora dentro al foco nota,
l'altr'era come se le carni e l'ossa
fossero state di smeraldo fatte,
126 la terza parea neve testé mossa;
ed or parevan dalla bianca tratte,
or dalla rossa, e dal canto di questa
129 l'altre togliean l'andare e t€u:de e ratte.
Dalla sinistra quattro facean festa,
in porpora vestite, retro al modo
132 d'una di lor, ch'avea tre occhi in testa.
Appresso tutto il pertrattato nodo,
vidi due vecchi in abito dispari,
185 ma pari in atto, ed onesto e sodo:
membxm erano di colore misto di bianco e ver- cadata di fresco: ofr. Par. xm 16. — 127.
miglio, ilmbolo della natoirn umana. L'idea ed or eoo. ora aembraTano guidate dalla fede
procede anohe qtii dalle carte bibliche, Cant. che genera néll' nomo la carità e la spenna;
dg' OanL r. 10-11: < n mio amico d bianco ora dalla carità, ohe genera la fede e la spe-
e TermigUo, portando la bandiera fra dieci- sanxa; e to^ermo Tandare, dee regolaTaiko
mila. B suo capo è oro finissimo». — 116. la loro danza sol canto dell* oarità, cfaemoore
Nen eke eoo. Non solamente il oano tirato lealtre dne Tixt6. — 180. IMla finistr» eoo.
dal grifone era più bello di qnelli onde Boma Le quattro donne, restite di porpora, dan-
oelebrò i tdonfl di Scipione Albicano (ofr. santi alla sinistra del cario, sono le Tirtd oar-
Valerio Massimo, ir 1, 6) e di Angnsto (cfr. dinali (ofr. Purg, x 22), che operano guidate
Tirg. En, xm 714-728, Suetonio, TU, Avg. dalla pindpale di esse, la prudenza. Le fl-
22), ma anohe di quello del sole. — 117. sa- gure di queste yirtd sono restite di porpora,
rfa pOTer ecc. apparirebbe porero di bellezza del colore cioè della carità, e guidate dalla
e di splendore al confronto di quello. — 118. prudenza, per la ragione detta da Tommaso
4eel del sol, che sriaide eco. il bellissimo d' Aquino, Sufmma^ p. I 2^, qu. lxv. art. 2,
carro solare (Ovidio, Mtt., n 107-110), òhe che « virtutes morales sino charitate eeee non
disviatosi per opera di Fetonte (ofr. ^i/l, zm possnnt », e «aliaevirtutso morales enim non
106) fa bruciato (IM. n 229-290), per le de- poosunt esse sino prudeutia»; ofr. Dante stee-
Tote preghiere della Terra {Mei, n 278-800), so, Omv. ir 17, ore scrive che la prudena 4
allorquando Giove con arcano giudizio punì « oondudtrice delle morali virtù, e mostra la
nel figliuòlo la colpa del padre.*— 121. Tre via per ohe elle si compongono e senza quella
donne ecc. Le tre donne, che danzando in essere non possono». — 182. eh' area tre
cerchio procedono alla destra del carro, sono ecclil ecc. : a simboleggiare ohe la prudenza
le virtù teologali : la carità simboleggiata nella (Onip. rv 27) < richiede buona memoria deQe
donna rossa più della fiamma, la speranza vedute cose, e buona oonoocensa delle pre-
nella donna verde come lo smeraldo, e la fede senti, e buona prowedenza delle fritoie >• —
nella donna candida più che neve. — 123. 188. Appresse tutto ecc. Dietro al gruppo
eh* a pena eoe che essendo d'un rosso flam- già descritto (cario, grifone, sette donne) ven-
mante non si sarebbe distinta in mezzo a vivo gono due veoohi in abito dUferente, ma simili
fuoco. — 126. smeralde: ofr. Pwrg, zn 75. nell'atteggiamento onesto e dignitoso ésUa
— 126. neve testé messa: neve purissima, persona: sono Luca, in quanto era tsnnto
PURGATORIO - CANTO XXIX
B13
138
141
144
147
150
l' un si mostraya alcun de* £unigliarì
di quel sommo Ippocràte, che natura
agli animali fé* eh' eli' ha più cari;
mostrava l'altro la contraria cura»
con una spada lucida ed acuta,
tal che di qua dal rio mi fe' paura.
Poi vidi quattro in umile paruta,
e di retro da tutti un veglio solo
venir, dormendo, con la £Etcoia arguta.
E questi sette col primaio stuolo
erano abituati; ma di gigli
dintorno al capo non fietcevan brolo,
anzi di rose e d'altri fior vermigli:
giurato avrla poco lontano aspetto
che tutti ardesser di sopra dai ciglL
E quando il carro a me fu a rimpetto,
un tuon s*udi; e quelle genti degne
ratoro dagU ÀtU dtgU ApotUU, e PmIo, au-
tor» dèli» Epidotè, — 196. l*u ti ««ttniTA
oeo. L«ea appariya alle retti eeeere uno dal
fkadliarl d'Ippocnt», reetito eloè da medi-
oo; in nlaiione a eid ohe dice Paolo, Epiti,
ai OoJMtmit IT IB : « n diletto Lnoa, il me-
dico, e Deaa fi salatane >. — 187. di qvel
■•■SM eoe. del grandiedmo ^pocrate di Coo
(n. 460, m. 866 circa a. C.)) ohe renne al
Bondo per la nlnte degli nomini. — 188.
aalfluli s essere animati: efr. Inf. r 88. —
189. mettraTE eoo. Paolo appaiirm invece in
Teste di gneniero, mostrando contraria em%
non di sanare ma di ferire, con sna spada
loBlnosa e aonta, si che Dante n'ebbe paora
sebbene da lai lo separasse il flame Lete. —
140. non spaia s Paolo, prima d' essere oon-
Tertito alla fede, ta nomo d'armi e perseco-
tore dei cristiani; ma la spada ohe Dante,
se^oende la leggenda medierale, gli attribai-
soe d < la spada dello spirito tjh' è la parola
di Dio », di eoi paria lo stesso Paolo, S^iti,
lyli JB/M, ^ 17. - 143. Pel Ti41 eoe I qaat-
tro im mnOi panda, doè di amile apparensa,
sono, secondo la maggior parte degli inter-
preti, gli aaftori delle quattro epistole cano-
niche, Qiaoomo, Pietro, Oioranai e Giada,
antichi. Lana, Pietro di Dante, Benr., An.
il<ff. Ti riconobbero Inreoe i qnattro princi-
pali dottori della Chiesa, Gregorio Magno,
Girolamo, Ambrogio e Agostino ; altri, anti-
chi e moderni, Imaginarono altre spiegasioni,
ma tntte sono poco sloare al conftonto della
più cornane. — 148. nn Teglie eoe n reo-
Ohio sditario che Tiene innansi dormendo con
la ÈÈOtia aigata è, secondo i più, Gioranni
eonslderato come antere dell'^poca/isM, ohe
Pants
è nna serie di Tislonl (dormendo) e fti scritta,
come si legge nel principio di essa, < per fiur
sapere... le cose ohe debbono aTrenire in
brere tempo » (/beote argtUa), — 146. qaeitt
sette eoe qaesti aitimi sette personaggi (tt.
138-144) aTOTano lo stesso abito bianco dei
Tentiqoattro seniori della prima schiera (r.
65), se non che inreoe d'essere coronati di
gigli (r. 84), erano incoronati di rose e di
altriflori remigli; a significare l'ardore della
oarità onde sono arrirate le scrittore del
Naoro Testamento. — 147. nen faeerra
brele : non arerano ornamento di gigli ; il
nome brolo significa propriamente Inogo pian-
tato di molti piccoli alberi, più tosto Tiralo
e boschetto che giardino (cfr. Dies 69, Zing.
146, Parodi, BuU. UI 148), e qai per trulato
qoalanqoe ornamento o corona & fiori. —
149. givrate arrf a ecc. 61 costraisoa : appetto
poco ioniano aoria giumUo eh» eco. e si spie-
ghi : ana rista poco lontana, doè on nomo
par redendoli da ricino arrebbe giarato, tanto
fiamoiante era il rosso delle lor oorone, che
tatti qaesti sette ardessero salle loro fronti.
— 161. I «BMde il earre eoo. Gianto il
carro darantl a Dante, si senti on taono e
tatta la processione, dalle jwims teMyns o can-
delabri sino alle genU degne, agli aitimi per-
sonaggi, si formò come se fosse stato proibito
di oontinaare più oltre. B tuono, che nelle
fantasie dantoeehe accompagna sempre le
azioni più solenni (cfr. Inf, in 180 e iegg.),
quasi fosse nna rooe di Dio dà alla procee-
sione il segno d'arrsetarsl: cosi si compie la '
prima parte della rlsione, In onl la Chieea
Tiene incontro all'uomo pcmitente, come quella
che custodisce i misteri dlrini e i messi per
coi egli pud conseguire la grazia del Signore.
514 DIVINA COMMEDIA
parvero aver l'andar più interdetto,
154 fermandoB'iyi con le prime insegne.
CANTO XXX
Fermatasi la processione, appare tra ginlive acclamazioni Beatrice e
scompare silenziosamente Virgilio : allora Beatrice si manifesta e rimpro-
vera a Dante piangente i traviamenti e gli errori di lai; e poi, volgendosi
agli angeli che dimostrano compassione al penitente, espone loro tntta r in-
gratitudine e r infedeltà di lai (18 aprile dalle otto antimer, circa alle nove].
Quando il aettentrion del primo delo,
che nò occaso mai seppe né orto,
8 né d'altra nebbia che di colpa velo,
e cbe fiBMseva li ciascuno accorto
di suo dover, come il più basso face
6 qual timon gira per venire a porto,
fermo si affisse, la gente verace,
venuta prima tra il grifone ed esso,
9 al carro volse sé, come a sua pace:
ed un di loro, quasi da ciel messo,
« Vtfni, sponsa, de Libano > cantando,
12 gridò tre volte, e tutti gli altri appresso.
Quali i beati al novissimo bando
surgeran presti ognun di sua caverna,
ZXX 1. QaaBdo «oo. Qoando li ftDono innanii al gilftmo (iVy. zza 64 « wgg.),
farmati i aette oandélabrì, detti tettenirim <M ai Tòlse indielxo a ricwdare il cario, ooaie
primo oMo oioè ooatellacione laminoaa Tenuta il fine dei aool desideri. — 9. eoat a ns
nel paradiso tenestre dal cielo empireo, il paets Bnti: «come a eoo fine: ciò cba si
quale settentrione non fa mai soggetto alle fece nel Vecchio Testamento si fsoe a ine
Ticende dell' apparire e scomparire soli* ori»- di costituire la santa Chiesa, e Gkisto % quel
lonto e non fti mai nascosto allo spirito urna- fine Tenne ». — 10. im di ler» eco. «no dai
no da altro Telo che quello della oolpa, e che Tentiquattro seniori, cioè la figura rappre-
rispetto alla processione del paradiso torre- sentante il OamH» ed OcmUoi di SaknaoBe,
atre CaceTa offlào di guida, come Upiù tesso come se a ciò fosse deputata da Dio, aliò la
settentrione dod la costellazione dell' Orsa toos gridando tre Tolte un inTito a Beatrice
minore d guida al nocchiero che si Tolge al dlTeniie; e le parole dell* iaritoftooDo quelle
porto eco. — 2. che mi eeease eoe il quale del OcmL dd OanL, xt S : < Vieni meco dal
settentrione : cosi intesero gli antichi com- libano, o sposa. Tieni meco dal libano ».
mentetori, e ntgioneTolmento, poiché Danto — 12. e tutti ecc. ed i seniori dalla sua
Tuol dire che i doni dello Spirito Santo sono schiera ripeterono osntando fiuTito. — 18.
sempre manifesti ai buoni e non appariscono Quali I Ideati eco. Come all*inTito oIm sarà
ai peocatorL Molti moderni inTece, Lomb., fatto nel giorno del giudisio finale I beati
Oes., Costa, Bianchi ecc., filérisoono tutto sorgeranno presti dalle loro tombe cantando
ciò al primo ekio, — i. faetra li daseune alleluia con te «ow WeisMto, con la Toce dsi
ecc. guidsTa tutti i componenti la processione, eorpt eh' essi arranno lipnsi, oosi all' inTito
— 6. qual tlmoB eoo. qualunque nocchiero del seniore si lerd sul carro una moltitadiae
che Tolga il timone per giungere in posto, di angeU. Venturi 660: < Bello il paxacoBare
— 7. si affisse s cfr. A/I zn 116. — la gente l'agilità del sorgere e il tripudio di quelU
Teraee eca la schiera dei Tentiquattro se- angeli od subito lerarsi degli eletti dal loro
niori, che «la Teaula dietro ai candelabri e sepolcro nel di del Oludiilo, e osa la gkla
PUEGATORIO — CANTO XXX 516
15 la rivestita yooe alleluiando,
cotali, in su la divina basterna,
si levftr cento, ad vocem tanti seniSf
18 ministri e messaggier di vita eterna.
Tutti dicean : € Benedictus, qui venia > ;
e fior gittando di sopra e dintorno:
21 < Manibus o date lilia plenis ».
Io vidi già nel cominciar del giorno
la parte orientai tutta rosata
24 e l'altro del di bel sereno adomo,
e la &coia del sol nascere ombrata,
si che per temperanza di vapori
27 Pocoliio la sostenea lunga fiata;
cosi dentro una nuvola di fiori,
che dalle mani angeliche saliva
80 e ricadeva in giù dentro e di fuori,
sopra candido vel cinta d'oliva
donna m'apparve, sotto verde manto,
88 vestita di color di fiamma viva.
E lo spirito mio, che già cotanto
tempo era stato che alla sua presenza
86 non era di stnpor, tremando, affranto,
éi che questi saranno compresi ». — 16. Ui Aurora foree, et piena rosanun Atria ». —
rlrcstlta ecc. mentre la yooe dei corpi rive- 24. l'altro elei: le altre parti del cielo. -~
etiti canterà allelnia (ofir. Apocal, to. 1). — 26. if elle per eoo. di golM* ohe per esser
allclvlaado: il yb. oiMuiorv significa can- coperta da un tenne yelo di yi^oil, gli oo-
tare alleluia, come osannare cantare osanna chi poteano lungamente contemplarla. — 28.
{Baer. xxyin 94). — 16. testeraa : carro ador- cosf dsHtro eoo. Beatrice apparve a Dante,
nato di panni preziosi ; d yoce lat., cosf di- circonfusa da una ^invola di fiori, i quali sa-
chiarata da Beny., Pietro di Dante, Cass., lendo dalle mani degli angeli rioadevano den-
An. fior. ecc. — 17. cento : un gran numero tro e intomo al carro, yeetita coi oolori della
di angeli, ministri e messaggieri del Signore; fode, della speranza e della carità (candido
die sono poi più chiaramente accennati noi yelo, yerde manto, rosso yestinento) e oo-
y. 82. — a4 Tocem ecc. all'inyito, ohe fu renata dell' uliyo, simbolo della pace e della
fSatto dal yecchio venerando : Veni^ tponsa^ sapienza. — 81. sopra eaa41d« eoo. : dalla
eoe ; cfir. y. 10 e segg. — 19. Tatti eco. V. ^. i 12, m 10, mix 4 appare ohe Bea-
011 angeli salutano Beatrice, ohe è per ap- trìce vivendo fòsse solita di veetlre di rosso;
polire, con le stesse parole con le quali CM- bianca era la vette di lei, quando Dante là
sto entrando in Gerusalemme fu salutato d»- vide la seconda volta (F. J/. n 6) e bianco
gli ebrei ( Matteo zxi 9, Marco xi 9, Luca il velo di cui in visione gli parve die la oo-
XIX 38, Giovanni zn 18) : « Benedetto colui prìssero le sue compagne (F. N, mn 48): di
che viene nel nome del Sigrnorel ». — 20. e verdi manti non d alcun accenno nel libro
flor ecc. e spargendo fiori al di sopra e all' in- giovenile. — 84. E lo spirito eoo. L'effetto
tomo del carro si confortavano l'un l'altro dell'apparizione di Beatrice nel paradiso ter-
a spargere gigli a piene mani con le parole reslre ò lo stesso eh' ella prodneeva vivente
stesse di Virgilio {En. vi 888) : « Manibus suil' innamorato poeta ; come si ha dal oon-
date lilia plenis ». — 22. la vidi eoo. Yen- tmnìù con la F. N. i 14-28, xi 1-7, ziv is-
tori 6 : « Con una similitudine tratta dal na- 87, xxiv 1-6. ~ eoUato teapo eoo. Beatrice
soer del sole, e die d fira le pid belle dd mori nd giugno 1290 (efr. F. N, zxxx 1-10),
poema per verità di colore e dolcezza di versi, e l' apparizione presente d ddl' aprile 1800 :
narra come gli apparve Beatrice nd Paradiso died anni adunque erano panati senza che
terrestre ». Bioorda 1 versi d' Ovidio, IM. n Dante vedesse la sua mirabile donna. — 86.
112: «BntUo patefeoit ab ortn Pnrpurefts eh« ali» taa eeo. die non «la ttsto vinto
516
DIYIKA COMMEDIA
senza degli ooolù aver più conoscenzai
per occulta virtù che da lei mosse,
89 d'antico amor senti la gran potenza.
Tosto che nella vista mi percosse
l'alta virtù, che già m*avea trafitto
42 prima ch'io fiior di puerizia fosse,
volsimi alla sinistra col rìspitto
col quale il £uitolin corre alla mamma,
45 quando ha paura o quando egli ò afflitto,
per dicere a Virgilio : € Men che dramma
di sangue m*ò rimase, che non tremi;
48 conosco i segni dell'antica fiamma >•
Ma Virgilio n'avea lasciati scemi
di sé, Virgilio dolcissimo padre,
61 Virgilio a cui per mia salute dièmi:
né quantunque perde l'antica madre
valse alle guance nette di rugiada,
64 che lagrimando non tornassero adre.
« Dante, perché Virgilio se ne vada,
dalla meraTii^ iremando alla Tifta di laL
— 87. ■•Hia def 11 oceU eoo. iODsa ayeme
né pure una maggior oonoaoenza dagli ooohi,
oioò aenza diatingaerla oon la vifta perohó
era Telata, ma aolameiite per una Tirtd di-
Tina òhe da lei prooedette, senti gli effetti
dell' antloo amore. — dO. Tolto eoo. Appena
gli Al appena Beatrice, Dante quasi smar-
rito e oonftoso, si Tolse dalla parte ore cre-
doTa d' aTore Virgilio per dirgli 1* impressione
rioemta da tale apparidone ; ma Virgilio,
ehe già gli aTOTa fatto da padre amoroso e
da guida fedele, era soomparso. — 42. prima
eh' le eoo. Dante, F. iiT. 1 1 e aegg. xaooonta
il sno primo inoontro con Beatiioe, ponen-
dolo all'anno 1274, quand'egli aTOTa noTe
anni, e altroTO, zn 42, Amore Io oonsigUa
di dire in Tersi oom* ei fosse innamorato di
lei « tostamente da la sna pnerixia ». — 48.
eoi rlspltt« eoo. oon quell'espressione di
ftdaoia con la qnale il bambinp, spaTontato
da qualche sabita apparizione o tubato da
qualche male, corre Terso la madre: cfr.
Par, zxn 2-8. Parodi, BuU. m 94: «L'«-
vprtukfm di fiduoia non d Teramente qnolla
che ho notato nei bambini, che corrono stiz-
ziti o spsTentati dalla mamma; ed io penso
che Dante abbia Telato piuttosto alludere
all' atteggiamento e dirrt quasi alla curiosa
contrazione e ai sussulti del loro Tolto lagii-
mo8o, che suscita nella madre un inteneri-
mento, misto di riso. In tal caso sarebbe
tornato al lat. reapicere^ e riapttio signlfLohe-
rebbe aguardo o con senso un po' pi6 gene-
rale, atUggimmUo del voUo > : però gli esempi
antichi di rùpitto raccolti dal Parodi steao
hanno il senso di rispetto, rigaardo, e andie
quello di Indugio. — 46. ■•■ «he 4raama
eoo. Non mi rimane pur una dramma, ««»
piccola quantità di sangue, ohe non sia agi-
tato dall' improTTiso apparire di questa mi-
rabile donna. — 48. eonoie* eoe eanto in
me gli effstti dell' antico amore. Bimembranza
Tirgiliana, delle parole di Didone innamorata
di Snea {En. ir 28) : « Adgnosoo Tetscis Te-
stigia flammae ». — 49. la Virgilio ecc. Ha
Virgilio ci aTcra lasciati priTi di s6, egli che
mi era stato amorosissimo padre (ofir. Purg,
xxm 4), egli cui io mi era affidato nella selTa
selTBg^ (cfr. Li^, I 180 e segg., n 139 e
segg.). Lo scomparire di Virgilio daTanti a
Beatrice slgniUca che OTe termina l'opera
della ragione Incomincia quella della fiade,
OTe finisce la sdenia umana ha suo principio
la scienza diTina. — 61. Virgilio a «al ecc.
La triplice ripetizione del nome di Virgilio ri-
corda quella del nome di Eurìdice nella (Ttory.
IT 625 (cfr. licore, 121). — 62. ad «uaataa-
qae ecc. né tutte quante le beDezze del pa>
radiso terrestre mi trattennero dal piangere
per la disparisione di Virgilio. — 1* aatlea
madros STa, cfr. Purg, zzn 28 e aegg. —
63. Tolse alle guaaee eco. potè alle mie
guance, ohe all' usdr dall' Inferno Virgilio
aTOTa purificate con la ragiada (efr. Purg,
I 96 e segg.), impedire ohe per pianto tor-
nassero fosche e cacare. — 66. Daate eoo.
Sinora 11 poeta ha descritto l'i^iparizlone di
Beatrice; adesso Tiene a rappresentare U ri-
Tslazione della donna diTiim, la qualo to-
PURGATORIO — CANTO XXX
B17
non pianger anco, non pianger ancora;
57 che pianger ti convien per altra spada ».
Quasi ammiraglioi ohe in poppa ed in prora
viene a veder la gente che ministra
60 per gli altri legni, ed a ben far la incuora,
in su la sponda del carro sinistra
quando mi volsi al suon del nome mio,
63 che di necessità qui si registra,
vidi la donna, che pria m'appario
velata sotto l'angelica festa,
66 drizzar gli occhi vèr me di qua dal rio.
Tutto ohe il vel che le scendea di testa,
cerchiato dalla fronde di Minerva,
69 non la lasciasse parer manifesta;
regalmente nell'atto ancor proterva
continuò, come colui che dice
72 e il più caldo parlar di retro serva:
dondolo piangere g^ rirolge il ditcozeo, cU»-
■landolo per nome e ammonendolo di oonte-
neare le lagrime e di ■ertarle a migliore oo-
oaaione. Dante, ella gli dioe in modo idlenne
e Inaieme affettnoeo, perché Virgilio ti abbia
abbandonato non piangere ancora, lerba le
tao lagrime per nn dolore più forte che ta
dorrai loppoitare. — 67. per altra apada:
a maggior dolore die Beatrioe annnnria a
Oftate 4 quello dei rimprorexl che or ora easa
•teen gU Ikrà ; zimproyeii ohe egli accoglierà
piangendo (tt. 97-09). — 68. Qnail aaaa-
rftSlle eoo. Ck»me nn ammiraglio che a'aggira
dalla poppa alla prora della nave capitana per
ueeoTvaie i sooi sottoposti ohe operano sólle
minori navi della squadra, e li incoraggia a
ben fare eoe Ventori 869 : « La similitudine,
OQA la dignità dell' officio e del personaj^o,
accenna alla dignitosa nobiltà di Beatrice ; e
toccando le onre e le parole benigne Tolte
dA un ammirsglio alla gente degli attri legnif
delle altre nari minori, per incoraggiarla a
fsr il dorar suo, mostra ohe dagli atti e dallo
sgnardo di Boatrioe trsspaiira altezxa d' af-
fetto. Anche il carro misterioso, sa coi ella
si posa, ha qualche analogia con la nare mag-
giore, ore l'ammiraglio risiede. Ma, se ragioni
di oonrenerdecza non mancano in questa
oompazazione, nemmeno può dirsi delle pi6
felici del poema >• — 69. Ministra : remioi-
soenia rirgiliana {Bn, n 802), di Caronte:
< ^ee latem conto subigitrelisque ministntt ».
— 68. ehe di neeessltà eco. Dante, Conv, i
2 dioe ohe « perisse di sé medesimo pare non
licito » e ohe pstoid € non si concede per U
retodd alcuno di 86 medesimo senza neces-
saria cagione parlare ». Qui la necessità c'era,
trattandosi di zifedre le proprie parole di Bea-
trioe, la quale area ohiamato Dante col suo
nome: < per due cagioni, dioe l'Ott; l'una,
perché certa fosse la persona, intra tante,
alla quale dirixzarm il suo sermone; l' altra
però che come piti addoldsoe neUo umano
parlare il nomare la persona per lo proprio
nomo in dò che pi6 d'affezione si mostra,
cosi più pugne il reprensiro quando la per-
sona riprosa dalla riprendente ò nomata > (of^.
BuU, TEL 62). Circa la questione se questo sia
il solo luogo del poema ore Danto nomina
sé stesso c£^. la nota al Bar, zxn 104. —
64. ridi la donna eco. Beatrice, ohe prima
mi era apparsa Telata dentro la nurola dei
fiori gittati dagli angeli (r. 28 e segg.), drizzò
gli ocelli suoi Terso di me, che ero ai di qua
del fiume Leto. — 67. Titto ohe U rei eoo.
Sebbene il relo candido, che le scenderà dal
capo ed era droondato da una oorona di uliro,
non Insci asse apparire apertamente il rolto
di Beatrioe, ella continuò a parlarmi serbando
un atteggiamento di serera alterezza. — 68.
dalla fronde ecc. dai rami dell' uliro, sacro
a Minerra. — 70. regalmente eoo.: bellis-
sima espressione per significare la sererità e
l'alterezza dell'atto col quale Beatrice accom-
pagnò le sue parole rolte a rimprorerar
Dante; e opportuno riscontro a tale espres-
sione 6 questo passo del Oonv, m 16: «Dal
prìndpio essa filosofia parerà a me, quanto
dalla parte del suo corpo doò sapienza, fiera,
ohe non mi rìdea in quanto le sue persua-
sioni ancora non intendea; e disdegnosa, ch6
non mi rolgea l'occhio, doò eh' lo non potea
rodere le sue dimostrazioni ». — 71. come
colui eco. come la chi parlando si riserba a
dire per ultime e con calore le ooee di mag-
gioro importanza ; cfr. Oono, n 9 : € sempre
518
DIVINA COMMEDIA
€ Guardami ben : ben son, ben son Beatrice !
Come degnasti d'accedere al monte?
75 non sapei tu ohe qui è l'uom felice?»
Gli occhi mi cadder giù nel chiaro fonte;
ma, veggendomi in eBso, i trassi all'erba,
78 tanta vergogna mi gravò la fronte.
Cosi la madre al figlio par superba,
com'ella parve a me; per che d'amaro
81 senti' il saper della pietade acerba.
Ella si tacque, e gli angeli cantaro
di subito : € In te, Damine, speravi >,
84 ma oltre pedee meoa non passare.
quello oh» imuwìmammté di» intande lo di-
citore, 8i dee riservale di dietro; per6 ohe
qaello ohe ultimamente il dioe, più rimane nél-
ranimo dell' uditore >. — 78. UvardaaU eoo.
Onardami pnre attentamentee riconosoerai che
io tono Beatrioe. Alcuni testi hanno: Chtardtui
ben: ben smu, ben $9mBealrioeJf ohe sarebbe,
secondo gl'interpreti, miglior lesione per la
maggiore oonveniensa ohe è tra il parlare in
plorale e ratteggiarai regakuunU : se non ohe
più testo ohe aUa sublimità deDa dignità re-
gia, qnesf arrerbio aooenna alla severità o
oompoetecza qoasi solenne con la qnale al-
oono parla (ofir. Par, zi 91), senza bisogno
che parli in plorale, come fanno 1 re. Note-
vole invece d che il modo Insistente col qnale
Beatrice richiama Tattenzione di Dante e il
ripetersi della dichiarazione dell'esser suo mo-
strino già in queste prime parole l' intenzione
di rimproverare; e osservabile ò la confor-
mità di questa situazione <ion quella di Boeiio
all'apparirgli della filosofia {Oona. phiL i, pr.
2): « Àgnoscisne me? quid taoes? pudore an
stupore siluisti ? mallem pudore ; sed te, ut
video, stupor oppressit » ecc.: ofir. Moore, 1 286.
— 74. Gemo degnasti ecc. Questo verso, riu-
scito molto oscuro ai moderni, pareva chia-
rissimo ai commentatori anticèi, tanto che
dal Lana a Benr. nessuno pensò pure a spio-
garìo; e fìt primo il Buti sd apporvi una
chiosa : « Come f hai tu fatto degno merìte-
vilmente di venire al monte del Purgatorio? »
Agli antichi era chiaro, perché conoscevano
il porticolaie valore del vb. degnare nel lin-
guaggio nostro poetico, nel quale, come il
prov. denJuer, significò nient'altro ohe potere,
come ha dimostrato A. Gaspary, La ecuoìa
poetìeatieU. trad. it , Livorno, 1882, p. 289-290.
Beatrice adunque md dire a Dante: Come
hai potuto venire al monte sacro (d^. Inf. n
83), se non eri meritevole della beatitudine
che r uomo vi gode ? Intendendo in tal modo
si noti per altro ohe Beatrioe non ignorava
che Dante aveva potuto fkre il viaggio per
grazia divina (cflr. tv. 186-141), ma gli volle
eoli richiamale al pensiero psf xla^rove-
raiio tutti i traviamenti, dei quali gli par-
lerà in seguito. Oli altri interpreti dal Land,
e dal VeD. al Tomm. e al Bianchi, pie-
gando degnatUf nel senso moderno, per H
degnatUf devono ammettere ohe Beatrioe qui
parli con ironia, che sarebbe del tatto inop-
portuna. — al monte: ofr. SalM. zxiv 8-4 :
« Chi salirà al monte del Signore ? e chi sta-
rà nel luogo suo santo? L* uomo innocente
di mani e puro di cuore ». — 76. CUI «edd
eco. Dante, punto dalle amare parole della
sua donna, abbassa gli ooohi a guardare nelle
nitide acque di Lete : ma vedendosi in qoaUe
cosi conftuo 0 vergognoeo li rivolge altroive,
fermandoli solla verde pianura, oioè senza
avere il coraggio di rialzarli. — 77. 1 : cfir.
Inf. V 7S. — 79. Cosi la madre eoe. Bea-
trice, riprendendomi in tal manina, mi sem-
brò severa, come sembra la madre al figlio
da lei rimproverato ; e perdo il sapore ddla
piebUe acerba, della pietà di Id ohe non era
molle ma rigida, mi sembrò amaro, disgustoeo.
Altri leggono eent» U eapor eoe, che in so-
stanza sard>be la stessa cosa, sdvo che Dante
esprimerebbe non una esperienza propria e
particolare, ma una legge generale. — 82.
Ella si tacine eco. Appena Beatrioe n tac-
que, gli angeli inoomindarono a cantan il
salmo xzzi, quad per risponderie in nome
di Dante, fbrmandod a qud versetto ohe nella
bibbia Tolgata finisce con le pszde jMdst «Mot.
— 88. IM te ecc. Le parole cantate dagli an-
geli fluono dunque le seguenti iSahn. zzxi
1-9): «Signore, io mi son confidato in te;
fa' òhe io non sia giammai oonfoso, liberami
por la tu» giustizia. Inchina a me il tuo oreo-
chio, aibwttati di liberarmi; siimi rocca forte,
e un luogo di fortezza per salvaimL Per ciò
che tu sd la mia roooa e la mia fortezza ; e
per amor dd tuo nome, guidami, e oondndmL
Trammi ftior della rete die mi ò stata tesa
di nascosto ; pdohé tu sd la mia fortezza. Io
rimetto il mio spirito nelle tao mani; tn mi
hai riscattato, o Signore Iddio di verità. Io
PURGATORIO — CANTO XXX 519
Si come neve tra le vive travi
per lo dosso d'Italia si congela,
87 soffiata e stretta dalli venti sdiiavii
poi lique&ktta in sé stessa trapela,
pur che la terra, che perde ombra, spiri,
90 si che par foco fonder la candela;
cosi fili senza lagrime e sospiri
anzi il cantar di quei, che notan sempre
93 retro alle note degli etemi girL
Ma poi che intesi nelle dolci tempre
lor compatire a me, più che se detto
96 avesser: < Donna, perché si lo stempre? »
lo gel, che m'era intomo al cor ristretto,
spirito ed acqua féssi, e con angoscia
99 per la bocca e per gli occhi usci del petto.
Ella, pur ferma in su la detta coscia
del carro stando, alle sustanzie pie
102 volse le sue parole cosi poscia:
< Voi vigilate nell* etemo die,
si che notte né sonno a voi non ftira
105 passo, che faccia il secol per sue vie;
onde la mia risposta ò con più cura
odio quelli obe attendono alle yanità di men- ha né pnr pregio di originalità. — 92. di f mei
sogna ; m» io mi confido nel Signore. Io fé- ecc. degli angeli ohe cantano tempre in oon-
ategge«ò e ni raUegierò della toa benignità; formità all'armonia deDe afere celeetL — 94.
per dò che tu avrai rodata la mia afflizione, pel cke lateal eoo. qnando inteai che nel
ed avrai pieaa ocaioeoenza delle tribolasioni loro doldaalmo canto esprimevano nn lenti-
deU'anima mia; e non mi avrai mesio in man mentodioompaaeioneper me,più chese aves-
del nemico; ed avrai Datto star ritti i miei aero chiesto alla mia donna perché mi con-
piedi al largo ». — 86. 8f come seve eoo. somasse in tal goisa. — 96. ttempre t il vb.
Como la neve si congela nei boschi dell' Àpen« tttmpmim, che vale propriamente consnmare,
nino qnando è percossa e stretta dai venti in senso morale ha qnasi il senso di mortl-
bonaU, e poi Uqnefatta penetra negli strati fioare« avvilire. — 97. Io gel, elle m' era ecc.
inferiori allorché spirano i venti africanii cosi il dolore, che mi s'era raccolto nel onore, si
Dante prima del canto degli angeli rimase fé' spinto ed aoqva, sospiri e lagrime, e pro-
come ghiacciato senza poter piangere né so- mppe angosciosamente per la bocca e per gli
spirare, e qnando intese il dolce canto prò- occhi. — 100. Ella, pnr eoe Beatrice, sem-
rappe in sospiri e in lagrime. Ventori 114: pre ferma sopra la sponda sinistra del carro
« Tenero il concetto, ma lunga la simllitadine, (cfr. v. 61), volge ora il discorso agli angeli,
e non espressa con la schiettezza consueta», per esporre loro i traviamenti di Dante. —
— vive travi t gli alberi verdeggianti nelle 101. snstansle pie t esseri pietosi e santi,
selve. — 87. venti schiavi : i venti boreali, gli angeli che avevano dimostrata la loro oom-
che soffiano di verso la Schiavonia. — 88. passione per Dante, cantando le parole del
la wé slesn ecc. Descrive con mirabile bre- salmo. — 106. Voi vigilate eco. Voi vegliate
vita il gocciolare dell'acqua dagli strati sa- noll'etemalnce, contemplando continuamente
periorì della nevo agi' inferiori. — 89. pnr l'aspetto di Dio nel quale vedete tutte le cose,
eke ecc. solo che incominci a soffiare U vento di modo che né notte né sonno vi nasconde
d' AMca, di qnella terra ovo alonna volta alcnna delle opere degli nomini. È conforme
i oorpi non proiettano sul suolo la loro om- alla dottrina di Tommaso d'Aquino, Ammo,
Iwa, perché il sole ò perpendicolare sopra di p. I, qn. Lvn, art. 1-2. — 106. 11 leeol t il
essi. ~ 90. s( ehe par ecc.: e comparazione mondo degli nomini, l'nmanità; cfr. F. N,
indnaa, che poco aggiunge », nota il Venturi, xm 1 : « Poiché la gentilissima donna tà.
e che essendo frequente nei poeti antichi non partita di questo secolo ». — 106. onde la
520
DIVINA COMMEDIA
che m'intenda colai che di là piagne,
108 perché aia colpa e duci d'una misura.
Non por per opra delle rote magne,
che drizsan ciascun seme ad alcun fine,
Ili secondo che le stelle son compagne;
ma per larghezza di grazie diTine,
che si alti vapori hanno a lor piova
114 ohe nostre viste là non van vicine,
questi fii tal nella sua vita nuova
virtualmente ch'ogni abito destro
117 fatto averebbe in lui mlrabil prova.
Ma tanto più maligno e più silvestre
si fa il terren col mal seme e non cólto,
120 quant'egli ha più del buon vigor terrestro.
Alcun tempo il sostenni col mio volto;
mostrando gli occhi giovinetti a lui,
123 meco il menava in dritta parte volto.
Si tosto come in su la soglia fui
mìm eoo. per la ^rud cosa la mia dspoeta è
eon più filmi, è Catta più odi Une ohe V intenda
Dante che piange al di là del flnme, afllnchó
il ano dolore sia pari alla oolpa. — 109. Non
fir eoo. Non solamente per le natorali in-
flnenxe dei deli, ohe dispongono oiascnn es-
sere a nn deterniinato fine seoondo la virtd
del pianeta sotto il qnale esso nasce (cfr. Purg.
zn 78 e segg.)t in* anche per abbondanza di
grazie dlTlne, le qoali hanno cagioni cosi alte
che la nostra mente non pnd aTTidnarsi a
comprenderle eco. — 113. cke si alti eoe i
rapori sono la cagione della pioggia; perd gli
aia vapori della piova di grazie divine sono
le profonde cagioni, per le quali Dio è largo
della sua grazia agli nomini. — 114. che no-
stre ecc. che le intelligenze nmane non s'av-
vicinano nò pnre a tanta altezza. — 116. f me-
sti fÉ tal eoo. Dante nella sna vita giova-
nile fu tale che virluaim&nU, per le disposi-
zioni natniali.e per le grazie divine, ogni mi-
gliore tendenza avrebbe fatto in Ini mirabile
prova, tale insomma ohe egli per natorali at-
titudini sarebbe rinsoito a qualunque più me-
ravigliosa opera. — vita aaova t tutti i mi-
gliori interpreti, dal Lana al Tomm., inten-
dono questa vita nuova per V età giovenile
0 Tadoleeoenza di Dante, ciod secondo la teo-
ria del Oonv. iv 34 sino all'anno ventesimo
quinto, ossia per il poeta sino al 1290. Dei
resto anche su questo verso si è riflessa la
questione agitata intomo al significato del ti-
tolo della Viia Nuova, volendo alcuni che pur
in bocca di Beatrice vita nuova voglia dire
vita di nomo rigenerato dall'amore: della
quale questione si ofr. la notizia promeeaa
alla F. i^. I 4. — 118. Ma tante ecc. MaU
terreno incolto e sparso di cattivi nmi d fa
tanto più cattivo e sdvatico, quanto maggiore
d il suo vigore naturale; doè l'animo del-
l' uomo, nd quale manchi il germe della virtù
e sia gittate quello dd vizio, diventa tanto
più cattivo e alieno dd bene, quanto mag^
glori e migliori erano le dispoeidoni natnralL
— lai. Aleui (empe eoo. Nd tempo in coi
egli mi amò, doò dd nostro primo incontro
(1274) sino alla mia morte (1390), lo lo ao-
stonni col mio vdto, e moetnndomi di quando
in quando a lui lo guidava per la via della
virtù, n comoiento a queste parole è nd luo-
ghi della Vita Nuova^ ove Dante mostra quali
fossero 1 benefici effètti mondi dell'amore di
Beatrice: ood F. ^T. xi 1 : e Dico che quaii-
d'ella apparfa da alcuna parte, per la spe-
ranza de la mirabile sdute neun nemioo mi
rimanea, and mi giugnea una fl*mm^ ^ ^^^
ritade, la quale mi fàoea perdonare a chiun-
que m'avesse olfeeo » ; zzi 8 : < Negli oochi
porta la mia donna Amore Per ohe d ta gen-
til dò oh' ella mira ; . . Fugge dinand a Id
supeibia ed ira . . Ogni dolcezza e ogni pen-
derò umile Nasoe nel oore a chi parlar la
sente » ; zzvi 1 : « Questa gentilissima donna
venne in tanta grazia de le genti, che quando
passava per via le persone oonreano per ve-
dere lei ; onde mirabile letizia me ne ginngaa.
B quando ella fosse presso d' donno, tanta
onestade ginngea nd cuore di quello che non
ardia di levare li oochi nò di rispondere al
suo sduto... Io dico ch'ella d mostrava si
gentile e d piena di tutti li piaceri, ohe quelli
ohe la miravano comprendeano in loro una
dolcezza onesta e soave tanto che ridire noUo
sapeano > eoo. — 124. Si toste eoo. Appena
PURGATORIO - CANTO XXX
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188
di mia seconda etade e mutai vita,
questi si tolse a me, e diessi altrui.
Quando di carne a spirto era salita
e bellezza e virtù cresciuta m'era,
fu' io a lui men cara e men gradita;
e Tolse i passi suoi per via non vera,
imagini di ben seguendo false,
che nulla promission rendono intera.
Nò impetrare spirazion mi valse,
con le quali ed in sogno ed altrimenti
lo riyocai; si poco a lui ne calse.
Tanto giù cadde che tutti argomenti
alla salute sua eran già corti,
fuor che mostrargli le perdute gentL
ftd glanta pnmo allA Moonda età della Tita,
aloè rkiao ai reatloinqiie anni (ofr. Ootw. ir
ai), • paMai dalla Tita terrena alla oeleeta,
Duàta et tolae a me e d die ad altra donna.
Nella f. N^ zzxt-zxxyu, Dante raooonta
eone, dopo arar pianto la morte di Beatrloo
aeeatfnta nel giugno dal 1290, gli appaiiase
wtM émma g$nUI$, per la qnale si aentf inU-
tanattte inoUnato e in brere d laedd yinoere
dan'amoie per lei. A qneeta donna, cho le-
ooodo alooni eaie1>be la Gemma Donati che
Dante apoed apponto in qnéDi anni, aooenna
qtil Beatrice, per dd che rigoarda il senso
lettenle deUe eoe parole : allegoricamente poi,
tiooome Dente medeaimo a' ingegnò di dimo-
strare nel Cbne. n 18, làdormagmMeò sim-
bolo della fllosofla, agli stadi della qoale egli
d Tolae con maggiore intendtà dopo la morte
A Beatrice. — 127. Qaaade di earae eoe.
Anoiqaando dalla Tita terrena io ftii salita
aQa oeleete, dalla Tita trandtoria dolla carne
a qaeUa etema dello spirito, e m' era cro-
sdvta la beUena e la Tirtd, egli mi ebbe
meno cara e meno gradita, e qoad mi dimen-
tiod. (faceto rimproTerod riferisce anch' esso
dl'epteodio éòìit^ doima gentiU, ma è espresso
in maniora più temperata che non il prece-
dente; forse per attenuare Timpresdone che
qneete riprendoni doroTano (ìsre soli* animo
di Dante. — 180. e Tolse eoo. e s'incamminò
per nna Tia non Tara, seguendo quelle tal-
lad parrenm di bene, ohe non mantengono
mai intersmente alcuna promessa; dod Dante
d disriò dietro d piaceri terreni, che sono
imagini fldae dd Toro bene (ofr. ISirg. xvi
91 e segg.). n poeta appropria qui a sé d-
eani concetti di Boedo, Obnt. pML m, pr. 8 :
« HUdl igttur dnUam eet, quin hae ad bea-
titadlnem Tiae deria quaedam lint, neo per-
duoecequemquam eo Taleant, ad qnod se per-
daetaraaessepromittnnt»,em,pr.9: cHaec
igitar Td imaginea Tari boni Td impeifKta
quaedam bona dare mortalibus Tidentur; Tenun
autem atque perfeotum bonum oonférro non
possunt ». — 188. Ild Impetrare eoo. N6 gioTÒ
ch'io gì' impetrasd da Dio sante insplradoni,
con le quali e apparendogli in Tidone (ofr.
V, N, xxnz) e in dtra maniera cerod di ri-
chiamarlo sulla buona Tia. — 185. if pece
eoe tanto pooo importò a Dante dd mld ri-
chiami. Veramente nel cit luogo della V,N.
dice che, essendogli apparsa in Tidone « que-
sta gloriosa Beatrice >, egli corninolo a pen-
sare di lei e il suo cuore e d comindò dolo-
rosamente a pentire de lo dedderio, a cui d
yilmente s' aToa lasciato prendere dquanti die
contra la ooetanda de la ragione»; nelle quali
parole è da Todere l'eiretto ultimo di Tarie
apparizioni di Beatrice rappresentato da Dante
come oonseguenza di una yidone sola : e cosi
d toglie l'apparente contradizione tra la T.
i^. e il poema. — 186. Tante gld eoe Fra
i traTiamenti, d quali accenna Beatrice, ol-
tre l'amore che dopo la morte di Id Dante
portò ad altre donne, sono certo da compren-
dere anche tutte le piccolo colpe di una vita
leggiera e Tana, i piaceri sensuali, 1 centra-
sti con amici e parenti, tutti quei trascorsi
insomma, dei quali un' eco è pervenuta a noi
nella tenzone con Forese Donati (cCr. Purg,
xxin 48) e per i quali fiere cose scriyera a
Dante l'amico suo G. Cardcanti (son. zx) :
« r TOgno '1 giorno a te 'nflnite ToUe E tro-
vati pensar troppo vilmente : AUor mi dol
della gentil tua mente £ d' assd tue virtù
che ti son tdte. Soleranti spiaoer persone
molte, Tuttor foggiTi la noiosa gente... Or
non m'ardisco, per la tU tua Tita, Far mo-
stramento che tu' dir mi piaccia... Se *1 pre-
sente sonetto spesso leggi. Lo spirito noioso
che ti caoda Si partirà da l'anima iuTilita».
— 187. eortl: spropordonati, insuiBdentL
— 188. fner che ecc.: afBnchó Dante con-
siderasse 1 tristi effetti dd peooaio e avendone
522 DIVINA COMMEDIA
n
Per questo yisitai l'oBcio dei morti,
ed a colui che l'ha qua su condotto
141 li preghi miei, piangendo, foron porti.
Alto fato di Dio sarebbe rotto,
se Lete si passasse, e tal vivanda
fosse gustata sensa alcuno scotto
145 di pentimento che lagrime spanda ».
onore si dlsponeBae a penitenza. — 188. Per ftiano, ooef diohiaiato da Tommaso d'Aquino,
4«esto eoo. Peràd discesi nell'inferno, en- Annmo, p. I, qo. ozn art. 4: e Fstom est
trando nel primo oerchio, e piangendo pregai ordinatio secondanun cansanim ad efléctns
Virgilio di aoconere in soo ainto (ofr. JiA n diTinitns prorisos ; . . refertor ad Tolimtaftea
62 e segg.). — 141. plaageado t cfir. bìf. n et potsstatem Del, skmt ad prìmui piinci-
116. — 142. Alto fiate eoo. L'ordine mera- piom » : ofr. anche Boedo, Qm».fML iy, pr.
Tiglioso volato dalla pronridenxa divina sa- 6, e Agostino, Dt do, dei, y, 8-9. — 144.
rebbe distratto, se si potessero obliare i peo- seasa aleaBO eoo. senza alcun pagamento di
oati, se r nomo potesse assorgere alla beati- penitenza, senza pagare il flo col pianto del
todine, senza il pianto della penitenza. Il pontlmento.
faio ò osato qoi nel senso teologico cri-
CANTO XXXI
Beatrice, continaando a rimproverare a Dante i suoi filili, lo induce a
confessarli egli stesso e a compiere gli atti necessari alla pnriilcasione : poi
Matelda lo immerge nel ilame Leto e lo gnida in mezzo alle virtù cardinali,
che lo traggono più vicino al carro : allora Beatrice, a preghiera delle virtù
teologiche, si svela del tatto al suo fedele [18 apiìle, dalle nove antfan.
circa alle dieci].
€ 0 tu, che sei di là dal fiume sacro >,
volgendo suo parlare a me per punta
3 che pur per taglio m'era parato acro,
ricominciò; seguendo senza cunta:
«Di*, di', se questo è vero; a tanta accusa
6 tua confession conviene esser congiunta >.
Era la mia virtù, tanto confusa
che la voce si mosse e pria si spense,
9 che dagli organi suoi fosse dischiusa.
Poco sofferse, poi disse : < Che penso ?
XXXI 1. O tu, eco. Dopo avere, disoor- eodtamento alla confessione. — seasa eaatas
rendo agli angeli, esposto qoali fossero stati senza indugio ; Pietro di Dante: e sine dabia
i traviamenti di Dante, Beatrioe si relge a sospensione ». — 6. DT dC eoo. ittspondi, rì-
loi stesso otdedendogli che oonfermi Tao- spondi, se è vero dò ohe io ho detto (Air|7.xzz
cosa con la soa propria confessione. — 2. 108-188) : alla mia severa accasa bisogna che
volgeado eoo. volgendo a me direttamente il s'accompagni la toa esplicita confessione.— 7.
discorso, ohe m' era sembrato pungente anche Era la mia eoo. Danto era rimasto tanto oon-
pw taglio, cioè qoando Beatrice parlava agli foso per i ximprovori di Beatrioe ohe la voce
angeli: si rioordi ohe già in Pwg, xzz 67 soa si mosse per rispondere, ma si spense
Beatrioe ha chiamato attra tpada^ il dolore prima d' osoirgli dalla bocca. — 9. dagli ar-
che Danto avrebbe provato per il rimprovero gaal laoi : dalla gola e dalla bocca, che sono
dei soci fisllL —4. segaeado eoo. segoitando, gli oigani della voce. — 10. Peee •òffteraa
dopo le parole vocative (v. 1), oon altre di eoe Beatrice aspettò un momento, poi insi-
PURGATORIO - CANTO XXXI
523
Rispondi a me; che le memorie triste
12 ia te non sono- ancor dall'acqua offense ».
Confosione e paura insieme miste
mi pinsero un tal « si » fuor della bocca,
15 al quale intender far mestier le viste.
Come balestro frange, quando scocca
da troppa tesa, la sua corda e Parco,
18 e con men fòga l'asta il segno tocca;
si scoppia' io sott'esso grave carco,
fuori sgorgando lagrime e sospiri,
21 e la voce allentò per lo suo varco.
Ond' ella a me : < Per entro i miei disiri,
che ti menavano ad amar lo bene
24 di là dal qual non ò a che s'aspiri,
quai fossi attraversati o qua! catene
trovasti, per che del passare innanzi
27 dovessiti cosi spogliar la spene?
E quali agevolezze o quali avanzi
nella fronte degli altri si mostrare.
stendo chieae a Dante ohQ cosa pensane in-
Teoe di zupondare, oom' era tao debito. —
U. !• Menarle eoo. le rioordanze delle male
opere, dei peccati, non sono ancora state can-
celiai» daU'ao^na di Leto. — 12. offéue:
ofr. Inf, ▼ 109. — 13. Confailoae eoo. La
eonfoaione cegionatami dalla vergogna e il ti-
■loce della pena meritata coi miei i!&lli mi
caoeianmo fOoridolla bocca nn ti debole e ilo-
OD, tanto die a sentizlo fu necessario l' aiuto
deg^ ooehL Beatrice insomma potò capire la
parola proferita da Dante, non per il snono
che gliene giungesse distinto, ma dallo sgnar-
do col quale egli aooompagnd la sna afferma-
none. lAqnesto stato di perturbazione morale
e n^ pianto e nei sospiri che seguitano d da
ravrisaxe il priko atto della penitenza di Dan-
te, la oonirU¥> eordts (ofr. fWy. ix 94). — 16.
Cerne balestre ecc. Come nn balestro, quando
scocca di per s4 a cagione della tensione eo-
ceesiTa, rompe la corda e l'arco, e per tal
guisa la freoda t« a colpire il bersaglio oon
minore impeto. — 17, tesa : tensione. — 19.
■f seopyla' le eoe cosi io, sotto l'eocessiTo
peso della oonAuione e della paura, proruppi
affannosamente in pianto e sospiri, e per tal
guisa la mia Tooe oUattfd ptr lo tuo varco.
Tenne meno atrarecso la bocca, mi mori sulle
labbra; la Tira pittura dantesca, alla quale
eccreeoe efficacia la similitudine del balestro,
ricorda i Tersi di VlrgiUo {En. n 160), di
Evandro < laerimansque gemensque. Et via
tìx tandem Todlaxata dolore est». — 22. Oa-
4'ella eco. Beatrice, Todendo la confusione
del suo fedele, non gli fe per ora nuovi rim-
proTori, come dicono alcuni commentatori;
si inveoe con opportune domande drea le
cause dei suoi traviamenti cerca d' indurlo
alla confessione. — Per eatre eco. €n mezzo
ai desiderf miti, cioè da me suscitati nel-
Tanimo tuo, i quali ti guidaTano ad amare
il sommo bene, quali impedimenti o ostacoli
trovasti ohe avessero ferza di toglierti ogni
fiducia? — 23. le bene di là eco. il bene
sommo, Dio, oltre il quale non è maggior
bene cui 1' uomo possa aspirare; ofr. Boezio,
Cona, phiL iq, pr. 10 : « Deum rerum om-
nium prìncipem bonum esse communishuma-
norum oonceptio probat animorum : nam, oum
nihil Deo melius exoogitari queat, id quo
méliuB nihil est bonum esse quls dubitet ? »
25. fossi eoe fossi aperti trasversalmente alla
via; catene poste a chiudere la via: sono
impedimenti di due maniere, dod negativi e
positivi, quelli creati dalla debolezza di animo,
questi posti innanzi dal mondo; tra i primi,
p. es., il raffreddarsi dell'amore di Dante per
Beatrico (cfr. Purg, xxz 129); tra gU altri,
le cattive amicizie, i piaceri sensuali ecc. —
attraversati t aUraotrtato è dò eh' ò posto
a traverso (cfr. Jnf, zzm 118), e parlandosi
di fosso vorrà dire : aperto in senso trasver-
sale alla via percorsa da alcuno. — 26. per
ehe eco. per i quali impedimenti tu dovesd
cosi subitamente perdere la flduda di conti-
nuare per il cammino della virtù. — 28. B
qaall agevelezze ecc. £ quali allettamenti
o vantaggi vedesti nelia fìwUt degli aUrij nel-
l'aspetto degli altri beni, dd beni mondani;
per i quali allettamenti o vantaggi tu dovessi
524
DIVINA COHUBDU
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per che dovessi lor passeggiare anzi ? »
Dopo la tratta d'un sospiro amaro,
a pena ebbi la voce clie rispose,
e le labbra a fatica la formare.
Piangendo dissi : « Le presenti cose
col flEtlso lor piacer yolser miei passi,
tosto cbe il vostro viso si nascose ».
Ed ella : < Se tacessi, o se negassi
ciò che confessi, non fora men nota
la colpa tua; da tal giudice sassi.
Ma quando scoppia dalla propria gota
l'accusa del peccato, in nostra corte
rivolge sé centra il taglio la rota.
Tuttavia, perché mo vergogna porte
del tuo errore, e perché altra volta
udendo le sirene sie più forte.
lor passeggiar» anxif — 90. pMieggimre Mil
eoo. Questa loonzione, che è Terunente pooo
perspicna, pud ayeie direni significati; le-
oondo il Bati, rale farsi inooiUro, e oosl Bea-
trloo rimpioTererebbe a Dante d'arer oercato
di sua deliberata volontà i piaceri terreni :
aeoondo il Dan., eogofto dai più d^ moderni,
Tale quanto vagheggitWf tolta l'idea dagl'in-
namorati « i quali hanno in costume di pas-
seggiare dinanzi la casa delle amate loro »,
e cosi il rimprovero sarebbe più temperato :
secondo Benv. vorrebbe dire ssguirsy ma que-
sto non pud essere il senso della locuzione
passeggiare anxi^ si più tosto quello generale
che risulta dal complesso di questi versi, ove
Beatrice ripete dò che ha detto in Purg. txx
190 e segg., che Dante volse i passi fbor
della verace via, « imagini di ben seguendo
false ». — 81. Dopo la tratta ecc. Dopo aver
mandato ftiori un doloroso sospiro, raccolsi a
stento la voce a rispondere e a fatica le lab-
bra la formarono : viva rappresentazione del
perturbamento dell'animo che impediva a
Dante di parlare. — 88. e le labbra eoo. :
ctt. le parole del Booc, riferite in Jnf. vn
126. — 9i. Piangendo ecc. Confermando l'ac-
cusa di Beatrice, Dante compie il secondo atto
della penitenza, la eonfessù) oris, — I^e pre-
senti eoe I beni terreni con il loro falso pia-
cere mi volsero fuori della retta vìa, poco
dopo che voi foste morta. Beatrice mori nel
1290 e l'apparizione ^éÙA dorma gentile tu. nel
1292 (cfr. F. N, xzxv); e in questi due anni
Dante pianse sempre la morte di Beatrice e
fti fedele alla memoria di lei : perciò le pa-
role tosto ehs ecc. s' hanno a intenderò con
discrezione, nel senso che non passò lungo
tempo dalla disparlzione di Beatrice ohe Dante
« si tolse a lei e dieesi altrui >. Il dolore per
la morte della sua donna avrebbe dovuto do-
rare lungamente, e invece si calmò in due
anni: in un tempo dunque rebUvainaite
troppo breve; e ciò basta a giuatifloare il
e tosto che il vostro viso si nascose ». — 87.
Ed ella eoo. Beatrice riprende a oensasar
Dante ikcendogli vedere tutto il male dai soci
falli, non più per farlo vergognare o oonfe^
Bare, si per trarlo al sodisfiMdmento dòl pec-
cato, mediante il terzo atto della penitenza,
la satisfaeHo operi», — 89. da tal eoo. perché
la tua colpa è conosciuta da Dio, eh' è lai
giudice che non ha bisogno della oonfiBesione
per conoscere il male operato dall'uomo. —
40. Ma f aaade ecc. Ha quando i'aocoaa del
peccato viene dalla propria bocca dal pecca-
tore per mezzo della confessione, nella corte
celeste la giustizia divina mitiga la sua seve-
rità. — seoppiat prorompe, per nn intimo
impulso. — 42. rivolge eoe D senso è chiaro,
ma la ragione deU'imagine no, e già gh. an-
tichi commentatori si contentarono di spiegare
superficialmente questo verso: a chiarirla
valga l'osservazione già fktta da altri, cbe la
metafora è tolta dalla mote o ^etca dell'ai^
rotino, la quale volgendosi contro il tag^
della spada lo smussa e g^ toglie la capacità
di ferire : cosi la divina giustizia, ponendosi
essa stessa contro il proprio xlgora, lo atte-
nua in grada della oonfaasione. » 48. Tet-
tovla ecc. Pure, affinché oca tn ti vergogni
dei tuoi peccati e un'altra volta sii più fòrte
contro i piaceri mondani, smetti di fangose
e ascoltamL — 46. adeade le sirene : il oanto
delle sirene simboleggia l'allettamento dei
piaceri mondani (cfr. iWy. zix 19); dunque
esser più forte udendo questo oanto tuoI dire
PURGATORIO - CANTO XXXI
525
pon giù il seme del piangere, ed ascolta;
si udirai come in contraria parte
48 mover doyeati mia carne sepolta.
Mai non t'appreeentò natura o arte
piacer, quanto le belle membra in ch'io
51 rinchiusa fui, e sono in terra sparte;
e se il sommo piacer si ti falUo
per la mia morte, qual cosa mortale
&4 dovea poi trarre te nel suo disio?
Ben ti doveri, per lo primo strale
delle cose fallaci, levar suso
57 di retro a me che non era più tale.
Non ti dovean g^var le penne in giuso,
ad aspettar più colpi, o pargoletta
60 o altra vanità con si breve uso.
iwlstora agli aUettamentt dei ùlA beni, deUe
« preeenti cose». — 46. 11 teme del plaageres
Toppressioiie della oonAuioiie e della pania,
ehe arerà tratto Dante al pianto (ofr. tt.
18-21). Infatti Beatrice mole oon qnoete pa-
iole richiamar 1* attenzione di Dante, tatto
eonfoeo e sparentato, a dd ch'ella gli dirà
onu Qoanto all' eepreesione, il Ifoore, I 68
nota il riflcontro col Sabn. czxn 6 : « Quelli
ehe aeminano oon lagrime mieteranno con
canti ». — 49. Mal aen eoo. La natora o
l'arte non ti moetrarono mai nelle loro crea>
rioni una bellezza ooai grande come quella
del corpo, ore io M rinchinaa nella prima
rita. — 50. piaceri la bellezza corporea, la
beOa persona : in tal aenao Dante nsò qnesta
rooe anche in Inf, ▼ 104 e F. X iz 46. ~
f «aste le belle eoo. Della bellezza corporea
di Beatrice eono pochi e délioati accenni nelle
poesie di Dante, ma tatti ce la presentano
eome aorrnmana o straordinaria; basti ricor-
dar» i reni della F. ^. nz 68 : « Color di
pelle ha qnaai In forma, qaale Coarene a
donna acrer, non ftir misnia; Ella è quanto
di ben pnò bi natora; Per esempio di lei
bietta si prora. Degli occhi suoi, come ch'ella
li mora, Escono spirti d'amore inflammati...
Voi lo rodete Amor pinto nel riso ». — 61. e
sene la terra sparto i e qaeeto membra sono
ora sepolto in terra ; cosi intende il Butl, ma
Benr. e alooni moderni spiegando : sono ri-
dotte in terra, sono direnate cenere, trorano
in qneet» parole nn ricordo dell'ammonimento
biblico (Om. ni 19) : « Per dò che ta sei pol-
rere, te ritornerai altresi in polrere ». — 62.
e le il sommo piacer ecc. e se questa di-
ritta bellezza ti renne a mancare per la mia
morte, quale altra cosa mortale poterà pa-
rerti tanto bella da suscitare in te il desiderio
di pceaederla? — 66. Bea ti doreri eoe. GU
antiohl danno di questi rersi spiegazioni poco
sodisHacenti e par quasi che non li abbiano
intesi ; solamente l' OtL scrire : « Qaeeto testo
è chiaro; dice Beatrice : Poiché la mia carne
e le belle membra ohe tanto piacere ti rap-
presentarono erano fìallite (il quale fi il primo
tirale deUt eo8$ foMaoi che pid ti punse), tu
non doreri attendere, né operare si che un
altro te ne fosse saettato. E dice che né quella
giorane la quale olii nelle sue rime chiamò
Pargoletta, né quella Lisetta, né quell'altra
montanina, né quella né quell'altra li dore-
rano grarare le penne delle ale in giù, tanto
eh' olii fosse ferito da uno simile o quasi si-
.mile strale ». La chiosa dell'Ott, lasciando
stare dò eh' ei dice delle donne amate da
Dante, contiene in sé la spiegazione rera di
queste parole di Beatrice, la quale in sostanza
dice a Dante: Già che tu t'ori innamorato
di me quando ero donna terrena (e queef in-
namoramento fa per te il prvmo atraU deità
0080 faUacf), ben doreri assorgere, dopo la
mia morte, all'amore ài me ehe non era più
tate, cioè ohe essendo salita al dolo non ero
più cosa fallace, ma dirina. I moderai inter-
preti parafrasano, ma non ispiegano questo
passo. — 68. Hen ti dereaa ecc. Non do-
rori permettere che ti tenessoro stretto al-
l'amore dei boni terreni, « delle cose fallad »,
quasi in aspettazione dì altri colpi, giorini
donne o altro ranità di brere durata. — 69.
pargoletta : glorinetta. È chiaro che qui Bea-
trice parla in genere di donne, dietro l'amore
delle qoali Dante trarlo dopo la morte di lei ;
inrece alcuni interpreti trorano in questa pa-
rola un accenno a determinate porsene : Ott.
e An. fior, (ctt, Purg. n 76) a una donna di
nome Pargoletta, che sarebbe poi quella della
ballata e Io mi son pargoletta bella e nuora »
{Ckmx, p. 166); Benr. inrece aGentucca (cAr.
Pu>rg, xxir 87), e scrire : « pargoletta : ista
fuit iurencula rirgo de dritate Lucana, cuius
526
DIVINA COMMEDIA
Nuovo angelletto due o tre aspetta;
ma dinanzi dagli ooolii dei pennuti
63 rete si spiega indamo o si saetta >.
QuaU i fitneiulliy vergognando muti,
oon gli occhi a terra, stannosi ascoltando,
66 e sé riconoscendo, e ripentuti,
tal mi stav' io ; ed ella disse: « Quando
per udir sei dolente, alza la barba, .
69 e prenderai più doglia riguardando >.
Con men di resistenza si dibarba
robusto Cerro, o vero al nostral vento,
72 o vero a quel della terra di larba,
ch'io non levai al suo comando il mento;
e quando per la barba il viso chiese,
75 ben conobbi il velen dell'argomento.
E come la mia faccia si distese,
posarsi quelle prime creature
78 da loro aspersion l'occhio comprese;
e le mie luci, ancor poco sicure,
vider Beatrice volta in su la fiera,
81 eh' è sola una perdona in due nature.
^
amore eaptns esc «Uqnando post mortam 6e»>
trids ». — 61. Hmoto eoo. Opportona a chia-
xize il eenio dei lìmproreri di Beatrice Tiene
questa limilitadine : l'angeUino imphime, ine-
■perto, non sa eritare per due o tre Tolte le
insidie del cacciatore; ma qnando è pennato
inTaao il cacciatore dispiega innanzi a Ini le
sue reti 0 scocca gli strali. Cod se poterà ee-
sere sensato oon V ine^eriensa il primo inna-
moramento di Dante, non potarano essere sen-
sati gli altri soci amori, ohe soraero quando
egli aTera già esperimentata la flUlada dei
beni tarreoL — 63. dlmanxl eoe È tradosione
del biblico (Broo. i 17) : « InTano si tende la
rete dinanzi agli occhi d'ogni nocelletto [toI-
gata : tuUe oeulo§ prnmatonm] » : ofir. If ocre,
I 66. — 64. Tsrgogaando t cfr. Cotw. it 19 :
« Ottimo segno di nobiltà ò neUi pargoli e im-
perfetti d'etade, qnando dopo il fallo nel tìso
loro Tergogna si dipinge ». — 66. wi rle*-
neseendo eoo. riconoscendosi oolpevoli dei
falli sd essi rimproTerati, e mostrandosi pen-
titi. — 67. Qvab'* P^ "dir «00. Poiché so-
lamente a udire i mioi rimproTori prori tanto
dolore da star od tìso basso come un fiui-
cìollo Tergognoso, alza U Tolto non più di
fandollo, e rignardandomi proTerai un ddore
più grande. — 70. Con aei eco. Ai rimpro-
Terì di Beatrice Dante aTOTa tenuto gli oc-
chi a terra; inTitato da lai a krar sa la fac-
cia, egli compie quest'atto a malincuore, £»-
cendo a so stesso una grande Tidenza. Von-
tori 129 : « Paxagona la tetica di quest'atto
alla resistenza di robusto oezre ad eaeere sbar-
bicato : e la similitudine racchiude l' idea mo-
rale delle profonde xadid che già amm. gettato
il rimorso nel cuore di lui ». — 71. mttnX
Tento: Tento di tramontana o Borea, dia
spira di Terso le regioni settantrionalL — 72.
quel della terra eoe Tento australe, ohe spira
di Terso l'Africa, detta la tarrm di Inba, che
tu. figlio di OioTo Ammonio e re di Ldbia (ofh
Vixgilio, JEH. IT 196). — 74. e faaada eoe.
e allorohé Beatrice Tolendo che io alzassi il
tìso disse che alsasd la barba, ben conobbi
U fstei deU'arffommUo, il pungente e aottila
concetto ch'ella aTOTa ssprosso con quelle
parole, quad Tolesae dirmi : tu non sei più
un fanciullo imberbe, che possa essere aou-
sato dd sud fidli; sei un uomo maturo, cui
non può essere scusa degli errori l'ina^a-
rienza. — 76. B eame eco. E quando la mia
faccia si Iotò in alto, i mid occhi Tldero che
gli angeli aTOTano smesso (a loro aopmrmomt^
il getto dd fiori che prima spaigoTano intomo
a Beatrice : cfr. IVy. zzz 28-30. ~ 77. ^rime
ereature: gli angeli; cf^. Jnf, to 96, iWy.
ZI 8. — 79. • le mie luel ecc. e i miei oo-
ohi, ancora timidi per la Tergogna, Tidaro
Beatrice Tolta dall'alto Terso il mistioo ani-
male, il grifone. — 81. sola una eco. una
sda figura nelle due nature di leone e di
aquila (ofir. Purg, xzix 108), che siwbolog
giano la duplice natua, amaaa e diTlna, di
PURGATORIO - CANTO XXXI
527
Sotto suo Telo ed oltre la risiera
▼ìncer pareami più sé stessa antica,
84 die yinoer l'altre qui quand'olia c'era.
Di pentòr si mi punse ivi l'ortica
die, di tutt' altre cose, qnal mi torse
87 più nel suo amor, più mi si &' nimica.
Tanta riconoscenza il cor mi morse
ch'io caddi yinto, e quale allora fammi,
90 salsi colei che la cagion mi pone.
Poi, quando il cor di fuor virtù rendemmi,
la donna, ch'io avea trovata sola,
93 sopra me vidi, e dicea: « Tiemmi, tiemmi >.
Tratto m*avea nel fiume infino a gola,
e^ tirandosi me retro, sen giva
Cristo. — 83. 8«tU no ?•!• «oc. Beatrice,
■ebbene ricoperta dal Telo e lontana da me
per eeMT di là dal fiume, mi parerà obe di
leOetii fapenaee tanto al etetM ontfoo, doè
a6 stoan qnale en atata al mondo, quanto
■d parerà eapecaie le aKie donne della tana,
quuìdo een Ttrera. La lententa è
■a il coatfullo è nn poco involnto per la
Horte etUeri del r. 84, obe ai dere compiere
eoaf : dka non mi pazea einoar f ottre eco.; e
jSA poi roacoxaronoi copisti e gli editori leg-
gendo oon nna Uere traapoairione : Vinctr,
afte PaUn qmi eoo. ; o ancbe altrimenti, oon
pi6 forti altemloni del teeto. La lezione adot-
tate qni è data da Benr. e dal Bati, dna dei
pt6 antoreroli commentatori. — 84. ehe Tla-
eer eco. DI Beatrice Tivente eorivera Dante,
Fi. N. zm 62 : e Vede perfettamente ogne
aafatte Chi la mia donna tra le donne vede;
Quelle, obe vanno oon lei, aon tenute Di
baD» grazia a dio render merzede. B^sna bel-
tada è di tante rertate Gbe nilla inridia a
l'altre ne procede, Ànsi le fue andar teco
Testate Di gentHeani • d'amore e di fede ».
^ 85. m pentbr ecc. In tale litaarione U
pentimento mi pnnae tanto, fui Jneomma cosi
pentito dei miei ftJli, cbe pid m'inorebbero
le ooae cbe pld m' arerano tratto a 16, di^
sriandomi da Beatrice. Bene l' Ott: « Dice
l'antoce cbe qnaado il ano tìso porae in quello
di Beatrice, cbe allora al riderò cblari ed
aperti U tool peccati, aggrarati di tutte
drocstaaae di condirione, di peraona, di
luogo e di tempo, cbe elli fti di tanta peni-
teaaaperoeaM • punto, cbe quanto daacuna
eoaa teaiponle o mondana infine allora phi
l'areTa torto nel ano amore, cotanto li renne
in maggiore odio ; per6 cbe cotanto per quella
canti maggiora affliziona, per ciò obe al ftOlo
fb data eone^ondente pena: onde per non
eame mai più cobÌ punto, dice aó odiarle da-
Bonna aeoondo il grado cb'ei^ l'amd». —
l'ertleat lo stimolo, il pungolo della peni-
tenza; traslato beDo ed efficace, suggerito
dall'idea del pungere. — 88. Tanta rieene-
aeensa eco. Dante, riconoecendo sé colperole
dei fidli rimproraratlgli da Beatrice • san-
ità pentito di essi, tu preao
da ooaf Tiro dolore obe cadde a terra priro
diaentimento : durante questo tramortimento
Matelda lo taadnò nel fiume di Lete, in
meizo al quale eg^ ritornò in aò. — 89. e
f naie ecc. e in quale stato io mi riducessi
allora, bea lo aa Beatrice cbe a dò diede ca-
gione col suoi giusti rimproreri. — 01. fuaaie
eco. Tutti i cooimentatrai spiegano : quando
il onore mi reee di Itiori la rirtd, doè, come
dichiara il Buti, quando « la rirtd ritale e
sensitlTa, eh' era corsa od sangue al cuora,
.tornò di fuori a le membra» : solo il Tomm.,
costruendo : quando etrtf di fitor rmdMiwd U
eoT, spiega : quando rirtd Tenuta da Beatrice
mi rendo il cuore, mi fece riarare ; ma giu-
stamente queeta sua intecpietazione fti giu-
dicata troppo ingegnooa e aottile. — 92. la
densa ecc. Matelda, cbe a Dante era apparaa
cadetta» nd suo primo entrare nd paradiso
terrestre (cf^. Puitg, zxnn 87-42). — SS. se*
pra WM eco. Dante ritornando In sé d trorò
nd mezzo dd fiume, trattori da Matdda cbe
ae n' andara a fior d'acqua (e perdo gli stara
sopra) e gli dicera di attenerd a lei, per non
esser trardto dalla corrente. — 94. Tratte
m' area eoo. Matdda arerà già apiegato a
Dante qud fosse la natura dd due fiumi del
Paradiso terreetre e gli arerà detto cbe Lete
e tog^ dtrul la memoria dd peccato » (Aifp.
zxnn 128) : è manifèsto adunque cbe l' Im-
merdone preaente ft per toglierò a Dante ogni
rioordana delle colpe, ohe egli ba confessate
e delle quali d è mostrato pentito ; e dò ò
confermato anche dalle pardo del salmo che
628
DIVINA GOMMEDU
96 sopr'esso l'acqua, lieve come spola.
Quando fui presso alla beata rivai
€ Asperges mey wi dolcemente udissi
99 ch'io no '1 so rimembrari non ch'io lo scriva.
La bella donna nelle braccia aprissi,
abbracdommi la testa, e mi sommerse
102 ove convenne ch'io l'acqua inghiottissi
Indi mi tolse, e bagnato m'offerse
dentro alla danza delle quattro bellCi
106 e ciascuna del braccio mi coperse.
€ Noi Siam qui ninfe, e nel del siamo stelle;
pria che Beatrice discendesse al mondo,
108 fummo ordinate a lei per sue ancelle.
Menrenti agli occhi suoi; ma nel giocondo
lume ch'ò dentro aguzseranno i tuoi
111 le tre di là, che miran più profondo >•
1* intona durante il passaggio di Dante per
il fiume Lete. — 96. lleTe e^me ifoU: Ven-
tali 606 : e Ben tolta la ilmilitadine da lil^
ftttto litremento, il qoale si gitta con gnn
leggerena, perohó non si rompano le fila nel
tessera della tela >. — 9S. Asperges mt eoo.
Mentre ICatelda fs passare Dante dalla sini-
stra alla destra riva di Lete, gli angeli can-
tano le parole del Salmo u 8 : < Purgami
con Isopo, e sarò notte; larami, e sarò più
bianco ohe nere » (mlgata, l 9 : ABp&rgm wé
hystopot d fmmdabor; laeàbii «m, §t tuptr
fiivtm àtaibabor), a significare che il pecca-
tore si monda delle soe colpe compiendo l'o-
pera della penitenta. — 99. eh' lo ne 1 eco.
il canto angelico era di tanta doloexza da non
poter essere non pure deociittO) ma nò anche
rimembrato ; donqne direrso da quello di Ca-
sella (ofr. FStrg. n 118) che per qoanto dold»-
simo era por sempre umano, mentre il canto
angelico era di dolcecsa diTina. — 100. La hel-
la eoe Matelda aprendo le braoda dnge con
esse il oKgo di Dante e glielo immerge nelle
acque di Letft sino al ponto che egli ò costretto
a inghiottirne: l' immersione ft il laracro pu^
rifioatore, V inghiottire l'acqua è simbolo del
compirti della puiifloaslone ; poiché V effetto
di Letft non si fa sentire se non a ehi gusta
il sapore delle sue acque (cfr. Awy. zxnn
131-182). — 108. Udì mi tolse eco. Matelda
togliendo Dante dalle acque del fiome lo col-
loca in messo alle quattro donne danzanti,
simbolo delle quattro virtù cardinali (cfr. Pmy,
xzix 180), ciascnns delle quali lo ricopre d'un
braccio, a significare che l'uomo puro è di-
feso da esse quattro virtù contro gli assalti
dei Tizi contrari. — 106. Hot slam eoe Le
quattro virtù cardinali, che nel paradiso ter-
rsstrs hanno figura di belle donna dannati
ar guisa di ninfe alla sinistra del mistioooano,
hanno nel cielo la figura di stelle: qiaOe
stelle ohe Dante vide rlsplendere eotrando
nel purgatorio • illuminare la Ihoda di Ca-
tone (cfr. I\irg, I 22, 87). Scart: « Seooodo
questo passo la virtù cantiaali aooo neUo
stesso tempo in tmna e in cielo, ma non ve-
stono in ambedue luoghi la medésima fionaa:
in terra sono wStifh, genii di salutevole oon^
sigilo; in cielo sMk, esaeii illuminanti la coi
luce non è né per loro medesime nò per fl
cielo dove dimorano, ma per questa terra. D
concetto di questo verso ne sembra pertanto
essere, che le virtù cardinali splendono in
cielo quel luce che illumina il mondo e aono
nello stesso tempo in terra le consJgHalrioi
degli nomini ». — 107. ^la ehe Beatrice
ecc. prima che Beatrice, « cosa venuta dal
cielo in terra a miraool mostrare » (FI N.
zxvi 84), fosse discesa al mondo, noi fomme
deputate a servirla come ancelle : in cfó, ol-
tre il concetto che Beatrice fosse signora delle
virtù (cfr. Jbif. n 76, F. J^. X 10), è indose
anche quello che le virtù oaidinali flueno or-
dinate nel mondo a preparare il trionfò deDa
religione, deUa quale sono fondamento le
virtù teologalL — 109. Menrtntt eoo. Notti
guideremo innansi agli occhi di Beatrice; ma
a penetrare col tuo sguardo nel giocondo lume
eh' ft dentro a quelli occhi ti guideranno il
Irt A tt^ le tre donne alla destra del carro
(cfr. w. 127-188). — 111. le tre eoo. le tra
donne simbolo delle virtù teologali, « per le
quali tre virtù (cosi Dante, CbMt. m U) si
sale a fllosofkre a quella celeste Atene, dove
gli stoici e peripatetici ed epicurei, per l'arte
et^na, la m volare conoorSe-
PUEGATORIO - CANTO XXXI
529
Cosi cantando cominciaro; e poi
al petto del grìfon seco menarmi,
114 ove Beatrice volta stava a noi.
Disser : « Fa ohe le viste non risparmi ;
posto t'avem dinanzi agli smeraldi)
117 ond' Amor già ti trasse le sue armi >.
Mille disiri più che fiamma caldi
strinsermi gli ocelli agli ocelli rilucenti,
120 che pur sopra il grifone stavan saldi.
Come in lo specchio il sol, non altrimenti
la doppia fiera dentro vi raggiava,
123 or con uni, or con altri reggimenti
Pensa, lettor, 8*io mi maravigliava
quando vedea la cosa in sé star queta,
126 e nell'idolo suo si trasmutava.
Mentre che, piena di stupore e lieta,
P anima mia gustava di quel cibo,
129 che, saziando di sé, di sé asseta;
sé dimostrando di più alto tribo
negli atti, P altre tre si firo avanti,
182 danzando al loro angelico caribo.
Tolmente ooncorrono ». — 112. Cosi eMituido
•oe. Coflf \» qnattro donne diaaero a Dante
m Tooe di canto; • poi lo trassero vicino al
grifone, ore Beateice stara rolta reno di InL
— 116. Fa eke le riste eoo. Non risparmiare
ormai gli sgnardi, poiché t'abbiamo tratto di-
nanzi agli occhi sfarinanti, dai qnali già Amore
•ooooò i dardi ohe ti colpirono. ~- 116. gae-
raMl : coti chiama gli occhi di Beatrice, non
già per il colore, ma perché rilnoerano come
lo Bmexaldo, per dire dnnqne «occhi riln-
ceati » (r. 119). — 117. end* A«er ecc. cfir.
DwKte stesso nel Oanx, p. 119 : < Dagli oc-
chi della mia donna si mnore Un lume si
gentil, ohe dorè appare Si redon cose, ch'nom
non pud ritrare Per loro altezza e per loro
esser noore » ; e nella F. ?/!. xxi 8 : < Ne li
occhi porta la mia donna Amore ». <-* 118.
Mille distri eco. lOlle desideri ardentissimi
raccolsero la forza dei miei occhi a fissani in
q«dli sCsriUantl di Beatdce, ohe li tenera
formi sopra il grifone. — 121. Cene In lo
speeeklo eco. Come nello specchio 1 raggi so-
lari appariscono in rarie e molteplici morenze
di Ince e di colore, cosi negU occhi di Bea-
trioe la ilgnra del grifone apparirà ora con
atti propri alla sna nato» di aquila, ora con
atti di leone. Il germe della similitadine è in
Gridio, ohe dice degli occhi di Salmace (Mei,
ir 847): < flagiant qnoqne lumina nymphae,
Non aUter qnam com poro nitidissimQs orbe
Opposita specoli refsritorimagine Fhoebns ».
Dahts
— 128. or eoa ani ecc. or con atti d*nna
natura, ora con atti d' un'altra: perché Cristo,
r uomo-dio, nelle sue operazioni ora dimostrò
natura umana, ora natura dirina. — 124.
Pensa eoo. Verso che per la forma ricorda
quel dell* Jnf, nn 94. ~ 126. qaaade redca
ecc. rodendo il grifone star fermo e immobile
nella sua reale figura e inreoe trasmutarsi e
muorersi in direrse guise netl'itMo iuo^ nel-
rimagine sua quale apparirà negli occhi di
Beatrice. — 128. di qael cibo ecc. della con«
templazione degli occhi di Beatrice, che men-
tre mi sodisfàcora susdtara in me più riro
desiderio di sé; cfir. neW Ebotesùuticua., zxir
29, le parole della sapienza : « Qui edunt me
adhnc esurient: et qui bibunt me adhuc si*
tient ». — 180. ni dimostrando ecc. le altre
tre donne, simboli delle rirtd teologali, si fe-
cero aranti con atti che dimostrarano come
esse fossero di pid nobile condizione che le
qnattro donne, simboli delle rirtd cardinali.
— di pid alto tribo t il nome tribOf foggiato
sul lat. tribut (otr. Parodi, BulL HI 119), ha
qui il eignifllcato di ordine, grado. — 182.
danzando ecc. regolando la loro danza se-
condo il canto degù angelL La difficoltà di
questo rexBO consiste nel determinare il ra-
lore del nome earibOy òhe pur dorerà esser
noto agli antichi commentatori Lana, Ott.,
Pietro di Dante, Cass., An. fior., ohe non
s'indugiarono a spiegarlo; Benr. i^ega tutto
il rerso, cosi : < danxando ecc. Idest ad gra-
81
630
DIVINA COMMEDIA
« Volgi, Beatrice, volgi gli ocelli santi,
era la lor canzone, al tuo fedele
135 che, per vederti, ha mossi passi tanti.
Per grazia fa noi grazia che disvele
a Ini la bocca tua, si che discema
138 la seconda bellezza che tu cele >.
0 isplendor di viva luce eternai
chi pallido si fece sotto l'ombra
141 si di Parnaso, o bevve in sua cisterna,
che non paresse aver la mente ingombra,
tentando a render te qual tu paresti
là dove armonizzando il eie! V adombra,
-1
n
i.
tnlstioiieiii et oantionem aogelioam ipsamm
Tel ad cantam angelorom, ita qnod oonfor-
mabant motam saom vod snae vel voci an-
gelomin, slcat solent faoere trìpndiantea «t
cantantea simal » ; Inrece il Bati, segniito poi
dal Land., Veli, e Dan., spiegò caribo oga^
r^, per garbo^ modo : gli accademici della
eroica nella loro edizione del poema (Firenze,
1596, p. 829) dettero al nome canJbo il senso
di hiUo, • precisamente di bdUo tondo o rigo-
letto, e la loro interpretazione tu. accettata dal
Vent. e dal Lomb., ma oombattata vigorosa-
mente da V. Monti, I^roposta, ecc. yol. I, p.
II, pp. 142 e segg., il quale ritornò alla spie-
gùione del BatL Finalmente M. A. Parenti
(nell'ediz. della Div. Ckrnm,, FadoTa, tip.
Hinerya, 1822, voL II, pp. 787 e segg.), ri-
chiamando a questo Inogo 1 versi del Purg,
xzix 128-129, zmi 88, e la chiosa di Benv.,
spiegò caribo come hcMata o canzone che si
oanta ballando, e la sua intezpretazione trovò
molto favore tra i commentatori venati di
poi; nò se ne allontanò sostanzialmente L.
Biadene, Varietà Idter,, Padova, 1896 ( cfr.
BulL V 80), che, fondandosi sopra una defi-
nizione data da Francesco da Barberino, spie-
gò caribo per « aria di ballo accompagnata
col canto », quindi « canto ohe si faceva dan-
zando coli' accompagnamento della musica»:
certamente ò la più vicina al vero, poichó
anche in una poesia di Giacomo Pugliese,
rìmatoro pi4 antico di Dante, la voce caribo
è usata nel senso di canto che serve a re-
golare una danza (D'Ano. I 888 ; cfr. V 351) :
sull'etimologia di questa voce cfr. Gt. I. Asco-
li, Areh, gloUoL XTV 846-51.— 188. Volgi ecc.
Le tre virtù teologiche pregano Beatrice a
volger gli occhi santi al suo fedele, che per ve-
deria aveva compiuto U difficile viaggio per
V inferno e 11 purgatorio, e a togliersi il velo
dalla bocca, affinché egli possa vedere la sua
teoonda beUexxfO,'' 184. canzone : parole dette
cantando ; perché cosi parlavano tutte queste
figure divine del paradiso terrestre (cfr. Purg.
zxix 1, 85, xxz 11, 82, xzxi 112). — 136.
Per grazia ecc. per grazia verso Dante tk a
noi la grazia ecc. cfr. Inf, zm 25. — 138.
la f eeoBda bellezza eoo. Dante nel Cbnr. m
8, spiegando i versi d*una sua canzone:
< 0)80 appariscon nello suo aspetto. Che mo-
stran do' piacer del Paradiso, Dico negli v:ic-
chl e nel suo dolce riso », scrive : « però che
nella faccia massimamente in due luoghi ado-
pera l'anima,... cioè negli occhi e nella bocca,
quelli massimamente adoma > ; vale a dire le
due bellezze della faccia sono gli oodd e la
bocca. Le quattro virtù cardinali guidano
Dante dinanzi agli occhi di Beatrice, alla prima
bellezza di lei (cfr. w. 109, 116); le in virtù
teologiche pregano la santa donna a moetraz^
gli la seconda bellezza, ancora nascosta dal
velo, cioè a mostraxis^ ^ « suo dolce riso ».
— 139. 0 isplender eco. Beatrice, alla pre-
ghiera delle tre virtù, si dimostra tatta sor-
ridente al suo fedele; e Dante non descrive
nò pure U solenne momento, perché nessuna
parola umana potrebbe degnamente descri-
verlo, ma prorompe in un'esclamazione che
è essa stessa la più mirabile delle deeerfadoni.
— 140. ehi pallido ecc. qual poeta mai, per
quanto studio egli avesse posto nell'arto della
parola e per quanto viva fosse la sua imagi-
nazione, potrebbe tentare la rappresentazione
del divino sorrìso di Beatrice? -~ 14S. qmmà
tu pareiU eco. quale tu mi apparisti, o mia
donna, allorohé togliendoti il velo mi soni-
dosti nel paradiso terrestre. — 144. là dove
eoe Varie interpretarioni sono state date di
questo verso abbastanza oscuro: la più co-
mune opinione degli interpetri, dal Bnti al
Tomm., è che qui, come gii in ISirg, xxx 98,
sia accennata la dottrina platonica dell' ar-
monia prodotta dai dell nel loro movimen-
to, e che il verso significhi : là nel paradiso
terrestre , ove le sfere risonando oon la loro
armonia ti circondavano. Ila 1* Ant. , gìn-
stamente osservando ohe In questo caso il
poeta avrebbe detto adombrova, propone on'al-
PURGATORIO - CANTO XXXI G31
145 quando nell'aere aperto ti solTesti?
tra spiegadone : eg& dà al rb. adombrtart U la tena dell'innooonza, ronde appena con la
■enso di xappreientare, rendere imagine, e eoa belleBa m' imaglne della tua bellezza
intAde: là ore il cielo, armonizsaado oon dMna.
CANTO XXXII
Bichiamato dalle virtA teologiche, Dante volge la sna attensione alla
processione, la qnale si maoye Terso oriente sino ad nn albero che rifiorisce
al eontatto del carro trionfale : Dante s'addormenta; e svegliato da Matelda
assiste alle simboliche vicende del carro, nelle qnali sono rappresentate le
vicende della Chiesa [18 aprile, dalle dieci antim. circa alle ondici].
Tanto eran gli ocelli miei fissi ed attenti
a disbramarei la decenne sete
8 die gli altri sensi m'eran tutti spenti;
ed essi quinci e quindi avean parete
di non caler, cosi lo santo riso
C a sé traeali con l'antica rete;
quando per forza mi fu yolto il viso
vdr la sinistra mia da quelle dèe,
0 perch* io udia da loro un € Troppo fiso >.
£ la disposizion, ch'a veder èe
negli occhi pur testé dal sol percossi,
12 senza la vista alquanto esser mi fèe;
ma poi che al poco il viso riformossi
(io dico al poco, per rispetto al molto
XXXII 1. Taato eco. Dante contempla per farsa eoo. Dante era innanzi al carro
limgamente Beatiiee, flnohó le tre donne, ohe trionfliae contemplando Beatrice, quando lo
■lBilM»b^ei1iino le Tirt6 tedoglohe, lo riòhia- richiamarono allo spettacolo deUa processione
nanoa rigoardare la processione. • 2. la de- le parole delle donne diTine che starano alla
«•■■e setes il desiderio di Tederò Beatrioe, destra del csrro, e consegnentemente per rol-
che Dante areva cimai da dieoi anni, essendo gersi ad esse e^ dorette Tòttarsi yerso la
eOa morta nel 1290 e la presente visione soa sinistra parte : ne segoe che le <i0f sono
areodo hiogo nel 1900: efr. ISirg, xxx 126. le tre donne rafflgoranti le virtd teologali
— 8. gli altri scasi eco. gli altri mìei sensi (cfr. Purg, xzdc 121). — 9. Troppo fise: con
erano sopiti, perché tatta la forza dell'anima troppa attenzione, oon < troppo di vigore »
mia era raccolta in qnello del vedere : cfr. (AÌfy. zvn 96) tn guardi alla toa donna. —
IStrff. IT 1 e segg- — 4. ed essi ecc. ed essi 10. B la dlsposlzlea ecc. E quella tUtpoti-
oodii da ogni parte trovavano ostacolo, rioe- x4ow a veder che ò negli occhi percossi pur
verano impedimento dalla noncuranza, dod ora dai rsggt solari, cioè TimpossibUitàdi ve-
non curavano nulla, tanto li traeva a sé oon dere per l'abbagliamento prodotto dalla so-
la forza dell*antioo amore il etaUo riso di Bea- verchia luce, mi fece rimanere alquanto tompo
trìce, la aee(mda béUtnxa di lei {Pwy. xxxi senza la vista. Danto vuol dire che rivolgendo
1.38) pur ora svelata. Nota il Buti che « quo- gli occhi da Doatrioe alle altre cose si trovò
sta panU era la coetanzia dell'animo ohe lo nolla condizione di chi rivolge gli occhi dal
fÌMsea star fermo in quello a che s'era dato, sole a corpi mono luminosi : tanto vivo era
ai die non si curava de le cose prospere del lo splendore della sua donna. — èe: cfr. Inf,
mondo significato per la parto destra, né deUe xxiv 90. — 13. pel che al poco eoo. poiché
eoee avverse significato per la parto sinistra»: la mia vista si Ai abituata alla minore luce
di non eoier usato sostantivamento per non- della processione. — 14. dice al poco ecc.
mttamxa ò esempio in un sonetto di Danto dico alla poca luce, rispetto a quella grandis-
{Owm, 9lar, delia leti, U, U 342). — 7. quando sima del volto di Beatrice, dal oontemplare
632
DIVINA COMMEDIA
15 sensibile, onde a forza mi rimossi),
vidi in sul braccio destro esser rivolto
lo glorioso esercito, e tornarsi
18 col sole e con le sette fiamme al volto.
Come sotto gli scudi per salvarsi
volgesi schiera, e sé gira col segno
21 prima che possa tutta in sé mutarsi;
quella milizia del celeste regno,
che precedeva, tutta trapassonne
24 pria che piegasse il carro il primo legno.
Indi alle rote si tornar le donne,
e il grifon mosse il benedetto carco;
27 si che però nulla penna croUonne.
La bella donna che mi trasse al varco
e Stazio ed io seguìtavam la rota,
30 che fé' l'orbita sua con minore arco.
Si passeggiando l'alta selva, vOta
colpa di quella ch'ai serpente creso,
83 temprava i passi un'angelica nota.
Forse in tre voli tanto spazio prese
U qtuJe mi rimossi a fona (ofr. r. 7). — 16.
ieulbilex Bati : e ■plendor» che per gli oo-
chi ò atto ad essere sentito ». — 16. fidi U
■«1 braeele eco. vidi il glorioso eeeicito,
dod la procenione già descritta (iVy. xzix
64-160X Toltusi a mane destza e xttrooedere
camminando Terso oriente con i sette cande-
labri in testa. La processione morendo in-
contro a Dante avera camminato yerso ocd^
dente : ora toma indietro eoi toU al voUo dod
camminando verso orienti; al quale proposito
scrive Ant.: < Se pongasi mente ai fatti nar-
rati in questa giornata, dal salire della scala
dn qni, ne indorremo die In questo punto
dovevano ivi eesere droa le ore died della
mattina. Nel voltard dunque la maestosa pro-
cessione in sul braodo destro, fìw)eva un se-
miceichio da ponente a levante per tramon-
tana, e qnindi i personaggi che la compone-
vano erano feriti al volto dai xaggt solari,
sebbone un poco in disparte svila sinistra
quando Q cambiamento di direrione tu. com-
piuto, e ripresero la via sulla destra dd rio,
a ritroso della corrente ». — 19. Ceae eoe
Come una schiera, protetta dagli scadi con-
tro le offese del nemid, d vdta e prima d'aver
cambiato la direzione gira sé stessa con la
bandiera in testa. Venturi 854 : « Nella simi-
lìtadine dantesca l'imagine di schiera mili-
tare consuona a quella che il poeta chiama
milixia dsl cdUsU regno \ ed è ginstissima nd
suoi particoIarL Una schiera lunga deve fue
più risvolte innanri ohe tutta sia mutata di
direzione: prima infatti d muove la fronte
od Mj^tio, la bandiera; poi a grado a grado
il corpo, e da ultimo la retrognardia. Ood
qui, prima 1 candelabri che precedono, poi la
schiera de' santi, • ultimo Q carro ». — 22.
qaella mlllsla eoo. i ventiquattro seniori,
che andavano tnnanil al oaao (Avy. -r^nx
83), passarono dtre prima ohe il oazro inoo-
mfnHsBse a voltarsi, piegando a destra a ti-
mone. — 25. alle rete eoo. le donne si riac-
costarono alle mote; pdché le quattro di si-
nistra avevano lasdato il lor luogo per guidare
Dante a veder gli occhi di Beatrice ( A»y.
zzxi 109), e le tre di destra s'erano fatte un
po' avanti dansando per pregarla a disvelard
{Puirg, xrn 180-188). - 26. 11 grirdB eoo.
il grifone trasse nella nuova direrione il carro,
su cni stava Beatrice, senta far oadero pur
una delle proprie penne di aquila (c£r. Pmg,
zzxx 109 e segg.). — 28. La Isella deaaa
eoo. Matdda, che aveva f&tto varcare a Dante
il finme di Lete, Stario e Dante seguitano il
carro, tenendod diotio la ruota destra, quella
ohe nd volgerd del carro a destra aveva de-
scritto un arco minore. • 31. vdta colpa ecc.
U quale fa deserta di abitatori, per colpa di
Eva ohe prestò lìicile asodto alle lusinghiere
paiole dd serpente tentatore (ofr. Pvarg. ttit
23 e segg.). — 82. erese: credette; forma ar-
cdca, rimasta viva In quddie dialetto (cfr.
Nannuod, FarN 544 e Parodi, Bictt. m 132).
— 83. tenpraTa eoo. un canto angelioo re-
golava il passo di coloro che formavano la
procesdone. — Bota: canto, parola oaata-
te: ofr. Inf. zvi 127. — 34. Forse te tn
PUEGATORIO — CANTO XXXH
533
disfrenata saetta, quanto eràmo
86 rimossi quando Beatrice scese.
Io sentii mormorare a tutti : < Adamo > ;
poi cerchiaro una pianta, dispogliata
89 di fiorì e d'altra fronda in ciascun ramo:
la coma sua, che tanto si dilata
più quanto più ò su, fora dagrindi
42 nei boschi lor per altezza ammirata.
€ Beato sei| grifon, che non discindi
col bécco d'esto legno dolce al gusto,
45 poscia ohe mal si torce il ventre quindi >.
Cosi d'intorno all'arbore robusto
gridaron gli altri; e l'animai binato:
eoo. AverKino i^penA peroozso tanto spulo
qaanto una Creooia «ooocata pud peroonere
in tre volte, dod eraramo i^pena a tre tizi
d'arco dal ponto di partenza, allorché Bea-
trice dieoeae dal oano trionftJe. — 87. Io
MBtfl eoo. Al disoendere di Beatrice dal carro
tutta Ift oomitiTa mormora il nome d' Adamo,
lamentando ooei il peccato del primo nomo e
ÙK)endone limproTero. Bianchi: < È qni nn
tacito conlhmto tra il peccato d'Adamo, che
poeto nel Paradiso terrestre tocca la pianta
dirietatada Dio, sommo imperatore, e il papa,
die posto in Boma e raccomandato al trono
imperiale si sottrae all' abbidienza dell'impe-
ratore, la coi autorità rien da Dio, e mette
mano sa la secolaie ginrisdizione di lui, con-
tro l'espresso comando di Czisto ». — 88. poi
cereliUro ecc. La pianta senza fiori né fo-
glie, aooeroliiata dalla mistica processione, ò
letteralmente l'albero della sdenza dd bene
e del male che Dio oollood nel paradiso ter-
restre (ofr. Puirg, zznr 116). Il signifloato sim-
bolico di questa pianta è Tane, secondo 1 dl-
Terd interpreti : mdti per altro degli antichi
e dei moderni s' accordano nd riconoscerri il
eimbolo dell'obbedienza: dal Lomb. in poi
prorale invece on'altm interpretazione, se-
condo la qnale quest'dbero sarebbe l'ima-
gine dd romano impero o di Boma in quanto
4 sede di esso. La conTonienza tra la forma
dell'albero e il simbolo ò cosi didiiarata dd
Bati : « Secondo l'allegoria dà ad intendere
che quell'arbore, che significava l'obedienza
de la quale d parti l' omo, lù spogliata prima
dd 800 fratto, ch'era la beatitodine, e de le
follie proprie, dod dell'opere virtoose che ve-
gnono dall' omilità e da l'obedienzia ; ... im-
però che per qodla disobedlenda l'omo fa
privato de la grada di Dio, d che non po-
tette md Care c^era per la qode d rioond-
liaase con Dio, infine che non venne Cristo
die con la soa d)edienzia d rioonoilid oon
Dio, et aUosm d zivestitte la pianta, come
apparxà di sotto > : efr. w. 68-60. DeUe qoe-
stioni relative a questo dmbolo ha trattato
oompiotamente D. Benzeni, Pagim «porss di
tL doni., Monza, 1901, pp. 78-100. — 4a la
coma eco. il giro dd soci rami, i qoali tanto
più d allargano qoanto più d elevano, era
tanto dto che sarebbe parso mirabile per
tozza anche nei boschi dell'India ove sono
altissime piante. Boti : e Per qoesto dà ad
intendere ohe la sdenzia è infinita ; che quanto
l' omo più va in so in essa tanto più d stende,
e più d trova ad ampUard e dilatard ne la
soa amplitudine; ma ne la sua lung^iezza s'i-
nalza infine a Etto : più su non pud montare,
perch'olii è prindplo e fine, ma dilatare d
pud in infinito, cercando la creatura nd suo
essere, che è come uno mare ohe non à fon-
do » ; e aggiunge, riguardo d vdore simbo-
Uoo, ohe «l'obedienzia cresce tanto in dto che
adiunge infine a Dio, e dilatad in infinite virtù
quanto più va in su, tanto che la latitudine
sua non d comprende». — 41. daglMndi
eoe. : Virgilio, Ooorg, n 122 : « gerit India lu-
cos Extremi sinus orbis, ubi aera vincere
summum Arboris haud ullae iactu potuere sa-
gittae »; dir. Mooro, I 186. ~ 48. Beato sei
ecc. I componenti la prooesslone, come ave-
vano rimproverato Adamo che gnstò il fratto
dell' dbero, cod lodano il grifone ossia Gesù
Cristo che col bécco non distacca il frutto di
quest'dbero proibito: lodano insomma l' ob-
bedienza costante di Gesù (ofr. Paolo, Ep, ai
FUippen u 8, Ep. ai Romani v 19, Èp, agli
Ebrei v 8), in antited alla disobbedienza del
primo uomo. — 45. posda ecc. poiché ohi
ne ha gustato d dibatte in fieri dolori, torce
il ventre contro sua voglia da questo albero,
per questo dbo. Cod intendono rettamente i
commentatori modemi ; gli antichi invece spie-
gano: chi assapora dd fratto di qoest'dbero
volge l'appetito soe d male. - 46. arWr e roba-
■te: rimembranza biblioa, die Daniele, iv 17,
chiama cod l'albero vedato in sogno da Na-
bucoodonosor. — 47. l'aaimal binate i il gri-
fone, animale di duplice natura (cfr. iWy.
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DIVINA COMMEDIA
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< Si 8Ì conserra il seme d*ogiii giusto >.
E vòlto al temo ch'egli avea tirato,
trasselo al pie della vedova frasca
e quel di lei a lei lasciò legato.
Come le nostre piante, quando casca
giù la gran luce mischiata con quella
che raggia retro alla celeste lasca,
turgide fansi, e poi si rinnovella
di suo color ciascuna, pria che il sole
giunga li suoi corsier sott' altra stella;
men che di rose e più che di viole
colore aprendo, s'innovò la pianta,
che prima avea le ràmora si sole.
Io non lo intesi, e qui non si canta
l'inno ohe quella gente ali or cantaro,
né la nota soffersi tutta quanta.
XXXI 81). L' Ott, segofto d* pareoehi mo-
derni, intende binato per nato dm votU, doè
e una ante toècula, l'altn ^nando prese cerne
umana di Nostra Donna >. — 48. 8< si eea-
•erra eco. Cosi, cioè seitando l'obbedienza
dorata a IMo, si mantiene il principio d'ogni
Tirtà. Bnti: e Come la snporbia è madre e
radice di tutti U Tizi e peccati; cosi l'umi-
lità è radice e seme d'ogni atto virtnoso, e
r nmilitìi non si pad consenrare se non con
l'obedienza ». — 49. B Tòlte eoe H grifone
trae e lega fl timone del carro alla pianta,
la qoale sabitamente rifiorisce. » 60. tras-
selo ecc. trasselo ai piedi dell' albero tatto
spogliato di fiori e di fronde (r. 88). Bati:
« Come lo dimenio separò l'omo da l'obedien-
na di Dio, finendoli mangiare del pomo di
quella pianta vietatoli; cosi Cristo tirò l'omo
a l'obedieniia di Dio, ponendo l' umanità sua
a morire per la verità ». — 61. e «sei di lei
ecc. Letteralmente si danno tre spiegazioni
di questo Terso ; una di Benv., il quale in-
tende: il grifone legò a M, alla pianta il ti*
mone, di M, con un ramo della pianta stessa
(« cum ramo arboris alligaTit oorrum arbori >);
un'altra del Buti, ohe spiega: il grifone legò
alla pianta il timone di lei doè fittto con le-
gno della pianta stessa, con che sarebbe ac-
cennata l'origine leggendaria del legno della
croce, fatta appunto con legno dell'albero
della sdenza (cfr. A. Mussafia, SuOa leggenda
del legno delia oroee^ atudio^ T^enna, 1870); e
finalmente una terza, dd commentatori mo-
derni, Lomb., Biag., Costa, Blandii, Frat
ecc., secondo 1 quali s* ha da spiegare : il
grifone legò alla pianta il timone, ohe era di
leiy era cosa appartenente alla piaAta stessa.
La prima interpretadone è la piti semplice,
e bene s'accorda col senso allegorico, por cui
Dante volle dire ohe OesA Cristo legò la CbicBa
all'obbedienza con l'obbedienza stessa, doè
con l'esempio d'obbedienza dato da bÓL —
laielè legato : il grifone, legato il «ano al-
l'alboro, sali al delo, seguito dall' sasroau irto-
riooo (cfr. V. 89). — 62. Cene le aMtreeoo.
Come le pLsate deDa terra ndla prtmvnoL,
allorché il ade è ndla coeteUadoae ddl'Aiiete
ohe tien dietro a quella dd Pesci, d rigon-
fiano per gli umori assorbiti e poi oiaacona
d riveste dd propri colori, verdeggia • fio-
risce, prima che £1 sole inoomind il suo viag-
gio diurno sotto la ooeteDadone del Toro
che tien dietro a qudla ddl' Alieta «oo. —
64. celeste laseas costdladone dd Fani;
cfr. Pmg. IX 6, ove è detta flreddo tmiemah.
— 66. targide flaad: cfir. Virgilio, Bue. vn
48: «lam laetotuigent in palmite gemma» >,
e Oeorg, i 816 : e Frumenta in viridi stipula
lactentia turgent >. — 67. glvaffa eoe. con-
giunga, attacchi i cavalli che traggono il ano
carro ecc.: anche qui o'è una rimembcanza
virgiliana, JH^i668: cNectamaversns equoa
Tyìda sol iungit ab urbe ». ~ 68. stti cii«
di rese eco. la pianta, die dapprima eca ooaf
dispogliata di fiori e di toglie, d zinnovelld
mettendo Aiori dd fiori di un odora tra il
roseo e fi videtto; ilori, dunque, d' un colore
misto, come il fiore virgiliano delle €hory,
IV 274 : e Àureus ipso, sed in follia, qoae plu-
rima droum Funduntur, violae sublooet pur^
pura nigrae». n colore dd fiori mead dalla
pianta è, secondo il Buti seguito dalla mag^
gior parte degli interpreti, quello del sangue
sparso da Qesd per rioonolliare l' uomo a Dio,
— 60. ramerà: rami; fonaa di neolzo plu-
rale, frequente negli aatidii (efr. Namraod,
Nomi 868-862). -> (1. la mas la lateal eoe
Al rifiorire della i^anta tutta la gente della
PURGATORIO - CANTO XXXTL
635
S'io potessi ritrar come assoxmaro
gli oochi spietati adendo di Siringa,
66 gli occhi a coi più yegghiar costò si caro;
come pittor che con esemplo pinga,
disegnaci com*io m'addormentai:
69 ma qnal vuol sia che l'assonnar ben finga.
Però trascorro a quando mi svegliai,
e dico ch'nn splendor mi squarciò il yelo
72 del sonno, ed xm chiamar: < Snrgi, che fai? »
Quale a veder dei fioretti del melo,
che del suo pomo gli angeli & ghiotti
75 e perpetue nozze fa nel cielo,
Pietro e Giovanni e Iacopo condotti,
e vinti ritornare alla parola,
78 dalla qual furon maggior sonni rotti,
e videro scemata loro scuola,
cosi di Moisé come d'Elia,
81 ed al maestro suo cangiata stola;
tal toma' io, e vidi quella pia
processione intooa un inno, ohe Dante non
intende perché non ò ano éì quelli ohe il
cantano tza noi : • prima anooza ohe il canto
dell* inno da compiato eg^ il addormenta. ~
64. 8* la peteial eoo. Se lo potessi ritrarre
come al canto di Meroorio, die racoontarale
arfentore di Siringa, si chioserò al sonno
gii occhi di Argo, il fiero costode di Io (cfr.
Ihtiy, znx 95), Iktto aoddere da Giove per-
ché la rigorosa vigilanza di lai impediva al
re degli dèi di avvicinarsi all'amata Io ecc.:
efr. Ovidio, 3iàL i 668-747. — 66. Siringa:
ninlk amata da Pane, della qoale Mercario
eantd le avventore per ingannare Argo (cfr.
Or. Mét. X 689 e segg.). — 67. come eoo. come
fa il pittore, cioè con la stossa fift^ilità del
pittore ohe dipinga copiando o tenendo in-
nanzi on modello. Oosl Giacomo da Lentini
(VaL I 257): e Gom'omo che pon mente In
altee esemplo e pinge » eoo. ^ 69. ma qaal
eco. ma altri ritragga fedelmente l'atto del-
l'addormentarsi, òhe io non saprei farlo. —
70. Però traseorro eco. Essendo di£Qcile il
descrivere come io m'addormentai, passo ol-
tre sino al momento in coi mi svegliaL — 71.
e dlee eoo. Dante è svegliato da on vivo
splendore, qoello della lominosa processione
che sale verso il cielo, e dal chiamare di Ifa-
telda, la qoale g^ grida di levarsi in piedi
per vedere il noovo spettacolo. — 73. Qaale
a veder ecc. Ventori 546 : e La slmilitodine
è tolta dal Catto dei tre Apostoli ohe forono
presenti alla trasfigorarione di Cristo. Co-
m'esd caddero a terra, e poi riavotisi alla
parola di Geed non videro pid né Mosè né
Ella, cosi Dante riscosso non trovò Beatrice.
Longa oltre H solito e delle meno limpide è
questa similitadine, della qoale belli sono i
concetti ma velati da troppi modi allegorici ».
— floreld del melo : sono i saggi della bea-
titodine che gli apostoli provarono alla vista
del corpo glorioso di Gesù nella soa trasfigo-
rarione. — 74. che del tao poso eco. ohe
della soa beatitodine fa desiderosi gli angeli
e festa perenne nel dolo. — 76. Pietro ecc.
Matteo xvn 1-8 racconta : e Gesd prese seoo
Pietro, e Giacomo, e Giovanni, soo fratello ;
e li oondosse sopra on alto monte, in disparte ;
e fa trasfigorato in lor preeensa; e la soa
faccia risplendé oome il sole, e 1 soci vesti-
menti divenner candidi oome la loco. Ed ecco,
apparver loro Mese ed Elia, ohe ragionavano
con lai... Mentre egli parlava ancora, ecco,
ona nuvola looida gli adombrò ; ed ecco ona
vooe venne dalla novola, dicendo; * Qoesto
è il mio diletto Figlinolo, in coi ho preso il
mio compiacimento; ascoltatelo'. E i disce-
poli, adito dò, caddero sopra le lor facce, e
temettero grandemente. Ma Gesd, accostatosi,
li toooò, e disse : * Levatevi, e non temiate '•
Ed essi, alzati gli occhi, non videro alcono,
se non Gesd solo ». — 77. vinti eoo. già tra-
mortiti per la loco e per l' ignota vooe, ri*
tornarono in sé allo parole di Gesù. ^ 78.
dalla qial eoo. dalla qoale parola di Cristo
forono rotti sonni maggiori, doò il sonno
della morte dal qoale Cristo risvegliò Lazzaro
(ofr. Giovanni xi 43, Loca vn 11). — 79.
seaola: compagnia: cfr. Inf» iv 94. ~ 81. ed
al maestro eoo. perché Gesù aveva ripreso
le abitoali sembianze. » 82. tal eoo. cosi io
mi svegliai olle parole di Matelda e vidi che
536
DIVINA COMMEDIA
Bopra me starai, ohe conducitrice
84 fa de* miei passi lungo il fiame pria.
E tutto in dubbio dissi : < Ov* è Beatrice ? >
ond' ella : < Vedi lei sotto la fronda
87 nuoya sedersi in su la sua radice.
Vedi la compagnia ohe la circonda;
gli altri dopo il grifon sen yanno suso,
90 con più dolce canzone e più profonda >.
E se più fu lo suo parlar diffuso
non so, però che già negli occhi m'era
93 quella eh* ad altro intender m'avea chiuso.
Sola sedeasi in su la terra vera,
come guardia lasciata li del plaustro,
96 che legar vidi alla biforme fiera.
In cerchio le facevan di sé claustre
le sette ninfe, con quei lumi in mano
elU era sopra di me, cioè levata in piedi ao-
oanto a me. — 83. «oadacltrlee eoe: si ri-
cordi che Dante, prima di passare il flome
di Leto, era andato camminando lungo una
delle sponde aooompa^andod a Hatelda che
avanzava Inngo l'altra : cfr. iVfy. xsx 7 e
segg. — 86. S tatto ecc. Dante, temendo
che Beatrice lo abbia novamente abbandonato,
chiedo subito di lei a Matelda, la quale lo
rassicura indicandogli ove sia la sua donna.
86. Tc41 lei eco. Beatrice, al zisvogliarsi di
Dante, gli appare seduta sotto le fronde del-
l'albero recentemente spuntate e sulla radice
di esso, n valore simbolico di questo stato di
Beatrice non è ben chiarito dai commenta-
tori: forse Dante volle significare che la
scienza delle cose divine ha il suo fonda-
mento e insieme U suo compimento nell'u-
miltà (radioé)^ e nell' obbedienza (pianta) e
nelle opere virtuoso (fronda) che ne derivano.
— 88. Tedi la eompagnfa ecc. Beatrice era
rimasta con la compagnia delle sette donne,
le quattro virtù cardinali e le tre teologali,
le quali tenevano in mano ciascuna uno dei
sette candelabri : w. 97-99. — 89. §11 altri
ecc. tutti gli altri componenti la processione,
cioò i ventiquattro seniori ohe precedevano
il carro e i sette che lo seguivano, se ne an-
davano su dietro al grifone, cantando una
canzone più dolce o pid profonda di quella
intonata al rinverdire della pianta (v. 61-63).
Buti : e Per questo dà ad intendere l'autore
corno elli considerò e rividde noi suo studio
la resurrezione di Cristo e Tascensione e li-
berazione dei santi Padri e dei salvati per la
passione di Cristo ». — 90. pld dolce ecc. di
musica pi& soave e di concetti pid profondi.
— 91. E se pld fa ecc. Dante fu cosi attratto
noUa coutomplazione di Beatrice che non badò
se Matelda pronunciasse altre paiole ; poiché
anche questa volta guardando la sua danna
non potè attendere ad altro : cfr. i w. 1-6.
— 94. SoU stdeasl eco. Beatzioe stava se-
duta sulla terra twm, doò alle radici dell'al-
bore e sotto le 2h>nde, oome se fosse stata
posta in quel luogo a guardia del carro che
il grifone aveva legato alla pianta. — terra
vera : grande divergenza d'opinioni ò nrà com-
mentatori riguardo a queste parole ; nxK oei^
tamente Dante ha voluto designare in tal
modo il suolo del paradiso terrestre, onde sorge
la pianta dell'ubbidienza; poro la miglior
chiosa d quella dell' Ott.: e si vedea in su la
terra vera, cioò verace e ubbidiente al suo
Fattore ». Allegoricamente, non fa altro che
ripetere dò che ha detto neiw. 86 e segg.
cioò che l' umiltà e l'obbedienza sono il fon-
damento sul quale posa la scienza delle cose
divine. — 95. pian atro: il carro trìoniSale.
lat. plaustrum, — 96. biforme Aera : è il
grifone, animai binato (v. 47), che aveva le
due forme dell'aquila e del leone. — 97. Im
cerehie ecc. Disposte In cerchio la chiude-
vano intomo le sette donne rappresentanti
le virtd cardinali e teologali, ciascuna delle
quali teneva in mano uno dei sette candela-
bri, simbolo dei doni dello Spirito Santo. —
98. ninfe : cfìr. I\trg, zz:zz 106. — eoa f ««i
lami ecc. Buti : « iuttixia tiene lo lune del
timore e scaccia con quello la superbia; pm-
denxia tiene lo lume della pi''tà e scaoda oon
quello la invidia; fortexxa tiene lo lume deUa
fortezza, e scaccia con quello l' ira ; fciiys-
ranxia tiene lo lume del consUio, e acaoda
con quello l'avarizia: fkU tiene lo lame de
la scienza, e scaccia con quello 1* accidia;
speranxa tiene lo lume della scienza e scac
eia con quello la gola; carità tiene lo Inme
PURGATORIO - CANTO XXXn
537
99 ohe 80n sicuri d'Aquilone e d'Austro.
< Qui sarai tu poco tempo silyano,
e sarai meco, senza fine, cive
102 di quella Boma, onde Oisto ò romano.
Però, in prò del mondo ohe mal vive,
al carro tieni or gli occhi, e quel ohe vedi,
105 ritornato di là, fa che tu scrive ».
Cosi Beatrice; ed io, ohe tutto ai piedi
de' suoi comandamenti era devoto,
108 la mente e gli occhi, ov' ella volle, diedi
Non scese mai con si veloce moto
foco di spessa nube, quando piove
111 da quel confine ohe più va remoto,
com'io vidi calar l'uccel di Giove
dallo Intelletto, • tMOolA oo& quello U loe-
Boria >. Qneeta conispondeiiza Imagiiuita dal
Boti ti* le Tirt6 e i doni dello Spirito Santo
è troppo sottile, • fono Dante ti limitò al
ooDoetto della ootritpondenia numerica, lenza
oeroare più profondi xapportL — 99. elie ioa
eoa che non il ettingaono mal, n6 poie al
soffio dei Tenti pi6 gagliardi (otr. IWy. xzx
2). " 100. (^ sarai eoo. Ta sarai per bieye
tempo tikano in questo luogo, oiod ayrai breve
dimora in questa setra del paradiso terrestre,
ta die ssl quasi straniero a lei, e in mia oom-
pagnia sarai eternamente cittadino del para-
diso celeste, di quella dttà della quale anche
Cristo è cittadino. Beatrice vuol dire, panni,
che la presente condizione di Dante ò tran-
aitoria, d oome il passaggio dalla terra per il
paradiso terrestre al cielo, dorè egli dovrà
un giorno entrare per sempre: le altre inter-
pretazioni, si della lettera e si dell' allegoria,
sono tutte incompiute; e Teramente il luogo
non è senza gravi difficoltà, non essendo ben
chiaro il valore deU'sgg. nlvatio, ed essendo,
per alcuni, incerto se qui voglia dire in que-
sto paradiso terrestre o in questo mondo de-
gli uomini. — 102. di quella Berna eco. della
città di Dio, della quale egli stesso è citta-
dino. — 108. Per6 ecc. Per questo, * van-
taggio dell* umanità che d oppressa dal pec-
cato (cfir. Purg, vm 131, xvi 82), guarda al
carro, considera le vicende della Chiesa; e ciò
che vedrai scrivilo a comune utilità, quando
tu sarai ritornato nel mondo. — Id. e quei
che fedi eco. L'ammonimento di Boatrice ò
conforme a quello ripetuto più volte nel-
VApoeaL i li: e Ciò che tu vedi. scrivilo in
un libro > ; 1 19 : e Scrivi adunque le cose che
tu hai vedute, e quelle che sono, e quelle che
saranno da ora innanzi» ; zxi 6 : < Sorivi per-
do che queste parole son verad e fedeli ». —
108. élM tatto eoo. ohe eia interamente di-
sposto ad eseguire ogni suo comandamento.
^ 106. la mente eoo. toU il pensiero e lo
sguardo a dò eh' dia aveva detto. — 109.
V%m teete eoo. Fobnine non discese mai tanto
velocraiente sprigionandod dalle nuvole con-
densate, quando piove dalle più lemote re-
gioni ddl' «tmosflBra. È conforme alla dottrina
di Aristotele, iùter. n 9 (cfr. Moore, 1180).
Ant: «La vdodtà dd volo dell'aquila era
più d'un Ailmine, quando cade la pioggia da
qudl' estremo confine superiore, nd quale può
questa formarsL.. La ragione pd che questa
droostanza nell'intendimento dd poeta par
debba accrescere la vdodtà dd fdmine, pò-
trebb' essere questa ohe quando piove dalle
più remote regioni pluviali, e però Tengono
ivi a formard nuvole, queste d trovano nd
massimo avvicinamento alla supposta sfora
dd ftiooo, la quale oredevad potesse influire
su quelle, nel £sr loro oonoeplre e concentrare
maggior copia di calore ; il perch6 il divam-
pare di questo in luce e fuoco, e quindi il
precipitare dd filmine fosse in tal caso e più
fragoroso e più violento, in ragione appunto
di qud più grande conoentramento per cui
doveva produrd quella che oggi diremmo
straordinaria tendone » : cfir. anche Par. xxm
40-42. — 112. eem*ie vidi ecc. Un'aquila,
discendendo dd ddo con straordinaria vdo-
dtà giù per l'dbero, ne rompe la scorza, i
fiori 0 le foglie recenti, e dando di b^ooo vio-
lentemente nd carro lo fa piegare sovra i suoi
fianchi, come nave sbattuta dalla tempesta.
Nella figura e negli atti di quest'aquila, di
cui Dante tolse l' idea da Esoohide, xvu, 8:
« Una grande aquila, con grandi ali, e lunghe
penne, piena di piuma variata, venne d Li-
bano, e ne prese la vetta di un cedro », sono
simboleggiate secondo tutti gl'interpreti le
died persecuzioni della Qiiesa cristiana per
opera degli imperatori romani, da Nerone a
Diodeziano (64-811 d. C). Si veda in san-
f Agostino, ^o»v. d«i xvin 62 l'enumorazione
538
DIVINA COMMEDIA
per l'arbor giù, rompendo della scorza,
114 non che dei fiori e delle foglie nuove;
e feri il carro di tutta sua forza,
ond* ei piegò come nave in fortuna,
117 vinta dall'onde, or da poggia or da orza.
Poscia vidi avventarsi nella cuna
del trion&l veiculo una volpe,
120 che d*ogni pasto buon parea digiuna.
Ma, riprendendo lei di laide colpe,
la donna mia la volse in tanta futa,
123 quanto sofferson l'ossa senza polpe.
Poscia, per indi ond'era pria venuta,
l'aquila vidi scender giù nell'arca
126 del carro, e lasciar lei di sé pennuta.
£ qual esce di cor che si rammarca,
tal voce usci del cielo, e cotal disse:
129 < 0 navicella mia, com'mal sei earoa! >
Poi parve a me che la terra s'aprisse
^ ooteito p«iieoaxionÌ. — VmnMà 41 Oi^Tes
l'wiaila, detto dft ViigiHo lovié «Im {Xn. x
884) e dA Duite l^wseel di Dio (Ar. ti 4).
— 118. déOft Mom eoo. Secondo il Bati U
foorxa tignifloa I» oostanu • fortomt dei
nati, e i /lorileloroorMloaieleAyltfiNioM
i loto atti virtuosi. — 116. eose mmf eoo.
come un» nare peroo«» daUa tempoeta piega
ora da una parte, oradaU*altnu Ventori 806 :
« Similitadine eletta, axiohe perché al ìmìso
proprio s'aggiunge 11 metaforico dalla nayi^
cella di Pietro simboleggiante la chiesa : con-
cetto rioemto dall'arte cristiana, ohe navi
chiamò le parti longitadinali delle basiliche >.
117. er da poggia eoe: chiamasi poggia la
corda ohe tiene legala l'antenna dalla destra
della nare, onta quella che la tiene dalla si-
nistra ; qui dunque significa : ora sur un fianco,
ora sull'altro. — UB. Peseta Tlfil eoe Al-
l'aquila tien dietro una volpe, che s'arranta
contro il fondo del carro ed è messa in ftaga
daUe parole di Beatrice. La volpe simboleg-
gia, come già nella Bibbia {Salmi una U,
LammtOKioni v 18, Exechiele zm 4), l'eresia
che venne a perturbare la Chiesa dopo le per-
secuzioni imperiali e Al sradicata dalla parola
dei dottori. — emmm i la ouUa o il fondo del
carro, ove crebbe la religione. — 120. èhe
d'egnl ecc. perohé le eresie si fondano sopra
dottrine vane, e gli eretici sono privi del cibo
si^ritnale. — 121. Ma, riprendendo eoo. Ha
Beatrice, rimproverando alla Yot^ le sue ab-
bominevoli odpe, la volse in ftaga, quanto
alla volpe oonsenti la deboloBa delle scarne
membra, fi la fede ohe mostrando gli errori
delle fttlse dottrine e confatandoli ottiene il
trionfo del dogma e distraggo le eresie. —
122. fteta: ftiga; voce popolare, della quale
non sono rari gli esempi negli antichi (cfr.
Firodi, BulL ini62). — 128.4BaKtoseff^r-
Bon ecc.; non è ben chiaro se Dante abbia
voluto dire die la volpe fuggiva rapidamente
o lentamente ; ma poiché la delKten, die
viene dall'eccessiva magrsiza, non consente
un lapido cammino, e l'eresia fti sempre scac-
ciata lentamente, perché non pud estinguersi
a un tratto, è da intendere còl Lomb. : e la
fece tanto ftiggiro, quanta essa per l'estrsma
sua magrezza potè », cioè con una veloeità
piccola. — 124. Peseta, per indi eco. L'aquila
scende di nuovo lungo il tronco dell'albero
nell'arca del carro, lasciandola poi sparsa
delle proprie ponne. Cosi è significata la do-
nazione di Ocetantino imperatore al pontefice
Silvestro I (cfr. B%f. tst 116), ohe ta come
una spoglissione dell' bnpero a vanteggio deUa
Chiesa, disapprovata da Dante perohé e cen-
tra oiBdum deputatum imperatori est sotndere
imperium > (D$ mon, m 10). — per tnfil eoe.
cfr. i. 118. — 127. B qual eco. Dal dolo ecce
una voce di dolore, come di persona ohe si
lamenti, a deplorare ohe la Chiesa accettando
la donazione costantiniana si sia addossata un
carico non conveniente al suo oflìdo tutto
spirituale. Dante si valse opportunamente, zi-
mutandolo a suo modo, di un elemento txadl-
rionale contenuto nella leggenda di Ooetan-
tino ; nella quale è detto che, dopo la dona-
zione, fu udita nel cielo una voce gridare :
« Hodie difTusum est venenum in iCtv^fÉgfa
Del » : a questo particolare leggendario ao-
cennano Lana, Pietro di Dante, Benv., An.
fior, e altri vecchi commentatori. — 180. T%1
parve ecc. Tra le due ruote del carro apreei
PUBOATORIO — CANTO XXXH
539
tr'ombo le rote, e vidi uscirne un drago,
182 ohe per lo carro sa la coda fisse:
e, come vespa che ritraggo l'ago,
a sé traendo la coda maligna
135 trasse del fondo e gissen vago vago.
Quel ohe rimase, come di gramigna
vivace terra, della piuma, offerta
138 forse con intenzion sana e benigna,
si ricoperse; e funne ricoperta
e l*una e l'altra rota e il temo, in tanto
141 che più tiene un sospir la bocca aperta.
Trasformato cosi il difido santo
mise fiior teste per le parti sue,
144 tre sopra il temo, ed una in ciascun canto.
la tana • n*e0ce an dngo, il quale oonflggo
la coda Bai carro a saoo ne trae nna parte
del fondo. L'idea di qaeito drago, animale,
ftiirtaattoo di aona a ipaTantosa Agora, è tolta
ùàìVJpoeaL zn 8: c£d aooo un gnn drar
goae HMM, ohe avaa aetta teste, e died coma ;
• in aa le soateiieT'eran sette diademi»:
Il quale per gì' interpreti moderni della Bibbia
xafflgnia T Impero romano peneontore della
C^saa oziatiana, ma secondo gl'interpreti
BMdioerali sarebbe simbolo dell' Anticristo o
di Satana. Quanto al drago della visione dan-
tesca tre principali interpretazioni tengono il
campo : quella dal Lana, accettata da Benv.,
Bati, Land, a da molti moderni, Ti ravrisa
simboleggiato Maometto {Bif, xxvu 81), come
fondatore della religione ohe tanti popoli sot-
trasse alla fede cristiana; qoella di Pietro di
Danto, accolta da molti moderni, che t1 rar-
Tisa l'Anticristo oppnre la ci^idigia dei beni
taaiporali, primo fomite alla rovina della
Chiesa ; e quella formnlata dal Lomb. e difesa
dallo Scart., per i quali il drago non ò altro
che Satana, che con le sne lusinghe produce
tanto male alla religione. — 132. per lo carro
eco. conflcoò la sua coda su per il carro. ~
138. eaaie faspa ecc. come una vespa che
ritragga il ano pungiglione, cod il drago trasse
indietro la coda traadnando seco una parte
del fondo del carro. — 185. a gissen ?ago
vaga ! se ne andò vagando da una ialsa dot-
trina a un'altra (cosi Land., YelL, Dan.), o
moetrandoel Usto e baldo per l'ottenuto trionfo
(coal Lemb., Biag., Costa, Tomm., Bianchi), o
pare non ancora sodisfatto del danno recato
alla Chiesa e avido di farle più gran male
(cod Scart). » 186. ({ael elM ecc. La parto
del ftMidt», ohe era rimasta, si copri dello
peone lasciatevi con buona intenzione dal-
l'aquila, come la terra fèrtile si ricopre di
gramigna: e r^idamente si ricoprirono di co-
» anche le due ruote del carro.
Comincia cosi la trasformazione del carro,
che via via si cambierà in un orribile mo-
stro : a in questo primo momento della me-
tamorftei è simboleggiato, coma ben vide il
Lana, che 1 cristiani, rimasti fedeli pur nelle
persecuzioni e nelle eresie, incominciarono ad
amare i beni temporali, e che la donazione
di Costantino, se anche tu fktta con intendi-
mento di aiutare e beneficare la Chiesa, pro-
dusse la sua rovina (cf^. Jnf. mx 115). ~ di
gramigna eoe : opportuno termine di para-
gone a tal intendere come nelle accresciute
ricchezze la Chiesa intristissa e cadesse nella
rovina. ^ 140. U tanto eoe in tempo cosi
breve, che più lunga è la durata di un so-
spiro. — 142. Trasformala ecc. Continua la
trasformarione del carro alno a prendere la
figura del mostro descritto da Qiovanni nel-
VApoùoL xvn 1 e segg. (riferito in Inf, xix
106) : spuntano le sette teste del mostro, tre
daUa parte anteriore del timone e quattro
dagli angoli del carro; e queste teste s' inco-
ronano di coma, le tre prime con due coma
e le altre quattro con uno solo, si che in tutto
si vedono spuntare died coma. Oli antichi
commentatori Lana, Ott, Benv. apiegarone
cotale tramutazione dicendo che le teste sono
i sette peccati capitali (superiùa, ira e invì-
dia hanno due coma perché offèndono Dio e
il prossimo ; gli altri quattro, un ade corno,
porche sono rivolti solamente contro il pros-
simo); Pietro di Dante invece intende per le
sette teste le sette virtù o 1 sette doni dello
Spirito Santo e por le died coma i died co-
mandamenti; e il Buti e il Land., modifioano
questa interpretazione sostituendo per le sette
teste i sette sacramenti (battesimo, cresima,
penitenza sul timone; gli altri quattro sul
carro). La prima interpretazione ò la minoro.
» diflela sante : il carro trionfale (ofir. Inf.
XXXIV 7). — 144. ad «na ecc. e una testa
sopra citueun canto, sopra ognuno dei quat-
B40
DIVIKA COMMEDIA
Le prime eran cornute come bue;
ma le quattro un sol corno avean per fronte:
147 simile mostro visto ancor non fae.
Sicura, quasi ròcca in alto monte,
seder sopr'esso una puttana sciolta
150 m'apparre con le ciglia intomo pronte:
e, come perdio non gli fòsse tolta,
yidi di costa a lei dritto un gigante,
153 e badayansi insieme alcuna yolta.
Ma, perché l'occhio cupido e vagante
a me rivolse, quel feroce drudo
156 la flagellò dal capo infin le piante.
Poi, di sospetto pieno e d'ira crudo,
disciolse il mostro, e traessi per la selva
tanto che sol di lei mi fece scudo
160 alla puttana ed alla nuova belva.
tro angoli del oano. — 146. «•nmte «•■!•
bie : bioornnte. — 148. Sleir* eoo. Sopra
il mostro Dante redo sedata una meretrioe
e an gigante, che si baciano; e con questa
fantasia egli Tool rappresentare, dopo le vi-
oende della Chiesa primitiYa, lo stato della
Chiesa nei suoi tempi. Tutti 1 oommeotatori
sono oonoordi nel riconoscere in questa donna
licenziosa, della quale l'idea d tolta dal oit.
luogo dell'^jxwa^ xm 1 e segg. e anche dalla
tradizione medioevale (ofr. U. Cosmo, Qiùm.
da9U,f Vm 103 e segg.), la Chiesa romana
degenerata e corrotta durante i pontificati
di BenÌ£uio Vm e di demente V. — «masi
ròeea eoo.: similitudine ohe aooenna come
la Chiesa, per quanto corrotta, riposasse so-
pra salde basi e oome la sua degenerazione
fosse manifesta a tutti ; cfir. Uatteo ▼ 14 :
< La dttà posta sopra un monte non pud es-
ser nascosta ». — 149. selelta ! dissoluta, li-
cenziosa. — 160. eem le elgUa: eoo. mo-
vendo lasolTsmente gli occhi in qua e in là;
ofr. EoelM. xzYi 12 : e Fomiottio mulleris in
extoDentia ooulorum, et in palpebris Olius
agnosoetur». — 161. e, eeme ecc. e oome
per vignarla affinché nessuno la rapisse, stava
in piedi accanto alla meretrioe un gigante.
In questo è raffigurato, secondo una parte
degli interpreti, il re di Francia Filippo il
bello (ofr. IStrg. zz 86), seoondo altri invece
i re di Frauda in genere. — 168. e baela-
vaasl eoo. e alcuna volta dimostravano di
essere animati dallo stesso sentimento; oome
veramente fu qualche volta nelle relazioni
tra il papa e il re di Francia. ~ 164. Ma,
pereh< eco. La meretrioe rivolge V occhio de-
sideroso e mobile a Dante, quasi per espri-
mere la vdontà di Uberaal dal gigante; ma
questi la flagella tutta quanta, poi sciogliendo
il mostro dall'albero la trascina kmtano per
la selva sino al punto ohe disjpaie daDa vista
di Dante. In questi assono adombrati iton-
tatìvi di Bonifazio Vm di souotoire la pre-
ponderanza della casa di Franala, le violenae
ch'egli ebbe a suUre per opera di Fililo 0
beUo, e finalmente la traslazione dèDa sede
pontificia da Boma ad Avignone nella ele-
zione di Oemente V (ofr. Inf, ziz 88, 85,
Purg, XX 87). » 156. a me: me^ di tutti,
il Lana considera Dante in questo momento
oome rapproeentante dèi popolo cristiano, cui
la Oiiesa si volge per aiuto : « Ogni fiata,
egli scrive, ohe li papi hanno guardato vene
lo popob cristiano, oioò hanno vohito rimuo-
versi e asteneni da tale adulterio, li detti gi-
ganti, doè quelli della casa di Francia hanno
flagellatoli e infine mortoli • ridotteli a suo
volere>. ^ 168. dlsdelit eoo. HgzifboA aveva
legato all'albero il carro (v. 61); poi questo,
trasformatosi in mostro (t. 186 e segg.), eia
rimasto attaccato alla pianta; doè la Cblesa
romana sebbene degenerata non s'era ancora
distolta dall' obbedienza a Dio. H gigante ora
sdoc^ il mostro e lo trasdna per la selva, na-
scondendoto agli oochi della cristianità, doò
distoglie la Chiesa dalla sua sede di Roma,
assegnatale per divino volere (ofr. Bif. n e
segg.), trasportandola in Avignone, ftioii del
luogo ove per ubbidienza a Db avrebbe do-
vuto restare. — 160. tanto «he eoo. tanto
lontano che nella selva rimasero oeenhate
la meretrice e la miooa Mio, il mostro. —
scade: in quanto è mezzo d'impedire la
vista.
PURGATORIO - CANTO XXXIH 541
CANTO XXXIII
Mentre Dante, In eompagnia di Beatrice, di Matelda e di Stazio, si al-
lontana dall* albero, Beatrice gli annunzia la prossima vennta di nn messo
dÌTÌD0 che ucciderà la meretrice e 11 gigante, lo esorta a raccontare ciò
ehe ha yednto e gli parla della mistica pianta : cosi la comitiva perriene al
fiome Bnnoè, nel quale Dante è Immerso da Matelda, uscendone puro e di-
aposto a salire al paradiso [18 aprile, dalle undici antimer. circa sino oltre
il mezzogiorno]. '
< Deus, venerunt gentes > alternando,
or tre or quattro, dolce salmodia
3 le donne incominciaro, e lagrimando;
e Beatrioe sospirosa e pia
quelle ascoltava, si fatta che poco
6 più alla croce si cambiò Maria.
Ma poi ohe l'altre vergini dier loco
a lei di dir, levata dritta in pie,
9 rispose, colorata come foco:
€ Modicum, et non videbitis me,
et iterunif sorelle mie dilette,
12 modicum, et vos videbitis me >.
Poi le si mise innanzi tutte e sette,
e dopo sé, solo accennando, mosse
15 me e la donna e il savio che ristette.
Ck>sl Ben giva, e non credo che fosse
lo decimo suo passo in terra posto,
^x XIII 1. Dna, vmtrurU eoo. Le sette di naoro, fra poco voi mi redrete». Oosf
donne, che raffignnno le Tlrt6 teologali e car- Beatrioe viene a dire : Io mi allontano da voi
dinali, inoominciano una doloe salmodia alter» per pooo tempo, non disanimatevi vedendo i
nando ì Tenetti del Salmo t.tttt (< 0 Dio, mali ohe affliggono la Chiesa, poiché sarà
le nazioni sono entrate nella toa eredità, fatta giustizia e presto la Chiesa sarà rifor-
hanno contaminato il tempio della toa Santi- mata e corrotta. Lana : « Con queste parole
tà > eoo.) e piangendo di dolore, peroh6 ve- intende l'autore che awegna che la Chiesa
dono la Chiesa dipartini dall'obbedienza, — sia in privazione d'obbedienzia al tempo pre-
2. «r trt eoo. Ott : e dioeano a verso a verso, sente, el verrà tompo che essa sarà In abito
però che le tre dioeano l'uno verso, e le quat- di obbedienzia, e cosi si mostrerà a tutti >.
tro dioeano l'altro verso con pianto e canto» : È dunque significata in questi versi l'idea di
ofr. /V)0r. V 24. ~ 4. e Beatriee eoo. e la una riforma morale della Chiesa*, e accanto
mia donna, sospirando e dolendosi del mali a questo concetto principale, potè bene il
della Chiesa, le ascoltava con atteggiamento poeta nascondere anche quello della restitu-
doloroeo, quasi come Ai quel di Maria Ver- dono della Chiesa da Avignone a Roma, da
gine quando vide in crooe U divino figliuolo, lui sperata prossima, come intendono Veli.,
— 7. Ma poi eoo. Quando le sette donne eb- Dan., Vent, Biag., Costa, Tomm., Bianchi,
bero commuto 11 canto del Salmo, lasciando Frat eco. — 18. Po! le si mise ecc. La co-
coef a Beatrioe agio di parlare, ella levan- mitiva si mette in cammino allontanandosi
desi dritta in piedi e ardendo di santo zelo, dall' albero : innanzi vanno le sette donne,
rispose eoo. •— 10. Modlcmm eoo. Sono le pa- poi seguita Beatrice sola, e dietro a lei Dante,
iole, ooo le quali Cristo annunziò ai suoi di- Katelda, Stazio. — 16. il savio eoo. Stazio,
scepoli la sua morte e risurrezione (Giovanni il poeta che non si era allontanato con Vir-
XVI 16) : « Fra pooo voi non mi vedrete, e gilio (ofr. Purg, zzx 49). — 17. le deeine
542
DIVINA COMHEDU
18 ' quando con gli ocohi gli occhi mi percosso;
e con tranquillo aspetto : < Yien più tosto,
mi disse, tanto che, s'io parlo teco,
21 ad ascoltarmi tu sie ben disposto ».
Si com'io fui, com'io doveva, seco,
dissemi: «Frate, perohó non ti attenti
24 a domandarmi omai venendo meco ? >
Come a color, che troppo reverenti
dinanzi a' suoi maggior parlando sono,
27 che non traggon la voce viva ai denti,
avvenne a me, che senssa intero suono
incominciai ; < Madonna, mia bisogna
80 voi conoscete, e ciò eh' ad essa è buono ».
Ed ella a me: < Da t^ma e da vergogna
voglio che tu omai ti disviluppe,
83 si che non parli più. com' uom ohe sogna.
Sappi che il vaso, che il serpente ruppe,
-1
ecc. : sebbene sia forse àk ammettere un Benso
allegorico anche in qiiasti dieci passi che Bea-
trice fa prima di rhràgere a Dante lo sgoardo
e la parola, non è ben chiaro qoale possa es-
sere ; forse, Io stesso dei died passi del I\bv-
TOT 80. — 19. tran«alllo aspetto s perohó
Beatrice non sospirara nò piangeva pi6 per i
mali della Ohiesa nella certezsa del Tidno
rinnoTamento. — Tlen eoo. Affretta il passo e
Tienimi a paro, si che parlando io possa es-
sere intesa da te. — 22. 8f eemUo eco. Appena
Dante, come doveva fare per obbedienza, si
Al messo di fianco a Beatrice, la sua donna
gli chiese come mai non avesse animo a in-
tsrrogazla, ora che avanzava in sna compa-
gnia. — 26. Come a aolor eco. A Dante, in-
vitato da Beatrice a padare, arvenne come
a quelli che si trovano a parlare con persona
di grande autorità, i qnali per la molta rive-
renza non riescono a pronunziare distinta-
mente le psiole. Ventali 262 osserva che e da
un atto oomnnissimo trae la similitudine
schiettezza di forme e venustà di odore >, e
ne illustra i particolari con due riscontri, uno
d'Omero, Od, m, ove Télemaoo dice a Men^
toro : « Esperto Non sono ancor del livellar
de' saggi, Né consente pudor che a far parole
Cominci col pid vecchio il men d'etado », e
uno deli' Ariosto, Or{.ZLn96: cSpessolavoce
dal desio cacciata Viene a Rinaldo fin presso
alla bocca Per domandarlo, e quivi raffre-
nata Da cortese modestia fbor non scocca».
Nella similitudine dantesca la situazione dub-
biosa e riverente di chi parla innanzi a per-
sona di maggior grado d resa stupendamente
nel suo effetto finale, nella parola die non per-
viene viva sino alla bocca, ma si spegne per
via. ~ 28. senza Intere suones senza pro-
nunziare compiutamente le parole. — 29. Ma-
4oBMa eoe. Voi oonosoete ogni mia neoessità,
voi conoscete tutto dò che pud essermi utile
di sapere, senza bisogno ohe io vi domandi
nulla. ^ 81. Ba téma eco. Voglio che tn or-
mai ti liberi da ogni timore e vergogna. S
ricordi che Dante, poco tempo innanzi, quan-
do Beatrioe lo rimproverava dei suoi fallì ^
era stato cdto da e confluione e paura insieme
miste », si che aveva oarlato in modo non in-
telliglbUe (efr. i\ir7. mi 18-16). — 88. sf Ae
ecc. si die tu non parli pid con parole tron-
che e confuse, come & chi paria dormendo.
Ddl' espressione dantesca d ricordarono il
Fetrsrca, son. xux 7: «se parole Cd, Son im-
perfètte e quad d'uom che sogna », e il Tasso,
Oer, tib. zm 80 : « ^ ragiona in guisa d*uom
ohe sogna ». — 84. Sappi ehe U vas* eoo.
Sappi che il carro che Ai rotto dal drago
iPÌìrg, zzxn 180-136) fu 9 non k Al carro,
che simboleggia la Chiesa, Dante i^lica le
parole di Oiovanni nell' JjwocU. xvn 8 : « La
bestia che tu hd veduta era a non è pii », per
significare ohe la Chiesa era degenerata ddla
primitiva purezza • però non esisteva più per
sé stessa, ma sdamante contaminata dai tìzL
Lana : «La Chiesa fi» già, doè f^ in suo ar-
bitrio, ma ora non i, doè ohe è saddita e
serva di quelli della casa di Franda, s£ che
d può dire: la Chiesa non ò, e quelli della
casa di Franda sono»; Ott : « Dice che 1 car-
ro, Il qude il serpente passò con la ooda, fu
già, ma non è ora, però che ò trasmutato > ;
Buti : « Allegoricamente intende ohe la Chiesa
di Roma non sia pid intera e però non è vaso,
che '1 vaso de' essere intero dtramenta non
è vaso ; perché non ò unita insieme, ma di-
visa, et è fatta per la maggior parte di spi-
PURGATORIO - CANTO XXXIH
613
fa e non ò, ma chi n'ha colpa creda
86 che vendetta di Dio non teme suppe.
Non sarà tutto tempo senza reda
l'aquila che lasciò le penne al carro,
89 per che divenne mostro e poscia preda;
eh' io veggio certamente, e però il narro,
a dame tempo già stelle propinque,
42 sicure d' ogni intoppo e d' ogni sbarro,
nel quale un cinquecento diece e cinque,
messo da Dio, anciderà la foia
45 con quel gigante che con lei delinque.
E forse che la mia narrasion, buia
zitaale oaniala, e di vlrtaosa yiziosa ». — 86.
mm eU eoo. ma òhi ò oolperole dal travia-
BAnto déUa Ghien M^pU ohe presto o tardi
la Tiad^la di Dio lo oolpirà, pndié il rigore
deOa dlTina giustizia non Tien meno per nes-
sona maniera. — 86. TSiietia 41 IMo eoe. È
VA Tecso di signiflcato ohiacissimo, ma ohe
por die molto da fue agli interpreti. Oli an-
timi sebbene non tatti oon la stessa chia-
rezza, attestino ohe in Firenze era naanza
che, se nn omicida riosolTa a mangiare ona
znppa sul ootpo o snlla tomba dell*ncoiso nel
primi nove giorni dal misfatto, nessono dei pa-
renti potesse Dune Tendetta: cosi ohe il man-
giar la zoppa sarebbe stato un modo d'espia-
skme della colpa ciommessi e insieme un
m«sBo per disumare 1 patenti dell'aooieo
pronti a fame vendetta; e neUa frase dantesca
mtfp$ Terrebbe a signifioare i modi coi qnali
1 eotptffod cercano di plaoare la giostizla di-
Tlma. Ooe( anohe intesero i migliori interpreti
moderni (efr. Del Lungo, DmUé, n 121-126):
InTeoe il Dan. yoUe Tedere in quelle parole
un* aUuirioBe al saoriilsio deUa messa : e non
tmm tuippé {ùOfd egli spiega) doè ohe i sacri-
fici che si fumo oon l'hostia e od Tino, non
sono bastanti a fwe ohe la maestà di Dio
s'astenga per essi dalla Tondetta ohe ha desti-
nato far centra quelli ohe cosi male hanno
trattato la sua Ohieea » ; e altri moderni
imaginarono altre e pi6 strane spiegazioni.
— 87. Hea sarà eoe Non sarà sempre senza
ecedo l'aquila ohe lasciò nel carro le penne,
per le quali esso fti trasformato in un mostro
e direnne preda del gigante; cioè T impero
non sarà sempre Tacente. SI ricordi che Danto
considerò come Tacente l'impero dalla morto
di Federigo n all' elezione di Arrigo VII,
non già perché In quel periodo di tempo man-
cassero gl'imperatori, ma perché nessuno di
essi si occupò ddl' Italia (cfr. Oom, it 8).
— 88. lesela ecc. efr. PÙirg. zxzn 126. —
89. llTeane ecc. cfr. Pwg, zxzn 186 e segg.
— 40. lo TSggle eoo. te Ttdo la Dio con
certezza, e per questo lo manifesto, aTTid-
narri già stelle libere da ogni impedimento
e da ogni oetaoolo, le quali d porteranno un
tempo in cui un messo del Signore uoddeià
la meretrioe e il gigante. — 4L ttolle eoe
una costoUaslone, la quale opererà, eserdtoià
la sua Influensa Ubersmente, esima trenre ne>
gli nomini alcun impedimento alla sua azione.
— 48. dnqeeeeBte dleee e etafues oca que-
ste cifre, al modo stseso ohe neU'^fMeal. zni 18
ò designato od numero sdoentoeessantasd 11
nome di Nerone Imperatore, eredono tutti f^
antichi Interpreti e motti modeni che Dante
abbia Tolnto esprimere l'idea deUa perda stx
considerato nd Talcre numeiloo ddle lettere
end' è formate; cosi adunque è indicato un
due», ohe doTrà Tonlre sulla terra mandato
da Dio a punire la Corto pontiflda e la Osea
di Francia. Litomo alla persona di questo
duoe liberatore si sono ripetute tutte le opi-
nioni già eepresse a propcelte dd véUm (Inf. i
lOlX ool qudelo identifloano la maggior paóto
dd oommentetoci; e Teramente pare oheDante
anohe qui non abbia fatto dtro ohe ripetere
sotto dtra forsia dò che di queetopersonaggio
augurato egli aTora detto nell' introduzione
d suo poema. Per dtre spiegazioni cfr. E.
Moore, The DXV frophMy^ Oxford, 1801 e
B. DaTidsohn, Bvtf. IX 129 e eegg., 209.
-> 44. la faiat ola m^rékiM (/Vy. xzzn
148), che già sederà sul mostro, doè la Ohie-
ea degenerata, la qude aTora ceciato il
luogo della pura e Tirtnoea Chiesa dd tempi
prìmitìTi, e perdo, con parola popolare (ofr.
Parodi, BM, HI 162), è chiamate fuia doò
ìadra (ofr. Inf, xn 90) In quanto aTora usur-
pato un luogo non suo. » 46. quel gigan-
te eoo. Il giganto ohe pecca insieme con la
meretrioe, doè il re di Frsnda, che abusa
della sua preponderanza sopra la Chiesa. -^
46. B fórse eoo. B forse il mio Tatldnlo,
oecuro come gtt oraooU di Temi e gli enigmi
ddla Sfinge, non è inteso da to, perché entra
nella tua Intdllgensa, solo d modo dì qudli
544
DIVINA COMMEDU
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61
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60
qual Temi e Sfinge, men ti persuade^
perch'a lor modo lo intelletto attuia;
ma tosto fien li fatti le Naiàde,
che solveranno questo enigma forte,
senza danno di pecore o di biade.
Tu nota; e, si come da me son porte,
cosi queste parole segna ai vivi
del viver eh* ò un correre alla morte ;
ed abbi a mente, quando tu le scrivi,
di non celar qual hai vista la pianta,
ch*ò or due volte dirubata quivi
Qualunque ruba quella o quella schianta,
con bestemmia di fatto offende a Dio,
che solo all'uso suo la creò santa.
oracoli od enigmi, cioò incomprensibilmente.
— 47. Temi : la figlia di Urano e della Terra,
considerata dagli antichi come personiflcadone
della giasti2ia • lìrelatrioe dèi futuro : Dante
accenna apeoialmente alla lifposta, oh' élla
détte a Denoalione • a Pizia dopo 11 diluTlo
e ohe fa interpretata da Prometeo (ofir. Ovidio,
Ma, 1 847-416). — Sflage t eeaere moitraoio di
feroce natura e di faccia femminina, ohe abi-
tando preaao Tebe proponera al Tiandanti vn
diffloilo enigma, edolto poi da Edipo che oo-
Btrinse ooel la Sfinge a noddersi (ofr. Stazio,
m^. X 60). — 48. attala! U Tb. oMcters è
■piegato da Beny. per obturare^ e ta aempre
inteao nel aenao di annebbiare, oscurare ; ma
il Parodi, BuU, m, 137 ha dimostrato come
esso derivi dal pron. tu (formazione analoga
a qaella del vb. kiiuarai del Fair, ix 81), col
senso di entrare, penetrare, adattani a te o
al tao intelletto. — 49. ma toste ecc. ma pre-
sto i fatti verranno a spiegare le diflScoltà
delle mie parole. Dante aveva letto in Ovidio,
Md. vn 769 e segg. : « Carmina Naiadst non
intelleota priorom SohmU ingenils, et prae-
oipitata iaoebat Inmemor ambagnm vates ob-
scnra soarom ... Protinns Aoniis inmittitar al-
tera Thebis Pestis, et ezitio molti pecoram-
qne snoqne Barigenae pavere feram > ecc.; e
avea inteso che le Naiadi, ninfe delle fonti,
sapessero spiegare gli enigmi, e ohe questa
spiogarione fosse stata cagione di mortalità al
bestiame e di danno alle mèssi. Se non che il
testo d' Ovidio ora corrotto, dovendosi leg-
gere: «Carmina Laiadó» non intellecta prio-
mm Solverai ingeniis» eoo., perché in qnesto
passo si parla invece di Edipo, figlio di Laio,
esplicatore dell'enigma proposto dalla Sfinge.
Si cfr. V. Monti, Saggio d&i motti • gravi «r-
roritravwrsiinhUUletdi», del Oonv, di Dani«t
Milano, 1823, pp. 96-96, e il Moore, I 216. —
60. questo enigma forte ; il difficile enigma
contenuto nell'accenno al cinquecento iiece e
eìngue ossia al meuo da Dio per pulire la
/Ma e il gigante. — 62. Tu nota eoe Tu non
dimentioMe dò oh'io ti ho detto ; e oosf oome
lo te r ho dette ripeti queste parole a^^ «o-
mini della terra. — 68. al tItI del viver eoo.
agli uomini ohe vivono la prima vita, quella
vita brevissima ohe è un passaggio aUa morte
(ofr. Purg, zx 89). Lo stesso oonoetto, sebbene
pifi rozzamente espresso, s'incontra in Q oli-
tone d'Arezzo (Bim, Firenze, IS^d, I 44):
« Legno quasi digiunto È nostro core, in mar
d'ogni tempesta, Ov* uomo frigge porto e in-
contra scoglia, £ di correr v6r morte ora non
resta ». — 66. ed abU eoo. e ricordati, quando
tu ripeterai le mie parole, di dsiotiveve tutto
ciò ohe hai visto della mistioa pianta. — 66.
qual hai eco. Lomb. : < la di lei altesza, il
modo di QMUidere i rami e fl dispogliamento
in cai si trovava di fiori e di ihmdi prima ohe
ad essa fosse legato U trlonftde carro ». ^
67. eh'è or eoo. La pianta fi privata delle
sue foglie due volte. Tona da Adamo, quando
assaporò il frutto pìroibito, l'altra dal gigants
quando trasclnd via la meretrice : cosi Inteee
il Lana, seguito da altri ; oontraria opinione
tennero Ben. e il Buti, pur essi seguiti da an-
tichi e moderni interpreti, tribuendo una delle
spogliazioni all'aquila, la quale veramente la
danneggiò contro sua intenzione, ma non spo-
gliò la pianta. — 68. i^aluqae eoe Chiun-
que spoglia delle lìronde e staoca i frutti di quel-
la pianta pecca contro Dio con offésa di fatto,
poiché egli la creò sacra e inviolabile, come
imagine della sua potestà sulla terra. — 69.
bestemmia ecc. offesa di Catto, assai più grave
che non sia qualunque offesa di par^ Buti :
« blastoma è detrazione e mancamento d'ono-
re, e però una blastoma è H ditto et altra è
di fatto: . . .blastoma di fiitto è quando coi
fatti manchiamo l'onore d'Iddio, e perché lì
fatti son maggior cosa che li ditti, però dice
l'autore con biastema di faUo a dimoetxare
PUHGATORIO - CANTO XXXIII
645
Per morder quella, in pena ed in disio
cinquemiP anni e più l'anima prima
€3 bramò colui che il morso in sé punio.
Dorme lo ingegno tuo, se non estima
per singular cagione essere eccelsa
66 lei tanto, e si travolta nella cima.
£ se stati non fossero acqua d'Elsa
li pensier vani intomo alla tua mente,
69 e il piacer loro xm Piramo alla gelsa,
per tante circostanze solamente
la giustizia di Dio, nello interdettO|
72 conosceresti all'arbor moralmente.
Ma, perch'io veggio te nello intelletto
fittto di pietra ed, impietrato, tinto,
75 si che t'abbaglia il lume del mio detto,
voglio anche, e se non scritto, almen dipinto,
che il te ne porti dentro a te, per quello
78 che si reca il bordon di palma cinto ».
Ed io : < Si come cera da suggello.
mt^on offendoiM oh» tue ti poHa >. —
6L Por morder qvellA eoe. Adamo, anima
prima, per arar mono del fratto di quella
pianta, dorette ftare in pena faori del para-
diso tametxe e pd noi limbo In desiderio oon-
tinno di Dio (cfr. Inf, ir 41), per oltre dn-
qoemila anni. — 62. eìaqneaill' aaal eoo. :
propriamente 990 sulla terra e 4302 nel limbo ;
cfr. Bar. XXVI 118 e segg. — anlaift prima:
Adamo, chiamata ooif anche in Par, xxn 83
(tsfr. De vu^. etoq, i 6 : « oertam formam lo-
ontionis a Deo cnm anima prima ooncrea-
tam » eoe). — 68. colai eoo. Cristo, ohe poni
in a6 stesso il fiJlo del primo nomo. » 64.
Dorale ecc. Ben deve essere assopito il tao
ingegno, se non argomenta per qnale singo-
lare cagione qnella pianta sia tanto alta e la
tua diioma ood laiga nel ponto pi6 eccelso
(efr. Purg, xxxn 40-42). » 67. B se stati eco.
E te i rani pensieri non aressero indorata la
toa intelligenza e il loro diletto non ne aveo-
80 macchiato il candore, da ciò che hai veduto
scrresti inteso la ragione per la qoale la di-
Tina giustizia vietò di manomettere qoella
pianta. — acqaa 4'Klia! l'acqoa del fiome
Elsa, che nascendo nel territorio senese va
a floire nell'Amo presso Empoli, essendo
ricca di carbonato di calce ha la proprietà
d'incrostare di ono strato pietroso i corpi ohe
sono immersi in essa. Questa proprietà, nota
già ai contemporanei di Dante (cfr. F. Uberti,
Dittam. m 8, Q. Booc, Ih morUibut ecc.),
gU snggerf 1' ardita similitodine di qoesti
versL -> 69. e il piaeer ecc. Piramo, ooci-
DAmn
dendosi presso on gelso (cfr. A«ry. xxvn S7)^
ne bagnò del soo sangue 1 rami, che d'allora
in poi produssero frutti vermigli, e cod Dante
vuol dire che il diletto dei vani pensieri mao-
dìia il candore della mente. — 70. per tante
eoo. per tutto quello che hai visto, avresti
conceduto moralmmUef la morale significa-
zione della giustizia divina nello inierdeUOf
nel precetto da Dio Cstto all' uomo di non
toccare l' albero della sdenza del bene e del
male. — 78. Ma, pereh'io ecc. Ha perché io
vedo che nella mente tu sei indurato come
pietra e posda oscurato per i vani pensieri,
s( che non puoi intendere 1 profondi con-
cetti del mio discorso eoo. — 74. fktto di
pietra ecc. : sono anche qui accennate due
condizioni succesdve, già espresse con le si-
militudini dell'acqua d'Elsa e del gelso di Pi*
ramo : prima l' indurimento dell' intelletto, e
poeda l'oscuramento, che ne è come la conse-
guenza. — 76. voglio anclie ecc. voglio anco-
ra che tu rechi nell'animo tuo, se non scritto
almeno adombrato, il mio disoono, affinché
tu porti teoo un segno di dò che hai veduto,
come i pellegrini recano di Terrasanta il bor-
done coronato di palma per segno della vi-
sita fatta ai luoghi santi. — 78. che al reea
eoo. An. fior. « Il bordone si reca d'oltremare
cinto di palma da'pellegrini, a mostrare che
sono stati al Sepolcro, et hanno avuto vit-
toria di loro viaggio ». — 79. 8C eome ecc.
Come dal suggello ò segnata la cera, che serba
inalterata la figura impressa in essa, cosi
dalle vostre parole d segnato ora il mio in-
85
546
DIVINA COMMEDIA
olle la figura impressa non trasmuta,
81 segnato è or da voi lo mio cervello.
Ma perché tanto sopra mia veduta ^
vostra parola disiata vola,
84 ohe più la perde quanto più s'aiuta? >
€ Perché conoschi, disse, quella scuola
e* hai seguitata, e veggi sua dottrina
67 come può seguitar la mia parola; .
e veggi vostra via dalla divina
distar cotanto, quanto si discorda
90 da terra il del che più alto festina >.
Ond'io risposi lei: «Non mi ricorda
oh* io straniassi me giammai da voi
93 né honne coscienza che rimorda >.
« E se tu ricordar non te ne puoi,
sorridendo rispose, or ti rammenta
96 come bevesti di Lete ancoi;
e se dal Aimmo foco s'argomenta.
1
telletto. La simUitadine sviluppa quella del
Purg, X 45 ; e il Venturi S46, ricordando al-
tre imagini ■imili di Dante (Oono. 1 8, n 10,
D6 man, n 2 ) oeaerra ohe quella e del sigillo,
del segno e dell' impressione d familiare al
poeta, come non poteva non essere a Ini del
quale ogni parola d segno scolpito della
cosa >. Del resto l'idea di paragonare l'inge-
gno alla oera d già In san Girolamo, nell'epi-
stola a Paolino ohe precede la Bibbia : e Hol-
lis cera, et ad formandum fiudlis, etiam si
artiflcis et plastae oessent manus»; si cfr.,
su questo proposito, BuU, IX 42. — 82. Ha
pereli< eoo. Ma come mai arriene che la
vostra parola, da me tanto desiderata, si leva
cosi alta sopra la mia intelligenza, che meno
la intende quanto piti si sforza ad intender-
la? — 85. Pereh< ecc. Due ragioni dà Bea-
trice del suo altissimo parlare, dicendo ch'ella
vuole con tal mezzo fiur conoscere a Dante
che la filosofia umana d insufficiente a cono-
scere il mistero della fede e ohe il procedi-
mento della scienza umana dista tanto da
quello della scienza divina, quanto dalla terra
è lontano il primo mobile, il cielo che ruota
piò rapidamente degli altri. — lenola ecc.
La scuola se^afta da Dante era quella dei filo-
sofi e dei poeti, la cui dottrina può avviare,
ma non condurre alla piena cognizione di Dio.
Scait : e Dante, ohe un d£ credeva poter
giungere mediante la ragione naturale e gli
studi filosofici a conoscere l'essenza della di-
vinità, a mirare noi sole dell'eterno vero, si
accorge ora e confessa falsa essere la ^a
della speculazione per la quale si d messo.
Egli che un di nel filosofico suo orgoglio si lu-
singava non essergli d'uopo della dottrina ri-
velata, al accorge ora e confessa ohe la filo-
sofica speculazione non d capace di compren-
dere le dottrine della rivelazione, non die di
giungere ad investigare e rioonotcere l'eterno
vero. I^gli ohe volse un df le spalle alle dot-
trine della fede e le oonsldersva con un tal
qual dispregio, riconosce ora quanto esse sono
e pifi alte e piti profonde delle dottrine deHa
filosofia umana >. — 88. e itggl ecc. : ò il
concetto del profeta Isaia lv 8 : ci miei pen-
sieri non sono i vostri pensieri, né le mie
vie le vostre vie, dice il Signore. Con eiò
sia che, quanto i cieli son piti alti che la terra,
tanto sieno piti alto le mie vie che le vostre
vie, b i miei pensieri che 1 vostri pensieri ».
— vostra via: la e via non rera » dtH
Purg, XXX 130. — 90. 11 eie] ecc. cf^. Par.
xxvn 99. — 91. Ifon mi eoo. Non mi ri-
cordo d'essermi mai allontanato da voi, per
seguire altre compagnie, né la ooedenza mi
rimorde d'avervi abbandonata. — 04. ■ te
tv ecc. E se tu non puoi ricordarti d'osserti
staccato qualche volta da me, ricorda almmo
che oggi bevesti le acque del fiume Lete e che
toglie altrui memoria del peccato » (Ihtrg.
zxviii 128). Cosi Beatrice risponde a dò che
Dante ha detto nei w. 91-92 — 96. bevesti
ecc. cf^. iVfy. XXXI 94-102. — aaeol: cf^.
Puirg, xm 62. — 97. e le dal fiMmo eoe.
e come dalla vista del fumo s'argomenta
l'esistenza del fuoco, cosi da eotésta oMwiofis
si conohiude che rivolgendo altrove la tua
volontà tu fosti colpevole : infktti 1* acqua
di Leto toglie la memoria delle sole opere pec-
caminose. Cosi Beatrice risponde alle perde
PURGATORIO - CANTO XXXIH
B47
ootesta oblivion cliiaro oonchiude
99 colpa nella tua voglia altrove attenta.
Veramente oramai saranno nude
le mie parole, quanto conyerrassi
102 quelle scoprire alla tua vista rude ».
E più. corrusco, e con più. lenti passi,
teneva il sole il cercliio di merigge,
105 che qua e là, come gli aspetti, fassi,
quando s*afiisser, si come s'afSgge
clii va dinanzi a gente per iscorta,
106 se trova novitate o sue vestigge,
le sette donne al fin d'un' ombra smorta,
qual sotto foglie verdi e rami nigri
Ili sopra suoi freddi rivi l'Alpe porta.
Dinanzi ad esse Eufrates e Tigri
veder mi parve uscir d'una fontana,
114 e quasi amici dipartirsi pigrL
dal T. 98. — 98. eoa€lilv4« s il vb. wneìUu-
dtn qui e in Par, zziy 9A ha il signiftcato
•eolMtico di rmnaté^ éimottran por meczo di
un ragionamento. ~ 100. VttaoMnte oco.
Ma d'ora innanzi le mie parole saranno aperte
e chiare quanto bisogna peroh4 siano intese
dallA toa mente incapace di comprendere. —
ice. E pitf eorniiee eoo. La oomitiTa giun-
gendo innanzi al fiome Eonoè si ferma, por-
che Dante deve gustare di quell'acqua si che
si compia la sua purificazione. D momento
dell'arrìTo alle sponde d' Eonoè d il mezzo-
giorno del 18 aprile (cfr. Pitrg, zxvn 109),
ultimo accenno eronologioo relativo alla per-
manenza di Dante nel paradiso terrestre, seb-
bene si debba ritenere che egli vi restasse
per tutto quel giorno (ofr. Fair. 1 87); e que-
sto momento è determinato dal poeta dicendo
che, quando la compagnia si formò, il sole es-
sendo pofrenuto al meridiano appariva più
fiammeggiante e pld lento nel suo corso.
L'Ant, mettendo in relazione questo passo
con quello del Pmg, zxvn 89-90, spiega il sug-
giore splendore del sole con la minor distanza
di esso e con la maggior purezza dell'aria at-
traversata dai suoi raggi, e spiega la minore
nudità con il fiuto che in primavera il sole
va via via Csoendosi pld boreale ogni giorno,
in virtd del suo moto apparente annuo, e cosi
sooatandosi dall'equatore presenta meno rapi-
do Tapparente moto diurno fatto su un paral-
lelo più vicino al polo : ma il Moore, p. 128,
pìfi semplicemente osserva che e la maggiore
lucentezza e la maggiore lentezza sono due
caratteristiche assai comuni del sole, allorché
trovasi in queir ora e in quella posizione >.
— eea pld lenti ecc.: ofir. Poir. xxm la. ^
106. che qia e là ecc. : l'interpretazione co-
mune di questo verso ò cosi formulata dal
Lomb. : e il qual mBHgg$ non si ila a tutte le
regioni in un luogo, ma a ohi qua, a chi là,
secondo i gradi dell'Equatore ohe le regioni
co' loro vari meridiani intersecano >. L'Ant.
invece, richlamandoii per l'uso degli aw. qua
e a ai luoghi deU'^. xzxiv 118, Pmrg. xv
6, Par. 1 48, e dando un valore più eeteao al
nome atpttti, spiegherebbe: e il quale merig-
gio ai fa in questo e nell' altro emisfero se-
condo le reiasioni di posizione»; oppure (scrì-
vendo chS): e perciocché in questo e nell'al-
tro emisfero avviene, seoondo le relaiioni di
posizione », dalle quali dipendono, seoondo
lui, i due fenooieni notati nel v. 108. » 106.
sf come ecc. come si formano coloro che pre-
cedono una compagnia per assicurarsi della
via, se trovano qualche novità o indizio di
novità. — 106. • tae vtstlffgts o indizi di no-
vità. Altri leggono in «ut ots^^, riferendolo
al soggetto dki e spiegando : se inoontraqualche
novità sulla sua strada, sui suoi passi. Sulla
forma col raddoppiamento, accanto a tutige
del Par, xzxi 81, ctr. Parodi, BM, m 106,
122. — 109. al fia eoo. al terminare della sel-
va, ove l'ombra di essa assomigliava quella
dei boaohi verdeggianti delle montagne d'Ita-
lU sopra i freddi ruscelU. — 110. qual sotto
eoe ricorda il virgiliano, Qwrg.mSS&i e si-
cubi nigrum Ilioibus orebris suora nemus ao-
cubet umbra». — 112. Dlaaasi eco. Nel luo-
go, ove si fermò la compagnia, Dante vide
uscire dalla stessa fontana due fiumi come
l'Eufrate e il Tigri, ohe scorrevano lentamente
in direzione opposta, quasi incresoeese loro di
allontanarsi l'un dall'altro. Boezio, Ckm»,pML
V, oarm. 1 : «Tigris etEuphrates uno se fonte
resolvunt Et moz abiunotis dissodantnr a-
648 DIYIKA COìfMEDIA
< 0 luce, o gloria della gente umana,
che acqua è questa che qui si dispiega
117 da un principio, e sé da so lontana? >
Per cotal prego detto mi fu : < Prega
Matelda che il ti dica »; e qui rispose,
120 come fa ohi da colpa si dislega,
la bella donna: « Questo, ed altre oose
dette gli son per me; e son sicura
123 che l' acqua di Leto non gliel nascose >.
E Beatrice: « Forse maggior cura,
che spesse volte la memoria priva,
126 fatto ha la mente sua negli occhi oscura.
Ma vedi Eunoè che là deriva:
menalo ad esso, e, come tu sei usa,
129 la tramortita sua virtù ravviva ».
Com' anima gentil che non fa scusa,
ma fa sua voglia della voglia altrui,
132 tosto eh' eli' ò per segno fuor dischiusa;
cosi, poi che da essa preso fui,
la bella donna mossesi, ed a Stailo
135 donnescamente disse: e Yien con lui».
S'io avessi, lettor, più lungo spazio
qoif >; cfr. Moore I 284. — 116. 0 Ibm eco. Torita dallA aeri* di itraordinaxi qwttaooli
ctr, le parole di ViigUio ia Inf, n 76-78. — offertisi a Dante nel paradiso teoestre. —
116. che aeqnA eco. ohe acqua d questa che 127. Ma Te^i eoo. ]£a vedi il ftome Ennoè,
esce da una sola fontana e si diparte in due ohe uscendo dalla fontana soone rvm quella
corsi distinti f — 118. Per eetal ecc. Alla parte : conduci Dante al fiume, e, oome è tuo
domanda di Dante, Beatrice risponde riman- officio, immergilo neU'aoqua si ohe la flusoltà
dandolo a Matelda, la quale ayendo l'officio della memoria sta in lui ravriyata ed egH
di Care assaggiare quelle acque ha anche riacquisti la coscienza del bene operato. —
quello di dichiararne 11 nome e il Talore: cosa 128. eeme tu ael sta : accenna all' officio già
che per Dante ha già fatta (cfr. Purg. xxrm esercitato da Matelda, quando immerse Dante
121-182). — 119. MateMa: qui per la prima neU'aoqua di Lete. — ISO. Com'aniwi eoo.
e sola Tdta è detto il nome della donna ap- Come un' anima yirtuosa non si schennisce
parsa a Dante nel paradiso terrestre. — 120. dal sodisfare l'altrui desidorìo e conforma la
eoMe fa ecc. con la prontessa che l' uomo sua rolontà a quella degli altri, ^pena le
innocente mette nel discolparsi dalle accuse, sia manifestata per segno di paiole o di attL
— 121. ireste eco. Quale acqua sia questa — 188. cesi eoo. cosi Matelda, conformando
e quali siano le condizioni del paradiso terre- la sua volontà a quella di Beatrice, mi prese
stre, io l'ho già detto a Dante (Purg. xxm per mano e si mosse Terso il fiume invitando
88 e segg.), e sono certa che T immersione Stazio a seguirci. — ISfi. dOBueseaMemu :
nel fiume di Lete non gliene ha tolto il ri- con la grazia e gentilezza, ohe le donne poa-
cordo. — 124. Forse Maggior ecc. Forse gono nel porgere i loro inviti. — 136. 8*1«
qualche maggior cura, una di quelle che avesil eco. Dante ormai è pervenuto alla fine
spesso privano la memoria della sua virtd, della sua peregzinarione nei paradiso tecre-
ha ottenebrato la sua mente si oh' egli non stre : avrebbe per altro da descrivere la sua
ricorda più i tuoi ammaeetramentL — mag- immersione nel fiume Eunoè e anche come
glor cara: qual fosse questa maggior cura egli e Beatrice si congedassero dalla comitiva
non dicono gli antichi commentatori; dei per salire al dolo. Se non che egli è giunto
moderni U Iiomb. la riconosce nella soUed- ormai a tal punto che il canto xzxiu deve
tedine in che Dante era di contemplare Bea^ essere chiuso, e poiché la legge impostasi di
trice, e questa interpretazione pud compiersi non concedere a ciascuna cantica più di tran-
osservando che la dimenticanza era stata fi»- tatr4 canti gU vÌ9^ di allaigarsi in ootatta
PURGATORIO - CANTO XXXITI
549
da scrivere, io pur canterei in parte
188 lo dolce ber che mai non m* ayria sazio ;
ma perché piene son tutte le carte
ordite a questa cantica seconda,
141 non mi lascia più ir lo fren dell* arte.
Io ritornai dalla santissim* onda
rifatto si, come piante novelle
rinnovellate di novella fronda,
145 puro e disposto a salire alle stelle.
descrizione, egli ohiode rapidamente la se-
oondA parte del ano poema, con un brere
aooenno agli effetti mirabili die sopra di lai
produsse l' immeisione nel fiume Ennoò. —
137. la parte : in nn canto spedale, oye de-
soriTord in tutti i saoi particolari la mia im-
menione, della quale non sarei mai stato sazio.
— 1S9. plepe sei ecc. sono compinti i tien-
tatré canti destinati alla seconda cantica. ~
140. eaatlcft: cfr. Inf, zx 8. — 141. le frea
dell'arte: la legge imposta a sé dal poota che
daacnna cantica fosse composta di txentatró
canti, s( che con quello d' introdazione il
poema rinsdsse in tatto di cento canti. Oltre
che dello stesso nomerò di canti, ogni can-
tica ò formata da un nomerò qoad ogoale di
rerd : infatti dei 14283 yersi che compongono
il poema, 4?J0 formano la prima cantica,
4756 la seconda e 4768 la terza ; e anche
l'estensione di dascon canto ò poco dirersa,
Tarlando dai 116 ai 160 Tersi. Totte qoeste
leggi Dante s' era proposto di osservare, af-
finché anche nella conformazione esteriore il
sao poema mostrasse qoella proporzionata ar-
monia delle parti, che consnona mirabilmente
con l'armonia e con la dmmetria delle inven-
zioni singole e dd concetto generale. — 142.
lo riterBai ecc. Ritornai dalle acqoe di Eo-
noè, alle qoali m'aveva guidato Matelda,
tatto rinnovato come le giovini piante rin-
Terdite alla primaTera, e poro onnai da ogni
macchia dd peccato e digesto a segoire la
mia donna nel deb. — 146. stelle : cfr. Inf,
xxxiv 186.
PARADISO
CANTO I
Dalla cima del monte del Purgatorio Dante e Beatrice 8* innalzano verso
la sfera del ftaoco con moto yelooissimo; e la donna, sciogliendo al poeta
i saoi dnbbt eirca l'armonia e la Ince dei cieli e il modo del salire, gli di-
chiara Pordine dell'universo [14 aprile, ore antimeridiane].
La gloria di colui, che tutto move,
per 1* universo penetra, e risplende
8 in una parte più, e meno altrove.
Nel ciel che più della sua luce prende
fu' io ; e vidi cose che ridire
6 né sa né può qual di là su discende;
I 1. La gloria eoo. La terxa oantioa, come
già le due precedenti, si apre con una ma-
gnifica proposizione dell'argomento e oon ona
calda invocazione ad Apollo; e nella solen-
nità di questa protasi appare sabito la gran-
dezza del ooncepimento e dell'arte ohe Dante
esplicherà nel suo < nltimo lavoro ». — eolvt
eoo. Dio, primo motore {Purg, zxv 70) di tutte
le ooee, oon la Inoe della sna grazia e della
SUA sapienza penetra per 1* nniverso e risplende
rariamente alle cose secondo la loro maggiore
o minore attitudine a comprenderlo : cft. Par,
zm 22-28. Questo concetto, espresso tante
volta nella Bibbia e nei Padri, ricorro spesso
neDe <^ere di Dante {Dt vutg, $loq, 1 16, Oonv.
m 7, 14 eoo.)» U qnale nell'Epist. a Can-
grande, § 28 spiega il vb. penetra < qoantom
adeseentiam >, eU vb. riepUnde < qoantam ad
aase >, doò la divina virtù penetra tatto le cose
quanto all'essenza perché ogni essenza e virtù
procede da Dio, essenza prima, e rispetto al-
redstenza perché ogni cosa che è ha il suo
essere da Dio, primo principio e caosa di tatto.
SoDa prima terzina di questo canto disserta-
rono F. Verini {LeUioni d*aceademiei fioren-
tmi sopra DanU pabbl. da ▲. F. Doni, Flr.
1547, pp. 14-20), e. Bianchini {Tre lezioni
détU neUTAMod. fior., Fir. 1710) e G. O.
Gissi {Qiom. danL I 877-887); e più lar-
gamente sul primo e secondo canto B. Vai^
chi (Lesioni md Dante, Fir. 1841, voL I, pp.
187-604): per dò che riguarda V arte d da
Todflire V. Capetti, Osatrvax. tul Paradiso dan-
iitmo, Venezia, 1888, pp. 1 e segg. — 8. in
«na eco. Infatti noli' Empiroo risplende più
ohe ne'deli sottostanti (cfr. v. seguente). —
4. Nel elei ecc. Neil* Empireo, dolo di pura
luce (ftir. zxz 89). H paradiso di Dante è ima-
ginato, in relazione al sistema cosmico di To-
lommeo e alle dottrine teologiche (cfr. Tom-
maso 5timm. P. m, suppL qu. lxxxv, art 1
e segg.), come 1* insieme del deli che ruo-
tano intomo alla Terra immobile nel centro
dell' universo : 1 nove deli mobili (Luna, Mer-
curio, Venere, Sole, Blarte, Giove, Saturno,
stelle fisse, primo mobile) sono tutti compresi
nel dolo Empireo, il quale è immobile; in
esso hanno loro dimora i beati, che appari-
scono a Dante nd vari deli secondo 1* inten-
sità della loro beatitudine : quelli del primo
cido in figura umana raggiante di luce di-
vina; e gli altri in forma di splendori (globi,
sdutiUe, gemme, fiaccole) che d ravvivano
parlando. Fra i molti studi sull'ordinamento
astronomico e morale del paradiso dantesco
d possono leggere oon profitto: A. Galassinl,
1 cieli danle$ehiy Firenze 1894 ; B. Gatta, il
paradiso danUsoo, Torino 1895; A. Scrocca,
il ei^ama dantesco dei deli e delle loro in-
fluenze, Napoli 1895 ; F. P. Luìso, (httrwUone
morale e poetica del parad, dant,, Firenze
1898 ; S. Ferrari, il Paradiso di Dante, Bo-
logna 1900. — 5. vidi cote ecc. vidi cose tanto
meraviglioae che alcun mortale, discendendo
dal delo in terra, non sa né pud ridire: non
sa, perché non se ne ricorda ; non può, perché
la parola umana d insuflSdente a dame un'idea
adeguata (cft*. Epist. a Cangrande, $29). B oon-
&o2
DIVINA COMMEDIA
perché, appressando sé al suo disìre,
nostro intelletto si profonda tanto
9 che retro la memoria non può ire.
Veramente quant*io del regno santo
nella mia mente potei far tesoro,
12 sarà ora matera del mio canto.
0 buono Apollo, all'ultimo lavoro
fammi del tuo valor si fatto vaso,
15 come domandi a dar Pamato alloro.
Infino a qui l*un giogo di Parnaso
assai mi fu, ma or con ambedue
18 m*ò uopo entrar nell'aringo rimaso.
Entra nel petto mio, e spira tue
si come quando Marsia traesti
21 della vagina delle membra sua
oetto dantesco ò in germe neUe parole di Paolo
apoitolo riferite nella nota all' Jfi/1 ii 28 ; a pro-
poiito delle quali Tommaso d'Aqoino, Summ,,
P. n a^, qn. olxxt, art 8, ayrerte appunto
che € tertinm coelnm dicitar ooelnm empy-
renm >• » 7. appreasjuido odo. il nostro in-
telletto aTTidnandosi a Dìo, ultimo fine dei
suol desidait (cfr. Pmrg, zzzi 34, Bar, xraa
46), si profonda tanto nella oognixlone di esso
ohe la memoria, Csooltà umana o limitata,
non pud seguitarlo, e però mancano le parole
a rendere compiutamente il pensiero. — 0.
cke retre eoo. cfr. Cbfw. m 8 : e La lingua
non d di quello che lo intolletto Tede com-
piutamente seguace >. — 10. Veramente ecc.
Ma pure quel tanto che del paradiso io potei
raccogliere e fermare nella mia memozia sarà
l'argomento della mia ultima cantica. — 11.
■MBtot o£r. ^. n 6. — 12. Malent cfir.
Pury, xvm 87. » 18. 0 bnoae Apollo ecc.
Neil' Epist a Cangrande 9 81 n distinguono
due partì di questa inrocazione: i'una per
chiedere l'aiuto d'ApoUo (▼▼. 18-21), l'al-
tra per persuaderlo alla oonoessione (▼▼. 22-
86); e cosi r inyocazione si distende per otto
tendne, che a taluno sono parse eooessìTe,
in confronto alla brevità osserrata rivolgen-
dosi alle Muse nell'/n/'. n 7-9 e nel ^trg, i
7-12. — all'nltimo lavore : alla terza can-
tica; cfir. Virgilio, Buo, z 1 : < Extremum
huno, Arethusa, mihi concede làborem >. —
14. fammi eoe fammi essere ricettacolo di
tanto valore poetìoo, suscita in me tanta virtù
di pensiero e di arte, quanta esigi per acoor-
daro la gloria dell' inooxonazione. — 15. amato
altere : fl lauro da te amato, perché in lauro
fn trasformata la tua Dafne (oftr. Ovidio, Mei,
I 462 e sgg.). — 16. Ialino eco. A cantare 1
regni del peccato e della penitenza mi è ba-
stato l'aiuto delle Muse ^ generale, Inf, u 7,
zxxn 10 ; in particolare, Calliope, Purg. 1 8,
o Urania, JWy. zza 87-43); ma per caatare
il regno della beatitudine ho bisogno che al-
l'aiuto delle Muse si congiunga quello di
Apollo, n monte Parnaso ha due vertici («Parw
nassus gmnino petit aethera ootts », Lucano
Fan, T 72, efkr. Moore, I 288) che sono va-
riamente denominati dagli scrittori antichi :
< Oinha et IHsa snnt ooUes Parnassi et est
umu ApoiUni, alter Libero oonsecratus » (oosi
un commentatore medioevale di Lucano, Fbn.
m 172); ma Dante sostìtni a Bacco le Muse,
alle quali presso fl Parnaso era consacrato
U fonts Castalio. Allegoricamente i due gioghi
sono intesi dalla maggior parte dei commenta-
tori come la scienza umana e la scienza di-
vina. — 18. nell'aringo ecc. nella trattazione,
che mi rimane a fare, della beatitudine dol
paradiso. Varchi 238: < Come eurrieuhan nella
lingua latina significa non solamente quello
che i gred dicevano ttadio, doè il luogo
dove s' esercitavano alla lotta, ed a correre
cosi gli uomini oome i cavagli, ma anoozm
esso corso; cosi aringo nella nostia significa
non solo lo spazio dove si corre, ma ancora
il corso; onde si dioe corrtre U primo aringo
o il Beoondo ». — 19. spira tife eoe. inspi-
rami a cantare con quella stessa eooellenza
di arte che tu dimostrasti nella gara oon
Marsia. — > 20. qnando ecc. Marsia, satiro
firigio, essendo venuto in possesso d' un flauto
già usato da Minerva, ne traeva dolcissimi
suoni, e montato in superbia osò sfidare
Apollo a una gara musicale: Apollo sonando
la cetra e cantando riportò a giudizio delle
Muse la vittoria, e potendo secondo 1 patti
far del vinto dò ch'd voleva, lo legò a un
albero e lo scortioò (cfr. Ovidio, M«L vi 382-
400). — 2L della vagina eoo. dalla peUe
ohe avvolgeva le sue membra. Venturi 671 :
< Invocando le Muse fl poeta rioord* fl ca-
stigo delle Piche; invocando Apollo, U sup-
PARADISO - CANTO I
B53
0 divina virtù, se mi ti presti
tanto che T ombra del beato regno
24 segnata nel mio capo io manifesti,
Tenir vedrà' mi al tuo diletto legno
e coronarmi allor di quelle foglie,
27 che la matera e tu mi farai degno.
Si rade volte, padre, se ne coglie
per trionfÌEure o Cesare o poeta,
80 colpa e vergogna dell'umane voglie,
che partorir letizia in su la lieta
delfica deità dovria la fronda
83 peneia, quando alcun di sé asseta.
Poca favilla gran fiamma seconda:
forse retro da me con miglior voci
86 si pregherà perché Cirra risponda.
Surge ai mortali per diverse foci
plizfo di llaraU: punizioni ambedue dell' igno-
ranza aadaoe e nialigna >. — 22. 0 dlTina
•oo. O diTina TirtA di Apollo, le ta yerrai a
me in quella misora che bisogna per espri-
nMie coi Tersi qoella pallida idea del para-
diso, die io bo potuto imprimere nella mia
mente, mi redrai oercare l'onore della ooro-
naziono pootioa eoo. ~ 26. e eeronaral eco.
Dante dedderò certamente la laurea di poeta,
come appare dalla prima edoga a Giovanni
del Viigilio, oye, rispondendo al retore bo-
lognese che l'aTOTa invitato a recarsi nella
sua città per essere incoronato d'alloro nella
f&rnosa università, scrisse (w. 48-50): « Quum
mandi oircumflna corpora cantu AstrìooUe-
que meo, velut infera regna, patebunt, De-
vincire caput hedera, lauroque iuvabit > ; ma
pensò e sperò sempre d' ottenere questo onore
nella patria sua, riapertagli in grazia del suo
poema : cfr. Pasr, xxv 1-9. ~ 27. che la na-
tera ecc. delle quali sarò fatto degno per
l'altezza dell'argomento trattato nel mio poe-
ma e per l'eccellenza di arte dispiegatavi col
favore d'Apollo. — 28. Si rade ecc. Cosi rv
ramente avviene che un Imperatore o un
poeta meriti la coronazione, cho la fronda pé-
«eia, l'alloro, quando susdta desiderio di sé
in alcuno, dovrebbe produrre nuova letizia
nella già lida deità delfica. Due spiegazioni
si danno di questa deùà d$lfiea: secondo la
maggior parte dei commentatori, dal Buti
e Benv. al Lomb., sarebbe Apollo stesso o
meglio la sua natura divina; secondo altri,
dal Varchi al Fanfìani, sarebbe il luogo sacro
di Delfo, ove ApoUo era adorato : comun-
que s* intenda, la sentenza generale del passo
resta la medesima, avendo Dante voluto dire
che il suo desiderio di meritare la laurea poe-
tica doveva muovere Apollo a inspirarlo de-
gnamente in quest'ultima parte del suo la-
voro. Per altre spiegazioni si of^. BulL III
180, X 86. — 29. per trionfare ecc. per il
trionfo d' imperatori o la coronazione di poe-
ti; ci^. Stazio, Ttb. vi 73: < Yatum dncum-
quo deous laurus >, e AohilL i 15 : e Cui gè-
minae florent vatnmque ducumque ... lau-
rus », e il Petrarca, son. ccLzm 2: « Gnor
d' imperadori e di poeti ». Si noti che quando
Dante scriveva doveva esser fkesco fl ricordo
dell'incoronarione di Albertino Mussato cele-
brata in Padova nel 1316 ; unico esempio
nell' età dantesca di simile onoranza resa a
un poeta. — 80. eelp* eoo. a cagione del
vergognoso traviamento che ha orìgine dalle
passioni umaRO. — 82. la fronda ecc. il
lauro, cosi detto da Dafhe Peneia, o figlia
di Penco, amata da ApoUo e trasformata
in quella pianta (cfr. Ovidio, MèL i 452-576).
— 34. Poca faiilla ecc. A una piccola fa-
villa tien dietro una gran fiamma, che di
quella si accende ; cosi al mio esempio segui-
terà l'opera di poeti migliori di me. — se-
conda : cf^. Purg, XVI 23. — 85. forse ecc.
forse dopo di me Apollo sarà invocato dalla
voce di poeti più eocellentL — 86. Clrra:
quello dei gioghi del monte Parnaso che era
consacrato ad Apollo, preso qui per la divi-
nità stessa : cfr. sopra la nota al v. 16. —
87. Sarge ecc. Come già ha fatto per gli al-
tri due regni (cfir. Jnf, n 1 e segg., IStrg. i
18 e segg.), Dante incomincia la descririone
del suo viaggio per il paradiso determinando
il momento in cui egli v' entrò, il momento
in cui sali dalla dma dd monte sacro verso
il ddo. Questi versi hanno dato origine a
lunghe discussioni astronomiche e cronologi-
che, per le quali cti, Ddla Valle, il sento
gtogr. ecc. pp. 101-106, SuppU al libro eco.
651
DIVINA COMMEDIA
la lucerna del mondo; ma da quella,
89 che quattro cerchi giunge con tre croci,
con miglior corso e con migliore stella
esce congiunta, e la mondana cera
42 più. a suo modo tempera e suggella.
Fatto avea di là mane e di qua sera
tal foce quasi, e tutto era là bianco
45 quello emisperio, e Taltra parte nera,
-1
pp. 10-19, làtove Hhutrox. dtUa D. (7., Faenza,
1877, pp. 96-97; Antonelli, Studi particolari
tutta D, C, pp. 21-26; YAOoheii e Bertao-
chi. La viBkm d< D. ^ pp. 20S • Mgg. ;
Finchexle, A eh» ora taK Dante ai eielo, Fir.,
188S. Dico Dante stsaeo (i^. min 106 •
segg.) ohe al mesogiomo (IS aprile) egli ai
troTava in quel ponto dal paradiso terreatie
ove acatoiisoono Letd ed Eonoè: Matelda
lo guidò ad immeigenl in Bonoè, e il poeta
accenna rapidamente d'euer tornato a Bea-
trice rinnorellato per quella immersione e di-
oliiara in modo esplicito di non deecrivere
partitamente qnel dolet ber, pecche gli manca
lo spasio • non lo laada pia gir lo fren del-
Varte* Qaesta dichiarasione presuppone una
certa materia da deocrìrere, e questa materia
sono i fhttl snooeesi dopo il mezsogiomo, sui
quali Dante trapassa • che noi non possiamo
con certezza sapere quali fossero (forse il con-
gedo da Matelda, la separazione da Stazio
eoe). Secondo alcuni interpreti (Benassuti,
Yaocheri e Bertacchi, Pincherle eccX Dante
sarebbe salito immediatamente Terso il cielo,
nell'ora del mezzogiorno, e ora perfetta, lu-
minosa, in cui O sole occupa il posto più su-
blime, come quel luogo celestiale > ; biveco,
socondo FAntoneUi e il Della Valle, il mo-
mento dell'ascensione ta l'alba del giorno se-
guente (per noi, 14 aprile), e Dante sarebbe
rimasto nel paradiso terrestre tutto il pome-
riggio o la notte dopo l'immersione. Questa
seconda opinione, conftKrtata dal senso che
quasi tutti i commentatori danno al t. i3, a
me sembra la più probabile, sebbene recen-
temente combattuta da paieoohi (cfr. BuU, X
80-81). — 88. la Ueena ecc. B sole (fam-
pada immdi, Lucrezio t 406; e è, in questo
mondo come la huenta nella casa >, Bistoro
d'Arezzo, Cbmpos. del mondo, i 18) appare
agli uondni sorgendo da diversi punti del-
l'orizzonte, secondo le Tarie stagioni ; e nel-
la primarera sorge da quel punto dell'oriz-
zonte che è determinato dall'incontro simul-
taneo di quattro cerchi (orizzonte, equatore,
eclittica, coluro equinoziale), dei quali i tre
ultimi intersecando il primo formano tre croci.
AntoneUi : < È indicato il punto cardinale di
levante; ma siccome per tal foce sorge il
Sole due ToHe l'anno ai mortali, il Poeta to-
glie l'ambiguo notando la droostanza del mi-
glior corso del Sole stesso e della sua con-
giunzione con stella migliore, drcostasza oho
addita la primarera, nella quale il grande lu-
minare è con le stelle d'Ariete, IkToiisoe le
nostre regioni di maggior luce e calore, è in
▼la di recarci l'estats, e con questa la ma-
tuiadoM delle Uade e dei fruttL Issomma
il Poeta ha voluto significare come al gran
volo che imprende a narrarci, oonconerano
le migliori condizioni, che la natura potesse
officirgli : o per tal modo riconfermasi la spe-
ranza da lui concepita allorché gli fa. dato
uscire dalla selva csou^ ». F. Angelitti, BuU.
yn 188, dà questa spiegazione: cB ade sor-
ge per diversi punti dell'orizsonte (/bei); ma
quando sorge dal punto Est (da qmOa eoe.),
esce congiunto con mlg^or oorso (pentbè per-
corre r Equatore) e con migliore stella (col
primo punto d'Ariete) >. — 89. maitre cer-
eht ecc. Alcuni commentatori. Lana, OtL,
Oass., Benv. ecc. credono che l cerdit accen-
nino allegoricamente le virtù «t«wiiw« e le
croci le teologiche, a signilcare ohe la grazia
divina rlsplende più viva e propizia là ove so-
no insieme congiunte le virtù. — 40. eoa mi-
glior ecc. col oorso della primavera, ohe reca
i giorni più belli dell'anno, e con la oostsl-
lazlone d'Ariete, che è la migliore di tutte per-
ché congiunta al sole al momento della crea-
zione del mondo, della nascita di Gdsto eoe
— 41. la mouAaaa eco. esercita meglio la
sua influenza e imprime più efficacemente la
sua virtù nella materia terrsna; feconda in-
somma deDa sua luce e del suo calore la terra.
— 48. Fatte ecc. Questa foee ossia punto car-
dinale di levante aveva già dato origine nel-
l'emisfero del Purgatorio alla mattina e nel
nostro alla sera; e perciò in quello il dnAo
era bianco per la luce del sole già sorto, in
questo invece era oscuro perché U sole era
già tramontato. Ant. : < S' intende come es-
sendo tutto bianco l' emisperìo celeste del Pu>
gatorio, l'altra parte, doò l'emisperlo opposto,
Il cui colmo d sopra (Gerusalemme, Ibsee tutta
nera, dovendosi riferire a tal fbee l'avverbio
guati, come attesta 11 &tto che il Sde aveva
già una declinazione boreale di parecchi gradi,
il perché non sorgeva in quel di per tal /boi,
che è fl punto cardinale di levante >. Ange-
Utti, 1. dt : < B guati, riferito a fbee, sta-
rebbe a dinotare 1* amplitudine ortiva, csia
PARADISO - CANTO I
555
quando Beatrice in sul sinistro fianco
vidi rivolta, e riguardar nel sole:
43 aquila si non gli s'affisse unquanco.
£ si come secondo raggio suole
uscir del primo, e risalire in suso
51 pur come peregrin che tornar vuole;
cosi dell'atto suo, per gli occhi infuso
nell'imagine mia, il mio si £dce,
54 e fissi gli occhi al sole oltre a nostr'uso.
Molto ò licito là, che qui non lece
alle nostre virtù, mercé del loco
57 fìitto per proprio dell'umana spece.
Io no '1 soffersi molto né si poco
ch'io no '1 vedessi sfiavillar d' intomo,
60 qual ferro ohe bogliente esce del foco; *
e di subito parve giorno a giorno
essere aggiunto, come quei che puote
63 avesse il ciel d'un altro sole adomo.
Tarco di orizzonte tra il ponto Est • il ponto
in eoi il sole sorger» quel giorno ». — 46.
qmmi0 eoo. Beatrice xigosidaT» nel sole,
stando Toltata dalla soa parta sinistra; poi-
tàé neU'endafBro anatrale ohi goarda ad oriente
ha U sole alla sinistra. — 48. afaUa t né
Bai aqoHa fissò con tuita sicoresxa gli oochi
nel disco solare. La sJmiUtndlne si fonda solla
cndenxa degli antichi ohe l'aqolla ayrezzi i
saol figli a sostenere la Tista del sole; ore-
danza coi accennano molti trattatisti (da Ari-
stotela, D$ mimoL cap. 84 a B. Latini, Ta-
taro m 8) e non di rado anche i poeti p. es.
LMaao, Fan, iz 903 : < Utqoe loris rolo-
osK^ oalido oom protolit oro Implomes natos,
soUs eenrertit in ortos; Qoi potoore pati ra-
dloa, et lamine recto Snstinoere diem ooeli > :
e£r. andie Bar, zzi 8L — naf aaneo : cfir.
Airy. IT 76. — 48. I sf eome eoo. Come il
raggio riflesso si genera dal raggio diretto e
risaie Terso Tatto in contraria direzione, a
gnisa di on pellegrino che gionto al termine
di eoo Tiaggio rifa in senso opposto la strada
per tonare in patria eoe La comparazione
è la stsssa del Airy. zt 16-21 ; se non che
qvi il &tto fisico è rappresentato con franca
e sioara parola non impedita da frange so-
perfloe di sdentiflca erodixione, e qoasi ani-
mato dalla similitodine inchioBavi del pelle-
grino. — 51. par eoaM eco. Nota il Parodi,
Batf. m 85 che Dante € Tede e sente per
t«— ptwi o anche ona semplice parola e an-
che il pensiero pi4 estroso o più impalpabile
e il n^onamento più astratto assome sabito
neDa soa stente ona forma concreta di cosa
sottoposta ai sensi, e, per esprimerci al mo-
do antico, 9' ineama >; e cita come esempi
questo Terso e gli altri del Par, u 35-36,
z 89-90, zm 130 esegg. — 52. easf ecc. cosi
dall'atto di Beatrice, che per mezzo del senso
tVL percepito dalla mia mente, si generò Tatto
mio, e anch'io fissai gli occhi nel sole. > 54.
oltre a aestr'aso t poiché, come Dante dice
nel Con», n, 14, € proprietà del sole è ohe Too-
ohio no '1 possa sostenere >, TafiSsarsi in eaM>
d atto soperiore all' oso omano, atto soprsna-
torale, del qoale il poeta s'affretta a rendere la
ragione. — 55. Molto ecc. Nel Paradiso ter-
restre, dato già da Dio al primo nomo come
pegno dell'eterna beatitodine(cfr. Pmg, zznu
92), le facoltà omane per Tinfloenza eseroi-
tata dalla perfezione del loogo sono oapad
di molti atti, che qoi nel nostro mondo non
sono concessi. — 58. Io ae 1 eoo. Non so-
stenni la Tista del sole molto longamente,
ma né por cosi poco tempo ch'io non aTOssi
agio di Tederlo sfaTillare nel cielo, con qoella
stessa intensità di loco che appare nel ferro
osdto bollente dai fboco. — 60. qaal ferro
eoe ofr. Piar, zznn 89-90. — boglieate : bol-
lente ; ofr. Purg. zzto 48. — 6L 41 saMto
ecc. a on tratto parre raddoppiarsi U loca
del giorno, cernesse Dio sTesse dato al dolo
on allzo sole. Qoesto accrescimento della loco
significa TaTTidnarsi di Dante alla sfera del
f^ooo, prìndpio dei regni soperiori alla terra,
e della soa trasomanazione : cfr. t. 79 e segg.,
oTe la condizione di qoesta sfera è più com-
piotamente descrìtta, mentre qoi è solo ac-
cennata. — 62. qoel ehe paete : Dio, ohe poò
creare, se Toole, on altro sole. — 68. sTesse
eco. Di qoesto Terso si ricordarono opporto-
namente l'Ariosto, OrL z 109 : < E par che
aggiunga on altro sole al cielo », e il Tasso
556
DIVINA COMBfEDU
Beatrice tutta nell* eteme rote
fìssa con gli occhi stava: ed io in lei
66 le luci fissi, di là su remote.
Nel suo aspetto tal dentro mi fei,
qual si fé' Glauco nel gustar dell'erba,
69 che il fé' consorto in mar degli altri dei.
Trasumanar significar ptr x>wba
non si porla; però l'esemplo basti
72 a cui esperienza grazia serba.
S'io era sol di me quel ohe creasti
novellamente, Amor che il ciel governi,
75 tu il sai, che col tuo lume mi levasti.
Quando la rota, che tu sempiterni
desiderato, a sé mi fece atteso
78 con l'armonia che temperi e discemi.
:i
Qw, <t&. XIV 6 : < Qael novo aspetto, Che
por d'un sol mintbllmente adorno >. — 64.
Beatrice ecc. Beatrice tenera attentamente
gli occhi nei deli, ed io rimorendo i miei
occhi dal sole li fissai nel Tolto di lei. Cosi
la grazi* divina trapassando per l'aspetto di
Beatrice a Dante lo innalzava alle sfere ce-
lestL — 67. Kel sa» ecc. Qnardando cosi nel
volto di Beatrice passai aX divk» dall'umanot
(M'eterno dal tempo {Pur. xxn 87), provai in
me quella stessa tramntazione dallo stato
omano al divino che provd 01aaco. — 68.
qaal il fé* eoo. Olanco, pescatore della Beo-
zia, vedendo che i pesci al contatto di un*
oerta erba riprendevano la vita, volle assag^
giamo e diventò un dio del mare. Dante lesse
la liavola in Ovidio, il quale descrive oosf il
tn^asso di Glauco dallo stato umano al di-
vino {Mei, xm 944) : < Vlx bene combiborant
ignotos guttura succos, Cum subito trepidare
intus praocordia sensi, Alteriusque rapi na-
turae pectus amore. Nec potui restare din,
* Bepetendaque nunquam Terra, vale ' disi,
oorpusque sub aequore mersi. Di maris excep-
tum socio dignantur honoro, Utque mihi, quae-
cunqne feram mortalia, demant, Oceanum Te-
thynque rogant». — 70. Trasamanar ecc.
Non si pud significar con parole il passaggio
dallo stato umano allo stato divino, il € mon-
tare dalla umanità alla diviiJltà », dice il Buti;
di che la ragione ò data da Tomm. d' Aq.,
Summ. P. I, qu. xn, art 6 : « Facultas vi-
dendi Deum non competit intellectui creato
secundum suam naturam, sed per lumen glo-
riae, quod intellectum in quadam doiformitate
oonstituit». — 71. però eco. per questo ba-
sti Tesempio di Glauco a coloro, ai quaU la
grazia divina riserba di sperimentare in sé
stessi cotale tramutazione. ~ 73. 8' lo era
ecc. Secondo che intesero rettamente quasi
tutti i commentatori antichi e moderni, è ma-
nifesto òhe Dante vuol esprìmere qui lo stono
pensiero delle parole di Paolo apostolo rife-
rite in ^. n 28 ; < se fu in corpo, o ftaor
del corpo, io non so >. Dice adunque : Se io
era solamente anima o se saliva verso il cielo
col mio corpo (cfr. Bar, n 87), lo sai tu, o
Signore, che con la tua grazia mi aoUevssti
ecc. — q«el die eoo. < soilioet anima > po-
stilla il Oass.; infatti, secondo le dottrine pro-
fessate da Dante {Fitrg, xxv 61-78), Dio in-
fonde Tanima nel ooxpo umano nettUammàe,
cioè da ultimo, quando questo è già Ibnnato.
— 74. Ànor ecc. Forse d ricordo di Boesio,
ohe chiama Bio (PhìL eonM. n, poeaiaS) « ooelo
Imperìtans amor» (cfr. Moore I 284). — 76.
QaAido ecc. Allorehé il movimento dal deli,
che tu rendi etemo per il desiderio eh* essi
hanno di te, attirò a sé la mia attanrione con
l'armonia che tu regoli e distinguL — 77. dail-
derato: U desiderio di rìoongiungani con Dio
è il prindpio motore dei deli; come Dante
stesso accenna nel Cbnv. n 4, icriva&do ohe
r Empireo « è cagione al primo mobile per
avere velocissimo movimento, ohe per lo fer>
vontìssimo appetito che ha ciascuna sua parte
d'esser congiunta con ciascuna parte di quello
divinissimo dolo quieto, in quello d rivolve
con tanto detiderio ohe la sua relodtà è quasi
inoomprendbile ». — 78. Panttoala eoo. Tai^
monia deUe sfere celesti (aooennata anche in
PuTff. XXX 96) fu ammeasa già da Pitagora,
da Platone, da Oicerone e da altri filosofi ;
ma Dante sembra che ne attingeaso l' idea
da Oicerone, presso il quale Kasdniasa qdaga
aSdpione l'origine del suono (flòmwfcaii So^},
— temperi a dlseemli i commentatori non
sogliono essere molto eaatti nella spiaga-
rione di questi due verbi, suggeriti maail<»-
staments a Dante dalle parole di Gioerone :
< Eie [dulcis sonus] est, qui intervaliia oo-
niunctus imparibus, sed taman pro rata par-
PARADISO — CANTO I
557
parvemi tanto allor del cielo, acceso
dalla fiamma del sol, che pioggia o fiume
81 lago non fece mai tanto disteso.
La novità del suono e il grande lume
di lor cagion m'accesero un disio
84 mai non sentito di cotanto acume.
Ond*ella, che vedea me, si oom'io,
a quietarmi l'animo commosso,
87 pria eh* io a domandar, la bocca aprio;
e cominciò : < Tu stesso ti fai grosso
col falso imaginar, si che non vedi
90 ciò che Tedresti, se 1* avessi scosso.
Tu non se' in terra, si come tu credi;
ma folgore, fuggendo il proprio sito,
93 non corse, come tu eh' ad esso riedi ».
S'io fui del primo dubbio disvestito
per le sorrise parolette brevi,
96 dentro ad un novo più fui irretito;
e dissi : « Qià contento requievi
di grande ammirazion; ma ora ammiro
99 com' io trascenda questi corpi lievi ».
tiam imtion» HatindU, impolnictmotaipao-
nun orbium conflcitiir; qui aonta oom gm-
TUms Uffiperantt Tuios aequabiliter ooncen-
tas effidt >. Onde •! lioava oh» il vb. iemptrar»
signiflcA rtgolant aecordaré; e Q Tb. ditotmere
significa disimiffueny dùtribuin : poiohé Dio
dictribnisoe i tuoni tr» le Tuie sfere e li «o-
oocdA foinuuìdo l'etamA annonia. — 79. par-
Tead eco. ai apparre una parte ooei grande
della slÌBra dal ftiooo che mai d formò ooei
ampio lago per pioggia caduta o per fiume
straripato. 0ià nei tt. 61-68 Dante ha accen-
nato alla sfera del faoco, la quale secondo le
teoriche da Ini professate, sta in mezzo fra
la tena e il dolo deUa Inna : qni, dopo la
brerre digressione sol trosuirumarv, speoifioala
condizione di qoesta sfera dicendo che in essa
risonava Tarmonia dei deli e rifrigera una
luce abballante eome di eMo aeeeao dalla
fiamma dA mL Erronea d Topinione del Bntì,
seguito da parecchi, che il grtmd^ kmè sia
qneflo ddla hma; né ha snifidente fonda-
manto la tendenza di alooni moderni a ne-
gale dia Dante accenni alla sfera dd fboco.
— 88. di lev eagloa: di conoscere la ca-
gione ddl' annonia e ddlo splendore. — 84.
sisl naa eco. ooei forte, che io non arerà md
sentito l'ognale. — 86. ella, oke eoe Beatrice
conosoera i pensiert di Dante, senza eh' egli
avesse bisogno di manifestarli, poichó li Te-
derà in Dio (ofr. Fair, n 27, xr 70, xxi 49,
zzm 106, zxnn 97, zxix 11). — 86. eeih
stessa : agitato dal dedderio di conoscere la
cagione del snono e del lomo. — 88. Ta stesso
eoo. Tn stesso, imaginando dò che non è, pen-
sando di essere ancora sulla terra, ti rendi
incapace ad intendere quello ohe ISsdlmente
capiresti, se tu aresd rimossa da te ootesta
fdsa idea. — 92. ma folgore eco. ta corri
Torso il ddo, che è il tuo proprio luogo, oon
Tdodtà maggiore di quella ddla folgore che
abbandonando la sfera dd fuoco da lanciata
Terso la terra. — 98. ad esse rledl t al dolo,
«proprio dto» delle anime, ritomi; poichó
r anima usdta dalle mani di Dio sos^ra sem-
pre di ricongiungerd a lui (cfr. Pmrg, xti 85
e segg.). Dante stesso scriTo nel Gmv. it 28:
« La nobile anima ritorna a Dio, d come a
quello porto, ond'dla d partio quando Tenne
a entrare nel mare di questa Tita >. — 91.
primo dubbie : droa la cagione dd suono e
dd lume. — 96. per le sorriso eoe per il bre-
re discorso (tt. 88-93) olio Beatrice mi fece
sorridendo. — 96. dentro eco. mi troTd aT-
Tolto dentro a un dubbio più grare e strin-
gente. — 97. Già contento eoe Sodisfatto
dalle tue parole, mi sono già calmato per dò
che riguarda il suono e il lume; ma orami me-
raTìglio come io essendo ancora aom tìto
possa attraTorsare sdendo questi corpi leg-
gieri, la regione dell'aria e del fàooo. — 99.
cori4 fieri : gli elementi dell'aria e del
568
DIVINA COMMEDIA
Ond'ella, appresso d'un pio sospiro,
gli occhi drizzò vèr me con quel sembiante
102 che madre fa sopra figliuol deliro;
e cominciò : < Le cose tutte quante
hann' ordine tra loro; e questo è forma
105 che l'universo a Dio fa simigliante.
Qui veggion l'alte creature l'onna
dell'eterno valore, il quale è fine,
108 al quale ò £B.tta la toccata norma.
Nell'ordine ch'io dico sono accline
tutte nature, per diverse sorti,
111 più al principio loro e men vicine;
onde si movono a diversi porti
per lo gran mar dell'essere, e ciascuna
114 con istinto a lei dato che la portL
Questi ne porta il foco in vèr la luna,
questi nei cor mortali è permotore,
117 questi la terra in sé stringe ed aduna.
Né pur le creature, che son fnore
d'intelligenza, quest'arco saetta,
120 ma quelle e' hanno intelletto ed amore.
ftaooo. » 100. pio toiplro t segno dellA oom-
puslone ohe Beatrice proTava dell' ignoranza
di Dante. — 101. cea quéi eoo. con qnel-
V affettaoeo atteggiamento del toHo ohe ha
la madre quando contempla 11 figlinolo de-
lirante per malattia. Queste medoeima si-
militudine ricorre oon più abbondanza di pa-
role, ma non oon maggiore efficacia, nel jRir.
zxn 4-6. — 108. • eoatlaelè : Beatrioe espo-
ne a Dante 1* ordine dell' unirerso, per chia-
rirlo del dubbio da lui concepito riguardo alla
sua ascensione Terso i cieli; e sebbene la ma-
teria sia puramente scolastica e teologica e
dedotte in gran parte dalla Summa di Tom-
maso d' Aquino, pur ò notebile il modo onde
11 poete ha saputo renderìa agevole e de-
scriverla con forma elegante: perd a ragione
note il Varchi 840 : < Beatrice fa un discorso
tanto dotto, tanto breve e tanto sottile circa
l'ordine dell' universo, che a me pare impos-
sibile che tante cose e si grandi si potessero
ristrignere in tanto pochi versi e cosi leggia-
dre parole >. — I^e eose eco. Tutte le coso
create sono ordinato tra loro, le une rispet-
tivamente alle altre, e quesf ordine è il prin-
cipio che dà unità alle cose create renden-
dole simQl a Dio : cfr. Tomm. d' Aqu., Stmtm.^
P. I, qu. XV, art. 1 : < Quia mnndus non
est casu foctus, sed est factns a Deo per
intellectum agente, neoeese est quod in mente
divina sit forma ad simiHtudmem cuìtu mun-
àu$ ttt faetua ». — 106. Qui Teggloa ecc.
In questo ordine dello cose create gli es-
seri superiori (gli angeli, secondo alcuni;
gli uomini, secondo altri; gli angeli e gli
uomini insieme, secondo parecchi oommeB-
tetori antichi e moderni) rioonoocono il se-
gno della sapienza di Dio, che è 11 fine ul-
timo cui ò subordinato l'ordine accennato.
— 109. H ell'ordlM eoo. In quetf ordine tutto
le cose create sono disposte ricetto a Dio,
ultimo fine, in diversa maniera, alcune es-
sendo più, altro meno vidne a Dio stesso.
— aeeliae: queste forma di plurale (cft. I^,
XV 9) era prevalente nell'uso comune, anche
della prosa (ofr. Parodi, BuiL JH 122). —
110. per dlTsrse sortii sono distinte da
Tomm. d'Aqu., Summ,, P. I, qu. ux, art 1,
ove dice che procedendo tette lo cose da
Dio tutte sono inclinate al bene, alcune per
appetito natarale, altre per appetito sensttiTo,
altre per la ragione. — 112. oaée ecc. però
nell'immensità dell'esistenza lo coso cnate
sviluppano ciascuna la lor propria tendenza,
in oonformità al partioolare istinto che la tne
al suo proprio fine; ofr. i w. 180 e sogg.
~ 116. (jnevtt ecc. Questo istinto solleva il
fuoco verso la sua sfera tn la terra e la luna,
questo istinto muove agli atti loro gli aaifflalì
irrazionali {oor «nortali), questo istinto è la
forza di coesione che raccoglie e tiene insieme
le parti della terra. — 118. lU por eco. E questo
naturale istinto (cfir. v. 125) domina, non solo le
creature irrazionali, ma anche gli angoli e gli
uomini. — 120. f«elle ecc. Varchi : « Oli an-
geli non muovono ad altro oUctto cho por as-
PARADISO - CANTO I
659
La provvidenza, che cotanto assetta,
del suo lame fa il del sempre quieto,
123 nel qual si volge quel e' ha maggior fretta.
Ed ora 11, com*a sito decreto,
cen porta la virtù di quella corda,
126 che ciò che scocca drizza in segno lieto.
Ver ò che come forma non s'accorda
molte fiate alla intenzion dell'arte,
129 perché a risponder la matera è sorda;
cosi da questo corso si diparte
talor la creatura, o' ha potere
132 di piegar, cosi pinta, in altra parte
(e si come veder si può cadere
foco di nube), se l'impeto primo
135 a terra è torto da falso piacere.
Non dèi più. ammirar, se bene estimo
lo tuo salir, se non come d'un rivo
138 se d'alto monte scende giuso ad imo.
Maraviglia sarebbe in te, se privo
d'impedimento giù ti fòssi assiso.
umUf^ianA » Dio, oh' è il lor fine; e gli no-
■iolf M non foMOO tn,TÌati dai pi«o«ri mon-
dani, aomprt si lirolgerebbeio a Dio, da coi
tono aempra chiamati, ed in nn oerto modo
dal dolo». — > 121. La proTrliensa eoo. Dio,
ehe hn dato qoeaf ordine all' nnireno, oomn-
Bioa immediatamente la eoa hioe al dolo Em-
pireo, nel quale d volge il Primo mobile, il
pid Télooe di tattt — 122. fa U tìék eoo.
Dante, Oom. n 4 : « Qaesto quieto e pacifico
eielo iy Empireo] è lo luogo di qoella somma
deità, ohe sé sola oompintamente redo >. —
126. Ed em eoo. Ora la forza di qnell' istinto
natozale, il coi line è sempre lieto perché se-
gnato da Dio, d porta Terso fl cielo Empireo,
eome a laogo determinato, doè direttamente.
— 125. di ^ella eerda eoo. Continua 1* ima-
gine dell'arco (ofr. t. 119), suggerita forse a
Dante da Tomm. d'Aqu., Summ,, P. I, qu.
ixm, art. 1 : < Ad illud autem ad qnod non
potsat aliquid virtuto suae naturae pervenire,
oportet qnod ab alio transmittatur, siout sa-
gitta a sagittante mittitur ad signum >. ~
127. cerne fema eoo. come spasso accade
che all'intendono dell'artista non risponda
la forma, perché la materia non ò disposta
ad atteggiarsi in questa forma, cosi ayyiene
alcuna volta ohe l' uomo per la libertà del-
Faibitrio s'allontana dalla via del bene e
prende quella del male. Venturi 889 : < Con
sottile concetto paragona l'amore del bene,
spirato da Dio nel cuor dell' uomo, all'inten-
dimento ohe ha l'artista di fu buona l'opera
sua; e 0 mal tuo della volontà, la quale deve
tradune in atto quella indinadone, alla forma,
per cui l'intendimento dell'artista d fa opera
d'arte ». — 129. perché eoe Dante, Oom, u
1 : « Impossibile ò la forma venire, se la ma-
teria, dod Io suo soggetto, non è prima di-
sposta ed apparecchiata > ; ove è ripetuto dò
che già aveva detto Tomm. d'Aqu. 8mmn,f
P. I 2^t qu. IV, art 4 : « materia non potest
consequi formam, nid dt debito modo dispo-
dta ad ipsam ». — 180. dm qneste eorso t
dalla via dd bene. — 131. la ereatvra eoe
r uomo, die per il libero arbitrio (ofr. Purg.
zvi 61-81) pud, sebbene naturalmente tratto
al bene, prendere la via dd male, quando la
naturale tendenza sia vdta alla tùia, al peo-
oato, dalle fslse parvense di bene. — 186.
Hon dèi eco. Non devi quindi meravigliarti
per il tuosalire verso il ddo, oome non ti m^
raviglieroeti ohe le acque d' un fiume scen-
dano dal monte alla valle : per te, ormai pu-
rificato oon l'immerdone in Eunoè, è atto
naturale il salire dalla terra al ddo, oome
per le acque dd fiume U discendere dall'alto
al basso. — se bene ostine: se sono riu-
sdta a dimostrarti la ragione del tuo salire. <—
189. Maraviglia eco. Sarebbe cosa meravi-
gliosa in te, dovrebbe ecdtare la meraviglia
degli altri rispetto a te, se trovandoti ormai
libero da ogni morale impedimento, essendo
< puro e disposto a salire alle stelle > (ISurg,
min 145), fosd rimasto giù in terra, invece
di innalzarti al dolo. — 140. gld ti fessi as-
siso : 0 vb. assiderti esprime l' idea dd pre-
paiaid a rimanere, oon ogni agio, lungamente
560
DIVINA COHMEDIi.
142
come a terra quiete in fòco vivo ».
Quinci rivolse in vèr lo cielo il viso.
in un dato luogo; quasi Beatrice dioeiee a
Dante : so ta non ayeasi abbandonato più il
luogo ove s'era compiuto il tuo rinnoTamento
morale. Questo passo quindi non contrasta,
come a prima Tista potrebbe sembrare, con
r interpretazione dei vr. 87 e segg., riatto
al momento in cui oominda l'ascensione di
Dante. — 141. cerne a terra eoo. come sulla
terra farebbe meravigliare la quiete nel taooo
Tiro, n fboco d quieto nel suo stato perfetto,
cioè quando ò nella sua sfera (cfr. Tomm.
d'Aqu. Sìimm.f P. I, qu. ti, art. 8: e Peifectio
ignis est, secundum quod in looo suo quie-
idt»): questa perfezione non pu6 cesoie ta
terra ore il faooo,ò ftaori del luogo suo; per-
do in terra sarebbe meraviglioso che il ftiooo
fosse in uno stato di quiete. L'idea che il
ftiooo folla terra abbia sempre la twnienma
a saUre è propria di Aristotele, jn». n l,AÌ0a
Nio, n 1, 2 e Dante la enundd ripstot»-
mente (Pitrg, xvm 28, Ar. ir 77, zzxn 40,
Cam, vr 9 ecc.). — 142. Quisei eco. Ooapiuto
il suo ragionamento, Beatrice, che prima di
oomindario aveva rivolti afléttnosameate gli
ooohi a Dante (cfr. w. 100-102), li
novamente verso 0 dolo.
CANTO n
Oltrepassata la sfera del ftioco. Beatrice e Dante salgono al primo cielo,
qnello della Luna; e appena yi sono ginnti Beatrice dimostra a Dante la
folsità dell* opinione da Ini professata oirca le macchie Innari e gli espone
la vera ragione di questo fenomeno [14 aprile, ore antimeridiane].
0 voi, ohe siete in piocioletta barca,
desiderosi d'ascoltar, segniti
8 retro al mio legno che cantando varca.
n 1. 0 Tel eco. Prima di procedere oltre
nella descrizione del suo fantastico viaggio.
Dante rivolge un ammonimento ai lettori, por
avvertirli che la materia della terza cantica
d tanto alta e solenne ohe a comprenderla
pienamente non bastano le cognizioni ristrette
della più usuale ooltura, ma bisogna un largo
e profondo corredo di scienza, che non è di
tutti gli uominL Nò questo ammonimento èf
come parve a taluno, pomposa e superba
ostentazione di sapienza, si bene l'espressione
sinoeta e opportuna dell'alto concetto ohe
Dante aveva dell' opera sua : egli sentiva be-
nissimo come pur gli uomini comuni potes-
sero commuoversi innanzi alle scene passio-
nate e terribili dell' inferno e come le anime
buone potessero seguire con un continuo so-
spiro di desiderio la salita del poeta per le
dold mitezze del purgatorio ; ma anche in-
tendeva che delle difflcili questioni sdentifiche
e delle alte trattazioni teologiche della terza
cantica non potessero renderd ragione sicura
se non le menti nutrite per tempo col pan$
degU angeU; però l'avvertimento salutare a
non tentare il difficile cammino era opportuno
e doveroso. Si ofir. questo avvertimento col
proemio del Cknw, i 1, ove Dante con più
temperato linguaggio enuncia gli stessi con-
cetti. — ehe slete ecc. che, desiderosi di
ascoltare, avete tenuto «lietro allo svolgimento
dell'opera mia con piccolo corredo di cogni-
zioni flloeoiiohe e teologiche. L' ìmagty^ ^^jq^
navigazione, per esprimere l' idea della trat-
tazione e dello studio di un difficile argo-
mento, era abbastanza usuale anche prima di
Dante (cfr. BulL IX 202). — 8. retr^ eoo.
dietro al mio poema che si viene eepUcando
ed assurge sempre più alto. Osserva giusta
mente C. Balbo, Vita di DemU, FIr., 1868,
p. 898 : < L' ultima Cantica d tra le tre parti,
tutte difficili e sovente oscure della Oonmm
ita, quella che ha nome di più dUBdle e
oscura. N6 il nome ing^nnA^ e invano afòr-
serebbed chicchessia di ridestar nel comuae
de' lettori l'attenzione che Dante non procao-
dd a sé stesso. D comune de' lettori è e sarà
sempre trattenuto dagli ostacoli e dalle alle-
gorie qui crescenti, dall'ordine de* deli dispo-
sto secondo il dimenticato dstema di Tokaieo,
e, più di tutto, dalle esposizioni di filosofia
e teologia, cadenti sovente in ted quad sco-
lastiche. Eccettuati i tre canti di Caodaguida,
ed alcuni altri episodii, ne' quali d zitona
in torra, e i fluenti ma brevi verd in che
di nuovo rìsplende l'amore a Beatrice, 0 Ai-
radiso sarà sempre meno lettura piacevole al-
l' universale degli uomini, ohe non ricreasioBe
speciale di coloro a cui giovi ritrovare eepresss
in altissimi verd quelle contemplazioni ao-
pranaturali che fkirono oggetto de' loro stadi
di filosofia e di teologia. Ma questi stndiod
di filosofia e teologiai ohe sempre saran pò-
PARADISO - CANTO U
561
tornate a riveder li vostri liti:
non vi mettete in pelago; ohe forse,
6 perdendo me, rimarreste smarriti.
L'acqna ch'io prendo giammai non si corse:
Minerva spira, e condncemi Apollo,
9 e nove Muse mi dimostran l'Orse.
Voi altri pochi, che drìszaste il collo
per tempo al pan degli angeli, del quale
12 vìvesi qui, ma non sen vien satollo,
metter potete ben per l'alto sale
vostro navigio, servando mio solco
15 dinanri all'acqua che ritoma equale.
Quei gloriosi che passare a Coleo
non s'ammiraron, come voi farete,
18 quando Giason vider fatto bifolco.
chi, e quelli principalmente, ohe por troppo
SODO ancora poohissinii, a coi quelle dne scienze
appariscono qnasi ona sola cercata con dae
metodi diTeni: questi troTeranno nel Para-
dito di Dante un tesoro, oh' io mal dissi di
ricreacioni, ed d anzi d'altissime e soavi oon-
solaiioni, annunziatrld di quelle del vero pa-
radiso >. — 4. tenfttt eoo. rimanete con-
tenti aUn lettura delle due prime eantiche, le
qoaU non eorpasMino la rostra capacità, e
non oeate d'affrontare la terza che d tanto più
diiBcile ed atta. — 6. perdeade ne t non
aTeado fune sufficienti per tenermi dietro.
— 7. L' eeqma eoo. La materia, che io intra-
prendo a cantare in questa cantica, non tu.
mai da alcuno trattata poeticamente. Dante,
si Tede, non oonoseera i tentativi di rappre-
sentazioni poetiche del paradiso, fatti prima
di lui, come ò per esempio il poemetto di 0ia-
oomino da Verona deDa Chmtatmmne oeUsU :
ma, se andhe li oonobbe, non poteva giudi-
carli degni della solenne materia. — 0. e neve
Saie eoo. e mi segnano la direzione del cam-
mino le nove Muse, le protettrici dell'arte e
della poesiSL Goti intesero gli antichi, dal
Lana al VélL; primo il Dan. dubitò se col
«ose s'indicasse il numero deUe Muse o non
pid tosto delle nuova Muae, diverse da quelle
degli antiehL Dai moderni, alcuni accettarono
la pld usuale spiegaziotte ; e altri sviluppa-
rono la seeonda accennata dal Dan. ammet-
tendo ohe Minerva sIgnHIohi qui la sdenza
delle cose sacre, ApoUo lo spirito santo, e le
«Niose Muse siano oome personificazioni dei
sentimenti e delle idee cristiane. È ragione-
vole oredaro che Dante, parlando da poeta,
intendesse di parlare deUe nove dee di Par-
naso, già da M invocate collettivamente nel-
Vlnf. n 7 eee. — ad dimoitraa eoo. Varchi:
€ Seguita meravigliosamente la presa meta-
DAim
fora, perciocché oome ciascuna nave ha bi-
sogno di tre cose a salvamente giungere in
porto, dei venti favorevoli che la spingano,
d' un piloto pratico ohe la regga e governi,
e di chi ne dimostri l'Orse, cioè Q polo me-
diante il quale si naviga oggi : ooei ciascun
poeta ha bisogno di tre cose principalmente,
della invenzione ovvero subbietto, della di-
sposizione ovvero ordine, déU'eloonalone ov-
vero ornato parlare ». — 10. drizzaste eco.
che sino da giovani alzaste la mente alla
scienza delle cose divine. — 11. pan degli an-
geli t è locazione scritturale (Solm. Lzxvn
26, 8op(«n. zvi 20) già usata da Dante nel
Ooiw. 1 1 : < Oh beati que' pochi che seggiono
a quella mensa ove il pane degli angeli si
mangia, e miseri quelli che oolle pecore hanno
comune cibo I > — del quale ecc. del quale
pane situale l' uomo può in terra cibarsi,
ma non saziarsi, perché la oompiuta cogni-
zione di Dio si ha solo nel delo. — 18. alto
sale t mare profondo, pelago : moU in questo
senso è latinismo non usuale. — 14. navigio x
Varchi : < non disse barchtttaf ma navigiOt per
dimostrare che essendo in gran legno e siddo,
cioè usati a specolare, non portano pericolo
di rimanere indielzo e smarrirsi come qnoi
primi ». — servando eoo. seguitando passo
passo il mio cammino, tenendo dietro al solco
della mia nave, innanzi alla superUde delle
acquo tornata piana. — 16. Quel gloriosi ecc.
Voi vi meraviglierete assai pid die gli Argo-
nauti, passati per mare nella Colohlde, non
fecero allorché videro Giasone (cfr. £»/. xvxn
86) che arava il campo coi due tori spiranti
fla.mf»>a. dalle narL A^"'^*^ alla deeorizione ohe
della meraviglia degli Argonauti fa Ovidio,
MèL vn 100 e segg. : < Suppodtoque iugo
pondus grave oogit aratri Ducere, et insuetum
ferro prescindere oampum. Mirantur Colchi : »
86
562
DIVINA COMMEDIA
La concreata e perpetua sete
del deiforme regno cen portava
21 veloci, quasi come il ciel vedete.
Beatrice in suso, ed io in lei guardava;
e forse in tanto, in quanto un quadrel posa
24 e vola e dalla noce si discbiava,
giunto mi vidi ove mirabil cosa
mi torse il viso a sé; e però quella,
27 cui non potea mia opra essere ascosa,
volta vèr me si lieta come bella:
< Drizza la mente in Dio grata, mi disse,
80 che n*ha congiunti con la prima stella».
Pareva a me che nube ne coprisse
lucida, spessa, solida e polita,
83 quasi adamante che lo sol ferisse.
Per entro sé l'eterna margarita
ne recepette, com'acqua recepe
86 raggio di luce, permanendo unita.
ofr. Moore, I 227. — 19. La Miereato eoe
Dante riprende U descrizione della sua ascen-
sione dioendo che l'istinto di salire al cielo
Empireo portara st Ini e Beatrice con quella
stessa Telodtà con la quale si mnore il dolo
stellato ; doè, secondo 1 calcoli dell'Ani, rag-
goagliatì alle cognizioni astronomiche degli
antichi, con la Telodtà di oltre 84 mila mi-
glia al minuto secondo, maggiore di quella
della folgore (cfr. Bir, 1 92). — seU del del-
ferae eco. il dedderio istintÌTo di salire al-
l' Empireo fitto a imagine di Dio, dedderio
innato (Mmomato) nell'animo umano e ineetin-
guibUe (perpttua : ofr. Purg. xn 1). — 22.
Beatrice ecc. ofr. Bsr, i li2. — 28. In tanto
ecc. nd brevisBimo spedo di tempo in che
uno strale s' appunta nel segno e trascorre e
d stacca dalla balestra eoo. La similitudine
è frequente nd poeti nostri, e in Dante stesso
{bif, Tm 18, xvu 183, Bar, t 91); ma quid
di singolare efficacia per la novità e rapidità
delle ospresdoni corrispondenti alla suooee-
done delle adoni realL — yosat sta fermo
ndla balestra, dal momento in cui t' d po-
sato a quello in cui scocca; che è appunto
U tempo necessario al balestriere per mirare
d segno. — 24. dalla noee eco. d stacca
dall'osso ddla bdestra, ore lo strde d pone
ed è fissato, prima di soocoare : si di$ehiana,
d dischioda, d sdoglìe, come $i dwima del
Bar, zza 86. — 25. ève alrabU eoo. ove la
luna, con il suo temperato splendore, attirò a
sé il mio sguardo che prima «ra fisso in Bea-
trice. — 26. f nella ecc. Beatrice, cui non era
ascoso dcun atto della mia mente. — 28. reità
ecc. volgendosi a mo, poiché prima guardava
iu ciolu. — SI lieta eowf bella : gaudiosa per-
ché mi traeva Terso la sede di Dio, e fdgente
della etema bellezza dd bestL — 29. Drlssa
ecc. Rivolgi la mente con gratitudine d Si-
gnore, che d ha liattl salire sino alla Luna,
il printo dei pianeti nd sistema di Tdomeo,
rispetto alla Terra. — 81. Pareva eoe Dante
e Beatrice entrano nella sostanza lunare, come
d ricava dd rerd ohe seguono; però al poeta
sembra di ossero avvolto da una nube nitida,
densa, solida e liscia. — 82. Inelda eoe Os-
serva l'Ant. die Dante, attenondod alle oo-
gnidoni scientificbe dd suo tempo, dà aOa
Luna, tre attributi conrenienti (iueida^ tp»-
«a, dansa) e uno improprio {foÙta\ essendo
la fÌMCia di essa assd scabra e frastagUats.
^ 83. qnad ecc. comò un diamante esposto
d raggi del sole. — 84. Per entro eoe La
luna, corpo luminoso ed inoorruttibUe, d ac-
colse ndla sua massa, oome la massa dell'ac-
qua accoglie f raggi luminod senza disgxe-
garsL Ant.: « L' imagine dd raggio dì Joos
che penetra una massa d'acqua senza disu-
nirla, ò felicissima, e l'unica che la fidcad
somministri per rodere oome eendbilmoate
possa venire un' occedone ad una delle leggi
ddla natura, la impenetrabilità de' corpi. Con
quella imagine viene a ritrard, meglio cbs
con lunga dissertadone filoeofioa, la folice tn-
sformadone arrenuta nd corpo suo : e 4s
questa spedo di miracolo, dd penetrare b
sostanza di qud pianeta senza disunirla, li
là strada a eontempladone di più ahi mistsii,
e al desiderio di eonoeoere quid die ooocenw
l'ineffabile inoarnadone dd Vsrto divino».
— Marff arlU s cfr. Par, n 127. — 86. rt-
•epetto t riceré, dall'arodoo riotpsrf, foggiate
sul lat ffc^pen. — eem*a«f •* «oc. Cfr. Tos-
PARADISO - CANTO U
663
S*io era corpo, e qui non si còncepe
com'nna dimension altra patio,
89 ch'esser convien se corpo in corpo repe,
accender ne dovria più il disio
di veder quella essenza, in che si vede
42 come nostra natura e Dio s'unio.
LI si vedrà ciò che tenem per fede,
non dimostrato, ma fia per sé noto,
45 a guisa del ver primo che Puom crede.
Io risposi : < Madonna, si devoto,
quant* esser posso più, ringrazio lui
4B lo qual dal mortai mondo m* ha remoto.
Ma ditemi, che son li segni bui
di questo corpo, che là giuso in terra
51 fJEm di Gain favoleggiare altrui ? »
Ella sorrise alquanto, e poi : < S' egli erra
r opinion, mi disse, dei mortali,
54 ' dove chiave di senso non disserra,
certo non ti dovrien punger gli strali
d'ammirazion omai; poi retro ai sensi
57 vedi che la ragione ha corte l'alL
Ma dimmi quel che tu da te ne pensi ».
Mrraxione del Parodi in Ptir, i 61. — 87.
8*lo cr» ecc. cfr. Pur, i 78. ~ e qal ecc.
• dato eh' io fossi corpo, non si concepisce
eome dae dimensioni potessero compenetrarsi
in una, la qnal cosa deve di necessità ac-
cadere se un corpo penetra in nn altro. La
questione, « ntnim dao corpora possint simiU
esse in eodem loco >, era stata trattata da
Tomm. d'Aquino, il qnale crederà (Summ.^
P. UT, snppl. qn. LTTim, art 8) clie < vir*
tate diTina fieri potest, et ea sola, qaod cor^
pori xemaneat es$$ distinctom ab alio corpo-
re, qoannris eins materia non sit distincta in
sita ab altarios oorporìs materia; et sic mira-
euloss fimi polMi quod duo wrpara tfnt simul
tfi »odam loeo», — eoncepe; latinismo, che oc-
eofie anche nel Oorw. i 2. — 89. repe : pe-
netra, dal lat. npere — 41. quella ecc. Cristo,
nel quale si Tede come s' onissero insieme la
natala umana e la divina ; ofìr. I\ir. zxxm
127-188. — 48. li il ?edrà ecc. Nel cielo
comprenderemo quei misteri che in terra te-
niamo Tori per fede, e li comprenderemo non
per meno di dimosfa«zioni radunali, ma por
intaiaBone; allo steso modo che per intoizione
ai eomprende l'idea di Dio, che è la verità
iandftmantali». — 46. Io risposi ecc. Dopo la
pceoadent» digressione Dante ritorna all'in-
vito rivoltogli da Beatrice nei vv. 29-80. —
47. liagraalo ecc. rendo grazie a Dio che
■i ha allontanato dal mondo degli nomini. —
49. li segni ecc. le macchie oscure del corpo
lunare, che giù in terra gli uomini volgari
credono essere il fiisoio delle spine di Caino.
— 61. di Cala : per la credenza popolare già
altrove accennata da Dante (cft. Inf, zx 126)
si veda St. Prato, Caino 9 U spine secondo
Dante e la tradixwms popoUxrty Ancona, 1881 :
ivi ò riferita la novella toscana che dice come,
dopo avere ucciso U fratello, « Caino cercò
di scusarsi, ma allora Iddio li rispose : * Abele
sarà con me in Paradiso, e ta in pena della
tu' colpa sarai confinato nella luna, e con-
dannato a portare etomamento addosso un
fiiscio dì spine '. Appena detto questo parole
da Dio, si levò un fortissimo vento e trasportò
Caino in corpo e anima nella luna, e d'allora
in poi si vede sempre la su' faccia maledetta,
e il fardello di spine che ò. obbligato a reg-
gere insino alla fin del mondo, indizio della
vita disperata che li tocca trascinare ». — 64.
dove ecc. in argomenti nei quali i sensi non
bastano a dare cognizione esatta dello cose.
— 56. eerto ecc. tu non dovresti per certo
trovare ormai alcun motivo di meraviglia,
poiohó la ragione quando si affida ai sensi
non ha potenza di alzarsi alla cognizione dei
fenomeni soprasensibili. — 66. poi : poiché;
cAr. Pwrg. x 1. — 68. cke tn ecc. Danto nel
Cknw, n 14, seguendo la dottrina averrolstìca,
aveva espressa roplnione che le macchie la-
nari dipondessero dalla maggiore o minore
564
DIVINA COMMEDIA
Ed io: « Ciò che n'appar qua su diverso,
60 credo che il fasmo i corpi rari e densi ».
Ed ella : € Certo assai vedrai sommerso
nel £bJ80 il creder tuo, se bene ascolti
63 l'argomentar ch'io gli farò awerso.
La spera ottava vi dimostra molti
lumi, li quali nel quale e nel quanto
66 notar si posson di diversi voltL
Se raro e denso ciò facesser tanto,
una sola virtù starebbe in tutti,
69 più e man distributa, ed altrettanto.
Virtù diverse esser convengon frutti
di princìid formali, e quei, fuor ch'uno,
72 seguiterieno a tua ragion distrutti.
Ancor, se raro fosse di quel bruno
cagion che tu domandi, od oltre in parte
75 fora di sua materia si digiuno
esto pianeta, o, si come comparte
densità dell* Tarlo parti della snpeiflcl» (efr.
In proposito P. Toynbee, Bie. I 81-86). Ora
egli dichiara erronea questa opinione e pone
in boooa a Beatrice nn lungo ragionamento
per oonfatazla (ofr. anche Piar, zxn 140). —
59. Ciò che m'appar ecc. Le diversità, le
macchie che noi vediamo neUa fkooia della
lon* credo che dipendano dalla minore e dalla
maggior densità delle sne partL — 61. vedrai
ecc. lioonoBcerai come sia del tatto fìslsa la
tua opinione, se porrai atteniione agli argo-
menti coi qnali m' accingo a confutarla. —
63. l'arffomeBtor eoe H ragionamento di
Beatrice 4 diviso in doe parti, la confata-
none dell' errore (w. 64-106) e la dimostra-
xione della yerità (w. 106*148); e la confu-
tazione si svolge cosi : Astrattamente non può
ammettersi la tua opinione, perché contradioe
alla legge che diverse virt& devono proce-
dere da diversi principi formali (w. 64-72);
nò può ammettersi concretamente, perché o
la minore densità di certe parti s' astende a
tatto lo spessore della lana o solo sino a on
certo panto (v. 78-78), e nella prima ipotesi
la lana dovrebbe nei panti di minor densità
apparire diafana nell'eclissi solare (vr. 79-83),
nella seoonda, i raggi sebbene riflessi da parti
pili lontane non. mancherebbero, e non ci po-
tzebbero essere le macchie (w. 88-90), come
ti dimostrerà l'esperimento dei tre specchi,
sol quali lo stesso lume si riflette nella stessa
maniera e senta produrre alcuna maofihia
(w. 91-105 ). Qli argomenti di Beatrice ri-
salgono per gran parte al trattato di Alberto
Magno, De coda ti «mmiìo, n 2, 8 (oi^. Toyn-
bee, p. 83). — 64. La spera ecc. H dolo
ottavo vi presenta multe stollo fisse, le quali
i^parisGOBO diiforenli per la qualità e quan-
tità della luce. — 65. ael qaale ecc. cfir. Par.
xxnx 92. — 67. Se rare ecc. Se questa dif-
ferenza procedesse oome da unica causa dalla
minoro o maggiore densità dei corpi oelestì,
in tutti 1 pianeti sarebbe una sola viitd va-
riamente distribuita. — tanta: solamente,
cfr. Parodi, BulL TEL 185. — 68. ed altret-
tanto : Bua : « distribuita ne' corpi oquali
equalementa >. — 70. Tirttf ecc. Le divene
virtù delle stelle devono dipendere da diversi
prindpt formali, e invece secondo il tuo ra-
gionamento questi prindpt formali sarebbero
distrutti tutti fuor che uno, quello della den-
sità, ohe sarebbe cagione d' ogni varietà. ~
71. prlaelpt feriali : la filosofia scolastica
distingue nei corpi il frmdfiMm wialmak
doè la materia prima, la stessa in tatti i'oorpi,
e il pnmoipiium formai^ che ò la forma so-
stanziale costituente la spedo e le yirtd dei
singoli corpL — 72. sefulterfeae: sarebbero
conseguentemente. — 78. se raro eoe. se la
minore densità fosse la cagione delle macchie
lunari, la quale tu vai ricercando, potrebbero
darsi due cad, o che questo pianeta fosse
manchevole di sua materia per tutto il suo
spessore, fosse insomma in certi punti forato
dall'una parte all'altra, oppure che gli strati
dend e rari fossero distribuiti oome nel oocpo
umano le parti grasse e le parti ma^re. —
74. oltre la parte ecc. in alcun punto sa-
rebbe manchevole sino al di là, sino alla parte
opposta. — 76. sf ee«e eomparte ecc. come
il corpo umano ò formato di parti fiassii e di
parti magre, oome nel corpo umano sono vi-
dne certe parti piò rilevate e certe altre de*
presse ; cosi nella massa della luna d sarsb*
PARADISO - CANTO II
665
lo grasso e il magro un corpo, cosi questo
78 nel suo Tolume cangerebbe carte.
Se il primo fosse, fora manifesto
neir eclissi del sol, per trasparere
81 lo lume, come in altro raro ingesto.
Questo non è; però è da vedere
dell'altro, e, s'egli awien ob'io l'altro cassi,
84 falsificato fia lo tuo parere.
S'egli 6 che questo raro non trapassi,
esser conviene un termine, da onde
87 lo suo contrario più passar non lassi;
ed indi l'altrui raggio si rifonde
cosi, come color toma per vetro
90 lo qual di retro a sé piombo nasconde.
Or dirai tu cli'ei si dimostra tetro
quivi lo raggio più cbe in altre parti,
93 per esser li rifratto più a retro.
Da questa instanzia può diliberarti
esperienza, se giammai la provi,
96 ch'esser suol fonte ai rivi di vostr'arti.
Tre specchi prenderai; e due rimovi
boro dei tmtti piA denti e dei tratti piti rari.
— 79. Se 11 primo ecc. Se fosse la prima
oondixione, apparirebbe dorante l'eclissi so-
lare, poiché i raggi luminosi del iole intro-
daoendosi per le parti meno dense della massa
hmare trasparirabbero Tenendo sino a noi. —
80. traaparere : « 4 nn latinismo, col quale
è da oonfirontare U nostro jNMiartf, e V appo-
rtn del Petrarca, son. 112 [csliy U], e tanti
altri esempi del tempo > (Parodi, BulL m
ia&). — SL eeiM ÌM altro raro : come s* in-
trodnoe in ogni altro oorpo raro. — lagesto :
introdotto, lat i^ffutiu, — 82. Questo bob è:
questo introdorsi dei raggt solari per il corpo
dfiOa luna non accade, e perciò la prima ipo-
tesi non ò ammissibile. — è da rodere eoe
ò da oonsiderara la seconda ipotesi, e se io
potrò diaioetrarti che non ò possibile, la toa
opinione sarà provata erronea. —86. S'egli
è eoe. 8e la minore densità non si estende a
tutto lo qwssore del oorpo Innare, deve es-
serci UB limite, di là dal quale la densità mag-
giore non lasd pi& continnare la minore ; e
da questo limite il raggio laminoso d' on altro
oorpo si deve riflettere, come fanno le ima-
gin! dalle cose in ano specchio. — 87. lo me
eentrnrio eoe la densità maggiore non lasci
paaser oltre la densità minore. Qnesta è la
giusta interpretazione, data già dal Dan. ed
aooolt» da parecchi moderni; 1 più dei com-
mentatoli intendono invece : la densità mag-
giore non lasci passar oltre il raggio laminoso;
che sarebbe erronea anticipazione d*an'idea
estranea per ora al ragionamento di Dante.
— 88. indi ! da qnesto ponto di separazione
tra il raro e il denso. — si rifonde: si ri-
flette; non ò congiontivo, come parve a pa-
recchi commentatori, né dipende dal vb. 00»-
rtm0, ma indicativo volato dalla oostrozione
coordinata. — 89. esme color eco. come i
colorì delle cose sono riflessi dallo spocchio,
dall' impiombato wiro (Inf. xxm 25). — 91.
Or dirai ecc. To potresti opporre che in qoel
ponto di separazione il raggio appare meno
laminoso, perché si riflette da on ponto più
lontano che non siano i ponti della soporficie
lonare, da on ponto interno. — 94. Da qnesta
eoo. Dalla difficoltà contenota in qoesta obbie-
zione ti potrà liberare, se vorrai farlo, l'espe-
rimento che or ti soggerirò. — 96. eh* esser
ecc. che è spesso principio alla conoscenza
amane. È notevole certamente U latto che
Danto trìboisse all'esperienza tanta impor-
tanza, per la determinazione della verità scien-
tifica, da chiamarla fonte ai rivi delle arti
ornane : ma non bisogna esagorame il valore,
celebrando il poeta per qoesto solo fatto, come
propognatore del metodo sperimentale, inteso
nel senso moderno : Dante non fa altro che
ripetere poeti(»mente on concetto aristotelico
{MdafU. I 1 ; cfr. Moore, I 838, 871). — 97.
Tre specchi ecc. « A me pare che Dante, col-
l'eeempio dei tre specchi, ha volato segnalare
il principio che le soperficio piane laminose,
5G6
DIVINA COMMEDIA
da te d'un modo, e Paltro più rimosso
99 ir* ambo li primi gli occhi tuoi ritrovi
BiTolto ad essi fa che dopo il dosso
ti ^a un lume, che i tre specchi accenda
102 e tomi a te da tutti ripercosso.
Benché, nel quanto, tanto non si stenda
la vista più lontana, li vedrai
105 come convien ch'egualmente risplenda.
Or, come ai colpi delli caldi rai
della neve riman nudo il suggetto
108 e dal colore e dal freddo primai;
cosi rimase te nello intelletto
voglio informar ^ luce si vivace,
111 che ti tremolerà nel suo aspetta
od illaminate in egtuì grado, appaiono della
stessa chiarena a qualnn^oe distanza siano
poste, perché la grandezza dell' imagrine e la
quantità di Inceche rioeve la papilla da ciascon
punto diminaendo Tona e l'altra nella ragione
inversa del qoadntto della distanza, vi d nn
compenso, ed ogni elomento d'egaal esten-
sione dell' imagine apparente è sempre rap-
presentato da ona stessa quantità di laoe nel-
l'ooohio a qualunque distanza si osaerri la
superficie > (F. Mossotti, Opu$e, damL n.» 7,
p. 85 ). — • dae eco. poni dae di questi
specchi equidistanti da te, e il terzo più lon-
tano e in mezzo ai due primi ~ 100. Bl-
Tolto eoo. Dietro le tue spalle poni un lume
rivolto Terso gli specchi in modo che illumini
la saperfìcie degli specchi medesimi e si ri-
fletta la luce Terso di te. — 101. aceoida:
illumini; ricordo virgiliano delle Oéorg. i 251:
€ mie sera rubens accendit lamina Tosper».
— 102. ripercosso t riflesso ; anche questo à
forse ricordo d' una locuzione virgiliana, En,
vin 22 : e Sicut aquae tremulum labrìs ubi
lumen aenis Sole repercussum aut radiantia
imagine lunae », e dell'ovidiana, Mei. u 110:
e Clara reporcnsso reddebant lumina Phoebo » .
— 103. BeBchtf eco. Lo specchio, posto nel
mezzo 0 più lontano, rifletterà U lume più pio-
colo, non presenterà una imagine luminosa
estesa corno quella dei due specchi latorali ; ma
la qualità della luce sarà la stessa in tutti e
tre, e in tutti e tre egualmonte l' imagine dol
lume sarà senza macchia. — 104. la vista:
ciò che si vede nello specchio più lontano. —
106. come ai colpi eco. Nota il Venturi 115
che la comparazione è « comunissima a quasi
tutti i poeti >, e dta gli osempt d'Ovidio, Met.
n 806 : « Liquitur ut glades incerto saudo
solo, di Cine da Pistoia: «Se solo un po-
chettin sorride, Qoale il sol neve, strugge
i miei pensieri », del Petrarca, canz. xxiu
116 : 4 Né già mai novesotto al sol dlsparre
Gom' io senti' me tutto venir meno » eoe —
107. dtlla aere eoo. tutte le coi» sottostanti
restano libere dalla neve, e insieme daUa bian-
chezza e dal freddo ohe avevano piinuu Coei
va inteso il passo, dando a auggdt» un sento
comprensivo e generico : del solo tmrmio in-
tendono i più degli interpreti antiohi e mo-
derni; e il Lomb. seguito da pareechi altri.
Costa, Tomnu, Bianchi, Frat., Andr.. spief^
erroneamente : il mggitto o la sostanoa della
neve perde il odore eoe; ma questa termi-
nologia aoolastìoa in una similitudino dedotta
con si vivo sentimento della realtà da un fe-
nomeno naturale sarebbe del tutto inoppor*
tuna. — > 109. eos< riouMO eoo. ood adesso
che tu tei rimasto libero dall'errore che ri-
copriva il tno intelletto, voglio oomunicarti
una verità ooaf grande che nel suo appazire
ti scintillorà di luoe divina. — HO. Um si
vlvaet: è la dimostrazione die segue della
causa delle macchie lunari : dasouna sfora è
governata da un' intelligenza beata, die ma-
nifesta le sue virtù noli' astro cui presiede,
come l'anima umana esplica le sue facoltà
nelle varie membra dd oorpo da eesa infor-
mato (w. 112-188); queste virtù celesti pro-
duoono diversi effetti oon^ungendoai od vari
corpi, e da questa unione nasce una virtù
mista ohe per la lieta natura da cui deriva
risplende nd oorpo, come la letizia umana d
palesa nelle mosse degli occhi (w. 139-144> :
da questa virtù mista deriva dd ohe par dif-
ferente da luce a luce, e questa virtù è SI
prindpio formale della apparenza luminosa o
oscura dd corpi odeeti (w. 145-148). — lU.
ti tremolerà: Venturi 115; «1S sointiUesà
nel presentartid davanti. Ma il verbo dan-
tesco esprime qud brillare tremulo e goii-
zante che ò proprio delle stelle; o ood allo
splendore della promessa verità oongionge
PARADISO - CANTO U
B67
Dentro dal ciel della divina pace
si gira un corpo, nella coi viriate
114 l'esser di tutto suo contento giace.
Lo ciel seguente, o'ha tante vedute,
queir Qsser parte per diverse essenze
117 da lui distinte e da lui contenute.
Gli altri giron per varie differenze
le distinzion, che dentro da sé hanno,
120 dispongono a lor fini e lor semenze.
Questi organi del mondo cosi vanno,
come tu vedi ornai, di grado in grado,
123 che di su prendono, e di sotto fanno.
Riguarda hene ornai si com* Io vado
per questo loco al ver che tu disili,
r idoa di ooM oeleite >. — 112. Diatro eoo.
Nel cielo Empireo nel qoale fi volge U primo
MobUe, nellA rirti dei quale ita l'eeeenn
di tatto ciò die 4 oontenato entro di eeeo.
— 118. «■ eorpe eoo. Dante, Oom, n 16 :
€ Lo cielo oiistallino, ohe per primo mobile
dinanzi è contato, ordina col suo movimento
la cotidiAna rerohizione di tutti gli altri ; per
la quale ogni di tutti quelli rioerono e man-
dano qoa giù la Tirtd di tatto le loro parti.
Che ee la revolndone di qnesto non ordinasee
dò, poco di loro Tirtd qoa gid Terrebbe o di
loro vista,... non sarebbe qua giù generazione
né vita d*animale e di piante, notte non sa-
rebbe né df né settimana né mese né anno;
ma tutto r oniverso sarebbe disordinato e '1
movimento degli astri sarebbe indamo ». ~
115. Le elei eco. L'ottaTo dolo, qnello delle
stelle fisse, distribnisoe quella viitd, che ri-
ceve dal nono, per diverse stelle oontennte
in esso, ma da esso distinte. Questo concetto
è òhiaiito dalle segnenti parole del Corw. n
4 : e Qnesto dolo di coi è fotta menzione,
cioè Tepidclo nel quale è fissa la stella, è uno
dolo per sé ovvero spera ; e non ha una es-
senza con quello che '1 porta, awegna che
pid sia connatorale ad esso ohe agli altri, e
oon esso ò chiamato uno dolo, e dinominand
Tono • Taltro dalla stella». — Tedate: le
stelle, che d ofbono agli occhi degli uomini;
cfir. Par, xxx 9. — 116. parte : comparto,
distribuisce ndlé diverse essenze o stelle. —
118. Gli altri eco. Oli altri sette deli dispon-
gono variamente, in differenti maniere, ai
loro fini e ai loro effetti le distinte virtù che
hanno in sé, ohe sono loro proprie. Bene il
Land. : « Geme U seme del grano produce l'ef-
fetto, doò fl grano, il quale di poi d seme a
un altro grsno ; cosi i corpi celesti, che sono
causa de^ effetti inferiori, sono ancora effetto
delle cause superiori a loro. Adunque il primo
mobile ha virtù inftisa da Dio e da' motori
suoi, la quale ha a conservare reeser tao •
di tutti i deU • dogU elementi, 1 quali con-
tiene in sé. Questa è virtù motiva ed efllet-
tiva, die muove tutti gli altri deli ed ele-
menti, e causa in loro vazt eflètti, secondo
le loro varie potenzie. E ood sempre la virtù
superiore a* infonde in tatti gli inferiori, •
cagiona diverd effètti, secondo che sono di-
verti i corpi inferiori, ma più efficacemente
nel più propinquo inferiore, e mutad secondo
che è differente 1* uno dall'altro. Adunque il
nono delo più efficacemente inf<mde la virtù
sua essenziale motiva e conservativa nell'ot-
tavo che negli altri, e quello la virtù mu-
tata in lui più infonde nd settimo che negli
altri ». — 120. semenie i gli eflètti, ohe pos-
sono alla loro volta essere cause effettive. —
121. Questi eco. I deli, quad organi dd-
l'universo, vanno ood di grado in grado, da-
scuno ricevendo l'influenza dd delo imme-
diatamente superiore ed eserdtando l'influenza
su quello immediatamente inferiore. — 122.
eomt eoo. come oramai tu devi aver inteso
dal mio ragionamento. — 124. Big iarda eoo.
Adesso ohe ti ho esposto il prindpio fonda-
mentale, al quale d deve ricorrere per avere
la spiegazione dd fenomeno delle macchie
lunari, devi ben considerare ormai con quale
motodo io proceda alla determinasione della
verità, affinché pd tu possa da solo giungere
a conoscere il vero. L'ornai, che alcuni di-
cono vana ripetizione, ò legame logico neces-
sario per oongiungere all'esposizione prece-
dente l'avvertimento di metodo che Beatrice
or dà a Dante : inutile sarebbe la variante
a ms, da molti p^erita, perché a sé stessa,
al suo procedimento dimostrativo Beatrice
richiama abbastanza chiaramente dicendo : Bl>
guarda oom' io vado ecc., mentre sarebbe su-
perfluo dire : Riguarda a ms, come io vadoeoo.
125. questo loeo: ordine di ragionamento,
dod ponendo un principio fondamentale, a)
568
DIVINA COMMEDIA
126 8Ì che poi sappi sol tener lo guado.
Lo moto e la virtù dei santi giri,
come dal fabbro l'arte del martello,
129 dal beati motor convien che spiri;
e il cieli cui tanti lumi fanno bello,
dalla mente profonda che lui Tolve
132 prende Timage, e fassene suggello.
E come Palma dentro a vostra polve
per differenti membra e conformate
105 a diverse potenze si risolve;
cosi 1* intelligenza sua bontate
multiplioata per le stelle spiega,
138 girando sé sopra sua unitate.
Virtù diversa £& diversa lega
col prezioso corpo eh* eli* avviva,
141 nel qual, si come vita in voi, si lega.
Per la natura lieta onde deriva
la virtù mista per Io corpo luce, '
144 come letizia per pupilla viva.
Da essa vien ciò cbe da luce a luce
i
qua!» ti riooUdghi ogni partioolare propoli*
zione. — 126. teaer !• gmado : pasur oltxe,
Avannra fino alla cognizione del reto, — 127.
Lo Moto eoo. n morimento e l' influenza dei
cieli prooedono di necessità dalle beate intel-
ligenze. — tanti girl t i deli; ofr. JWy.xxx
98, Par, m 76, xzrm 189 eoo. — 128. eome
dal f aM>re eoo. come l'arte del martello non
produce i suoi efEotti per sé stessa, ma per
opera del fabbro. È nna similitadine ohe da
Aristotele, D$ gm, anim, ▼ 8, passò a parec-
chi scrittori del medioevo: e Dante se ne
Talsepnrenell>0jl<m.in6: cQnemadmodom
malleos in sola Tirtate iàbri operator, sic et
nnndos solo arbitrio eins qni mittit illom »,
e nel Oono. r7 4: d colpi del martello so-
no oagione stromentale del coltello, e Tani-
ma del fabbro ò oagione efficiente e moren-
te > : ofr. anche Com, i 18. — 129. beati
Metors ofr. le parole del Ooiw, n 6 riferite
in ^f, TU 74. — 180. il elei, eil tasti eoo.
il dolo delle stalle fisse riceve l'impronta
dell'intelligenza ohe lo mnove e la imprime
nelle soe stelle. Oli antichi commentatori e
alooni moderni intesero per la nrnuUfiro fonda
quella di Dio; meglio il Varchi, segolto da
tatti quasi i moderni, vide accennata qui
l'Intelligenza motrice di questo dolo; poiché
appunto Dio comunica la propria Tirtd ai
deli per mezzo delle Intellig«ìze o angeli (ofr.
Bur, xxvm 89): e questa interpretadone ò
la sola ammissibile in rapporto col verso 136.
— 183, come Talma ecc. come l'anima finché
è nel corpo umano opera per mezzo dei vai!
organi, i quali sono conformati per l'eeerd-
do di varie fsodltà, cosi l'intelligenza che
governa il dolo deUe stelle fisse diifonde la
sua virtd sulle stelle e conserva intatta la
sua unità. — vostra polve : il corpo umano ;
locudone biblioa dell' Eoek», xn 7 e dd Om.
m 19, e anche dd poeti dasdcL — 185. a
diverse potenze: ai diverd send dd tatto,
della vista, dell'udito eco. — si risolve:
ò lo stesso che tpiega dd t. 187, doò esplica
in atto. — 188. girando eoo. ofr. Bar, zm
60. — 189. Vlrfttf eco. La diversa virtA del-
l'Intelligenza o angelo che muove un ddo
produce diverd effetti nd pianeta di'dla av-
viva, oh' eUa mette in movimento. — 140.
prealeso eorpe : corpo celeste, inoornittibile,
etemo e perdo predoso. — 141. nel ^nal
eoe od qud corpo odeste d congiunge, come
la vita in voi uominL -^ 142. Per la natara
eoe Questa virtù dell' Intelligenza infusa nella
stoUa sfavilla nd corpo odeste in grazia della
lieta natura divina, di Dio (ofr. Buy. svi 89),
da cui procede. -^ 143, la vlrtd adsta x os-
serva il Tomm. ohe questa virt6 è mista del
divino potere e ddl' angelico, e delle proprietà
di ciascun corpo e di quelle che ad esso ven-
gono da tutti i corpi superiori. — 144. eoaM
letizia eco. come nell'occhio umano d ma-
nifesta la letizia dell* animo nella vivadtà
della pupilla. — 146. Da essa ecc. Da questa
virtó, che l' Intelligenza motrice esplica varia-
mente, procede la varietà di luce tra stella e
PARADISO - CANTO II
569
par differente, non da denso e raro:
essa è formai principio che produce,
148 conforme a sua bontà, lo turbo e il chiaro ».
stells, non già come tn credi, dalla maggiore
o minore densità. — 147. oma è eco. e qae-
sta Tirt6 à il principio formale (ofr. sopra t.
71) die prodnoe Voecnrità e la lucentezza della
stélla, secondo ohe ai oonglange con eesa con
minore o maggiore intensità. Dnnqne, le mao-
diie della Inna procedono da diyexBi gradi
d'iniluenza esercitata dall'Intelligenza mo-
tzioe di esso pianeta. H Yarohi, pp. 602-606,
oseenr» ohe Dante in qoesta trattazione « pi-
glia da Aristotile ohe le Intelligenze siano
forme dei ooipi celesti, come Tintelletto umano
è toma degli nomini, cioè dà loro l'essere e
ropesaze ; dai teologi piglia che l'nltimo dolo
o piuttosto il primo sia immoUle, la qnal cosa
è tmpoasibileappresso Aristotile;... dagli astro-
loga piglia l'inflaenza; da Platone piglia il
nono cielo, nel qnale dice esser tatto le cose
Tixtoalmente, a simiUtadine deU' Intelletto
che poneya Fiatone; e finalmente soggiunge
l'opinione soa, la qnale è in somma, ohe le
macchie che d veggono nella lana Vi siano
dentro sostanzialmente. Onde bisogna sapere,
che non solo ogni dolo, secondo Dante, ò dif-
ferente di spezie da tatti gU altri, ma aneoca
dasoan dolo ha dlTerse parti qnale pid per-
fetta e qoale meno, onde tatte le stelle sono
dilferenti di spezie, perché prodncendo diversi
effetti non possono avere 1 principi medesimi,
e questo viene loro dalle Intelligenze; onde
quelle parti che sono pid perfette pigino
più e meglio ricevono la virtd dei loro mo-
tori, e per questo sono pid lucide e produ-
cono migliori effsttt. E perché ciascuno dolo
e dasouna Intelligenza ò tanto^ meno nobile,
quanto pid d discosta da Dio, seguita die il
ddo e r Intelligenza ddla luna siano men
perfetti di tutti gli altri, e quind ò che non
pure il diafano del dolo della luna ò diffe-
rente dal corpo lunare, ma anche le parti di
essa luna sono diitérenti l' una dall' altra di
perfezione, e conseguentem^ite di chiarezza,
non ricevendo egualmente, non la luce del
sole come dicono l'altro opinioni, ma la virtd
dell' Intdligenza». — 148. tmrboi torbido,
oscuro; pid ohe latinismo ò forma propria
dell'uso comune antico (ofr. Parodi, BulL
mi44).
CANTO m
Nel cielo della Iona appariscono a Dante le anime di coloro che per
violenza altrui non compirono 1 vóti religiosi : tra esse si manifesta Pie-
carda Donati, che chiarisce al poeta un dubbio e gli parla a lungo di sé e
di CkMtanza imperatrice [14 aprilCi ore antimeridiane).
Quel sol, che pria d'amor mi scaldò il petto,
di bella yerità m'avea scoperto,
8 provando e riprovando, il dolce aspetto;
ed io, per confessar corretto e certo
me stesso, tanto quanto si convenne
m 1. Qael sol ecc. Poiché Beatrice ebbe
compiuto il ragionamento intomo alle mac-
chie Innari, Dante alzò il capo per oonfeesare
enonee le dottrine sino allora professate e
per didiiaraxd convinto della verità esposta
dalla sua donna : ma una nuova apparizione
lo attirò a sé, tanto da fargli dimenticare la
ocmfeeniono oh' ei volea fare. — sol che pria
•ce. Beatrice, che sino dalla mia puerizia
m'avea innamorato di sé (cfr. Purg, xxx 42).
n poeta diiama moU la sua donna, qui ed al-
trove {Par. TEL 76), per signifloare oom'ella
eonglungesse in sé le doti della sapienza e
deQa virtd e diffondesse sopra di lui la luce
yiviaslaa della verità e del bene. ^ ^ 41
bella ecc. mi aveva, col precedente ragiona-
mento, fatto conoscere una bella verità circa
le macchie lanari e l' influenza dei deli,
prima riprovando ossia confutando la mia falsa
opinione, e poi firovando doò dimostrandomi
qoale fosse la vera. — 4. per eoaflsssar ecc.
per dichiararmi convinto del vecchio errore
e persuaso della nuova verità. ~ 5. tante
qiauto ecc. Secondo il Giuliani sarebbe da
riferire al oor^istarf perché v* ha sempre con-
venienza del manifestarsi corretto dell'errore
e convinto ddla verità, ma non cosi del par-
are con la faoda pid levata, quando 1' ab-
bassarla sarebbe atto d'umiltà e di riverenza
(cfr, Inf, zv 45): ma ò da oiserrare che in
570
DIVINA COMMEDU
6 levai lo capo a proferer più erto.
Ma visione apparve, ohe ritenne
a sé me tanto stretto, per vedersi,
9 che di mia confession non mi sovvenne.
Quali per vetri trasparenti e tersi
o ver per acque nitide -e tranquille,
12 non si profonde che i fondi sien persi,
toman dei nostri visi le postille
debili si che perla in bianca fronte
15 non vìen men tosto alle nostre pupille;
tali vidMo più facce a parlar pronte,
per ch'io dentro alPerror contrario corsi
18 a quel ch'accese amor tra l'uomo e il fonte.
Subito, si com'io di lor m'accorsi.
questo CASO Dante avrebbe detto qwmdo tS
eonvtnira^ e che 11 passato indicativo «m-
wnM deve di necessità essere in rapporto
logico con U termine analogo levai lo capo.
Vuol dnnqoe dire il poeta ohe nell* alzare il
volto per chinarlo poi in segno d'affermazione
non fece atto che potesse sembrare di super*
bia, ma atto modesto e rignardoso; non passò,
come dice il Bnti, « lo modo >. — 7. visione l
quale sia questa apparizione d descrìtto n^
rv. 10 e segg. — 8. per vedersi : per essere
veduta da me, perché lo la vedessi. — 9. di
mia eoo. Dante attratto dalla improvvisa vi-
sione dimentica di oonfessare l'errore, come
già giungendo nel terzo girone del pnigato-
rìo si scordò di proferire le parole di ringra-
ziamento a Virgilio, già venutegli alla bocca
(cfr. Puirg. xv 83 e segg.). — 10. Quali eco,
Como le imagini dei volti umani vedati at-
traverso vetri trasparenti e tersi o attraverso
limpide e quiete acque si presentano alquanto
attenuato e però si percepiscono meno pron-
tamente, alla stossa guisa che non si distin-
gue subito una perla sopra una ftonte bianca
ecc. Dant» volendo descrìvere l' apparizione
delle anime, ohe nel delo della luna gli si
mostrano in figura corporea indistinta per la
luce onde sono circonfuse, non avrebbe po-
tuto scegliere una similitudine più appropriata
e pittoresca della presente; la quale perciò,
quando sia intesa con predsione nei minixoi
particolari, non può non parere una delle pid
belle ed effload del poema. ~ 12. B«n si eoo.
pur che la massa dell'acqua non eia cosi
grande che non si veda più li fondo. Quando
r imagine à riflessa dal fondo, per esempio,
di un pozzo, d assai netta o distìnta; se in-
vece l'oggetto ò posto a poca profondità dalla
superficie, l' imagine ò meno determinata, per* •
che circondata dai raggi luminosi che traver-
sano tuttala massa acquea. — 13. le postille:
e postilla, dice, l'OtL, è quella imagine nostra
che sì rappresenta in acqua o in ispecchio o
altro corpo trapassante, o vuoli l'iroscin*
della cosa specchiata della materia ». H Blano
ricorda che questa voce nel lat del medioevo
significava una nota marginale a spiegnàone
d'un testo qualunque e specialmente della
Bibbia; e soggiunge : e Dante usa questa voce
con ardita metafora p« quella debole e im-
perfetta imagine d'un oggetto che ti riflette
in un vetro o in acqua limpida ma poco pro-
fonda ; e probabilmente vuol dire che quelle
deboli imagini sono all'.imagine perfetta ri-
flessa in uno specchio ciò che le noto suc-
cinte sono al testo d'un libro ». ~ 14. «he
perla ecc. Venturi 164 : « Leggiadra simili-
tudine a mostrare il bianco sul bianco. Essa
rammenta quella, non mono bella, dell'Ario-
sto [OrU fuir,^ XXIV 66], ove dice che la bian-
chezza deUa mano della sua donna non si
poteva distinguere dalla bianchezza doUa tela
argentea che le vestiva il braccio infino al
polso, se non per mezzo del nastro porporino
legato per maniglia al polso medesimo ». —
16. Ben tolte i questa lezione è assai bella
ed efficace ; perché con essa ai ha una com-
parazione tra la poca vivacità delle imagini
riflesse da vetro o acqua e la peroettìbilltà
pooo pronta della perla in bianca fh>nto ; con
un trapasso doò da un effetto di luce a un
altro, tutti e due per altro dipendenti dal-
l' intensità della luce stessa. La variante msn
forUf accettata da alcuni antichi e moderni,
ò manifesta correzione suggerita dal débUi dol
V. 14. — 16. tali eco. cosi mi iqiparvero in-
distìnte sembianze di anime, che si dimostm-
vano desiderose di parlare con me. — 17.
dentro ali* error ecc. caddi subito in un er^
rore contrario a quello di Narciso (cf^. J»i/.
XXX 128), il quale vedendo nell'aoqua l'ima-
gine del suo volto credette ohe fosse volto
altrui e se ne innamorò (Ovidio, UéL m 417 :
« corpus putat esse, quod umbra est »), men-
tre io credetti che fossero imagini quelle sem-
bianze che erano veri volti. — 19. di l«r :
PARADISO — CANTO IH 571
quelle stimando specchiati sembianti,
21 per veder di cui f esser gli occhi tòrsi;
e nulla vidi, e ritorsili avanti
dritti nel lume della dolce guida,
24 che sorridendo ardea n^li occhi santi
€ Non ti maravigliar perch' io sorrida,
mi disse, appresso il tuo pueril coto,
27 poi sopra il vero ancor lo pie non fida,
ma ti rivolve, come suole, a vóto:
vere sustanzie son ciò che tu vedi,
80 qui rilegate per manco di vóto;
però parla con esse, ed odi e credi,
che la verace luce che le appaga
83 da sé non lascia lor torcer li piedi ».
£d io all'ombra, che parca più vaga
di ragionar, drizza' mi, e cominciai,
86 quasi com'uom cui troppa voglia smaga;
€ 0 ben creato spirito, che ai rai
di vita eterna la dolcezza senti,
C9 che non gustata non s'intende mai,
grazioso mi fia, se mi contenti
del nome tuo e della vostra sorte ».
42 Ond'ella pronta e con occhi ridenti :
« La nostra carità non serra porte
di quelle sembianze. — 20. qaellt eoo. ere- alto ohe quello degli altri spiriti beati : cflr.
dondole imagìni di yoltì ohe fossero dietro* Par. rv 28-89. — 82. la rermee eoe. Dio, noi
me, mi voltai indietro por vedere di quali quale trovano Tappagamento d'ogni loro do-
esseri fossero. — 23. della dolce gvida eoo. siderio, non le laseia allontanare da sé, non
di Beatrioe, che sorrìdeva e aveva gli occhi consente loro di parlare altro che la verità.
sCavillanti di laob divina. Qnesto aspetto di ~ 34. Ed le eco. Dopo l'avvertimento di Bea-
Beatrìoe ricorda, in parte almeno, il virgi- trìce, Dante si volge a Picoarda Donati, ohe
liano. Eh. b 405 : e Ad ooelnm tendens ar- tra le altre anime si mostrava più desiderosa
dentia lumina». ~ 24. occhi santi: ò la di parlare con lui; e nell'atto di indirizzarle
stessa espressione già usata in Pitrg, xxxi la parola si sento quasi conftiBo e turbato per
138. — 26. appreiso eoo. in seguito al tuo Teocessivo desiderio di conversare con quel-
fianciulleeoo pensioro: perla voce ooto ofr. la l'anima. — 86. qaasl eco. La similitudine
nota all' Btf. xxn 77. — 27. pei eco. poi- dantesca ricorda l'espressione del Petrarca,
che il tuo pensiero non si ferma ancora con ball, xi 8: « il gran desio Ch'ogni altra vo-
siourezsa sulla verità, ma ti fa vaneggiare af- glia d' entr* al cor mi sgombra ». — smaga:
adandoei ai sensi. Buti : « Tu sei usato di perturba; ctr. Inf. xxv 146. — 87. 0 bea eoe.
rìconeie alla fisica per le cagioni delle cose 0 anima eletta alla beatitudine, ohe, oontom-
naturaH, e oosi vi ricorri ora per cagione piando la luce etoma del paradiso, gusti quel-
delie cose sopra natura, ed a questo non è l' ineffabile gioia che non può essere conce-
sufficiente la fisica, ma la teologia ». — 29. pita se non da chi la prova. — 89. che non
vere eoo. qu^le ohe tu vedi in questo cielo gustata eco. cf^. Dante, V, N, xxvi 87 di
non sono imagini, ma vere ombre che sono Beatrioe, « dà per li occhi una dolcezza al
assegnate a questo luogo perché mancarono coro Che 'ntender nolla può ohi nolla prova >.
« all'adempimento dei loro vóti. Queste anime, — 40. graziose eoo. mi sarà greto (cfr. Purg.
come tutte le altre dei beati, hanno il lor xm 46) se tu mi dirai il tuo nome e qaale
luogo nel cielo Empireo ; ma appariscono nel sia la vostra condizione. ~ 48. La nostra
cielo della Luna per dimostrazione sensibile ecc. Lo spirito di carità ondo siamo animate
che il grado della loro beatitudine ò meno non nega sodisfazione a un giusto desidorio.
572
DIVINA COMMEDIA
a giusta voglia, se non come quella
45 che vuol simile a sé tutta sua corte.
Io fui nel mondo vergine sorella;
e se la mente tua ben si riguarda,
48 non mi ti celerà l'esser più bella,
ma riconoscerai ch'io son Hccarda,
che, posta qui con questi altri beati,
61 beata sono in la spera più tarda.
Li nostri affetti, che solo infiammati
son nel piacer dello Spirito Santo,
54 letiaian del su' ordine informati
E questa sorte, che par giù cotanto,
però n'ò data, perché fQ.r negletti
* quel modo che U dirina carità mole si-
mile a sé tatto il regno della beatttadine. —
44. f e ■•> eoo. appunto oome non le chiude
eoo. — 46. Io fai eoo. Qi6 nel rostro mondo
io M monaca, e se la toa mente si raoooglie,
si ripiega attentamente sa sé stessa, non taiv
deni a rioonosoenni anohe in qnesto nooro
stato, in questa beatitadine della quale io go-
do. — 47. ben il riguarda t Tatto della mente
per cui oi ritornano innanzi le memorie del
passato ò oome un riguardare oh' ella fk en-
tro so stessa per ritroraro quelle imagini o ri-
membranze die or non sono pld presenti,
senza però ohe siano spente del tutto. — 49.
le son Pieearda: Piooarda Donati tu. figlia
di Simone (cfr. Inf, xxx 82) e sorella di Fo-
rese (Ptirg. xzni 48) e di Corso (Purg. xzrv
82); di lei racconta il Lana : e Fue Pieearda
sororo di m. Corso dei Donati di Firenze, la
qualo entrò noi monasterio di Santa Chiara
dell'ordine dei minori : ftie bellissima donna.
Stata questa donna nel ditto monastero, con-
corse al ditto m. Corso bisogno di fare uno
parentado in Firenze, non area né chi dare
né chi tórre, si ohe fbe consigliato, * Tdi Pie-
carda dal monistero, e fa tale parentado'.
Credette costui a tal consiglio, e sforzosa-
mente la trasse dal monisterio e fé' tale pa-
rentado >. L'Ott aggiunge che fu tratta di
monastero per essere data in moglie a Boa-
sellino della Tosa florentiao, ohe fu confinato
con altri di parte donatesca nel ISOl (Del
Lungo n 115) e tu. uomo yiolento e fazioso,
usurpatore di diritti altrui (D. Compagni, Or.
m 2) e promotore d' incendi e ferito nei con-
trasti cittadineschi del 1304 (ìtì, m 8): se,
oome aggiunge l'Ott., la violenza di Corso
Donati per dare a Bossellino la sorella tu. nel
tempo « oh'era al reggimento della città di
Bologna », dovette accadere nel 1288 o nel
1288, che ftarono gli anni di podesteria bolo-
gnese del Catilina fiorentino. — 61. in la
spera eoo. nel cielo della luna, ohe essendo
il più piccolo ha anche il movimento pid lento
che gli altri. Della risposta di Piooarda oa-
serva acutamente il Capetti, op. eit., p. 9 :
« Piooarda risponde colla soavità d'una donna
gentile, d'una vergine suora e d' un' anima
beata : la sua cortesia chiama carità che si
conforma alla carità divina : anch' ella, oome
Francesca parla per amore, ma per un amore
puro e universale. Non dice subito il suo
nome, ma crede che la cresciuta bellezza della
vita beata non impedirà a Dante, ohe la co-
nobbe nella vita terrena, di riconoeoerla qui.
Ha poiché il poeta non à /Mino a rwnem-
brarla, la pietosa che non vuole indugiargli
nemmeno d'un istante l'adempimento del de-
siderio, proferisce il sao nome, ripetendo due
volte la parola che esprime la sua felicità ».
— 52. li nostri ecc. I nostri affetti, che
sono infiammati dalla beatitudine ohe a Dio
piace di concederci, gioiscono di quella fieli-
cita che ò da lui ordinata, conformandosi ad
essa. — 65. B qaesta eco. E questo minor
grado di beatitudine che sembra tanto infe-
riore agli altri ci ò assegnato per questo che
i nostri vèti ftirono in parte trascurati e in
parte mancantL Capetti, op. cit., p. 10 : « Op-
portunamente il poeta ci dipinge Rocarda in
tal modo : come dei sembianti umani resta in
queste anime beate appena un' ombra, ooei
del mondo, dei suoi dolori e delle sue eolpe
rimane un debole vestigio, una vaporosa me-
moria nel loro spirito. Vergini sorelle riso-
spinte a forza nel mondo non amarono il
mondo; serbarono la verginità del cuore •
della mente, ma non ebbero la fona di lot-
tare e di resistere alla violenza; e per questa
debolezza, quantunque non colpevoli, quan-
tunque nella vita perfetta, mancarono : Iddio,
giusto nel premiare come nel punire, le ha
poste nell'ultimo grado della beatitudine,
sotto a quelli stessi che vissero nel mondo,
che ne desiderarono la gloria, ma ftarono forti.
Non ò dunque per sottigliezza teologica, ma
per un alto concetto della vita cho il poeta
colloca in basso luogo questi spiriti miti e
PARADISO - CANTO HI
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li nostri TÓti| e TÒti in alcnn canto ».
Ond'io a lei: € Nei mirabili aspetti
vostri risplende non so ohe divino,
che vi trasmuta dai primi concettL
Però non fui a rimembrar festino ;
ma or m'aiuta ciò che tu mi dici,
si ohe raffigurar m*ò più latino.
Ma dimmi: voi, che siete qui felici,
desiderate voi più alto loco
per più vedere o per più farvi amici ? »
Con quelle altr' ombre pria sorrise un poco;
da indi mi rispose tanto lieta
ch'arder parea d'amor nel primo foco:
€ Frate, la nostra volontà quieta
virtù di carità, che fa volerne
sol quel ch'avemo, e d'altro non ci asseta.
Se disiassimo esser più superne,
fòran discordi gli nostri disiri
dal voler di colui che qui ne cerne,
famocenti, traaoinati dalla lapina dei violenti
di quel aeoolo ». ^ 67. lóti • TÒtl i cfr. Inf,
1 86. — 66. Hei virabUl eoo. NeUe to-
itr» maxarigliofle sembiaiue xisplende qualche
eoaa di dirino, ohe altera le sembiaiize pri-
nitire, quelle ohe aveste giù in terra. ^ 61.
IImUb* t pronto, sollecito ; lat futimM, Dante
l'un anche in Par. vm 28, e piA volte ha
anche il vb. derivato ftdinam, ^ 68. if ehe
eoe di modo ohe mi rieeoe pili agevole il rav-
visare in te la primitiva sembianza. L* agg.
laUno in senso di focile, agevole (cfr. Cbnv.
n 8: e A pift ìatìnammU vedere la sentenza
littende » eoo.), si trov» qualche volta negli
antichi, p. es. Ci. Villani, O. xi 20: « assai
era latino di dare audienza », e vive nei dia-
letti lombardi : e pare che qnest' uso, almeno
per la frase ì/càimé toqui^ fosse già presso i
romani, onde Cicerone, FiUpp., vn 6 diceptott^
d laimB 1oq%$i a proposito dei parlatori focili e
alU buona. — 64. Mn dimmi eoo. Dante, desi-
derando che Fiocazda gli spiegasse meglio ciò
Qh6 aveva accennato oirea la conformità del
volere dei beati al volere divino, le chiede co-
la che altrimenti sarebbe superflua, cioò se
beati del primo cielo aspirino di salire a un
luogo più alto. — 66. per pld vedere occ La
magg^ parte dei commentatori intendono:
Per vedere più da vidno la divinità, in cui
consiste ogni beatitudine, d per rendervi più
foodgliari a Dio; ma già il Tomm. e poi più
piMisamente lo Scart, considerando questa
iiff**»^*^ in rélasione alle precedenti parole di
Fiocarda (w. 62-6A) e a dò che Tomm. d' A*
q[oÌno, Smmn, p. I 2>*, qu. rr, art 8, dice
della necessità che le anime beate hanno del-
l'amicizia, spiegarono: Deiiderate voi di es-
sere in luogo più alto per vedere più amid òhe
lassù si ritrovano o per forvi un maggior nu-
mero di amid tra i beati? La quale spiega-
done d confermata dal Catto che Dante non sa
ancora tutte le anime elette essere nel dolo
Empireo. — 68. da indi : quindi, appresso, lat.
deinde. — 69. eh' arder occ che sembrava
ardesse nd veemente ftiooo d'un primo amore.
Venturi 254 riavvicina questa similitudine
a quella del Boar, ix 70-71 e la loda come
« nuova forma ad esprimere lo stesso con-
cetto», notando ohe in entrambe è espressa
ridea di letizia che viene da un ardente sen-
timento di carità. — 70. Frate : continua
nella tersa cantica, sebbene meno frequente,
r uso di questa voce ud rivolgerti a una per-
sona cara: cfr. Far. vn, 68, 180, zxu 61 e
la nota al Purg. iv 127. — la nostra ecc. la
nostra volontà ò appagata dalla virtù della
cariti, la quale limita i nostri deddexl a dò
che abbiamo e non d invoglia di altro. ^
78. Se ecc. Se nd avessimo U desiderio di es-
sere in un delo più alto, questo dedderio
sarebbe discorde dal volere di Dio, che ci ha
assegnato questo ddo. — 76. eht ^li ne
eemti i più dd commentatori antichi e mo-
derni spiegano quest'espressione vagamente,
senza precisare il significato del vb. e$m» :
il Vent., seguito da mdti, l'intende per sos-
giiéj ditknffMj eepara ; lo Scart per vede ; ma
forse à da preferire la ddosa dd Buti, che
diede al vb. eem» U valore di gtudteoy inten-
dendda un po' largamente nel senso che Dio
574
DIVINA COMMEDIA
che* yedrai non capere in questi giri,
s'essere in caritate è qui necesse,
78 e se la sua natura ben rimirL
Anzi è formale ad esto beato esse
tenersi dentro alla divina voglia,
61 per ch'una fan si nostre voglie stesse.
Si che, come noi sem di soglia in soglia
per questo regno, a tutto il regno piace,
84 come allo re eh' a suo voler ne invoglia;
e la sua volontate è nostra pace:
ella è quel mare, al qual tutto si move
87 ciò eh' ella crea e che natura face ».
Chiaro mi fu allor com'ogni dove
in cielo è paradiso, e si la grazia
90 del sommo ben d'un modo non vi piove.
Ma si com'egli awien, se un cibo sazia
e d'un altro rimane ancor la gola,
93 che quel si chiede e di quel si ringrazia;
cosi fec'io con atto e con parola.
assegna, per suo giadizio, alle anime la sede
In questo cielo. — 76. che reAral eoo. la
qoal c(»a intenderai ohe non può aver luogo
in paradiso, se ò necessario die qui si sia
dominati dalla carità e se consideri che l'è»-
senza della carità ò appunto nel conformarsi
alla volontà divina. — 78. e se la s«a eoo.
La natura della carità 4 cosi dichiarata da
Tomm. d'Aquino, Summ,^ p. I, 2*«, qu. cix,
art. 3 : e Chaiitas diligit Deom ... seoundnm
quod est obiectum beatitudinis, et secundnm
quod homo habet quandam iocietatem spiri-
tualem cum Deo. Addit etiam oharitas supor
naturalem dilectionem Del promptitudinem
quandam et delectatloneni, lioat habitus qui-
libet virtntis addit super actum bonum qui
flt ex sola naturali ratione hominis yirtutis
habitum non babentis ». — 79. Amai eoo. Anzi
^ essenziale a questa vita di beatitudine il
tenersi entro i limiti della volontà divina,
nella quale si concentrano tutte le nostre
volontà. La volontà di Dio, secondo TomM.
d'Aquin., Summ, p. II*«, qu. civ, art 1, è
e prima regula qua regulantur omnes ratio-
nales voluntates ». — 82. Si che eoe Di
modo che la nostra distribuzione per 1 vari
cieli di questo regno piaoe a tutti i beati,
come place a Dio che suscitò in noi la volontà
conforme alla volontà sua. — di soglia ìm
soglia: di grado in grado, di cielo in cielo;
cfr. Par. xxxn 13. — 85. e la laa eoo. e la
volontà divina ò cosi il principio della nostra
beatitudine, è quel fine ultimo cui sono di-
retto tutto lo coso creato dirottiimonto «la Dio
0 por mozzo dulia natura. — 8ti. e^ai dove
•oc ogni parte del cieli ò luogo di boatitn-
dine, e pur tuttavia la grazia divina d dispen-
sata leoondo l mariti nelle varie parti in ▼»-
ria misura. È oonforme alla dottrina t»ologfca
esposta da Tomm. d'Aqo., Smnm, p. XIL
suppL, qu. xom, art. 2, 8: « Diversi modi
oonsequendi finem ultimum diversae manaio-
nes dicuntor; ut sic unitas domnt re^on-
deat unitati beatitudinis, quae est ex part*
obieoti, et pluralitas mansionum lespondaat
diiferentiae, quae in beatitudine inveoitor ex
parte boatorum... Prinolpiam distìnctivom
mansionum slve gzaduum beatitudinis est du-
plex, scilioet proplnqiuiffl et ranotam : ^ropin-
quum est diversa dispositio quae erit in bes-
tia, ex qua oontinget divenitas peifeotionis
apud eoe in operatione beatitudinis ; sed prin-
oipium remotum est meritnm, qao talem be»-
titudinem conseouti sunt >. ^ 89. e si : e por
essendo cosi, • dò non ottante. Questo ò il
preciso senso della locuzione dantesca, nelU
quale erroneamente si d volato vedere dai
pid un riflesso del lat itei, coi quale nulla
ha di comune. — 91. «mi' «gli nvTlen ecc.
oome suole accadore, quando di un cibo si ò
sazi e di un altro resta desiderio, ohe di que-
sto se no domanda ancora • di quello si rin-
grazia. — 93. ^nel.- qnel: oeMrvail GioL
ohe Dante usò avvertitamente q%t§Oo e qmlh
in vece di quitto e ^vsUo, perché si V ano
che l'altro cibo sono del pari indeterminati
nel caao generale qui aooennato. " 94. Use' le
eco. con atti e con parole ringraziai F&ocarda
d'avermi illuminato sopra uno dei punti dub-
biosi e la pregai di chiarirai sopra on 'altre.
PARADISO - CANTO IH
575
per apprender da lei qual fu la tela,
96 onde non trasse insino a co' la spola.
€ Perfetta vita ed alto merto inciela
donna più su, mi disse, alla cui norma
99 nel vostro mondo giù si veste e vela,
perché in fino al morir si vegghi e dorma,
con quello sposo ch'ogni vóto accetta,
102 che cantate a suo piacer conforma.
Dal mondo, per seguirla, giovinetta
fuggi' mi, e nel suo abito mi chiusi,
105 e promisi la via della sua setta.
Uomini poi, a mal più ch'ai bene usi,
fuor mi rapiron della dolce chiostra;
106 e Dio si sa qual poi mia vita fusi.
' 95. per spprtader ecc. per sapore da lei
qnal fòsse il vóto oh' ella non potè ossenrare
eompintamente, come fti eh' ella non con-
dusse sino alla Une la vita xeligiosa da lei in-
eomindata. Land. : e Qaeeto secondo dtibb\o,
del quale volea essere chiarito, era d'inten-
dere qnal fa la flta sna ohe essa cominciò
nella religione, ma non la fini ; e parla per
trasladone chiamando la yita Ma, della quale
«sa non trasse la spola inaino al eo', cioè
insino al capo, doò insino alla fine, per ciò
che la spola ò quella che condnce il filo della
trama di qoa in là tanto che la tela s'empie >.
— 96. eo* : cCr. Piirg. m 128. — 97. Perfetta
•ce. L'alto merito di nna vita di perfezione
(Tomm. d'Aqn., Summ. P. I 2»*, qu. xcix,
art 6 : « P^feeUo hominis est nt, contemptis
tamporalibos, splrìtnalibos inhaereat », e P.
II 2m, qn. ctv, art. 8 : « Meritum Tirtaosi
actos consistit in hoc qood homo, contemptis
bonis creatis, Deo inhaeret siont fini ») hanno
collocato in nn cielo più alto nna donna santa
eoo. — 96. donna eco. Qnosta donna, secondo
la coi regola gid nel mondo nostro si pren-
dono gli abiti religiosi e il velo monacale, ò
santa Chiara d'Assisi, nata nel 1194 e morta
nel 1258, la qnale per divozione al suo con-
cittadino san Francesco si dio alla vita di pe-
nitenza, e per i consigli di Ini eresse nel 1212
nn monastero per le donne e fondò una re-
gola monastica, che presto si diifose in tatta
ritelia (cfr. J. Orsbach, Lebm dar heiUgen
Clara, Aqoisgrana, 1844; Demore, Léban dar
haiL Clara 9on Aaaiai, Begensborg, 1857).
Dante non dice in qnal cielo di paradiso avesse
soo luogo questa santa donna. — 100. perche
ecc. con vóto di serbarsi contìnuamente fe-
deli a Dio, a quello sposo che accetta ogni
promena die nasca dalla carità e sia conforme
al suo volere. — si vegghi e dorma : si stia
giorno e netto, continoamonte. — 101. sposo :
Oes6 Cristo ; locuziono evangelica (oCr. Matteo
n 15, XXV 1, 6; Marco n 19; Luca v 84;
eiovanni m 29). ~ 106. Dal mende eco. Es-
sendo ancora giovinetta abbandonai il mondo
per seguire l'eeempio di santa Chiara, e ve-
stii l'abito monacale e twA. promessa di os-
servare la regola francescana. — 106. la via
ecc. la regola dell'ordine fondato da santa
Chiara. — ietta : compagnia, ordine. — 106.
Uomini eoe. Piccarda accenna non propria-
mente agli esecutori materiali della violenza
compiuta contro di lei, ma a quelli che l'or-
dinarono, cioè al fratello Corso e ad altri pa-
renti delia casa dei Donati detta fiorentina-
mente dei Ifalefami (cfr. Q, Villani, Cr, vai
89), e fors' anche a Bossellino della Tosa,
che non potè rimanore estraneo al fatto. —
107. faer ni rapiron eco. Bodolfo da Tossi-
gnano, Histor. sèraph, religùmia, P. I, p. 188,
raccogliendo forse nna tradizione viva in Fi-
renze, racconta ooef il ratto e la vita poste-
riore di Piccarda : « Corsus fhiter adversus
sororem virginem ira perdtus, assumpto se-
cum Farinata sicario famoso et aliis duodecim
perditissimis STOophantis, admotisque paxie-
tìbus schalis, ingressus est septa monaaterii:
captamque per vim sororem ad patemam do-
mum secum adduxit, et sacris disdssis vesti-
bus, mundanis indutam, ad nuptias ooegit.
Antequam sponsa Christi cum viro conveni-
ret, ante imaginem crucifixi virginitatem snam
spense Christo oommendavit Mox totum cor-
pus eius lepra peronssum Aodt, ut cementibus
dolorem incuteret et hoirorem : itaque, Deo
disponente, post aliquot dies cum palma vir-
ginitatis migravit ad Dominum >. Alcuni an-
tichi commentatori, Ott., Cass., Benv., accen-
nano anch' essi a questa fine di Piccarda : ma
sembra una leggenda posteriore, rifiorita in-
tomo al fitto delle violente nozze e della do-
lorosa vita della forzata sposa. ~ 108. e Dio
ecc. Dante ricopro come d'un velo la vita di
Piccarda dopo die tu. costretta a uscire dal
576
DIVINA COMMEDIA
E quest'altro splendor, che ti si mostra
dalla mia destra parte, e che s'accende
111 di tatto il lume della spera nostra,
ciò ch'io dico di me di sé intende:
sorella fa, e cosi le fa tolta
114 di capo l'ombra delle sacre bende.
Ma poi che pur al mondo fa rivolta
contra suo grado e centra buona usanza,
117 non fu dal Tel del cor giammai disciolta.
Quest'ò la luce della gran Ck)stanza|
diiofltro ; o cosi noUa indetenninatazza di que-
sto TeiBO lasci* al lettore d'imaginaro i mo-
rali tonnentl della infelloe donna, ooetxetta a
Tivere aceantó ad nn nomo non amato e con
lo strazio d'ayer mancato ai sacri vóti : arte
maravigUosa, che qni e negli episodi di Fran-
cesca e di Pia, ore piare e* ammira qnesta
poesia del mistero (cfr. Inf, ▼ 188, Btrg, ▼
484), tocca e scuoto il onore Taramento nmano
per intima tìM della parola dominata dai
pili delicati sentlmentL — ^al poi ecc. qnale
si fu la mia vita dopo U ratto. Sorire in pro-
posito di qnssti versi Q, Todesohini, BmM
su DamUy toL I, p. 887: e Ohi legge atton-
tamento il terso • il quarto canto del Paradiso
soorge maaiiésto, essere stata ferma persoa-
sione di Dante, che Ficcarda non mai si ao-
condasse con animo rolonteroso alla condi-
ilone Tiolentomento impostale dal ihitéllo, ma
pare non osasse di sciogliersene per timore
di nooyi danni ; eh' ella conservasse Tamore
della soa professione religiosa, ma poro non
avesse il coraggio di rompere risolatamento
gli ostacoli, che il mondo avea fin^poeti al-
l'osservanza de' snoi v6ti. Le parole di Danto
ci lasdano campo a credere die fosse abbre-
viata la vita di Piccaxda dal vivo contrasto
sorto nell'animo di lei : ma oh' ella, appena
data a nutrito, ardentomento pregasse e pro-
digiosamente ottenesse di essere immantiaento
sottratta agli effètti della violenza osatale da
messer Corso, ciò deve mettersi senza fallo
per nna di quelle narrazioni raccolte, non so
s'io dica, dalla bonarietà o dalla imprudenza,
che 8' acquistarono il titolo di leggende....
Danto considerava bensi Ficcarda come vit-
tima dell'altrui violenza, ma pure non iscema
affatto di colpa, né certamente di virtd straor-
dinarie dotata, o per grazie segnalate di-
stinte >. — 109. fnest'altre ecc. quest'altra
anima, ohe rifùlge qui alla mia destra e che
s'accende di tutto il lume della sfera lunare,
intende come detto di sé quello oh' io dico
di me, doò fta soggette alle stesse vicende
cui fui soggette io. — 110. s* accende eco.
l'anima di Costanza rifulge più che le altre
del primo cielo o per avere un maggior grado
di beatitudine coirispondonto alla maggiore
virtù sua o perché conserva ancora qialcba
cosa della dignità imperiale eh' ebbe nel mon-
do : la prima ragione ò da preferire perckó con-
forme alla dottrina di Tomm. d'A^, fltoiiiw.
P. m, suppl. qu. Lzxxv, art. 1 : € 8ecnn-
dum quod anima erit maioxis daritatis secun-
dum maius meritum, ite etiam erit diffweiitte
daritatis in oorpore ». ^ 118. terella eoe.
fsL monaca anch' essa, e anche a lei furono
tolto di capo le sacre bende, come a me, doè
con violenza. — 116. Ma pel eoo. ICa dopo
die fu ritornate alla vite secolare contro la
sua volontà e contro ogni buona usanza, die
ò di rispettare iv6ti religiosi, ella rimase sem-
pre in cuor suo fédde a Dio, come era state
nd monastaro. — 117. bob Ul ecc. Espres-
sione di grande eiBcada, che il Lana spiega :
e Awegna che fosse in privazione dell' àbito
estrinseco, sempre lo suo cuore to» chiuso o
velato dalle sopradetto sacre bende, quasi a
dire che sempre ebbe l'animo e la voglia alla
vite promessa per suo v6to ». — 118. graa
Costanza : Costanza, ultima figlia di Bug-
giero K re di Sicilia, nacque nd 1164 e sposò
nd 1186 Arrigo VI di Svezia, end 1189, alla
morto di Guglielmo n ultimo re della casa
Normanna, ereditò e transferi nd marito i
diritti della sua fàrni^^ sopra il regno di ^
dlia : rimaste vedova nd 1197, tenne la reg-
genza dd regno e la tutda dd figlio Fede-
rico n, fino alla sua morte avvenute nd di-
cembre noe. Al tempo di Dante correva in-
tomo a Id un racconto leggendario, raocdto
e diffuso dagli storia guelfi in obbrobrio di
Federico II : si diceva che Gostanza, già mo-
nacatad contro sua voglia, era state tratta di
diiostro in età di 62 anni dall'arcivescovo di
Fdermo e data in moglie ad Arrigo VI por
toglierò cosi il regno a Tancredi di Taranto,
e che il figliuolo Federico II era perdo stato
generato contro le leggi naturali (madre vec-
chia) e divine (madre già consacrata a Dio);
o£r. la versione più usuale di questa leggenda
in O. Villani, Or, v 16. Danto accolse la vd-
gare credenza che (k>8tanza fosse stata mo-
naca, ma la purificò di tutte le false • ca-
lunniose invenzioni dei guelfi, facendo di Id
una sante donna, dogua compaj^iia in Para-
PARADISO - CANTO HI
577
che del secondo vento di Suave
120 generò il terzo, e V ultima possanza ».
Cosi parlommi, e poi cominciò « Ave,
Maria >, cantando; e cantando vanio
123 come per acqua cupa cosa grave.
La vista mia, ohe tanto la seguio
quanto potsibil fu, poi che la perse
126 volseei al segno di maggior disio,
ed a Beatrice tutta si converse;
ma quella folgorò nello mio sguardo
si che da prima il viso non scvfferse,
130 e ciò mi fece a domandar più tardo.
dito ali* poriniiiia Piooard» Donati. — 119.
clit 4«1 MMBd* eoo. la quale da Arrigo VI,
Moondo imperatole della casa di Sreria (n.
1166, re del Bomani 1169, imperatore 1191,
m. 1197), generò il teno ed ultimo impera-
tole, Fededoo n (ofr. i%f, x 119). — rtate
di fluTei Blano: e la potenza impetaoia e
peMeggiara del principi della casa di Srevia
paragonata aooondamente ad un Tento impe-
tooso >• 8uam 4 riduzione italiana (astai n-
raale negli antichi, ofr. Parodi, BuU, m 148)
del ted. Sehitabm, lat Stmia» prorinoia ger-
manica onde traeva origine la caia degli Ho>
henstanfen. ^ 121. eomlneiò eoo. oomindò
a oantare VAm Maria, e cantando disparte :
cfìr. Virgilio, £h. oc 668 : « Sio onos Apollo
Mortalia medio aspectiu sermono reliqoit Et
pcoonl in tonoem ex oeolii erannit aoram ».
— 128. €•«• eoo. Compazaiioiie delle pid belle
ohe liano nel poema, perché laochlnde In na
fol reno inteesnto con mirabile artlflcio d'ao-
oenti e di oeeore la pittura yiya ed efficace
di un fatto naturale^ che cade fiMsilmento cotto
gli occhi di tutti, ma pochi saprebbero de-
sortrere con tanta brerità di discorso. D Ven-
turi lOa ayyerle che rammenta quella del-
VStodo XT 10: «sono stati affondati come
piombo in acqne grosse >; ma qui il Iktto 4
considerato come compiuto, in Danto 4 rap-
prseentato nel momento stesso in cui ayyiene.
— 126. pel che la eoo. poiché l'ebbe perdute,
quando non la soorse pid. — 126. al segue
eoo. all' oggetto del mio desiderio più intenso,
a Beatrice. — 128. quella folgorò ecc. mi
appi^rre tanto sfolgorante di luoe, al con-
fronto delle ani Ole di quel dolo, che alla prima
la mia viste non potè sostenere tanto splen-
dore: cfr. Par, ir 189 e segg.
CANTO IV
Beatrice Indovina e icioglie dnc dnbbf di Dante, constando la dottrina
platonica sopra U ritorno delle anime alle stelle, ove abitavano prima di
scendere in terra, e spiegandogli porche non sia pieno il merito di coloro
ehe forzatamente ruppero i vóti religiosi : Dante la ringrasia e la prega di
chiarirgli un altro dubbio [14 apriU% ore antimeridiane].
Intra due cibi, distanti e moventi,
d*an modo, prima si morria di fame,
TV 1. Intra due ecc. Le parole di Pi»>
carda hanno susdteto due dubbi nell'animo
di Danto, ed egli mosso dall' uno e dall'altro
in egoal modo si trova nella necessità di ta-
eere, non sapendo a quale dei due dare la
preferenza. Spiega adunque la situazione sua
eoa sioiilitadini dicendo: Un nomo libero,
posto in mezzo a due cibi equidistanti ed
egualmente appetibili, si morrebbe piuttosto
di teme prima di scegliere, come un agnello
Danti
temeiebbe egnalmento di due fluneUd lupi
sensa decidersi a fuggirne uno e un cane re-
storobbe immobile tra due damme senza git>
tarsi dietro ad alcuna delle due. D germe della
comparazione e del concetto dantesoo é in
Tommaso d'Aqu., Antwi. P. I 2^, qu. zm,
art. 6 : « Si aliqua duo sunt penitus acqualJa,
non magia movetur homo ad unum quam ad
aliud ; slcut famelicus si habet dbnm aeqoa-
liter appetibilem te divenis partibus, ot se-
87
578 DIVINA COMMEDIA
8 che liber nomo l'un recasse ai denti:
si si starebbe un agno intra due brame
di fieri lupi, egualmente temendo;
6 si si starebbe un cane intra due dame.
Per che, s'io mi iacea, me non riprendo,
dalli miei dubbi d'un modo sospinto,
9 poich'era necessario, né commendo.
Io mi iacea; ma il mio disir dipinto
In' era nel yiso, e il domandar con elio,
12 più caldo assai che per parlar distinto.
Fé' si Beatrice, qual fé' Daniello
Nabuccodonosor levando d'ira,
15 che l'avea fatto ingiustamente fòlio;
e disse : t Io veggio ben come ti tira
uno ed altro disio, si che tua cura
18 sé stessa lega si che fuor non spira.
Tu argomenti: * Se il buon voler dura,
la violenza altrui per qual ragione
21 di meritar mi scema la misura?'
Ancor di dubitar ti dà cagione,
parer iomarsi l'anime alle stelle,
24 secondo la sentenza di Platone.
Queste son le question, che nel tuo velie
pontano egualemente; e però pria
oandain «equalem distantiam, non mogis mo- aogno per rivolaàone divina, ootf Beatrice
retar ad nnom qnam ad altomm »; ma per conosceva i dabbt di Dante, senza che qneetì
lo svolgimento flgnrativo dato a qnesto oon- glieli avesse espostL — 15. fèllo : enidele,
cotto Dante si ricordò fono d'nn passo d'Ovi- empio (ofr. Inf, zzvm 81). — 16. Io Tt^»
dio, Ud, T 164: « Tigris nt, anditis direisa eco. Intendo bene come do» dssidext ti eccitì-
valle dnontm Extimnlata ftune mngitibas ar- no ognalmente a chiedere, in modo ohe la tua
mentomm, Neaoit atro potlos roat, et mere anima preoccapata Impedifloe coti s6 stossa
aidet vtroqne;Sio dobias Feneni >. ~ 8. 11- che la toa Teglia non si manilésta. — 10. ar-
ker «eMe i nomo dotato di libero arbitrio. ~ gomenil : fid qnesto ragionamento. — 8« il
4. agno : agnello ; latinismo freqnente (cfr. kaoB eco. Se in me rimane il bnon voletre di
Post, ix 181, x 94). — intra dne eoo. fìra osservare i vóti profévati, per qnal ragione
dne bramcai Inpi iérod. — 6. da«et damme, la violenxa esercitata da altri diminnirà U ai-
daini, lat. dama, -^ 7. Per che ecc. Per la sarà del mio merito apprcMO Dio? — 22.
qnale legge naturale non mi rimprovero né Ancor eco. Land.: « n secondo dnbbio 4 ohe,
mi lodo se egaalmento sospinto dai dne miei veduto Dante qneeti spirti nel globo lanare,
dnbbt io taceya, poiché il silenrio era nna quasi s'inclina in opinione ohe le anime degli
necessità.^ 11. il domandar eoe la domanda nomini ascendo dai corpi tomaasero alle stel-
oh' io fsoeva con l'atteggiamento del volto era le ». — 24. leeondo ecc. La dottrina di Pla>
più fervida che se fosse statafttttaoon aperte tono, che le anime fossero create prima dei
parole. — 18. Fa' if ecc. Beatrice fece oon corpi e distribuite nelle stelle, alle quali poi
me come il profeta Daniele oon Nabuccodo- ritornavano dopo la morte corporea, A esposta
nosor, àUorchó dichiarandogli il significato del nel Tiimn^ 41 D e*segg., ed era nota a Dante
sogno già dimenticato (cfr. Inf. xiv 106) calmò (cfr. Oom, n 14, xy21) per meso di Agostino,
lo sdegno che aveva tratto U re a ordinare De eie. Dd, zm 19 e di Toma. d'Aquino,
la morte di tutti i savi di Babilonia (ofr. Da- OmmvM miéra $mA, n 47, 48, m 78, 84: efr.
niele n 12-46). La oompararione ò tra due Ifoore, I 167. ^ 26. <}neste ecc. Questi eoao
termini ohe si corrispondono perfettamente, i dubbi che s'appuntuio, insistono ralla tua
poiché come Daniele conóbbe 11 segreto del volontà, stiiiolandola ugaalmente. — felle i
PARADISO - CANTO IV
579
27 tratterò quella che più ha di felle.
Dei serafin colui che più s'india,
Moieè, Samuely e quel Giovanni,
30 quàl prender vuoli, io dico, non Maria,
non hanne in altro cielo i loro scanni
che quegli spirti che mo t'apparirò,
83 nò hanno all'esser lor più o meno anni.
Ma tutti ifanno bello il primo giro,
e differentemente han dolce vita,
86 per sentir più e men l'eterno spiro.
Qui si mostraron, non perché sortita
sia questa spera lor; ma per far segno
39 della celestial e' ha men salita.
Cosi parlar conyiensi al vostro ingegno,
però che solo da sensato apprende
rol«re, volontà: tarmine loolastioo, usato an-
che in Air. TKTm 143, — 27. èhe pltf eoo.
che è piùreleno», che d contraria più i^rt»-
ment» alla fede cristiana. Soart: e Si potrebbe
chiedete, se il poeta intende che l'opinione
platpnire sia più pericolosa in generale, oprin-
cipehBente per Ini medesimo, e neU'nltimo
c«eo si avrebbe qui nna sua oonfassione arer
egli dubitato vn tempo droa Tanima nmana.
Vecamente tale d sembra essere il senso prin-
cipale fi qnesti TersL Imperooohó 1 dnbbt ohe
e^ Ta manifestando e fttoendosi sciogliere
dft Beatrice, TOgUonsi considerare come reali,
nxm solamente come poetiche flnxitmL Ve-
demmo più sopra (Air. n 46-148) che Dante
per bocca di Beatrice confetta nna sna opi-
nione emessa nel OomtMo, Ed anche qni,
denudate dalla loro reste poetica, le parole
di Dante significano semplicemente ohe egli
dabitò un tempo se forse Tera fosse la dot-
trina platonica droa le anime, ma che più
tardi e* riconobbe tal dottrina ossero assai
pericolosa e per tanto da non accettarsi ».
— 28. Bel serafln eoo. n primo dei serafini,
Moeè, Samnele, l'ano o l'altro dei doe Oio-
Twmi, la stessa Maria Vergine hanno la loro
sede in qnel mededmo ddo Empireo nd qnale
risiedono le anime che ora ti appanrero nel
ddo della lana. ~ eelnl ecc. n maggiore
degli angeli, colai ohe fissando di più l'ooohio
in Dio è avrivato da maggior amore (cfr. Par,
xxi 93). ~ s*indlas d fk divino (ofr. Pa-
rodi, Bull, m 138). Lana: € è rerbo infor-
maUro da Dio, qoad informatimi a Dw ». —
29. Helsè : il maggiore dei profèti {DenUmm.
xxxnr 10). — Samadt profeta e oltimo dei
gindid che ressero gli Ebroi, creatoro della
monarchia per rolera di Dio (cfr. Ih man, n
8, m 6). — e fnel OieTaaal: e qndlo che
ta Tooi dd doe CKoranni, il Battista o
r ErangeUsta. — 80. i^f a Mnrla : non eccet>
tonta né pare la Vergine, madre di Dio. —
82. qiegll spirti t le anime apparse a Dante
nel ddo della lana. — 8S. mi hanno eoe e
la loro beatitodine è egnalmente eterna per
tnttL Cod in modo indirotto Dante riprora
nn'dtra opinione platonica, per la qaale le
anime tornando did corpi loro alle stelle ri
sarebbero rimaste più o meno longamente a
seconda dd loro meriti. ~ 84. Ma tatti eoo.
Tatti gli spiriti beati adomano deUa lor pre-
senza il ddo Empireo e proTano differente
ddoeoa perdio sentono ^ o meno la bea-
titodine difhisa da Dio, non già per ossero
in dlTecddelL — prime glres l' Empireo;
la stessa espressione, ma con direrso signi-
ficato, in Pm$, 1 16. — 87. <2nl si mestraren
ecc. Le anime di coloro che mancarono ai lor
▼óti ti i^parvaro nd ddo della lana, non
perché questo sia il laogo swiegnito a qnelle
in sorte, ma perché ta aTSsd nna dimostra-
zione sensibile dd minor grado di beatitodine
che esse godono. — 89. della ealestial ecc.
della sfera o beatitadine odestiale, nella qnale
esse oocopano il più basso grado e ohe per-
dd ha per esse la minoro salita. — 40. Cesf
eoe Dice parlar non sansa forse an accenno
all' insa£Bdensa della parola nmana, secondo
il concetto ohe poi sarà srolto più larga-
mente in Par, zr 73-85. — 41. perà che
eoe imperocché l' intelletto nmaao apprende
eolamente dagli oggetti sensibili dò ohe poi
diviene dottrina intelligibile : ofr. Tomm.
d'Aqo. Ammii. P. I, qn. i, art 9: < Conve-
niens est sacrae Soriptorae divina et spiri-
toalia sub dmilitadinem corporaliom tradero.
Deos enim omnibos providet, seoondnm qaod
competit eonim natorae. Ert antem natarale
homini nt per sendbilia ad inteUigibiUa ve-
niat: qoia omnia nostra oognitio a seasn ìni-
tiom habet. Unde convenienter in saosa Scrip-
tnra tradantor nobis spiritaalia sub metaphoris
580
DIVINA COMMEDU
42 ciò che ùk poscia d'intelletto degno.
Per questo la Scrittura condiscende
a vostra facultate, e piedi e mano
45 attribuisce a Dio, ed altro intende;
e santa Chiesa con aspetto umano
Gabriel e Michel vi rappresenta
48 e l'altro che Tobia rifece sano.
Quel che Timeo dell'anime argomenta
non è simile a ciò che qui si vede,
61 però ohe, come dice, par che senta.
Dice che l'alma alla sua stella riede,
credendo quella quindi esser decisa,
64 quando natura per forma la diede.
£ forse sua sentenza ò d'altra guisa
che la voce non suona; ed esser puote
67 con intenzion da non esser derisa.
S'egl' intende tornare a queste rote
l'onor dell'influenza e il biasmo, forse
60 in alcun vero suo arco percote.
Questo principio male inteso tòrse
corpoialiam ». — 48. e«B4lMeBd« eoe adatta
il sao linguaggio alla natora della Tostia in-
telligenxa, e quando attribaiace a Dio e piedi
e mani intonde delle ine potenze : cfr. Ago-
■tino, in Oman, xvn : e Omnes, qni spixitaliter
intelUgont Soriptoiaa, non membra ooirporea
per lata nomina, aed ipixitalea potentiaa ao-
dpere didioenmt, liont galeaa et acntom et
gladinmet ali* mnlta», e Tomm. d'Aqn.,
aumwL P. I, qo. I, art 10 : « Per rooee ai-
gnillcatar aliqidd proprie et aliquid figniattre.
Neo est litteralia aenana ipsa flgnn, aed id
qnod eit figoratnm. Non enim cnm Soiptora
nominat Dei braohium, est litteralia eensoa
qnod in Deo sit membmm hninsmodi corpo-
rale: sed id qnod per hoo membnim signific»-
tnr, ioilioet rirtos operatiTa >. — 47. Gabriel
eoo. i tre arcangeli, Gabriele, Micbele e Baf-
Daele, ohe rese la rista al Tecohio Tobia (cfr.
Lnoa I 19, 36, ApoooL xn 7, 8, Tobia m 26).
— 49. Qvel eoe Old ohe Platone espone dolle
anime nel Tmto (L dt. nella nota al ▼. 24)
non è come qnello che si Tede nella lana,
non d nna maniera figurata per esprìmere idee
astratte ; perocchó sembra ohe il filosofo ero-
desse ciò die le sue parole letteralmente prese
significano. — 62. DIee eoe D passo di Pla-
tone, cni accenna Dante, è qnesto (tradoz. di
S. Erizzo): e Avendo [l'eterno Fattore] oosti-
tuito l'aniyerso, divise l'anime pari di nomerò
alle stelle, a dasohedona assegnando dascn-
na ... et qoeUo veramente, il qnale il corso
della sna vita trapasserà dirittamente, da capo
a quella stella ritornando, alla quale fb ao-
oomodato, menerà un» vita beata. Et da que-
ste ooee mancando, sarà oostretto nella se-
conda generaiione, di trasmotazsi in natura
di femina >. — 68. eredea4e eoo. credendo
l'anima esser stata tolta dalla sua stalla, al-
lorchó la natura la dette a un corpo come
forma di esso. ~ deelsa: cfr. JWy. xvn lU.
Erronea mi sembra la spiegazione del Blano :
e latinismo, per caduta, discesa, dal lat d^
eiden ». — 64. forma: nel solito senso soo-
lastioo di prindpio vitale, essenza eoo^ cft.
Tomm. d'Aqu. Svmm, P. Il 2^, qn. clxiv,
arti: e forma hominis est anima n^onaUs».
— 66. E forse eoo. Potrebbe essere p« altro
che il concetto di Platone fosse divano da
qud che suonano le sue parole preee alla let-
tera, e che l'intendimento suo fosse molto
serio e profondo. Quale potesse eesere que-
st'altro senso d spiegato nei versi die seguono.
— 67. da non esser derisa: immeritevole
di derisione, seria, profonda. — 68. 8* egli
ecc. Se Platone intende die alle rivoluzioni
degli astri dono da riferire la lode e U bla-
almo dello influenze die eserdtano aopia le
anime, movendole al bene o al male, forse
s' appone in qualche parte al vero. Biguardo
ai limiti, entro i quali Dante ammetteva Tin-
flnsso delle stdle sull'uomo, cfir. la nota al
J^. XVI 78. — 60. In alean eco. Oes.: « fe-
risce in qualdie oosa 4i ▼no: questa meta-
fora dell'arco è assai cara a Dante, come eo-
lui ohe ama molto le pi4 vive, e die piA ri-
traggono dalla oosa significata ». — 61. Qnasta
eoo. Questa dottrina platonica naia intesa
PARADISO — CANTO IV
681
già tatto il mondo quasi, si ohe Giov6|
63 Merourio e Marte a nominar trasoorse.
L'altra dubitazion che ti commove
ha men velen, però che sua malizia
66 non ti porla menar da me altrove.
Parere ingiusta la nostra giustizia
negli occhi dei mortali, ò argomento
69 di fede, e non d'eretica nequizia.
Ma, perché puote vostro accorgimento
ben penetrare a questa veritate,
72 come disirì, ti farò contento.
Se violenza ò quando quel che paté,
niente conferisce a quel ohe isforza,
75 non flr quest'alme per essa scusate;
che volontà, se non vuol, non s'ammorza,
tmriò già quasi tatti i popoli della terra e li
trave a dare ai pianeti il nome delle loro
dirinità. ^ Male IstMes Lomb.: « intesa in
direcsa maniera da qoella nella qnale ora ha
detto poterai intendere ». — 62. if ehe GIoto
eoo. detten> ai pianeti i nomi di Giove, Mor-
enrio, Harte, Satono e Venere, credendo che
dasoono di essi eeeroitasse l*inflaenza pro-
pri* di qnelli deL Questa è la più semplioe
interpretaùone di questo passo assai oontro-
Teno, oo|fermata da dd Dante stesso dioe di
Venere, quasi a oompimento di questa ter-
zina, in P». ym 1-12. Ma molti commenta-
tori intesero nomiaMr nel senso di invocare,
adoxmro, ohe non altererebbe punto la sen-
tenza generale del passo. — 64. L*altra ecc.
L'altro dubbio, ^ItAìra agli effetti dell'infra-
zione dei T6ti per Tiolenza altrui (cfr. vr.
19-21), è meiy pericoloso, perché il male ch'esso
contiene non è tale da rimuovere gli animi
dalla vera fede, dalla dottrina cristiana. — 67.
Parere eoe. Che la giustizia divina sembri in-
giusta agli uomini è argommUo di fede e non
di eresia. L' interpretazione di questa terzina
ha dato assai da Dare ai commentatori antichi
e moderni, che in proposito espressero le opi-
nioni più disparate; tutte le spiegazioni pos-
sono per altro ridursi a una di queste tre :
che in qualche caso particolare la divina giu-
stizia appaia ingiusta d prova di fede in que-
sta giustìzia in generale (Ott, Buti, Land.,
Dan., Vent, Andr., eoo.); ohe la giustizia
divina sembri ingiusta è una questione dì fede,
oh» la fiide stessa deve sciogliere, non la ra-
gione umana (Cee. e pochi altri); ohe la di-
vina giostizia appaia ingiusta è un motivo
per noi di credervi (Lomb.. Biag., Costa,
Tomm., Birp^'**, Frat. ecc.). Quesf ultima ò
la migttore, e fti bene illustrata dallo Scart.
ohe ricordando una deflnirione tomistica del-
Vargmmiwn (Summ, P. m, qu. lv, art 6
e aliquod sensibile signum quod inducitur ad
aliouius veritatis manifestattonem») eie pa-
role di san Paolo (ai Rom. zi 83) sull' impene-
trabilità dei giudizi divini (ofjr. Ar. zix40-
90), cosi dichiarò il passo: «Se la giustizia
divina pare ingiusta nen^ occhi dei mortali,
tale apparenza dovila condurli alla fède, non
alla miscredenza, sapendo essi cho incompren-
sibili sono i giudica del Signore. Pensando
a tale incomprensibilità tu già dovresti ap-
pagarti senza pretendere di voler oomprendere
r incomprensibile. Ma trattandosi in questo
caso spedale di oosa, alla quale può l'umano
intendimento penetrare, io sodiafiuò ai tuo
desiderio ». — mostra glvstisUt la giustizia
divina, quella che si eeeroita nella nostra
beata oorte ; olr. Tomm. d* Aqu., Summ, P. UE,
suppL qu. Lzxziz, art. 1 : < Uli qui oonsen-
tient Christo iudid, eins sententiam appio-
bando, indicare dioentur; et aio indicare erit
omnium electorum ». — 70. neeorglmeates
intelligenza. — 72. cose distri eoo. secondo
il tuo desiderio ti chiarirò del dubbio. -- 73.
8e Tlelenza ecc. Se la violenza è quando
chi la sofl!re non concorre minimamente a ciò
che fa il violento, queste anime non possono
avere scusa d'essere state costrette a rompere
i vóti, poiché la volontà umana non può es-
sere costretta se in qualche modo non con-
sente. Versifica scolasticamente la dottrina di
Tomm. d'Aqu., Summ, P. n 2^, qu. OLZzv,
art. 1 : € Violentum dicitur ouius prinoipinm
est extra, nil conferente eo quod vim patitur.
Confort autem unumquodque ad id in quod
tendit secundum propriam indinationem voi
voluntariam vel naturalem ». ~ p*te: pati-
sca, latinismo usuale (Parodi, BtUL m 124),
che d anche in Coiw, m 11, Par. zx 31 ecc.
— 75. qnest* alme : quelle apparse noi delo
582
DIVINA COMMEDIA
78
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93
ma fa come natura face in foco,
se mille volte violenza il terza:
per che, s'ella si piega assai o poco,
segue la forza; e cosi queste fòro,
possendo ritornare al santo loco.
Se fosse stato lor volere intero,
come tenne Lorenzo in su la grada
e fece Muzio alla sua man severo,
cosi le avria lipinte per la strada
ond'eran tratte, come fCtro sciolte;
ma cosi salda voglia ò troppo rada.
£ per queste parole, se ricolte
l'hai come devi, è l'argomento casso,
che t' avria fatto noia ancor più volte.
Ma or ti s'attraversa un altro passo
dinanzi agli occhi, tal ohe per te stesso
non usciresti, pria saresti lasso.
Io t'ho per certo nella mente messo
della lana. — 77. ma f» eoo. ma esplica la
sua forza oontro tatto le violonze, oome il
fbooo manifesta sempre la sua natórale ten-
denza all' insù, anohe te infinite volte d pie-
gato Tiolentemento ali* ingiù. — 78. tersa!
torca; è dal vb. (oroars, osato a signifioare
l'azione ripetuta e violenta: quanto alla foi^
ma, d nna ridazione della primitÌTa torcia^
oome twwa, faxa ecc. (ofir. Parodi, BulL Ul
102). — 79. per che ecc. per la qoal regione,
doò cho e la volontà, se non vacÀ, non s'am-
morza >. ~ s'ella eoo. se la volontà oede,
sia poi che essa ceda molto o pooo, conferisce
ad ogni modo alla violenza. Osserva il Tomm.:
e II poeta, con la finezza eh' è propria dell' in-
gegno e degli animi dirittamente severi, co-
nosce ona colpa attenaata si, ma tuttavia
colpa, in coloro che, coetrotti, cedono al male
senza acconsentire, si piegano con ribrezzo;
ma a tatti gli spiragli di libertà... non pon-
gono mente per profittarne, temono insieme e
il male a coi sono forzati e lo sforzo neces-
sario a prosciogliersene; e ool gemere e col
fremere si credono conservati o rifittti inno-
centi». — 81. al santa loeot al monastero,
dal quale erano state tratte per forza. — 83.
eone teane eoo. come lù piena e costante la
volontà di san Lorenzo e di Muzio Scevola.
— I^reazo : il martire san Lorenzo, romano,
diacono e tesorìero della Chiesa nel secolo m,
sofl!ri il martirio per l'editto dell'imperatore
Valeriano noli' a. 268: avendo distribuito ai
poveri il tesoro, porche non se ne impadro-
nissero i ministri imperiali, fxk straziato a colpi
di frusta e poi posto a bruciare sopra una
graticola, e mori invitto e forte senza dar se-
gni di dolore. — 84. Mazlo: C. Muzio Cordo
Scovolo, giovine romano, die tentò di liberar
Boma da gravi pericoli ocddendo Porsenna,
re etrusco che assediava la dttà : fallitogli il
oolpo, per punire la mano destra del suo er-
rore la pose a bruciare sur un bradere che
ardeva innanzi al re e gli aifermò che altri
giovini romani avevano giurata la morte del
nemico della patria (ofr. Livio ii 12 e segg.):
Dante loda la fermezza di Mnrio anohe nel
Oom. IV 6 e nel i>t man. ii 5. — 85. le avn'a
eco. le avrebbe ricondotte all'osservanxa dì
qud vóti, non appena si trovarono libere di
tornare al monastero. Di Costanza dò si po-
teva dire, perché rimasta vedova di Arrigo VI
si trovò libera di sé; non di Piocardo, che
premori certamente al marito : m| forse Dante
accennava per la infelice sua condttadina a
qualche partioolar fatto rimasto ignoto ai più
antichi interpreti. — 88. se rieolte ecc. se ne
hai ben penetrato il senso, prestandovi la
debita attenzione. — 89. è l'argameaio eoe.
resta confutato il tuo ragionamento (quello
dei w. 19-21), ohe in altre oocasioni, durante
questo viaggio, ti avrebbe fatto dubitare. —
casso t cf^. Jbr. n 88. — 91. Ma er occ Ma
ora si presenta alla tua mente un' altra dif-
flooltà, cosi grande che da te stesso non po-
tresti chiarirtene, poiché non avendo forze
snfScienti a superarla ti stancheresti prioia
di sdoglierla. La diifiooltà ò l'apparento con-
tradizione fra le parole di Beatrice, che ha
detto quelle anime esserri coaforaiate in qual-
che modo alla violenza, e quelle di Piocarda,
la quale ha affermato che Costanza « non to.
dal vel del cor giammai di8ci(dta ». (Ar, in
117) : la contradirione è esposta nei w. 94-99
e spiegata nei w. 100-U4. — 9*. la t* ho eco.
PARADISO - CANTO IV
583
ch'alma beata non porla mentire,
96 però ohe sempre al primo vero è presso :
e poi potesti da Piccarda adire
che Paffezion del vel Costanza tenne,
99 si ch'ella par qui meco contradire.
Molte fiate già, frate, addivenne
che, per fuggir periglio, contro a grato
102 si &' di quel che far non si convenne ;
come Almeone, che, di ciò pregato
dal padre suo, la propria madre spense,
105 per non perder pietà si fé' spietato.
A questo punto voglio che tu penso
che la forza al voler si mischia, e fanno
108 si che scusar non si posson l'offense.
Voglia assoluta non consente al danno,
ma consentevi in tanto in quanto teme,
111 se si ritrae, cadere in più affanno.
Però, quando Piccarda quello espreme,
della voglia assoluta intende, ed io
114 dell'altra; si che ver diciamo insieme ».
Io ti lu> già detto ohe le anime beate di que-
sto regno non possono mentile : efr. le parole
di Beatrice in P», m 81-88. — 96. perd
che eoo. per questo ohe ogni anima beata,
qoalnnqae sia il grado della sua beatitndine,
è sempre Ticina a Dio, fonte della rerità. —
97. poteeil eoo. hai potato ndir da Piooaida
die r imperatiioe Costanza oonserrò, anche
dopo la Tlolenca fattale, l'amore del Telo, os-
servando in cuor sno i T6ti professati. — 99.
si eh*éDa eoo. di guisa ohe sembra ohe Fio-
cardA oontradioa a quel ohe ho detto io, doè
ohe queste anime in parte si conformarono
alla Tiolensa fatta loro. — 100. Molte eoo.
Molte Tolte è accaduto ohe per ftiggire un pe-
rloolo si è fktto oontro yogUa quatohe atto ohe
non sarebbe stato conTeniente di fiue. — 103.
eewe eoo. Accenna al fiitto dichiarato nella
nota al I^tirg. xn tf , di Akmeone ohe per pre-
ghiera del padre Amflarao ucdse la madre
ErifUe. — 105. per nea eco. per non man-
care al rispetto doruto al padre si foce cru-
dele Terso la madre. È un ricordo oyidiano,
MeL TX. 407: «Ultnsque parente parentem
Nates, orit fhcto plus et sceleratns eodem »:
efr. anòhe le osserTazioni del D^Oridio, p. 79.
Scart. notava che il paragone < non è qui
troppo fdioe », perché Alcmeone si trovò in
coìlìrione di doveri, dovendo disubbidire al
padre o incrudelir nella madre ; ma il termine
(dndpale non è 11 contrasto dei doveri, si
piA tosto 11 timore ohe da quello si generava:
timoce die risponde a quello ohe Dante pone
some cagione di certi atti, ai quali ranimo
ripugnerebbe. — 106. À queste eco. ▲ tal
proposito considera ohe in simili casi la vo-
lontà dell'uno e la violenza dell'altro non
sono disgiunte, ma operano insieme; e perold
le ofTese che ne derivano non possono avere
scusa. ~ 109. Voglia ecc. Butl, attenendosi
alla dottrina tomistica (SummOt P. I ^, qu.
VI, art i-6), commenta: «Dobbiamo sapere
che sono due volontà : l' una assoluta, la quale
non pud Tolere lo male ; e l'altra respettiva,
la quale vuol minor male per cessare lo mag-
giore: e cosi può l'uomo volere con volontà
respettiva quel ohe non vorrebbe secondo la
volontà assoluta. Ma può essere ohe l'uomo
s' inganni nel dlsoemere qual sia maggior male
e quale minore, e allora si fa quello ohe non
si deve, come fece Gostanza, che elesse lo
minor bene parendole ftiggire maggior male
che non foggi e ohe non avrebbe fuggito se
avesse seguitato lo maggior bene. E però Ò
vero ohe Gostanza colla volontà assoluta sem-
pre tenne la religione; ma colla respettiva
no ; e però vero dico io Beatrice, che intendo
della volontà respettiva, e vero disse Pio-
carda, che intese della volontà assoluta: e
cosi è soluto lo dubbio ». — bob eoBseate
ecc. non acconsente al male in modo assoluto,
ma solo in modo relativo. In quanto tome di
cadero, lìacendo resistenza, in male peggioro.
— 112. teaado ecc. quando dice di Gostanza
che non si conformò alla violenza, intende
ecc. Sulla forma esprwn» per eaprim»t ofir. Pa-
rodi, BuU, m 151. — U4. deU* altra : deUa
volontà « respettiva » , dee oondisionata. —
684 DIVINA COMMEDIA
Cotal fu l'ondeggiar del santo rio,
ch'usci del fonte ond'ognì ver deriva;
117 tal pose in pace uno ed altro disio.
< 0 amanza del primo amante, o diva,
diss'io appresso, il cui parlar m'inonda,
120 e scalda si che pi il e più m'avviva,
non è l'affezion mia tanto profonda
che basti a render voi grazia per grazia;
123 ma quei che vede e puote a ciò risponda.
Io veggio ben che giammai non si sazia
nostro intelletto, se il ver non lo illustra,
126 di fuor dal qual nessun vero si spazia.
Posasi in esso, come fera in lustra,
tosto che giunto l'ha: e giugner puollo;
129 se non, ciascun disio sarebbe frustra.
Nasce per quello, a guisa di rampollo,
a pie del vero il dubbio: ed è natura,
132 che al sommo pinge noi di collo in collo.
Questo m'invita, questo m'assicura,
con riverenza, donna, a domandarvi
*' 135 d'un' altra verità che m'è osciu*a.
Io vo' saper se l'uom può satis&rvi
ai vóti manchi si con altri beni,
l\b. Cétol fa eoe Qaesto, ohe ho riferito, in coi gianse a riooTenni: e l' intalletto in
fu 0 lagionamento di Beatrice, prooedente da quol tao rìfagio difende sé stesso dagl'inganni
Dio fcat» di ogni verità. — 117. tal eoo. que- dell'errore, oome la belTa nel suo covile di-
sto fìi il ragionamento, ohe chiari i miei dubbt fonde sé e i figli dal cacciatore ohe la inse-
(d!t. i T. 16-34>. — 118. 0 amasia eco. 0 gae >. — 128. e giagser ecc. e ti deve ere-
donna amata da Dio, o donna divina, le «mi dere ohe possa raggiongere il vero, altrimenti
paiole entrando ed operando nell'animo ndo tdascnn desiderio sarebbe vano. È anche qae-
Io Avvivano sempre pid. — 121. bob è eoe »ta dottrina di Tomm. d'Aqa., Srnnmi. P. I,
to non sono atto a rendervi degne grazie, ina qn. xn, art. 1 : e Si intellectos rationalis crea-
prego Dio onniveggente e onnipotente ohe vi torse pertingere non possit ad primam can-
dì mostri la mia gratitudine. È rifatto cristi»- sam remm, remanebit inane desiderinm na-
niuDdate e ridotto a pi6 artistica brevità il tnrae >. — IBO. Nasce eco. Per questo desi-
vii^lano, JE^. i 600 : e grstes persolvere di- derio dell'udmo di conoecere la verità nasce
gnas Non opis est nostrae, Dido, nec qnid- accanto al vero il dubbio, ed ò la natura del-
qtild nbiqne est (Mentis Dardaniae, magnam l'intelletto che ci inalza di verità In verità,
qnsfl iparsa per orbem. Dt tibi, si qna ]iios Tomm.: « II dubbio buono e fecondo, quello
respeclant numina, si qnid Usquam iustttia ohe viene da istinto di natura e ohe aervo
est «t mens sibi conscia recti, Praemia dlgna all' ascensione dell'anima umana, è il dubbio
farant *. — 126. il ter eoe. Dio, prima e che nasce a' piedi del vero ed è gsrme di
somma verità, all'inftiori del quale non pud quello ». — a gvlsa di ram polle: come ai
msQT9 altra verità. — 127. Pesasi eoo. Dante, piedi degli alberi sorgono i rampolli^ — 182.
Conv. n 16 : « La scienza divina perfetta- di eolio ecc. dalla cima d' una verità alla
monta ne fa il Vero vedere, nel quale si cheta cima d' un' altra : la voce ooUo, usata qui fi-
r anima nostra». — come fera in lastra: guratamente, d nel senso di culmine, cima
oome l'animale feroce nel suo covo. Venturi in Inf. zxn 116, xzm 43. — 133. (gasate
393 : e Stupenda comparazione, ove sono da ecc. Tutte queste ragioni m' invitano e mi
QQlAre due sensi, analoghi, ma distinti. La danno animo ecc. — 196. le vo* eco. Desi-
Vflrità è riposo all'intelletto ohe l' ha cono- doro di sapere se chi d venuto meno ai vóti
teista, come riposo è all'errante belva la tana, professati possa compensare il difetto con al-
PARADISO - CANTO IV 585
188 ch'alia vostra staterà non aien parvi ».
Beatrice mi guardò con gli ocelli pieni
di faville d'amor cosi divini,
ohe, vinta, mia virtù diede le reni,
142 e quasi mi perdei con gli occhi chini.
tn boons opere, le qaaXL a toÌ betti non lem- canto segoenta — 189. eon gli ùtékì eoo.
brino icane. — 1S8. alla Tettra eoo. ap* con gli ooohi ood divinamente pieni di fftTille
prezzati dal voetro giudizio sembrino adegoati d' amoie. — UL ekt, Tlata, eoe ohe il mio
al fine. U problema proposto da Dante a Bea- sgoardo dovette sfuggire V inoontro oon anello
txìoe d trattato da Tomm. d'Aqn., Bmmm, P. di Beatiloa, e abbawiado gli ooohi mi trovai
n 2m, qn. Lzzvm, art 10 e legg., mlnm qoaii smaoito.
potrà tu foto ({upanMri : il poeta lo svolge nel
CANTO V
Beatrice, data la ragione del ano fiammeggiare, dimostra a Dante la san-
tità del vóto, la necessità di osservarlo e i limiti, entro i quali può essere
permutato. Salgono ed arrivano quindi nel cielo di Mercurio, ove appari-
scono le anime di coloro che adoperarono l' ingegno al bene, e si manifesta
a Dante 1* imperatore Oinstiniano [U aprile, ore antimeridiane].
< S'io ti fiammeggio nel caldo d'amore
di là dal modo che in terra si vede
8 si che degli occhi tuoi vinco il valore,
non ti maravigliar; chó ciò procede
da perfetto veder, che come apprende,
6 cosi nel hene appreso move il piede.
Io veggio hen si come già risplende
nello intelletto tuo l'eterna luce,
0 che, vista sola, sempre amore accende;
e s' altra cosa vostro amor seduce,
non ò se non di quella alcun vestigio
12 mal conosciuto, che quivi traluce.
Tu vuoi saper, se con altro servigio,
V 1. 8*le eco. Se io mi mostro a te ri- rono da questa spiegazione il Boti, Land.,
splendendo dei raggt dell'amore divino in ma- Dan., Tomm. e altri, riferendo il perfetto veder
njexa sopranatorale, tanto da vincere la forza a Dante. — 6. nel bene ecc. avanza nell'a-
de] tao sgoardo, die non può resistere a more di Dio, del quale d venuto a oognizione.
tanta hioe (efr. Bstr. rv 189 e segg.). — 8. ~ 8. Peteraa ecc. la luoe divina, ohe sola-
degU eeeld eoo. ofir. Par, rv 142, cui Beatrice mente a vederla suscita negli animi amore
si riporta inoominoiando. — 6. da perfetto etemo; cfr. Oonv, m li: «Si come il divino
eoo. dalla perfezione della mia vista, la quale amore è tutto etemo, oosf conviene che sia
quanto più contempla Dio, tanto pi4 se ne il- eterno lo suo oggetto di necessità, si ohe eter-
hmina, quanto piA percepisce di luoe divina ne cose siano quelle ch'egli ama ». — 11. nea è
tanto piA avanza nell'adomarsene. Tale è la ecc. d solamente perché traluoe in questa cosa
ratta spiegazione, oonfìBrmata da ciò ohe di qualche vestigio mal oonoeduto o qualche
Mosè si legge nei Ubrl biblici (Eeod. xxxiv segno fallace della divina luce: dice poetica-
84 e segg., Deuteron. zxziv 10), ove è detto mente dò che scolasticamente è esposto nel
che il fiammeggiare del suo volto insosteni- pasw) del Conv. rv 12, riferito nella nota al
We ai BortaU derivava dell'aver egli veduto Furg. xvi 88. — 18. Tu viel ecc. Tu desi-
la fiuda il Signore ; male però si allontana- dori di si^re (cfir. Air. tv 186: « Io vo' sa-
586
DIVINA COMMEDIA
per manco vóto, si può render tanto
15 che l'anima sicuri di litigio >.
Si cominciò Beatrice questo canto;
e si com'uom che suo parlar non spezza,
18 continuò cosi il processo santo:
€ Lo maggior don, che Dio per sua larghezza
fésse creando, ed alla sua bontate
21 più conformato, e quel ch'ei più apprezza,
fu della volontà la libertate,
di che le creature intelligenti,
24 e tutte e sole f^o e son dotate.
Or ti parrà, se tu quinci argomenti.
Paltò valor del vóto, s'è si fatto
27 che Dio consenta quando tu consenti;
che, nel fermar tra Dio e l'uomo il patto,
vittima £EtBsi di questo tesoro.
per i) ae in altra maniera, oon altie Imone
opere si pad, quando ai ria rotto il TÓto pro-
fessato, acquistar merito sufficiente a libeiar
l'anima, ad ottenere raasoluzione. — lA. inui*
eot mancato, Inadempiuto. — rem4ers pro-
priamente restitniie, e per estensione di si-
gnificato dare la dorata ricompensa, ricompen-
nare; olir. Any. zi 125. — 16. sicari eoo.
garantisca, assicuri l'anima da ogni contrasto ;
da ogni contrasto con la dirina giustizia,
spiegano generalmente i commentatori: ma
fu giustamente oeserrato (cfr. Bulk VII 117)
che qui forse sono enumerati i contrasti tra-
dizionali che 11 demonio mooye per le ani-
me da lui ritenute sua preda (cfr. Inf. zzvn
112, PuTff., T 104). — 16. 8f comlaelò eoe.
Oon questa formula interrompe Dante il di-
scorso di Beatrice come per avvertire il let-
tore che i versi precedenti formano quasi un
proemio al ragionamento che segue : e l'os-
servaziono del Tomm. circa l' inutilità di que-
sta terzina pare superflua. — 17. eo«* 1001
ecc. senz' alcuna interruzione, come U V uomo
che parla seguitatamente. Osserva giusta-
mente il Venturi 208 che Tespressiono dan-
tesca ricorda quella, in senso inverso, di Vir-
gilio, iSn. IV 888: <His medium dictìs ser-
monem abrum^t > ; ma a torto dice che la
similitudine spiegando < il medesimo con il
medesifio » non aggiunge nulla: la similitu-
dine non deve aggiungere, basta che chiari-
sca e illustri, e tale pregio, ohi ben guardi,
d anche in questa di Dante. — 18. proeetse
sante s santo ragionamento. D discorso ohe
segue di Beatrice si svolge cosi : Massimo dei
doni di Dio all' uomo è il libero arbitrio, però
il vóto liberamente profBssato è sacro e il
mancarvi non pud essere compensato (w. 19-
83): per quello che riguarda la dispensa e la
permutazione dei vóti (w. 84-42), è da os-
servare che all'essenza dri vóto si richieggono
due condizioni, la materia e il patto, questo
immutabile e Incancellabile, quella possibile
a mutarsi daUa volontà della GUesa (w. 43-
54): ogni permutazione deve quindi essere
fatta oon licenza deU'autorità eodeeiastica e
sostituendo alla precedente una cosa maggiore
(w. 65-68): da questo si vede quanto gli uo-
mini debbano andar cauti nello soegliere e nel
professare i vóti (w. 64-84). — 1». Le mag-
gior eoe D Ubero arbitrio tra i doni fttti da
Dio agli uomini è il più grande, il |d& con-
forme alia divina bontà e il più apprezzato
da Dio stesso eoe cfir. De mon, 1 12 : < Haec
libertas [arbitrii], slve piindpium hoc totios
libertatis nostzae, est matriimm doimm hu-
manae natuiae a Deo ooUatum; qulaperipeum
hic felidtamur ut homines, per ipsum alibi
feUdtamnr ut dii >. — 22. «ella volenU
ecc. Per la dottrina dantesca del libero arbi-
trio cfir. Rny. XVI 67-81, xvm 49-76. — 23.
di che ecc. del quale tutte le creature intel-
ligenti (angeU e uomini) e solamente esse Iti-
rono dotate prima del peccato originale e sono
rimaste dotate anche dopo la colpa del primo
padre (cfr. Tomm. d'Aqu., Summ. P. I. qu.
Lxxzm, art 2). — 25. se tv eoo. ee tu sa-
prai argomentare la natura del vóto da dò
che ti ho detto del libero arUtrio, che per il
vóto resta obbligato a Dio. — 26. Palte ecc.
la santità del vóto, se ò tale ohe al oonsenso
dell'uomo s'unisca il consenso di Dio (cfir.
Tomm. d'Aqu., Summ, P. II !>•, qu. Lzxxvm,
art. 1 e 2). — 28. eh4» nel ferautf eoo. poi-
ché, quando l' uomo promette di osservare un
vóto, sacrifica a Dio il tesoro della libera vo-
lontà, che è cosi prezioso oome ho detto, e
questo sacrifido si compie oon un atto della
PARADISO - CANTO V
687
80 tal qual io dico, e fassi col suo atto.
Dunque olie render puossi per ristoro?
Se credi bene osar quel e* hai offerto,
83 di maltolletto vuoi fiax buon lavoro.
Tu se' ornai del maggior punto certo ;
ma, perché santa Chiesa in ciò dispensa,
86 che par centra lo ver eh* io t'ho scoperto,
convlenti ancor sedere un poco a mensa,
però che il cibo rigido e' hai preso
39 richiede ancora aiuto a tua dispensa.
Apri la mente a quel ch'io ti paleso,
e fermalvi entro; che non fa scienza.
42 senza lo ritenere, avere inteso.
Due cose si convengono all'essenza
dì questo sacrificio: l'una ò quella
45 di che si fa, l'altra ò la convenenza.
Quest'ultima giammai non si cancella,
se non servata, ed intomo di lei
48 si precìso di sopra si favella;
però necessità fu agli ebrei
pur l'ofiferère, ancor che alcuna offerta
ttatsa libera rolontà. — 80. eoi tao ftttot
Tomm. d'Aqn., L dt. € Ad rotam tria ex ne-
eewitiite reqairnntiir : primo qnidem delibe-
ratio ; eeoondo, propositum «oJuntotit; tertio,
prominio in qna perfidtnr ratio roti ». — 81.
D«B^«o eoe. Donqne neesona opera bnona
pad oompeneaie l' inoasorvanza dei roti. —
82. 8« credi eoe. Se ondi di poter nsare a
fin di bene quella libera volontà che hai of-
Jérta a Dio, tn rooi Dare opere baone, opere
di carità eoa ooea tolta indebitamente ad al-
tri. MiaUoOittto o maUoUo (lat. med. maìetoM'
tmm) ai diaae nel medioevo il fratto delle (of-
Mto, doè deUe rapine, delle eetoraioni, delle
troffé (cfir. Inf, xi 86), e però Dante osò as-
Mù a propoeito qaeeta Tooe, nella qaale e' in-
clude una spedo di oompanzione: fai come
coloro die credono ottenere il perdono di Dio
impiegando in opere di carità quello cho hanno
rapito o troflàto agli altri. — 84. Ta ee* eoe.
Oramai ta tei certo del panto capitale, doò
che il Tóto per eó stesso non paò essereoom-
penaato da altre baone opere. — 85. la eiò
élspenta ecc. accorda dionee dai roti pro-
messi, e dò sembra essere in opposizione con
qoeUo che ti ho detto ecc. — 87. sedere «a
pece eoe prestare per nn altro poco atton-
zkwe al mio ragionamento, pdchó la materia
che liai presa a considerare ò ood difficile,
che a intenderla pienamente ti bisogna ancora
il mio aiate. — 88. disfeasa: ò l'atto della
digestionw, per la quale le sostanze nutrienti
li issimilaQo alle varie parti del corpo, ven-
gono distiibaite nd vart organi: detto deW
l'atto intellettivo, significa 1* intendere pie-
namente, senza die nulla resti oseoro e dub-
bio. — Al. e fermalvi eoo. e ferma, ritieni
bene nella toa mento dò oh* io ti vengo di-
cendo. — Bea Cs scleaia eco. a costitaire
il sapere non bastano le notizie del vero, si
bisogna anche la memoria che le ritenga. Stu-
penda e vera sentenza, ohe nella sua brevità
ha efficacia e solennità maggiore d' ogni piti
minuzioso avvertimento, ed ò di quelle in cui
Danto sdo sa scolpire le più usuali verità in
maniera inimitabile.— d8. Due cose eoo. Duo
condizioni essenziali sono necessarie al v6to ohe
ò sacrifizio del libero arbitrio : Tana d la ma-
teria o soggetto dd vóto (verginità, digiuno
ecc.), l'altra d la forma o convenzione o patto,
per cui si obbliga la libera volontà. — 45.
convenenza: atto del convenire, patto, con-
venzione (cfr. V. 28): sopra questa parola
ctt. Parodi, BoU. m 150. — 46. Quest'alttaia
ecc. La convenzione non d cancella se non
quando d stata osservata. — 48. di sopra i
nei w. 81-83, ove d detto che il patto non
pad essere rotto, nò la rottura compensato
d'alcun'altra gruisa. — 49. però eoo. per que-
sta ragione agli Ebrd fu pieeoritto che le
offerto al Signore non potessoro cessare, seb-
bene fosse ammesso il riscatto e la permuta-
zione delle porsone e ddle cose consacrato a
Dio, eccettuato le bestie e le cose offerto per
intonletto. — 60. offerire : forma arcaica del
vb. offrire^ che ricorre in Fuor, zm 140. —
588
DIVINA COMMEDIA
51 si permutasse, come saper dèi
L'altra, che per materia t*ò aperta,
puote bene esser tal che non si falla,
61 se con altra materia si converta.
Ma non trasmuti carco alla sua spalla
per suo arbitrio alcun, senza la volta
57 e della chiave bianca e della gialla;
ed ogni permutanza creda stolta,
se la cosa dimessa in la sorpresa,
60 come il quattro nel sei, non ò raccolta.
Però qualunque cosa tanto pesa,
per suo valor, che tragga ogni bilancia,
G3 satis£Eur non si può con altra spesa.
Non prendan li mortali il vóto a ciancia:
siate fedeli, ed a ciò far non bieci;
66 come leptò alla sua prima mancia,
61. fmt iftp«r eoe dal LtvUh, xxvn 1-29.
62. L*altrft eoo. L'altra ooadixioiie, ohe ti ho
dichiarato esser la matoria del T6to (v. 45
e di ohe si & »X pad essere pennntata senza
ohe si oada in peooato. Anohe Tomm. d'Aqn.,
Sunmn. P. II 2m, qiu umvm, art 10-12,
ammette ohe la oommutasione e la dispensa
dai vóti in oerti oasi sieno ledte, le esolnde
per il vóto di oastità, e diohiara che por Tona
e per l'altra oooorre sempre V interrento del-
l'autorità eoolesiastioa: Dante seg:ae qoaai in
tatto l'Aqoinate, salyo in aleoni particolari
che Terrò indicando. — 66. Ma boi trasaatl
eoo. Ott: e Mostrato ohe il TÓto non si pad
dimettere, ma ohe la cosa di ohe si £s il vóto
si può permutare, ora mostra ohe d nooee-
sarìo a tBX9 la permutazione. S dice ohe sono
dae cose: l'ona è l'autoritade del pastore
che abbia a dò podestade, e però dice oh'elli
dee essere tale ohe possa prosciogliere e le-
gare, sf che ogni pastore non ha questa ba-
lia, e dice che nessuno ardisca per suo ar>
bitrio permutarsi il TÓto; l' altra è che la
cosa, nella quale tu permuti la cosa rotata,
sia maggiore di quella, si che contenga in sé
quella e la metà di quella, si come il numero
del sei contiene il numero del quattro e la
metà più, o almeno sia maggiore di quella ».
~ 66. senza la Tolta eco. senza l'autorizza-
zione pontificia. — 67. della ehlATt eoe ott,
Purg, IX 117. — 68. ed ogni eoo. e tenga per
fallace ogni commutazione, se l'oggetto del
secondo vóto non ò maggiore assai di quello
del primitiTO, se la cosa ohe si dimette, si
abbandona non è inferiore a quella ohe si
prende di poL — 60. carne 11 qvattro eco.
La legge mosaica (Ltfrifio. xxvu 15: e . . . so-
pn4,^uuga olla tua ostinazione il quinto del
prezzo») può ben ayer suggerita a Dante
l'idea di questa oomparazione mmende; ma
certo egli non die al quattro e al sei il ra-
lore quantitativo determinato, e intese dir solo
di quantità minore e maggiore. — 61. Pere
eco. Perdo ogni oosa, ohe pesa tanto per sé
stessa da non arere equiTalente, non può es-
sere commutata, come materia di reto, eoa
alcun' altra. L'oggetto di vóto ohe non ha equi-
Talente è la rerginità, la quale dunque non
può lioerere oonunutazioBe o dispoiaa: la
dottrina di Dante è un po' dlTena da quella
dell' Aquinate, in quanto il poeta la fonda so-
pra 1' arg<unento della «ancania d'equiva-
lente, ohe al tedogo sembrava rsgiaiie insuf-
fidente. — 62. tragga eoe fhocia traboccale
per il suo peso qualunque bilancia. — 64.
Non eco. Oli uomini dunque wm. devono pien-
dere con leggerezza i v6tL Del varao dante-
sco d ricordò F. Ubarti, DitL n 80: « Noa
prendan li signor le imprese a olanda ». —
66. slate eoo. è bene ohe vd siate itodeli, ma
non dovete soonsideratamente correre a tax
vóti eoo. Anche qui Dante d scosta un po' da
Tomm. d'Aqu., che insegnava (Annai. P. n
2m, qn. Lxxxvnx, art 6): « fìueia idem opus
voto est melins et magia meritorinm quam
ùMoro sino voto > ; ma il poeta, ohe Tisee va-
ramente la vita del suo tempo, non quella dd
conventi o delle sonde, sentiva e sapeva di
quanti mali pubblid e privati fosse cagione
l'aboso delle proUssdoai, speoialment» dd v6tt
religiosi, che oondnoevano ad oonvanti tanti
uomini e tante donne, sottcaaadott ood alla
patria e alla Csmiglia. — bled s Uecài, senza
vista sioaxa, e ilgnratamente, ■oonsidscati,
leggieri nd propositi; ofir. Ar. vi 186. — 66.
coma leptè eoo. La oomparaslona è tratta dd
fatto di leftè di Galaad, il quale, chiamato a
condurre la gnetza degli Israditi contro gli
PARADISO - CANTO V 589
cui più si oonvenla dicer: ' Mal feci ',
che, servando, &r peggio; e cosi stolto
69 ritrovar puoi lo gran duca dei greci,
onde pianse Ifigenia il suo bel volto,
e fé' pianger di sé li folli e i savi,
72 ch'adir parlar di cosi ^Eitto cólto*
Siate, cristiani, a movervi più gravi,
non siate come penna ad ogni vento,
75 e non crediate ch'ogni acqua vi lavi.
Avete il vecchio e il nuovo testamento,
e il pastor della Chiesa ohe vi guida:
78 qnesto vi basti a vostro salvamento.
Se mala cupidigia alt:o vi grida,
uomini siate, e non pecore matte,
81 si che il giudeo di voi fra voi non rida.
Non fate come agnsl che lascia il latte
Ammoniti, < votò onróto al Signore, e disse, forma popolare per euOo^ ohe secondo alcuni
Se por ta mi dai i figUnoli d' Ammon nelle tosti sarebbe anche in B», zzn 45 ; olir. Pa-
mani, quando io ritornerò in pace.... dò ohe iodi, BulL m 96. — 78. a morerrl eoo.
nsouà dell'uscio di casa mia sarà del Signore, più considerati, più attenti nel £ue del vóti,
ed io 1* offerirò in olocausto » : ottenuta vitto- 74. non slate eoo. non siate leggieri, come
ria, « leltè ritomara a casa sua in Ifispe, eo- le piume che si muorono ad ogni vento, né
00, la sua figliuola gli usci incontro con tam- crediate che ogni offerta riesca grata al Si-
buri e con flauti >, ed egli per osserrare la gnore e Taiga a ottenervi il perdono delle re*
promessa, la saoiiiod (OUidioi n 80-40). ~ atre colpe. — 76. ATeto eoo. A eonduiri aU
ana saa prlsui manda : alla figliuola ch'egli Tetoma salute non bisognano tanti TÒti, ba-
saorificò per osserranza al TÓto fatto di sacri- sta l'csserranza della Sacra Scrittura e l' ub-
floare colui che per piimo(c quicumqueprMmw Udiensa al Pontefice ; ti ctr.D$ mon, in 16 :
fneiit egroosus » eoe, la vulgata; ofr. Moore, e Opus ftait... summo pontifico, qui seoundum
I 62) gli sarebbe uscito incontro dalla porta lerelata humanum genus perduoeret ad Tltam
della sua casa; la locuzione dantesca s'in- aetemam i. — 79. Se «ala eoe Se la mal-
tende benissimo, dando al nome mancia il vagia cupidigia dei religiosi vi spinge ai vóti,
senao di offerta (cfir. Inf. zzxi 6) e ammet- vi fa credere che non ci sia salute per òhi
tendo che Danto l'abbia detta prima, in quan- non fk offerte, date ascolto alla voce della ra-
to doveva easore costituita da quel che pri- gione e non seguite l'usansa comune per cui
wia sarebbe venuto incontro a leftò. Alcuni si abusa del vóto. Secondo il Gasa, sijavrebbe
oommentatori Cuitastioano di un significato di qui una speciale allusione ai tntà. Antoniani
figlia^ ohe la parola numeia non può avere {ott. Fiat, xxa 124) detti dalle campanelle,
né pur metaforioamente; poiché la sacrificata i quali a poco prono assolvevano da ogni vóto ;
da leltè era unica, nò poteva esser detta cfir. su dò 0. Beccaria, Di ahimi ktoffìd diffSó.
prima. — 67. evi pldeoo.il quel leftò avrebbe o controverti della Din. Omm,, Savona, 1889,
flttto meno male a riconosoece d'avere errato pp. 193-196. — 80. pecore matte t nomini
a tàxe un tal vóto, die a commettere un de- senza discernimento proprio, che, come Dante
Htto per osservarlo. I padri della Chiesa con- dice nd Obtie. i 11, e sono da chiamare pe-
dannano il vóto di leftè come stolto e lisa- core e non uomini >. — 8L sf ohe ecc. in
eiifido come empio (cfr.Tomm.d'Aqu., Summ, modo che 1 giudd non traggano da dò azgo-
P. n 2^, qu. T.mvm, art 2). — 69^ le mento a schemirvL Tomm. : € Acconciamente
fnw eoo. Agamennone, re di Argo e '^iio9'*"Xìiominato il Giudeo, per intendere che nella
supremo della spedizione dd gred contro vecchia legge la religione della promessa era
Troia, impedito a sdpare da Aulide dai venti sacra e dùs nella nuova, la quale ò legge di
sfavorevoli votò e sacrificò agli dd la figlia libertà, le promesse debbond e fiue e osser-
Ifigenia: ofr. Cicerone, De o/fie. m 26, donde vare ndlo spirito che vivìfica, non nella let-
Bttiaae Dante (Moore, I 268). — 71. li folli torà che spegne o illangruidisoe la vita ». —
eoo. tutti gli uomini che udirono parlare di 82. Nea fate eoo. Venturi 410 : e L' uomo ohe
un sacrifizio ood empio, di un « tam tetrum abbandona l'autorità della Chiesa e dei libri
fiidnus », come dico Cioerone. — 72. etfUo i sacri, è come agnello che lasda il latte, •
590
DIVINA COMMEDIA
della sua madre, e semplice e lascivo
84 seco medesmo a suo piacer combatte ».
Cosi Beatrice a me, com'ìo scrivo;
poi si rivolse tutta disiante
87 a quella parte ove il mondo è più vivo.
Lo suo tacere e il trasmutar sembiante
poser silenzio al mio cupido ingegno,
90 che già nuove questioni avea davante.
E si come saetta, che nel segno
percote pria che sia la corda queta,
03 COSI corremmo nel secondo regno.
Quivi la donna mia vid'io si lieta,
come nel lume di quel ciel si mise,
96 che più lucente se ne fé* il pianeta;
e se la stella si cambiò e rise,
qual mi fec' io, che pur di mia natura
99 trasmutabile son per tutte guise!
Come in peschiera, eh' è tranquilla e pura,
traggonsi i pesci a ciò che vien di fuori,
imbizzarrito qua • là lal telando, noooo a sé
tteeto. Nota come bene al oonoetto risponda
ogni parola della limJlitwdiiw» . — 88. iaiclfo ;
petolaato, di«ohito, come il lat la»owua : Y.
Monti (Avfmteo, toI. UE, p. I, p. 18) lo ipiaga
nel senso di esultante, allegro, Ttraoe, e ooel
dietro a Ini Bianòhi, Frat, Andr., eco. ~
86. pel il rlTOlae eoo. Finito il suo discorso,
Beatrice si volge piena dì desiderio Terso
quélia parte ove U wumdo è pid vko, poiché
essa e Dante devono ora salire si secondo
dolo, quello di Merouio. Ma quale è cotesta
parte? Non l'oriente, come spiegano Ott,
Batl, Land., YelL, Yent., Coste, poiché non
se ne vedrebbe la ragione; non la parte equi-
noziale, come intendono Dan., Biag. e altri,
perché il vioo accenna piuttosto a intensità di
splendore che di movimento; ma Tequatore,
ove trovai in questo momento il sole, come
spiegano Bianchi, Fret, Ant., o il cielo Est-
piieo, come intendono Cass. Benv., Lomb.,
Ges., Andr. ecc. : tra le quali ultime inter-
pretazioni non è alcuna contradizione, poiché
Beatrice doveva guardare dalla parte equa-
toriale al sole ohe era alto e perciò guardava
anche ali' Empireo. Si avverte ad ogni modo
che la salite a Mercurio non può eesere
disforme da quella alla Luna (cb-. Par, 1 47),
e si ricordi che la parto piA alto del para-
diso è quella « che pi6 ferve e più s' avviva
Nell'alito di Dio e nel costumi > {Par. zxin
118). — 88. trasmatar sembiante : Beatrice
man mano die saliva si faceva pia bella e pid
splendento. — 90. mnoTe questioni: quali
potessero essere cereo già il Buti, ma inutil-
mento, una volte che Danto non lo ha dotta
— 91. E si eome ecc. Yentori i88: « Andie
qui la celerite dell'ascensione ò espressa oca
la mededma similitudine della freccia [cfr.
Ar. n 22], ma con variate d' imagina. La
saette ha già cólto nel segno, e la corda del-
l'arco tremola ancora. Ylrgilio, delle api:
*Ut nervo pulsanto sagittae. Prima leves
Ineunt si quando proelia Parthi' (Geor^, ir
818) ». — 92. pria ecc. prima che sto ces-
sate la vibrazione della corda. — 98. ael se-
«ondo regia : nel cielo di Moronrio, nel quale
appariscono le anime di coloro ohe sono stati
attivi per lasciare al mondo buona tema di
sé. — 91. i^lfi eoo. Beatrice, giunte al se-
condo cielo, si fa pid lieta, e deOa ereeoiute
beatitudine di lei si avviva ed aocresoe il
lume del pianeta. — 97. e se la stella ecc.
e se la benefica influenza di Beatrice si fece
sentire ed apparve nel pianeta, che di sua
natura ò immutebile, quanto più si fece sra-
tire in me, che per mia natura sono soggetto
a tutto le impressioni I ~ 100. Oobm eoa Come
nell'acqua limpida e quiete d'una peechieiai
pesci accorrono a ciò che v' è gittate dentro se
stimano che sia il loro pasto, cosi verso di noi
accorsero pid di mUle anime risplendenti, da-
souna delle quali diceva: Ecco eoe Yenturi
419 : « Note nella comparazione bellezza e pro-
priete di consonanze. I duo epiteti irangmUa
e pura rispondono alla quieto somma e alla
serenite della sfera celesto; e l'imagine dei
pesd, che si volgono a dò che stimano cosa
di lor pastura, concorda col desiderio che
hanno quelle anime di psscersi di carità. Dt
PARADISO - CANTO V 591
102 per modo che lo Btimin lor pastura;
si vìd'io ben più di mille splendori
trarsi v6r noi, ed in ciascun s'ndia:
105 < Ecco chi crescerà li nostri amori >•
£ si come ciascimo a noi veniai
yedeasi 1* ombra piena di letisia
108 nel fulgor chiaro ohe da lei uscla.
P^iisa, lettor, se quel che qm s'inizia
non procedesse, come tu avresti
111 di più sapere angosciosa carizia;
e per te vederai, come da questi
m'era in disio d'udir lor condizioni,
114 si come agli occhi mi fldr manifesti.
€ 0 bene nato, a cui veder li troni
del trionfo eternai concede grazia,
117 prima che la milizia s'abbandoni,
del lume che per tutto il ciel si spazia
noi ^mo accesi: e però, se disii
120 di noi chiarirti, a tuo piacer ti sazia >.
Cosi da un di quelli spirti pii
detto mi fu; e da Beatrice: < Di', di',
123 sicuramente, e credi come a dii >.
< Io veggio ben si come tu t' annidi
piA : eoa» i peid, 1 quii risti in fondo alla nato la nota al Aif^r. y. 60. — a evi eoe. al
pwritiiora al diatingaono appena, lalitlal oom- quale la grada dirlna oonoede di vedere il
no ai veggono chiaramente; ooet quei beati delo Empiieo prima d'abbandonare la vita
via via al ftumo pi& risplendenti per la oa- terrena. Sopra Tordine angelico dei troni cfr.
rità èhe gl'inflaBUBa, e che nell' ayridnarai Par. ix 61, zxyni 106. — 117. la mlHila: la
a Dante ra cveeoendo ». — 106. Keee eoo. rita della ten», aeoondo la definidone biblica
VelL : « Eooo Dante, il qnale aumenterà la (lob vn 1): < Non ha 1* nomo nn termine della
Tirtd della carità in noi, perché di quella nel sua milizia snlla tona ?» — 118. del lame
•otrare i noi dnbbt potremo usare ». Altri eoe noi siamo accesi dall'ardente carità di-
riferiacono l'esdamaxione dei beati alla sola Tina, dilTusa per tutto il paradiso; però se hai
Baatrioe, e altri a Beatrice e Dante insieme ; desiderio di sapere qualche cosa intomo a noi,
mM quella del Veli, d la più ragionerole spie- sarai a tuo piacere sodisCstto. — 121. aa di
gasiona. — 106. I ti ease eoe Mano mano quelli eoe CHustlniano; cfr. Far. n 10. —
eha ciaaeuno dai beati s'ayrioinava a noi si 122. e da Beatrlee eoo. Beatrice eccita Dante
Todara l'anima piena di beatitudine nello ad accettare rolTerta di quelle anime, doman-
spleadore luminoeo che da essa raggiava. — dando dd ohe desiderava sapere e prestando
Ila eawt ta eoo. come sentiresti angoodo- loro credensa, come a persone divine. — Df*,
aamenta la manoanxa di sapere il rimanente, df* : cfr. Inf. vn 28. — 128. eome a dll :
La voce oarMa è dai moderni ooncordemente Boezio, Cont, PhU. m, pr. 10 dice ohe « di-
spiegata per caieetia, penuria (ofr. earo in vinitatem adeptos deos fierL... neoesse est »,
Airy. zxn 141), ma < vale senza dubbio mi- e siccome la beatitudine è divinità, oosf i
Bmria nelle sue varie sfumature di senso» beati sono come dei; ma forse Dante ebbe
(Ferodi, BmìL VI 16): alcuni antichi vi trova- la menta al vangelo (Giovanni x 84), che
imo ptuttoato V Idea di desiderio. — 112. per nella vulgata suona: < Nonne scriptum est
ta eoe. da te stesso intenderai quanto desiderio in lege vostra quia ego dixi *dii estis'?».
lo prvrassi di sapere da cotesti spiriti eoo. — dil : dei, iddiL — 124. Io veggio eoo.
— 116. 0 Iberna eoo. Si ofr. le parole, con le Io vedo come tu sd circondato dal tuo pro-
q;aaU ai volge a Dante anche Piccarda Donati prio splendore e che lo effondi per gli occhi,
la Bar. m 87 e segg., e per l'epiteto di b&nc poiché essi corruscano, scintillano quando tu
592 DIVINA COMMEDIA
nel proprio lame, e che dagli ooclii il traggi,
126 perch'ei corruscali bì come ta rìdi;
ma non so chi tu sei, nò perché aggi,
anima degna» il grado della spera,
129 che si vela ai mortai con altrui raggi >.
Questo diss'io diritto alla lumièra
ohe pria m'avea parlato, ond*ella féssi
182 lucente più assai di quel eh' eli* era.
Si come il sol, che si cela egli stesai
per troppa luce, come il caldo ha róse
135 le temperanze dei vapori spessi ;
per più letizia si mi si nascose
dentro al suo raggio la figura santa,
e cosi chiusa chiusa mi rispose
189 nel modo che il seguente canto canta.
ridi. Cet. : € A me par veder troppo più prò- che « più ra Telato de' ra^ del «de che
fonda ed alta sentensa in questa terdna, ohe nnll'altra tteDa » {Gono, n 14). ~ ISl. tini
non videro i cementatori, i qnali nnlla ci no- eoo. si fece anoor piA laminosa, perché eia
tarono di singolare: lo dird quello che me ne per eserdtare la sua carità Terso di me. —
sento. Io Teggo bene, che ta ti riposi, come 138. SI cerne ecc. Come il sole resta Telato
nella toa nicchia, nel lame di carità che hai dalla troppa luce, allorquando il calore dei
detto testé, e che è ora tuo proprio. Ora, se- suoi raggt ha consumato i TaporL » egU
gue Dante, di dò m'accorgo io bene, al se- stessi t forma, popolare di singolare, asni u-
gno ohe me ne danno i tuoi occhi, per li suale CP^rodi, Bulk m 128); cf^. Inf, iz68.
quali tu trai del cuore il ftioco dell'amor tuo — 186. le iemperanse eoe i fitti Tapcri,
d'entro; ond'essi corruscano e brillano se- ohe Telando il sole ne temperavano agii oc*
condo la tua letizia, oTvero il ridere della tua ohi noetri lo splendore : cfr. Aifjr. zxz 26-
bocoa. Voi udiste eh' io leggo oomuetm, e non 27. — 136. per pltf ecc. cosi risplendende
oorrusea, come mi dà qualche codice; e mi maggiormente per la cresciuta letizia, l'anima
pare aggiustatamente, condossiaché per gli di Giustiniano mi si nasoose dentro alla luce
occhi sopratutto si sfogano i movimenti del che da lei raggiava. — 188. eUasa eklvsa:
cuore, e meglio l'allegrezza che altro ». — interamente nascosta, tutta velata dal suo
128. 11 grado eoo. la beatitudine rispondente splendore. — eanto eoo. ofr. inf. i 86.
al dolo di Mercurio, die ò tra i pianeti quello
CANTO VI
Giustiniano imperatore rivelandosi a Dante gli parla prima di sé e poi
rìtesse a larghi tratti la storia deir Impero romano dai tempi d* Enea a
quelli di Carlomagno ; gli espone di poi quali anime beate siano assegnate
al cielo di Mercurio e gli parla di Romeo di Tillanova suo compagno di bea-
titudine [14 aprile, ore antimeridiane].
e Poscia che Costantin l'aquila volse
centra il corso del ciel, che la seguio
VI 1. Poscia eco. Dante aveva rivolto al- parti dei ghibellini e dei guelfi (w. 93-lll>
l'anima cortose due domande : chi fosse e per- — Costantin ecc. Costantino I (ef^. Imf, xa.
chó appaxìBse nel ddo di Mercurio {Par, v 115) trasportò la sede imperiale da Roma
127-129), e Giustiniano risponde all' una (w. a Bisanzio, volgendo cosi l'aquila romana
1-27) e all'altra (w. 112-126), interponendo da oocidente ad oriente, in senso contrario
tra osso una lunga digressione (v. 80 alcuna al movimento del dolo , che è da oriente
yiunto) sull'Impero romano (w. 28-97) e sulle ad occidente. — 2. chela segvfe ecc. il
PARADISO - CANTO VI
593
8 dietro ali* antico, che LaTÌnia tolse,
cento e cent'anni e più Puccel di Dio
nell'estremo d'Europa si ritenne,
6 vicino ai monti de'qoai prima uscio;
e sotto l'ombra delle sacre penne
governò il mondo li di mano in mano,
9 e si cangiando in su la mia pervenne.
Cesare fui, e son Giustiniano,
che, per voler dei primo amor ch'io sento,
12 d'entro le leggi trassi il troppo e il vano.
E prima ch'io all'opra fossi attento,
una natura in Cristo esser, non piùe,
15 credeva, e di tal fede era contento;
ma il benedetto Agapito, che fue
sommo pastore, alla fede sincera
18 mi dirizzò con le parole sue:
io gli credetti, e ciò che in sua fede era
qiuUo cono del dolo avey» segroito, avera
accompagnato il cammino deU'aqaila fatto con
Enaa, quando da Troia Tenne in Italia, da
oriento in ocddento. Altri leggono eh* Ma
mguSo, teeto pi& ftoile oertamento, ma per
qoeeta ite— i lagione sospetto. — 8. antico
eoe. Enea ohe ebbe in moglie Larinia, figlia
del Te Latino (Inf, ir 126). — 4. «ente eoe
Danto, eogoendo Brunetto Latini, poneva al
833 d« C. la traslazione della sede imperiale
in Rsanzio o l'assonzione di Giustiniano al
trono nel 689 (ofr. BuU, VI 196); si ohe tra
i doe arrenimenti troTSTa nn'interrallo mag-
giore del Tero, dod appunto piA di dugento
annL ~ l*Meel eoo. l'aquila (oftr. Purg.
xzzn 112), insegna del romano impero. —
6. mdl'Mtreaie eoo. oontinud ad arere la
sua sede in Bisanzio, estremo confine orien-
tale dell'Europa, Hon lungi dai monti della
Troade, onde V aquila era usdto con Enea.
— 7. • sotto eoe e in Bisanzio, per una lunga
serio d' imperatori, goremò il mondo oon l'au-
torità del santo impero. Notano i commen-
tatori oho so<(o t'omòra (M2S soorsjMnfis è frase
suggerita a Danto da oonsimili espressioni
dei Salmi zvi 6, xxxv 6, lxii 8, ore si
paria sempre di aK : e questo può essere il
Talore della parola ptnna, — 9. e 8< ecc. e
cosi pasoando da un imperatore a un altro,
r insegna dell' impero pervenne in mia mano.
— 10. Cesare eoo. Giustiniano I, nato nel
483, era nipote di Giustino I e fa eletto im-
peratore nel 627, mori nel 666, lasciando un
solenno monumento del suo regno nel Oodice
che porta il suo nome. Di questo rerso os-
serra U Cee. : e Bella questa notazione del
/W o del tono I Cesare, doò imperatore fui,
oho ora non sono pi6, essendo eoUa morto
Diinv
finiti gì* imperi ed i re : Giustiniano fui e sono,
percnó l'essere personale eoi nome dura, an-
che appresso alla morto ». — 11. pof Toler
eoo. per ispirazione dello ^irito Santo; ofir.
T. 23. — 12. d*aitro eoo. riordinai la giuri-
sprudenza romana, togliendo dal oofpo delle
leggi quelle che erano superflue riferendosi a
usi e instituti del passato o essendo simili ad
altre, e quelle ohe erano inutili peroké discor-
danti dalle nuoye. Danto ha colto eresoss-
sai bene il concetto fondamentale della rifórma
giustinianea significato nelle parole del decre-
to che precede il oodioe, | 1: < omni super-
Taeua similitudine et iniquiasima discordia
absolutae •. — 18. I frisa eoo. E prima di
volgermi a quest'opera di riordinare le leggi,
crederò che in Dio fosse una sola natura od
ero sodisf)»tto, tranquillo in questa credenza.
L'eresia nella quale era oadnto Giustiniano
è quella di Entiohe, che, in opposiaioiie alla
dottrina nestoriana delle due persone di Cri-
sto, sostenoTa una essere la natura di Cristo
e questo essere la divina, ohe oongiungen-
dosi all'umana l'aveva annientoto: erronea-
mente alcuni commentatori dicono che se-
condo l'eresia eutiohiana si ammettesse in
Cristo la sola natura umana ; ofr. Beccaria, op.
dt, pp. 198-199. — 16. Agapito s Agapito I
pontoflce dal 686 al 686 : mandato a Costan-
tinopoli da Teodato re degli Ostrogoti per ot-
tenere pace dall' imperatore, ebbe a dlaoutaro
oon Giustiniano in materia di religione e lo
persuase e dominum nostrum Jesus Christnm
deum ti hominem Mm, hoo est Atos natura»
•sst in uno Christo », secondo la testimonianza
di Anastasio bibliotecario {Lh mOtpoiUif,, s.
Agap. oap. 68). -- 19. e ei6 eoo. ed ora vedo
ehiaramento la verità di dò ch'egli affermava,
B94
DIVINA COMMEDIA
veggio ora chiaro, si come tu vedi
21 ogni contradizion e falsa e vera.
Tosto che con la Chiesa mossi i piedi,
a Dio per grazia piacque di spirarmi
24 l'alto lavoro, e tutto a lui mi diedi;
ed al mio Bellisar commendai l'armi,
cui la destra del ciel fu si congiunta
27 che segno fu ch'io dovessi posarmi.
Or qui alla question prima s'appunta
la mia risposta; ma sua condizione
80 mi stringe a seguitare alcuna giunta,
perchó tu veggi con quanta ragione
si move contra il sacrosanto segno
83 e chi '1 s'appropria e chi a lui s'oppone.
Vedi quanta virtù l' ha fatto degno
di reverenza! » E cominciò d'allora
86 che Fallante mori per dargli regno.
< Tu sai che fece in Alba sua dimora
cioè della doppia natoza di Ciisto, oon qnéUa
stessa oertewa oon coita intendi oome in nn
giadizb oontraditozio neoessariamente 1* ano
dei tannini i fìEdso e l'altro i vero. — 22.
Tosto eoo. Appena che Itd rientrato nel grem-
bo della Chiesa, accettando la dottrina della
doppia natala di Cristo, Dio m' ispird la grande
opera di riordinare le leggi e mi raccolsi tatto
in qnesta. — 25. eé al »ie ecc. e affidai il
comando delle armi imperiali al fedele Beli-
sario, che combatto i miei nemid con tanto
fttyore del dolo, da parer manifesto che la
Tolontà divina mi yclera occapato nell'opera
legislatiTa, paciflca ed aliena dal romore delle
armL — BeUlsar t Belisario (490-666), U più
grande dei capitsni dell' impero orientale, Is-
moso spedalmento per la spedizione in Italia
contro gli Ostrogoti : pare che Dante, come
Q. Villani {Or, u 6) e altri storici medioe-
yali, non conoscendo le opere di Prooopio
ignorasse i torti di Oiostiniano verso il sno
generale. — 26. evi la destra ecc. si ofr.
nel Oonc, ir 5, ove i romani sono detti
e stramenti, colli quali procedette la divina
Provvidenza nello romano imperio, dove più
volto parve le braccia di Dio ossero presen-
ti >. — 28. Or fai ecc. Sino a qoi ho ri-
sposto alla toa prima domanda: ma la qua-
lità della risposta, l'averti detto oh' io fìii im-
peratore, mi trae ad aggiongere qualche altra
cosa intomo all' impero, affinché tu vegga
quanto errino contro di esso e i ghibellini e
i guelfi. — 81. con qoaata ecc. con quanta
ingiustizia, con quale offesa del diritto impe-
riale operino da nemid dell' impero, e i ghi-
bellini ohe s'appropriano oome insegna l'a-
quila, e i guelfi ohe a quesf insegna si oppon-
gono. Buti, con linguaggio del tempo: < las-
sano signore e nessuno comune dovrebbe i^
propriard lo segno dell'aquila per riverenzia
do lo imperio, se non l'avesse già di grazia
dallo imperadore»; doè se non gli è stato
concesso per privilegio imperiale (oone a
Pisa ecc.). — Si, Tedi eco. CossÙaca, t»-
nendo dietro alla mia espodzioiie, quanto
valorose azioni hanno Catto degna questa ìa-
segna della riverenza degli uomini. — 36. B
eoMlnelò eoe E d rifece dd tempi remoti
nei quali Pallante mori nella lotte combattuta
per dare un regno ad Enea, portatore del-
l'aquila. Non ostante le obbiezioni dd Tor-
nea e di dtri (ofir. BM, VIU 824) seguito
nell' interpundone e nella spiegazione do»
commentetori moderni, Tomm. e Soart.; a
noto che i più dogli interpreti tengono an-
che questo ultime parole oome detto da Qia-
stiniano, a significare ohe la virtù dell'aquila
oomindò dd tempi remoti di Pallante. — 86.
Fallante: fu flgUo di Evandro, re dd Ledo,
e mandato dd padre in soccorso di Enea mori
combattendo contro Turno, re dd Rutuli.
— 87. Ta sai eco. Tu sd (da Livio, i 8 e
segg.) che l'autorità simboleggiate dall' aquila
risedette nella dttàdi iiba, fondate da Asca-
nio e retta dd discendenti d' Enea per dtie
tre secoli, sino alla cadute di quella dttà
ohe fu allorquando per quell'autorità com-
batterono i tre Orad con i tze Curiazi (cfir.
Livio 1 24-27). La presente terzina d illustrate
da ciò ohe d legge nel Ih mon, n 10: e Coa-
que duo populi ex ipsa troiana radice in Ita-
lia germinassent, Bomanus viddicet popnlos
PARADISO - CANTO VI
595
per trecent'aimi ed oltre, infino al fine
89 che i tre ai tre pugnar per lui ancora;
e sai ch'ei fé' dal mal delle Sabine
al dolor di Lucrezia in sette regi,
42 vincendo intomo le genti vicine.
Sai quel ch'ei fé*, portato dagli egregi
romani incontro a Brenne, incontro a Pirro,
45 e centra gli altri prine^Ki e collegi:
onde Torquato e Quinzio, che dal cirro
negletto fu nomato, i Deci e* Fabi
48 ebber la fama che volontìer mirro.
Esso atterrò l'orgoglio degli Arabi,
che di retro ad Annibale pass&ro
61 l'alpestre rocce, di che, Po, tu labi.
•t Albannt, atqoe dà tigno aquila» deqnepe-
natibas diis Troianoròiii atque dignitat» pK»-
eipandi longo tempo» intw M difloeptetam
«■et; ad oltimom, oommuni Msensa par-
tiiB, proptar imtwntliHn oognotoendam, per
tret Hosatioe firatree, et per totidem Cnria-
tioe ficatrea, inde in oonspeota regom et po-
polonim altrimeoni ezpoctantiam deoertatom
eet : ubi tribos pngHibns Albanoram peremp-
tis, BomaBoroB dnoboa, palma viotorìae sub
Hostilio rege oeaiit Bomanii >. — 88. p«r
trcetBt'aaal eoo. Segoita anohe qui ia cro-
nologia di B. Titfini, ohe pone la fondazione
di Roma 818 anni dopo U oadata di Troia
inrece dai tradizionali 481 (olir. BuU, VI 196).
— 40. e tal eoo. e sai dò che esso segno ope-
rd dal rmtto delle Sabine sino alla morte di
Lucrezia, dorante il goremo di sette re (Ro-
molo, Nnma, Tallo Ostilio, Anco Mando, Tar-
qoinio Prisco, Servio Tullio, e Tarqoinio Su-
perbo), soggiogando i popoli finitimi a Roma:
cfr. Oomf. nr 6. — 41. Laerezla t ofr. Inf, iv
128. — 48. Sai eoo. Sai dò ohe esso segno
opoò portato dai Tolorod Romani contro i
Galli ^dati da Brenne loro capo, contro i
Tarantiiìi gnidati da Pirro re d' Epiro, e con-
tro gli altri nemid di Roma, re e repubbliche.
— 46. «•llegl : collegT, piar, di ooUegio, nel
senso di repubblica, governo impersonale (ofir.
Parodi, BulL m 160); non già per eoli»-
gkL — 46. eade ecc. nelle quali guerre T.
Jlanllo Torquato, yindtore dei Galli e dei
Latini (ofr. Omo. vr 6), Quinzio Cincinnato
il dittatore (cfr. Como, iv 6, IH man. n, 6), i
due Ded sacrificatisi agli Dd per avere la
vittoria (P. Dedo Mure il padre nella guerra
contro i Latini dd 840, P. Dedo Mure U figlio
in quella dd 812: ofir. De man. n 6, Conv.
IV 6) e i F^ (i trecento, e Q. Fabio Mas-
simo, viadtore d'Annibale) acquistarono la
celebrità. — dal eirre ecc. ebbe il sopra-
nome di (Sndnnato, perché portava la ohi »ma
arruffata e trascurata (lat ekrru» óMifmaUut),
— 48. eke Tolontler ecc. Due interpretazioni
già dettero gli antichi del vb. mirro. L'una è
del Lana : e à da sapere che li antichi usa-
vano d' ungere di mirra li eorpi morti ch'olii
voleano die d conservassono, d ooma li mo-
derni usano d'imbalsamare; onde l'autore...
dice la fama oht voimUitr narro, doà ungo di
tale mixra ohe la conserverà per lo tempo fti-
turo »; e fu certo la più comune nd trecento,
poiché d trova in Pietro di Dante, Ott, Cass.,
An. fior. L'dtra é dd Buti : e mirro doà miro,
lodo, ma é scritto per due r per la oonsonan-
sia doUa rima ». Queef ultima ta aooolta da
mdti altri commentatori, Dan., Lomb., Biag.,
Costa eoo. ; mentze V. Monti (Propotta, voi.
m, p. I, pp. 182 e segg.), M. Q. Penta (Otor-
naia Arcadi», a. 1848, voL XCV, pp. 261-
262) e pd anohe U Parodi {BìiU. TU Ul)
sostennero 1* interpretadone più comune, nd
senso di incensare con mina, onorare. •—
49. Esso eoo. L'aquila romana fiaooò l'orgoi^o
dd Cartaginesi, ohe seguendo Annibde pas-
sarono le Alpi, onde scende il Po. — AràM t
Dante, Ih man, n 10 chiama Afrieani i sol-
dati d' Annibde; e qui indétto oerto dalla
neceedtà della rima dà loro il nome di .iroM,
che d suoi tempi era dato genericamente alle
popoladoni dell' Afirica settentrionale; ab-
biamo insomma in questa denominadone lo
stesso processo ideologioo, per cui sono d-
trove chiamati ìamba/rdi i genitori di Virgilio
{bif. I 68) ; non già, come vogliono Lomb.,
Tomm., Andr., eco. un accenno a comunanza
di origine dei Cartaglned e degli ArabL Quan-
to all' accento, d veda Parodi, BuU, m 107.
— 61. l'alpestre eoo. la catena ooddentalo
ddle Alpi, dondo, o Po, tu discendi. Si noti
l'apostrofe d Po, suggerita forse anohe questa
dalla rima, né senza esempi nd olasaid ; per
OS. Ovidio, Met. v 360 : e Dextra sed Ausonio
manna eat subieeta Pelerò; Lomo, Paehynéf
596
DIVINA COMMEDIA
Sott'esso giovinetti trionfaro
Scipione e Pompeo, ed a quel colle,
54 sotto il qual tu nascesti, parve amaro.
Poi, presso al tempo che tutto il ciel volle
ridur lo mondo a suo modo sereno,
57 Cesare, per voler di Roma, il tolle :
e quel che fé* da Varo infino al Reno,
Isara vide ed Era e vide Senna
60 ed ogni valle onde Rodano è pieno.
Quel che fé', poi eh* egli usci di Ravenna
e saltò Rubicon, fu di tal volo
63 che no '1 seguitarla lingua né penna.
In vèr la Spagna rivolse lo stuolo ;
poi v6r Duraszo; e Parsali i percosse
66 si ch'ai Nil caldo si senti del duolo.
Antandro e Simo anta, onde si mosse,
rivide, e là dov* Ettore si cuba,
(tM ». — 62. Sott'MM eoo. Coin1»att8ioiio fo-
lioemonto sotto il sepo dell' «qaiU, essendo
•noora gìovini, Soipione e Pompeo. — 63.
Self lene : P. Ckurnelio SàpioDe AMoano mag^
giore oombattó d* gioTinetto ti Ticino e a
Oanne ; a Tent*aimi conquistò la Spagna, a
trentatié riportò la vittoria dedsiTa sopra i
CartaginesL — Poapeo t Gn. Pompeo Magno
da giorine combatto per Siila contro i parti-
giani di Ilario, riportò vittorie nella Oallia
asalpina, nella Sicilia e nell'Africa, e a ven-
tidnqoe anni ottenne il trionfo. — eé a
fael eco. e quando il console Fiorino vinse
i Fiesolani il segno dell'aquila parve amaro
a quel colle, sotto U quale ò la città di Fi-
renze, toa patria. Si riferisce alle fkvole in-
torno alla dirtniiiotte di Fiesole, raccontate
da Q. Villani, O. i 87 e segg. — 66. Poi
eco. Di poi, avvicinandosi il tempo in cai il
cielo volle ohe tatto il mondo fosse ordinato
a ano modo, Giulio Cesare per volere del se-
nato e del popolo tolse in mano il segno del-
l'aquila, inoomlneiò ad esercitare il comando.
A iilustradone di questa terzina si ricordino
le parole del Omv. iv 6 : c però che nella sua
venuta [di Cristo] nel mondo, non solamente
il dolo, ma la terra conveniva ossero in ot-
tima dìsposirione, è la ottima di^osiziono
della terra sia quando ella è monarchia, cioò
tutta a un principe soggetta ; ordinato lù per
lo divino provvedimento quello popolo e quella
città che ciò dovoa compiere, cioè la gloriosa
Boma » : dalle quali lupare chiaramente ohe
in questi versi è accennato il ridursi del mondo
sotto il governo monarchico degli imperatori,
come più conforme al governo del cielo, alla
monarohia divina ; interpretazione confermata
da ciò che scrive Tomm. d'Aqo. gmmn. P.
m, qu. XXXV, art 8: « Congruebat etiam ut
in ilio tempore, quo unns princepe domina-
batnr in mundo, Qiristas nasceretur, qui ve-
nerat congregare snos in unum ». —67. t«lle;
prende ad eeeroitare l'autorità del sacro segno.
— 68. e f sei ecc. Allude alle g««m vitto-
riose di Q. Cesare nella Oallia transalpina,
designata appunto con i suol principali ftami.
Varo, Beno, Isara (Isère), Era(lat. Arar, oggi
Sttom\ Senna, e i minori ohe conflaisoooo
nel Bedano : cfir. Lucano Fìar». 1 88d-43A. —
61. QmI eoe L' impreca che l'aqniln ronuna
fece nella guena civile, da quando G. Cesate
nsc£ di Bavennn e passò il fiume BubicoM
sino al trionfo finale, fu cosi rapida che nes-
suna lingua e nessuna penna saprebbe ade-
guatamente descriverla. P. Toynbee, Rie I
24 ha dimostrato che Dante in questi veni
ha riassunta e seguita la narrazione di ere-
sio, VI 16, 16. — 62. fÉ di tal vele: si compi
con tanta celerità; cfir. A09. xvui lOL —
64. In vSr eoo. L'aquila guidò l'eeenàto di
Cesare nella Spagna, contro i legati pom-
peiani, Petreio, Afkanio e Varrone. — 66. pel
vlr eco. poscia a Durazso (lat. Dyrrkaekimn)
sull'Adriatico e a Parsalo nella Toasaglis.
ove Cesare riportò su Pompeo la vittckcia de-
cisiva, nel 48 a. Cr. — 66. ti che eoo. in
modo che persino in Egitto se ne sentirono
i dolorosi effètti : allude all' uocisiono di Pom-
peo, per opera di Tolomrooo XH re d* E^tto,
presso il quale egli cercava asilo dopo la bat-
tagUa di Farselo. — 67, Intaadre eco. L'a-
quila rivide i luoghi onde s'era partita (cfr.
V. 2): Antandro, città marittima della Frigia,
onde Enea salpò per venire in ooddente (JS^
m 6): Simoenta, piccolo fiume ohe nasce sol
monte Ida e scorre presso Troia; e 1* tomba
PARADISO — CANTO VI
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C9
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84
e mal per Tolommeo poi si riscosse:
da indi scese folgorando a Giuba;
poscia si volse nel vostro occidente,
dove sentia la pompeiana tuba.
Di quel eh' ei fé* col baiulo seguente,
Bruto con Cassio nello inferno latra,
e Modena e Perugia fé' dolente.
Plangene ancor la trista Cleopatra,
che, fuggendogli innanzi, dal colubro
la morte prese subitana ed atra.
Con costui corse infino al lito rubro;
con costui pose il mondo in tanta pace
che fu serrato a Giano il suo delubro.
Ma ciò che il segno, che parlar mi face,
fatto avea prima, e poi era fatturo,
per lo regno mortai eh' a lui soggiace,
diventa in apparenza poco e scuro,
se in mano al terzo Cesare si mira
d* Ettore (Eh. t 871: « tamnlam quo maxi-
mas oooabtt Hector »): Dante segno Lucano,
.Fbrv. iz 960 e seggr., il qnale racconta come
Oeene, dopo la battaglia di Farsalo» appro-
dane al lidi dell'Asia minore per Tisitare le
xDTine di Troia. — 69. e mal eco. e riprese
il ano Tolo, con danno del re Tolommeo, coi
Cesare tolse il regno dandolo a Cleopatra (inf.
▼ 63), sorella di Ini. — 70. da Indi ecc. Dal-
TE^tto piombò con la yelocità della folgore
sopra Oiaba, re della HAnritania, caldo soste-
nitore di Pompeo e della soa parte, spogliato
da Coeare del trono e morto di disperazione
dopo la battaglia di Tapso. — 71. poscia eco.
e poi si Tolse ad occidente, alla Spagna, ove
i pompeiani guidati dai 6gli di Pompeo s'orano
afforzati, e ftirono sconfitti da Cesare nella
battaglia di Monda. ~ 73. DI qoel ecc. Di
dò che l'aqnila fece portata da Ottaviano Au-
gusto danno segno Bruto e Cassio, divinco-
landosi rabbiosamente in bocca a Lucifero (Inf,
zxziT 64-67), poiché Tuno e l'altro caddero
nella battaglia di Filippi vinta da Ottaviano.
— eoi baialo ecc. Il nome baiulo^ lat baiu'
buj significa propriamento portatore, e per
estonsione di significato vale reggitore, totore,
govomatoro, sia nella forma piena, sia nelle
accordato, baiio e balio; onde Danto, Oorw.
IV 6 chiama < ball e totori della sua puerì-
zia > i setto re di Boma, e neU'Epiat ai Fio-
rentini, S 6 chiama < Romanae rei baiulos >
r imperatore Arrigo VII. È chiaro quindi che
ti baiulo $eguenU ò Ottaviano Augusto con-
sidersto come secondo imperatore, rispetto a
O. Cesare. — 74. latra: ò vero che al mo-
monto in cui Danto visito il cerchio dei tra-
ditori Bruto non fa motto {Inf. xzziv 66), ma
dò non oostitoisce una oontradizione; poidié
il vb. latrar* è da intendere qui, oome ben
fece Pietro di Danto, per attestare; attestare
doè col fatto e con la disperato loro condi-
zione. — 76. e Modeam eoo. Accenna, oome
già Lucano {Fan. 1 41 : < His, Caesar, Peru-
sina fames, Mntinaeqne labores Acoedant Cn-
tis >), alla disfatto di M. Antonio presso Mo-
dena e all'assedio e silo stragi di Perugia
dell'a. 41 a C. — 76. Plaageae ecc. AUude
al suicidio di Cleopatra, la qoale dopo la di-
sfotto di Azio e la morto di Antonio, non es-
sendo rìusdto a sedurre il vindtore Ottoviano,
si tolse la vito col veleno di un aspide. —
78. atra; atroce; Orazio, Od. i 87, 27, pro-
prio di Cleopatra: « ut atrum Corpore oombi-
beret venenum ». — 79. Con eostai eoo. Sotto
Ottoviano corse sino al Mar Rosso, per la con-
quisto dell' Sgitto: è rimombranxa del virgi-
liano, En, vtn 686 : « Victor ab Auroxae po-
pnlis et lUon rubro ». — 81. cke fa ecc. che
sotto di lui fu chiuso il tompio di Giano, che
si serrava quando i Romani non erano in
guerra con alcuno ; cft. De mon, 1 16 : « non
inveniemus, nisi sub divo Augusto monarcha,
existonto monarchia peifeota, mundum un-
dique frisse quietum *. — 82. Ma «16 ecc. Ma
totto le imprese, alle quali fti segnacolo l'a-
quila romana, quelle Catto sino a quel tompo
e quelle che dovevano ossero di pd, per il
regno torrone che a quell'aquila ò assegnato,
appariscono di piccola o nessuna importanza
al confronto di dò che successe sotto Tiberio.
— 86. torzo Cesare : Tiberio, genero di Au-
^usto e imperatoro dal U al 37 d. C; sotto
598
DIVINA COMMEDIA
87 con occhio chiaro e con affetto puro;
chó la viva giustizia che mi spira
gli concedette, in mano a quel ch'io dico,
90 gloria di far vendetta alla sua ira.
Or qui t'ammira in ciò ch'io ti replico;
poscia con Tito a far vendetta corse
93 della vendetta del peccato antico.
E quando il dente longobardo morse
la santa Chiesa, sotto alle sue ali
96 Carlo Magno, vincendo, la soccorse.
Omai puoi giudicar di quei cotali,
ch'io accusai di sopra, e di lor £b.11ì,
99 che son cagion di tutti vostri mali.
L'uno al pubblico segno i gigli gialli
oppone, e l'altro appropria quello a parte,
102 si che forte a veder ò ohi più ùiUL
Faccian li ghibellin, &ccian lor arte
sott' altro segno; che mal segue quello
105 sempre chi la giustizia e lui diparte:
U ino regno tu, la morte di Cristo. — 87. eoa
oeeliio ecc. con la mente illuminata dalla fede
e con linceiìtà di spirito. — 88. la TiTa eoo.
la giostixia divina, dalla quale io sono ispi-
rato, ooncedett» alla potenza romana, dorante
il regno di Tiberio, la gloria di divenire lo
Btnimento del sacrifizio di Cristo, Tenore di
sodisfjue oon la passiono e morto di Cristo
allo sdegno divino per il peccato originale. A
intondere bene il concetto dantesco giova dò
che il poeta scrive nel D» man, n U: e 8L..
snb ordinario indice Ghristos passos non
foiaset, illa poena ponitio non ftiisset : et in-
dex ordinarins esse non poterat, nisi sapra
totnm hnmannm genns inrisdictionem habens,
cnm totnm hnmannm genns in carne illa Christl
portantis dolores nostros (nt alt propheta) vel
snstinentis, pnniretnr. Et snpra totnm hn-
mannm genns Tiberins Caesar, cnins vicarins
erat Pilatns, inrisdictionem non habnisseC,
nisi romannm imperinm de inre Aiisset. Hino
est qnod Herodes, qnamvis ignorans qnid fa-
cerei, sicnt et Gaiphas, cnm vemm dixit de
ooelesti decreto, Christam Pilato remisit ad
indicandnm, nt Laoa in sno Evangelio tradit
Erat enim Herodes non vicem Tiberli gerens
sub tigno aquiloè, vel snb signo Senatns, sed
rex, regno singnlari ordinatna ab eo, et snb
BigQO regni sibi commissi gnbemans. Desinant
if^tnr imperinm exprobrare romannm, qni se
filios Ecclesiae flngnnt : cnm vldeant sponsnm
Chrìstnm Ulnd sic in ntroqne termino snae
militiae comprobasse ». — 91. Or qnl ecc.
La ragione dell'ammirazione dovrebbe essere
qnosta, che fa giiuata vendetta la morto di Cri-
sto Bgiusta mndeUa la pnnizione inflitta a Ge-
msalemme per qnella morto; ofir. Por. vn 19
e segg. ove è a Inngo trattata la questione.
— re^fee : replico, più od senso di spiegare
ohe oon quello di ripetere; quanto aU' ac-
cento spostato, ofir. Parodi, BuiL IH 106. —
92. posola eco. più tardi, per opera di Tito,
che fti poi imperatore (79-81 d. C.)» la potenza
romana fti strumento a vendicare la morto di
Cristo, ohe era stota la vendetta del peccato
originale. La distruzione di Oemsalemme per
opera di Tito, figlio dell' imp. Vespasiano, fti
noi 70 d. C, e « vendicò le f&ra ond' usci
il sangue per Qiuda venduto» (Aiv^. xxi
88). — 94. E quando eoo. E allorquando i
Longobardi perseiruitorono la Qiiesa romana,
Carlo Magno re dei Franchi {P». xvnx 43)
la soccorse vincendo Desiderio, ultimo re lon-
gobardo (a. 774), con il favore dell'aquila,
segno dell' impero che egli era destinato a
ricostituire. — 98. di sopra t nei veni 81-33.
100. L'uno eco. La parte guelfa oppone al-
l'aquila, emblema dell'impero ossia della le-
gittima monarchia, i gigli d'oro che sono in-
segna della casa di Frauda. — 101. raltro
ecc. la parto ghibellina restringe il signifi-
cato dell'aquila, connderandola oome emblema
proprio. — 102. forto: difficile; oo«£ anche
in Purg, n 66, xxix 42, xxxm 60 eoe. — 104.
sott' altro ecc. sotto un'altra insegna. Boti :
« Non iMmsino e non riouoprano la loco mala
intenzione dell'odio ohe hanno al vicino e
al cittadino e prossimo suo, sotto questo aeado
dicendo: Egli i rubello al santo impecio».
— mal segie eoe non si pu6 diro seguace
PARADISO — CANTO VI
699
e Don l'abbatta esto Carlo novello
coi guelfi suoi, ma tema degli artigli
108 eh* a più alto leon trasser lo vello.
Molte fiate già pianser li figli
per la colpa del padre; e non si creda
111 che Dio trasmuti l'arme per suoi giglL
Questa picciola stella si correda '
dei buoni spirti, che son stati attivi
114 perché onore e fama li succeda;
e quando li dlsiri poggian quivi
si disviando, pur convien che i raggi
117 del vero amore in su poggin men vivL
Ma, nel commensurar dei nostri gaggi
col merto, ò parte di nostra letizia,
120 perché non li vedem minor né maggi.
Quindi addolcisce la viva giustizia
in noi l'affetto, si che non si puote
123 torcer giammai ad alcuna nequizia.
Diverse voci fan giù dolci note;
cosi diversi scanni in nostra vita,
126 rendon dolce armonia tra queste rote.
E dentro alla presente margarita
d* impero chi di^giongt sempre 1* giostizU
dall'Insegna imperiale. — 106. e non l'ab-
tetta «00. Cario II d'Angiò (nato nel 1248,
re di Napoli 1286| morto 1809), che ora d 0190
in Italia della parto gaelfi&, non ti losinghi
di abbattere l'aquila imperiale. — 107. degli
artigli ecc. deUa potenza imperiale, ohe
ilaocò già lignori più forti di lai. — 109.
Malte ecc. E, per quasi tatti i commentatori,
k generale; solo il Boti Titrora
una profezia, tcrirendo : « lo detto re Cario
in 86 non Iti punito, ma d nel suo figliuolo,
cioè Filippo [di Taranto, m. nel 1882], che
ta preso dal re d'Aragona e tenuto in pri-
gione » : ma Danto non alluderà oerto a que-
sto UgUo di Cario IL Migliore, in ogni caso,
sarebbe l'ipotesi del Capetti (op. dt, p. 80)
ohe qui si alluda alle sventure di Cario Mar-
toUo, il ^ù buono dei figli di Carlo H (ofir.
Fùr. vm 81). — 111. eke IMo ecc. ohe Dio
eambl l'insegna sua dell'aquila (o£r. ▼. 4) in
quella *"g*"*"« dei gigli, ossia ohe trasferisca
in lui 0 nella sua casa i diritti imperiali alla
monarchia uaiTorsale, la sola che sia legittima
rappreeentanza in terra del regno dei deli.
— 112. Qaetla eco. Bispondendo ora alla se-
conda domanda di Danto, (Hustiniano gli dice
che Mercurio, tapiApieoola iUlla del eieio (Cono,
n 14), è adornato delle anime beato di coloro
ohe riTolsere la propria operodtj^ a cQosoguir^
nomo onorato e buona fiuna tra gli uomlnL
— U6. 0 f Bande ecc. e quando i dodderf
degli uomini mirano a questo fine, deyiando
in tal modo dal fine prindpale che è Dio,
oonyiene di necessità che l'amore per le cose
divine sia meno intenso. È seguita anche qui
la dottrina di Tomm. d'Aqu., gmmn. P. n,
2m qn. czzzn, art. 1-4, ohe considera come
peccato Toniale l'amore della gloria umana,
pur che non repugni alla carita e sia volta
alla saluto del prossimo. — 118. nel eom-
meniurar eoe nella giusta commisurazione,
proporrione dd nostri premi od meriti con-
sisto u)ia parto della nostra beatitudine, per-
ché vediamo che quelli non sono minori 116
maggiori di questi. — gagffl s U nome gag-
gio^ foimato sul tr, gag$y dal ted. latinizzato
wtùUuuif mercede, pegno, ha qui il senso di
premio, ricompensa (Dies 161, Zing. 124, Pa-
rodi, UuU, m 146). — 120. maggi t cfr.
Inf. VI 48. — 121. Quindi ecc. Per questo
mezzo ta giustizU^vina purifica cosi i nostri
sentimonti, ohe questi non possono mai es-
sere trnviati al male, all' invidta ecc. cfi. Pur,
ni 70-37. — 124. mverse eoo. Como nella
tona diverse vod umane producono accordo
di dolcissime note, cosi in paradiso diversi
gradi «li beatitudine costituiscono la ddoe ar-
monU degli spiriti detti : cfr. anche Par, 1 18.
— 1!^. «Ila pretepto Barbarità x al cielo 4|
600
DIVINA COMMEDU
luce la luce di Eomeo, di cui
120 fu Topra bella e grande mal gradita;
ma i provenzali che fòr centra lui
non hanno riso, e però mal cammina
182 qual si & danno del ben fare altrui.
Quattro figlie ebbe, e ciascuna regina,
Ramondo Beringhieri, e ciò gli fece
135 Bomeo persona umile e peregrina;
e poi il mosser le parole biece
a domandar ragione a questo giusto,
188 che gli assegnò sette e cinque per diece:
indi partissi povero e vetusto;
Meroorio; ofir. Air. n Si. — 128. Bobmi
Bomieu de VilleneaTe, nato Torso il 1170, fa
ministro e gran slnisoaloo di Baimondo Berin-
ghieri rV, ultime conte di Provenza, e alla
morte di lai, avvenuta nel 1246, restò ammi-
nistratore della contea e tutore di Beatrice,
ultima figlia del conte suo signore e moglie
di Carlo I d'Angiò (cfr. PuKrg, vii 127, xz 61):
morì nel 1260. Questa la storia; ma al tempo
di Dante correva su Bomeo una leggenda ohe
il poeta accolse e ohe è cosi narrata da'G.
Villani, O. VI 91 : « n conte Baimondo Ber-
linghieri di Provenza tu gentile signore di le-
gnaggio... Arrivò in soa corte uno Bomeo
che tornava da San Iacopo, e udendo la bontà
del conto Baimondo, ristette in sua corte, e
fu s( savio e valoroso, e venne tanto in gra-
zia al conte, che di tutto U fece maestro e
guidatore ; il quale sempre in abito onesto e
religioso si mantenne, e in poco tempo per
sua industria e senno raddoppiò la rendita di
suo signore in tre doppi, mantenendo sem-
pre grande ed onorata corte » ; e detto par-
titomente delle quattro figliuole maritate a
quattro gran principi, seguita : « Avvenne poi
per invidia, la quale guasta ogni bene, eh'e'
baroni di Provenza appuosono al buono Bo-
meo, ch'egli avea male guidato il tesoro del
conto, e feciongli domandare conto. II valente
Bomeo disse: * Conte, io f ho servito gran
tempo, e messo di picciolo stato in grande, e
di ciò per lo falso consiglio di tue genti se'
poco grato: io venni in tua corte povero
Bomoo, e onestamente dol tuo sono vissuto;
fammi dare il mio muletto e il bordone e scar-
Bolla com*io ci venni, e quetoti ogni servi-
gio *. n conte non volea si partisse; egli per
nulla volle rimanere, e «m* tra vmuio coti
86 n* andò^ cK» mai rum H aepp6 onde n foÈ»%
né dove andasse : owisossi per motti che foste
santa anima la sua ». Tale ò anche press' a
poco il racconto dei commentatori antichi, ai-
cani dei quali, come il Buti, recano altri mi-
nori particolari della legj^nda, che forse pro-
cede da qualche antica novella provonzalo. —
190. a* 1 provMsall eoo. ma 1 signori pro-
venzali ohe per invidia lo perseguitarono non
hanno riso, perohó dal mite governo fi Bai-
mondo sono passati sotto quello più aspro e
tirannico degli angiolnL — 182. fmal eoo.
ohiunque ò róso dall'invidia, e reputa danno
proprio il bene degli altri. ^ 1S3. QnnUro
eoo. Le quattro figUe di Baimondo BeiingUeri
rV ftirono: Margherita (n. 1221, m. 1296),
mo^ nel 1234 di Luigi IX U Santo, re di
Frauda (ofir. nota al JfW^. xz 60) ; Elaonocn
(m. 1291), moglie nel 1236 di Arrigo m re
d* Inghiltona (ofir. Purg. vn 130) ; Sanda (m.
1261), moglie nel 1248 di Biccardo conte di
Comovaglia, eletto re dei Bomani nel 1267;
e Beatrice, erede della contea e moglie À
Cario I d'Angiò (cfr. Pmg, vn 127). — 186.
anrile e peregrino t senza superbia e «tca-
niero, perdo uon obbligato a opere di fedeltà
veno il conte. — 136. le parole Meoe : le
calunniose parole degli invidiosi. La forma
Maof, ohe ò anche in Inf, zzv 81, e eos( il
bieei del Par. v 66, sono proprie della lingua
antica, né infirequenti nd trecentisti: cit,
Parodi, BuiL HI 121. — 188. ehe gii asse-
gna eco. che nel rendere i conti gli mostrò
ohe l'avere di Baimondo ere oresdoto sotto
la sua amministrazione. ~ 139. Indi ecc. Il
Parodi, BulL VH 8 nota su questi vord:
« Le inaili parole, note a noi did VUlani (e»-
m'tra venuto ecc.), d trasformano con incon-
parebile semplidtà di mezri in altissima li-
rica, animandod di dolorosa simpatia usuLoa;
codesti verd racchiudono band nd loro in-
timo tutto U dramma d' un cuore, ma qud
che sappiamo di Bomeo non ò sufBdente per
fsrnelo scaturire. Ma appena il nostro pon-
dero d rivolge al poeta, rioonosoendo findl-
mente la somiglianza delle due situazioni,
r intimo contenuto trabocca : una malinconi-
ca fierezza della lotta angosdosa, sostenuta
dignitosamente contro la povertà, una riven-
dicadone di s6 stesso dalle umiliazioni, in-
vano scongiurate con tutte le energie ddlo
spirito,' un ajppeilo triste^ n^a non sfiduciato,
PARADISO - CANTO VI
601
e 86 il mondo sapesse il cor ch'egli ebbe
mendicando sua vita a frusto a frusto,
142 assai lo loda e più lo loderebbe ».
•n* gingtizia fatar» degli aomini. Qoi dove
non e* d contrasto del poeta col sao peiso-
naggrio, dora U dramma è tatto nel senti*
mento, dove le situazioni sono identiche, noi
trasrormiamo senza sforzo alcano e senza ar-
rederoene Bomeo in Dante, ohe d appare
come ona delle più belle creazioni dell* arte
propria >. -> poTero e reUisto: rimasto po-
rero e divenato vecchio nel serrire il conte.
^ 140. e se U aioado eco. Dante, di s6 stesso
nel Qmv, 1 8: « Per le parti quasi tntte, alle
qoall questa lingua si stende, peregrino, quasi
mendicando, sono andato mostrando, contro
a mia voglia, la piaga della Tortona che snole
ingiostamente al piagato molte volte essere
imputata » : e si ricordino anche i versi del
Btr, zvn 68-60. — 11 eor ecc. la magna-
nimità e fortezza di caore dimostrata da Bo-
meo nella sinistra fiortana. — 141. a fraste
eco. a un tozzo di pane alla volta.
CANTO vn
Allontanatosi Ginstiniano con le altre anime, Beatrice scioglie alcnnl
dnbbt di Dante, ragionando a Inngo salla morte di Cristo, salla redenzione
deir nomo dal peccato originale e sali' incormttibilità di ciò che è creato
immediatamente da Dio (U aprile, ore antimeridiane].
€ Osanna sancitis Deus Sabaoth,
superillustrans claritate tua
8 felices ignea horum malachoth ! »
Cosi, volgendosi alla nota sua,
fu viso a me cantare essa sustanza,
6 sopra la qual doppio lume s'addua:
ed essa e P altre mossero a sua danza,
e, quasi velocissime faville,
vn 1. OtaavA ecc. Oiostlniano, nell'atto
di aUontanarsi da Dante, prende a cantare on
tamo latino mescolato di vtxd ebraiche il quale
aigniflca: Salvo, santo Dio dogli eserciti,
che col tuo splondore illumini dall'alto 1 beati
fuochi di questi regni. La voce ebraica Oatu^
no, che Damte trovò nella bibbia (Blatteo xn
9, 16; Kaioo zi 9; Giovanni xn 13), Iti U
saluto del popolo a Gesd, nella sua entrata
in Gerusalemme, significa Oh sofea e tu, for-
mula di acclamazione: Dante la pone sempre
sulle Ubbra degU angeU e degU spiriti beati
(Pkffy. ZI U, zziz 61, Av. vili 29, zzvm
118, zzzn 187), come un saluto al Signore.
— Sabaoth: voce ebraica, che significa degli
tsercUi : è neU'Epist. di s. Iacopo, v 4 (in
amnt éomimi Sabaoth). — 8. ignea : fiochi :
gli angeli e i beati, detti da Dante fochi
(Air. iz 77, zvm 108, zx84, zzn 46, zzrv 81,
zzv 87 ecc.) — Malachoth s voce ebraica,
che significa rtgnorum e che cosi ò riferita
• spiegata da san Girolamo, nel Brologu» gtk-
leotMs alla bibbia ( la forma vera di qaeeta
voce è memdaehtifh^ cfr. Moore, I 60). — 4.
t9%i eoe Queste parole mi sembrò che di-
cesse Giustiniano nel volgerai al suo canto,
dod cominciando a cantare, intonando un
canto. — 6. sopra la ««al ecc. sulla quale
s'era raccolto un duplice lume, quello delU
sua beatitudine e quello della carità eser-
citata verso Dante. Gli antichi Lana, Ott,
Gass. videro in queste parole accennate le due
autorità della legge e dell'impero, ricordan-
dosi forse delle parole che si leggono nel
proemio delle IttMiiUiut, hutmiaH» : < Impera-
toriam maiestatem non solum armis deoora-
tam, sed etiam legibus oportet esse aimatam ».
Secondo G. Brognoligo (cfr. BuiL V 196) il
doppio lume sarebbe < quello della beatitudine
celeste e quello ohe viene a Giustiniano dal-
l'opera sua di legislatore ». — s' aédaa t si
accoppia, si congiunge (dal numerale dtM, cit.
Parodi, B\M, m 136) : meno esattamente si
suole spiegare questo vb. con raddoppiair§^ che
accanto al doppio Ums costituirebbe una ripe-
tizione illogica. — 7. essa eoo. Giustiniano
e le altre anime ripresero Uloro giro droolare
e disparvero allontanandosi da me. — 8. f nasi
ecc. come faville mosse v^ocissimamente. Ven-
turi 7Q : « in questa parola, favillò^ ò oom-
602
DIVINA COMMEDIA
9 mi 8i velftr di sùbita distanza.
Io dubitava, e dicea: < Dille, dille »,
fra me, < dille », diceva, < alla mia donna
12 che mi disseta con le dolci stille »;
ma quella riverenza che s'indonna
di tutto me, pur per 'be' e per *ice',
15 mi richinava, come Puom ch'assonna.
Poco sofferse me cotal Beatrice,
e cominciò, raggiandomi d'un riso
18 tal che nel foco farla l'uom felice:
« Secondo mio infallibile avviso,
come giusta vendetta giustamente
21 vengiata fosse, t'ha in pensier mise;
ma io ti solverò tosto la mente:
e tu ascolta, che le mie parole
24 di gran sentenza ti faran presente.
Per non sofPrire alla virtù che vuole
freno a suo prode, quell'uom che non nacque,
27 dannando sé, dannò tutta sua prole;
onde l'umana specie inferma giacque
giù per secoli molti in grande errore.
piew l'idea del iUmmeggiaie di qaelli spiriti,
e insieme del loro sparir sabitaneo >. — 9. 41
B Alta ecc. per lunga distanza peroona in bro-
ylBsimo tempo. — 10. Io d«bltaTa eco. Io
era agitato da nn dabUo (tt. 19-21) e fra me
stesso pensava di dirlo alla mia donna, o»*
pace di sodisfare la mia oariodtà con le grate
parole della verità. — Dille ecc. Df a lei, a
Beatrice. — 18. Ma «nella eoo. ma quella
riTorenza, ohe s'impadronisce di tutto il mio
essere solamente a sentire U nome di Bice,
tanti sono i ricordi ohe quel nome suscita in
me : si richiamino qui le descrizioni che Dante
(à nella F. N, xi, xrv, xr, xn, zvn del ml-
rabiU effetti moraU della sua Beatrice. —
14. per 'he* ecc. Bice: nome ool quale anche
nelle rime giovenlli di Dante {Canx, p. 80,
r. N. zxnr 46) ò chiamata Beatrice Porti-
nari. Booc, VUa diD.iS: « il cui nome era
Bice, come ohe egli sempre dal suo primitiTO,
cioè Beatrice, la nominasse ». — 16. mi ri»
ehlnaTa eoe. mi faceva tenere il capo chino,
come tien l' uomo oh' ò preso dal sonno : viva
ed efficace imaglne, nella quale non è affatto
la sconvenienza ohe vi trova 11 Venturi 225.
— 16. Peeo eoo. Beatrice per poco tempo mi
lasciò eotaUf doè incerto tra il chiedere o
no la spiegarione del mio dubbio. — 17. rag-
glandoinl eoo. sorridendomi con tanta beati-
tudine che sarebbe bastevole a far felice uno
che fosse nelle fiamme. — 19. Secondo eoe
Secondo il mio infsllibìlo giudìzio, ti ha i
in pensiero, ti tk stu dubitoso dò olie in-
dirottamente ha detto Qtostiniano (Av. vi
88-98), vale a diro oome mai una giusta ven-
detta (la morte di Cristo) fesse vendicate giu-
stamente (con la distruzione di Oerosalemme).
— 21. venglatat cfr. Jn/l iz 64. — 22. ma
lo ecc. Scart : < Dimostra Beatrice che tn. giu-
sta la morte di GHsto, e che giustamente f^
tono puniti gli autori di essa. Oiustn la morte,
perché avendo Cristo assunta l'umana natura
dannata nel padro oomune, essa natora fu
giustamente punita sulla croce, lia «VBndo
Cristo conservata la sua natora divina accanto
alla umana, essa natura divina te mMolleg^
mente perseguitata ed oflissa. Con altre parole :
la morte di Cristo era giusta in quanto «1^ età
uomo, sacrìlega in quanto Dio. È un'ar-
guzia scolastica, che dimentioa Punita della
peiBona. Non ftirono due, un uomo ed nn Dio,
ohe morirono sulla croce, ma una aoln per-
sona, cioò l'Uomo Dio ». — 24. di gran eoo. ti
faranno dono d'una profonda sentenza. — 26.
Per non soffHre ecc. Adamo, l'uomo creato
immediatamente da Dio, per non aver eoffìRtD
a suo vantaggio un freno alla vidontà, dan-
nando s6 stesso daond tutto il genero umano.
— virM eco. la virtd del volere ; cfr. IWy.
xzi 106. — 26. f utIPnem eco. Adamo, e vìr
sino matre, vir sino lacte» (Ds 9u^, Moqu, i
6). — 28. onde eoo. però l'umanità giacque
inferma sulla terra per molti secoli in istato
di peccato, finché Cristo s'incamé. — 39, •#•
PARADISO — CANTO VH 603
80 fin ch'ai Verbo di Dio di scender piacque,
u' la natura, che dal suo fattore
s'era allungata, unio a sé in persona
83 con l'atto sol del suo etemo amore.
Or drizza il viso a quel ch'or si ragiona:
questa natura al suo fattore unita,
86 qual fu creata, fil sincera e buona;
ma per sé stessa fu ella sbandita
di Paradiso, però che si tòrse
89 da via di verità e da sua vita.
La pena dunque che la croce pòrse,
s'alia natura assunta si misura,
42 nulla giammai si giustamente morse;
e cosi ilulla fu di tanta ingiura,
guardando alla persona che sofferse,
45 in che era contratta tal natura.
Però d'un atto uscir cose diverse;
che a Dio ed al giudei piacque una morte:
48 per lei tremò la terra e il ciel s'aperse.
Kon ti dèe oramai parer più forte,
quando si dice che giusta vendetta
51 poscia vengiata fu da giusta corte.
Ma io veggi' or la tua mente ristretta
fAll molti : cflr. Pur. xm 118. — 80. Vtrbo via, da verità $ da tua vita (cfr. Moor», I 60).
di Pio: Cristo; poiché, oomo soiiye Tomm. — 89. na Tit«i quella di paradiso; ofr.
d'Aqn., 5iiifMn.F.I.qQ. xxxrv, art 2, «Ver- J^. zxvni 92. — 41. s'alia eco. ■• si
bara proprio dictam in dÌTinis personaliter considera rispetto alla natura amana asson-
acdpitiir, et «tt propri um nomen porsonae ta da Cristo, non poterà essere più giosta,
Filii: iignilloat enim qnandam emanationem fa giostissima. — 48. e eos( eco. e nello
intellectas ». — 81. n' la Batara eoo. in stesso tempo neesnna la pareggiò d'ingiasti-
terra, ore per Tirt6 dello Spirito Santo con- da, se si considera la persona di Cristo, nella
gianse alla propria natura diTina in nnità di qoale era congianta la natura umana. — la-
persona la natura umana, che si era allenta- giara : ingiuria, ingiustiria, lat immia. —
nata da Dio per il peccato originale — 88. 46. Però eco. Lana : « Della morte di Cristo
eoa Patto ecc. Tomm. d'Aqu. Summ, F. m, nasco due considerazioni, l'una lo piacere di
qo. zxxn, art. 1 : « Conceptionem oorporis Dio a redimere Fumana generazione per tal
Christi tota Trinitat est operata : attribuitur modo, Taltra la iniquitade dell! Giudei a fare
tamen hoo Spiritai Sancto » ; e ne dà tre ra- patire pena a persona innocente, per inridia».
gioni, oh'ò inutile riferire. — 86. «aesta ecc. — 48. per lei eco. Dice che per la morte di
q ueata umana natura in quanto fu congiunta Cristo tremò la terra, con allusione al noto rec-
ai suo creatore, assunta dod da Cristo quale conto erangelioo (of^. Inf, xn 41, xn 112),
era stata oreata. Iti pure e sincera, senza ^ U eiet t^aperee, perché, dice Tomm. d'Aqu.,
peccato originale. Tomm. d' Aqu. , Swnm. Summ, F. ni, qu. xlix, art 6 : « per pas-
F. m, qu. ZT, art 1: «Christus non peccavlt slonem Christi aperta est nobis ianua regni
in Adam,inquofnitsolumproptermateriam». coelestis». — 49. forte: ofr. Par, yi 102.
— 87. m per sé eco. ma per s6 medesima — 60. si diee : of^. tv. 20-21. — 61. da gia-
ta sbandita dal paradiso. Iti ritenuta colpe- sta corte: da Tito imperatore, spiegano Lana,
vola dal peooato originale, perocché doTiò dalla Ott., Case., BenT., Bnti, An. fior., Voli., Dan.,
■tzada della rarità e dalla Tita felice del para- Vent ; dal giusto tribunale di Dio, inten-
diao terrestre. Alcuni, ricordando l'oTange- dono meno bene Tomm., Bianchi, Frat., Andr.
lioo(QloTanni zjt6): «Ges6 gli disse. Io sono Blano e altri : ò manifesto che Dante si ri-
la Tia, la rarità o la rita », preferiscono di ferisce qui al Par. n 92. — 62. Ma lo reg-
leggere, né senza autorità di buoni tosti : Da gi* or ecc. Beatrice scioglie un altro dubbio
G04
DIVINA COMMEDU
di penaier in pensier dentro ad un nodo,
64 del qual con gran disio solver s'aspetta.
Tu dici: * Ben discemo ciò eh' i' odo;
ma, perché Dio volesse, m'ò occulto,
67 a nostra reienzion pur questo modo '.
Questo deoretO| frate, sta sepulto
agli o:chi di ciascano, il cui ingegno
60 nella fiamma d'amor non ò adulto.
Veramente, però eh' a questo segno
molto si mira e poco si disceme,
63 dirò perché tal modo fu più degno.
La divina bontà, che da sé speme
ogni livore, ardendo in sé scintilla
66 si che dispiega le bellezze eteme.
Ciò che da lei sema mezzo distilla
non ha poi fine, perché non si move
69 la sua impronta, quand'olia sigilla.
Ciò che da essa senza mezzo piove
libero è tutto, perché non soggiace
n
di Dante : per qnal ragiooo Dio rolene qaosto
modo di redenzloiie. La questione fa disonssa
largamente dai teologi medioerali (otr, F. C.
Saar, Di» ehri$a, Léhn von dtir Vtnohmmg^
TaUnga, 1888), e ipecialmente da Anselmo
d'Aosta nel trattato Ouir Dmm homo? e da
Tomm. d' Aqn., Amimi. P. m, qn. zlti-xlix :
Dante si mostra in più ponti seguace della
dottrina di Anselmo. — 63. deatro eoe. den-
tro a un dubbio, dal quale aspetta con gran
desiderio d'essere liberata : cfr. l'espressione
oon quella deìVBtf. z 96. — 66. T« dici
eoo. Tu hai compreso ciò che ti ho detto, nuk
non intendi perché Dio abbia voluto usare
solo questo modo, la morte di Cristo, per re-
dimere l'umanità. — 68. Investo deereto
eoo. La ragione di questa deliberaziono di Dio
è nascosta a ohi non ha educato l'ingegno
all'amore divino, a chi non ha profonda e si-
cura cognizione delle cose sacre. ~ frate : cfr.
iV. tu 70. — 61. Venuaente eco. Ma poiché
molti si aflistloano a spiegare perché Dio a
redimere l'uomo si Talesse della morte di Cri-
sto e non riescono a vedeme la ragione, dirò
io perché questo messo fosse il migliore. —
62. rnolt* ecc. Altri teologi che trattarono
la questione dell'incarnazione e della reden-
zione: Pietro Lombardo, lÀber Sentent. lib. m
distinz. 19 e segg.; Alessandro di Halos, Summ.
P. m, qu. 1 ; Bonaventura, Oper,, voi. V,
pp. 191 e segg., 218 e segg.; Ugo da S. Vittore,
Op, voi. m, p. 68 e segg., ecc. — 63. dirò ooc
n ragionamento di Beatrìce ò questo : l'anima
umana, essondo creata immediatamente da
Dio, è etoma, libera e oonfoime alla natura di-
vina (w. 64-78) ; il peccato le toglie libertà
e conformità a Dio, si òhe essa non ziaoquista
questa dignità se non oon giusta penitenza
(79-84) : in Adamo peccò tutto l'uman genere,
il quale non poteva esser redento che per
grazia di Dio o per virtù propria (86-88). Ma,
se ben si guarda, da sé non era oapaco di
redimersi (97-102), perdo Dio dovette volgere
a questo fine la sua misericordia e la sua giu-
stizia (103-114) : oos( Dio dio sé stoseo in ro-
denzione dell' uomo, oompiendo il solo atto
adeguato al bisogno (116-120). — 64. La di*
Tina ecc. La bontà del Signore, aliena da ogni
passione contraria alla carità, ardendo in sé
medesima risplende in maniera da nuuiife-
stare esteriormente, nelle sue creature, le
eteme bellezzo che le sono proprie. — da sé
eoe rimove, rigetta da sé ogni passione ; cfr.
Boezio, Oon». phil. m, metr. 9 : « verum in-
sita summa Forma boni livore carens ». — 67.
Ciò ecc. Ciò che ò creato immediatamente
da lei, senza U concorso delle cause seconde o
accidentali, dura in etemo, perché l'impronta
della mano divina ò immutabile nei suoi effet-
ti, produce opere eteme. — 69. impresta:
nome foggiato sul vb. impri$n»r»] ricorre più
volte, in I\ar. xvm 144, xz 76, come n vK de-
rivato imprmUar» in Bw, vn 109, z 29, zxm
86, con significazioni varie che per sltro si
riconducono sempre alle fondamentali di «m-
prestion» o impnmtr», — 70. Ciò eoe dò
ohe ò creato immediatamente da essa bontà
divina, ò Ubero, perché non è sottoposto al*
PARADISO - CANTO VH 605
72 alla virtute delle cose nuove.
Più Pè conforme, e però più le piace;
che l'ardor santo, ch'ogni cosa raggia,
75 nella più simigliante è più vivace.
Di tutte queste cose s'avvantaggia
l'umana creatura, e, s'una manca,
78 di sua nobilita convien che caggia.
Solo il peccato è quel che la disfranca,
e &lla dissimile al sommo bene,
81 perché del lume suo poco s'imbianca;
ed in sua dignità mai non riviene,
se non riempie dove colpa vota,
84 centra mal dilettar, con giuste pene.
Vostra natura, quando peccò tota
nel seme suo, da queste dignitadi,
87 come da Paradiso, fu remota;
né ricovrar poteansi, se tu badi
ben sottilmente, per alcuna via,
90 senza passar per l'un di questi guadi:
o che Dio, solo per sua cortesia,
dimesso avesse; o che l'uom per sé isso
CB avesse satisfatto a sua follia.
Ficca mo 1' occhio per entro l' abisso
dell'eterno consiglio, quanto puoi
l'infltionza doUe eaiue leoonde, ohe tono ma- oho vaio contrapponendo, o ristorando il mal
tabili. — 72. eoie nnoTe : secondo gli antichi diletto con giusta penitenza : prese il contra
commentatori sono i deli e i pianeti ; se- per ex oàmnoy a anodo di xìcompensazione e
condo l moderni, e meglio, le cause seconde, di cambio ». Si ossenri anche che il mai dilel-
che si rinnovano oontinnamente. — 78. Pl^ ter rende 1* idea del virgiliano, En, vi 279 :
eoe. Qnanto più la cosa creata ò conforme alla « mala gandia mentis ». — 86. Vettrm eco.
bontà diTina, tanto più piace ad essa ; poiché La natura uinana allorché peccò tntta in
la bontà stessa ohe illumina ogni cosa è più Adamo perdette queste condizioni di libertà e
Intensa in ciò che ad essa è più somigliante. conformità a Dio, come perdette il paradiso.
— 76. di t«tlt eoo. L'anima umana ò privile- — tota t è latinismo, che ricorre pur in rima
giata di tutte queste condizioni (eternità, li- in Pur. xx ld2, e in altri antichi poemi
berta, conformità a Dio), che nascono dalla (F. Uberti, Diti, i 23; Frezzi, Quadr, n 8). —
creazione immediata ; e se una di esse viene 88. mi rleovrar ecc. e queste dignità non po-
a mancare, è neceesario che l'anima umana teano essere ricuperate in maniera alcuna,
decada dallo stato privilegiato. — 79. Solo Itior di queste due. — 90. OMtl gaadl t quo-
eoe D peccato è quello ohe toglie all' anima sti passi, dal peccato alla grazia, sono il per-
umana la libertà e la conformità a Dio, poichò dono di Dio e la penitenza dell'uomo. •— 91.
nello stato di peccato l'anima non ò illuminata eorteila : liberalità. Cosi nella V. N. xLn 9
A^Wn. grazia divina. — élsfraaea : toglie la Dio ò « sire de la cortesia », liberale donatore
libertà, lo ttaio fnsnoo (Inf. xxvii 54). — 82. alle anime dei suoi beni (<ott, Oom. iv 20,
ed !■ sua ecc. e non ritorna mal nello stato Inf, xvx 67, I\arg, xvi 116). — i
privilegiato, nella grazia del Signore, se non avesse i avesse perdonato. — per té Iste t per
riempie il ruoto della colpa con adeguata sé medesimo ; Ì880 ò forma arcaica, dal lat.
penitenza in ricambio del cattivo diletto del ipeum: cfr. Nannuod, FarM 227. — 96. a s«a
peccato. ~ 88. dove eolpa eco. dove il pec- feUfa: alla sua colpa, al peccato. — 94. mo :
cato fa un vuoto nel dovere. — 84. eoatra ofir. Inf, xzvn 20. — entro PaMsiO eoo. nella
ecc. Oes. : cnota la forza di questo eontra, profondità degli eterni deoreti divini (of^.i\iry.
606
DIVINA COBfMEDIA
96 al mio parlar distrettamente fisso.
Non potea l*uomo nei termini suoi
mai satisfSax , per non poter ir giuso
99 con umiltate, obbediendo poi,
quanto disobbediendo intese ir suso;
e questa è la cagion j)er che l'uom fue
102 da poter satisfar per sé dischiuso.
Dunque a Dio convenia con le vie sue
riparar V uomo a sua intera vita,
105; dico con Tuna o ver con ambedue.
Ma perché V opra ò tanto più gradita
dell'operante, quanto più appresenta
108 della bontà del core ond' è uscita,
la divina bontà, che il mondo imprenta,
di proceder per tutt-^ le sue vie
111 a rilevarvi suso fu contenta;
né tra l'ultima notte e il primo die
si alto e si magnifico processo,
114 o per l'una o per l'altra fu o fie:
TI 121), tenendoti stretto, per quanto pool,
al mio ragionamento. — 97. Non potéa ecc.
L*aomo, nella sna condizione di ente finito,
non ayrebbe potato far mai adeguata peniten-
za, perché ubbidendo non poterà discendere
a tanta umiltà, quanta eia stata la superbia
coi era salito disubbidendo. Land. : e La ra-
gione, perché non potea satisfare in quanto
uomo, è ohe egli avendo peccato per superbia
per voler ^pareggiarsi a Dio, per dò che vo-
lendo sapere il bene ed il male era aggua-
gliarsi a Dio, egli non potea ubUdiendo di-
scendere in tanta bassezza che fosse pari all'al-
tezza di Dio, alla quale disubbidiendo era vo-
luto salire ; per dò che l'altezza di Dio ò in-
finita, ma nessuna bassezza si trova ohe non
sia finita ». — 101. questa eoe questa ò la
cagione, per la quale l'uomo ta esduso dal
poter sodisfare per sé stesso alla propria col-
pa. — 108. Dunque eco. Se l'uomo non po-
teva per sé stesso rendere questa sodisfiszio-
ne, conveniva dunque che Dio a redimerlo
usasse i sud attributi di misericordia e di giu-
stizia. Si ofr. Tomm. d'Aqu., Summ, P. m,
qu. xLvi, art. 1 e Hominem liberali per pas-
sionem Christì, conveniens fkiit et miserioor-
diae et iustitiae elus. lustitiae quidem, quia
per psssionem suam Qiristns satisfedt prò
peccato humani generis ; et ita homo per iusti-
tiam Ghristi liberatus eet: miserioordiae vero,
quia oum homo per se satisfsoere non posset
prò peccato totius humanae naturae, ... Deus
ei satisfactorem dedit Filium suum ; ... et hoc
foit abundantioris miserioordiae quam d pec-
cata absque satlsCsotionem dimislsset > . f— 104.
riparar eoo. La redenzione f^ qnad una re-
integrazione dell'uomo nelle dignità perdute,
perché gli rose la libertà e la conformità a
Dio. — 106. dleo ecc. voglio dire o per sola
miseiicordia, o per miserioordia o ^ostizia
indeme. — 106. Ma pereM eco. Ha perdié
l'atto di chi opera rieece tanto più grato agli
altri, quanto pi6 dimostra della bontà del-
l'animo onde procede. — 107. openutie : co-
lui che Y>pera, l'autore : é voce «n^^^^tiftu, che
ricorre anche nd Oom, m 9 : « puote l'uomo
dire sorella quell' opera che da uno mede-
simo operante d operata ». — appressata : tà
presente, dimostra; senso che d rioav» dal
oonfh)nto con Pmg, zxn 49, Far. x SS, ed é
da preferire a quello di donare, largire dato a
questo vb. da alooni interpreti. — 109. ehe U
mop'Vo ecc. la quale imprime in tutto il croato
il suggello proprio, infonde la sua carità in
tutte le cose; cfr. Qmv, m 12 : «Iddio tutte le
cose vivifica in bontà, e se alcuna n'è rea, non
ò della divina intenzione, ma conviene per
qualche aoddente essere lo processo dello'nte-
so dfetto ». — 110. di proceder eoo. volle a
redimere l'umanità adoperare tutti e due i mez>
zi, la miserioordia e la giustizia. — UL a
rilsTarvl ecc. a rialzarci su, a rimettervi
nello dignità perdute. — 112. né tra eoe e dal
piindpio dd mondo sino al giorno del giu-
dido universale non fu o sarà mal aloun'opera
della misericordia o ddla giustizia divina cod
grande e magnifica come la redenrione dd-
l'uomo. — l'ultima eco. Sono i termini estre-
mi ddla vita dell' umanità, il primo giorno
4ella creazione e l'ultima notte dd giudizio
finde. — 113. processo : procedimento, atto.
— 114. fle : fia, sarà ; forma frequente negli an-
PARADISO - CANTO VII
r.07
che più largo fu Dio a dar sé stesso
a far 1' uom sufficiente a rilevarsi,
117 che s*egli avesse sol da so dimesso;
e tutti gli altri modi erano scarsi
alla giustizia, se il figliuol di Dio
120 non fosse umiliato ad incarnarsi
Or, per empierti bene ogni disio,
ritorno a dichiarare in alcun loco,
123 perché tu veggi li cosi com'io.
Tu dici : * Io veggio V acqua, io veggio il foco,
V aere, la terra e tutte lor misture
12G venire a corruzione e durar poco;
e queste cose pur f Qx creature * :
perché se ciò e' ho detto è stato vero^
129 esser dovrien da corruzion sicure.
Gli angeli, frate, e il paese sincero
nel qual tu sei, dir si posson creati,
132 si come sono, in loro esser intero;
ma gli elementi che tu hai nomati,
tichl, anche in prosa (Nannucd, Verbi 464). —
115. ektf pU largo eca perché Dio fa più mi-
sericordioso a dare sé stesso per la redenzione
dell'uomo ohe se egli avesse solo perdonato
per t6 mederimo il peccato. — 116. a tu eco.
a metter Taomo in grado di rialzarsi dalla oa-
data. — 118. • tatti ecc. e ogrni altro modo di
redenzione sarebbe stato inadegoato per ciò
che rìgnarda la giustizia diyina, se il figliuolo
di Dio non si fosse abbassato a prendere uma-
na natura. — 120. bob fosse ecc. Espressione
biblica ; Paolo, Epi$L ai FiUpp, n 8 : « [Cristo]
trorato nell'esteriore simile ad un uomo,
abbassò [yulg. humUiavU] sé stesso, essendosi
fatto ubbidiente infine alla morte, e la morte
della orooe ». — 121. Or, per eoo. Beatrice,
per sodisfare compiutamente la curiosità di
Dante, ritoma indietro a chiarirgli un punto
solamente accennato nel suo ragionamento
colla redenzione. Nei ir. 67-69 ha detto ohe
le cose create immediatamente da Dio sono
eteme, e imagina ohe Dante pensi come mai
aleno oormttibili gli elomenti e le loro com-
binazioni, dal momento che anch' essi sono
creazioni di Dio : a sciogliere questo dubbio
eoggionge però il ragionamento ohe segue
sulla oorrattlbilità e incorrattibilità dolle cose
create, dimostrando ohe sono eteme quelle che
Dio crea immediatamente, oormttibili inveoo
quelle ohe egli orea per operazione di natura.
— 128. pereM eoe affinché anche su cote-
sto punto tu conosca chiaramente la rerìtA,
come la conosco lo. — 124. Tu dio! eco. Tu
ossenri ohe l'acqua, U ftiooo, l'aria e la terra
• tutte le composizioni dei quattro elementi
■i corrompono e durano poco tempo, sebbene
sieno pur creazioni dìrino. — 128. pereM
ecc. e fki questa osservazione, perché, se è
vero dò eh* io ho detto, gli elementi e le
loro composizioni non dovrebbero essere sog^
getti a corruzione. — 180. GII angeli eco.
Oli angeli e i deli furono creati immediata-
mente da Dio, però sono incormttlblll. Tomm.
d'Aqu., Stmm. P. I, qu. xcvn, art 1 : « Ali-
quid potest did inoormptibile triplldter, uno
modo ex parte matenae, eo sdllcet qued voi
non habet materiam, dout Angelus, vdhabet
materiam quae non est in potentla nld ad
unam formam, slout corpus coeleete » : ib. P. I.
qu. Lzvi, art 2: « Cum enlm corpus ooeleste
habeat naturalem motum dlversum a natu-
rali motu dementorum, sequltur quod eius
natura dt alia a natura quatuor elementorum.
Et dcut motus drcularis, qui est proprius
corporis oodostis, caretcontrarletate: motus
autem elementorum sunt invioom oontrarii,
ut qui est sursum et qui est deorsum; ita
corpus codeste est absque oontrarietate, cor-
pora vero dementarla sunt cum contraxietate.
Et quia oorraptio et generatio sunt ez oontra-
rils, sequitur quod secundum suam naturam
corpus codeste dt Incorraptlblle, dementa
vero slnt oormptlbllla ». — frate t clr. sopra,
V. 68. — il paese eco. l dell, che sono costi*
tniti di pura materia. ^ 182. la loro eoo. Bnti:
e in quello essere intero che ora sono : imperò
che Iddio indeme creò la materia loro e la
forma, H come mmo^ doò per quel modo ohe
ora sono; e però d può conohludere che
debbono eesere perpetui e Uberi, imperò che
senza mezzo dependono da Dio ». -^ 188. bu
gli clomeati ecc. ma l quattro elementi e le
608
DIVINA COMMEDIA
e quelle cose cbe di lor si fànnoi
135 da creata virtà sono informatL
Creata fa la materia eli' egli hanno ;
creata fa la virtù, informante
188 in queste stelle, che intorno a lor vanno.
L'anima d'ogni bruto e delle piante
di complession potenziata tira
141 lo raggio e il moto delle luci sante.
Ma vostra vita senza meizo spira
la somma beninaaza, e la innamora
144 di sé, si che poi sempre la disira.
E quinci puoi argomentare ancora
cose compoete degli olementi lioeyono la loro
formai sono oostìtuiti nella loro essenza dalla
natura, ohe è Tirt& oreata da Dio • opera
come oansa seconda: dunque non sono creati
immediatamente, e però sono soggetti a corra*
none. — 1B6. Citata eoo. Creata immediata*
mente da Dio, e perciò etema ta la materia
degli elementi : e tale tu croata la virtù che
U informa^ dà loro l' essenza distribuita in
questi pianeti che notano intomo agli ele-
menti. ~ 189. li'aaiaia eoo. L'anima sensitÌTa
{d'ogni bruto) e la vegetatiTa {driìa piemie) sono
oostitnito nei loro essere daUUnflaenza delle
stelle, essendo di lor natura capaci di rice-
vere tale inflaenza. Questo pare essere il
senso della presente tetzina, delle più oscure
del poema; ma la costruzione può fiftrsi in
più modi. La più semplice sarebbe questa : Lo
raggio « il molo dell» tuoi aanté tìra, trae al
loro essere, informa l'anima d' ogni brvto e
delle pianUt ohe sono di eomplestion potm-
xiaia a ciò ; cosi pross'a poco intesero Lana,
Ott, Bonv., Buti, An. fior., Land., Vent.,
Ges., Biag., Tomm., Bianchi, Frat., Andr.,
Blanc. ecc. Il Torraca, richiamando un passo
di Ristoro d'Arezzo, vn 2, 4 ove eompleMùm»
significa il maseotofs» ùtsiema degli elementi
pgr la virtuU del cielo $ del mio movimento^
costruisce invece « lo raggio e il moto delle
Ivei aante tira di (doò da) oompleeeion poten-
xiata V anima d'ogni bruto e delle piante ; e
spiega: i brati e le piante vivono quando le
stollo, col raggio e col moto loro, hanno me-
scolato gli elementi e postili in quelle con-
dizioni in cui bruti e piante possono vi-
vere >. Altra costrazione, ohe dà tutt' al-
tra sentenza, d questa: L'anima d'ogni bruto
e delle piante tira dalle turi eante^ trae dalle
stelle, lo raggio e il fnoto, Tessere e l'azione,
per mezzo di eomplestion polenxiata ; ma non
risponde al concetto dantesco, ohe ò di signi-
ficare la corruttibilità dell'anima sensitiva e
della vegetativa conforme alla dottrina di
Tomm. d'Aqu., iSumm. P. I, q. lxxv, art. 3,
6 e qu. cxviii, art. 1, 2. — li2. Ma TOifcra
ecc. Ma la divina bontà crea la vostra anima,
l'anima razionale, immediatamente, porcid
questa ò eterna. Anche questa è dottrina di
Tomm. d'Aqu. Summ.^ P. L qu. xl, art 2,
8 : e Anima ratìonalis non potast fieri ni^
per creationem ; quod non est verum do aliis
formis . . . Anima autem rationalis est forma
subsistens. linde ipsi proprio oompetit osse
ot fierL Et quia non potest fieri ex materia
praeiaoente neque corporali, quia sic esset na-
turae oorporeae, neque spirituali, quia sic
snbstantiae spirituales invicem transmutaron-
tur : neceise est dicere quod non fiat nisi per
creationem. . . Quidam posuerunt quod Angeli,
seoundum quod operantnr in virtute Dei, cau-
sant aoimas rationalee. Sed hoc eet omnìno
impossibile, ot a fide alienum. Ostensum est
enim quod anima rationalis non potest prodocì
nisi per creationem. &dlus autem deus po-
test creare; quia solius primi agentis est
agere nullo pxaesupposito, cum semper agens
secundum praesnpponit aUquid a primo agen-
te. Quod autem agìt aliquid ex aliquo prae-
suppoeito, agit transmutando ; et ideo nnllum
aliud agens agit nisi transmutando, sed soins
Deus agit creando. Et quia anima rationalis
non potest produci per trausmutatìonein ali-
cuius materiae, ideo non potest prodnd nisi a
Dee immediate » : cf r. Arg. zvi 85. — 143.
kenlBaaaa: bontà, benignità, come in I^ar.
xz 99. È voce frequente negli antichi e si suol
derivare dal prov. benenanea (Nannnoci Fere»
87, Zing. 119), se bene possa essere anche
di formazione italiana (ofir. Oaspary, La semola
poetiea sia., pp. 272 e seg.). — e In Imna-
aiera eco. e in essa anima Dio infonde L'amo-
re di sé stesso, 9Ì che poi 1' anima desidera
sempre di rìoongiungersi a luL — 146. B
f uUci : eoo. E da questo principio, che ciò cha
Dio crea immediatamente ò etemo, puoi de-
durre ancora la necessità della resnnexiooe
della came umana, se tu ripensi che la cane
umana tu. creata da Dio nella oreazioike di
Adamo e d'Eva. Tomm. d'Aqu., Sumen, p. I,
qo. xci, art 2, insegna che « prima fozma-
PARADISO - CANTO VH
609
148
vostra resurrezion, se tu ripensi
come l'umana carne féssi allora
clie li primi parenti intrambo fénsi >.
tio kamaiki oorpoxis non potnit eue per ali-
qaan Yìrtatem creatam, sed immediate a Deo»
e dimostra Qh. qo. zovn, art. 1) clie il oorpo
dei primi parmiH era incormttibQe ed im-
mortale, e che Cih., p. m, qo. xuz art 8)
tal dignità tn. perduta per il peccato origi-
nale e liconqniatata per il sacrifizio di Cristo.
— 147. aller* eco. nella creaadono dell'uomo.
— 148. primi parenti | Adamo ed Era ; cfr.
jBi/I IT 66. — intzmnbo : entrambi, forma ar-
caica, di cui in Jnf. xix 25 si ha il plurale
femm. ^ finti: si fenno, ftuono ereati.
CANTO Vili
Beatrice e Dante ascendono nella sfera di Venere, ove appariscono ad essi
le anime di coloro che sentirono fortemente Tamore : Carlo Martello parla
a lungo al poeta di sé e del fìratello Roberto e poi gli spiega come ayyenga
che i figlinoli sieno degeneri dai padri e quanto sieno prorridi gli ordina-
menti della natura (14 aprile, ore antimeridiane].
Solea creder lo mondo in suo periclo
clie la bella Ciprigna il folle amore
8 raggiasse, volta nel terzo epiciclo:
per che non pure a lei facean onore
di sacrificio e di votivo grido
6 le genti antiche nell'antico errore,
ma Dione onoravano e Cupido,
quella per madre sua, questo per figlio,
9 e dicean ch'ei sedette in grembo a Dido;
Vm 1. Stlen eoo. Mentre è per entrare
neUn afera di Venere, Dante, per {spiegare
eoa» fosse dato questo nome al pianeta ri-
pena» • applica al caso particolare dò che in
general» gli ha detto Beatrice, Bir. rv 61-
68; e dice che gli antichi credevano che Ve-
nere, Tolgendoai nel tono epiddo, infondesso
negli animi umani la passione dell'amore sen-
soalo. — in sne perlelo i con proprio perì-
colo, con periodo della dannadono delle ani-
me. Cosi spiegano Ott., Butl, Land, e dd
moderni, Vent, Lomb., Andr.; ma già Lana
e An. fior, e quad tutti 1 moderni intendono
accennato H paganesimo, come se Dante di-
cesse : nd tempo in cui gli uomini vivevano
neU' errore ; ma p&iooh non ò srrore, e d'altra
parte ai avrebbe in questo verso un concetto
eh» sarebbe pd ripetuto inutilmente nd v. 6.
— 2. Ciprigna: Venere, cosi detta perché
nata e adorata in Cipro (cfr. Ov., MeL x 270).
— 8. raggiasse s infondesse per messo dei
nggf; cfr. Cono, n 7: € sapere dvudeche
li laggt di dasouno delo sono la via per la
quale discende la loro virtd in queste cose di
qua gi6». — nel tene epiciclo: Vepioielo
è, nd sistema di Tdomeo, un piccdo circolo,
il col centro ò sulla drcosferenza del cerchio
d'ogni pianeta e nel quale d volge U pia-
neta ; e tu imaginato per dar ragione dello
stazioni e retrogradazioni planetarie. D terxo
tpioiclo ò quello dd terzo pianeta, cioè di Ve-
nere (ott. Omv. n A). — 4. per die eco. per
la quale credenza le genti pagane onoravano
Venere con sacrifizi e con preghiere votive.
~ 6. antleo errore: le credenze anteriori d
cristianesimo, considerate dalla Chiesa come
enonee. — 7. Mene : figliuola di Teti e dd-
l'Oceano e madre di Venere, e come tde ado-
rata dagU antichi (cfir. Stazio, SMm i 1, 84).
— Caplde: figliuolo di Venere, personifica-
zione dell'amore ; cfr. Oonv. n 6: cFerohó gli
antichi s' accorsone ohe qud ddo e» qua
gi6 cagione d'amore, dissono Amore essere
flgliudo di Venere; d come testimonia Vir-
gilio nel primo néìTEtmda [v. 665], ove dice
Venere ad Amore: FigUo, vùrtA mia, figlio del
nmmo Piadr$, che li dardi di Tyeo nonouri'i e
Ovidio, nd quinto di AMamorfoteoe [v. 866],
quando dice che Venere disse ad Amore : .FV-
gtio, anni mie, potenxa mia ». — 9. dleeaa
ecc. Virgilio, En. 1 657 e segg. racconta come
Venere mandò Cupido, sotto le sembianze di
Ascanio, a susdtare in Didone la pasdone
amorosa per Enea; Dante accenna special*
Dante
610
DIVINA COMMEDIA
e da costei| ond*io principio piglio,
pigliavan il vocabol della stella
12 che il sol vagheggia or da coppa, or da ciglio.
Io non m'accorsi del salire in ella;
ma d'esservi entro mi fece assai fede
15 la donna mia, ch'io vidi hx più bella.
E come in fiamma favilla si vede
e come in voce voce si disceme,
18 quando una è ferma e l'altra va e riede,
vid'io in essa luce altre lucerne
moversi in giro più e men correnti,
21 al modo, credo, di lor viste eteme.
Di fredda nube non disceser venti,
0 visibili 0 no, tanto festini,
24 che non paressero impediti e lenti
a chi avesse quei lumi divini
veduti a noi venir, lasciando il giro
27 pria cominciato in gli alti serafini;
mento alle parole dei w. 718-719 : « Inter-
dun ftemlo foret, insoU Dido, Iniidat quan-
to! misera* Deoa I ». — 10. dA coatti eoo.
dalla Dea Venere, dalla quale ho Inoominciato
questo canto, preeexo la denominazione del
pianeta : ofir. Bar, ir 62. — oad' lo eoo. ofir.
le cipxMiioni TirKiliane delle Gtorg. it 816:
« nnde nova IngieaioB hominnm experientia
oepit? » e dell'£H. it284 : «qnaa priina cxor-
dia iomat? ». ~ 12. che U sol eoo. la quale
ftella contempla il iole ora precedendolo nel
mattino (LnciferoX ora segoendolo nella sera
(Esperò) : da coppa (ofr. Inf, zxr 22) significa
dalla parte posteriore e indica la posizione
di Venere rispetto al Sole che tramonta; da
eigUo significa dalla parte anteriore e designa
la posizione del pianeta che precede il sole
nel mattino. — 18. Io aon eoe L'ascensione
di Beatrice e di Dante è cosi rapid* che il
poeta non s'avrede di salire da Heroniio a
Venere: ma giunto in questo pianeta, mira
Beatrice sfhTillare di pi6 Tivid* loco, e cosi
s'accorge d'esser passato a una sfera supe-
riore (cfr. FtMT. ▼ 9i). — 16. E cosM eco. Le
anime, che a goisa di Inceme appariscono a
Dante néllA sfera di Venere, scintillando si
distinguono nollo splendore del pianeta come
nelle fiamme si Tcdono le fìftville e nel canto
di più Tod si distingue dasounA voce del
coro: le due similitudini, stupende per effi-
cace e pittosesca brevità, si ccmipiono a vi*
oenda e rispondono esattamente alla condi-
zione di queste anime, che non solo erano
luminose, ma anche cantayano. — 17. come
la Toeo ecc. Venturi 74 : « Due Toci, che
cantino all'unisono, paiono una sola. Ma se
una tenga ferma la nota, e l'altra gorgheggi.
si disceme questa da quella t. — 19. alCrt
laeerae eoe Sono le anime beat» di coIqko,
che sentirono fortemente l'amore e che da tale
sentimento sono ancora dominate nel dolo
(cfr. T. 88 e FtKT, IX 88, 96-102). — 20. morenl
ecc. eh» si moTorano in giro più o meno ▼»-
looomente, a seconda del loro eterno vedere,
dod secondo ch'era maggioro o minore la loro
etema beatitadine o Timone di Dio. Altri te-
sti abbastanza autoreroli leggono «iste iwtoms,
che Torrobbo diro, a seconda deOe intome vi-
sioni, della contemplazione spiritnalo di Dio
propria di dasoun beato: ohe poi in foadoè
lo stesso concetto, significato un pò* dtrecsa-
mente. ~ 22. Di fredda eoa A rendero oon-
piutamento l'idea della velodtà di queste
anime nel voniro verso di lui, U poeta la pa-
ragona a quella delle correliti aereo ohe daUo
alte regioni dell'atmostea (frtdda mtb») di-
scendono a terra, sia che si vedano perché
spingono innanzi a s6 la pdvero o lo nuvole,
sia che restino invisibili e sdo d sentano
per il commovimento dell'aria. Nello sviluppo
di questa similitudine, nella quale da un fatto
reale espresso in forma negativa (non di-
seeser vmtì tanto fettinii d passa per meczo
di un apprezzamento ipotetico della sua en-
tità (ehi non parmmn imptdìH § Imti) a do-
terminaro il valoro comparativo del temine
prindpale (a eM tMMtm quei hmti vednH vmir
eoe), abbiamo lo stesso procedimento che d
può osservaro nella similitudine del JViy. v
87-40. ~ Ttatl ecc. Sopra la roUdone di
questo concetto con le dottrine aristotellcte
ctr. Mooro, I 182. ~ 28. f estlal : cf^. iW. m
61. — 26. lasdaado ecc. interrompendo la
danza, il movimento circdare, già incomin-
PARADISO - CANTO VH!
611
e dentro a quei che più innanzi apparirò
sonava e Osanna » si che unque poi
80 dì riudir non fui senza disiro.
Indi fiì fece l'un più presso a noi,
e solo incominciò : < Tutti sem presti
88 al tuo piacer, perché di noi ti gloL
Noi ci Yolgiam coi principi celesti,
d'un giro e d'un girare e d'una sete,
06 ai quali tu del mondo già dicesti:
' Voi che intendendo il terzo ciel movete '
dato Bel delo Emfiito, nel dolo ove sono i
Semflni, la piA alta gerarchia angelica. — 28.
f destre eoo. e in mexzo a qneUe anime beate
che per prime d apparrero, riaomara nn canto
d'Otanna, oosf doloemente che da qnel mo*
mento lo non ho mai lasciato il desiderio di
rindirlo. — 29. Osami* t eoo. cfr. Bar, yn 1.
— 81. !*■■ eoo. Lo spirito che si avvicina a
Dante, ofEerendosi pronto a sodisfSue ogni
soo desiderio, è qnello di Oarlo ICartéllOi fi-
glio primogenito di OailoU d' Angld (ab. Par,
VI 106) e di Maria, sorella di Ladislao IV ni-
timo dalla prima linea dei reali d'Ungheria:
nato nel 1271, questo prindpo crebbe amante
delle arti deDa paoe e a sedid anni sposò Cle-
menza llglia di Bodolfo d'Asburgo: nel set-
tembre del 1289 Al in Napoli armato eavallere
e pid taxdi tu coronato solennemente re d'Un-
gheria, credendod devoluto a lui quel regno
per la morte di Ladislao lY, al quale però
suoeoeee di fatto Andrea m detto il veneziano,
di un rmmo secondario. Nei primi med del
129i Cado l£artello d reoò da NapoU a Fi-
renze per incontrare il padre e la madre che
tornavano di Francia, e in quell'occasione
potè oonosoexe l' Alighieri (cfr. la nota al v.
66). Mori nd 1296, lasdando due figliuole,
Beatzioe e Clemenza, e un figlio, Oarlo n
Boberto (n. 1288, re d'Ungheria 1906, m.
Idi2). SuluivedadM.8chipa,air2oifori0Uo
néirAreh, tior, naptA., a. 1889, voL XIV, pp.
17-88, 201-64; O. Todeschini, Di O, Mcart,
n iiiotain d'Ungh. • dòtta eorri$p, fra qussto
friMBife • DatiU negli ScritH tu Dante, voL I,
pp. 171-210; e U Dd Lungo n 498-501. —
82. Tnttl eoe « Nessuno degli spiriti celesti,
quantunque tutti benevoli e disposti a fu
oontento ogni dedderio dol poeta, gli d pre-
senta e gli d porge più affettuoso e pi6 caro.
Paria egli a nome delle dtre anime, mosse
valodedmamente incontro a Dante e Beatricef
paria colla carità di ohe sfavilla quel delo,
e ooUa delicatezza d'un amico saluta indeme
r amico e il poeta, ricordandogli il primo
verso d'una canzone amorosa, d'una canzone
udita forse in Firenze, quando vi foce il breve
soggiorno, e vi oonobbe il giovane poeta.
Cosi anche in questa parte remota dalla tona.
la terra non ò dimenticata : Dante, compla-
duto nel suo amor proprio di post» sente
risvegliarsi la memoria della gio^ezza e del-
l'arte amorosa, e al sduto gentile e alla
larga promessa risponde con grande affetto e
con insolita, ma qui naturde vìvadtà > (Ca-
petti, op. dt, p. 26). ~ 88. ti gioì : ti raUegri,
prenda gioia dd nostro parlare : è forma dd
vb. gMaré, non raro negli antichi (cfr. Nan-
nucoi. Verbi 19). — 84. Kol eco. Nd d mo-
viamo indeme col coro angelico dd Prind-
pati, ohe sono 1 motori di questo ddo di Ve-
nere: cfr. Far. ix 61 e per la corrispondenza
tra le nove gerachie angeliche e i nove cer-
chi, Far, xxvni 40 e segg. ~ 86. d'nn gire
ecc. Lana: < a quello moto a che d muo-
vono li angeli di questo delo mosd da amore
etemo, il qude d regola d'una medesima
misura, d'uno mededmo dedderio, d'uno me-
desimo affètto;... e però seme simili ad essi ».
Si noti che d*un giro d dotto rispetto allo spa>
do (in moto circolare) e d'un girare rispetto
d tempo (con moto etemo); e d'una aete^ ri-
guardo all'intendtà dell'amore divino. — 86.
al qnali eoe d quali principati o «intelli-
genze ovvero per pi6 usato modo vdemo diro
angeli, li quali sono alla revoludone del delo
di Venere d come movitori di quello {Conv,
u 2) >, tu già volgesti il discorso nella can-
zone Voi che intendendo eco. — tu del mondo :
tu che sei dttadino del mondo; oppure, es-
sendo gid nel mondo, parlando dd mondo d'v
gli uomini agli abitatori del delo. — 87. T« l
eoo. £ il prindpio d'una canzone di Dant^
scritta nel 1294 e commentata poi nel Com-,
n 2-16: in essa il poeta rappresenta il con-
trasto di sentimenti prodotto nel suo anlm •
dall'amore per la dmna gentile (cfr. Puri/.
xrx 124) e dalla memoria di Beatrice doAint^ ;
e nella chiosa del (Jone, vud dimostrare ohe
essa donna gentile è « la bellissima e onestis-
sima figlia dello imperadore dell'universo,
alla qude Pitagora poso nomo filoeofia >. la
questa canzone Dante paria die intelligenze
o angeli, che muovono il dolo di Venere,
perché d quello che lo ha tratto ndla condi-
zione di spirito rappresentata nel suoi verd ;
cfr. conz. dt, v. 4 e segg. : < U ^'eì che
612
DIVINA COMMEDIA
e 86m si pien d'amor che per piacerti
89 non fia men dolce un poco di quiete ».
Poscia che gli occhi miei si faro offerti
alla mia donna riverenti, ed essa
42 fatti gli avea di sé contenti e certi,
rivolsersi alla luce, che promessa
tanto s'ayea, e: < Di', chi siete? >, fde
45 la voce mia di grande affetto impressa.
£ quanta e quale vid'io lei fax piùe
per allegrezza nuova che s'accrebbe,
48 quand'io parlai, all'allegrezze sue!
Cosi £Eitta, mi disse: < Il mondo m'ebbe
giù poco tempo ; e se più fosse stato,
61 molto sarà di mal, che non sarebbe.
MCQ0 lo Tottro Talora... Mi traggo nollo stato,
or* io mi tioTo ; Onde il parlar della Tita
dà' io prore Far che li diìxzi degname&te a
voi» (Ckmx, p. 188). — 88. e tea eoo. Bipete
in altra forma, lo eteoso oonoetto dei tv. 83-
83 : per parlare a Dante, questi spiriti doTe-
Tano interrompere la loro danza e ilioro oanto,
signifloaxlone dell'anune di Dio nel qnale è
la loro beatitndine; ma quest'amore dÌTÌno
non eedade, anzi comprende ed aTTiva l'a-
more del prossimo, e peroid l' interrozione d
gradita alle anime quanto il canto e la danza.
— 40. PoseU eoe U desiderio di Dante di
parlare all'anima beata e il oonsenso di Bea-
tiioe non aTrebbero potuto esser significati
in modo pid gentile e insieme perspicuo; al
qual proposito d da notare ohe ai primi in-
contri del poeta con le anime beate è la donna
stessa ohe lo incoraggia a parlare e a cre-
dere (ofr. Fùr. DI 31 e segg., t. 121-122) :
ma qui nel dolo dell'amore basta che Dante
Tolga gli occhi in segno di domanda a Bea-
trice e che questa pur con gli occhi dimo-
stri il suo consenso, perché egli parli franca-
mente ai beati (cfr. Far. ix 16-18). — 42.
fatti oco. sodisfece il mio desiderio (fionimti),
assicurandomi del suo consenso (emii), — 43.
alla laee ecc. all'anima di Carlo Ifartello,
che aveva Cstto cosi esplicita promessa d'es-
sere disposta a parlare. — 44. Di*, cài alete I
GIÙ sei tu e chi sono le altre anime che ti
fanno compagnia ? A questa lezione e a que-
sta semplicissima interpretazione il Dan., se-
guito poi dal Lomb., Biag., Cos., Tomm.,
Andr., obbietta : « Qui è da aweitir ohe il
testo ò corrotto; et voi dir, non IH*, ehisieUf
ma Di' ehi t$' (u, doè dimmi chi tu sei, come
io leggo in un antico testo; però che il poeta
non parla che a Carlo Martello solo, e non
agli altri spiriti che erano con esso, die saxla
stato troppo U voler intendere il nome e le
quiJità di tutti; oltra ohe fon stato errore di
grammatica, ad usare in un medesimo tempo
il numero del meno e quello del pi6, dicendo
dT e »itté ». Ma 1 dubbi del Dan. non poe-
iono aver valore di fronte alla ooooorde au-
torità dei testi antichi e al fatto che un'ana-
loga espieeiione usa Dante con Fiooarda ia
Par. m 40-41 («nome tuo... Tostra aorte»),
trsttandosi di diiedere ad una data anima
ohi sia essa, e qual sia la ooadixJone di lei
e dei compagni di beatitudine. € Fooo importa
poi (osserva il Beccaria, op. dt., p. 201) ohe
Carlo Martello entri a parlar subito di sèi, ed
esplicitamente non risponda alla liToltagli
domanda, poiché da quello dxe e' ragiona, e
da dò che dopo di lui dicono altri giriti.
Dante riman ben chiarito, essere state quelle
anime, mentre TiTevano nel mondoi, impresse
del lume di Venere ». •— 4fi. E qaaat* ece.
La loco di Carlo Martello ai ingrandisce e si
avviva alla domanda di Dante per significa-
zione dell' allegrezza nuova che si ò aggiunta
alla gioia della sua beatitudine, nel sentire la
voce nota di un caro amico. Kel movimento
della tnae E quanta $ quote eoo. Dante si ri-
cordò forse di due luoghi virgiliani, 10». n 274:
« Hei mihi 1 qualis erat, quantum mutatns ab
ilio » e n 690 : « in luce refkilsit Alma pareas,
confessa deam, quallsque videri Coeliootis et
quanta sdet ». — 49. Cosf fattn eco. Poiohó
ta divenuta pid ampia e più luminosa, la luce
mi disse. ^ Il HOBdo eco. Io vissi poco
tempo nd vostro mondo (ofr. la nota al ▼.
81), e se il tempo della mia vita terrena fosse
stato maggiore d eviterebbero molti amU die
pur dovranno accadere. H male che si sa-
rebbe evitato se Carlo Martello non fosse
m^orto ood presto sarebbe, secondo 11 Lana,
il cattivo governo dell'avaro Boberto (cfr.
w. 76 e segg.); secondo l'Ott invece, sa-
rebbe la disastrosa guerra tra gli angioini e
gli aragoned per il possesso della Sicilia (cfr.
Purg, vn 115) : ma forse Dante, pid ohe a nu
f&tto determinato, pensava all'insieme dei
mali ohe afflissero il regno di Niq^ sotto
PARADISO - CANTO Vin
613
La mìa letizia mi ti tien celato,
che mi raggia dintorno e mi nasconde
54 quasi animai di sua seta fasciato.
Assai m* amasti, ed avesti bene onde;
che, s*io fossi giù stato, io ti mostrava
57 di mio amor più oltre che le fronde.
Quella sinistra riva, che si lava
di Rodano poi eh' è misto con Sorga,
CO per suo signore a tempo m'aspettava;
e quel corno d'Ausonia, che s'imborga
di Bari, di Gaeta e di Catena,
68^ da ove Tronto e Verde in mare sgorga.
Fnlgeami già in fronte la corona
Cario n e Boberto (cfr. anche Br. rv 6). —
S2. La Bla eoe La laoe onde tono ciroonfoso
mi oela a te, ai ohe ta non mi rioonoad, poi-
ché So aono nascosto in essa oome nn baco
nel ano boztolo. Venturi 460 : < Nnoro e in-
gegnoao 11 paragone dei ricchi e lucenti stami,
di cui si cinge il haoo d» seta, con la fiam-
meggiante letizia, onde sono droondati i ce-
lesti per ricchezza di subliipata natura > —
65. Àasai eco. Questi Tersi contengono una
manifesta allusione a rapporti d'amicizia fra
Cario Martello e Dante; la quale amicizia tea
i due giovani potè ben nascere, come credono
1 pi6, nel 1294, quando Cario, recatosi a Fi-
rensa con una bella sompagnia di dugento ca-
Taliari francesi e napoletani, « vi stette pia
di Tenti di... e da' fiorentini gli ta fatto grande
onore, ed egli mostrò grande amore a' fioren-
tini, ond'ebbe molto la grazia di tutti (Q. Vil-
lani, Or. vm IS) >. Ma non sappiamo altro,
e r ipotesi del Todeechini (op. dt, p. 201 e
tegg.), secondo cui Dante si sarebbe recato
a Napoli negli ultimi mesi del 1294, dopo aver
conosdiito Carlo Martello, sebbene il fatto
non sia impossibile, non pud ammettersi per
m^Y^i«^««ii di attestazioni dirette (cfr. Del
Lungo, n 499). — ATt stl eoo. aTesti ben ra-
gione d'amarmi, corrispondendo cosi all'af-
fetto òhe io aTora posto in te e che, se fossi
risento pia a lungo, ti arrei dimostrato
quanto fosse profondo e durorole. — 68.
4^11a iUlstra ecc. La contea di Provenza,
che ai stende ad ocddente sulla sinistra riva
del fiume Bedano, dopo che questo ha rice-
vuto le acque del fiume Sorga, mi aspettava
a suo tempo come signore, essendo retaggio
della mia famiglia (cfr. iVy. xx 61, Ar. vi
128 e segg.). — 61. e «ael eorae ecc. e quella
parte estrema dell' Italia, l' Italia meridionale,
la quale alle sue estremità haBari nella Pu-
glia, Gaeta neUa Campania e Catena nella
Calabria, e dalla quale corrono il Tronto al
mare Adriatico e il Verde al Tirreno. Circo-
scrìve cosi quello ohe gli antichi dissero la
Puglia o il Bagno, onia la parie ooatliientele
del Begno di KapoU, dal quale al tempo di
Cario MarteUo già s' era distaceata la Sidlla.
~ i* imh^rgu i per borghi s* intendevano nel
medioevo i gruppi di case posti alle estremità
delle dttà, friori delle mura e in corrispon-
denza delle porte; il Tb. imborgani dovrebbe
dunque significare arere a modo di borghi,
dee, nel nostro caso, svere per estremi oon-
fini (e U Bnti dice: « s'indttadinesea ed ha
per borghi », e l'Ott, riferendo al corno d'Au-
sonia quel che dovrebbe riferirsi ai luoghi di
Bari, Gaeta e Catena; €sta a modo d'uno
borgo », dod agli estremi del Begno). Ma la
maggior parte dei commentatori spiega questo
vb. nel senso di avere per dttà: inesatta-
monte, perohó né Bari e Gaeta erano le sole
città del Begno, né dttà ta mai il piccolo
paese di Catena, sull'estrema punta della Ca-
labria di focda alla Sidlia. — 62. Catena :
luogo suU' estremità meridionale della Cala-
bria, abbastanza noto nel medioevo. La le-
zione GaUma sostenuta egregiamente da 8.
De Chiara, (Tiom. stor. d0tta M<. «. voi. XXX,
pp. 214-226, è ormai preferita dai pid (cfr.
BuU, V 27, 40, VI 189, VIH 111), anche dopo
la strenua difesa che il Bassermann, pp. 275-
278, 631, ha tentata della tradirionale lezio-
ne OroUma, — 68. da ove ecc. dalla quale
parte dell' Italia corrono al mare il fiume
Tronto, che passa da Ascoli e sgorga nel-
l'Adriatico, segnando il confine tra le Mar-
che e U regno di Napoli, e il fiume Verde o
Liri ohe attraversa la Campania e sbocca nel
Tirreno. Anche qui, come in Purg, ni 181,
molti interpreti prendono il Verde per un af-
fluente del Tronto; interpretazione sostenuta
dal Bassermann, pp. 269-272 : ma se per il
passo del Purg, ò preferibile quest'ultima in-
terpretazione, per il passo del Ar. può am-
mettersi col Blano che si tratti del Liri. Il
caso del nome mededmo dato a due fiumi di
diverso regioni ò frequente in Italia. — 64.
Fnlg«anil ecc. Io era già stato incoronato re
614
DIVINA COMMEDU
66
69
72
76
dì quella terra, che il Danubio riga
poi che le ripe tedesche abbandona;
e la bella Trinacria, che caliga
tra Pachino e Peloro, sopra il golfo
che riceve da Euro maggior briga,
non per Tifeo, ma per nascente solfo,
attesi avrebbe li suoi regi ancora,
nati per me di Carlo e di Ridolfo,
se mala signoria, che sempre accora
li popoli suggetti, non avesse
mosso Palermo a gridar: 'Mora, mora'.
E se mio frate questo antivedesse,
Pavara povertà di Catalogna
d'TTnghAEia, paese bagnato dal fiame Danubio,
dopo ohe qneeto flome è uaoito dai paesi ger-
manid: ofr. lanota al t. 81. — 67. e la 1^11*
eoe e U bel paese di Sicilia avrebbe aruto in
me il suo legittimo pzindpe, se non si fosse
sottratto alla signorìa angioina. — Trio*-
cria t notevole ohe per l'isola di Sidlia Dante
usò qni il nome antico, ohe nel 1302 fa ri-
oonosdnto oome officiale nel titolo di re di
TrinacriA oonfexmato a Federico II d'Amgo-
na (ofr. Purg, vn 116). — che eallga eoe la
quale nella oosta orientale, sopra il golfo di
Catania dominato dal vento di scirocco o Eu-
ro, per la vidnansa dell' Etna spesso è offa*
scata di caligine e di fomo. — 68. Pachino
e Pelerò t doe promontori tra i quali d com-
presa la cotta orientale della Sicilia, Pachino
ossia il capo Passare al sud, Pelerò ossia il
capo Faro ai nord; cfr. Ovidio, MeL v 846 :
« Vasta giganteis ingesta est insula membris
Trinacris... Destra sed Ausonie manna est
subiecta Pelerò; Laeva, Pachyne, tibi». —
sepr* il golfo : « Noi vediamo chiaramente
stendersi l' ampio seno di Catania, e dal gi-
gantesco cono dell' Etna sovra di esso dila-
tarsi con le loro ombre poderose le nubi »
(Bassermann, p. 280). — 70. non per Tifeo
eco. non a cagione del gigante che fu sepolto
nell'Etna secondo le favole mitologiche, ma
a cagiono delle eruzioni vulcaniche, dipen-
denti dalla natura sulftirea di quel terreno.
Le cause naturali di questi fenomeni Dante
potè trovarle additate da Isidoro, J)$ natura
reruntf oap. xLvn. — Tifeo: già ricordato
col nome di Tifo in £*f, zzxi 124: d uno
doi giganti della favola, erroneamente chia-
mato centimane da Ovidio, Md, m 808 e da
Claudiano, BelL g«L Ce e segg., e si agita
sotto li peso della Sicilia, dove f^ sprofon-
date da Giove (Ovidio, il», v 864) : cfr. Virg.
En. m 670 e segg., a proposito dei commo-
vimenti dell'Etna prodotti da oorpi di giganti.
-> 71. attesi eoe. avrebbe aspettati ancora i
suoi legittimi signori noi miei discendenti, nei
principi che nati da me sarebbero stati discen-
denti di Carlo II mio padre e dell' impeiatoro
Bidolfo d'Asburgo (cfr. IStrg, vn M) padx»
di mia meglio. — 78. se aala eco. te a cat-
tivo governo degli angioini neU' isola non
avesse eccitato la sollevazione di Palermo e
della Sicilia (81 mano 1282), ohe gridando 1&
morte ai francesi si staccò dal Bagno fi Ka-
poiL M. Amari, La gtmra d$l fwpro sietL,
voL I, ha dimostrato in tutti i partioolari
quanto cattivo governo facesse doD* Sicilia
Cario I d'Angiò, si da trapassare ^ abusi
della dominazione sveva, e ha provato ^e il
Vespro siciliano tn. una sommoess ia^rorviaa,
non preparata da alcuna oongiur» ^*^*^nfllt.
ma fatta subitamente dal popolo ollian dagli
oltraggi degli officiali francesi. — th% sfpn
ecc. ohe addolora, affligge gli animi dei sud-
diti, e cosi li trae alla ribellione. ^ 76. Mora,
morat « muoiano i Franceschi », fu il grido
della sommossa palermitana, comò d lifiarìto
da O. Villani, O. vn 61 e dagli altri cronisti
indicati dall'Amari, op. dt., voL I, p. 196. —
76. E se mio ecc. E se mio firatollo Roberto
(cfr. V. 147) vedesse sino da ora, prima di sa-
lire al trono, che il cattivo governo inaspri-
sce i popoli, già allontanerebbe da sé gli arari
e bisognosi officiali catalani perché non effioa-
dessero con le loro estorsioni e rapino i sud-
diti. — 77. l'avara eoe Roberto o Lodovico
d'Angiò, minori f^ateUi di Cario ICartaUo, fu-
rono tenuti in ostaggio dagli Aragonesi in
Catalogna dal 1288 al 1296, doò dalla libeia-
rione del padre loro Carlo II fktto piigioaM
nella battaglia di Napoli (cfr. Fitry, zx 79)
all'accordo d'Anagni conduso da Bcmifazio
Vin. Durante questa prigionia Boborto, se-
condo la testimonianza d'alcuni antiohi oo»-
montatori, conobbe molti catalani, che pd con-
dusse seco a Napoli, come e offldaU e provì-
gionati e soldati » ; e veramente di e oarafisKi
catalani » al servizio di Boborto anche pid tarfi
troviamo memoria nd cronisti (O. Villani, Olr.
rm 82, Ec 89, z 17). A questi offldaH e sol-
PARADISO - CANTO Vni
616
78 già fuggirla, perché non gli offendesse;
che veramente provveder bisogna,
per lui o per altrui, si eh' a sua barca
81 carcata più di carco non si pogna.
La sua natura, che di larga parca
discese, avria mestier di tal milizia
84 che non curasse di mettere in arca >.
« Però eh' io credo che l'alta letizia
ohe il tuo parlar m'infonde, signor mio,
87 là 've ogni ben si termina e s'inizia,
per te si veggia, come la vegg'io,
grata m'ò più; e anco questo ho caro,
90 perché il dlscemi rimirando in Dio.
Fatto m'hai 4ieto, e cosi mi fa chiaro,
poiché, parlando, a dubitar m'hai mosso,
93 come uscir può di dolce seme amaro >.
dati di Catalogna, ayari e cupidi, come è nar
tura di quella popolazione, accennerebbe qui
Dante, come a nno degli strumenti del malgo-
remo angioino : coef intendono 1 più, mentre
il Lana, segnlto da pochi altri, ritiene che t'al-
luda alla cnpidigia del solo Boberto, che
avrebbe appresa tale arte nella sua prigionia
catalana. — 79. ehtf Teramente ecc. poichó
Teramente bisogna che egli o altri provredano
affinché il Begno abbastanza grarato per l'a-
varìzia soa non sia ancor più oppresso per le
estorsioni dei suoi ministri. Carlo Martello con
le parole borea oaroala si riferisce a Boberto
e al suo goTomo, senza cadere in incongnienza
cronologrica; poichó se Boberto sali al trono
pur nel 1909, ben avera manifostata sino
dalla gioventù la sua natura e aveva dimo-
strato da principo quale sarebbe riuscito da
re. — 80. barea ecc. c£r. Par, xvi 95. — 82*
La sua ecc. Essendo Boberto, se bone nato di
padre liberale, avarissimo di natura, avrebbe
bisogno di officiali che attendessero al buon
govomo del Beg^no, non a estorcere denari ai
sadditi. Dell'avarizia di Boberto abbondano
le testimonianze negli scrittori del suo tempo
(cfir. A. Mussato, De gestia italieorwn^ v 2;
Q, Vili., Cr. xu 10), e basterà ricordare che
un poeta guelfo in xm lamento sulla battaglia
di Montecatini scriveva : € il re Boberto, fonte
d^aoorixiOy Per non scemar del colmo della
Bruna Passerà està fortuna E smaltirà il di-
snor, tornendo '1 danno » (in Rim» di m. Oino
da Pialoia $ d'altri del aee. xvi, ordinate da
a. Carducci, Firenze, 1862, p. 606). ^ larga:
liberale si può ben chiamare Carlo II (« uno
de' più larghi e graziosi signori » del suo tem-
po, secondo Q. Villani) rispetto all' avarissi-
no figliuolo, sebbene anch' egli non fosse del
tutto, immune dn questo vizio: di che vedi
Purg. XX 79: of^. Moore, n 269 e segg. —88.
milizia t è V insieme degli officiali del Begno,
tutti per lo più deU'ordino del cavalieri (mi-
lites), — 85. Però eco. Alle parole di Carlo
Martello un dubbio sorge nella mente di Dan-
te, il quale prima di esporlo all'anima beata per
averne la spiegazione premette queste paiole
di ringraziamento, non esattamente intese da-
gli interpreti e censurate perciò di InutUe ri-
petizione. Dice adxmque il poeta : Poiché io
credo, o signor mio, ohe la gioia profonda ca-
gionatami dalle tuo parole eia da te conoeciu-
ta in Dio, quale io stesso la provo, essa gioia
mi ò tanto più grata; ed anche ho caro che
tu la conosca rimirando ìi^ Dio, anzi oho di-
rettamente leggendo nell'animo mio. «Due
coee (cosi il Beccaria, op. dt, p. 208) dice
Dante, e non una sola, ripetuta due volte.
Dice che la sua letizia gli è più grata, perché
Carlo Martello, vedendola in Dio, la conosco
proprio tal quale essa è realmente, ed ag«-
giunge d'aver caro altresf che tale esatta e
compiuta visione egli l'abbia rimirando in
Dio, specchio di verità e fonte d'ogni perfetta
conoscenza; ma perché Dio T ha di già con
una perifhisi designato sopra, vi ritoma a
modo di ripresa, qnal chiaramente si rileva
dallo parole e anche questo ho earo ». — 87.
là >ve ogni ecc. in Dio, che è principio e
fine d'ogni bone. — 92. parlaido eco. con le
tue parole su Boberto mi hai mosso a dubi-
tare come mai da un dolce seme possa uscire
un fhitto d'amaro sapore. Il dubbio di Dante
ò naturalissimo, se si consideri eh' egli doveva
aver presenti le parole di Cristo riferite nel
vangelo (Matteo vii 17-18, Luca vi 48): e Ogni
buon albero fa buoni frutti, ma l'albero mal-
vagio Cs frutti cattivi: l'albero buono non
può far frutti cattivi| né l' albero malva^Q
616
DIVINA COMMEDIA
Questo io a lui; ed egli a me : « S'io posso
mostrarti un yero, a quel che tu domandi
96 terrai il viso come tiezd il dosso.
Lo ben, che tutto il regno che tu scandi
volge e contenta, fa esser virtute
99 sua provvidenza in questi corpi grandi;
e non pur le nature provvedute
Bon nella mente eh' è da sé perfetta,
102 ma esse insieme con la lor salute:
per che quantunque questo arco saetta
disposto cade a provveduto fine,
105 si come cosa in suo segno diretta.
Se ciò non fosse, il ciel che tu cammino
producerebbe si li suoi* effetti,
108 che non sarebbero arti, ma ruine;
e ciò esser non può, se gl'intelletti
che movon queste stelle non son manchi,
IH e manco il primo che non gli ha perfetti.
Vuoi tu che questo ver più ti s'imbianchi? »
Hu fratti buoni », e qoeUe dell' Epist. di s.
, Iacopo, m 11 : « La fonte sgoiga ella da una
medeeiina baca il dolce e l'amaro? Pad, fra-
telli miei, un fico fare oIìto, od ona Tito fi-
, chi ? cosi ninna fonte può gittare aoqna salsa,
e dolce ». — 94. S' io posto ecc. Se io riesco
a chiarirti di ona yerità fondamentale, ti sarà
manifesto dò che ora ti d ignoto, n ragio-
namento di Carlo Martello si svolge oosl: Dio
conferì ai deli la yirtd d'infloiie salla terra
e volle che tale inflaenza tenesse luogo dolla
sua immediata provvidenza, perdo gli effetti
dell'influenza celeste riescono tutti a un fine
ultimo, prestabilito nella mente divina: se
fosse altrimenti la sodetà non potrebbe esi-
stere, ma si dissolverebbe (w. 97-112). Ma
pdchó alla società bisogna la diversità delle
professioni e degli olBd, è necessario anche
che gli uomini nascano con diverse disposi-
zioni e attitudini, come in realtà accade (w.
113-126): né in dò la influenza dei deli ha
riguardo alcuno alle varie condizioni degli uo-
mini, che se fosse altrimenti la natura sarebbe
uniforme nd suoi prodotti, dai buoni nasce-
rebbero sempre altri buoni, dai cattivi altri
cattivi (w. 127-186). Posto dò, ne viene come
conseguenza che bisognerebbe secondare le
naturali disposizioni, mentre invece gli uomini
fanno il contrario, trascinando a una profes-
sione 0 stato chi ò naturalmente inclinato a
tutf altro (w. 136-148). — 96. terrai ecc. cfr.
V. 186. — 97. Lo ben ecc. Dìo, bone sommo,
che muove e fa lieti i cieli, per i quali tu sali
all'Empireo. — scandi : sedi, foggiato sul vb.
lat acandere, — 98. fa esser ecc. fa in modo
che la sua provvidenza in questi grandi corpi,
i pianeti, prenda forma di una vlrt6, di un'In-
fluenza eserdtata da ciascuno di essL — 100.
e non pir ecc. e nella perfettissinia mente
divina non solo si provvede alle varie na-
ture per dò che rigaarda la loio tirftriiTn,
ma insieme si provvede al loro ordinamento
rispetto al fine ultimo; cfr. Tomm. d'Aqu.,
Stimm, P. I, qu. zxn, art 1 : « In rebus craa-
tis invenitur bonum non solum quantum ab
substantiam rerum, sed etlam quantum ad or-
dinem earum in finem, et praedpue in finen
ultimum, qui est bonitas divina ». — 102. lor
salite : è l'ordine delle varie nature disposte
a un determinato fine, dal quale ordine di-
pende la stabilità, la durevolezza delle ooae.
— 108. per che eoe per la qual ooea tutti gU
effetti di questa influenza dei deli riescono di-
retti a un fino provveduto da Dio. — qaaa-
tnnqne: tutto quello che : cosi anche in Air.
xni 43, zzu 82, xnv 79, zxxn 66. — 105.
eomt cosa ecc. come qualunque ooea lanciata
riesce al segno, al bersaglio ove è stata di-
retta. — 106. Se elò ecc. Se le influenze ce-
lesti non fossero ordinate a un line, il dolo
che tu percorri porterebbe i suoi effetti in
modo che non sarebbero produzioni, ma di-
struzioni delle cose. — 109. e elò eco. e qu»-
ste distrurioni non possono essere, se le In-
telligenze motrid ddle sfere (cfr. Bar, n 127 e
segg.) non sono difettose e difettoso il primo
motore. Dio, che in tal caso non le avrebbe
create perfette. — 112. Ynol ecc. Carlo Martello
viene a dire: ò tanto manifesta questa fonda-
mentale verità, che non ha biseco d'e
PARADISO - CANTO Vili
617
Ed io : < Non già, perché impossibil veggio
che la natura, in quel eh' è uopo, stanchi ».
Ond'egli ancora: < Or di', sarebbe il peggio
per l'uomo in terra se non fosse cive? >
« Si, rispos'io, e qui ragion non cheggio».
« E può egli esser, se giù non si vive
diversamente per diversi offici?
No, se il maestro vostro ben vi scrive ».
Si venne deducendo insino a quici;
poscia conohiuse : « Dunque esser diverse
convien dei vostri effetti le radici:
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129
per che un nasce Solone ed altro Xerse,
altro Melchisedech ed altro quello
che volando per l'aere il figlio pèrse.
La drcular natura, eh' è suggello
alla cera mortai, ùk ben sua arte,
ma non distingue l'un dall'altro ostello*
Quinci addivien eh' Esaù si diparte
per seme da Giacob, e vien Quirino
«herloniMiita-diiBOctimta. ^ 113. lf«B 9là eoo.
KoA mi UngBA altm dlmofltxaxione, poiché
tbAo ohIarawMmt» CMexe impoeiibilo die la
nstazs Ttns» BMBoneUe ooM neoemile. Bati :
« la wirtiirti natuanta che è Iddio, itonoM,
eioè ragna itaBo, i» qud ck§ èopo doè nelle
coaa necawaria. St aaoo qneeto ò veio della
natura natorata, oome dioe lo Filoiofo [Ari-
■toMe]: NaMm mmquam dtfioU in iwommi-
rtff, a ae aleana volta il troora renize meno,
quarto è par difetto della materia *, — 116.
Or di' eoo. Gredi ta ohe i' nomo, te non tì-
▼eaae in aodetà, il trorerebbe in peggiore
ooadixione f — 116. ciré : qui propriamente ò
raoBK> in qnaato fa parte della aooietà dille.
— 117. fai ragion eoo. è ooia tanto mani-
léata, ahe non tento bisogno d'alcona dimo-
stnxione. — 118. I pad eoo. La lodetà d-
Tile non potrebbe esistere se gli nomini non
eaaiuitsiworo nd mondo divorse arti ed offici,
sa BOD d troraasero inaomma in direrse con-
dixioni: ciò ò oonforme alle dottrine di Ari<
stotsla nella FotìUoa, alle qnali Dante aooen-
na nel Cbnv. nr 4. — 120. 11 auestre eco.
Aliatotela, «maestro dell'umana ragione»
(Cbnv. IT 2). ~ ferire: nella Fblii. i 2 e
nd De anima m 9 ; ofr. Moore, 1 99. — 121.
8f Tesse eoo. Ood Oarlo Martello renne ar-
gomentando sino a qneeto pnnto, pd trasse
la aegnente oondodone. — 122. esser ecc.
è pewanario ohe gU nomini nascano atti a
Tuie opesadoni, che 1 prindpl onde proce-
dono le loro attitodini siono direrd. — 124.
va a affo eoo. degli nomini nno nasce con
la qualità proprie d' nn grande legislatore
ì SolonOi nn diro bellicoso come Serse,
nn dtro adatto d saoerdoalo oome Mdad-
sedech, e nn dtro ingegnoeo e indnstrs oome
Dedalo. — Soloae: famoso legislatore (638-
668 a. C), il fondatore della demooaxia in
Atene : Dante, Clone, ni U, lo ricorda oome
il primo dei sette sari della Oreoia, onde d-
onni rorrebbero che qui fosse posto come
tipo del filosofo: ma d poeta stuÀoso d'Ari>
stotde non poterano easere ignoti i meriti
di Solone oome legislatore (ofr. Arist, i^
n 9). ~ Xerse: Serse, flgUo di Dario, tu
n di Perda dd 486 a. C. d 472 : Danto lo
ricorda oome tipo degli orgogliod nd Airy.
xxym 71 ; ma a questo luogo dd Par, pare
che lo accenni come potontisdmo in guerra
e di spiriti beUiood, come ft nd J)$ man. ii
9. — 125. HdeUsedeeh : re di Sdem o Qe-
rusdemme e sacerdote d tempo di Abramo ohe
Al da lui benedetto (ofr. Ometi nr 18 e segg.).
— qaeUo ecc. Deddo, padre di Icaro : cfr.
Lif. xvu 109. — 127. La elrcnlar ecc. L'in-
fluenza dei dell, che imprimono negli uomini
la propria rirtd attira, produce i suoi effetti,
senza fu donna distinzione di Cuniglie : « fa
bene l' uffido suo, dice il Tomm., ma non di-
stingue casa di re da casa di porero >. —
eh' è suggello eco. cfr. Par. xir 138, ore
perciò i cieli sono detti vM tuggelUf e Par,
I 41, ore d ha un' espresdone assd oonforme
a quella di questo passo. -~ 190. ({alael ecc.
Per questa legge può accadere che due fra-
telli sieno d' indole diversa, oome furono Esaù
e Giacobbe nati ad un solo parto e pur dif-
ferenti, poiché il primo Ai bdlicoso, il secondo
pacifico (cfir. GenestTxv 21-27). — 181. e rlea
eco. e un eroe può nascere di rili genitori.
-7-^
618
DIVINA COMMEDIA
182 da si vii padre che si rende a Marte.
Natura generata il suo cammino
simil farebbe sempre ai generanti,
135 se non vincesse il provveder divino.
Or quel che t'era retro t*è davanti;
ma perché sappi che di te mi giova,
138 un corollario voglio che t' ammanti
Sempre natura, se fortuna trova
discorde a sé, come ogni altra semente
141 fiior di sua region, fa mala prova.
£ se il mondo là giù ponesse mente
al fondamento che natura pone,
14d seguendo lui, avria buona la gente.
Ma voi torcete alla religione
tal che fia nato a cingersi la spada,
e fate re di tal eh' è da sermone;
oome Romolo, il quale nacque da givilpadrt
che la gloria d'avergli dato la rlta tn. trfbuita
a Marte al fine di nobilitare coii il fondatore
di Roma ( ofr. Lìtìo, i A e Orosio, ti ). •»
1B8. Nalira eoo. La natura del figlinoli pro-
cederebbe conforme a quella dei genitori, te
la divina prorvidenxa non avesse altrimenti
ordinato per mezzo delle inflnenze celesti.
— 186. M aoB ecc. se non vincesse la ten-
denza naturale, per coi forma gmirati $it
oonfàirmiM farma/t g«ruranti$ (Tomm. d'Aqu.,
P. n »•, qn. I, art 3). — 186. Or qit 1 eco.
Dopo la mia esposizione vedrai chiaramente
dò ohe prima ti era ignoto; ofr. la stessa
frase al v. 96. — 187. di te mt flOTA : mi
piace r intrattenermi teco. ^ 188. nn corol-
lario ecc. voglio arricchirti, adomarti d'tm
corollario : cfr. J^. xxvra 186. — 139. Sem-
pre eco. La natura sempre tk mala prova, se
le si oppone la fortuna; a qael modo che ogni
seme intristisce, se d gittate in terreno non
adatto. Venturi 138 notali riscontro fra que-
sta similitudine e un passo di Boezio, Cona,
phil, lib. ni, pr. 11 : < Non est quod de hoc
possis ambigere, cum herbas atque arbores in-
tuearis, primum sìbi convenientibus innasol
locis, ubi quantum earum natura quoat cito
exarescere atque interire non possint. Nam
aliae quldem campis, aliae montibus oriuntur,
alias ferunt paludes, allae saxis haerent, alia-
rum fecundae sunt sterìles harenae, quas si
in alia quispiam loca transferre conetur, aro-
scunt >, e uno del Chtw. ni 8: « Lo piante
che sono prima animate hanno amore a certo
luogo pid manifestamente, secondo che la
complessione richiede; e però vodemo certe
piante lungo Tacque quasi sempre staisi, e
certo sopra 1 gioghi dolio montagne, e certe
nelle piagge a piò de' monti, le quali, se si
trasmutano, o muoiono del tutto o vivono
quasi triste ». — 142. m 11 meado eoe. m gli
uomini ponessero mente alle naturali iiidin»>
doni proprie di ciasouno e quelle ivolgoisoiu
con ì* educazione, la società sarebbe buona e
felice. — 145. Ha voi eoe. Invece voi trMt»
al saoerdozlo e agli ofBct eocìeeJastid uà tal*
che sarà nato, poniamo, per la vita militare,
e Cate re un altro ohe abbia attitudine aCue
il predicatore. Carlo Martello emmeia la sua
conolusione in fbrma d'esempio generico; ma
è manifesta l'allusione a persone della ma fi-
miglia: chó se non ò certissima T opinione
dello Scart. ohe l'uomo fiato a eimgtrti ìa apada
e tratto invece aJOa rtHgiom eia il ftatrilo di
Ini Ludovico (n. 1275, m. 1298), che Ubecato
dalla prigionia aragonese fti eletto veeoovo
di Tolosa nel 1296, non si pud dubitare che
il 110 da mmumé sia l'altro fMello Roberto.
— 147. e fate re eco. Quasi tutti i commen-
tatori trovano in queste parole un'aUnaione
a Roberto, altro figlio di Oailo II d'Angid,
che nacque nel 1277, ti lungamente prigio-
niero nella Spagna, succedette nel regno al
padre nel 1809, e morf nel 18IS : « questo re
Roberto (cod e. TiUani, O. zn 10) (te il più
savio re che fosse tra' cristiani g^ sono oia-
queoento anni, e di senno naturale e di eden-
zia, oome grandissimo maestro in teologia,
e sommo filosofo, e fb ddoe signore • amo-
revole, e amichissimo del nostro Onnnne di
Firenze, e f\i di tutte le virtd dotato » : pid
enfatiche aneora e straordinarie lodi di Ro-
berto fecero il Petrarca e il Boocaodo ((Tt-
ndol. deor, xiv 9), ma Dante n'ebbe poca
stima, come appare da tutto questo canto (cfr.
M. Murena, Viia di Boberto re di Ntioli,
Napoli, 1770). Né i sermoni del re angkino
meritano d'essere tenuti in gran oonto, poi^é
non sono che misere compilazioni dotbrinaB,
senza pregio alcuno di originalità e di forma;
PARADISO - CANTO VIH
619
148 onde la traccia vostra è fuor di strada ».
Jf. Fara^^ Baròaio di Suknona eoo. nell'^lr-
eJL ti, itaL, a. 1889, 6^ serie, voi. m, p. 816,
parlando dei sermoni di Bobertosorire: «Que-
sti ci riToIano chiaramente l'indole, l'inge-
gno, gli stadi di Ini : fireddo e misórato, or
sottiliiza e li perde in aride e lunghe disoet-
tazioni morali, or all'autorità del libri biblid
aggiunge q[aella di Aristotele, alla sentenza
d«i sa Padri l'altra di Seneca. Se eelebra
un santo o una solennità religiosa, se ammo-
niaco i baroni al quali concede feudi, se ra-
giona ai sindaci delle città che prestano giu«
ramento di fedeltà a Giovanna ancor fianduUa,
se recita le lodi della medicina innanzi al
dottori di Salerno, se condona innanzi un
capitolo di frati minori o innanzi il maestro
generale del frati predicatori, si dilunga e
perde sempre nelle ted genenli di teologia e
di morale. Chi ha durato l'eroica fistica di
leggere qualcuno di qud sermoni sconfortato
ripete Jkfa voi torceU eco. ». — 148. oade eoo.
e però il rostro cammino è friori ddla retta
ria, che sarebbe q;uella di seguire le naturali
InclinazionL
CANTO IX
Dopo Carlo Martello, si manifestano a Dante Canizza da Romano, che
gli parla di sé e della Marca Triyigiana, e Folco da Marsiglia, che ragiona
del sno ardor d^amore e di Raab, e poi fa nn'inYettiTa contro la malcelata
ararizia degli ecclesiastici [14 aprile, ore antimeridiane].
Da poi che Carlo tuo, bella Clemenzai
m'ebbe chiarito, mi narrò gl'inganni
8 che ricever dovea la sua semenza;
ma disse: e Taci, e lascia volger gli anni »;
si ch'io non posso dir se non che pianto
G giusto verrà di retro ai vostri danni.
£ già la vita di quel lume santo
rivolta s'era al sol che la riempie,
IZ 1. Da pei eoe. Carlo Martello, dopo
arer spiegato a Dante come l figli possano
eosere degeneri dai genitori {FtKr, Tin 94 e
aegg.), ayera continuato il suo disoorso prean-
nunziando « gi* inganni > che arrebbe rice-
vuti «la SUA sementa», dod la successione di
Boberto a Carlo II nel trono di Napoli, che se-
condo ghutlria sarebbe toccato Inveoe a Carlo
Boberto (cfr. note al Bar, vm 81, 147). Dante
accennando a questo vaticinio rivolge le sue
parole alla < bella Clemenza », che non può
oiere la moglie di Carlo Martello, come
intendono alcuni commentatori e 11 Todesohinl
(op. dt I 206 e segg.), perché essa mori nel
làs, pia anni adunque prima della visione
dantesca (cfr. BuU, Vn 8^); ma è la figlia di
Carlo Martello,. Clemenza, nata intomo al 1290,
maritata a'Luigi X re di Francia nel 1816 e
morta nel 1328, come rettamente intesero la
maggior parte dei commentatori antichi (La-
na, Benv., Case., Enti, An. fior., Land.,
Yen., Dan.) e 1 ^ù autorevoli tra l moderni
(Vent., Lomb., Blag., Costa, Ces., Bianchi,
Andr., Scart). — 8. la sua semenza : gene-
ricamente, l figli di Carlo Martello ; ma in par-
tieolare U figlio niaschio, Cado Boberto. —
4. ma disse eco. Carlo Martello aggiunse al
vatldnlo la raccomandazione di non propa-
larlo, ma di lasciare al tempo la cura di pa-
lesare gV inganni di cui doveva esser vit-
tima il figliuol suo. — 6. non passo ecc. non
posso dire se non in generale che al vostri
danni, agl'inganni fatti a voi figliuoli di Carlo
Martello, segoiterà il e giusto pianto » delle
disgrazie angioine, quasi a punire 11 re Bo-
berto dello sue colpe. Giustamente U Cam. fra
queste disgrazie crede doversi riconoscere la
morte di Pietro e di Carlotto, l'uno fratello
e Taltro nipote di Boberto, cadati nella batta-
glia di Montecatini; erroneamente per altro
egli vi congiunge dei fatti posteriori alla morte
di Dante, come la fine immatura di Carlo di
Calabria (1298-1828), figlio primogenito di Bo-
berto, e tutte le disavventure angioine dei
tempi di Giovanna I (1826-1882), sebbene vi
si potesse davvero vedere come una prosecu-
zione fatale del vaticinio di Carlo Martello. —
7. la vita ecc. l'anima beata di Cario Mar-
tello : cosi Dante chiama sperao le anime bea-
te, cfr. Ptsr, zn 127, ziv 6, zx 100, xxi 56,
zzv 29. — 8. al sol ecc. a Dio, che della
sua grazia riempie quell'anima, essendo quel
620
DIVINA COMMEDIA
9 come quel ben eh' ad ogni cosa è tanto.
Ahi, anime ingannate e fattare empie,
che da si fatto ben torcete i cori,
12 drizzando in vanità le vostre tempie!
Ed ecco nn altro di quelli splendori
vèr me si fece, e il suo voler piacermi
15 significava nel chiarir di fuori.
Gli occhi di Beatrice, ch'eran farmi
sopra me, come pria, di caro assenso
13 al mio disio certificato férmi.
« Deh metti al mio voler tosto compenso,
beato spirto, dissi, e fammi prova
21 eh* io possa in te rifletter quel eh* io penso ».
Onde la luce, che m*era ancor uuovai
del suo profondo, ond'ella pria cantava,
24 seguette, come a cui dì ben far giova:
« In quella parte della terra prava
italica, che siede tra Bialto
27 e le fontane di Brenta e di Piava,
si leva un colle, e non surge molt'alto,
là donde scese già una fÌEusella,
sommo bene ohe basta a aodìsfàre qualunque
desiderio. — 10. Ahi eoo. Ahi, anime ingan-
nate dal peooato, creature malrage, ohe al-
lontanate 1 cuori dal aommo bene, volgendovi
alle vanità. — 13. un altre ecc. un* altra
anima beata si avvicinò a me, dimostran-
domi nel suo esterno splendore il desiderio che
aveva di compiacermi : è l'anima di Gunizza
da Bomano (cfr. v. 82). — 16. eh' eraa ecc.
che mi guardavano immobili. — 17. come pria
ecc. come prima, allorché col mover degli oc-
chi mi permise di parlare a Carlo Martello (cfr.
Pwrg, vm 40-42). — di care ecc. mi fecero
certo che Beatrice dava il desiderato consen-
so aIl*adempimento dol mio desiderio. ~ 19.
Deh eco. 0 anima beata, compiaciti di so-
disfare subito il mio desiderio (di conoscere
chi tu sei), e in tal modo dimostrami che il
mio pensiero d a te manifesto. — 22. la Ivee
ecc. quell' anima, che a me era ancora scono-
sciuta, dal suo intemo onde prima cantava
Osomna (cfr. Par, vm 28-30) continuò con ac-
cento di compiacimento e disse eoo. — 24. co-
me a eni ecc. come fti Tuomo, al quale piace di
far il bene, cioè con la prontezza propria della
carità operosa. Questa similitudine dice con
efficace brevità ciò che ò espresso più a
lungo in Purg, xzxm 180-132, e fti imitata
da F. Uberti, DiU, m 18 : e Poi si com'uom,
che pensa e s'argomenta D'altrui piacer, mi
disse », e da F. Frezzi, (ìuadr. i 11: e Come
persona a compiacer disposta A chi la prega >.
— 26. !■ fvella ecc. Kella Uarca Trivigia-
na, che si stende tra Venezia, a mezzogiorno,
e le Alpi del Trentino e del (Cadore, a set-
tentrione, sorge il piccolo coUe di Bomano,
patria e sede degli EzzelinL Su tutto il pano
(w. 26-60) si veda il Bassermann, pp. 432-
448. — terra prafa eoo. ritali», o fórse an-
che la sola Italia superiore o Lombardia: ofir.
Pwg, XVI 116 e segg.— 26. Rialto : una delle
isole su cui sorge la dttà di Venezia, 11 terri-
torio deDa quale era oonUne meridioiiale deOa
Marca Trivigiana. — 27. le feataae eoe. le
sorgenti della Brenta {Inf, z 9) e della Piave
nolle Alpi del Trentino e del Cadore, confine
settentrionale della Marca di Treviso. — 28.
■n eolie eoo. il colle di Bomano, sol quale
sono già il castello degli Ezzelini, ò posto fra
Vicenza e Treviso, non lungi da Bassano e
presso la Brenta. Bassermann, p. 433: «D
contrasto fra il poderoso baluardo alpino e il
colle, ohe, non quale contrafforte, ma affistto
indipendente s' innalza a podii minuti dalle
falde dei monti sulla pianura, è cosi singo-
lare che la poca altezza può realmente giu>
dicarsi il contrassegno più oaratterìstioo del
colle ». — 29. là doade eoo. dal quale già di-
scese a tiranneggiare il paese droostaate Ez-
zelino m da Bomano : cfr. Inf» zn UO. Dante
chiamando Ezzelino m una foMlla ecc., allude
senza dubbio a una tradizione raccolta in Tre-
viso da Pietro suo figlio, Q quale raceonta che
la madre del tiranno « dum paztal eiui easet
vicina, somniabat quod parturiebat una &oem
igneam quae oomburebat totam Handiiam
PARADISO - CANTO IX
621
30 clie fece alla contrada un grande assalto.
D'una radice nacqui ed io ed ella;
Cunìzza fui chiamata, e qui refulgo,
83 perché mi vinse il lume d* està stella.
Ma lietamente a me medesma indulgo
la oagion di mia sorto, e non mi noia,
86 che parria forse forte al vostro vulgo.
Di questa luculenta e cara gioia
TnviBanaoi ; et ite fedi sua hoiribUi tyraii-
làÓB ». Qaeste tradizione rimaM ignote agli
altri eommentatori a anche al Brentaii, dili-
gente illnstratore della leggenda d'Sizelino,
ntila quale il tiranno è per lo piA piesenteto
come figlio del diavolo e d'ona strega. — 80.
•he f eee eoe. ofr. Petrarca, cans. Q%ul tf Aa
WMtnwdmal\.\ < E la bella contrada di Tre-
Tìgi Ha le piaghe ancor freeohe d'Azzoli-
no ». ^ 81. D'ina radice eco. Dagli ateasi
genitori, Etzelino n il Monaco e Adelaide
degli Alberti eignori di Mangona, nacquero
Enelino m e Conixza. — 82. Cvalna: ultima
figlia di Ezzelino n, nacque vem il 1196, e
fti maritate al conte Biocardo di S. BonilÌBaio,
signore di Verona, nel 1222 : nella casa del
marito conobbe ed amò Sordello da Qoito, fo-
moao trovatore (ofr. Pmrg. ti 74), il quale la
rapi d'accordo col padre di lei e seco oon-
Tiese qualche anno ndla Marca Trevisana.
Abbandonate da Sordello, Cunizza s'innamorò
di Bonio, cavaliere trivigiano, col quale foggi
dalla casa patema et e mundi partes plu-
rimas drouivit, multe habendo solatia et maxi-
man fedendo expensa», come atteste un oro-
aiate contemporaneo (Bolandino, Oìmm lib. m,
eap. 1, in Mnr. "Rtir ital, Vm 178). Ritor-
nata da questi viaggt, Cunizza sposò Aimo-
rio dei conti di Breganzo, e rimaste vedova
passò ad altre nozze con un veronese. Dopo
il 1260, cadute con la morto di Ezzelino m
e di Alberico la fortuna della sua stirpe, Cu-
nizza andò ad abitare in I^nze; ove nel
1265, trovandosi in casa di Cavalcante Caval-
canti (cfr. Jn/l X 62), restituì la liberte agli
uomini di masnada della sua fiuniglia eooet-
toati quelli ohe avevano tradito Alberico;
nel 1279 nel castello della Cerbate testò do-
nando i suoi beni al figli del conto Alessandro
Alberti di Mangona (cfr. ^f, xxxn 57) e que-
ste è l'ultima memoria che sia rimaste di
leL Si cfr. e. B. Verd, St, degH EeeL voi. I,
pp. 114-128-, E. Salvagnini, Cfun, da Eom,
ecc. nel voL Dante $ Padova^ pp. 407-449 ;
F. Zamboni, Oli Exxelini, Dante e gli eehiaoiy
nuova ediz. , Firenze 1897; Qiomale stor,
degH arehwi tosoom, a. 1858, voi. U, p. 290.
— 88. fercli4 mi vinse ecc. Che Cunizza
fosse dominate daU* amorosa passione lo di-
mostrano i casi della sua vite avventurosa,
la testimonianza concorde degli antichi oom-
mentetori e gli aneddoti riferiti da Benv. e
dall' An. fior., ohe qui per decenza si omet-
tono. Aleoni veeohi commentetori, Cass., Buti
ecc. accennano che Cunizza negli ultimi anni
della sua vite si penti e rivolse a Dio il
cuore già steto in dominio delle amoroee pas-
sioni: e si può ocedere che in Firenae élla
facesse una vite di eepiasione e di carità, la
quale alla mento di Danto dovetto presen-
tarsi tanto più meritoria, quanto maggiore eia
il contrasto tra U penitente, ohe aveva ve-
duto il dissolvimento della potenza della sua
stirpe ed era morte lontana daUa patria in
doloroso esilio, e la tirannide piena di cacm-
dolte e di violenze eserdtete dal fìrateUi di lei,
EEzeUno m e Alberico, e i delitti che Inne-
starono la casa dei suoi parenti toscani, 1 conti
Alberti di Mangona. Sulle altre opinioni oàroa
la convenienza d' aver posto Cunina in pa-
radiso si cfr. A. BartoU, St, delia UtL itoL,
voL VI, p. n, pp. 114 e segg. — 84. ■* Ile-
tameate ecc. La più comune spiegaziono di
questi versi ò cosi formulate dal Lomb. : « Ma
con sante allegrte perdono a me steasa te ca-
gione di queste sorto mia, nò punto per casa
mi rammarico ; cosa che al volgo vostro, non
intondondo come possa la memoria di perduto
bene riuscire senza rammarico, parrà carte-
mente strana » . È spiegazione troppo tevolnta,
che non'chiarisoe abbastanza il concetto del
poete; il quale volle, sembra, accennare allo
stato in cui si trovano rispetto alla lor vite
passate le anime dei beati, conforme a dò
che scrìve sant'Agostino, De cMC Dei xxn
80 : € Voluntas libera, ab omni malo liberate
et implete omni bone, fruens indeainenter
aetomorum iuounditato gaudiorum, oblite poe-
narum, tamen nec ideo suae llberationis obli-
ta, ut liberatori dt ingrate ». In relazione a
queste dottrina, le parole di Cunizza signifi-
cano : Sebbene giù in terra fòsd dominate daUa
pasdone dell'amore mondano, or qui io ho
ragione di compiacermi della mte forte dispo-
sizione ad amare, che volgendod all'amore di
Dio mi ha procurato queste beatitudine, ed
è lungi dall'eesermi cagione di dolore (fiofi mi
noia) : te qual cosa, doè come te pasdone
amorosa ste per me riusdte prindpio di bea-
titudine parrebbe difficile a tetondere agli no-
mini volgari. — 87. DI questo ecc. Cunizr.i,
volendo passare dal pai lar di so a parlai doi
022
DIVINA COMMEDIA
del nostro cielo, che più m*ò propinqua,
39 grande fama rimase, e, pria che moia,
questo centesim* anno ancor s'incinqua.
Vedi se far si dèe l'uomo eccellente,
42 si ch'altra vita la prima rellnqua!
E ciò non pensa la turba presente,
che Tagliamento ed Adice richiude,
45 né per esser battuta ancor si pente.
Ma tosto fia che Padova al Palude
cangerà l' acqua che Vicenza bagna,
48 per essar al dover le genti crude.
E dove Sile e Cagnan s'accompagna.
fatd della Marca di Treriso, aooenna alla buo-
na e dxuBTole fama dì Folohetto da Maniglia
(▼. 97), rao compagno di beatitadine, per trar-
ne oooMione a rìraproyerare gli abitanti doUa
Marca, alieni dal oonsegoimento della gloria
per mezzo di opere buone. — laevleata eoo.
anima luminosa e beata; cl^. Br. z 71. — 88.
0 pria eco. e prima che la fiuna di Folchetto
venga a mancare hanno a passale molti secoli,
l'anno ultimo del secolo come è questo 1300
ritornerà anoor dnque Tolte. S'intende che il
numero dnque qui sta a indicare una quantità
indeterminata, Tolendo Dante significare ohe
la celebrità di Folchetto non sarebbe venuta
meno se non dopo molti secoli. -~ 41. Tedi
eco. redi dunque che l'uomo deve con opere
d'ingegno o di mano fusi eccellente, sf che
d<^ layita terrena resti di lui buona memoria,
buona fama, che è quasi una seconda vita. —
43. E éib ecc. Ma a dò non pensano i presenti
abitatori della Marca Trivigiana, noncuranti
d'acquistarsi buon nome con egregio opere,
e per quanto essi siano stati colpiti da oppres-
sioni tiranniche (gli Ezzelioi, gli Scaligeri,
i Caminesi) non si sono pentiti ancora dei loro
errori. — 44. che Tagliamento ecc. Designa
la Marca di Treviso dai due fiumi che la limi-
tano, il Tsgliamento a oriente, e l'Adige a
occidente; corno pochi versi prima 1' ha indi-
cata per gli altri due confini, settentrionale e
meridionale (cfr. w. 25-27). — 46. Ha toste
fla ecc. Ma persistendo le genti della Marca
nei loro errori, presto accadrà che i Padovani
cangino « al Palude di Brusegana, con la sosti-
tuzione dell'acqua del Brenta, l'acqua del Bac-
chlglione, per continnare la guerra, doò per
non essere costretti dalla mancanza dell'acqua
a venire a pace co' Vicentini > : cosi ò spie-
gato questo passo da A. Gloria, ohe sostenne
la sua interpretazione in parecchi opuscoli
iDiaquisixùm» intorno alfxuso della D. O. * Ma
iosio* ecc., Padova 1869; Ulteriori eoneid^
fazioni intorno alla iar%. 16^ ddcvLàél Par.f
Pad., 1871; Uh errore nelle edix. della D, C,
Pad., 1885), contro le obbiezioni di F. Lam-
pertioo {Delta inUrpr, della terx. tendete. a.
del Bar,, Venezia, 1870). Secondo la spiega-
zione del Gloria, Dante accennerebbe i fatti
prindpali della lotta fra Vioensa e Padova
al tempo di Arrigo VII : nel ISU i vicentini
si ribellarono ai padovani e si dettero al-
l' imperatore e al vicario di lui Cane della
Scala ; nel '12 i padovani si sottomisero an-
ch' essi all' imperatore, ma dopo poohi mesi
si ribellarono; dal '12 al '14 si inasprì per
tale rivolta la lotta fra le due dttà, e i vi-
centini per domare i nemid sviarono le acque
del Bacchigliene ; ma 1 padovani non d det-
tero per vinti, e immettendo nel letto del
Baoohiglione lo acque della Brenta continua-
rono la guerra contro i nemid. Tutti i com-
mentatori invece credono che Dante abbia
voluto dire ohe i padovani avrebbero can-
giate in rosse le aoque del palude che il Bac-
chigìione forma presso Vicenza, che non può
essere perohó nelle lotte tra le due dttà dal
1312 in pd non accaddero combattimenti tanto
sanguinod da giustificare il senso tribuito alla
frase dd poeta, la quale inveoe d adatta be-
nissimo all'imndssione delle acque d'un fiume
nd letto d'un altro. — al Palide : ood scrivo
col Gloria ; perché d ha qui il nome proprio
di qud tratto di territorio di Brusegana ove
la Brentella sbocca nd Bacchigliene : in que-
sto territorio detto il Palude i padovani nel
1314 fecero scendere da Limona, allargando
e prdungando la Brentella, una parte della
Brenta ndl'dveo del Baoohiglione rimasto
asdutto, perchó i vicentini per privare di
acqua i nemid, avevano sviato il fiume a
Longare. — 48. per esser ecc. È manifesto
che il rimprovero tocca cod i vicentini per
aver deviato il corso dd Baoohiglione, come
i padovani por aver provveduto al lor biso-
gno con l'acqua della Brenta : poÌdx4 cotesto
opere idrauliche dimostravano la tenadtà de-
gli odi fintomi, la persistenza nell' errore
delle lotte munidpali. ~ 49. E 4ove eco.
E a Treviso, ove indeme d oongiungono l
fiumi Sile e Cagnano, signoreggia superh»-
PARADISO - CANTO IX
623
tal signoreggia e va con la testa alta,
51 che già per lui carpir si fa la ragna.
Piangerà Feltro ancora la diffalta
dell'empio suo pastor, che sarà sconcia
54 si che per simil non s' entrò in Malta.
Troppo sarebbe larga la bigoncia
che ricevesse il sangue ferrarese
57 e stanco chi il pesasse ad oncia ad oncia,
che donerà questo prete cortese,
per mostrarsi di parte; e cotai doni
60 conformi fieno al viver del paese.
Su sono specchi, voi dicete troni,
mente un tale, eoi già i nemici prepanno
la rete per coglierlo. — Slle ecc. o£r. F. For-
leti (Ferrazxi V 437) : « Et rabito cnisn
flninen se iongit utromqoe Adiiaooqae mail
•odo Tehit amne carina», Fertqne f nom no-
mea Silos, hand Cagnanns in aeqnor». U
Bassermann, p. 4S7, nota come per lungo
tratto le acque dei due fiumi, limpidissima
quella del Silo e torbida quella del Oagnano
o Botteniga, si distinguono non mescolate
nel letto comune; fenomeno ohe pud aver
mggeiito a Dante Teepressione ti aeeompoffna.
— 60. tal eco. Bizzardo da Camino, figlio del
buon Gherardo (ofr. iVy. xri 124) e marito
di Oioivanna Visconti (cfr. J\trif, wm 71), suc-
cedette al padre nella signoria di Treviso nel
1306 e fu ucciso da un famiglio mezzo scemo
nel 1812, mentre giocara a scacchi in una log-
gia del suo palazzo con Alteniero degli Azzoni,
il quale aveva ordita e compi con le proprie
mani questa uccisione per Tendioar 1* onore
della sua donna e di altro offese da Bizzardo
(fiul. Oortu8Ìanm in Hur. R&riUU.XrL 783-
784). — 61. la ragna eoe « Bagna, veramen-
te ; ohe vuol dire, rete da uccellare: perché
quell'agguato domestico, teso su quella loggia,
dove giocavano a scacchi la vittima e l'ofFceo
che ha ordita la propria e l'altrui vendetta, e
un povero idiota n'è strumento come zimbello
alla tesa, rende tutta la imagine della cosa
significata da Dante » : cod U. Del Lungo,
JDonto, I, 826. — 52. Piangerà eoo. La dttà
di Feltre piangerà il tradimento del suo ve-
scovo. Si allude al vescovo Alessandro No-
vello (1298-1820), il quale nel 1314, a richie-
sta di mesBor Rno della Tosa vicario pon-
tificio in Ferrara fece prendere e consegnare
alooni fuorusciti ferraresi riparatisi presso
di lui (Antoniolo, Lancillotto e darucdo da
Fontana), ohe furono decapitati come ribelli :
questo il £fttto, quale appare dalle chiose di
Benv. e del Cass. e dai documenti (ofir. For-
nati V 4S7-4B8); mentre altri antichi com-
mentatori, Lana, Pietro di Dante, An. fior., e
quasi tutti i moderni parlano di fuorusciti
consegnati agli Estensi, che forse ftuono estra-
nei al Catto. — dlflalta: nel Airy. xxvxn 94
ha il aenso generioo di colpa, peccato, ma qui
esprime più tosto l'idea di mancanza al dovere,
tradimento, come in Q. Vili., Or. vin 6 : « Lo
re Manfredi, sentendo la venuta del re Cario
e come la sua gente era passata per difllalta
della sua grande oste oh' era in Lombardia
alla guardia, tu. molto cruccioso > . — 63. sarà
ecc. sarà tanto enormo da non trovar riscontro
nelle più orribili colpe. — 64. Halta : è mani-
festo ohe questo dev'eesere il nome di una pri-
gione destinata ai rèi di gravissime colpe e fa-
mosa al tempo di Dante; ma non d ben chiaro
ove fosse cotesta prigione : i commentatori
antichi e la maggior parte dei moderni di-
cono accennata qui una torre della Ifalta nel
lago di Bolsena, nella quale e lo papa mette
li cherid dannati senza remisslotte > ; una
torre dello stesso nome in Vitorbo Ai adattata
a prigione per gli ecdesiastioi nel 1266 {Oron,
di mcoold della Tuccia in Ferrazzi V 438); un
tnortalit earoer nominatus la Matta ta fatto
edificare da Ezzelino m nel castello di Citta-
della nel 1261 {Chnm. palav, in Mur., Ant,
UaL TV 1139). Se consideriamo ohe il ricordo
è sulle labbra di Cunizza, parrebbe ohe l'al-
lusione fosso alla prigione di Cittadella, più
tosto che alle carceri ecclesiastiche di Bolsena
e di Viterbo; ma ora i più inclinano a rico-
noscere la Malta nel castello di Marta o nd«
r isola Mattana del lago di Bolsena (Basser-
mann, p. 296; V. Clan, La Matta danUioa,
Torino 1894). — 66. Troppo ecc. Insiste il
poeta a dimostrare l'enormità del tradimento
del vescovo di Feltre dicendo ohe il sangue da
lai donato per mostrarsi fedele alla parte
guelfa, dod versato dai ferraresi da lui tra-
diti, ta tanto ehe troppo grande bigoncia sa-
rebbe bisognata a raccoglierlo, e troppo gran-
de fatica sarebbe stata a pesario a onda a
oncia. ~ 69. e cotai eco. e consimili doni non
saranno disformi dai costumi della Marca
Trevigiana, paese di stragi e di tradimentL —
61. Su sono ecc. Cunizza per assicurar Dante
624
DIVIKA COMMEDIA
onde rifulge a noi Dio giudicante,
68 si che questi parlar ne paion buoni ».
Qui ai tacette, e fecemi sembiante
che fòsse ad altro volta, per la rota
66 in che si mise, com'era davante.
L* altra letizia, che m' era già nota
preclara cosa, mi si fece in vista
69 qual fin balascio in òhe lo sol percota.
Per letiziar là su fulgor s'acquista,
si come riso qui; ma giù s'abbuia
72 l'ombra di fuor, come la mente è trista.
€ Dio vede tutto, e tuo veder s' inluia,
diss'io, beato spirto, si che nulla
75 voglia di sé a te puote esser fuia.
Dunque la voce tua, che il ciel trastulla
sempre col canto di quei fochi pii
78 che di sei ali £annosi cuculia,
perché non satisfeM^e ai miei disii?
Già non attenderei io tua domanda,
81 s' io m' intuassi, come tu t' immii ».
flollA Tiriiidtà del no TBtLdAio 1^ diàhian
di «Ter ooiM»ol«to in Dio qiiafto Ttiilà per
mora dtl Troni (IntolligenM motzid dal oi«lo
di Vmmm, sMondo nn* dottiinn dn Danta
Mgaitn ntl Cbnv. n 6 e dn Ini ripndinte in
Air. zxrm 97 •Mgg.)* fthÌMi»*i iptoehi pw-
ohó riocmno dn Dio In loM • In tnoMttono ai
bMtt. — 62. Mèi eoo. efr. Jbr. sx 2&-80.
— 68. ^«Mtl pnrlnr eoo. qnoito mio predi-
zioni snlln Maron Trivigian» riapondono alla
realtà. — 64. liceali eoo. mi dimoatcd di ri-
Tolgeni ad altro pensiero (ofr. bif, iz 101),
poiohA xipteeeagbaxeoonlealtraanime, 00-
me faoom prima di Tenire a pailar meoo (ofr.
Air. Tm 10-21, 8A-86>. — 66. roU: oenhio
di anime beate obe dannno ; ofr. Air. z 145,
ZTT 20, xrr 107 e anehe h^» xn 21. — 67.
L'altra lettala eoo. L'altra anima beata, oh'io
sapeva già eoser di penona d*iUnitre memoria,
incominoiò a sdntfllafe eoo. Seguito nel-
rinterpondoneensUa splegaiiQae il Witte e
lo Soart., scostandomi dagli altri oommen-
tatori, i qaaU ponendo Tixgola in fine del t.
intendono : L'altra anima, ohe lo già oono-
soevarinofwninfflA a mostraiai splendente eoea
eoo. Ala Dante non sapera anootn oàe qoesta
era Tanimn di Folohetto da MaitigUa, e solo
sapera obe anrera lasciato di s6 bnona e dn-
rerole memoria (ofe. tt. 87-40) : a oelebrità,
meglio ohe a splendore, accenna l'esprassione
pnelara eoea, e a aigaiftnai» l' idea del oor-
rosoar di quell'anima basta la oomparaaione
che segae. — 69. qnal fin eoo. come nn poro
baiaselo (specie di rubino) meeso a sdntil-
Isre al sole. — 7(K Per letlilar eoe. Come
sulla terra la letfada si manifissta nel riso, ood
in delo si dimostra oaU'aTTiTnrsi delln Inoe;
a quel modo obe gii noli' inferno le oasbre
sono ostsduunente oJ^Mcate per la tiìsteiia
ohe domina le aalme : ofr. Air. m 69, t 126.
— 71. tf cene eoo. ofr. Obne. m 8; e obe
è rideve, ee non nn* oorrascaiioae delln di-
lettaaione dell'anima, cioè nn lame apparente
di ftioit, secondo che sta dentro?». — 78.
e tne TOder eoe e la ton cognizione Tede in
lai tatto le cose, di modo ohe iiwssnna -volantà
pad sottrarsi al tao oonosoimento. — stnlnlns
Blano: •inMani da in lui, Tb. lonnato dn
Dante per dire trasfondeni, profondarsi con
la medituione in una eoea ». — 74. nalln
ecc. nessuna volontà poA esser /Ma o ladm
(ofr. ^. xn 90, Pmg. xzzm U) di a4 me-
desima a te, pad sftiggireaDa ton oonceoensa.
» 76. la vece ecc. In tna toco, che canta
ssmpre Osanna insieme oci Serafini : dCr. Ah".
yxn 26 e segg. — 77. feebl eco. angeli lì-
Testiti di sei ali, cica i Serafini ; ofr. Isnin
▼x 2-8: ci Serafini staTano di sopra ad esso, e
daeoane d'essi aven sei ale: con dna oofcira
la sna Dmoìa, e con doe coprtra 1 snoi piedi,
e oon dna TolnTa. S l'ano gridnvn all'altro,
e dicoTa, Santo, Santo, Santo è il Signor deUi
eseroiti : tutta la tona è piena della eia ^
ria ». Gli angeli e i beati sono spesM chia-
mati /bsW(cfr. F», X9m 106, 2x84, zzn 4A,
xziT 81« zxT 87, 121). ^ 78. enenllni Teste
monacale, cocolla (ofr. Air. uat 77). — 81.
8*ie eoo. ee io potessi oonosoere il tno pensiero
PARADISO — OANTO IX
626
€ La maggior valle in che V acqua si spanda,
incominciaro allor le sue parole,
84 fuor di quel mar che la terra inglurlanda,
tra i discordanti liti, centra il sole
tanto sen va che fa meridiano
87 là dove 1* orizzonte pria far suole.
Di quella valle fti*io littorano
tra Ebro e Macra, che, per cammin corto,
90 lo genovese parte dal toscano.
Ad un occaso quasi e ad un orto
Bùggea siede e la terra ond'io fui,
98 che fé' del sangue suo già caldo il porto.
Folco mi disse quella gente, a coi
eam« ta oonotd 0 mio : i rb. immlarti (ere-
àat me éL oom'io», Par, 1 85) e Mmni tono
fonnati tni pronomi pononali, oome Vinktiani
del T. 78, l'MiMar»<dolBBr.zxiil27.-82.
IM MftgflMr 000. Fdchetto da Maniglia noi
derignar la ma patria poita rallo rìTo del
MéditeRaneo nea nn modo, ohe ha loioitato
ami questioni fra gì' interpreti ; il passo è
chiaro : H Meditenaneo, ii maggiore dei mari
intacoi in coi si spande Tsoqua dell'Ooeano
ohe oizoonda la tscxa, fta le ooste litorali
d'Europa e d'AMoa si estende tanto da ood-
dente a oriente, ohe da una parte ha per me-
ridiano il osrohio stesso che rispetto sll'sltia
fsoera da orizzonte. Ma dò di coi si disonte è
oome mai Dante imaginasse qnesta condizione
di cose, Is quale presuppone ohe il Mediterra-
neo s'estenda da occidente a oriente per 90
gradi, mentrs in reaUà non si estende che 42
gradi alcuni credono ch'egli fosse tratto in
errore da|^ astronomi e geografi del suo tem-
po, e reramente nelle carte nantlche del se-
colo zr? il Mediterraneo ha l' estensione di
circa 90 gradi di longitudine (cfr. F. Ange-
litti, BmU, Vm 206); altri inyeoe cercano di
ginstiflcare le parole di Dante, come s' egli
avesse roluto dire che in corte circostanze
all'estremo orientale è mezzodì, quando spunta
il sole per l'estremo occidentale del Mediter-
raneo: eit. DeUa Valle, il mn$o geogr. attr,
pp. lOSeseg^e Airipfam.eccpp.46esegg.;
Antonelli, Studi partieolati tuUa D, a, pp. 29
e segg. ; OsTemi, nel periodico la amuÀa^
ToL I, pagg. 176 e segg. — 86. diseordanti
Utl: quelli d'Xuropa e d' Africa, che sono op-
posti fxtk laro; cfir. Virg., ^. ir 628: «Li-
tosa litorfhus contraria >. — «entra 11 sele t
da occidente Terso oriente, «centra U corso
del del» (Air. n 2). — 88. Di «nella eco.
Io M d'un luogo posto sul litorale del Medi-
terraneo, fra l'Ebro, fiume di Spagna che
soende in questo mare presso Tortoea, e la
Magra, che per brere tratto diride la Liguria
DanvB
dalla Toscana. ~ 89. per eammln eorto : nel
breye tratto più Ticino al mare, lungo i monti
di Lerid (cfr. Bassermann, p. 849). ~ 91. Ad
va oeeasa eco. La dttà ot* io nacqui, Marsi-
glia, ha quad la stossa longitudine di Bdgia,
dttà deU' Algeria, per l'una e per l'altra il sole
si loTa e tramonta quad nello stesso momento.
— 92. Btf ggea : B6gia ; la forma dantesca è
anche in G. YilL, O. xn IDI. — 98. che fé'
ecc. Allude alla strage che dd dttadini di
Marsiglia fece D. Bruto, quando conquistò la
dttà per G. Oesare : cfr. Ih bello oi», n 4-6, e
anche Lucano, l^tart. m, 672 : < Cmor altus
in nndis Spumat, et obducto ooncrescunt san-
guine fluctns ». — 94. Folco eco. Folchetto da
Marsiglia, figliuolo d' nn mercante genoTOse
dimorante in quella dttà franceee (cfr. Pe-
trarca, Trionfo d'Am, ir 48-50), nacque poco
dopo la metà del secolo xn : Ita dd prindpali
troTatori proTonzali e di lui e' è rimasto un
buon numero di poede composte all' indroa
fra U 1180 e U 1196. < BeUo dd corpo (dice
l' Ott dertrando dalle antiche biografie tro-
Tadoriche) ornato parlatore, cortese donatore,
e in amare acoeso, ma coperto e saTio », amò
e cantò Adalasia di Boquemartine moglie di
Barrai du Bauz Tisconte di Marsiglia, e pose
tanto ardore nel celebrarla che doTotte al*
lontanard dalla corte. Morta la Tiscontessa
Adalasia e altri prindpi ohe arerano pro-
tetto Fdchetto, questi d fece monaco dd-
l'ordine dsteroiense, e nd 1201 fri fritto abate
del monastero di Toxronet e nd 1206 TeeooTO
di Tdosa; nd qude oflldo fri sdantiadmo
a perseguitare èii eretid alMgesl, organizsò
potentemente l' inquisizione e non risparmiò
né pure Baimondo YI conte di Tolosa, figlio
d'uno dd suoi protettori (cfr. Par, zn 101) :
mori nd 1281. Su Folchetto cfr. F. DIm,
JJbm «. Wwk$ d&r TVoMòckf., pp. 198-206;
E. PratMsh, Biogroph, d$» Trmib, Folqutt von
Uaromìk, Berlino 1878; N. ZingaidU, La
pertonalUàatorioadiFiM^diM<ursiglia,2^9d,t
40
626
DIVINA COHHEDIA
:^
fu noto il nome mio, e questo cielo
96 di me s'impronta, compio fei di lui;
che più non arse la figlia di Belo,
noiando ed a Sicheo ed a Creusa,
99 di me, in fin che si convenne al pelo;
né quella Bodopeìa, che delusa
fu da Demofoonte, né Alcide
102 quando Iole nel cor ebbe richiusa.
Non però qui si pente, ma si ride;
non della colpa, eh' a mente non toma,
105 ma del valor ch'ordinò e provvide.
Qui si rimira nell'arte che adoma
cotanto effetto, e discemeei il bene
108 per che il mondo di su quel di già toma.
Ma perché le tue voglie tutte piene
ten porti, che son nate in questa spera,
111 procedere ancor oltre mi conviene.
Tu vuoi saper chi è in questa lumiera,
che qui appresso me cosi scintilla,
114 come raggio di sole in acqua mera.
Or sappi che là entro si tranquilla
Bologna 1899; M. SdieziUo, BuU. IV 65-76,
cfr. VII 225. — 95. f netto eoe il delo di
Venere s' imprime della mia luce, come io
nel mondo m' improntai della ina influenza,
ohe dispone gli nomini ad amare. •> 96. iMin-
VMBtas cfr. Piar, vn 69. — 97. pltf non ar-
te eoe. io ani d'amore, flnohó ti oonvenne
all'età più ohe Didone non ardesse per Enea :
ar*0, detto di Didone, è rimembranza di pa-
recchie locazioni Tirgiliane (Bn. ir 2, 68, 101);
ma fors' anche dell'ardore e del fitooo d' amore
di eoi speteo perla Folohetto nelle tne poe-
tie. — 96. aelanéo eoo recando col tao
amore per Enea dispiacere a Sicheo, il tao
defonto marito (ofr. Inf, t 62), e a Creata, la
morta moglie di Enea. — 100. me f velia eco.
Accenna a Fillide, la figlia di Sitone ohe
abltara pretto il monte di Bodope nella Tra-
cia : di lei racconta la CtTola che dopo aver
ttpettato inrano U tao amante Demofoonte,
fl^o di Teseo e di Fedra, ohe dorerà tornare
da Atene per itpotarla, credendoti tradita ti
die la morte (Oridio, Eroid. u). — 101. ÀI-
•ide ecc. Ercolo, che ardendo d' amore per
Iole, figlia del re di Tessaglia, la rapi e spotò,
tasdtando cosi la gelosia di Deianira che per
meno della camicia di Nesso Io fece morire
(ofir. Inf. xu 67). ^ 108. Nea pere eoo. Qui in
peradiso non si conosce il dolore del penti-
meato, ma la gioia della beatìtadine; nò già
della colpa cancellata dall'acqua di Lete
Purg. zxviu 127 e segg.X e perciò dimenti-
cata, ma della divina Tirtd ehe ordinò l* ia-
floensa dei pianeti e provvide alla nostra sa-
late. È ripetuto, in altra forma, ciò che già
ha detto Oanizia nel vr. 84-85. — 106. Qal
ti rimira eoe < Qal si contempla U divin
magistero che abballa qnetta grand'opera deDa
tua creazione, e ti conosce la sigiente prov^
videnza per coi il mondo di so, cioè i cieli,
influendo sue virtd nel mondo di gid, viene
in certo modo a risolverai in questo, riduoen-
dolo a sua similitudine >. Cosi VAndr., rife-
rendo con la solita lucidità l' interpretazione
più comune ; ma altri testi autorevoli, leggono
la terzina diversamente: QmHHmbrm ntU*vl$
eh» adonM Con tanto affetto, s cfi'awriisif Ubm$
Fw ohe al mondo di ou quii di giù toma; oSìa
qual lezione la più conveniente sposizlone è
dello Soart : e Qiii nel Paradiso ti oontidert e
vede addentro nell'arte del creatore che con
tanto amore ogni cota adorna ; e qui ti rico-
nosce il fine ultimo dell'amore, oioò il sommo
Bene, che riconduce le anime dalla tana al
cielo, loro vera patria >. •> 109. ferehé eco.
affinché siano soditCattl tutti 1 deeidert torti
in te in questo cielo di Venere — 112. tkì
è eoo. quale anima sia dentro alla laoe die
tointilla accanto a me. — 114. ceoM eoe. come
un raggio di t^e nell'tcqua limpida ; cfir. Ovi-
dio, Aro. am, n 721 : e oculot tremulo fol-
goro mioantet, Ut tol in liquida taepe ref\ikl-
get equa». — 115. ti traifulllax gode la
beatìtadine della perfetta pace ; ofr. Toabl
PABADISO - CANTO IX
627
Baaby ed » nostr* ordine congiunta
117 di lei nel sommo grado si sigilla.
Da questo cielo, in cui 1* ombra s'appunta
che il vostro mondo face, pria eh' altr' alma
120 del trionfo di Cristo fu assunta.
Ben 8Ì convenne lei lasciar per palma
in alcun cielo dell' alta vittoria,
123 che s'acquistò con l'una e l'altra palma;
perch'olla favorò la prima gloria
di Giosuè in su la Terrasanta,
126 che poco tocca al papa la memoria.
La tua città, che di colui è pianta
che pria volse le spalle al suo fattore
129 e di cui è la invidia tanto pianta,
produce e spande il maledetto fiore
e' ha disviate le pecore e gli agni,
182 però che &tto ha lupo del pastore.
Per questo l'Evangelio e i dottor magni
d'Agli., Smnm, P. II 2»*, qu. zzix art 2 :
« p«x perfecta, qnae ooBsistit in per£ecta frai-
tion* sommi boni,... mt ultimai finii oreata-
I»» ntioniUi». — 116. BMbs meretrice di
Gezioo, In qonle toodìae e nascose le spie in-
Tiate daGiosne ad wploiar la dttà, e in premio
oCtenna d'esser salva ella e i suoi nell'eccidio
th» segni la presa di Qerico (Oiosne n 1-21,
▼I 16-25). Presso g^ scrittori saeri (cfr. Isi-
doro, Qiia«$tiom$ in vel. TutemL; Pietro Co-
■Mstore, Hiakfria aehokuUea eoe.) Baab fa
eonsideiata come il tipo della Chiesa (cir.
BmIL n 9i), e l'elogio di lei snUe Ubbra di
Volebetto è tanto idd opportano in qaanto
già i ooatemporand, oome ha notato lo Zin-
g;miBlli, ziaYTloinarono le dae impreee ster-
minatrid animate dal fanatismo religioso:
BélU crociata albigese la fortezza di Lavaor
eadde il 8 maggio 1211 al canto dogli ecdo-
siastid guidati dal yesoovo di Tolosa, come
al saono delle trombe sacerdotali era ca-
duta Oerioo. — 117. di lei ecc. ed essendo
Baab oonghinta al nostro coro, questo s'im-
pronta dello splendore di Id che ò in sommo
grado di beatitudine. — 118. Da qnesto delo
eoe Baab ta. prima d'ogni altra anima beata
aoeolta, rioeruta da questo ddo, nd qaale
▼iene a terminare (secondo la teoria di Al-
lagano, cfr. JButf. y 28) la ponta del cono
d'ombria dalla terra. — 119. alma del trionfo
eoo. anima beata, appartenente alle «schiere
dd trlonib di Cristo» (Ar. xxn 19). — 121.
Bea il «Mireue eoo. Fu giusto lasdar Baab
in UBO dd deli di paradiso oome testimonianza
daQ'alta rittozia riportala da Oicsue con la
pina di Oeiioo. Ood press' a pooo spiegano
• giastamente gii antichi ooomeotatori e dei
moderni l'Andr. e lo Scart; gli dtri inten-
dono che Baab sia posta in cielo oome segno
della vittoria di Cristo, il quale morendo
crocifisso « con Pana e l'altra palma » salvò
il genere umano. Ma tutte le anime del pa-
radiso sono testimonianze viventi del trionfo
di Cristo, e il poeta parlando di una vittoria
ottenuta con la preghiera accenna manifesta-
mente al modo singolare con cai Giosuè oon-
qoistò Qerioé, secondo il racconto biblico (Gio-
suè VI 1-20; cfr. BeeUaioiL xlvi S: < ...quam
gloriam adeptos est in Mkndo fnanua tua» >).
— 124. fìSTOrò ecc. favori la prima impresa
di Giosuè, la presa di Gerico. — 126. elie poeo
eoo. La menrione della Terrasanta sugge-
risce a Dante un'invettiva, ch'ei pone sulle
labbra a Folohetto, vescovo e persecutore di
eretici, contro i pontefid e i cardinali che th-
vece di attendere alle cose della religione si
affannano all'acquisto delle ricchezze. — 127.
La tua città eco. Firenze, toa patria, ohe
per esser « piena d'invidia si che già trabocca
il sacco » {Inf, vi 49) e piena d' ogni dtro
vide peggiore (Jnf, xv 68) d pad ben dire
figliuola di Lucifero, l' angelo che primo si
ribellò a Dio e che con la sua Invidia (In/, i
111) produsse tanti maU aU'umanità. — 180.
produce eco. produce e diffonde il maledetto
fiorino (cfr. Par, xviii 133-136), che ha sviati
i ciistìani esperti ed inosperti (« gli grandi e li
piccoli », dico il Boti) poiché ha trasformati
gli ecdedastid da curatori in distruggitori dei
fedeli. — 188. Per f nesto ecc. Per questo
amore dei fiorini gli eodesiastid trascurano
i libri dei Vangeli e le scritture dd Padri
ddla Chiesa (Agostino, Ambrogio, Gregorio
Magno, Dionigi ecc.), e attendono solamente
628
DIVINA COMMEDIA
Bon derelitti, e solo ai Decretali
185 ai stadia si ohe pare ai lor vivagni
A questo intende il papa e i cardinali:
non vanno i lor pensieri a NazEarette,
188 là dove Ghibriello aperse l*ali
Ha Vaticano e l'altre parti elette
di Boma, che son state cimiterio
alla milizia che Pietro segnette,
142 tosto libere flen delP adulterio ».
•Ho stadio delle Deoxetali. Lo etieaeo lamento
faoer» Dante nell'Epist. ai Oaidinali fi 7 : < la-
oet OregozioB tane in télia anmearom ; iacet
Ambzosliit in neglectia olexioomm latlbnlii;
iaoet AngostinoB ; àUeotoa DionyiiQS Dama-
■oenoB et Beda; et neaoio quod Speonlom, In-
nooentliim et Ostieneem deolaaant. Cor enim ?
nii Demn qnaeiebant, ut flnem et optimum ;
isti oensos et beneficia oonsequnntor ». I tre
deoretalisti aooennati da Dante sono nnvesoo-
To, Guglielmo Dorante (m. 1296), aatoie dello
8p9euUim l^cUorume dello Speeutum iudMate
(cfr. F. Scholte, OtaeMehI» dm ecmonitekm £•-
cfUa n 144-166) ; nn oaidinale, Enrioo Ostiense
(ofr. Far, xn 88) ; e nn pontefice, Innocenxo IV
(124S-1251) aatoie àéirjppanim ossia oom-
mentario ai dnqne libii delle Decretali raccol-
te, come corpo del diritto canonico, da papa
Gregorio IX (1227-1241): cfr. Scholte, Il
91-94. — 134. DeerttaU: libri deUe costita-
doni pontificie ordinate come fondamento del
ginre canonico: • scieniia IncratiTa e oon^
tnmeliosa », dice il Lana, por messo della
qnale < ogni parte con fàllaoie si può sost^
nere, et di vero non se ne hae espressa ve-
ritade ». — 186. il stadia ecc. si stadia tanto
sai Decretali che le tracce di qaesto stadio
appariscono nei margini (vivagni^ estremità:
cfr. Inf. XIV 128) dei libri. Allade senza dab-
bk) all'oso generale nel secolo xm di chio-
sare con note marginali il testo delle De-
cretali, che essendo state ordinate di recente
erano materia soggetta a Tarie e disparate
interpretazioni: onde i dottori di diritto ca-
nonico abbondarono in qoel secolo special-
mente neOe scade di Bologna, ove oonte-
sero il primato a quelli di diritto dyìle. —
136. A f veste ecc. Al consegoimento di rio-
ohesse attendono il papa e i cardinali, aenra
darsi aloon pensiero della Terrasanta. — 138.
là dOTe ecc. dove Taroangelo Gabriele roìd
ad annonsiare aDa Yscgine Maria eoo. —
189. Xa Tatieaao eoe Ma U Vaticano e gii
altri looghi sacri di Roma, ove sono sepolti
i corpi dei santi martiri e confessori della
fede, presto saranno liberati dall* immorale
governo dei pontefici. Si allade o alla morte
di Bonifazio VIU (cfr. Inf, xcx 63, Pmrg, xx
86) 0 alla traslazione ddla ooria pitale in
Avignone; o meglio forse si pud vedere a<^
connata anche qoi la speranza di Aitoro li*'
beratore, ohe avrebbe parificata l'Italia dalle
brattare che la macchiavano. — 141. aOa
mlUsia eco. cfr. Air. xi 102. — 142. adal-
terie: accenna alla cagione principale del
cattivo governo fatto della Chiesa dai pon-
tefici, i qoali, come dice altrove (Inf. xix 1-4)
< per oro e per argento > fMdìdttrimm» € le
cose di Dio».
CANTO X
Beatrice e Dante salgono al quarto cielo, quello del Sole, e appena ^nntl
la donna eccita il poeta a ringraziare il Signore d'averlo levato a qnella
sfera, il ohe egli £à con grande ferrore. Intanto appariscono anime beale
di teologi, e formano nna prima corona di dodici spiriti, uno del quali,
Tommaso d*Aqnino, riyela a Dante i nomi degli nndiei oompagni [14 aprile,
ore antimeridiane].
Guardando nel suo figlio con l'amore
X 1. Gnardande ecc. Prima di procedere
oltre nella descrizione della saa sscensione
f9T i deli il poeta parla dell'arte divina nel-
l'ordine del creato, invitando il lettore a le-
var seco lo sgaaxdo alle sfere sopeiiori. E
incominda dicendo ohe lo prkm td imtffàbùt
takn doè il Padre (potenza) per meno dei
Figlio (scienza) e dello Spirtto Santo (vlrti),
che è l'smora procedente dall' ono e dall'attn, \
oreò roniverso, tatto dò die edste neU'ia-
PAHADISO — CANTO X
629
12
15
che l'uno e l'altro etemalmente spira,
lo primo ed inefEabile valore
quanto per mente o per loco si gira
con tanto ordine fé* ch'esser non puote
senza gustar di lui chi ciò rimira.
Leva dunque, lettor, all'alte rote
meco la vista, dritto a quella parte
dove l'un moto e l'altro si peroote;
e li comincia a vagheggiar nell'arte
di quel maestro, che dentro a sé l'ama
tanto che mai da lei l'occhio non parte.
Vedi come da indi si dirama
l'obbliquo cerchio che i pianeti porta,
per satis&re al mondo che li chiama:
e se la strada lor non fosse torta.
tdletto (ooM spixltaali) e nello ipazio (coae
mataìali), con tanto ordino cho ohi lo oon-
tampU deve sentire in §é con piacere quel Ttf-
loro diTino. Tatto qneeto ò secondo la dottrina
di Tomm. d'Aqu., Smmn, P. I, qn. zLT,*<art
6, 0 quale dioe che il creare appartiene in
oomvne a tntta la Trinità, poiché il padre
crea per mezzo del Verbo o sapienza ohe è il
Figlio (Oioranni 1 8: e Ogni cosa ò stata ftitta
per eeeo », doè per mezzo del Verbo : cfr.
Fado Ep, ai OoL il^ Ep. agU Ebrei i 2,
ZI 8 eoe.), e dell'amore, che è lo Spirito Santo;
e ooRchide: < Patii attribnitnr et appropria-
tnr potentia, qvae maxime manifDstatar in
exestione; et ideo attribnitor Patri creatorem
esse, mio antem appropriator siq>ientia, por
qnam agens per intelleotom operator, et ideo
dicitar de Filio: iV qutm omnia /boto awd
[Job. I 8]. Spiritai sancto antem appropriator
bonitaa, ad qoam pertinet gnbematio, de-
dooens rea in debitos flnes, et vlTiflcatlo ».
— 2. éke l'vBO eoo. Tomm. d'Aqn., L dt
< Filiiia acdpit natoram divinam a Patre, et
Spiritos sanotos ab ntroqae ». — 6. di lai i
dal valore dirino che ha ereato tatto con tanto
ordine. Altrimenti si pad intendere dell'ordine
gteeeo, di coi Taomo gosta i mirabili effetti.
— 7. Lera eoe Ant : « 0* invita il poeta a
levar aeoo la vista alle sfere saperiori e sp-
pimto a qaella parte dove peroaotonsi i dae
Bovimentt opposti, il diamo eqaatoriale da
levante a ponente, e il planetario o zodiacale
da ponente a levante; e per tal modo fissa
la nostra attenzione al panti equinoziali, ove
lo Boontro, per la opposizione de' dae moti,
si là [w. 7-9]. Da qoei ponti vnole che abbia
prine^o la nostra oonsideraiione rispetto al-
l'arte del divino Maestro nell'arohitettara del
noado [w. 10-12): d viene ricordando come
da esso diramasi l'oblìqao cerchio che porta
i pianeti, doò b zodiaco [w. 13-16]... Passa
indi a lisroi ammirare l'altissima importanza,
che qaella zona sia obliqaa, e di qaella de-
terminata obliquità ch'ella ha rispetto all'e-
qaatore, o al movimento dell'alte spere; ao-
cennando con rettissimo gindizio alle infiilicl
oondizioni in coi saremmo quaggiù se qaella
strada planetaria, o non fosse torta, o fosse
più o meno di quel eh' eli' è (w. 16-21]». —
9. l'ma moto ecc. il moto eqaatoriale e il moto
zodiacale s'incontrano nei punti equinoziali,
nei punti ove il sole si trova nogli equinozi.
— 11. di «nel maestro : di Dio, creatore del-
l'universo, che ama tanto l'arte propria, la
creazione, da non levar mai lo sguardo da lei,
da provvedere insomma alla conservazione
dell'universo. ~ 18. eosie da lodi eoe come
da quel pnnto dell'equatore si diparte lo zo-
diaco che porta i pianeti: e con altezza di con-
cetto, ossei va Ant, giusta lo stato dell'astro-
nomia di quel tempo, manifesta il suo pen-
siero circa la ragione por la quale da que-
sta obliqua zona sono portati i pianeti, sup-
ponendflìa nella convenienza di sodisfare al
mondo cho la chiama, dod alla terra e a dò
che vive sulla superfide di lei, credato abbi-
sognare delle influenze varie che a quei corpi
celesti, in quella inversa direzione recati in
giro, si attribuivano ». — 16. se la strada
ecc. se lo zodiaco non fosse obliquo, 1 pianeti
influirebbero tutti sopra i medesimi punti e
perdo molta parte della loro virtù sarebbe
superflua rispetto a quelli, e negli altri man-
cando l' influenza mancherebbe ogni vitalità.
Ant : < Se l'edittica coinddesse con l'equa-
tore, e quindi corresse paralldo al mededmo
lo zodiaco, pd solo lìettto della costante per-
manenza del sole a perpendicolo nella linea
equinoziale terrestre, anche senza tener conto
delle credute inflnenze degli altri pianeti, sa-
rebbe davvero ogni potmwa qtia gi& morta;
perdooché nelle regioni prossime aU'equa-
630
DIVINA COMMEDIA
molta virtù nel ciel sarebbe in vano,
18 e quasi ogni potenza qua giù morta;
e se da dritto più o men lontano
fosse il partire, assai sarebbe manco
21 e giù e su dell'ordine mondana
Or ti riman, lettor, sopra il tuo banco,
retro pensando a ciò che si preliba,
24 s'esser vuoi lieto assai prima che stanco.
Messo t'ho innanzi: ornai per te ti ciba;
che a sé torce tutta la mia cura
27 quella materia ond'io son fatto scriba.
Lo ministro maggior della natura,
che del valor del cielo il mondo impronta
80 e col suo lume il tempo ne misura,
con quella parte che su si rammenta
congiunto, si girava per le spire
83 in che più tosto ognora s'appreeenta.
toro sTiemmo una estate perpetua e un ao-
onmnlamento ecceeeiTo di calore, ohe le ren-
derebbe inoapad di yegotazione e Inabitabili;
le ione, che ora diciamo temperate, avrebbero
una contìnua primaTeia incipiente, e quindi
non Todiebbero matoradone di biade e di
fratti; le polari larebbero immerse perenne-
mente in nn rigido inremo, e ooei tatta la
tetra, nella e^oaglianxa tra i giorni e le notti,
olbirebbe nn miserabile toggiomo, improprio
allo svolgimento di quei germi presioei che
il Oreatore ■«»*«*»— imn b^ posto qoaggiù ne-
gli nomini • nelle cose ». ^ 19. ese da dritto
ecc. e se lo todiaco fòsse rispetto all' equa-
tore più o meno inclinato di qnel che è, sar
rebbe alterato tatto ciò ohe riguarda i climi
dei due emisferi terrestri, doè la distribuzione
delle stagioni, della temperatura, dei vontì
e delle pioggie, dei giorni e delle notti eoo.
~ 21. • gltf e su s nei due emisferi terrestri,
tra i quali il sole continuamente sale e di-
scende. Cosi spiega B. CaTemi, nel periodioo
la soMoIo, a. 1873, p. 61; rettamento, parmi,
poiché la comune interpretazione: giù e su,
in terra e nei deli, non risponde al concetto
dantesco delle alterazioni climatiche che sa-
rebbero prodotte da una maggiore o minore in-
clinazione dello todiaco. — 22. Or ti ecc. Nota
l'Angelittì, BmXL VII 129, questo severo av-
vertimento col quale Dante conchiude una
di quelle che possono dirsi «vere lezioni
di astronomia». — il tao feaneos Bntì:
« nello quale tu stai a studiare questo mio
libro ». — 28. retro eco. meditando intomo
sUa materia ohe ti ho messa innanzi : il vb.
pnXObvn da alcuni è preso nel suo senso
più usuale di assaggiar prima, pregustare;
meglio fosse, ncm sean il \
ragione etimologica (iftors, oAriiv, prsoauta-
reX è spiegato dal Boti quale sinonimo di
msttsn ifMOfMi, come si ha dal t. 25, ove
Danto ripeto in forma più breve dò ohe ha
detto nd w. 22-24. — 24. ■*ooMr oee. se
vuoi provaro quel sodisfadmento doUo stadio
che non Ca sentirò la stanchesza, ma allsg-
gerisoo la fiitioa. — SS. Misso eoo. Io ti ho
presentato materia opportona; or meditala da
tostssBo, senza la mU guida. — as. die a stf
eoo. poiché rargomento dd mio poema ri-
ohiama a sé tutta la mia attenzicMW. — 2S.
LOBdBlftrooccnSolOjChoè «padro d'ogni
mortsl vita » (JRir. zxn U6X fimte doUa laee
0 misuratore dd tempo. — 29. oho eoi valor
ecc. of^. Onio. m 14: < D 8de, disoendeado
lo raggio suo qua giù, riduco lo oooo a sua
similitudine di lume, quanto esso p» dispo-
siziono della loia virtù possono lumo rioerreo» »,
e Osfw. p. 204: « Al gran pianeta è tatta sl-
miglianto. Che... Oon li bd rsggt infóndo Vita
e virtù qua giuso NeUa materia, d com'è
disposta ».— 80. e eoi eoo. ofir. Dionigii Axeo-
pagita, Ih dm. nom., oap. iv: < faimon [soUs]
mensura est, atque numoms honrum, dioram,
totìuaqno nostri temperie » ; cado il Fotr. oo-
minda il son. iz: < Quando 1 pianeta che
distìngue l'ore», e Obio daPSstda: «La bella
stella che '1 tempo misura ». — 81. aom qMl-
la eoo. congiunto con la oostsllasiono di Arie-
te, gimva perle spiro asoendontì (qvoOo por
cui possa dall'equatore, ov* è neQ'oqoinoaio di
primavera, d tròpico dd Gancio, 0T*è al pdn-
dpio ddl' estate), nello quali <«ni gtomo d
preeenta più presto saU'orizzonto, poidié dal-
l'equinozio di primavera in pd i giorni ^
PARADISO - CANTO X
631
Ed io era con lui; ma del salire
non m'accora' IO, se non com'uom s'accorgOi
86 ansi il primo pensier, del suo venire.
È Beatrice quella che si scorge
di bene in meglio, si subitamente
89 cbe Patto suo per tempo non si sporge.
Quant' esser convenia da sé lucente
quel ch'era dentro al sol dov'io entrami,
42 non per color, ma per lume parvente!
Perch'io lo ingegno, l'arte e l'uso chiami|
si no '1 direi die mai s'imaginaase,
45 ma creder puossi e di veder si brami
E se le fSantasie nostre son basse
a tanta alteaza, non ò maraviglia,
48 ohe sopra il sol non fu occhio ch'andasse*
Tal era quivi la quarta famiglia
dell'alto padre che sempre la sazia,
61 mostrando come spira e come figlia;
e Beatrice cominciò : < Bingrazia,
ringrazia il sol degli angeli, eh' a questo
54 sensibil t' ha levato per sua grazia ».
Cor di mortai non fu mai si digesto
a— pre oveeoendo. — 84. Bé lo eoo. Io eia
già nel Sole, ma deU'aioendeie non m'aoooni
se non quando fui giunto; tanto rapida Ita la
salite. — 86. te non eoo. Ott: < a gniea del
liifiarn ohe vieoe noli' nomo, del coi venire
il pennate non 4 aooorge, ma bene il sente
quando è in lai >. — 86. ansi il primo eco.
Ventar! 475 : < ben dioe primo, perché se ò
tale, non pnd l'uomo aver avnto, avanti di
qneUo, l'altro dell'accorgersi di esso pensie-
ro ». — 87. È Beatrice eoo. Dante vnol dare
la ragione per cui non s* accorgeva di salire
da nn cielo all' altro, e viene a dire : S' io
non m* accorsi eco. d da cercarne la ragione
neUa aia goida : era Beatrice ohe mi guidava,
Beatiioe, la quale in tal maniera sa guidare
da an dolo all'altro, con tanta rapidità che
l'atto del muovere non si estende nel tempo,
ma è istantaneo, e perdo impercettibile. È
insomma la sdonza divina che di verità in
' verità trae gli uomini al vero ultimo, sonza
^0 ead s'accorgano dd passaggi intermedi.
— 40. i^aaat' esser ecc. Quanto luminose do-
vevano essere per so mededme le anime ch'e*
rano nd Sole, le quali apparivano distinte
net pianeta, non già per differenza di odore,
ma per intendtà maggiore di luce. Nd Sole
appariscono a Dante le anime dd tedogi, che
bene imagind itilgentissimi, come li predice
Daniele xu 8, secondo la vulgata: « Qui docti
tasrint, fulgebunt quad splendor Armamenti;
et qui ad iustitiam erudiunt multos, quad
stellae in perpetnas aetemitates ». —48. Per-
ca'lo eco. Per quanto io mi sforzasd con l'in-
gegno, con l'arte, con l'abitudine ohe ho dello
scrivere, non saprd rappresentar md qud-
r intendtà di folgore in modo che dtri se ne
facesse un'idea: basterà dunque credere e de-
dderaro di vederla un giorno, nella gloria
dei deU. — 46. ma creder eoo. Si ofr., per
una certo conformità di pondero, dò che dice
in Par, i 70-72. — 46. ion basse ecc. sono
ind^Mid di imaginare uno splendore piùgiande
di queUo dd Sole. — 48. éki sopra eco. nes-
sun occhio umano vide mai luce più intensa
della luce solare. — 49. la f sarta faslglia:
le anime beate dd teologi, ohe appariscono
nel quarto ddo, quello dd Sole. — 61. mo-
strando eoo. facendo veder loro come da lui
sia generato il Figlio, e da entrambi lo Spi-
rito Santo ; ohe è il grado più dto della co-
gnizione teologica. — 53. il sol ecc. Dio, sole
spiritnde, che ti ha concessa la grazia di sa-
lire d Sole sensibile. Dante stesso, Cotw, m
12 : « Nullo sensibile in tutto '1 mondo ò più
degno di fard esemplo di Dio, che '1 Sole, lo
quale di sensibile luce sé prima e poi tutti i
corpi celestiali ed dementali allumina; cod
Iddio sé prima con luce intellettuale allumina,
e poi le odestiaU e l'dtre intelligibiU ». —
65. Cor di mortai eoe Nessun animo umano
fu mai ood disposto alla devodone e pronto
632
DIVINA COMUEDIA
a divozione ed a rendersi a Dio
57 con tutto il suo gradir cotanto presto,
com'a quelle parole mi féc'io;
e si tatto il mio amore in lai si mise
€0 che Beatrice eclissò nell*obblio.
Non le dispiacque; ma si se ne rìse
òhe lo splendor degli occhi suoi rìdenti
68 mia mente unita in più cose divise.
Io Tidi più fulgor yivi e vìncenti
fax di noi centro e di sé £9ir corona,
66 più dolci in voce che in vista lucenti
Cosi cinger la figlia di Latona
vedem talvolta, quando l'aere ò pregno
69 si che ritenga il fil che & la zona.
Nella corte del ciel, ond'io rìvegno,
si trovan molte gioie care e belle
ft Tolgenl con ogni dilotto a Dio. — difetto s
disposto; Ventali 260: < B glgniflcato mato-
liale di questo Tooe non discorda dal morale,
essendo la digestione T ultima perfezione del
dbo preparato al nutrimento ». — 60. ehe
Beairlee eoo. oho, essendo tatto raccolto in
M doò in Dio, dimenticai per on momento
Beatrioe. — 61. Hon le dispiacine eoo. Bea-
trice non si sdegnò di questa dimenticanza,
ma gnaidandomi con gli occhi sfavillanti del
suo liso divino (cfir. Par, vn 17-18, rv 84 e
segg.) mi distolse dal raccoglimento in col ero.
•> 68. mia eoo. la mia mento che era onlto
a Dio, raccolta tatto in Ini, distrasse ad altri
oggetti, doò ag^ spiriti beati del quarto cielo.
— 64. Io Tldl eoo. Vidi delle anime fulgidis-
sime, di luce viva e più intonsa della solare
(cfr. T. 40-42), le quali formarono una corona
0 roto (oCr. Inf, xn 21) intomo a noi, can-
tando con voce d' indidbilo dolcezza (ofr. ▼.
78). Sono le anime di dodid teologi, die fa-
cendo cerchio intomo a Danto e Beatrice in-
tonano un dolce canto, col quale accompa-
gnano il triplice giro, proprio come le schiere
di danzatrid facevano movendosi al suono
delle canzoni a ballo. F. Tocco, Cànf, mU,
n 180 e segg. ha dimostrato come dascuna
delle corone di questo ddo oonisponda a
una delle grandi correnti dd pensiero fllo-
Boflco nd secolo zm. « U cerchio intomo (e-
gli dice) dei primi dodid s' impernia in san
Tommaso [v. 99] ... Accanto a san Tommaso
è il suo maestro Alberto Magno [v. 98] da
un lato e Sigieri [v. 186] daU' altro; tutti e
tre aristotelid, che d valsero del magistero
peripatetico per mettere ordine e ridurre a
forma sistematica U sapere dd loro tempo,
come molto prima di loro avea tontoto di
ftxe il venerabile Beda [v. 181]. Ad una con-
simile sistemazione intese» Ondano (t. 106)
per le leggi canoniche, Botro Lombardo [v.
107] per le dottrine sodactiohe, Orosio [V. 119]
• Iddoro [V. 181] per i fatti stozid • linr
guistid, il pseudo Dionigi l' Areopagito [r. 115]
per le essenzo angeliche e gli attributi me-
desimi della divinità. Simbolo di codesto sa-
pienza ordinatrice è il gran Salomone [v. 109],
aDa cui mente sovrana nessun rvto è sftig*
gito; e ministro se ne pud dire, almono per
Tooddento, Severino Boezio [v. 128], il quale,
volgendo in latino mdto opere di Aiistotde,
salvò la cultura ooddentale ddla rovina che
era per travolgerla. In questo cerchio d' or-
dinatori e di sistematori ò strano Inoontiaie
Blccardo di S. Vittore [v. 181] », ma dò si
spiega col fktto ohe Biocardo néUo svolgere
le dottrine mistiche di Ugo suo maestro (cfr.
Par, zn 188) e n serve delle dividonl • snd-
dividoni peripatotiche, come molto prima di
lui se n'era giovato lo stesso Dionigi, che per
quanto ordini e distingua le schiere celesti,
non è meno mistico d' Ugo e di Biedudo >:
itnafanento è giustificato 1* accoppiamento di
Dionigi e Boerio, < perché entrambi appar-
tengono a quell'indirizzo neoplatonioo cho è
un odettìsmo non sempre ben riuscito di Pla-
tone con Aristotele non solo, ma purandie
della sapienza e tradizione ellenica con To-'
rientale ». — 67. Oosf eoe La oorona la-
minosa dei beati d droondava come talvolto
l'dono dnge la luna, allorohó l'atmoslìBa
piena di vapori trattiene i raggi che for-
mano tale aureola. Altre simUitudini tratto
dall'alone lunare sono in Airy. xttx 78, JF^.
zxvm 22 e segg. — la figlia eoo. la luna o
Diana, figlia di Giove e di Latona (cfr. A«y.
zx laO). — 70. Nella eorte ecc. Nel Para-
diso, donde io sono tornato in terra (ofr. Ar.
PARADISO - CANTO X
633
72 tanto die non d posson trar del regno,
e il canto di quei lumi era di quelle:
ohi non e* impenna si che là su voli,
76 dal muto aspetti quindi le noyeUe.
Poi| si cantando, quegli arde^nti soli
si fùr girati intomo a noi tre volte,
78 come stelle vicine ai fermi poli;
dobne mi parver, non da ballo sdolte,
ma che s'arrestin tacite ascoltando
81 fin che le nuove nòte hanno ricolte.
E dentro all' un senti' cominciar : < Quando
lo raggio della grazia, onde s'accende
84 verace amore, e che poi cresce amando
multipUcato, in te tanto risplende
che ti conduce su per quella scala,
87 u'sensa risalir nessun discende.
I 4 e Mgg.), li trorano molte oom tanto sin-
golsrl • minbOi ohe non m ne può arer on'idea
se non in quel beato regno. — 73. 11 eaato
•00. di queste ooee che non ai poMono descii-
TQie era il canto delle anime beate del quarto
cielo. — 74. chi non eoo. chi non ti prepara
a salir tanto nella grazia da giungere sino al
paradiso, non potrà sapor mai nulla di queste
canto» ò come ohi aspettasse le notizie di fatti
0 di cose da un muto. — s'Impenna i pro-
priamente si fomisoe di penne, di ali ; e per
traalato, si prepara, si acquista con opere
buone il merito della beatitudine. — 76. Poi
eoe Poiché quelle anime, cantando cosi dol-
oemonte, ebbero fatto tre girl intomo a noi
che stavamo flsrmL — 78. eosie stelle eoo.
eioò descrivendo un cerchio perfetto, conser-
vando sempre la stessa distanza da noi ch'era-
vamo Cenni nel centro. — 79. donne ecc. Per
intender bene questa similitudine, che ò delle
più belle ed efficaci del poema dantesco, fa
d'uopo conoscere con quali norme era gover-
nata la danza di donne al tempo del poeta.
Si ballava, spedalmente in Toscana, al canto
deUe baUaU (cfr. la mU Noiixia iutte formò
metr, UaL^ cap. n, e anche una postilla di
y.Borghini,£wil.IV 180): la danza si apriva,
appena formato U cerchie, cantando o la guida
o le danzatrici la rifrtm o strofetta iniziale
della ballata, alla quale ripresa corrispondeva
vn giro intiero; poi seguitava, cantando la
guida una stonxa (due fmitaMoni e una «otta)
e Uscendo le danzatrici un mezzo giro in un
senso (1* mutazione), un mezzo giro nel senso
opposto (2* mutazione), e un giro intero (vol-
ta) ; poi tutte le danzatrici prendevano a ri-
cantare la ripresa e Csoevano cosi un altro
giro : con lo stasso procedimento si ballava e
cantava la seconda stanza, la terza, e vìa sino
al compimento della danza e della poesia. Po-
sto ciò, ò manilìBSto che Dante paragona l'at-
teggiamento dei dodici teologi a quello d'una
corona di danzatrici, che finito il canto d'una
stanza si fermano senza Interrompore il ballo,
ma pronte a rimettersi in movimento appona
sentano intonare alla guida il canto della se*
guanto stanza. Coni intesa, la comparazione
acquista una nuova bellezza, perché il poeta
ci rappresenta in pochi tratti scultorii la si-
tuazione Aiggerble e direi quasi la sospen-
sione di movimento dolio danzatrici o insieme
la prontezza loro a riprendere il ballo; fìacen-
doci cosi intendere che la corona dei dodiol
beati s' eia fermata momentaneamente per la
presenza di Dante, e doveva poco dopo rico-
minciar la sua danza (cft. w. 146 o segg.),
— 82. dentro all' un ecc. dentro ad uno di
quelli e ardenti soli » : ò Tommaso d'Aquino,
U quale conoscendo il desiderio di Dante si
dispone ad appagarlo col dirgli chi sieno gli
spiriti beati di questa corona. — Quando ecc.
Poiché il raggio della grazia divina risplendé
tanto in te che ti fa salire per la scaia del
paradiso eco. — 83. onde s'accende eco. rag-
gio della grazia, per il quale s' accende il ve-
race amore e che si moltiplica nell'amore
stesso. — 87. ■' senza eoo. per la quale scala
nessuno discende mai senza poi risalire, dod
chi d stato in cielo, come te, quando sarà
ritornato in terra non potrà più peccare e
perdo risalita dopo morto al paradiso. Buti:
e Nessuno toma dalla contemplazione della
vita beata, a la quale è montamento co' la
scala di virtù mentre che d stato in questa
vita, che non vi tomi dopo questa vita; im-
però ohe senza grande grazia da Dio conce-
duta non d fa ^ fatto montamento, e però
non pud essere che chi ha gustato d fatti di-
letti, che non ritenga sempre b deddeiio
d'essi, lo quale tenendo d conviene che la sua
634
DIVINA COMMEDIA
qual ti n^asse il vin della sua fiala,
per la tua sete, in libertà non fora,
90 se non com' acqua oh* al mar non si cala.
Tu vuoi saper di quai piante s'infiora
questa ghirlanda, che intomo vagheggia
93 la bella donna eh* al del V avvalora.
Io fui degli agni della santa greggia,
che Domenico mena per cammino,
96 u* ben s'impingua, se non si vaneggia.
Questi, che m*ò a destra più vicino,
irate e maestro fummi, ed esso Alberto
99 fu di Colonia, ed io Thomas d'Aquino.
▼ita lift santa e buona». -^ 88. ^«al eoe.
ohionqne non •odisfkcoMe ai tool deùderi di
oonoeoere eco. doTxebbe eneze impedito da
qnalobe altra fona a legaiT la ma naturale
disposixione, ohe è appnnto di ohiaiirti di ciò
ohe non tal; come raoqna che non va a fi-
nire al mare, der' enere trattenuta per via.
*^ 90. se BOB eom'aeqaa eoe cfir. Ptur, i 51.
— 91. Ta Tael eoo. Tu desideri di conoscere
ohi sono le anime di questa corona, che va-
gheggiano Beatrice. — piante : cfir. Air. xn
96. — 98. eh* al del ecc. che ti dà valore,
ti rende capace di salire pei deli. — 91. Io
fai eoo. Fui frate dell' ordine doi Predicatori,
fondato da san Domenico (ofr. Bar, xn 46 e
segg.) con una santa regola, ohe bene osser-
vata conduce alla perfezione cristiana. — 96.
n* bea eco. cf^. Par, zi 23 e segg., ove que-
sto verso è ampiamente diohianito. — 98. Ai-
berte eoe Alberto Magno, della nobile fami-
glia di Bollstadt, nacque nel 1193 in Lauin-
gen, nella Svevìa bavarese : recatosi a Pa-
dova a studiare, si volse alla filosofia e alla
teologia e riusci dottissimo nell' una e nel-
l'altra, tanto da meritare il nome di Doetor
univtnali». Nel 1222 entrò nell'ordine dei
Domenicani, e più tardi insegnò a Colonia
e a Parigi ; nel 1264 ta eletto provinciale del
suo ordine a "Worms, e nel 1260 vescovo di
Batisbona; mori a Colonia nel 1280. Lasciò
un gran numero di opere (ed. critica del
Jammy, Lione, 1661, 21 volumi), tra le quidi
è famosa l'esposizione delle sentenze di Pietro
Lombardo, e coi suol scritti s'adoperò a met-
tere d'accordo le dottrine di Aristotele eoi
cristianesimo e ad abbattere l' interpretazione
aristotelica dei filosofi arabi. Su Alberto Ma-
gno si vedano J. Quetlf e J. Echard, Sori-
ptoreg ordinia JVtMÙoatorufn, Parigi 1719, voi.
I, pp. 162 e segg. ; O. De Ferrari, Vita del
b, AUf. Mag,t Boma 1847; F. A. Pouchet,
HiaL dm tcimee» naturelÌM au mcym-^ga cu
Albart té Grand d son Bpoqoé^ Parigi 1868,
J. Sìghart, Aìb, Mag,, sein Lebm %ind sevu
ITisaMMoboA, Batisbona 1857; 0. d'Assamy,
AUftrt U Onmd, Parigi 1870; R. de Liechtj,
Alberi U Grand d M, Thom. d'Aqukt, Pftrigi
1880; B. Hauiéas, HitL d$ ìa pidh». sools-
ttìqm, Parigi 1880, voi. H, p. I, pp. 214-
887. — 99. le Tliomas ecc. TommaBo, deDa
famiglia dei conti d'Aquino, nacque a Boo-
caseoca nella Terra dì Lavoro nel 1225 : stn^
dio prima sotto la disciplina dei benedettini
cassinesi e poi nell' università di Napoli; en-
trò nel 1248 nell'ordine Domenicano, e poi
si recò a Colonia e a Parigi, nelle quaU dttà
compi i suoi studi sotto la guida di Alberto
Magno. Nel 1248 incomindò a insegnare nel
collegio di Colonia; nel 1258 passò a Parigi,
ove lesse pubblicamente nella celebre uni-
versità: pia tardi tornò in Italia e per due
anni insegnò teologia nell'università di Na-
poli; ma nel 1274, Invitato dal papa al con-
cilio di Lione, si mise in cammino e mori
per vìa, dicono avvelenato (dr, J\my, zx
69). Tommaso d'Aquino, chiamato ai sud
tompi il Doetor angeiioua e santificato nd 1323,
ta il più grande filosofo e tedogo dd suo
secolo e compose un gran numero di open
(odlz. migliori : Boma, 1570, 18 vdl. ; Parigi,
1660, 23 voli.; Venezia, 1745-60, 28 vdL),
allo quali e spedalmente alla ammna tkeoh'
giea Dante attinse largamente. Su Tomm.
d'Aqu. si vedano A. Touron, Lat4»d$tL Tho-
mas d'Aquin, Parigi 1787; B. de Babds, Ih
geaHt et eoriptit ae dodritia $. Thomae Afwm.
diseertaiionea xxx erU, apolog,, Yeneda 1760;
H. Hortel, Thomas wn Aquino tmd some
Zea, Augusta 1846; C. Jourdan, La fìmkh
Sophie de sL Thom, d'Aqu,, Parigi 1868; C
Werner, Der heU, Thomas von Aquino, Ba-
tisbona 1868; 0. OibelU, VUa di s. Tomenato,
Bologna 1862; J. Baiellle, MsL de sL Thom.
d'Aqu,, 4.^ edlx., Lovanio 1862; B. Hau-
réau, op. dt, voL II, p. I, pp. 8S8-4A3 ; G.
Marietti, San Franoeseo, san TVmwnoso • DtmU
nella civiltà cristiana e te relaxionl tra loro,
Yeneda 1888; 17. Chevalier, 8L f%omas
PARADISO - CANTO X
635
Se si di tutti gli altri eBser vuoi certo,
di retro al mio parlar ten vien, col viso
102 girando su per lo beato serto.
Quell'altro fiammeggiare esce del riso
di Graaian, clie l'uno e l'altro fòro
106 aiutò si che piace in paradiso.
L'altro, ch'appresso adoma il nostro coro,
quel Pietro fu, che con la poverella
108 offerse a santa Chiesa suo teserà
La quinta luce, eh' è tra noi più bella,
spira di tale amor che tutto il mondo
111 là giù ne gola di saper novella:
entro v'ò l'alta mente, u' si profondo
saper fu messo che, se il vero è vero,
ifAqMàh, ibtglfa»w»m, MoAlMIiud 1868.
— 100. 8« if eoo. &• ood come ho ftktto di
■• • 4el iimutTO aio Tuoi imwg inlòr-
■sto d«l nome e Mie qudHà degU Altri beati
di* «t «toooBdaDo, legoi il nio piriftre, gnw-
dukdo Tia Tia a quelli oh' io ti neodneid. —
101. ftM»t cfr. W* !▼ !!• — KML GrailaB
eoo. 6iaiiaiH> naoqae, teeondo i pM, a Ghinii,
■e^iBdo attii a Ouiaia nel tenitoiio d' Or-
vieto, Tene la ine del eoo. xi: li fece bene-
dettiao oaiaaMoleee, fono nel monastero di
Qaase pn»o RaTonna, e poi panò ad abitale
in Bologna nel monaetero di 8. Felice, dello
■teaao ordine: iriineegnò, e oompoie intomo
al 1140 0 ftonoao JDMritem oMia CbfioorvUa
iiaoarémMmm eanoniim, oon la qoale operai
oeiinaade piA tasionalmente i oanoni dei oon-
cUt, delle deoretali e delle «me ■crittoze,
IbIsIò la soienia del dizitto canonioo(ed. ezi-
tla», Boma, 1660, per ofdine di Qiegorio Xm;
altra del Bichter, Lipda 1886). Sopra Gra-
ibuio efr. S. Friedberg, Dm Ikonbum Qn^
ltoi<, Lipsia 1876; O. CaHani, DaftmMeo
a$mitto 4i Bohp^t BoL 1888, eapp. x e zm ;
H. Sarti, Di efoiit ankifffmn, botun. prùfm.,
BoL 1889, ToLI,p^ 880-864; Sdralte, (TmqI^
éU§am. BeektB, 146-76.— l'ino e l'altre eoo.
Lana: « setisse il Deorsto e Deoretali, e fSlli
sf perfetti oàe plaoe alla ragione e alla gin.-
stiaia»; Bnt^ meglio: e peiohé nel decreto
dimostra come si convegna e concordi la
legge chrile ooUa eodesiastioa et e contra-
ilo ». — 107. Pietro eco. Pietro Lombardo
naofM a LoaeUogno, nel territorio di No-
▼aia, al principio del secolo zn, di funiglla
porerissima: studiò da prima in Novara e
poi a Bologna; tìcso 11 1147 andò in Francia,
pdma a Belms poi a Parigi, della qnale dttà
ta JMto reeooTO nel 1168: mori nel 1160.
Dotttai^ nsBe sdense saore e proAme eom-
pcee i quattro Dbil StiUmtiainim, nel quali
trattò di Dio nno e trino, della creasione.
della redsnsione e della Chissà cristiana; di
qnesf opera, càe meritò a Pietro il nome di
M^itttr SmUmMmum ed ebbe infiniti com-
mentatori nei seooU di poi, si che ▼enunente
si pnò oonsldersre oome nn inoro di sacra
dottrina, dà ei^ stesso nn'idea nel prologo,
seriTondo : « In laboie mnito ao sodoie toIu-
men, Deo praestante, oompegimns ex testimo-
niis Teriti^ in aetwnnm Aindatis, in qoa-
taor llbris distinetom, in quo maiorom exem-
pla dootrinamqne reperies... breri volamine
oomplicans Patnun sententias, i^positis eomm
testimoniis, nt non sitnecesseqaaerentl libro-
nim nnmerositatem erdrere, coi bcevitas col-
lecta qnod qnaeriter oiEort sino labore ». 8a
Pietro Lombardo cfr. F. Protois, PStmLom-'
hard, Mqué d$ PlaHa, dU k MalUn d§9 m^
t0ihom, mm •poqm, m vU, t» ioriU, mm in-
/hisiws, Parigi 1881; padri Ifauini, QaUia
OkriiUana, Parigi 1744, roL VII, n. 72; H.
Sarti, op. dt, toI. I, pp. 621-628 ; e 0. No-
groni, BAMa votgan, Bologna 1884, toL V,
pp. Tn-xm. — che een la poTcrella eoe
Nel prdogo al libri 8$nlmU, Pietro Lombardo
scriTO di Tder oArire alla Chiesa il soo tri-
buto, oome la Todova porerdla, di eoi rac-
conta rerangelista Loca xxi 1-4, che oiErf a
Dio tntto U soo avere, dae piccole monete :
e Capientes aliqnid (dioe Pietro) de tennitate
nostra 01101 poMfWVMfo in gaaophyladom Do-
mini mittere ». A queste parole allude mani-
festamente la preeente terxina. — 100. La
qalnta luce eoo. È quella di Salomone, figlio
di Davide e re d'Israele, autore dd Cantieo
iti mnIM, pieno di calda passione d'amore.
— 111. gola : il Tb. gdkxréy forse coniato da
Dante (la lingua antica ha invece il vb. yo-
Kors, dedderare, appetire), significa dedderare
ardentemente. — 118. se 11 vere ecc. se la
sacra scrittura non erra (e non può errare
perché ò la verità essa stessa) nessuno Ai mai
pid sapiente di Salomone. S'allude al passo
636
DIYIKA COMMEDU
114 a veder tanto non sorse il secondo.
Appresso vedi il lume di quel cero
che, giuso in carne, più addentro vide
117 l'angelica natiira e il ministero.
NelPaltra piccioletta luce ride
quell'avvocato dei tempi cristiani,
120 del cui latino Angustin si provvide.
Or, se tu l'occhio della mente trani
di luce in luce, retro alle mie lode,
128 già dell'ottava con sete rimani:
del JÌZp, m 12, ove Dio dio» a Salomone!
« Ecco, io fo eecondo la toa parola : eooo, lo
ti do vn cuor eaTio, ed intendente : tabdie né
davanti a te è itato, nò dopo te aoigerà al-
cun pari a te > : ofr. B»t. zm 81-111. — 116.
11 lane eoo. l'anima Inminoea di quel maestro
delle cose Bacre ohe fa Dionigi Axeopagita, il
qoale, oonvertito ai cslftianeeimo nel 62 da
san Paolo e no disoepolo (F\M dtgìi ApotL
zvn 84), ta. il primo reeeoro di Atene emoif
di martìrio vereo il 96 d. 0. OU eono attri-
buite pareoofaie opere in greoo, le qvali ora-
mai sono tenute per apoorife : traesse Dante
stimaya molto quella DMa gmwrckia oafasto,
da lui ricordata nell' Bpist. a Oangiande, fi 21
e accennata nel P», xzvm 180. Su Dionigi
ofr. L. Cozza, F8fwiMa« Ar$opagiiioaé, Roma
1702; 0. Vogt, UfdmwehmgmiOfer diòoyù-
hi/Uhm Sehrifìm Ditmygitt» dm Artopagitén,
Berlino 1B86; L.Montet,rtoMerMduA0wdo-
Dén^ l'Arèóptigitét Parigi 1848; C. Sohnei-
der, Areopagittea : die SehHftm dm h»iL Dim,
«om Armpaffi eim Vérthéidig%utg Hwtir JBoAi^Mf,
Batisbona 1884. — 116. pitf addentro eoo.
intese e spiegò me^o d'ogni altro la natura
e l'officio deg^ angeli : infatti i più grandi
teologi, come Giovanni Damasceno, Pietro
Lombardo, Tommaso d'Aquino, seguirono,
quanto agli angeli, la dottrina di Dionisio. >-
119. o«ll'*vroM^ *oo. Paolo Orosio, sacer-
dote spagnuolo vissuto tnt la fine del ir e il
prind^o del v secolo d. 0., scrisse per ecci-
tamento di sant'Agostino sette libri EùfUh
riamm oAmnu» pagano» (ed. critica di G.
Zangemelster, Lipsia 1889), una storia uni-
Tersale dai tempi primitivi sino al 417, con
parzialità in favore dei cristiani e con errori
(ofr. T. M6mer, JM OrotU vUa itnuquB Mdo-
rianm Ubri$, Berlino 1844). Di quest'opera
assai conosciuta nel medioevo (ta tradotta in
volgare da Bono Giamboni, alla fine del s»-
colo X3nX Dante aveva molta stima, tanto da
rassegnare Qrosio con Gioeione e Livio fra
i migliori prosatori latini (ofr. De vuig. eìoq,
n 6) e da citarlo abbastanza spesso (cfr. Cbnv.
m 11, i>9 mon, n 8, 9, 10 ecc.) ; nò deve pa-
rer singolare ch'egli l'abbia messo tnt i cam-
pioni della fsde cristiana, sebbene per la fama
minore lo rappresenti come « ploololetta luce»:
ofr. P. Toynbee, Bk, 1 18-29. Alcuni oom-
mentatoiri antloU, Lana, Pietro di Dante,
(]ass., An. fior., orsdettero che questo ossi»*
coto (M tempi erieètemi fosse sanf Ambrogio,
arcivescovo di MUano (840-897) ; ma già l*Ott
oonobbe e il Bntl ammise, seguito da tutti i
moderni, l'opinione migliore òhe in tad rieo-
nosce Orosio: 0. Fea, ìhiova interpreiaxSam
<ii Ufi «0nod(i>.^.,Boma 1829,* A. Man-
cini, Giom, dmL^ U 888-842, sostonneio che
questo oesoooto fosse TiattanzJo Firmiano, au-
tore di sette libri DMnarmn intHMioimm,
apologia del crirtlanesimo. — 120. del eal ecc.
delle opere del quale molto si valse sant'Ago-
stino nel suo libro De àktUaU Dei (ofr. Baehr,
Die ehrieU. rSm, 7%aoI(y., pp. 260 e segg.). Di
Orosio dice s. Agostino nel libro De raUcm
animae: «Ecce venit ad me reUgioue iurenis,
catholica pace frater, aetate filius, honoreeom-
presbyter noster, Oxosius, vigil ingenio, paia-
tus eloquio, flagrane studio, utile vaa in domo
Domini esse desiderans ad reflèUeBdas fidsss
pemidosasque doctrinss, quae animaa Hispa*
norum, multo infelidus quam ooipata barba-
ricus gladius, truddarunt ». — 121. trani:
trasporti, trascini; ò vb. non usuale né pare
negli antidki(cfr. G. VllL, Or. vm 89). — 122.
retre ecc. seguendo con io sguardo le anime
che io vado encomiando. — 128. dell' ettava
ecc. Questa è l'anima di Anido Manlio Tor-
quato Severino Boezio, senatore romano, nato
intomo al 470 d. 0., elevato alle pifi alte di-
gnità, e poi imprigionato e condannato a morte
da Teodorico nel 624: delle sue opere fri ed
è famosa sopra tutte il libro De eoneotatkfne
philoeopkiae, scritto in carcere e misto di pro-
sa e poesia, ove nppresenta la filosofia che
lo oonforta delle sue disavventure, e ove
per la prima volta appare l'accordo tra la fi-
loaofia antica e la dottrina cristiana. S dir
sputa se Boezio fosse convertito alla nuova
religl<me, ma certo ta cristiano di spiriti, sia
per il calore del sentimento reUgioeo, aia per
Urigidità ortodossa delle dottrine : tale lo ore-
dette il medioevo, onorandolo del titolo di santo
e del culto prestato ai martiri; e tale lo cre-
dette Dante, ohe ebbe carissime le opere sue
PARADISO - CANTO X
b37
per vedere ogni ben dentro vi gode
l'anima santa, ohe il mondo fallace
126 &, manifesto a chi di lei ben ode;
lo corpo ond'ella fu cacciata giace
giuso in Gieldauro, ed essa da martiro
129 e da esilio venne a questa pace.
Vedi oltre fiammeggiar l'ardente spiro
d'Isidoro, di Beda e di Eiccardo
182 che a considerar ^ più che viro.
Questi, onde a me ritoma il tuo riguardo,
ò il lume d'uno spirto, che in pensieri
135 gravi a morir gli parve venir tardo:
ò la luce etema di Sigieri,
H. HeizbeiKi Dm HiiloriMunddie Cffmmiken
dM IMcfer «on iS^vtUs, Gottiiiga 1874. — B«4ft s
Beda detto il Tenembile nacque a Veiemath,
in Ingliilterra, nel 674, ta fatto prete a tren-
f anni e passò tutta la sna Tita negli stadi e
nelle pratiche religiose : mozlnel 735, lasciando
moltissime opera delle più srariate materie
(ediz. critica di J. A. Giles, Londra, 1848-44,
12 volL), tra le qnali sono molto Importanti
la Hutoria soototiortico genti» Angìonmn e le
OwmUm. Si cfr. H. Gbhle, De Beda» «ensrafr.
rrttb, Anfflo-eaa, vita et «ori^pti», Lndg. Batar.
1888, e C. Werner, Beda der Ehniàrdige und
teine Zeit^ Vienna 1876. — Bleeardo: questo
nomo di soyromana dottrina ò lo scozzese Bio-
cardo de St Victor, cosi detto dal nome della
celebre abbazia di 'Parigi nella quale egli ta
prima discepolo di Ugo de St Victor e poi
priore dal 1162 sino alla sua morte, ayyenuta
nel 1178: ta fiorissimo oppositore del razio-
nalismo e per le sue tendenze mistiche ebbe
il nome di Magnue eontemplator : scrisse mol-
tissime opere teologiche (ed. critica, Bouen,
1660), tn le quali sono più note il Benkmiin
maior e il Bentamin minor o i libri De trini-
to^ Si ofr. 0. T. Liebner, .BicAonit a ^. FMorv
de eontempUUiom dootrina^ Gottinga 1887; O.
EauUch, Die Léhre wn Ugo %md IHehard von
8t. Tietor, Praga 1864. ~ 188. ({vesti ecc.
Quest'anima, con la quale si compie il giro
dalla mia parte sinistra, si che tu guardando
lei ritomi oon la vista a me ecc. — 184. ehe
Ìb pensieri eoe il quale meditando grave-
mente sulle cose mondane desiderò di morire
per sottrarsi a queste Hallaoie. — 136. Slgierl
eco. Sigieri di ^abante, nato nella prima metà
del secolo zm, ta discepolo di Boberto di Sor-
boa e si hanno memorie eh' egli avesse parte
nei contrasti deU' università di Parigi nel 1266
e nel 1276: ti uno dei principali autori delle
proposizioni condannate nel 1277 da Ste£uio
Templario, e perseguitato come eretico fini i
suoi giorni in Orvieto, verso il 1288, di morte
violanta. Del resto intomo a lui è molta oscu-
(cfr. (Jone. 1 2, U, n 8, 11, 13, 16, m 1, 2,
IV 12, 18; De man, 1 11, u 9 ; Inf, v 128). Su
Boedo cfr. S, Comi, Mèm. etor, eopra Severino
Boezio, Venezia 1812; A. Beale, Rieordarwe
della vita e dette opere eoe Pavia 1841; L 0.
Suttner, BoetMue der ìetKor Sdmer, Eichsadt
1862; F. Nitach, Dae Bgsltm dee BoeOme,
Badino 1860; F. Pucdnotti, n Boezio ed
aOri eeritU etoriei e fUoeofioi, Fir. 1864; O.
▲. L. Baor, Bo<<MiM «nd jDorUs, Lipsia 1878;
L. C. Bourquard, i>9^. Jf. 8. Boetio ohrietiano
viro, philoeofo ao teologo, Angers 1877; A.
Hildebiand, BoAMus und eeine SteUung xum
OtrietenUmme, Batisbona 1886; B. Peiper,
pcelìazione al libro De ooneol. pML , Idpsia,
ijBTl. ~ 124. per vedere eco. poiché vede Dio,
■oou&o bene, ò beata in quella luce eco. —
126. éhe il mondo eco. che a chi ne considera
bene la vita e le opere fa vedere quanto sia
ingannevole il mondo. — 128. glnso ecc. nella
hasilioa di San Pietro in Ciel d'oro (e S. Petrl
in Godo Aureo », dice l'Anon. Tidn., De
knuL PbpJM in Mur., JZff*. Oot XI18) di Pa-
via, ove Boezio fu sepolto e ove Liutprando
le longobardo avrebbe fatto erigere un sepol-
cro per lui e per sant'Agostino (ofir. A. Qraf,
Soma netta memoria ecc. dt., voL n, pp. 843
e segg.). ~ da martire ecc. oCr. Far, ^ 148>
— 181. Islderox Isidoro di Siviglia, oosl detto
perché Al vescovo di questa città, nacque a
Oartagena intomo al 670 e mori nel 686 ; fu
nono dottissimo e scrisse opere svariate di
storia, di grammatica e di teologia, che nel
medioevo fbxono molto stimate (ediz. delle
Oper.omeeSa, Boma, 1797-1808, quattro volL);
principali di esse: i venti Ubri Originum eeu
éymtkgkwym, ^ede d'Enciclopédia conte-
nente l'esposizione delle sette arti liberali.
deOa medicina, della giurisprudenza, della sto-
ria religiosa • in fine molte questioni di lin-
gua, importante per le mdte notizie, e i tre
IShii SmimUanm eke de smumno tono, opera
tedogioa, per la quale specialmente Dante lo
pose tra ^ wj&AM di questo cielo. Su lui cfr.
638
DIVINA COMMEDIA
elle, leggendo nel vico degli strami,
138 sillogizzò invidiosi veri >.
Indi come orologio, ohe ne chiami
nell'ora che la sposa di Dìo sarge
141 a mattinar lo sposo perché Tami,
che Pana parte l'altra tira ed urge,
<tin tin' sonando con si dolce nota
144 che il ben disposto spirto d'amor targo;
cosi yid'io la gloriosa rota
moversi, e render voce a voce in tempra
ed in dolcezza, ch'esser non paò nota
148 se non colà dove gioir s'insempra.
lità • gnade disparità d'opinioni; ma or-
mai dopo gli stadi di C. Baenmlrar e di F.
Mandonnet (sui quali ofir. F. Toooo, Bull. VI
161-168, Vn 86-88, 49-69) € non è pi6 dnb-
bio che SIgieri di Brabante, professore a Pa-
rigi, fosse ano schietto avenoista, che, ar-
▼alendosi della famosa distinzione delle dae
verità, come credente ammetteva la crea-
Kione dal nalla, oome filosofo la negava po-
nendo con Aristotele il mondo etemo » (Tocco,
Cfonf, mil, n 200). È poi accertato in modo
indubitabile che il Sigieri dantesco d una
stessa persona con quello del Fiore (poema
antico, pubbL da F. Castets, Montpellier 1881,
e meglio da 0. Mazzatinti, ManoaeritH UaL
dM» bOfUot, di JTVanoa, voi. Ili, Boma 1888),
ove si legge (son. xcu) : e Mastro Sighier non
andò guari lieto : A ghiado il fé' morire a
gran dolore. Nella corte di Boma, ad Orbi-
vieto ». Sulla questione si vedano anche G.
Cipolla, Sigieri nella div, Comm. nel Oiom,
sUrr. della leU. Hai., a. 1886, voL Vm, pp.
63-140; a. Paris, nella Romaniay a. 1887,
voL XVI, p. 611; e 0. Mazzoni, Buìl. U
118. — 187. leggendo ecc. insegnando nel-
l'univexsità di Parigi. Il vtoo degli strami è
la rus dt» J^bMorrs, detta dal Petrarca /hi-
go8U9 tbraminum viéu» (5mi. ix 1), nella qua-
le erano le scuole di filosofia. — 188. slllo-
flKsò eco. dimostrò coi suoi sillogismi delle
verità 0 proposizioni filosofiche, le quali gli
partorirono odio, gli suscitarono oontro degU
oppositori : la frase invidiosi veri è da parago-
nare con quella del Petrarca, Trionfo della
Fama, in 87 : « Credendo averne invidiosi
patti >. — 189. Indi ecc. Appena Tommaso
d'Aquino ha finito di dire l nomi dei compa-
gni, questi riprendono 0 loro giro • Il canto,
e poi si fermano ailindió l'Aqoinate poesa ri-
parlando sciogliere i dubbi di Dante. — fwa»
orologio eoo. oome nell'orologio a sveglia,
che suona nelle ore mattutine, pare per fi
movimento simultaneo delle varie mote ohe
Tona tiri e spinga l'altra e cosi si produce
il tintinnio del campanello eoo. -^ 140. mI-
l'ora ecc. nel principio del mattino, quando
la C^esa o la comunione dei fedeli sorge a
recitare {«eghiere per acquistarsi ramore di
Dio. Borgh., a proposito di chi spiega maUi'
nare por dire mattOino, osserva giustamente:
« Si potrebbe tollerare: ma pur non è proprio
suo significato, perché poteva dire altre ora-
rioni, e non sol matutino: e mattinate • «ar»-
nate son propriamente canti die si Canno fi
notte alle dame, e a questo ebbe l'oocUo il
poeta: e a quelle usanze risgnardd con b^
lissima e prettissima similitudine ; Q die non
solo ò facile ad intendere, ma ha anoor seco
una propria e singoiar efficacia, ohe diletta
col ridurli a memoria quell'usanza, che non
può r uditore, e comprende più col seneo che
non suonano le parole; e tutto questo In si-
mili esposirionl si perde, e l'arguzia del poeta
non si vede >. — 144. il ben eoo. riempie
d'amore, di religioso fervore gli animi dei cre-
denti, disposti aUa preghiera. — 145. eesf
vid'ie ecc. cosi si mosse la corona del do-
did spiriti, i quali tanevansl per mano, e
oosf daacuno tirava a sé il compagno di' em
dall'una parte e sospingeva quasi n com-
pagno che aveva dall'altra. — 146. rwder
ecc. cantare con accordo e ddcezza di pam-
dlso. — 148. s' Intempra: si perpetua, di-
viene etemo.
PARADISO - CANTO XI
639
CANTO XI
Tommaso d* Aquino, incominciando a spiegare i dne dnbbt sorti nel-
Inanimo di Dante, parla dei dne campioni della fede, san Francesco e san
Pomenioo, e descritta largamente la yita dell' ano lamenta con grari parole
la decadenza dell'ordine monastico fondato dall'altro [14 aprile, ore anti-
meridiane].
O insenaata cura dei mortali,
quanto son difettivi sillogisini
3 quei che ti fanno in basso batter Talil
Chi retro a iura, e chi ad aforismi
sen giva, e chi seguendo sacerdozio,
6 e chi regnar per forza o per sofismi,
e chi rubare, e chi civil negozio,
chi nel diletto della carne involto
9 s'affaticava, e chi si dava all'ozio;
quando, da tutte queste cose sciolto,
con Beatrice m'era suso in cielo
12 cotanto gloriósamente accolto.
Poi che ciascuno fa tornato ne lo
punto del cerchio, in che avanti s'era,
XI 1. 0 ÌBieaMU eoo. Lomb.: cCom-
prendoBO questi primi quattro tenetti non al-
tro ohe una digxessione, oolla qoale oompiange
fl poeta la oeoitàde' mondani ohe si trovavano
in oniociose oooapazioni dica le oose delia
terra, mentr'ee^ goderà delle delizie oeleetl > .
La mossa di questa digressione ricorda il
Teno di Lucrezio n 21: e 0 miseras hominum
me&tea, o pectora ooeoa », e quello di Persio
I 1: « O curas hominumi o quantum est in
rebus inane !» — 2. quanto eoo. quanto sono
ertone i ragionamenti che fumo volger gli
animi degH uomini alle oose terrene. — 4.
imrtkz le scienze giuridiche, il inu ckUe e il
«M etmonhum, • leggi e decretali », nota il
Lana. — aforismi : la medicina, cosi designata,
per 1^ Aforismi d' Ippoorate. — 6. sacerdo-
ilo: offioi ecclesiastici lucratìTi, «prebende
e prelazioni », dice il Lana. — 6. regnar ecc.
esercitare la signoria o la preponderanza nel
goreimo, o con la violenza o per gli Inganni :
€ ^esto, dice l' Ott., ò quando la cittade ò
commessa al governo di alquanti pochi, 11
quali per persuasioni e per pulite dicerie in-
gannano tutta Feltra cittadinanza, traspor-
tandoli bene comune in sua propria utilitate ».
Dante pensava certo scrivendo questo e i se-
guenti varai a tutti i fibooendieri, spedalmente
gli uomini di legge Iktti a posta a parlare, che
nei eonsigtt della sua Firenze traevano alle
ter sentenze i pid dei cittadini: di taU fào-
i furono -Corto Donati, « piacevole, sa-
vio e ornato parlatore » (D. Compagni, Or, n
21), Baldo d'AgugUone e Fazio da Signa ba-
rattieri grandi e giudici (ctr. Bar, xvi 66), e
molti altri loro simili ohe vivono, sinistre fi*
gure, nelle pagine del cronista dei Bianchi.
— 7. ehi cirll ecc. si cfr. per altro dò che
Dante scrive nel Oom. il: «La cura fami-
liare e civile eonomevobnmU a sé tione de-
gli uomini il maggior numero, si che in ozio
di speculazione essere non possono ». — 10.
da tutte queste cose eco. Buti : « Ecco ohe ha
contato lo nostro autore nuove cure e soUi-
dtudinl che gli uomini mondani pigliano in-
gannati dall'amore mondano, cioè dei beni
mondani, doò li ludid delle leg^ canoniche
e dvUi, li medid dolla fisica e della dmgfa,
li cherid dell! ordini ecclesiastld e de' bene-
fld, li signori di signoria, li rubbatorì in rub-
baro, li artefld nei loro artifid, 11 carnali e
lussuriosi nd diletti carnali e lussurie, e U
pigri ne Tozio; onde ha toccato quasi tutte
le diversità degli esercizi degli uomini mon-
dani, da li quali dimostra sé essere libero por
lo studio preso de la santa teologia ». — 12.
cotanto ecc. Si avverta che il verso d da leg-
gere distinguendo le due parti dell'avverbio,
gìoriisa-^nmte; come in quello del Petrarca,
canzone zxvm 60 : « Nemica naturalmente
di pace ». — 13. Poi ecc. Appena dasonna
delle dodid anime ebbe ripreso luogo nel
punto del cerchio, ov'era prima di rimettersi
in moto {Fttr, z 79-81, 146-146), si fermò.
640
DIVINA COMMEDIA.
15 £anno88Ì come a oandelier oandelo;
ed io Benti' dentro a quella lamiera,
che pria m'avea parlato, sorridendo
18 incominciar, &cendo8Ì più mera:
< Cosi com* io del suo raggio risplendo,
si, rignardando nella luce etema,
21 li tuoi pensieri, onde cagioni, apprendo.
Tu dubbi, ed hai voler ohe si discema
in si aperta e in si distesa lingua
24 lo dicer mio, oh* al tuo sentir si stema,
ove dinanzi dissi : ' u' ben s' impingua, '
e là u* dis9i : ' non surse il secondo; *
27 e qui ò uopo che ben si distiiìgna.
La provvidenza, che governa il mondo
con quel consiglio nel quale ogni aspetto
90 creato è vinto pria che vada al fondo,
però che andasse v6r lo suo diletto
la sposa di colui, eh* ad alte grida
88 disposò lei col sangue benedetto,
in sé sicura ed anco a lui più fida,
due principi ordinò in suo favore,
86 che quinci e quindi le fosser per guida.
L*un fu tutto serafico in ardore.
^
rimanando ImmobiU. — m» lox rima compo-
sta, ofr. Jnf, vn 28. — 15. eoma eoo. nell'ii»-
mobiUtà propxia della candela llMata nel oan-
delieie. — oaadel^s cfr. Bar, xxx 64. —
16. a f «ellA eoo. a quella looe ohe arrol-
gev» l'anima di Tommaao d'Aquino, ohe già
m'aTera pedate (iV. z 82). — 18. fkeenOoil
eoo. perché al nnoro aidore di oaiità, ohe
morera quell'anima a sdoglien i dnbbt di
Danto, doTera oozxispondere on aooreeoisianto
della luce. — 19. Coil eoo. Lana : € Com' io
zispleodo del radio di Dio, oosi in eiio veggio
quello àbé penai >. ^ 21. 11 Inoi eoo. ap-
prendo da ohe tu tnggi cagione ai tuoi pea-^
siezi dubUoaL —22. eke il diaeerma eoo. ohe
il mio disoozao aia chiarito oon pid manifBsto
e largo parlare tanto ohe ai Ikcoia piano alla
tua intelliganza, riapetto a due punti eoo. —
24. il iteraa t il Tb. tttrntn è usato da Danto,
oon effloaoe traalato, nel senso di render
piano, fiMsUe, chiarire, anche in Ar. zxri 87,
40, 4S. — 25.dlnaailsGfr.JPbr.z96. — 26.
là «* eoo. ofr. Fùr. x 114. — 27. • q«l eoo.
• a proposito di questi due dubbt è necessario
£tt una buona distinsione, doè trattarne ao-
curatamente perché d materia di molta imporr
tanza. Sul primo dubbio Tommaso s'intza;^
tiene pariando di san Franoesoo e san Dome-
nico (YT. 28-42), della Tita del primo (tt. 48-
117), dell'ordine fondato dal secondo (tt. 118-
189); sull'altro dubbio parla in Bar, zm Si-
ili. — 28. Il» yraTTldensa ecc. La prorfi^
densa dirina, la quale gorenia il mondo oon
ai profondo consiglio ^e nessuna mentemnana
pud penetrarlo, ^e ogni sguardo è abballato
prima di giungere a Tederà il segreto p— »^^I1^
della divinità. — 81. per^ eoo. nflinohé la
Chiesa persistesse nell'unione oon Orìato pad
siouza di sé e pid fodele a lui eco. laoopo de
Vitry, £Ìifor{aoo0Uffi<alit,cap.zzzn (ed. A
Donai, 1697, p. 848): € ut contra Antiohristi
perioulosa tempora novos athletas praepararet
et eodeeiam praemuniendo foloiret »: efr. an-
che Par. zn 87-45. — 82. di eol«l eoe di
Cristo, ohe si disposò alla Chiesa ▼usando il
suo sangue nella passione e gridando nel mo-
mento di rendere lo spirito (ofr. Ifatteo zzm
60, Marco zr 87, Luca zzm 46). — 88. eel
sangue eoo. ofr. Fatti dt§U À^otL zz 28: € La
chiesa di Dio la quale egli ha anquistata col
proprio sangue >. ^ 86. dM eco. oidind in
aiuto dalla Chiesa due c^ san Frmnoeeoo e
san Domenioo, i quali le fosser guida, quAnA
• quUmàt, cioè nel renderia piA sioum di sé
accendendola di mrafiioo orvlorf, e più fodele
a Dio aiutandola della tikmyòioa tiipimre. —
87. L'uB eoo. San f^anosaoe flt tutto acceso
nell'ardore della carità, e però é detto «ro-
PARADISO — CANTO XI
641
l'altro per sapiensa in terra fde
89 di oherubioa luce uno splendore.
Dell* un dirò^ però che d'ambedue
si dice l'un pregiando, qual oh'uom prende,
42 perché ad un fine fXir l'opere sue.
Intra Tupino e l'acqua che discende
del colle eletto del beato Ubaldo,
45 fertile costa d'alto monte pende,
onde Perugia sente freddo e caldo
da porta Sole, e di retro le piange
48 per grave giogo Noeera con Gualdo.
fiooy poiché «SarapMmiiitarpretetorardMitM...
et denominatar ab udore chaiitatte > (Tomm.
d'Aqn., Amnm. P. I, qo. Lzm, art 7). « 88.
I*altr« eco. san Domeoieo per la sua lapieiaa
fa come uno ^lendore di chtrybiM luce mila
terra; poiché e Okmibm intarpretatar flmk-
tmdo «ntutfcM.... et do patet qnod Chembin
denominetor a toientia » (Tomm. d'Aqu., L
dt,), — da Dell'vB eco. Io pallerò di lan
Franceeoo, perché enoomiando uno dei due,
qnalanqoe poi li prenda, si fi l'elogio d'en-
trambi, avendo evi operato aUo steeeo fine
d'aiutare la Ghieea. Tommaso d'Aquino, del-
l'ordine domenicano, prende a lodare san
Frmnoesoo e a deplorare la decadenza del
proprio ordine; come poi, per simmetria, Bo-
BaTantora da Bagnorea, dell'ordine france-
scano, farà r.elogio di San Domenico e la-
menterà la decadenia dei frati minori (ofr.
Bmt, xn 4A e segg.). — dirò x nel ritessore
la rtta di san Francesco, che nacque in Assisi
nel 1182, da giovane si ritrssse a vita reli-
gioea e fondò il sno ordine, e moil nel 1226,
Dante si attenne ai più antichi biografi e spe-
cialmente a Tommaso da Gelano (Viia F)rttnoi-
mi nei BoUandisti, Aela tanetorum Oetobrig^
ToL n, pp. 688-72S), ai tre soci (AppencUa ad
home eitom, anctor. tribos Sancti sociis, Leone,
BuAqo et Angelo, L dt., pp. 723-742, e La
leggenda di s. t^raneeieo teriOa da tre tuoi
wmpoffni, Boma 1899), e a s. Bonareotora
iVUa FrwM., L dt, pp. 742-798 0 Legenda»
duo» de Vito s. FmiUei^ Qnaraoohi 1898):
a illostcaxione di questo fonti d cfr. i Bol-
laadiati, L dt, pp. 646-688; F. 0. Chalippe,
Fii 4if «. Fnmfoiè d*Aiaiu, Parigi 1727; J.
Ooerrss, Der htiL F^raiwffonJMisiein TVkn*-
badour^ Strasbnrgo 1826; E. Yogt, Ikt hML
W)rm».9mAm.,Txk}Aaga 1840 ; F. £. Chavin
de ìSaìaxi,maUfkÉd§t.t)rtÈn.d'At»„ Parigi,
ì8il;T.U(a\ik,8L Frantoi» d^Aa9,d Ut Flw^
eitoaint, Parigi 1868; 0. Base, F^raiw von
Aat^ lipda 1866; B. Bonghi, 5. Froinù. d*At-
titi. Città di Castello 1882; Q. Di Oiovanni,
S. FmnfOtteo d'JLttiti Oirgenti, 1888; P. Sa-
batier, n$ d$ ti. Fran^oit, Paris 1892: e M.
DAirrv
Barbi, BmO. Vn 78-101. - 43. ptrelid eoe
ofr. Far, m 86. — 48. Intra eoe CircosoriTe
e con la consueta fedeltà, la quale è la più
inftdlibile testimoniaaa della sua personale
Tidone (Bassennann, p. 266)», la posisione
di Assisi,dttà deU'Umbria, posta sul pendio
ooddentale del monte Subado ohe sorge fra
due piccoli fiumi, fl Tupino e il Chìasdo,
i quali discendono dall' Apennino e congiun-
gendod poi prssso a Bosdano portano le
loro acque al Tevere. ~ l'acfaa ecc. il Chia-
sdo die scaturisce dal monte Ansdano, uno
dd piccoli monti di Gubbio che stanno intomo
al CatrU (cfr. Ar.zxi 100); ivi U beato Ubaldo
Baldasdni eugubino (n. 10B4, vescovo di Gub-
bio 1129-1160) d ritrssse a vivere nella sua
giovineacsa, o secondo altri, pensò di ritrard
più tardi sema pd attuare il suo pensiero;
cfr. Teobaldo da Gubbio, Vita di taiW Ubaid^
trad. comment e aocresduta da B. Bc^osati,
Loreto, 1760; L. Giampaoli, 8. Ubaldo oano-
nieo rtgotam laitr, ecc. Bocca 8. Casdano,
1886-1886; G. Haszatinti nell'ilraà. tior.ptr
U Marche § fUmbriOt voL IH, pp. 226 e segg.
— 46. fertile ecc. pende verso Perugia la
costa ooddentale dd monte Subado, fertile
di viti e d'olivi. — 46. Pengla eoe ladttà
di Perugia, che è posta a poca distanza dal
monte d'Assid, risente dalla parte d'oriente,
dalla parte della porta Sole, Q freddo e il caldo
che le viene dal Subado. — 47. porta Selet
una delle porte di Perugia, nella parte orien-
tale della dttà; da essa d stacca la vU
che conduoe ad Asdd ; € questa porta (nota
il Bassermann) è ugualmente onesta agli
aspri venti come ai riflesd solari dd Suba-
do ». — di retro ecc. la costa orientale del
monte Subado scende ripida e incòlta verso
le dttà di Noeera e di Gualdo Tadino, le quali
perdo sono, rispetto a qud monte, in condi-
done di clima e di territorio assd peggiore
che Perugia, fl gnwt giogo d deve intendere,
come bene spiegarono Benv., Oass., Pietro di
Dante e altri, in senso geografico, come un'aa-
;it8d alla ftrlilt eotta ooddentale ( ofr. Basser-
mann, p. 266 e 629): erronea à la spiega-
642
DIVINA COMMEDIA
Di questa costa, là dov'ella frange
più sua rattezza, nacque al mondo un sole,
51 come ùl questo talvolta di Grange.
Però chi d'esso loco ùl parole
non dica Ascesi, che direbbe corto,
54 ma Oriente, se proprio dir vuole.
Non era ancor molto lontan dall'orto,
ch'ei cominciò a &r sentir la terra
57 della sua gran virtute alcun conforto;
che per tal donna giovinetto in guerra
del padre corse, a cui, com'alla moi*te,
60 la porta del piacer nessun disserra;
e dinanzi alla sua spiritai corte
liono flA oomouMtente data dalla maggior
parto dei eonuaentotod; 1 quali, prandeado il
gnw$ giogo in Mnao pdlitioo, dlaaaro ohe Nooe-
ra e Onaldo piangeraiio per la tixaimiea li-
gnorta deipenigini, o peggio aneora, degli an-
gioini: ofir. L. laoobmi, Di NooeranM' Umbria
• tua «Uoomi éitoono kialtr,^ Foligno, 1668, pp.
1-4» •TUi di' 9miH$h9aH di Gualdo edMa
ngion» di Ttiito mUfZMbria, Foligno, 1688,
pp. U-26 e M. Molici, Cfiom,dant. vn258-
870. — 49. Di f «eflta eoo. NéQa ooeta oo-
ddentole del Sabasio, proprio là dove il
pendio è pld doloe, oloè in Aiaifli, Tenne
alla Inoe nn iole splendidiMlmo, san Fran-
oeeeo. Bernardo da Bona, oonpagno di san
BonaTontnra, iciiaM nn oompendio della Tita
di s. Franoeeoo di TommaBo da Celano, il
quale oompendio oominda oon qneato parole
(BollandiBti,LQÌt,p.66a): € Qnaai eoi ariana
in mondo beatoa Franciacoa Tita, doclzina
et miraonUa claniit > ; e BonaTentnra, Fitto
(L olt. p. 742): e Vidi altenim angelnm aaoen-
dentom ab ortn aoUa, habentom aignnm Dei
tìtì, et damaTit Tooe magna >, ohe aono
paroìe dell' J|»oa2. tu 2. — 61. aoMi eoo.
oome qneeto aole, nel qnale ora aiamo, tal-
Tolta aoigo ooei Inminoao dal fiume Gange,
dall'Oriente; e dioe taknìia perché non in
tutte le atagioni il aole nascente d appare
TÌTÌdo e aplendento : coai intendono i ^4,
rl«ax«ndo il takroUa alla stagione eatlTa. Altri
Ti troTa un aooenno alla diatansa di 90 gradi,
ohe Danto ponera tra (Hmsalemme e la foce
del Oange (ofr. Iharg. n 4, zxm 8), ohe non
ai Tede ohe ooaa abbia a fttre in questo passo.
— 62. Peri eoo. per queato ohe Ti nacque
aan Franoeeoo, ohi parla di questo luogo non
si contenti di ehiamario od suo nome di Aa*
aid, ohe direbbe troppo poco, ma ae Tuole
adeguatamento parlare lo ohianii Oriento, per-
ché ìtì aorae queato mirabile ade della ori-
atiana carità. — 68. Aaceaii forma arcaica
per Aotitif lat. ilasMum; ricorre apeaaiaaioio
in tutti gli aoittori antichi, anche nella forma
iSetsi: and, ae d foaae certessa ohe Danto
aTeaee uaato qneaf ultima (che è per ea. nd
codice di Boriino) d aarebbe una acata, aeb-
bene non bella, antitsd tra l'Idea (di sewiiitr»)
contenuto nd nome deUa dttà e quella della
parola Oriento. Sullo studio di Danto di cer-
care aigniflóadoni ripoato nd nomi propoct (efr.
le noto dia V, N. i 6, xzit 18 e d Bar, zn
67. — eortet agg. uaato a eaprimeie l' iaaaf-
fldenxa della parola andie in Btr, aimi 106.
— 66. Hea era eoo. Non era ancor moKo lon-
tano dd ano naadmento, non arerà <dtiepaa
aato la ana giorinena, ^e inoomind» a ope-
rare in modo die la terra aanttnae fvalohe
conforto deUa aua grande Tiité, doè eke gli
uomini neQ'eoempio della ana eaillà trorne-
aero la ragicme a conforaurd nella fede. Dd
primi gicrenili atti di lììilntiioaae e d'amore
alla povertà parlano 1 MograS di aan Fraa-
ceeoo (Tomm. da Gelano, p. 686; Tre aod, p.
736;BoaaTentura, pp. 744-746). — arto: na-
admento, oriento. -* 66. eeadnelè eoo. Ao-
cenna aln d'ora alla profaarione d'amore alla
poTertà, die FranoeaoofMe nell'età di 24 anni,
apogUandod ddle riooheiae, aottraandori par
aempre agli agi e d piaceri e Infilando oorag-
gioaamento il ano apoatolato. — 68. par tal
donna eoo. glorinetto ancora ineorae neQa di-
aapproradone dd padre per aTer dinMMtrato
il ano amore alla poTertà; pddié, raoeontano
i biografi, die Franoaaoo tu. limprorecato e
punito dd padre allorché per la ripancloBe H
una chieaa oBti il denaro ricarato daOa t«r-
dite dd panni e d'un cavallo (Tona, da Ce-
lano, i^ 686 e aegg.; Tre aod, p. 728; Bo-
naTontuRh pp. 746 e aegg.). — 68. a ani eoo.
alla quale, oome alla morto, neaennu tk buona
accogiiensa, ma tetti l'odiano e la ^ttitatantr
— 61. e dinanai eoe Narrano i blograft A
san Franoeaoo (JL. dt) die il padre di ini le
traaae daTanti a Guido, Teeooro di Aaalal, a
fttf solenne rinunala dd beni patoni; H che
il gioTane foce aaad Tdentieri, paieadogli oad
di conglungerd degnamento alla poTvrtà oà'f»
PARADISO - CANTO XI
643
et coram patre le si fece unito;
63 poscia di di in di l'amò più forte.
Questa, privata del primo marito,
mille e cent'anni e più dispetta e scura
66 fino a costui si stette senza inrito;
né yalse udir che la trovò sicura
con Amlclate, al suon della sua voce,
69 colui oh' a tutto il mondo fé' paura;
né yalse eeser costante né feroce,
si che, doTe Maria rimase giuao,
72 ella con Cristo salse in su la croce.
Ma perch'io non proceda troppo chiuso,
Francesco e Porertà per questi amanti
75 prendi oramai nel mio parlar diffuso.
La lor concordia e i lor lieti sembianti
gii aasra. Lamm jpHtei eorU è adiuqae U oa-
riaepisoopale d'Asdii, loa patria, nel!» quale
coram patr», al cospetto del padre (non del
rmearo, padre qtiritnale, oome intendonoBati,
Land. YeU. e altri), rinnudd ad ogni poe-
•6180. — 68. pei eU eoo. e da quél momento
amO w&mpiB più la povertà tino a ridoni aa-
èhm nel Taetize alla più miaeia oondidone:
e Solrit protlnna caloeamenta de pedilms, et
toxiioa una oontentng, pio oonigia tanionlom
tearataiTit» (Tomm. da CeL p. 690) « 64.
4|Mata eoo. La povertà, dopo oh' ebbe per-
duto Cristo ino primo sposo, rimase dis^ei-
nta e ignorata, senza ohe alonno la rioeroasse,
sino a ohe le si oonglnnse spontaneamente
san Franoseoo ; ohe fti nel 1207, doè più d'un-
dld secoli dopo la morte di disto. La le^-
gasda delle mistiche nozze di Francesco con
la Fotrertà, osi si riferisce lo scritto di tn
Oioranni da Panna pubblicato da S. Alvisi,
O^HSO. danL n.* 12, è stata iUnstnta da tJ.
Cosmo, Oiom. «toni., VX 49-81. — 67. mi vai-
•e eoo. né era tbIso a inspirare aei cri-
stiaiii Famose drila povertà il fatto del pe-
soatora Amfdate, tanto Udente nella sua po-
vertà da laadar tranquillamente aperta la sua
essa w&L torbidi tempi della guerra civile tn
Penpeo e Cesare, e da rimanere impertur-
hato «Uoidió essate gli capitò improrViso in
essa : ofir. lineano. Fan. v 619 e segg. Dante,
Come, IV 18: € Quanta paura è quella di colui
ohe appo sé sente ricchezza... S però dice il
Savio (Boedo, Con», pkiL n pr. 6, o meglio
Giovenale, 8<U, x 22]: * Se vóto cammina-
tole entrsese nel eammino, dinanri a' ladroni
esaftarebbe '• E ciò vuole dire Lucano nel
quinto libro, quando oommenda la povertà di
sieozmnza, dicendo [w. 627-681] : * Oh sionra
faooltà della povera vita! oh stretti abitaooli
» I oh non ancora intese ricchezze
deDi Dei I a quali tempii e a quali muri po-
téo questo «weniie, doè non teoMre con al
Guno tumulto, bussando la mane di Cssaie f *
E quello diee Lucano quando ritne oome
Cesare di notte alla ossetta del pseoatore
Amiolas venne psr passare Q mare Adriano ».
— 70. ad valse eoo. e neppure bastò alla po-
vertà, per rendersi agli uoarini aeeetta, l'es-
sere stata ooatante e coraggiosa a segno di
salire con Gesù Odsto iln su la eroce, mentro
Maria Vergine, sebbene amofoslaBima madre
di Qesù Cristo, rimase giù. Questa idea della
Povertà che sale suQa oroce è esprssea nella
Vita di san Bonaventura : ma il oontrasto un
po' artificioso del w. 71-72 risale piuttosto
a un passo dell'after etto* onuifimo di Uber-
tino da Casale (cfr. Bar, zn 124), oome ha
dimostrato U. Cosmo, Qiom. damL VX 72. —
78. ékimàt : ofir. Airy. zn 87. — 74. Fraa-
eesee eco. intendi ormai che i due amanti, di
cui ti ho a lungo parlato (w. 68-72X sono
Franossoo e la Povertà. — 76. La ler eoo. La
concordia tra Franoeeoo e la Povertà e i loro
lieti sembianti faoevano si che l'amore, la
meravii^ e la oontemplaaiene dolce ohe ne
nascevano fossero cagione di santi pensieri eco.
Tale è la miglioro spiegasione di questi versi
data dal Butt con queete parole : € Con tanta
pace santo Franoeeoo stava nella povertà e
oca si lieta flaoda viveva oon essa ch'olii fa-
ceva ogniuno inamerare e meravigliare di lui
e guardare oon doleecza la sua santa vita, e
per questo venire in pensieri di fare lo si-
mile e seguitario >. Degna di nota è per al-
tro la spiegazione inversa di L. Filomusi
Cuelfl (cfr. BuU, U 27): e San Franoesoo
era povero, per mmon senza conine di Dio
e del prosrimo; la sua povertà e il suo lieto
sembiante eran mermiigUa al mondo; ... il
suo ddoe sguardo'era testimone dell' intema
dolcezza dell' animos ... tutto questo faoowt
oieho laamcordia e U Mo oombianio da' chio
644
DIVINA COMBfEDU
amore e marariglia e dolce sguardo
78 faoeano esser oagion di pensier santi;
tanto che il venerabile Bernardo
si scalzò prima, e retro a tanta pace
81 corse, e correndo gli parr' esser tardo.
0 ignota riochezza, o ben ferace!
scalzasi Egidio, scalzasi Silvestro
84 retro allo sposo, si la sposa piace.
Indi sen va quel padre e quel maestro
con la sna donna e con quella famiglia,
87 che già legava l'umile capestra
tpoH fornirò oagiom di tanti ptnneri; —
78. MttrMfidBi cagione oh» KiigMsecoeoo.
Aooenna all'offetto prodotto dall' idealo di la-
orìfizio e di generosità piofeesato e piodioato
da san Franoeeco; ofr. Bonarentaxa (Ftfo, p.
751): € Fadebat namqne sancta panpertas...
ipeoa ad omnem obedentiam prontot, loimstos
ad laborea et ad itìneia expeditoo. Et qaia
nihil terronnm habebant, nihil amabant, nihil
qne timebant amitterOi iicnxi erant nbiqne,
nollo parore anspensif nulla cara distraoti,
tamqnam qni abéque mentìs tubatione tìt»-
bant, et alno aoUidtadine diem crastìnomet
aerotìnon hospitlam ezpectabant >. ~ 79. U
▼enerabile ooo. n primo aegnaoe di aan Fran-
cesco tu. Bernardo da Onintavalle d'Aaaiai, il
qnale distriboiti i auoi beni ai poreri si acalzò,
come già arerà fatto il maeatro (cfr. r, 69),
e divenne tanto fervido amatore della povertà
che gli parve d'aver tardato ad abbracciarla.
Tomm. da Celano (Ftto, p. 681) dioe: e Fra-
tor Bemardoa legatam paoem amplectona, ad
mercandom regnnm co^omm post Sanotom
Dei [Francesco] cncorxitalacriter», delle quali
parole al ricordò oerto Danto; ctt, anche gii
altri biografi (Tre acci, p. 781; Bonaventoxa,
p. 748). È falso ciò ohe raccontano i Fiontti
di san Frano^t oap. n, e la Oronaoa dèUe tri-
bolaxioni (cfir. Tocco, L* eretta fiel medioevo^
cit., p. 43S) ohe Bernardo foaae deeignato da
aan Francesco moribondo come ano anooea-
sore nel governo dell'ordine. — 82. 0 Ignota
ecc. Quella della povertà ò ricchezza spiritoale
ignota agli nomini mondani (cfr. il passo del
Cóm, riferito nella nota al v. 67), ò bene f»-
condo di beatitudine etoma. — 88. scalzali
eoo. L'eaempio di aan Franoeeco fi presto se-
guito da altri : dopo Bernardo da Qnintavalle,
gli scrittori dell'ordine pongono subito tra 1
primi seguaci tnAe Pietro, ohe premorì al fon-
datore (forse Danto ne tace, perché ooei fk
Bonaventura, p. 748, e Tommaso da Celano,
p. 691, lo accenna aenza dirne il nome), poi
frate Egidio d'Assisi, frate Filippo e finalmente
finto Silvestro. Danto ricoiftUuido E^dio e 811-
veatio non Inteee nominare quelli che a* ag-
gregarono a san Francesco subito dopo Ber-
nardo, ma per questi nomi volto fanttoare l
primi ^e oostitoirono alno alla approvadone
dilnnooeosonito/tiiM^KadéQ'vmaf eapetin
(w. 86-87), e fbron cotesti cinque a altri lai
compagni. — Egidio t ta di Aaaial a moil
nel 1272, lasciando U libro Vèrba tutna : Tob-
maao da Celano, p. 681, lo dioe € yir aim-
plex et reotua ao timens Deum, qui longo
tempore durana, sanoto, insto ao pie vivendo,
perfectae obedientiae sanctaeque oootempla-
tionis nobis reliqnit exemplum » ; e Bonaven-
tura, p. 748, « sanctus pater Àegidlos, vir
ntique Deo plenus et celebri memoria dignns».
— 811veatro: prete d'Assisi, • honestae oon-
veraationia viro » (Bonav. p. 748), il quale
avrado aogiato ohe un dragone mlnaociava la
sua dttà 0 n'era cacciato da una crooe che
usciva dalla bocca di san Francesco, subito si
fìBce seguace del santo : altri scrittori (Tra
soci, p. 782) racconteno di lui come recò a
concordia i cittadini d'Arezzo lacerati da in-
teme discordie, per ispirazione avutane da san
Franoeeco. — 84. retro ecc. diefoo a Franca-
eoo, per amore della povertà. — 86. latfl eoe.
Dato ai suoi compagni la regola (ai veda in
L. Wadding, AnnaUt winomin, Roma, 1731-
40, voL I, pp. 67-79 ; cfr. voi. II, pp. 64-68),
san Francesco si recò con ead a Boma nal
1210 eohleaea Innocemoin i'approva&oaa
della regola ateaaa e dell'ordine : dapprima
Franoeaco trovò opposixioni nella Corte roma-
na e il pontofloeai achermiva di oonoed«re l'ap-
provazione, con la aouaa ohe la regola eia trop-
po rigida; ma poi quando ebbe nna vlaioDe,
in cui vide la baaittoa di San Giovanni in La-
terano (la (yhieaa) minaeoianto rovina • un
uomo r^ligioeo, mendico • disprexzatD (aaa
Franceaoo) ohe la reggeva aulle apalle, al piegò
ad approvarla verbalmente, aeasa oonoedare
una bolla regolare (ofir. Tre aod, p. 787; Bo-
naventura, p. 7fiO). A questi flatti allude Danto
in questo e nelle segg. terzine. — 87. l'madle
eapeatro : la corda, della quale i firanoeacani,
seguendo l'eaempio del maestro, al cinsero per
segno di umiltà e di castità (€ vivendo In obe-
dientia, sino proprto, et in caititato », dioe
la Begvta tt vite fr, wfciorin, eap. i): d^
PARADISO - CANTO XI
645
Né gli gravò viltà di cor le dglia,
per esser fi' di Pietro Bemardone,
90 né per parer dispetto a maraviglia;
ma regalmente sua dura intenzione
ad Innocenzio aperse, e da lui ebbe
93 primo sigillo a soa religione.
Poi che la gente poverella crebbe
retro a costui, la cni mirabil vita
96 meglio in gloria del ciel si canterebbe,
di seconda corona redimita
fa per Onorio dall'eterno spiro
99 la santa voglia d'esto archimandrita.
E poi che, per la sete del martire,
Inf, xzyn 90, e anche xn 108. — 8S. M f 11
graTÒ eeo. S non prord dal nto nnoro ttato
Targogna ohe lo ooatiingeasa ad abbaiaar gli
ooehi, par qnanto tornò Aglio d'nn liooo mor-
oanta • per quanto fomb in àbito coa(TÌle da
fkr menrigfiara 1 riguardanti. ~ 89. per #•-
ter eoo. La ftaae danteaoa ricorda le parole
di san Franoeaoo riferito dai biografi (Tomm.
da Gel., p. 678: Bonay., p. 767) : e Talla enim
licet aadire fllinm Petii de Bemardone»,
con le qnali il santo accennaTa sé stosso. —
V : forma tronca di figìAo^ frequente nei to-
scani antichi, p. «a. B. Latini, Te9(ifrttto zìi 9 :
€ Disse : Fi' di Latino >, A. Pacd, Ctnii'
hq. Lxxzym 66 : e Che il A' di measer Pino
ta collato > eoo. — Pietre BeraardOBei
padre di Franoesoo d'Assisi, fa ricco citta-
dino, che alconi dicono esercitasse l'arto della
lana. — 91. mm regalmeato ecc. sebbene
fosse ooaC vile all'apparenza, Francesco con
dignitoso parlare manifesto al pontefice il sno
arduo proposito e da lai ottonne ona prima
approvazione al soo ordine monastico. Del-
l'approrazione d' Innocenzo m (1198-1216) fa
menzione Onorio m, nella sua bolla che cito
pi6 aranti (t. 96) ricordando la regola e a
bonae memoiiaelnnoceotio papa approbatam » ,
e Bonareutora, p. 789, dice esplicitamento :
« Licet praefatoa dominas Innocentias tor-
tine ordinem et regalam approbasset ipso-
rum, non tamen hoc sois littoria confirmavit».
— darai ardaa, difficile a praticare; cCr.
Bonaventoia, p. 789, il quale dice che Inno-
cenzo m ex» repognanto ad approvare la re-
gola francescana, perché ad sJoani cardinali
sembrare « noram aiiqoid et sapra rires ha-
manae arduum», e i tre soci che riforisoono,
p. 786, parole del papa medesimo che dicera
ai francescani : « rita vostra videtor nobis
nimis dura tt aapera ». — 94. Poi che eoe.
Della straordinaria ed immediato diifasione
dell'ordine francescano scrive an contompo-
laneo, Iacopo de Yitry, Eùknria oeeident.,
eap. xzxn (ed. dt., p. 853ì : « Non solam an-
tem praedicatione, sed et ezemplo vltae san-
ctae et oonversationis perfsctae, mnltos non
solnm inferioris ordlnis hominea, sed genero-
eoe et nobiles ad mondi oontomptom invltant,
qai, reliotis oppidis et casalibos et amplissl-
mis possessionibos, tomporalee dlvitiaa et spl-
ritaalea felici oommercio commatantea, habi-
tam fkatram minoram, ideet tnnicam vilis pre-
tii, qna indonntor, et fanem, qao aodngnntar,
assompseront. Tempore enim modico adeo
moltiplicati sont, qood non est aliqoa Chri-
stianorom provincia, in qoa aliqoce de fratri-
boa sois non habeant » ; e Bonaventora, p.
761 : e Molti etiam non solom devotione oom-
poncti, sed et perfectionis Christi desiderio in-
fiammati, omni mandanorom vanitoto contom-
ta, Frandsoi vestigia seqoebantor; qoi qoo-
tidianis socorescentes profectibos osqoe ad fi-
nes orbis torrae celeriter pervenerant ». — 96.
la cai ecc. la coi rito miraooloea meglio che
a gloria della soa persona, 4 canterebbe a
gloria del dolo. Qiostamento si vede da alconi
commentetorì in qoeeto parole on ricordo di
qoelle del SaJm, oxv 1 : e Non a noi, Signore,
non a noi, anri al too nome, dà gloria, per
la toa benignità e verità >. — 97. di seconda
eoe l'ordine francescano fa approvato solen-
nemento dal pontofioe Onorio III (1216-1227),
ministro in qoeeto atto della bontà divina: La
bolla pontificia di approvarione ò del 29 no-
vembre 1223 (cfr. A. Potthast, Begeata ponti-
fioumromem., n.« 7108). Alconi commentotori,
Pietro di Danto, Oass., Boti ecc. riferendo
per errore ad Onorio m il sogno di Innocenzo
m (cfr. la noto al v. 86), intondono le parole
cUUl'elemo «pi'ro, corno on accenno all' ispira-
zione divina venato al papa dalla pretesa vi-
sione. — 99. la santo ecc. il santo intendi-
mento di Francesco d'Assisi, il fine ch'egli si
proponeva con la fondazione del soo ordine.
— 100. E pel ecc. San Francesco, per eston-
dere 11 suo ordine, si recò nel 1219 in compa-
gnia di dodid frati (cfr. Pur. zn 180) in Oriento,
e a 8. Giovanni d'Acri fa fatto prigioniero dal
646
DIVINA COMMEDIA
nella presenza del Soldan superba
102 predicò Cristo e gli altri che il seguirò,
e per trovare a conversione acerba
troppo la gente, per non stare indamo,
105 reddissi al frutto dell' itaUca erba,
nel crudo sasso, intra Terero ed Amo,
da Cristo prese l'ultimo sigillo,
106 ohe le sue membra due anni port&mo.
Quando a colui eh* a tanto ben sortillo
piacque di trarlo suso alla mercede,
111 ch'ei meritò nel suo &rsi pusUlo,
ai frati suoi, si com^a giuste rede,
raccomandò la sua donna più cara,
114 e comandò che P amassero a fede;
e del suo grembo l'anima preclara
mover ai volle, tornando al suo regno,
117 ed al suo corpo non volle altra bara.
Sanoeni : li provò inatUmente a oonTBrtiie al
cristianosimo il Soldano, nella ond presen2a
predicò di Ciiito e degli ÀpoetoU e dei mar-
tiri, e liberato per 1 miraooli compiliti, ritornò
in Italia. Tommaso da CeL, p. 699, dice ehe
ean Franoetoo, trattato male dai soldati, < a
Soldano honoriiloe plnrlmnm est snsoeptns»,
e BonaTenton, p. 767, aggiunge che al Sol-
dano € intrepido corde leeponditsennu Fxan-
dsoos, non ab homine, sed a Deo altìssimo
se ftiisse transmissnm, nt ei et popolo sooriam
sàlntis ostenderet et annonoiaxet ISrangeliom
Teritatis ». Dante accenna invece ad nn' ao-
eoglienza ostile, e si tenne forse a Iacopo
de Vitry, il quale (op. cit, p. 858) racconta
che quando Francesco fa tratto davanti al
Soldano « videns eom bestia orudeU$, in aspeo-
ta viri Dei in tnanguetudirum conMTM, per
dies aliqnot Ipsnm sibi et saia Ohristì fidem
prsedicantem attentissime andlvit ». — 102.
gli sltrl ecc. cfr. Par, ix 141. — 103. per
trovare ecc. avendo trovato qael popolo non
ancora disposto a convertirsi, per non predi-
care inutilmente, ritornò in Italia, dove gli
animi erano pronti a ricevere la sua parola.
— 106. He! erodo eco. Nell'anno 1224, se-
condo i più antichi biografi (Tomm. da Cel.,
p. 709; Tre Soci, p. 741; Bonaventura pp.
777-779), san Francesco trovandosi sul monta
della Vemia a far penitenza, chiese a Qesd
Cristo che gli facesse provare i dolori della
sua passione: Cristo gli apparve in figura di
un serafino, e 11 santo si trovò subito nelle
mani, nei piedi e nel costato le Mere etin^
nuUet ì sogni delle piaghe, ch'ei portò sino
aDa morte, quasi dimostrazione dell'amore di-
vino. — erodo sasso ecc. l'arduo giogo del-
l'Alvomia o Vomia, monto doll'Apennino to-
scano tra le sorgenti del Tevere e dell'Amo,
nel quale san Francesco s'era ridotto a far
un digiuno di quaranta giorni: cfk'. Bassor-
mann, pp. 108-110, 266. — 109. Qaando ecc.
Allorohó Dio, òhe aveva eletto san Francesco
a tanto bene, volle chiamarlo alla beatitudine
del paradiso, ch'egli aveva meritata oon la
professione d'umiltà e di povertà. — 110.
■lereedet cfr. ICatteo v 12: « Ballegratevi e
giubilate, per dò che il vostro premio [vuUr.
tnsfOM veetra] è grande nei deli >. — HI.
pisllloi piccolo, umile. ~ 112. rede : feram.,
plur. di reda ; cfr. Riiy. vn 118. — 113. raeea-
nuuidò ecc. raccomandò ai suoi frati di amare
sinceramente la povertà ; nel testamento di
san Francesco si leggono (BoUandìsti, op. dt.,
voi. n, p. 663) vivissime raccomandazioni a
tutti i frati dell'ordine a non derogare alla
lettera della regola in dò che riguarda la po-
vertà, e Bonaventura, p. 781, racconta : € Bora
denique sui transitus propinquante, fedt fra-
tres omnes ezistentes in looo ad se rocarì,
et eoa consolatoriis verbls pro sua morta de-
mulcens, paterno affectu ad divinum est hor-
tatus amorem. De patientla et paupertate et
sanctae romanae eodesiae fide servandis Ber>
monem protraiit, ceteris instìtotìs sanctom
Evangelium anteponens». — 115. d^ sao
grembo ecc. l'anima santa volle per tornare
al paradiso partirsi dal grembo della povertà
e al corpo non volle altra bara che la nudità
del terrone. Allude a dò che raccontano gii
antichi biografi (Tomm. -da Gel., pp. 713-714 ;
Tro sod, p. 740 ; Bonaventura, pp. 780-781),
come san Francesco vidno a morta si facesse
portare nella sua diletta chiesa di 8. Maria
degli Angeli, e ivi, dispogliatosi per ultinso
segno d'amore alla povertà, esalasse l'anima
PARADISO - CANTO XI 647
Pensa oramai qual fd colui, che degno
collega fu a mantener la barca
120 di Pietro in alto mar per dritto segno!
E questi fu il nostro patriarca;
per che qual segue lui, com'è! comanda,
123 disoerner puoi ohe buone merce carca.
Ma il suo peculio di nuova vivanda
è fatto ghiotto si ch'esser non puote
126 che per diversi salti non si spanda;
e quanto le sue pecore remote
e vagabonde più da esso vanno,
129 più tornano all'ovil di latte vote.
Ben son di quelle che temono il danno,
e stringonsi al pastor; ma son si poche
132 che le cappe fornisce poco panno.
Or, se le mie parole non son fioche,
se la tua audienza è stata attenta,
135 se ciò e' ho detto alla mente rivoche,
in parte fia la tua voglia contenta,
perché vedrai la pianta onde si scheggia,
e vedrai il coreggièr che argomenta,
139 'XJ'ben s'impingua, se non si vaneggia ' >.
saUft nuda terra, nel luogo stesso ore ta poi fondatore, ritornano all'ordine tanto pÌ6 man*
innalzato O magnifico tempio in soo onore. — drevoli di quella dottrina teologica, che lor
118. P«Bsa ecc. 6e tale fa san Francesco, bisogna a confermare nei cristiani la fede in-
imagina qoal fosse san Domenico, che gli fa tepidita. — ISO. Ben sen eco. Sono, è vero,
dato come collega a salvare la Chiesa in mezzo alcnni domenicani che temono 1 danni di qne*
al pericoli delle eresie, indirizzandola alla pra- sta violazione della regola, e perciò s'atten-
Hca della pnia fede. — 121. il nestro ecc. gono strettamente ad essa; ma sono cosi pò-
san Domenico, fondatore dell'ordine coi ap- chi che a vestirli, a fiff le loro cappe, non
partenni io. — 122. per ehe ecc. per la qnal bisogna molto panno. — 18S. flddie: deboli,
cosa puoi intendere òhe ohinnqne segane i suoi inefficaci a dimostrarti ciò che mi ero propo-
precetti, senza alterarli, opera santamente, sto. — 184. se la Ina eoe se hai attenta-
aoqnista meriti alla beatitadine celeste. — mente prestato ascolto al mio dire. — • 186.
124. Ma il n%Boo, ICa i frati domenicani in parte: per ciò che riguarda il primo dei
sono diventati oeslderosl di alte dignità eo- taci dnbbt ; cfr. sopra w. 22-27. — 187. ve-
deslastiche, di modo che socoede che la loro dral eoo. intenderai qnal sia la pianta da coi
operosità si svolga faorl dei limiti segnati io levo le schegge, o ftior di metafora, inten-
dalla regola dell'ordine. — peenlie : gregge ; dend a chi sia rivolto il biasimo mio. Cosi
in questo senso è qui e in I\srg, zxvn 83 intendono, a un dipresso, Ott, Benv., Buti,
usata una voce formata sul lat. peouUum^ Lomb., Biag., Ces., Costa, Andr., Scart.; in-
del quale ritiene solo il significato stimolo- veoe altri, come Vent., Tomm., Frat. ecc.
gioo. — Baova Tiranda: ò, secondo la giusta spiegano : l'ordine domenicano da cui si di-
interpretazione dei più, il godimento di alti staccano i più valenti uomini per fune ve-
offlcf, di vescovadi, di prelature ecc. ; alcuni scovi, prelati ecc. — 188. e Tedrai ecc. e
podd commentatori, come Case, e Pietro di intenderai che cosa abbia voluto dire il do-
Dante, intendono degli studi profuii, cui molti menioano che ti parla, doè che cosa abbia
domenicani si dettero sino dai primi tempi, voluto dir io, con le parole u* ben s* imptf»-
inveoe di tenersi agli studi teologioL ~ 126. gua ecc.: cfr. Potr. z 96. ~ coreggièr : frate
salti : pascoli montani e boschivi. — 127. domenicano, cosi detto per la coreggia ond'è
qwuktù : ecc. quanto pi6 1 domenicani s' al- cinto, come eortUgìi&ro ò chiamato il firance-
lontanano ed errano fuori della regola del scano (cfr. Inf. zxvn 67).
613
DIVINA COMMEDIA
CANTO xn
Alla prima si agrfirion^ una Moonda corona di spiriti beati, uno dei
quali, Bona^entara da Bagnorea fhmcescano, fa un lungo elogio di san Do-
menico, e poi deplora la decadenza dell* ordine monastico fondato da san
Francesco e dice a Dante i nomi dei soci ondici compagni di beatitudine
[U aprile, ore antimeridiane].
Si tosto come 1* ultima parola
la benedetta fiamma per dir tolse,
8 a rotar cominciò la santa mola;
e nel suo giro tutta non si volse
prima oh' un' altra di cercHio la chiuse,
6 e moto a moto, e canto a canto colse:
canto che tanto vince nostre muse,
nostre sirene, in quelle dolci tube,
9 quanto primo splendor quel ch'ei refuse.
xn L 8f totU eoo. Non appena Tommaso
d*Aq[aino ebbe pronunziata l'nltiffla parola,
la corona dei dodiol beati, ohe arerà lospesa
la eoa danxa (cfr. Par, n 13-15), riprose a
morenl in oenthio; e non aveva ancora oom-
pioto on giro, che aU' estemo di essa si fonnd
un'altra corona di beati, iqoaliproeero a dan-
noe e a cantaro d' accordo con quel primi.
— 2. la benedetta ecc. 1* anima laminosa di
Tommaso d' Aqnino, detta fiamma^ come al-
tre anime di paradiso (cfr. Par. znr 66, xxn
2). ~ per dir tolse: tolse a diro, pronnn-
dd. — 8. la tanta mola t la prima corona
del dodici beati, che girava circolarmente,
come fa la madna; cfr. Ootw, ni 6, del sole
che gira € non a modo di vite, ma di mola ».
— 6. va' altra eoe un' altra corona la cir-
condò di eereMot in giro, circolarmente. F.
Tocco, Conf» n 181 scrive : e n perno del
cerchio esterioro ò Bonaventura [v. 127], che
in Babano Haoro del secolo vnx [v. 189] e
in Ugo da S. Vittore del sec. xn [v. 188]
ebbe 1 suoi precursori .... Accanto a questi
filosofi mette Dante Anselmo d'Aosta [v. 187],
il che mostre come egli sappia veder adden-
tro nelle correnti del pensiero medioevale,
perché Anselmo, non meno del mistid, s'op-
pone a Boscellino, come pi4 tardi fìarà Dune
Scoto a san Tommaso. Né occorre spiegare
perché con san Bonaventore vadano insieme
Illuminato ed Agostino [v. 180], fkati minori,
che furono i primi a mettersi per quella via,
che il Serafico percorse tutta. B sarà pure
chiaro come con questi firatl si aooompagnino
1 profèti e gii oratori. La visione mistica
spiana la via alla profetica, quale 1' ebbero
Natan [v. 186] e Gioacchino [v. 140], e solo
l'éloquenia d*iin QioTaimi Orisostomo [r. ISS]
ò buona ad impennare le ali per si alti volL
E poiché con l'eloquenza va unita Tefflcaoia
del dire • la parità • l'eleganza del dettato,
non flnremo le menviglie se della mistica
ghirlanda entri a far parte quél Donato, 6b»
alla prim'arU degnò por la fnano [v. 1861 >•
Spiega poi come Pietro Gomestore [v. 134]
sia qui come autore di « una storia dell' an-
tico e nuovo Testamento, ... accompagnata
sempre da un commento o intezpretaxions
allegorica secondo il costume dei mistici », e
Pietro Ispano [v. 184], non per Le opero di
medicina, ma jìt. tosto per 1* indirizro neo-
platonico del suo tnttato di logica e perdié
come papa promosse nel 1277 la condanna
di dottrine averroistiohe professate nell'uni-
versità di Parigi; da che si vede coome
Dante veda ben addentro nell'opposizione
fondamentale del tempo su<f tra la corrente
aristotelica e la mistica», la quale nltina
« assume la forma piti perfetta in san Bona-
ventun » [v. 127]. — 6. colse; prese ad ao-
cordaro, accordò il proprio moto e canto a
quello della prima corona (cfr. Par. x 78). ~
7. eante ecc. il canto del beati supera tanto
di dolcezza il canto umano o imagi nato dagli
uomini, quanto il raggio luminoso vince di
splendoro il raggio riflesso: nosire mua» e no-
stre airm» sono secondo i plA degli inter^eti
i poeti e le cantatrid (cfr. Virgilio, nostra
maggior musa In Poar. xv 26), cioè quelli che
pid dolcemente usano dell' umana favella; se-
condo altri, sarobbero proprio le Muse e le
Sirene della mitologia. ~ 9. f naato eoo. ^
militudine care a Dante, cfir. Piarg, zv 16,
Par. I 49, xxxnx 128. — refkise: da r«/b»-
PARADISO - CANTO XH
649
Come si Yolgon per tenera nube
due arolli paralleli e concolorì,
12 quando Giunone a sua ancella iube,
nascendo di quel d'entro quel di fuori,
a guisa del parlar di quella raga,
15 ch'amor consunse come sol vapori;
e fanno qui la gente esser presaga,
per lo patto ohe Dio con Noò pose,
18 del mondo che giammai più non si allaga:
cosi di quelle sempiterne rose
volgeansi circa noi le due ghirlande,
21 e si l'estrema all'ultima rispose.
Poi che il tripudio e l'alta festa grande,
si del cantare e si del fianmxeggiarsi
24 luce con luce gaudiose e blande,
insieme a punto ed a yoler quotarsi,
pur come gli occhi ch'ai piacer che i move
den^ lai. rtfumden^ In Mnio di rifUtUn : ofr.
iW. n 88. — 10. Como eoo. Como doo archi
paralloli o di vario coloro si vodono riftd-
gore attniTono una nuvola trasparente, allor-
qoando Qionono manda sulla terra Iride sua
meoBaggera, e l' arco estemo è prodotto dalla
riflessione dei raggt dell'arco intemo, cosi
le due corone di spiriti eoo. Ant. : «Nel ^trg.
zzv 91 e segg. il poeta accennò in generale
alla natura dei fenomeni lucidi degli aloni e
dell'iride; qui specialmente a quest'ultima
descrìvendola quando ci si presenta pi6 bella
in arco duplice e bene determinato >. — 11.
eoBoolorl: non del medesimo colore, come
molti spiegano, ma di colori diversi bene ar*
Bionizzati tn loro. — 12. a sua aacelU eco.
a Iride (cfr. J^uy. zxi 60), e nuntia Innonis
varios induta colores», come dice Ovidio,
MàL I 270 (ofr. anche Viig., JH. iv 698, v
606). — 13. BASceBdo ecc. Ant : « Avendo
posto mente 11 nostro attento osservatore,
che l'arco esteriore ò meno vivace dell'in-
teriore, e inversamente colorato, ha supposto
che quel di fuori nascesse per riflessione di
quel di dentro, prendendo similitudine dal-
l' esempio dell' eoo ; . . . ma veramente e l'uno
e l'altro arco si origina dal sole nelle stesse
drooetanze generali di Unenxxa di nube, doò
di nuvolo disteso risolveotesi in pioggia; se-
nonchó nei raggt dell' estremo segue una dop-
pia riflessione » : cfr. anche Q, Della Valle,
Memorie aopn dué luoghi della D. (7. epiigati
eolla fisica moderna. Faenza, 1874. — 14. a
gvisa eoo. come il suono dell' eoo ò prodotto
dal rifletteni della voce. Soo, secondo la fa-
vola (Ov., Met. n 889-610X ta figlia dell'Aria
• dell» Terra, e per una dielle tante vendette
della gelosa Óiunone Ai privata della favella,
concessole sol di ripetere le ultime sillabe
delle parole dette da altri ; innamoratasi di
Narciso e disprezzata da lui, si consumò d'af-
fanno e fu trasformata in un sasso ohe ripe-
teva le paiole dette da altri. Dante si vale
qui d'una similitudine indusa nella princi-
pale, e quasi non bastasse, n'aggiunge una
terza a chiarire il vanire di Eoo : non ò su-
perfluità come giudica il Tomm., ma ricchesza
di fantasia, per cui il poeta ottiene nella bre-
vità del suo dire effètti d' arte meravigliosi,
rivolgendo l'attenzione del lettore a fenomeni
svariatL — 15. amor eco. amore consumò
Eoo, come il sole consuma 1 vapori. Nota il
Venturi 85 che il vb. eoimmee compendia la
narradone che Ovidio fk della morte di quella
ninfa : « Attanuant vigiles corpus miserabile
curae : Addudtque cutem mades; et in aera
succus Corporis omnis tAAt» (Met. m 896).
— 16. e tàmmo eoe e questi archi dell'iride
assicurano gli uomini che la terra non sarà
più esposta al diluvio, per il patto fermato
tra Dio e Noè. — 17. per lo patte eoe cfr.
Òenesi ix 8-17. — 19. cosf ecc. cosi le due
corone formate di spiriti beati danzavano in-
torno a noi, e l' esteriore si accordò cantando
e girando a quella di dentro. — 22. Poi ohe
eco. Dopo che la danza e quella grande si-
gnificazione di beatitudine ch'era nel canto
e nel vicendevole fiamm^:giare di quelle ani-
me gaudiose e caritatevoli, si formarono per
concordia di volontà in un medesimo mo-
mento. — 23. flaameggiarsi : Buti: «ri-
spondere lo splendore dell' una a lo splendore
dell' altra, che era segno d' awicendevole ca-
rità » : cfr. Purg, xv 75. — 26. pur come
ecc. nella stessa guisa che gli occhi si chiu-
dono o si levano a guardare con atto simul-
660
DIVINA COMMEDIA
27 conviene insieme cliiudere e levarsi,
del cor dell'una delle luci nuove
si mosse voce, che Pago alla stella
80 parer mi fece in volgermi al suo dove;
e cominciò : < L*amor che mi fa bella
mi traggo a ragionar dell* altro duca,
88 per cui del mio si ben ci si favella.
Degno ò che dov'è l*un l'altro s'induca,
si che com'eUi ad una militàro,
86 cosi la gloria loro insieme luca.
L'esercito di Cristo, che si caro
costò a riarmar, retro all'insegna
C9 si movea tardo, suspiccioso e raro,
quando lo imperador, che sempre regna,
provvide alla milizia ch'era in forse,
42 per sola grascia, non per esser degna;
e, com'ò detto, a sua sposa soccorse
con due campioni, al cui fìire, al cui dire
45 lo popol disviato si raccorse.
In quella parte, ove surge ad aprire
^
tanao, Moondo cho U muore il deddoiio. —
28. d«l cor eco. dall' Interno d'ima delle luci
della seconda corona li moise ima TocOt ohe
mi flBoe enbtto Tolger al luogo ore cesa lieo-
nara. È la rooe di nn BonaT«ntnra da Ba-
gnorea, Sranoeaoano : ofr. t. 127. — 29. éhe
l'aye eco. che mi fece rolgere a lei oon
quella pronteEia, con coi l' ago calamitato si
Tolge alla stella polare. Dalla bussola, inTen-
tata poco innand da Flario 0ioia amalfitano,
aroYano deriTato colori e imagini altri poeti
del secolo un, per es. O. Qninitelli (Rime
MpoMboL, ed. dt., p. 20): cSlohe Pago
li drixza vèr la stella >. — 81. e eominelò
ecc. Bonarentiira, arendo sentito il domeni^
cano Tommaso lodare san Francesco, inter-
viene per lodare san Domenico, poiché l'elo-
gio d' uno dei due campioni della Chiesa trae
seco di necessità quello dell'altro (tt. 81-
45); per& egli dlBoorre a lungo la vita di san
Domonioo (vr. 48-106) e ne trae ocossione
a deplorare la deoadenza deU' ordine france-
scano (w. 106-126), e poi enumera a Dante
le anime beate della seconda corona (w. 127-
146). — 82. dell'altre eoo. di san Domenico,
r altro fondatore d' ordini monastici, per ca-
gion del quale Tommaso d'Aquino ha parlato
cosi bene di san Francesco. Questa è la spie-
gazione pid comune, ma il Buti intese diver-
samento, chiosando : e L'amore dello Spirito
Santo, die mi fi beata, tira me a ragionare
di san Domenico, per lo quale amore ci si
favella s( bene del mio campione >; e il Ges.
in un tento modo : e La cui umiltà e earità
[di s. Dom.] insegnò a s. Tommaso eoo al-
lievo a parlar ti bene del mio patrian» ».
— 84. Degno ecc. È oonveniento ohe quaado
si fknno le lodi dell'uno si fÌMoiaiio anohe
dell'altro, si ohe oome ebbero oomune H fine,
la difesa della CTiiesa, abbiano oomune anche
lo splendor della gloria. « 87. L'eaerclte
eoo. La cristiani^ che ta costituita col sa-
crillcio del Bedentore, si moveva dietro alla
croce oon lentscza e incostanza, e poco nu-
merosa; doè i cristiani erano ormai tnàéi,
dubbiosi 0 ridotti a scarso numero per le
grandi eresie. — 40. lo Imperader eoe Dio;
ofr. Inf. I 12d, Piar, xxv 41. — 41. pr«v.
Tl4e eoe al bisogno dei cristiani ohe enne
cosi vacillanti nella fede provvide per la eola
sua grada, non per loro merito. — 43. eeai'i
dette : cfr. Pctr, zi 81-86. — a sua tpeaa
eco. venne in aluto alla Chiesa oca due cam-
pioni, i quali col loro oeompio e oon la loro
predioarione fiecero ravvedere i cristiani di-
sviati. — 46. fi raeeorse: si ravvide ; è dal
vb. raeeorgwai, oome ben inteeero i pìt dei
commentatori (ofr. Parodi, BulL IH 164),
non dal vb. roeùcgUtni, oome parve ad al-
ttL — 46. Ih f iella eoo. NéDa Spagna, ove
sorge il vento di Zefiro ohe porta in tutta
l'Buropa la primavera, non lungi dal golfo
di Guascogna, è la patria di san Domeoioo.
— surge ad aprire ecc. Accenna oca fUi-
dsaima pittura alla fecondità tribuita dagli
antichi poeti al dolce Zefiro o Favonio (cfr.
PARADISO - CANTO XH
651
Zefiro dolce le novelle fronde,
48 di che si vede Europa rivestire,
non molto lungi al percoter dell'onde,
retro alle quali, per la lunga foga,
61 lo sol talvolta ad ogni uom 8i nasconde,
siede la fortunata Calaroga,
sotto la protezion del grande scudo,
54 in che soggiace il leone e soggioga.
Dentro vi nacque l'amo roso drudo
della fede cristiana, il santo atleta,
57 benigno ai suoi, ed ai nemici crudo;
e, come fu creata, fu replsta
si la sua mente di viva virtute
60 che nella madre lei fece profeta.
Poi che le sponsalizie fur compiute
al sacro fonte intra lui e la fede,
63 u'si dotar di mutua salute;
Luciexio, I 11, Oridio, JM. i 63, 107). —
£0. retro eoo. dietro alle quali onde del golfo
di Ouaaoogna par ohe il sole rada a nasoon-
deni Bel eoUttado d' tetate, quasi stanco della
fanifa e rapida eom diurna. — 52. aledt
eoe. è Oalarnega e Oalaroga (non Oalahorra,
Omiagunit), borgo della CastigHa, fortunata
pataia di san Domenioo. — 68. lette eoo. la
quale appartiene alla famiglia reale di Casti-
glia, che porta per insegna nno scudo ore
sono inquartati due leoni e due castelli: dal-
runa parte il leone è nel quarto inferiore,
togffiac» cioè sta sotto al oasteUo, dall'altra
è nel quarto superiore, e quindi toggioga oioò
sta aopra al oastollo. Quando nacque san Do-
menico era le di CastigUa Alfonso Vm (1168-
1214X ilglio di Bianca di Nararra, la quale
diaoradeva da Bamiro, stato signore di Cala-
Toega nel seeolo n. — 66. Deatre eoe Per
la rita di san Domenioo, ohe nacque In Ca-
laruega nel 1170, fondò l'ordine dei predica-
tori nel 1216 e mori nel 1221, Dante si at-
tenne oome già per san Francesco agli antichi
Mogiaii, che sono Bernardo di CHaido (Quetif
e Echard, SeripL ord, Praed,, dt rol. I, pp.
44-60X Goetantino d'OrTieto (U dt., toI. I,
pp. 26-4AX il beato Giordano (Bollandisti,
AdM Stmetonm AitgutH, toL I, pp. 546-569),
Bartolommeo da Trento (op. dt, voi. I, pp.
669-662) e Teodozioo d'Appoldia (op. dt.,
ToL 1, pp. 668-682). Fra i mod^ basti ri-
eordare i Bollandisti, ròL I, pp. 858-545 ;
T. Bottoni, Vita di e. Domònieo, Venezia
1669; H. GastUlo e L Lopes, Eid. gmtnl
ed «. Domhiigo g d$ m onUn d$ Bredioado-
MS, Valladolid 1612-1622; F. PoUdori, Vita
di «. Domenioo, Boma 1777 ; E. D. Lacor-
daire. Vis do d. Dondniquo, Parigi 1840. —
tI aaeqoe eoe. vi nacque noi 1170 il Anrido
amatore e santo campione della religione cri-
stiana. — érado t roce d' origine germanica,
che significò dapprima amante fedele (Diex
122, Nannuod, VtrH 115), posda nella no-
stra lingua prsee il senso cattilo che lia in
3iA rnn 184, Atfy. xzzn 155. ~ 67. bt>
aigne eoo. È quasi traduzione del y, 809
della ifod^ di Euripide, che Dante potè leg-
gere tradotto in qualche iioiilegio mediooTale
di sentenze (ofir. Moore, 1 16). ~ 58. eeme
eco. appena Ai creata, l'anima di san Dome-
nico fu ripiena di tanta virtd che essendo
ancora nel seno della madre la fece profe-
tessa. Dante s'ò ricordato qui dell'evangelioo
(Luca I 15): e [Qiovanni] sarà ripieno dello
Spirito Santo, fin dal yentie di sua madre »,
a proposito della Tìsione arata dalla madre
di san Domenioo; la quale sognò di portare
in seno un csgnolino che teneva una Tuce
in bocca e che Tenuto alla luoe con la Tace
incendiava la terra, a significare ohe 11 figlio
con Io splendore della santità e della dottrina
avrebbe Infiammato le genti alla fede cri-
stiana (Bartolom. da Trento, p. 569, e Teo-
dorico d' App., p. 566 : il b. Giordano, p. 546,
attribuisce invece alla madre il sogno della
matrina, cfir. v. 64). — 60. eke sella madre
ecc. Gran divergenza è tra gl'interpreti a
proposito di questo verso, e specialmente del
M, che alcuni riferiscono a monto, altri a mr-
tute ; mentre è da riferire a madro, spiegan-
do: la qual mente o anima, essendo noUa
maén, fece M, la madre, profota, — 61. Pel
ehe ecc. Posda che fu battezzato, oompintosl
cosi il suo sposalizio con la fede con vantag-
gio d'entrambi, perché egli ti liberato dal
peccato originale e la fede acquistò in lui un
652
DIVINA COMMEDIA
la donna, che per lui l'assenso diede,
vide nel sonno il mirabile frutto
C6 ch'uscir dovea di lui e delle rede;
e perché fosse, quale era, in costrutto,
quinci si mosse spirito a nomarlo
€9 del possessivo di cui era tutto.
Dominico fii detto; ed io ne parlo
si come dell'agricola, che Cristo
72 elesse all'orto suo per aiutarlo.
Ben parve messo e famigliar di Cristo;
che il primo amor che in lui fri manifesto
75 fu al primo consiglio che dio Cristo.
Spesse fiate fu tacito e desto
efflcaoe difensore. — 6A. Ui dOBMft eco. la
matrina, che, secondo il rito, si era obbligata
ìb nome del bambino, ride in sogno il fratto
meraviglioso che uscir doveva da Domenico
e dai suoi segoacL Allude alla visione della
matrina, che sognò di vedere U fancinllo con
ona stella in fronte, segno ch'egli sarebbe
stato gnida e direzione alle anime verso l'e-
terna salute : cft. Teodorioo d'App., p. 566,
e Vincenzo di Beanvais, Spaculum historiaté^
llb. xxnc, cap. 94.-66. deUe r«4e: dai
suoi frati ; cftr. Par. xi 112. — 67. e pereh¥
eoo. e perché anche nel nome apparisso quale
era realmente, dal cielo discese l'ispirazione
a dargli per nome il possessivo {dominieus)
derivato dal nome del Signore {Lhminus), di
cui egli era interamente. Appare qui mani-
festa la tendenza di Dante a ricercare una
particolare significazione nei nomi propri delle
persone : il poeta nostro professava la dottrina
che nomina »unt eonsequeniia rerum (K. N,
xm 16); e perdo nel nome di Beatrice tro-
vava specialmente l'idea della beatitudine
(F. N» 1 6-6) e nel nome e nel sopranome
della donna del Cavalcanti il concetto di una
precorritrice (F. N. xxrv 15-29), e si com-
piaceva di antitesi come quella tra non smria
e Sttpfa (Pitrg, zm 109) e forse anche tra
Sessi e Oriente (Par. zi 52-58). Cosi qui per
il nome Domenico, e più innanzi (w. 79-81)
por quelli dei suoi genitori ; al qual propo-
sito ò da avvertire che Dante potò trarre
l'idea di questo significazioni dai biografi del
santo, perché in Bartolom. da Trento, si leg-
ge, p. 569 : e Dominicus, qui Domini custos
voi a Domino oustoditus etymologicatur vel
quia praocepta Domini oustodivìt, vel quia
Dominus custodivit eum ab inlmicis >, e in
Teodorìco d'App., p. 666: e Generatur a pa-
tre Felice; parturitur, nutritur, fovetur a
lohanna Dei gratìa matre ; renascitur et Do-
minico nomine insignitur, gratiae alnmmus,
divinitatis oupidus, aetomaeque felioitatis he-
res futurus >. ~ la costritto : in parole, nel
discorso (c£r. ISurg, zzvm 147, Ar. zzm
24). — 69. del posiessire eco. of^. Toam.
d'Aqu., Summ» P. m, qu. svi, art. 3: « Do-
minieus non didtur de his de quibus Opm»-
mu praedioator, non enim consoevit dici qaed
aliquis homo qui est dominus slt dominkm»;
sed illnd quod qualiteronmque e«t Donini,
daminiicmn dioitur, sicut dominloa voluitu,
vel domlnica manus, voi dominioa passio».
— 71. dell' agTlesla eoe dén'agriooltaie,
die Cristo scelse per l'inoremeato dell'orto
suo, doè della Chiesa cristiana (cfir. Rv. zzvi
64). — Cristo s a significare che nesson* al-
tra idea pareggia quoUa della divinità, Danto
non accompagna mai altre pardo in rima od
nome di Cristo, ma lo ripete in tatte e tre
le sedi (ofir. lo stesso in Par, ziv 104, xix,
104, zzzii 68). n D'Ovidio, pp. 216-224, ha
sostenuto la geniale ipotesi die in questo
modo Danto abbia vduto fkre ammenda di
un piociol fallo, quello d'aver nominato Cristo
in uno del suoi sonetti burieschi scambiati
con Forese Donati (cAr. I^trg, zznx 48). —
78. Bea parve ecc. Domenico si dimostrò
subito nunzio e discepolo di Cristo, p<Adié
il primo sentimento oh' d manifestò fti l' »-
more alla poverià, che Cristo avwa consi-
gliata al giovine desideroso della vita etama
(Matteo zix 16-21): allude al ftitto hmcob-
tato dai biografi, che In tempo di oarestU Do-
menico vendè i sud libri e distribuì al povorì
il denaro ricavato dalla vendita. — 76. SpMst
eoe Baooontano 1 biografi che sin da Ikndal-
^tto san Domenico dimostrò il suo amoro a
Dio, abbandonando di netto il letto e atten-
dendo alle preghiere ; ma Danto par obe ab-
bia pid tosto avuto innansl Vinoenso di Bean-
vais, Speo, kisL thx 94, il quale parla di
questo abbandono dd letto come di im atto
d'umiltà • di penitenza, mirabile in on te^
dullo ; ecco le sue parole : « Nato igitvr sx
pile parentibus et religiose viventibus, in iUa
puerili aetato sua oor d senile iam Insnt,
et sensus veneranda canities teneUa sub £a-
PABÀDISO - CAKTO XII
653
trovato in terra dalla sua nutrice
78 come dicesse : * Io son venuto a questo \
0 padre suo veramente Felice!
o madre sua veramente Giovanna,
81 se interpretata vai come si dice!
Non per lo mondo, per cui mo s'affanna
di retro ad Ostiense ed a Taddeo,
84 ma per amor della verace manna,
in picciol tempo gran dottor si feo,
tal che si mise a circuir la vigna,
87 che tosto imbianca, se il vignaio è reo;
ed alla sedia, che fu già benigna
più ai poveri giusti, non per lei,
de Istitabat: oam enim aesot adhnc pnero-
hu, nondun a màriùb diHgmttia tegregÀtot,
d^prtkmmu tti 9tup$ tootnm dimittere, quasi
iam caniia deUdas abhorreret, et eUgebat
potius ad ttmm aocnmbere > : cfr. andie
Teodorioo d'App^ p. 666. — 78. Io sea eoo.
Io 80B0 nato per TiTeie nell'umiltà, perii»
penitenza. — 79. 0 padre eoo. Felioe, non
por di nomOi na anohe di fatto» per arer
dato al mondo san Domenioo. B padre del
santo fa, secondo alooni, Felioe di Onzman;
molti per altro negano ohe fosse di tale Ca-
mifflia. — 80. e madre eoo. La madre Ai
Giovanna d'Asa, e nel nome di lei Dante
troyaT» l'idea di graziosa, piena di grada,
secondo l' intsrpretadone data dai teologi e
dei lesdoografl medioerali dell' ebraico nome
Giovanna, spiegato da esd come dombn ffrth
tìa {ott. BulL V 199% — 82. Hon per lo
«MNide eoo. Non d dio agli stadi per amore
di locro, oome fìuino quelli che or s'afEati-
cano nel diritto canonico e nella medicina,
ma per nn dto ideale religioso eoo. — 88.
reire eco. cfir. Far. z 14. — Ostiense: En-
rico di Snsa, n. d prindpio dd secolo zra,
stadio in Bdogna sotto lacobo Baldoini e poi
insegnò il diritto canonico .a Bologna stessa,
a Parigi e forse anche in Inghilterra, ore
passò qiuJche tempo in gran favore presso
« n re della semplice vita > (Btrg. vn 180) :
tornato nel continente, fa nel 1244 creato
resooTO di Sisteron, nd 1260 ardresooro di
Embron e nel 1261 cardinale e vesooro di
Ostia, onde fti detto senz' dtro il cardi nrie
Ostieiise : moil nel 1271, lasciando gran fluna
di canonista, scqaistatacon la Laetura in Dò-
entaieB e spedalmento con la Smrnna tuptr
HhUiB Decntaikm detta anche Summa J9b-
disusis, die divennero sabito libri di testo
nelle eoade gividiehe. Si cfr. Sarti, op. dt
I, 489-445, e Sdiolto, op. dt., n, 123-129.
— Taddeo t Taddeo d'Alderotto, nato in Fi-
ranae intorno d 1216, d recò da giovine a
stadiare in Bologna e diede opera asddoa
alla filosofia e alla medicina: intomo d 1260
d die all' insegnamento, nd qoale applicando
1 prindpt fllosofid alla sdenta della sdato
fondò la scuola medica di Bologna e xinnovò
lo dottrine d'Ippoorato e di Gdeno. Eser-
citò andie laigiunento e con lauti gnadagni
la medicina pratica, e fti primo dd medid
a gtovard dell'arto propria per raccogliere
nn gran patrimonio. Mori nd 1296, e lasdò
molto opere, e tra esse le Expoaiiione» degli
scritti d'Ippoonte, U IÀbeUu9 tandUOia com-
mrvanda» e i OomiUa fnedMnalùi, che di-
vennero i Ubri dasdd ddla medicina medioe-
vale. Fa anohe oaitore ddla naova llngna
italiana e gli ^ attriboito on vdgarizzamento
ddl'JEXiM d'Aristotde, oensorato da Danto
nd Cbne. i 10. Si ofr. oltre U Stfti, op.
dt., I, 664-664, F. Paodnottì, Storia dsUa
nudMna, livomo 1885, voi. II, p. I, pp. 289
e segg. e G. Finto, Taddeo da Fiqmixa e
la medioina in Bokgna nel xni mo., Roma
1883. — 84. veraee manna: ofr. iWp. xx
18. — 86. In picelo! eoe. in poco tompo
divenne dottore profondissimo di teologia,
d ohe potò volgere la soa dottrina a bone-
fldo ddla Chiesa; la qaale ò qaella vigna
die sabito d dissecca se cade nelle mani
di cattivo vigndo, ovvero ò nn' istitadone
ohe rovina se 1 saoi ministri non sono dotti
e virtood. ~ 86. si Mise eoo. B primo af-
fido ecdeslastico di san Domenioo fa il ca-
nonicato di Oxma, datogli nel 1199. — la
▼lyaa eco. L'idea di qaesta perifrad ò deri-
vata dalle pardo di Geremia n 21 : « Or f a-
vea io piantota di viti nobili, d'on seme vero
tetto quanto : e come mi ti sd to malata in
trdd trdignatl di vito strana? » e da tetto
il oap. V di Isaia. —88. aUa sedia eco. alla
sede pontificia, che nel passato fa aasd più
benigna d poveri giostL San Domenico d
recò a Roma nel 1206, e inoomindò la soa
predicadone oontro gli Albiged nd 1207. —
89. non per lei ecc. non per vide proprio,
ma per la persona dd papa ohe non eserdta
654
DIVINA COMMEDIA
90 ma per colui che siede, che traligna,
non dispensare o due o tre per sei,
non la fortuna di prima vacante,
93 non dednuts, quae sunt pauperum Dei,
addomandò; ma contro al mondo errante
licenza di combatter per lo seme,
96 del qual ti &8cian ventiquattro piante.
Poi con dottrina e con volere insieme
con Poffioio apostolico si mosse,
99 quasi torrente ch'alta vena preme;
. e negli sterpi eretici percosse
l'impeto suo, più vivamente quivi
102 dove le resistenze ersm più, grosse.
Di lui si £dcer poi diversi rivi,
onde Porto cattolico si riga,
106 si che i suoi arbuscelli stan più vivL
ooB« èonebbe U loo mSnlstoio di oadtà •
d'amore. — 9i. bmi dlaptuart eoo. non
domandò, come fiuino gli nomini di chiosa,
di dare in open pie il tono o la metà delle
rendite a ciò eBoognete, né di ottenere il
primo benefioio ohe ibeie vacante, né di per*
oepiie le decime che aono del poreri di Dio
eoo. CkmdMua in nna terzina, di itraordinik
ria etHoacia deriTata dal lingnaggio proprio
dei canonisti e degù ecdeaiaitioi del sno tem*
pò, tatto dò die si potava dire della onpidi^
già dai prelati ; contro i qnali gridò già nel
Oom, r? 27 : < Ahi, malastmi e malnati, die
disertate vedove e pupilli, ohe rapite aUi
meno possenti, ohe forate ed eocopate Tal-
troi, e di quello corredate conviti, donate
cavalli e arme, robe e danari, portate le mi-
rabiU vestimanta, edificate li mirabili edifldi;
e credetevi larghessa fare: e che ò qvesto
altro fine che levare U dr^po d' in sa 1* al-
tare, e ooprime a ladro e la saa mensa?»
D'Ovidio, p. 417: cLo spirito danteooo è ao-
coiato rimpianto della sablime povertà degli
Apostoli, angosoia ineffabile per la monda-
nità della Chiesa, ranooie malinconico per
qoell* tmpecaton che ve l'aveva avviata con
nn'improwida cessione, condanna acerba per
tatti i sintoni di cupidigia e di tenestri ar-
dori nei sacerdoti e nd loro capo, rampogna
aoerbiasima porqndla ohe era la cassa ultima
dd aule, aspirarione smaniosa all'aooordo
fta le dee podestà, a prò della pace terrena
doli' Oman genere ». — 92. prima vaeaate t
la pieiadone o U ^eneftdo, che prima fosse
per rendsnl vacante. ^ 98. deelmaa eoo.
ofr. san Bsmardo, Dtotamat. xvn : e Patrimo-
nia sont paapernm Cunltates eodesiaron ».
-> 94. ma eontre eco. ma domandò 11 per-
messo di combattwe contro gli eretid In di-
fésa deOa fede, deUa qoale noi spiriti « queste
dee eorone d siamo nutriti. — vonAo eiraa-
te t sono gli eretici, e spedahnente gli iJU-
gesi, contro i quali saa DooMnioo fonde l'or-
dine dd predicatori e chieea l' i^provadone
al pontaAoe Innooenso m : ma non rottsane
ohe pid tardi, da Onorio IH, con boDn dd
22 dicembre 1216 (Potthast, op. dt. n.* 6403),
nella qude i domenicani sono detti e pogUss
fldd et vera mundi lumina ». — 97. Fai eoa.
Accenna al mead od quali san TTniaiilLo
propugnò la fede oontro gli evetloi, dee la
dottrina teologica, lo ado religioso e l'auto-
rità conferitagli dd pontefice. — 99. ^nasl
eco. La similitudina dd torrente olia preci-
pita dalle alture dimostra l'impeto oca eoi fi
santo d pose all' opera ; e ricorda pd nel eon-
oetto il virgiliano àeWBn, n 806: « Inddit
aut rapidus montano ftumine torrens Stmult
agros, stemit sata laeta boumqua laborea »,
pittura troppo partlodareggiata e però meno
efBcaee della dantesca. — IOOl e Begli atarpl
eco. e oombatté oontro gli eretici, pid viva-
mente in Frauda, nd territorio di Toloaa,
ove l'eresia degli Albiged aveva posta pi«
salde radid. Ddl' opera di san Domenico otm-
tro questi eretifli, a combattere i quali non
ftarono risparmiati 1 mead più violanti • inu-
mani, d veda dò che serivone i biografl dd
santo, gii storid ddla Chiesa, e modalmente
J. J. Bamu e B. Darragon, HUioin éé^cni"
mdm efmbTB Im AlbigtoU, Fferigi, 184a —
aterpl ereCldt Bnti: €tlmy9 d dice legno
bastardo, non ftnttifero, a ood soma gU e»,
tid; e cena lo starpo impaeda a stroppia
l'albero che fk firutto, cod gii eretid Impao.
dano li vari cristiani e non gli ìansomo Ihre
flutto ». — 108. m lui eoe. San Demenloo
ò paragonato a un torrente; I lin'dnhilpc»
PARADISO - CAKTO XU
655
108
111
114 si
117
Se tal fa l'una rota della biga,
in che la santa Chiesa si difese
e vinse in campo la sua civil briga,
ben ti dovrebbe assai esser palese
r eccellenza dell'altra, di cai Tonuna
dinanzi al mio venir fii si cortese.
Ma Forbita, che fé* la parte somma
di soa circonferenza, è derelitta,
eh* è la mofEa dov*era la gromma.
La saa fiEuniglia, che si mosse dritta
coi piedi alle sae orme, ò tanto volta
che quel dinanzi a qael di retro gitta;
e tosto si vedrà della ricolta
cedenti mmmo dunque i snoi segmeii U eoi
pcedtoasioiie fecondò U ohieia oriiHenei oon-
totmaJBOo I fedeli neDe leeo oradenae, Inlgd,
per efeer nella aetafoim, l'orto oettoUoo e fece
TvdeggUie 1 looi eiteeceUi. ^ 106. Se tei
eoo. efr. Ar. n 118 e tegg. — l'nen eoo.
l'ima delle due ntote del oeno, in eoi le
OhieM oomtetté e flnee gl'interni diaridt
eoQflivsa delle eette eretiohe, tu nn Done-
■ioo. — klgns il oecro delle Ghieea, ofr.
A»y. zxix 107. — 106. dfU telgnt l'eneU
portava li dinidio nel gxeabo della religione,
eoaie Io epizito di parte lo poitaTa nelle ei^
émAiw^mmw^ dgU0 cepabUiolke medioeTali; per-
oid Dante chiama cob£ le diMXMdle celigioee,
in quanto pertorbayano la mità della dt-
*r**^**«^ o ooiBUiità oiiatiana. — 110. del-
1* altra eoo. dell' altra mota, dell' altro eo«
ategiio della Chiesa, lan Franoeaoo. — di
««1 eoo. del qnale Tomnaio d'Aquino fooe
l'dogio pdaia della mia Tennta. — 112. Ha
rerUte eoo. Ma la txMxda aegnata dalla
parte somma eoe, dal cerchio della mota, è
abbandonata, l'orma di san Frenoeeoo non è
pM eegoita dai fooi firati. H Lana, die tÌmo
qoando erano reoenti i diesidl fhacesoeni,
BOfCa: «Qoi tocca fra Bonayentora aloona
ooea deUo diaordine che è in li frati minori,
e dio» ch'éDl eono tuito oreeohiti in numero
e la aoritadl di Tita che quasi quello ordine
bae llitto moto droolare e Tao mo centra
qnello ohe in prinoipio olii endava, si che
qnfJH che eono moderai gittano doè contra-
diceno alU antichi e prbai. Or qui taknUr
l'autore tocca di qnella setta che ftie tra essi,
che ei appeUsTano firaU deUapov&ra vita; e
perft dice : dor* era in prindpio la gromma,
doè la fratemitade e la nnitada, mo si gli
è la mnlEa, doè la discordia e la dirisione >.
ì maaiteto per questa chiosa che Dante al^
Indavra al dissidio dell'ordine fhmoeecano,
tra i cosi detti apkHuaU o segoad di Pier
Oioranni Oliyi (1247-1297), propngnators della
stratta oeseirnnrs della redola francescana in
dd ohe oonoeme la poTortà, e l owwwwfcwH,
ohe attenendod a una più larga interpreta*
done della regola ammettevano il posseeso e
il godimento dei beni, Il consegnUaento 11
affici eoo. Questa disoordia dar6 con Tarie
ricende per tutto U tempo della rlta di Dante,
che vide giustamente U danno arrecete da
essa ella santità dell' ordine e insieme quanto
fbese d'esagerazione noli' una e nell'altra dot-
trina. Su questa matnia cfr. F. Tocco, L'«-
retfa nd medùmo, dt, pp. 449-665. - 114.
è la «HRi eoo. c'è 11 male dove prima era
U bene : è imagine tdta dalle botti, che ben
curate producono la gruma atta a consenrare
il vino, traeeurate, ftuiao la muffa che Io
guasta. — 116. La sea eoo. I franoescanl,
die già seguirono la via additata dai santo
fondatore, ora camminano per via dd tutto
direcsa, non praticano più la carità e l'amore
della poTortà. Questo è il concetto, ma la
frase qnd Onaiwi eoo. è pi6 tosto oscura,
né i commentatori d sono dati pondero di
chiarirla: credo ohe Dante abbia voluto dire
che quelli dd francescani che sono più in-
nand nei cammino della virtù d trovano in
contrasto con quoQi ohe son più indietro, in*
somma che c'è vivissima lotta fra spiritudl
e conventuali. La spisgadone comune, for-
mulata dd Lomb. cod: e pone cesa le dita
de' piedi a quella parte dove e. Francesco
impresse le cdcagna, cammina d contrario »,
non rende, parmi. Interamente il penderò
dd poeta, che è tutto sulle discordie ddl'or-
dine: dd resto soyr'eesa d ofr. BhU. I 97.
-~ IIS. e teste eoo. e presto d vedrà qud
sia il frutto di una cattiva odtivadone,
quando il loglio d lagnerà d'esser esodato
ftaori dd grando, doè, friori di metafora, d
vedranno i tristi sflbtU di tdi disddt allora
ohe la parte più misera dd francescani sarà
bandita dall'ordine. È una terdna di assd
dilDdle inteipretaslono storica; ma poiché
Dante allude a un fatto non mdto posteriore
d 1900, d qude per qud che d pud arguire
656
DIVINA COMMEDIA
della mala coltura, quando il loglio
120 bì lagnerà che l'arca gli sia tolta.
Ben dico, chi cercasse a foglio a foglio
nostro volume, ancor troveria carta
128 u* leggerebbe : 'Io mi son quel ch'io soglio ';
ma non fia da Casal, né d'Acquasparta,
là onde yegnon tali alla scrittura,
126 che l'un la fugge e l'altro la coarta.
Io son la vita di Bonaventura
da Bagnoregio, che nei grandi offici
129 sempre posposi la sinistra cura*
Illuminato ed Augustin son quici,
dai versi •egnenti larebbeio rimasti estranei
Ubertino da Gasale e Matteo d'Aoqnaspaita,
parmi che si possano riferire le parole del
poeta alla oostltazione di Gioranni XXII,
dell'aprile 1817, contro gli spiritoali, oon la
quale tu. ordinato che una delle questioni più
vivamente discasse in questi contrasti, doè
se i francescani dovessero e habere granaria
et oellaria », fosse rimessa nei superiori dei
conventi, e cosi si venne a dar torto agli spi-
rituali professanti la più stretta povertà. Si
cfr. Toooo, op. cit, p. 616. — 121. Ben dico
ecc. cfir. Par. xi 180 e segg. — ehi eereasse
ecc. se alcuno essmlnssne foglio per foglio
U volume dell'ordine francescano, conside-
rasse un per uno 1 singoli frati, ne trove-
rebbe ancora dei fedeli alla regola del santo
fondatore. — 128. Io ecc. Io sono quale so-
levano essere 1 francescani primitivi : del vb.
miglio, usato In fonzione d'imperfetto, si ve-
dano eeempi antichi nella nota all'In/, zzvn
48. — 124. ma bob Ha eco. ma questi fedeli
osservatori della regola francescana non sa-
ranno n6 gli spirituali né i conventuali, 1
quali falsano la regola, quelli facendola più
rigida, questi interpretandola troppo mite*
mente. — 4a Casal : allude a Ubertino d'Illa
da Gasale, nato nel 1269, entrato nell' ordine
francescano nel 1278, passato noli' ordine be-
nedettino nel 1817, morto nel 1888: fri per
nove anni lettore nell* università di Parigi, e
tornato in Italia si dio alla prodicaiione, pro-
pugnando le idee di Pier Giovanni Olivi, alla
morte del quale rimase capo dolla fioione
degli spirituali: trionf5 momentaneamente
durante il papato di Gremente V (1806-1814 ;
cfr. Inf. XIX 82) e scrisse allora l'^rftor vita»
oruetfixoB, ma eletto Giovanni XXII (cfr.
Par. xvm 180) camUò ordine e si astenne da
ogni questione : cfr. U. Goemo, Oiom. dami,
VII 68-78. — d'AeqaasparUt Hatteo da
Acquasparta, castello presso Todi, entrò pre-
sto nell'ordine francescano, del quale fri
fatto generale nel 1287 : nel 1288 fti creato
cardinale e nel 1291 vescovo di Porto, fu
mandato più volte da Bonifszio Vm come
legato apostolioo in Firenze durante i cen-
trasti del Bianchi e dei Neri, e moff nel 1802 :
Ikvorf durante il suo generalato Tinterpreta-
done mite della regola franoesoana, • perdd
Dante lo oonslderò come rappresentante della
fsxione dei conventuali. — 126. eoartat lat
eoareUU; restringe, iirigidiBoe. — 127. le sea
eco. Io sono l'anima di Bonaventaza da Ba-
gnorea, ohe nell'esercizio dei più alti offici
ecclesiastici posposi sempre la enza tempo-
rale alla spirituale. San Bonaventura, al se-
colo Giovanni di Fidanza, nacque in Bagno-
rea nel 1221, entrò nell'ordine fraaoeeeaao
nel 12A8 e ne fri fritto generale nel 1266; fli
creato aioiveeoovo di York nel 1266, cardi-
nale e vescovo di Albano nei 1272, e mori
in Lione nel 1274. Fu chiamato il doohr «>
raphioit e in molteplici opore oontinoò H mi-
sticismo di Ugo e Biocardo da 8. Vittore, in
opposizione alla flllosofia tomistioa: tra i sud
scritti i più noti sono i OomimmUaria ai libri
delle Sentenze di P. Lombardo e il Bnmkh
gvium (ed. crìtica delle Op. omniaf Venezia,
1768-66, 14 voU., e altza migliore, Quarao-
chi, 1882-96). Si cfr. A. M. da Vicensa,
VUa di », Bofuwmtero, 2^ ed., Monza 1879 ;
A. de Uargerie, Essai tur la pKUomjpìm à$
ti, Bonav,^ Parigi 1866; G. A. HoUenbetg,
Studim Ku BonmmL, Boriino 1863; D. Bor^
gognoni. Li dottrim di », Bom»,^ Bona,
1374 ; M. da GIvezza, DtUa ter» fUoaofia e
della doUri$ta filosofica di s. Bonas,^ Genova
1874. » 129. seapre eoe Una bella prova
di dò si ha nella stupenda lettera di san Bo-
naventura su^ abusi dell' ordine ^anoeeoaao,
del 22 aprile 1267 fWadding, op. càt., voi. IV,
pp. 68-60). — 180. lllnmlnalo eoo. fkate D-
Inminato, detto comunemente da Bieti, tu. al
secolo Accarino della Bocca, di una fluniglia
di feudatari ohe si assoggettarono al oomuns
di Spoleto nel 1288 (cfr. A. Sansi, Skiria dsl
Com, di SpolOo, I 62 e Doeum. stoHoi^ p. 260)
e compagno di san Francesco in Oriente (cfr.
Par, XI 100); frate Agostino di Assisi Ai eletto
PARADISO - CANTO XU
657
ctie fìr dei primi scalzi poverelli,
182 che nel capestro a Dio si fero amici.
Ugo da San Vittore è qui con elli,
e Pietro Mangiadore, e Pietro Ispano
135 lo qnal giti luce in dodici libelli;
Natan profeta, e il metropolitano
Crisostomo, ed Anselmo, e quel Donato
138 ch'alia prim*arte degnò por la mano;
Babàno ò qui, e lucemi da lato
Biniatro d*n' ordine in Ttna di Lstoio nel
1216 : li iieoero fhaceeceni nel 1210 (Wad-
ding, I M, 248). — ««lei: ofir. Pmjf. tu
66. — 188. Uffe te Sem Tlttore eoo. M»-
tqQB pnno Ipxee, in Fiandn, Tono il 1097,
•Btxù dsonloo legoUxe a St. Yiotor di Pft-
zigl nel 1188, e mod nel UH: oomlMitté
il ndonaliemo, e oompoee molte opere (ed.
cntica, Booen, 1648, tre voli.), fra le qnali
le pl6 iaportenti sono VAuditio dida$ealiiea,
D» taarmmmUU fldti ckrittimaé, D$ laud$ oa-
ritaii», lodate da Tommaso d'Aquino oome
magìstarali e antorevod. 81 rodano sopra Ugo
G. Kaoliah, DU Leknn dt. in Par. x 181;
A. Liebner, Evgo vm 8L Vidorund di» in-
kìfi9e^ RióMmig, miner Zmi, Lipda 1882;
B. Hanxéaa, Lsf osneriM d» Hu^im de 8U
Vietar, 2» ediz., Faxigi 1886. — 184. Ple-
tf Maaglaieres teologo fhmoeee, detto la-
tinamente Fàrm ComeaUnr, nacque in Troyes
«1 principio del seo. zn, fti decano della cat-
todimle in patria nel lli7 e cancelliere della
oniTenità di Parigi nel U64, poi si ritiid
nel monastero di 8. Vittore, ore mori nel
1179 : scrisse parecchie opere, delle quali la
pU nota è V EitUiHa teholadioay ricompila-
siono dei libri biblicL 8i ofr. Bxial neU'HM.
hUér, de la Franee, toL XIV, pp. 12-17. —
Pietre Ispane t Pietro di Giuliano da Li-
sbona, nato intomo al 1226, fti prima arci-
diacono e poi ardTescoro di Braga, e poi fti
creato eardinsle e TesooTO di Frssoati nel
1278: elette papa 1*8 settembre 1276 prese
il nome di Giovanni XXI e mori il 20 mag^
gio 1277. Nella gioventù coltivò la medicina,
la insegnò nello Studio di Siena e scrisse
di queeta materia nel Thesaurus pauperìintf
e poi di flloeofla nei dodici Ubri delle Sum-
wmta» logieae. Si veda sui suoi studi J. T.
Koehier, VoUtiàndiff» NaehrieJU vom Fapst
Johmm XXI ecc., Gottinga 1760, e più utU-
mente i moderni lavori di B. Stapper e Q.
PeteDa (cfr. BuU. VH 269. Vm 263). —
186. Kataat il profeta Natan, ohe rimproverò
al le Davide il peccato commesso con la mo-
glie di Uria; cfr. n Sanrn^ xn 1 o segg.
— Il metropoli tane ecc. Giovanni Crisosto-
mo, nato in Antiochia nel S47, ordinato proto
nel 886, eletto patriarca metropolitano di Co-
Daim
stantinopoli nel 898, deposto nel 408 e morto
in esilio nel 407 : fo il più eloquente dei pa-
dri della Ohiesa greca e iasoiò molti scritti
nella sua lingua (odia, critica di B. Montteu-
con, Parigi 1718-84, 18 voU.): si vedanoG.
B. Bergier, fiM. d» si, Jètm OkrysosUmst
airélm. ds OmstanHnopI», Parigi 1866; J.
Luti, OkrysottomiM und die Ubrigm btrUim
tsstsn kMUUm Bsdnsr, 2» ed., Tnbinga
1869. — 187. AsielMf : Anselmo d'Aosta,
nato nel 1088, monaco di Beo nel 1060 e
abate nel 1078, ardveeooTO di Oanterbnrj
nel 1098, morto nel 1100 : fb profondissimo
teologo e saisse molte opere (ed. critica, Pa-
rigi 1721), tra le quaU è celebxe il trattato
sul mistero dell' incamaiione, OurDmts homo f
Si vedano P. 0. Botile, D$ tOa d gestis Af^
sebni arokiep. Ocmtuar,, Hauniae 1840; B.
Basse, Anssbn von OmUsrburf, i Lsbsn, n
Lehrs, Lipsia 1848-62; 0. B^musat, Ano. ds
OatU., iabìeau ds ta wiomstiq%is ecc., 2» ed.,
Parigi 1869; B. Bauréau, Hisk ds la ph,
seotasl,, voi. I, pp. 266-267. •- f ael Denate
eoe Elio Donato fiori intomo alla metà del
IV secolo d. C. e insegnò in Boma: oltre un
commentario su Terenzio e l' introdusione a
un commentario su Virgilio, oi è rimasta di
lui l'^rt^meimaMoa (ed. ciit. inXeil, (Tramili.
ìat.y TV 868-408), ohe nel medioevo ta Ikmo-
sissima. — 188. prl»*artet ò la grammatica,
la prima delle sette arti del trivio e quadri-
vio; cfr. Oot», n li. — 189. Babànet Ba-
bàno Uauro di Magonza, nato droa nel 776,
fa educato nel monastero benedettino di Ful«
da, del quale ta abbate dall' 822 all' 842: nel«
r 847 ta. fatto arcivescovo di Magonxa, e mori
a Winfel nell'866, lasciando molte opere teo-
logiche e specialmente d'eeegesi biblica (ed.
crit del Oolvener, Colonia 1627): cfr. J. 0.
Dahl, Lebm und Sehrifìm dss Erxbisehofs
Rab, Maurus, Fulda 1828; N. Bach, fira-
banus Maurus, dsr Sòhòpfsr dss dsutsehsn
Schuhesssnst Fulda 1886; F. Xunstmann,
Hrabanus MoffnenHus MatmUf Magonza 18il;
T. Splenger, Lsòsn dss hML Hrab, Maur.,
Batisbona 1866 ; B. Hauróau, Eist, ds ta ph.
sooL, voi. I, pp. 88-47; B. Serio, Rabano
Mauro abats di l^^ìda s Jkmts AUghisH nel-
l'uso deU'arU càbaUsUoa, Modena 1866. —
42
j
658
DIVINA COMMEDU
141
145
il calabrese abate Gloacohino,
di spirito profetico dotato.
Ad invéggiar cotanto paladino
mi mosse la infiammata cortesia
di fra Tommaso, e il discreto latino;
e mosse meco questa compagnia».
140. 11 eàlakreM eoe Gioacchino da Colico in
Calabria, nato intono al 1190, In un peUegri-
n aggio in Torrasanta foca il proponimento
di dedicarsi tutto alla religione: tornato In
patria, entrò Terso il 1158 nel monastero clr-
sterdense di Sambnoina, e nel 1176 ta Iktto
abate del monastero di Ceraso, dignità che
accettò renitente : abbandonò pooo dopo l'a-
bazia per attendere con pi6 sgio agli stadi
biblici, e nel 1189 fondò in meno alle fore-
ste della Sila la congregazione e il monastero
di Fiore, ottenendone Tapprorazione pontifi-
cia nel 1196 : mori nel 1209. Con le sne ope-
re, la Concordia veUri$ H novi TedamtnH
(Venezia 1617), VExpotitìo in ApooaUpgim e
il PÉaUmum dee$m oordarvm (Venezia 1527),
egli valendosi di nna mistica interpretazione
biblica propugnò un rinnovamento sodale e
religioso, derivando molta idee dalle dottrine
dei Catari: di modo ohe alonne delle sne
proposizioni furono condannate solennemente
nel condilo Lateranense del 1216, e altre da
nna commissione cardinalizia nel 1264, quando
le idee gioachimite s'erano largamente dif-
fase, massime tra i Arancesoani. Dante, col-
locandolo tra i beati, dimostrò insieme T in-
dipendenza del suo gindizio e il desiderio di
qael rinnoramento della Chiesa, ohe (Hoac-
chino aveva predicato. Soli' abate calabrese
si vedano O. de Lanro, Apologia $ vita di
Oioaeh. abate, NapoU 1660; F. ▲. (Hrvaise,
JSittotrv de Vabht Jòathim, ntmonmé U Pro-
phèU, Parigi 1745 ; X. Ronsselot, Etude d'Mat.
r$tig,» Jòaehim de JPÌor$, Jean de Parme et la
doetrine de VEvongiU itemela 2» ed., Parigi
1867; e spedalmente F. Tocco, L'eresia nel
fnedioevo, pp. 261-409. - 141. di spirito ecc.
L'abate Gioacchino, dotato d'on profondo
sentimento dell' infelidtà presente e d'una
viva aspirazione ad un migliore avvenire,
propugnando il rinnovamento della Chiesa
par che facesse veramente alcune previsioni,
che non sono profezie nel senso stretto della
parola, sulla lotta che doveva accadere tra i
pontefld e gli svevi, sull'esito inféUee deOa
terza crodata e sulla fine della dinastia aor^
manna; previsioni ohe non trascendono, co-
me dice il Tocco, p. 284, i limiti deU'aoeorw
gimento umano: più tardi poi s'andò for-
mando una vera letteratura gioachimita di
visioni e proflKie, ohe non procedono mini-
mamente dalle opere dell'abate calahnse,
ma ohe pure al tempo di Dante gli erano
attribuite dai più. — 142. ▲« Invegglar ecc.
A celebrare san Domenico, strenuo propu-
gnatore della fede, io Bonaventura fbanoe-
scano sono stato mosso dall' eeem^ del do-
menicano Tommaso, che ha detto !• lodi di
san Francesco. Questo ò certamente il sanso
doUa tellina, ma gran difficoltà nell'Inter^
pretadone letterale adduce a vb. itmggian^
che essendo foggiato sul nome mteggiet {et.
Purg. VI 20) significa propriamente imiàian.
La minore spiegadone, pur dopo tante di-
spute originate da questo vb. (ofir. Ztng. 148-
161), è quella dell' Ott: «prendi questo in-
veggiare, doè invidiare, in buona parte: biiona
d invidia che procede in avanzare aloono in
bene operare > ; alla quale, del resto, acce-
dono i più dd commentatori antichi e mo-
derni. — 144. fra ToaMaso : l'Aquinate, ^e
fti santificato solo dopo la morte di Dante,
nel 1828. — diserete latine: ò U. disooiso
di Tomm. d'Aquino in lode di san Francesco
(Phr. XI 48-117). — 146. t nosae eoe e
come mosso me a pariare, cod mosse i sdd
compagni alla danza e al canto (cf^. w.
19-21).
CANTO XIII
Dopo che le anime beate hanno compiuto cantando an altro giro di
danza, riprende a parlare Tommaso d^Aqnino e fa a Dante una lunga espo-
sizione dottrinale intorno alla sapienza di Adamo, di Cristo e di Salomone,
traendone Paramaestramento che è pericoloso il far giudizi affrettati e che
r nomo savio deve sempre gindicare riposatamente [14 aprile, ore antim.].
Imagini chi bene intender cupe
Xni 1. Imaglnl eoo. Finito il discorso di corona riprendono la loro danza droolare;
Bonaventora, le anime luminose della doppia della quale Dante volendo dare un' idea ade*
PARADISO - CANTO XIII
659
quel ch'io or vidi (e ritenga Pimage,
8 mentre ch'io dico, come ferma rupe)
quindici stelle, ohe in diverse plage
lo cielo avvivan di tanto sereno
6 che soperchia dell'aere ogni compage;
imagini quel Carro, a cui il seno
basta del nostro cielo e notte e giorno,
9 si ch'ai volger del temo non vien meno;
imagini la bocca di quel corno,
che si comincia in punta dello stelo
12 a cui la prima rota va dintorno,
aver fatto di sé due segni in cielo,
qual fece la figliuola di Minòi
15 allora che senti di morte il gelo;
e l'un nell'altro aver li raggi suoi,
ed ambedue girarsi per maniera
18 che V uno andasse al prima e l'altro al poi :
ed avrà quasi l'ombra della vera
guata inrita il lettole ad imaginaro le quin-
dici stella di prima grandezza, le tette splon-
didSesime dell' Orsa maggiore e le dne pid la-
minose dell'Orsa minore raooolte insieme a
fonnare doe costellazioni circolari concentri-
che, le quali rotassero in senso opposto; e
cosi potrà arer l'ombra della danza del ven-
tiquattro spiriti beati nel delo del Sole. — 2.
e rlteiff A eco. e tenga ben ferma nella mento
r idea delle due Imaginarie costellazioni. —
8. cane fenu rape: Vontarl23: «Compa-
razione indosa. Parlando di cosa Imaglnata,
egli vuole che il lettore, il quale eupe^ desi-
dera, d'intender bene, tenga ferma innanzi
alla mento l' imagine nnora. E se in tutte
le similitodini dantesche si userà cosi com'egli
in questa mole, si scopriranno rispondenze
più intime e sempre nuore bellezze ». — 4.
fvlBdlel eco. Le quindici stelle di prima gran-
dezza, secondo Tolomeo, le quali si trovano
sparse per diverse plagho di cielo e rìsplen-
done tanto luminosamente da vincere ogni
densità dell'atmosfera. — 4. plage: plaghe,
regioni ; cfr. Purg. xxv 80, Par. vi 136. —
7. qael Carro eco. Accenna alle sette stelle
del Carro di Boote o dell' Orsa maggiore (cfr.
JH/l XI 114, Purg, i 80), nella quale costella-
zione Danto non comprendeva Arturo (cfr.
Canx.t p. 176, ove parla del < paese d' Eu-
ropa, che non perde Le setto stollo gelide un-
que mai »). -^ a eal 11 seno eoo. alla quale
costellazione baste sempre l' emisfero boreale
oelesto, si ohe al voltare del timono non spa-
risce, poiché gira intomo alla stella polare.
— 9. teme t ott, Pwg, xzu 119. — 10. la
àeeea eco. La costollszione doli' Orsa minore
presente rimale d' un corno, che comincia
presso la stella polare, all' estremità dell'asse
intorno a cui ruote U Primo Uoblle: dal-
l'altra parto, cioò alla bocca del corno, sono
due stelle di terza grandezza, introdotte da
Dante nelle sue imaginarie costellazioni. ^
18. aver fatte eoo. Imagini cioè che questo
ventiquattro stelle abbiano formato nel delo
due costollazionl, In ognuna dolle quali sieno
dodici stelle disposto in circolo, come sono
le stelle della Clorona. — segai : cfr. Por.
xxn 110. — 14. qasl fleee eco. Alludo allfi
fkvola mitologica della trasformazione operate
da Bacco della corona fiorita d' Arianna mo-
rento (figlia di Minos, cfr. Inf, v 4, xii 17)
in una costollaziono ciroolare, ohe preeo il
nome di Corona (cfr. Ov. Mei. viii 177-181).
— Mlnòl : Hinos ; ò una forma derivate dal
casi obliqui, secondo 11 Parodi, BttU, m 107.
— 16. e l'an eoo. imagini ohe questo due co-
stollazionl abbiano i raggi coincidenti, cioò
sieno concentriche, e si movano in direziono
contraria l'una all'altra. — 18. al prima e ...
«1 pel : espressione poco perspicua, intosa dai
pifi nel senso ohe l'una delle costellazioni giri
in moto circolare Inverso a quello dell'altra :
alcuni commontetori per altro spiegano, gi-
rando in modo da accompagnarsi via via le
dodid stollo della estoriore con le dodld della
intorìore, stando doò sempre dasouna coppia
di stollo sul medesimo raggio; e altri, stando
le stollo estome sul raggrio Intormedio fra
ciascuna coppia di raggi della costellazione
interna : ma per analogia con la danza pre-
cedente par da preferire la pld comune Inter-
pretazione (cfr. Par. XII 6, 21). — 19. Sem-
bra s idea pallida. Incompiuta, Inferiore sem-
pre al vero ; cfr. Par, 1 28. — della tera eco.
660
DIVINA COMMEDIA
costellazion e della doppia danza,
21 che circulava il punto dov'io era;
poich'ò tanto di là da nostra usanza,
quanto di là dal mover della Chiana
24 si move il del che tutti gli altri avanza.
Li si cantò non Bacco, non Peana,
ma tre persone in divina natura,
27 ed in una persona essa e l' umana.
Compiè il cantare e il volger sua misura,
ed attesersi a noi quei santi lumi,
30 felicitando sé di cura in cura.
Ruppe il silenzio nei concordi numi
poscia la luce, in che mirabil vita
83 del poverel di Dio narrata fami,
e disse : € Quando V una paglia è trita,
quando la sua somenza è già riposta,
36 a batter l'altra dolce amor m' invita.
Tu credi che nel petto, onde la costa
si trasse per formar la bella guancia,
89 il cui palato a tutto il mondo costa.
delle rentiqnattro anime beate, ohe in dnplioe
corona danzavano intorno a me, férmo nel
centro. — 21. clreiUTai il vb. ojrtwtorv, gi-
rare ciroolannente, è la forma etimologica del
pi6 nsvale eenMcsn {Pmy* n 4, zir 1, xiz
69, zxn 98, Par. xxx 26 eoe). 22. poleh* è
eco. Spiega perché abbia dotto omòro, e non
proprio idea, imagm» : il moTimento, lo splen-
dore e il oanto di quelle anime saperano tanto
ogni oso umano, qoanto il movimento del
Primo Mobile, del « del che pift alto festina »
{IStrg, XXXIII 90), avanza il lento movimento
della Chiana. — 28. Chlaaas fiume nel ter-
ritorio aretino, ridotto a canale per moderne
opere idraoliche; il sno corso era lentissimo,
per la natara paludosa del saolo che attra-
versava, tanto ohe potò mediante ano spar-
tiaoqne artificiale esser distinto in dne, rane
dei quali continuò a finire nel Tevere e l'al-
tro fu immesso nell'Aiuo, cambiandogli af-
fatto direzione; cf^. Bepetti, I, 684 e Bas-
sermann pp. 299-901. — 24. 11 elei ecc.
cfr. Par, xxvn 99. — 26. Li si eantò eco.
n canto dolle anime beato era rivolto alla ve-
race divinità, era purissimo canto di fede cri-
stiana ; non era come i carmi rituali degli an-
tichi in onore di Bacco e di Apollo, ohe si
dicevano nelle feste e nei conviti, ma cele-
brava i misteri della Trinità e dell' Incarna-
zione, la cui cognizione è propria dei beati.
— 26. tre persene ecc. cfr. Pxr. xzxm 109-
126. — 27. In nna ecc. ctr. Par. xxxni 127-
189. — essa: la divina natura; cf^. Purg.
XXXI SU -^ 28. Compiè ecc. Il canto e la
danza oomptrono tua mùtmi, cioò tanuna-
rono, quando ta finito 1* inno e il giro ciroo-
laie. — 29. sltesenl : oft. In/l xvx IS. —
90. f eUeltaado eoo. lieti di passare dal canto
e dalla danza a un' opera di oaiità» Ia 00-
disfàsione del desiderio di Dante; oppue di
passare dallo scioglimento del primo dubbio,
quello sulle paiole m' ftsn t* «mpMi^iM eoe., allo
sdogiimento del seoondo relativo a Salomone
(ofir. Par. xi 25-27).^ 81. nnnd : i beati, che
sono « come... dii > (Par. v 128). — 82. Im
Ivee ecc. l'anima di Tommaso d'Aquino, die
m' aveva Baciato la mirabile vita di san Fraa-
cesoo, il poverello di Dio. -« 84. Quasée eoe.
Chiarito il primo dubbio, entrata già la ve-
rità nella tua mente, vengo ora al aecmdo
dubbio. Lomb. : < Parla di cotale già fatta
dichiararione come di grano di già battuto •
riposto; e della dichiararione oh* è or» per
fare, come di grano anooi da battersi ; egio-
diriosamente, imperocché, sieoome per la bat-
titura sdogliesi e tnggesi U grano dalla acom
e paglia ohe lo nasconde, cosi per la dichia-
razione sdoglieei e traggesi il senso dall'o-
scuro paiiare che lo tiene oriate ». — 37.
Ti eredi ecc. Tu credi che Adamo e Cristo
abbiano avuto tanta sapionza quanta pud ee»
sere in un uomo, e peroid ti meravigli di ciò
eh' io ho detto di Salomone, aifenaando d»
« a veder tanto non surse il seoondo » (Ar.
X 114). — eade ecc. dal quale Adamo fo tratta
la costa per formare la bella Bva (d^. Osms»
n 21, 22), che mangiando il pomo ta oagiona
di tanto male all' umanità (cfr. Any. xxix 24-
PARADISO - CANTO Xin
661
ed in quel che, forato dalla lancia,
e poscia e prima tanto satisfece
42 che d'ogni colpa vince la bilancia,
quantunque alla natura umana lece
aver di lume, tutto fosse infuso
45 da quel valor che Puno e l'altro fece:
e però ammiri ciò ch'io dissi suso,
quando narrai che non ebbe secondo
48 lo ben che nella quinta luce è chiuso.
Ora apri gli occhi a quel ch'io ti rispondo,
e vedrai il tuo credere e il mio dire
51 nel vero iaxai come centro in tondo.
Ciò ohe non more e ciò che può morire
non è se non splendor di quella idea
54 che partorisce, amando, il nostro sire;
che quella viva luce, che si mea
dal suo lucente che non si disuna
aOf). — 40. qi«l eoo. GmA Oxirto, trafitto in
pcito dalla landa di Longino (Qioranni xix
81), con la vita d'espiazione e con la morte
Baila croce liberò l'aomo dal peccato origi-
nale. — 41. e HMl* • pria» i e dopo eswie
ftaio trafitto, cioè con la crocifissione, di coi
qnallA trafittora fa T ultima olTesa, sebben
Oliato foew già morto, e prima d'easer trafitto,
cioè con tutti gli atti della sna vita e con lo
strazio solferto nella passione. Altri intendono
inrece, prima di morire e dopo ; altri ancora,
riferendo qnesto parole alle colpe espiato da
Oliato, piegano : redense V nomo dal pec-
cato originale • da qnelli commessi in tempi
posteriori. — 48. f laBtaaqne eoa quanto
mai di sapienza è permesso avere all'omana
natura. — 46. 4a f «el ecc. dalla potenza di-
Tìna, che li creò. — 46. ìbbo : nel mio pre-
cedente discorso ; in Par, x 112-114. — 47.
■•■ thhB eoe la beata anima di Salomone,
quinta nella prima corona di spiriti apparsa
a to, non ebbe pari di sapienza. — 49. Ora
apri eco. Or presta attenzione a ciò eh' io op-
pongo al tuo dubbio, e Tedrai che la tua opi-
nione e le mie paiole s'incontreranno nella
TeritA, intenderai come questo e quella siano
Tare. — lo ti rlspoado ecc. L'esposizione di
Tommaso d'Aquino (fondate proprio su ciò
che intomo alla siq>ienza di Adamo e di Cristo
si legge nella Smmn,, P. I, qu. xciy, e P. HI,
qu. ix-zu) è la seguente : Tutto il creato pro-
cede da Dio uno e trino, per l'emanaziono
dell* sua bontà nei cori angelici (tt. 52-60),
per i quali essa discende sino alla creazione
dalle cose corruttibili (tv. 61-66) ; ma questo
aooolgonol' idea della bontà divina pi6 o meno,
secondo la disposizione della materia, e però
gli uomini sono di vario ingegno (tv. 67-72).
Se la materia fosse perfette e massima l'in-
fluenza, le creature mostrerebbero tutte l' idea
divina, di cui la natura può dar solo nn'om-
bi» (w. 78-78) : ciò accado quando Dio crea
immediatamente, come fece con Adamo e
Cristo, che furono di perfette sapienza (w.
79-87). Ciò non è in contrasto con quello ohe
io ho detto di Salomone, intendendo che fu
il più sapiente dei re, poiché a Dio chiese
appunto la sapienza dvile, non quella delle
scienze (w. 88-196): le mie parole possono
stare adunque con il tuo giudizio drn la sa-
pienza di Adamo e di Cristo (w. 109-lllì. —
50. U alo dire: non quello che sogue, ma
quello del Piar, x 114. — 61. eoae eeatrt ecc.
perché rispetto al centro tutti i punti della
circonferenza simiU modo m habent (F. N. xii
24), e cosi ogni verìte è riqwtto alla verità
assoluta. — 62. Ciò ecc. Le creature incor-
ruttibili e le corruttibili sono emanasioni di
quell'idea o forma che Dio genera perla sua
bontà nella creazione. — 58. Idea : la forma
« che l' universo a Dio fa simiglianto >, intesa
nel senso spiegato dall' Aquinato con le pa-
role riferite in Par. i 108. — 65. ehé ecc.
poiché la viva luce del Verbo divino, che de-
riva dall'eterno Padre senza separarsi da lui
né dallo Spirito Santo, che con essi forma la
Trinità, per effetto della sua bontà aduna i
suoi raggt, come se questi si specchiassero, in
nove sussistenze, gli ordini angelici càe muo-
vono 1 cieli, conservando eternamente la pro-
pria unità. — Hea : U vb. nuarej che ricorre
sempre in fine di verso (Pur. xv 65, xxiii 79),
è un latinismo, e significa uscire, derivare. —
56. lucente : la fonte della luce, l'eterno Fa-
662
DIVINA COMMEDIA
n
57 da lui, né dall' amor che a lor s'intrea,
per sua bontate il suo raggiare aduna,
quasi specchiato, in nove sussistenze,
60 etemalmente rimanendosi una.
Quindi discende all'ultime potenze
giù d'atto in atto, tanto divenendo
63 che più non £& che brevi contingenze;
e queste contingenze essere intendo
le cose generate, che produce
66 con seme e senza seme il oiel movendo.
La cera di costoro, e chi la duce,
non sta d'un modo, e però sotto il segno
69 ideale poi più e men traluce:
ond'egli avvien eh' un medesimo legno,
secondo specie, meglio e peggio frutta;
72 e voi nascete con diverso ingegno.
Se fosse a punto la cera dedutta
dre, dal qnale nasce U Figlio o la loco d«l
Verbo. — 67. t'iatrea; ai oongiiiiige come
terzo; ò yb. foimato ani nomerale frv, come
inoinqttarH {Par. a iO) ani otfnque, : altrove
(Par, zxvm 120) abbiamo in senso analogo
t'inuma (ofr. Parodi, BulL m 199). — 69.
aoTe ecc. Qaesto ansidstenze sono per la mag-
gior parte del commentatori i nere deli; me-
glio Ott, Land., Dan., Veli, e alooni moderni
intendono i nove cori angelici o delle Intel-
ligente motrici dei deli, per il pieno riscontro
di questo passo con Par. xzxz 142>146, e per
la definizione tomistica della sussistenza, che
è la BuManHa.,. tenundum qwtiptr m miistU,
d non in alio {Summ,f P. I, qn. znx art 2).
— 60. etenalmeate eco. efr. Par, n 188, zxiz
145. — ei. <{«lndl ecc. Per qoesto mezzo,
per le nove MittùfmM, il raggiare della viva
laoe discende giù d'odo in atto^ passando di
delo in dolo (cfir. Par. ii 121 e segg.), sino
alle potenze inferiori, tanto dkenendo^ sino a
diventar tale che non produce più ohe crea-
ture corruttibili. Per la relazione di questo
concetto con le dottrine aristoteliche si ctt,
Moore, I 110. — 68. brevi eonUngense i
cose contingentt e di breve durata, creature
corruttibili : « contingens (cosi Tomm. d*Aq.,
iSumm., P. I, qu. Lxxxvi, art 8) est quod
potest esse et non esse ». — 66. cke prodife
eco. che U moto dei deli produce con seme
0 senza; secondo la teoria esposta in Pwrg.
zxvm 108-117. ~ 67. La cera eoe La mar
toria delle cose generate e l' influenza celeste
che l'avviva variano, e perdo essa materia
risplende più o meno pur essendo sempre in-
formata dal aegno ideala^ dalla luce dell'eterna
idea ; cfr. Otmv. ni 7 : « La divina Bontà in
tutte le cose discende, o altri monti essere non
potrebbono; ma awegna ohe questa bontàsi
muova da semplidssimo prindpio, diversa-
mente si riceve, secondo il più e meno della
loro virtute > ; e anche la nota al I^ar, i 8.
F. Tocco, Oonf, miL n 192, a propoaito di
questi vorsi osserva : < Kon men grave d^
senso nasceva intorno al oontrastato concetto
d' individuazione. Secondo la dottrina della
maggior parte degli aristotelid, tra i quali
san Tommaso e con lui Dante, la diifereinza
tra questo e quell' individuo è data solo dalla
materia, la forma d comune a tutti; ma U è
meglio impressa e qui peggio, secondo la mi-
nore 0 maggior resistenza ohe incontra nella
materia. Quindi le animo, disgiunte dal corpo,
non avrebbero individualità ; il che era re-
dsamente negato dai platonici, la coi sen-
tenza ò che il prindpio più universale sta
nella materia, comune a tutti gli esseri, cosi
spirituali come materiali ». — 70. va mede-
simo ecc. una medesima spedo di piante pro-
duce frutti buoni o cattivi, secondo le parti-
colari condizioni sue. — 72. e vai eoo. e gli
uomini nascono con diverso ingegno : diverto
ò detto tanto per la fona dell' ingegno, che
non d la stessa in tutti gli uomini, quanto
per le varie attitudini degli ingegni aàngoIL
— 78. Se fosse eco. Se k matorìa fosso ela-
borata sino alla perfezione e il delo operasse
in tutta la sua virtù, nelle creature si mani-
festerebbe tutta la looe dell* idea o forma di-
vina : bene n Lana, con un esempio : « Se la
disposizione dd delo fosse a prodooere un
accula, e la materia ftisse a dò disposta,
allora nella detta ocra, doò materia, i^rpa-
rerebbe tutta la forma del suggèllo, cioè
quella virtù celeste ; e sarebbe perfetto agri-
cola ». — a piato: a punto di perfezione.
""■v
PARADISO - CANTO Xm
663
e fosse il cielo in sua virtù suprema,
75 la luce del suggel parrebbe tutta;
ma la natura la dà sempre scema,
similemente operando all'artista,
78 o*ha 1* abito dell'arte e man che trema.
Però, se il caldo amor la chiara vista
della prima virtù dispone e segna,
81 tutta la perfezion quivi s'acquista.
Cosi fu fatta già la terra degna
di tutta l'animai perfezione;
84 cosi fu ùitta la Vergine pregna.
Si ch'io commendo tua opinione;
che l'umana natura mai non fue,
87 né fia, qual fu in quelle due persone.
Or, s'io non procedessi avanti piùe,
* Dunque, come costui fu senza pare?'
90 comincerebber le parole tue;
ma, perché paia ben quel che non pare.
porfettamente. — U Mr» eco. Qaesta im*-
gioe della cera improntata dal sigillo ò fre-
quente in Dante, ohe Tosa pid volte per xen-
dorè ^d perspicui dei oonoetti Ulosoftci (ofr.
P^iy, z d6, xym 88-89, zzxui 79, Par. i
41-42, Tm 127-128 eoa); ed è stato osser-
vato che essa risale assai probabilmente ad
alconi passi di Aristotele (cfr. K Bostagno,
Bulk IX 42). — 74. e fesse ecc. come ò
quando Dio opera immediatamente. — 76. la
Inee eoo. qnella viva kiee del v. 66. — 76.
ma la nainra eoe ma la natora, quale istni-
xnento della creazione (ofr. Par. vin 94), pre-
senta sempre imperfettamente la loco dell'idea
divina, pache opeilt come Tartista, ohe ha la
oognidone dell'arte, ma è impotente a rap-
presentare come vorrebbe i sud concetti:
cfr. Moore, I 164. — scema: incompiuta.—
77. ■ImUeueate ecc. Venturi 840 osserva che
questa similitudine compie il concetto di quella
del Ar. I 127-129 : e Là, all' intenzione del-
l'arte non risponde la materia che è sorda;
qui, non risponde la mano dell'artista ohe è
manchevole. Ha in questa mano che trema si
Torzà egli intendere solamente quella ohe è
resa impotente per naturale infermità? Non
crediamo; e ci pare ohe in essa s' adombri
anco lo sgomento profondo, di cui non vanno
■oevre le anime grandi, come si sa di Lio-
nardo e di Michelangiolo : sgomento che fa
trinaie la mano, ed è alla stanai mente ri-
poso, e spesso umiltà feconda di opere im-
mortali ». — 78. abito dell'arte t disposiziono
all'arte e insieme cognizione di tutte le sue
parti (ofr. ciò che degli àbiti intellettuali Dante
dice nel Ckmv. ni 13). — 79. Però ecc. Scart.:
« Avendo mostrato sin qui che quando Dio
opera mediante lo cause seconde, ossia quando
opera la natura, l'effetto che ne rione non
è mai nella pienesca della sua perfezione,
passa a dimostrare ohe quando Dio opera im-
mediatamente 0 da so, senza valersi delle
cause seconde e della natura, l'effetto ohe ne
riesce è pwfettissimo... Volendo qui esprimere
l'atto creativo unioo, ma al quale concorrono
tutte tre le divine persone (cfr. Bi/1 in 4-6,
Air. zie segg.), d dà in un sol giro di
frase le tre distinte operazioni creative, di-
cendo: Però se lo spirito Santo (tfooido amor)
dispone e segna l' Idea, U Verbo (fai eMara
vista) coli' impronta del Padre onnipotente
(della prima virtù; cfr. Par. zxvi 84), in al-
lora si acquista tutta la perflszione pomibile ».
— 82. Oosf eco. Per atto immediato di Dio
fu creato Adamo, formato di terra ohe cosi
divenne capace della massima perfezione spi-
rituale, e fu dalla Vergine concepito Oesd
Cristo. — 86. eommeado eoe lodo ed ap-
provo la tua opinione (cfr. i w. 87-46), poi-
ché la natura umana non ta. e non sarà mai
cos( perfetta come fri in Adamo e in Cristo.
— 88. Or s'if eoe Se io non aggiungessi
altro, tu avresti ragione di chiedermi come
mai io abbia detto che Salomone fu imwaparet
non fti ancor pareggiato da alcuno di sapienza.
— 91. ma perché eco. ma affinché sia chiaro
ciò che non appare, pensa in quale condi-
zione egli era e la cagione che lo mosse a do-
mandare, allorché Dio gli disse che chiedesse
ciò che voleva. Si riferisce al racconto biblico,
I Ré m 6-10 : « Ed U Signore apparve a Sa-
lomone in Qabaon, di notte, in sogno. E Iddio
gli disso, * Chiedi ciò che tu vuoi che io ti
dia '. £ Salomone disse, . . . . ' Signore Iddio
664
DIVINA COMMEDU
pensa chi era e la cagion che il mosse,
93 quando fu detto : ' Chiedi \ a domandare.
Non ho parlato si che tu non posse
ben veder ch'ei fu re, ohe chiese senno,
96 acciò che re sufficiente fosse;
non per saper lo numero in che ènno
li motor di qua su, o se neeessé
99 con contingente mai neeesse fenno;
non, H eH dare primum motum esse,
o se del mezzo cerchio far si puote
102 triangol si eh' un retto non avesse.
Onde, se ciò ch'io dissi e questo note,
regal prudenza e quel vedere impari,
105 in che lo strai di mia intenzion percote;
e se al ^surse' drizzi gli occhi chiari,
vedrai aver solamente rispetto
108 ai regi, che son molti, e i buon son rari.
Con questa distinzion prendi il mio detto,
e cosi puote star con quel che credi
mio, ta lial ooetltaito re »•, tao Mrvitore
in hiogo di David, mio padro : ed k> sono un
piooiol fimdallo, e non so né uscire né en-
trare. Ed il tuo territore è in meoxo del tuo
popolo, olle tu hai eletto, ohe è un popolo
grande, U quale, per la moltitudine, non ti
pud oontaie né annoTorare. Dà adunque al
tuo eeirTitore un cuore intendente, per giu-
dicare il tuo popolo, per dieoemere tra il bene
e U male ; per dò ohe, ohi potrebbe giudicare
questo tuo popolo, ohe d in oosi gran numero?
£ questo piacque al Signore >. — 94. Hea ho
eoo. Non ho parlato cosi osouratamente ohe tu
non possa, ricordando il racconto biblico, in-
tendere che Salomone essendo re cUeso a Dio
li dono di quella sapienza ohe gli bisognava
a reggere il suo popolo, non già il sapere teo-
logico o fllosoflco 0 matematico. ~ 97. le ■■•
mero eoo. quante sono le Intelligenze motrici
dei deli. È un problema metaflsico accennato
da Dante nel Oom. n 5-6, ore, riferite le
opinioni ohe ebbero in proposito Aristotele,
Platone e altri, oonchinde essere in numero
grandissimo, indeterminato (si otr, io propo-
sito Moore, 1 116 e 168-164). Lo Scart è in er--
Tore trovando nei versi del poema una ritrat-
tazione di Dante rispetto a dò ohe aveva
scrìtto nel Cbnv., perché egli in quest'opera
non cercò di determinare il numero dei mo-
tori colesti, anzi esplicitamente dichiarò non
essere possibile il determinarlo. — 96. se ne-
ceste ecc. se da due premesse, l'una neces-
saria e l'altra oontingonte, si possa trarre una
conseguenza necessaria. È un problema di lo-
gica discusso da Aristotele, AnalU, prior, 1 16,
che oondude negativamente, mentre Platone
aveva rispoeto aiEsrmativamente (cftr. Mootei,
1 117). —100. si est ecc. se è necessario eon-
cedere che esista un moto primo, indipen-
dente da ogni altro moto. Altra questione nK>>
taflsica, già discussa dai filosofi peripatetid
(p. OS. da Aristotele, Firioa vm 1) e dai t»o-
logl cristiani, perché si ricollega oon qaelUt
dell'eternità del mondo. — 101. ae del ■§•«-
ze ecc. se in un semlcerohio d possa inscd-
vere un triangolo che non da rettangolo.
— 108. Onde ecc. Da che, se paragoni ciò che
ho detto prima (Par, x 114Xe dò ohe ho detto
ora (w. 96 e segg.), tu impari, vieni a cono-
scer la rtgal pmddHxa e quel etdare, cui anodo
io, vieni a intendere doè che q%isl vedere di
cui parlai e la regal prudenza di Salomone
sono una sola cosa. — 106. e ae al sarae
ecc. e se badi attentamente alla parola nirss
da me usata, vedrai ohe può rlferird sola-
mente al re (che s* innalzano sopra i sudditi) ;
e inCstti intesi di dir ohe Salomone fti il pìd
sapiente fra i re, non in generale fra gli no-
mini. — 106. ehe som metti eoe. Tanto rari
sono i buoni re che nessuno di sapienza d*
vile ha mai pareggiato Salomone. Dante par-
lava con la mente d principi del suo tempo,
dei quali poi descrisse i dispregi nd Air. zxx
115 e segg. — 109. Coi fveit» «co. Prandi
le mie parole (del I\ur. x 114) fooendo questa
distinzione, tra uomini rivestiti della raitìa
autorità e uomini oomuni, e cod vedrai oome
s'accordino oon la tua opinione drca la sa-
pienza di Adamo e di Cristo. — 110. e coaf
eco. È quasi ia spiegazione dd w. 60-51. —
PARADISO - CANTO XIH
665
111 del primo padre e del nostro diletto.
£ questo ti sia sempre piombo ai piedi,
per farti mover lento, com* aom lasso,
114 ed al si ed al no, ohe tu non Tedi:
che quegli ò tra gli stolti bene abbasso,
che senza distinzion afferma o nega,
117 nelPun cosi come nell'altro passo;
perch* egP incontra che più volte piega
l'opinion corrente in falsa parte,
120 e poi l'affetto lo intelletto lega.
Vie più che indamo da riva si parte,
perché non toma tal qual ei si move,
123 chi pesca per lo vero e non ha l'arte;
e di ciò sono al mondo aperte prove
111. Mftro dU«tt«t Cristo, ooal detto dal-
r«vaiigelista Matteo m 17 e da mi Paolo,
S^. agU Efmi i 6. — 112. K qiatto eoo.
Ghiazito onnai il dubbio di Danto, Tommaso
d'Aquino aggiunge un arrertimento dica la
oonTonienza di procedora tontamonto nel tai
giudizio delle ooie osoue, ralle quali non bi-
sogna pronnnziani in un senso o in un altro,
Bonza prima avenie fittto z^osato e calmo
esame. Danto non tk altro che espone sotto
altra fonna rammaeetramento srolto da Q.
OninizeUinel funoso sonetto < Omo oh' ò sag-
gio non ooixe leggero >, che fb assai divul-
gato nel dogento e nel trecento e rìproso, nel
suo concetto fondamentale, da altri poeti (c£r.
ì2mìm ddpodi botcgn,, ed. cit. p. 40,818). —
qnesto ecc. questo esempio, del prócipitoso
gìodizio da to £atto delle mie parole, ti rat-
tenga per Tavreniie dal giadicaro alla lesta
eoe — 113. €•■' nt m lasso : la stessa simì-
litadine ò, in senso materiale, in ^t/l xzxit 83.
— 114. ed al sf eoe. quando non ò ben chiaro
se si debba rispondere affermatiTamento o ne-
gatÌTamento. — 115. thè f negli eco. poichó
si può dire stoltissimo, disceso all' ultimo grado
della stoltezza, colni che tanto nel caso di af-
fermare, quanto in quello di negare afferma
o nega senza prima fare le necessarie distia-
doni. — 116. senza distinzion s la distinzione
tra i ossi in eoi una stessa proposizione pnò
essere vera e quelli in cui può esser falsa d
neoessariaperlsre retti giudizi ; chi non bada
a questo distinzione, avrento giudizi scon-
sideiati, sia ohe affermi, sia che neghi una
qualsiasi proposizione, die dato certo condi-
zioni sia vera, dato certo altre sia falsa. —
117. passo : conservando il traslato, àìoe passo
Tatto del dir si o no, l'affermare e il negare.
US. perch' egl* Incentra ecc. perché accade
die spesso il giudizio predpitoso, non pondo-
rato, è ammeo, e poi l'amore della propria
opinione impedisce all'intelletto di discemere
il vero. Cosi intondono la maggior parto dei
conmentatMi : altri invece, come Dan., Vent,
Biag., Blane ecc. seguendo il VelL spiegano
opbtion mrrmU per opinion» soimms, opinione
dei idù, verso la quale 1' u<nno d di sua na-
tura inclinato; ma non pare ohe questo spie-
gazione risponda al concetto dantesco, andie
psfohé distougge l'antitesi col mover tonto del
T. 113. Bene il Buti, se anche con troppe
parole: «L'opinione oorrento, ohe non si
ferma a distinguere, pM volto piega, a falsa
parto che a la vera parto ; e la cagione si è
che de le cose non certo 6 opinione, imperò
che de le certo è sdenzia, e quando l'opi-
nione si dirizza a la verità non è pld opi-
nione, imperò ohe divento sdenzia: s( die,
stanto l'opinione che ò credere ohe cosi sia
senza certezza, piega lo 'ntolletto a la falsità,
perché a la verità non adiunge e però pie-
gasi a quel che crede essor vero ». — 120.
l'affètte ecc. la predilezione naturale che cia-
scuno ha per il proprio giudizio tiene l' in-
tolletto nell'errore, gì' impedisce di discernere
la verità; cfr. Cicerone, Aoad, iv : « Nihil est
turpius quam cognitioni et perceptioni affeo-
tionem approbationemque praecuirere». —
121. Tle |dtf ecc. Si costruisca: Ohi pesca
per lo vero e non ha l'arte ei parte da riva vie
pvi ohe indamo, perché non toma tal qual ei
8i moM, cioè chi si pone alla ricerca della
verità, senza poosedere n metodo, l'arto del-
l'acquistare il sapere, si metto in un'opera
più che inutile, dannosa, poichó giunto alla
fine, non solo non avrà conceduto il vero,
ma si troverà involto nell'errore. La simìlito-
dlne, non tratto a compiuto sviluppo, ò tolto
dall'jarto del pescatore, senza la cognizione
della quale chi si avventura in mare non so-
lamento non torna carico di pescagione, ma
ha perduto il suo tompo e ne prova ramma-
rico. — 124. al mende eoo. manifesti esempi
agli uomini : ra questi esempi si veda Moore,
666
DIVINA COMMEDIA
Parmenide, Melisso, Brisso e molti
12G i quali andavano, e non sapean dove:
si fé' Sabellio ed Amo e quelli stolti,
ohe furon oome spade alle scritture
1*29 in render torti li diritti voltL
Non sien le genti ancor troppo sicure
a giudicar, si come quei che stima
132 le biade in campo pria che sien mature:
ch'io ho veduto tutto il verno prima
il prun mostrarsi rigido e feroce,
135 poscia portar la rosa in su la cima;
e legno vidi già dritto e veloce
correr lo mar per tujbto suo cammino,
188 perire al fine all'entrar della foce.
I U7. — 125. PAmeidde: flloMfo ele*-
tloo, discepolo di Senofane : floii nella prima
metà dol y leo. tu 0., foiisse poemi didasca-
lici e con lottili nfiooamenti toitenera dne
toU elomenti oostitoire il mondO| doè il Aiooo
e la terra, e il fole essere principio di tatte
le cose : étt. Diogene Laerzio, oc 21-28. —
■ellsso: altro filosofo eleatloo, discepolo di
Parmenide, rissato intomo alla metà del t seo.
a. C; ofir. Diog. Laersio, ix 24. Dante nel D$
mon, m i lo ricorda insiome ool maestro tra
i filosofi, ai qnali Aristotele apponeva di er-
rare sia nella forma, sia nella sostanta delle
argomentaslonL — Brlsst t Brison, figlio di
Eroderò, nacque in Eraclea e diventò ftunoso
per essere stato dei più tenaci ricercatori della
quadratura del droolo; cfir. Aristotele AnalU.
Potter. I 9. ^ f Mf IH eoe. e molti altri filo-
sofi, ohe crearono teoriche e dottrine, senza
fondamento di yerità, e però furono oome 1
ciechi ohe camminano senza saper dove ranno.
— 127. SabelUet nato a Pentapoli in Africa,
al principio del m secolo d. 0., ta autore di
una dottrina eretica fondata sulla negazione
della Trinità e condannata nel concilio d'Ales-
sandria deU'a. 261: mori nel 266 circa. —
Arrlo : Ario, altro promotore di eresie, nato
nella Libia Terso il 280 d. 0. e morto a Co-
stantinopoli nel 886: le sue dottrine sulle
persone della Trinità furono oondannate nel
concilio di Nicea del 825. — fieli! stetti eco.
tutti quelli stoltissimi oppugnatori della fede
cristiana, i quali oon false interpretazioni dei
libri biblici ne fìidsarono agli occhi dei er»'
denti le dottrine. — 128. faroa come ecc.
fecer come le spade, che siterano, rendono
torti, gli aspetti naturaU, U dkitU voUi, di
coloro che si specchiano nello lucide lame.
Cosi intesero i commentatori, sino al Lomb.,
il quale iti poi seguito dalla maggior parto
dei moderni nello spiegare : fecero corno spade
nel mutilare le scritture sacre e con tale mu-
tllaziene Ikrle apparire fkToreroIi agfi efrocl
che eese inrece condannano: ma è un' intera
protezione stentata e falsa. — 180. He« sl*a
eoe Tommaso d'Aquino dà a Dante un altro
ammaestramento, dicendo ohe gli uomini de-
Tono astenersi dal dare giudizio drca la dan-
nazione 0 la salute delle anime altrui. Que-
sto avvertimento, che già ò in germe nella
bibbia (Paolo, I J^. ot Oorinti iz 5 : « Kob
giudicate di nulla innanzi al tempo » ; Iacopo,
JSpiat. IV 11 : « Ma tu chi sei, ohe tu giu-
dichi altrui?»), è esposto pid generalmente
nel Oonc. iv 15 : « Sono molti tanto presun-
tuosi ohe si credono tutto sapera; e per qne>
sto le non certe cose afiìBrmano per certe :
lo qual vizio Tullio massimamente abbondna
nel primo degli UffM, e Tommaso nel suo
Oontra gmUiU dicendo : * Sono molti, tanto di
loro ingegno presuntuosi, che credono ool suo
intelletto potere misurare tutte le oooe, sti-
mando tutto vero queUo die a loro pare, e
falso quello ohe a loro non pare ' ». — IBI.
•ome eoe come colui ohe fa il :>Tezzo alle
biade che sono ancora nel campo, prima che
Siene giunte a maturità. ~ 188. ck*le ecc.
poiché l'apparenza inganna tanto ohe io ho
visto w%pnmOf una pianta spinosa, mostrarsi
pungente e selvaggio per tutto l' inverno e
poi nella primavera produrre delle rose. —
134. rigido e feroce: Venturi 827: « I due
epiteti fan pifi viva l'antitesi delle punte sel-
vatiche ed aspre del pruno oon la roea geo-
tile ». L' imagine del pruno e della rosa ò
frequente nei nostri rimatori idfi antichi (cfir.
D'Ano, n 409, lY 188, 287, 839 eoe). —
136. e legno eoo. e vidi deOe navi die dopo
aver veleggiato fdioemente e velocemente
per tutto il loro viaggio affondarono ali* en-
trare in porto. È un' imagine, die trovasi
già nei rimatori più antidii di Dante, p. es.
in Monte Andrea di Firenze (D'Ano, HI 213):
« Di che nave talora giunta a porto, Di
PARADISO - CANTO XHI
667
Non creda donna Berta o ser Martino
per vedere un furare, altro offeròre,
vedergli dentro al consiglio divino;
142 che quel può surgere, e quel può cadere ».
gnu tempesta pére, e va a fondo >, e speaso
poi nei poeti posteriori (Poliziano, Open voi-
garl, baU. xti; L. Pald, Morg, zzr 276, T.
Tasao, Oar. xi 84 eoo.)* — 189. Hon creda
eco. Non credano gli ii(»nini e le donne Tol-
gali, vedendo un tale dato al mbare, e un
altro A opere di divozione, conoscere il giu-
dizio dÌTino rispetto a quei doe, conoscere
che il primo sarà dannato e il secondo beato;
perché il ladro può salvarsi, il religioao in-
vece può perdersL ~ dosBa Berta eoo. Que-
sti noni doverano essere al tempo di Dante
osati oomnnemente a indicare donne e nomini
da pooo, che volessero dir la loro opinione e
sputar sentenze su ogni cosa; e la prova Tab-
bìamo in un passo di I. Passavanti, Specchii)
di tera peniUnx<tf dist vm, cap. 5, ove si
legge : < De' sogni, che sono dal dolo, dee
dalla influenzia delle stelle e dellepianete,e
dalla disposidono e impressione degli elementi,
se sorto buoni filosofi naturali e buoni astro-
laglii, possono ùa buona interpretazione, ma
e' sono ben pochi que' ootali. E quelli cotanti,
che bene sanno, più dubiterebbono die gli
altri di giudicare, temendo di non errare, che
non farebbono coloro ohe pooo sanno. Onde
Ber Martino daWaia é donna Berta dal muUno
pi6 arditamente si mettono ad interpretare i
sogni, che non farebbe Socrate e Aristotele,
maestri sovrani della naturale filosofia >. An-
che nel Obne. x 8 Dante usa cotesto nome
Martino in luogo d* una dodgnazione generica,
ma par che sia senza alcuna idea di sprezzo.
— 140. eDerèret dErire, fare demosina in
chiesa; cfr. Par. v 60. — 14L vedergli eoo.
vederli giudicati, vedere quale giudizio ne tao-
da Dio nella profonditi dd suo condglio ; cfr.
Boezio, Con», PhU, it 6 : « De hoc, quem tu
iustisdmum et aequi servantissimum putas,
omniasdenti providentiae diversum yidetur >,
e Dante stesso, Cbnv. iv 6 : < 0 istoltissime
e vilissime bestiuole ohe a guisa d' uomini
pascete, che presumete contro a nostra fede
parlare e vdete sapere, filando e zappando,
dò che Iddio con tanta provvidenza ha ordi-
nato 1 maledetti siate voi e la vostra presun-
zione ! ». — 142. fisi ecc. V uno, il ladro,
pud col pentimento rialzarsi e acquistare la
grazia dd Signore : Taltro, il pio, può Cadore
in peccato e perdere la edule dell'anima. Ott:
< San Brandano fa sommo ladrone, e pd per
le finali opere piacque a Dio ; cosi san Paulo,
e molti altri: ed U Lucifero ta. il pi6 bello
ddle creature angeliche, e cadde, per la sua
superbia, di ddo in tenebre eterne; e Giuda
fu quello discepolo a cui Cristo commise il
camarlingato e cadde, come ò manifesto ».
CANTO XIV
A richiesta di Beatrice, una delle anime espone che lo splendore dei
beati sarà più viro dopo la risurrezione dei corpi ; poi Beatrice e Dante sal-
gono al quinto cielo, quello di Marte, nel quale appariscono disposti in forma
di croce luminosa le anime di coloro che pugnarono per la religione di
Cristo [14 aprile, ore antimeridiane].
Dal centro al cerchio, e si dal cerchio al centro,
movesi l'acqua in un ritondo vaso,
8 secondo eh' è percossa fuori o dentro.
Nella mia mente fé' sùbito caso
XrV 1. Bai centro eco. Sinora ha parlato
Tommaso d'Aquino, che sta nella jaima co-
rona dd beati ; or prende a parlare Beatrice,
che è nd centro Indeme con Dante : al poeta
il morimento della voce dell' Aquinate verso
il centro e il morimento della voce deUa sua
donna verso la corona dei boati richiamano
dia mente i movimenti inverd dell' acqua in
un vaeo circolare ; la qude, se il vaso ò por-
cosso esternamente, d muove in drcoli die
via via diminuiscono dall'estremità verso il
centro, e se invece sia essa percossa nell'in-
terno dd vaso d muove in drcoli che via via
ingrandiscono dd centro verso l'estremità.
Si noti che dal eerUro al eerofUo risponde a
percossa dentro; dal oerehio al emirot a per-
cossa fuori, — 8. percossa : perché l'dfetto
ò sempre risentito dall'acqua anche se non
questa, ma il vaso sia percosso esternamente.
— 4. MeUa mU eoo. Questo effètto d'in-
668
DIVINA COMMEDIA
questo ch'io dico, si come si tacque
6 la gloriosa vita di Tommaso,
per la similitudine che nacque
del suo parlare e di quel di Beatrice,
9 a cui si cominciar, dopo lui, piacque:
« A costui & mestieri, e no '1 vi dice
né con la voce né pensando ancora,
12 d*un altro vero andare alla radice.
Ditegli se la luce, onde s'infiora
vostra sustanzia, rimarrà con voi
15 eternamente si com'ella è ora;
e, se rimane, dite come, poi
che sarete visibili ri£atti,
18 esser potrà ch'ai veder non vi nói >•
Come da più letizia pinti e tratti
alla fiata quei che vanno a ròta
21 levan la voce e rallegi-ano gli atti,
cosi all'orazion pronta e devota
reno moTimento dell' acqiia nel tuo mi s'af-
facciò labito al pensiero per la oonformità
con l'inreisa direzione drà parlare, appena
ohe tacintoei Tommaso prese a discorrere
Beatrice. — fé* idklto ecc. Quasi tatti com-
mentatori spiegano coso per oadnta, si ohe
ftf COBO Tonrebbe dire cadde (cfir. Monti, Pro-
pofta, roL I, parte n, pp. 144 e segg.); ^
antidìi per altro par die intendessero on
po' diTorsamente, massime l' Ott che spiega :
« feoe sùbito caso, dod dedusse in volere sa-
pere », o in altri termini, feoe impressione,
SQsdtò on dubbio. Il senso ò manifestamente
quello veduto dai piò ; ma certo l'espressione
è poco perspicua. — 6. tIU : cfr. Par, xx 7.
-~ 7. per la ecc. porche, allo stesso modo
dell'acqua, il discorso, che con Tommaso
s' era volto dalla corona al centro, con Bea-
trice si indirizzò dal centro alla corona dei
beati. — 9. a cai ecc. Beatrice parla per
esporre ai beati il dubbio nascente in Dante
circa l'intensità del loro splendore dopo la
risurrezione dei corpi e la possibilità che gli
occhi corporei sostengano tanta luce. È una
questione trattata dagli scolastici, della quale
Dante era informato per dò che ne scrive
l'Aquinate, Summ, F. Ili, suppl., qu. lxzxv,
art. 1-4; ove si dimostra che i corpi dei
beati saranno laminosi dopo la risonezione,
e saranno più o meno luminosi secondo il .
maggiore o minor merito dell'anima, ti che
« in corpore glorioso cognoscetur gloria ani-
mae, sicut in vitro cognosdtur color oorporis
quod oontinetur in vaso vitreo > ; e quanto
al secondo punto della questione, si oondode
che potranno gli occhi sopportare tal looe,
perdio « magnitodo daritaiii In papilla ■»-
gis £M>iet ad aoamen visus qoaa ad eios ie-
fectum ». — 10. A eeitai eo& ▲ Dani» im-
porta di oonoaoere a fondo un'altea Tariti,
sebbene egli non ve lo dica né anootm abbia
nettamente formolato nel suo pensiero 11 dub-
bio che or gli sorge. — 18. Ute^ eoo. Pri-
ma domanda : ae la luce, onde sono adooiata
le anime beate, resterà tale in etemo. — 16.
e se rUiane eoo. Seconda domanda: se la
luoe rimarrà tale, come potrà esaer ohe, al-
lorquando le anime avranno ripreso i laro
corpi, non offenda loro la vista. — 17. tm-
rete eco. dascuno avrà ripigliate « aoa carne
e sua figura > {Inf, vi 98), nel giorno del
giudizio univexùle. — 18. ael : cfir. Inf. xxm
16, I\irg. TX 87 eco. ; ma qui ò in senso stret-
tamente flsieo (cfir. affcMeamé del v. 68). —
19. CoaM te pM eoo. Come accade nel baDo,
che spinti e trascinati da letizia maggiore
della solita tatti i danzatori insieme contano
con più vìvadtà e fiumo segno d' allegrezza
coi loro atteggiamenti. È una simUitadine
che si ricollega con quella del Pnar, x 79-81,
dipingendo con vivissimi tratti un' altra eoena
di danza, il momento dod in cui i danaatorì
ecdtati dalle parole della ballata esprinionti
un sentimento più lieto o un penaieso di ma^
gior interesse cantano e ai muovono oon pid
vivadtà, per dimostrasione deDa loco leti^
» 20. alla iato: talvolta (ofr. Parodi, BuU.
m 146 e Barbi, ivi X 6); eoomaaoato è
spiegato nd senso di insiem
tempo, à la fai», — vasne a rota:
in giro ; cfr. Pofr. x 146, zzv 107. — 22. oasi
ecc. in tal modo alla pronta o rispettosa in-
PARADISO - CANTO XIV
669
li santi cerchi mostrar nuova gioia
24 nel tornear e nella mira nota.
Qual si lamenta perché qni si moia,
per viver colà su, non vide quive
27 lo refrigerio dell* etema ploia»
Quell'uno e due e tre che sempre vive,
e regna sempre in tre e due e uno,
80 non ciroonsoritto, e tutto circonscrive,
tre volte era cantato da ciascuno
di quegli spirti con tal melodia
83 eh' ad ogni merto saria giusto mono.
Ed io udì' nella luce più dia
del minor jsrchio una voce modesta,
86 forse qual fu dall'angelo a Maria,
risponder: < Quanto fia lunga la festa
tenogftzione di Beatrice le dae oorone di
beati feoer dimoetraiione di naova allegrezia,
movendosi in rapido giro e cantando mirabil-
mente. ~ 38. Beo?» gleUt ofr. Par, ym
46-48. — 34. ttiveare t maorersi in giro con
rivaeità, come nella danza. ~ mirai mira-
bile; qui è detto del canto dei beati, come
attróre sempre di cose o persone divino (Rir.
jarr 86, zznn S8, xxx 68). — 25. <{aal eco.
Oli si lamenta perché mnóiono al mondo gli
nomini merlteroli dell'eterna rita non ha
mai considerato la felioità che nasce dalla
graxia dirina. Goci mi par da intenderò con
roti., ohe chiosa : e ehi qua giti piange quando
di questa misera vita si parto alcuno, li coi
atti ragionerohnente sieno giudicati giusti *
eco.; gli altri interpreti non distinguono le
persone che si lamentano da quelle che !»•
sdaiio la terra per salire alla beatitudine ce-
leeta, le quaK ultime naturalmente non pos-
eono esser quelle die non riderò, non con-
siderarono io refrigerio ecc. ~ 27. Peteraa
flelat come in Bear, xxiv 91 e la larga ploia
dello Spirito Santo», è la grazia dell'eterno
Dio die si diffonde sui beati faeondoli lieti
4'ineAabile gioia. Quanto alla forma, pMa è
dal lat. pktriay per l' intermezzo del frane.
fkri» e del pror. fUoja (Zing. ISl, Parodi,
BmO. m 100). — 28. QueU* ubo ecc. Lomb. :
e Qoell' uno ohe sempre rive e regna in tre
(doè quell'uno Dio ohe Tirerà e regnerà
eempTO in tre Persone); quel due che rire
sempre e regna in due (quello dì due nature
dirina e umana, Gesù Cristo, che nelle me-
desime rirerà e regnerà eternamente) ; quel
tre che rire sempre e regna in uno (quelle
txe dirine persone che rireranno e regne-
ranno sempre in unità di natura) > . È la mi-
glior chiosa, perché mette in eridenza il pa-
rallelismo simmetrico delle espressioni usate
da Dante per significare la Trinità. — 80.
BOB eircoBserltte eoe. cfr. Purg, xi 2. «
81. tre TolU ecc. Gli spiriti beati delle due
corone cantarono per tre rolte una lode alla
Trinità, forse U Gloria patri d fiiio d tpkritui
sanato della liturgia cristiana. — 88. eh*ad
egal eco. che sarebbe stata degna ricom-
pensa a qualsiroglia merito. — mnae: lati-
nismo, da «mm», dono, remunerazione. —
84. Bella Inet eoo. L'anima che ora prende
a parlare è, secondo tutti 1 commentatori,
quella di Salomone, arrolta nella hue più
beltà (Bir, x 109) delle dodid che formarano
la prima corona di beati. Dall'opinione co-
mune s' allontana il Land, scrirendo : e Que-
sta roce finge il poeta ohe fosse del Maestro
delle sentenze [Pietro Lombardo, cfir. Pur, x
107], perché inrero qui solre questo dubbio
nella forma che il Alacstro delle sentenze lo
solve nel suo quarto libro». E reramente
non s' intende, perché di una questione teo->
logica sia introdotto a parlar Salomone, se
non s'ammette con lo Scart. che sia bello
e artifizio poetico il ùa parlare noli' eternità
in modo s( sublime dei misterii della risur-
rezione chi nel tempo parlò qud linguaggio
soettico che si legge negli ultimi rersi del
cap. m àéìV Eeelesiastej il cui autore erede-
rasi Salomone ». — dia : dira, dirina, e per-
do luminosa, splendente ; come in Par, xxni
107, xxn 10. — 86. forse eco. forse comò
fti la roce che mosse dalla bocca dell'angelo
Gabriello quando salutò la Vorgine, dicendo :
Ave Maria ecc. cf^. Purg. x 40. Venturi 646 :
e Soare concetto in Boarissime parole ». —
87. risponder ecc. La risposta dell'anima
beata allo domande fatte per Dante da Bea-
trice ò conforme alla dottrina tomistica già
richiamata nella nota al r. 9. Dice quell'a-
nima: La nostra luce durerà eternamente,
con intensità proporzionata al merito di da-
scuno (jr, 87-42): dopo la resurrezione dd
670
DIVINA COMMEDIA
89
42
45
43
51
54
di paradiso, tanto il nostro amore
si raggerà d'intorno cotal vesta.
La sua chiarezza seguirà l'ardore,
l'ardor la visione, e quella è tanta,
quanta ha di grazia sopra il suo valore.
Come la carne gloriosa e santa
fia rivestita, la nostra peraona
più grata fia per esser tutta quanta;
per che s'accrescerà ciò che ne dona
di gratuito lume il sommo bene,
lume eh' a lui veder ne condiziona:
onde la vision crescer conviene,
crescer l'ardor che di quella s'accende,
crescer lo raggio che da esso viene.
Ma si come carhon, ohe fiamma rende,
e per vivo candor quella soperchia,
si che la sua parvenza si difende.
corpi noi saramo in uno stato di maggior
grazia, perdo zisplenderemo di più vira Inoe
(4S-51) ; e ciò non impedirà la Tiata del corpi
glorìoai, né i nostri occhi saranno incapaci
di mirare cosi grande splendore (w. 62-
60). — Qvaato Ha ecc. Per quanto durerà
la beatitudine del paradiso, cioò eternamente,
tanto oontìnnerà la nostra carità a manire-
starsi nello splendore ondo siamo circonftisL
— 40. La ina ecc. Lo splendore procede dal-
l'ardore di carità, e questo dalla visione o
cognizione di Dio; e questa cognizione ò
proporzionata alla grazia concessa al merito
indiyiduale : che vuol dire che la luce dei
beati ò maggiore o minore secondo il merito
di ciascuno ; cfr. Pwrg, xy 70 e segg. — 43.
Come ecc. Quando nella risurrezione ciascuna
di noi avrà rirestito il corpo glorificato e
santificato, la nostra persona essendo nella
saa integrità sarà pi& perfetta, sarà in quello
stato in cui pia MmU il b&né (Inf. vi 106).
Dante qui e nel cit. luogo dell'In^, si rife-
risce alle dottrine di Tommaso d'Aquino, il
quale teneva in generale {Sumnt. P. I, qu.
xc, art. 4) che l' anima e cum sit pars hu-
manae natorae, non habet natnralem perfe-
ctionem, nisi secunduro quod est oorpori uni-
ta >, e in particolare poi^ per ciò che riguarda
la fruizione della beatitudine, poneva dopo
lunga dimostrazione {Summ. P. 1 2^, qa. iv,
art. 6), che e corpore resumpto beatitudo cre-
8cit9. — 45. pltf grata Ila: sarà in uno
stato di maggior perfezione ; non più cara a
Dio, 0 più cara all'anima stessa, come in-
tendono molti commentatori. — 46. per che
ecc. per la quale perfezione si accroscerà ciò
che Dio ci dona ^t gratuito (urne, vale a dire
la grazia divina a noi concessa sarà mag-
giore. — 48. !•■• eoOb la qual graiia d
mette in condizione di vedane Iddio, ò fonte
della cognizione di Dio. — 49. «adt eoe. e
eoe! con la grazia oresoerà la oogniriona di
Dio, con la cognizione l'ardore di carità die
da quella procede, e oon l'ardore di carità
la luoe che ne è emanazione. Biflt, par dir
oosi, li cammino peroono innanzi ; onde aono
da paragonare i w. 40-42 eoi vr. 43-61, in
quanto al valore del v. 42 oonisponde lo
stato di perfezione descritto nei tv. 43-45,
alla graxia del v. 42 U grakàto hmm dai w.
47-48, aUa «inona del v. 41 U Im «sder e U
vinone dei w. 48-49, all'ardori dei w. 40-41
quello del v. 60, e finalmente alla dùamuia
del V. 40 io raggio del v. 61: parallelismo
manifesto, ohe qui era opportono a ribaJirs
nella mente del lettore i successivi trapassi
da una a un' altra delle idee eepresae. ~ 62.
si eoaie eco. come il carbone che produce la
fiamma la vince di intensità luminosa, si che
pur in mezzo alla fiamma mantiene la sna
apparenza, continua a esser visibile. La si-
militudine, che a torto U Venturi 83 dice
e non spiegata con locurione felice», rende
assai bene il concetto di Dante, circa la lu-
minosa parvenza dei corpi glorificati, la quale
sarà tale da vincere la luce che drconfonda
le anime: Tommaso d'Aquino (ott. nota al
V. 9) si valse a questo proposito della simi-
litudine del vaso di vetro; ma già, nello
stosso luogo, egli espresse il suo pensiero
con imagini che possono aver soggerito la
comparazione della fiamma a Dante: « Omne
corpus laddum oocoltat (cosi l'Aquinate) il-
lad quod est post se : unde unum luminare
post aliud edipsatur; fiamma etiam ignis
prohlbet videri quod est post se. Sed ooxpora
PARADISO - CANTO XIV
671
cosi questo fulgor, ohe già ne cerchia,
fia vinto in apparenza dalla carne
67 che tutto di la terra ricoperchia;
né potrà tanta luce affaticame,
che gli organi del corpo saran fòrti
60 a tutto ciò che potrà dilettarne >.
Tanto mi parver sùbiti ed accorti
e l'uno e l'altro coro a dicer : « Amme >,
63 che ben mostrar disio dei corpi morti.;
forse non pur per lor, ma per le mamme,
per li padri e per gli altri, che fOLr caii
€6 anzi che fosser sempiterne fiamme.
Ed ecco intomo, di chiarezza pari,
nascere un lustro sopra quel che v'era,
69 a guisa d'orizzonte che rischiari:
e si come al salir di prima sera
comincian per lo ciel nuove parvenze,
72 si che la vista pare e non par vera;
parvenu li novelle sussistenze
cominciar a vedere, e fare un giro
75 dì fuor dall'altre due circonferenze.
gloriosa non occnltabnnt illnd qnod intra ea
oontinetiir >. — 66. cotC qveito eoo. cod la
carne doi nostri corpi rincora in apparmxay
di splendore, il fulgore onde noi siamo ora
circonftise: e cosi apparirà la sembianza cor-
porea sttrayerso la laminosa emanazione della
carità. — 67. ehe tatto eco. la qnale è an-
cora sepolta in terra. — 68. né potrà eoo.
né tanta luce, qnanta sarà qneUa delle no-
stre persone, potrà offendere i nostri occhi,
perchó gli organi sensitiri saranno idonei a
percepire tatto qaello ehe possa esserci ca-
gione di beatitadine. — 61. TaBto eco. Le
anime beate delle due corone furono tanto
pronte e arredate a manifestare la loro ap-
proyazione, dicendo amen o cosi sia, che ben
mostrarono il tìto desiderio di ricongiongorsi
coi loro corpi. — 62. Amme: rìdarione po-
polare toscana dell' omm, asato nelle pre-
ghiere cristiane come esclamarione ilnale di
approradone. Boti : e amm» dice lo volgare,
ma la grammatica dice amen > ; Ott. : e !o
qoale amen importa qoi tre signiUcati : af-
ferma il detto di Salomone, desidera perfe-
zione, comunica con U beati allegrezza *» —
6A. forte eco. forse non solamente per so
stessi, ma per le madri e per i padri loro, e
per tatto le altre persone care, parenti ed
amid, amate da questi beati prima ch'essi
salissero alla gloria del paradiso. — 66. seai-
pitene llamme: splendori ohe dorenumo
cqaaoto la festa di paradiso 9 (t. 87). —
67. K4 eeeo eoe. Improvrisamente una la-
minosa corona di beati, di ohiarexxa pari^ In
ogni saa parte rilacente di pari splendore, ti
forma al di tosai delle dae corone preceden-
temente apparse. Sono le altre anime di teo-
logi del dedo del Sole, delle quali Dante non
fk distinta menrione, limitandosi a dire come
gli si mostrassero mentre egli era per abban-
donar quella sfera, disposte in piti ampio cir-
colo intomo alle due corone prindpaU. —
68. ■■ lastro: una luce diffusa per largo
spario {att, Purg, xxdc 16). Primo il Lomb.,
segufto da pochi commentatori, intese che
questo splendore nuovo fosso la luce del pia-
neta Marte, cui Dante s'avvicinasse: erro-
neamente, come mostrano 1 w. 78-76, e per-
chó l'ascensione in Marte è accennata pur
nd w. 82 e segg. — 69. a guisa eco. come
la luce ohe ri diffonde e rischiara l'orizzonte
innanri al sorgere del sole: la similitudine,
d noti, serve a chiarire quale fosse quel hk"
8tr0y non l'atto della sua apparirione. — 70.
t s( come eco. e come al prindpio della sera
incominciano a mostrard nuove stelle, ma
per la luce solare che tuttora resta sull'oriz-
zonte non si vedono ancora distintamente,
sembrano apparire e poi scomparire. — 72.
pare ecc. cfr. Puiy. vn 12. — 78. parveml
eco. mi sembrò d' incomindare a vedere H^
in quel huirot in quella luce diffusa, novelle
eussistenxet altre anime beate, e formare al
di fuori delle due prime corone una terza
ghirlanda. — sasslsteasex cfr. Par, xm 59.
— 76. elreoafereaze t i due gruppi delle
672
DIVINA COMMEDIA
0 vero isfavillar del santo spiro,
come si fece sùbito e candente
78 agli occhi miei, che Tinti non soffrirò I
Ma Beatrice si bella e rìdente
mi si mostrò, che tra quelle vedute
81 si vuol lasciar che non seguir la mente.
Quindi ripreaer gli occhi miei virtute
a rilevarsi, e vidimi translato
84 sol con mia donna in più. alta salute.
Ben m*accors'io ch'io era più levato,
per l'affocato riso della stella,
87 che mi parea più roggio che l'usato.
Con tutto il core, e con quella &vella
eh' è una in tutti, a Dio feci olocausto,
90 qual convenlasi alla grasia novella;
e non er'anoo del mio petto esausto
Tentiqtuittro anime disposte in dne cerchi
intorno a Dante e dette perciò ooron»y ghir»
kmdé, — 76. 0 Tero ecc. 0 veraoe splen-
dore dello Spirito Santo I oome apparve im-
proyyiflo e infocato ai miei occhi, i quali,
vinti dalla grande e sùbita laoe, non ne so-
stennero l'impressione. -^ 79. Ma Bealriee
ecc. Ma io Tolgendo gli occhi a Beatrice, la
vidi cosi bella e sorridente di nuova gioia e
di naoTa Ince, che l'impressione è indicibile
e poro dere esser lasciata con le altre appa-
rizioni che non si impressero nella mia mente,
che io non posso ricordare. Questo nnoro
splendore di Beatrice è, al solito, il segno
dell' asoonsione incominciata Terso il cielo
superiore, quello di Marte : c&. Par. ▼ 94,
TU] 15. — 80. che tra qoelle eco. Land. :
e accrebbe la belletza ed il gaudio tanto in
Beatrice che il poeta non lo pud esprimere,
e per questo lo lascia tra quelle Tedute cose,
ohe non seguono, anzi abbandonano la mente,
quando le Tuole doscrivere >. — 82. Qalndl
ecc. Guardando in Beatrice i miei occhi rii
presero rigore a fissarsi nuoTamente ai ciel-
luminod. Alcuni pochi commentatori, riferen-
dosi al Pur, xzm 47-Ì8, intendono il quindi
un po' diversamente : non già dal contemplare
Beatrice, ma dalla forza fisica e che acquista-
rono realmente gli occhi suoi a sostener quella
luce dopo aTerne una maggiore sofferta > ;
ma non ò necessario forzare le parole di Dante
a questa spiegazione piti oscura del testo. —
83. vidimi ecc. mi trorai con sola la mia
donna in un piti alto grado di salute, cioò
nel quinto delo, di Marte. ~ 85. Bea m* «e-
eors'lo ecc. Mi avridi d'essermi sollevato a
un'altra sfera per l'infocato splendore del
pianeta, che mi pareva più rosseggiante del
solito. ~ 87. che mi parea ecc. Intorno al
rosseggiare di Marte, cfr. le parole di Dante
stesso nel Oorw, n 14, riferite in I\ay, n 14.
Nota l'Ant che Dante, pervenuto improvvi-
samente in Marte, e non ci dice di questo
pianeta so non che gli pareva piti roteo del
solito, 0 tace dei suoi periodi, delle sue di-
stanze e delle sue dimensioni, sebbene ààl-
VAbnagetto e dagli astronomi arabi ne poteva
certamente raccogliere qualche coca ». — rag-
gio : forma toscana dal lat rubmu^ afibie a
roblno del v. 94 (Zing. 188) e frequente la
Dante per esprimere un rosso fiammante {Inf.
u 71, I\irg, ni 16). A proposito di questa
voce osserva il Borgh. : e Tib colori abbia-
mo : rosso ch'ò quello del cinabro; vtrmigiio
eh' ò dal verzino e della lacca; roggio di' è
del fooco rovente e che tende al colore della
raggino >, e aggiunge : « perché questa voce
oggi è disusata, non è maraviglia ee alcuno
non l'ha cosi bene intesa *, — 88. €•■ tatto
ecc. Senza aspettare l'avvertimento di Bea-
trice (cfr. Par. II 29-80, z 62-54), Dante rin-
grazia con tutto il cuore e con orazione men-
tale il Signore d'averlo Catto salire nel delo
di Marte. ~ qaella favella eco. è la favella
dell'anima, gl'intimi sentimenti che tono gli
stessi in tutti gli uomini, sebbene a maniié-
starli usino poi differenti linguaggi. — 89.
feci oloeanstot pòrsi quel pieno ringrazia-
mento che era dovuto alla nuova grazia ri-
cevuta. Lana : « Olooausto si ò quando si £s
intero saorifido o vittima, doò di tutta la
cosa ; sacrìfieio proprio si è quando ai la vit-
tima pare della parte : e per mostrare l'au-
tore esso sacrificale e fhre olocausto, men-
ziona questi due vocaboli oome appare nel
testo >. — 91. e non eco. e l'ardore del sa-
crifido non era ancora esaurito noli' animo
mio, non avevo ancora compiuto il mio xin-
i
PARADISO - CANTO XIV
673
Pardor del sacrificio, ch'io conobbi
93 esso litare stato accetto e fausto;
che con tanto lucore e tanto rebbi
m'apparvero splendor dentro a due raggi
96 ch'io dissi: e O Eliòs, che si gli addobbi! »
Come, distinta da minori e maggi
lumi, biancheggia tra i poli del mondo
99 Galassia si che fa dubbiar ben saggi,
ai costellati facean nel profondo
Marte quei rai il venerabil segno,
102 che fan giunture di quadranti in tondo.
gnoiamento, ohe oonobU come esso ringra-
ziamento fo8M stato Itene accetto a Dio e
feoondo di felid effetti per me. — 98. Utaret
sacrificare ; è il vb. latino, éhe Dante aveva
trovato spesso in VligUio (En, a 118, iv 60
ecc.). — 91. ehi eoa tanto eoo. poiché dea-
tro a dne Uste Inminose disposte in croce
(cfr. TV. 100-102) mi apparvero degli splen-
dori cosi laoenti e rosseggianti eh* io non
seppi trattenere nn' esdsmazione di meravi-
glia verso Dio, fonte di tanta hice. — In-
eore : come huiro (v. 68), è usato a signifi-
care la luce diifosa. — rebbi x rossi, di oo-
lore di fkiooo ; ofr. la nota al v. 87, avver-
tendo che secondo il Parodi, BuU, m 101,
pinttoato che nna forma toscana, sarebbe nn
latinismo dantesco, da rubeL — 95. splen-
der : sono le anime beate di qoelli che pn-
gnarono per la fede cristiana, alcone delle
qnaU sono poi enumerate da Dante stesso in
Pur. zvm 87 e segg. — 96. 0 Ellòs ecc. 0
Dio, che gl'illiunini di tanta Inoel Quanto
al nome EUott col quale Dante accenna Dìo,
secondo la giusta interpretazione dei più, e
non il Sole come vorrebbero alcuni, par che
sia una forma ibrida nata per confosione tra
rebraioo El {ett. Par, zzvi 186) e il greco
B0io9f nome del Sole ; conftisione che per-
dura negli antichi commentatori, alcuni doi
quali la dicono greca, altri ebraica, sempre
peod dandole il senso di Dio (cfr. Zing. 166).
— a4dobU: il vb. addobbare^ adomare con
dzi^pi, è tratto qui al significato di illumi-
nai», adomare di luce. — 97. Come ecc. Co-
me la Galassia o via lattoa Appare quale una
striscia biancheggiante, distesa dall' un polo
all' altro del cielo, nella quale si distinguono
stelle più picoole e più grandi, cioè di varia
grandezza e di varia luco. — maggi: cfr.
ifi/. VI 48. — 99. Galassia: nel Gonv, n 15
Dante la definisce e quello bianco cerchio,
die il vulgo chiama la via di Santo Iacopo,
e noctraci Tuno de' poli, e l'altro ci tiene
ascoso, e mostraci un solo movimento, che
& da oriente a occidente, e un altro che fa
da occidente a oriente quasi ci tiene asooso > :
pi6 poeticamente Ovidio, Mei. i 168: e Est
Dantb
via sublimis, coelo manifesta sereno ; Lactea
nomen habet, candore notabilis ipso». — fa
dubbiar ecc. ha tenuto e tieno in dubbio i
più dotti filosofi circa la sua natura. Questo
verso è illustrato da dò ohe Dante scrive in
proposito nel Oono, u 15 : e È da sapere che
di quella Qalassia li filosofi hanno avuto di-
verse opinioni ; che li Pittagorid dissero che
il Sole alcuna fiata errò nella sua via, e pas-
sando per altre parti non convenienti al suo
fervore, arse il luogo per lo quale passò, e
rimasevi quell'apparenza dell' arsura : e credo
che si mossero dalla fàvola di Fetonte, la
quale narra Ovidio [Met, n 47-824]... Altri
dissero, si come fu Anassagora e Democrito,
che dò era lume di Sole ripercosso in quella
parte : e queste opinioni con ragioni dimo-
strative riprovarono. Quello che Aristotde sì
dicosse di dò, non d può bene sapere ; per-
ché la sua sentenza non si trova cotale nel-
r una traslazione, come nell' altra : e credo
che fosse l'errore de' traslatori, che nella
nuova pu dicere che dò sia un ragunamento
di vapori sotto le stelle di quella parte, che
sempre traggono quelli; e questa non pare
avere ragione vera. Nella vecchia dice che
la Qalassia non è altro che moltitudine di
stelle fisse in quella parte, tanto picdde ohe
distìnguere di qua giù non le potemo, ma di
loro apparisce quollo albóre, il quale noi chia-
miamo Galassia: e puote essere che il cielo
in quella parte ò più spesso, e però ritiene
e ripresenta quello lume ; e questa opinione
pare avere, con Aristotile, Avicenna e To-
lommeo ». Si cfr. in proposito P. Toynbee,
Rie, J[ 4. — 100. sf costellati ecc. quelle
due liste luminose, cosi costellate o sparse
di lumi minori e maggi comò la Galassia, for-
marono nel corpo del pianeta Marte una croce
greca. — 102. che fan ecc. Dante vuol dire
che le due liste erano della stessa lunghezza
e s'intersecavano nel punto di mezzo, for-
mando una croce a bracd uguali : a questo
fine ricorre alla geometrìa, la quale d mostra
che due diametri d'un cerchio intersecandod
ad angolo retto formano una croce perfetta ;
e chiama giuntwn di quadranti i diametri,
43
674
DIVINA COMMEDU
Qui vince la memoria mia lo ingegno:
che qnella croce lampeggiava Cristo,
105 si ch'io non so trovare esemplo degno.
Ma chi prende sua croce e segue Cristo,
ancor mi scuserà di quel ch'io lasso,
108 vedendo in quell'albór balenar Cristo.
Di corno in corno, e tra la cima e il basso,
si movean lumi, scintillando forte
111 nel congiungersi insieme e nel trapasso:
cosi si veggion qui diritte e torte,
veloci e tarde, rinnovando vista,
114 le minuzie dei corpi, lunghe e corte,
moversi per lo raggio, onde si lista
talvolta l'ombra, che per sua difdsa
117 la gente con ingegno ed arte acquista.
£ come giga ed arpa, in tempra tesa
perohé dasoono risolta dall'anione di dae
raggi doè di duo di quelle linee che serrono
a segnare nel droolo V estremità di on qua-
drante (cfr. Purg, IT 41). « 108. Q«l Tlnet
eoo. Qni la mia memoria snpera il mio inge-
gno; poiché mi ricordo ohe in qnella croce
ridi lampeggiar Oristo in tal modo che non
iO imaginare similitudine degna per rappre-
sentare dò eh' io ridi. — 106. ìa ehi prende
eoo. Ma ohi è forte a tollerare le avversità
o costante propugnatore della fede, e seguace
della legge cristiana, salendo un giorno al
dolo mi scuserà se non deocriro il lampeg-
giare di Oristo nella croce di Marte, perohé
rodendolo oonoecerà che é indesoriTibile.
Nelle parole ehi pmuU tua eroe» ecc. gì' in-
terpreti trovano accennato dò ohe Oristo disse
ai discepoli (Matteo x 88) : t E chi non prende
la sua croce, e non rione dietro a me, non
è degno di me » (ofr. anche Matteo svi 24,
Marco vm 84, Luca ne 28, ziv 27): sta bene
quanto alle parole, ma quanto al senso si
può dubitare se in Dante sia proprio l'evan-
gelico di umiliazioni, aflUzioni, dolori che pu-
rifloano l'uomo, o non pi6 tosto sia quello
di armard a difesa della religione, prendere
la orooe o orooesignard, espresdone effica-
cissima del linguaggio delle crociate e bene
appropriata in questo luogo ove si parla dd
beati del dolo di Marte ossia del propugna-
tori della fede. — 106. qvell'albért ò la luce
delle due liste che formano la crooe. — 109.
Di eomt eoo. Dall'una estremità all'altra
della lista orizzontale, dall' una all'altra della
lista verticale d movevano delle lud, le quali
nell* inoontrard e nell'dtropassardsdnàlla-
vano pi6 vivamente. — 112. eosf eoe ood
quaggiii in terra vediamo l corpuscoli natanti
nd raggio solare muoverd vari di grandezza
in tutte le dizedoni e con differente velodtà
per quella starisela luminosa, che tntza In una
stanza oscura quando d apra uno spiragtto
alla luoe. Similitudine stupenda per la pro-
fondità e aoouratezza ddl'osservadone, oods
nulla sfugge al poeta della condidone dd
fenomeno da lui dipinto, e più poi per la pit>
toresca precldone del linguaggio che rende il
fatto fisioo nd sud pid minuti partiooiaii
senza superfluità di parole ; ed è di quelle
ohe rivelano in Dante, dtre che il grande
artista, l'investigatore fslice delU natura
Venturi 151, richiamata la deeoridone ehe
dello stesso fenomeno d legge in Lucrezio n
118 e segg. : e Contemplator onim, quum so-
lis lumina, qunmque Inserti fundunt radii
per opaca domorum: Multa minuta, modis
multis, per inane videbis Oorpora miaoeci,
radiorum lumino in Ipso; Et vdnt aeterao
certamlne, proelia pugnasque Edere, tnnna-
tim oortantU; neo dare pausam ConcUiis et
disddiis ezerdta crebris », soggiunge questa
giusta osservadone : e Poeti e pittori semai
ambedue. Se in Lucredo è pi6 ifiiocate l'idea
dd oombatterd ohe fanno tra loro le minuzie
dei oorpioduoli ; in Dante con aiaggiore evi-
denza è deecritto qud loro mostrard rkmo
vando viatOt apparendo sempre nuove; on
diritte e torte, ora vdod e tarde, ora los-
ghe e oorte ». — 116. rombra eoo. l'ombn
della stanza, nella quale l' uomo per mes»
di ripari da lui Inventati d difende artifitiisl-
mente dalla luce del sole. -^ 117. een li*
gegno ed Arte t nota il Torraoa che e m^
gno ed arU vanno di conserva nelle rìns
de' provenzali e de' nostri » : sono aii^e la
Pitrff, zzvu 180. — 118. I eesM giga eoe.
E come giga o arpa con le varie corde beas
armonizzate fa sentire un dolce tintinno s
tde che non conoeoe afbitto la mudoa che
Bull' istnunento è sonata. La giga t l'aips
PARADISO - CANTO XIV
676
di molte corde, fa dolce tintinno
120 a tal da ctd la nota non è intesa,
cosi dai lumi, ohe li m'apparinno,
s'accogliea per la croce una melode,
123 che mi rapiva senza intender l'inno.
Ben m'accora' io eh' eli' era d'alte lode,
però che a me venia : € Bisurgi e vinci »,
126 com'a colni che non intende ed ode.
Io m'innamorava tanto quinci,
che infino a li non fu alcuna cosa
129 che mi legasse con si dolci vinci.
Forse la mia parola par tropp' osa,
posponendo il piacer degli occhi belli,
132 nei quai mirando mio disio ha posa.
Ma chi s'avvede che i vivi suggelli
d'ogni bellezza più fieuino più suso.
tono strumenti a corda, aseai in nao nel me-
dSoero. — 119. tintinno t è il tinnitua yir-
giliaiio (Otorg. ir 64), U <m «in del Far, x
148, onde l'Axioato, Ori. tu 19 formòli rb.
fkuimtin per risonare di dolce armonia. —
120. ft tnl da enl eoo. Lana : e avviene moIt$
fiate obe lo suonar d'alcuno istrumentu é
udito da tale clie non lo intende per distin-
tioni e parti delle note, ma in universale sa
l)ene quello suono essere dolce e melodioso ».
— 121. eotf eco. in 'tal modo daUe anime
beate ohe mi appar^-ero nel pianeta Marte si
diffondeva per tutta la croce una dolce ar-
monia, che mi rapiva senza che io intendessi
rinno cantato da quelle anime. Nota il Ven-
tori 57 ohe il vb. a'aeeogUea e spiega l'unità
della melodia risonante nell'immensità della
croce 9, e il vb. rapiva esprime e il solleva*'
■mito dell'anima per eccesso di piacere 9.
— 128. gessa Intender eoo. perché non ne
adira distintamente tutte le parole (cfr. I\Hrg,
IT 146), ma solo alcune. — 124. Ben ecc.
Sebbene io non intendessi distintamente l'inno
eaatato dalle anime beate, pur m'aooorsi che
qneQa melodia doveva esser di alte lodi a
Dio, poioh6 ai 'miei orecchi giungevano le
pende : Biioigi e vinci, come ad uomo che
ode qualche parola d'un discorso altrui senza
che et^ ne colga il nesso. — alte lode :
SODO quelle delle anime beate innalzate a
Dio; In conformità a dò che scrive Tomm.
d*Aqu., Summ, P. I 2», qxu d, art 2 : < In
atstu ftatorae beatitudinis inteUectus humanus
^sam divlnam veritatem in se ipea intuobi-
tur ; et ideo ezterior cultus non consistet in
aliqna figura, sed solum in laude Dei >. — 126.
Blinrgi e vinci x Butl : e Questa ò parola del-
la santa Scrittura che si dice di Cristo ; im-
però che e^i risurresse da morte e vinse lo
dimenio ohe aveva vinto ruomo ; e questo
bene è inteUigibile a lo intelletto umano ; ma
l'altre cose divine, ohe (timo fatte da Cristo
e in lui sono, et apprendono e dicono li beati,
che sono comprensòri, non si possono inten-
dere da noi che siamo viatori 9. — 127. qala-
el t della dolce melodia. — 129. dolci vinci ;
dolci vincoli, legami di piacere. Lana: evinci
sono quelli legami con che comunemente si
legano li oerohl delle botti >. — 130. Forse
ecc. Forse il pensiero ch'io manifesto sem-
bra troppo ardito, poiché al piacere di quolla
melodia pospongo quello degli occhi di Bea-
trice, nei quali il mio desiderio trova la sua
sodisfiudone : ott. Par, xv 84-86. — 138.
Ma chi ecc. Ila chi intende che l cieli acqui-
stano madore bellezza via via che si sale e
che in Marte io non m' ero ancora rivolto
agU occhi di Beatrice, pud scusarmi di averli
posposti alla melodia e conoscere che dico la
verità ; poiché qui non ho parlato del piacere
di quelli occhi, essendo sottinteso nell'accre-
scimento ohe riceve ad ogni nuovo dolo.
Dante vuole giustificare dò che ha detto nel
w. 127-129: perciò d accusa di non aver
guardato Beatrice dopo il suo arrivo in Marte
(v. 186) ; di questa colpa erode d'essere scu-
sato perché a sé lo trasse la bellezza dei deli,
che cresce via via che si sale (w. 183-184);
e crede poi d'aver detto la verità, perché la
maggior bellezza del dolo di Marte rispetto
agli inferiori non esclude la maggior bellezza
degli occhi di Beatrice, che cresce col salire
(w. 188-139), come d vedrà or ora (Par, xv
82 e segg.). — vivi suggelli : i ddi, come
bene intesero i pi6 dei commentatori (cfr.
Par, vm 127), detti «ri per il loro movi-
mento e la dipendenza dalle Intelligenze at-
tive ohe sono loro preposte. Alcuni come
676
DIVINA COMMEDIA
135
139
e ch'io non m*era li rivolto a quelli,
escusar paommi di quel ch'io m'accaso
per escusarmii e vedermi dir vero:
che il piacer santo non è qui dischiuso,
perché si fa, montando, più sincero.
Veli., Dan., Vent., Andr. ecc. Intesero In-
vece degli occhi di Beatrice. -^ 185. ana
■i*erA ecc. in Marte non m'era rivolto agli
occhi della mia donna. — 186. di qoel eco.
di ciò che io confesso spontaneamente, cioè
di non essermi rivolto agli occhi ecc., al fine
di scusarmi di ciò cho ho detto sopra (vv. 127
e segg.). — 137. Tedennl: vedere me che
dico eoo. ; dipende dal può del v. precedente.
— 188. il tùcer eoo. non è escluso nel mio
discorso, anzi v' ò incluso il santo piacere de*
gli occhi di Beatrice, porchó anch' esso cresce
eoi oresoere della bellezza dei deli, vìa via
ohe si sale. — 139. sincero : poro, perfetto \
cosf in Piar, vii 130, xxxiu 52.
CANTO XV
Tra l beati del cielo di Marte si manifesta a Dante il sno trisavolo Cae-
cia^ida; il quale, descritta la vita costumata e virtuosa della cittadinanza
fiorentina dei suoi tempi, parla di sé, dei suoi parenti e della moglie, e
racconta come morisse combattendo per la fede di Cristo nella seconda cro-
ciata [14 aprile, ore antimeridiane].
Benigna volontade, in cui si liqua
sempre l' amor che drittamente spira,
3 come cupidità £a, neir iniqua,
silenzio pose a quella dolce lira,
e fece quietar le sante corde,
6 che la destra del cielo allenta e tira.
XV 1. BemlgMft ecc. Le anime beate della
croce di Marte, mosse dallo spirito di carità,
danno fine al loro inno affinché Dante possa
manifostar loro i propri desideri : il poeta lo
esprime tenendosi nell'imagine dell'istromea-
to musicale e delle corde, coi ha già para-
gonato le anime inn^gianti a Cristo vitto-
rioso {Par. xpr 118 e segg.); e dice: La
volontà di fare il bene, la carità, in cui si
risolve sempre l'amore divino, a qnel modo
che l'amore mondano si risolve sempre nella
volontà di far il male, fece taoore o fermare
quelle anime beate, che cantavano e si mo-
vevano per divina ispiratone — si ll4|aa t ò
dal vb. lat. liqtuxre^ liquefare, risolvere, se-
condo Cos., Blanc, Zing. 76 e pochi altri; op-
pure dal lat. liqvetf si manifesta, secondo la
maggior parte dei commentatori: il senso
toma bene ad ogni modo. — 2. 1* amor eco.
l'amore divino, che e tanto si dà, quanto
trova d'ardore» {Purg. xv 70): ofr. anche
Par. XIV 40 e sogg. — B. eoMS eoo. come la
cupidigia, la cieca passlune terrena, si risolve
sempre nella dii«ix)sizì()ne a far male, dispone
gli animi al peccato ; cfr. Par, xxvii 121 e
84 gg. Bud : < Fa 1' autoro similitudine per
oontrarìe cose, dicendo ohe come ne la bnona
voluntà si manifesta 1' ordinato • pedetto
amore, cosi ne la ria volontà si dimostra lo di-
sordinato et imperfetto amore, lo qoale l*aa-
toro chiama e^/^ridUà *. — 4. silmist* eoe.
fece cessare il canto di quelle anime, dolos
come il snono della lira. — 5. t feee eoe «
fece fermare quelle anime, ohe sempre sono
mosse e fermate dal divino volere. Qui gì* in-
terpreti prendono qìdttar» nel eenso di tacere,
che sarebbe inutile ripetizione dell' idea espres-
sa nel verso precedente e oso contrario al dan-
tesco; poiché questo vb. esprime propriaments
la cessazione del movimento (cfr. t\ur. svni
106, XXV 131 e anche Pnrg. v 48), non della
voce. La spiegazione mia sta bene coH'ima-
gine della deserà del culo che allanta » tìn :
trae cioò mette In movimento, allenta doò
fa gradatamente formare ; e risponde poi al
fatto, perché le anime beate della crooe di
Marte stanno ferme durante il longo coUoqnio
di Dante con Cacciaguida e ricominciano a
muoversi quando il colloquio ò finito : efr.
J%r. xvm 34 e segg., ove Cacciaguida dice
che le anime riprenderanno a mooveisl via vìa
ch'egli le nominerà: dunque bisogna i
PARADISO - CANTO XV
677
Come saranno ai giusti pregili sorde
quelle sustanzie, che, per darmi voglia
9 ch'io le pregassi, a tacer fdr concorde?
Bon è che senza termine si doglia
chi, per amor di cosa che non duri,
12 etemalmente quell'amor si spoglia.
Quale per li seren tranquilli e puri
discorre ad ora ad or sùbito foco,
15 movendo gli occhi che stavan sicuri,
e pare stella che tramuti loco,
se non che dalla parte ond'ei s'accende
18 nulla sen perde, ed esso dura poco;
tale, dal corno che in destro si stende,
al pie di quella croce corse un astro
21 della costellazion che li risplende:
né si parti la gemma dal suo nastro,
ma per la lista radiai trascorse,
24 che parve foco retro ad alabastro.
Si pia l'omhra d'Anchise si pòrse.
tBTB che Dante avesse gik detto che s' erano
fiarmate; e tale è U senso di questo yerso. —
7. Como tarasBO eoe. Non potranno mai esser
■orde a giuste preghiere quelle anime, che
per dispormi a pregarle, a manifestar loro i
wM desidert, furono concordi a dar fine al
loro canto. — 10. B«B h eco. Ben si conven-
gono le eteme pene dell' inferno a chi per
amore delle cose terrene, fallaci e transitorie,
dlsprezsa la vita etema, si priva per sempre
dell'amore divino. Dante sì riferisce a nna dot-
trina di Tomm. d'Aqu., Summ, P. Ili mppl.^
qa. xcix art. 1, il quale fondandosi sull'auto-
rità di Agostino, De oiv. Dei xxi 12 e di Gre-
gorio Magno, Diiìl, iv44, dimostra che giusta-
mente «prò peccato mortali, qaod est contra-
rium ohaxitati, aliquis in aetemum a societate
•anctomm exclusus, aetomae penae addici-
tor ». — IS. Qwale ecc. Come per la serenità
tranquilla e pura del cielo trascorre ogni tanto
un sùbito fooOf una stella cadente (crr. Purg. v
87-88), facendo batter gli occhi che prima
erano immobili, e sembra quasi una stella che
muti suo poeto nel dolo, se non che dalla
parte onde si stacca non vediamo mancare
alcun lume e il guizzo del sùbiio foco cessa
presto, si estìngue dopo breve corso. Franca e
magistrale pittura d'un fenomeno a tutti noto;
da cfr. con i versi d'Ovidio, Mei. ii 820, di
Fetonte : < Longoque por aera tractu Fertur,
ut interdum de coelo stella sereno, Etsi non
cecidit, potuit oeddisse videri >. — 14. ad ora
ecc. cfr. Jnf. xv 84. — 15. moTendo gli orchi
ecc. Venturi 43 : « L'idea cosi ginsta dol bat-
ter che fanno gli occhi per l'inaspettato giun-
ger di quel lume, ò tutta di Dante, il quale
cerca il vero nei suoi minuti particolari e dal
vero trae la novità delle Immagini ». — 16.
e pare ecc. Cos( F. Vmzi ^^cvì, i 18: e La
fiamma corrente Pare una stella che tramuti
loco ». — 17. dalla parte ecc. in quella parte
dol dolo, ove s'accende 11 i&rìto focOy non si
perde, non viene a mancare nessuna stella.
— 18. esse ecc. esso fuoco ò di breve du-
rata, si estingue dopo poco ; che se fosse stella,
si vedrebbe risplendere nel nuovo luogo. —
19. tale ecc. cosi dall'estremità dol bracdo
destro un astro ecc. una di quelle anime lami-
nose corse al piede della croce* — 22. od si
partf ecc. e l' anima por discendere ni piò
della croce, non asc( dalla croce stessa, ma
trascorse jtwr la lista radiale cioè por la Usta
ad angolo retto formata dal destro braccio e
dall' inferìor tratto della croco. — 2;^ lista
radiai : cosf chiama la lista percorsa dall'ani-
ma, perché fatta come un angolo retto, che
nel cerchio risulta dall'unione dei ra^ d* un
quadrante (cfr. Par, xiv 102) : altri spiegano
radiale per luminosa, imM^giata di luce, che
sembrerebbe oziosa ripetizione. — 24. fhe
parre ecc. e poiché l'anima trascorrendo por
la croco appariva più lucente della lista ra-
diale, sembrò come un fuoco ohe si mova
dietro a un trasparente alabastro. — 25. S(
pia ecc. L'anima di Cacdognida, antenato di
Dante (cfr. v. 135), si volge al poeta con una
mossa di tenerezza o un impoto d'affetto che
gli ricorda A neh i se, quando nell' Eliso rico-
nobbe il figlio Enea ; secondo il racconto di
Virgilio, £"71. VI 6Si : e Isquo ubi tendentem
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se fede merta nostra maggior musa,
quando in Elisio del figlio s'accorse.
« 0 sanguis meus, o superinfusa
gratta Dei, sicut Ubi, cui
bis unquam coeli ianua reclusa f »
Cosi quel lume; ond'io m'attesi a lui,
poscia rivolsi alla mia donna il viso,
e quinci e quindi stupefatto fai:
che dentro agli occhi suoi ardeva un riso
tal eh' io pensai co' miei toccar lo fondo
della mia grazia e del mio paradiso.
Indi, a udire ed a veder giocondo,
giunse lo spirto al suo principio cose
ch'io non intesi, si parlò profondo:
né per elezion mi si nascose,
ma per necessità, che il suo concetto
al segno dei mortai si soprappose.
E quando Parco dell'ardente affetto
fu si sfocato che il parlar discese
in vèr lo segno del nostro intelletto,
advemu per gramina vidit Aenean, alacris
palmas utrasqae tetendit, EffoBaeque genia
lacrimae, et vox excidit ore». — 26. acatra
eco. Virgilio, massimo poeta della gente ita-
lica (cfr. Pwrg. yn 16 e aegg.) : muse aono detti
i poeti anche in Par. zn 7, xvm 83 — 28. 0
saagnia eco. Qaeste parole latine di Cacda-
gaida, con le quali egli aalata Dante, signifi-
cano : 0 sangue mio, o grazia divina infosa
in tanta copia I a chi mai, come a te, fa due
volte aporta la porta del cielo ? £ da notare
in ease il riscontro col virgiliano e sanguis
meus > {En, vi 886), detto da Anchise rispetto
a Giulio Cesare. — 80. bla ecc. propriamen-
te : fu concesso che la porta celeste si schiu-
desse due volte, una per il viaggio cantato
dal poeta, un'altra quando la sua anima sa-
rebbe salita all'eterna beatitudine. È motivo
di dubbio ai commontatori il saluto di Caccia-
guida, perché, dicono, anche san Paolo sali
due volto al cielo, quando vi fu rapito in vi-
sione (cCr. Inf. u 28), e dopo morte ; ma mi
par chiaro che Dante si trovava in un caso ben
diverso dall'apostolo: il poeta nostro ebbe in
grazia di visitare 1 regni eterni per rendersi de-
gno di salirvi dopo morto (cfr. Purg. n 91) ;
Paolo invece già meritava la beatitudine pri-
ma del rapimento al ciolo ; e la disformità del
caso spiega le parole di Cacciaguida. — 81.
Cosi ec. Cosi parlò quell'anima luminosa; però
io vulsi a lei ja mia attenzione, poscia guar-
dai a Boatrice: e nell'una e nell'altra vista
ebbi ragione di stupore, poiché accanto alla
meraviglia suscitata dalle parole di Caociagui-
da aorse quella prodotta dallo splendore della
mia donna. — 81. ehé destro ecc. poiché ne-
gli occhi di Beatrice afavillaya una loca ooei
viva che io pensai di aver raggiunto in quel
momento il grado pi6 alto della mia grazia e
della mia beatitudine. Si o£r. con la F. ^. u 9 :
e [Beatrice] mi salutò molto Tirtaosamenta,
tanto che mi parve allora vedere tatti U ter-
mini de la beatitudine >. Con questa terzina
Dante scioglie in certo modo la promessa (atta
in Par, xiv 137. — 86. paradiso : cfr. Bar. xvin
21. — 87. Indi ecc. Poi l' anima di Caoda-
guida con voce e vista gioconda aggiunse al
suo saluto altre cose ch'io non intesi, pexxshó
tanto profonde erano le sue parole da superare
ogni umano intendimento. — a «diro ecc.
Dante si compiaceva del parlare e dell'aspetto
di questo suo antenato, non già porche dicesse
« cose dilettevoli >, oome chiosa il Buti, che
anzi egli non intendeva le cose dette, ma per-
ché e la vista e le parole erano segno doU'ar^
dente carità che lo aveva mosso a scendete
dalla croce. — 40. me per ecc. né già Caccia-
guida mi parlò cosi oscuramente per sua deli-
berata volontà, ma di necessità, perché il suo
concetto s' elevò più che non potesse alzarsi
l'umano intelletto, sorpassò il limite posto al-
l'intelligenza umana. — 43. E qvaado ecc. £
quando l'ardore della carità si fu sfogato tanto
che lo parole di Cacciaguida s'abbassarono al
grado dell'intelligenza umana, ciò ch'io intesi
per primo ta un ringradamento al Signoro por
PARADISO - CANTO XV
679
la prima cosa ohe per me s'intese,
« Benedetto sie tu, fa, trino ed uno,
48 che nel mio seme sei tanto cortese >.
E seguitò : « Grato e lontan digiuno,
tratto leggendo nel magno volume
61 u*non si muta mai bianco né bruno,
soluto hai, figlio, dentro a questo lume
in ch'io ti parlo, mercé di colei
54 eh' all' alto volo ti vesti le piume.
Tu credi che a me tuo pensier mei
da quel eh' è primo, cosi come raia
67 dall' un, se si conosce, il cinque e il sei;
e però chi io mi sia, e perch'io paia
più gaudioso a te, non mi domandi,
eO che alcun altro in questa torba gaia.
la grazia oonoeesa ame. — 47. Bnedttto eoo.
Benedetto sii tu, Dio nno e trino, ohe hai osa-
ta tanta liherdità a un nomo della mia stirpe.
— 48, eorteaet efr. Par, vn 91. — 49. E se-
g«lU : Cacciftgnidft or si volge a Dante e gli
esprime il proprio oompiaoimento per la sua
Tenuta, con parole nelle qnali è qnasi un* eco
delle prime dette da Anchise ad Bnea (Virg.»
En, TI 687): cVenisti tandem, toaqae ezpecta-
ta parenti Vldt iter dnmm pietas? datar ora
toeri, Nate, toa et notas andire et reddere to-
oee? Sio equidem daoobam animo rebarqne
fatomm, Tempora dinomerans, neo me moa
cura fefellit ». Se non che delle affettuose pa-
role d' Anchise Dante prese solo il concetto
principale e la mossa, svolgendo poi il discorso
di Oacdaguida in forma quasi dottrinale, e
però meno efficace e meno commovente. —
€rat# eco. 0 figlio, con l'aiuto di Beatrice che
ha tTM^*** in te la virtù di salire ai cieli,
tu hai sodisfatto in me, in questo splendore
nel quale io ti parlo, un gradito e lungo de-
siderio venutomi leggendo nel libro immata-
hile della sapienza divina. — lontan dlglnno :
il desiderio di veder Danto, nato in Caccia-
guida fino da quando assurgendo al cielo inco-
minciò a vedere in Dio i fatti avvenire ; desi-
derio durato oltre un secolo e mezzo (c&. v.
185). L'aggettivo lontano ha qui, come in Inf.
n 60, il significato di lungo, doò che dura
moHo tempo ; cf^. Parodi, BìM, m 113. ~ 50.
tratte leggendo eco. Bati : e Dice per simi-
litudine, cioè che, come l'uomo leggendo cava
del libro ch'egli legge, cosi li beati raggoar-
dando, come si vede nel libro scritto la scrit-
tura, in Dio vedono ogni cosa, e quindi cavano
ogni cosa, ch'elli sanno >. — 51. n'non ecc.
ove non sono possibili le alterazioni (cfr.
Pi0^» xn 106, Par. xvra 180), ove ò scritto
quello ch« accadrà, immutebilmente. e (Que-
ste volume della mento che mai non vfm
mtno^ e le cui note sono eteme, Immutabili,
è una rappresentazione grandiosa, accanto
alla quale sorge per contrasto l' idea pid mo-
desta del libro della mente nnuma [cfr. bìf,
n 8, Par, xvu 91, zzm 66 eoe] : ma l'nna
e l'altra hanno una stessa origine fiantastioa
e poetica > (N. Zingarelli, BuU, 1 100). — 62.
solato: sciolto, sodisfatto; e si dice propria-
mente doi vóti, ma qui per estensione di signi-
ficato è detto del desiderio. — 68. meretf eoo.
con r aiuto di Beatrice, la quale ti ha dato
le ali per fare cosi alto volo, ti ha reso ca-
pace di ascendere alle sfere celesti. — 65. ehe
a me eco. che il tuo pensiero venga a me da
Dio, come tutto le quantità risultano dall'uni^
tà. Ventari 833: e È similitudine ohe in
forma familiare spiega altissimo oonoetto. Dio
è unità infinite, e tutti i numeri infinitamente
imaginabili raggiano dall'uno, perché non
sono che aggregati di unità > ; meglio Ani :
e Qui trae dall'aritmetica una opportuna di-
chiarazione a sublime concetto, dicendo che
dalla perfette cognizione della assolute unità
si ha contezza delle cose, come dalla idea
chiara dell' unità matematica procede la vi-
sione intollettuale di ogni numero, indicato
colla detormlnazione del cinque • del sei.
Queste vedute semplicissima è il fondamento
della scienza dei numeri ». ~ mei: oCr.
Par, xm 55. — 56. quel eco. Dio, frima
m$nU {Com, n 4) ^ prima honià {Ccnn, iv 9):
cfr. Epist a Cangrande, { 20 : e Primo seu
Principio, qui Deus est». — rata: raggia,
deriva; ò pid frequento riferito alla luce
Purg. XXI 142, Par, xxix 136). — 67. dairnn
ecc. dalla oogidzione dell'unità la cognizione
del cinque ecc. — 68. e però ecc. e per questo
tu non domandi a me chi io mi sia e perché a
te apparisca più lieto che ogni altro di qu^
680
DIVINA COMMEDIA
Tu credi il vero; che minori e grandi
di. questa vita miran nello speglio,
63 in che, prima che pensi, il pensier pandi.
Ma perché il sacro amore, in che io veglio
con perpetua vista e che m'asseta
66 di dolce disiar, s'adempia meglio,
la voce tua sicura, halda e lieta
suoni la volontà, suoni il disio,
69 a che la mia risposta è già decreta ».
Io mi volsi a Beatrice, e quella udio
pria eh' io parlassi, ed arrisemi un cenno
72 che fece crescer l' ali al voler mio.
Poi cominciai cosi: e L'affetto e il senno,
come la prima equalità v' apparse,
76 d'un peso per ciascun di voi si fenùo;
però che il sol, che v'allumò ed arse
col caldo e con la luce, è si iguali
1
sta gal* con^agnia. — 61. T« ertdl ecc. Tu
non t'inganni, perché gli spiriti beati, qualun-
que sia il grado della lor beatitudine, contem-
plano tutti in Dio, ohe ò lo specchio in ooi ri-
veli il tuo pensiero prima ancora di concepirlo.
— 62. speglio : per la forma ctt. Par, xxx 85,
e per il concetto Par. xxn 106. — 68. pandi:
manifesti ; ò voce del vh. pandeny latinismo
che ricorre in Par, xzv 20 e non è infrequente
negli antichL — 64. ma perché eoo. ma affin-
ché l'amore divino, nel quale io vigilo con
etema contemplazione (ctr, Purg. xxx 103) e
ohe suscita in me 1 pi6 dolci desidorl, si
adempia meglio, ove tu stesso esprima la tua
volontà ecc. — 67. U voee ecc. la tua voce
libera da ambagi, franca e lieta manifesti la
tua volontà e il tuo desiderio, cui ò già sta-
bilita la risposta. — 70. Io mi Tolil ecc. Dante
si volse a Beatrice por chiederle il permesso
di parlare ; ma ella, intendendo senza che
egli aprisse bocca, accennò sorridendo che
consentiva al suo desiderio : si cfr. Par, viii
40 e segg., ix 16 e segg. — 71. arrisemi un
eenno : séguito la lezione vulgata, allontanan-
domi dal Vitte che legge con tutti i migliori
codici : arrosemi, mi aggiunse (dal vb. arcaico
arrogere); né solo perché la comune lezione
ò più bella e conforme al modo dantesco di
concepirò (cfr. le sorrise paroletU in Par. 1 95),
ma anche perché non vedo rapporto logico
tra Vudif), atto intemo, e l'aggiungere, atto
esteriore, che rostorobbo senza il necessario
tonnine correlativo: aggiunse un cenno a che
cosa? a quale altra manifestazione ? ma Dante
non ha detto altro so non che ella intese il
suo ponsioro. — 72. che feoe ecc. che ac-
crohlto il mio desiderio di parlare, per la li-
cenza concessami con amorovole sorriso dalla
mia donna. — 78. Poi eomlnelal ecc. Vem-
mente oomincia con un preambolo, che mal ri-
sponde al suo sentimento; poiché, volendosi
scusare di non sapere esprìmere ciò che prora,
fa un lungo ragionamento e dice a Cacciagni-
da : Nei beati il sentimento e l'Intelligenza
sono di pari valore, perché li accende d'amor»
e li illumina di verità la prima eguaglianza.
Dio; ma nei mortali c'è disuguaglianza tra il
sentimento e l'intelligenza : e io che tono mor^
tale non posso ringraziare se non col cuore,
perché non ho la. mente sufficiente al bisogno.
— L'affètto eoo. Appena foste saliti in cielo,
appena vi apparve Dio, in cui la sapienza,
la potenza e l'amore sono in perfetto equili-
brìo essendo infiniti, in ciascuno di voi si fe-
cero pari l'affetto e il senno. ~ 76. però cke
ecc. perché Dio, che vi illuminò con la luce
della sua sapienza e vi arse col caloro del suo
amore, ò cosi perfettamente uguale rispetto a
questi suoi attributi, che qualunque altra so-
miglianza sarebbe inadeguata a render Tidea
dì tale prima equalità. La lezione pi& comune,
sebbene non abbia por sé l'autorità dei mano-
scritti, è questa: < Però che al sol che v'allu-
mò ed arse Col caldo o con la luce èn si iguali.
Che tutte simlglianze sono scarse », od ò spie-
gata : Perché alla presenza del sole divino che
vi allumò con la luce del sapere e vi arse
col fuoco della carità, il vostro affetto e il
senno sono tanto ugnali che non v'ò altra si-
mile uguaglianza. Ha cosi Dante non farebbe
altro che ripetere il concetto dei w. 73-75,
e direbbe cosa non vera nel v. 78, poiché
un'altra eguaglianza, più perfetta anzi, è qu^
la di Dio, prima egitalità. — 77. igoall: egua-
io ; conservata la terminazione singolare (cfr.
Parodi, BuU. UL 117) del lat. aeguaUs^ come io
PARADISO - CANTO XV
681
78 olie tutte simìglianze sono scarse.
Ma voglia ed argomento nei mortali,
per la cagion eh* a voi è manifesta,
81 diversamente son pennuti in ali;
ond4o che son mortai, mi sento in questa
disuguaglianza, e però non ringrazio
84 se non col core alla patema festa.
Ben supplico io a te, vivo topazio,
che questa gioia preziosa ingemmi,
87 perché mi facci del tuo nome sazio ».
< O fronda mia, in che io compiacemmi
pure aspettando, io fui la tua radice »;
90 cotal principio, rispondendo, femnii.
Poscia mi disse: « Quel da cui si dice
do* laogfai di Oioidano da Biralto, Predi,
db«, Firense, 1789, pied. 88 : e n demonio
dMiderà d' anere iguoH a Dio »; e Btdiehe
ined.^ Bologna, 1867, pag. 186: crilieralo
timiiA sozzale e Allo iguoH oo'piincipi 9, e in
nno di Antonio Pood, CmtUoqtrio i 64: < E
fa fl tao nome alla Prorincla iguaU ». — 79.
Teglia ed argoneatt : doè l'affetto e il mnno
del T. 78, perché la volontà è atto del senti-
mento, Targomento è atto dell'Intelligenza. —
80. per la eagloa ecc. per la cagione che voi
conoscete, o avendone ftttta esperienza nel
mondo o perché la vedete in Dio. Ma qaale ò
questa cagione i commentatori non dicono: si
pad trovare in ciò, che secondo Dante l'intel-
letto umano è on tenne raggio della mente
divina, quindi è limitato, mentre Taflètto non
ha confini, pad levarsi a qnalanqne più alto
desiderio. — 81. dlrenameake ecc. hanno ca-
pacità diversa, e il sentimento corre sempre
innanzi all'intelligenza. — 82. oadMo ecc.
poro io, che sono nomo mortale, mi trovo in
questa disngnaglianza tra la voglia e l' argo-
meniOy tra qnello che sento e il mozzo d'espri-
merlo, e non posso rlngrazisrvi della patema
aocoglienza so non col cuore. — 84. paterna
festa : si ricordi che nolle brevi parole dette
innanzi a Dante Cacciaguida l'ha già chiamato
suo sangue (v. 28) e suo seme (v. 48) e suo
figlio (V. 62). — 85. Bea eco. Ha se non posso
esprimere compiutamente la mia gratitudine,
ti supplico, 0 anima beata, a sodisfare il mio
desiderio di conoscere il tuo nome. — sap-
pUeo a te: il vb. tupplioare^ quasi domandare
snpplicemente, ò costmito in Dante col terzo
caso {Par. xsvi 94, xzxm 25), al modo la-
tino. — vivo tepaile : ha già chiamato gemma
l'anima luminosa di Cacciaguida (v. 22), co-
me anche altri beati spiriti (cf^. Par. zvin
116) ; e qui la dice vivo topaxio ecc. vivo splen-
dore che adoma la croce luminosa. Ott : e To-
pazio ^ una gemma intra l'altre maggiore, e
sonno di due ragioni : l'una ha colore d'auro
purissimo, l'altro ha colore di purissimo aere;
ed è si perspicacissimo che riceve in sé la
chiarezza di tutte l' altre gemme >. — 86.
questa gioia : la croce luminosa, non il pia-
neta Marte come spiegano alcuni, forse ingan-
nati dall'apparente analogia col Pbht, vi 127.
— 88. 0 fronda ecc. Cacciaguida rispondendo
a Dante non si manifesta subito per nomo,
ma prima vuole far conoscere il grado di pa-
rentela che lo Ioga a lui ; e innanzi tutto gli
dice in modo generico d'essere stato il capo-
stipite della sua famiglia, e poi aggiunge ohe
gli Alighieri trassero il nome da Alighiero, suo
figlio e bisavolo di Dante. Cosi la sodisfa-
zione al desiderio del poeta ò gradatamente
concessa, ma per compenso pi6 pienamente e
con abbondanza di particolari. — !■ eke eco.
nel quale io mi compiacqui, prima ancora di
vederti, solamente aspettandoti ; ctr. nel van-
gelo (Matteo ni 17, Marco i 11, Luca ni 22)
le parole divine che risonarono dopo il bat-
tesimo di Qes& : « Quosto è il mio dilotto
Figliuolo, nel quale io prendo il mio com-
piacimento >. — 89. la t«a radice: caposti-
pite della tua famiglia ; perché Cacciaguida
era il più antico degli antenati suoi, di cui
Dante stesso e gli altri suoi parenti aves-
sero notizia (cfr. Par. xvi 46). — 91. Qoel ecc.
Colui dal quale la tua parentela ha preso il
cognome Alighieri e ohe da oltre un secolo
ò in purgatorio, nel cerchio dei superbi, fu
mio figliuolo e tuo bisavolo. Cacciaguida ebbe
due figli, Preitenitto ed Alighiero ; e di essi
ò memoria in un atto del 1189, per cui pro-
misero a Tolomeo, rettore della chiesa di
S. Biartino in Fironze, di abbattere ad ogni
sua richiosta un fico esistente nel loro orto
presso quella chiesa: questo Alighiero, che
dio il cognome alla famiglia, era ancor vìvente
il 14 agosto 1201, in cui fu prosente come te-
stimonio ad una quitauza fatta da Iacopo Rosa
682
DIVINA COMMEDIA
93
96
99
tua cognazion, e che cent'anni e piùe
girato lia il monte in la prima cornice,
mio figlio fu, e tuo bisavo fue:
ben si convien che la lunga fatica
tu gli raccorci con l'opere tue.
Fiorenza, dentro dalla cerchia antica,
ond'ella toglie ancora e terza e nona,
si stava in pace, sobria e pudica.
Non avea catenella, non corona,
•1 Comxind di Firenae (cfir. O. L. Paneiini,
La fa/miglia AUghiéri, Ancona, 1881, pp. 8-9;
A. BartoU, Si, dtUa LcU. Hai,, toI. V, pp. 6 e
segg.). Dovette morir poco dopo; ma Dante
medesimo non conoecera oon pieoiBiono la
data della ina morte, poiché dice che al tempo
del sno viaggio, doè nel 1300, Alighiero era
da cento e pia anni nel purgatorio. — 98. gl-
rslo eoo. è stato e sta a £ar penitenxa di sua
superbia nel primo girone del porgatorio (cfr.
Pirff, X 101, ZI 25 e segg.). Lana, Ott. e An.
fior, dicono ohe Alighiero foese nell'antipar-
gatorio, tra i morti per fona (cfr. IStrg. y 62),
e che aspettasse la vendetta die i snoi discen-
denti non avevano ancor fatta della sua mor-
te : è manifesta la confusione oon Gerì del
Bello {ott. Inf. zxiz 18-36), anche perchó eor-
nict usa sempre Dante a indicare nn cerchio
di purgatorio (cfr. Pmrg, z 27), non le parti
deU'antipiugatorio. — 94. e tao bisavo ecc.
Da Alighiero nacquero Bello (del consiglio
degli anziani nel 1255, esule coi guelfi nel
1260, già morto nel 1268) e Bellindone (esule
nel 1248, ritornato nd 1261, oeuledi nuovo
nel 1260, ancor vivente nd 1268); e questo
Bellindone ebbe quattro figli : Brunetto (com-
batto od guelfi a Montaperti, fti dei consi-
glieri dd comune nel 1278), Gherardo, Bello
e Alighiero : quest'ultimo, di cui non sappia-
mo quad nulla. Ai il padre di Dante; al quale
perdo il vecchio Alighiero di Caodaguida ve-
niva ad esser bisavolo : Q. L. Passerini, op.
dt., pp. 9-16. — 95. ben si eenvlen eco. a te,
come sno discendente, spetta di accordargli
la fatica ch'el dura da tanto tempo, di aiutare
oon suiEragi di opere religiose la penitenza del
tuo Msavolo; cfr. Purg. zi 84-86. — 97. Fio-
reaaa ecc. Accennati i suoi rapporti di paren-
tela oon Dante, Cacciaguida prìma di parlar
più particolarmente di sé (w. 130-148) fa una
larga desorìzione dello stato morale della dt-
tadinan»a fiorentina ai suoi tempi, in con-
traposto alle condizioni dei tempi di Dante
(w. 97-129) : meravigliosa pittura, che com-
pie e dichiara nel rispetto moralo l'invettiva
politica del Purg, vi 127-151. Al discorso di
Cacciaguida ò degno riscontro dò che della
oittadinaiuca fiorentina, a tempo del « popolo
vecchio», dod a mezzo il dugento, scrive
a. Villani, Cr, vi 70 : < Nota che al tempo
dd detto popolo, e in prima • pd a gran tem-
po, i dttadlnl di Firenze vivevano sobri! e di
grosse vivande e con piccole speee, e di molti
costami • leggiadrie groed e ruddi ; e di grossi
drappi vestfeno, loro e le loro donne, e molti
portavano le pelli scoperte senza panno, e ooUe
berrette in capo, e tatti oon gli usatti in piede.
B le donne fiorenUne oo' calzari sansa orna-
menti, e passavansi le maggiori d' una gon-
nella assai stretta di grosso scarlatto d'Ipro
o di Oamo, dnta ivi sa d* uno scaggiale al-
l'antica, e uno mantello foderato di vaio ed
tassello sopra, e portavanlo in capo; e le co-
muni donne vestite d' uno grosso veirde di
Cambraglo per lo simile modo: e lire cento
era comune dota di moglie, e lire dugento o
trecento era a quegli tempi tenuta ìsfolgo-
rata ; e le più delle pulodle aveano venti o
più anni, anzi oh'andassono a marito. Di s£
fatto abito e di grosd costumi erano allora i
fiorentini, ma erano di buona fé' • leali tra
loro e al loro Comune, e colla loro grossa vita
e povertà fedone maggiori e più virtudiose
cose che non sono fatte a'tempi nostri oon più
mori>idezza e con più ricchezza ». — deatre
ecc. entro la cerchia delle mura romane,
alla quale solamente nd 1178 succedette la
seconda cerchia che G. Villani, O. rv 8 per
errore o per altra ragione rifed al 1078 (cfr.
BuU, IV 96) : la tona dnta, cho ò quella dd
tempo di Dante, fu incominciata solamente
nel 1284 e compinta nd secolo ziv. — 98.
end'ella eoo. e Sulle ditte mura vecchie d ò
una chiesa chiamata la Badia, la quale chiesa
suona terza e nona e l'altre ore, alle quali
li lavoranti delle arti entrano ed osceno dal
lavorio > ; cod il Lana, la cui autorevde te-
stimonianza è confermata dagli altri antichi
commentatori, Ott, Buti, An. fior. Benv. ecc.
Male alcuni pensarono che Danto alludesse
alla chiesa di S. OiovannL — tersa e mena ;
otr. Inf, zzziv 96; Purg. xzvn 4. — 99. si
stava ecc. viveva senza disddl dvill, con so-
brietà e onestà di costumi aliena insomma
dalle pasdoni che hanno cagionato le presenti
discordio (cfir. Inf. vi 74-75). — 100. Von
area ecc. Non usava, oome ora, ohe le donne
andassero sopracarìche d' ornamene, più vi-
stosi della stessa persona che li porta. Questo
è il senso delle parole di Cacciaguida; «la tra
PARADISO — CANTO XV
683
non donne contigiate, non cintura
102 che fosse a veder più ohe la persona.
Non faceva, nascendo, ancor paura
la figlia al padre, che il tempo e la dote
105 non fuggian quinci e quindi la misura»
Non avea case di £eimiglia vote;
non v'era giunto ancor Sardanapalo
grinttrpreti non è pieno accordo drcs i sin-
goli ornamenti qni ricordati : 1a eatmtUa, se-
condo la chiosa del Bnti, sarebbe nna specie
di collana o di braccialetto formato con botton-
cini d'argento dorati infilati in rarie guise;
la corona era l'ornamento nsato per il capo,
e si faoeya d'oro e d'argento e di perle pre-
ziose, come le corone che ancora si rodono
sulle imagini della Vergine, e tanto era dif-
fiisa questa costumanza che bisognò a frenarla
U legge suntuaria del ISSO (Q. Vili., Or, x'
160X lo eonHgie^ onde è l' espressione donnei
eonHgiaU, erano calzature di cuoio trapunto
o stampato, delle quali pare che primitiva-
mente Caoessero uso spedale le meretrid ; la
emiura o dntola era per lo più di liste d'ar-
gento, delle quali le leggi suntuarie limita-
rono il numero. — 102. che fosse eoo. cfr.
Ovidio, Btmed. amori» SIS : e Anforimnr cultu :
gommis auroqneteguntur Omnia; pars mini-
ma est ipsa puella sui >. 108. Kob faeeva eoe
Ai miei tempi non era ancor divenuta uno
spavento per i genitori la nasdta delle figliuo-
le, non essendo ancora invalso il costume che
le donne si maritassero giovanissime e con
grandi doti. — lOA. elle 11 tempo eco. poiché
l'età del matrimonio non eccedeva la misura
quinoif in un senso, doò neU'esser troppo pio-
cola, e la somma della dote non l' eccedeva
quindif nel senso opposto, doò per esser troppo
grande. — tempo: età del matrimonio, che era
sui venti anni o pid, e di cui andò diminuendo
il limite: cfir. Del Lungo, 1 1101. —la dote:
Lana, con la semplidtà efficace del linguaggio
antico : < non si usava cosi sfolgorante dote
oomo oggi, ohe se uno fiorentino hae due figliuo-
le si può tenere distrutto 9, e 0. VUL, Or. vi 70
dice ohe al tempo dd popolo vecchio e cento
lire era comune dota di moglie >. Se non che
è da avvertire che dai documenti risultano un
po' esagerate le parole del cronista: molte
furono sino alla metà del socolo zni le doti
fiorentine inferiori a lire cento, ma già erano
frequenti quelle di due e trecento e anche più;
certamente aumentarono via via con l'incro-
mento della dviltà e della ricchezza, e già si
ha notizia d'una dote di 626 lire nel 1264, poco
innanzi la nasdta di Dante ; e 682 fiorini d'ar-
gento ebbe nel 1289 una Soderini sposando
un Soldanieri, 725 fiorini nel 1293 la sposa di
Qaddo Falconieri, 1350 lire nel 1295 la figliuo-
la del pudico Iacopo da Certaldo, gran fao-
oondiere di parte Nera; e altre simili doti
spesseggiano quanto più d awioiniamo al se-
oolo xnr, e alcune sono davvero UfolgoraU,
come i mille fiorini d'oro che Taddeo d' Aide-
rotto (cfir. Fttr, xn 88) assegnò in dote alla
figlia Mina, sposandola a unPuld : o£r. su que-
sta materia L. Zdekaner, nella Miaetlkuua fio-
rmUna di mmdixion» $ ttoria^ a. 1866, voi. I,
pp. 86 e 97-106. — 106. Kob avea eoo. Non
e' eran anoora le case o palagi grandisdmi,
sproporzionati al bisogno delle famiglio, e le
abitazioni erano al di dentro arredate sempU-
oemente, senza la mollezza e il lusso presente.
— case di fsMlglla ròtex ò frase ohe ha dato
da fare agl'interpetri, i più dd quali per altro»
da Lana, Ott, Cass. Pietro di Dante, Benv.,
An. fior, sino ai moderni Ces., Tomm., Bian-
chi, Andr., l'hanno intesa rettamente nel sen-
so che al tempo di Cacdaguida le case erano
piccole e commisurate al numero delle per-
sone. Inveoe al tempo di Dante le famiglie
erano sparse in grandi edifizi, tutti indeme
uniti a formare dò che appxuto dicevano e le
case » dei Donati, dd Cavalcanti, degli Adi-
mari, del Frescobaldi ecc. ; ed erano raggrup-
pamenti di case per abitare, di torri, di logge,
di cortili, di terreni, i quali, sebbene vi avasso
stanza per lo più tutta una consorteria, erano
pur sempre assai vasti e troppo più ampi che
il numero delle persone non richiedeva: come
esempio di queste grandi e case > si possono
ricordare quelle dd Quidi, vendute nel 1280
ai Cerchi, le quali d distendevano (tra e case,
palazzi, piazze, corti, torroni, casolari, toni-
menti e cose >) per tre parrocchie della città
(cfr. su dò quello che scrive il Dd Lungo,
DanUj I 42). Male U Buti, seguito da Land.,
Veli., Dan., Vent, Lomb., Biag., Costa,
Frat, intose dolio case vuote per gli esili
cagionati dallo spirito di parte ; e peggio an-
cora O. Salvagnoli Marchetti, Luogo ùuign»
della Dio. Cbmm. [Par, xv 97-135] nel Oùyr-
naie areadioo, a. 1824, voL XXIV, pp. 103-
119, prese questo verso come una alludono a
tristi effetti di lussuria, per la quale fosser le
case vuoto di prole. — 107. aon T'era ecc.
Storicamente Sardanapalo ò il penultimo re
d'Assiria, ohe governò dal 667 al 626 a. C. ed
estese la potenza assira fino nella Lidia e nel-
l'Arabia: ma Dante lesse di lui il racconto
leggendario che seguendo gli storid greci fa
Paolo Orodo {Risi, 1 19), U quale dice che fu
684
DIVINA COMMEDIA
108 a mostrar ciò die in camera si pnote.
Non era vinto ancora Montemalo
dal vostro Uccellatoio, che, com'è vinto
111 nel montar su, cosi sarà nel calo.
Bellincion Berti vid'io andar cinto
di cuoio e d'osso, e venir dallo specchio
114 la donna sua senza il volto dipinto;
e vidi quel del Nerlo e quel del Vecchio
esser contenti alla pelle scoperta,
r allimo re assiro 9 Io descrive come nomo
effeminato, solito » vestirsi di porpora e d'abi-
ti moliebri e amante d'altre delicatezze. Quin-
di giostamonte alcuni commentatori, come
Benv., Cass., Pietro di Dante, ricordano a
questo proposito il verso di Giovenale, Sai. z
862: e Et Venere, et ooenis, et piuma Sar-
^^^n^piiii », che Dante assai bone riassume
riadduoendo queste tre forme di lussuria al-
l'espressione in eamera (cfir. Moore, I 257), e
intendono che qui si aUud» anche alle mor-
bidezze e al lusso nell'arredare internamente
le case. Quasi tutti gli altri interpreti, anti-
chi e moderni, intendono invoco che con la
menzione di Sardanapalo si accennino atti
libidinosi, compiuti nella solltudino delle stan-
ze ; e il Torraca e il Toynbee (cfr. BulL U
203, rV 131) hanno richiamato a questi versi
un passo di Egidio Bomano, Ih regimino
principwny u 17, ove di Sardanapalo è detto:
€ era si non temperato ched olii s'era tutto
dato ai diletti de le femmine e do la lussu-
ria >. — 109. Kob era eoe. Compie ed esplica
con un esempio ciò che ha detto nella prece-
dente terzina, soggiungendo che Montemalo
o Monte Mario, presso Boma, non era ancora
vinto dal Monte Uccellatoio, presso Firenze
(cfr. lo osservazioni di V. Cian riferite in
BulL I 216, e quelle del Bassermann, pp.
176-178), dod che nello splendore e gran-
dezza d^Ii edifizl Firenze non aveva ancora
superato Boma. Lana : e Montemalo si ò nel
contado di Boma, ed d lo primo luogo donde
si vede la cittade, lo quale Montemalo al
tempo che i romani trionfavano, era molto
bello luogo e adomo di mura e di torri ; cosi
nel contado di Firenze d uno luogo, nome l'Uc-
oellatoio, dal quale venendo di Bologna si
vede prima la dttà : or li fiorentini crescendo
in superbia cominciarono a far fortezze in con-
tado, fare noie e oltraggio alli suoi vicini, si
che rinforzoron di mura e di torri lo detto
Uccellatoio, in tale modo che esso era ed ò
più forte di Montemalo ». — 110. com'è ecc.
oiod come Fironze ha superato Boma nel sor-
gere a grandezza, cosi la oltrepasserà nel di-
scendere a rovina. — 112. BelUnelOB ecc.
Bellincione Berti dei Bavignani, capo d'una
delle grandi casate fiorontine del secolo xu
(cfr. Par. XVI 97) e padre della buona Guai-
dirada (Inf. xvi 82), fa cavaUere e cittadino
dei principali al suo tempo e di lui rimasero
poche notizie tradizionali nei posteriori cro-
nisti (O. vm., O. IV 1, V. 37): della ma vita
pubblica sappiamo solo che nel 1176 e^li (Btl-
Unohnia Berte eivis fior.) ta deputato a rice-
vere in consegna dai senesi la metà del ca-
stello di Foggibonzi oeduta ai fiorentini (II-
defonso da S. Luigi, Delizie degli erudiii tote.
voi. IX, p. 4). — Tld'lo eoe vidi, coi miei oc-
chi, Bellincione vestito assai unulmente, poi^
tando una semplice cintura di cuoio con le
fibbie di osso, senza tutti quelli ornamenti
che ora usano 1 fiorentini. — 113. e venir
ecc. e vidi sua moglie adomarsi semplicemen-
te, senza ricoprirsi il viso di biacca e di ros-
setto, come fanno ora le donne fiorontine.
Dell'abuso che in Firenze le donne facevano
nel secolo xrv di lisci, cosmetici e altre soz-
zure per dipingere il volto abbiamo molte te-
stimonianze negli scrittori del tempo; note-
vole sopra tutte quella di F. Sacchetti, che in
una sua canzone, enumerate cotesto arti, la-
mentava : « 0 alchimia maledetta ohe la vera
Carne fai dibucciare. Pelando teste o ciglia in
modo tale Che tormento non ò con maggior
male ! » {Rime d. m. O.daP.e d*aìtri^ a cura
di Q. Carducci, cit, p. 544). — 115. e vidi
ecc. e vidi cittadini delle principali famiglie,
come i Neri! e 1 Vecchietti, contentarsi di
portare per mantello una pelle non foderata,
e le loro donne attendere ai più umili lavori
della casa, come d il filare. Ott. : <Sono due an-
tiche case della dotta cittade ; e dice che vide
li maggiori di quelle case andare, ed en spe-
ziai grada e grande cosa, contenti della pelle
scoperta senza alcun drappo : chi la portasse
oggi sarebbe schernito. E vide le donne loro
filare, quasi dica ; oggi non vuol filare la fante,
non che la donna >. — del Kerlo : 1 Nerli, an-
tica famiglia consolare del sesto d'Oltrarno, la
quale nella divisione del 1215 fu delle princi-
pali di parte Guelfa, ma ebbe poca parte nelle
posteriori vicende di Firenze (cfr. O. Vili.,
Or. IV 13, V 89, VI 83; 0. Hartwig, Quellm
und Forechungen^ cit, II 182, 196). — del
Teeeblo : i Vecchietti, altra famiglia conso-
lare! del quartiere di porta San Brancazio,
PARADISO — CANTO XV
685
117 e le sue donne al fuso ed al pennecchio.
O fortunate! ciascuna era certa
della sua sepoltura, ed ancor nulla
120 era per Francia nel letto diserta.
L'una vegghiava a studio della culla,
e consolando usava l'idioma
123 che pria li padri e le madri trastulla;
l'altra traendo alla ròcca la chioma,
favoleggiava con la sua fiamiglia
126 dei Troiani, di Fiesole e di Roma.
Saria tenuta allor tal maraviglia
una Cianghella, un Lapo Salterello,
guelfi nel 1216, neri nella divisione del 1900 e
assai foclnoroBi nel sormontare della loro fa-
zione (cfr. 0. Vili., Or. IV 12, V 89, VI 33, 79,
vm 89). — 117. penneeclile: Lana: «si ò
qnella manata di lana che si fila a rócca » ;
ma si disse anche figuratamente por rócca. ~
118. O fortanate ecc. Accenna Cacciagoida a
dno cagioni di pertorbamento nelle famiglio
fiorentine, dicendo che ai suoi tempi le donne
trovavano un compenso alla frugalità della
vita nella tranqailla certezza di morire in pa-
tria e di non essere abbandonate dai mariti ;
poiché allora né gli esili, conseguenza del par-
teggiare, costringevano le famiglie ad emi-
grare in massa (cfr. Inf, x 46, 50), né Io spi-
rito commerciale, traendo 1 fiorentini ad eser-
citare la mercatura in Francia e in altri paesi,
faceva rimanere derelitte le spose nel letto
maritale. — 120. per Francia: perché in
Francia specialmente accorsero i fiorentini
nei secoli xiii e dv a mereare e eambxar» (cfr.
Par. XVI 61), ma anche in Inghilterra, in Fian-
dra, in Oriente e altrove. — diserta : cfr. la
nota all'In/', xxvi 102. — 121. L' ana ecc. Le
donne del mio tempo vigilavano esse stesse i
loro figliuoli, e attendevano ai lavori domestici,
contente alle gioie della maternità e al piacere
del raccontare in famiglia lo leggende della
patria. — vegghiara eco. Ott. : « Dice che di
quelle alcuna vegghiava a cullare il suo fan-
ciullo per addormentarlo, consolandolo con
quelle materne e vezzose e dolci lusinghe :
oggi per sé ò la cameriera, per sé la balia,
per sé la fante». — 122. eoniolando ecc. in
questa dolce fatica di chetare e addormentare
U bambino (cfr. un simile uso del vb. consolarò
in Purg, xxni 11) usava il parlare infantile,
quello delle ninno nanne, che dà tanta gioia
ai genitori. Ricorda i versi di Tibullo ii 5, 93:
e Kec taedobit avum parvo advigilare nepoti,
Balbaque oum puero dicere verba senem ».
— 124. rftltra ecc. un'altra seduta in mezzo
ai snoi raccontava filando le favole tradizio-
nali Bulla venuta dei Troiani in Italia, sul-
Torìgine di Fiesole, sui fatti di Roma. Sono ì
tre cicli di leggende italiche pifi care al popolo
toscano in generale, e in particolare ai fioren-
tini ; tanto che ne sono piene le storie delle
origini di Firenze, anche in tempi posteriori
a quelli di Dante : nella Or, di Q. Villani d
da vedere l'atteggiarsi di cotesta materia leg-
gendaria nella forma storica. — ekiomft: il
pennecchio (v. 117) o la conocchia (I\trg, xxi 26).
127. Sarfa ecc. Ai miei tempi sarebbe sem-
brato miracolo la presenza in Firenze di una
donna scostumata o d'un foccendiere disone-
sto, come or sarebbe una donna d'illibati co-
stumi o un intemerato cittadino. La similitu-
dine dantesca acquista sua efficacia, pifi che
dal raffronto con gli esempi romani, dalla
scelta felice dei nomi contemporanei die do-
vevano esser vivi e presenti con tutta la sto-
ria delle loro brutture alla memoria dei con-
cittadini di Dante ; e cosi con un tratto di
semplicità vigorosa il poeta sa sempre otta-
nero 1 piò nuovi effètti di arte. — 128. aia
Cianghella: Cianghella, figlia di Arrigo della
Tosa fiorentino e moglie dell' imolese Lito
degli Alidosi, tn. famosa al tempo di Dante,
e anche sino al Boccaccio (cfr. Bull. 1214),
por ogni maniera di vizi donneschi, e visse
sin verso il 1330: efficacemente la scolpisce
il Lana : « Fue ed ò una donna di quelli della
Tosa, la quale per tutta questa etade è stata
la inventrice di tutte le novitadi nelli abiti
delle donne; d stata molto bella donna, e l'al-
tro, credendo parer si belle, hanno voluto oon-
trafarla, onde sono venute in tanta inconti-
nenzia ch'elio gli perdono le pubbliche e co-
muni » ; e l'Ott. : < donna piena di tutto di-
sonesto abito e portamento e parlante senza
alcuna f^nte o alcuno abito o atto pertinente
a condizione di donna » : e Bonv. aggiunge,
sulla fede del padre suo che la conobbe di
persona, altri particolari della disonestà ed
arroganza di cotesta (Cianghella, degno esem-
pio delle < sfì&cciate donne fiorentine» (Pitrg.
XXIII 101). — «n Lapo SAlterello: messer
Lapo Salterelli fu dottoro di leg?e e poeta in
Firenze nel tempo di Dante : gran f^cendiere
686
DIVINA COMMEDIA
123 qual or saria Ginoìimato o Comiglia.
A cosi riposato, a cosi bello
Yiyer di cittadini, a cosi fida
182 cittadinanza, a cosi dolce ostello,
Maria mi dio, chiamata in alte grida,
e nell'antico vostro bi^tistéo
135 insieme fai cristiano e Gacciagoida,
Moronto fii mio frate ed Eliseo;
mia donna venne a me di vai di Pado,
• mestatore, lo troriAmo peitedpe » tatti qua-
si i &tti pubblid laooesii in Fiienie daU'isti-
tazione del priorato tino alla dispenlone della
parto Bianca, e poro la menzione di Ini nei
dooomenti • nelle itoiie llorontine è anai fre-
quenta. Fa ambMotatore con altri fiorentini
a Bonifazio Vm nel 12M per informarlo della
Tonata in Toscana di Giovanni di Ghftlons, e
fa anche dei Priori ; nel 1300, prima che scop-
piassero apertamente le ostilità fra Bianchi e
Neri, denanziò insieme con altri doe cittadini
on trattato di aloani fiorentini con Bonifa-
zio Vm, il quale voleva impadronirsi di Fi-
renze, ed incorse perciò neU'ira di quel pon-
tefice : mal seppe destreggiarsi nell*Ìnfrtriaro
delle fazioni, e dopo il trionfo dei Neri si na-
scoso in casa dei Falci, ma inatilmente, poi-
ché nel febbraio del 1S02 fri colpito anch'egli
da ona sentenza di proscrizione, motivata da
brogli, baratterie e corrazioni di processi gia-
dizialL e 0 m. Lapo Salterelli minacdatore e
battitore de*rettori, ohe non ti servlano nelle
qaistioni tao I >, esclamava perdo D. Compa-
gni (O. n 22), che bene doveva conoscerlo;
e Dante lo rappresentò molti anni di poi come
tipo del cittadino disonesto e corruttore dei
pubblici officiali, in antitesi con rintegerrimo
Cincinnato. Oli antichi commentatori accen-
nano ch'ei fosse di molli e lascivi costumi, e
di molti vezzi e leggiadrie, e par quasi che in-
tendano ohe come tale sia ricordato da Dante ;
ma sembra piA opportuno riferire il rimprovero
del poeta alla condotta politica del SalterelU ;
sul quale cfr. Del Lungo, 1 48-68, 98, 174-175,
190, 280-281, 242-245, 268-269, H 87, 145, 165,
206, 280 eoe, e G. Levi, Bonifaxio Ville le
tm nkurioni eoi Ccm, di Fir.y Boma, 1882.
129. — CineiBBate : cf. Poir, vi 46. — Conl-
gllas cfr. Inf. IV 128. — 180. À cosi eco.
Nacqui in Firenze, mentre sf tranquilla e one-
sta era la vita dei dttadini, confidenti gli uni
negli altri e contenti perdo della loro patria.
Continuando il tadto contrapposto con la Fi-
renze dd tempi di Dante, questa terzina ri-
sponde ad altri luoghi dd poema dove questa
dttà ò accennata come assalito (ia tonto tftsoor-
dia {Inf. VI 68), o come pianta di Lucifero
{Par, Ez 127), fiena d'invidia {Inf, vi 49) e nido
di fnalixia tanta {Inf, xv 78). — 188. Maria
eoo. la beata Vergine, invocata da mia madre
nei ddori dd parto, mi fece nascere ecc. — li
alte grida : cfr. Purg, xx 19-2L ~ 184. ae^
l'utiet ecc. nd Battlstwo di San Giovanni
(cfr. Ar. zxv 8) fili battezzato e mi fri impo-
sto il nome di Caodaguida. ~ 185. Caeeia-
gnlda: di questo antenato di Dante l'esistenza
ò confermata dal documento già dt. dd 1189
relativo ai suoi figli (IVsttmittMS «t Alaghieri
fratns fiUi dim Oaeoiciguitda*% ma della sua
vita non saj^iamo se non dò die d laocoglie
dai verd dd poeta. Nacque in Firenze, nd
sesto di Porta San Piero {Par, xvi 40-42), in-
tomo al 1)090 (ih., 84-89), e forse frt ddla fe-
miglia Elisd (ib., 40), una ddle antiche schiat-
te fiorentine che vantavano discendenza ro*
mana: sposò una donna della valle del Po, la
quale dio il nome dd suoi d figlio Alighiero
(cfr. la notadv. 91, 1S7 di questo canto) e
per mezzo di lui ella famiglia dlstaocatad dd
ceppo originario ; ebbe un fratello, Moronto,
e secondo la pi6 comune spiegadone dd v.
186, un dtro chiamato Eliseo; segai 1* im-
peratore O)rrado m ndla seconda erodata
e da lui fa armato cavaliere; mori nd 1147
o poco di poi, combattendo contro gì' infedeli.
— 186. MorÒBtot nessnna notizia d ha di
questo fratello di Cacdaguida : un documento
fiorentino dd 2 aprile 1076 ricorda come pos-
sessori di terreni presso la chiesa di San Mar-
tino 1 figli e nipoti lùinmii de Aroo, che sa-
rebbe Tavo di Cacdagdda, di Moronto e di
Eliseo, poiché anche pifi tardi gli Elisei frirono
detti de areu pietatie ; ma tatto è incerto in
queste antichità geneiilosiche dantesche, né
d può recisamente affermare o negare (cfr. A.
BartoU SL della leU. tt., voL V, pp. 6-8). -
Eliseo: di questo non d sa nulla; il suo
nome è come la linea d'unione per cui i ge-
nealogisti ricollegano gli Alighieri ag:li EUsd.
Secondo C. Bicd, sarebbe qui nome di casa-
to; e tutta la terzina significherebbe: Mo-
ronto mio fratello mantenne il cognome degli
Elisei, fu Eliseo; io invece, svendo presa
per moglie una AUghiera, fui prindpio d rs-
mo degli Alighieri. — 187. oda donna ecc.
io tdd in moglie una donna della valle del
Po (di nome Alighiera?), che dio il nome a
mio figlio Alighiero, qudlo « da cui d dice
tua cognazione » (v. 91). — 41 vai di Pads:
Ctt., parafrasando le parole di Dante : « ia
PARADISO - CANTO XV
687
138 e quindi il sopranome tuo si feo.
Poi seguitai lo imperador Currado,
ed ei mi cinse della sua milizia,
141 tanto per bene oprar gli venni in grado.
Betro gli andai incontro alla nequizia
di quella legge, il cui popolo usurpa,
144 per colpa dei pastor, vostra giustizia.
Quivi fu* io da quella gente turpa
disviluppato dal mondo fietllace,
il cui amor molte anime deturpa,
148 e venni dal martiro a questa pace ».
donna «u renne diyal di Po, doè di Fetian,
U quale ebbe nome madonna Alleghiera » :
opinione Meralta dai pift, massime dopo ohe il
rara, Ferr., 1866, ha proTato coi dooomenti
redstenza di nna tale lìuniglia in qoella città
nel seodlo xi, e psrtioolazmente di un Aldi-
ghiezo degli Aidighieri, Tiyente nel 1063, che
sarebbe stato il snooero di GaocUigaida. Altri
intendono di Panna, e altri ancora di Verona,
senza troppo fondamento. Gli Aldighieii di
Fonica durarono in fiore sino a mezzo il se-
eoto ziT, e Dante assai probabUmente ebbe
modo di riaìlaoclare con essi da Barenna gli
antichi rapporti domestici; cosi si spieghe-
rebbe assai bene il ricordo di queste parti-
oolarità genealogiche. — 1S8. qnladl: dal
nome della mia donna, spiegano i commenta-
tori; il Booc, Vita di D., § 2, parlando dei
figli di Oaodlagnida, scrire che alla madre
«in uno, sicoome le donne sogliono esser
raghe di fisre, le piacque di rinovaie il nome
de' suoi passati, e nomindlo Aldighiori >: che,
qualunque sia la rerità storica, d cerio l'in-
terpretazione rispondente al concetto di Dan-
te, poiché questo Terso ò da mettere in reia-
sione coi TV. 91-92. " 189«Pol segmlUi ecc.
Corrado m di Hohenstaufen, nato nel 1093,
eletto imperatore nel 1138, morto nel 1162,
prese parte alla seconda crociata (1147-1149),
insieme oon Luigi VII re di Francia: dopo
aver subito molte perdite nell'Asia minore,
r esercito crociato essali nel 1148 Damasco,
ma l'impresa tmrminò oon una disastrosa ri-
tirata. Della partedpaiione dei fiorentini a
questa orooiata non sappiamo nulla, nò s'in-
tende come Oaodaguida si mettesse al seguito
di Corrado m, poiché l'imperatore non di-
scese mai in Italia: pare quindi assai proba-
bile che Dante confondesse ootesla impresa
con quella di Corrado II il Salico, imperatore
dal 1024 al 1089, U quale nella sua prima di-
scesa in Italia si fermò in Firenze e secondo
i cronisti (Q. ^^Hll., O., it 9) « pid cittadini
di Firenze si fedone osTalieri di sua mano e
furono al suo serTìgio », proprio nel tempo
ch'egli € andò in CalaTria contro a' Saradni
oh' erano Tenuti a guastare U paese e con
loro combatteo e con grande spargimento di
sangue de' cristiani gli cacdd e conquise > ;
tanto pid che anche Pietro di Dante dice che
Cacciaguida tu. oon Corrado imperatore « cum
in Calabria centra Saracenos iTÌt et bellavit » :
ma come, pur confondendo i due Corradi, si
potessero a Cacdaguida, Tissuto sotto il teizo,
tribuire fatti accaduti sotto il secondo, non
s'intende agOTolmente. — 140. ni eimse eco.
mi ftogiò di sua mano dell'ordine della caTalle-
ria. ~ 141. tante ecc. tanto gli piacqui per il
mio Talore e la mia Tirtd. — 142. Betro eoe
Seguitai l'imperatore a combattere contro
gl'infedeli, contro la potenza mussulmana,
che per colpa dei pontefici usurpa le ragioni
della cristianità sulla Terrasanta. È rimpro*
vero ohe Dante riTolge abbastanza spesso ai
papi (cfr. Inf. zzTD 87 e segg.. Fot. a 126),
di trascurare l'impresa della liberazione di
Terrasanta per attendere a mondani interessi.
— 146. QaiTl eoe In quella spedizione io fai
per mano degli infedeli liberato dalla Tita ter-
rena; pi ricordi ohe paiia lo spirito di Cac-
daguida. — turpa: turpe, perché iuTolta
negli errori religiosi ; sulla forma cf^. Parodi,
BulL m 117. — 146. Mondo fallace! cf^.
Piar. X 126. — 148. e Tenni eco. e dal mar-
tirio, doò morendo per la fede di Cristo,
Tenni alla beatitudine del paradiso (ofir. Par.
X 128).
688
DIVIKA COMMEDU
CANTO XVI
A richiesta di Djmte, Caceiagaidit parla del tempo In cai florf , dei pro-
pri antenati e della popolazione di Firenie, distendendosi lungamente a
deplorare il mescolarsi della gente nuova con le ?ecchie schiatte e ad
esporre i nomi e le condizioni delle principali fEuniglie fiorentine del primo
cerchio [U aprile, ore antimeridiane].
O poca nostra nobiltà di eangue,
se gloriar di te la gente fed
8 qua giù, dove l'affetto nostro longue,
mirabil cosa non mi sarà mai;
chó là, dove appetito non si torce,
6 dico nel cielo, io me ne gloriai.
Ben sei tu manto che tosto raocorce,
si che, se non s'appon di die in die,
9 lo tempo va dintorno con le force.
Dal * voi * che prima Homa sofferie.
-1
XVI 1. 0 poea eoe. Le parole di Caccia-
goida soscitaiono in Dante un senso di oom*
piacimento, per arer trovato che la soa Cuni-
glia areva avuto cosi nobile principio; per
la qnal cosa, ripensando egli all' effètto che
sull'animo sno produsse il discorso dell'ante-
nato illastre, esclama : 0 piccola nobiltà delle
schiatte amano t Io non mi meravigllerO mai
che ta Csoda andar superbi di te gli uomini
quaggid in terra, ove il nostro amore si volge
facilmente alle cose Oallaci; dappoiché io di
tale nobiltà del sangue mi gloriai su in dolo,
ore il desiderio non può essere traviato ad
obbietti indegni : eppure tu sei ornamento ohe
vien presto a mancare, se non ò accresduto
da nuove opere virtuose. — poca aoitra eco.
piccola d dotta la nobiltà della nasdta al pa-
ragone della grande e verace nobiltà, che è
«perfezione di propria natura in ciascuna
cosa » {Cono, iv 17) ossia d una oosa sola con
la Tìrtù, secondo la teorica dantesca svolta
nel IV trattato del Cor», — 8. laigie : d lan-
guido, debole, e perdo facilmente travia, « ima-
gini di ben seguendo false » {Pifsrg, xkx 131).
— 6. là dove ecc. nel paradiso, ove l'animo
non può volgersi se non al bene, essendo nello
stato di compiuta perfezione. — 6. lo me ne
gloriai : non propriamente mi sentii superbo
delle nobili origini, ma pld tosto provai un
certo oomplaclmento venendo a conoscere d'a-
vere tra 1 miei avi un cavaliere d'impero e
martire della fede. — 7. Bea sei eoo. L'or-
namento degli avi illastri non dura se non
continuano a esser virtuosi anche l discen-
denti: d come un manto che presto si rao-
corda di guisa che, se non à vìa via allun-
gato. Il tempo con le sue forbld lo va consu-
mando. Dante non fa altro ohe ndurre • pre-
sentare in forma di dmilitudine, a dir vero
non delle pi6 beDe, il concetto esprosw) nel
Omv. IV 29: « 0 voi che udito m' avete, ve-
dete quanti sono odoro che sono ingannati I
dod coloro che per esser di &mose e antica
generazioni, e per esser discesi di padri eo-
oeUenti, credono essere nobili, nobiltà bob
avendo in loro », e nel luogo stesso oob in-
gegnoeo paragone: «Siccome d'una massa
bianca di grano si potrebbe levare a grano a
grano il fermento e a grano restituire meliga
rossa, e tutta la massa finalmente cangerebbe
colore ; cosi della nobile progenie potrebbono
il buoni morire a uno a uno, e nascere la
quella 11 malvagi, tanto che cangerebbe 11 nomo,
e non nobile, ma vile da dire sarebbe ». —
raeeoree t è 2* pers., « tu sei manto che ti
raocord »; cfr. Parodi, BuU, m 124. — 8.
s*appoB I s'appone, s'aggiunge; efr. v. 69.
— 9. forse : forbld, per analogia del lat. /W^
eoe. — 10. Dal voi eoo. Dante tratta col voi
solamente Brunetto Latini (In/', zv 80, 86, 80
ecc.). Farinata degU liberti {Bif. z 61, M,
110 ecc.). Cavalcante Cavalcanti (bif. z 63)
e Beatrice {Purff, tttt 86, zzzm 80, SI, 12,
Par, u i9, IV 122 eoe): a Oaodaguida ha gii
parlato col tu, più ftunlliaro {Btr. zv 85), ma
ora che sa di quanto onore sia degno questo
suo antenato gli d rivolge col sdì. — eh*
prima ecc. Tatti i commentatori antichi con-
cordano In una comune sentenza, cosi espo-
sta dall' Ott : < Tornando Giulio Cesare vin-
dtore d'ogni parte del mondo, e ricevendo
gli onori de' trionfi dell'avute vittorie, Uro-
mani soflérsono primamente di dire a lui, uno
uomo, voi ; la qual oosa 11 romani fodoaoplA
PARADISO — CANTO XVI
G89I
in che la sua famiglia men perse vra,
12 ricominci aron le parole mie;
onde Beatrice, ch'era un poco sceTra,
rìdendo, parve quella che teselo
15 al primo fallo scritto dì Ginevra.
Io cominciai : € Voi siete il padre mio,
voi mi date a parlar tutta baldezza,
18 voi mi levate si ch'io son più ch'io.
Per tanti rivi s'empie d'allegrezza
la mente mia, che di sé fa letizia,
21 perché può sostener che non si spezza.
Ditemi dunque, cara mia primizia,
quaì f(ir li vostri antichi, e quai filr gli anni
24 che si segnare in vostra puerizia.
por paura e per servile onore, oho per affet-
tuosa rererenza » : ma il vero d che qaesf oso
inoomindò solamente pi6 tardi, nel m seo. d.
C, e r inganno dei oommentatori dipende da
una fialsa interpretazione dei versi di Lucano,
£\»rs, r 888: cSummum diotator honorem
Contigit, et laetos iècit se oonsule Cutoe :
Namquo omnes Tooes, per quas iam tempore
tanto Mentimnr dominis, haeo primum reppe-
rit aetas ». — 11. In che eoo. nel quale uso
del voi i romani hanno perseverato meno d'o-
gni altra cittadinanza italiana: ctueggiano
ogni persona», dice il Lana, e Sallmbene
da Parma, Fragm, p. 406, afferma ohe e Ro-
mani imperatori et summo pontifici diount tu > ;
ed è uso vivo anche oggi. — 18. ond^ Bea-
trice eoo. Beatrice, ohe era alquanto discosta
dai due Alighieri, a sentir Danto che aveva
cambiato linguaggio, sorrise per segno d' in-
ooraggiamento : non parlò perché non volle
intarromptte il discorso già inoomindato dal
poeta. ~ 14. parve eoo. Allude a un falto
caooontato in una redazione del romanzo di
Lancillotto (ofr. ìnf, v 128; B. Benier nel
Gior. ttor, d$Ua ÌML U., a. 1884, voi. I, p. 819;
F. Novati, Cimf. n 282), nel quale, secondo
il Lana, era detto che il oavaliore < stava
timido appresso la reina Ginevra, nò par-
lava né s'argomentava di fare altro: la donna
di Hanoalt [meglio, di Mallehault], si come ri-
cordata e che conosceva lo luogo e '1 perché
doT* erano, tosalo, e léce cenno a Lanoialotto
che dovesse prendere alcuno diletto ; ond'ogli,
cosi fiivoroggiato, gittò le braccia al collo alla
reina e badolla». Secondo gli altri com-
mentatori antichi, con pi6 precisa corrispon-
denza alle varie redazioni del romanzo fran-
cese, la cameriera di Ginevra, la donna di
Mallehanlt, tossf quando vide Lancillotto ba-
dare la rogina, por far vedere che s' era ac-
corta dd fallo : particolare, che s' accorde-
rebbe meglio all'interpretazione die alcuni
danno al sorriso di Beatrice, come se fosse per
DAirrx
segno eh' ella s'era accorta del rane compia-
cerd di Dante per la nobiltà del suo sangue. —
16. terltto: nei romanzi francesi d'avventura
(cfr. Inf, V 127). — 16. Tel slete ecc. Voi siete
il progenitore della mia stirpe, voi m' inco-
raggiate a parlare, yoi mi fìtto assurgere tanto
alto eh' io mi sento superiore a me stesso, al
mio stato abituale. ~ 17. baldezia : sicurtà,
forza o coraggio morale; cti. Inf. vm 119,
Fior, xxxn 109. — 19. Per Unti ecc. Col
vostro discorso voi avete dato tanti motivi di
allegrezza all'animo mio, che esso si rallegra
di sostenere tanta gioia senza rimanere vinto.
La capadtà dell'animo umano alla gioia ò li-
mitata (eh, V. N, XI 18-21), e Dante si com-
piace d'aver potuto gustare tutta la letizia
cagionatagli dall'incontro di Cacdaguida e
da dò che il suo antenato ha detto di sé e
dell' antica Firenze. — 20. di s4 fa letizia :
ed rallegra di sé medesima», spiega con
chiarezza e semplidtà il Buti ; alcuni moder-
ni, ingarbugliando, intendono : converte in le-
tizia la sua propria essenza, e cosf non ò so-
prafatta dalla gioia. — 22. Ditemi ecc. Qmit-
tre sono le domande che Dante rivolge a Cac-
daguida e a tutte quattro risponde il beato
spirito, sebbene senza seguire l'ordino delle
interrogazioni e solo all' ultima dando risposta
ampia e piena; onde il ragionamento che or
seguirà il Cacdaguida d svolgerà su quosti
punti : in qual tempo egli venne al mondo
(w. 84-89), quali ftirono i suol antichi (vr.
40-4fi), quanti erano ai suoi di gli abitanti di
Firenze (w. 46-48) e quali erano le famicriio
prindpali della dttà (tv. 49-154). — prl ini-
zia : capostipite, progenitore. — 28. qaal far
gli anni ecc. quali furono gli anni della vo-
stra puerizia, in qual tempo precisamente na-
sceste. Dante sapeva già quando Cacdaguida
fosse morto {Par. xv 135, 146), dedderava
conoscere quando era nato, e gli domanda il
tempo della sua prima età, ohe < anni do-
mini correa» al tempo ch'd nacquo: Cao-
44
i
I
690
DIVINA COMMEDIA
Ditemi dell' o vii di San Giovanni
quanto era allora, e chi eran le genti
27 tra esso degne di più alti scanni >.
Come s'avviva allo spirar dei venti
carbone in fiamma, cosi vidi quella
80 luce risplendere ai miei blandimenti;
e come agli occhi miei si fé' più bella,
cosi con voce più dolce e soave,
83 ma non con questa moderna favella,
dissemi : e Da quel di che fu detto * Ave '
al parto in che mia madre, eh' ò or santa,
86 s'alleviò di me ond'era grave,
al suo Leon cinquecento cinquanta
dagaido, rispondondo, dirà l' anno preciso. —
25. deiroTll eoe quanto fosse grande la dttà
di Firence» doè quanta fosse la soa popola-
zione, posta sotto la protezione di san Oio-
Tannl Battista (ofr. Jkf, xni liS). — 27. «•-
^e ecc. meriteToli di pi6 alti onori, pi6
onorevoli: è detto in senso poUtioo, come ap-
pare dalla risposta di Oacdagnida, special-
niente al TV. 100-101, 107-114. — 28. C««s
ecc. Ventori 85 osserra ohe la presente si-
militudine raochinde le ideo separatamente
accennate in «incile del Paf. xiv 62 e segg.
e zix e segg., cogliendo insieme il folgore e
il calore della fiamma prodotta dal carbone
acoeso; ed è assai opportuna a signiiScare
V intima letizia di Oaociagnida per l'ardore di
carità ohe lo mnore a compiacere ai desideri
di Dante. Anche d da avrertire una notevole
conformità con la similitudine ovidlana, IM.
▼n 79 : e Ut solet a ventis alimenta assumere,
quaeque Parrà sub induota latuitsdntilla fis-
yilla, Crescere et in veteres agitata resnxgere
vires », meno efficace della dantesca, perché
diluita in troppe parole. — 80. «1 misi blan-
dimenti : alle mie affettuose parole ; se non
che nel hUnndire (cfr. Paxr, xu 24, zzii 86) d
r idea di un affetto cho d dimostra in maniera
lusinghoTole, con dold allettamenti, come
quelli appunto che Dante ha fatto precedere
alle sue quattro domande, perché queste non
apparissoro troppe. — 88. ma aom ecc. Tra
i pochi che intendono ohe Oaodaguida par-
lasse « con divina e angelica favella » e i mol-
tisdmi che tengono eh' ei parlasse latino, credo
cho la migliore spiegazione da una di quello
recate dall' Ott, il quale chiosa: e Dice che
il suo parlare non fu con questa moderna fa-
vella 0 a dare ad intendere eh» gli antichi no-
ttri ebbono non del Mio il nostro idiomataf o
vero a dimostrare che nell'altro regno ò una
sola lingua, partita dalla nostra ». Caoda-
guida insomma parlava il dialetto fiorentino,
né più né meno degli altri condttadini che
Dante incontra per i tre regni ; se non ohe,
essendo vissuto quad due secoli innanzi, il
sao linguaggio era pid arcaico rispetto a quello
dd tempo di Dante, e perdo era un po' di-
sforme dal oomnne padare dd fiorentini dd
trecento : che Oaodaguida parlasse in latino
è opinione nata e divenuta generale, perché
egli saluta Danto con pardo latine, delle
quali parecchie sono limembcaase vit^Uìane
(cf^. Par, zv 28-80), snggadto a Dante dalla
comparadone con Anchise (ivi, 26-27) ; e per-
ché d è inteso male il latino del i^. zvm
86. La fiorentinità schietta dd disoocso di
Oaodagnida meglio s'aocorda dd resto con
la snpposizione che Danto d figurasse l' an-
tenato suo aver parlato fiorentino, perdié la
latino molto ooee e idee tutto medievali md
d sarebbero espresse; e poi la parlato di Oso-
dsgoida non era una trattadone dottrìaale,
cui convenisse il linguaggio ddla sdonza, ma
una specie di serventese, quali d fecero an-
che pi6 tardi, in lode di Firenae e in bm-
moria delle sue famiglie. — 84. Ba ^aal eco.
Dal giorno dell' annnndasione (fWy. z 40)
della Vergine ossia dall' iacamadose di Cristo
alla mia nasdta, il pianato di Marto, tmmt
680 voàa al mio Iaoh a rinfiatnmarn woUo la
»ìta pianta, — 85. aOa madra ecc. mia ma-
dre, ohe ora ò anch'essa tra i beati, d sgravò
di me dei qude era gravida. — 87. al sao eoo.
questo piaaeto Karto, compiendo la sua dvo-
ludone, d trovò 680 volto presso la oostd-
ladone dd Leone ad aooendsrd di naovo, a
rawivard di Inoa e di odore, sotto a questo
segno celesto. Per detorminara l'anno della
nasdto di Oaodaguida è da notare ohe Danto
nel Oom. segna sempre per dd ohe riguarda
i pianeti le dottrine di Tdomeo, il quale nd
lib. TX àBWÀlmage§to pone la rìvdudona di
Marto oompird In 686 giorni e 94 oentadmi
o nel lib. in l'anno tn^ioo essere di 866 gioial«
3 ore, 66' e 12" : posto ohe Danto abbia sa-
gnito anche qui il suo antore» le 680 rivo-
lodoni di Marto oonispondono ad anni 1090,
giorni 806 o qudoha ora; ossia OaodagnMs
PARADISO — CANTO XVI
691
e trenta fiate veime questo foco
89 a rinfiammarsi sotto la sua pianta.
Gli antichi miei ed io nacqui nel loco,
dove si trova pria l'ultimo sesto
42 da quel che corre il vostro annual gioco :
basti dei miei maggiori udirne questo;
chi ei si flìro, ed onde venner quivi,
45 più è tacer, che ragionare, onesto.
Tutti color eh* a quel tempo eran ivi
da poter arme, tra Marte e il Batista,
48 erano il quinto di quei che son vivi;
nacque nel 1090 o nel 1091. Questo ò il oal-
eoU> dell'Ant. ,oonforme all'opinione del Lomb.,
Biag., Coeta, Ces., Blanc, Soart eoo.; ma gli
antichi. Lana, Ott, Bati, Land., VelL, Dan.
eco., partendo dall'idea che la riyolnzlono di
Marte si oompine in due anni, posero come
data della nascita di Oaodagnida il 1160, er-
rore manifestissimo : e Pietro di Dante e Cass.
leggendo etnqutc&nto oinquania t tre fiaUf la
pongono di oonsegnenza all'anno 1106, segniti
da Vent, Bianchi, Fiat., Andr. e da altri. —
40. €01 aatielil eoe. Alla domanda di Dante
e Qnai fOr li rostri antichi ? », Caodagnida
risponde dicendo ohe essi nacquero, come Ini,
nel sesto di Porta San Piero, perché l' avere
lo case entro la cerchia primitiva ò s^no di
antica cittadinanza. Le case infatti di Cac-
ciagoida, quelle stesse che poi furono di Dante
e dei suoi parenti, erano nel popolo di San
Martino e guardavano da una parte verso
l'antica torre della Castagna e dall' altra solle
vie Bicdarda e Santa Margherita: ciò ap-
pare dal documento cit. in Par. xv 91, e da
quelli di tempi posteriori raccolti da E. Fral-
lani e 0. Gaxgani, Della casa di Dante, re-
laxione, Firenze, 1865, e La casa ài D. Al,
M jFfrmxs, Fir., 1869. Nel sesto di Porta San
Piero abitavano anticamente gli Elise! (G.
Vm., Or. IV 10), famiglia alla quale secondo
la maggior parte del biografi di Dante, a oo-
minòare dal Boccaccio, apparteneva Caccia-
guida : ma di dò nuUa si pud affermare con
certezza. — 41. dorè ecc. Nolla corsa al palio
che si faceva in Firenze nella festa di san
Giovanni, annual giooo^ annua solennità prin-
dpale dd fiorentini, i cavalli attraversavano
la dttà e giungevano noi sesto di Porta San
Fiero presso le case degli Alighieri : vuol dir
dunque Caodagnida che le sue case erano
all'estremità di quel sesto dalla parte del cen-
tro di Firenze. Secondo Bf. Barbi, BuU, IV
2, qui sarebbero invece accennate le case
degli EUaei al prindpio della via degli Spe-
àalL ~ 43. basti ecc. dd mid antichi non
dirò altro, basti sapere che abitavano nel-
r àmbito ddla prima cerchia: chi fossero,
doò quale casato portassero, e donde venis-
sero ad abitare in Firenze ò meglio tacerlo
che dirlo. — 46. pld è tacer eco. Sono pa-
role chiarissime, se d confrontino con quelle
dell' hif, IV 104-106 ; dal quale confante esce
manifesto U senso : ò più conveniente tacere,
che ragionare intomo alla nobiltà di mia stirpe
e alla sua origine; « quad a dire, nota il
Lana, l'autore parrebbe ingordo e non con-
tenente in vanagloria se trattasse più di sua
antichità». Non pare che questo silenzio di
Cacdagulda possa dipendere da sola modestia
o da dedderio di nascondere ignobili origini
e condizioni dei suoi maggiori, come inten-
dono alcuni; pud darsi che questo sia un ar-
tifizio di Dante per coprire d' un vdo l' igno-
ranza in che egli era di questo punto della
sua storia domestica (cfr. D'Ovidio, p. 513);
ma fon' anche è più naturale che Caodagnida
non aggiungesse altro perché gli paresse d'aver
detto abbastanza, ricordando che i suoi erano
una delle casate più antiche di Firenze, di
quelle che abitavano nel centro ddla dttà, e
gli sembrasse opportuno di non insistere su
Godesti particolari genealogid. — 46. Tatti
e<». Bìsponde alla terza domanda di Dante
dicendo che tra Pontevecchio, ove sorgeva
la statua di Marte (cft*. v. 146), e la chiesa
di san Giovanni (cfr. Par, zxv 8), al suo
tempo gli uomini atti alle armi erano un quinto
di quelli del tempo di Dante. Nd 1300 Firenze
aveva drca settantamila abitanti, trentamila
dei quali atti alle armi : dunque la popola-
zione dd tempi di Cacdagulda era di quat-
tordicimila, dei quali seimila capad di guer-
reggiare. È da crederò per altro che Dante
non abbia voluto far un computo statistico
esatto, ma dire genericamente che la popola-
zione era assai cresciuta ai sud temjd rispetto
a quelli di Cacdaguida. — 47. da poter arme
ecc. da sostenere armi, atti alla fatica delle
armi; il vb. foicre non ò raro in questo senso,
per es. in F. Sacchetti, Novelle : e Gli parve
troppo giovane da non potere a' disagi del
mare », doè da non poter resistere. — 48. di
qnel ecc. di quelli atti alle armi, che vivono
692
DIVINA COMMEDIA
51
51
ma la cittadinanza, eh' è or mista
di Campi, di Certaldo e di FigHine,
pura vedeasi nell'ultimo artista.
O quanto fora meglio esser vicine
quelle genti ch'io dico, ed al (Galluzzo
ed a Trespiano aver vostro confine,
che averle dentro, e sostener lo puzzo
del villan d'Àguglion, di quel da Signa,
adesso ; non già, di quei ohe Ti abitano onu
— 49. BUI la eiUadinaaza eco. Caociagnida
dice che la piooola cittadinanza fiorentina del
ano tempo era pnia anche neUe classi sodali
inferiori, era ancora immane dalla mesco-
lanza che s'ebbe ai tempi di Dante dell'ele-
mento cittadino con l'elemento contadino, con
ala gente nnova» (Jnf, xri 78): dovendo
riconoscere la plcciolezza del numero, l'antico
cittadino Tanta il purissimo sangne fiorentino
dei saoi contemporanei, cittadinanza omoge-
nea, nella qnalo ormai erano scomparse le
distinzioni delle origini romane, fiesolane e
fendalL Cosi Oaodagoida si Ca strada a rap-
presentare la Firenze del secolo zn; e la Fi-
renze (dice il Del Lungo, DanU^ I 26) com-
presa tra Marte s *l Bo/ùto, quadripartita
di quartieri e di porte, da Por San Pietro a
8an Brancazio, da Por del Duomo a Santa
Maria ; e nell' elenco degli Uhutri eiitadmi^
oome il caTsliere di Palostina li chiama, altri
già nU eakmt altri eo$i grandi eom» antiehi^
le singole caratteristiche ad essi attribuite
ci fanno pur fede di quella varietà, ormai ri-
dotta ad unità. Unità, am riposo, eon giu^
sHxia, con gU/ria, nella quale aocoglieransi e
formavano un sol corpo e le casate antichis-
sime originali, della leggenda e fesulea e ro-
mana, e i venuti a città, e fatti ormai buoiU
eUtadiniy dalle colline dove la conquista lon-
gobarda 0 franca aveva impiantato signori i
loro antenati, e 1 superbi che vantavano ori-
gini germaniche e spada buona a gran fatHt
e i discesi giù da Fiesole nel fiMfoato, e gU
esercitati nel reggimento de' nascenti muni-
cipi!, e le famiglie consolari, e lo episcopali,
e lo privilegiate dai Marchesi di Toscana, e
le popolari o di piccola gente^ e le onorate di
elsa e di pome doraiij ciod di cavalleria, e
infine le famiglie di fresco venute, le fami-
glie nuove ». — 60. di Camp! ecc. doÒ di fa-
miglie venute dalle grosse terre del contado
ad abitare in città. Campi in Val di Bisen-
so, Certaldo nella Valdelsa, Pigline nel Val-
damo superiore sono tre borgate del territo-
rio fiorentino, di qualche importanza al tempo
di Dante, ma oscure nel secolo di Cacciaguida
(cfr. Bepetti, I 413, 666, Il 126) : il che ac-
cresce il significato dispregiativo delle parole
con le quali l'antico cittadino lamenta l' inur-
barsi dello famiglie contadine. Nò la scelta
di queste borgate è senza ragione: poiché
Dante, sorivendo questo verso, ricordava c«to
ohe da Figline erano Tenuti quei ftetelli Fran-
tesi, usurai e mali oonsigUeri del re di Frsn-
cia (ol^. Par, xb 119), tornati in Firenze con
Carlo di Valoit (ol^. Del Lungo, DatUs, 1 54-
66), e andie quel Baldo Fini dottore di legge
che i Neri mandarono nel 1311 a sommuo-
vere il re di Frauda contro 1* imperatore Ar-
rigo VII (D. Compagni, Or. m 82) : ricordava
che da Cataldo era quél giudioe Iacopo d*£l-
debrandino, ohe Ai dei Priori nel 1289 e poi
più tardi uno del faccendieri di parte Nera,
e di quelli che ebbero voce d'aver e distratto»
Firenze (D. Compagni, O. i 8, n SO). — 61.
■ell*«ltlae ecc. non pure nd dttadini grandi,
ma nei pi6 umili artigiani. — 52. 0 qwnte
eoe Quanto sarebbe meglio per Firenze s'ella
aTosse ancora oome vidne le genti di' io dico,
doò se non avesse allargato il suo dominio
sino a compronderri cotesto genti contadin»,
e se il confine del territorio fiorentino foaso
ancora al Galluzzo e a Trsspiano, a poca di-
stanza dalla dttà. — 63. flallacso: è una
piccola borgata, a due miglia da Firense snQa
strada di Siena (Bepetti, H 888). — 54: Tré-
spiano X altra borgata ftiorì della dttà, sulla
strada di Bologna (Bepetti, V 697). — 56.
ohe aTerle ecc. che avere in dttà queste
genti venute di contado e tollerare n«i con-
sigli, negli offid eoo. questi villani anioohitl
coi commerd e divenuti autorevoli oon l'easr-
cizio del notariato. — 66. del Tillan d'iga-
glion eoo. Messer Baldo, figlio di Ouglielmo
da A^^uglione (castello in Val di Pesa, detto
anche Aquilone), fti uno degli uomini di ori-
gine contadina die ebbero maggiore autorità
in Firenze al tempo di Dante, il quale ha già
accennato in ISsrg, zìi 106 all'inganno d«l
quaderno alterato per consiglio di questo le-
gista a vantaggio di Nlcoola Acciaioli. Di
Baldo scrive il Dd Lungo, DanU^ 1 67: « Dal-
l'agitazione democratica dd *93 al trionfo di
parte Guelfk contro l' Impero nd 1812, il non»
di messer Baldo, ohe Ite dd supremo ma^
strato sei volte e più altre ambaadatore o sin-
daco del Comune, e sempre de* piò operosi •
autorevoli ne' Consigli, ricorre quad ad og:ni
pagina della storia di Hrenze guelfa. In que-
sto villan d' A^^uglicne, di fami^ia ghibeUizia,
Firenze guelfa ebbe il fomulatore dd suo
PARADISO - CANTO XVI
693
67 che già per barattare ha l'occhio aguzzo!
Se la gente, ch'ai mondo più traligna,
non fosse stata a Cesare noverca,
60 ma, come madre a suo figliaci, benigno,
tal fatto è fiorentino, e cambia e merca,
che si sarebbe volto a Simifonti,
63 là dove andava Tavolo alla cerca.
SaHasi Montemnrlo ancor dei Conti;
giare con gli Ordinam«nti di Oinstiila, e Te-
aocatore dell» foe Tondetta oon la Biform»-
gion» contro coloro che maledetti per Ghibel-
lini espiarono eiei ioli i oomnni peccati».
Qneata dforma di Baldo d'Agoglione, 3 set-
tembre 18U (Tedila in Del Lungo, DeUTuiUo
di JDoMlf. Fir., 1881, pp. 107 e segg.), tra i
nomi degli esali ecoettaati dal richiamo reca
quello dell' Alifl^iieri, e ta ano degli aitimi
atti del barattiere legista, ohe renne amorte
poco di poL — di qatl da Sigma occ Messer
Tasio dei Morabaldini da Signa fu anoh'egli
dottore di legge e gran faooendiero nella
adesione di parte Qaellk: fa di quei Bianchi
che alla eadata della loro ftoione passarono
ai Neri e « furono ricedti solo per malfue »
(D. Gompagni, Or, n 28); fu dei priori quat-
tro Tolte e nel 1816 gonfaloniere di giasti-
xia : nel 1810 ta mandato ambasciatore al pon-
tefice Clemente V per sasdtare difficoltà ad
Arrigo Vn e t1 stette non inatUmente più
mesi ; e per qaosto il sao nome d segnato
nella langa lista dei condannati dall' impera-
tore nel 1818 (cl^. Del Lango, H 209, 891,
899). ~ 66. Se la gente ecc. Se gli ecclesia-
stid, ohe più degli altri nomini sono dege-
neri, non fossero stati aTTersari dell' impero,
se insomma non d fossero state le lotte tra
la OUesa e l' Impero, per le qaali qaesto per-
do ogni autorità in Italia eoe — la gente:
è la gente che dorrebbe « esser derota e lasciar
seder Cesar nella seDa » (Purg, ti 91), il pon-
tefice e gli altri dignitari della Chiesa. — 60.
noTerea t matrigna; e flgnratamente nemica,
malerola. D Monti, iVqpoito, Tol. n, p. i, p.
182 dta a riscontro dne passi latini, di Pe-
tronio, 8at^, zxn : e Mercedibas emptae Ac
Tiles anima» qaonim est mea Berna norer-
ca », e di Yelleio Pateroolo, n 4 : « Hostiam
armatornm totiee clamore non territos, qoi
possam Tetro moreri, quorum noverca est
Italia ». ~ 61. tal fatto ecc. sono direntati dt-
tadini di Firenie ed eserdtano l'arte del cam-
Uo e la mercatore tali che avrebbero conti-
noato ad esercitare più umile mestiere in
contado, come fkoeTano i loro Tocchi. Questa
tntexpretazione generica è data dai più; se
non che la menzione di Semifonte (forte ca-
stello nella Val d*£lsa, distratto nel 1202
dai fiorentini; cl^. G. Villani, O. t 80; A.
H. Bisdoni, preflss. alla falsa Storia tUUa
gvmrra <U SmiifonU, Fir., 1768; Hartwig,
QMfttm Mfid Far9Blmngmj dt toL II, pp. 100
e segg.) parrebbe richiamare ad una più de-
terminata allusione. GHà il Buti ne sospettò,
chiosando: € di cui dica non ho trorato; ma
certo è che di qualche grande e noaiinato
dttadino intese qui l'autore » : ma tra le prin-
dpali famiglie fiorentine di mercanti e cam-
biatori ftirono i Velluti, Tenuti appunto da
Semifonte (cfr. D. Velluti, O., p. 2), e ben
potrebbe il poeta alludere a uno di questa
famiglia, come sarebbe quel Lippe che fa ddla
Signoria che mandò in esilio Giano della Bella
(D. Compagni, Or, i 18). Questa ipeted, se-
condo il Del Lungo, IkmUf H 479, ha otti-
mi fondamenti nella cronaca di Donato Vel-
lati : e la esteriore origine semifontòa dei Vel-
luti, ricordata con qualche compiacenza nelle
prime linee, e che Dante inrece arrebbe, co-
me Tanagloria di gente a lui malaccetta, mes-
so in canzone; la dttadina origine tutta mer-
cantile deDa famiglia, ossia proprio il loro
sssfrri fata fiormOM appunto mmmttmdo e
cambiaruh', e finalmente la loro qualità di
parteggianti co' Neri, doò con la parte a cui,
in quel corrompimento della cittadinanza la-
mentato da Cacdaguida, tante e si brutto
cdpe attribuirà il poeta ». ~ 68. alla cerea x
per lo più s' intende, a mendicare, a cercare
l'elemosina ; ma con miglior senso della realtà
spiegarono alcuni antichi commentatori, per
andar nelle campagne, a rirender le meroi ai
rillani : il Daridsohn intende inreoe dell'an-
dare attorno a riscuotere le decime per il re-
scoro iott. Bull, TV 100). — 64. Sarfasl ecc.
Osserva il Del Lungo, DanUf 1 41, che Cacda-
guida rimpiange «che la oorrazione guelfa
arasse, oon quelle audad democrazie, con
quelle dttadinanze di rentura, sriato il mondo
dalle serene idealità imperiali che inradiarano
l'anima superbamente latina del cantore del-
l'unirorso ». — Montemnrlo : ò un castello
tra Firenze e Pistoia, antico possesso dei oonti
Oaidi, i quali mal potendo difenderlo contro
i pistoied lo cedettero ai fiorentini per de-
naro : nd 1209 dice 0. ViU., O. r 81, e ri-
petono i commentatori; ma i documenti pro-
rane che dò accadde nd 1254 (DeUxit (U-
gU ind., dt, Tol. VH, pp. 191 e segg.,
694
DIVINA COMMEDIA
— i«-m
sarfansi i Gerelli nel pivier d'Acone,
66 e forse in Val di Greve i BuondalmontL
Sempre la confusion delle persone
principio fu del mal della cittade,
69 come del corpo il cibo che s'appone:
e cieco toro più avacoio cade
che 1 cieco agnello, e molte volte taglia
72 più e meglio una che le cinque spade.
Se tu riguardi Luni ed IJrbisaglia
come son ite, e come se ne vanno
Vm, pp. 186 e segg.)* — 66. larÙMil eoo.
I Oarohi «rano dol ^▼ler» d'Aoone in Val
di Stare e foroiio di quelli ohe Tennero ad
abitare in eittà a meno il eeeolo zn, qoando
i fiorentini preearo e diifeoero il castello di
Monleorooe : datiai al oommecoio, aniochirono
molto presto, e già erano tra le famiglie no>
tabiU di Por San Piero allorchó la dttadi-
nania si dlTise per il Catto di Baondelmonte:
tennero parte gaelCa e cresdati di numero o
di lioohena acquistarono noi 1280 le oase dei
oonti Onidi, cioò una gran parte del sesto di
Por San Piero (ofr. tv. 9A-96); e non si spo-
gliarono mai di quella ruTidità contadina, per
ooi Dante chiama »6ivaffgia {h%f, ti 66) la
parte Bianca o oerchieeca. Sopra questa fa-
miglia si leggano le belle pagine del Del
Lungo, IkmU, I 89-6A. — plTler eco. U fir
vùn o plebanato d'Acone, costituito da alcune
parroodìie nella Val di SisTe (Bepetti I 87).
— 66. e ferie eoo. I Bnondalmonti, o Buon-
delmonti, « oattani e antiohi gentili uomini
di contado», erano signori del castello di
Montebuoni nella Val di GreTe, del quale fo-
rono spogliati dai fiorentini nel 1186 e co-
stretti a Tenire ad abitare in città (O. Vili.,
O. IT 86): cfr. anche tt. ISA e 142.-67.
Sempre ecc. B meeoolarsi e soTrapporsi deDa
gente nuoTa all'antica dttadinanxa Ai sem-
pre prindpio di mali dttadini : cosi in Fi-
renze r inurbarsi delle famiglie contadine, di-
Tenute forti di sùbiti guadagni (cfr. Inf, zti
78 e segg.)* • U rapido STilnppo che ne segui
dell'ordinamento democratioo furono causa
dei presenti mali della dttà. Dante sTolge a
modo suo e con una serie di paragoni alcuni
concetti d'Aristotele circa la separarione ne-
cessaria dei Tari ordini dd dttadini {cft, Po-
lUiea m 8, TI 10 ecc.). — 68. eeme del eerpe
ecc. come il dbo e^ s'appom^ d soTrappone,
d aggiunge in soTorchia misura (cf^. t. 8),
ò sompre cagione di male al corpo umano. —
70. e eleee ecc. Venturi 287 : « Con le due
tTHtnag<nt dd toro e della spada esprime che
il crescere della popolazione, anziché render
migliore e idfi forte la città, spesso nd dTili
negozi la poggiora o la indebolisce. B 01000
toro rappresenta la forza senza il senno; di
ohe nd SaTio : MèUor ttl taplentSm qwm ei-
rm, «tvit pmdmu quam forti» (Si^ ti 1). E
TtHM tpada significa ohe un sdo prode giora
meglio ohe mdti man Tdorod alla salute
della patria. Sentenza non dissomigUante nella
BibUa: Ab uno muoio inMabUaiur patria:
tribm impiorvm dtatrékrr (SocL xtx 5) ». —
«raeelo: cfr. £»/! xrxm 106. — 71. Balta
Talti eoo. cfr. Orssio, Sai, i 10, 16 : « Bidi-
oulum acri Fortkt» tt wuUu» magnaa plecnm-
que aoeat rea ». — 73. le «Inqne eco. usa
questo numero determinato, aTuto riguardo
alla quintuplicata popoladooe di Flranse (cfr.
T.48). — 78. 8t t« eoo. Se tu consideri coma
antidie e fiorenti dttàsieno stata distratta •
altre dttà siano dietro a rorinare, non ti
parrà singolare a diAdle a intandera coma
decadano le fàmig^: di che darà eaem^
nella enumeradone ohe segue (tt. 88 e aegg.),
essendo al tempo di Dante spente o Ticine a
spegnerd molte sdiiatte, state iUnstri nd
tempo di Oaodaguida. Su tutta la terzina ott.
Bassermann, pp. 240-244. — Lvni: antica
dttà etnisca, sulla sinistra dd fiume Magra,
fhila Toscana a la Liguria, era già rorinata
al tempo di Dante, rimanendo memoria di essa
nd nome di Luniglana dato al paeae dioo-
stante (ofr. a. Jung, La eUtà di Lma « U
tuo itrritorio, Modena 1908) ; Q.Vm., Or, 1 60,
ood ne parla : € La dttà di Luni, la quale
ò oggi disfatta, fu mdto antica, e, secondo
che troTiamo nelle storie di Troia, della dttà
di Luni t' ebbe naTiglio e genti all'duto dd
gred contro ^ troiani : pd ta disfatta per
gente dtremontana per cagione d'una donna
moglie d'uno signore, che andando a Boma
in quella dttà fu conotta d'aToltèro ; ondo
tornando il detto signore oon forza la distrusse
e oggi è diserta la contrada e malsana». —
Urblsaglia: l'antica Urbo iSolsiao Utiisof-
via ricordata da Plinio, EUL noL m 13, già
fiorente di edifld e di abitanti, aorgOTa nelle
Marche, non lungi da Macerata (cfr. M. Ca-
talani, Origini s anUtìtità fermam. Fermo,
1778, pp. 84 0 segg.). Di questa dttà lao-
conta Prooopio, n 16, che fri abbattuta da
Alarico : < Ita OTortit ut pristini deooiis ni-
hil d supersit, pnteter unam admodum pocw
PARADISO - CANTO XVI
695
75 di retro ad esse Chiusi e Sinigaglia;
udir come le schiatte si disfanno,
non ti parrà nuova cosa nò forte,
78 poscia che le cittadi termine hanno.
Le vostre cose tutte hanno lor morte,
si come voi; ma celasi in alcuna
81 che dura molto, e le vite son corte.
£ come il volger del ciel della luna
copre ed iscopre i liti senza posa,
84 cosi f& di Fiorenza la fortuna;
per che non dèe parer mirabil cosa
ciò ch'io dirò degli alti fiorentini,
87 onde la £una nel tempo è nascosa.
Io vidi gli Ughi, e vidi i Catellinì,
tam, et panoas strnotnne paYimenti reliquiae » :
è da «TTertire per altro ohe al tempo di Dante
era por tempre na forte castello, come fi ha
da una carta del 1297 per col Fldeamido di
Pietro signore del luogo impegna per sette-
cento fiorini d'oro e oastrom Urbesaliae, cnm
borgo, istone, torrihos, palatiis et omnibns
aliis inribns, fortellitiis et generaliter cnm
CHnnibns alUs terris, Tineis, molendinis et
posBOosionibns et bonis qnae habet in dieto
castro, girone et territorio et distriotn castri
praedioti > (cfr. T. Benigni, San Oimaio 0-
ktairata eoH euUioh» k^ridi $d antddoU doou-
mmUij Fermo, 1796, app., p. M). — 76.
Ckiul: nna delle principali dttà etrosohe,
che sorge sopra una collina all' estremità me-
ridionale della Toscana nella Val di Chiana:
nel BMdioevo decadde molto ed anche oggi d
loQgo di poca importanxa (oftr. F. P. Pizzetti,
AnUehiUà toteam s m partieoUm della oiUà s
oontei di Okkui, Siena» 1771-81). - SUlga-
gttas l'antica 8mM GalUoa, che Dante ri-
corda ad esempio di decadensa, perché era
recente la memoria di nn saccheggio sofferto
da qnéUa città : infatti nel 1264 le milizie sa-
racene di Manfredi mandata in alato ai ghi-
bellini di Sinigaglia, e ompiamente la sac-
cheggiarono e la distrassero, diroccando con
indicibile cradeltà ed atterrando le mara, le
esbbriche ed ogni altro nobile edificio della
grandezza romana, che in qualche parte dal
faror de' Goti eran rimasti immani ed illesi »
(L. Siena, Storia della eittà di Sinigaglia^ Sin.
1746, pp. 106 e segg.). — 76. eo«e le sekiatte
•co. È stato notato il riscontro oon dae Tersi
di Batilio Namaziano, Mineranum : « Non in-
dignemor mortalia corpora soItì : Cemimos
exemplis oppida posse mori » ( cfr. BttlL X
262) ; ma più utilmente il Del Lungo, Dante^
I 81, riarÀsina alle parole di Dante ciò che
un trecentista fiorentino, Lapo da Oastiglion-
chio (Epistola o eia ragionamento al figliuolo^
Bologna, 1768, pp. 61-62), scriveva a propo-
sito di due antiche famiglie, quei da Volo-
gnano e da Oaona : « Hanifestamento si com-
prende che essi fossero nobili e possenti uo-
mini È vero che la loro ò si antica schiatta,
che erano prima diaCstte e mancanti, che tutti
questi altri quasi, cha sono stati poi grandi
e possenti nella detta dttà, fossero comin-
ciati. S per tanto la fiuna d' esse due ftuni-
glie ò quasi Tenuta in oblivione : non dico
che sieno Tenuti in oblivione che non sieno
continuo durati e reputati antichi e gentili
uomini, e cosi sieno ancora; ma dico che la
loro grandigia e chiara nobiltà è quella che
ò venuta oggi in obUvione, e non d oggi nota
comunemente tra' cittadini, come ohe per al-
cuni che sono cercatori di tali cose pur si
sa ». — 78. poscia eoe cfr. Tomm. d'Aqu.,
Summ, P. m suppl., qu. zcix, art. 1 : < Per-
petuo homo non manet; etlam ipsa dvitas
deficit ». — 79. Lt vastre ecc. Tutte le cose
terrene finiscono come la vita umana; se
non che di alcune, come città, famiglie ecc.,
le qusli durano molto tempo, l' uomo per la
brevità del suo vivere non pud Tederò la
fine. ~ 82. B c««e eco. E come il girare
del cielo della luna, produoendo il flusso e
il riflusso del mare, copre e scopre di aoqua
1 lidi oon Ticenda immutabile; cosi il Tarìar
della fortuna (cfr. Inf, Tn 78 e segg.), per-
mutando ricchezze ed onori « d' uno in sJtro
sangue», fis si ohe in Firenze le famiglie
antiche si disfacciano e le nuove si formino
e si levino a potenza. — 11 volger ecc. Nota
l'Ant. che DÙte non ha prevenuto il New-
ton nel disooprimento della legge della gravi-
tazione universale (cfr. Inf, xxzn 78, xzxrv
111), ma ha il merito d'aTer scelto la sola
buona tra le opinioni discordanti sopra la causa
del flusso e riflusso del mare. — 86. degli
alti ecc. dei grandi e illustri casati fiorentini,
dei quali col tempo ò venuta meno la fama.
— 88. Io vidi eoo. Io vidi illustri cittadini
incominciare a decadere eoo. oioà al mio tempo
G03
DIVINA COMMEDIA
Filippi, Greci, Ormanni ed Alberichi,
90 già nel calare, illustri cittadini ;
e yidi cosi grandi come antichi,
con quel della Sannella, quel dell'Arca,
03 e Soldanieri ed ArdingHi e Bostichi.
Sopra la porta, che al presente è carca
di nuova fellonia di tanto peso
9G che tosto fia iattura della barca,
erano i Ravignani, ond'è disceso
. 1
erano dolle principali nella città, ma già voi-
gerano alla decadenza le famiglie Ughi, Ca-
tollini ecc. O. Vili., Cr. ir 11-13 dice che
e gli Ughi farono antichissimi... e oggi sono
spenti » ; dei Catellini, pare e antichissimi »
attesta che « oggi non n' è ricordo >; e e oggi
sono niente » i Filippi già e grandi e possenti > ,
e finiti e spentì » 1 Greci, tramatati In Forar
boschi gli Ormanni, tre famiglie del qaartìere
di Por Santa Maria; e degU Alberighi del
quartiere di Por San Piero, « oggi non n' è
nullo » : gli Ughi e gli Ormanni, famiglie con*
solari, ebbero magistrati anche nel secolo xiii
(DéL degU mtd. toI. VU, p. 141; voi. IX,
pp. 20-21). — 90. già nel ealare ecc. male
alconi intendono che cotesto famiglie fossero
nel calare al tempo di Dante : che anzi nel
1900 erano già spente, e la decadenza loro
era cominciata sino dal secolo xn. — 91. e
vidi ecc. al mio tempo conservavano la gran-
dezza pari all' antichità le famiglie della San-
nella, dell' Àrea, dei Soldaniorl, degli Ardin-
ghl e doi Bostichi. Queste casate duravano
ancora al tempo di Dante : quei della Sannella
in Mercato Naovo, ma ridotti, dice l'Ott., a
stato € assai popolesco » (cft. O. Vili., O. iv
13), e un dei loro fa consigliere del Cornane
noi 1284 (Del Lungo I 36); di quol dell'Arca,
(lol quartiere di porta San Pancrazio, l'Ott.
dico che « furono n(Aili e arroganti, e fecero
(li famose opere, de'quali ò oggi piccola fama,
sono pochi in persone e pochi in avere », e
a dirittura « spenti » li dice Q. Vili., CV. iv
12; i Soldanieri, del quartiere di San Pan-
crazio, ghibolUni nella divisione del 1215, e
come tali esiliati pi6 volte, e ultimamente
nella proscrizione del 1302 : di essi quel Gianni,
di cui cfr. Inf, xxxn 121, e quel Mula che
era dei capi ghibolUni nel 1304 (cfr. O. Vili.,
Cr. IV 12, V 39, vi 33, viu 69; D. Compa-
gni, Cr, II 25); gli Ardinghi, di Por San
Piero, guelfi nel 1215, sebbene « molto anti-
chi > (G. Vili., Cr. IV 11), erano al tempo
dolI'Ott. « in bassissimo stato e pochi > ; i
Bostichi, che avevano le case in Mercato
Nuovo, furono guelfi noi 1215 e nella parti-
zione del 1300 alcuni Bianchi, altri Neri, e
questi ultimi incrudelirono tristamente con-
tro gli avversari (cfr. G. Vili., O. iv 13, v
89, VI 33, 79, vm 39 ; D. Compagni, Cr. u
20) : poco dopo decaddero, si che POtt li dice
t di pooo valore e di poca dignitate ». — 94.
Sopra eoo. Nel qaartìere di Por San Pietro,
iniu la porta vteehia (0. VUl., t 87), eraio
al tempo di Dante le case dei Cerchi, ven-
dute loro nel 1280 dai conti Gnidi (cfr. Jbr.
XVI 106), cui erano pervenute dai Bavignini,
per il matrimonio del conte Guido Guerra lY
con la bella Gualdrada (cfir. Inf, xn 87). La
sterminata ampiezza delle case e laoghi ac-
quistati dai Cerchi e il passaggio a questi
contadini di palagi e toni, cui erano legate
memorie della piti antica • illastre nobOtà
fiorentina, dovettero prodarre nella cittadi-
nanza una grande impressione; della qoale
sono eco questi versi di Dante. — cka al
presente eoo. che ora d dimora dei Cerchi,
famiglia di gente nuova, tanto ricca e potente
che le sne private discordie col Donati diven-
teranno presto discordie cittadine, e saranoti
la rovina di Firenze (ctt. la nota all'/n/'. vi
64). — 96. fellenfa : con qnesta voce, ohe
vale propriamente tradimento. Dante accenna
pifi tosto, e la parola spregevole sta bene in
bocca dell'antioo Caodagnida, l' intromettessi
dei Cerchi nelle coee pubbliche, il trasportar
eh' essi fecero le inimicizie private noi mezzo
della cittadinanza, dando origine alla sdfisiono
della parte Guelfa : cosi qaeeta gente, venuta
ff di piocolo tempo in grande stato e potere *
(G. VUL, Cr. vin 89), fti rovina deUa città
e tradì i doveri della cittadinanza di recente
acquistata. — 96. fla ecc. sarà la rovina del
Comune di Firenze, accennato con IMma-
gino della barea^ in relazione all' idea del ca-
rico eccessivo sovrappostosi ad esso, qnando
le gare tra Cerchi e Donati diventarono di-
scordie cittadine: nello steeso modo Dante
chiama barca eareata ecc. in Par. vnt 80 il
governo di Boberto d'Angiò, per la avarizia
degli officiali e soldati catalani aggiuntasi
alla sua. — 97. erane 1 Bavigaaal ; antica
e illustre famiglia fiorentina ; di essa al tempo
di Cacciaguida era capo Bellinoione Berti
{Piar. XV 112), padre di Gualdrada, la qaale
a Guido Guerra IV partorì molti figli, capi
alle varie linee dei conti Gnidi: Guido V
della linea di Bagno, Tegzimo di quella di
Modigliana, Aghinolfo di quella di Bomena,
Marcovaldo di quella di Dovadola; di qne-
PARADISO - CANTO XVI
697
il conte Guido, e qualunque del nome
99 dell'alto Bellincion ha poscia preso.
Quel della Pressa sapeva già come
regger si vuole, ed avea Galigaio
102 dorata in casa sua già l'elsa e il pome.
Grande era già la colonna del Vaio,
Sacchetti, Giuochi, Tifanti e Barucci,
105 e Gkilli, e quei che arrossan per lo staio.
Lo ceppo, di che nacquero i Calfiicci,
era già grande, e già erano tratti
•tf ultimo naoqo» Guido Qaem VI (JnA xn
33), detto qui per antonomasia il conto Chiido.
~ 96. e qsalnnqi* eoo. o quei rami delle
consorterie degli Adimari e dei Donati, ohe
ebbero origine da doe sorelle di Onaldrada
entrato in quelle case (cfr. tt. 119-120), e
perciò assnosero il nome di Bellindone pa-
dre di quelle donne: infatti negli Adimari
(ofr. le loro memorie domestiobe nelle Del,
degU erud, toI. XI, pp. 219-268) si trora nel
secolo zm questo nome, per esempio nel pa-
dre di qnél Boonaooorso, < potonto per la sna
oasa e ricco di possssoioni », ohe contro Toso
cittadinesco s' imparentò nel 1267 con i conti
Gnidi (cfr. O. VilL, Or. vn 16, D. Comp. Or,
I 8); o Bellindoni si chiamarono i discen-
denti di Ubertino Donati, genero di Bellin-
done BertL — 100. Qvel eoo. Già ayera te-
nuti offlot pubblid quel della Pressa : « gen-
tili uomini » dei quartiere di Porta dei Duomo,
cacciati come ghibellini nel 1268 e traditori
dei fiorentini a Montaperti (O. Yììì,, Or, iv
10, n 66, 78). — 101. ed ats* ecc. e i Galigai
erano già fregiati dell'ordine della cavalle-
ria : furono i Galigai antichi dttodini di Por
San Piero e Zibellini nel 1216 (cfr. G. ViU.,
Or, T 89) : esularono con la loro parto e cosi
Tennero decadendo, e nel 1298, per un omi-
cidio commesso in Frauda da uno dd loro
in persona d*nn popolano fiorentino, ebbero
distrutto le case a tonore dogli Ordinamenti
di giustizia contro i grandi (D. Compagni,
Or, t Ì2). — 108. Grande ecc. Già erano
grandi parecchie famiglio che ancora fiori-
scono : la colonna del vaio ossia la lista di
▼aio era l' insegna dei Pigli, di Porto san Pan-
crazio, € gentili uomini e grandi », ohe già
ebber consoli nel secolo zn {Del, dt, toI.
Vn, p. 189) e nel 1216 ftirono ghibellini (G.
Vili., Or, IT 12, ▼ 89); i Sacchetti, fàmigUa
guelfa, abitanti in Por Santo Maria e molto an-
tichi (G. Vill.rOr.rv 18, ▼89), deiquaU l'Ott.
dice che e furono nimid dell'autore (ofr. Inf,
xzix 27) e sono, giusto lor possa, disdegnod e
superbi » ; i Giuochi, antidii ▼assalii del Ve-
scovo, abitanti presso Santo Margherita, fa-
mi^ consolare nel xn sec. {Del, ▼ol. VII,
p. 188), di parto ghibellina (cfr. G. Vili., Or,
!▼ 11, ▼ 89, VI 83) e al tompo dell' Ott « di-
venuti al neento dell'avere e delle persone » ;
i FiAtnti, chiamati poi Bogolesi, àbitovano
in Por Santo Maria, e un dei loro ta tra gli
uccisori di Buondelmonto (cfr. ▼. 186), tena-
cissimi ghibdlini e perdo soggetti alle dolo-
rose vicende della loro parto (cfr. G. Vili.,
IV 18, V 88, VI 2, 66; D. C:k>mp., Or. n 28);
i Barucd, di Porto del Duomo, ghibdlini nd
1216 e onorati alcuna volto del consolato {Del.
dt, voL vn, 141), e sod sino al 1248 ddla
grande compagnia commerciale degli Scali (G.
Vili., Or, IV 10, V 80, 39, vi 88; Del Lungo
n 216), e furono pieni di ricchezze e di leg-
giadrie», dice rott, ma «oggi sono pochi
in numero e senza stoto d'onoro dttadino » ;
i GaUi, di Mercato Nuovo, di parto Ghibd-
Una (G. Vili., Or, iv 18, v 89), dd quaU dice
r Ott che « caddero al tompo dell'autore in-
fine all'ultimo scaglione, nò credo che mai
si rilievino », alludendo, penso, alla distru-
zione delle loro case fatto nel 1293 (G. Vili.,
Or, vm 1), primo disfacimento ohe si facesse
secondo i torribili Ordinamenti di giustizia
(cTr. Dd Lungo II 53); e quei che si vergo-
gnano dello staio falsato da un dei loro, cioò
i Chiaramontesi, del quartiere di Por San
Piero, che ebber consoli nd 1202 {Del, cit,
vd. vn, p. 141), gudfi nd 1216, bianchi nel
1300 e travolti nella rovina della loro parto
(G. VUl., Or. IV 11, V 39). — 106. the ar-
rossan ecc. cfr. Purg, xn 106. — 106. liO
ceppo ecc. La consorteria dei Donati era gi:\
grande e divisa in più rami, i Donati, i Cal-
fucd, gli Uccellini, i Bellincioni, tutti guelfi
nel 1216 : dice l' Ott che « li Donati spen-
sero li detti loro consorti Calfuod, si che oggi
nullo o uno solo se ne mentova o pochissi-
mi » ; per la quale testimonianza .par che la
parola nacquero sia da intondere ironicamento,
come nuova censura che il poeto rivolge alla
casato dd Malefami (cfr. Purg, xxiv 82, J^.
IV 106). — 107. erane tratti ecc. già ave-
vano ottonuti i primi offid dd Comune, già
erano famiglie consolari {Del, dt. voi. VUJ,
pp. 188, 140, 142), i SizU e gli Arrìguod, gli
uni e gli altri di Porto dd Duomo e di parto
guelfa (G. Villani. Or. iv 10, v 89); e quasi
698
DITINA COMMEDIA
108 alle curale Sizii ed Arrigucoi.
O quali io vidi quei die son disf&tti
per lor superbia! e le palle dell* oro
111 fìorian Fiorenza in tutti suoi gran òAiu
Cosi &oean li padri di coloro
che, sempre ohe la vostra chiesa yaca,
114 si fEuino grassi stando a consistoro.
L' oltracotata schiatta, che s*indraoa
retro a chi fugge, ed a ohi mostra il dente
117 o ver la borsa com'agnel si placa,
già venia su, ma di picciola gente,
spenti nel tempo di Dante, secondo l'Ott:
uno del Sid to. loprast&nte alle oaxoeii nel
1286, e uno degli Amgoooi del conslgUerì
del Comune nel 1282 (Del Longo 1 80, n ICA).
— 106. ernie: sedie curali, seggi del m»-
gistntL — 109. 0 «vali eoo. Io vidi nel loro
splendore gli XTberti, eli quali, dice l'Ott.,
furono in tanta altezza, infino a ohe non renne
la divisione della parte, ohe si potea dire che
quasi fossero padri della dttade » : parenti
della Csnolulla rifiutata da Buondelmonte, pre-
sero parte all'uoolsione di lui e si fecero capi
di parte Ghibellina, di evi seguirono le vi-
oende dolorose (cfr. Inf, x 46, 60, 61), eo-
oettnati sempre da ogni perdonansa fatta agli
esuli : e erano stati (dice D. Oomp., Or, n
29) rubelli di loro patria, né mal mersó né
m^erloordia trovorono ; stando sempre fuori
in gprande stato; e mai non abbassorono di
loro onore, però che sempre stettono con ro,
e con signori stettono, e a gran cose si die-
rono » : delle varie vicende di questa fiuni-
glia neU'esiUo si veda B. Benier, LiHeh«
tdiU9din$d,diF. degU I72w«, Fironze, 1881.
— 110. • le pali* eoo. e i Lamberti, che
hanno per insegna le palle d'oro in campo
azzurro, illustravano Firenze in ogni impresa
della città. I Lamberti, stirpe d'origine ger-
manica, fturono di quelle fisuniglie di cavalieri
onde il Cknnune s'aiutò alla conquista del
contado e ad abbattere la feudalità rurale:
abitarono in Porta San Pancrazio ed avendo
avuto mano nell'uccisione di Buondelmonte
(cfr. B*f. zxvin 108, 107), seguirono parte
Ghibellina e le sue vicende, e il loro nome
quasi scomparve dalla storia fiorentina (ib.
109). — 112. 11 padri ecc. gU antenati dei
Visdofflini e dei Tosinghi, funiglie di parte
guelfe nel 1216 e di parte nera nel 1800, che
avevano U diritto d'amministrare 1 beni del
vescovado di Firenze in tempo di sede va-
cante ; perciò dice Dante ohe quando la chiesa
fiorentina ò vacante queste due femiglie in-
graastmo Hando a eonai$hrOf arricchiscono
delle rendite episoopaU. Cosi intendono gli
antichi commentatori e aggiungono ohe i To-
singhi furono un ramo dei Viìdomini, oome
attesta anche G. ^^llani, O. ir 10, die gli
uni e gli altri ehlama « padroni e difenditori
del vescovado ». — 116. X'oltraeetate ecc.
L'insolente consorteria degli Adimaii giàc»-
scevm, ma di basso stato. Gli Adimaii (detti
pximitivamente d§ Adalmani§), di parte goelfe
nel 1216, erano d'origine germanioa e diveo-
nero potenti per gli illustri parentadi stretti
coi Bavignani, coi Guidi, con g^ Ubaldiiii e
oon altre oase magnatizie e feudali: nella dt-
soordia del 1800 alcuni tennero eoi ™^»y?^it
altri ooi Neri, ma tutti ugualmente ftueno
festosi e violentL La loro oonsortarCa era di-
visa in più rami. Algenti (cfr. Inf, vm 82),
Aldobrandi (cfr. Inf, xvi 40), Oavicctnli (ofr.
iV* xiz 19); oon alcuno dei qnaU per che
avessero putioolari inimicizie ^ Al^ldoi o
almeno il poeta (cfr. Ittf, vm 89): forse per-
chó, oome attestano alcuni degli antichi eoai-
mentatori, Boocaodo Cavicduli (uocisore di
Gherardo Bondoni nel 1806, cfr. D. Oompa-
gni, O. ni 20) occupò i beni di Dante esule.
— s'indraea eco. diventa feroce oome drago
contro ohi ftagge per paura, e si fia timida
come agnèllo verso òhi le mostra i denti o
la borsa. — 118. dì pleelela gente : eraeo
gli Adimari di umile origine, di stirpe oeoum;
e perdo ad libertino Donati, marito d'una
Bavignani, dispiacque ohe BeUindone Berti
desse una figliuola a un Adimari; il fetto ciie
deve essere accaduto nella seconda metà età.
secolo zn, è cosi raccontato dall' Ott: « [QU
Adimari] a tempo di messer Gacdaguìda eimao
si piocoU e nuovi dttadini, che non pSaoquo
a messer Ubertino Donato d'essere loro p»>
lente, quando egli volevano torre una de' Ban
vignani per moglie, la òui airoochia meessr
tJberttno aveva sposata; il quale messer Uber-
tino disse die non voleva ch'egli l'avesse,
si come non tanto nobile ». Biq^etio allo stato
degli Adiauuri nd seodo xuy Dante d ft*^*BTtit
a una opinione corrente in Firenae obe li
feceva di recente nobiltà, mentre erano no-
bili assai antichi, signori di Monte Gnaleedl
e consorti dei conti Alberti ; oome ha dim^
strato il Davidsohn, Chteh. von Jfcrsm, tqL
I, il quale perdo dubita se questi i
PARADISO - CANTO XVI
699
si che non piacque ad Ubertin Donato,
120 che poi il suocero il fò'lor parente.
Già era il Caponsacco nel mercato
disceso giù" da Fiesole, e già era
123 buon cittadino Giuda ed Infieuigato.
Io dirò cosa incredibile e vera;
nel piociol cerchio s'entrava per porta,
126 che sì nomava da quei della Pera.
Ciascun che della bella insegna porta
del gran barone, il cui nome e il cui pregio
129 la festa di Tommaso riconforta,
da esso ebbe milizia e privilegio;
avvenga che col popol si raduni
da lifetlre agU Adimarì (ofr. BuU. IV 97).
— 119. ata plMfi« eoo. si intenda: le con-
dizioni dalla famiglia Adimaxl non sodiaftu»-
▼mno, non piacevano a Ubertino Donati, il
qoalA poi ta Ciotto loro parente dal snooe-
XD Belìindone Berti : il costrutto ò secondo
la sintassi antica, ohe ammette la lipetlsio-
ne in forma dimostratiTa (U f$') dell' og-
getto già espresso in forma relatlTa ieh$ il
BWfetro fa' ) : quindi non è necessario leg-
gere, come fiHmo i pi6, òhe *l svooero il fch
0SSJS. — 121. CUà era eoe. I Caponsacchi,
Tenuti da Fiesole, averano le loro case sol
Mercato Vecchio, ove sorse alta e snperba
la loro torre : ebbero consoli e podestà nel
secolo xu {IML dt, voL VII, p. 188); nel
1216 seguirono parte Ghibellina, e oosi soom-
panrero presto dalla scena della storia fioren-
tina (ofr. a. VUL, Or. IV 11, V 89, VI 8»,
66). — 122. già era eoo. già erano buonieit'
l4adini, nel senso statuale mostrato dal Del
Lnngo, n 158, di cittadini ragguardevoli, di
conto, specialmente per censo e offld soste-
nntL " 128. fliida eoo. 1 Gladi e gì' Infan-
gati, famiglie consolari nel sec xu {Del, dt
voi. Vm, p. 188; voi. IX, p. 4) e nel 1216
ghibelline, quelli abitanti in San Pietro Sohe-
raggio, questi in Mercato Nuovo : dei Giudi
dice r Ott oh' erano e gente d'alto animo e
molto abbassati d'onore e di persona », e ohe
al tempo di Dante fturono seguaci dei Oerchi
ed esuli con loro; degl' Infangati, ricordati
tra i grandi da G. Villani, Or, Vf 18, dice
r Ott eh' erano e ghibellini disdegnosi », e a
teaupo suo e basd in onore e pochi in nu-
mero ». — 124. Io dirò eoo. Ti sembrerà cosa
incredibile, ma ò pur vera, che una delle
porte della vecchia cinta ebbe il suo nome
di porta Penutxa da quei della Pera, famiglia
che ora ò spenta. Gosi spiega l' Ott, accura-
tissimo in queste erudizioni fiorentine; e la
sua sposizione ò confermata da un passo di
G. Villani, Or, nr 13, ove dice che la po-
stfaila dietro a San Pietro Scheraggio era
detta una volta porta Penuza perohó v'erano
le case di quelli della Pera, onde secondo al-
cuni disceeero i Peruzd, gran mercanti e cam-
biatoli nel due e trecento. I commentatori
moderni intendono quasi tutti in tutf altro
senso, cioè ohe in Fironxo si vivesse tanto
alla buona da dare a una porta della città il
nome d' una privata funiglia; ma ò interpre-
tazione senza fondamento, perohó in ogni
tempo si usò di trarre dai nomi di funiglia
gli appellativi per vie, plasze, porte ed altri
luoghi pubblicL — 127. Ciaseu eoo. Tutte
le famiglie ohe portano l' insegna (quella cioà
delle e sette doghe vermiglie e bianche », ofr.
V. Borghinl, Diaoorwiy H 681), di Ugo il gran-
de, marchese di Toscana, Ibrono da lui deco-
rate della cavalleria e di privilegi nobiliari,
sebbene alcuno di quelle famiglie si sia mes-
so a questo tempo col popolo. Bacconta G.
Villani, Or,iy 2 che « vivendo il detto mar-
chese Ugo fece in Firenze molti cavalieri
della schiatta de* Giandonati, de' Puld, do'
Nerli, de' conti da Gangalandi e di quelli
della Bella, i quali tutti per suo amore riten-
nero e portarono l'arme sua addogata rossa
e bianca con diverse intrassegne », e altrove
(Or, IV 18) registra tn questi privilegiati da
Ugo marchese anche i CXnflisgni: di cotesto
famiglie parla qui Dante. — 128. 4el gran
ecc. di Ugo figlio del marchese Umberto e
della contessa Villa, che ta marchese di To-
scana prima del 961, duca di Spoleto nd989,
marchese di Oamerino nel 996, e mori il giorno
di san Tommaso Apostolo nel 1001 (ofr. Har-
twig, Quellm %md Fonótwmgm^ voL I, p. 86)
e fu sepolto nella Badia fiorentina da lui edi-
ficata, ove ogni hanno si facevano nella fe-
sta di san Tommaso solenni esequie in sua
memoria (ofr. P. Pucdnelli, Istoria dólUeroi-
che aitùmi di Ugo il grand», duca della To-
scana eoe, Milano, 1643). — 130. milizia e
privilegio: l'ordino deUa cavalleria e la con-
cessione di portare la sua insegna. -~ 181.
a? f eaga «ht eoo. sebbene nel tempo presente
700
DIVINA COMMEDU
132 oggi colui ohe la fascia col fregio.
Già eran Gaalterotti ed Importuni;
ed ancor sarla Borgo più quieto,
135 se di nuovi yicin fossOT digiuni
La casa di che nacque il vostro fleto,
per lo giusto disdegno che y'ha morti
188 e posto fine al vostro viver lieto,
era onorata ed essa e suoi consorti :
0 Buondalmonte, quanto mal fuggisti
111 le nozze sue per gU altrui conforti I
Molti sarebbon lieti, Ahe son tristi,
se Dio t'avesse conceduto ad Ema
Id 1 la prima volta che a città venisti ;
ma conveniasi a quella pietra scema
abbia lawslato la parta del nobili per mettersi
col popolo Giano della Bella, che per suo
stemma porta le qoattro sbarre dell'insegna
di Ugo maroliese, oiroondat» da un firegio.
Oli antichi commentatori, i più dd qnali in-
tendono per a gran baione Cario I d'Angiò
e per Tommaso l'Aqninate, non dicono a chi
allnda Dante : solo Gass. crede ohe accenni
alla famiglia Della Bella in genere; ma più
giustamente i moderni trovano indicato Qiano,
il gran cittadino che in vantaggio del popolo
promosse nel 129S la riforma popolare degli
Ordinamenti di giustizia oontro i grandi e poi
perseguitato e condannato lasciò la patria e
andò a esercitare la mercatora in Francia,
ove mori. Si noti che lo parole di Dante
sono di e vero e proprio rimprovero verso
chi, immemore d^ sua antica nobiltà, si
raduna col partito dei plebei, e questo xìm-
provero concorda perfèttamente con tutte le
idoe politiche di Dante » (O. Salvemini, BuU.
IX 114). — ti ramini: il vb. radunarsi,
come presso altri antichi il vb. ùceoxxani,
ha qui il significato di mettersi d'accordo, te-
ner la stessa parte d' un altro. — 188. 61à
eran ecc. Oià fiorivano i Gualterotti e grim*
portuni, famìglie del Borgo Santi Apostoli,
che nella divisione del 1216 seguirono parto
Guelfa (G. ViU., O. iv 18, 80): i Guaite-
rotti per altro ebbero nel 1268 tre del loro
banditi come ghibellini (LM, cit., voL Vm
p. 260) ; e al tempo dell' Ott erano e pochi
in numero e meno in onore », e gì' Importuni,
che avevano avuto un console nel 1176 {Del.
cit., voi. IX, p. 4), erano quasi spenti. —
134. ed ancor ecc. e il Borgo Santi Apoetoli,
abitato dai Ghialtorotti e dagl' Importuni, sa-
rebbe più quieto se essi non avessero avuto
nuovi vicini i Bnondelmonti, che vennero ad
abitare in città dopo la disfatta del loro ca-
stello di Montebuoni nel 1186 o che furono
cagione della partizione del 1216. — 186. La
eaia eoe La casata degli Amidei onde nac-
que con la divisione in gnélfl • ghibelUnJ Q
pianto, la rovina della dttà, em onorata essa
e tutta la ma consorteiia. — 41 tkm mMitqm*
eoo. Accenna al fatto nooontato dai oraiìsti
iWentini (G. Villani, Or, ▼ 88; D. Compa-
gni, Or. I 2; P. Fieri, Or. p. 16; M. Sta-
Huil, M. n, 64; Hartwlg, QutOm eoo. voL
n, pp. 228, 273 eoe) dell' noeisione fi Bncm-
delmonte Bnondelmonti, per opera dagli Uter-
ti, Lamberti, Fi£uiti e Amidei, per l'affronto
Slitto a questi ultimi con l'abbandoiio d'una
donsella degli Amidei eh' egli aveva promeasa
spota : questo fktto accaduto nel 1216 tu oo-
cMlone a una partizione della dttadinanxa
in gnélfl e ghibellini, sebbene 1 germi di tale
divisione fossero anteiioiL — 188. vectre
virer liete : ctt. Par. xv 97 e aegg. — 139.
i«ol eoBiortl s erano della oontortecfa de^
Amidei, secondo antichi commentatori, gli
Uooellini e i Gherardini. — 140. qnaate eoo.
oon quanto danno per te e per Firenze tog-
gisti le none con la donzella degfi Amidei,
seguendo l oonsiglt di GnaUrada dei Doaiati,
che ti preeentd la fissola sua e tn la to-
gUesti in mog^e. — 142. Malti eoe. Molti
cittadini rovinati per queste discordie sareb-
bero lieti e contenti, se la prima volta die
tu venisti a Rrenze Dio f avesse lasciato af>
fogare nel fiume Ema. Bnti : e Benché lo ca-
sato suo [di Buondelmonte] ftisse già dinanti
in Fiorenza, molti n' erano rimasi anco oone
Cattaui e gentili nomini nel oontado, dei quali
fu questo messer Buondalmonte,... che gio-
vanetto venne del oontado a stare ooOi altri
suoi consorti in Fiorenza... Sbu ò uno ftane
in Valdigrieve, nel quale messer Boondal-
monte ta per affogare, quando lo pasaò la
prima volta per venire a Fiorenza > : ò rao-
conto troppo particolareggiato, e foiee in gran
parte inventato dal commentatore; ma gli al-
tri antichi non ne dicono nulla. — 146. au
eesTenfatl eco. ma alla rotta statua di Marta,
posta in oapo del Fonte veoohloCefr. itf. xm
■^" '■■ ■
PARADISO - CANTO XVI
701
147
160
154
ohe guarda il ponte, che Fiorenza fesse
Yitidma nella sua pace postrema.
Con queste genti, e con altre con esse,
vid'io Fiorenza in si £Ettto riposo,
che non ayea cagion onde piangesse;
con queste genti vid'io glorioso
e giusto il popol suo, tanto che il giglio
non era ad asta mai posto a ritroso,
né) per diyision fatto yermiglio ».
U6), ben si oonreniTa ohe Firanxe ilieeno
olooMuto di Tittime nmane nel momento in
ool ebbe termine il e bello e riposato riveie »
delU oittadinan» antica. UcoiimUatiàì Dante
a richiama alla mente la iìMaatà d'infloni
tribnita dal floxentini alla etatoa di l£arte,
fatalità d* influssi coi il popolo oredifTa, se-
condo ohe attesta l' Ott scrivendo : « iioona
idolatria si parsa per li cittadini contenere
in qnella statua» ohe craieano ohe ogni mu-
tamento oh* ella avesse fosse segno di futuro
mutamento della cittade». — 146. florenia
eoe. L' uccisione dL Buondelmonte accadde la
mattina dsUa Pasqua di Bisuneiione del 1215,
sotto la statua di Marte in capo del Ponte
recchio : « in quello giorno si oomlndò la di-
struzione di Firenze >, dioe un cronista an-
tico (Hartwig, QusUmeoo. dt roL II,p. 228),
• questo ripetono tutti gli storici della città,
notando che il Catto fu occasione alladisoor^
dia di parto Quelfa, guidata dai Buondel-
monti, e di parte Ohlbellina, capitanata da-
gli UbertL — US. Gen queste eco. Con queste
famiglie e con altre ch'io tralascio ridi Fi-
renze Tivere in tale tranquillità e pace (cfr.
Par, TV 180) ohe non aveva alcuna cagione
di piangere i mali dttadinL — 161. eon que-
lle eoe con queste fiioiiglle la dttadlnanza
fiorentina «ra cosi gloriosa e giusta ohe il gi-
glio bianco, antica insegna del Comune, non
era mai trascinato dal nemid vittoriod a ro-
vesdo dell'asta, nò trasmutato ancora per d-
viU discordie in giglio rosso. — 168. non era
ecc. Accenna ad uno degli schemi che i vin-
dtori d'un Comune solevano fare nel me-
dioevo, trascinando pel campo di battaglia
r insega dd vinti con l'asta rovesciata: e ohe
ddl' insegna fiorentina fosse fatto qualche
volta, abbiamo notizia certa per dò ohe un
cronista antico (pubb. da A. Ceruti, nd iVo-
pugnaton^ voL VI, parte I, p. 60) racconta
dd trionfo dd Sened dopo Montaperti, che
« innanri a tutti andava uno delli ambascia-
tori de' Fiorentini, ... a cavallo in su uno asi-
no, e strascinava la bandiera ovvero standar-
dodel comune di Firenze». — 164. né per
dlvlslOB ecc. n giglio bianco in campo roaso,
antica insegna dd Comune, dopo la gaerra di
Pistoia dd 1261 fu assunto dai ghibellini come
segno delia loro parte; e i guelfi la muta-
rono in quella del giglio rosso in campo bian-
co, che al sormontare delia loro parte diven-
ne insegna dd Comune : ofr. G. Villani, Or,
VI 43.
CANTO XVII
Dante domanda a Caooiagnida schiarimenti intomo alle sae vicende fu-
ture; e Caociagnida rispondendo gli predice la sventura e i dolori delPesilio
e lo esorta a non odiare per questo i Buoi concittadini, poiché la sua no-
minansa sarà etema. Infine Dante, dubbioso di manifestare o no agli uo-
mini ciò che ha veduto nel suo viaggio oltremondano, ò confortato da Cac-
ciagnida a dir tutta la verità [14 aprile, ore antimeridiane].
Qual Tenne a Olimene, per accertarsi
dettegU da Bronetto Latini (Inf, xv 61-72) e
da altri {Purg, vni 188-189, xi 188-141) in-
tomo al corso ftituro della sua vita : era natu-
rale quindi ch'egli pensasse a chiedere schia-
rimenti su dò all'antenato cortese, dedde-
randodi conoscere da lai la vorìtA, e sperando
che Caodaguida gli potesse ehiosar il testo (cfr.
h%f. XV 89) delle profezie di Farinata e di
XVn 1. 4ual vsBue eoo. n discorso di
Caodaguida sopra l'antioa Firenze, essendod
chiuso con un accenno alla partirione ddla
dttadlnanza in guelfi e ghibellini, richiama
alla mente di Dante il colloquio con Farinata,
il quale gli aveva predetto ch'egli avrebbe
provato presto quanto pesasse la vita dd fbo-
rusdto (cfr. Inf, x 79-81, 121-182), e le parole
702
DIVINA COMMEDIA
di ciò ch'avea incontro a sé udito,
8 quei eh' ancor fa li padri ai figli scarsi;
tale era io, e tale era sentito
e da Beatrice e dalla santa lampa,
6 che pria per me avea mutato sito.
Per che mia donna : € Manda fuor la vampa
del tuo disio, mi disse, si ch'eli' esca
9 segnata bene della intema stampa;
non perché nostra conoscenza cresca
per tuo parlare, ma perché t'ausi
12 a dir la sete, si ohe l' uom ti mesca ».
« O cara piota mia, che si t'insud
che, come yeggion le terrene menti
15 non capere in triangolo due ottusi,
cosi vedi le cose contingenti
anzi che sieno in sé, mirando impunto
13 a cui tutti li tempi son presenti;
mentre ch'io era a Virgilio congiunto
su per lo monte che l'anime cura,
21 e discendendo nel mondo defunto,
dette mi fClr di mia vita futura
Branetto. Paragona parò il ano stato di ani-
mo a quello di Fetonte (cfr. Inf, xm 106),
quando avendogli Epafo figlie di Olore e di Io
affermato ch'ei non era figlio del Sole, corse
dalla madre Olimene e gettandosi ai collo di
lei la scongiurò a dirgli la rerità circa i snoi
natali : e traderet, oravit, tbtì sibi signa pa-
rentis », dice Gridio, nel qnale Dante lesse
questo favola (3M. x 748-777). — 2. dò
eh'ftTea ecc. le parole di Epafo : e Uatrì om-
nia Demens Credis ; et es tnmidos genitoris
imaglne falsi» {Mét, 1 768). —8. q«el eco. Fe-
tonte, l'esemplo del qnale rende ancora circo-
spetti i genitori nell' assecondare le voglie dei
flglittoli : seorsi (ofr. iVy. ziv 80), lenti a nn
atto qualunque, a una concessione ecc., come
nell'Ariosto Ori, x 6 : e Siate a' prieghi ed
ai pianti ohe vi fknno. Per questo esempio a
credere piò scarse ». — 4. e tale eoo. e que-
sto mU condizione, quest'ansia di conoscere
il vero circa il mio avvenire era conosciuto
da Beatrice e da Cacdaguida. — 5. santa
luipa ecc. cfk*. Par. xv 19-24. — 7. Masda
ecc. Manifesto il tuo ardente desiderio in
modo che le parole ne rendano bene tutto
r intensità. ~ 9. laUna stampa: è il grado,
rintensito del desiderio che domina l'animo
ii Dante. — 10. aostra ecc. le tue parole
possano manifestarci un pensiero da noi non
conosciuto, ma perché tu ti avvezzi a ma-
nifestare i tuoi desideri in modo che gli altri
li sodisfacciano. — 11. atf si : c£r. Inf, xi 11.
— 12. a dir ecc. Av. x 88 e segg. — 13.
0 cara ecc. 0 mio caro progenitore, die ti
elevi tanto da vedere con certeaaa il ftitvo.
— piota : e voce eh' ancor si usa », notò il
Borgh., non però nel senso che ha in Inf,
XIX 120, si in quello di zolla erbosa, cespo,
e qui per metafora origine, principio della mia
stirpe: si ricordi ohe Oaodagnida ha dette
a Dante, Par, xv 89 : e io f&i la tua radice ».
— t'iasisl: ti elevi, t'inalzi eoi penaieco;
Buti: e questo ò verbo preposizionale flatto
dall'autore insto lo vulgare », foggiato doè,
secondo le regole della lingua, snUa prepo-
sizione trwuso (cfr. Parodi, BmO. m 138). —
14. eoflM eco. con quella stessa oertesa con
la quale l'intelletto «mano comprende, per
dimostrazione di geometria, scienza « senza
macula d'errore e certissima per sé > (Cbnv.
n 14), che in un triangolo non povono ee-
ssn contenuti due angoli ottusi : è «na con-
seguenza del noto teorema, ohe in un trian-
golo rettilineo la somma degli angoli equi-
vale a due retti. — 16. etff ecc. ood co-
nosci le cose contingenti (oft. Par, xm 63)
prima che siano attuate, guardando in Dio che
vede il passato, il presento e il futuro. — 19.
mentre ecc. durante la peregiinaxioine latto
da me insieme con Virgilio giù per i cerchi
dell'inferno e su per i gironi del purgatorio
mi furono detto pi6 volto (cfr. i luoghi dt
nella noto al v. 1) gravi parole intono ai
miei casi avvenire. — 20. eara: punflca,
sana dal peccati. — 21. ■onde defaste: «lo
regno della morto gento » {Inf, vm 86). ~
PARADISO - CANTO XVH
703
parole gravi; avvenga ch'io mi senta
24 ben tetragono ai colpi di ventura:
per ohe la voglia mia saria contenta
d'intender qual fortuna mi s'appressa;
27 che saetta previsa vien più lenta ».
Cosi diss'io a quella luce stessa,
che pria m'avea parlato, e come volle
80 Beatrice, fu la mia voglia confessa.
Né per ambage, in che la gente folle
già s'inviscava pria che fosse anciso
83 l'agnel di Dio ohe le peccata toUe,
ma per chiare parole, e con preciso
latin, rispose quell'amor paterno,
86 chiuso e parvente del suo proprio riso:
€ La contingenza, che fuor del quaderno
28. aTT6BfA eco. sebbene, per la rettìtodine
dell'animo e della vita, io mi senta ben forte
a sopportare i colpi della fortana. € Sono an-
dato mostrando contro a mia voglia la piaga
della fortana >, arerà detto il povero esule
(Qmv, I 8), esprimendo cosi nn pensiero ohe
compie e iUnstra il significato di qvesto reno :
oire UtragonOf che è propriamente il tetrae-
dro o piramide triangolare, solidissima figura
geometrica, ò tratto a significare lo stato del-
l'animo forte, immutabile davanti alla sven-
tura, come già la stessa parola esprime lo
stesso concetto in Aristotele, BHea i 10 : cfir.
anche le parole dell'/n/l xv 91-93. Il Moore,
I 175, nota anche la conformità di questi
vessi con quelli di Virgilio, En. vi 96 e segg.
nel dialogo tra Enea e la Sibilla. — 25. per
eh« ecc. per la qual cosa vorrei sapere quali
sono le vicenda mie che s* avvicinano, a che
fortuna sono per andar soggetto, poiché il
male antiveduto acreca minor dolore, colpi-
eoe meno vivamente. — 27. efcé saetta ecc.
Traduce il vene latino: «Nam praevisa
minos laedere tela solent >. — 28. a quella
eoo. a quell'anima, ohe prima m'aveva par-
Iato, a Caodaguida. — 29. eoaie volle : cfir.
TT. 7-12. — 80. fti la aia eco. maniiiBstai
il mio desiderio. — 81. Ifé per ambage ecc.
Oaociaguida non mi rispose con linguaggio
eqnirooo, quale solerano usare gli antichi,
prima ohe Cristo renisse a redimere l'uomo,
ma con aperte parole e con preciso farellare.
Queste ambage^ lat ambage» (cfr. Virg., J^
▼X 99), in cui s'ifwisotwa la gente pagana,
sono le forme oscure ed equiroohe di par-
lai» dei responsi dati dagli antichi sacerdoti
In nome deUe loro dirinità, che Dante mette
in antitesi con il lucido e semplice ragiona-
mento di Oaociaguida, col quale d enunciata
una delle rerità manifeste e chiare della crì-
stiasa dottrina. — 83. l'iaviteara : si lasciara
prendere, in senso traslato come invMwre
dell'^/*. xm 57; questo stesso rb. nel signi-
ficato materiale ricorre in Inf. tu 18, xxn
144. — ^a che ecc. prima della passione di
Cristo, durante il preralere del paganesimo.
— 88. l*agael ecc. cfr. Purg. xn 18. — 84.
ma per calare ecc. ma con parole chiare e
con linguaggio distinto, tale che non si pre-
staiva se non ad una interpretaiione. — 85.
latin i alcuni vogliono per questa parola in-
tendere che Oaociaguida parlasse in lingua
Utima^ e che questa fosse la /omUo, di cui
Dante tocca in Par, xvi 88, divena da qu^
tta modamo, dee da quella in cui il poeta
scrìveva, e richiamano a conferma il salato
del Pa^, XV 27 e segg. ; altri intendono latino
per italiano, come è frequente nel poema (cfr.
Inf, xxn 65) e nei documenti del tempo : me-
glio ò da prendere questa voce nel senso ge-
nerioo di linguaggio, discorso, senso che ha
anche in Par, xu 144. — 86. ehlaso: eoe
avvolto dallo q)lendore, per il quale appariva
la sua beatitudine. — 87. La eoatlageasa
ecc. Dovendo manifestare a Dante il corso
della sua vita avvenire, Caodaguida premette
nn avvertimento circa la prssdenxa divina,
la quale non rende necessari i ftituri avve-
nimenti e perdo non toglie all' uomo il libero
arbitrio ; e dice : I fatti contingenti, che non
esistono ftaori del mondo materiale, sono tutti
conceduti dalla mente divina: ma da dò non
traggono alcuna condizione di necessità; come
la nave, che discende gi6 per una conente,
non trae il moto dall'occhio di chi la guarda :
dalla mente divina viene a me la cognizione
della tua vita aweniie. Dante toooa qui una
questione già trattata da Boezio, Gnis. phiL
V 4 e segg., e da Tomm. d' Aqu., fumili. P.
I, qu. XIV, art 18, il quale ultimo scrive:
«Deus cognosdt omnia oontingentla, non
iolum prout sunt in suis causii, sed etiam prout
704
DIVINA COMMEDIA
della vostra materia non si stende,
39 tutta è dipinta nel cospetto eterno.
Necessità però quindi non prende,
se non come dal viso, in che sì specchia,
42 nave che per corrente giù discende.
Da indi, sf come viene ad orecchia
dolce armonia da organo, mi viene
45 a vista il tempo che ti s* apparecchia.
Qual si parti Ippolito d'Atene
per la spietata e perfida noverca,
48 tal di Fiorenza partir ti conviene.
:n
annmqiiodqne eomm est actmn in so ipso.
Et licet contingontia fiant in acta snccessive,
non tamen Deus snccessÌTe cognoscit con-
tingontia, prout eont in suo esse, sicnt nos,
•ed simili; quia eins cognitio mensnratar ae-
temitate, sicnt etiam sanm esse; aetemitas
antem tota simol existens ambii totom tem-
pns. Unde omnia qnae sont in tempore, mirU
Deo db aeUmopraesontia, non solom ea ratione
qna habót rationes rerum apnd se praeeentes,
ut quidam dicunt, sed quia eius intuitus fer-
tur ab aetemo supra omnia, prout sunt in sua
praesentialitate. Unde manifestum est guod
eonUngmtìa infaUSbiiiter a Dw cognoaountur,
in quantum subdunhir divino oonapectui seoun-
dam suam praeeentialitatem, et tamen sunt
futura contingentia, fuis causis proadmis com-
parata ». — che fuor ecc. i fatti contingenti,
che possono essere o non eraere (ofr. Far,
xin 63), non hanno luogo fuori del mondo
materiale, poiché, come dice altrove (Par.
ic^rm 52), e dentro all'ampiezza di questo
reame Casual ponto non puote aver nto ».
Alcuni antichi, come Lana, Ott., Oass., An.
fior. ecc. intesero: che non possono essere
sapute per mezzo della scienza umana ; e fu-
rono seguiti da parecchi moderni. — del qnft-
dtrmo : ctr, Bsr. xv 79, xzxm 87. — 39. t«Ua
ecc. concetto e forma suggerite a Dante dalle
parole di Tomm. d'Aq., 1. dt. — 40. Ne-
cessità eco. Le cose contingenti non pren-
dono dalla prescienza divina un carattere di
necessità; cfr. Boezio, Oona, phil. v 4 : < Si-
cut sciontia praesentium rerum nihil his quae
Qunt, ita praescientia ftiturorum nlhil his
quae ventura sunt necessitatis importai », e
v 6 : e Fient igitnr procul dubio cunota quae
futura Deus esse praenoscit, sed eorum quao-
dam de libero proficiscuntiur arbitrio: quae
quamvis eveniant, esistendo tamen naturam
propriam non amittunt, quae prius quam fie-
rent etiam non evenire potuissent » : si veda
anche Tomm. d' Aqu., l. cit., e Dante, De mon.
I 14. — 41. se non ecc. come la nave ohe
discende a seconda della corrente non trae
necessità a muoversi dall'occhio in cui im-
primo la sua imagine. Questa similitudine,
che ricorda quella del Awy. xv 98, risponde,
in quanto risulta dai concetti del moto e deUa
vista, a quella che Tomm. d'Aquino, L dt.,
adopera a chiarire lo stesso penserò : v sicut
ilio qui vadit por viam, non videi illos qui
post eum veniunt; sed ilio qui ab allqua al-
titudine totam viam intuetur, slmal videi
omnes transeuniee per viam ». — vile : cfr.
Inf, IV 11. — 43. Da Udì ecc. Dal e co-
spetto etemo », da Dio «ti vimu a viatOt tzaggo
la cognizione del tempo e^ ti «'apporaocàta,
delle prossime vicende della ina vita. — Mme
ecc. oome da un organo d viene agli orecchi osa
dolce armonia. La comparazione d **i*UTÌggìniià
per sé; ma non ò cosi manifesto il conoetta
che Dante ha voluto esprimere per mezzo di
essa : H Lana sembra aver inteso die il poeta
significhi per tal modo la certezza dalla co-
gnizione di Cacdaguida, in quanto Ia traeva
direttamonte da Dio; l'Ott invece vi trova
una ragione morale, e dice ohe a Caociaguida
e per l'affezione caritativa che ha a Dante li
ò dolce ch'olii sia corretto anzi nd mortalo
mondo che ndlo eternale, ed anzi a tempo
che in iniinito ». — > 46. Il tooip» ecc. Cao-
ciaguida predice a Dante la sua caodata da
Firenze (w. 46-61), gli affanni dell'esilio
(w. 62-69) e la buona accoglienza die tro-
verà presso gli Scaligeri (w. 70-96); profezia
che abbraccia il tempo corso dal prindpio dd
1302 sino al momento in cui egli dimorò in
Verona presso Cangrande (cfr. la nota al v.
88). — 46. qmtkì II parti ecc. Come Ippolito,
non essendosi acconciato ai deddert delia
matrigna Fedra, fu da Id Iniquamento acca-
sato a Teseo di aver tentato di sedurla e per
quosto delitto appostogli fu dal re suo padre
bandito da Atene senza eh' egli meritasse tato
pona, cosi tu ecc. B fatto d' Ippolito Iti Ietto
dal poeta in Ovid. M«L xv 493 e segg., ove
il racconto si chiude con queste paiolo : t ^>-
merUumque pater proiecit ab urbe », e prel<»*
rito giustamente come confronto d proprio
esilio, poiché anch' egli, Dante, d affiamo
sempre ùnmeritevde della pena inflittagli dalla
patria : cfir. Epist. rv, « Sxulanti ^storieod
FlorentinuB exol tmnwH^ ». — 48. Uà éX
PARADISO — CANTO XVH
705
61
64
Questo si vuole, questo già si cerca,
e tosto Terrà fatto a chi ciò pensa,
là dove Cristo tutto di si merca.
La colpa seguirà la parte offensa
in grido, come suol ; ma la vendetta
fia testimonio al ver che la dispensa.
Tu lascerai ogni cosa diletta
l1or«Bia eoo. ooil tu doTial senza colpa al-
eanA laidaie la patria. Al momento in eoi
■onnontò in Firroxe oon l' aiuto di Owlo di
ValoUe di BoniUuioVin la parte dal Neri
(ofr. /n/l Yi 67), Dante eia, secondo la testi-
monianza di D. Compagni {Or, n 26), amba-
eciatoie a Boma per conto della signoria di
parta Bianca : la prima sentenza lanciata con-
tro Dante, il 27 gennaio 1802, lo condannò
insieme oon Palmiere AltoTiti, lippo della
Becca e Oriandncdo Orlandi alla molta di
cinquemila floxini piccoli da pagare entro tre
giorni, pena la confisoa dei bòli, e a doe anni
di oonilne fbori di Toecana, per titolo di ba-
ratterie oommssso nell' oeeróiiio del priorato,
di opposizione fotta alla Tenuta di Carlo di
Valois, e di aver promossa la dirisione deUa
cittadinanza pistoiese in Bianchi e Neri e la
cacciata di questi dalla patria loro : la se-
conda sentenza, del 10 marzo, condannò Dante
e altri quattordici cittadini, tatti oontomad,
alla morte : € si qois praedictorom allo tem-
pore in fortiam dioti Commanis perTonerit,
talia penreniens igne oomborator sic qood mo-
riator » : ofir. Fraticelli, VUa di DciUe, cap.
t; Del Lango, L'ttiUo di Dante, cit. — 49.
<^eat#: eco. La tua condanna ò già decre-
tata e già si cerca di ottenerla, e presto lo
scopo saia raggiante, dai taoi nónid che sono
in corte di Boma, ore si fb sempre empio
mercato deUe coee sacre. Questa terzina, doUa
quale i commentatori danno solo una spiega-
zione generica, ricere una gran loco dalla
storia particolareggiata delle relazioni tra il
Comune di Firenze e il pontefice Bonilìtzio
YIIL Dante, piò che alle rendette dei suoi
arrersari di parte, si trorò, come altri cit-
tadini, eepoeto a quelle del papa, del quale
arerà sempre contrariato gì' intenti di ren-
dersi padrone delle coee fiorentine : per que-
sto fine Bonifazio Ym accordò per tempo la
sua protezione alla parte donatesca, media-
tori di dò gli Spini, famiglia guelfa di ban-
chieri pontifici ; per questo nell'aprile del 1800,
proprio il tempo della rislone dùtesca, Boni-
Iszio ym s'adirò contro Lapo SaltareUi (ofr.
Ar. xr 128) e altri dttadini denunziatori dei
suoi maneggi e formò contro di essi un e aspro
processo ». Dante ta dd priori dal 16 n^u-
gno al 16 agosto, e nell'offldo continuò l'op-
podzione già fatta nd consigli nel 1296 e '97
quando combatté stanziamenti in fàrore di
Danti
Carlo n d' Angiò ; e perdo sino dal primo in-
trometterli dd papa nelle coee fiorentino do-
rette essere segnato tra gli arrenari ddla
politica pontificia e nera. Dunque eM dòpmua
saranno Bonifluio Vm e i fiorentini di parte
donataeca ch'erano preeso di luL 81 efr. Dd
Lungo, 1 174 e segg., 212 e ssgg., II 106 ecc.;
a. Levi, BoiiifaxÌ9 Vili • k gm nl^t, eoi
Qnmme di Fkr,, Boma, 1882; A. Berteli, 81,
delia idi, «., rol. Y , cap. rL — 62. La eelpa
ecc. Tutta la colpa sarà, seeondo il solito,
tribuita dalla Cuna alla parte rinta, d Bian-
chi proecritti e disperai ; ma la rendette die
ne seguirà, doè a malgoremo òhe i Neri fa-
ranno di Firenze, sarà tsstimonianza ddla
rarità, dimostrerà la fhldtà delle colpe ap-
poste agli esuli. La parte offmea (ofir. Inf, r
109) è quella dd Bianchi, cacciati e con mdta
dfendone > e tenuti dagli arrenari e sotto
grari ped > {Inf» ▼! 66-71), con l'duto dd
pontefice. — 68. come saolt perché è pro-
prio della natura umana attribuire ogni cdpa
a quelli che eoccombono eotto i colpi della
fortuna. Anche qui Dante d ricordò del suo
dottore, Boedo, die arerà scritto, Cbnt. jxài^.,
I 4 : e Hoc tantum dizerim, ultimam esse ad-
rersae fortunae sardnam, quod dum miseria
alìquod crìmen affingitur, quae perferunt me-
roisse oreduntur »; cfir. le parole dd Cbfw.
I 8 : e la piaga della fortuna, che suole in-
giustamente d piagato molte rdte essere
imputata ». — la readetta fa eco. Dante
non allude, sembra, ad dcun fatto determi-
nato; ma d complesso di quelli arrenimenti,
che dopo la cacciata dd banchi contristarono
Firenze, i quali furono come la rirendioa-
done morde della parte rimasta soccombente.
— 66. Ta lasearal eco. Tu sard costretto a
lasciare ogni cosa più affettuosamente amata:
la patria, la famiglia, i parenti, gli amid, le
case e i beni dd tud maggiori; e proreni
questo primo dolore acutissimo che l' esilio
produce. L'abbandono f\i per Dante assd più
doloroso che per gli dtri sud compagni di
parte, perché egli non potè dar l' ultimo addio
alla cara patria, se, come pare, quando ta
colpito dalla sentenza d'edlio egli era anoor
fiiori come ambasciatore presso il pontefice;
ma su questo punto sono discordi le testimo-
nianze antiche, pdché mentre L. Bruni rac-
conta che « sentita Dante la sua mina, subito
d parti di Boma dorè era ambasciadore e cam-
706
DIVINA COMMEDIA
più caramente; e questo ò quello strale,
67 che l'arco dello esilio pria saetta.
Tu proverai si come sa di sale
lo pane altrui, e com'è duro calle
60 lo scendere e il salir per l'altrui scale.
E quel che più ti grayerà le spalle
sarà la compagnia malvagia e scempia,
68 con la qual tu cadrai in questa valle,
che tutta ingrata, tutta matta ed empia
minando con gran celerità, no renne a Siena > ,
e e qniyi intesa più chiaiamente la sna cala-
mità, non rodendo alcnn riparo, délibeid ao-
oozzani con gli altri nsoiti », il Booeacdo in-
reco (F. di i>. 9 4 e nel commento tSVInf,
nn 1) e i cronistì G. Villani, O. ix 134 e
M. Stefani, Iti, fior, n 8i0, dicono che Dante
nsoi di Firenze prendendo la ria dell' esilio
con gli altri Bianchi, anzi € si parti senza
aspettare commiato ». — > 68. Tn prortral ecc.
Tu prorend le angustie e le miserie dell'esi-
lio, oonosce'rai alla prora quanto sia doloroso
il rirere del pane altmi e nelle case degli
altri; ridotto a mendicare la rita, prorend
quel e tremare per ogni rena » che affligge
r nomo altero costretto a stender la mano per
aiuto ai potenti e ai felici : cfir. iVy. xi 140
e anche Par, n 140, ore sono riferito pa-
role amare dèi Ooiw, sn la miseria di Danto
esale; parole che spiegano la flcase sooltoria
del Ccnnpegni, Or, u 26, ore dice che i Bian-
chi faomaoiti e andomo stentando per lo
mondo, chi qna e chi là ». — if eome sa eco.
ofr. la sentenza di Seneca : « Omnium quippe
mortalium rita est mìsera; sed illorum mi-
swrrima, qui ad aìlenum somnium dormiunt,
et ad alìorum appetitum comedunt et bi-
bnnt ». — 61. B qiel eke ecc. E quella ohe
più ti riuscirà grarosa fra tutto le miserie
dell' esilio sarà la necessità di mescolarti con
nomini malragi e sdoochi, coi tuoi compagni
fuorusciti di parto Bianca, i quali per loro
ingratitudine e stoltezza ed einpietà si rirol-
geranno tutti contro di te ; ma poco dopo ri-
sentizanno essi tutto il danno, e quando la
serie degli orrori commessi arra data la prora
della loro bestialità, tu potrai rallegrarti d'es-
serti astenoto dai loro ultimi e infelici ton-
tatiri, facendoti parto per to stesso. L' illu-
strazione storica di questo punto della profe-
zia di Oacdaguida, trascurata dai commen-
tatori antichi e moderni, ò oggi facilissima
per le belle indagini e osserrazionl fatto dal
Del Lungo, n 662 e segg., dalle quali è pro-
yato che dopo la proscrizione del 1902 tre
principali imprese tentarono i ftiorusciti con-
tro Fìrenfe morendo dal Mugello : una nel-
l'estato dello stesso anno 1802, una nella pri-
marera del 1806 e una nel 1806. Danto, ohe
appena colpito dalla sentenza d'esilio si era
certo unito ai capi della parto Bianca, ri tztvTò
presento alla prima, and doretto essere uno
dei promotori dell' Impresa, poiché fl ano nofme
ò registiato insieme con quelli dei Oorchi,
lacason, TTbertini, Gherardini, Scolari, Pazzi,
del principali insomma tra i Bianchi • i Ghi-
bellini, neU'atto deU' 8 giugno 1302, fktto naIU
diiesa di S. Godenzo a piò dell' Appennizio,
per cui i fuorusciti prometterano A aodiaCar»
gli XTbaldini di tutti i danni ohe fbeeero per
ricerere dalla guerra eh' era per fusi contro
Fironze dal loro castello di Montaocenioo.
Alla seconda impresa pud credersi efae parte-
cipasse pur Dante, perohó ta comandata da
Scarpette degli Ordelaffl, col quale il poetm
appare più tardi in amicherole relazione. Fal-
lite queste due imprese. Dante assai proba-
bilmente si stacoò suinto dai fuorusciti ; certo
non appare ch'egli aresse mano ndle prmti-
cfae del cardinale di Prato (primarera 1301)
per il ritomo dei Bianchi in patria, da qnél
prelato condotte male e dai fiorentini non se-
condate con sufficiente destrezza e rigore ;
né nella impresa della Lastra (estate 1304X
quando i Bianchi tentarono contro la città
un ardito colpo di mano che non riusd ; né
nei fatti posteriori della parte, cioò la perdita
di Pistoia (aprile 1806), la terza guerra mu-
géllana (estete 1806) finite con la resa e la
distruzione di Montacoenico, la legazione del
card. Napoleone Orsini in fhrore dei i^^^*»***
(1806-1807), la infelice radunate di Arsoo
(1807), con la quale ebbero termine i tante-
tiri dei Bianchi, ohe, come dice il loro sto-
rico ( D. Compagni, Or. m 17) * seonsolatl
si paitimo... e mai si raanomo più. » — 68.
con la qual ecc. con la quale tu ti trorerai
néU' infeUoità dell' esiUo. — 64. ohe tatù eoo.
Del disdegno dei ci^ di parte Bianca contro
Dante sembra essere un cenno dò die U poeta
fb dire a Brunetto Latini in Inf, xr 70-72,
sebbene il Dd Lungo, II 661, intenda che fl
poeta fosse desiderato e tardi ed inrano dai
Guelfl Bianchi e dai Ghibellini », interpreta-
zione poco cauta. Ha quali fossero le ragioni
di cotesto disdegno non appare : se non si
roglia accettare per buona la testtmoniansa
dell'Ott. e delle (Moee anonime dd ood. pe-
latine 180 (cfr. F. Palermo, Jmanoierittì jgo-
kUkU di FIrmxef Firense, 1880, rd. n, pp.
PABADISO - CANTO XVH
707
66
69
si &rà contro a te; ma poco appresso
ella, non tu, n'ayrà rossa la tempia.
Di sua bestialitate il suo processo
farà la prova, si ohe a te fia bello
l'averti fatta parte per te steaso.
Lo primo tao rifugio e il primo ostello
716 • Mgg.), ohe raooontano come Dani» oon-
■1g!i«tw i faorascitl a rJmimdare «Uà prima*
T»m on tentatiro oh'essi Tolerano fue nel-
l'inTerno, e eome venuta la prìmaTeim, non
trorandoBi più gli amid disposti ad aiatare
come nel passato, si riTsoassero sol poeta
IcU odt e i sospetti : e qna de re sospeotos
faotos est Dantes, ob oonsiliom, et existima-
tns qood a floxentinis coiraptns fnisset », di-
cono le Chioee anon. ; e l'Ott : € moHo odio
ed ira ne portarono a Dante, di che elll si
parti da loro ». Se il fittto d rero, dorrebbe
TicoUegaisi con i preparatiri fatti dai Bianchi
in Arexzo nel novembre del 1806, accennati
dal Compagni, Or. n 86 ; ai quali nella prì-
marera del 1904 non segui alcuna impresa
annata, ma la legazione del cardinale di Prato.
— 66. ■« poco appresso ecc. ma poco dopo
la parte Bianca arra rossa la toffipùi, per il
sangue sparso inutilmente dai suoi nell'Im-
presa della Lastra, e proverà tutto il danno
di simili tentativi affrettati e intempestivi.
Fare indubitabile Tallusione in questi versi
al fatto della Lastra dell'estate 180A, falUto
appunto perché uno dei capi, Baschìera della
Tosa, « vinto piò da volontà che da ragione,
come giovane, vedendosi con bella gente e
molto incalciato, credendosi guadagnare il
pregio della vittoria, chinò gi6 co' cavalieri
alia terra » , senza aspettare l'arrivo degli altri
ftiorusdti che dovevano convenire nel giorno
stabilito (D. Compagni, Or. m 10) : falli in-
somma per quella fletta intempestiva, che
Dante, secondo l' Ott e le Chiose palatine,
aveva sconsigliata quando si preparava un
tentativo consimile per l'inverno. — 67. Di
sua eoe n seguito dei fiitti di cotesta eom-
pagnia malvagia $ acempia darà la prova ma-
nifesta della sua bestialità, cioè della malva-
gità e stoltezza dei capi di parte Bianca.
Questo procesao ò l' insieme dei tentativi già
ricordati, a cominciare dalla legazione del
cardinale di Prato sino alla radunata di Arezzo;
nei quali veramente i Bianchi errarono, sia per
malvagità (per esempio, i Cavalcanti che non
permisero ai capi di parte Bianca entrati a
Firenze per trattare la pace di alforzarsi nelle
case loro e restare in città, cfr. Compagni
m 7; il Baschiera della Tosa che nell'im-
presa dell'estate 1804 trasse a forza due ni-
poti ricchissime dal convento di S. Domenico,
ctt. Compagni, m 10 ecc.), sia per stoltezza
(come nell'intempestivo attacco dell'estate
1304, che fu folU venuta dice il Compagni, m
11 ecc.): ma i rimproveri di Dante, più che de-
rivati da un sereno giudizio degli uomini e
delle eoa», appariscono pur sempre come sfogo
di animo oifeso e perdo eccessivi ed ingiusti :
ott, in proposito le considerazioni del Bartoli,
SL d$UA m. ÌL, roL y, pp. 168 e segg. -
68. a te te eoo. ti sarà maggior onore l' es-
serti tratto in disparte, l'esserti astenuto da
cotesti vani tentativi : onorevole l'atteggia-
mento solitario di Dante di fronte ai suoi
compagni di parte (ofr. fia beUo con tanto
mar eoo. deU'/h/". xv 70) poteva e doveva
parere a lui, che oondannava dò ohe gli sem-
brava proM éi beattamaUf gli errori doè dei
capi dei Bianchi ; ma non meno onorevolo il
sentimenito che moveva gì* infeUd esuli a ten-
tare di riguadagnare la patria, anche col peri-
colo di riusdrle irvppo moteati^ come già mezzo
secolo innanzi Farinata degli Ubeiti e i tao-
rusdtl ghibellini (cfr. Inf, x 27). — 70. Lo
primo eoo. Allorché ti sarai separato dai
Bianchi, troverai primamente benigna acco-
glienza in Verona, presso il signor della Scala,
il quale per atto spontaneo di naturale libe-
ralità ti oflrixà i suoi benefizi. Forte que-
stione è fra gì' interpreti drca la persona del
gran lombardo^ primo ad accogliere Dante
esule ; ma la maggior parte dei commenta-
tori antichi e moderni riconoscono in lui il
primo dei quattro figli di Alberto della Scala
(cfr. Airp. xvm 121), doè Bartolommeo, che
tenne la signoria di Verona dalla morte del
padre (1801) alla propria (7 mano 1804) : e
a questa opinione accedono oggi i pid (cfr.
C. BelvigUeri, SeritU atoHei, Verona, 1881,
pp. 188 e segg.; Q. Todeeohini, SerUH au Dante^
voi. I, pp. 241 e segg.; A. Gaspary, OeaofU-
ehtedarital, LU,, voi. I, pp. 281, 620; 6.
Biadego, Dante e gU ScaUgiri^ Venezia, 1899 ;
A. Bartoli, op. dt., voi. V, pp. 171 e segg., il
quale ultimo esamina la questione lasciandola
insoluta). A me sembra che, data la separa-
zione di Dante dai Bianchi dopo la seconda
guerra magellana della primavera 1303 (ofr.
nota al v. 61) e dopo i preparativi da lui con-
tradetti nell'autunno dell'anno stesso (cfr.
nota al v. 64), si possa accettare senz'altro
l'opinione dd più e ammettere ohe il poeta
si rifugiasse a Verona negli ultimi med della
signorìa di Bartolommeo della Scala. Delle al-
tre opinioni ò manifestamente erronea quella
del Boccaccio, VUa di P. § 5 ohe fl gran lom-
bardo sia Alberto della Scala,« morto prima
ohe Dante fosse esiliato ; e più ancora quella
708
DIVINA COMUEDU
1
sarà la cortesia del gran lombardo,
72 che in su la scala porta il santo uccello;
che in te avrà si benigno riguardo
che del fare e del chieder, tra voi due,
75 fia primo quel che tra gli altri ò più tardo.
Con lui vedrai colui ohe impresso fue
nascendo si da questa stella forte,
78 che notabili fien P opere sue.
Non se ne son le genti ancora accorte,
per la novella età; che pur nove anni
81 son queste rote intomo di lui torte:
ma, pria che il guasco Paltò Enrico inganni,
di chi eiode ohe da Oangrande (cfr. nota ai
T. 76) : insottenibile poi quella del Voli., ao-
colta da parecdii e difesa con glande afono
di eradizioiii e di ragionamenti dal Del Lungo,
n 678-684, ohe il tiatd di Alboino I, ohe
snooedetto nella lignoiia al fratello Barto-
lommeo nel mano 1304 e mori nell'ottobre
1311, poiché, oomnnqne t'intendano, le pa-
rola del Oom, IV 16 relatire a qnesto Scali-
gero fnoneranno tempre nn biasimo, più o
meno forte teoondo la varia tpiegazione, ma
impossibile a oonoiliare con la lode messa in
bocca a Gaodagoida. — 72. che in ra eoo.
Gli Scaligeri portavano nello stemma, insieme
con la scala, loro insegna di famiglia, Taqnila
imperiale, insegna di parte : non si sa per
altro quando aggiongeesero l'aquila, ma la te-
stifflonianxa di Dante eadude che dd acca-
desse solo nel 1811, quando divennero Vicari
dell' impero ; e ben potò Bartolommeo portar
nello stemma il «onto uooeUo (cfr. Par, vi 4),
avendo sino dal 1291 sposata Costanza figlia
di Corrado d' Antiochia e pronipote di Fede-
rico n. — 78. eke in te eca che verso di te
sarà tanto benevolo da prevenire le tue do-
mande, da offrirti riftigio e estollo nella sua
corte senxa che tu abbia a provare la vergo-
gna di chiederlo. Ott: e Seneca nel libro dei
Benefizi (il quale il detto messer Bartolommoo
continuo praticava) : ' Graiiositsimi sono li be-
nefizi apparecchiati e che agevolmente si fanno
verso altrui, ne' quali nulla dimoranza inter-
viene, se non per la vergogna del ricevente' ».
— 76. Con lai ecc. Nella corte di Verona
incontrerai, oon Bartolommeo e con gli altri
fratelli, Cangrande, il quale nacque sotto l' in-
flusso di Marte e perdo riuscirà valoroso e
potente guerriero. Cangrande I della Scala,
terzo dd figliuoli di Alberto I, nacque il 9
marzo 1291, sposò Ghiovanna altra figlia di
Corrado d'Antiochia, fu associato nd ISll al
governo dal fratello Alboino I e indeme eb-
bero da Arrigo VII il titolo di Vicari del-
l' Impero ; morto Albdno I, tenne solo la si-
gnorìa dd 1812 sino alla sua morte, che fb
in Treviso U 22 lugUo 1329; cfr. O.Orti Ma-
nara, Ommi ttoriei • docm^nii cht naguarde^-
no Gamgrani» Ideila Scala, Verona 1853 ; H.
Spangenberg, Ckmgramdé I della Soaia, Ber-
lino 1892 ; Q. Bolognini, neU'^raJk. Mor, tC,
6» serie, voL Xm, pp. 126-149 ; K. Oari-
dni, Quando naoqm Ckmgrtmde I delia Stala
con aure noUxù della tua ffiorinexxa, Pado-
va 1892 ; G-. Belognini, Una queatìone di oro-
nologia eoaligera nella D. (7., Verona 1896.
— 77. 4a qaeita stella: Uarte, ohe espone
gli animi alle imprese bellicose. -~ 78. l'epe-
re sa e : Cangrande I apparve a Dante e ai sod
oontemporand come ristoratore dd nome ghi-
bdlino e deU' autorità imperiale nell'ItdU
superiore: tanto che parecchi, a oomindaie
nel sec xrv da CUdino di Sommacampagna,
poi il Vdl. e non pochi dtri commentatori,
ravvisarono in lui il veltro liberatore, dedde-
rato e augurato dall' Alighieri (cfr. ih/: 1 101).
— 79. Non se ne len eco. Di Cangrande le
genti non d sono ancora accorte, perché egli
ò ancora in tenera età, essendo nato solamente
da nove annL — 80. noveUa età : la prima
età della vita, il tempo che precede la virilità ;
cfr. Inf, min 88, ove dà novella è spie-
gata dall'Ott per tenera etade — pur neve
eco. dd momento eh' d nacque, queate refe,
i deli, i' aggirarono intomo a lui per soli
nove annL — 82. ■« pria eoo. ma prima che
il pontefioe Clemente V, guascone, inganni Ar-
rigo VH (cfr. Fùr, xzx 142 e segg.); doè
prima dd 1812, in coi l'imperatore s'inco-
ronò in Boma, e Cangrande divenne signore
di Verona, d manifesteranno i segni ddla soa
vìrtd nel disprezzo delle ricchezze e deDe ter
tiohe dolla vita militare. Bignardo al disprezzo
delle ricchezze, virtù che Cangrande avrebbe
avuta comune od vdtro (£i/i. x 103), raooonts
Benv. che condotto da fandullo a vedere un
tesoro € minxit super eum >, che sarà una
leggenda, ma è ad ogni modo da tenerne
conto, come di cosa raccontata nd seoolo di
Dante ; il qude dd resto fa allo Scaligero in
questi veld le stesse lodi che d leggono nel-
PARADISO - CANTO XVII
709
parran fìiville della sua vìrtute
84 in non curar d'argento né d'affanni.
Le Bue magnificenze conosciute
saranno ancora, si che i suoi nimici
87 non ne potran tener le lingue mute.
A lui t'aspetta ed ai suoi benefici;
per lui fia trasmutata molta gente,
90 cambiando condizion ricchi e mendici;
e porteraine scritto nella mente
di lui, ma no '1 dirai » : è disse cose
98 incredibili a quei che fien presente.
Poi giunse: € Figlio, queste son le chiose
di quel che ti fu detto; ecco le insidie
1* Bpift « Otngnnde, 1 1 : < Indyta yestrtd
Ma^ifloantiae bras, qiuun Cum Tigli roUtena
dlumnlint. ito diftnhit in diyena divenos,
ut hot in fpem soAe prosperitetis attollat, hot
•ztenninii deiiolat in tarrorem. Hoo quidam
proeooninm, ftkota modernomm «zsapenns,
tnmqnAm Teri ezistentia latios, arbltnbar ali-
qoando aiipeiflaam. Y«nim n* dintomA m«
nimii inoertitado raipenderatt... Veronam pa-
tii fldit ooolii diaoanarai andita; iUqne m*-
gnalia Teitra vidi, vidi benaiioi» ilmQl at t&-
tigi ; at, qnamadmodom prina diotoram inapi-
eabar axoaaaiim, aio poateriai ipaa teota axoea-
aira oognorL Quo ikotom aat, ut az andita
aolo, oom qnadam animi labiaotiona, banaro-
Ins prina aztitaiim; aio az yiaa primordii at
darotiaaimna at arnioni ». — 86. a( eha aoc
in modo oha panino i moi nemioi non po-
tranno taoama. Non crado eha Danta allada
ad aloon lìatto o persona datarminata; ma più
tosto ai grido grande eha dalle magnifloanzo
dello Scaligaro corse di certo anche nelle città
guelfa e di oni rimane V eco nei cronisti a
poeti dal tempo (ofr. Q. Villani, Or. z 140;
F. Ferreti, in Mnr. Btr, U, MorìpL toL IX;
carme lat In Orti Manara, op. dt, pp. 106 e
segg.; A. Medin, Lar«8adiTnvi$o»lamorU
di Cangrandé I della Seala, eanlar$ d$l teo.
ziT, Yenesia, 1886; L. Frati, FnmmtiUodi
ttrimiem d»l seo. zir tu lode di Congrandé /,
Bologna, 1887; Q, Massoni, Il BiMdi$ di Em,
Owdóo, Boma, 1887 ecc.). — 88. A. Ini eoe
In ini e nei snoi benefizi riponi ogni tna spe-
nnz*, poiché per opera sua molti nomini camr
bieranno condizione, i ricchi e potenti saranno
depressi, ed esaltati gli nmili e poveri. Bene
oeserra TOtt che « questo testo è chiaro in
parta, a nel rimanente è si oscuro che non
si pud chiosare per parole oh' entro ▼! sono »:
è osonro nd yy. 89-90, che contengono di
Cangrande una lode troppo raga e generica,
per oni non pnò essere riferita ad alcun sno
fatto determinato; ò chiaro nel t. 88, ove
manifestamente è accennata l'accoglienza e la
protezione accordata dallo Scaligaro all'ili-
ghierL Bignaido ai tempo della dimora di
Dante In Verona presso Oangrande regna la
più grande incertezza: sarebbe confermata
dall'Epist a Oangrande stesso | 1, della cui
autentidtà alcuni dubitano (cfr. Q. Vandelli,
BulL Vm, 187-164); sarebbe da porre nel
1820, se si potasse tenera coma cosa dantesca
la Qwiedio sull'acqua e la terra (cfir. F. An-
gelitti, Bua, vm 62-71, 290-296); si che
il meglio è confessare che mancano elementi
per determinare H tempo e la durata del se-
condo soggiorno reronese del poeta, sebbene
sembri che del lìatfeo non si possa dubitare
(ofr. snUa questtone A. BartoU, St. della M.
«., voL I, pp. 291 e segg.). — 9L e porte-
raine ecc. e di Oangrande ricorderai, ma non
Io dirai ad alcuno che ecc. — seritlo t nel
libro della memoria, ofir. Par, zzzm 66. —
92. e éisse eose eoe e qui Oacdaguida, come
già poco prima Oarlo Martello (Par, iz 4),
mi disse cose oh' io non posso ridire, ma cosi
straordinarie che parranno incredibili a chi le
vedrà accadere sotto i propri occhi. Dante,
avendo concepite grandi speranze di Oangran-
de, come ristoratore del nome e della potenza
ghibellina, adombra in questa reticenza le fu-
ture imprese di quel signore, ohe non poteva
specificare, appunto perché quando egli scri-
veva erano solamente sperate, ma non com-
piute; e se tutto questo non basta a fard
ritenere che proprio in Oangrande il poeta
vedesse attuato il suo sogno dd vdtro libe-
ratore, ò manifesto che egli sperò per un
momento che lo Scaligero potesse farsi promo-
tore della sperata riforma (ofir. la nota all'jBi/'.
I 101). — 94. Pel glnnse eoe Fatta la pre-
dizione, Caodagnida soggiunge che q%tette eon
UoMoee^ doò questo suo discorso è la dichia-
razione di dò che a Dante fu aooennato circa
il suo avvenire nell' inferno e nd purgatorio
(oCr. la nota al v. 1). — ehloia { cfir. Inf, zv
89, Purg. zi 141. — 96. eaao ecc. queste sono
le insidie, che a tuo danno d preparano e fra
710
DIVINA COMMEDIA
96 che retro a pochi giri son nascose.
Non vo* però eh' a* tuoi vicini inyidie,
poscia ohe s' infutura la tua vita
99 vie più là che il punir di lor perfidie ».
Poi che tacendo si mostrò spedita
l'anima santa di metter la trama
102 in quella tela ch'io le pòrsi ordita,
io cominciai, come colui che brama,
dubitando, consiglio da persona
106 che vede e vuol dirittamente, ed ama:
€ Ben veggio, padre mio, si come sprona
lo tempo verso me, per colpo darmi
108 tal eh' è più grave a chi più s'abbandona;
per che di provvidenza è buon ch'io m'armi
si che, se loco m'ò tolto più caro,
111 io non perdessi gli altri per miei carmi.
Giù per lo mondo senza fine amaro,
e per lo monte del cui bel cacume
114 gli occhi della mìa donna mi levaro,
e poscia per lo ciel di lume in lume
ho io appreso quel che, s'io il ridico,
117 a molti fia sapor di forte agrume;
pochi anni ti colpiranno. — 97. Nob to' eoo.
Ma tn non devi per qoesto nntriie odio veno
i taci oondttadini, poiché il tuo nome si in-
ftitora, dorerà f)uno90 nell'ayronire, oltre il
tempo nei qnale essi saranno paniti delle loro
perfidie. — TielBl : cfr. Inf, xvn 68. — 100.
Pel elM eoo. Le parole di Oacdagoida lofloi-
tano nn dubbio nell'animo di Dante: dorrà
egli tacere dò che ha reduto nel sno Tiaggio
per non dispiacere ai potenti, o dorrà mani«
restarlo por acquistarsi cosi etema fiama?
Espone subite^ questo dubbio a Cacdagoida,
il quale con efficaci parole lo conforta ad avere
il coraggio di dire tutta la rerità, poiché in
tal modo renderà un grande servigio ali* uma-
nità. — 101. di Metter ecc. di tessere la tela
che io gli aveva presentata ordita, di rispon-
dere doè alla mia domanda : lo stesso traslato
è in Pur, m 95-96. — 103. eome eolnl ecc.
con la fiducia propria di colui che essendo
dubbioso chied# consiglio a persona assen-
nata, onesta e affszionata. — 105. che vede
ecc. In poche parole delinea il ritratto del
buon consigliere, che deve essere persona sa-
piente {ehé vede dÌHUammUe\ virtuosa (ohe
vuoU dirittammté) e amorosa {eh» ama) verso
colui che chiede consiglio. — 106. Bea veg-
gio ecc. Io intendo come il tempo s' affretta
contro di me, per colpirmi con l'esilio e con
le altre sventure da te predette, le quali sono
di tale natura da riuscire tanto più gravi al-
l' uomo, quanto più egli M'aibbandona, doè ri
lascia prendere da esse impraparato, aeua
aver fatto nulla per attenuare tanta miseria.
— 109. per cke eco. per la qual cosa ò utUe
eh' io provveda a me stesso, si che, se nd
sarà tolta la patria per opera dei neinid di
parte, io non abbia a perdere gli altri luoghi,
in cui potrei rifugiarmi, a cagione dei versi
troppo pungenti. — 112. Gli eoo. Neil* in-
famo, nel purgatorio e nel paradiso io ho n^
preso cose che, s* io le ridico, a mfÀtL riosd-
ranno gravi e moleste. — per lo mobAo ecc.
Neil' inferno, luogo d'eterno dolore, Dante in-
oontrd molti peccatori, dei quaU i pareaiti o
g^ amid erano vivi nel mondo e oerto male
avrebbero tollerato le note d' infkmia del poeta
esule: il f&tto per quanto leggendario, di
Branca Doria (cfr. ^f, zzxm 137), n* ò pro-
va ; e basti ricordare old ohe nella prima can-
tica Dante scrive di molti suoi conoittsdini,
di molti prindpi e signori italiani e stranieri,
e di prelati e cardinali e pontsficL — US. per
Io monte eoe per il monte del purgatorio,
dalla cui cima gli occhi di Beatrice mi leva-
rono su ai deli (cfr. Par. 1 64). Nella seconda
cantica molti pani potevano eodtare odi con-
tro Dante, ma specialmente quello ch'egli
scrisse dei prindpi del suo tempo. — 115.
per lo elei eoe nel paradiso, di pianeta in
pianeta. Dante d lifnisoe specialmente a dò
die ha udito contro gli Angioini, contro i si-
PABADISO - CANTO XVH
711
e s'io al vero son timido amico,
temo di perder vita tra coloro
120 che questo tempo chiameramio antico ».
La luce in che rideva il mio tesoro,
ch'io trovai li, si fé' prima corrusca,
123 quale a raggio di sole specchio d'oro;
Indi rispose : € Coscienza fusca
0 della propria o dell'altrui vergogna
126 pur sentirà la tua parola brusca.
Ma non di men, rimossa ogni menzogna,
tutta tua vision ùl manifesta,
129 e lascia pur grattar, dov' è, la rogna ;
che, se la voce tua sarà molesta
nel primo gusto, vital nutrimento
182 lascerà poi quando sarà digesta.
Questo tuo grido farà come il vento,
che le più alte cime più percote;
135 e ciò non fa d'onor poco argomento.
Però ti son mostrate in queste rote,
gnoil deOA Maioa Tiivigiana, contro i fran-
oeftofuii • domenioani. — 118. e ■' lo ecc. e
•e io tacendo mi dimostnsfl timido amico
della verità, temo ohe non Tiyrei od nome
tra i posteri, non acquisterei la Cuna immor-
tale die tn m' hai profetata. Dell' amore di
Dante per la rerità, dtre ohe tatta la sna
▼ita e tutte le sne opere ne sono una dimo-
straxione oontinna, d leggano cdde afferma-
doni nd Oonv, !▼ 8, nd De mon, iii 1, nd-
r Epist d oardinaU, § 6 eoe — 119. Tito: la
Tito dd nome, la buona nominanza, nella
quale l' nomo tItb anche dopo la morte del
oorpe; efr. Bsr, ix 42. — 121. La lice eoo.
Lo splendore, nd qnde riderà l'anima di Oao-
i^'ftg""*, da me incontrata nel cielo di Marte,
d iiBoe più TiTamente scintillante, per segno
di magi^ore allegrezza (efr. Par, rm 46). —
123. f aalt ecc. come nn aoreo specchio sol
qnale Tenga a cadere nn raggio di sole. —
124. Ootdensa ecc. Solamente chi abbia la
oosdenza macchiato o per colpa propria o per
oolpa dd snoi conginnti sentirà la puntura
della toa parola. — 125. Tergegaa : atto rer-
gognoeo, per coi abbia ad arrossire chi T ha
oompinto (per es.. Branca Dona) o chi a un
oolperole ò legato da Tincoli di sangue (per
ea. i Ghiaramonted che arros$an p$r lo iiaioy
cfr. Par. STI 105). — 127. rUiossa eco. te-
nendoti lontano da qudunque menzogna. —
128. tatto eco. Butl : e fa manifesto totto
dò ohe hd Teduto, o bene o mde ohed sia;
dò che hd pensato che fia da mettere, se-
condo lo too gindido, in questo tua com-
media ». — 129. e laseto ecc. e laada pur
che se ne lamentino odoro che dalle toe pa-
role riceveranno vergogna. Il modo dante-
sco, effloacissimo a esprìmere la noncuranza
per i lamenti interessati contro il poema,
spiacque e spiace a molti retori, ohe non d
stancano di piangere sulla sna trivialito e
•convenienza: ma, oltre che era un detto
proverbide, è di quelli che rivelano pur sem-
pre una grande potenza e vigoria di pen-
siero e di parola, che scusa la crudezza di
questo e d'dtre espressioni dantesche (cfr.
Inf. zxi 1S9>. — 190. che, se eoe poiché, so
anche la tua parola riusoirà molesto d primo
sentirla, sarà dbo vitde di buoni e morali
ammaestramenti a ohi la mediti riposatamento.
— 133. (^neito eco. Le toe parole, risonando
più fiere sopra 1 più potonti della terra, fa-
ranno come vento che percuoto più impetoo-
samente le dme dei monti più dti ; e questo
coraggio del vero ò sempre all'uomo cagione
di onore. — eeme Tento ecc. Trasferisce d
vento dd ohe dtri poeti dicono anche del
tolmine; Orazio, Od.n 10, 9 : « Saepius ven-
tis agitotur ingens Pinna, et oelsae graviore
casu Deddunt turres, ferìuntqne summos Fd-
gura montes >, e Boezio, Gbns. phiL i, poesia
4 : « Aut oelsas soliti ferire turres Ardentis
via fnlminis movebit >. — 136. Però ecc. A
questo fine, che to colpisca i potenti, nd tre
regni della morto gento ti sono stoto additoto
solamento anime noto per Ccuna agli uomini,
che sono ancora femoee nd mondo. Famose
o oonosduto d tompo di Danto; anche se
per nd moderni sia spento la memoria d'al-
cuna di osse : è però da notare che Danto
712
DIVINA COMMEDU
138
142
nel monte e nella valle dolorosa
pur r anime che Bon di feuna note;
che l'animo di quel ch'ode non posa,
né ferma fede per esemplo eh' àia
la sua radice incognita e nascosa,
né per altro argomento ohe non paia ».
distingue lo persone da lai lioonosoiiite, molte
delle qnaÙ sono qnasi ignote sUa stoxia, da
quelle di ooi dicono a Icd il nome Virgilio,
Beatrice o altri spiriti: queste ultime seno
per lo più persone abbastanza flunoee. — 189.
che eoo. perobé l'animo di chi ascolta non si
ferma e non presta fede se non ad esempi di
cose manifeste 0 di persone cognite ; gli esempi
tratti da fìitti o nomi sconosciuti sono inef-
flcaoL — 140. per esemplo eoe. per alcun
esempio di coi Teesenza sia incognita e na-
scosta. — àU: cfr. £•/: zxi 60. — 143. per
altro ecc. per qualsiroglia argomento ohe
non apparisca laanifesto.
CANTO xvin
Cacciagnida addita a Dante le anime di Giosoè, Maccabeo, Carlo Xagno,
Orlando, e di altri propngnatorl della fede; poi il poeta e Beatrice salgono
al sesto cielo, quello di Giove, ove appariscono gli spiriti di coloro che in
terra amministrarono dirittamente la giustizia : da questa vista Dante trae
argomento a una invettlTa contro V avariiia dei pontefici [14 aprile, ore
antimeridiane].
Già si godeva solo del suo verbo
quello specchio beato, ed io gustava
8 lo mio, temprando col dolce l'acerbo;
e quella donna, eh' a Dio mi menava,
disse: € Muta pensier, pensa ch'io sono
6 presso a colui ch'ogni torto disgrava ».
Io mi rivolsi all'amoroso suono
del mio conforto, e quale io allor vidi
XVm 1. 6ià si godoTa eoo. Bisg. : e Ta-
oeyssi l'anima santa, e pensava; e cosi Dante ;
ma il pensiero di lei era, siccome quello con-
tinuo degli eletti, pensiero di beatitudine; e
queUo di Dante, deUe cose testé dettegU da
lei; però dice cìie quello spirito beato si go-
deva del suo pensiero, mentr* egli gustava il
suo ch'era a un tempo dolce e acerbo per le
cose udite, parte amiche, e parte nemiche ».
— Tsrbo: pensiero, concetto (cfr. Tomm.
d'Aqu., Sumnu P. I, qu. zzxit, art 1 : eprimo
et principaliter interior mentis oonooptus twr-
bum dioitur »). Oosi intesero rettamente la più
parte dei commentatori, dall'Ott allo Scart. ;
ma già il Buti, pur conoscendo questa sposi-
sione, n' adottò un' altra : « si godeva dentro
da so solamente del suo sermone, godeva della
bella dichiarogione ch'area lìstto a Dante so-
pra li suoi dubbi > , perohó, aggiungeva, € gode
la mente della verità, quando l' à manifesta-
ta > : seguono questa interpretazione Land.,
Veli., Dant, Siano eoo. — 2. specchio eco.
beato spirito luminoso, quasi spoeto del pen-
siero divino. — 8. temyrM^ «oo. tsmpe-
rande, attenuando l'acerbità della profesia di
Oaociaguida, relativa all'esilio e alle altre
mie sventuró, con la dolce promessa delle
buone accoglienze scaligere e dell' immorts-
lità. Le parole detto dal suo antenato in Par,
xvn 70-d2, 124-142 raddolcirono a Dante l'a-
mara impressione di quelle dei vr. 46-69. —
6. Mvta pensier ecc. Non pensare alle ven-
dette dei tuoi nemid, pensa che io sono già,
e tu con me, presso a quei Dio, coi appar-
tiene d'alleggerire ogni torto, punendo i col-
pevoli e rimunerando gì' innocenti. — 6. celai
eco. cfr. DmUeronoin, xzxu 86 : « [Il Signore
ha detto :] A me appartiene di fkr la rendetta
e la retribuzione » ; Paolo, Ep, ai romam xn
19 : e Non fate le vostze vendette, cari miei:
anzi date luogo all'ira: per ciò dta, egli è
scritto, A me la vendetta, io renderò la re-
tribuzione » ; Ep, affli Ebrd x 90 : e Noi oo-
nosciamo colui che ha detto, A me appartiene
la vendetta, io Isrò la retribuzione». — 7.
Io mi rlTolsi eoo. ofr. A0y. v 7. — & ale
i
PARADISO - CANTO XVHI
713
9 negli occhi santi amor, qui l'abbandono;
non perch'io pur del mio parlar difidi,
ma per la mente che non può reddire
12 sopra sé tanto, s'altri non la guidi.
Tanto posa' io di quel punto ridire
che, rimirando lei, lo mio affetto
15 libero fu da ogni altro disire,
fin che il piacere etemo, che diretto
raggiava in Beatrice, del bel viso
18 mi contentaya col secondo aspetto.
Vincendo me col lume d'un sorriso,
ella mi disse : « Volgiti ed ascolta,
21 che non pur nei miei occhi ò paradiso ».
Come si vede qui alcuna volta
l'affetto nella vista, s'ello è tanto
coafòrU ! Beatrice, designata qui oon la stessa
parola ohe Dante osa per Virgilio in ISarg,
m 22, 1x48. — e «naie eoe e quale amore
TBdesd allora sAiTlllaie negli ooohi di Bea-
trice, non lo dirò qni. ~ 10. bob pereh'lo
eoo. non solaniente perché io creda insaffi-
dente a dò la mia parola, ma anche perché
la mia memoria non pad, tensa l' alato di ana
spedai grazia, ritornare sopra sé stessa tanto
quanto bisogna per rappresentarsi qoellMnef-
Isbile amore. — U. reddlrt i dal lat. rsdtrv,
di coi conserva il senso (cfr. nddiati in Ar.
n 105, per analogia oon r$dden). — 18.
Tanto eoe DI qoel momento io non posso
ridire se non qnesto, che, contemplando Bea-
trioe, il mio animo ta libero da ogni altro
desiderio, per tatto qad tempo oh» U piacer»
damo della laoe divina, òhe direttamente rag-
giava nella mia donna, oontinaò a sodi8£armi,
apparendo a me riflesso nei belli ooohi di Bea-
trice. La laoe divina raggiava nella donna e
dagli ooohi di lei si rifletteva a Dante, il quale
perdo a quella contemplazione dell'eterno
piacere dimentiod Oaodaguida e ogni terreno
pensiero: il senso è cihiarissimo, ma V hanno
ingarbugliato gli editori mettendo un punto
dopo il V. 16 e una virgola dopo il v. 18;
interpandone manifestamente erronea. — 16.
da OfBl eoa da tatti i sentimenti, ohe in
me avevano svegliati le parole di Caooiaguida,
quelli per cui io andava Umprando col dolo»
Vaombo, — 17. del M ecc. mi contentava
iW ateondo aapetto del bel viaot oon ciò oh' io
vedeva riflesso a me dallo sguardo di Bea-
trice; il bel Vito non ò il volto, ma gli ooefU
ÈonUi dai quali procedeva a Dante indiretta-
mente {teeondo atpeUo) la luce divina, il pio-
cere eltmo. — 19. TlBCeado ecc. Beatrice,
vincendo me oon lo splendore d' un sorriso,
e distogliendomi (spiega il Lomb.) da qud
beato assorlymento », mi disse di voltarmi ad
ascoltare ancora Oaodaguida. Molti editori
ooUegano il v. 19 od precedenti, ponendo vir-
gola dopo atptUo e punto dopo torrito; ma
cod osserva a ragione il Bianchi, e s' imbro-
glia e e' oscura maggiormente il senso e la
dntasd ». Non solo, ma anche d tk dire a
Dante cosa poco sensata, perché se dò ohe
lo eotUerUava era la luce riflessa dag^ occhi
di Beatrice, come avrebbe potato aggiungere
che lo vinceva un sorriso ? Invece, descritta
nei w. 18-18 la dolce contempladone del-
retemo piacere nello sguardo della sua donna,
sta bene ohe d continui dicendo che dia per
mezzo di un sorriso o delle pardo soggiunte
distolse Dante da tale contempladone e lo
rivolse novamente a Oaodaguida. — 20. Vol-
giti ecc. Volgiti a Oaodaguida ed ascolta dò
oh' egli ti dirà ; poiché la beatitudine non ò
solamente nella contempladone dei mid oo-
ohi : vuol dire che Dante avrebbe provato
un grande piacere nd vedere lo anime di
Giosuè, di Maccabeo, di Oarlo Magno e degli
dtri propugnatori ddla fede, che Cacciaguida
era per mostrargli ; poiché erano di quelli
spiriti nd quali Dante, buon cristiano, do-
veva esdtard, come già dei savi e degli eroi
dell'antichità (cf^. Inf, iv 119). — 21. para-
diso: dolcezza, beatitudine di paradiso; cod
anche in Par. xv 86. — 22. Come ecc. Oome
negli uomini qudche volta il sentimento d
manifesta negli occhi, se quello ò tanto forte
che l'anima ne sia tutta rapita eoo. Alcuni
interpreti sembra che per vieta abbiano inteso
il sembiante in genere, l'aspetto dell' uomo
(Lana, Ott ecc.); ma che d tratti proprio
degli occhi apparo da questo luogo del dno.
m 8 : e Difflostrad [l'&nima] negli occhi tanto
manifesta che conoscer d pud la sua pre-
sente pasdone, ohi bene la mira. Onde oon
dò sia cosa die sd pasdoni siano propie
dell'anima umana, delle quali Da menùone il
714
DIVINA COMMEDIA
24
27
80
che da lui sia tutta P anima tolta,
cosi nel fiammeggiar del fulgor santo,
a ch'io mi volsi, conobbi la voglia
in lui di ragionarmi ancora alquanto.
Ei cominciò: «In questa quinta soglia
dell'arbore, che vive della cima
e frutta sempre e mai non perde foglia,
spiriti son beati, che giù, prima
che venissero kl del, far di gran voce,
si ch'ogni musa ne sarebbe opima.
Però mira nei comi della croce:
quello ch'io nomerò, li òak l'atto
n
Filosofo nella loa Batorica, doè gnsU, lelo,
mlBOiiooidk, inyidia, amore • Ttigogna, di
nalla di queste paote l'anima estere passio-
nata, ohe alla finestra degli ooohi non regna
la semWania, se per grande virtA dentro non
si òhiode » : efr. anche Aivy. zn 111. Del
resto qoi Dante non & che dare nn nuovo
atteggiamento al concetto, tanto diffuso nei
trovatori e nei nostri primi poeti, degli occhi
messaggieri del onore (cfr. A. Oaspary, La
touola pottiea tioiL, p. 89, e Ventori 262). —
25. eos< eoo. oosi nel fiammeggiare di quel-
l'anima luminosa (cfr. Pur, z 64, zzz62), alla
quale io mi volsi per invito di Beatrice, co-
nobbi n suo desiderio di parlare ancora al-
quanto con me. — 28. Bl eeMlBdè ecc. Oac-
daguida dice che nel quinto delo i^»psiiscono
spiriti beati di uomini ftimosisslml nel mondo
(w. 28-88) e invita Dante a star attento, per-
ché via via oh' ei ne dirà il nome ciascuno
spirito trascorrerà per la croce (w. 84-86) :
cosi il poeta vede le anime luminose di Qio-
sud, Maccabeo, Oario Magno, Orlando, Ou-
glielmo d' Orango, Binoardo, Qoffiredo di Bouil-
lon e Boberto Guiscardo, tutti strenui cam-
pioni della religione. — la questa ecc. In
questo quinto cielo del paradiso, die trae da
Dio la ragione della sua esistenza e acquista
sempre nuove anime senza mai perdome al-
cuna eco. — soglia: cfr. Par, zzzii 13. —
29. dell'arbore ecc. Quesf albero, che trae
i succhi vitali dalla dma e produce sempre
nuovi frutti e mai non perde alcuna fòglia, ò
simbolo del paradiso, nella parte piti alta del
quale, l'Empireo, sta Dio, che diffonde la
sua grazia per i deli sottostanti si che le
nuove anime elette alla beatitudine trovano
inesauribile quel piacere che durerà etema-
mente. Si cfr. per questa forma simbolica dò
che Dante scrìve di altri alberi mislid in
Pi/trg, zzn 180 e segg., xxiv 108 e segg. ,
xzxn 88 e segg. — 81. che gltf ecc. i quali
nd mondo, prima di morire, furono di grandis-
sima fama si ohe dascnno darebbe ricca ma-
teria di canto a qualsiasi poeta. Opportuna-
11 Tomm. : e Qui rinooniriaao
più nomi che Airone o ohe potevano essere
soggetto a poema, Cario Magno, Orlando, Gof-
fredo, Boberto Guiscardo... Non solo per pr»-
sdenza di qud che contenevan di storico le
tradizioni rsooolte in quo' nomi il poeta U
pronunziò» ma perché s* accorgeva esser qneOe
tradizioni veramente di popolo e di naadone,
onde la sua è più testimonianza del preeeote
che vaticinio dell'avvenire; e, in quanto te-
stimonianza, è eziandio vaticinio. Ma i due
nomi, ancora più che quelli di Qoff^r«do e A
Carlo, merìtovoli di poema, sono Giosuè e Mao-
cabeo, principalmente il secondo; ed è ca-
gione più di ddore che di maraviglia il ve-
dere die fira tanti pezzi di poeda, fcM^ •
corti, vtiooi • tordi, torti • diritti^ oosbub Ib «w-
fmxù di' corpi che d muovono per un raggio
in camera buia, uno non ce ne sia oonsacrato
a questo soggetto di dvHe e religiosa gran-
dezza ». Non so quanto oggi potesse piacere
un poema di materia biblica, quale il Tomm.
deddenva; ma certo l'epica grandezza dd
f^tti dd Maooabd non isKiggi ai poeti me-
dioevali, e nella forma delle canzoni di gesta
fri pur rilavorata la loro storia (cfr. E. Sten-
gel nella JBip. di fU. romanza, voL n, ^.
82-90 e G. Paris ndla Bomama^ voL TV, p.
498). — 88. ogni musa : ogni poeta (cfr. P&r,
zv 26), 0 r ispirazione e l'arte d'ogni poeta.
— 84. Però ecc. Perdo, se vud conoscere
questi spiriti ftunod, guarda alle loaccia
della croce (cfr. Bir, zrv 109) : ogni anima,
di cui io dirò il nome, trascorrerà da un capo
all'altro per la Usta radiai {Pttr, zv 23), oon
lo vdodtà del baleno per mezzo alla nube.
— 86. li farà ecc. Ant : « Il frioco veloce
di una nube, incognito ndla sua natora a^li
antichi, òunasoaricao sdntQlazbne dettrioa ;
il quale non sempre passa da nube anube per
generare qud che didamo folgore o saetta
ma nella nuvola stessa limane, e a un tratto
la illumina. Questa imagine concorre ooQ'al-
tra assai somigliante. Par, zv 24: cks jnstm
fìu)eo diatro ad oioòosfro, a indicare die in
PARADISO - CANTO XVIII
715
86 che fa in nube il suo foco veloce ».
Io vidi per la croce un lume tratto
dal nomar Giosuè, com'ei si feo,
89 né mi fu noto il dir prima che il fatto ;
ed al nome dell'alto Maccabeo
vidi moversi un altro roteando,
42 e letizia era ferza del paleo.
Cosi per Carlo Magno e per Orlando,
due ne segui lo mio attento sguardo,
45 com'occliio segue suo falcon volando.
Poscia trasse Guglielmo e Einoardo
Marte le beate lad non ayevano parrenza
distinta, ma sL mostravano incorporate nelle
splendenti liite della grande orooe, in coi vi-
dea dal poeta lampeggiare Cristo ». — 86. ehe
fa eoo. E nn altro accenno al fenomeno dei
baleni estivi, da riawicinare a qnello del
I\trg. V 89. — 87. Io vidi eco. Appena fa
pronunziato da Cacciagnida il nome di Giosuè
(eom* ei si foo\ io vidi nn lame per la croce,
mosso appunto dal nomar Oioauè^ dall' esse-
re stato detto il suo nome ; e fa cosi pronto
il movimento d» per me fa nello stesso
istante in coi eim stato detto il nome. ~ 38.
6io8nè: Giosoò, figlio di Non, saccessore di
Kosò nel regno d' Israele ( seo. xvi a C. ),
pieee Gerico (cfr. Purg, xx 109, Par. ix 121)
e oon una sangainosa guerra di esterminio
oonquistò le terre degli Amorrei e dei Ca-
nanei, sulle rive del Giordano: le sue im-
prese sono narrate nel libro biblico che porta
il suo nome. — 40. ed al nome ecc. L'altra
anima che si mosse per la croce volgendosi
in giro fa quella di Giuda Maccabeo (morto
nel IGO a C), figlio di Alatatia, il quale in-
sieme oon quattro fratelli combatto felice-
mente oon r aiuto del Signore contro Antioco
Epilane re di Siria (175-163 a C.) e liberò il
popolo ebreo dalla tirannide di lui: i suoi
fatti sono narrati nei due libii biblici dei
Maeeaibri, che Dante ricorda in Inf. xix 85-
86. — 41. roteando : « partendosi dal luogo
sno e fare come uno giro, tornando al luogo
suo di prima » ; cosi il Buti : ma forse Dante
voUe dire ohe nel passare dall'uno all'altro
corno della croce il lume avanzava moven-
dosi anche intomo a sé stesso, con doppio
movimento, di traslazione e di rotazione. —
42. e letlziu ecc. la letizia di quell' anima
era il motivo del suo roteare, come la cordi-
oella o sferza ò quella che imprime al palèo
il suo movimento rotatorio : il palòo ò una
specie di trottola, n volubile bttxum di Virg.,
JEn. vn 882, che i fanciulli fanno girare su
sé stessa, imprimendole il moto con una fu-
nicella fermata a una verga, a guisa di ferxa
(cfir. Jnf, xviu 36). — 43. Carlo Magno: fi-
glio di Pipino, nacque nel 742, fu incoronato
re di Nenstila e d' Aqnltania nel 768, dei Fran-
chi nel 771, dei Lombardi nei 774; restaurò
r impero ooddentale, prendendo la corona in
Boma nel giorno di Natale dell' 800, e mori
néll'814: ta grande propugnatore della reli-
gione cristiana e della Chiesa (of^. Par. vi
96) e combatté lungamente e felicemente 1
nemici del nome cristiano; onde poi diventò
il centro delle leggende eroiche medioevali,
che diedero materia ai poemi firanoesi e ita-
liani : cfr. G. Paris, Hiatoiré poétique do Char^
lomoffnoy Parigi, 1866. — OrlSBdo: storica-
mente ò quel Rolando (Hruodlandua, britanr
mei lìnUtis praefeetuo)^ che Eginardo ricorda
tra i morti nella battaglia di BoncisvaUe, 15
agosto 778; secondo la leggenda, fu nipote
di Otflo Magno e il più valoroso dei suoi pa-
ladini, e come tale fu n^presentato nel poemi
medioevali, ove appare come il pid grande
degli eroi cristiani, morti combattendo per la
fede: ob. L. Gautier, Lea ^aopées fran^iaeo^
cit, voi. m, pp. 493-625. — 45. eom'oeehio
ecc. con quella stessa inazione con la quale
l'occhio dol falconiere segue il falcone che
vola. — Telando: gerundio in funzione di
participio; c£r. Inf. xxxi 14. —46. Clngllel-
mo : storicamente ò Guglielmo duca d'Orango,
morto monaco a Gellone nell'812; nella leg-
genda francese egli appare come figlio di Ame-
rigo di Karbona ed ò centro di una serie di
poemi, che costituiscono la cosi detta géaia
di Ovglielmo e si riferisoono alle lotte di que-
sto valoroso principe contro i Saraceni ; cfr.
Bollandisti, Aeta aarustomm ifau, voi. VI, pp.
798-800; P. Paris nell'flW. Uttir. dolaFranco,
voi. XXII, pp. 435-551; L. Gautier, op. cit.,
IV 276-30S; C. Nyrop, Storta doW epopea
frane nel medioevo^ pp. 124 e segg. — Ki-
■oardo: ò Bainouart, figlio di D^esramó re
moro, venduto schiavo ai firanc^ e divenuto
un valoroso campione, ai servigi di Guglielmo
d' Orango; si che fu armato cavaliere e sposò
Aelis nipote di Guglielmo, e fini poi la sua
vita in un convento : le sue gosta sono rac-
contate in parecchi poemi medioevali fran-
cesi, che Dante potò conoscere : cf^. Gautier,
op. cit, voi. IV, pp. 4G5-5Ó5 ; P. Paris, nel-
716
DIVINA COMMEDU
^^
e il duca Gottifredi la mia vista,
48 per quella croce, e Roberto Guiscardo.
Indi, tra l'altre luci mota e mista,
mostrommi l'alma die m'ayea parlato,
51 qual era tra i cantor del cielo artista.
Io mi rìvolsi dal mio destro lato
per vedere in Beatrice il mio dovere,
hi 0 per parole o per atto segnato;
e vidi le sue luci tanto mere,
tanto gioconde, che la sua sembianza
67 vinceva gli altri e l'ultimo solere.
E come, per sentir più dilettanza,
bene operando l*uom di giorno in giorno
60 s'accorge che la sua virtute avanza;
si m'accors'io che il mio girare intomo
col cielo insieme avea cresciuto l'arco,
68 veggendo quel miracol più adorno.
E quale è il trasmutare in picciol varco
VHitlor, UUér,, yoL XXII, 638-549. — 47.
11 d«e» Gottifredi: Ooffi-edo di BoviUon,
nato noi 1058, combatta por 1* imporo nolla
lotta delle inyestitiiio e fa fatto duca di Lo-
rena da Arrigo IV noi 1069; comandò la prima
orooiata e mori re di GeniBalemme nd 1100 :
anche Qofftedo prima ohe ai Tasso, ta argo-
mento di poemi epid al troTOii firanoeei del
medioevo; of^. J. B. d* EzanTìllez, Hid, de
ChtUfiroff de Bouilh% Toors 1862; har. de
Hodi, Cfodtfiroi d$ Bou, ette» roit tatìm de J^
nuaì&m^ Toomai 1869; Nyrop, op. oit., pp.
214 e segg. — 48. Boberto Gnlseardo : uno
dei figli di Tancredi d' Hauteville, nacque nel
1016, raggiunse in Italia i frateUi nel 1047,
tu creato nel 1058 daca di Paglia e di Cala-
bria, e liberò il paese dai Saraceni ; combatto
felicemente contro Aleeiio Comneno impera-
tore di Bisanzio e contro Arrigo IV impera-
tore di Germania in difesa dei saoi stati e
della Chiesa; mori nel 1085. 1 fiitti di Boberto
furono cantati in un poema latino da Ga-
gliolmo di Paglia, suo contemporaneo {Qevta
Roberti Witeardi in Mar., Eer, UaL aeripl.,
voi. V). — 49. Indi ecc. Poi Panimadi Cao-
cisgoida, ritornando e rioongiaDgendosi alle
altre nella croce, riprese a cantare con esse,
e cosi mi fece conosceie quale ariiata era tra
ioantareelesHj come egli fosse eccellente ar-
tista in mezzo a quei colesti cantori. Bati :
e ancora si potrebbe intendere in ohe ordine
era messer Caociagoida, terzo avo di Dante,
che fa fatto cavalieri per lo imperadore Cor-
rado e mori nella battaglia fstta centra V in-
fedeli che erano in Calavria > : cfr. Par. zv
139. — 58. per vedere eco. per vedere se
Beatrice mi esprimeva con parole o con cenni
ciò oh' io doveva fiure. — 66. e vlél ecc. e
vidi i suoi occhi cosi lietamente scintillanti
che l'aspetto era piti bello ohe non fbese ststo
le altre volte e anche l'nltima, quando la
contemplai pximamente nel dolo di Marte. —
■lere : pure, chiare; detto degli occhi esprime
a meraviglia la serenità luminosa dello aguardo
(cfir. Fttr. ZI 18). — 67. vincerà eco. il vb.
eolere ò usato sostantivamente, per sigiìificsre
l'aspetto solito; tatto il verso dunque slgni-
flca: vinceva gli aspetti soliti di Boatadoe
(quelli descritti in Btr, n 28, v 94 e segg.,
vm 16, ziv 79 e segg.) e anche l' ultimo e
più meraviglioso che lo avevo veduto nel
quinto cielo (cfr. Air. zv 84-86). » 68. I
eeme ecc. « Dante vedendo piti adamo, ri-
splendente, il mamviglioso volto di Beatrice,
s'accorge ohe il suo girare insieme od cielo
aveva cresciuto V areo^ acquistata pi6 larga cir-
oonferenza, cioò ch'egli s'ora slevato mag-
giormente; come l'amore della virtti produce
il diletto, e l'accrescimento del diletto è prova
di aumentata virtù > : cosi U Venturi 2S9, il
qusle anche nota la rispondenza di concetto
al luogo del Par, zxzm 91-98. — yer ses-
tlr ecc. per l'aocrescimento del diletto, del
piacere morale. ~ 61. che 11 mio eoo. che
io giravo in un cielo piti ampio del pieoe-
dento, perché da Marte ora salito a Giove.
— 68. veggendo ecc. vedendo Beatrice pid
risplendente; ofi:. della sua donna noUa F. N.
ZZI 19 : e Quel eh' ella par quand' un poco
sorride, Non si può diro né tenere a mente,
Si ò novo miracolo e gentile > : e «wraeojo è
pur dette Beatrice nella F. ^. ziz 62, zsiz
80, e nel Oorw, ni 7. — 64. E qmale ecc. E
come in brove spazio di tempo vediamo sooai-
PARADISO - CANTO XVm
717
di tempo in bianoa donna, quando il volto
66 suo ri dÌBoarca di vergogna il carco ;
tal fa negli occhi mieif quando fai volto,
per lo oandor della temprata stella
69 sesta, ohe dentro a sé m'avea ricolto.
Io vidi in quella giovial &cella
lo sfieivillar dell'amor ohe li era,
72 segnare agli occhi miei nostra favella.
E come augelli surti di riviera,
quari congratulando a lor pasture,
75 fanno di "sé or tonda or lunga schiera,
si dentro ai lumi sante creature
volitando cantavano, e £Euuenri
78 or di, or I, or èUe in sue figure.
Prima cantando a sua nota moviensi;
poi diventando Pan di questi segni,
81 un poco s'arrestavano e taciensi.
0 diva Pegasea, che gl'ingegni
parìre U nmon dal tìso d'una donna preea
da impioTTlia Toigogna • ritornare il bianco
oolor» natoiale, ood appena mi ftai volto a
Beatrloe mi trorai non più nel lOMeggiante
delo di ICarte, ma nel bianoo oielo di Qiore.
« Similitadine va^ e ingegnosa ; ma nella
quale alonni fooni non lendon fone piena
oorrispondenfa all'imaglne», oMerra il Yen-
tori 474, eoi fone ipiaoqnoro gli eqnirooi del
T. 66; egli ateeso poi nota la rimembranza
dei bellissimi Tersi d'Ovidio, ove parla di A-
raooe al cospetto di Minerva {MtL vi 46) :
« Erabnit, snbitosqiie invita notavit Ora ra-
bor, rarsosqne evannit; nt solet aer Pnrpa-
rena fieri, oom primom aurora movetor. Et
breve post tempns candesoere solis ab orta >.
— 66. al disearea eoo. si efr. Inf. i 86. —
68. per lo eandor eoo. per il biancheggiare
del sesto pianeta, Giove, nel quale mi trovai
» nn tratto salito dal rosseggiante Marte (c&.
Btr. XIV 87). — (MiprftU sUlla sesta: ofr.
Cotm, n 14: « Oiove ò stella di (impartita oom-
pleesione, in mezzo della freddora di Saturno
e del calore di Marte [cfr. Par. xxn 146] ;...
intr» tntte le stelle bianoa si mostra, quasi
argentata ». — 70. Io vidi eoe. Nel delo di
Giove appariscono a Dante le anime beate di
coloro die in terra amministrarono diritta-
mente la giustizia: queste anime, luminose
oome tutti 1 beati, si dispongono dapprima in
modo da formare, una dopo l'altra, lo lettere
di queste parole della SajrierMa (i 1): DiligiU
nutiHam qui iudieotia terram (w. 78-09) ; poi
con rapidi movimenti si ordinano in modo da
formare un'aquila, insegna dell'impero (w.
100-U4). — In qsella eoe neUa stella di Gio-
vo : 0ÌoiriaU è termine astronomico, lat. Jovia-
Uè, per indicare tutto dò ohe appartiene al
pianeta Giove; e significò pd giooondo, Ueto,
per la oredensa ohe l' influsso di tale pianeta
disponesse alla felidtà: o faeeUa ha qui il
senso generioo di astro, come in IStrg, vxu
89. — 7L lo tfaviUar eoo. i beati, che ivi
sfavillavano per l'ardore della carità, disporsi
in modo da formare lettere latine, i segni gra-
fid nella nostra lingua. — 78. K eomo eoo.
Venturi 442 : « Nella beUa similitudine si noti
proprietà di corrispondenze. Come ausili
mirti di riviera^ doè saziato il desio della sete,
cosi quelli spiriti erano dlBsetati nd fonte
dell'eterne delizie : e come augelli eofigroàU"
tondo a hr pagtitr», doò facenti festa del pa-
sto trovato, cosi i beati godevano del rinve-
nuto miodo di palesare il loro giocondo affetto,
quad dbo per esd di vita celeste ». — 74.
eongratalaBdo eoo. cantando per far festa
tutti indeme della pastura che hanno presa.
— 75. fanno ecc. d ordinano In cerchio o
in altri diiferenti raggruppamenti : la tnao
fixrdi $éf a propodto dd dispord degli uo-
celli, è anche in Inf. v 46. — 77. e faeiensl
eco. e d disponevano in modo da formare
delle lettere, prima figurando un d, poi un t,
e poi un i. — 79. Frisia eoo. Volta per volta
ohe dovevano formare una lettera queste ani-
me cantando d movevano secondo la nota del
canto, doò Csoevano un giro di danza rogo-
landod secondo l tempi dd canto (cfr. J^tr.
X 76) : poi quando s' erano disposte ndla forma
della lettera d fermavano e tacevano por un
breve tempo, per dar agio a Dante di veder
la lettera e riconnettarla con le precedenti.
— 82. 0 diva eoo. 0 musa, ohe ftd gloriod
gì' ingegni e li rendi immortali (ofr. Pmrg. xzi
718
DITINÀ COMMEDU
fai gloriosi, e rendili longevi,
84 ed essi teco le cittadi e i regni,
illastrami di te, si ch'io rilevi
le lor figure com' io l' lio ooncette :
87 paia tua possa in questi versi brevi.
Mostrarsi dunque in cinque volte sette
vocali e consonanti; ed io notai
90 le parti si come mi parver dette.
DUigite iìistiiiam, primai
fÙT verbo e nome di tutto il dipinto;
93 qui iudiaxtis terram^ £^ sozzai.
Poscia nell'emme del vocabol quinto
rimasero ordinate, si che Giove
96 pareva argento li d'oro distinto;
e vidi scendere altre luci dove
era il colmo dell'emme, e li quotarsi
85), mentre essi per tua inspirazione eternano
nei loro carmi le città e i regni eoe. Qnale
delle nove dee Dante intendesse inyooare non
è chiaro; pegasea easendo nome generico di
oiasoona delle moie, ednoatrioi del cavallo
Pegaso (ofr. Ovidio, Efroid, xw 27 ; Proper*
xio in 1, 19) : la maggior parte dei oommen-
tatcri credono ohe egli accenni OalUope, paiv
tioolarmente invocata anche in Airy. i 9. —
86. lllsBtraMl eco. inspirami con la toa po-
tenza ■( ch'io possa rappresentare le figure
formate da qnoUe anime, come le ho nella
mente: la toa potenza si dimostri in qìiedi
versi brevi, « in questi miei ternari (chiosa il
Bati), che sono brevi versetti >. Perché Dante
faccia qoi una particolare invocazione alla
nrasa non appare : certo la materia eh' egli
è per descrìvere non importa gravi e straor-
dinarie difiScoltà, come quella d' altri luoghi
ove ei fa consimili raccomandazioni (ofr. Inf,
xxxn 10 e segg., Purg, xxcc 87 e segg.); U
Biag. fa in proposito questa osservazione:
« L'anima del poeta rialzasi per forte ima-
ginare a queUe meraviglie vedute quivi ; ma
sente che non ha lingua capace di poterle
ritrarre. Però invoca la più possente dello
Muse, e con versi ohe già lo dimostrano del
sacro suo ftioco ridondante ». — 67. brevi:
più che la breve misura, credo accennata
con questo aggettivo l' insuf&cienza del verso
italiano al confh}nto del latino più comprMi-
sivo e significativo ; brw$ sembra usato nello
stesso senso di Morso (ctr. Par, vn 118, xv
78 ecc.). — 88. Mostrarti eoo. Quelle anime
prendendo direno ordinammito per trenta-
cinque voKe apparvero in figura or di vocali,
or di consonanti ; ed io andai via via notando
le lettere, le sillabe, le paiole, secondo che
mi parevano espresse da quelle figurazioni.
— 91. DiUgltt eoo. Neil' insieme di quelle
figurazioni prime parole che apparvero fti-
reno un verbo e un nome : dUigiU iutHHmH,
— prlmal: formati dalle lettere che prima
si mostrarono. — 93. f«l eoo. le vltiiae pa-
role che apparvero fìirono qtd ituHeatit imrtm.
— leszai s ultimi; l'agg. ««Ksaio, da mxMiOy è
firequente negli antlchL — 94. PoseU eco. Da
ultimo tutte quelle anime rimiiwm lisnne e
ordinate nell'siMiM dell'ultima pazolA (itmm)
b( ohe la bianca stella di Giove in quél pasto
ov' erano le anime luminose pareva argento
intarsiato d'oro. Secondo il Bnti gli qnrìti
che si fermarono nella figura deU'sifims e enmo
li minori officiali e le persone singulari e pri-
vate che erano valute nel mondo neUi atti e
nell'amore della iustizia ». — 97. o vidi eoo.
e vidi scendere altre anime luminose, le quali
si fermarono dommrmilvotmodett^tmimé, can-
tando le lodi di Dio ohe le muove • ai, cioè
alla pratica della giustizia. Questi altri spi-
riti, disossi dall' empireo, sono, secondo il
Buti, e li regi e l' imperatori del mondo, ohe
sono stati nel mondo sopra li altri e gover-
natoli oc' la iustitia ». — dove eco. Dante
imaginava ooteste lettere, figurate dai rag-
gruppamenti di spiriti, secondo la scrittura
epigràfica che usava al suo tempo, càoò di
maiuscolo gotico : raiwm adunque era fktto
con un'asta verticale, dalla cui dm* parti-
vano due curve semioiroolari rientranti ; e ia
cotesta cima vennero a fermarsi le anime di-
scese dall'empireo, disponendosi in modo da
formare un giglio (v. 112): poi altre anime
formarono il oollo e il m^ d' un' aquila, di
oui il corpo era rappresentato dall' asta me>
diana dell'MMas e le ali dalle due curve la-
terali. Questi versi sono stati chiariti assai
bene, con figure tratte dalla scrittura e dsl
disegno del secolo xm, da M. Oaetani, fVs
ehkme mila Div. Oomm., 2» ed., Bona, ISTG»
PABADI80 — CANTO XVHI
719
99 cantando, credo, il ben oh' a sé le move.
Poi, come nel percoter dei oiocohi arsi
sorgono innumerabili £ftYÌlle,
102 onde gli stolti sogliono augurarsi,
risurger parve quindi più di mille
luci, e salir quali assai e quai poco,
105 si come il sol, che l'accende, sortille;
e quietata ciascuna in suo loco,
la testa e il collo d'un' aquila vidi
106 rappresentare a quel distinto foco.
Quei che dipinge li non ha chi il guidi,
ma esso guida, e da lui si rammenta
111 quella virtù eh' è forma per li nidi.
L'altra beatìtudo, che contenta
pareva in prima d'ingigliarsi all'emme,
pp. 69-67 (on negli Opuae, danL n.* 11). —
100. eo«e Bel eoo. oome ayriene alloiqiuuido
ri perouote in nn ceppo ano dal ltu>oo, che
si levano innnmereroli faville, dalle quali
gli stolti iogliono trarre angmi eoe ^ cioc-
chi: sono i ceppi o legni da ardere; la voce
oiooeo è rimasta in questo senso n^ dialetto
toscano delle campagne. — arti: Venturi
76 : e me^o ohe accesi o ordcnH^ perché e-
sprime consumati già in gran paite dal fao-
00, <mde sprigionano, percossi, maggior co-
pia di flsTiUe >. — 102. oaée ecc. Allnde a
nn'osanza sapersttziosa, molto comune nei
tempi antichi, né del tutto scomparsa; la
quale è descritta dal Lana: e Molte volte i
striti stando apresso il ftiooo fregano su Tarso
de' dooofai, per la quale firicazione molte tBr
ville appamo, ed eUi s*agurano dicendo: co-
tanti OffncUi, cotonM pcnéUiy cotcutiU migliora
ài fkHni d*oro\ o cosi passano tempo*, e
dall' Ott.: «come quando l'uomo percuote
uno tinone di ftiooo arso, e quindi ri escono
molte Caville, onde gli sciocchi si sogliono
augurare, cioè dire: cotante oaateUa o cote
0 eiUadi aicntf io quamle fwoiUc vaàinmno di
qucalo iix%om arto ; e questo dicono ansi che
il percuotano ; pc^, secondo che n' escono, di-
oono : ossili o poche ne amroi amdc ». — 106.
rlf«rf«r ecc. parve ohe dalla cima deU'Mnms
risorgessero phi di mille anime luminose e
salissero quaU piti, quali meno, secondo che
dio loro in sorte Iddio, quel sole che le ao-
oende d'amore per la giustizia. — 106. 11 sol
eco. efir. Purg. vn 26. — sortille: il vh.
sofMrs, oltre il senso di avere in sorto (Bir.
zxzii 84) o di sorteggiare inf, xiz 96), ha
più ftequentemente in Dante quello di dare
in socte, destinare (Inf, xn 76, Pttr, iv 87,
xi 109 eoe). ~ 106. e «oletata eco. o quando
ciascuna si fa fermata al suo poeto, vidi che
qnd ditUvUo foeOf il complesso fulgidissimo di
quelle anime rappresentava la testa e il collo
di un'aquila. — 106. distinto foco: perché
il ftilgore delle anime si distingueva netta-
mente dalla bianca luce di (Hove. — 109.
({nel che dipinge ecc. Dio, che nel pianeta
di Giove raffigurò quest'aquila, non ha biso-
gno di esemplare, non segue le forme della
natura; perché anzi guida gli altri, e & na-
tura stessa riconosce da lui ogni virtà crea-
tiva : si efir. con dò che della natura e del-
l'arte Dante dice in Jn/l xi 99 e segg. — 111.
«nella ecc. quella virtù creativa che d essen-
za degli esseri generanti. La frase per tt nidi
appare oscura sgli interpreti, i quali spiegano
questo verso nelle maniere più disparate : la
difficoltà è nata, secondo me, daU'aver inteso
fama per conformazione, figura, mentre se
si intenda nel solito senso dantesco e iiloso-
flco di essenza, natura ecc. sarà facile co-
gliere il significato della frase per 1» nidi, poi-
ché è appunto nei nidi che gli animali, ra-
gionevoli o no, e^licano la virtù creativa.
La comune interpretazione, esposta dal Bian-
chi cosi : « da Dio medesimo si pone in mente,
s'inspira agli uccelli quella virtù ond'easi
dan forma ai loro nidi », altera stranamente -
H pensiero del poeta o sforza le parole a si-
gnificazi(mi non vere : come mai virtà oh' i
farma'pjiò-nl«nvirt& che dà forma? Minore
sarebbe, in caso, la spiegadone del Tornea:
« La virtù operando su gli dementi, dà vita,
tra le dtie creature, anche a^ uccelli; per
entro i nidi, ne' nidi, assume forme di uo-
cdli »; ma anche questa è un po' forzata,
né riandò al linguaggio dantesco. — 112.
L'altra eoo. Le dtre anime beate, che prima
erano venute a posard sul colmo ddl'smms
(v. 97) formando come un giglio, con poco
movimento compierono la forma dell'aquila.
— 118. Ingigliarsi : formare sall'ammd una
punta, d che assumesse la figura del giglio,
720
DIVINA COMMEDIA
114 con poco moto seguitò la impronta.
0 dolce stella, quali e quante gemme
mi dimostrare che nostra giustina
117 effetto sia del del che tu ingemme!
per ch'io prego la mente, in che s' inizia
tuo moto e tua virtute, che rimiri
120 ond'esce il fummo che il tuo raggio vizia;
si eh' un' altra fiata omai s' adiri
del comperare e vender dentro al tempio,
123 che si murò di segni e di martiri.
0 milizia del ciel, cu' io contemplo,
adora per color che sono in terra
126 tutti sviati retro al malo esemplo.
Già si solea con le spade far guerra;
ma or si fa togliendo, or qui, or quivi,
129 lo pan che il pio padre a nessun serra:
ma tu, che sol per cancellare scrivi,
pensa che Pietro e Paolo, che morirò
132 per la vigna che guasti, ancor son vivi.
Ben puoi tu dire : € l' ho fermo il disiro
si a colui, che volle viver solo
qoale si dipIngeTa ragli stemmi medierali.
— 114. IwpreBto: impronta, figura (ofr. Ptur,
yn 69). — Xlb, 0 dolM eoo. 0 doloe stella
di Qioye, quali e quante anime laminose mi
dimostrarono oon le parole DUigiU eoo. e oon
le flgnie del giglio e dell'aquila ohe la giu-
stizia del mondo ò un effetto del oielo che tu
adorni I — 118. per eh' lo eco. per la qual
cosa io prego Dio, che ti muove e ti dà yirtd
d' influire sugli uomini^ ohe riguardi da qual
luogo esce il vizio che guasta il tuo influsso
di giustizia. — U mente eco. cfr. Par. xsc 54,
xxvn 110-111. — 120. ond'esce eco. la corte
di Boma, la quale ò prima cagione della pre-
sente corruzione morale e dvile, die spegne
la giustizia, fondamento del retto Tlrere : cCr.
Inf. nx 105, Purg. xvi 97 e segg. — 121.
ni ohe eoo. afilnohó, come già s'adirò contro
coloro che fìaceyano mercato nel tempio di
Qerusalemme (cfr. Matteo xzi 12 e segg. ;
Marco zi 15 e segg. ; Luca zix 45 e segg. ;
Qioranni n 14 e segg.), s* adiri un'altra volta
del comprare e del vendere che si fa nella
Chiesa cristiana, fondata coi miracoli e ooi
martirL — 123. sogni : prodigi, portenti,
cioò i miracoli di Qeefl Cristo. — 124. 0 Mi-
lizia eco. 0 anime beate di questo cielo, pre-
gate per coloro che sono in terra, sviati tutti
dietro al cattivo esempio dato dal paalor che
precedo (Purg. xvi 98). — 126. tutti eoe ofr.
anche Purg. vin 131. — 128. or si fa eoo.
adesso si fa per mezzo dì scomuniche e in-
ter^tti, che impediscono ai cristiani gli oC>
fiet e le pratiche religiooo, quella grazia che
Dio non nega al alcuno. •> or qnl oco. ora
in un luogo, ora in un aitato. — ISO. t«, cke
eoo. Allude, non agli eodesiastid in oomplesw
(ood Lana, Ott, Pietro di Danto, Bonv.,
Buti, Land., VolL eoe.) né al papa in genen
(ood Case., Dan., Bianchi, Andr. eoe), o né
pure a Bonifszio Vm (come intendono Yont.,
Biag. , Costa, Cee.) o a demento V (ooai Lomb.,
Tomm. e altri) già morti quando Danto scri-
veva questi versi, ma al caorsino Giovanni
XXn, eletto papa nel 1316 e morto noi 1334;
il cui pontlfloato ta tutta una sodo di aoo-
municho e rioomunicazioni a fin di guadagno,
si ohe di lui ben si poteva dire oho aozivosse
solo per cancellare. — 181. penta eko ooo.
pensa che i due apostoU Pietro e Paolo, morti
per la Chiesa che tu struggi, vivono in pa-
radiso e vedono lo opere tuo. — Piotro o
Paolo: si noti in booca al poeta la fonna
normale e latina dei nomi degli apoctoli : la
bocca del papa invoco, il nondgncdo rdlgars
di Pescatore aU' uno, di Pdo all'altro : anti-
ted assai bella, che là vedere la nononranza
del papa per i primi apostoli della Qiioaa. —
133. l' ho fermo eoo. Io ho messo ogni do-
dderio in san Giovanni Battista, impresso sui
fiorini d'oro, di modo dio non oonosoo né san
Pietro né san Paolo. — 184. coivi ooc san
Giovanni Battista, che amò di vivere nd de-
serto (Luca I 80) e fb ucdio per soft», por
PARADISO - CANTO XVm
721
e che per salti fii tratto al martfrOi
186 oh' io non conosco il Pescator né Polo >.
iar la soa testa alla figliuola di Exodiade,
che Tayera cbleeta come premio alla sua
danza fatta innanzi ad Erode (Matteo znr 1-12,
Maico VI 14-28). Qui sta a indicare i fiorini
fiorentini (cfr. h^, zzx 74, Par, ix 13U), i
quali da una parte averano l'impronta del
Battista, cosi descritta da I. Orsini StoHa
déU» monti» delia repubbl. fiormima^ Firenze
1760, p. xn : < L'imagine di s. Qio. Battista ...
in piedi, coperto di reste distesa fino al gi-
nocchio, sa' fianchi legata,... i capelli sparsi
soUe Slmile, in testa il nimbo o sia diadema,
colla destra sta in atto di bsnediia all'uso
greco. Tale a dire conginngendo il dito pol-
lice sii' aorìcolare, Tenendo gli sltri distosi,
con la sinistra tiene una Terga, che termina
in una croce con lettore attorno : 8. Johann
nss B. >. L'amore di Oiovanni XXII per i
fiorini tvL tale che nel 1822 e fece fare in Avi-
gnone una nuova moneto d' oro fatto del peso
e lega e conio del fiorino d'oro di Firenze, se
non che dal lato del giglio diceano le lettere
il nome del papa QioTanni ; la qual cosa gli fu
messa a grande riprensione > (O. Villani, Or,
IX 171). — 186. 11 Psseators san Pietro, cfr.
Airgr. xxn 68. — Fole ; san Paolo apostolo.
CANTO XIX
L* aquila, Tonnata dagli spiriti beati nel cielo di Giove, a cagione di un
inbbio di Dante, ragiona a lungo intomo alla imperscratabilità della gia-
3tìzia diTina, parla della necessità di accompagnare alla fede le azioni buone,
e lamenta le opere tìH e perverse di molti principi cristiani di quel
tempo [14 aprile, ore antimeridiane].
Parea dinanzi a me con l'ali aperte
la bella imago, che nel dolce frui
8 liete facevan l'anime conserte.
Parea ciascuna rubinetto, in cui
raggio di sole ardesse si acceso
6 clie nei miei occhi rifrangesse lui.
E quel che mi oonvien ritrar testeso,
non portò voce mai, né scrisse inchiostro,
9 né fu per fantasia giammai compreso;
TfX 1. Parsa ecc. La bella imagine del-
l'aquila, che era formato dalle anime rag-
gruppato, lieto nel godimento della loro bea-
titudine, mi si mostrava con le ali aperto. -^
2. Image: imagine, forma arcaica, che in
Danto, si trova anche faori di rima (cfr. Purg,
XXV 26, Fttr. u 132, xui 2). — finds lat
frtd, 1* infinito del vb. usato come sostantivo ;
cfir. Tomm. d'Aqu., iSumm., P. I^, qu. xi,
art. 8: cQuod est simjdioiter ultìmum, in
quo aliquis delectotur sicut in ultimo fine,
hoc proprie dioitur fhictus, et eo proprie (U-
eitur aliquis frui ». — 3. lieto t Bntì : « erano
lieto ne la sua beatitudine, che non ò altro
ohe firuere Dio ; la quale cosa ò dolcissima ».
— 4. Parea eco. Ciascuna anima mi si mo-
strava fùlgidissima, come se fosse un rubino
che accogliendo in s6 un vivo raggio di sole
lo riftottooso negli occhi miei. Vsga imagine,
nota il Venturi 146, dichiarato da Danto
Steno, Oorw, m 7 : < Oerti oor||, per molta
Damm
chiarità di diafisno avere in s6 mista, tosto
che '1 Sole gli vede, diventano tanto lumi-
nosi che, per multipUoamento di luce, appena
discernibile è lo loro aspetto, e rendono sgli
altri di sé grande splendore ; si come è l'oro
e alcuna pietra». — 6. lui: il raggio; cosi
rettamento intesero Buti, VelL, Yent. e al-
tri; il Lomb. lo riferisce a sol», seguito in
ciò dall' Ant. che troppo sottilmento com-
mento : « Questo riflessione era tanto accesa,
tanto piena, che non l' imagine del sole, ma
il sole istesso parea ohe rendesse ». — 7. E
quel eco. E ciò ch'io ora debbo riferire (doò
il discorso dell'aquila oelesto) ò cosa tanto
straordinaria che una simile non ta mai detto
né scritto e nò pure imaginato da alcuno. —
tettese; cfir. Purg. xxi 118; ma qui esprìme
momento ptosdnuunento futuro. — 8. uen
portò eco. È il pensiero di san Paolo, Ep. I
ai Cor, u 9 : e Le cose che occhio non ha ve-
duto, ed orecchio non ha adito, e non son
722
DIVINA COMMEDIA
ch'io vidi, ed anche udii parlar lo rostro,
Q sonar nella Tooe ed € io » e € mio »,
quand* era nel concetto € noi > e « nostro ».
E cominciò : € Per esser giusto e pio
son io qui esaltato a quella gloria,
che non si lascia vincere a disio;
ed in terra lasciai la mia memoria
:i
12
16
18
21
24
si fatta che le genti li malvage
commendan lei, ma non seguon la storia ».
Cosi un sol calor di molte hrage
si fa sentir, come di molti amori
usciva solo un suon di quella image;
ond' io appresso : € 0 perpetui fiori
dell'eterna letizia, che pur uno
parer mi fate tutti i vostri odori,
solvetemi, spirando, il gran digiuno
■ialite in onor d'uomo, son quelle che Iddio
ha prepaiate a qaeUi che ramano >. — 10.
€k* io WÌ4Ì eoe. ridi ed adii pariar l'aquila,
con yooe che, lebbene foste di tatte le anime
(cu*. 20) e di tutte esprìmeese il pensiero (t¥ìi
• no8liro)i eia « solo un suono > (▼. 21) e par-
lava in singolare (io • mio). — lìàì ed nnehe
eco. ofir. ApoooL vm 18 : e Ed io riguardai,
ed udii un'aquila Telante in meno del olelo,
che diceva con gran voce eoo. ». — restro t
il béooo dell'aquila, che si apriva a parlare.
— 13. E eomlnelò ecc. L'aquila dapprima
dice la condizione delle anime beate, end' è
formata, e fugacemente deplora che l'esempio
di quei gloriosi non sia seguito nel mondo:
oosi sino dalle sue prime parole ò enunciato
ciò ohe sarà materia del pi 6 ampio discorso
che farà poco dopo a Dante sulla imperscru-
tabile giustizia divina (w. 84-99) e sulla per-
versità dei principi cristiani (w. 116-148). ~
Per esser eco. Ho meritato questo grado di
celeste beatitudine per le mie opere di giu-
stizia e di misericordia. — 14. fn«Ua gloria
eoo. la gloria del paradiso. Questo ò il con*
cotto, espresso con una perlfh»i che ha dato
molto da fare agli interpreti : i pi4, dal Lana,
Buti, Land. eoo. al Tomm., Bianchi, Andr.,
spiegando vkicen per superare, intendono:
gloria ohe è superiora ad ogni umano desi-
derio ; altri inveoe, aooogliendo l'opinione del
Peiazdni, In Danti» Oom. wmd. et aénotat.,
cit p. 166, spiegano vinetn per goadagnare,
conseguire, e intendono : gloria ohe non si
può oonsegmire eoi solo desideiio, ohe deve
essere oonseguita per opere meritorie. Questa
seconda interpretazione pare anehe a me la
pi6 giusta, sia por la sua corrispondenza alle
paiole evangeliche (Matteo vn 21): «Non
chiunque mi dioe. Signore, Signore, entreià
nel regno dei deli; ma ohi fa la volontà del
Padre mio » (cfr. Luca xin 26), sia perché
questo concetto è poi svolto nel seguito del
disoQuo (TV. 106 e segg.), di cui questi veni
sono come la propoaizione. — 16. eé la tarra
ecc. e lasciai di me in tema oca! baona me-
moria, che i malvagi pur commendandola non
seguono il mio esempio^ — 17. lo gesti ecc.
gli uomini ohe in terra operano male, e ^e-
oialmento i principi, « che son molti, o 1 buon
son rari > (Ar. xm 106). — 18. eevunondaa
eco. Dan. : < È questo luogo simile a quello
di Lucano [J^lirt. i 166], ohe dico: /bseunda
viromoi Ampwiot fiigiànr, iotoqm aroestibtr
orb9\ et il Petrarca [cans. l 2S] : SèmSH a
qwUe ghiande L$ quai fìsffgmdo iMtte il momio
onora ». — la otorln: l'esempio dello opere
mie, narrato dalla storia ad ammaestramento
di tutti gli uomini. — 19. Gosf ooo. Da
molti carboni accesi viene un solo calore :
nello stasso modo da quell'aquila formata di
molte anime ardenti di divino amoro aodva
una vooo unica. -^ 22. ond* lo eco. Dante,
bene intendendo che quelle animo beato orano
disposto a compiacerlo, lo prega di scioglier»
gli un dubbio, die da molto tempo era rima-
sto Inesplicabile nella sua mente: ma non
manifesta allo anime questo dubbio, cho quelle
conosoono in Dio e che esse stesso enun-
ciano nella loro risposta (w. 70-78). — 0
perpetnl ecc. 0 anime perpetuamente gio-
condo per l'etenia beatitudine, le quali mi
parlato in modo cho tutte le Tostro Tod si
raccolgono in una sola, mi suonano come una
voo$ 9ota {Inf, xt 92). — 24. 1 Tottrl oéorl:
le Tostro Tod; ood lo ohiama il poeta per
non usdr dalla presa metafora dd Hori. —
26. solreleMl ecc. oon lo Tostre parole sdo>
glietemi un gran dubbio, dio lungamente mi
ha tenute in desiderio, poiohé in taira non
no ho trovato mai spiegazione aloana. — spi*
PARADISO - CANTO XTX
723
che lungamente m'ha tenuto in fame,
27 non trovandogli in terra cibo alcuno.
Ben 80 io che, se in cielo altro reame
la divina giustizia fa suo specchio,
80 ohe *1 vostro non l'apprende con velame.
Sapete come attento io m'apparecchio
ad ascoltar; sapete quale è quello
33 dubbio, che m' è digiun cotanto vecchio ».
Qual il falcon, ch'uscendo del cappello
move la testa e coli' ali si plaude,
86 voglia mostrando e ^Etcendosi bello,
vid*io £&r8i quel segno, che dì laude
della divina grazia era contesto,
89 con canti, qua! si sa ohi là su gaude.
nmdos doè parlando, per oontiiìiuzioiie di
metafoxa; < ma latentemente (nota il Buti)
dice qnello che ò lo tbxx>, doè : preste che
Iddio apiil in me la soliizione del dabbio ».
— dtglnM t dubbio, che è privasione della
Tedtà, di coi Dante avera /birw, doè deei*
darlo. — 27. non eoe. non avendo in terra
troTSto dbo por tal digiuno, doè cognizione
atta a riempire la lamina intellettnale. Anche
qTii in delo per altro Dante non sdogUe il
dubbio, se non è risolozione il rioonosoere
l'Impenetrabilità del giudizio divino: i teo-
logi del ino tempo credevano di scioglierlo
distfaigoendo la fede esplidta e la fede im-
plidta> e dichiarando che questa ultima non
è neoeaiBiia alla salvazione (cfir. Tommaso
d' Aqu., aumm.t P. n ^, qu. n, art 2-7;
P.ni, qu. ucvi, art 11; qu. Lzvm, art 2).
— 28. Bea io eco. Io so che, se in cielo
v'è altro ordine di beati nei quali si spec-
chia la divina giustizia, voi non la vedete
meno di quelli, andie a vd appare distinta-
mente. Dante stesso dice altrove (Patr. ix 61
e segg.) die Dio giudietmU si specchia nd
Troni, onde la giustizia divina rifulge alle
anime apparsegli nd delo di Venere: qui
aggiunge che questa ginsttzia divina non ri>
ftalge meno alle anime apparsegli nel delo di
Giove, poiché sono appunto di uomini ohe am-
ministrarono dirittamente la giustizia sulla
terra. — che, ae la cielo...., eke 11 vostro
eoo. ^ noti mia particolarità sintattica della
lingua antica, nella quale d usava ripetere
la ocmginnzione cfts, quando il discorso re-
stava interrotto da una proposizione sabor-
dinsta di natora condizionale; cfìr. Beco., Deo,
g. X, B. 8 : e ti dieo e priego che, s' ella ti
piace, dM tu la prenda ». — 80. 1 vostro
eoo. U vostro rwniw, il vostro ocdiae non
l^apprmtde om veiarnSf non vede la giustizia
divina velatamente. — 82. qnale è ecc. sa-
pete qual sia il dmbUo, ohe da tanto tempo
mi tiene privo della verità. Il dubbio di Dante
è questo : Se non vi è salute fioiori della fede
cristiana e senza il battesimo, dovrebbero
tutti gli uomini essere in grado di oonosoexe
queata fede e di ricevere il battesimo : se dò
non accade, non s'intende per quale colpa
abbiano ad essere dannati i gentiU. L'aquila
non sdoglie il dubbio, sfìiggendo la questione
oon l'afllMmazione ohe la ginstisia divina è
impersomtabUe. — 84. Qaal 11 faleoB ecc.
Oome un focone, cui sia tolto il cappdlo,
agita la testa e batte le ali, rallegrandosi e
mostrando coi suoi atti il dedderio di volare
in caooia eco. Similitodino assai appropriata
a dipingere i festosi movimenti dell' aquila;
e piacque ad altri poeti, che la rimutarono
a rappresentare altre dtoazioni ooaeimUi (ofr.
Potei, MorgmnU xi 70, xvi 64; Ariosto, Ori,
TV 46). — eapfelle t è il ci^pellucdo o oo-
pertina di pelle, che d poneva sul capo al
ftdoone, perohó non d dibattesse nell'andare
e venire dalla cacda, e gli d toglieva al mo-
mento di gittarlo (ofr. L. de' Medid, La eoo-
c<a col fàleon»^ st. 22-28, 26). — 86. move eoo.
cfr. Ariosto, OrL rrtv 96: « Qualboon astor...
Leva la testa, e d ik lieto e bello >. — col-
Pali eoo. Venturi 427: % ptaudtre petmit "per
batter l'alo disse Ovidio [MtL vm 288, xiv
607]; e tibipUmdsref per oompiaooid, ò modo
oraziano : il »i plaud» di Dante raoohinde l'uno
e l'altro senso >. — 87. vld* lo eco. tale di-
mostradone d'allegrezza fece con celesti canti
quell' aquila, che era formata di anime che
alzavano inni di lode alla grada divina. Que-
sta è la comune interpretanone ; ma knuU
detta divina graxia, oltre che nel senso di
anime lodatrid di Dio, d può intendere an-
che in queUo di anime beate, e, come tali,
lodi viventi esse stesse della grada divina;
Dante insomma pud aver chiamato cod quelli
spiriti perohó erano beati, oome già disse Bea-
trice « loda di Dio vera » ilitf, u 108), non
724
DIVINA COBIMEDIA
Poi cominciò : € Colai che volse il sesto
ali* estremo del mondo, e dentro ad esso
42 distinse tanto occulto e manifesto,
non potè suo valor si òxe impresso,
in tutto l'universo, che il suo verbo
46 non rimanesse in infinito eccesso.
E ciò fa certo che il primo superbo,
che fu la somma d'ogni creatura,
48 per non aspettar lume, cadde acerbo:
e quinci appar ch'ogni minor natura
è corto recettaoolo a quel bene
51 che non ha fine, e sé con sé misura.
Dunque vostra veduta, che conviene
essere alcun dei raggi della mente
54 di che tutte le cose son ripiene,
non può da sua natura esser possente
tanto che suo principio non discema
gtii perché lodavano Dio. — 40. Colai 9oo.
Dio, ordinatore dell' nniToivo e creatore delle
cose ooonlte e palesi, non poterà infittder
tanto il eno valore nell' nniverBO che H suo
Verbo non rimanesse infinitamente laperìore
alle intelligenze create. — «ke Tolse eoe
ohe nella creazione volse, fece g^irare il suo
compasso descrivendo l'estremità del mondo.
È un concetto biblico, che Dio si valesse del
compasso per descrivere l' oniverso (ofr. lob,
xrxvm 6, proverbi vin 27); concetto svolto
poi da parecchi poeti moderni (p. es. Milton,
Pandito p&rdMto, vn 204-281; Monti, Jfo-
tóhmmiana^ i 40^2). — 41. e éentro ecc.
e nel mondo distiiból tante cose occnlte e
tante manifèste all' uomo. — 48. bob potè
eco. non pot6 Imprimeco in tatto l' universo
il sao valore talmente che non rimanesse in
molte parti al di sopra dell' intelligenza uma-
na. — 46. B ole ecc. Lomb. : « E che il di-
vino intendere ecceda cosi ogni intendimento
creato, comprovalo l' avvenimento del primo
wpmho^ di Lucifero, che fu la •omma^ la più
eccellente d* ogni creatura ; impeiocchó per
non aspettar egli quel lume che ricevuto
avrebbe maggioro, se fosse, come gli angeli
fedeli ftirono, stato confermato in grazia, aowrm
bOf immaturo a cotale conforma, avanti che
il tempo della conferma giugnesse, eadd» dal
cielo >. ~ 47. ohe ffk ecc. cfr. Purg, xn 26. —
48. per bob aspettar ecc. non avendo aspet-
tato d'esser confermato nella grazia divina;
poiché Lucifero e gli angoli ribelli {Ik vulff,
ehq, t 2) « divinam curam expectaie nolue-
mnt * : su die ofr. le osservazioni di Pio
Rajna, BuU. V 67. — 49. e qnUel ecc. e
da questo appare manifesto che ogni natura
umana, inferiore di necessità a quella di Lu-
cifero, è insufiOciente a oomprendoco il Beno
infinito e inoommensuzabilo. — 60. oorto ro-
oettaoolo ecc. piccolo vaso rispetto all' im-
mensità divina è la monte "ma^a^ ail% q;nale
peicid il giudido di Dio resta impoaotiabile.
— * 61. ohe BOB ha Ubo t infinito, e non cit^
oosorìtto » (IStrg, xi 2); altri, meno bene, in-
tandono : che non finirà mai, cho durerà eter-
no. — o ■< eoo. Buti : « Iddio è bene infi-
nito, che con niuno altro bobe si può misurale,
80 non con sé modesinK», imperò ohe ogni al-
tro bene ò minoro di lui; si che con niuno
altro si può misurare : e oom' olii ò infinito,
cosi le opere sue sono investigabUl et incom-
prensibili da l'omo e da ogni altra creatura.
E cosi d dimostrata la maggior proposiziona,
cioè che ogni creatura è corto reoettacola
d' Iddio e delle sue opere; pud bone ricevere
parte, ma non tutto». — 62. lHui««e ecc.
Dunque l' intelligeoia umana, la quale di ne-
cessità ò solamente una parto della mente di-
vina, non può per sua natura ossero tanto
potente ohe la mento divina non disooma
molto più in là di ciò che apparo ali* intel-
ligenza umana. — vostra; lezione confort
mata dal vottro del v. 6d e dal «oi dol v. 83,
e sola ohe il senso generale giustifichi ; V ho
accolta perciò, sebbene il Witte legga, coi pifi
nostra: cfr. Todeschini, ShuR m DanU, voi.
n, p. 429. — 64. di ohe ecc. della coi virtù
sono pieno tutte le cose; cfr. Air. xviii 118,
xzvn 110. ~ 66. BOB può eoo. Si noti il pa-
rallelismo di forma e di pensiero ft» qf&esti
tre veni e i vr. 48-46, di cui questi aono
un' etpUoaziono ristretta ali* intoUigttUB uma-
na. — 66. che suo eoe. che la mento divina,
principio dell' intelligenza umana, non abbia
una oogniiiono molto Maggioro di queilB ^s
PARADISO - CANTO XIX
725
57
60
66
molto di là da quel che Pò parvente.
Però nella giustizia sempiterna
la vista che riceve il vostro mondo,
com' occhio per lo mar, dentro s'interna;
che, benché dalla proda veggia il fondo,
in pelago no '1 vede, e non di meno
è li, ma cela lui l'esser profondo.
Lume non è, se non vien dal sereno
che non si turba mai, anzi è tenèbra,
od ombra della carne o suo veleno.
Assai t'ò mo aperta la latebra,
ohe t'ascondeva la giustizia viva,
di che &cei question cotanto crebra;
che tu dicevi : ' Un uom nasce alla riva
è propria dell' Intelligenza nmana. Sono oon-
eetti di Tomm. d'Aqn^ Summ, P. I, qn. xn,
art. 2 : « Virtas inteUectnalis creatnrae la-
men qnoddam intelligibile didtor, qnaii a
prima Inoe deriratiun... Per nnllam similitn-
dinem creatala Dei enentia yideri poteet...
Malto igitar minas per speciem creatam qaam-
camqne poteet essentia Dei yideri»; che
Dante srili^pa e adatta al caso ffno con quella
facilità e yarietà di parola, onde risplendono
di yìya luce le sae trattazioni dottrinali. — 57.
elie Vh parreate: che ò parvente alla V09tra
veduta, die pnò eeeere conosciuto dalla mente
nmana. ~ 68. Però eoo. Per questo fovtsia e^
U vottro mondo fictne^ V intoUigenza che voi,
nomini, ricevete da Dio, t^iniama dtwbro nella
giuttixia rnnpUemaj penetra nella cognizione
della divina giustizia poco profondamente,
come fls 1* occhio nel mare. — 61. che ben-
ché ecc. U quale occhio, sebbene vegga il
fondo del mare dal lido, non lo vede in alto
mare; eppure anche 11 è il fondo, ma celato
dalla grande profondità. Novissima e stu-
penda ppmpaiazione per signifloare la natura
del divino giudizio al cospetto dell'umana
intelligenza : la quale lo scorge nei fatti che
non superano la sua capacità, come quando
vede il prendo accordato ai buoni, ma più
non lo discerné quando i fitti sono soprana-
turali. — 62. pelao: Venturi 107: «alto
mare : Dante sempre usa in cotal senso que-
sta voce {Inf. X 28 e Par. n 5) ; e qui ne fa
più chiara la distinzione, dicendo che roc-
chio dalla proda del mare vede U fondo, cui
non vede U pelago. Cosi nel proprio come nel
traslato, mare^ indica ampiezza ; ptlagOt pro-
fondità». — 63. à If ecc. anche nell'alto
mare è il fondo, ma celato dalla profondità
allo sguardo umano. ~ 64. Lome eoe Al-
l' uomo non pud risplendere sltra luce di ve-
rità, se non quella che procede da Dio, fonte
eterna del vero ; dò che appare alla sua mente,
fuori della rivelazione divina, d ignoranza dd
vero 0 falsa imagine dd send o peccato. — se-
reno ecc. ò Dio, in quanto è prindpio, eter-
namente uguale a b6 steeso, di ogni verità.
— 66. assi à ecc. Buti : « senza la grazia il-
luminante d' Iddio noi siamo dechi, o per lo
dimenio che d aodeca, o per la concupi-
sdenzia della carne che n' oifusca, o per pia-
cere del mondo che d corrompe; e però ò
necessaria la grazia illuminante d'Iddio, che
d difenda da queste tre occupazioni ». ~ 67.
Assai ecc. Ormai ti deve essere palese ab-
bastanza dò che nascondeva alla tua mente
la divina giustizia, devi aver compreso ohe
Puomo non pad penetrarne i segreti. — mo :
cfr. in/". xTTn 20. ~ 69. di che ecc. a pro-
posito della quale ignoranza ti agitava cosi
spesso il dubbio : di che è à& riforìro a late-
bra^ poiché Dante non dabitava della divina
giustizia, s( più tosto delle ragioni per cui
essa non appariva in slcunl fatti (cfìr. i w.
che seguono). — erebni ; spessa, frequente ;
esprime U rìpetern e indeme il persisterò del
dubbio nella mente di Dante, poiché vera-
mente esso ò di queUi che più dovevano af-
faticare i pensatori medioevali, stretti tra il
sentimento religioso e la realtà dei fatti umani,
non sempre rispondenti ai dogmi della fede (si
cfr. le osservazioni di M. ScheriUo, BuU. Vm
14-16). — 70. tn diesTl : l'aquila enuncia il
dubbio di Dante, con lo stesso processo di ra-
gionamento per cui cotesto dubbio doveva es-
serd svolto nd pensiero di lui. — Un nom
eco. Un uomo nasco nei paed asiatid, ove non
ò chi predichi o legga o scriva di Cristo e
della sua religione : tutti i suoi sentimenti,
tutti i sud atti suono buoni, per quanto può
vedere la ragione umana, senza peccato di
opere nò di parole. Muore senza essere stato
battezzato e senza aver conceduto la fede:
per qual ragione di giustizia sarà condannato,
qoali peccati avrà commesso una volta eh' d
726
DIVINA COMMEDIA
dall'Indo, e quivi non è olii ragwni
72 di Cristo, né ohi legga, né chi scriva;
e tutti i suoi voleri ed atti buoni
sono, quanto ragione umana vede,
75 senza peccato in vita o in sermoni
More non battezzato e senza fede;
ov'ò questa giustizia che il condanna?
78 ov' è la colpa sua, s' egli non crede ? *
Or tu chi sei, ohe vuoi sedere a scranna
per giudicar da lungi mille miglia
81 con la veduta corta d*una spanna?
Certo a colui che meco s'assottiglia,
se la scrittura sopra voi non fosse,
84 da dubitar sarebbe a maraviglia.
0 terreni animali, o menti grosse!
la prima volontà, eh' è per sé buona,
87 da sé, che é sommo ben, mai non si mosse.
non conosoera la fede ? — 71. «ob è eco. efr.
san Paolo, Ep. ai Rom, x li : « Come dun-
que invocheranno essi cohii, nel quale non
hanno oredato ? e come crederanno in colai,
del quale non hanno udito parlare? e come adi-
ranno, se non v' è chi predichi?» — 7i. quan-
to ecc. per quanto la ragione umana può co-
noscere, senza essere illuminata dalla fede. —
76. in Tlta ecc. In opere o in parole. — 77.
OT* è questa eco. Dante non tuo! negare la
giustizia divina, ma solamente confessare ohe
egli non la vede applicata nella dannazione
dell' uomo nato e cresciuto fuori del grembo
della Chiesa e virtuosamente vissuto ; si che
le sue parole significano : io non vedo per-
ché la giustizia divina lo condanni, una volta
che essendo queir uomo ignaro della fede non
può esser colpevole di non aver creduto. —
79. Or ti ecc. Tu, o uomo, chi sei ohe osi
di impancarti a giudicare ciò ohe trascende
il tuo intelletto, mentre questo d cosi debole?
Già san Paolo, Ep. ai Rom, iz 20, aveva
scritto : « 0 uomo, chi sei tu che replichi a
Dio ? », e l Ep. ai Cor. ii 16 : « Chi ha co-
nosciuta la mente del Signore, per poterlo
ammaestrare?», e Dante svolgendo questi
concetti lasciò nel Conv, iv 5 le memorabili
parolo riferito nella nota al Par. xm 141. —
81. eoa la redota ecc. con l'intelletto che
non vede più in là d' una spanna, d' un palmo.
— 82. Certo ecc. Certamente colui eh» méoo
t'assottiglia avrebbe cagione di meravigliarsi
molto di dò (ossia del fatto esposto nei w.
70 e segg.), se non ci fosse aopra voi uomini
la Scrittura sacra ecc. Grave ^fflcoltà pre-
senta la frase colui che imoo $* aswritigliaf in*
torno alla qualo gl'interpreti s'affannarono
invano : Lima, Ott. e altri antichi spiegano
in modo pifi involuto del tetto ; il Boti lo pa.
rafrasa senza dicUararìo; primo Benv. Io
spiegò : qui subiiliUr eonaiur imoestìffor» raUo-
nmnmea6iu8Htia«tÉeilÌMtdvrina»gìaa»mia3BÌHm
rehicet in fm, cioò chi sottilmente si afona di
spiegare la divina giustizia, prendendo «uw
M* aatoUiglia nel senso di s'assottigUa Momo
a me (chr. una espressione simile in Par, xxvxn
63). Data questa spiegazione, colai che s'as-
sottiglia ecc. sarebbe l'autore del dubbio
espresso nei versi precedenti cioè Danfce stasso.
D Land., Veli., Dan. chiosano su per giù nel
senso di Benv., ma con più parole e dado
chiarezza ; e cos( press' a pooo i ooaunontar
torì moderni, salvo il Bianchi che spiega:
« Certo per colui che meco ragionando volecsa
far l'arguto e il sottile, sarebbe a dubitare a
maraviglia, ossia, avrebbe costui molti e molti
dubbi da affisooiare sulla giustizia dai deoeti
di Dio » eoe. La spiegazione più «Aw^più^ è
pur sempre quella di Benv., sebbene non ri-
mova ogni difflooltà, e specialmente l' oaea-
rità di quel meeo, — 83. te la aeriUara eoo.
se la sacra scrittura non fosse H con la sua
autorità a prescrivere all' uomo di oredeo» nel-
l' infallibile giustizia di Dio; cfr. Boezio, Cbiu.
phil. IV 5 : « Nec mirum, si quis ordinis igno-
rata ratione temeratium oonfusumque credar
tur. Sed tu quamvis oausam tantae disposi-
tionis ignores, tamen quoniam bonns mundum
rector temperat, recto fieri cuncta ne dubi-
tes». — 84. a «araTÌglla: sino aUa mera-
viglia; cfr. Par. xi 90. — 86. 0 lerr»! ecc.
cfr. Oonc, nr 6 : « 0 stoltissime e vilissime
bestiuole ohe a guisa d' uomini pasoete, che
presumete contro a nostra fede parlare ! > —
86. la prloia eoo. la volontà divina, buona
per sé stessa, non cambiò mai sua natala^ ohe
PARADISO - CANTO XIX
727
O>tanto è gioBto, quanto a lei consuona;
nullo creato bene a sé la tira,
90 ma essa, radiando, lui cagiona ».
Quale sopr'esso il nido si rigira,
poi che ha pasciuto la cicogna i figli,
03 e come quei eh' è pasto la rimira;
cotal si fece, e si levai li cigli,
la benedetta imagine, che l'ali
96 movea sospinta da tanti consigli.
Roteando cantava, e dioea : € Quali
eon le mie note a te, che non le intendi,
99 tal ò il giudizio etemo a voi mortali ».
Poi si quetaron quei lucenti incendi
dello Spirito Santo ancor nel segno,
102 che &' i romani al mondo reverendi,
esso ricominciò : « A questo regno
è natura di lommo bene ; olir. Tonun. d'Aqn.,
SwmUf P. I, qiL zix, art 7 : « Tolontas Dei
est omaino immatabilU ». — 88. Catasta eoe.
È giusto tutto oid che è oonibrme alla vo-
lontà diTina; perdo a oonoaoere ee una ooea
è giusta o no, basta ooaoscere se oonsaoaa
o discorda dal dìTlno rolere. Cosi il dabbio
di Dante ò spento, perché tntto è ginsto oiò
ohe Dio ynole. — 89. nnllo eoo. nessun bene
creato pad attirare a sé la divina volontà, ohe
anzi essa, raggiando la soa bontà, prodnee
quel bene oleato. Soart. : « Nel dubbio esposto
nel V. 70 e seg. ò Im^oitamente contenuto
l'altro dabbio, se forse una gente non abbia
sopra l'altra o prerogative o meriti, per cui
ad essa è offerta la grazia in disto, all'altra
no. E qui tronca qaesto dubbio, inssgnando
oke, ben lungi dall'essere attirato da bene
delle creature, Iddio è quegli ohe esso bene
oi^iona. È la dottrina di Paolo, ud PhOip, a
18: I)mt$miine$tquiqp9raktrinvobÌ8eiv6lU
eiperfieen, prò bona voktntate. £da san Paolo,
oioè dal cap. ix dell' £p. ai Romani ò tolta,
quasi di peso, tutta Targoiaentazione del poeta
teologo ». — 90. ra41an4e t Buti : € gittando
e spargendo li raggi della sua bontà». —
91. Qnale ecc. Come la oioogna dopo aver
cibato i igli si rigira sopra il nido, cosi
l'aquila dopo il suo ragionamento fece un
giro intomo a me; e come il cicognino pa-
sciuto riguarda amorosamente la madre, cosi
io levai gli occhi verso l' aquila ecc. — si
rigira ecc. Buti : « si gira sopra lo suo nido,
dove sono li suoi cicognini », i quali « tutti
stanno col capo alto a guardarla ». — 94. eo-
tal ti fsee ecc. la benedetta imagine si fece
ootale, e io levai gli ooohi oos£ ecc. : la com-
paradone ò doppia, appropriando il poeta a
sé stosso l'atto del doognino e all'aquila l'atto
della oioogna ; e il costrutto è spezzato dal-
l' intromissione d'una proposizione (• ti ìmwl
li ùigU) in mezzo a una coordinata, come in
B%f, znx 16-17. — 96. la bsns4etu eco.
l'aquila che volava sospinta da tutte le anime
dio la componevano. — 96. da tanti eensl-
gli t le anime ardenti di carità, i moUi amori
(V. 20) che fonaavano l'aquila partedpavano
coi loro pensieri e sentimenti al discorso e allo
mosse della benedetta imagine ; perdo Dsate
le chiama wn$igSl, in quanto erano le volontà
motrid dell' aquila. — 97. BetMiudoeeo. L'a-
quila cantava roteando intomo a Dante, che
la guardava estatico. » i^maU eoe Geme tu
non pud intendere il mio canto, ohe celebra
l'eterno bene (cCr. Pttr. xvm 99), cesi voi
mortali non potete intendere i giudizi divini.
— 98. eke uea le ecc. Le note o panie can-
tate (cfìr. Utrg, xrrn 88) dall' aquila Dants
le sentiva, ma non ne penetrava la ragione
proConda, tanto erano straordinarie (ofir. i w.
7 segg.). — 99. tal ecc. Nella QmaHo de ofua
et terra $ 22, ohe va sotto il nome di Dante,
d legge : « Desinant ergo, desinant homines
quaerere quae sapra eos sunt, et quaerant
usque quo possunt », e seguita la dtaeione
di parecchi pasd biblid, di Giobbe, Isaia, san
Paolo eoo., ove ò affermata l' incomprend-
bilità del divino giudizio: ofr. aaohe Purg,
VI 121 ecc. — 100. Pel ecc. Pdché quelle
anime luminose, ardenti di carità, si ftirono
fermate, rimanendo disposte in figura di aquila.
— 101. nel segno eoo. nella figura dell'aquila,
r insegna che fece rispettati o temuti i romani
per tutto il mondo (cfir. Ar. vi 4, 7-8, 82).
— 106. esso ecc. l'aquila riprese a parlare,
dicendo ecc. Quest'altra parte del discorso
dell'aquila ò una violenta invettiva contro i
prindpi, che invece di amministrare retta-
mente la giustizia d macchiavano delle oolpe
pili disonorevoli : ndla rassegna, che oompie
728
DIVINA COMMEDIA
non Bali mai ohi non credette in Cristo,
105 né pria né poi oh'ei si chiavasse al legno.
Ma, vedi, molti gridan ' Cristo, Cristo, '
che saranno in giudizio assai men prope
106 a lui che tal che non conosce Cristo;
e tai cristiani dannerà l'etiope,
quando si^partiranno i due collegi,
Ili l'uno in etemo ricco e l'altro inope.
Che pototn dir li persi ai vostri regi,
come vedranno quel volume aperto,
114 nel qual si scrìvon tutti suoi dispregi?
Li si vedrà tra l'opere d'Albeirto
^
qjulÙA del iVy. Tm 91 e segg., Dante lar-
gheggia di nomi e di aUnnoni, perché rlma-
neeee dimoetrato coi tetti la Toiità di ciò ohe
disse in Bir. zin 106; onde ricorda non pure
i principi più grandi, come V imperatore di
Oennania e il re di Franda (tv. 116-120), e
i ^ Tidnl come 1 re di NapoU e di Sicilia
(yt. 127-186), ma anche l re di minore im-
portanza e più lontani da Boma, centro doUa
cristianità (w. 121-126, 196-148). - à «ne-
•te ecc. Alla beatitadine del paradiso non
sali mai alcuno ohe non fosse stato credente
in Cristo yentoro o in Cristo redentore. —
106. né yrlft eoo. né prima nò dopo la eoa
crocifissione. Tomm. d'Aqn. Summ,^ P. Ili,
qn. Lxvm, art 1 : « Nnnqnam homines po-
taeront salvari etiam anto Chrisli adventam,
nisi fierent membra Chrìsti. Sed anto adren-
tom Christl homines Christo inoorporabantor
per fldem ftitori adventos >, e il passo dt. in
Bar, XZ122. •> si eklftTMse t ofir. A/I xxxm
46, Pury, vm 137. — 106. Ha, Te4I eoo. Ma
molti gridano di continno il nome di Cristo,
i qnali nel giorno del giudizio nnirersale sa-
ranno assai meako vicini a lai ohe altri t quali
non lo oonosoono nemmeno. È manifesto l'al-
lusione all' erangelico (Matteo vn 21-22):
e Non chiunque mi dice. Signore, Signore,
entrerà nel regno dei cieli : ma chi Ha la fo-
lontà del Padre mio, ohe è nei cieli. Molti
mi diranno in quel giorno, Signore, Signore,
non abbiamo noi profetizzato in nome tuo,
ed in nome tuo cacciati demoni, e fatto in
nome tuo molto potenti operazioni ? Ma io al-
lora protestorò loro, lo non vi conobbi giam-
mai: dipartitoTi da me, voi tatti operatori
d' iniquità > : cfr. anche Luca xn 42-48. —
109. e tal eoe e questi cristiani, di nome ma
non di fatto, saranno condannati dagli stessi
infedeli, nel giorno del giudizio universale,
qtiando si farà la divisione di tatti gli uomini
in due classi, quella dei beati e quella dei
dannati. — etiope : abltanto dell' Etiopia (ofr.
Par. zxvi 21), qui in senso generico per in-
festo, pagano. — 110. «uaBdo eco. cfr. Mat-
teo zzv 81 e segg.: « Or quando li Figlino]
dell' uomo sarà venuto nella sua g^ria, eon
tatti i santi angeli, allora egU sedMà sopra
il trono deUa sua ^oria. E tatto le genti sa-
ranno raunato davanti a lui, ed egli separerà
gli oomini gli uni dagli altri, oone SI pastore
separa le pecore dai capretti... Alloca il Be
dirà a ooloio ohe saranno alla sua destra, Ve-
ulto, benedetti del padre mto : erodate il re-
gno che vi è stato preparato fin daDa ftmda-
sion del mondo... Allora egli dirà anooia a
coloro ohe saranno a sinistra. Andato via da
me, maledetti, nel fàooo eterno, ohe è pre-
parato al diavolo ed ai suoi angett... E que-
sti andranno alle pene etome, ed i giusti
nella vita etoma ». — 111. 1» «so eoe. l'uno,
de' beati, etomamento ricchi della grazia di-
vina, e r altro, dei dannati, privati per mm-
pie di essa. — 112. Ohe potram eoo. PerslBo
e^' infedeli potranno vitapeiare i ve orìstiani,
quando vedranno i^erto quel libro in eoi si
tiene memoria di tatto le loro opere nefiude.
— peni I persiani, genericamente per i po-
poU diversi dai cristianL — 113. qvel volarne
eco. imagine biblica ; ol^. ApoooL xx 13 : «Ed
lo vidi i morti, grandi e piccoli, che stavano
ritti davanti al trono ; e dei libri ftuono aperti :
ed un altro libro fti aperto, ohe è il libro della
vite : ed i morti fttrono giudicati dalle oose
scritto nei libri, secondo le opere loro ». ->
114. tatti eoe. le memorie di tutto le loro
cattive opere, delle loro spregevoli asioni;
cfr. W. vm 61. - 116. li il fWrà eoo. In
quel libro apparirà eoe Si noti qui lo stesso
artifizio osservato nel Aivy. zn 26-60, per cui
tre torzine cominciano allo stesK> modo, oon
le parole U H vedrà (w. U6, 118, 121) e cosi
altre tre con wsdmssi (w. 124, 127, 190) e
altre tre oon la congiunzione s (w. 188, 186,
189). — tra Popere ecc. Ara le altre opero
dell' imperatore Alberto I d'Austria (cfr. Avy.
vt 97) quella ohe presto moverà la mano di-
vina a scriverla nel volume, doò l' invasione
della Boemia, dell'anno 1904 : impresa biasi-
movole, sia per la crudele devastazione de)
PARADISO - CANTO XIX
729
quella ohe tosto moverà la penna,
117 per che il regno di Praga fia deserto.
Li si vedrà il duol che sopra Senna
indnoei fitlseggìando la moneta,
120 quei che morrà di colpo di cotenna.
Li si vedrà la superbia ch'asseta,
ohe fa lo scotto e Pinghilese folle,
128 si che non può soffirir dentro a sua meta.
Vedrassi la lussuria e il viver molle
di quel di l^agna e di quel di Buemme,
126 che mai valor non conobbe, né volle.
• Vedrassi al ciotto di Gerusalemme
tenutario l>oomo, ria p«roh6 fatte àbasando
del nome e dell'autorità imperlale. — 117. U
regio eoo. il regno di Boemia, di eoi Praga
era la dttà capitale. — 118. U tao! eoo. i
dolori cagionati in Parigi e in tatte la Fran-
cia da Fh'ppo 11 bello, con la falaiflcaiione
della monete. Baooonte Q. Villani, Or, mi
58, ohe ànrante la gaerra di Fiandra, Filippo
il bello, oonsigliato a dò da. dne fiorentini,
i firatelli Franzeai (c£r. Par. zvi 60), « feoe
falsifloare le eoe monete, e la bnona monete
del tomeae grosso, ch'era a nndid once e
meno di fino, tanto il flBoe peggiorare che
tornò qnad a metade, e simile la monete
prima : e cosi qneUe dell'oro, che di yentitrò
e mezzo carati, le recò a men di venti, te-
eendole correre per pid assai ohe non Tale-
▼ano ; onde il re avanzava ogni df libbre sei-
mUa di parigini e pid, ma guastò e disertò
il paese, che la soa monete non tornò alla
▼alate del terzo ». Di queste falsificazione ri-
sentirono il maggior danno i mercanti e pre-
stetori fiorentini, e le parole di Danto sono
eco dei loro giusti lamenti ; ofr. F. de Saloy
nelU Biblioth. de l'éeoU de» chartea, a. 1876,
voi. XXXVn, pp. 146-182. — 120. quel eoo.
Filippo il bello (cfr. Purg. xx 86 e segg.) mori
nel 1314, < dlsawenturatemento, dice G. Vil-
lani, Cfr. IX 66, ohó essendo a una caoda, uno
porco salvatico gli s'attraversò tra le gambe
del cavallo in su che era, e fecelne cadere, e
poco appresso mori » : cfr. F. Funok Bren-
tano, La mori de Pk, U Bel à FotUainebleau,
étttdò historiq., Parigi, 1884. — eeteana s 6 pro-
priamente la pelle del cinghiale e del maiale,
qui poste a designare l'animale stesso. • 121.
la saperMa eco. la superbia eccessiva che
rende folli i re di Scozte e d' Inghilterra, si
die r uno e l'altro è malcontento del proprio
regno, e dascuno del due vorrebbe estondeilo
a danno del vidno. — eh* asseta t ohe su-
sdte negli nomini brame immoderato di po-
tenza e di dominio. — 123. lo scotto eoe
Gli antichi commentatoci non dicono nulla
intcnno a questi re, salvo l'Ott ohe trova
nelle parole di Danto aeoennate « la guerra
ch'è intra U re Adoardo d'Inghilterra e U
re eletto per li Scotti » : il Lomb. specifica
un po' pid dicendo che si tratte di Edoardo
I re d' Inghilterra e Roberto re di Soozia*;
ma è da avvertire che l' allusione di Danto
parrebbe megUo convenire, non ad Edoardo I
ohe in altro luogo del poema ò ricordato con
paiole di lode (Purg. vn 182), d al suo suc-
cessore Edoardo II, nato nel 1284, salito al
trono nel 1807, morto od 1827 ; il quale fa
in lotte oon Roberto Brace conto di Oarrick,
nato nel 1274, eletto re di» Scoria nel 1806,
morto nd 1829 : cfr. A. Sanquet, HÌ8t d$ Rob.
Bme», rcid'Eaeoeséddésea snoosfSMirf, Tours,
1882. Si noti per altro ohe secondo l' oso di
Danto le parole dell'aquila dovrebbero rife-
rirti a fatti presenti al tompo deUa visione:
d veda in propodto B. C. Barlow, OrUiealf
hi8toriealandpMbmphioalOontribuiioMtolh$
Study oftha DUf. Cbmm., Londra, 1864, pp.
486-486. - 134. la lussuria ecc. la vite los-
suriosa e moUe di altri due re, che non co-
nobbero nò praticarono mai le virtù degne dei
pxlndpi. ~~ 126. quel di Spagna : secondo la
maggior parto dei commentetori antichi e mo-
derni sarebbe Alfonso X il Savio, nato nel
1221, suocedato al padre come re di Castiglia
nel 1262, nominato imperatore di Oermania
da una parto degli elettori ad 1267, ma non
assunto all'alte dignità, e morto nel 1284;
ma contro queste interpretazione ste il tetto
che Danto qui ricorda solo dei prindpi vi-
venti al suo tompo, e anche te buona tema
che Alfonso X lasciò di s6 tra gli uomini :
meglio quindi alcuni moderni tetondono ohe
d tratti di Ferdinando IV, nato nel 1286, re
di Castiglte nel 1296, morto nel 1812 ; del
quale dovetto apparire miracolosa te morto,
accadute entro il tonnine di trente giorni as-
segnatogli per comparire innanzi al tribunale
di Dio, da alcuni che egli condannò a morto.
— quel di Baemme: Venceslao IV, re di
Boemte ; sul quale cfr. Purg. vn 101. — 127.
al eletto eoo. te bonte di Cario U d'Angiò,
730
DIVINA COMMEDIA
segnata con un t la sua bontate,
129 quando il contrario segnerà un emme.
Vedraisi l'avarisia e la viltate
di quel che guarda l'isola del fòco,
182 dove Anchise fini la lunga etate;
ed a dare ad intender quanto è poco,
la sua scrittura fien lettere mosse,
135 che noteranno molto in parvo loco.
£ parranno a dascon P opere soaee
del barba e del fratel, che tanto egregia
188 nazione e due corone han ùMe bozze.
£ quel di Portogallo e di Norvegia
li si conosceranno, e quel di Rascia
n
IO di Napoli • di Qonualemina (o£r. Pwrg, xx
79, Par. xi lOSX notata ivtl conto del libro
dÌTi&o con il Mgno dell' nnità, mentre la ma
malTA^tà Sàxèk notata ool segno del migliaio.
Qaeata è la spiegazione pi& aemplice e pii
comune, essendo manifosto tUsui Dante roUe
diie ohe per un atto solo di bontà del re Caxlo
n ne sarebbero rostrati mille di malyagità,
e per ognuna boutade malizie mille », dioeil
Lana: le altre inteipretazioni che A danno
sono seosa fondamento di ragione. — «tolto:
zoppo ; e fa sopranome di Carlo Q d' Angid,
derivatogli da imperfezione del corpo. — 180.
PaTarlala eco. l'avarizia e la viltà di Fede-
rigo n d'Aragona, re di Sicilia (oft. IStrg. u
116, vn 116). — 131. che giarda eoo. ohe
ha il governo della Sicilia, l' isola volcanioa,
ove mori Anchise padre di Enea. Virgilio, J^
m 707 0 segg. racconta ohe Andùse mori a
Impani, città deUa Sidlia. — 183. od a dare
ecc. e perché si conosca quanto Federico II
ò dappoco, la sua scntturo, oioò la soa par-
tita scritta nel libro divino, sarìk di Idisn
moxx4t ohe in piccolo spazio noteranno moUot
ossia i molti suoi vi^. — 184. lettore mone :
ò loonzione assai osoora, perché s'ignora se
Dante accenni a qualche determinato fatto di
Foderìoo, o se parli cosi di sua invenzione :
i pi6 dei oommentatorì intendono moxxe per
abbreviato, come se Dante dicesse che a re-
gistrare nel libro divino tutte le male opere
del re di Sicilia bisognerà scrittura abbreviata,
perché a scrìverle distesamente non vi sarebbe
bastevole spa^o. — 136. porraBoo eco. sa-
ranno palesi a tatti le opere malvage dello
zio e del fratello di Federico n, che hanno
vituperata la loro illustro famiglia e le loro
corone : lo zio ò (Hacomo re di Maiorca, nato
nel 1243, eletto re nel 1262 e morto nel 1311,
« ehe, dico l' Ott, n(m ò stato uomo d'arme, e
ciò dimostrò apertamente quando eUi si lasciò
tórre al fratello [Pietro UI, cfr. Purg, vu
112J r isola, la quale poi di grazia gli ristitui »,
il fratello è Giacomo II, re prima di Sicilia
e poi d'Angona (cfr. Aoy. m 116, vn llf).
— 137. terbo: voce, aioor viva In okwii
dialetti nostri, derivata dal lat nodieralo
bmbat o tortomis, nel senso di zio (DSoa 865,
ZLog. 145). — 188. aailoMt oondisioiie noUa
quale uno nasce, prosi^ia, stirpe; sigBiflealo
Creqoente negli antiohi (p. es. D. Ooapagni,
Or, m 22, M. Villani, O. m 60 eoc>, eoi
quale Dante volle qui aooennaco la gloriosa
famiglia cai appartenevano cotesti dae tristi
re. — dao ecc. hanno vitaporate la ooroaa
di Maiorca e quella d'Aragona; teMa signi-
fica nella lingua antica il marito vttaporsto
dalla moglie (ofir. gli esempi indicati dal FOre-
di, BuiL m 148), eDante con efficace traalato
usa questa parola riferendola alla ooroiia o di-
gnità regia, macchiata dai due aragoneaL —
139. qael di Portogallo: Dionisio detto l'a-
gricola, nato nel 1261, salito al trono di Por*
togallo noi 1279, morto nel 1325, osa cogaato
di Qiaoomo e di Federioo d'Aragona : gli sto-
rici moderni ne recano miglior glodizio che
Dante, il quale dovette raooogliere la fkaa
che di quel re correva in Italia e che all'Ott
fece scrivere : « Biprende il re di Portogalio,
che tutto dato ad acquistare avaro, qoasi come
uno mercatante mena sua vita, e con tutti
li grossi mercatanti del sao regno ha alEsze
di moneta : nulla oosa reale, nuUa cosa ma-
gnifica si puote scrivere di lui ». — di Hor-
TOgia : al tempo della visione era re di Nor-
vegia Aoono vn Gambalunga, ohe regnò dal
1299 al 1319 ; ma Dante, come gli altri ita-
liani d'allora, doveva saperne ben poco. —
140. qael di Rascia ecc. Stefano II Uros Mi-
lutinus, re della Serbia orientale (detta an-
che Bascia dal fiume Basca che la bagna)
dal 1275 al 1381 (cfr. Bollandistì, .Aoto soneto-
rum Oetobria, Bruxelles, 1864, voL XI, p. 26&.
266), fjklsiflcò i grossi veneriani, onde la sua
falsa moneta fa proibita per legge della Be-
pubblica Veneta nel 1282 : ma continuò a dif-
fondersi per r Italia superiore e media, e ad
1305 fu fistto in Bologna un processo contro
PAEADISO — CANTO XIX 731
141 ohe mal ha visto il conio dì Yinegia.
0 beata Ungheria, se non ai lascia
più malmenare ! e beata Navarra,
144 se s' armasse del monte ohe la fascia !
£ creder dòe oiascnn che già, per arra
di questo, Nioosia e Famagosta
per la lor bestia si lamenti e garra,
148 ohe dal fianco dell'altre non si scosta ».
osarti fowfttori ohe n' avevano eparaa, eeeon- ohe quaio mei 1284 ipoeò Filippo il bello :
do la pubblioa Tooe» per circa oentomUalire, alla morte di lai, nel 1801, prese il titolo di
oagionando ooe£ xm gran danno economico (ofr. re di Navarra tao figlio Laigi X. — 146. B
N. Baroni in DcmU • U mto mooh, pp. 800 e eroder eoe. E «i deve credere ohe nn segno
segg. ; Tossili, pp. 886 e segg. ; Balvioni, del mal gorsmo firanoese, ohe sarà in Na-
Atti § fiMm. dtUa B, Deput, di §torÌa patria varrà, sia il lamento e il gridare di Nioosia
di Bomagtiat 8* serie, voi. XIV, pp. 811 e e di Famagosta per la tirannide d' nn prin«
segg.). — 141. eke aal eoo. ohe osa eno eJipe fkanosse, Arrigo II di Lnsignano, re di
danno ha imparato a conoscere la moneta ve- Cipro dal 1285 al 1324 (ofir. E. Bonan nel-
neziana, pddié falsandola ha meritato l'eterna l' Histor, Httér. d» la Frano»^ voi. JuLVii, pp.
dono (ofr. laf. xxx 70): maU ha qni 887-890). — per arra:cfr. Ifif.rv^LParg,
signlfloato analogo a qnello dell' hif, de 64, zzvm 98. — 146. Hlcosfa e Famagosta : due
zn 66, IViy. IV 82, dod di dannosamente, con oittà delle principali néU* isola di Qpro. —
tristi efllsttL Alooni testi portano mot» aggiu- 147. per la lor ecc. Ott : < tTItlmamente l'au-
sld, lesione accolta da qnidche commentatore toro pone e descrive la vita bestiale del re
moderno, ma contro Tantorità dei migliori co- di Cipri, il qnale doverebbe essere tatto santo,
dici e senza fondamento di ragione. — 142. però che dinanzi alla fronte li siede la terra
O beata Vagbsrla I Beata Ungheria I se dai dove 11 sno creatore il sangue sparse... E bene
tuoi ftitnri signori non ti lascend governare dice bestia, però che tutto d dato alle con*
cosi male come hanno fstto gli altri : ultimo cupisoenzo ed alle sensualitadi, le quali deb-
re d* Ungheria della stirpe di santo Stefano bone essere di lungi dal re; e dico che li iso-
fu Andrea HI (1290-1801); poi succedettero lani se ne lamentano e gridano perch'olii
gli Angioini (cfr. JRir. vm 81). — 148. beata vive bestialmento, ed usa con quelli che be-
Vavarra ! beata la Navarra, se dei Pirenei che stialmente vivono, né da loro punto si parte ;
la chiudono a settentrione si facesse difésa o conchiude in lui, come pid inftunato od
contro il giogo francese che le sovrasta. L'ul- Istremo de' mali, lo xix capitolo ». — 148.
timo re della casa di Navarra tu. Enrico I, eke ecc. che non si allontana dal fianco delle
morto nel 1274; gli successe la figlia (Giovanna, altre bestie, s'accompagna ciod nel fare il
nata nel 1271, la quale conservò il regno an- male agli altri re oristianL
CANTO XX
NèlPocchio delI*aQaiIa si manifestano a Dante le anime di sei principi
giusti, Da¥id, Traiaao, Ezechia, Costantino, Guglielmo II e Bifeo ; e mo-
strando egli la sna sorpresa di rodere in paradiso due pagani, Paquila gli
spiega come avrenisse la sahrazione di Traiano e Bifbo e dichiara che la
pzedestiiiazione è imperscrutabile mistero [14 aprile, ore antimeridiane].
Quando colui che tutto il mondo alluma
dell* emisperio nostro ei diacende
8 che il giorno d'ogni parte si consuma,
JT 1. Qvando ecc. Allorché il sole tra- canti che io non posso rloordacd. — coivi
monta, in modo che scompare la luce diurna, eco. perifrasi per designare il tiole, che ri-
il cielo ridiventa luminoso per molte stelle, sponde allo parole del Cbnv. in 12, riferite
in cui si riflette la luce solare: cosi appena in nota al Par, z 63. — 2. dell' emlsp^r lo
l'aquila si tacque, tutte le anime intonarono ecc. tramonta dal nostro emisfero si che la
732
DIVINA COMMEDIA
lo ciel, che sol di lui prima s'accende,
subitamente si rifa parvente
6 per molte luci, ih che una risplende.
E quest'atto del ciel mi Tenne a mente,
come il segno del mondo e dei suoi duci
9 nel benedetto rostro fu tacente;
però che tutte quelle vive luci,
yie più lucenti, cominciaron canti
12 da mia memoria labili e caducL
O dolce amor, che di riso t'ammanti,
quanto parevi ardente in quei flailli
15 eh' aviòno spirto sol di pensier santi !
Poscia che i cari e lucidi lapilli,
ond'io vidi ingemmato il sesto lume.
Ino» del giono da ogni parte yien» maii-
«ando. — 4. eh* lol eoo. che nel giorno non
arerà altra fonte di laoe ohe U sole. — 6. §1
rlA eoo. diventa di nnoYO luminoso per l'ap-
parire delle stelle ; cfr. Virgilio, Qwrg. x 251:
« mio sera robens aooendit lumina Yesper »,
e il Petrarca, son. oxcn 12: «E '1 del di
vaghe e Incide faville S'accende intomo >.
— 6. yer meltt eoo. per molte stelle, nelle
quali risplende la Ince del sole ; perché (Oofw.
n li) < del suo Inme tntte le altre stelle
s'infozmano». — 7. B «nesVatto ecc. One-
sto fenomeno celeste mi renne a mente,
quando l' aquila non mosse piti il bécco a
parlare, si taoqne. — 8. il segno ecc. l'aquila
insegna del genere umano e degli imperatori
prepoeti al goremo temporale degli nomini
(ofr. i^. n 4, 82). — 10. «nelle eoo. quelle
anime luminoee, risointillando pi4 riraoiente
per l'ardore della carità, intonarono oanti,
che io non ricordo, essendo sfuggiti e caduti
dalla mia memoria. Quali fossero' i canti di
queste anime il poeta non dice ; si che l'ipo-
tesi delle Scart €bfi oantaseero l' inno dei
giusti accennato nei Salmi, cxnn 16, non
ha alcun fondamento. ~ 12. da mia eoa
erano di tal natura da sfuggire faoifanente
alla mia memoria (laòitf), come infatti sfug-
girono («kìimO. — 18. 0 dolM ecc. 0 amore
dirino, che tf wmmmnHy ti arrolgi nel riso
della beatitudine, quanto appariri ardente in
quelle anime ohe erano inspirato solamente
da santi pensieri 1 — 14. in «nei flaiUl ecc.
Cosi leggono i più autoreroli testi, ed è le-
zione da prefexire sensa dubbio alla rulgata
/oviUi, ohe sarebbe unico esempio di una
forma maschile corrispondente al famm. /b-
viUtf. È certo anche ohe HwXH indica qui le
anime beate, quelle vice ìmcì che Cantarano;
ma eepzime l'idea del loro splendore o quella
del canto? Le rarie forme di cotesta parola
nei manoeoritti, faUXIi, flavilU, /raUU, firavilUy
rioondneono alla rad. /lo- e ali* idea fi spi-
rare, soffiare; il ohe confermerebbe la sposi-
Kione di Benr.: «/loOK, ideet dbilis; scili-
oet in roolbns oanoiia illomm spizitvum »,
alla quale ben s' accorda U reno seguente,
oV amino apirto aol di pmuier taniif • idest
(oontinua Benr.) qui cantos morebaóitor so-
lum a sanctis ouris, non ranis a qnibus mo-
rentur cantus hominum ». A questa spiega-
zione s' accorda quella del Blano, ohe inter-
preta flaiUo per < un Istmmento di musica,
un piccolo flauto > (come il fhmo. /Kosei, flau-
to, aggiunge U Parodi, BM, m 146); e ad
essa accedo anch'io, non solo por l'etimologia,
ma specialmente perché l' idea dalla luce già
e^reasa nei rr. 10-11 e ripetota poi nel
r. 16 sarebbe superflua qui, e percSié agli
ongeHoi tqyitU del r. 18 sembra opportuno
un riscontro neUe parole dell' eedamazloneu
Altri tengono por V idea della luce, come il
Gasa, ohe postilla : « flagiantes splendores >
e fk derirare la parola fUtiUo dal rb. /Ca-
grmt', né manoa ohi la trae da flabeUmn ^
oendo che quelle anime « s^rarano Inoe », e
chi anche da /lovns, perché erano ^Landenti
< di luce dorata »; sono fantasie, oome queQa
dello Scart che propone di leggere fatìU e
trora ohe risponderebbe al finno. aat. /bsO»,
fiaccola (Pies 187). — 16. arlèno splrte eoo.
arerano ins^razione solo di santi pensieri;
< nei quali 1 santi pensieri tenevano il luogo
di soffio » (Parodi, L oit) o d' inspirazione.
— 16. Poscia eoo. Dopo ohe le beata anime
luminose ohe adoinavano di sé il sesto pia-
neta, Giove, ebbero posto fine ai loro canti
ang^ioi^ inspirati di santi pensieri, sentii un
mormorio eoo. Questo oonftaso pazlaza, che
richiama al pensiero di Dante il rtnnore del-
l'acqua cadente tra i sassi, era ftomato dalle
voci degli spiriti beati, le quali non s'erano
ancora ftise in una voce oda. — lapilli:
come il lat ìapitku, anche l'itaL fayOfo à-
PARADISO - CANTO XX
733
18 poser silenzio agli azigelici squilli,
udir mi parve un mormorar di fiume,
che scende chiaro giù di pietra in pietra,
21 mostrando Pubertà del suo cacume.
E come suono al eolio della cetra
prende sua forma, e si come al pertugio
24. della sampogna Tento che penetra,
cosi, rimosso d'aspettare indugio,
quel mormorar dell'aquila scrissi
27 su per lo collo, come fosse bugio:
fecesi voce quivi, e quindi uscissi
per lo suo bécco in forma di parole,
80 quali aspettava il core, ov*io le scrissi.
cLa parte in me che vede, e paté il sole
nell'aquile mortali, incominciommi,
83 or fisameoate riguardar si vuole,
perché dei fochi, ond'io figura fommi,
quelli, onde l'occhio in testa mi scintilla,
86 e' di tutti i lor gradi son IL sommi
gniftea petrazxa, laya tminuzzata eoo.; ma
qvi è pieso nel Benso di pietra preziosa, oome
Dante chiama le anime beate (ofr. Fair, zv
22, znn 115, xxu, 29 eoe.). — 19. va mer-
■erar eoo. un rumore simile al mormorio
d' un Homo, le eoi aoqne scendendo limpide
di masso in masso fiuino vedere l'abbondanza
della sorgente oh' è sulla cima del monte.
L'imagine ò frequente nella bibbia (Szechiel
ZLiu, 2, ApooaL i 15, ziv 2 eoo.) e anche
nei poeti olassid (Viig. Qwrg. i 106); ma
Dante la rappresenta oon maggior ricchezza
di partioolari, piti ammirabile perché non
istemperata in vane pende. — 21. eaeme:
dma di monte; ofr. Pwrg, ir 26, F». zvn
113. — 22. B eome eoo. < £ oome lo suono
della chitarra prmie mta forma, cioè suo
essere, al collo della chitarra, dove tiene lo
sonatore le dita de la mano sinistia, strin-
gendo le corde al legno, or coli' un dito, or
ooU' altro, et or oon più » ; cosi il Bnti, piti
esattamente d' ogni altro commentatore. —
23. e si eome ecc. e come l' aria che entra,
soiBata dalla bocca, noUe canne della sam-
pogna pr$nd» forma, prende varie modula^
noni di suono, al pertugio, secondo il f6ro
che il sonatore chiude o i^re con U dito. —
26. eesf ecc. in tal modo, rimosso ogni in-
dugio, subitamente, quel mormorio sali sa
per U collo dell'aqivila, come se questo fosse
stato vuoto. Sopra la rispondenza dello due
similitudini all'srticolarsi della parola si veda
B. ValensiBe, La forma del tuono secondo
V Alighieri, NapoU 1900. — 27. bngio : bu-
cato, vuoto dentro; è Tooe vivissima nel
parlar toscano del contado. — 28. feeeil eco.
nel collo dell'aquila quel mormorio si ftise
in unica voce e usci per U bócoo in forma
di parole, quali io desiderava e quindi ri-
tenni impresse neU' animo. — 80. quali eoo.
Si noti questo verso ohe nella sua nitida e
potente semplicità è senza dubbio uno dei
pi6 belli e signillcativi di tutto il poema.
— 81. La parte eco. H mio occhio, che è
quella parte ohe nelle aquile terrene vede
e sostiene l'aspetto del sole, deve ora esser
riguardato attentamente da te. L' aquila
parla sempre di occhio, in sing., perché es-
sendo r imagine sua rappresentata col capo
di profilo, oome s' usava nelle insegne aral-
diche, uno solo degli occhi appariva a Dante.
— paté il sole : ofr. Par, i 48. — 34. per-
sile ecc. perché delle anime luminose, onde
è costituita la mia figura, quelle die formano
il mio occhio scintillante sono le piti nobili
di tutte le altre, sparso per il rimanente del-
l' imagine. — 86. e* di tutti eoo. essi spiriti
sono i sommi fra tutti quelli che formano la
mia figura : l' s' ò pronome pleonastico, che
molti editori sostituisoono oon la oongiun-
zione s, altri sopprimono a dirittura. — 11
soamii questi spiriti più eccellenti tra gli
altri principi giusti sono David (w. 87-42),
Traiano (w. 43-48), Ezechia (w. 49-54), Co-
stentino (w. 66-60), Guglielmo II (w. 61-66)
0 Bifeo (w. 67-72) ; dei quali il primo sta nel
mezzo, al luogo della pupilla, e gli altri cin-
que sono disposti sur una linea aronata cor-
rispondente al dglio. Si avverta la simme-
tria dei veni ooosaonUi ai isi principi giusti:
734
DIVINA COMMEDIA.
^^
Colui che luce in mezzo per pupilla
fu il cantor dello Spirito Santo,
89 che l'area traslatò di villa in villa:
ora c<Mio8oe il merto del suo canto,
in quanto effetto fa del suo coonglio,
42 per lo remunerar ch*ò altrettanto.
Dei cinque, che mi fan cerchio per ciglio,
colui, che più al bécco mi s'accosta,
45 la vedovella consolò dal figlio:
ora conosce quanto caro costa
non seguir Cristo, per l'esperienza
48 di questa dolce vita e dell'opposta.
B quel che segue in la ciroonferensa,
di ohe ragiono, per l'aroo sapomo,
61 morte indugiò per vera penitenza:
ora conosce che il giudizio eterno
non si trasmuta, perché degno preco
» daaeano dei qvaU miio dato dot tonine,
U prima terdna per dlze ohi e qiftle fti, la
■eoonda per dire oome oonoeca adeeso un
determinato principio di fede relativo alla
sua partioolar condizione; onde Tiene la so-
migliania delle frasi {oolui eha eoo. tt. 87, 44,
qui eK$ ecc. tt. 49, 61, Vattro eh» ecc. t. 66;
e ora camme eoo. tt. 40, 46, 62, 68, 64, 70),
che non produce monotonia di esprewione,
ma efficacia rappreeentatìTa e persaaeiTa. —
38. fki 11 eaator eoo. David, re d* laraele
(ofr. £%f. IV 68), racceifore di Sani, conquistò
il paese dall* Eufrate al mar Rosso e tcasferf
r arca a Gerusalemme: senza alterare lo spi-
rito della legislazione moeaioa e mantenendo
raccordo tra il principio teocratloo e il mo-
narchico, promosse utili istituzioni, oome la
scuola dei cantori; ed e^ stesso compose i
SahUt poesie piene di sentimento religioso
(la maggior parte di quelli della raccolta hi-
blioa sono di tempi posteriori), per le quali
appunto Dante lo chiama qui e nel Airy. xxv
72 il cantore di Dio. É spesso ricordato nel
poema e nelle altre opere dell'Alighieri (cfr.
h%f. xxvin 138, Purg, z 66, B»r, zxxn 11,
De moA. n 10, ni 4, Oowv, n 46, m, 4, rv 6
eoe). — 89. eke Tarea ecc. cfr. la nota al
Purg. z 65. — 40. ora eonosee ecc. adesso
conosce il merito del suo canto sacro, in
quanto spontaneamente rivolse la poesia a lo-
dare il Signore, e lo conosce per il premio della
beatitudine, che è tanto grande quanto fu il
merito : si ricordi il « commensurar dei gaggi
col merto » {Par. vi 118), principio di letìzia
alle anime beate. — 41. In quanto ecc. in
quanto il cantare di David ta effetto di sua
volontà, il merito fu del re poeta : in quanto
fu isplrazioDo divina, il merito ò di Dio. — 44.
colmi, che pid eoe Tanima che sta sull*aroo
dal oi^o pid vicina al nio bécco, prima alla
sinistra per «dii giarda, è quella di Traiano
imperatore (96-117 d. C), ohe consolò la ve-
dorella rendendole giustizia dell' uodao fl-
gfludo: ofr. Ihirg, x 7S. Sulla Hhewtone #
Trsiano dalllnfemo per opera di Onforlo I
si Teda la nota al t. 106. — 46. ora eoas
seo ecc. adesso eonosee quanto sia dannoso
il non seguire la fede di Oristo, poloh^ egli
sa per esperienza propria qual sia la beall-
tddine della Tita di pandiso («mssCs dbfar Wto)
e il tormento delia Tita infìsmale (dUf cffe-
sto). — 49. B fMl eoo. E quello ohe Tiene
dopo Trsiano, seguitando su per P areo del
ciglio, d lo spirito di Brechla, re di eiada,
il quale, aTendogH il profeta Inia «nnvmteta
prossima la morto, si volse con gnn pianto
al Signore e ottenne di vivere altrt qnlndlot
anni ; ofr. 17 fit zz 1-U, JT Oomieké zzm
24, Isaia zzzvnx 1-22. Ma daUa BttbU non
appare che allora Eteehia piangesse p&r mra
ptmtmwOj oome dloe Danto, il quale pensava
forse a un altro inogo dei libri bibttol, ow
si legge (17 Onm, zzzn 96) ohe < ffiniidifa,
con gU abitanti di Oerussieame» sf nmfliò di
dò che il suo cuore s'era Innalzato >; fl ohe
fa posteriormento al oonssguito prolunga-
mento della vita. — 60. oim eeneoeo eoo.
Ezechia oonoeee adesso ohe 11 giudiiio divino
ò immutsMle, anche se una preghiera a»>
cotta al Signore fe trasfeno a doBinl dò
che dovTsbbO aooadors oggL Lomb.: < Vho»-
dosi noDe scuole 11 predetto awenisMBto sso»
viro di obbiezione contro il dogma doUn la»*
mutabilità dei divini dooiotl, dtoo persiò
Danto ohe il medesimo Bnehia eonosee oca
in dolo il eontrarto di qnello ohe per di lui
fatto sembra ad alounl uomini in tem ». —
68. non at tfiiHit cfr. Aof. vi 88-89
PARADISO - CANTO XX
735
54 fa orastino là giù dell'odierno.
L'altro che segue, con le leggi e meco,
sotto baona intenzion che fé* mal frutto,
57 per cedere al pastor si fece greco:
ora conosce come il mal, dedutto
dal suo bene operar, non gli è nocivo,
CO ayyegna che sia il mondo indi distrutto.
E quel che vedi nell'arco declivo
Guglielmo fu, cui quella terra plora
68 che piange Carlo e Federico vivo:
ora conosce come s'innamora
lo ciel del giusto rege, ed al sembiante
66 del suo fulgore il fa vedere ancora.
Chi crederebbe, giù nel mondo errante,
che Bifeo troiano in questo tondo
»t pragktora; è anche in Inf, zxYin
90. — 64. t% erMtlBO eoo. th In modo ohe
in tem toooeda domenl, sia enuMno (lat.
«rMMNw) eid che doimlilbe e«ere odiamo^
Moadere oggL — 66. 1/ altre eoo. L' altro
■pi— ligie, al colmo del ciglio, è Ooetantino
Magmo (nato nel 274, creato Oesare nel 806,
Asgosto nel 807, Imperatore nel 834, morto
nel 887), ohe compiendo l'attoaiione del si-
■temB poUtteo inixiaito da Diodeiiatto tra-
iferf a Biaanzlo la sede dell' impero romano
e cereo di trarre profitto della nuora forza
rappreaentata dal Qristiattesimo. Dante dice
ohe ae ne andò a Bisanzio (ti fooè greco) con
il goreno imperiale (le leggi e il segno del-
l' aquila) per laadar Boma al Pontefloe, che
fti atte dannoaiaaimo sehbene fktto con buona
intenzione (olir. Btf, xxs 116, xrm 94 e segg.,
Aipy. xxMB 188); in dne modi Costantino
danneggid il mondo, secondo Dante, con la
tranalaiione deU' Impero e con la donazione
di Boma alla Chiesa. — 67. per eedere eoo.
per laaoiar Boma a Sitrestro I (ofr. Inf, xiz
117), U primo fisse paire, — 68. era eenesee
eoo. adssse oonosoe come il male derivato
dai tool atti buoni non gli sia aseritto a colpa,
sebbene da essi sia stata roTinata l'umanità.
— 60. nea gli ecc. perché, secondo la dot-
trina di Tomm. d' Aqu. Ammu., P. I 2^,
qu. zx, art. 6, < erentos sequens non fiudt
aotom malum qui erat bonus, nec bonum qui
erat malus». « 60. avregmi eoo. sebbene
il mofMio, r umanità sia stata rorinata dalla
eadota dell' Impsro cominciata con la trasla-
zione a Bisanzio, e dal potere temporale dei
papi oofliinoiato con la donaslooe di Oostan-
tino. Boti; «Per questa ricohecza de la
CMesn sono divisi li sommi pontafloi da l'im-
pecadori, e latto parte della CSìiesa e de lo
Imperlo gnelila e ghibellina, d ohe la cristia-
nità n' è divisa e venuta in grande guioe ».
— 61. nell'aree ieellve : nella parte del ci-
glio, ohe incomincia a declinare, ad abbas-
sarsi. — 62. CIngUelao fta ecc. fa Qu^el-
mo n il buono, nato nel 1164, creato re di
Sicilia nel 1166, morto nel 1189: gli storici
e i commentatori antichi lo lodano come prin-
cipe saggio e glorioso, la cui morte lasciò
desolati i 9uoi popoli, come attesta il pianto
conservato da Biccardo da 8. (armano (Pertz,
JfowMin. german. Script XTX 824): < Flange
pianctu nimio, Sicilia, Oalabriae regio, Apulia,
Terraque laboris... Box Guilelmus àbiit, non
obiit, Bex ine magniflcus, padflous, Ootus
vita plaouit Deo et hominibus; Elus spiri tus
Deo vivat ocelitos »: oSr, F. Testa, De mia d
fsòtM gmtU OwiMmi II SieUiae rtgiM^ Monreale,
1768, e I. La Lumia, Storia della SioUia eoUo
CfvgUOmo II il hwmo^ Firenze, 1867. — eal
quella eoo. di QugUelmo II piangono la morte
le terre di Paglia e di Sidlia, che lamentano
invece il vivere dei loro presenti re. Cario II
d' Angid {B»r, xix 79) e Federico n d' Ara-
gona {Pttr, XEC 181). — 64. eeme ilunamora
eoe. come il dolo ami 1 principi giusti e per-
ciò li premii con la boatitudine ; Biag.: « nota
soavità di stile, imagine vera della dolce
beatitudine del cielo ». — 66. al sembiante
eoe col suo fOlgidissimo aspetto l' anima di
Guglielmo tk vedere come essa conosca, goda
la beatitudine; poiché aU'intensità di questa
risponde la vivacità della luce. ~ 67. €hi
crederebbe ecc. Nessuno degli uomini vi-
venti crederebbe che l' ultima delle anime
ohe formano il mio dglio fosse qaella del
troiano Bifeo, poiché non si pensa che pos-
sano essere salvi anche uomini pagani. —
mende errante t quello de poccatori, la no-
stra terra (cfr. PUr. xn M). — 68. Bifeo tro-
iane t è ricordato da Enea, nel racconto
ch'ei fa a Dldone della espognazione di Troia,
tra i primi ohe accorsero difendendo la pa-
736
DIVINA COMMEDIA
69 fosse la quinfca delle luci sante?
Ora conosce assai di quel che il mondo
veder non paò della divina grasia,
72 benché sua vista non discema il fondo ».
Quale allodetta che in aere si spazia
prima cantando, e poi tace contenta
75 dell'ultima dolcezza che la sazia,
tal mi sembiò l'imago della imprenta
dell'eterno piacere, al cui disio
78 ciascuna cos€^ quale eli' è, diventa.
' £d avvegna ch'io fossi al dubbiar mio
li quasi vetro allo color che il veste,
-:i
tria dal gred invasori (Virg. Eh*, n 889) e
tra quelli ohe, Testite le annatoie dei greci
nocifli, fecero orribile strage dei nemici (ib.,
894 e segg.)) e poi morirono tentando di ri-
togliere di mano ai gr^ Cassandra rimasta
prigioniera (ib., 426-427); in qaest' ultimo
luogo Virgilio chiama Bilèo e iustlssimns unus
Qui fkdt in Teuoris, et serrantissimns aequi »,
e per questa sua yirtA e amore della giusti-
zia Dante lo collocò in paradiso (cfr. la nota
al V. 118). — 70. eonDset assai eco. essendo
tra i beati, Bifeo conosce molta parte dei mi-
steri divini ignota agli uomini della terra,
sebbene anch' egli non conosca sino al fondo
la grazia di Dio. È pensiero dei teologi cri-
stiani, per es. Agostino, Sermon, zzxvm:
< Attingere aliquantulum mente Denm magna
beatitudo est, oomprehendere autem omnino
impossiUle », e Tooun. d'Aqu., Ammii., P. I,
qu. ZÌI, art 8 : « Nullus inteUectus oieatus
totaliter Deum oomprehendere potest Nullas
igitur intellectus creatus videndo potsst co-
gnosoere omnia quae Deus Usoit, yel potest
fsoers ». — 78. Qaale eco. Come la lodoletta
che prima vola per V aria cantando e poi si
tace sodisfatta delle ultime note dolcissime,
cosi l'aquila che con segni di gioia m^aveva
enumerati i giusti principi del suo ciglio eoo.
Venturi 440 : « La similitudine è di una gio-
condità che innamora ; e i versi son pieni di
moto e di canto. Il paragone d tn uccello e
uccello; e scegliendo la lodoletta, sceglie
quello appunto, cui è piti che ad altri pro-
prio lo spaziarsi in aria gorgheggiando ». —
allodetla: forma arcaica, attestata dai mi-
gliori codici, foggiata, come il prov. olmsesca,
sul diminutiro derivato dal lat. alanida^ allo-
dola, lodoletta. — 74. coateata ecc. sodi-
sfatta di ciò ohe ha cantato, delle note doloàa-
sime con le quali ha posto fine al suo canto;
al rallegrarsi dogli uccelli per il lor proprio
canto accenna anche Virgilio, Owrg, i 142:
e Noaoio qua praeter solitum dulcedine laeti > .
~ 76. tal mi eoo. cosi V aquila mi sembrò
sodisfatta delle sue parole ecc. Qrande disp»>
rità d'opinioni ò tra gli interpreti oiroa que-
sta terzina (cfr. BìdL I 90-91, U 164-165, m
68 ecc.); e i pii chiosano oscuramente il testo,
incerti tra le due costruzioni possibili. Co-
struendo V imago mi mmbid tal, doò aaaàa,
dtUa imprmita deU* «ttmo pioóere, si deve in-
tendere ohe sembrò contenta dal piaowe pro-
vato parlando, il qual piacere è twyiswto dtU
1* «temo piaotn, impressione, riflesso della di-
vina volontà; oostmendo invece, l'imago dtUa
impronta dtU'otmmo fiae&ro mi oombiò tote, si
può spiegare in pi6 modL Preferirei questo
oostmtto, perché il vb. tembiò riassume quasi
in sé le oonìspondenti azioni del oantsrB e
del taoere della lodoletta, come se Dante di-
cesse: tale mi sembrò, perché lietamente par-
lava e sodisCstta si tacque, l' imt^ doOa
impronta deU*oiomo piacerò cioò l'aquila, aim-
bolo, figura della giustizia divina, dio è ma-
nifestazione della volontà etema. Biguardo
al nome impronta ofir. Par, vu 68; piaeoro
per volontà di Dio è in I^trg, xxz 125, JFbr.
xzn 80, xzxu 65. — 77. al eil ecc. < a de-
siderio e volontà del quale [Dio] ogni cosa
diventa tsle quale ella ò » ; cosi, meglio di
tutti, il Buti, che dta l'autorità di AgoetLno :
e Talee noe amat Deus, quales fiscti snmns
dono eius, non quales sumus noetro mMìto »,
e di Prospero: » Talea a Domino, quales for-
mamur, amamur; non quales nostro existi-
mQs merito ». — 79. Ed avvegaa eoo. Seb-
bene non ci fosse bisogno ch'io manifestassi
il mio dubbio, ohe chiaramente appariva a
quelle beate intelligenze, la farsa dal dubbio
non permise che tacendo aspettassi la sjùe-
gazione delle anime, ma ni foce domandare
eho 0000 fosser ^Msste die io aveva veduta,
mi spinse a chiedere come mai potessero es-
ser beate le anime di due pagani (Traiano e
Rifeo). — 80. quasi vetro eco. come un vetro
che lascia trasparire l'oggetto odoiato che d
dietro a sé, cosi io lasciavo vedere il mio
dubbio. La rimilitndiw» del vetro ricorre an-
che nel Omo, m 8: « La passione dell'animo
dimostnsi nella boooa, quasi tL oome colore
PARADISO - CANTO XX
737
81 tempo aspettar tacendo non patio;
ma della bocca: € Che cose son queste? >
mi pinse con la forza del suo peso;
84 per ch'io di corruscar vidi gran feste.
Poi appresso con P occhio più acceso
lo benedetto segno mi rlsposCi
87 per non tenermi in ammirar sospeso:
€ Io veggio che tu credi queste cose,
perch'io le dico, ma non vedi come;
90 si che, se son credute, sono ascose:
fied come quei, che la cosa per nome
apprende ben; ma la sua quiditate
98 veder non può, se altri non la prome.
Regnum coelarum violenta paté
da caldo amore e da viva speranza,
96 che vince la divina volontate;
4opo Tetro »; ed d frequente nel poeti poeta-
riori, p. es. nel Petrarca, eanx. xxxvn, tt. 58
• segg. ; ion. cxlvii, tv, 12 e segg.; Trionfo
détta dwinità, yy. 84-85. — 82. ma della
eoo. ma per la forza della eoa insistenza,
mi fece domandare eoo. — 84. per eh' io
eoo. per la quale domanda yidi le anime bril-
lare di pi6 Tira Inoef eesendo liete di po-
ter sodisfare nn mio desiderio. — fette i atti
feetod degli spiriti che formavano T aquila.
— 85. Pel appretto eco. Dopo cotale dimo-
strazione d'aUegrezza, l'aquila, brillando pid
▼iramente nell'occhio, mi rispose, perché io
non fossi pid oltre tenuto sospeso nell'am-
mirazione, nella merariglia d'arer reduto tra
gli eletti Traiano e Bifeo. — 86. mi rispose
eoo. L' aquila dichiara a Dante il fatto che
lo tiene in ammirazione dicendogli: Tu credi
qtieste coee senza intenderle (tv. 88-98), né
tal oome la fona della carità e della speranza
poeta Tinoere la divina volontà (w. 94-99):
ma Traiano e Bifeo morirono credenti (w.
100-106), l'uno tornando dall'inferno sulla
terra per credere in Dio (w. 106-117) e l'altro
ottenendo da Dio la rivelazione della futura
rodenzione (w. 118-129): tanto profondo è il
mistero della predestinazione che voi mortali
dovete astenervi dal pronunziare giudizi, per-
ché anche noi beati non lo conosciamo inte-
ramente (w. 180-188). ~ 87. In ammirar
eoo. non e nell' ammirazione di quel nuovo
splendore », oome spiega il Lomb. seguito da
altri, ma della presenza di Traiano e Bifeo
tra i beati. — 88. Io regglo eoe Io conosco
che tu credi queste cose perché te le dico io,
ma non ne vedi la ragione ; e perciò, seb-
bene tu le creda, ti restano nascoste. — que-
ste eete: la talvasione di Traiano e Rif)»o.
— 91. lU eeae eoe Ad corno colui che delle
Daktb
coee apprende tolameate le qualità etterioii,
ma non ne vede l'etsensa se altri non gliela
dimostra. Duplice ò la cognizione, secondo
Tommaso d'Aquino, Ammii., P. II 9**, qu. vm,
art 1-2 : < oognitlo sensitiva coonpatur elica
qualitatet tentibilee ezteriorte ; oognitlo autem
intellectlva penetrat ntque ad intelligontiam
rei »; e questa tela è perfetta, poiché per etta
« pertingimns ad cognoecendnm nntentiiia rei
intellectae ». — 92. la tua aaldltatet l'es-
senza della cosa, < eesentlam rei inteUeotae,...
secundum quod in se est », dice l'Aquinate,
L dt., poiché « obiectum intalleotos est gwtd
qtM Mi », ossia la quUitaU. — 96. proiM:
manifesta, spiega ; è il vb. lat promtre (Zing.
80). — 94. Regnam eoe H regno dei deli
code alla forza del oaldo amore e della viva
speranza, con che gli uomini vinoono la di-
vina volontà, non a quel modo che l'uomo
supera l' altro uomo, ma la vincono perché
essa stessa vuole esser vinta, e la divina vo-
lontà, vinta in tal modo, vince con atto di
grazia. Sono da notare in questi veni la tet-
tile distinzione tra la volontà divina assoluta
e la condizionata o relativa (ofr. Tomm. d' Aqu. ,
Summit P. I, qu. zix, art 11-12 e Par. iv
109), e lo svolgerti del ragionamento per
pezao degli tguimoi formati col vb. vinein
(si cfr. Jnf. I 86). — vlolcBsa paté t tofte
violenza, cede; ed è espressione derivata,
come le due preoedentl parole latine, dai van-
geli, nel testo della vulgata (Matteo xi 12,
Luca XVI 16) : e Begnum ooelorum vim pa-
titur, et violenti rapiunt illud». — 96. la
dlrlua ecc. la volontà oondidonata ; che d
per esempio, quando Dio permette che un
infedele tomi alla fede e però si salvi, nel
qual caso la sua volontà cede al principio
assoluto ohe gli infodeli sieno daiutati. .->
47
738
DIVINA COMMEDIA
non a guisa clie Puomo alPuom sopranza,
ma vìnce lei, perché vuole esser vinta,
99 e vinta vince con sua beninanza.
La prima vita del ciglio e la quinta
ti £ei maravigliar, perché ne vedi
102 la region degli angeli dipinta.
Dei corpi suoi non uscir, come credi,
gentUi, ma cristiani, in ferma fede,
105 quel dei passuri, e quel dei passi piedi:
che V una dello inferno, u' non si riede
giammai a buon voler, tornò all' ossa,
108 e ciò di viva speme fu mercede;
di viva speme, che mise la possa
nei preghi fatti a Dio per suscitarla,
111 si che potesse sua. voglia esser mossa.
L'anima gloriosa, onde si parla,
tornata nella carne, in ohe fu poco,
114 credette in lui che poteva aiutarla :
ZI
t7. VOI! ft fttlift eoo. Venturi 818 : e La simili-
tadine negattra eade tuli' abuso òhe gli ao-
mlni soperU ftimo della piopiU fona, oppo-
stamente a dò che fk Dio. Quella è vittoria
di prepotenza; qoesta, di carità». — i«-
praasft: ofr. ^nr, zxm 86. — 99. sia be-
Bivaasftt la bontà divina, per oni Dio lar-
gisce la soa grada ai fisdeli ; sulla voce òs-
ninanxa si veda la nota al Par, ra 148. —
100. 1M prtmu eoo. Ti sono cagione di me-
raviglia le anime di Traiano, prima nell'arco
del mio ciglio (cfr. r. 48), e di Bifeo, quinta
o ultima nell'arco stesso (cfr. ▼. 67), perché
tu non aspettavi di vederle in messo ai beati
nel paradiso. — 102. la ragion ecc. il para-
diso, crearne ove ^ angeli hanno paoe»
(F. M zzzi 47). — 108. Del eorpl eco. Le
anime di Traiano e di Bifoo non uscirono,
come tu credi, dai loro oorpi in istato di in-
credulità, ma cristiane e credendo lérma-
mente, Traiano nella passione già soffèrta da
Cristo, Bifeo nellA passione Altura. ^ 106.
tufi eoo. Cristo ebbe nella passione orod-
fissi 1 piedi : prima della sua morte questi
erano pasmiri, dovevano patire la crooi4s-
sione, dopo erano passi doò l'avevano patita
e solferta. Vuol dunque il poeta significare
che Bifeo credoKs nella passione futura di
Cristo, Traiano nella passione già avvenuta.
— 106. l'ona ecc. l'anima di Traiano tornò
dall' inferno in terra nel suo proprio oorpo
eoe Secondo una leggenda assai diffusa noi
medioevo e taooolta sino dal iz secolo da
Giovanni Diacono {Vita taneU OregorU Mc^
^ n 44, in Mabillon, Atta sandorvm ord.
s. BmiitékH^ saeo. x, pp. 416-416), il ponte-
fice Gregorio I, venuto a conoscere V atto
di giustixia che già Traiano aveva (atto alla
vedova (cfr. Purg, x 78), tanto pianse e pregò
per r anima di quali' imperatore da ottSDare
che Bio gli ooneedeene l' etema salute. Sa
questa forma primitiva della leggenda lav«A
largamente la fantasia popolare, imaginando
ohe l'anima di Ttaisno dall' inferno tornasse
di nuovo al suo corpo, e oo8£ quel principe
ricevesse il battemmo e ottenesse l'eterna
salute. Da quale delle molte redazioni medio-
evali della leggenda Dante trasse la notisia
dell'atto giusto di Traiano e del miracolo di
Gregorio I non è chiaro: cf^. in proposito G.
Paris, La ItgmuU de Traian, dt, e A. Qraf,
Soma nttta mam, § nèlU vmmag, da meiio-
«w, dt, voi. n, pp. 1-46. — ■* BOB si rIede
eco. nel qual luogo, l' inferno, la anime es-
sendo morte alla grazia non possono mai
pentirsi (ofk>. Ihurg, zziv 84, e ove mai non
d scolpa >) ; Tomm. d'Aqu., Swaim., P. Ili,
suppl., qu. zcvm, art. 1 : e Obstinata volun-
tas nunquam potsst fleoti nid in malum. Sed
damnati homines erunt obstinati dcut et
daemones. Brgo voluntas eorum nunquam
potarit esse bona ». — 106. t el6 ecc. e que-
sto fu premio alla vim Bpmm di Gregorio I,
che pregando per lui ebbe fiduda di otte-
nerne la salvazione. ~~ 109. di riva .eoe
della profónda fiducia, onde venne forza ali»
preghiere latte da Gregorio I a Dio per (ax
risorgere dall' inferno l'anima di Traiano, si
die la volontà di questo principe, ohe nel-
l' inferno non poteva compiere alcun atto
buono, fosse mossa al bene. — 112. L'animft
eoo. L' anima di Traiano tornata nd ooxpo,
PARADISO — CANTO XX
739
e, credendo, s'accese in tanto foco
di yero amor ch'alia morte seoonda
117 fu degna di venire a questo gioco.
L' altra, per grazia, che da si profonda
fontana stilla ohe mai creatura
120 non pinse l'occhio infino alla prim'onda,
tutto suo amor là giù pose a drittura ;
per che, di grazia in grazia, Dio gli aperse
128 l'occhio alla nostra redenzion futura:
onde credette in quella, e non sofferse
da indi il puzzo più del paganesmo,
126 e riprendiòne le genti perrerse.
Quelle tre donne gli ftir per hattesmo,
che tu vedesti dalla deetra rota,
129 dinanzi al hattezzar più d'un millesmo.
0 prodestinazion, quanto remota
è la radice tua da quegli aspetti
192 ohe la prima cagion non veggion tota!
in Old limMe pooo tontpo, credette In Dio.
— '116. 0 ered«i4o eoo. e In questa profee-
tfone di lède il aooeee tanto d*amoie divino
òhe, qoando nnovamente qbcI dal ooipo, era
degna deQ' etema beatltadlno. A proposito
dell* aalTaiione di Traiano, Tomm. d' Aqo.,
Annui., P. m, sappL, qn. lxzi, art 5, oosi
■otive : € De ftioto Tralani lioo modo potest
pfobaUIiter aeetimaii, qnod predbas b. Ore-
gorii ad Titam ftieiit levooatnSj et ita gra-
tiaai oonseoatos sit, per qnam remissionem
peooatonun habnit, et per conseqaens inunn-
nitatem a poena : siont etiam apparet in om-
nibus illls qui ftieront miracalose a mortnis
•osoitati, quorum ploree oonstat idololatras
et damnatos foisae. . . Yel dioendom, seoan-
dvm qnosdam, qnod anima Traiani non Aiit
aimplioiter a reatn poenae aetemae absolata;
■ed eins poena fait snspensa ad tompns, sd-
Uoet Qsque ad diem indioii ». — 117. fn«ito
gtoee t la beatitodine di questo regno cele-
ste: i/iooot atto di gioia (ofr. Air. xxzx 188,
xzxn 106); e usa questa forma, perché le
anime tra eoi è Traiano si sono dimostrate
al poeta in atto di muoTorsi festosamonto
néll'imagine dell'aquila. — 118. L'altra eoo.
L* anima di Bifeo, oon I* aiuto della grazia
divina, pose tutto il suo amore alla giustizia,
e perdo Dio gli rivelò la futura redenzione:
ooef egli ripudiò Q paganesimo, e in luogo
del battesimo ebbe fedo, speranza e carità,
che ftirono sua salute. — ehe da s{ oco. che
procede daUa misericordia divina, cosi pro-
fonda die nessuna creatura potò mai ve-
derne il prindpio : cfir. Fmg, vin 68-69. —
122. Dio gli aperse ecc. Nessuna tradizione
Bosse Dante a imaginar la salvazione di Bifeo,
del quale ei non vide altro ohe le ludi di
Virgilio (cfr. V. 68); ma ft pensare che l'oroe
troiano avesse avuto quella grazia da Dio lo
trassero forse la parole di Tomm. d* Aqu.,
amm,^ P. n 2«, qu. II, art 7 : f Slultìs
gentilium facta ftdt revolatio de Christo. . .
Si qui tamen salvati Itierunt qulbus rovelatio
non Aiit fàcta, non fuerunt salvati absque
Ade mediatoris; quia etsi non habnerunt fl-
dem ezplidtam, habnerunt tamen fiJom im-
plidtam in divina providentia, oredentcs Deum
esse liberatorem hominum secundan quod
aliquibus veritatem cognoscentibns Spiritus
revelasset ». ~ 121. e noa sofferte ecc. e
non tollerò, ripudiò la tristizia del pagane-
simo, come e servantissifflus aequi », ch'egli
era, e dd loro errori riprendeva i (gentili, in
mezzo ai quali viveva. — 125. Il pntzo ecc.
in senso morale, cfr. Pm, zvi 55. — 127.
<)nelle eoo. In luogo dd battesimd, perché
egli visse pid di mille anni innanzi ohe d
cominciasse a battezzare, ebbe la fede, la
speranza e la carità, le tre virtti che tu ve-
desti personifloato alla destra del carro della
Chiesa (cfr. Fmg, uiz 121-129). DoUe virtA
cristiane in luogo e con gli stessi effetti del
battedmo ragiona Tomm. d* Aqu., Syrnm,^
P. m, qu. Lxvi, art 11 ; Lzviii, art 2-8.
— 129. pid d' un millesmo t più d' an mil-
lennio; infatti Blfoo mori nell'ospagnozione
di Troia, ohe secondo la oronogmfia raedio-
evde fti nel 1184 a. G. — 180. 0 predasti-
naslOB eco. 0 predestinazione diviR:i, quanto
è remota la tua prima cagione da^li sguardi
degli uomini, dall'intelligenza dolle croature,
che non possono conoscerla intorainente I —
182. Iota: latinismo usuale; cfr. l\xr, vii 85.
740
DIVINA COMMEDU
E voi, mortali, tenetevi stretti
a giudicar, che noi, ohe Dio vedemo,
135 non conosciamo ancor tutti gli eletti;
ed ènne dolce cosi fatto scemo,
perché il ben nostro in questo ben s'affina,
138 che quel che vuole Iddio e noi volerne >.
Cosi da quella imagine divina,
per &rmi chiara la mia corta vista,
141 data mi fu soave medicina.
E come a buon cantor buon citarista
fa seguitar lo guizzo della corda,
144 in che più di piacer lo canto acquista;
si, mentre che parlò, si mi ricorda
ch'io vidi le due luci benedette,
pur come batter d'occhi si concorda,
148 con le parole mover le fianmiette.
~~ 188. B TOl eoo. E voi, o nomini, andate a
rilento nel gindioare (cfr. Pur. zm 112-142);
poiché noi, che essendo beati abbiamo la co-
gnizione di Dio, non conosciamo tatti gli eletti
alla beatitudine, non abbiamo cognizione in-
tera del mistero della predestinazione. — 1B6.
e4 ènne eco. e questa cognizione incompiuta
ci ò dolce, perché la nostra beatitudine si per-
feziona in questo bentf nel piacere consistente
nella conformità tra il volere di Dio e il no-
stro. — scemo: difetto, mancanza; lo stesso
nome, a proposito della luce, in Purg, z 14.
— 1S8. éhé quel ecc. cfr. Pur. m 70 e segg.
— 189. Cos( ecc. Con tale discorso l'aquila
santa mi did il dolce rimedio atto a rischia-
xare la mia corta vista, a illuminare la mia
mente ottenebrata dal dubbio. ~ 142. K come
occ E come il buon citarista accorda il suono
del suo strumento alla voce del buon cantore,
la quale per essere accompagnata dal suono
acquista maggiore soavità ecc. — citarista:
il sonatore di eitara o cetra, atranieato a
corde (ofr. v. 22); come qui dal buon oita-
Tista, cosi altrove Dante trae una similitudine
dal cattivo sonatore (Còno, i 11): e MoltL..
danno colpa alla materia dell' arte apparec-
chiata ovvero allo stromento; ti come il mal
ftibbro biasima il fbno appresentato, e '1 mal
dtailsta biasima la citata, credendo dare la
colpa del mal coltello e del mal sonare al
ferro e alla dtara e levarla a sé ». — 143.
lo gviiEO ecc. le vibrazioni delle corde (cfr.
Inf. zzvn 18). — 145. ti, Beatro eoe. nella
stessa maniera, finché l* aquila parlA, mi ri-
cordo proprio che vidi le duo anime beat» di
Traiano e Bifeo accompagnare il euoa daUe pa-
role col moto delle loro corruscanti fiammette.
— 147. pur come ecc. col simnltanoo movi-
mento che d proprio del batter degli ooc^
(cfr. Potr, zn 26-27): « oompanadone aggioB-
ta (cosi il Venturi 66), ohe rende pl6 viva
1* imagine >.
CANTO XXI
Dante e Beatrice ginDgono nel settimo cielo, qnello di Satnmo : ivi ap-
pare al poeta nna mirabile scala, per la quale salgono e scendono gli spi-
riti contemplativi ; e ano di essi, Pietro Damiano, parla a Dante del mistero
della predestinazione e tocca brevemente della propria vita, traendone oc-
casione ad una invettiva contro il lusso degli ecclesiastici [14 aprile, ore
antimeridiane].
Già eran gli occhi miei rifissi al volto
XXI 1. Olà eran ecc. Finito il discorso
dell* aquila. Dante rivolse di nuovo alla sua
Beatrice j^ occhi e il pensiero che s* era di-
stolto da ogni altro obbiotto. Lomb.: « In 8^
turno, pianeta di tutti U più alto per la eon-
teaplativa virtù al medesiiao pianeta ascrit-
PARADISO - CANTO XXI
741
12
15
18
della mia donna, e l'animo con essi,
e da ogni altro intento 8*era tolto;
e quella non ridea, ma : € S' io rìdessi,
mi comindò, tu ti faresti quale
fu Semelò, quando di cener t^asì]
chó la bellezza mia, che per le scale
dell'eterno palazzo più s'accende,
com'hai veduto, quanto più si sale,
se non si temperasse, tanto splende
che il tuo mortai potere, al suo fulgore,
sarebbe fronda che tuono scoscende.
Noi sem levati al settimo splendore,
che sotto il petto del Leone ardente
raggia mo misto giù del suo valore.
Ficca di retro agli occhi tuoi la mente,
e fa di quelli specchi alla figura,
che in questo specchio ti sarà parvente ».
te, colloca li Santi contemplativi; e ricono-
scendo in Beatrice il tipo di tutta la teologia,
e oonsegaentemente qnello pare della mistica
e della pid elevata parte della mistica, oh' è
la contemplativa, sotto figoza degli atti «noi
e di Beatrice, che qui descrive, accenna
quanto fa di mestieri per la contemplazione.
Dicendo adunque eh' eran qui gli occhi suoi
rifissi al volto di Beatrice, e con gli occhi
l'animo rimosso da ogni eUiro kìtmio^ da ogni
altro pensiero, accenna che la contemplazione
assorbisce tutto l'uomo in Dio, né lascialo
pensare ad altro che a lui; e il non rìdere
Beatrice qui, e il dire che, se ridesse, fareb-
beai Dante quale fu SemeU ecc., accenna che,
per innalzarsi l' umano intelletto alla contem-
plazione di Dio, abbisogna di speciale divino
aiuto, senza del quale rimarrebbe abbagliato > :
cfr. Pax, zxm 46 e segg. — 4. qaeUa ecc.
Beatrice non rideva, ma cominciò a parlare
dicendomi: Se io ridessi tu resteresti ince-
nerito, come rimase Semole quando per con-
siglio di Giunone chiese ed ottenne di veder
Giove in tutto il suo splendore (cfr. Inf, xxx
1). — 6. quando di eener ecc. Dice Ovidio,
Mei, lu SOS, ove Dante lesse la favola : < Cor-
pus mortale tumultus Non tulit aetherios, do-
iiisque iugalibusarsit t, e Stazio, Téb. iii 184 :
t Fulmìnem in dnerem monitìs lunonis ini-
qua» Consedit ». — 7. che U bellezza eco.
poiché la mia bellezza risplende tanto che,
se non fosse attenuata per la mancanza del
sorriso, i tuoi sensi ne rimarrebbero oppressi.
-^ che per le seale ecc. la qualo, come tu
hai voduto, s' ac(a«sce via via che si sale da
uno a un altro dei cieli di paradiso. — 9.
com' hai vednto : cfr. Par, v 94 e segg.» vm
13 e segg., XIV 79 e segg., xvni 66 e segg.
— 11. il tao mortai eoe. lo tue potenze,
assai deboli perché dì uomo mortale, davanti
alla mie fulgida bellezza resterebbero vinte
oon la stessa facilità con la qualo la folgore
spezzerebbe un piccolo ramo. — 12. firoada
eoo. ramo che il tuanOf figuratamente per fol-
gore, soosoùnde, spezza, infrange : il Vent. 136
dice che Is similitudine ò < bella e ben ap-
propriata, in quanto l'idea del bagliore del
fulmine consuona a quella dello splendore
di Beatrice • ; ma il raffronto è tra gli effetti,
e l'infrangersi dei rami non ò prodotto dal
bafi^ore della folgore. — 13. Mei sem ecc.
Noi siamo giunti al settimo pianeta, Saturno,
che ora ò in oongiunrione eoi segno del Leone
e influisce sulla terra la sua virtd mista con
quella del Leone. Lana, rispetto all' influenza
esercitata dal pianeta: eia influenzia vene
mista alla terra della natura de* corpi cele-
sti : Leone si è caldo e seoco,.... Saturno è
freddo e secco; or mischia queste duo com-
plessioni, averai eccellente secco, ma le qua-
lità active, come caldo e freddo, l' una tem-
pera l'altra». — 15. raggia ecc. in questo
momento raggia^ esorcita sua potenza giUt
sulla terra, congiungendo l' influsso suo a
quello del Leone, misto del suo valore. — 16.
Ficea di retro ecc. Beatrice richiama T at-
tenzione di Dante su ciò che ora gli apparirà
nel settimo cielo, dicendogli di ficcar la mente
dietro agli occhi cioè di considerare con mente
attenta ciò che i suoi occhi vedranno eco. —
17. e fa ecc. e cerca di vedere distintamente,
fa che i tuoi occhi sieno come speccht ri-
spetto alla figura che ti apparirà in questo
pianeta. — 18. speeehio : il pianeta, la cui
742
DIVINA COlfMEDIÀ
Chi sapesse qual era la pastura
del viso mio nell'aspetto beti'.p,
21 qaand'io mi trasmutai ad a' tra cura,
conoscerebbe quanto m*era a grato
ubbidire alla mia celeste scorta,
24 contrapesando l*un con 1* altro lato.
Dentro al cristallo, obe il yocabol porta,
cerchiando il mondo, del suo chiaro duce,
27 sotto cui giacque ogni malizia morta,
di color d'oro, in che raggio traluoe,
yid'io uno scaleo eretto in suso
80 tanto che no '1 seguiva la mia luce.
Vidi anche per li gradi scender giuso
tanti splendor ch'io pensai ch'ogni lume,
88 che par nel elei, quindi fosse diffuso.
E come, per lo naturai c:atume.
snperfido è Imninoui; ood ò detto il sole in
I\irg. IV 62. — 19. Chi Mpeiie eoo. Chi sa-
pesse quale era il piaoere dei miei ocohi nel
contemplare il beato upotto della mia donna
noi momento ohe io per ano inTito lirolsi lo
sguardo ad altro obbietto, oonosoerebbe anche
il piacere ch'io provai nell' ubbidire alla mia
guida celeste, vedendo che la dolcezza della
contemplazione fu separata da quella del-
l'ubbidienza. Cosi spiegano i più dei oom-
mentatori dall' Ott, Bntt, Land., VelL ecc.
al Vent, Lomb., Ces., Costa, Tomm., Andr.,
Scart ; ma alcuni, come Dan. e Biag., inten*
dono che a Dante riusciva ingrato l' ubbidire
a Beatrice, perché lo distoglieva dal oontemr
piarla: interpretazione assolutamente falsa. —
pastora : nutrimento (ofr. Jhtrg, n 125 ecc.),
e qui in sonso traslato il sodisfaoimento, il
piacere doUa contemplazione. — 20. viso :
vista; cf. Jnf. ivll. — 21. qaandMo eco.
nel momento in cui io, in seguito all' invito
di Beatrice, ficcai gli oecM e la mante a dò
che appariva nel pianeta di Saturno. ~ 24.
eoBtrapesando eco. paragonando il piacere
della contemplazione con quello dell'ubbidienza
e trovando che questo tu. più intenso di quello.
— 25. Dentro eco. Dentro al pianeta, che
girando intomo alla terra porta il nome di
Saturno, di quel re che governò il mondo
noli' età dell'oro. — Toeabol: la stessa pa*
rola, per il nome di Venere, cfr. Par, vm
11. — 26. eerehiando : cfr. Purg, xiv 1. —
del svo ecc. di quel dueé o re del mondo.
27. sotto ecc. cfr. Inf. xrr 96. — 28. di co-
lor eco. io vidi una scala di color d' oro
fulgidissimo, la quale si elevava tanto che i
miei occhi non ne vedevano la cima. Quosta
scala, ched simbolo dell'ascendono delle monti
contemplative di virtd in virtù sino a Dio,
d dice Dante stesso (Air. zzn 70) esser quella
i^parsa in sogno a Giacobbe, secondo il rao-
oonto biblico (Omwi xxvm 12): e E sogad :
ed ecco una scala rizzata in terra, la col dna
giug-iova al dolo : ed eooo, gli Angeli dì Dio
salivario e scendevano per essa. Ed eooo, il
Signum :>tava al disopra d' eeaa ». — !■ «he
ecc. noi quale risplenda un raggio solare;
perché l'oro appare più ftilgido quando riflette
i raggi del sole (of^. Par. zvn 129). — 29.
scaleo : scala (ofir. Airy. xv 86, Air. xxn 68).
— 81. Vidi ecc. Per i gradini della scala vidi
discendere tanti spiriti risplendenti eh' io pen-
sai che tutte le stelle del dolo si fossero spazas
da questo lato. Vuol dire che l beati disoen-
devono per quella scala in gran numero, e
per questo e perché gli apparivano filgidis-
dml pensa alle innumerevoli e looentissiBe
stelle che vediamo nel dolo, atteggiando in
una forma nuova un concetto frequente naOa
bibbia {Omteai zv 6, zxii 17, Btodo xxzn 13,
DeuUron, x 22 eoo.). — 84. B some eco. Vo-
lendo il poeta n^resentare i movimenti dalle
a!^une beate su e giù per la scala le paragona
(.lie polA, le quali per istinto sogliono nella
soattina, quando la stagione ò ftodda, volare
Insieme per riscaldarsi, e poi separarsi an-
dando alcune lungi dal nido, altre tornando
al nido e altre finalmente continuando ad ag-
girard per l'aria eoo. Nota 11 Venturi 439 ohe
< la similitudine delle poi» oo^ i vazt mo-
vimenti, e l'andare e il restare di quei beati ;
ed è viva in tutti i sud particolari »,e l'Andr.
aggiunge : < Ad ogni apparir di nuove anime
di beati una nmilitudine; e tutte bellissims.
Gli sforzi del poeta per tradune alla fantaisBa
ed ai send dd lettore V immateriale oonootto
della vita celeste, sono di quelli che maggk»-
mente onorano lo spirito umano» : al Tqdb.
PARADISO - CANTO XXI
743
le pole insieme, al cominciar del giomO|
86 si movono a scaldar le fredde piume;
poi altre vanno via sensa ritomo,
altre rivolgon sé, onde son mosse,
89 ed altre roteando fian soggiorno:
tal modo parve a me che quivi fosse
in quello sfavillar che insieme venne,
42 si come in certo grado si percosse;
e quel che presso più ci si ritenne,
si fé* si chiaro eh* io dicea pensando :
45 € Io veggio hen l'amor che tu m' accenno >.
Ma quella, ond*io aspetto il come e il quando
del dire e del tacer, si sta, ond*io
48 centra il disio fo ben eh* io non domando;
per eh* ella, che vedeva il tacer mio
nel veder di colui che tutto vede,
61 mi disse : € Solvi il tuo caldo disio ».
Ed io ìnconi;::cIai: «La mia mercede
non mi fa degno della tua risposta.
inTeoo 1a companudono non pare troppo oon-
TsnieDte, fone perché tiattadaanimjùl assai
bratti; ma è da notare che Dante volle rap-
presentare, non la qualità degli spiriti, ti la
dirersità dei loro movimenti. — 86. le pole:
pola ò il nome popolarmente dato alla «nu-
kteekia (lat. monedula\ doò alla gazza o pica;
bene perciò l'Ott spiega: *poUt cioè molao-
chio », mentre tatti i commentatori intendono
per eomaeehw (lat. oomie«i). — 87. altre
raane ecc. parte ranno vìa, senza pi4 ritor-
nare. — 88. altre rlTolgon eco. parte ri-
volano al nido, ond' erano nsdte. — 89. ed
altre roteando ecc. ed altre oontinnando ad
aggirarsi per riscaldare le fredde piome, ri>
mangono nel Inogo stesso. — 40. tal modo
ecc. cosi mi parve che facessero i beati, ve-
nati tatti insieme dall'alto, ohe gianti a on
dato gradino della scala si separavano, aloani
tornando in alto, altri scendendo al piede e
altri restando a mezzo della scala. Lomb. :
« Vaol dire che da prima gueth afanìiar, que-
gli innamerevoli splendori scendevano nnita-
mente, e che, ptrnioUndo dod pervenendo ad
nn certo grado della scala, U inoomindarono la
diversità de' movimenti nelle poU divisata;
alcnni doò di qaegli splendori ivi aggiravansi
senza dipartirsi, altri dipartendod tornavano,
ed altri, di là discesi a pie della soaa^ con
Dante si trattennero ». — 13. a! percosse:
s' imbatto, gianse. — 48» t qnel ecc. e qnello
splendore che si fermò pid da vidno a noi,
al pid della scala, incomindò a sfavillar tanto
ch'io oompred come egU si disponesse a so-
disfare al mio deuiderìo parlandomi. — 45. Io
Tegglo ecd. Io comprendo l'ardore di carità
che ta dimostri con l'aooresdmento della toa
lace. — 4S. Ha 4i«llà «oo. Ma Beatrice,
della qoale sempre aspetto il cenno circa la
maniera e il momento di parlare e di tacere,
si stava immobile, onde io astenendomi dal-
l' interrogare qnello spirito beato, operai ret-
tamente, sebbene contro il mio dedderio. —
47. end* lo eoo. cfr. Par. xvm 62-64. —
48. eontra eco. anche qoi il piacere morale
del conformarsi alla volontà di Beatrice su-
pera ogni altro sodisfadmento; però Dante
dioe d'aver fatto bene ad astenerd da cosa
oh' ei deddorava vivamente. — 49. olla, eke
ecc. Beatrice, dio conosceva la ragione del
mio silenzio nel ved$r di eohU eoo. vedendola
nell'aspetto di Dio onnisdente : cfr. la nota
al Bxr. I 86. — vedova eoo. Si osservi anche
qni la solita forma dell' eqnivoco (cfr. Jnf. 1 86).
— 61. Solvi ecc. Appaga il tao vivo dedde-
rio, porgendo all'anima beata la domanda che
ta vaoi : toher» il disio è frase già asata da
Dante in Par. zv 62, xxx 26, conforme al-
l'altra, 8oloon il dubbio o la difftcoUà {Inf, x
96, 114, XI 92, XIX 92, Purg. xxxin 60, Par,
VII 22, 64 ecc.), perché il dedderio di lai
ò per lo pid quello di conoscere il vero, in-
tomo alle cose ohe lo tengono nell' incertezza.
— 62. Ed lo ineominelal : il poeta d volgo
sabito all'anima beata discesa a piò della scala,
ma con le prime parole ch'egli le dioe rin-
grazia indirettamente la sna gaida dd per-
messo accordatogli. — La ala moroede eoo.
Il mio merito non ò tale da rendermi degno
della tua risposta, però io ti prego in giade
m
DIVINA COMMEDIA
54 ma per colei che il chieder mi concede,
vita beata, che ti stai nascosta
dentro alla tua letizia, fammi nota
67 la cagion che si presso mi t*ha posta;
e di' perché si tace in questa rota
la dolce sinfonia di paradiso,
60 che giù per V altre sona si devota >.
€ Tu hai l' udir mortai, si come il viso,
rispose a me; onde qui non si canta
63 per quel che Beatrice non ha riso.
GIÙ. per li gradi della scala santa
discesi tanto, sol per &rti festa
€6 col dire e con la luce che m'ammanta:
né più. amor mi fece esser più. presta,
che più. e tanto amor quinci su ferve,
69 si come il fiammeggiar ti manifesta;
ma l'alta carità, che ci fa serve
pronte al consiglio che il mondo governa.
di Bdatrìce, cbe mi ha concesso d'interro-
giuti scG. : tti! senso di meroed» ctr. Inf. iv
^l, — 55. rlu beata : anima beata, cfi*. Par.
[X 7^ — cfae ti lUl ecc. che sei avvolta nella
lucei emittlEkziane della tna beatitadine : cfìr.
C!>sprG<s<iknl limili in Piar, v 136, vn 62-64,
rtn 36 eco. — 66. fkmml nota ecc. fammi
conoscere la cAgione, per la quale ta ti sei
&TTlciiitttR tanto a me. Lana : « L* una [do-
nuLada] si hz quale cagione ò che tu sola,
anima, mi se' venuta più presso di tutte que-
ste altre f qnofi a dire : haine tu alcuna ca-
giono fistriii?Doa, come di cognoseenza o di
pArent&do f Imperquello che qua adrieto molti
hanno parlato silo autore, perché furono suoi
oognofloenti in prima vita, e alcuni gli hanno
parlato per essere suoi consanguinei » : in
f)afa<iiaQ solo Carlo Ifartello parla a Dante
per avòrio wmosciuto nel mondo, solo Cao-
ctagulda per essere suo parente ; ma forse il
Lana dicendo e qua adrieto » si riferisce an-
che allct prime cantiche. — 68. e dT perché
ecc. e dimisi perché in questo cielo tace la
dolce BlrLTonia di paradiso, il dolce canto dei
beati, che nof^li altri cieli risuona con tanto
ferrare d) divino amore. — 60. che gltf ecc.
cit. per 11 pdmo cielo. Par, in 122, per il
secoudo ntr. V 104, vi 126, vn 6, per il terzo
JVir. vili 28-29, ix 76-77, per il quarto Pur.
X 69, 73» 76, 146-148, xn 6-9, 29, xm 25-28,
UT 24, 29-33, per il quinto Ptir. xiv 121-126,
sv 4-tì, rrni 50-51, e per il sesto, Ptxr, xvni
76^77, 79, 99, xix 37-39, 97-98, xx 10-12,
18, 148. — ei. Tv hai eco. L'anima beata,
cha d qnetliL di san Pier Damiano (cfi*. v. 105),
rif^Dnde jl\]q due domande di Dante, comin-
ciando dalla seconda che riguarda una con-
dizione di cose più generale e passando poi
a rispondere alla prima, che più direttamente
si riferisce al santo spirito ; e dice : Tu hai
r udito mortale, come la vista, debole doè
in modo che non potrebbe ascoltare il canto
dei beati di questo delo senza rimanerne op-
presso. — 62. oade ecc. per la qual cosa qui
gli spiriti non cantano per la steesa ragione
per cui Beatrice entrando nel cielo di Saturno
non ti ha sorriso (cfir. w. 4-12). — 64. 6itf
ecc. Io sono disceso per i gradini della scala
santa sino al piede di essa, solamente per
farti festa con le mie parole e con la luce di
beatitudine che mi circonda. — 67. mi pltf
amor eco. né a discendere più prestamente
d'ogni altro spirito mi fu impulso il maggiore
o singolare amore per te, poiché, come ti ma-
nifesta il fiammeggiare di tutte le anime, su
per questa scala i beati sono ferventi di ca-
riti 0 più di me 0 come me. — 68. pltf •
tanto amor: anche Tomm. d'Aqu., Sìonm,
P. n >•, qu. XXVI, art 13, distìng^ne diversi
gradi nella carità o dilezione del prossiino,
scrivendo : e Tota enim vita beata consistit
in ordinatione mentis ad Deum, unde totos
orde dilectlonis beatorum obeervatibnr per
comparationem ad Deum ; ut sdlicet ilio ma-
gie diligatur et propinquior sibi habeatur ab
unoquoque, qui est Deo propinquior • : cfìr.
anche Rtr, xiv 40. — 69. II flannegglar
ecc. lo splendore delle anime, che è maggioro
o eguale al mio, secondo l* intensità della in-
dividuale carità. — 70. ma l*alt» eoo. ma il
profondo sentimento di carità, che d dispone
a esser pronte esecutrici della divina volontà,
dà in sorte a ciascuna di noi quell'offldo die
eeerdta, come tu vedi: riposta geoecici,
PARADISO - CANTO XXI
746
72 sorteggia qui, si come tu 088er7e ».
€ Io veggio ben, diss' io, sacra lucerna,
come libero amore in questa corte
75 basta a seguir la provvidenza etema :
ma quest'ò quel eh' a cerner mi par forte,
perché predestinata fosti sola
78 a questo ufficio tra le tue consorte ».
Né venni prima all'ultima parola
che del suo mezzo fece il lume centro,
81 girando sé, come veloce mola.
Poi rispose P amor che v' era dentro :
< Luce divina sopra me s'appunta,
84 penetrando per questa ond' io m' inventro;
délU qoale Dante non resta pienamente so-
disfatto, tanto ò vero che Inriste nel doman-
dare perclió proprio lo spirito ohe gii ha par-
Uto sU tra gU altri stato eletto a dò. — 72.
■•rtegglai propriamente distribnisoe tosarti,
e qui vale, come appare dai tt. 77-78, pre-
destina all'officio sao dascona di noi. —
78. Io fegglo eoo. Io comprendo bene, o la-
minoso spirito beato, come nel paradiso basti
il libero amore a esegoire il volere della prov-
videnza, come insomma a moovervi non bi-
sogni rantorità del comando, essendo soifi-
oente la disposizione della carità onde siete
InfiammatL — lioerMi: cfr. Par, viu 19,
zxm 28. — 74. la ««està e«rtt t « nella corte
del delo» (Jh/l n 126, Par, x 70), U para-
diso. ~ 75. a segslr eco. a segoirla nei sooi
voleri, a mettere in pratica, qoindi, a ese-
guire ecc. — 76. su fMst'è eco. ma quello
che mi sembra difficile a intendere si ò la
ragione per la quale ta sola, fra le tao com-
pagne, fosti predestinata a questo offido di
formi festa < col dire e con la luce >. — eer-
Ber t conoscere con la mente (cfr. Par. xxvi
86). — 78. eensorls: compagne, nel senso
che oomarto ha altrove (Purg, xiv 87, xv 45,
Rsr, I 69) : secondo il Nannuod, Nomi 248,
è in luogo della forma regolare c(maorU\ se-
condo il Lomb. d da un sing. contorta, — 79.
He venal ecc. Non ero ancor giunto a dir
l'ultima parola ohe quell'anima luminosa fa-
cendo centro del suo punto mediano si aggirò
intomo a s6 stessa, con il moto veloce della
mola; per significare con questo movimento
la sua letizia. — airaltlma parola: si os-
Borvi quanta arte sia in questo particolare,
poiché, corrispondendo il movimento dell'ani-
ma alla gioia che provava di poter sodisfare il
dosiderio di Dante, era naturale ohe esso inco-
minciasse appena l' anima stessa aveva colto
il concetto del poeta; concetto che ò piena-
mente dgnifloato con le parole perché pr^dS'
ttinata fotti tela a quésto vfjMOf alle quali,
quasi compimento non necessario, seguono le
altre tra k tu» eoruorte, — 81. eoMs veleee
sola: altrove il poeta chiama tanta mota
(Piar, xn 8) un coro di beati, che danzano
in cerchio; e qui al movimento della mola
paragona quello dell'anima roteante in s6
stessa per segno di letizia. Venturi 604 : cLasi-
militudine della mola non ha qui altra relazione
che il circolar movimento orizzontale. U muo-
ver dei corpi ben s'adatta a spiegare la vita
dello spirito ; ma nondimeno una macina col
suo girare vertiginoso non sembra convene-
vole imaglne di letizia celeste » : alla quale
osservazione non mi par da consentire, per-
ché la convenienza artistica sta solo nella
efficacia icastica della rappresentazione, non
nella corrispondenza tra i gradi di nobiltà delle
cose paragonate. — rispose eoe Lo spirito
risponde a Dante ohe per quanto alto sia il
grado della cognizione propria dei boati non
può giungere a comprondere il mistero della
predestinazione (w. 88-96) e lo invita o far
conoscero agii uomini l'impossibilità in cui
sono di penetrare cotesto alto mistero (w.
97-102). — 82. Paoior ecc. l'anima piena di
carità, che era lìssciata da quello splendore
(cfr. w. 66-66). — 88. Ime* divina ecc. La
luce divina discende sopra di me penetrando
a traverso questa luce onde io sono circon-
fusa; e la virtù della luce divina, congìun-
gendosi alla mia intelligenza, mi eleva tanto
sopra me stessa eh' io ho la cognizione di Dio :
— s* appastai viene a fermarsi, termina so-
pra di me. — 84. m* Inventro : il vb. invm-
trarsi, foggiato certamente da Dante per ne-
cessità di rima, significa esser circondato,
esser racchiuso o nascosto (si cfr. Parodi,
BulL III 188), presa l' idea dal ventre che
circonda o chiude le altre membra ; ed è ab-
bastanza bene appropriato a significar che
quesf anima beata ò tutta drconftisa della
luce di sua beatitudine, e quasi animai di sua
seta fasciato > (Par, vni 64). Seguito perciò
la vulgata, non senza avvertire che alcuni
testi portano m* inneiUrOf e cosi lesse il Lana,
746
DIVINA COMMEDU
la cui virtù, col mio veder congiunta,
mi leva sopra me tanto eh* io veggio
87 la somma essenza, della quale è mimta.
Quinci vien P allegrezza, ond'io fiammeggio;
perché alla vista mia, qoant'ella è chiara,
90 la chiarità della fiamma pareggio.
Ma quell'alma nel ciel che più si schiara,
quel serafin che in Dio più P occhio ha fisso,
93 alla domanda tua non satisfarà;
però che si s'inoltra nell'abisso
dell'eterno statuto quel che chiedi,
96 che da ogni creata vista è scisso.
Ed al mondo mortai, quando tu riedi,
questo rapporta, si che non presuma
99 a tanto segno più mover li piedi.
La mente, che qui luce, in terra fuma;
onde riguarda come può là giùe
102 quel che non puote, perché il ciel l'assuma».
Si mi prescrisser le parole sue
ch'io lasciai la questione; e mi ritrassi
diiosando : « qneito inntrUro ti ò rerbo in-
fonttatìro e tanto significa come mmc'mUro »,
9 fon' anche il Bnti e qnalche altro antico
commentatore. — 85. la cai rìrtà : la ylrt&
della quale luce divina. — 87. la somma eco.
l'essenza divina, dalla quale emana la luce.
— 88. (^inel ecc. Da questa cognizione di
Dio procede la letizia end' io rlsplendo, per-
ché al grado di chiarezza della mia cognizione
corrisponde il grado di beatitudine e quindi
la intensità del mio fiammeggiare : ctt. Fair.
xiY 40-42. — 89. perdié ecc. la vista è la
viai(m$ del Par, xiy 41, la ehiarità è la ohia-
resMQ del luogo stesso, y. 40. — 91. Ma quel-
ralma eco. Ma né pure l'anima più rischiv
rata dal lume diTÌno, cioè che gode del pid
alto grado di beatitadine, né il pid alto dei
Serafini, potrebbe sodisfare alla tua domanda.
— che pltf si schiara : Buti : « la quale più
diventa chiara, cioò che più riceve lo raggio
della grazia di Dio, onde diventa cliiara, e
pia vodo la volontà sua». — 92. quel ecc.
cfr. Par. rv 28. I serafini, che costituiscono
il primo ordine della prima gerarchia ange-
lica, sono tra gli angeli quelli e che vedono
più dolla prima Cagione » (Cknw, n 6) : si cfr.
anche Par. xxvra 29, 72. —93. satisfarà:
sodisferebbe, potrebbe sodisfare; fonna di con-
dizionale potenziale, proprio della nostra lin-
gua antica (cfr. Nannucci, VdrbiS23j Gaspary,
Seuola^poetioa ràn/iona, cit, pp. 2^ e segg.,
e Parodi, BulL m 132). — 94. però che eco.
imperocché l'oggetto della tua domanda si
profonda tanto nell'abito del divino vola-
re, òhe è lontano da qualunque intelligenza
creata. ~ Bell'abisso eco. Si avverta la
somiglianza di questo passo, per ciò ohe lì-
gnarda l' uso di alcune parole a significai»
le stesse idee, con i versi del Any. vi 121-
123. — 95. «tomo stoteto: ciò che Dio ha
statuito o predestinato ab aetemo. — 97. H
al Mondo ecc. E quando tu sarai tornato
fra gli uomini riferisci loro questa impeno-
trabilità del mistero della predestinazione,
affinché essi non presumano più d' innalzani
a si alto grado di cognizione, non abitano
più l'ardimento d' indagare cosi profondo mi-
stero: cfr. questo ammonimento con quelli
del Par. xm 112 e segg., xx 133 e segg. —
100. La mente ecc. L' intelligenza creata, che
qui ò avvivata dalla luce divina, in tona è
invece ottenebrata dall'errore: perciò consi-
dera come gli uomini mortali possano fare
ciò che non possono fare i beati, come l'in-
telligenza creata possa in tale stato d'errore
assurgere a un grado di cognizione che le è ne-
gato anche quando ò assunta alla beatitudine
celeste. — 102. perehé eco. per quanto il
cielo l'abbia assunta alla sua gloria. — lOB.
8f Mi vreserisser eoe Le parole di quel-
l'anima posero un limite al mio deàderìo, si
eh' io mi astenni, come era debito,' dall' in-
sistere nella mia domanda e mi restrinsi &
chiederle chi ella fosse : il vb. jprescricnw nel
senso di limitare ricorre in Par. zxrv, 6, xxv
67, e non ò raro negli scrittori antichL —
104. lascia! eoo. Buti : « Non dimandai più
del dubbio eh' io aveva de la predestinazioM
PARADISO - CANTO XXI
747
105 a domandarla umilmente olii fue.
€ Tra due liti d'Italia sargon sassi,
e non molto distanti alla tua patria,
103 tanto che i tuoni assai suonan più bassi,
e fanno un gibbo, che si chiama Gatria,
di sotto al quale ò conseorato un ermo,
111 che suol esser disposto a sola latria ».
Cosi ricominciommi il terzo sermo,
e poi, continuando, disse : € Quivi
114 al servigio di Dio mi fei si fermo
che, pur con cibi di liquor d'ulivi,
lievemente passava caldi e geli,
117 contento nei pensier contemplativi.
Bender solca quel chiostro a questi cieli
• protdenxU, redondo cho non ti poteva sol-
Ter» ; M non òhe Iddio vuole ooei, e non pnò
ToleM M non bene et inetamente, e qneeto
teita, non il debbo oeroaze più li. S rantoie
nostro la tolse tooosre, per mestrue quello
die di tale dubbio si debbo dire» e per non
parere eh' elli V avoiso dimenticata ». — 106.
^1 fiie eoo. L'anima è quella di Pier Da-
miano ravennate: nacque intomo all'anno
1007, di poreriasimi genitoil, e ta educato a
cara del fratello Damiano, in onore del quale
▼olle ofaiamarsi IWui Damiani ; compiuti gii
studi, si die in paixia all'insegnamento con
grande fortuna, ma a trenf anni abbandonò
il mondo ed entrd nel convento di Santa Croce
di Fonte Avellana, presso Gubbio; divenuto
Ikmoso per santità di vita e per dottrina delle
ooee sacre, Iti eletto priore del monastero •
rese importanti servigi ai pontefici, di modo
ohe nel 1068 Iti nominato cardinale e vescovo
di Ostia, dignità che accettò rUuttante; con-
dliò la chiesa milanese con la romana, •
quindi rinunziò agli onori e tornò al chiostro
oome semplice monaco, Uscendosi per umiltà
chiamare JWrwt jMOOOtor ; mori in Faenza nel
1072, lasciando molte opere di materia sacra
(ediz. mii^iore, Venezia, 1748): si veda la
biografia scritta dal suo discepolo il monaco
Giovanni, nei Bollandlsti, Aeia Sanotonim
F^tbruatrOt voL m, pp. 416-427, e le moderne
di G. LadMchi, Fitos.jR^I^wiiani, Berna,
1702, G. Grandi, De 9, F^tH DamimU d a/pel'
Aifoisfff, voL IV, pp. 1-138, ▲. Vogel, Firitr
Damiamo, Iena, 1866, A. Capeoelatro, Sto-
ria di $, Pitr Damiano $ M tuo tompo, Fi-
renze, 1862, J. Eleinermanns, Der hHL Be-
irut Damitmi, Steyl. 1882 : ofr. anche D'Ovi-
dio, pp. 886-888. — 106. Tra dae ecc. Fra
i duo lidi dell'Adriatico e del Tirreno soiw
gono, non molto lungi daUa tua patria, dei
monti tanto alti che i tuoni rumoreggiano
più in basso rispetto alle loro cime: Dante
accenna cosi i monti dell'Appennino cen-
trale òhe hanno dme molto élrrate. — 109.
e fmana eoo. e questi monti formano tra
gii altri un dirupo che si chiama Catria: il
monte Oatria sorge tra Gubbio e Pergola, e
sotto di esso è il monastero camaldolese di
Santa Orooe di Fonte Avellana fondato nel
secolo z, nel quale secondo la tradirione Dante
avrebbe dimorato per qualche tempo nell'ul-
timo decennio della sua vita (ofir. Bartoli, Si.
delia letL t(., voL V, cap. zvn; Bassermann,
pp. 246-262 ; M. Morid, DanU é il monasUro
di EmU Avellana, Pistoia 1899 ; L. Nlcoletti,
i)aA(«st<m.(Ii^.^., Pesaro 1903. — 110. è
eanseerato ecc. è l'eremo camaldolense di
Santa Orooe, che già soleva servire solo per
il culto divino : riguardo al valore d' imper-
fetto proprio del pres. suoJa, qui esplicitamente
confermato dal v. 118, cfr. J»/". zzvn 48. —
HI. a sola latria s < latria ò serviti dovuta
a solo Iddio, e per questo dà ad intendere che
in quello eremo non stavano se non servi di
Dio; oosf il Buti, ricordandosi della defini-
zione di Agostino, DeoÌ9. Dei x 1 : « latria
inteipretatnr servitns >, e di quella di Tomm.
d'Aqu., Summ,, P. n 2^, qu. lizzi, art. 1 :
« Dominium oonvenit Dee secnndum proprìam
et rfngnUFAm qoamdam rationem, quia sci-
lioet ipso omnia fedt et quia summum in om-
nibus rebus obtinet prindpatnm ; et ideo spe-
oialis ratio servitutis ei debetur; et talls ser-
vitns nomine latriae designatur apud Grae-
cos >. — 112. 11 terso seme : la terza parte
del suo discorso ; le due prime sono nei w.
61-72 e nei w. 88-102. — 113. Quivi eoo.
In quell' eremo io mi raccolsi tutto nel ser-
vigio di Dio, di modo che passava agevol-
mente estati e inverni, gli anni, nutrendomi
solamente con dbi di magio, conditi con olio,
contento della mia vita contemplativa. — 116.
elbl eoe Lana : < dbi quadragesimali con-
diti con dio, e non con altro grasso >. — 118.
Bender ecc. D chiostro di Santa Croce di
748
DIVINA COMMEDU
120
123
fertìlemente, ed ora è fatto vano,
si ohe tosto conyien che si riyelL
In quel loco fu* io Pier Damiano;
e Pietro peccator fui nella casa
di Nostra Donna in sul lite adriano»
Fonte AyelUiut solerà enere assai piodat*
tiro per i oieli, mandar» molte anime elette
al paradiso, póohó ^ eremiti ri passavano
la rita nella penitsua e nel serrigi dirini :
dice, in altro modo, dò ohe ha già aocennato
nel r. Ili, doè ohe per il passato in foel
convento erano solamente nomini di santa
vita. Quanto al numero defH Arellaniti sorlre
lo stesso Pier Damiano, Opiue^, zir : e In
hoo loco qni Fona Anziani dldtar plerom-
qoe rigintt, plus minns, monachi per cellnlas,
sire in assignata ooiqne oboedientia, degimos,
ut omnes simnl onm oonrersis et famalis tri-
oenaiiam nnmemm ant vix ant bxeviter ozoe-
damns >. — 119. ed ora eoe. e adesso ò cosi
infecondo, manca tanto di monad ohe atten-
dano solo al servigio di Dio, che presto ap-
parirà la sua decadenza. D' Ovidio, p. 891 :
« Come nel dolo del sole san Tommaso, tes-
sendo le lodi di san Francesco, le oondndeva
deplorando il tralignamento dei Domenicani
(e XI), e san Bonarentnra, dette le lodi di
san Domenico, ri riattaccare il biasimo ai
saoi Francescani degeneri (e xn); cosi il
Damiano, toccato che ha dd sno eremo,
dà pare egli nell' degia. E col fkr cosi eoo
a quei dae santi monad dottori rione a pre-
Indiare alle lunghe qnerimonie di san Bene-
detto (e zzn) sn tatto l'ordine sno proprio,
coi il Damiano stesso appartenere >. .— 120.
si che tosto eoe I commentatori passano
oltre senza fermarti a dichiarare Talladone
del poeta ; ma questi ebbe certo la mente a
qualche fatto dd oonrento di Santa Oroce,
a noi sconosduto; e forse a qualche grande
sdagura o danno toccato a quelli eremiti,
come parrebbe doreid intendere per lo parole
dd Lana (il solo ohe mostri d'arer intrare-
duto qui un'allusione storica) : e la rendette
tostane rerderà tal difetto ». Dante potrebbe
arer aocennato anche alla rorina economi-
ca del monastero, per la quale nel 1821 oo-
coisero straordinari prorredimenti pontifld ;
ofr. L. Nicoletti, op. dt — 121. U quel
loco eco. Io rissi nel monastero di Santa
Croce col nome di Pietro Damiano, e in quella
di Santa Maria in Barenna col nome di Pietro
peccatore. Cosi, leggendo fui nel r. 122, in-
tendono, salvo alcune lievi dliferenze secon-
darie, Benr. e Buti, e dietro a loro parecchi
moderni; ma a questa interpretazione d op-
pongono due gravi difficoltà: 1' una che Pier
Damiano chiamare sé stesso peccatore prima
ancora di abbandonare il oonrento di Santa
Croce, come appare dalle sue lettere ; l'altra,
che il oonrento rarennate di Santa Maria fa
fondato solo nd 1096, dopo la morte di IvL
Leggendo Inreoe /te nd r. 122, Lane, Ott.,
Oass., An. fior., e la maggior parta dd mo-
derni intendono òhe Q santo parli, non di s6,
ma di Pietro degli Onesti xacrennate, nato in-
torno al 1040 e morto nd 1119, il quale an-
che ta detto a sno tempo Pietro peooatoie.
La questione è assai fòrte : ma l'antoiità dd
testi che portano /Wi, 1a riproradone e^li-
dta che Benr., molto bene informato deUe
ooee di Bomagna, fa della seconda latanne-
tadooe, l' inopportunità ohe Pietro Damiano
a questo punto dd suo discorso parli d' un
altro Pietro come per correggere un errore
ohe fòsse comune d tempo di Dante, l'im-
posdbilità che a correggere tale enoie egli
usasse parole equiroohe, sembrano regioni
sufflcenti per preferire la prima interpreta-
dono. Oon la qude le parole dd santo s* hanno
a intendere oon dieoresione nd eeneo ohe,
mentre a Santa Orooe egli era eoUto i^pel-
lard Pietro Damiano, nell' ultimo periodo della
sua rita, dimesd gli dti offld eodesiastid,
preféif di chiamard Pietro peccatore. Pstru»
peocator wmaeku» portano la maggior parta
delle lettere del Damiano; ma anche il aolo
nome (lib. m, 8, 5, ir 2, 6), o altri titoU d'u-
miltà, come OkrisH t&rvonm fàmuki» (n 19),
indigmta (i 1), uttitmu tnmiiamm (m 2) o
monaohorum (ir 6) eoo. La questione è stata
di recente assd dibattuta, ma senza risultati
podtiri (cft. Bua. m 16-19, VI 75-77). —
122. nella easa eoo. nella chiesa di Santa
Maria in Porto fuori presso Barenna. Questa
chiesa, ndla quale è sepolto Pietro degli
Onesti, con un epitafto che oominda : e Hio
dtus est Petrus peocans oognomine diotoe.
Cui dedit hano aulam meritorum oondere Chzì-
stus », fti da lui edificata nel 1096, e deeti-
nata a sede dei Canonid regolari da lui ri-
formati con nuore disdpline ; ma nel luogo
stesso, o iri presso, come r' ò un* antichis-
sima torre anteriore di certo al 1096, cos{ ri
era la piccola chiesa di Santa Maria in Fos-
sella, ore Pietro Onesti dimorò durante la
costruzione della nuora diiesa e ore poterà
qudche anno prima esser rissuto endie Pie-
tro Damiano (cfìr. A. Tarlassi, àbmané taen
di IZotumna, Bar. 1852, p. IBS). L' ipoted
ingegnosamente sostenuta da O. Mercati, 1\#-
tro Psooaton ecc. Boma 1895, che per questa
easa di Nostra Dorma si debba intendece San-
ta Maria di Pomposa, 079 è certo die dimorò
il Damiano, non finisce di piaoemd, per^6
mi pare che in questi rerd sia da saTTiaare
un ricordo tutto rarennate, anche se non sto-
PARADISO - CANTO XXI
749
Foea vita mortai m' era rimasa,
quando ftii chiesto e tratto a quél cappello,
126 che pur di male in peggio si travasa.
Venne Ceplias, e venne il gran vasello
dello Spirito Santo, magri e scalzi,
129 prendendo il cibo di qualunque ostello.
Or voglion quinci e quindi chi rincalzi
li moderni pastori, e chi li meni,
132 tanto son gravi, e chi di retro gli alzi.
Copron dei manti loro i palafreni,
si che due bestie van sott' una pelle :
136 o p^enza, che tanto sostieni ! »
A questa voce vid'io più fiammelle
di grado in grado scendere e girarsi,
138 ed ogni giro le fieuìca più belle.
Dintorno a questa vennero e fermarsi;
e fero un grido di si alto suono
rtcamente eeattlnimo. — 124. Poea Tito eoe.
Pochi anni snoon mi rimanevano di vita,
allorché M chiesto e nominato contro mia
voglia alla dignità oaidinalida, che si tra-
mnta solo di male in peggio, paaaa da cattiTi
* peggiori ecclesiastid. — 125. eappello:
il oiyipéUo dei cardinali, insegna della loro
dignità. L' espressione dantesca si doTO in-
tendere con diaoresione; poiché l'nao del
cappello cardinalizio cominciò solamente più
tardi, sotto Innocente IV, Terso il 1262 (ofr.
BuU. VI 48). — 126. che par di male ecc.
« imperò che se l' nno cardinale ò rio, l'altro
che segnita poi è peggiore >; ooei il Bati, e
il giudizio ohe Danto pone in boooa di Pier
Damiano risponde al toio, poiché molti te-
xono al tempo del poeta o poco prima i car-
dinali macchiati dei peggiori Tizi, spedalmento
d'sTarizia {Inf, tu 47) e di simonia (Inf. za
1). * al tniTiaa: Bot^. p. 266 : c Qoesta
Tooe è molto piana, e qui ha il ano signifi-
cato proprio e ftwile, ehéHfmitad'unoinun
aUro, ma muipn di mak inpeggiOf come dicera
la vecchia siciliana: che travatar» ò nmtan
d*tm 9090 in un aUro >. — 127. Tenne ecc.
San Pietro e san Paolo, apostoli, Tìssero nmil-
nente, magri é aealxi, senza ingrassare per
ghiotti dbi e senza lasso di Testi, prendendo
quel cibo che era loro offerto ore si troTa-
Taao ad alloggiare. — Cephaa i ò il nome che
Cristo Impcee all'apostolo Pietro; e significa
Pietro (fMfm), mentre il primo nome di lai
tra Simone (oCr. Oioranni i 42). — Il gran
eec r apostolo Paolo, vaa d'tUxiom (ofir. Inf,
n 28). ^ 129. prendende eoe. È rimembranza
del prscetto OTangelioo (Paolo, I Epist. ai
Oor, X 27) : < S se aloono degli infedeli Ti
ehiaauk e volete andarri, mangiate di tatto
ciò che T* è posto davanti, senza fan» som-
polo aloano per la coscienza » . Aggiunge rott :
e Ha li pastori di questo tempo non sono con-
tenti di seguire colerò se non nel nome, e
Togliono di più imbandigioni, ed essere me-
nati e sostenuti». ~ ISO. Or TOgllom ecc.
▲desso gli ecclesiastici, tanto ò il lusso in
cui TiTono, Togliono avere chi dia loro il
braccio dall'una parto e dall'altra, e chi li
porti tanto essi sono corpulenti, e persino
chi tenga loro alzato lo strascico dei pom-
posi TOstimentL Questo stesso concetto è
sTolto da Pier Damiano, OpuaoutOy zzzi 6.
— 188. Copron ecc. Usano manti cosi larghi
che bastano a ricoprire anche i loro oaTalli,
im modo che sotto una sola vesto vanno due
bestie ; Ott: « Queste lezione è chiara però
che ognuno l'ha veduto: bestia è il caval-
catore, però eh' esce fuori della regola dato
al suo vivere, ed in un luogo di ragione usa
l'appetito come la bestia ; e bestia ò 11 pala-
freno; e sono coperte ambedue d'una cardi-
nalesca ci^»pa ». — 186. e paiieasa eoe o
pazienza divina, quanto sei grande, se tolleri
queste olEésa continua alla santitii della re-
Uglone ! — 186. ▲ «nesta eco. All' esdama-
rione di san Pier Damiano molte anime beate,
per segno eh' erano anch' esse sdegnate contro
gli ecclesiastici lussuriosi, inoomindarono a
discendere di gradino in gradino e a roteare,
e ad ogni giro apparivano pi6 splendenti, per-
ché s' accresceva in esse l'ardore del senti-
mento. — 189. Dlatorao ecc. Circondarono
l'anima di san Pier Damiano e si fermarono,
e alzarono un tal grido d' indignazione, che
in terra non troverebbe rumore che lo pareg-
giasse. — 140. sB gride ecc. I beati grida-
rono vendette contro gU eocleeiastici,
''-^'^'
760 DIVINA COKMEDU
ohe non potrebbe qui aashnigliani :
142 né io lo intesi, ef mi vinse il taono.
Beatrice spiegherà or ora a Dante (Patr. xzn le loro parole, perché n grUo ai ilam • bì
18-18). — U2. me lo eoo. ma io non oompreal oppwaee di ■tenore (efr. Ar. nm 1 e aeg;.).
CANTO xxn
Continua Dante « otserrare le anime beate dei eontemplatiTÌ, e tra esse
■! fa innansi e si manifesta a lai qaella di san Benedetto ; il quale parla
prima di sé e dei suoi più fedeli segnaci, poi lamenta la decadensa dd-
r ordine benedettino. Dante e Beatrice salgono quindi al dolo ottavo, qnello
delle stelle fisse, dal quale il poeta volge uno sguardo ai pianeti sottostanti
[14 aprile, messogiomo].
Oppresso di stupore alla mia guida
mi volsi, come parvo! che ricorre
8 sempre colà dove più ai confida;
e quella, come madre cbe soccorre
subito al figlio pallido ed anelo
6 con la sua voce che il suol ben disporre,
mi disse: < Non sai tu che tu sei in cielo?
e non sai tu che il cielo è tutto santo,
9 e ciò che ci si fa vien da buon celo?
Come t* avrebbe trasmutato il canto
ed io ridendo^ mo pensar lo puoi,
12 poscia che il grido t'ha mosso cotanto;
nel qual, se inteso avessi i preghi suoi,
già ti sarebbe nota la vendetta,
xxn 1. Oppreiio eoo. Vinto dalk» atn- lootorati, l'opere TlilodaiBe Sanno ragiona
poro per il grido dei beati {Bar. zn 189 e Tilmente timore e mecaflglia >. — 9. fenea
aegg.), Dante il Tolge a Beatrioe, la ^nale solo: in Dante «afe è parola vnta nel aonao
gli tplega breromente il fignifleato del grido datole da Tomm. d' Aqn., Smmm, P. I >,
iteoBO e poi lo inTita a goardaie nn* altra qn. xzrmi art. 4: e aelna, fooenniqne nodo
Tolta alle anime himinooe della aoala aanta. ramator, ex totemlone amoda prorenlt > ;
— a. eoMO parrei eoo. come Cuioinlletto ohe onde qnl hmm tuh è l' intenao amore del
ricorre aempre per ainto e oonsigUo alla ma- proasimo, la carità, come in fWy. xza 38,
dre, in coi più confida che in altra peraona; e dritto %èlo nel fWy. Tm 88 è nn aanti-
cfìr. iWy. zxz 48-40, « 4. seme maSrt eoo. mento di rettitadine ohe accenda n«gli ani-
come nna madre òhe al figlio abigottito • mi Tirtooal nobile dladegno dalla TclgaritiL
ansioso porge pronto il soccorso della eoa — 10. Geme ecc. Qnale effetto snebbe fitto
Toce, che sad confortarlo ; è la stessa almi- in te il canto dei beati (ofr. Ar. zzi 68-68)
litodine già Toduta in Par, t 101-102, salTO e il mio sorriso {Far, zzi 4-11), ctm lo pool
che là manca il particolare della Tooe ma- concepire, nna TÌolta che 11 solo gridai» ti ha
tema. — 7. Hen sai eoo. Ta non dcTl aTer iiiktto tanta Impressione. Ott ossanra che fo^
ragione alcona di timore, da poi ohe sai sta parole e aono esposiiione e ttcUandone
d* essere in cielo e che qni tatto è santo e del perché casa non riae in qnesta ^eiaeoms
tatto ciò che Ti si opera procede dall'ardore nell'altre, e perché «pii non Iti il cantare come
di carità. Boti: cLe laogo santo, li abita- per U altri deli >. — 18. Mi osi «oc che
tori santi, l' opere piene di tatta carità tol- se ta aTcssi Inteso la preghiera Innaltati
liono ogni timore et ammiraxione; e cosi dal beati con ^ael grido, conoeceseatl già la
per contnrio lo toogo maledetto, Il aUtalod
PARADISO - CANTO XXn
751
15 che tu vedrai innansi che tu mnoi.
18
21
La spada di qua su non taglia in fretta
né tardo, ma che al parer di colui
che disiando o temendo l'aspetta.
Ma rivolgiti omai inverso altrui|
ch'assai illustri < spiriti vedrai,
se, com'io dico, l'aspetto ridui ».
Com' a lei piacque gli occhi dirizzai,
e vidi cento sperule, che insieme
24 più s'abhellivan coi mutui raL
Io stava come quei che in sé repreme
la punta del disio, e non s'attenta
27 del domandar, si del troppo si tema
E la maggiore e la più luculenta
ùak il Sii^non • che ta ad ogni modo yedrfti
prima di morlie. — 16. eke ta Ttiral eoo.
« Tatto di, ohi guata con la mento sana, il
Tede di qiieeto rendetto e giustizie dirine >,
yoira l'Ott, esolndendo cosi che Danto
aUvda ad alcun determinato avrenimento:
ma già Benr. e il Bnti, segniti dalla mag-
gior parto dei oommentatori moderni, riderò
In questo paiole nn accenno alla cattora di
Boniflasio VHI in Anagni (dir. iVy. xz 66):
altri inreoe credono che Danto allnda all'av-
▼ilimeeto in eoi cadde la corto pontiflcia
dopo il sno trasferimento in Arignone, op-
pure alla sospirato Tenuto d*un mtt$o di DiOy
Tendieatoro degli oltraggi fittti dalla lupa
alla santità della religione (cfr. Pmg, xzzn
164, zzzm 48). — 16. La spada eoo. La
«rendetto di Dio» {Pvirg, Txxm 86) non
colpisce mai troppo presto né troppo tardi,
a» non al parere di (Ài l'aspetto con timore
o con desiderio : coloro che la temono sopra
di s6 pensano sempre che Tenga troppo pre-
sto, a quelli che la desiderano sopra gli altri
sembra ohe giunga sempre troppo tardi; tanto
la passione Da relo al giudizio degli uni e
degli altrL « 17. ma eha: oftr. la noto al*
1* ^. IT 96. — 19. Ha rlTolglU eoo. Ha
abbastanza hai atteso a questo: or Tolgiti
Tsrao altri, ohe Tedrai anime di personaggi
fllnstri per santità di Tita, se sogiìrai il mio
oonsiglio. — 21. sa eom' lo ecc. se ta ri-
Tolgi la lucia agli altri beati, secondo che
ti dico io : ridui è forma poetica per rid^iei^
riconduci, riTolgi, e tatto la tna» V aspetto
ridvi è Rogato da quella del t. segnen-
to, gH oo6M dM/isaai, — 22. Com* a lei eoe
doè Torso altre anime. ~ 28. e Tldl eco. e
Tidi molto animo risplendenti, che a' illami-
narano a Tioenda con la luce propria di cia-
c ottro esser bella, osserra il Lomb.,
. poi proprio splendore, più tatto in-
o, per lo splendore ohe TioendoTolmento
al oomuioaTano» direnlTano belle ». — spa-
ralo: piccolo sfere, plccoU globi liminosi,
old aoBo lo animo beato del oontompIatiTL —
26. Io stOT» eco. Io mi troraTa nella stessa
condizione di colui ohe reprimo in s6 stesso
lo stimolo del desiderio e non ha ardire d'in-
terrogare alcuno, tanto teme di riuscirò mo-
lesto. Yentnri 276: e La simOitodine, con la
più sempUoe forma, accenna lo stimolo acuto
del desiderio, ma raffrenato dal timore ; e pa-
lesa una condizione dell'animo ohe tatti poe-
sono arer proTato >. So ne ricordò F. liberti,
Dittam, T 12: « Sospeso i* andara, oom'uom
che disfa Cosa ftm s6, e cho non la dimanda
Por tema o rlToranza cho 'n lui sia ». — 27.
si del troppo ecc. tanto tomo di riusdre
ad altri incresoerolo ; o cosi, come dice il
Fetrsrca, son. gzt, t. 11, e gran temenza
gran desiro alhona >. — • 28. 1 la maggioro
eoo. La piii grande e la più luminosa di
quelle anime beato, òhe si fa innanzi alle
altro per sodisCue il desiderio di Danto, è
quella di san Benedetto. Nacque questo san-
tf uomo in Norda, noli' Umbria, , nel 480, e
gioTinetto ancora mentre ora in Boma agli
stadi abbandonò il mondo e si ritirò a tì-
Tore in una grotto presso Subisco, segregan-
dosi cosi da tutti gli uomini : dirulgatasi la
Tooo della sua santità, 1 monaci del Tidno
oonTonto di VlooTaro lo Tollero oome insti-
tatore e ci^o, ma per la rigidità della di-
sciplina da lui introdotto tentarono di aTTole-
narlo. Allora ritornò egli alla sua grotta, doro
accorsero molti seguaci e discepoli, che dl-
stribnf in dodici monastori da lui fondati e
ordinati : poi si recò nella Campania a Ca-
sino, e abbattato Ij simulacro e il tempio di
▲pollo, che anoora tì si adoraTa, oonTorti gli
abitanti alla fede cristiana, eresse ediflzi in
onore di san Martino e di san QioTanni e
fondò il monastoro di Monto Casino, cho fb
poi il centro dell' ordino benedettino : mori
in questo oonTonto nel 648. Sulla Tito di
san Benedetto si Todano san Oregorio Magno,
752
DIVINA COMMEDIA
di quelle margherite innanEi fdesi,
80 per far di eé la mia voglia contenta.
Poi dentro a lei udi': < Se tu vedeesi,
com*io, la carità che tra noi arde,
83 li tuoi concetti sarebbero espressi;
ma perché tu, aspettando, non tarde
all'alto fine, io ti farò risposta
86 pure al pensier di che si ti riguarde.
Quel monte, a cui Gasino è nella costa,
fu frequentato già in su la cima
89 dalla gente ingannata e mal dispoeta:
e quel son io che su vi portai prima
lo nome di colui, che in terra addusse
42 la verità che tanto ci sublima;
e tanta grazia sopra me rilusse
ch'io ritrassi le ville circostanti
45 dall'empio culto che il mondo sedusse.
Questi altri fochi tutti contemplanti
:i
J)iabì$., m. H; BolUndi«tt, Atta ttmctorum
Marta, Tol. m, Fp. 374^7; G. KabUlon,
JeùM aanetonmn ord, s, ErniBdioU, leoolo i,
pp. a e s&gg., e Atmalea mUmt tamaU Bè-
fmdù^ tol. I, pp. 1.U7; L. Tosti, Storia
4i M0ni« Caattm, NspoU, 1842. — lievitato:
«fr, i^, EX 87. — 80. per fkr eoo. Dante
non aT«Ts manUbetito il reo desiderio ; ina
raolma bo«ta sa ohe egli raol oonosoere òhi
dano g\i ipiriti apparsi a Ini in qnélle eemto
tpmtk (>r. 28). — 8L St tv eoo. Se tn oo-
noscinsi^ come oonosco io, da quale spirito
dL carità noi siamo animati, manifesteresti
ILbùnuDente il tno pensiero, non arresti ti-
mois di linBoiiei moleste oon le ine domande.
— 84. non torte eoo. non indugi troppo nel
tao Tln^o, nel oonsegnimento dèi tao alto
fijiflt chi» ft di credere Dio. — 86. pure eoo.
SQlaibente al pensiero ohe tu ti sei ood goar^
dato d'ovpcne, olod alla domanda ohe avresti
Toldto f&t«, ma non hai fatta per riguardo.
~ 87. QiiH Mento eoo. n monte di Gasino
(Ut Oarinmn, piooola città delia Campania,
alla ta\àe di nn alto monte) ta già frequen-
tato ti«llA ina eima da nomini di religione
pag&Qa, ch0 Ti saliyano per adorare nel eoo
lempi^ ApoUe. Dante seguita Qxegorio Msp
goo, DiaL II 2: «Castrum, quod Oasinum
dìcLtui, Ln exoelsi mentis latore situm est
(qol Tìilollcet mona distenso sinu hoo idem
o&Etmm redpit, sed por tria milia in altom
se subrìgeas yelut ad afira oacumen tendit),
ulì TBtiLBtìHimum fanum fult, in quo ex an-
tìqi]oitiM more gentiliam a stolto mstioorum
popoJa Apollo oelebrabatur. Circamquaque
tCL tfulta. daemonum luci excreverant, in qui-
bua adhna eodem tempore infidelium insana
multitado saerifleits saorilegis insndabat ». •»
89. fento eoo. i pagani ingannati, arTolti
neU*tmtieo mrort {Par, Txn 6), e mal disposti
alla fede cristiana, perohé usati al colto tn-
disionale di Apollo. — dO. e fasi eoe. io
sono colui che portai primo in quel luogo il
nome di Cristo, il quale prediod agli uoonni
quella verità ohe tanto d reblima. Gregorio
Magno, 1. dt, continuando: «Ulne itaque
Tir Dei [Benedetto] perreniens contrtTit ido-
lum, rabTertit arem, snOcendit hioos atque
ipso in tempio ApoUiniS oracnlum Mariae
Virginia, ubi Tero ara eiusdem ApòUinis toit,
oraoulum saneti Ioannis oonstruzit, et oom-
morantem droumquaque mnltitudinem pra*>
dicatione continua ad fldem Tooabat ». — 43.
la Tsrlto ecc. la dottrina erangelioa, che
sublima gli uomini flioendoli Agnoli di Dio
(cfr. QioTanni Tm 82 e I Bpiat, m 1) ; ma
anche pud intendersi col Buti, tanto d to-
nalza che d leTa alla Tito etema del para-
diso. — 43. e tonto ecc. e la graiia del S-
gncfe mi Iti cosi largamente eoneeesa ohe io
riusdi a rimuorere gli abitanti dd paed dr-
oonTidni dall'empio eulto delle pagane divi-
nità, die già txasse le genti anttohe in erroi«.
— 45. evito : alcuni testi recano eMio, che
d ha in rima in Btr, t 72 ; ma non 0*6 ra-
gione per allontanard dalla forma fit usuale.
— 46. Questi altri eoo. Questo altre tpé-
ruUf o altre anime luminoee, Ammo tatto
di uomini dati alla Tito oontemplatiTa e ao-
ced di quell'ardore di oarito cho dispone «I
pensieri santi e alle santo operadoni. Si av-
Torto che l' imagine dell' ardore o dd fuoco
ò molto frequento nd linguaggio saero, par-
landod di sentimenti assd tìtì; cfr. iSoJto.
PARADISO - CANTO XXII
753
uomini furo, accesi di quel caldo
48 che fa nascere i fiori e i frutti santi
Qui è Maccario, qui è Eomoaldo,
qui son li frati miei, che dentro ai chiostri
61 fermar li piedi e tennero il cor saldo >.
Ed io a lui: «L'affetto, che dimostri
meco parlando, e la buona sembianza,
64 ch'io Teggio e noto in tutti gli ardor vostri,
cosi m'ha dilatata mia fidanza,
come il sol & la rosa, quando aperta
67 tanto divien quant'ell'ha di possansa;
però ti prego, e tu, padre, m' accerta
s'io posso prender tanta grana, ch'io
imi 8 : e n mio oaon ■* è ritoaldato den-
tro di hm : un f&ooo si ò aooeto, mentre io
nTTolgera qnesto nell' animo mio > ; Looa
zxiT 2SÌ : e Non ardeva A oaor nostro in
noi, mentre egli oi parlsTaper la via?» :
■i Teda anche Bar, xxxxn 7-9. — 48. 1 fiori
• I fratti lantlt Bnti: «Le parole tante
e V opere sante, imperò ohe dal caldo de
l'amore dÌTÌno rione lo bene dire e lo bene
operare > ; ma meglio forse i fiori sono im»-
gine d^ pmtier tanti {Par. xz 16) che pxe-
eorxono e dispongono agii atti, come il flore
al frutto. — 49. <^1 è eco. Qui con me sono
Kaooario e Bomoaldo e qoel frati del mio
ordine che si tennero strettamente alla vita
monastica e rimasero costanti nella contem-
plazione. — Haecftrlo: san Maocario Ales-
■andrino, discepolo e seguace di sant'Anto-
nio, fa ano dei più efficaci promotori della
vita monastica in Oriente e ne dettò la re-
gola: mori nel 404. Si avrerta di non con-
fonderlo, oome fanno alcnni interpreti, con
afm llaocario egiziano (800-891), discepolo
aooh' esso di sant'Antonio ed eremita nei de-
serti della Libia ; poiché Dante qui ha voluto,
■ombra, oongiungere in nn solo verso il ri-
cordo di dne grandi institatori della vita
Monastioa, Tutto in Oriente e l'altro in Occi-
dente. — Bomoaldo : san Bomoaldo da Ra-
renna, il quale nacque intomo al 966, in-
stitai verso il 1018 l'ordine dei Oamaldoleei
fondando il fiunoso Eremo di Oamaldoli in
Toscana (cfr. Airy. v 96), e mori famoso per
santità e per miracoli nel 1027; si cfr. la
biografla sorittane da Pier Damiano, Opero,
ToL n, pp. 206 e segg., e il Mabillon, Ada
acmeL ord, §, Bmed.^ sec vi, voL I, pp. 247
e segg. — 60. U frati miei ecc. i frati be-
nedettini, ohe vissero nei conventi, alieni da
ogni cura mondana e fermi nella contempla-
xi<me divina; diversissimi da quelli dei tempi
presenti, che hanno abbandonati i monasteri
per gli alti offici della curia romana e atten-
dono ad opere mahrago (cfr. w. 76-78). —
Damvm
62. Bd Is a 1«1: Dante, incoraggiato dalle
parole di san Benedetto, si fa ardito a chie-
dergli la grazia di mostrarglisi scopertamente,
non avvolto dalla luce che lo circonda (w.
62-60); ma il santo ^ dichiara che questo
desiderio ò intempestivo e potiA esser so-
disCitto solamente nell'Empireo (tv. 61-69),
Si noti una certa somiglianza tra la sitoa-
zione di Dante innanzi a san Benedetto •
queUa di Mese sol Monte Sinai (ESiodo xzzm
18-20): e Moisè disse ai Signore, Deh, ftumni
veder la tua gloria. E il Signore g*i disse,
Io tuo passare dinanil a te tutta la mia be-
nignità, e griderò il nome del Signore da-
vanti a te : e tuo grazia a ohi vorrò Ui
grada, ed avrò pietà di òhi vorrò aver pietà.
Ma gli disse, Tu non puoi veder la mia fiio-
cia : per ciò che l' uomo non mi può vedere,
e vivere ». — 68. la bioaa eoo. l'aspetto di
benevolenza che mi dimostrate con U vostro
vivo fiammeggiare. — 66. M'ha dUaUta eoo.
ha allargato nell'animo mio Q sentimento di
fiduda in voL — 66. eeme il sei eoo. oome
il sole fa dilatare la rosa, quando ossa sotto
i ragff sdail si apre tanto quanto vuole la
fom naturale. Leggiadra similitudine, ohe
ricorre spesso nsi poeti nostri e che liooida
queUa del CbfivMo iv 27, ove 6 detto che
nella matura età e oonvienai aprire V uose
quasi oom' una xoea ohe più ohiusa stare non
può, e l' odore, eh' è dentro generato, span-
dere». — 68. feiè eoo. perciò ti prego, e
tu accertami se io sono degno di tanta gra-
zia, che tu ti mostri a me soopertamsnte,
senza l'involucro della luce. Di questo dssi-
derio di Dante il Boti dà una spiegaaiotte
allegorioa, ohe forse ò troppo sottile, dioe»-
do: e imperò ohe li contemplativi pensane
tutte le alte cose di Dio, oontsapliuido la
creatura s'innalzano a contemplare U crea-
tore, e perohò l' anima umana ò fatta a si-
mUitudine sua, però hanno il desiderio B
contemplativi di vedere l'essenzia dell'anima
umana più di ninna altra oosa creata: e pese
754
DIVINA COMMEDIA.
_^
60 ti yeggia con imagine scoperta >.
, Ond'egli: € Frate, il tuo alto disio
s'adempierà in su l'ultima spera,
63 dove s'adempion tutti gli altri e il mio:
iyi è perfetta, matura ed intera
ciascuna disianza; in quella sola
66 è ogni parte là dove sempr'era,
perché non è in loco, e non s'impela,
e nostra scala infino ad essa yarca,
69 onde cosi dal viso ti s'invola.
Infin là su la vide il patriarca
Giacobbe porger la superna parte,
72 quando gli apparve d'angeli si carca.
Ma per salirla mo nessun diparte
da terra i piedi, e la regola mia
75 rimasa è giù per danno delle carte.
Le mura, che solcano esser badia.
finse r autor» ohe tale pensioTO gli Tonisae
in qneito laogo». -> 61. Frate: efr. Par,
m 70. — 62. la ti Paltlma eco. neUMiltiiiio
oielo, l' Empireo, mi quale sono tatto le ani-
me beate: tra esse Dante oontemplerà ap-
punto r anima di san Benedetto (ofr. Bar,
zzzn 85). — 68. de?e eoo. tatti i desidert,
e anohe il mio di sodisfkrti, si adempiono.
Non mi pare neoessaiio ordinare ool Lomb.:
e .FVofs, firatello, <l Ilio otto diiiOf di roder
me eon imagim «ooMrio^ s '< mio, di oom-
piaoerti, t'adtmpkà in «u VuUima tperoy nel
dolo empireo, cm «* adampiom Mtf gU aUri
deddert»; poiché è manifesta la oonTonienza
e ooordinadone delle parole UUU gii aUri é
il mìo, che tntte insieme, significando i desi-
dert dei beati, vengono a essere in antitesi
con il tuo aito diiiOf che esprime il desiderio
doll'oomo mortale. ~ 64. ItI eoo. nel dolo
Empireo dascon dedderio è perfetto, mataro
e intero : perfetto, in quanto Dio, somma
perfezione, ne è l' oggetto ; maturo, perché
non è più intempestiTo, ma reso opportuno
dai meriti precedenti di ogni anima; e in-
tero, perdié esaudito da Dio interamente,
senxa alcuna restrizione. — 66. In f «ella
eco. solamente nell'Empireo le parti non mu-
tano mai di posto, restano sempre ore era-
no ; accenna cod all' immobilità di qud ddo,
ofr. Inf. n 21. — 67. ^rehé ecc. perché non
d collocato in alcun luogo, non ò contenuto
da luogo, come gli dtri nove ddi, e non
è fermato sopra i poli, intomo d quali gi-
rano le sfere; cfr. Oano, n 4: e Questo d il
sovrano edificio dd mondo, nd qude tutto
il mondo s'indiiude, e di fuori dd quale
nulla ò in luogo, ma formato Iti solo ndla
prima Mente >. — 08. e aestra eoo. e que-
sta nostra scala (ofr. Bar, td 28-80) giunge
sino all'Empireo, e perdo la sua dma sfugge
alla tua vista. — 69. vlse : cftr. Inf. tt U.
— 70. Infln eco. Infino all' Empireo la vide
innalzare la sua dma il patriarca Giacobbe,
allorchó nd sogno questa scala gli apparve
piena di angeli che salivano e scendevano ;
cfir. il racconto biblico nella nota d Btr, xn
28. -^ 78. Ha per eco. Ma adesso nessuno
d stacca daUa terra per salire alla dma della
scala, eioò nessuno d spoglia delle terrene
pasdoni e abbandona le cure mondane por
raooogllerd tutto ndla vita contemplativa.
^ 74. e U regola eco. e la regola della re-
ligione benedettina fondata da me, le nonne
oh* io detti d fhiti mid perché serbassero
sddo l'animo alla contemplazione, ò rimasta
senza frutto, a consumare inutilmente le
oarte che bisognano a trascriverla. Benv.
racconta a questo punto dò che accadde d
Boocaodo, andato a vidtare il monastero di
Monte Gasino: ove trovò la biblioteca a-
perta e disordinata, e l libri pretiod che
contenevano le opere degli antichi mancanti
di itadti fogli, che 1 monad ignoranti ave-
vano ritsgliati per fsme saltari per i ragazzi
e brevi per 1 credenti. Ma Dante, senza pen-
sare a questo, volle significare con un* im»-
gine vigorosa che la regola benedettina era
ormd d suoi tempi derelitta, d ohe 1 frati
dell'ordine la seguivano edamente di nome.
— 76. Iie Mira ecc. I oonventi che solevano
essere luoghi di santa vita sono diventsti
nidi di mdvagità e di licenza, e sotto le ve-
sti monacsli stanno gii uomini pi& viziod e
turpi. San Benedetto lamenta in modo jaxii-
oolare 1* inosservanza della regola, per cui i
sud ficati abbandonavano ftwtllmente 1 i
PARADISO - CANTO XXH
755
fatte sono spelonche, e le cocolle
78 sacca son piene di fieunna ria.
Ma graye usura tanto non ai tolle
centra il piacer di Dio, quanto quel frutto
81 che & il cor dei monaci si folle;
che, quantunque la Chiesa guarda, tutto
è della gente che per Dio domanda,
84 non di parenti, né d' altro più brutto.
La carne dei mortali ò tanto blanda
che giù non basta buon cominciamento
87 dal nascer della quercia al £ur la ghianda.
stMi per oocnpw» gli aiti oiBot •cetoriirtifli,
• le aiiikldmil tnxwie per osi «mno distolti
dalk Tita oonteaplatiT»; ai oAr. dA ohe in
propoelto ioriyvvm, a meno il aeoolo zn, Fie-
tzo di BkàM^EjpitLixwmi «Kfaooataa eet
oboedientiae ingvm, in qna erat unica epos
salatis, et piaeraxioatloniB antlquae reme-
dima. Delostantar àbbatee babere fionim
oxceMnam ooneotocem, ragam impnnitatia
Ueentiam ampieotontor, oianataliaqiie mUi-
tiae ingom relazant in omnem deddeili 11-
bertatem. Bino eet quod monaetaiioram fare
oaniwn iSMoltatee datae lont in direptionem
•t pnedam. Nam abbatea eocterins ooram
candain deaidecUa agonti non onranteo, dnm-
Bodo lente e]^lbeantar, nt ilat pax in diebna
eonim: danstralee Tero, tamqnam aoepbali,
otio racant et raniloqoio : neo enim piaeai-
dem babenti qnl eoa ad fhigam Tltae melioiis
laeliBet. Quiàai tnmaltnoaaa eonim oonten-
tionee andiretia, elanatram non mnttom dif-
fene oredaretla a foro >. — 77. flette eene
eoo. Locozione frequente nella Bibbia (Oe-
zemla ^n U, Matteo zzi 18, Lnoa ziz 46
eoo.), In quale piacque anobe ai Feteroa,
oansone ti, 7. 48, dei tem^ cobo fAr già
ai derotl, ed ora in gnena Qnaai spélnnoa
di ladron aon fiotti ». ^ e le eeeelle eoo.
Boti : e Le oi^pe de' monaci, obe ai obiar
mano vimìk [ett. Bar. a 78],. .. aon piene
di malrage anime e peooatrioi, piene di mali
pannltT* e di mala Tohintà. S come della
mala farina esoe male pane,ooai de le male
Tofamtadi, obe eono nei monaci, eaoeno male
operasloni; li quali monaol per Tabbondan-
iiA dei beni temporali diventano oiloei e tì-
noti ». — 79. Ha fra?e eoo. Ma la più grave
mraxa non cOende tanto In difina bonti^
quanto l'effonde 1* abuso delle rendite eode-
yfa^^h^ o]i0 trarla l'animo dei monaoL Dante
ùk ano e fToIge un oonoetto aooennato in una
decretale del papa Aloaaandro m, ore ti
legge ohe « quod monaobi, abbatea et piiores
aoeipiunt, gràrlus eet uaura > ; parendo al
poeta, eoBO ad altri iud oontampoianei, ohe
il peooato dell'usura, girnviisifflo perché con-
tre Die (ofiN 3i/: s d7 e eegg.), 'oom pur
aenpce inteioie a quello dei aaoecdotl e frati
ohe ai iq^propriaTano le rendite eeoleaiaetiobe,
decima§ qmi$ §mU pofupmm Dd {Par, zu
98). Gfr. U proposito il D'Oridio, pp. 608 e
segg. « nen al iaUet non al olerà; la frade
è spiegata dalle parole deU' 31/: ZI 96: «sm-
m offèndè la dMns boitiadé. — 80. «nanle
fnel eoo. quanto U frutto delle elemosine,
reddito delle chiesa eoe. ohe. Tolto a parti-
oolar Tantaggio, guasta l'animo eoo. Questo
è il senso piano delle parole di Dante, intor-
bidato dal Lomb. ohe ToUe spiegare: «quanto
quel reo frutto ohe il cuore de' monad ti
folte, si imperrertito, fu, produce >, e fri al
solito seguito da più altri oommentatorL —
82. ehd, «nantunqie eoe. poichó tutti i red-
diti, dei quali la Chiesa ha la custodia, sono
proprietà dei poTcti, non già dei parenti o
dei flgUuoU deiaaoerdoti e dei fratL Dice U
Lana: « L' aTere che possiede la Chiesa si
ò di poTeri e limosinaiiti, e non delli parenti
dei pastori né di (éomiine di mondo, che è
più brutto: onde è da notare che non senxa
peooato li pastori eodesiastioi UM^te fiate di-
stribuisoono U beni della Chiesa a' proprii
parenti o in disordinato modo > ; ore è da
aTTortlre ohe le parole oUro pfA brutto sono
prese prima come un'allusione alle lémmine
protette dagli eoolesiasticl, e dopo come e-
sprossione generica del dttordinato modo di
distribuire i proTonti della chiesa: credo ohe
se in queste parole è un accenno particolare
aia quello dal figlinoli naturali, perohé l'olirò
è logicamente legato con parónU, e il poeta
direbbe: ai loro parenti legittimi ed illegit-
timi, cioè ai figliuoli, ai quali dando le ren-
dite eoelesiastiffihe oongiungono a un' offesa,
un' ahra ancor più grave. — 86. La cane
eco. Oli uomini sono cosi facili ad arrendersi
alle lusinghe delle ricohezse che nel mondo
una buona regola, data da un istitutore di
ordini religiosi, non dura che brevissimo
tempo. — 87. dal naseer ecc. dal momento
in cui la quercia nasce a quello in cui è'ca-
paoe di produrre la ghianda, ò per lo più lo
spario di Tonf anni ; ma qui ò poeto generi-
eamente per dire un breve periodo di tempo.
756
DIVINA COMHEDIA
Pier cominciò sens' oro e sensa argento,
ed io con oramoni e con digiano,
90 e Francesco nmilmente il suo convento.
E se guardi al principio di ciascuno,
poscia riguardi là doy'ò trascorso,
9B tu yedend del bianco fatto b>uno.
Veramente Giordan yolto è retrorso;
più fii il mar fuggir, quando Dio volse,
96 mirabile a veder, che qui il Boecorso >.
C<MÌ mi disse, ed indi si rìcolse
al suo collegio, e il collegio si strinse;
99 poi, come turbo, tutto in su s'accolse.
La dolce donna retro a lor mi pinse
con un sol cenno su per quella scala,
102 si sua virtù la mia natura vinse ;
né mai qua giù, dove si monta e cala
— 88. Pier ecc. Ogni institosione crintiMiii
cominciò senaa rlcohezie; e nn Pietro di-
ceva : e Io lion ho n6 oro né «igeato > {FaM
dtgK Ap. m 6); san Benedetto iniriò l'opera
ina oon oiadoni e diginno; lan FranoMoo
poae a base della eoa nugola la profeesioBe
di umiltà e di povertà (ofr. Ar. zi 87). —
91. M gsardl eco. te paragoni U x»minoia-
mento d' ogni cristiana institiBione col avo
stato preeentOi vedrai ohe ogni bnon prin-
cipio i* ò cambiato nelT abnso e nel viiio
opposto : i pontefici e i prelati, invece di ae-
gniie r esempio di san Pietro, sono tatti in-
tenti a raccogliere grandi tesori ; i benedet-
tini vivrmo disordinatamente, senza eorazai
pld della preghiera e dei diglani ; i france-
scani, deposta Tomiltà antica, sono divenati
saperbi e contendono tra di loro per gli agi
mondar*. — 94. TeraMente eoo. Dei nostri
institoti religiosi si paò ben dire come del
flome Giordano, ohe camminano a ritroso,
non tegooDO la via additata dai loro fonda-
tori ; ma non ò impossibile il rimedio se lo
voiriL quel Dio ohe deUa eoa potenza die
prova più meravigliosa, fìftoendo si ohe on
fiume fuggisse il mare, corrosi s oon le acqoe
verso le soigentL Qoesto mi sembra il senso
della terzina, tanto tormentata dagl' inter-
preti; nella qoale, cosi intendendola, è svolto
con la efficace e imagjnosa parola, ohe ò
sempre propria di Dante, on concetto giu-
stissimo e logicamente connesso coi preoe-
denti, poiché Timagine saggerlte ai poeta
dal còrso insolito del CHordano lo trae nata-
ndmente all'idea della potenza divina che saprà
pqrre on rimedio efficace ai mali dell% chiesa,
anche se sembrino inoarabili agii aondni oo-
nmnL Questa interpretazione fu data già dal
Batl e dal Land., ma tra i moderni non
ebbe fortuna, essendo prevalsa una lesione
un po' diversa:
trono Pfé ftt, é U mot fvggkr, qmmio Dio
volu eco. ; oon la qoale, a oomincian dagU
antichi Lana, Benv., Gass. fino ai pi6 zeesaÉi
interpreti, Ges., Tomm., Bianchi, Frat^ Andr.,
Yentarl 688, Scart. eco., s'intesero aensaasH
due IMti, quello del fiame Giordane al pss-
saggio del popolo d' Israele guidato da Gksaè
(Giosuò m 14-17; cfir. Saim, oxiv 8: «il
Giordano si rivolse a ritroso »), e qasUo dal
Mar Bosso, al passaggio degli Ebrei guidati
da ICosò {Eaodò zxv 21-29). MiBor ftntna
ebbe la lezione Vommmio» Qioràcm edte fv-
tnoo Pi&fu il mur fuggkr eoo. aooolta dal
Yen., Lomb., Costa, e spiegate: « Veraiaante
fti pifi mirabU a veder Giordano, mito »•
troso ftigfir il mare, quando volse Dio, ohe
qui il Boooorso; volendo inferire ohe maggior
miracolo fti a veder tornar questo fiume a
dietro, ohe non sarà a veder il soooosso die
verrà da Dio per rimediar alla soelteKata vtta
de' religiosi». — 97. edladleccedili
ove era, vioino a me (ofr. v. 29), si riusi
alla sua compagnia ; e la compagnia ai strinse,
poi riaalf roteando come un turbine. — 98.
eonegio: è ftequente in Danto sei eenao
generico di riunione di persone, di anfana
(cflr. Inf. zzm 91, Pmg, zxvx 129, Ar. xxc
110). — 100. La delee eco. Bestzioe oon un
cenno spinge Dante su per la scala dietro a
quei beati spiriti, e cosi egli saie con rapi-
dissimo movimento di asoensioiie all' ottavo
cielo, queUo delle steUe fisse. — 102. sf asa
vlrttf eoe tanto U vlrtd di Beatzioe, ohe
mi traeva in alto, vinse la mia ocapocea na-
tura, che mi traeva al basso. — ijOB. me mal
eco. sulla terra, ove i movimenti di aseee-
ùone e di discesa si Hanno sempie oon omsd
naturali, non tu mai moto oosi afido che
petsase esser paragonato al mie veto» ihlte
PARADISO - CANTO XXn
767
naturalmente, fa si ratto moto
105 ch'agguagliar si potesse alla mia ala.
S'io tomi mai, lettore, a quel devoto
trionfo, per lo quale io piango spesso
108 le mie peccata e il petto mi perooto,
tu non avresti in tanto tratto e messo
nel foco il dito, in quanto io vidi il segno
111 che segue il Tauro, e fui dentro da esso.
0 gloriose stelle, o lume pregno
di gran virtù, dal quale io riconosco
114 tutto, qual che si sia, lo mio ingegno,
con voi nasceva e s'ascondeva voseo
quegli eh' è padre d' ogni mortai vita,
sotto r impulso di vnA forza sopranatorale.
Dì qaMt» aimilitadino noto il Vwitoxi 485:
« 8dto il poste con Beatrtoo al dolo doU»
stalla fliM ; e queste Moensione egli spiega
con vna simiUtadiiio lerate anch' essa dal-
l' idea del toIo; bene appropriate, in quanto,
nadto fbor de' pianeti, ei mnoTO al dolo
stellato pel oampi sabliml della oontempla-
zlona ». — 106. S^o tarai eco. CùkL io possa
tomaza a Tederò lo steto delle anima beato,
al santo trionfo dell'anima, per col lo spesso
piango i miei peccati e ne teodo panitensa
ace. — Iettare: queste è l'ultima Tolte oha
il poate si liTolga al lattoza, ed ò quad oon-
gado cb'egU prende prima di Teniza a trat-
tare della parto più sublime del suo argo-
manto. Oli altri luoghi nd quali Danto d
rtTolga al lettera sono in Inf. Tm M, xn
128, XX 19, zxT 46, tjoxv 28, Airy. Txn 19,
IX 70, X 106, xm 1, txtt 98, xxzi 124, xxxm
lae, Bkt. y 109, X 7, 22. — 109. tu non eoe
non arreiti messo e tratto il dito dal fuoco nd '
bzara spedo di tempo che io Tìdi la costoUado-
na dei Oemdli e fui dentro in essa. Venturi
486 : < La cderite dell'ascendono è espressa
Odi una dmilitudine non meno semplice die
originale. Si noti come il poeto dice prima
fratto, a pd masso, il dito. Non è senza aT-
Tadimento queste inTersione di atto nato-
tale, perdio egli è ood istantaneo che il
prima e il poi sono un punto solo ». — 110.
U segna eco. H segno odesto, la costolla-
ziona oha Tiene dopo quella dd Tauro (Airy.
xxT 8) è quella dd OemellL Nd Terd segg.
Danto dà la ragione per cui entrando nd
delo delle stollo Asse d trorò in queste oo-
stolladone. — 113. 0 ylorlase ecc. 0 stelle
dalla ocetollarione dd Gemini (ofr. Pitrg. it
61X piena deDa Tirtd ohe dispone gli uomini
allo studio, io nacqui in tempo che toì era-
rato congiunto col sole, e quando entnd nel
aldo itdlato mi tzoTd nella parto da vd
ooonpate: questi legni della Toetra benefica
influenza sopra di me m'inducono a invo-
care il Toetro duto ora ohe darò trattare
della più atto materia dd ndo poema. —
118. di graa Tlrti t secondo le dottrine a-
strologiche, la ccstelladone dd Oemini di-
sposa gli uomini alla oognidone sdentifloa;
e queste è la grtm 9krtù attribuite da Danto
d segno sotto la cui influenza egli ara nato :
e è da sapere (dice il Lana) dia 1* autore
Tuda mostrala ooma le seconde causa, doò
le influenzie dd ddo, li oonlerìno sua di-
spcsidoni ad essere adatto a sdenda litte-
nJe, per la quale sdenzia dio allegorizzan-
do Óte tde Tiaggio ; die, d come ndli Intxo-
duttorii d di AlhnmsTar come di Aloahis in
Astrologia chiaro appare, Gemini d è casa
di Mercurio, lo quale d è significatora di
scrittura e di sdenzia e di oognosdbilitade,
a parò, secondo la sdenda od arto preditta,
odui òhe ha Oamini par ascendento d ò in-
gegniero e adatto a sdenzia litterda, e mag-
giozmanto quando lo sole d trova essera in
esso segno >. Alcuni credono che d beneflco
influsso dd Gemini Danto Tolesse alludere
anche con to pardo dell'In^, xr 66-67, xxn
28; a per il secondo passo ò assd probabile,
ma per il primo non ò necessario ammettorio.
— dal f naie eco. Olroa l'influsso degli astri
nd dispone gli animi a determinato opera-
zioni ofr. Purg, xn 78. — 116. aon Tal ecc.
il sde sorgOTa e tramontova con Td allor-
oh6 io reqdnd per la prima vdto l'aere to-
scano, allorohó io nacqui. Secondo le dottrine
astronomiche d' Ipparco, seguito nd medio-
ero, l'entrate dd sole nella costoUadone dei
Gemini accade il 21 maggio : Danto dunque
sarebbe nato nell'ultima decade di questo
mesa (ofir. 0. Zanotti Bianco, SuWtpoea dilla
naaotta di DanUy Torino 1900, e BulL Vm
268) 0, come alcuni credono, nella prima
metà di Giugno (cfr. F. Labruzzi, Quando
naoqué DanU? nd iVqpiynatora, a. 1879,
ToU X, p. U, pp. 6 e sogg.). — 116. quegli
eoo. il sde che vÌTifioa totto le cose, eser-
dte la sua influenza su totto le cose creato:
..•l.Jl" ■ ^
tss
DIYIKA COMMEDIA
117 qnand* io senti* da prima 1* aer tòsco ;
e poi, quando mi fa grasia largita
d'entrar nell'alta rota che yi gira,
120 la yostra reg^on mi fa sortita.
A voi deyotamente ora sospira
l'anima mia per acquistar yirtute
128 al passo fòrte, che a sé la tira.
< Tu sei si presso all' ultima salute,
cominciò Beatrice, che tu dèi
126 aver le luci tue chiare ed acute.
E però, prima che tu più t'inlei,
rimira in giù, e vedi quanto mondo
129 sotto li piedi già esser ti fei ;
si che il tuo cor, quantunque può, giocondo
s'appresenti alla turba trion&nte,
1S2 che lieta vien per questo etera tondo >•
Col viso ritomai per tutte e quante
le sette spere, e vidi questo globo
185 tal ch'io sorrisi del suo vii sembiante;
e quel consiglio per migliore approbo
che l'ha per meno; e chi ad altro pensa
188 chiamar si può veracemente probo.
etr. Dmv, m 12, IT 28 e anche Tomm. d'Aqo.,
5wwjm,, P. n >•, qn. XLvn, art. 6. —118.
Ivan da eco. aUorohé per fn^f^ dlTina ascesi
si elei» stellato, col quale voi droolate, mi
fn dato in sorte di aniraie proprio in quella
parto che voi occupate. — 121. k Tol eoo.
Ferdò adesso il mio pensiero s' innalza de-
Totameate a voi, per ottenere quella Tirtd,
q afilla forza dell' ingegrno che mi bisogna a
dfiSOiiTfire r ultima parte della mia peregri-
Ttazione per i cieli. — 123. al passe ecc. a
snpom^ la difficoltà, che ora assorbe tatta
la forza della mia mente; cfr. J%r. x 26-27.
^ 1^. Tu sei ecc. Tu sei ormai cosi vidno
A Dio, che la toa yista deve esser sicura e
potente ecc. Che l' %Mima aalute sia Dio (e
non La visione finale, come spiega il Lana,
uà r Empireo come rogliono i più dei mo-
derni) diiaro appare dal Pctr. rxxui 27. —
136. In si tue eco. gli occhi non impediti da
alcun Telo e capaci di penetrare sino alle
04«e piti profonde ; allegorioamente poi è da
intendere col Buti : e le lud mentali cioè la
TTi^one e lo intelletto ; éhian ciod non tur-
bato da passione, ed aeuie cioè sottUi a di-
icomero e vedere le viltà del mondo ». —
127. prima occ. prima che tu arrivi al oo-
sp^^tto di Dio, prima che tu giunga ali* ul-
tìnui a&luto : il vb. inleiarai ò foggiato sul
pronome personale M, come i slmili vb. in-
contiad in Pcar. ce 78 e 81. — 128. vedi
eoe. osserva quanta parte di mondo è quella
sulla quale, guidato da me, tu ti sei solle*
vato. L'idea di questo sguardo geBerala volto
dal dolo stellato ai deli tottoetantl tu cer-
tamente suggerito a Dante dal lObaiiifni 8oi-
pioni» di Cicerone, eap. m-VL — 130. gf «àe
ecc. affinché il tuo onore, xallegniidod quanto
^i6 potrà per questa ascensione, si mostri
giocondo alle schiere trionfati ohe lieta-
mento vengono verso di noi In questo dolo:
accenna al trionfo di Cristo, che or oxm ap-
parirà a Dante {Bar, zzm 19-46). — 132.
per f lesto eco. per questo ddo delle stalle
fisse. — 138. Col viso eco. Con la mia vista
guardai uno dopo l'altro i setto cieli già per-
corsi, e vidi la terra nostra cosi piooola al
confronto degli altri pianeti, die io aonSd
della sua vile apparen»; ofir. Gicerooe, L
dt. : e lam ipsa terra tta mihi parvm visa
est, ut me imperii nostri poeniteret ». — ISS.
quel eeniigUe eco. rioonoeoo come ndgllor
giudizio quello che fa minore stima della
terra, e veramente buono ò quell' uomo che
non pensa alle cose terrene e d volge tutto
alle cose odestt Cloerone, L di. : « 81 tibi
[sedes hominum] parva ut est videtor, haeo
coelestia semper speotato, Illa umana con-
temnito ». — 188. yrobo: come frtèUaU la
I\Krg, vn 122 significa la virtd, ooel fttibo
equivale a virtuoso, buono, die oongiuage
il senno e la rettitudine ; su quest' uso di
PARADISO - CANTO XXH
759
Vidi la figlia di Latona incensa
senza quell'ombra, che mi fa cagione
141 per ohe già la credetti rara e densa.
L'aspetto del tao nato, Iperione,
quivi sostenni, e vidi com* si move
144 circa e vicino a lui Maia e Dione.
Quindi m'apparve il temperar di Giove
tra il padre e il figlio; e quivi mi fu chiare
147 il variar che feumo di lor dove.
E tutti e sette mi si dimostrare
quanto son grandi, e quanto son veloci,
150 e come sono in distante riparo.
L'aiuola che ci fa tanto feroci,
volgendom'io con gli etemi Gemelli,
tutta m' apparve dai colli alle foci.
154 Poscia rivolsi gli occhi agli occhi belli
prtbo efr. Del Lungo, Domté^ n 489 e F»-
zodi, BiM, VI 18. — 188. Tldleoo. Vidi U
Luna (ofr. Biry. xx 180, Br. x 67) tatta
lUomiiiata. — 140. Mua eoo. eenn quelle
maiìchto ohe fià m* ayerano latto oredere
eh' ean fooee in aloone parti zaxm, in altre
densa : questa opinione di Dante intomo alla
cagione delle macchie lonazi fti da Ini eapzea-
sa nel Cono, n 14 e nel Par, n 69-60; ma
g^ fa oonftitata da Beatrice ( Par. n 64-
106): cf^. ra ciò G. ICassoni, BiM, VH 236.
Dal oielo delle stelle flane il poeta vede
la Luna senza macchie, perché queste, es-
sendo determinate dalla virtù mista dell' In-
teUigenxa ohe mnore la Iona e deUa na-
tura lunare, appariscono solo da quella parte
dalla quale esercita i suoi influssi quell' In-
telligenza, cioè dalla parte della terra. ~
142. L' aspetto eoe. Vidi e potei sostenere
l'aspetto del Sole, figlio di Iperione (ofìr.
OviiUo, MéL IT 192: «Hyperione nate»; ir
241 : « Hyperione natus »). Si avverta la par>
tioolaxità del vh. aodtmgii, che conferma le
paiole di Beatrice (w. 126-126). -- 148. e
Tldl eco. e vidi moversi droolaimente vidni
al Sole i pianeti Mercurio e Venere : ti/roa in-
dica il moto dei due pianeti per sé stessi
(cfir. F. Angelitti, BuXL VH 186-187); vi-
àkio^ la loro prossimità al sole; né A può
quél 0ÌrM spiegare per iinlorw>y poiché Ve-
nere e Mercurio girano sotto il Sole. — 144.
Mala • Dione j Maia è la madre di Mercurio,
messa qui a indicare il pianeta che prende
il nome dal ilglio ; Dione è la madre di Ve-
nere (ofr. Par, vm 7), ricordata qui per la
stessa ragione. — 146. il tenperar eco. il
pianeta Giove, che tempera il calore del
pianeta Marte e la freddezza del pianeta Sa-
tuno; ofr. il luogo del Cono, n 14 riferito
in i^. zvm 68. — 146. mi fn chiaro eoo.
mi apparve chiaramente la ragione dello loro
variazioni, per cui questi tre pianeti si mo-
strano ora pi^ ora meno distanti dal Sole.
— 148. B tatti e Mite eoo. Di tutti e sette
i pianeti osservai la grandeisa e la velocità
e le distanze intermedie ; ofr. circa la possi-
hilità di fue queste osservaiioni, dò che
nota il DeUa Valle, B tmuo googr, attr, ecc.
pp. 117 e segg. e dvppìem, pp. 62 e segg. —
160. eose seme ecc. come sono collocati in
posizioni distanti : r^pofu significa qui il luogo
ove una cosa è ahitnalmente. — 161. L'aiuola
eoo. Volgendomi insieme con la oostellaziono
dei OemeUi vidi tutta la terra, dalle cime
pifi alte sino alle foci dei fiumi, al maxi. Dante
chiama la terra Vaéuola eh» ci fa tanto forod
per significare insieme la picdolezza di que-
sto nostro mondo al confronto dell'universo
{aroótat piccola area, cosi anohe nel Da mon,
va. 16) e le amblzioxii degli uomini che con-
trastano fieramente per il possesso di terrene
signorie: «punotum est in quo bellatis»,
aveva detto Seneca agli uomini; e Dante
rinnovò il concetto del filosofo antico in una
espressione tutta moderna. — 164. Poscia
eoo. Finito ch'egli ebbe di riguardare il mondo
sottostante si rivolse nuovamente a Beatrice,
della quale aspettava il cenno circa 1' ope-
rare e U parlare; e la vide ammirare esta-
tica verso il mezzo del cielo. D DeUa Valle,
1. dt, ritenne ohe da questi verd finali si
potesse ritrarre che i Gemelli e il Sole si tro-
vassero sul meridiano di Gerusalemme, donde
solo si poteva dominare oon lo sguardo l'emi-
sfero abitato, e che il poeta imagfnasee d'aver
veduti sotto di sé i sette pianeti sullo stesso
meridiano di Gerusalemme, e solo per fin-
zione poetica, non per legge astronomica, vi
ponesse anche il segno dei GemellL Meglio
considerarono questo passo il Mossotti, OpuK^
760
DIVINA COMMEDIA
doni, n* 7, pp. 87-48, e U Moan, pp. 144 e
flegg., mettendolo in rapporto con quello del
Far. ZX7U 79-87: il Moore tpedalmente, di-
mortrat» l'impofliibilità die i QeaeUi e il
Sole fonerò sullo steeeo meridiano, poiché
Dante era nei Gemelli e il Sole in Ariete,
•piega qneato pano nel eenao ohe € Dante
Qseerrane lo spettacolo àaì liitema tolare da
qnahinqne ponto dell* ottavo delo, ad ima
distanza infinita doè, la quale gli permetterà
di Tederà sulla terra la Uoe, qoalnnqoe ella
fosse, indipendentsasnte dal punto di rista
attoale ohe eg^ ood^ara nell'ottsTo cdélo ».
Ad ogni modo V ora di questo uessiisiluiif
sarebbe il Msoogiomo, rispetto a Gemsa-
ofr. anche BulL VUL 204, IX 144.
CANTO xxra
NelPottaro olelo Dante ammira il trionfo di Cristo, ohe gli appare in
forma di splendido sole in mezso a nn infinito numero di lami ohe sono i
beati ; fatto capace da questa visione a sostenere il sorriso di Beatrice, si
volge a contemplarne la belleiza ineffabile; innalzatosi Cristo all'Empireo,
restano i beati che celebrano l'apoteosi di Maria Tergine e poi risalgono
anch'essi all'Empireo [14 aprile, mezzogiorno].
Come l'augello, intra l'amate fronde,
posato al nido dei snoi dolci nati
8 la notte ohe le cose ci nasconde,
ohe, per yeder gli aspetti disiati,
e per trovar lo cibo onde li pasca,
6 in ohe i gravi labor gli sono aggrati,
previene il tempo in sn l'aperta frasca,
e con ardente affetto il sole aspetta,
XXm 1. Csme l'ang elio eoo. ▲ rappre-
sentare Beatrice che goardava ansiosa verso
il mezzo del cielo, in aspettasione di nna mi-
rabile visione, nessuna imagine avrebbe po-
tato scegliere il poeto meglio di queste del-
l'uccello, che dorante la netto, stendo accanto
agli uccellini nel nido, fissa gli occhi verso
oriento allettando col desiderio l'aurora che
gli consente di rimirare i dolci nati e di usdie
a procacciar loro il cibo. Queste similitudine,
lodate da tutti i commentatori per la genti-
lezza del sentimento, per la dolcezza mito
del verso e per l' eleganza spontanea e som*
plico delle espressioni, ha, a giudizio del
Biag., « cert' aria di novità, per la quale ti
sorprende e ti raddoppia il diletto, ammirando
corno ogni pi6 lieve atto, ogni suo più co-
perto secreto disvelò natura al depositario
dei suoi misteri > : arto stopenda che qui si
leva a singolare altezza, perchó per essa gli
affetti degli animali sono come oompenetrati
ed avvivati da un sentimento umano, in modo
da eccitare nei lettori una commozione e in-
sieme un' anunirazione straordinaria. L'ordine
delle idee nella prima parto della similitudine
è questo : Como l' augello, coricato durante
la netto nel nido dei figli, il quale pel desi-
derio di contemplarne le sembianze e di pro-
cacciare il cibo onde li pasca, si sveglia prima
di giorno ed eooe dal nido sai raad 4eQ* sl-
bero ad aspettare con viva ansU il sole, fl-
samento guardando se veda spuntare l'auvna
eco. — ABato fronde: perché sono la sua
oasa, la dimora alla quale è avvinto; cfr.
Stazio, AchOL i 216, deU' uccello ohe oeroa
luogo adatto a nidificarvi : « tandem daUae
placet umbra, novisque Vix stetit in ramis,
et protinus arbor amatui — 2. posate ecc.
Verso intessuto di rimembranse virgiliane
(Owrg. IV 614: «ramoquesedens », n 6^:
e duloes natos »), ravvivato dal profkno di
sentimento che spira da tutte la oomparazioae.
— 8. U notte eco. dorante te notte, ohe
nasconde agli occhi nostri l'aspetto delle
cose; ofr. Vìrg., .fiH. vi 272: crebos nox
abstulit atra colorem » : dal qual verso e da
quello di Danto derivarono imagini e eolori
il Poliziano, StanKé, i 00, l'Ariosto, Ori n
64, il Tasso, Oer, «6. x6ecc— 6.UdM
ecc. nella quale ricerca del cibo gli sono dolci
le pi4 gravi fatiche ; tabor ò plur. di iàbon
(cfr. Rirg, zzn 8); aggraH è agg. tesmato
sulla locuzione avverbiale a grato, ftequen-
tissima negli antichi e non rara in Danto
(Air. IV 101, XXI 22), accanto alle ftasi con-
simili a grado, in gnido, — 7. previene eco.
previene il tempo dell' alzarsi, doè si kva
prima del porno ed esce dal nido soi lami
T«r
PARADISO — CANTO XXin
761
9 fiso guardando por ebe l'alba nasca;
cosi la donna mia si stava eretta
ed attenta, rivolta in vdr la plaga,
12 sotto la quale il sol mostra men fretta,
si che veggendola io sospesa e vaga,
feoimi quale è quei che disiando
15 altro vorria e sperando s'appaga.
Ma poco fu ira uno ed altro quando
del mio attender, dioo, e del vedere
18 lo del venir più e più rischiarando.
E Beatrice disse : < Ecco le schiere
del trionfo di Cristo, e tutto il frutto
21 ricolto del girar di queste spere »•
Pareami che il suo viso ardesse tutto,
e gli occhi avea di letizia si pieni
24 che passar mi convien sensa costrutto.
doU'ftlbeio, in aspettaiioii» dal lolo. — 9.
tao 000. foardando wlaiiifliite w spanti l'au-
ran: reno luììliMiiin oh» dipingo 1* neoeno
tatto intinto ft goaidaie T«no Oliente il ^imo
apparile délln Inoe dhunn. — 10. «•■f In
4*nnn eoe. eoil Beetrioe eon la testa alta e
lo ignaido attento oontem^ra reno U messo
del oielo. — erelto ed attenta s Ventoxi 441 :
€ EnUa risponde al salir dell'angeUo sol-
l'nttima frasoa; oMMto, al liso guardar di
quello; aspettando l'uno con ardente aflotto
il sole, l'ahia oon desiderio amoroso la vista
del Sole eterno. S /be sta bene ad augello,
oome atto pid speoiale del ooipo ; aUmla sta
bone a Beatrice, oome atto pid della mento ».
~ 11. In ^aga eoo. Questa plaga del oielo,
neU* quale il sole appare meno reloee nel
suo ooxso, è, seoondo tutti quasi gì' interpreti
antìobi o moderni, la plaga meridiana, dorè
lo Tediamo ptf oomuoo teonfM ìmiH paui
( Atfy. xxxm lOB) ; e il Buti ne dA anche la
ragione allegorica, sorirendo ohe « questo
finge l'autore, perch' élli ruolo mostrare ohe
Cristo oolU suoi Apostoli, oon tutti li beati
del yeodhio Testamento si rappreeentino nel
cielo ottaTO, tra' quali Orìsto splenderà oome
e pid ohe '1 Sole; si che degna cosa è ohe
olii inga ohe Cristo si rappresentasse nel
measodl aedo soprastesse sopra tutti li beati,
come lo Sole sta sopra noi quando è al me-
ridiano». L'Ant. inyece erede ohe dalla co-
steDasione dei OemelU Beatrice riguardasse
in quella del Canoro, eiod Terso oriento, donde
era oonTeniento che i^arisse Cristo trion-
tent». — 18. sospesa e ragat cioè sospesa
in una eetatica aspettadone ; il primo epiteto
risponde all'tfratta, il seoondo all'attrito dei
TT. 10-11. — U. flMlniI ecc. concepii grande
speranza di Tederò qualche mirabile appari-
sione e mi troral nello stato di òhi deside-
rando dò die non ha si appaga intanto nella
sperann di conseguirlo. — 16. Ha poee ecc.
Ma brere ta l'interrano tra il momento in
cui inoomindai ad aspettare e quello in cui
Tidi illuminarsi sempre pid il dolo. — «le
ed altre qnnnie s l' arr. quando usato so-
stantiyamento signilioa il momento di tempo ;
cfr. Far, xn 12. — 19. Keee le schiere ecc.
Eoeo Tenire innanzi a noi la milizia dei beati
ohe ftirono redenti da Cristo trionlisnto; ecco
i beati die Tolgendo al bene le inclinazioni
naturali influito in eed da questi dell meri-
tarono la gloria etema. Queste è la spiega-
zione pid comune, la quale sembra rispondere
meglio d' ogni altra al concetto di Dante,
poidié la beatitudine è firutto della redenzione
(trionfò di Oriato) e delle influenze celesti
(girar di quesU tftre). La maggior parto degli
antidii commentatori iutondono, inTOce : Ecco
tutte la milizia odesto raccolte per seguire
il trionfo di Cristo da tutto le sfere por le
quali era sparsa; e alcuni pochi spiegano:
Ecco la milizia ecc., ed ecco il frutto che tu,
Danto, hai raccolto perconendo questi cieli ;
ma runa e l'altra sono, ohi ben guardi, er-
ronee; la prima, perché la frase dtUgkrardi
qudtU «pere, non pud significare da tutti qué-
sti oitU giranti, che Danto non aTrebbe at-
teggiate oome prindpale (del girar) un' idea
del tutto acoeraoria, anzi inutile a questo
luogo; la seoonda, perché qui non è per Danto
tutto U firutto del suo Tiaggio, si nella Tisione
di Dio, noli' Empireo. — 23. Paxeaal eoe
Beatrice, per l'accrescersi della sua bellezza
di mano in mano che saliTa Terso Dio, ap-
parre a Danto cosi sftiTillanto di luce e di
beatitudine nel Tolto e negli occhi, ohe egU
non sa ridire quale ella fbsse. — 24. sensa
762
DIVINA COMMEDU
Quale nei plenilunii sereni
Trivla ride tra le ninfe eteme,
27 che dipingono il del per tutti i seni,
vid' io, sopra migliaia di lucerne,
un sol che tutte quante l'aocendea,
90 come fa il nostro le viste superne;
e per la viva luce trasparea
la lucente sustanzia, tanto chiara
83 nel viso mio che non la sostenea.
O Beatrice, dolce guida e cara!
Ella mi disse : € Quel che ti sopranza
86 è virtù, da cui nulla si ripara.
Quivi ò la sapienza e la possanza
eh* apri le strade intra il cielo e la terra,
II
«Mtnittot Mnxa ditcoirenie; ofr. Fatr, zn
67. — 26. Q«a1« eoo. Come noi plenilonii se-
reni ritplende la luna in meno aUe itèUe,
ohe Adornano tutti gli spait oeleeti eoo. € La
timilitodine è proprio un rito oeleete » ; dioe
il Venturi 16, e Tenmente non li Mprebbe
quale altra additare come segno della perfe-
zione dell' arte dantesca ; perfezione derivata
da on intimo senso della natura e insieme
dallo studio profondo della poesia olassioa in
ano spirito, come fte quello di Dente, tempe-
rato a tutte le armonie della beUena e del
vero. D. Competetti, FtrpOio nA mtdUmBOy I
266, ragionando del soiitimento ohe Dante
ebbe della poesia antioa, osserra : « La sua
anima ^ anima di poeta anzi tutto, ed il sen-
timento poetioo lo aooompagna sempre do-
vunque si conduca il suo spirito; la donna,
la patria, la natura, la fede, la scienza, tatto
Tede poetioamente, di tutto sente profonda-
mente la poesia... L'anima sua trovasi a quel-
l'altezza in ouÌ il sentimento poetioo cessa
dall'essere unilaterale e diviene universale,
non concentrandosi nella poesia di ona cosa
sola, ma rendendosi aperto all'efficacia poe-
tica di ooee diverse : egli è già quasi a livello
dell' uomo moderno che sente la poesia di
Eschilo e di Virgilio, come sente quella di
David, di Shakespeare e di Goethe. Questo
lo distacca profondamente dal medioevo mo-
nastico. È realmente tanto vivace quel een-
tlmento della poesia antica noli' anima sua
geniale ed essonzialmente poetloa, oh' ei non
ha punto d' uopo ad esprimerlo della lingua
e della versificazione latina, anzi il volgare
è per questo, come per ogni altio suo sen-
tire, r organo pi6 simpatico, il pM opportuno,
come infatti è il più naturale. AUorohé un
poeta sa coniarvi di suo una imagine quale
ò quella: Qìàalé m' plmikmii a&rmd ecc. e
tante altre slmili, vivamente poetiche, quali
da pid secoli niun versificatore latino ne sa-
peva creare, strebbe vana cosa chiedere se
quel poeta sente veramente la poesia antica > .
— 26. TrivUi ò uno degU epiteti dati dagU
antichi a Diana ossia alla luna (ofr. Viig. A».
VI 18, 86, vn 616, 774, k 637 eoe.; OvSd.,
MtL n 416 eoo.). — tra le aiaft eoe. tra le
stelle (ofr. Pmg. zzxi 106X delle quaU è r^
gina, s»eÌ0niin rtgiiMk Naoniis (Orazio, Ommm
aoóouL 86): il movimento di questi versi li-
oordapor Tovaciaao, EpotL xv 1 : « Kos ent,
et ooelo ftdgebat luna sereno Inter minora
sidera». — 27. per tittl i tmàt per tutte
le soe plaghe. — 28. vld' lo eoo. vidi sopra
migliaia di lud (le anime dei beati) un sole
o lume pid splendente (Oesd Cristo), che le
accendeva; come il sole accende le stelle del
cielo. — 80. eome fa eoo. perché « del lume
del sole tutte le altre stelle s'iaftomaso»
(Oom. n 14). — viste: ofr. Ftr, u 116, xzz
9. — 81. e per la viva ecc. e la htomvU jm-
stafwia, doè la luminosa figura di OrSsto at-
traverso la viva luce, ohe essa medesima ir^
radiava, traspariva tanto splendida agii occhi
miei ohe essi non la sostenevano. — 84. O
Beatrice eoo. Ksolamattone natuzattasima ohe
ùk il poeta scrivendo e ricordandosi deDo spet-
tacolo, a rimirare il qualo la sua donna l'aveva
condotto. — 86. Qiiel eke ti eoo. Ciò che
vince la tua vista è divina vlrtfi, ohe nessun
occhio mortale può sostenere; €è (dico il
Buti) virtd divina ohe ogni ecsa avanza, e
però non è meraviglia s'ella avanza la toa
virtd visiva >. Il vb. Bopranxan^ col senso
di superare, vincere, è della lingua antica, e
si trova anche in Par. zx 97. ~ 87. 4{«lvl
ecc. Quivi è Gesù Cristo, chiamato da san
Paolo, lEpitL ai OormL i 24: € potenza di
Dio e sapienza di Dio » ; il quale oon la sua
morte riapri agli uomini della terra le vie per
salire al cielo : ohe veramente s' abbia a pr»>
ferire la lesione pifi comune 1$ abrade invece
dell'altra, la ttridOt è confermato dal passo
PARADISO - CANTO XXIII
763
89 onde fa già si lunga disiansa ».
Come foco di nube si disserra,
per dilatarsi si che non yi cape,
42 e fdor di sua natura in giù s'atterra;
la mente mia cosi, tra quelle dape
£itta più grande, di sé stessa uscio,
45 e, che si fesse, rimembrar non sape.
€ Ainri gli occhi e riguarda qual son io ;
tu hai vedute cose, che possente
48 sei fatto a sostener lo riso mio ».
Io era come quei, che si risente
di vision obblita e che s'ingegna
61 indamo di ridurlasi alla mente,
quando io udi' questa proflerta, degna
di tanto grado che mai non si estingue
64 del libro che il preterito rassegna.
Se mo sonasser tutte quelle lingue,
che Polinnia con le suore fero
67 del latte lor dolcissimo più pingue,
per aiutarmi, al millesmo del vero
del nr, Tn 110; senza diro ohe U frmie aprir
fc akraét è tattoia ▼!▼» nel miìw> di ristabi-
ttre 1 nppQrti cessati per la foenm, e pallidi
par estonihme Tale ter la paoe, stringere un
Tineolo d'antere eoo. ~~ 89. o«dt eoe. di che,
doS deDa qnal pace tea la tetta e il delo,
gli QOBiai proraraiiodeelderio datante tempo :
«te. Airy. z 84-8S. — IO. Come Amo eoe.
Cvam n ftiooo della fòlgore si sprigiona dalla
nuvola, perché si dilata tanto ohe non poA
Daseriri pid contenuto, e oontro la soa natum,
ohe è di salite, disoende rono la terra. —
48. ìm Bente eoo. cosi la nda niente, fka
qoeOe beatttadini celesti diTcnnta pid grande,
ned di té stessa cioè dalla sua natoral oon-
dizione, e non sa iloordare die ooea fluesse
In qoello stato. — dapei è il latino dapM«
TìraDde, col senso figurato di beatitadini,
dettile (die riempiono l'anima. ~~ 4A. Apri
eoo. Nel settimo dolo Dante non ha potato
fissar Beatrice negli occhi e nel volto (cfr.
Ar. ZZI 4 e segg.); ma ora che ha Tednto
l'attissimo spettscolo del trionfo di Oliste è
direanto oi^aoe di tale contemplsiione, e
peto Beatrice stessa lo invita a livolgor gli
ocehi in M. — fial sca ecc. qoale inefl)»-
W» beUesia risplende nel mio volto. — 49.
!• tra ecc. ▲ questo invito di Beatiice Dante
rimane come l' nomo die, risentendosi ancora
deÌl*lmpioeslcne d'nn sogno svanito, invano
■l Bfofsa di ridusl in mente la visione pas-
sata; ripensa dee allo spettacolo accennato-
gli dalla soa donna (tu hai vtdtUo 9om ecc.).
ma non riesce a ritrailo appieno nd soo pei^
dero, a tioordame tntta la gnundena : cfr.
una similitadine analoga in Par. zzziii 68
e segg. — 68. di tante eoe di tanta grati-
todine die qndla profferta non d cancellerà
mai dalla mia memoria. — 64. libro eco. La
memoria è il Ubto ove d teovano rassegnate
le cose passate ; ofir. F. N, ptoemio : € In
qndla parte dd Ubto de la mia memoria, di-
nand a la quale poco d potrebbe leggere »
ecc. — 66. Se me ecc. Se ora per dntarmi a
dire dd eh' io vidi risonassero le lingae di
tatti i poeti che ftirono inspirati da Polinnia
e dalle dtre Mase, non d ginngerebbe dia
milledma parte ddla verità, cantando il santo
riso di Beatrice eoe Osserva il Ventari 468
che questo modo di esprimere il concetto del-
l' ineflkbilitàè cornane a molti scrittori; e dta
Omero, iZ. n 688: € Bastanti a questo Non
died lingae mi sarlan, né died Bocche, nò
voce por di ferreo petto » ; Virg. En, vi 626:
«Non mihi d lingaae centum sint oraque
oentum * ; Ovld., MtL vm 683 : « Non mihi
d centam Deus ora sonantia lingnis, Inge-
niumque capaz, totumque Helioona dedi88et>;
Agostino, MtdU, zv : « Etìam d angelorum
sdentia mihi foret et omnia membra mea ver-
tarentur in lingaas> ecc. ~~ 66. Polinnia:
è qudla delle Muse ohe presiedeva alla poe-
sia lirica. — fSro del latte eco. fecero pin-
gui dd loro latte, doè inspirarono pld copio-
samente; cfr. Purg, zzn 102. — 66. al mll-
letme ecc. non s' arriverebbe ad esprimer»
764
DIVINA COMMEDIA
non si yerria, cantando il santo riso,
GO e quanto il santo aspetto il fetcea mero.
E cosi, fignrando il paradisO|
convien saltar lo sacrato poema,
63 come chi troTa suo cammin reciso.
Ma ohi pensasse il ponderoso tema,
e 1* omero mortai che se ne oarca,
66 noi biasmerebbe, se sott'esso trema.
Non ò pileggìo da picoiola barca
quel che fendendo va l'ardita prora,
69 né da nocchier eh* a sé medesmo parca.
€ Perché la &ccia mia si t' innamora
che tu non ti rivolgi al bel giardino,
72 che sotto i raggi di Cristo s' infiora ?
una mfaiimA parta del tsto. — 60. «sataa4«
eoo. Due fono le idee ohe Dante mot met-
ter» in rUiero : il aanto riso di Beetdoe e
raooreooliiiento di gioia o di Inoe oagionato
dalla preaonza di Cristo; perO, tenendo la le-
dono dei migliori testi, si syie^ : a oantaie,
a deooriTOie in tusÌ il munto ri» di Beatrice
eqnanto esso «mto fiso fosse reeo più sfisyiUan-
te, «Mro (cfr. Air. ZI 18, znii 66, xxx 69), dalla
looe difltasa dal «Mida^pMfls di Cristo. I più
leggono Eqwmh Ummto atfttto fama miro,
cioè qnanto il riso iUnmlaasse il rotto di Bear
trioe; ma saxebbe un' inutile esiriloadone delle
parole pzeoedentl, ohe laseeiebbe inoompinta
la pittura ohe il poeta ebbe in animo di Ito
di BeatriM, non per s6 stessa, ma in tela-
rione a tutto old ohe la eizooadara in para-
diso. — 61. I sMf eoo. E oosi nella desori-
rione del paradiso bisogna ohe il poema sacro
sonroli sn qnalohe partioolan ineflEàbile, come
ohi trova rotta la sua strada deve saltare Tim-
pedimento. Qoeeto ayrertimento si riferisoe
non solo si riso di Beatrioe, ma anohe alle
altre oose straordinarie vedute da Dante e
da Ini non sapute deserivare pienamente (cflr.
Bkt, zzrr 26, zzz 22-80, tttt 186-188, xznu
66, 121-12B). — 62. lo saerato poeaa: efì*.
Bkt, zxt 1. — 68. e*BM eoo. La slmilitadine
è tolta dall'atto del viandante, ohe, trovando
la via attraversata da nn oorso d'aoqaa(<»m-
fimi retfiBo, strada tagliata, olir, il vb. fMdm
in Inf» VII 100), è costretto a passare oltre
con nn salto; cosi il poeta, non sapendo de-
scrivere alcone delle ooee mirabili del para-
diso, trasoorre sansa lérmaisi sopra di esse.
~~ 64. ehi fensasse eco. ohi considerasse
qnal ponderoso tema, qnal diffldle argomento
io abbia preso a trattare con intelletto moiw
tale (ofr. Par. n 1-16), non mi biasimerebbe
vedendomi qualche volta incerto davanti alle
difflodlth straordinarie di esso. Bipete indi-
rettamente rammonimento orariano, ArLpotL
88: € Sumite nuiteriam veetris, qni scriUtis,
aeqnaa Tlribns, et versate din, qnid fém
reonsent, Qnid valeant hnmeri : eoi laeta po>
tenter erit ree Noe fhonndia deserei hnac,
neo Inddns ordo ». — 67. Hm è fileggia
eoo. È manifèsto ohe Dante vnol eeprimere
qni lo stesso oonoetto del lìar, n 1-7, e per&
questa terzina significa : Quello ohe la mia
ttràUa prora m fmdmdo (l'aigomenta cèa il
mio ingegno ha osato di trattare) fiof» 4 ^Oiy-
gio dajricoiola tarso, non è tragitto poMiMle
a una barchetta (non pud essere oomproso da
un ingegno volgare) ni da noeekSer cV a 9i
mtittmo jpsnMi, ohe risparmi quanto ptt può
le sue fono (né da ohi non sappia afiatloarsi
per intenders). La dlfllooUà maggiore è nel
nome pUeggiOt ohe pare certo unn ridusone
fiorentina del lat mediosfvala parigimn, tra-
gitto marino, traversata di alto mare (pareg-'
gio in questo senso 4 in un rimatore pisano,
VaL I 402), storpiato nelle pid strane guise
dai copisti : oosi il pikggio di queste tetxina
risponde all'ooTua del Ah-, n 7; come Por-
àita prora ohe lo «a fmdmio è il lagr» dbs
oamàànào «art» del PSr. n 8. — 69. Aé ia
naeshler eco. n6 da nocchiero timido e ine-
sperto, di quelli ohe ^ pietMa terw {Fm.
n 1) hanno tentato di seguire Danto : a si
mtiemno parca è loousione derivate dal lat.
tibimd ipsi paroan, ool senso di rispandazsi
le tetiohe ohe sarebbero neoeswarie per con-
seguire uno scopo. — 70. Perelitf eoo. Men-
tre Danto guarda estatioo nel volto di Bea-
trice, essa lo richiama a contemplare lo spet-
taoolo del beati illuminati dal raggio divino,
in messo ai quali spiccano la Veigine e gli
▲postolL — 71. al ksl gUrdlMeocalooio
dei beati, € perpetui fiori dell'etema letlsia »
{Par, XIX 22), i qiaU sotto i reggi di GUsto
risplendono, eooM i fiori di u giardino s'ab-
PARADISO - CANTO XXIH
76B
76
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84
87
Quivi è la rosa, in che il Verbo divino
carne si fece; quivi son li gigli,
al cui odor si prese il buon cammino »•
Cosi Beatrice; ed io, eh' a' suoi consigli
tutto era pronto, ancora mi rendei
alla battagHa dei deblH cigli
Come a raggio di sol, ohe puro mèi
per fratta nube, già prato di fiori
vider, coperti d* ombra, gli occhi miei;
vid'io cosi più turbe di splendori
folgorati di su da rag^ ardenti,
sensa veder principio dei ftdgori.
0 benigna virtù che si gP impronti,
su t'esaltasti per largirmi loco
agli occhi li, ohe non eran possenti
H nome del bel fior, ch'io sempre invoco
beIBsooBo «Da faiw 4el iole. — 78. U rMa
•oc la VetgtaiA Maria, la rofa myatioa, nella
quale s'iaoaniò 11 Vaibo dlrtno; ofr. Qio-
TmnBi I 14: € Bi il Vaibo è ttsto ftitto oania,
•d^aUtatofranol»; Faudo, IEpid.aT^
mail» m 16 : « Iddio è stato nanUiBitato in
eaniA». — 74. Il gif U aoo. gU Apostoli oh»
con la predioadone e l' esempio Tolsero f^
«oainl alla Tora religione. Lana : « È da sap
pere elie *1 giglio hàe tre oondiaioni: runa
ohe h di ftiofi Uaneo, e questo signiftoa la
poritade e la fide; l'altra, ohe è dentro rer-
nd^ks e questo algnifloa la inoorrottihilitade
e la oaiitade; Tahra si è l'odore, e questo
aigììiilca ia piedioacione e la speransa; or
qvesto oondixioni teono nelU Apostoli beati,
e però rantor» li spella gigli >. Meno bene
i moderni intendono dei santi in genere. —
— 77. aBeera eoo. di nnoro mi volsi a oon*
templare eoi deboli ooohi quello spettaoolo
diriao. € Nota haUagUa^ in quanto la eooel-
lenxa combatto oon la Tirtd visiva » ; cosi il
Lana; e infatti, sebben Danto aveva perle
cose veduto aoquistato novello vigore (w.
47-48), non osa in grado di sostonere la kh
etnU mukmxia (w. 88-88). >- 79. Cene a
raggle eoo. Gesù Cristo s* era inalzato tanto
ohe Danto non poteva pi4 voderio, ma i suoi
raggi ffluminarano ancora dall'alto le anime
beato : questo stato suggerisce al poeto la
stupenda imagine dei raggi solari, ohe pene-
trando a tiaverso una nube squarciate ri-
oopvQiio di béanea luce il luogo sottostante,
sebbene il soie non apparisca; imagine còlte
dal vero e rsea con finissimi tratti, che man-
cano neU'imitasione del Freni, Quadr, i U,
eooloKite e dimeesa : « Come quando il sole
Tea le men folto nubi ^aige il raggio, Che
quasi strada in del apparir suole ». — che
pnre eoe. che esoa luminoso da una nuvola
squarciate (per fl vb. mmn ofr. Air. xm6S>.
IM fenomeno, nel suol eflétti di luce, scrive
Leon, da Vind, TraU, détta pietra ni 448:
€ I xaggt solari, penetratori dee^ spiraceli in-
terposti infta le varie densità e globosttà dei
navoU, niuniinano tatti I dti dove si tagliano,
ed illuminano anche le tenebre, e tingono di
sé tutti i luoghi oscuri che sono dopo loro,
le quali osourite si dimostrano infra gli in-
tervalli di cesi raggi solari ».— 80. già prato
eoo. i misi occhi, «ipmrH d^ombra, ombrati
dalle nuvole, videro già un prato fiorito ilhi-
minard sotto fl raggio eoo. Altri, meno bene,
leggono ec^MTto, riferendo al prato una droo-
stannsuperilua; ofr. BuU. 1 42. — 82. vld'le
ecc. per tei modo io vidi parecchie schiere di
beati illuminati dai raggi scendenti dall' alto,
senza che apparisse il principio della luce.
Ciroa il dimlftirato di queste comunicadone
deUa-lnoe divina al beati d ofr. dò che scrive
Tomm. d'Aquino, Smmn, P. I, qu. xn, art 6 :
« Ipeum intdligibile vocatur lumen, vd lux.
Et istud lumen est de quo dldtoi Apoe, xxx
28, quod tiarUtti Dd UktmbìàbU «mi, sdUoet
sodetetem beatorum Deum videntinm. Bt se-
onndum hoc lumen effiduntur ddfòrmes, idest
Dee slmUes ». — 88. folgorati eoo. illumina-
ti, ricoperti di folgori procedenti da raggi che
cadevano dall'alto, ma dd quali fblgori non
d vedeva U prindpio : questo prinolplo dti
fìélgoH era Cristo sollevstod in dto. — 86.
0 bealgaa ecc. 0 Cristo, che diffondi fl tao
fulgore sui beati, ta ti levasti in alto perché
i mid occhi non ancora jmswiW, ospad a so-
stenere direttamento la tua luce, potessero
vederla diJhisa sulle anime. — ^^Imprentl x
ofir. Piar, vn 09. — 88. larglnd lecos 1»-
sdaimi l'oocadone, il iMdo; ofr. una simile
espreedone in I^trg, zmn 7. — 88. II nome
ecc. Deserive or Danto l'apoteod di Xsria
766
DmNA COMMEDIA
e mane e aerai tatto mi xistrìnae
90 l'animo ad avvisar lo maggior foco.
E come ambo le loci mi dipinse
il quale e il quanto della viva stella,
93 che là su vinoCi come qna giù vinse,
per entro il .cielo scese una fiu^ella,
formata in cerchio a guisa di corona,
96 e cinsela, e girossi intomo ad ella.
Qualunque melodia più dolce suona
qua giù, e più a sé l'anima tira,
99 parrebbe nube che squarciata tuona,
comparata al sonar di quella lira,
onde si coronava il bel laffiro,
102 del quale il del più chiaro s'insaffira.
« Io sono amore angelico, che giro
Vergine, ohe gli appailT» pl4 luminoie delle
•lire anime beate, e oome rezoengelo Qabrielo
diioeeo dall'alto gixaaee intomo a lei doloe-
mento cantando mentre le anime inTooaTano
il nome della madie diTina. Dioe adanqne :
n nome della xeea pzonnnoiato da Beatrice
(t. 78) per indioaie Hada Veigine, ohe io
invoco nelle mie preghiere mattatine e serali,
fece rivolgere tatta la mia attendone a oon-
sldeiare h maggior foeo^ la iooe più splen-
dente, ohe lo bene intenderà dover essere la
madre di Dio. Alooni testi, portano, meno
bene. La hu$ dd bel fior eoo. ; ma non è la
maggior luce ohe tragga Dante ad eseisar io
wtoffgior foco ; si il nome della rosa ohe gli
fa rioonosoere nel maggior foco ia Vergine
Maria. — 90. arrisart è id4 drt semplice
«•dir», e significa l'attento riguardare per li-
conosoere qnale fosse il maggior foco in messo
a tatti qnei lami; cfr. ^. xn 28, seziv 28
ecc. ~~ 91. I eeme eoo. E i^pena die i miei
occhi ebbero percepito il quak • il fuofito, la
qualità e la quantità della luce di Maria eoe;
e dice che la loco vivissima e intensa fl^ di-
pinse gli occhi, raggiò dentro gli occhi esoi,
« per mostrare, nota il Bati, ohe questa ta
grasia intasa a lai da la Vergine Maria ne
la mento sna >. — 92. stellat ona delle ima-
gini sotto le quali ia chiesa saluta ia madie
di Dio : Avt» mun$ mUIIo^ Dd mattrakna ecc.
98. ehe là se ecc. ohe vince in delo tutti i
beati per lo splendore, oome nel mondo su-
però tutti gli esseri umani di graiia e di virtù.
— 94. per emtre ecc. per il oielo discsee una
luce, la quale aveva forma di corona oiroo-
lare, e ricinse la Veigine e intomo ad essa
s'aggirò. Non s'intenda con molti oosunen-
tatori che la luce venute dall'alto prendesse
forma droolare nel girare velocemento intomo
a Maria : già aveva queste forma quando di-
soese, essendo formala in ofraàto; e tale es-
sendo diaoese in modo ohe lo wtt^gghr /bas ri-
manesse oosqpreeo in meno, e «miinflià ai
aggirand intocne ad esso, come oeiohio gira
intomo al osntre. — un flMellas èraieaa-
geto Qahiiele, il quale, con» tn. eletto ad aa-
nnmlare in tene a Maria la volontà dsl Si-
gnore {ott. A«y. X 84-40), oosf in delo ha
r oflloio di riosntarle l' antioo saluto (of)r. Ar.
zzzn 94-96, lOH-K», 106-Ul). H nome fif
ofUs, non è inntile avvertirlo» ha qui il senso
geosdoo di luoe, splsadoee (cfr. A«f . vm
88, Far. dc 29, zvm 70). — 98. a giden 41
eereaat ihtte a modo di ghidanda; «staii-
litudine sommamente gentile (cosi il Venturi
488), la quale trae daUo splendor d'usa teoe
l'imagine deU'alfetto e della vite» 97.
4|enlinfne ecc. Le ptd dold melodie dM poe-
sano risonare qui in tscra e aUsttare rmslme
nostro sembrerebbero eohlanti di talmiae, pa-
ngonandole al canto dell'aioangeto Qabdele.
— 99. parrebbe eoe. « Vivissima per antitesi
è U similitQdine »» dioe U Ventui 68^ • note
ohe se uè rioordò 7. Ubecti, DùL m 22 :
€ Quei versi ndlL.. Oon tante sMlodla ok'io
potrai dire Ohe qnei di qua tra kr pacrebboa
stridi », e forse anche I. Tasso Gtr. Hb, zrv
6: «S in suono, a lato a eoi sarebbe rooo
Quel pi4 doloe è qua giA, parlar l'udia ». —
100. al soHir eoo. al('aimonte di quel canto,
del canto di Gabriele; ofr. Ar. xv 4. — lOL
•ade eoo. dal quale angelo era oiieoBdatA la
Vergine, 11 pid luosato safBio ohe riepilemda
in cielo. — 108. le isne eoo. Qnerto canto
dell'aioangdo Gabriele è da paragonare oca
le perole ohe di Ini dioe a Dante san Ber-
nardo nel Bar, xxxn 109-114; e dal
gone esce manifesto 11 sanse di <;
Sono tra f^ angeli plsne di
asMue to die m'aggiro intorno alla beetlsslma
madre dd nostro signore Gesù Cristo e nd
aggirerò intorno a Id flnohd dia sesoirà fl
PARADISO - CANTO XXIH 7G7
l'alta letizia ohe spira del ventre,
105 elle fa albergo del nostro disiro;
e girerommi, donna del deli mentre
ohe seguirai tao figlio, e £Eirai dia
103 più la spera suprema, perché gli entre ».
Cosi la circulata melodia
si sigillava, e tutti gli altri lumi
111 facean sonar lo nome di Maria.
Lo real manto di tutti i volumi
del mondo, ohe più ferve e più s'avviva
114 nell'alito di Dìo e nei oostumi,
avea sopra di noi l'interna riva
tanto distante che la sua parvenza
117 là dov'io era ancor non m'appariva;
però non ebber gli occhi miei potenza
di seguitar la coronata fiamma,
120 ohe si levò appresso sua semenza.
E come fiEUitolin, che in vdr la mamma
tende le braccia poi ohe il latte prese,
123 «per l'animo ohe in fin di fuor s'infiamma;
oiasoun di quei candori in su si stese
oon la sua fiamma, si ohe l'alto affetto,
flgliiiolo, risalito nell'Emplieo, eandià » fiur Dio ò più ferFonte d'amore o splendonte di
più bella quella niprema sfera, ool soo en- più Tira luce. -- 116. aiea sopra eoo. n
trmrri, entrandoTi anoh* essa. Alcani inten- Primo Mobile avera la sua interior cavità
dono cmgeUoo amon per angelo ohe rappre- tanto lontana da noi, ohe eravamo nel cielo
senta Tanore di tntti gli altri angeli; ma ò ottavo, ohe non si rodeva ancora. — 118.
interpretazione inesatta. — lOA. l'alta eoo. pari eoo. per tale lontananza, i miei occhi
la Vergine beata, dal cni grembo, che ta. al- non ebber potenza di tener dietro a Maria
bergo eoo., spira altissima beatitadine. — Vergine ohe s' innalzò dietro a Oes6 Cristo.
106. BMatre ékèt ott. Inf, zzzni 182. — — 119. U «•renato flanuaa: la loco di Ma-
107. dia t ofr. Piar, xiv 84. — 108. perehé ria droondata, come d'nna corona (y. 96), da
gli entre s per il fatto ohe ta vi entri; snl quella dell'arcangelo Gabriele. — 121. E come
valore del gU ofr. B^f. xzm 64. — 109. Cos£ eoo. E come il bambino, ohe dopo aver sao-
eoc. Oosi si conefaindeva il canto dell'angelo, chiato il latte si volge Torso la madre in te-
che girava intomo a Maria, e tatti f^ altri nero atto d'amore e di gratitadine, cosi qaei
beati r accompagnavano rispondendo Ave» beati si Tolsero a Moria ecc. — mamma:
Maria, ~ 112. Le real mante eco. Questo notali Ventorì 190 questa parola e che Dante
mosOo rsojf ohe ricopre lutti <fw<timi <U mondo nel sno Da Vulg, éloq. dice non potersi usare
ò, secondo U maggior parte dei commenta- nel Tolgare illustre, e la condanna proptor sui
tori, il nono cielo o Primo Mobile, il quale nmpUeiUUmn (n 7); e pure cinque volte la
entro di sé comprende f^ otto cieli mobili usa nel poema », cioè in Inf, zxm 9, Purg,
sotfeoatanti, quelli che sono in relazione di- xxx 97, xzz 44, Fùr, xiv 64, e qui; e sog-
retta col mondo degli uomini, e per essere giunge : « Lui fortunato, ohe poetando a quel
più Ticino all' Empireo, sede di Dio, riceve modo che amore gli dettava dentro, non ri-
immediatamente r impulso e la regola del suo cordò le teoriche insognate in prosa; e for-
movimento da Dio stesso : questa interpreta- tunato eziandio ohi sa rettamente giovarsi di
rione è confermata dalle parole del Cbnv. a tale esempio 1 » •— 123. fer l'animo eoe per
A, ove è detto che il Primo Mobile ha « ve- un sentimento d'amore e di gratitadine che
looissimo movimento > e « fsrventissimo ap- si manifesta vivamente negli atti esteriori. ~~
petito», dee JM6 s'ovvìm epfó/SrM noli' i- 124. ciasenn ecc. ciascuno di quelli spiriti
frazione e negli atti di Dio. Altri credono laminosi si volse in alto con la propria flam-
ehn sia l'Empireo, oàe come sede propria di miw si ohe mi fa manifesto il protondo «flstte
768 DIVINA COMMEDIA
126 ch'egli ayeano a Mariai mi fti palese.
Indi rimaser li nel mio cospetto,
Regina eoeU cantando si dolce
129 che mal da me non si parti il diletto.
Oh quanta è Pubertà che si 8o£Eblce
in quell'arche- ricchissime, che fòro
182 a seminar qua giù buone bobolce!
Quivi si vive e gode del tesoro
che s'acquistò piangraido nell'esilio
135 di Babilon, dove si lasciò l'oro.
Quivi trionfa, sotto l'alto filio
di Dio e di Maria, di sua vittoria,
e con l'antico e col nuovo concilio
139 colui che tien le chiavi di tal gloria.
eh* etil ftTerano per la Veigina lUzUu — dono dal leiaro aoqvlitato con ■*^*»*«»^ ndla
128. BafUa aoo. intonando l'antifona Byfcia Tita tecrena, nella quale non ooncono ì» ii6-
coeUt kulan, aUtMa, oon tuita ddoeaa di ohenee gU altri beni fiOlaai. Onesta è la ptt
canto, die aaooia limona dentro a me; ofr. e«pliee e nenale fpiegarione della tendna; a
Purg. n 114. ~~ 180. Oh fvanta eoo. Oh Qhiùir la qnale ò da srrertire con Benr. èbe
qnanto glande è la beatitadine che si zaooo- VmOio di BoòOon (ofir. ZIB» xxr 1 • aegg.,
glie in quelle anime bealinlme, le qoatt eep- Geramia lo 8 e segg.) qni signifloa la pere-
pero gnadagnaxla qni in tana oon le buone grinarionedegH nomini saHatena^néDagaale
opere I Qualche difficoltà in qneeta terrina, siamo qnaii esolL D Lomb. per fl primo legò
di lenBo del reeto ofaiarimlmo, è offerta dalle qnoita terrina oon la iegoente spiegando
parole wffoké eftoòofe*, eolie qnaU gl'Inter- ^QttM eohii ehó Um U «Mosf dilalghria,
preti sono dieoordi; ma ti aoifoìM è certo lo a. Pietro, «i^mit, te la gode, e wim dA Utan
steeso fSh» ti toifetge dell'JnA zza 6, e non celeste, dto t^aeqvàMpitmgéììdù màIPtmiio otc
pnò valere altro che ti miÙmw, è totttmUa^ nel mondano esUio, 07*01^ non oarossi d'oro
e, riferito ad arche, h oontoiwto: qnanto a n6 d'argento : fuM eoMo Vtito fOio eoe sotto
UMm, secondo l pid, è fémm. di òoMoo, lat. di Qesd GUato, • ùoffmàiùt eoo. colle coeri-
hvbukmt^ e Tale layoiatrioi di terra, semina- tire de' beati del vecchio e nnovo Testa-
trid ; poiché è manifosto che Dante ebbe il mento, Mm/b di tua vittoria. — 186. 4^lvl
pensiero al detto evangelico (Paolo, Ep, ti Irianfa ecc. In psradiso ttionlk sotto Oesd
Qatati, VI 8) « òhi eemina allo Spirito, mie- Oristo e in compagnia dei beati deH'sntico e
torà dallo Spirito vita etema »: invece secon- nnovo Testamento san Pietro, al qnale Ai-
do U Parodi, Butf. m IO, « Mote vale sen- rono siBdate le chiavi del regno dei deli (cfr.
za dubbio «M^po, pesto di tana da arare e llatteo zvi 19). — 137. 41 saa vltterla: di
seminare, e di oni è propria Vvòmià >. — 188. qnella riportata od diacene dd beni BMUfc-
<tnlvl eoe. In paradiso le anime vivono e go- dani (ofr. Ftt, zzn 88X
CANTO XXIV
A richiesta di Beatrice, san Pietro interroga Dante intorao alla fede; e
alle relative domande il poeta risponde ohe cosa sia la fede, eome egH la
possegga, da qnal fente 1* abbia derivata, sa che si fendi e qnale ne sia
l'oggetto; e l'apostolo, per segno della sua approvaiione, imparte a Dante
la benediEione [U aprile, ore pomeridiane].
« 0 sodaliaio eletto alla gran oena
del benedetto agnello, il qual vi ciba
XSTV 1. 0 sedallsio eoo. 0 oompsgnia dii mangerà del pane nd regno di Die»;
dd beati, eletti dia gran oena ddla grada ApoooL ziz 9 : « Beati odoro ohe sono cU»-
divina. L' espressione dantesca è rimembran- matt alla oena delle noaie deU' Agnello » ess.
sa di ficad bibliche; ofir. Lnca zrv 16: « Beato — 2. 11 qnal ecc. perché la grazia divias
PARADISO — CANTO XXIV
769
8 si che la vostra yoglia è sempre piena;
se per grazia di Dio questi preliba
di quel che cade della vostra mensai
6 prima che morte tempo gli presoriba,
ponete mente all'affezione immensa,
e roratelo alquanto: voi bevete
9 sempre del fonte, onde vien quel ch'ei pensa >.
Cosi Beatrice: e quelle anime liete
si fero spere sopra fissi poli,
12 fiammando forte a guisa di comete.
£ come cerchi in tempra d'orinoli
si giran si che il primo, a chi pon mente,
16 quieto pare, e l'ultimo che voU,
cosi quelle carole differente-
•flsendo infinita Vasta a todisfiare qualunque
pi4 interno desiderio dei beatL — 4. prelllNii
pregosta, assaggia prima di morire; il yb.
prtiiban è qui osato nel sno senso più nsoale,
alquanto diverso da quello ohe sembra ayere
in Pur, z 28. Tutta la terzina trova riscon-
tro in questo passo del Oom. i 1 : « E io
adunque, ohe non seggo alla beata mensa,
ma, fuggito dalla pastura del vulgo, a' piedi
di coloro che seggono, rioolgo di quello ohe
da loro cade, e conoscendo la misera vita di
quelli che dietro m* ho lasciati, per la dol-
cezza oh' io sento in quello eh' io a poco a
poco rioolgo, miserìoordevolmente mosso, non
me dimenticando, per 11 miseri alcuna cosa
ho riservata, la quale agli occhi loro già ò
pi4 tempo ho dimostrata >. — 6. prima ecc.
prima ohe la morte gli priseriba^ gli segni il
momento finale della sua esistenza. — 7. pe-
■ete eco. considerate l'intensissimo desiderio
eh' egli ha della beatitudine e diffondete so-
pra di lui alquanto di quella divina conoscenza
che voi possedete. ~ 8. roratelo: il vb. ro-
rar9f dal lat fot, significa, come li più co-
mune irrorare, aspergere di rugiada, e più
genericamente bagnare ; qui in rapporto alla
sapienza concepita come un rivo fluente dalla
divinità, la f!rase roratelo alquanto ha il va-
lore di spargete sovr'esso, fate cadere nella
sua mente qualche goccia della sapienza di-
vina. — vel b6Tete ecc. voi, come beati,
attingete continuamente alla fontana della
sapienza, dalla quale procedono quelle verità
che sono oggetto di meditazione all'uomo. —
10. qvene aalflM eoo. le anime dei beati per
manifestare la loro gioia di compiacere alla
domanda di Beatrice, formate diverse corone,
inoomindarono a girare intomo a lei e al
poeta, come sfere fissate sopra poli Immobili,
fiammeggiando con luce intonsa, a guisa di
comete. L'imagine, oome la situazione cui
Damtx
risponde, è quella stessa del Far, z 76-78;
se non ohe qui è oompeoetrata con la simi-
litudine delle comete, per significare lo fen-
dere vivissimo delle anime proporzionato al
loro interior gaudio di cui è maniCsstaxione,
e le luci sono distribuite non in una sola
corona circolare, ma in parecchie moventisi
con differente velocità. — 13. I «•■m eoo.
£ oome nell'ordinato congegno degli orologi
i vart cerchi si muovono oon differente ve-
locità, si ohe all' osservatore sembra che il
primo sia fermo e ohe l'ultimo si muova ra-
pidissimo eoo. — teMpmt significa per lo più
l'accordo dei suoni (ofr. I\irg. x 94, Bar, x 146,
XIV 118), ma qui indica l' accordo che è tra
le varie parti dal congegno meccanico nell'oro-
logio. Sui tempo in cui si ebbero 1 primi con-
gegni di orologeria ofr. F. Angelittl, Bull.
yn 140. — 14. il primo t il cerchio più inter-
no e più piccolo ; come l'ìtUkno è il più estemo
e il più grande. — 16. qmì9f ecc. Vent. 606 :
« Si noti come in questo verso la prima metà
va lenta, dovendo pronunziarsi trisillaba la
voce qvXito ; e la seconda va npida in forza
della parola sdracoiola ultimo. Cosi il suono
imitativo ronde perfettamente due idee con-
trarie significate in un medesimo verso *, —
16. eosf q«elle ec cosi quelle corone di anime
danzanti, aggirandosi con differente velocità,
facevano si ch'io potessi giudicare del grado
di loro beatitudine, secondo ohe en maggiore
o minore la velocità di ciascuna. — earele :
il nome «oroZa, d' incerta etimologia, significa
propriamente danza oiroolare ; ma Dante, qui
e in Far. xxv 99, lo usò a indicare i gruppi
di anime danzanti in oerohio. — differente-
mente : la spezzatura dell'avverbio nei due
elementi che lo compongono tu. ammessa, in
fine di verso, anche nel tempi posteriori a
Dante ; si trova p. es. nell'Ariosto, Ori, xxvni
41: f Ancor ch'ogli conosca ohe direttamente
49
770
DIVINA COMMEDIA
^»^l^f^^B
mente danzando, della sua rìcchezzai
18 mi si fEkcean stimar veloci e lente.
Di quella ch'io notai di più bellezza
vid*io uscire un foco si felice
21 che nullo vi lasciò di più chiarezza;
e tre fiate intomo di Beatrice
si volse con tin canto tanto divo
24 che la mia fSEmtasia no 1 mi ridice ;
però salta la penna, e non lo scrivo,
ohe l'imagine nostra a ootai pieghe,
27 non che il parlare, è troppo color vivo.
€ 0 santa suora mia, che si ne preghe
devota, per lo tuo ardente affetto
80 da quella bella spera mi disleghe ».
Poscia, fermato il foco benedetto.
ft soft maMtà danno li fkcda >. — 17. della
•«a rlMlMssa eoe. della ricchezza della lor
gloria, del grado più o meno elevato della
loro beatìtadine : cfr., a conferma di qoesta
interpretazione» fl paieo del Piar, vm 19-21.
Altri leggono dalla tua rieehtoMO, e inten-
dono: dall' ampiezza dei giri, dalla qnale
Dante dednoeva la Telocità propria d' ogni
gmppo di anime; ma ò interpretazione sti-
nochiate di nna lezione eenza autorità. —
19. DI q«ellA eco. Da quella corona di api-
ritl ohe mi a^^T» plA Inminoea, e ohe,
note il Boti, « era quella degli apostoli e di-
scepoli di Criste », ridi naoire un fuoco In-
roinoeiflsimo, l'anima di san Pietro. Si osservi
ohe parlando di tatto il gmppo di anime
Dante mette in evidenza la sua bélluuuL, mag-
giore di quella degli altri gruppi, ossia il
maggiore splendore che è indizio di più in-
tensa beatitudine ; e parlando di san Pietro
note a dicittara com'ei fosse tanto ftUM^ doè
lominoeo, da vincere di splendore e però an-
che di beatitudine tutte le altre anime del
suo gruppo : e questo compenetrarsl continuo
dell' interior beatitudine degli spiriti con la
manifestazione esteriore per mozzo della luce,
fa sentire con molte eiBoaoia a ohi legge la
felidtà etema del paradiso in quanto pud
esaere significate dalla pittrice parola di un
poete terreno. — 21. ohe Bulle ecc. che nes-
sun altro vi rimase di maggtor chiarore. —
22. tre flato ecc. Ott : « Dice òhe tre fiate
si volse intomo a Beatrice, a dimostrare la
teologia trattare del Padre, del Figliuolo e
dello Spirito Santo >: lo stesso ripetono quasi
tatti gli antichi commentetori — 23. een
na canto ecc. cantando oosf divinamente (sia
per altezza di concetti, sia per dolcezza di
noto) che la mia fantada è incapace di n^
presentarmelo. — 25. ^rd salta eoe. perdo
la penna trasooire (cft. Par, zxm 62), e io
non riliBrisoo quatto canto; perché la Cantaaia
umana (non ohe la psrola, ohe è tanto meno
potento della fttntasia) ò inaqwce di signifi-
care «m donto lamio dioo^ a quel modo che i
colori troppo vivaci non possono ritrarre sulla
tela la tinte delle pieghe nelle vesti. H fon-
damento di queste spiegazione è nell' ossei^
vazione già tette dal Lana e ripetute poi da
altri commentetori : « Note (oosf qu^'antioo
interprete) ohe '1 dipintore, quando mole
dipingere pieghe, conviene avere un odiare
meno vivo che quello della vesto, oloè pifi
scuro, e allora appaiono pieghe ; imperquaUo
che in ogni piega 1* aiere 4 pi4 oscuro ohe
in te superficU : e però, se lo colore deOa
piega eccedesse in diiarità te vesta, non te-
rebbe piega, anzi Csrebbe deUa veste piega
e di s6 superficie ; e oosf sarebbe contrario
aUa intenzione del maestro pintore ». Da
queste noma di arte prooede te Itaae dan-
teeca del troppo eolor «m», fl quate per man-
canza delle tinte pifi tenni, del ekiemmmo,
è insufficiente a dipingere te pieghe; oone
la fantasia umana, non sapendo imaginare
le delicate armonie e i sensi profondi di quel
cantico apostolico, non potrebbe dame un'idea
adeguata. La diversa spiegazione date da
quelli interpreti che prendono pitglu luA esoso
di di/fteoUà non è ammissibile; come ncm ha
autorite alcuna te lezione jnmd eokfr vivo^ obe
darebbe una sentenza sltetto opposte al eon-
cetto del poeta. — 28. 0 tanta eoo. 0 sante
sorelte mia, che ci hai pregati con tanto
fervore (cfr. v. 1-9), tu mi hai tetto uscire
da queste beUa corona di beati per l'efficacU
dell'ardente affètto. San Pietro ddama sMora
Beatrice, come sua compagna deUa beatitn-
dine oelesto, o anche per quel eentimento
cristiano di Ihttemite per cui Danto è chia-
mato fhitello dagli giriti eletti (cfir. te note
al Ar. ra 70). — SL P«tela ecc. n taooo
PARADISO - CANTO XXIV
771
alla mia donna dirizzò lo spiro,
83 cke &yellò cosi, oom'io ho detto.
Ed ella: € O luce etema del gran yiro,
a coi nostro Signor lasciò le chiavi,
86 ch'ei portò giù, di questo gaudio miro,
tenta costui dei punti lieyi e gravi,
come ti piace, intomo della lède,
89 per la qual tu su per lo mare andavi.
S*egli ama hene e hene spera e crede,
non t'è occulto, perché il viso hai quivi,
43 dov*ogni cosa dipinta si vede.
Ma perché questo regno ha fatto civi
per la verace fede, a gloriarla,
45 di lei parlare è huon eh' a lui arrivi k
oioè lo epiiito iaiBmeggianto di
■m PffltrOi Aopo ohA ti tu twouAo indirind
ft Beatrice la raa Tooe, ohe disse le parole
oli'lo ho rifartte. — 82. iplre: è Pemiasione
del flato, e per eeteneione di signifloato, la
Tooe ehe con tale emiMìoiie ai foxma; cfr.
Pur, zzTX 8. —Si. 0 l«et eoo. 0 anima santa
del grande apostolo san Pietro, al quale Dio
aAdd le chiari del paradiso (cfr. Ptt, rsm
199 € le oUaTi di tal gloria ») da ini portate
dal delo im terra, qoando Ti discese a redi-
mere l'uomo dal peccato. — Tire t latinismo
ohe ricorro sempro in rima e nel senso di
nomo eccellente per dottrina o rirtli (cfr.
iMf. IT 80, Piar. X 182). — 88. Miro t cfr.
Ar. ziT 24. — 87. tenta eoe Oome place
a te, beato spirito, Tieni interrogando costai
•opra i punti Itevi $ grari che si riferiscono
alla fede cristiana. Qualche dii&ooltà otfn la
frase punii Kevi e gravij che secondo i pid
dei oomraentatori sarebbero le questioni fis-
ciù e difficili; secondo altri inTece, i punti
aooeesori e gU essenziali della fede. — 89.
per la qmaì eoo. Allude al racconto oTange-
Uoo (Matteo zir 25-38): cE nella quarta
TiglHa della notte, Gesù se n' andd a loro
[ai discepoli], camminando sopra il mare. Ed
i discepoli, Tedendolo camminare sopra il
mare, si turbarono, dicendo : i;gli è un fan-
tasima. E di paura gridarono. l£a subito Gesù
parid loro, dicendo : Basslouratevi, sono io,
non temete. E Pietro, rispondendogli, disse:
Signoro, se sei tu, comanda che io Tenga a
te éopra le acque. Ed egli disse: Vieni. E
Pietro, smontato della naTicella, camminaoa
wojpira <9 oo^tM, per Teniro a 0es6. Ma ve-
dendo il Tento forte, ebbe paura : e, oomin-
oiando a sommergersi, gridò dicendo: Si-
gnoro, salTami. Ed incontanente Gesù distese
la mano, e lo prese; e gli disse: 0 uomo
di poca fede, peroh6 hai dubitato ? Poi, quando
furono entrati nella naTicella, U Tento s'ao-
qoetft. S eoloio eh* «me nella narioeUa
Tennero, • Inorarono; dioeado: Veramente
tu sei il llgUuol di Die >. — 40. regU ecc.
Non ti è occulto se Dante poasiede le tre
Tìrtà delU carità (mimi ftiNf Dio e il proasi-
mo), della sperann (&fiM spira) e della fisde
iSinài). — 41. ptreM 11 tIio ecc. perehé tu
guardi (Aa< iX eta», hai la Tista, Tedi) in Dio,
nel quale si Tedono, come in ano specchio,
tutte le coee (cf^. Pw. xt 61, zxn 106 ecc.).
— 48. Ma pcrcM eoo. Ma perché il ragno
celeste aoooglie tra i beati gli uomini in gra-
zia della Terace fsde, è opportuno che in
glorifloadone di essa fede Dante abbia coca*
sione di parlare di leL ^ lui CsMo cItI eco.
È imaglne cera a Dante, che senti TlTamente
r amoro della città terrena e qperd d' aver
pace almeno n^la cittadinanza di paradiso :
cfr. Pvfrg. xm 94 e segg., e già nella V, N.
zxziT 1 : « si oomplea l' anno che questa
donna era Catta de li cittadini di Tita etsr-
na>. — 44. a gloriarla: al fine di glorifi-
care la fdde, parlare in gloria (ofir. Ar. xi
96) della fede. — 45. 41 lei parlare eoe In-
torno all' opportunità d' introdurre queeta
trattazione sulla fede nel suo poema, raccon-
tano gli antichi commentatori che Dante Ti
fosse indétto dalle accuse di eretico eorte
contro di lui : « Quello che mosse l' autore
(soriTO il Lana) a Teiere trattare de' punti
della fede cristiana cosi in singolarità, si
fne la inTidia di molti morditori, che sono
al mondo, li quali non intendendo lo stile
né '1 modo del parlare poetico, Teggendo al-
cuna parte di questa Commedia gli appo-
neano ohe era detto d' eresia, e per conse-
quens l'autore d' essa essere patarino. Onde
lo primo moTimento era d' inTidia, ohe per-
ch6 essi non erano di tanta sdenzia, Toleano
vietare che quelli che aTOTano grazia da Dio
non dicessono. Lo secondo morlmento era da
ignoiania, imperquello ohe, se aTessono i»
772
DIVINA COMMEDIA
61
Si come il baccellier s'arma, e non parla,
fin clie il maestro la qoestion propone,
per approvarla, e non per terminarla;
cosi m'armava io d'ogni ragione,
mentre ch'ella dicea, per esser presto
a tal qnerente ed a tal profBssione.
teso Io rtile • modo, elli stesti sarebbero stati
giadid di b6 medesQii, giudicando il proprio
parlare e tale appone essere fUso. Onde tale
inordinazione d' animo de* morditori costrinse
lo autore a ligazsi collo erisHaneshno con li
ohiaii e fermi ligami die non possano essere
rotti né frstti da MTole imposizioni TizLosa-
mente fotte ; lo qnale ligame si è lo santo
Simbolo, approvato per U santa madre Eo-
desia .essere U forma del Tereoe credere od-
stianol che cominda Onào ^ «Mwm Bwm
eoe. ». — a Ini arrlTli è dubbio qnale sia
il soggetto sottinteso, e consegoentemente U
senso dd Tb. mrAtL Se U sogg. 4 <ii^ san
Filtro, allora il yb. avràU sna nsoale dgni-
floa&one, come se dicesse: è bene ohe tn
Tenga sin qni, plesso a Dante al fine di par-
lare deUa fede *, ma cosi il costrutto sarebbe
f tentatiasimo. Se inTOce, come altri inten-
dono, il yb. orrM ha qui il signiAcato im-
personale di ooDcuia, MWMya eoe, allora il
Terso yorrà dire: a lui tocchi roooadone di
parlare della fede. Meglio anoora, conser-
Tando al yb. mrwi questo senso, si pud pren-
deie patlan come sostantiyato, in Aindone di
soggetto, e ogni diffiodtà grammatioale è
.rimossa. — 46. 8< come eoo. Come neUe
scudo il baoodllere prepara in silenzio le sue
argomentazioni per essere in grado di ragio-
nare su una questione proposta dal maestro
eco. È una similitudine tratta, oon felice in-
venzione, dalla pratica, ben nota all'Alighieri
(8i cfr. BuU. vn IjBO), deUe sonde medioerali
di filosofia e teologia: nelle quali il ma»-
tiro dalla cattedra soleya propone le que-
stioni, ohe erano pd dbcoase (approvan) tra
i dottori» htuùMimi e sookri preeenti, e dopo
la disonsdone di oiasouna questione il mae-
stro, in altro giorno, la ripresentaya con gii
argomenti prò e contro, oondudendo od pro-
nonziare il suo giudizio (Urminaré), Secondo
alcuni. Dante alluderebbe pifi partioolaEmente
alla cosi detta dUputaiSo tmUaUna (oSt. r, 87),
spedo di esame al quale doyevano assogp-
gettaxd i baccellieri nella fecdtà teologica di
Parigi. — baccelliert 11 tttdo di haooeUim
(lat. baooalariua e ftoctfZdrftis, frane. òaMdZtir,
d' incerta etimologia) nd linguaggio unlyer-
sitario medioevale era proprio di ohi ayoTa
conseguito un grado aooademioo inferiore al
dottorato e corrispondente press' a poco alla*
moderna licenza. BeuT. chiosa : « Est... ta-
celériu» rei baohalariut Ule qui substinet quae-
stionem oontra opponentem : ille appellatur
magider qui tenet cathedram et proponit
quaestlonem oonun dootoribus et schdaribus,
et non determinat illam in Illa disputatione,
sed postea alia yioe ». — 48. per appreTurln
eco. n yb. appro^an ha qui il senso sod»-
stioo di addurre le prove, gli angomenti prò
e contro una data opinione, e detto rispetto
alla ftmUom prepotta ha U valore del sm>-
demo yb. diaetiitn : il vb. Urmiman pd si-
gnifica definire, sentenziale, e corrisponde al
lat delmudnan di Beny. Posto ciò e osser-
vata la rispondenza oon le parole jmt asssr pre-
tto a la< gmrswli si a tolj»v/tesioiis(y. 60-61),
ò chiaro che tutto questo verso è dn ricolle-
gare oon il btuoeUiir «'anna, come dd resto
intendono i pld dd oommentatorl(YdL, Yent.,
Lomb., Biag., Costa, Oea., Andr. eoe.); non
già con le paìde la fUMUom propom, come
Torrebbero il Torelli e il Biandii spiegando:
« n baccelliere s'arma tacendo, ilndié il mae-
stro propone la questione per oppiim/rhi doè
pon)h4 sin jwwato, rfiswisw, per via di argo-
mentazione, non già per d»/Mrla\ ehó dò
dee essere il frutto dell'argomentazione stso-
sa ». — 49. eesf m'armava eoo. neOo stesso
modo io preparava In silenzio le mie ragioni,
mentre Beatrice parlaya. — 60. per etaer
ecc. per esser in grado di rispondere alle in-
terrogazioni di san Pietro intono alla fede.
Questo è il senso, manifestamente: ma gl'in-
terpreti discordano nello spiegare la frase •
tal profnaiom: il Lana, pensando anoont aUa
similitudine scolastica, spiega €a ricevere
convento », che nd linguaggio universitario
antico significa ricevere il dottorato, od qnale
grado d può eserdtare in professione ; il Boti
invece : « a td professione diente è la santa
Teologia», ma è spiegazione troppo vaga;
dd Lomb. in pd i commentatori spiegano
« la professione ddla fede cristiana ». £ que-
sta intsrpxetadone, cmne pld ovria e con-
fermata dd riscontro od B»r, zxvi 64, pare
a BM praferidle. — 61. a tal querente eoe.
La prova cui san Pietro sottopone Dante
ò un yero esame tedogico, cho d svolge, d
modo delle disputaziod scolastiche, eopra una
serie di questiod: ohe cosa d la fede (tt. 62«
66), perché ò definita come sostanza e argo-
mento (yy. 67-78), se Dante la possegga (vy.
79-87), onde 1' abbU derivata (tv. 88-96) e
quali proye d possano addurre circa la* sua
veradtà (vy. OT-111). Finito l'esame, san
Pietro dà la più ampia approvazione a Danto
(vy. 118-123), che all'inyito ddl'apostdo re-
PARADISO - CANTO XXIV
773
< Di', buon cristiano, &tti manifesto:
£dde ohe è ? » Ond* io leyai la fronte
54 in quella luce, onde spirava questo ;
poi mi volsi a Beatrice, ed essa pronte
sembianze femmi, perch'io spanassi
57 l'acqua di fuor del mio inte(mo fonte.
« La grazia che mi dà ch'io mi confessi,
comincia' io, dall' alto primipilo,
60 faccia li miei concetti esser espressi >.
E seguitai: < Come il verace stilo
ne scrisse, patre, del tuo caro frate,
63 che mise Eoma teco nel buon filo,
fede ò sustanzia di cose sperate,
ed argomento delle non parventi;
66 e questo pare a me sua quiditate ».
Allora udii : e Dirittamente senti,
se bene intendi perché la ripose
69 tra le sustanzie, e poi tra gli argomenti >.
Ed io appresso : € Le profonde cose,
eita n 100 atto di lède (TT. 12Ì-127). — 68.
f*à% tHuè è t Sv questo ponto, delU definì-
don» della fede, Dante si tiene alle dottrine
esposte da Tommaso d'Aquino, Stimma, P. n
2» qii. IT, art. 1, ukwn Amo aU ùompttmta
fidei dtfinUio: fide» »»t tubtUmtia tperanda-
68. leral eco. alni gli ooohi alla luce di san
Pietro, dalla quale era nadta qnasta inter-
rogazione. Blair. : « Ti mostra oosi oom' ò
stato, mentre padd qoel Santo. E nota bene
questo particolare, ohe è nno degli artifizi di
D#nte de' più degni di attenzione ». — 66.
p«l Mi Tolsi eoo. Dante si yolge a Bestxioe,
oouM già altre Tolta (efir. Ptr, zmi 62-64,
zn 46-48X per sapere se debba o no rispon-
der» all' intenogaiione. — 66. ■embiaue
eoe mi aooennò ohe potoTa liberamente ma-
nifèsfeue 11 mio pensiero; ofr. OioTanni yn
88 : « Ohi erede in me, si oome ha detto la
sonttora, dal suo Tentre coleranno fiumi
d' acqua TiTa >. — 68. La grada eoo. La
grada diTina, la quale mi concede di te la
aia professione di fede innanzi al primo de-
gli i^ostoU, mi guidi neU' espressione dei
miei OQOoettL La lezione di più testi bme
tgpmri sa di oorresione, perché la grazia
diTina opera sempre perfettamente, né il
cristiano pud augurarsi oh' essa operi beno ;
euen rnpnui poi ò infinito passiTo di tapri-
«ww, in dipendenza dal Tb. faooia, senza che
ci da bisogno di dare a mpr»$8i il Talore di
aggsttlTO, per chiari, manifesti. — 69. alte
prlad^Uo: san FIstK», capo degli apostoli ;
priw^pilMS dioeraiio i latini il oenturione del
primo ordine dd triad. — 61. C«me ecc. La
definidone ohe or seguirà della fede ò tolta
dall' Spisi, agli Ebrei xi 1 tribnita a san
Paolo; e Dante nel dtare la sua fonte lo fa
qpn parole in od d manifesto il ricordo di
queste dtre della 27 Epiat, eattoUea di san
Pietro m 16: « Si oome ancora U nostro caro
fimtello Paolo, secondo la sapienza che gli è
stata data. Ti ha scrìtto ». — 68. elle mise
eoo. che indeme con te ardo Boma sulla
strada della Tara fede, couTertf i romad d
cristianesimo. — 64. lìsde eoo. Traduce alla
lettera il passo dtato di san Paolo, che nella
Tulgata suona: eaL„ fide» eperandarum eub-
OTO, secondo Tommaso d'Aquino, L dt, eub-
etanHa è nd senso di prindpio fondamentde
delle cose sperate (prima inehoatio rerum epe-
randarum)y 11 qude in noi è determinato dd
consentimento alla fede, e argumentum signifi-
ca quad la oonTindone, doò l'adesione del-
l' intelletto alla Terità non apparente della fe-
de. — 66. queste eoo. questa pare a me essere
l'essenza della fede; sulla Toce quidilate cfr.
la nota d Par. zx 92, e d aTTerta ohe Tomm.
d'Aquino, L dt, dice ohe € definitio indicat
rd guiddUatem et essentiam ». — 67. Allora
eoe San Pietro soggiunge : € Tu sei nd Toro,
se oompreodi bene per qude ragione san
Paolo definì la iéde prima come una euetan'
xia e pd come un argomento ; e Tiene cosi
a indtar Dante ad esporgli questa ragione.
— 70. Le profonde eoo. Gli dti misteri, che
qui in ddo mi d manifestano, sono ood na>
scosti agli occhi dd mortali ohe in terra la
774
DIVINA COUUEDIA
n
ehe mi largiscon qui la lor parvenza,
72 agli occhi di là giù son si ascose
che l'esser loxo v'è in sola credensa,
sopra la qual si fonda Palta spene,
75 e peirò di sostansda prende interna;
e da questa credema ci conviene
sillogÌBBar, sema avere altra vista:
78 però intensa di argomento tiene ».
Allora udii : « Se quantunque s' acquista
giù per dottrina fosse eosi inteso,
81 non gli avria loco ingegno di sofista ».
Cosi spirò da quell'amore acceso;
indi soggiunse : « Assai bene ò trascorsa
84 d'està moneta già la lega e il peso;
ma dimmi se tu l' hai nella tua borsa ».
Ond'io: < Si ho, si lucida e si tonda
87 che nel suo conio nulla mi s'inforsa ».
Appresso osci della luce profonda.
loro eiistenxa non pad
non per lède, K>pni U qoato ri fonda la spe-
ranza della beatìtodine oaia della oontea-
plazione di eesi misteri: perriò la fede prende
carattere di mtttamik, in quanto è piindpio
fondaoMntale delle oose sperate, o ooae d^
ToiBBaso d'Aqn., L dt, per la fède ri ade-
risce a q«eUa Tenta nella oni oognirione con-
siste la Uatitndine (« specamns beatifloaii,
qood TideUmns aperta Tisione Texitatem, oni
per fidem adkaeremas »). — 75. Isleasn: al
tempo di Danto questa Tooe doroTa esser
oomnne, però che 11 Lana non ri fenaa a
spiegarla ; l' Ott la rende oon interi» e il
Bati oon intenmoiM, manifesto errore. Mei
poeti del secolo zm ri trora abbastanza
spesso nel eenso di paragone, sowigliansa
(per. ee. VaL I 262 : e Qoeila ohe senza in-
tonsa Tnttor s* agensa di gentil oostnmi »);
dal qoale io. £Miie il passaggio ali* idea di
condizione, qualità, carattere, che ha qui : ofir.
Oaspary, Scuola poti, aio. p. 48, 70. ^ 76.
e da questo eoe. e poiché da questo tede
procede ogni ragionamento circa la verità
etoma, senza susridio di alcuna prora sea-
sibilo, cori essa Isde prende il canUtore di
orgomanto (efr. la noto al Par. tv 67): anche
qui Danto sogue Tomm. d'Aquino, L rit,
ove è detto che la fede è abito di mento,
per oui in noi ri inizia la rito eterna, £»-
oendo ri ohe l'intriletto assento alle oose
non apparenti. » 79. 8e quantunque ecc.
San Pietro, qnari per incoraggiar Danto, gli
rivolge sin d'ora una parola di approvarione,
oome sogliono tee i maestri boneroli con i
discepoli chiamati alla prova dell' esame ; e
gli dice : Se totto dd rito In terra è materia
di dottrina fò«e oompiueo oon la alcurssza,
onde tu bri intesa la drilnirione della IMe date
da san Paolo, non ri sarebbero sollati, nes-
suno potrebbe ingannare gii altri con eoistt-
ohe diuiostnisinMi. — 81. fUs ivi, in terza;
ofr.lanotoatt'£i/:zzm64.— 82. Oecf eoe.
Questo asKNMivoli paioto di incoiuggismentn
mi disse l'apostolo.— 83. Assai keM eoe. Tu
hai felioeaiento crosto quato sin il concetto
della tode e come la deflnirione risponda al-
l'essenza di essa: la «WMria è la fede, la l«a
la deSnirione per oul appere la sua onssuii
(w. 64-66)eUpMoèladimostnaionedsOa
oonvsBienza della deflnirione ali' nsnsars
deUa fede (w. 70-78). - è ttaaeerMs è
passato per to tae mani, è stato da te esa-
minata. «- 85. aa dimmi, eoe. ma possiedi
ta questo fede, della quale hai ooaf bea ra-
gionato? — 86. Oad*le eoe. Si awuarto la
prontosza con la quale Danto subito, sansa
intromettere alcuna particolarità aeeeeeeria
tra la domanda e la risposta, ri piotoata pca-
eessore della fede ; psiÀ6 in questo pcen-
toeza è trasfttto il fervere dri eoo seotÉmento
religioso. — 8£ ke eoe. 6(, poeaeggo to fede,
e cori pura ed toteia che nell* aaiao mio
non è possibUe alcun dubbto. È aotevoto la
feUdto con to quale il poeto mantisM, ri-
sp<»dendo, to metafora deUa awDeta usato
da san Pietro nell'toterrogado. — 87. a^la-
farsa t il vb. to/tovon, derivato dall* aw.
/brs», significa rscaie o mettere to dobbto.
— 88. Apprease eoo. Dopo questo risposto,
usri daUa luce di san Paolo, che mi zisptoa-
deva innanri, un* altra
PARADISO - CANTO XXlV
775
ohe li splendeva : < Questa cara gioia,
90 sopra la quale ogni virtù si fonda,
onde ti venne? » Ed io: « La larga ploia
dello Spirito Santo, eh' è difFosa
93 in sa le vecchie e in su le nuove cuoia,
è sillogismo, che la m'ha conchiusa
acutamente si che in verso d'ella
96 ogni dimostrazion mi pare ottusa ».
Io udii poi : € L' antica e la novella
proposision che cosi ti conohiudje,
99 perché l'hai tu per divina favella ? »
Ed io : < La prova che il ver mi dischiude
son l'opere seguite, a che natura
102 non scaldò ferro mai, né batté incude ».
Bisposto fammi : € Di', chi t' assicura
che quell'opere fosser? Quel medeemo
105 che vuol provarsi, non altri, il ti giura ».
flsde onda ti Tonno? — 89. QaMto eoo. Qno-
sto dono predoso della fedo, ohe è il fonda-
nonto di ogni Tlrtd. Anoko qnofte perifirasi
è oonfonno al dotti •crittorali, p. oo. un
Paolo, EpUL agU Ebm xi 6 : e Sema fedo
è impoedUlo pUoerU [a Dio] >, od JB^. «i
Som. znr 28: « Tatto oid che non è fèdo
è poooato », 0 allo eentenso teologiche, p.
es. Tommaso d'Aqn., Ammi»., P. II >,
qn. T, art 7: « Per io inter omnes virtatos
prima eet fldes ; . . . noooeae est quod fides
Bit prima Inter omnee rirtatee, qnia natnra-
1Ì8 cognitio non potost attingere ad Denm,
aaonndnm qnod eit òUeotam beatitodinis,
pront tendit in ipsnm epos et oharitaa ». —
91. La larga eoo. La manifestasione dello
Spixito Santo largamente difltasa nelle oarte
del Tocohio e del nnoro Testamento è argo-
mento che mi ha proTata la lèdo cosi eflSoa-
cemento che qualunque altra dimostraxiono,
al oonfhmto À quella che nasce da tale ma-
nifestaziono, mi sombra inutile. — plein:
ctt. Bmt. xit 27. ~ 98. euela : porgamene,
che formano i Ubri biblicL ^ 94. ha eoneUn-
lat il Tb. eoHehkidtn ha qui n senso soola-
Btioo di dimoetrare, provar vera una proposi-
dono. — 96. aevlamentet indica non il modo,
ma l'effetto della dimostrazione, 1* efficacia
persuasiva di essa; e perciò oUuaa del v. seg.
vale il oontrsiio, cioè ineffiosco, vana. —
97. le idfl eco. San Pietro incalza Danto
con nuove dimando drca le prove della ve-
rità della lède ; e davanti all'apostolo U poeta
non è titubante, ma con argomenti scrittu-
rali e teologici dimostra la piena e pura co-
•donza ch'egli ha della sna fedo sino a chiu-
dere il suo ragionamento con una flora pa-
rola contro 1 dogenorì succossori del fonda-
tore della Caiiesa cristiana. — L*antlea eoo.
Perohó tieni come divina parola quella dei
libri biblici? L'aiMoa e la noveUa pnpoti-
Kiorn, il vecchio e il nuovo Testamento, eh»
ooH ti ooMoMud», ti porge tale dimostrazio-
ne ecc.: si noti che san Pietro ripiglia la
metafora usata da Dante nella risposta pre-
cedente (V. 94, 96). — 100. La prova ecc.
La dimostrazione della verità della fede d
nei miracoli narrati dalla Bibbia, è in quello
opere superiori all'umana natura. Che i mi-
racoli Siene prova della divinità della scrit-
tura d argomento frequentissimo nei libri
sacri ; p. es. Matteo xi 2-6, zn 28, Luca zi
20, Oiovanni v 17-47 ecc. — 101. 1* epere
eoe le opere sopranaturali, quelle a cui la na-
tura non s'accinse maL Atteggia in un' ima-
gine dedotta dalla vita reale, dall' arte del
fabbro, un concetto teologico: cfr. Tommaso
d'Aqu., Aiffim., P. I, qu. oz, art 4 : e Di-
dtur esse miraculum, quod flt praeter ordi-
nom totins naturae creatae. Hoc autem non
potest fscere nisi Deus ». » 108. Bisposto
eoe San Retro fk un'obiezione gravissima:
Tu hai detto che i miracoli sono una prova
della divinità della Bibbia; ora chi, se non
i libri biblici, ti assicura che 1 miracoli real-
mente accadessero? Tu non ne hai altra te-
stimonianza all'infùori di quei libri, dunque
ti avvolgi in un circolo vizioso. Questo es-
sendo il senso manifesto della terzina, e il
solo che si loghi logicamente con i versi an-
tecedenti e coi seguenti, è oerto sbagliata
r interpunzione delle vecchie stampe: Di' ehi
ftt$9ieum Oh» quM'optn fimtr quel medesmo
Oh» vuol pnvanif non aUri U H giura^ ed
erronee le spiegazioni date dai commentatori,
dal Lana al Lomb.: primo il Torelli restituì
776
DIVINA COHUEDU
1
«Se il mondo si rivolse al crìstianesmo,
diss'io, senza miracoli, quest'uno
106 ò tal ohe gli altri non sono il centesmo;
che tu entrasti povero e digiuno
in campo, a seminar la buona pianta,
111 che fu già vite, ed ora ò £iitta pruno >.
Finito questo, l'alta corte santa
risonò per le spere un < Dio laudamo »,
114 nella melode che là su si canta.
E quel baron, che si di ramo in ramo,
esaminando, già tratto m'avea
117 che all'ultime fronde appressavamo,
rìoominciò: < La grazia, die donnea
con la tua mente, la bocca t'aperse
190 infino a qui, com' aprir si dovea;
si ch'io approvo ciò che fuori emerse:
ma or conviene esprimer quel che credi,
con la ponteggiAtnim il mmo tsto, dato poi
da Coste, Ces., Bianchi, Àndr., Soart eoe.;
mentre il Tomm., il Fiat, e altri deviarono
ad altri enori. » 106. Se U Mende eoo.
Danto rifponde all' obiedone oon nn aigo-
mento unto qpoMO dai padri e dai teologi
cristiani (p. es. Anobio, Aivtirau* gmU, q 44;
Agostino, De €^, Dei xxd 6; Tomm. d'Aqo.,
Smmn. oontra gmU. i 6 eoo.), doè la diffu-
sione del cristianesimo esser cosi miracolosa
da bastare a dimostrar la realtà dei miracoli;
e dice: Se il mondo, arrolto nell'antioo er-
rore, abbiaodò la fede cristiana senta effi-
cacia di miracoli precedenti, è per so stesso
un miracolo cosi grande che gli altri tutti
insieme non sono la centesima parto di que-
sto. — 109. ektf ta ecc. perché tu intrapren-
desti la predicaiione della fode con la sola
forza della povertà e dell'astinenza. Vuol
dire, panni, che gli apostoli non si senrirono
alla propagazione del cristianesimo se non
della Tirtà morale dell' esempio, e perciò fu
miracolosa l'opera loro : consento silo Soart.
che non sia strettamento necessario ooUegare
qoesto passo con quello del Bar. zxi 127 e
segg. ; ma mi sembra troppo sottile la sua
interpretazione del povero « digùmwt cioè
senza esteriore potenza e senza lettere. —
110. a sesdnar ecc. a promuovere l' incre-
mento della chiesa cristiana, che già fu fe-
conda ed ora si ò istorilita. L'imagine ò evan-
geUoa (Mattoo xzm 27, xv 13), e bene è
spiegato dal Bnti : « la Chiesa, che fu come
buona pianto che dovesse fare buono frutto;...
la qual tu abbondante, come vite, a fare frutto
a Dio e convertire l'anime umane a la Code,
et al presento è insalvatichito e diventota
storile come è lo pruno, imperò che non U
pid frutto. — 111. fa già vite : ofr. iV. zn
86. — 112. PUlto ecc. Appena io ebbi dato
termine al mio dire, le anime beate raggrup-
pato per le epero o corone (cfr. v. 11) intona-
rono oon celesto melodia il cantloo TV i>iiii»
Umdamte. — 115. K qael eoe S V i^ostolo
ohe intecrogandomi m'aveva ormai condotto
di punto in punto sino quasi all'ultimo del-
l' esame, riprese ecc. — baron : il titolo di
òorwM, che servi nel medioevo a designars
persona insignito d' uno dei gradi della ge-
rarchia fondale, piacque a^ scrittori toeoaai
nel senso più generale di signore o nono
eocellento ; e lo dissero, come Danto qui e
in Air. zzv 17, persino dei Santi (p. ea. Boo-
oaooìo, Dto, VI 10, e baron messer santo An-
tonio»). — 118. La fimsla eoe. La grazia
divina, che si compiace di essere nel tuo spi-
rito, ti ha suggerito ciò che hai detto sinocs,
però io approvo ciò che t'è uscito dalla bocca
sino a qui ecc. — donneai il vb. donmean
(dal prov. domn^ar^ cfr. Dies 122, Zin;. 12S)
significa propriamento conversare con donne
(ofr. Danto stesso nelle Bims, p. 208: < Per
donneare a guisa di leggiadro »), vagheggiare,
fitf all' amore ; ma qui è usato a esprimere
l'intima corrispondenza, il rapporto ideale
tra la grazia divina e la mento del poeta, e
nel Par, zxvn 88 ha un valore analogo. —
120. eoa' aprir eoe nel modo che tu do-
vevi tonerò per mostrarti vero cristiano par-
lando della fede. » 122. ma er eco. ma oa
oonviene ohe tu manifesti quale sia l'essenia
e quale sia la cagione di dò che tu credi :
alla prima questione risponde Danto ooi w.
130-132, 139-141; alla seconda coi w. 133-
138, 142-lU; oonohiudendo poi tatto Q s«)
dire in una rapida sintesi ooi tv. 145-147.
PARADISO — CANTO XXIV
777
123 ed onde alla credenza tua s' offerse ».
€ 0 santo padre, spirito che vedi
ciò che credesti si c}ie tu vincesti
126 vèr lo sepolcro i più giovani piedi,
comincia* io, tu vuoi eh' io manifesti
la forma qiii del pronto creder mio,
129 ed anco la cagion di lui chiedesti ;
ed io rispondo: 'Io credo in uno Iddio
solo ed etemo, che tutto il del move,
132 non moto, con amore e con disio'.
Ed a tal creder non ho io pur prove
— 128. ei rade eoo. e da quel cagione quel
eh» endiy V oggetto delU tua fede «i offwm
eoe. » 124. ipliiM eoo. anima beata ohe
adeeeo redi old ohe in terra oredesti if che
ta fosti il primo a entrare nel sepolcro di
Cristo, sebbene il tno compagno Giovanni,
piA giovane di te ma meno fervente nella
fede, Ibsse ginnto prima eoe Danto si rife-
risce mani&stamento alla narrazione evao-
gelioa (Giovanni xz 1-9): e Or U primo giorno
della settimana, la mattina, essendo ancora
senzo. Maria y«ii«<itiAn«. vanne al monumento,
e Tide ohe la pietra era stata rimossa dal
nonnmento. Laonde ella se ne corse, e venne
a Simon Pietro, ed all' altro discepolo [Gio-
vanni], ohe qnal Gesù amava ; e disse loro :
WantiA tolto dal monamento il Signore, e iioi
non sappiamo ove 1' abbian poeto. Pietro a»
émnqm e Cottro dieeepolo osciion fnori; e
vmmmro al momamnto. Or correvano amendne
insieme : ma qnell' altro discepolo corse in-
nanzi più prestamente che Pietro, e venne
il primo al monumento. E, chinatosi, vide
le len^ftl*- ohe giacevano nel monumento ;
ma non vi mtM. S Simon Pietro, ohe lo se-
gnitera, venne, ed mUrò tul mommmto, e
vide le lenzuola che giacevano. . . Allora a-
donque l'altro discepolo, ohe era venuto il
primo al monumento, v'entrò ttnoh'egli, f vide,
e credette. Per oi6 ohe essi non avevano an-
cora oonosoenza della scrittura, che (conve-
niva che egli [Gesù] risuscitasse dai morti >.
▲ questa narrazione evangelica, che è la mi-
glioro erogazione della terzina dantesca,
l' Alighieri si riporta anche nel De «lon. m
9, insistendo sulla particolarità ohe Pietro
entrò subito nel sepolcro, mentre Giovanni
giunto prima rimaneva dubbioso alla porta :
onde è manifestamente vana la censura che
il Vent appone a Dante di contiadizione col
vangelo. ~ 126. v9r lo tepolero: uon già
nel giungere al sepolcro, ma nell'entrarvi e
nel credere ohe Cristo ora risorto da morto.
>- 127. oh* lo ecc. ohe io dichiari quale d
r essenza della mia fède e anche la cagione
ond'io l'ho abbracciata. ~ 128. format nel
ienM> tcolaftico di essenza. — pronto ere-
der: in che senso Dante chiama pnmla la
sua fedo? Por mo non v* ha dnbblo oh' egli
abbia inteso di accennare con questo agget-
tivo la disposizione dell'animo suo alla fede,
all'immediato accoglimento, senza dubbiezze
e senza discussioni, dello verità rivelate, cosi
ohe protito sarebbe qui noi sno senso usuale.
H Pederzini nelle sno note al Omv, i 6,
riawicànando questo verso alle Arasi pnm-
taxxa di KberaUtà e prmUa liberalità, voUe
dare all'agg. pronto il senso di compiuto, in-
tero ; e cosi il proiUo creder sarebbe quasi
la sintesi dei w. 86-67. È una spiegazio-
ne ingegnosa, ohe fte accolta dallo Scart,
ma fondata sopra un equivoco: basta leg-
gere attentamente tutto il oapitolo del Cone,
per intendere ohe la proiUà UberaHlà del vol-
gare al conAnmto del latino, è la spontaneità,
la fisoilita dell'usare la lingua quotidiana di
fronte alla difficolta di scrivere una lingua
morta; si ohe l'idea di interezza o compiu-
tezza è si&ktto estranea a quel passo, e però
anche al verso dantesco. — 180. Io eredo
eco. Ecco la profeesiono di fèdo di Dante,
conforme al prìncipt del orlstianerimo per
coi l'uomo credo in un IMo eolo, etemo, mo»
tare di tutte le ooss. — 181. oMe eoo. ohe,
senza essere mosso da alcuna altra forza,
muove per suo amore e desiderio ecc. Bian-
chi: «Dio avendo messo nel primo vtobile
un grand'amore e desiderio del dolo empireo
ohe gli sta sopra, e per questo dasouna parte
di esso primo mobile appetendo di congiun-
gersi con la parte respettiva dell'empireo, ne
nasoe quel velocissimo movimento ch'egli ha,
e che comunica a tutti i cieli sottoposti > ;
ofr. Oone. u A. — 188. Ed a tal ecc. Ed a
indarmi in tale credenza io non ho solamente
le prove fisiche e metafisiche, ma anche la
verità che dal dolo d venata a manifestarsi
in terra per mezzo dei libri sacri. — prove
eco. Allude alle cinque prove fisiche e me-
tafisiche date dell' esistenza di Dio da Tom-
maso d' Aqu. Swmm., P. I, qu. u, art 8, e
forse anche a quelle fomite da altri filosofi
e teologi a lui funiliari (ofr. Agostino De
Uber, arbitrio n 8-15; Boedo, Qm. phfilo$, m
778
DIVINA COMMEDIA
fisice e meiafifliee, ma dàlmi
185 anco la yerilà ohe quinci piove
per Moiaò, per Profeti e per Salmi,
per l'ErangeliOi e per voi ohe scriveste,
138 poiché 1* ardente Spirto vi fece almi.
*£ credo in tre persone eteme, e queste
credo tma essenza si una e si trina
141 che so£Eera congiunto sono ed e9t6\
Della profonda condision divina
eh' io toooo, nella mente mi sigilla
144 più volte l' evangelica dottrina.
Quest*è il principio, quest'è la favilla
che si dilata in fiamma poi vivace,
147 e, come stella in cielo, in me scintilla ».
Come il signor, ohe ascolta quel che i piace.
^
10; Qngoiìo liagiio, MoraL xr 46; Ugo àm
8. Vlttora, D$ atunmmd, o«pp. 7-8 eoo.). —
184. Ilsleo; Mpis essila ttrminaiioiio ofir.
Puodi, BmO. mi21. — 186. f«r H«l8è eoo.
noi Ubxi di Mote • dai FkofBtl, n^ Baimiy
Bo^ AkmV*^ * B*Ue WfitloU eh» rol, apo-
itoU, «oiTWto dopo tmof ttett Muntlfloirti
dallo ipbito crittlMio. 81 armt» ote la dao-
liflGMlono, pOTdlrood, dei lilni Ublid quale
è in qiiaatl Temi risponde all'nio dei padri
• deltaelogi: già nel Taagelo i Utei delVeo-
ohio Teatamanto sono indicati nello ateaao
modo (Looa xzir 4i: e oonTanira ohe tatte
le ooee aoritto di me neUa legge di Motoè,
e nei profeti, • nei ailiii, foaearo adenpia-
te»)> qaaUi ^ Nuoro ftuono leoipie di-
etintl in ApafV0Ì<t> e itfNwMtòo (l«tten • fatti
degU ÀpoatoU). — 188. alsl : dirini, tanti;
ooal piegano qnaai tatti dal Lana al Lomb. :
enoneasiante lo Soart intende alinentatori
della Me per meno degli soritti. — 139.
K erede eoo. Compie la profeesione di IMe,
aggiongendo di oiedere nel miateio della
Trinità, ammettendo che le tre penone di-
Tine tono di natua naa e trina, in modo
ohe si paò parlando della Trinità nsare il
•OMO (SIMO e l' è (M<), il plorale e il singo-
lare. — lAl. aeffitra: soffre, amoiette; oome
è nel Oom. n 9 : « La dottrina Teraoissima
di Cristo, la qnale è ... rarità, perché non
toffma aleoBo errore », e n 16: e la divina
soiensa... la qnale non ao/fira lite alonna
d'opinioni > eoo.: è indio, presente doU'antioo
Tb. so/fsrwv, irregolare nella 8» pars, (altri
k> derira da nn inin. toffmtn). — 142. Della
prafonda eoe Di questa natura misteriosa
deUa divinità, doè della sua unità e trinità,
mi danno oertezxa nella manta, mi persua-
dono i libri oTangelici in più luoghi (es.
Matteo zxvm 19, Giovanni ziv, 16, 17, 26,
I Ej^ V 7 ; Paolo, Il Mìp, a< OorkiH zm
18 ecc.). — 143. tlkn% laaea eoo. cka io ho
aooennata; alooni testi leggono sà'ieloooaMe,
fa fHSfito eoe.; ma la frase veramente daoteaoa
a msNte, Bel aenao di i
la certessadiu
cosi acatitoita da una ossessione troppo am-
bigua, wtgUtmr fo nmtUdiUm emdkoiom eoe.;
e pereto è da preferire Feltra leriona. — 144.
Pevangellea eoo. 81 richiama all'autorità del
vangelo, perché, ssoondo le dottrine teologi-
ohe, par meno della ragion natarala al poa-
oono oonoeeere le cose pertinenti ali* unità
dell' ssBonis divina, ma non qnaUe pertineati
aUa distinzione deQe peraona (cfr. Toma,
d' Aqu., Swm,, P. I, qu. zzxn, art, 1). ^
146. Creare Uprinelpla eoo. Queeto poto,
la credensa nella Trinità, è il princ^io fon-
damentale, ohe si espUca ne^ attci aitiooli
della lède oriatiana, a quel modo ohe la £a-
Tilla si dilata in fiamma eoo. Tale è l'Inter
pretaxlona pid ovvia e comune; ad altri mo-
derni piacque la eentsnsa del Buti, ohe spie-
gò : « La dottrina evangelica è lo principio
della lède », ohe para q^osislone mano eeatta.
— 147. e, eame eoo. e illnmina nella mia
mente tutte le dottrine di fede oon lo aplen-
dore scintillante di una atella. ~ 148. Carne
U slgaer eoo. La simiKtadina è tratta dal-
l'atto di un signore, che nella gioia cagiona-
tsgli da una .buona novella abbraoda 11 aervo
che gliél'ha arrecata, perdié in quel mo-
mento scompaiono le diiBBrense di grado, e
r impeto dell' affetto prorompe oon una ma-
nifestszione di domestica familiarità. Yen*
tari 260 : « Dante parsgona eé a aenro. An-
che noli' inferno, pieeo da timcca e rimpr»-
Terato da Virgilio, UBÒ la atsssa imitine (in/:
xvn 89). Là, aervo dignitoaamente Tocgogno-
so in feccia alla sdenxa umana ohe lo et»
regge: qui, in dolo, aervo umilmanto lieto
riapetto alia divina ohe lo I
PARADISO - CANTO XXIV 779
da indi abbraccia il seryo, gratulando
150 per la novella, tosto ob'ei si tace;
cosi, benedicendomi cantando,
tre Tolte cinse me, si com'io tacqui,
V apostolico lume, al cui comando
154 io avea detto ; si nel dir gli piacqui
1: ofr. Jnf. n 17. » 149. frfttilMdo eoo.: cfr. Bar. zxy 12. ~ t< ctm'l* MO. non ap-
manifostando in tal modo l'intama gioia. ~ pena ébU Unito di parlare. -^ 158. 1* apo-
161. kcBedleeid^Hl eoo. impartendo a me ttelleo eoo. il lume dell* apoatolo san Pietro,
la sua benediiione in vooe di oanto; « oan- ali* invito del quale io avera esposto il mio
tandomi benedidoni >, dice il Lomb, — 152. sentimento soUa fsde. — 154. si nel dir eoo.
trt «00. t* aggiid tN volte intorno a me; tanto egli fti sodisfktto delle mie itepotte.
CANTO XXV
San Iacopo iatenrega Dante intorno alla sperania ; e poiché Beatrice ha
risposto per Ini circa il possesso di tale Yìrtti, il poeta ne dichiara la Da-
tura, r origine e P oggetto. Tra i canti dei beati appare quindi san GioTsnni
BTangelista, il qnale assicura Dante d'avere lasciato morendo il suo corpo
solla terra, oontro la diversa eredensa difhisa tra i cristiani [14 aprile, ore
pomeridiane].
Se mai continga che il poema sacro,
al quale ba posto mano e cielo e terra,
8 ' si die m' ba fatto per più anni macro,
vinca la crudeltà, che fuor mi serra
XXY 1. Se mal eoo. Bioemta da san tondone altrimenti : la scienza divina perso-
Pietro rapproTasione per ciò ohe ha detto in- niflcata in Beatrice e la scienxa unana rap-
tomo alUufede, Dante si aodage a sostenere presentata da Virgilio ; ^a virtd e il Tizio ;
im' altra parte del sno esame, intomo alla le fàToreroU influenze celesti o la materia sa
speranza ; ma il pensiero della patria terrena, coi esse operarono eoo. ; maè molto più oon-
neUa quale ool hatteeimo gli fbrono aperte forme al concetto espresso nel y. segnento
le Tie della fisde, lo distoglie per nn momento U spiegazione di poema ore si tratta delle
daOe speranze di beatitudine celeste, tcaen- cose celesti e delle terrene. — 8. si che eoe.
dogli dall'animo questo caldo sospiro alla sua p^re che Dante aocenni alle fktlche sostenute
Fizenze,doYe si augura di ritornare dall'esilio nello scriyere il suo poema, negli anni che
in grazia dell'opera meravigliosa, del pomna corsero dalla morte di Arrigo VII al tempo
JMTV, prossimo ormai al suo compimento, in cui dettara questi Tersi ; senza doò oh' ei
Ha Al Tana spersnza, poidié appena data l'ul- Toglia richiamar qui tutte le Teglie della gio-
tima mano alla Commedia l'Alighieri mori, Tinozza e gli studi dei primi tempi del suo
lontano dalla terra che l'aroTa Tisto nasoere esilio ; che rapprsaenterebbero la preparazione
e oh' egli aTera eternata nei suoi oanti. — all'opera immortale (ctr. IStrg, ^^^^ 87). —
•enUnfas aTTonga, accada; latinismo in- 4. Tinca eoo. Dal momento in cui fu esiliato
•olito. — U peesia saere: cfr. la nota al- sorse in Dante il desiderio di rientrare in
VJnf. ZZI 2, per dò che riguarda il titolo patria, nò mai si spense anche quando pid
dell' opera di Dante: saaro e taerato {Par, zzni difficile doTOTa sembrare l'attuazione di esso
62) sono epiteti che accennano alla materia (cfr. Air. zTn 46 e segg.). In prindpio del
dell'opera, e spedalmente a quella della terza Oorw. i 8 seriTera : e Fu piacere de' dtta-
cantlca, oto gli argomenti profani cedono ^ dini della belUssima e famorissima figlia di
campo alla trattazione di cose religiose. — Roma, Fiorenza, di gettarmi fuori del suo
2, al %mÈl9 ecc. al quale poema hanno oon- dolcissimo seno, nel quale nato e nndrito Ud
tribuito ildeloelaterra: il delo con 1 dogmi, fino al colmo della mia Tita, e nel quale, oon
le dottrine e i misteri della fede ; la terra buona pace di quelli, desidero con tutto il
eoi suoi abitatori e le azioni loro. È questa cuore di riposare 1* animo stanco e termi-
la più comune Interpretaziono ; ma altri in- nare il tempo che m* ò dato >. £ gli stessi
780
DIVINA COMMEDU
12
del bello ovil, dov'io dormii agnello
nimico ai lupi, ohe gli danno guerra;
con altra voce omal, con altro vello
ritornerò poeta, ed in sul fonte
del mio battesmo prenderò il cappello;
però che nella fede, che fa conte
r anime a Dio, quivi entra' io, e poi
Pietro per lei si mi girò la fironte.
Indi si mosse un lume verso noi
di quella spera,
pensteii mise In reni mi principio di quatto
canto, aggiuntavi V idea ohe i meriti di grande
poeto gli ottenessero, oltre la patria, anohe
la ooronazione in san Giovanni; idea da faii
espressa anche in on carme latino a Giovanni
del Virgilio, il quale avealo invitato a recarsi
a Bisogna per ricevere la Unirea: clTonne
tiinmphales meUns pesare oapilloe. Et patrio
redeam si quando, absoondei» canoe laonde
snb inserta, solitom flavesoere, Samo ?.. Qnnm
mondi drcamflna corpora canta Astrìoolae-
qne meo, velnt inliua regna, patebnnt, De-
vindre caput hedera, laoroqneinvabit» (ofr.
F. Macrl Leone, La buooUea latina netta Iti-
tératma italiana del sso. XIV, P. I, Torino,
Loescher, 1889; P. H. ^Wlcksteed e S. G.
Oardner, Dante and Oiovanni del VurgiUo,
Westminster, 1902).— In endeltà eco. r osti-
nato odio di parto, ohe mi ohiade le porto
della città ov* io crebbi e vissi puro di onore,
ma nemico ai cittadini malvagi che straziano
Firenze. — 6. ovili cfr. Far, zvi 25. —
agnello eoo. LMdea del lupo e dell'agnello
per significare il cattivo e il bnon cittadino
pad essere stato suggerito a Danto da pi&
luoghi della Bibbia {Sloolea, zm 21, Geremia
ZI 19), ma era del linguaggio medioevale, ch6
chiamavansi hipi rapaci i potenti cittadini e
magnati, perturbatori della pubblica quieto
(ctt, Pwrg, zrv 60, Fair, xxvn 66). — 6. gli
éanno eco. al bello ovile, alla città di Firenze
e al suo comune arrecano perturbazioni civili.
— 7. eoB allrn eoo. ritornerò in patria, non
più poeta di terreni amori, ma di cose alto e
celesti; né più giovane baldo e animoso come
io n' uscii, ma maturo di anni e di consiglio :
e cosi sarò riconosciuto meritovole di rice-
vere l'onore dell'incoronazione nel mio bel
San GiovannL Alcuni commentatori inton-
dono voce per fttma, nominanza; altri, per
voce indebolite dagU anni: veUo poi sembra
oertamento indicare la chioma del poeta, im-
biancata dagli anni ; di piU altre e inammis-
sibili intorpretazioni non occorre parlare : si
veda ad ogni modo fl Todesohini, Scritti tu
Dante, TI 818-884. — 8. ritornerò eco. ofr.
Boccaccio, Vita di Dante S 8 : « £ però spo-
ran(lo per la poesia allo inusitato e pomposo
onore deUa coronazione dell'alloro poter per-
ond'usci la primizia
vanire, tutto a lei al diede • itadiaftio • oon-
ponendo. E certo il suo desiderio venia in-
taso, se tanto gU tosse stato la fortnnn gra-
ziosa ohe egli fosse giammai potato tornare
in Firense, neUa quel sete K>pra le fonti di
San CHovanni s'era disposto di coronare ; ao-
dò ohe quivi, dove per lo battasimo avea
preso U primo none, quivi medesimo per la
ooronazione prendesse il secondo ». — sul
fento eco. In San Giovanni di Firenze, an-
tioo tempio pagano ridotto nei primi tempi
cristiani al nuovo oulto, è tuttora il fonte
battosimale per l'intera citta: ai tempi di
Danto v' era un fonto da lui accennato in
Bif. ZEC 17 e segg., Air. zv 134, opera, se-
condo alcuni (Vasari, Vite 1 813), di Giovanni
Pisano : cfr. A. Kardini Despotti, Il dMom
di 8. (Ho, oggi Battistero di Fireiwe, Firenze
1902. — 9. prenderò 11 cappello: sarò in-
coronato ; eappello è qui nel senso del tnao.
ehapeau e del prov. eapeOu (Zing. 120 e Pa-
rodi, ButL m 146), che valgono ^dzlanda,
corona; ofir. Boocaooio, Dee, i 1: «Non sap>
piendo li franoeschi ohe si volesse dire Cep-
perello, credendo ohe oappeUo, cioè gkSrbm'
da, eecondo il loro volgare, a dir venisae »;
di ohe si ha la riprova nel lìar, zzzn 72. La
spiegazione di F. Nevati, Indt^mi e poetiUe
dant., pp. 78 e segg., òhe il cappello si abbia
da intondere qui per il berretto dottorale e
che Danto aspirasse a esser laureato o con-
ventoto in arti, non ha fondamento sufll-
dento (cfr. BulL Vili 169-172, SIS, IX 76,
269). — 10. che fa ecc. ohe te noto a Dio le
anime; cfr. Gregorio Magno, InExeeh. i3:
e Per fidem.... ab omnipotenti Deo oognosd-
mur ». — 11. fnlvl eoe in San Giovanni toi
io battezzato, e cosi intromesso nella fede
cristiana. — 12. si Ini ecc. mi si aggirò in-
tomo, oome ho detto. Air. zzrv 162. Non è
un ricordo inutile di cosa detta poco innanzi,
ma necessario richiamo, dopo la digressione
iniziale, e opportuno per riprendere la nar*
razione rimasta intorrotta. — 13. Inél eoe.
Dalla stessa corona di beati, dalla quale era
uscito san Pietro (Air. zziv 19 e segg.), si
mosse verso il poeta e la sua guida nn altro
splendore, doò l'apostolo san laoqio, ohe esa-
minerà Danto intomo alla speranza. ~ U. la
PARADISO - CANTO XXV
781
16 che I9BCÌÒ Cristo dei vicari suoi;
e la mia donna piena di letizia
mi disse: «Mira, mira, ecco il barone,
18 per ciii là gii. si visita Galizia >.
Si come quando il colombo si pone
presso al compagno, e l'uno all'altro pande,
21 girando e mormorando, l'affezione,
cosi yid'io l'un dall'altro grande
principe glorioso essere accolto,
24 laudando il cibo cbe là su li prande.
Ma poi cbe il gratular si fu assolto,
tacito c&ram me ciascun s'affisse,
27 ignito si che vinceva il mio volto.
Ridendo allora Beatrice disse:
« Inclita vita, per cui la larghezza
prlnlslft eoo. U primo e più eooeUonta dal
Ticari di CMsto in terra, dei pontefici roma-
hL — 17. Mira eoo. Onaida la Inoe di san
Iacopo apostolo, per dtTOskme al qnale i pél-
legiioi (ofr. F. ^. XL 81 • segg.) fìuino il
Tiaggio di GaUida. Fiequentatiflaimo fu nel
medioero il aantoario di San laoopo di Com-
postella ( Santiago ) nella Qallizia, ove era
sepolto il oorpo dell'apostolo (ofr. P. Bi^na,
eiom, 9ior. d. UU, «., VI 119-181): 1 fiorentini
solevano tvn prima il pellegrinaggio di Terr»*
santa, e poi quello di San laoopo, per il qnale
s'ar?id anche, sema oominerlo, Onido Cavai*
canti. ~ karenei cfr. Par^ zzrv 116. — 18.
C]aUsl*:laQaIliiU(lat. ObZtaaofo) è U regio-
ne ddla Spagna, ove soige Santiago. — 19. 8(
coma eco. Gentilissima è la similitadine, con
la quale il poeta descrive rafléttnosa acco-
glienza ohe si fecero sn nel dolo i doe apo-
st(^; forse Dante si ricoxdd dell'oraziano
{EpiaL I 10, 5): «Annvimns pariter vetoli
notiqoe columbi », ma avvivò la sna pittura
od félioe accenno agli atti propri dei colombi
per manifestare ilreoiprooo affetto. ~ 20. 1*bbo
eoe. r uno manifesta (sol vb.|MfkÌ0r«Gfir.i\ir.
XV 68) all' altro il suo affatto aggirandoee-
gli intomo con doloi mormorii. — 22. eesC
eoo. cosi Iacopo Ite accolto da Pietro, e in-
siesae lodavano la grazia del Signore (ofr.
Par, zzrv 1), della quale si saziano i beati.
— %L pna4et il vb. prandtf (ofr. Awy.
xzvn 78) iignilloa cibare, pascere. — 26. Ha
poi eco. Ha poiché il vicendevole rallegrarsi
di Pietro e Iacopo fu finito {fu aatotio è il
laL abaokOum fuU)^ entrambi si fermarono
(ofr. Inf, zn 116) in silenzio davanti a me,
sfavillando in modo ooa( abbagliante oh' io
non poteva guardare in essi. — 27. vlneeva
eoe. SMondo tntensiasimo lo splendwe delle
dna ludf Danto ncm lo sosteneva e dovette
àbbaMare la fooda (cfr. v. 84) ; meno esat-
tamente alcuni interpreti spiegane sotto per
vista ; che sarebbe contro il costante uso dan-
tesco. — 28. BIdeaie eoo. Beatrice, accom-
pagnando le parole con il suo celeste sorriso,
invita l'apostolo Iacopo a interrogar Dante
sulla speranza (w. 29-88); e l'apostolo, in-
coraggiato il poeta, gli chiede che cosa sia
la speranza, come egli la possegga e onde gli
sia derivata (w. 81-48) : Beatrice risponde
essa alla seconda domanda, prevenendo cosi
U risposta di Danto (w. 49-68), U quale al-
lora dichiara la definizione e Torigine della
speranza (w. 64-78), e a una nuova inteir-
rogazione di laoopo (w. 79-87), dice ohe la
speranza prometto una piena beatitudine (w.
88-96), compiendo ooa( fl suo esame sulla se-
conda virtfi teologale. » 29. laellta ecc.
Beato spirito, ohe scrivesti della liberalità
di questa reggia celeste. Pari autorità di testi
hanno le due lezioni, VaUegnxixa seguito dal
Witto, e la largkMxa più comunemento ao-
colta dai moderni editori ; si ohe per deddere
bisogna esaminare il concetto del poema. È
manifosto che Danto volle qui accennare I'jB^
pidola eattoliea che al suoi tempi era creduto
opera di san laoopo : la quale nel suo prin-
cipio ha questo parole, 1 2 : « Beputoto com-
piuto allegrezza, itatelli miei, quando sareto
caduti in diverse tentazioni » èco., onde par-
rebbe conflarmato la leztone aUtgrexxa : se non
che in questo parole si parla di allegrezza
degli uomini, non della diviniti. Perdo è pifi
probabile che Danto abbia alluso ad altre pa-
role àeìL*EpiaL n 6, 17: «Ohe se alcun di
voi manca di sapienza, chieggala a Dio, che
dona a tutti liberalmento, e non fa onta, e
gli sarà donata... Ogni buona donazione ed
ogni dono perfetto è da alto, discendendo dal
Paradiso » ; nelle quali veramento è celebrato
la larghtstxa o liberalità di Dio e della sua
oelestial corto. — vltot ofr. Bar, n 7. —
782
DIVINA COMMEDIA
30
88
89
42
della nostra basilica si scrìsse,
fa' risonar la speme in qnesta altessa;
tu saif ohe tante volte la figari,
quanto Gesù ai tre fé' più chiarezsa ».
< Leya la testa, e fa' oKe t' assicnrì ;
che ciò clie yien qua sa dal mortai mondo,
conyien eh' ai nostri raggi si maturi ».
Questo conforto dal foco secondo
mi venne; ond'io levai gli occhi ai monti,
che gì' incurvaron pria col troppo pondo.
e Poiché, per grazia, vuol che tu t' affironti
Io nostro imperadore, anzi la morte,
nell'aula più segreta, co' suoi conti;
n
so. déllft Bettrft «oo. di Dio • della soa oorte*
Lana : < bagiUea tanto è dito quanto doimu
ngiOf ti ohe '1 tolle qui per lo rege eterno ».
— 81. fa* eoo. fk' ohe il oda il noaie della
■perania In qneeto alto eielo, intenoga Danto
ralla apenokza, oome Pietro V ka intenogato
ralla lèda. È da arrertlre ohe alooni teologi
nello iplegara la traeflgniaalone di Cristo e
altri raoi atti li qnali roUe pfeeenti eoli
Pietro, Iacopo e Oiovanni, aamettono ohe
dò ligniilofai Io tre Tirtd santo essere stoto
oorroborato dai miracoli di QssA ed essere
raffigurato la fede in Pietro, la speranza in
laoopo, la oarità in Oioranai : Tomm. d' Aqu.,
Swmm. P. m, qu. zlt, art 8 dà di old di-
▼em e più profonda spiegasione, ma Danto
sembra aver profossato l'o^biklone più Tolgare.
~ 83. tal Md eoe. a to oonviene for questo
esane, poiché tu nel testo erangelioo rappre-
eentl la speiansa in totti I oasi ohe Cristo
dimostra la san diTiaità al tre apostoli pre>>
foriti. I fotti, onl Cristo ToUe preeenti soli
Pietro, Iacopo • OioTannl, ftuono la risur-
rezione della figlia di lairo (Loca vm 40-66),
la trasflgnrasione (Matteo xm 1-8, Marco ix
2-9, Lnoa ne 98-86), e la preghiera nell'orto
di Oetsemane (Matteo zzn 86-46, Maroo zxr
82-42). Si oeserri, quanto al testo, ohe ya
posto una Tirgola dopo te sa< (tu conosd bene
la speranza, sei in grado di eeamlnar Danto
ra questo punto) e o^ è pron. relatiTo; al-
trimenti ne Terrebbe un concetto puerile : te
•a» eh» eco. tu non ignori di rapproeentare
nel Tengalo la iqieran». Inoltre, fonte fkUé
quemio è loouzione regolarissima, perché il
quamio ha un Talora neutro, ohe dà all'espres-
sione danteeea il senso di ^wanfo sono ì» folto
eA«; né 0* è bisogne di riocnere alla lesione
qyanUy più oTTla oertamente, ma recato da
testi di minore autorità. — 88. fé* pid eoa foce
pi6 chiara manifostaifone deUa sua diTinità.
Molti testi e alcuni oommentatori (BenT.,Land.
ecc.) hanno Mfuxxa, nel senso di fomilia-
rità; lezione che potrebbe difendersi citando
il passo del Cbne. n 1, ore H
dei tre soli compagni presi da Cristo per as-
sistere alla trasfigurazione è dichiarato ooaf :
« aUe secretisslme ocee noi doyemo aTerepooa
oompagnfo », doè podd e fidati compagnL —
84. Lara eoe. Al» il Tolto(ofir. t. 27) e rin-
francati, perché ohi dalla terra sale al dato
doTO abituarsi agli splendori di parsdiso. —
88. al nastri eco. perfozioni i suoi censi, •
perdo si rrada capace di sostenere 1 noetri
raggL » 87. Qaeste eco. Questo paroto di
Incoraggiamento mi forono indirizato dalla
luce dell'apostdo laoopo. — 88. al BMnil
ecc. al due apostoli, ohe prima con la luce
troppo grande per la mia Tisto mi
fotto chinare il Tolto. L'esprssslune dante
d deriTato daUe sacre scritture ; cfr.
cxxi 1 : « Io alzo gli ooohi si monti, per Te-
derà onde mi Terrà aiuto » ; sul quale passo,
noto il finti: « <)ueeti eono li monti, cioè U
santi Apostoli, ohe sono posti In alto per ee-
oeUenzia di dottrina, oome li montL E qd d
dimoatra che l'autore, ragguacdando prima la
dottrina apostolica, fo soperdiiato da cesa per
la sua grandezza; .... ma poiché l'omo s*»-
Tanza ad essa, diToato abile ad intenderla e
seguitarla ». — 40. PaicM eoo. Dopo to pa-
role d'incoraggiamento rirolto a Danto, Ia-
copo riprende a parlare (efr. t. 48) fooaado
le rae interrogazioni sulla speranza, e ^ce :
Poiché Db per grazU singolare ti ha conce-
duto di Tenire tìto a oontemplars i beati nel
paradiso, afflndié, quando aTxai oonoednte
la Terità, tu possa in to • negli altri ralfor^
mar» quella speranza che nd mondo te de-
siderare agli nosdni la beatitadiDe oetoste,
dimmi die cosa è la speranza, in qua! misura
U possiedi e onde f è deriTata. — f nCMa*
tL.. ce' suel «enti t tu Tenga a fronte, te
giunga a contemplare I raoi beati eoo. ATendo
chiamato Dio il nostro imptnèon mantiene la
metafora dicendo mia la sede di lui, • eofiM
i beati che lo droondano, ooma I ccolt (tot
wmUm) tonno oompagnfo d prindpi dedn ter^
PARADISO - CAirrO XXV 783
si che, veduto il ver di questa corte,
la speme che là giù bene innamora
45 in te ed in altrui di ciò conforto:
di' quel che eli' ò, e come se ne infiora
la mente tua, e di' onde a te venne » ;
48 cosi segui 1 secondo lume ancora.
E quella pia, che guidò le penne
delle mie ali a cosi alto volo,
51 alla risposta cosi mi prevenne:
« La chiesa militante alcun figliuolo
non ha con più speranza, com*è scritto
54 nel sol che raggia tutto nostro stuolo;
però gli ò conceduto che d'Egitto
venga in Gerusalemme per vedere,
57 anzi ohe il militar gli sia prescrìtto.
Gli altri due punti, che, non per sapere,
son domandati, ma perché rapporti
60 quanto questa virtù t' è in piacere,
a lui lasc'io; che non gli saran forti,
né di iattanza: ed egli a ciò risponda,
63 e la grazia di Dio ciò gli comporti >.
Come discente eh' a dottor seconda,
pronto e libente, in quello ch'egli è sporto,
66 perché la sua bontà si disasconda:
€ Speme, diss' io, è uno attender certo
re. — 4i. éké là yli eoo. òhe, essondo tìtM stioni (essenza e origine della speiansa), ohe
tedogloa, induce negU animi nmani l'amore di gli sono state ftttte non già per oonoeoere il
Dio. — 46. di elò t con il pensiero della corte mo pensiero in proposito, ma eolamente per-
celeete. » 49. qiellm eco. Beatrice, che chó egH fàccia noto agli altri nomini quanto
arerà tratto il poeta a qnell' altissimo dolo, ta aaìi questa rirtd della speranza, lascerà io
rolle essa rispondere alla seconda domanda; a lui ; non risponderò io sugli altri due punti,
perché a lui sarehbe stato difficile il commi- sui quali senza difficoltà e senza ranae^oria
Buiaie l' intensità della propria speranza e può dlsoorrere Dante. ~ 61. ■#■ gli eoo. ott,
poco oonreniente il dire quanto eesa fosse la nota al r. 49. — S8. e la grazia eoo. •
rira e perenne (cfr. r. 61-62). » ehe gaidà Dio gli sia largo della sua grazia sf oh' ei possa
ecc. ofr. Par. xr 68-64. » 62. La ehleaa rispondere adeguatamente alle tue domande.
eoo. Come è scritto, e tu puoi leggere, nel- — eeapertl: consenta, conceda. — 64. Oeoit
l'aspetto dirino, non r* ha alcun uomo, tra ecc. Come il discepolo prontamente e spenta-
quanti ndUtuio sotto le insegne della Chiesa, neamente risponde al maestro, desiderando di
tra tatti 1 cristiani, che nutra tanta speranza mostrare la sua eccellenza ecc. Già nell'oo-
della sua salute. — 68. eem> è Mrltt» ecc. castone delle risposte date a san Pietro Dante
cflr. JRir. zxn 106. — 64. bH sol eco. in Dio, ha tratto una similitudine dalla scuola (Air.
che della aua luce illumina tutti i beatL — zxrr 46 e segg.) : e qui ne ha un' altra che
66. ehe é'Sgitto ecc. di renire dal mondo potrebbe parere un dolce ricordo della sua
a oontemplare il paradiso prima ch'egli ab- studiosa giorentft; in questa similitudine si
bla oomphito la sua rita terrena. L' l^tto, arrerta la cura del poeta di mettere in eri-
nelle sacre carte, è simbolo della rita ter- denza il motiro della prontezza e spontaneità
rena ; Gerusalemme, della corte celeste. — della risposta, che è il desiderio dell' eocel-
67. 11 adlitar eco. Il periodo. Il tempo della lenza, oomune a tutti gli uomini d* ingegno
rita umana, ohe è una milizia (ott. Giobbe (cfr. Awy. zi 86) e nobilissimo, quando non
mi). — preseritte : cfr. B»r, xzi 108, zzir trasmodi in sttpert>ia. — seeoada t tiea dietro
6. «^ 08. COI altri eco. Le altre due que- rispondendo. — 67. 8fea« eoo. La speransaè
784
DIVINA COMMEDIA
della gloria, futura, il qual produce
G9 grazia divioa e precedente merto.
Da molte stelle mi vien questa luce;
ma quei 1a distillò nel mio cor pria,
72 che fu sommo cantor del sommo duce.
^ SpererU in te^ nella sua teodia
dice, coloi* che sanno il nome tuo ' :
75 e chi no '1 sa, s*egli ha la fede mia?
Tu mi stillasti con lo stillar suo
nell'epistola poi, si eh* io son pieno,
78 ed in altrui vostra pioggia replùo ».
Mentr*io diceva, dentro al vivo seno
di quello incendio tremolava un lampo
81 sùbito e spesso, a guisa di baleno.
Indi spirò: «L'amore ond'io avvampo
ancor vèr la virtù, che mi seguette
84 infin la palma ed ali* uscir del campo,
vuol ch'io respiri a te, che ti dilette
di lei; ed èmmi a grato che tu diche
87 quello che la speranza ti promette ».
Ed io : < Le nuove e le scritture antiche
l'aspettazloiie fernut della gloria fdtitra, aspet-
tazione prodotta dalla grazia divina e dai me-
riti preoedentL Dante traduce la Aefinizione
di Pietro Lombardo, 8entmLm2i: « Spes eit
certa expectatio fbtnrae beatltodinif, yenienB
ex Del gratia et ex meritìa praeoedentibaa » ;
sulla quale ofr. Tomm. d'Aqu., 8wnm. F. I
2m, qu. LX, arte 2 e P. II 2^, qu. xvn,
art 1-2. — 68. U qual eoo. il quale atten-
dere, la quale aspettazione producono la
grazia di Dio e le opere meritorie preceden-
temente compiute. » 70. Da «olte ecc.
Passa qui a rispondere all'ultima domanda,
onde a lui sia venuta la speranza, e, sebbene
già nella definizione abbia accennato a tale
origine, dichiara d'averla attinta alle sacre
carte e specialmente ai salmi. — stelle s au-
tori dei libri sacri : ofr. Daniele xn 8 : « Quelli
che avranno giustificati molti rispleuderanno
come stelle in sempiterno ». — 71. la distil-
lò : la inftise, la trasmise all' animo mio. —
72. s^Bima ecc. David, cantore dello Spirito
Santo {Fùr, xx 88). — 73. Sperent occ Sono
parole del Salmo ix 11, secondo la vulgata :
« Sperent in te qui noverunt nomeu tuum > ;
cioè quelli che hanno fede in Dio, a però co-
noscono il suo nome, debbono nutrire la spe-
ranza della beatitudine; perohó la speranza
nasce dalla fede (dr. Tomnud'Aqu., Summ,
P. n 2m, qu. xvn art 7). -> teodCa t canto
divino, il libro dei Baimi: per albe spiega-
rioni cfr. Moore, I 66. ~ 76. e chi eoo. •
chiunque professa, come me, la fede cristi^
na conosce il nome del vero Iddio. * 76.
Ta Mi ecc. L' inspirarione oh' io trassi dalle
parole di David mi ta confermata dalla taa
Epistola, insieme oon quella di David la tua
parola susdtd e confermò nell'animo mio la
speranza ecc. Nell'Epist di san laoc^ mm
si tratta di proposito deUa paranza, ma psb-
recchi passi vi sono (es. i 12, n 6, rv 8 eoe.)
che ben possono alimentaria nel cuore d^
credente. — 77. sf eh' lo ecc. in modo ch'io
mi sento pieno di speranza e riverso sogli
altri uomini questa virtd da voi ins^xatamL
— 78. rep lio : ripiovo, riverso (lat rtylyu).
— 79. deatro eoe per entro aDa fiamma di
Iacopo apparivano improvvisi e frequenti guiz-
zi; segno esteriore della gioia provata da
quel santo spirito per le risposte di Dante.
~ 82. spirò X disse ; ofr. Few, xxrr 64. L'apo-
stolo rivolge a Dante un' altra domanda, oiica
l'oggetto della speranza. — li* amar» aoo.
L'amore, onde io, anche in Questa beata corte
ove non ha più luogo la speranza (cfr. Tooua.
d'Aqu., Summ. P. Il 2^, qo. xvm, art 3),
ardo per questa virtd ohe mi accompagnò sino
al martìrio e alla morte, esige eh' io riparli a
te, che di lei ti diletti, doò ohe tale ^e-
ranza accogli in cuore. — 84. la paisà: il
martìrio, di cui la palma è il simbolo. ~ 86.
èmmi eoo. mi piace, desidoro che tu dica òhe
cosa ti promette la speranza. — - 88. E4 le:
Dante risponde, senza ambagi, ohe l'obbietto
della speranza è la beatitudine eterna, eeoondo
la dottrina di Tomm. d' Aqu., Stmim. F. n
PARADISO - CANTO XXV
785
pongono il segno, ed esso lo mi addita,
90 dell* anime che Dio s'ha fatte amiche.
Dice Isaia che ciascuna vestita
nella sna terra fia di doppia vesta,
93 e la sua terra è questa dolce vita;
e il tuo fratello^ assai vie più digesta,
là dove tratta delle bianche stole,
96 questa rivelazion oi manifesta ».
E prima, appresso al fìn d'este parole,
SpererU in te, di sopra noi s'udi,
99 a che risposer tutte le carole;
poscia tra esse un lume si schiari,
si che, se il Cancro avesse un tal cristallo,
102 l'inverno avrebbe un mese d'un sol dL
a», qo. xrn, art 2 : « OUectom spei est be»-
titódo ftotena » ; ma lo dioe in modo ìmàf^-
DOSO, e oon par<de die hanno dato Inogo «
molte ezionee Interpretazioni, nate tatto da
false inteiponzioni che ho corrette finnoap
mente, ricollegando, come il senso esige e
l'abitudine dantesca conferma, il t. 90 od r.
80 (ofr. F. Gavasioni Pedersini, Diakghi fi-
km/M, Modena, 1842, p^ 816 e segg.; L.
Aibib ne^ Studi inediii tu Dante, Firenze,
1846, pp. 184 e segg.; Q, Todesddni, SeritH
tu DcmUf n 4B6 e segg.). — Le nnoTt eoe.
Ija Bibbia, nei libri dd reochio e dd nuovo
testamento, manìlBsta qnal aia il tegno del-
l'ankm eht Dio 8*ha fattt amiehój il fine cni
tendono le anime dette, ed «tsa segno mi ad-
dita quello eh$ la tptranxa mi prewiatts, dod
la beatitodine, come obbietto della speransa.
Nella Bibbia non è dcon pasao oyo aia cod
atteggiato n ooneetto espresso di Dante, ma
da infiniti Inoghi di essa rilevad qoesta dot-
trina, die i bnoni sperano di consegoire per
mezso della grada divina la beatitadine eter-
na : i luoghi poi ai quali U poeta aveva in
particolare la mente sono quelli d'Iada, uà
7 e di Giovanni, AffoeaL vn 9, da Ini stesso
dtati nd verd seguenti; cfr. Moore, I 66-67.
— 91. Dice laala eoo. Legged in Isaia,
Lxi 7, secondo la volgata: e In terra eoa
dnptiflia posddebimt, laetitia sempiterna erit
eis » : paiole ohe Dante spiega dicendo ohe
ciascuna anima eletta sarà nella tua itna
rivestita di doppia «sds (la beatitadine dd-
ranima e del corpo) e che sua terra è la corte
edeste, il paxadiao. — 94. e 11 tae ecc. e
tao fratello, l'apostolo Oiovanni, d manifesta
aasd piti distintamente tde rivelazione là
ove tratta delU KwwM ttoU, doò ndl' Apo-
oaL vn 9, ove d legge: e Diypo queste cose,
io vidi ed ecco una torba grande, la qoal
ninno poteva annoverare, di totte le nadoni,
ThttKM
e tribù, e popoli, e lingoe, i qoaU stavano
in pie davanti d trono, e davanti all'Agndlo,
vestiti di stde bianche, ed aveano palme ndle
mani > : inutile avvertire che qoesto è Teser-
dto dei beati. — 97. B prima eco. Appena
io ebbi dette queste parole, in ano dei grappi
di anime (ofr. Par, xnv 10) ta intonato il
versetto del Salmo ec 11, ^lurmU in io eco.,
e lo ripeterono cantando tatti i cori dd beatL
— 99. carole X ofr. Par, xnv 16. ~ 100.
poscia eoo. (Cantato il versetto dd Salmo,
uno dd land d fisce cod ftilgido da pareg-
giare la loco solare; ma Dante dice questo
in modo novissimo e iiuitastìoo, che se la co-
stellazione dd Oanoco avesse una stella cod
luminosa 1* inverno avrebbe un mese di luce
oontinuata, dalla metà di dicembre a quella di
genndo sarebbe sempre giorno chiaro (cfr.
Della Valle, Bttnto eco. pp. 146 e segg.).
— «■ lame x questo lume che prima d ta tol-
gidlasimo e pd d accosta a quelli di Retro
e Iacopo, è l'anima di Giovanni apostolo, ohe
interrogherà Dante sulla carità. — 101. se
11 Cenere ecc. « L' indovinello, di origina-
lità veramente dantesca, del Par, xzv 101-
102, dove è detto che, se il Genero splen-
desse della luce di san Giovanni, 1* inverno
avrebbe un mese d' un sd di, a me sembra
molte importante non per sé, ma perché mo-
stra che Dante possedeva e intuiva la parte
dementare dell'astronomia, oon tale siourez-
sa, da permetterd di scherzardl £lo scheno
ha assolutamente tutta la precisione mate-
matica I Durante tutto il mese invemde, nel
qude il sde percorre il segno di Oaprioomo,
e sdamente in questo periodo, in ogni istante
ri troverà sull'orizzonte di un luogo o il sde
o un punto dd segno di Canoro, e perdo,
se questo ^lendesae come san Giovanni, per
quel meee sarebbe continuamente giorno»;
F. Angditti, BuU, VH 189. — eristelle:
786
DIVINA COMMEDU
E come sorge e va ed entra in ballo
vergine lieta, sol per &ixe onore
105 alla novizia, e non per alcun fjEillo;
cosi vid*io lo schiarato splendore
venire ai due, che si volgeano a rota,
108 qual conveniasi al loro ardente amore.
Misesi li nel canto e nella nota;
e la mia donna in lor tenne l'aspetto,
IH pur come sposa, tacita ed immota.
€ Questi è colui che giacque sopra il petto
del nostro pellicano, e questi fue
114 d' in su la croce al grande offizio eletto ».
La donna mia cosi; né però piùe
mosse la vista sua di stare attenta
117 poscia, che prima, alle parole sue.
Quale è colui ch'adocchia, e s'argomenta
di vedere eclissar lo sole un poco,
120 che per veder non vedente diventa;
tal mi fec'io a quell'ultimo foco.
ofr. Bar, ZZI 26, tttt 26. — 106. B eomt
•00. Altre itnpende rimtUtndinJ tratte dal
bello ebbiamo nel poema di Dante, ma in
neesona fono la gioconda firanoheixa degli
atti e l'oneeto mnoTere della penona sono
rappreientati eoa tanta evidenza quanta è
in qneeta, bellifleima nella eoa semplicità: < il
pudore della vergine (nota n Ventori 264) è
oongionto alla letizia di festeggiare la sposa
noyella, nella quale è adombrata Beatrice > :
ofr.TT. 110-111. — lOi. per fare eoo. per o-
norare la sposa novella, e non per alonna va-
nità né per desiderio di mostrare sue bel-
lezze. — 106. eosf eoo. il Inme divenuto più
fùlgido si accostò in tal modo agli altri due
ohe danzavano in giro con la velocità corri-
spondente alla loro intema beatitodine. —
108. Hiseii eco. Si accompagnò agli altri due
nel cantare e nel danzare : e dice nota anche
per U ballo, poiché questo era un movimento
regolato dal canto. — 110. e la mia eco. e
Beatrice fermò sopra i tre apostoli lo sguardo,
ascoltando silenziosa ed immota il loro canto ;
Ventori 264 : « apoaa accenna la dignitosa bel-
lezza di Beatrice festeggiata, taeiia il vere-
condo rispetto; immota la calda bramosia di
nulla perdere della mirabile scena >. ^ 112.
Questi eco. Beatrice manifèsta a Dante chi
sia il nuovo spirito sopravenuto, dicendo:
Questi è l'apostolo (Hovanni prediletto da
Cristo e da Ini designato alla Vergine a te-
nere il proprio posto di Aglio. Due fktti, ca-
gione di grandissimo onore a Qlovanni, ri-
corda qui il poeta : che eg^ era prediletto da
Oristo, si ohe riposò più volte rol sno seno
(Giovanni zm 28, zzi 20), e ohe Gesù es-
sendo già posto sulla croce si volse alla ma-
dre, additandole Giovanni e dioendi^ : Ecco
il ligliuol toc, e a Giovanni additò la madre
dicendo : Ecco tua madre (Giovanni zix 26-
27). ~ US. éel nestro peUleaM: di Gesù
Cristo, raffigurato nel pellicano, sia per le pa-
role del Salmo on 6 : e Io son divenuto si-
mile al pellicano del deserto », sia per la cre-
denza che quell* uccello risnsoiti i suoi figliuoli
còl proprio sangue, come Cristo redense col
sacrifizio di sé la generarione umana (cfr. B.
Latini, Tmro v 80). — U4. al graade ef-
flzte : di tener il luogo del flg^ di Dio. —
116. b4 però eoo. È manifiaeto il penstero del
poeta: per il fatto ch'ella mi pariò non cessò
di rigoardare gli apostoli con la stassa atten-
zione con la quale li guardava prima; ma
l'espressiime è escara e avviluppata. Séguito
la lerione comune spiegando : né per questo
Beatrice mosss ìa vtito suo, mosse gli occhi,
di 9lan attenda dallo stare attenta, posois aUè
fonìe om fiiA th» prima, dopo cioè mentre
parlava, più ohe prima quando mm psidava;
ma è certo più chiara la lesione accolta dallo
Qoaxt,: né ptrò pia» Motoir la viola ma di tion
attinto Aseto^ càsjrisM» b jNvioi» «MS ; alla qua-
le si potrà dare la preferenza, ae l'esame dà
oodid mostrerà oh' essa abUa un bucm fonda-
mento. — 118. Quale ecc. Qnale è cohii che
goarda attentamente e af ingegna di vedsn
l'eclissi parziale del sole, e per lo sfbcso fstto
al fine di vedere resta abbagUato sf che noa
vede più nulla ; tal mi fiso' io ecc. — I2L a
qatXV alttnie fleet : al Inme venuto per il-
PARADISO - CANTO XXV
787
mentre clie detto fu : < Perohé V abbagli
128 per veder oosa, ohe qui non ha loco?
In terra è terra il mio corpo, e Baragli
tanto con gli altri che il numero nostro
126 con l'eterno proposito s'agguagli.
Con le due stole nel beato chiostro
son le due luci sole che salirò;
129 e questo apporterai nel mondo vostro ».
A questa voce l' infiammato giro
si quietò con esso il dolce mischio,
182 che si facea del suon del trino spiro;
si come, per cessar fatica o rischio,
li remi, pria nell'acqua ripercossi,
185 tutti si posan al sonar d'un fischio.
Ahi quanto nolla mente mi commossi,
quando mi volsi per veder Beatrice,
138 per non poter vedere, ben ch'io fossi
presso di lei, e nel mondo felice!
ttm^ «ll'ftpoitolo eioTBimi. — 122. m«mftrt
ékm Me. flndié mi fte rirdlta una domanda.
Basta oontemplara fl lume ftilgidinimo, per
aooartaxil se Teramente l' apoetòlo Gioranni
ibeae in anfana e corpo, poiché oredeyati nel
aedioero oh'ei non fooe morto, ma salito al
delo cosi come era in terra (oredensa nata
dalle parole del Tengalo di Oioranni, zn 28 :
th mtm 90h «mnmtv donto etniom, dette da
Oriito a Pietro nella sua iena appaiisione
dopo la morte): ma l'apostolo lo arrerte di
non alEKtioazai inutilmente la vista, perché
in delo non è ammessa aloona natora cor-
porea. — 124. In terra eoo. Il mio corpo ri-
dotto in cenere è giù in terra, e tì resteri
con gli altri corpi umani ilnohé il numero dei
beati predestinato da Dio sia raggiunto; cfr.
ApoooL TI 11 : « E fu data a oiMonna d'esse
[anime dei martiri] una stola bianca, e fu lor
detto che si riposassero ancora un poco di
tempo, inltno a tanto che fosse oompinto il
numero dei lor conservi e dei lor fratelli »,
^ 127. CoB le dae eoe Con la duplice g^
rifloadone, dell'anima e del corpo, non ri
sono nd paradiso se non le due lud che sa-
lirono poco fìs all'Empireo (cfr. Par, zzn 86-
87, U2-126), dei Cristo e U Vergfaie. —
eUesfre t cfr. Puirg. zxyi 128. — 129. e qae.
sto eoe e questa verità, ignota agli uomini,
apporterd gi6 in terra. — 180. Plnflawnate
eoo. cessò il movimento delle lud e a un
punto con esso cessò il canto che era formato
dalle vod dei tre apostolL — 181. dolce sd-
scUe : ddce canto che era accompagnato ar-
monicamente alla danza. ~ 188. d ceae ecc.
a qud modo che d segno dato mediante il
suono d' un fischio (strumento o fischietto,
secondo il Tornea) per concedere riposo o
rallentare il corso dieUa nave, i remi ohe pri-
ma d riperootevano nell'acqua restano tutti
insiMne immobiU. & una similitudine che Dan-
te trovò due volte in Stailo, Teb. iv 806 e
VI 799 (cfr. Moore, I 248), rinnovandola
con felice preddone di parole e dandole il
pregio della pittoresca evidensa. — cessar x
cfr. Inf, XVII 88. — 186. AU eco. Volgen-
dod a Beatrice, Dante restò commosso per-
ché, ancora abbagliato dd fdgore apoetdico
(cfr. Air. zxvi 6) da kd lungamente con-
templato, non vide più la sua donna, seb-
bene le fosse vidno e fosse fai paradiso, ove
la vieta d afforza di virtù sovrumana. —
188. per non poter eoe perché non potevo
vederla.
CANTO XXVI
San Giovanni interroga Dante sopra Toggetto della carità e sopra i mo-
tivi che lo inducono ad amare Iddio : compiato questo esame tra l'approva-
zione dei beati, si unisce ai tre apostoli 1* anima di Adamo, che per sodi-
sfare il desiderio del poeta dice quale fosse la natura del primo peccato,
788
DIVINA COMMEDIA
quanti anni aleno passati dalla creazione del primo nomo, qnale fosse la
lingua da Ini parlata e qnaato tempo dimorasse nel paradiso teireetre
[14 aprile, ore pomeridiane].
Mentr*io dubbiava per lo ▼ìso spento,
della fulgida fiamma che lo spense
8 usci un spiro che mi £9oe attento,
dicendo : < In tanto che tu ti risense
della vista che hai in me consunta,
6 ben ò che ragionando la compenso.
Comincia dunque, e di' ove s'appunta
l'anima tua, % fa' ragion che sia
9 la vista in te smarrita e non defunta;
perché la donna, che per questa dia
region ti conduce, ha nello sguardo
12 la virtù ch'ebbe la man d'Anania >.
Io dissi : « AI suo piacere e tosto e tardo
XXVI 1. HMtr* !• eoo. Mentre io «n in
qneeto toibamento per il timore di aver pei^
dato la ristai dalla ftdgida luce ohe mi aroya
abbarbagliato nsci nna Yooe che richiamò a
sé la mia attenzione (ofr. B»r, zxv 186-139).
— dabUara: non d'inoertexza, ma di timore
(ofr. Pwg, XX 136). — TliO : cfr. Inf. ir 11,
— 3. nie£ ui spiro eoo. nad, spirò una rooe;
ofìr. Far. xzrr 82.'» 4. In tanto ekt ta eoo.
Fino a ohe ta abbia lìpreao il senso della
vista, rimasto abbagliato nel rigoazdare in
me, è opportuno ohe tu sia compensato ra-
gionando meco intomo alla carità. — 5. della
rista eco. Ferohé guardando néUa Inoe di
CKovanni Evangelista, Dante è rimasto cosi
abbagliato ? Non già perché la hioe fosse mag-
giore di ogni altra (cfr. Air. xzm 29, xxir
20-21), ma perché in qaella Dante aveva ri-
guardato più a luàgo e più attentamente (ofr.
Air. XXV 118 e segg.), per rioonosoerri il
corpo dell'apostolo. Ooti interpreta ottima-
mente Benv., mentre gU altri commentatori
deviarono dal più agevole cammino, imagi-
nando ohe l'abbagliamento significasse l' ef-
fetto delle cose misteriose e profonde dette
nel Vangelo e nell'Apocalisse, o della inten-
sità della carità che sarebbe maggiore della
fede e della specansu — 6. ehe ragloanade
eco. che la mancania del vedere ti sia com-
pensata dai discorrere; ofr. htf, u 18-15. »
7. Comincia eoo. Giovanni invita Dante a
parlare della carità e lo conforta assicuran-
dolo ohe riacquisterà la vista. È singolare che
In questo esame sulla carità sia omessa la de-
finizione di questa virtù, e le domande del-
l'apostolo si restrii«anoatt'obbietto (w. 7-8)
e ai motivi di essa (w. 22-24, 49-51), sui
quali punti il poeta risponde prontamente (al
primo, w. 18-18, al secondo tt. 25-45, 55-
66), in modo da meritare l'approvaiioiìs dei
beati (w. 67-69). Ha U definisiona è Impli-
dtaaente contenuta nella prima damando del-
rapoetolo. — 4f* ove eoe. dimmi a qmaà terw
mine si volge l'anima taa, quale è l'obbietto
del suo amore. 0)si accenna aUa virtù daUa
carità, la quale consiste neU'amore di Dio :
< oharitas est amor Dei quo diligitur ut bea-
titudinis obieotim, ad quod ordiaamiir per
fldem et ^em > : oos£ Tomm. d'Aqo^ Smmn.
l »», qu. Lxv, art. 5. — s> appaia t si volge,
s' indiziBa; il vb. •P!Pmn<<v«» in qnast» aenso
racchiudo sempre l' idea di un obbietto ftaate^
quasi fmiUo verso il quale si volga iatandeasa
dell'animo (cfr. Piurg, xv 49). — 8. fla* n-
glén eco. te' conte (efr. in/, xxx 145) d'aver
perduto la vista momentaneamanta, sU oerto
di riaoquistaria. — 10. «sosta «la «ce. fl
paradiso, regione divina (cfr. Air. xxv 31).
— 11. ka eco. od suo sgìoiardo ti rsstituiià
la vista (cfr. V. 76-77), oome la mano di Ana-
nia la reco a san Paolo. Si riporta al rac-
conto dei jnttH de§ìi JpotL ix 10-22 : e. Ana-
nia adunque se n'andò, ed entrò in qneOa
oasa: ed avendogli imposto lo mani, disse,
Fratello Saul, U Signora doè Gesù, t^tié
apparito per il cammino, per il quale ta ve-
nivi, mi ha mandato, aedo -ohe ta ifooveri
la vista, e sii ripieno dallo Spirito Santo >.
— 12. laaaia: cristiano di Damasco, dttd t9.
dd primi discepoli di Cristo : diverso dal Bo-
rito di Safira ricordato In Httg. xx 112. ^
18. Al SBé eoo. Quando Beatrice vonà, e
presto 0 tardi, venga il rimedio ai mid oc-
chi, per 1 quali entrò in me l'aBura ardent»
che mi avvampa. È, ben s* intende, l'aaior»
divino spirato nel poeta dalla sua donna ce-
leste ; non senxa rìcozdo, almeno aell'e^res-
ddl'i
PARADISO — CANTO XXVI
789
vegna rimedio agli ocelli, olie f£Lr porte,
15 quand'ella entrò col foco ond'io sempr'ardo.
Lo ben, che fa contenta questa corte,
Alfa ed Omega ò di qnanta scrittura
18 mi legge Amore, o lieyemente o forte ».
QueUa medesma voce, clie paura
tolta m*aTea del sùbito abbarbaglio,
21 di ragionare ancor mi mise in cura;
e disse : e Certo a più angusto Taglio
ti conviene schiarar; dicer convienti
24 che drizzò l'arco tuo a tal berzaglio ».
Ed io : € Per filosofici argomenti,
e per autorità che quinci scende,
27 cotale amor convien che in me s'impronti;
che il bene, in quanto ben, come s'intende.
tato dal rimatori del tempo (ofr. Gaspary,
Scuola poeL ticU,, pp. 86 e segg.)» e di ciò che
egli atasso areya cantato della Beatrice ▼!-
Tenta (ofr. V.N.txÌBb oap., Z33 8 e aegg.).
— 16. Lo bea ecc. Db è principio e fine, è
Tobbietto del mio amoxe. Qneeto è il concetto
di Dante, che avendo usato Alfa ed Omega
per dire U principio e il fine (come nell'4po-
eoL I 8, zx 16, zxn 18), oonlìnna con la me-
tafora della sùrittura a eignifioare l' idea del-
l'aifetto tno ohe in Dio si appunta. Accetto,
tra le syarìatissime interpretazioni di qnesti
reni, qnella dello Scart, pid semplice e con-
fanne al modo danteeoo di concepire e atteg-
giare il pensiero : e n poeta parla di nna
seriUura che Amore legge. La soritiura ram-
menta U libro della memoria (F. N, proemio),
o il libro ohe il preUriio rassegna {Par, xxm
54). L'amore che legge al poeta ricorda il ce-
lebre Terso Amor eh» nella mmte mi ragiona
{ISgrg, n 112): ricorda anche l'Amore che
spira e detta dsntro (Purg, zxrr 52 e segg.).
Là Amore ragiona nella mente e detta den-
tro : qni esso legge noli' intema scrittora, trat-
tandosi qni di dò che d già seritto nel libro
dell' intemo, doò dell'amore che Dante pos-
siede. Quanta scrittura mi legge Amore Tale
dnnqne: Tutto dò che 6 in me che alla ca-
rità si riferisce, ossia tutto l'Amor mio; rap-
presentato questo amore come una sorittura^
ossia come un capitolo del libro intemo.
Viene dunque a dire : Dio ò l' obbietto di
tutto il mio amore. E aggiunge o lisvemmte
0 forte, Tolendo significare che Teramente
tutto quanto l'amor suo ò dedicato a Dio,
giusta il precetto di Matteo, xzn 87 : Diliges
Dominum Deum tuum ex Mo eorde tuo, et ex
tota anima tua, et in tota mente tua *. — 19.
QaeOa eoo. La medesima Toce, quella di
Gioranni, che mi aTeva rassicurato circa l' im-
proTTiso abbarbaglio della mia Tista ecc. —
2L di ragloawe eoo. facendomi un' altra do-
manda, mi dia nuoTa occasione a discorrere ;
Biag. : < È beUa ficase, ohe mostra l' atten-
zione della mente e la solledtudine dell' ani-
mo >. — 22. Certo eoo. Or bisogna che tu
manifesti i tuoi pensieri con pid precisione,
ohe dalla mente tua i concetti escano meglio
definiti : come dal Taglio pid stretto esce me-
glio rimondato H finimento. Questa ò la pid
comune interpretazione; ma forse non ò da
rigettare quella data primamente dal Butl e
accolta da altri interpreti, che il Biag. for-
mula cosi : < doTi passare sotto pid stretto e
BOTero esame >. Dante infatti alla prima do-
manda ha risposto con una affermazione sem-
plice, riTOStita di Taga metafora ; alla seconda
doTrà rispondere con particolareggiate ra-
Crioni. — 24. che drlsiè ecc. quale Ai il mo-
Tonteche rìTolse il tuo amore a Dio. La me-
tafora dell'am) a significare gli affiotti del-
l'animo ò cara a Dante ; cfir. Par, xt 43, doTO
si parla proprio della carità. — bersaglio :
bersaglio, il segno al quale Tolgono la mira
i tiratori ; non il luogo « doTO si esercitano
quelli che imparano a balestrare», come chiosa
il Lana. — 25. Per fllosoflel ecc. Due ra-
gioni hanno susdtato in me la carità, l'amore
di Dio : gli argomenti filosofici, per i quali si
dimostra che ogni oosa creata tende al bene
(off. Purg, xn 85 e segg.)i e l'autorità divina
rivelata nei libri sacri (cfr. Mon. ii 1 : < Ve-
ritas. . . patere potest non solum himine re»-
iionis humanaej sed etiam radio divinae ouo-
toritatis, >). — 26. qulnel : di qui, dal cielo,
onde procede la rivelazione. — 28. ehé il
bene eco. In quattro punti svolge Dante il
suo concetto : ponendo dapprima che U bene,
in quanto ben dod in quanto d tale, come
ecc. appena d inteso, accende amore di sé
nell' uomo, e quanto il bene inteso comprende
in sé più di bontate, dod maggior perferione,
790
DIVINA GOMìfEDIA
cosi accende amore, e tanto maggio,
80 quanto più di bontate in so comprende.
Dunque ali* essenza, oy'è tanto avvantaggio
che ciascun ben che fuor di lei si trova
83 altro non ò oli*un lume di suo raggio,
più che in altra convien che si mova
la mente, amando, di ciascun che cerne
86 lo vero, in che si fonda questa provfti
Tal vero allo intelletto mio sterne
colui che mi dimostra il primo Amore
89 dì tutte le sustanzie sempiterne,
Stèrnel la voce del verace autore,
che dice a Moisò, di sé parlando :
42 * Io ti £axò veder ogni valore '.
Stòmilmi tu ancora, cominciando
tanto miggioie è ramore ohe aooenda : dun-
que, oontinTia, reno Dio ohe è eommo bene,
tanto che gli altri beni sono solamente un
riflesso di lai, si dere Tolgere oon pi6 in-
tenso amore la mente d*ogni nomo che rico-
nosca in Ini il sommo bene. — U qvanto
ben: in quanto ò bene, in qnanto è sentito
per bene. — 29. magfl^ot cfr. Ihf, vi 48.
— 81. eweBsa ecc. essenza divina, nella
quale è tanta soviabbondanza, o superiorità
di perfezione, che ogni bene poeto all' infuori
di essa non è altro che una manifestazione,
un riflesso del bene sommo. — 84. pia ecc.
conviene che si muova oon maggior amore
che non farebbe verso un' altra essenza. —
86. che eeme eoo. che riconosoe la verità su
cui è basata questa dimostrazione, <doò che
ammette Dio essere il sommo bene. — 87.
Tal vero eoe Questa verità, posta a fonda-
mento della mia dimostrazione, mi d appia-
nata da quello stesso filosofo che mi ha in-
segnato essere Dio il termine cui tendono
tutte le creature eteme, tutte le anime uma-
ne. — sterne: il vb. 8temer$ ha qui e nei
seguenti w. il senso di rendere facile, piano,
quindi dimostrare, spiegare (ctr. Par. xi 24).
— 88. eolmi ecc. La maggior parte dei oom-
montatori, dal Lana al Tomm., vedono ao-
cennato in questi versi Aristotele, il quale
nel suo libro delle (hgioni dice Dio essere la
causa suprema, doò il sommo bene, al quale
le anime degli uomini tendono, perchó ogni
cosa desidera ricongiungersi alla sua prima
cagione. Il Lomb., seguito da parecchi mo-
derni, crede invece che si tratti di Platone,
il quale nel principio del Simposio dice che
Amore d il primo di tutti gli Dei e il pi6 au-
gusto : concetto che Dante avrebbe inteso al-
legoricamente come se il filosofo avesse in-
segnato Dio essere la fonte prima d'ogni
bontà : il Veli., e pi6 altri moderni, inten-
dono di Dionigi Areopagita, per dò dio e^
scrive nel libro D» eoek hi$nnkta i 8 : ma
l'opinione dei pili antichi interpreti ò da pre-
ferire, anche perché una oonfenna di essa si
ha nel Cbnv. in 2 ; ofr. anche Mbore, I 115.
L. Filomusi Guelfi (ofir. ButL I 23) sostiene
non accennarsi qui alcun filosofo, ma il sole
ohe è la migliore dimottraiione doli'eeisteiisa
di Dio (Oom.mU: e molto seniibllo in tatto
il mondo è più degno di fusi esemi^ di Dìo
che il sole >); ma che Dante voglia qui ac-
cennare a un filosofo d manifèsto per lo pa>
role /Uoso/M argcmmUi del t. 26, mentre poi
aUe a/uiorità del v. 26 si riportano le cita-
zioni dell' Esodo ( v. 40-42, e àéHUpoootùss
(V. 48^). — 40. Stàrmel la vaco eoe. Lo
dimostra la voce di Dio stesso che parlando
di sé a Mosé, il quale aveva chiesto di vo-
derlo, gli disse: Io ti mostrerò ogni bone:
d il Catto raccontato néll' Esodo xzzm 19. —
valore: corrisponde al iomim della eaittma
sacra, e sta bene perché Dio ò primo • òuf-
fabiU ffolon (Air. x 8) ed «tonto foJòrv (iVy.
zv 72). — 48. sarailBti eoo. Ke lo dimo-
stri anche tu nel libro dell' .ipoooKsse, il li-
bro che oon alto stile proclamò i misteri
celesti, descrivendo in modo insuperato il
trionfo della Cadesa. Oli antichi, Lana, FMzo
di Dante, Cass. eco. intesero rettamente che
VaUopnoonio fosse da riconoscere noU'Jjw-
ecUisso] ma già dal trecento si flBoo strada e
ta. poi quasi universalmente seguita sino ai di
nostri l' opinione diversa che Dante accenni
qui al Vangelo di san Giovanni, ove si tratta
oon molta profondità dell' incamaziano del
Verbo divino (cap. i). Ma Ai giustamente os-
servato : e Più che al Vangelo mi sembrano
convenienti alla visione ddl' Apocalissi lo pa-
role Vailo preoonio ecc., come a qaoOa dove
si descrive (massime ne' cap. xs e zn) il
trionfo della celeste Gerusalemme; per non
PARADISO - CANTO XXVI
791
l'alto preoonio, che grida l'arcano
45 dì qui là giù sopra ogni altro bando >.
Ed io adi' : e Per intelletto mnano
e per autoritadi a lai concorde,
48 de' taci amori a Dio gaarda il soprano.
Ma di' ancor, se ta senti altre corde
tirarti verso lui, si che ta suone
61 con qaanti denti questo amor ti morde >.
Non fa latente la santa intenzione
dell'aquila di Cristo, anzi m'accorsi
64 dove Yolea menar mia professione.
Però ricomincicd: € Tutti quei morsi,
che posson &r lo cor volger a Dio,
67 alla mia cantate son concorsi;
chó l'essere del mondo e l'esser mio.
dir non* oh« U nome rteeao di ApooaliaM o
Birelasione ito nello Yoàipneomoehé grida;
di guisa che la danteio indicadone xiiponde
al nome e alla soetanza della ooea indicato.
B troTO poi nel reno 8 : JE^ mtm alpha 9t
ameffOy prineipimn ti /M$, dieit dombmi Dmu
qui mi, d qiienA, ti qui vtnhmu tti omn^
potont, dove manifeetomente il vede ttemsrs
quel Toro che tiiava Danto a goardare il Dio
soTxano de' laoi amori. A xinoalzo della ve-
rità sa coi li fonda questo ipiegarione giovi
osservare come soli otto veni di poi U santo
Apostolo sia dal poeto chiamato Voffuglia o
FaqvOa di Orido, col nome doè ohe gli venne
dalla sua Apocalisse» (L. Arbib, nei dt
Stuta JfMi. su DtmU^ p. 190). Sulla questione
si ofr. Koore, I 86-89. — 44. ehe grida eoo.
ohe proclama i misteri del paradiso con modo
superiore ad ogni altra scrittura sacra. —
46. Kd lo eoo. San Giovanni incalza Danto
con un' altra domanda, ma all' interrogarione
(w. 49-60) premetto parole (w. 46-48) che
suonano quasi approvùlone di ciò che ha sen-
tito sinora (w. 25-46). — Per IntcUette ecc.
Per gli argomenti doUa ragione umana e per
l'autorìto della sacra scrittura, ohe a quegli
argomenti consuona, il tuo maggiore amore
tende a Dio, si appunto nel sommo bene. Cosi
intesero, e rettamento, il Lana, l' Ott, il Bati
e altri antichi; ma tra i moderni prevalso
un' erronea interpretarione, essendosi preso
il yuorda come imperativo nel senso di riserba,
conserva, e spiegato totto il verso : riserba a
Dio il principale dei tooi amori. Già un tale
eodtamento sarebbe superfluo dopo la franca
affermarione dei w. 16-18 ; ma a mostrare la
fUslto di questo interpretazione basto osser-
vare che l'apostolo non fa che conohiudere in
poche parole il precedento ragionamento del
poeta, per significargli cosi la sua approva-
zione e inconggiarlo a rispondere con pad
sicurezza a un'altim dpma&da. ~ 49. le ta
eoo. se oltre le ragioni filosofiche e l'autoiito
scritturale ta senti altri stimoli,, che ti trag-
gano ad amare Dio. — altre eerdet Buti:
« altri movimenti ohe ti tirino ad amare Id-
dio, come la corda tira chi è legato >. ~ 60.
ti ehi eoe di modo ohe ta manifesti tatti i
motivi onde sei Infiammato di questo amore:
< aspra metafora per un soggetto di tanto soa-
vito », noto il Vent, n6 senza qualche ra-
gione. — 62. Hon Al eco. Non mi rimase na-
Boosto l'intonzione santo dell'apostolo Gio-
vanni, anri io compresi subito su quali ra-
gioni ei voleva eh' io mi dilungassi — 68.
aquila eco. San Giovanni, riconosciuto dai
teologi neWaquita volanU di cui egli stesso
paria nel passo àeàVApoeaL riferito in Jhmg,
znx 104. — 64. professione t esprosoione
dei sentimenti, dei pensieri : si dice meglio a
proposito della fede, come in Air. xxiv 61.
— 66. Tatti ecc. Tutto le ragioni, che pos-
sono indurre nel cuor dell'uomo l'amor. di
Dio, hanno eserdtoto la loro efficacia n-ìla
formarione della mia carità, poiché i benefici
divini e i premi sperati insieme oon la ferma
credenza ohe Dio è sommo bene mi hanno
tratto dal mare dell'amore terreno e messo
alla riva dell'amore divino. — morsi : con-
tinua la metafora usato dall'apostolo, v. 61.
-~ 66. ehe possoa eoo. Dice Tomm. d'Aqu.,
Summ, n 2m, qu. zxvn, art 8, che l'uomo
non ama Dio per sentimento di carito € prop-
ter seipsum > , ma e propter aliud, quia sdli-
cet ex aliquibus aliis disponimur ad hoc quod
in Dei diloctione profidamus, puto per ben»-
fida ab so «HSM|pto, yél per praamia tpmrata > ;
tra i benefici sono l'sisars del mondo^ I'msst
mio^ la morU eh'ti sostomM; i premi sperati,
qua ehé apara ogni fedele. — 68. I*esBere del
mondo : l'opera della crearione, nella quale
si rivela la divina bontà (cl^. ululili, zvip 1,
792
DIVmA COIIHEDIA
=n
la morte ch'ei sostenne perch'io viva,
60 e quel che spera ogni fedel, comMo,
con la predetta conoscenza viva,
tratto m'hanno del mar dell'amor torto,
68 e del diritto m'han posto alla riya.
Le fronde, onde s'infronda tutto l'orto
dell'ortolano etemo, am'io cotanto,
66 quanto da lui a lor di bene ò pòrto >.
Si com'io tacqui, un dolcissimo canto
risonò per lo cielo, e la mia donna
69 dicea con gli altri : « Santo, santo, santo ! >
E come a lume acuto si dissonna
per lo spirto tìbìto che ricorre
72 allo splendor che va di gonna in gonna,
e lo sregliato ciò che vede aborre,
si neecia ò la sua sùbita vigilia,
F«olo, Ep, td JRom, i 20). — l'Mier lalo:
la mia nasdCk, Tener io itato creato; cfir.
Tomm. d'Aqo., Annoi. P. I, qo. xxzn, art
1 : e Bonitas infinita Dei manifestatoi etiam
in prodnotione creatnraa ». — 69. la aorta
eoo. la morte toctennta da Giiito per rigene-
rare l'uomo; ofr. Gioranni, I Epist, iv 9:
€ In qneito e' è manifeetata la carità di Dio
InTono noi, ohe Iddio ha mandato il ano vnl-
genito figlinolo nel mondo, aedo che per Ini
▼ÌTiamo >. — 69. e fvel ooo. e la beatitadine
etema, ohe tatti gli nomini di fede, come me,
•pelano di oonBegoire. — $1. la predetta
eoo. la ferma o gicora opinione che Dio d il
■ommo bene, già affermata da Dante nei yt.
81-88. " 62. tratto eoo. mi hanno aiutato
ad moire dal pelago tempestoio dell' amore
toneno e condotto a toccar la rìra dell'amore
dirino. — 64. Le froade eoe Le oreatore
umane, delle quali d pieno il mondo gover-
nato da Dio, eono amate da me di tanto amore,
quanto è n bene ohe Dio porge loro : afferma
qui Dante il fuo amore per il prossimo, con
un concetto proprio de' teologi medioevali ;
ofr. Pietro Lombardo, SmtmL m 27 : « Cha-
ritas est dileotio, qua diligitur Deus propter
se, et proximus propter Deum Tel in Deo > ;
Tomm. d'Aqu., Annoi. P. n 2^, qu. xrvi,
art 6 : « Non omnes prosimi aequaliter se
habent ad Deum ; sod quidam sunt ei propin-
quiores per maiorem bonitatem, qui sunt ma-
gia diligendi ex dharitala, quam ali! qui sunt
ei minus propinqui >. — cade s'iaf ronda
ecc. si ofr. U nota all' W* i 86. — 65. orto-
lano eterne : Dio : ofr. Giovanni xv 1 : « Io
sono la vera vite, ed il Padre mio è il vi-
gnaiuolo >. — 67. 8f eem' lo ecc. Finito che
Dante ebbe il suo discorso sulla carità, tutti
i cori dei beati, compresa Beatrice, innalza-
rono a Dio un cantico di lode, che d quello
de'mistid animali deìTApoo, vi 8: cSan-
to, santo, santo ò il Signore Iddio onnipo-
tente, ohe era, ohe è e che ha da ventre ! ».
— 69. Santo ecc. Cosi comincia, oltzB il osn-
tioo delI'Jpos., anche quello dei Serafini in
Isaia VI 8, ma qui è da credere die Dsats
imsginsfwe cantato le parole déll'apoatolo cho
l'aveva esaminato sulla carità. — 70. K eems
eoo. E come all' improvviso apparire di ina
luce intensa l' uomo si sveglia perché la sua
vista si rivolge al raggio luminoso ohe tra-
passa dall' una membrana dell'occhio all'altia,
e cosi svegliato a un tratto rifugge dal goir-
daze, tanto è inconsi^vole dell' improvviso
risveglio, flndhé la riflessione non sia venata
ad aiutario eoe Venturi 282 : € Similitudine
per Dante un po' lunga, ma daUa quale non
sapresti toglier parola. Un cenno di ottica
sotto il pennello di lui si trasmuta in poesìa
viva ; e il folgorare degli occhi dell' amati
donna avvalora l'imagine della potenza dì
lei, il cui sguardo è per l'Alighieri dò che
d per l'umano intelletto la ésHmalin, doè la
flaooltà ragionatrioe ». — si dlsttfnna ; vb.
foggiato da Dante, ohe esprime cosi con sin-
golare efficacia e precisione la oondisioae di
colui al quale un' appariziono luminosa in-
terrompe il sonno. ~ 72. di gonam In goa-
aat da un involucro o membrana doll'oochio
all'altro (ricorda il lat twiioas, detto appunto
delle membrane dell'occhio). — 78. el6 ecc.
rifugge dal guardare il lume die gli appare;
un pensiero consimile si trova in una can-
zone antica, per errore tribuita al Cavalcanti
(Val. n 806) : « Molti, oom' animai nottoiao
offeso Dallo splendor die prima il sd ne
spande. Per naturai costume Fuggon contrari
al suo lucente lume ». — 74. s( ■ftela ecc.
Vuol dire che neQ' improvviso lisvegliArsi
r uomo resta inconsapevole della cagione eh»
i
PARADISO - CANTO XXVI
793
75 fin ohe V estimativa no '1 soooorre ;
cosi degli ocehi miei ogni quisquilia
fugò Beatrice col raggio de* suoi,
78 clie rifalgean da più di mille milia :
onde, me' che dinansi, vidi poi,
e quasi stupefatto domandai
81 d'un quarto lume, ch'io vidi con noi.
E la mia donna: e Dentro da que' rai
vagheggia il suo fattor l'anima prima,
84 ohe la prima virtd creasse mai >.
Come la fronda, ohe flette la cima
nel transito del vento, e poi si leva
87 per la propria virtù che la suhlima,
fec'io in tanto in quanto ella diceva,
stupendo; e poi mi rifece sicuro
90 un disio di parlare, ond'io ardeva;
r ha prodotto. — 76. tsttnistf?» : liflearione;
por nMczo della quale 1* nomo ti rende oonto
della ttìbUa vigtìia. — 76. ooei eoo. in tal
modo Beatrioo ool taggio dei snoi ooohi, ohe
xiftalgoraBo sin oltre mille miglia di distanza^
tolse dai miei ogni impedimento : quiaqmiia
(laL quiaquUku, cose minatissime) indica qui
dò ohe oAuoava la yista. — 78. da pld eoo.
Non vuol dire ehe Dante redeeee da più di
nriUe mi^ gli occhi di Beatrice riftilgenti
a Ivi; ma ohe dal luogo ot* erano il loro
folgore liacintUlAya a grandissima distanza;
si ohe non pad aver ragione il Fanftmi so*
stenendo ohe si debba leggere riftttgtva ptó
di mUIé milia e intendore ohe il raggio di
Beatrice rifalgeva più di un mUiom di raggi
insieme onitL — 79. cade eoo. per il qnale
mirabile eflètto dello sguardo di Beatrioe, io
▼idi poi più distlntamentei meglio che non
fiaoeesi prima. — 80. stnpefattetsia per aver
riaoqoistato la vista, sia per questo naoro
lume oh' el vide accanto ai tre apostoli. —
81. «a fVik'^ oco. È il lume o l'anima di
Adamo, come dice senz' altro Beatrice a Dante
(yr, 82-84), il quale rivolge subito al primo
padre una calda preghiera (vr. 91-96), per>
ohe gU riveli oid oh'ei desidera di sapere:
e Adamo, conoscendo dò che Danto desidera
(▼▼. 108-114)^ gli espone quale fosse la na-
tura del primo peccato (▼▼. 115-117), quanti
anni meno passati dalla sua creazione (rv.
118-1^), quale fosse la lingua prìmitiTa (rr,
124-138) e quanto tempo sia dimorato nel
paradiso terrestre (▼▼. 188-142). — 82. Den-
tro eoe Dentro a quel lume vagheggia Q suo
fattore, Dio, Vanima prima doò Adamo (cfr.
Airy. zzxm 62) che fti il primo uomo creato
da Dio. — 84. la prima eoe. cfr. Cbav. m 7 :
< la prima semplicissima e nobilissima virtù.
ohe solo è intellettnale, cioè Dio >. — 85.
Ceae la froaéa eoo. Alle pardo di Beatiioe
Danto abbassa il eapo per riverenza e mera-
viglia; ma subito il desiderio di sapere lo rin-
franca e gli fa alzar di nuovo la testa : tale
sucoeedone dei movimenti è resa con felidtà
nella similitudine : Come la fronda die piega,
indina la sua dma quando è toccata dal
vento, e subito ri rial» per la naturn sua
ohe la drizn in alto, cosi io abbassai eoo.
Elettissime le parole : fttU$ e inmtiio non in-
dueendo idea di vidento ripiegairi al soflBare
dd vento, ma di un indiaarri ddoe alla oa-
remi dell' anretta, fumo sentire quad la ri-
verenza e la meraviglia, aflétti miti, dai quali
è dominato l'animo dd poeta doiaate 11 breve
diaoorso ddla sua donna; e ndla frase ti Ina
eoe. erompe quari 11 sentimento di s6» onde
Dante, rassionrato e rinvigorito dal desiderio
di si^re verità ignote, ri dispone a interro-
gate r nomo ohe fti prima radice di tutti gli
dtri. — 87. per la propria ecc. < L' ima-
gine ddla fronda non 6 nuova di certo; ma
r ultimo verso ddla terzina, che pur si di-
rebbe suggerito dalla rima, balza ad un tratto
dall'anima fiera di Dante, e fa della povera
fironda inanimata, esposta ai capricd dd ven-
to, un essere vivo, ohe tende con irresisti-
bile forza verso l'alto »; Parodi, BuU, III 87.
-~ 88. la tanto la «sante t nel breve tempo
che durarono le parole di Beatrice^ — ed,
stapeado t lo stupore è stato ddl' animo, nd
qude l'uomo d sente dominato da un sen-
timento indefinito, tra di timore e di am-
mirazione; qude Dante doveva provar in-
nanzi d primo uomo. — 90. aa disfo eoo.
dedderio di parlare, come mezzo di appren-
dere cose ignorate. È la onriorità sana del-
l' uomo che attende ognora a rintracdare U
794
DIVINA COUMEDU
=1
e cominciai : « 0 pomo, che maturo
solo prodotto fosti, o padre antico,
93 a cui ciascuna sposa ò figlia e nuro;
devoto, quanto posso, a te supplico
perché mi parli: tu vedi mia voglia,
96 e, per udirti tosto, non la dico >.
Tal volta un animai coperto hroglia
si che l'affetto convien che si paia
99 per lo seguir che £etce a luì l'invoglia;
e similmente l'anima primaia
mi fìEusea trasparer per la coperta
102 quant'ella a compiacermi venia gaia.
Indi spirò : < Senz'essermi profferta
da te, la voglia tua discemo meglio
106 che tu qualunque cosa t'è più certa;
▼ero. — 91. 0 foiM eoo. 0 nomo, ohe imioo
fosti cieeto nellA pienmu e matorità delle
forse; ofir. Pietro Lombardo, 8mdmL n 17:
« Adam in virili aetate oontinao factoi est,
et hoo... eeoandiiai Tolontatem et potentiam
Dei >. — 98. a eal eoo. al quale ogni ipoea
è figlia e nuora ; figlia, peiohé da Adamo di-
ioefle, nuora peroh6 oonginnta a nn figlio o
disoendente di Ini. — maro t nuora, lat imi-
riM. — 94. a te eoo. of^. Air. xr 85; per
mifpliùo ofir. fipttoo in Ftw, ti 91. ~ 96. te
Tedi eoo. tu oonoeci dd oh* io desidero sa-
pere, e per udirti pi6 presto non ti espongo
la mia voglia, U mio desiderio. — 97. TU
▼olta un aaioial eoo. Alla preghiera di Dante,
l'anima di Adamo dimostra col suo oorrusoare
la disposicione a oompiaoerlo. € Ad esprimer
dò usa la similitudine di un animale ohe co-
perto d' un panno si agita si die si veggano
i sud moti di sotto la copertura, e faccia in
tal guisa apparire dò che brama. Non felice
comparazione, e non chiaramente espressa » ;
cosi il Venturi 416, al quale consento drca
la poca felidtà della similitudine, non per la
mancanxa di chiaresza : Dante v' adopera al-
cune vod che ora sono in disuso, ma dò non
induce alcun vizio d'oscurità. — brogUa ecc.
si dimena awiluppandod sempre pid, ma pur
mostrando nd movimenti della copMia, che
seguono i moti del corpo, quale sia la sua
brama, die ò di uscire da tale viluppo. Sul
vb. brogUion corrispondonte al prov. bnthar^
germinare, sollevarsi ofk*. Dies 79. — 98. ti
che ecc. Non altro affètto o dedderio può
avere in simile condizione un animale se non
di usdre dal suo viluppo; come Adamo non
altro dimostrava col maggior corruscare della
sua luce se non di esser disposto a uscire dal
silenzio per sodisfare parlando il dedderio
di Dante. — 99. Invoglia : involucro, coperà
tura, dal vb. lat kwdven» — 100. l'a
Kl«al*t ett. FUrg. xzzm 68. — lOL ■!
faeea eoo. mi lasdava trasalire sotto Pin-
voluoro dilla sua luoe quanto Untamante d
disponeva a oompiaoermL — 108. SeasPee-
sexMl eoo. Seosa die tu stesso mi «mt^S|^
il tuo desiderio, to lo oonoaoo saglio ohe tu
non conosca qualunque pid palese verità, poi-
ché lo vedo nell'aspetto di Dio. — 104. da
te eoo. Gravissima questione è agitata dzoa
la retta lesione di questo vwso, perdié ipii
autoievdi oodid ed editori sono divisi tm la
lesione da te, seguita oomunemento dai no-
demi, e la ledono Ikmi$^ rimessa in onore
dal Witto. Non potendod determinare eoa
criteri sicuri quale delle due lesioni abUa dato
origine all'altra, pddi6 qualunque foese la pri-
mitiva pud essere per fiseileecrare di trsseri-
zione venuta ftaori la ledono wwi>ifHlaria ; ai
avendod dalla sentenza di questi veni alcuno
demento utile a risolvere la questione, poi-
ché il senso cono ugualmente con T una le-
dono e con l'altra; bisogna cercare altrove
il orìtorio ddla preferenza. Ora, oonddersado
le parole die Danto scrive nd Cbne. 1 2 circa
il parlare di sé stesso, già riferite nella nota
al Pmg, xzx 68, e l'uiO suo di deeignard
nel De vulg, sfogMSirfia sempre per via di pe-
rif^ad o con un' indicadone generioa (ommis
iiws doè di Ono, 1 17, n 2, 6, 6 ; vmmm aMmk
I 18), e più ricordando die nd Pmtg. zzx 66
il poeto avendo posto il suo nome sulle leb-
bra di Beatrice soggiunge eàs di fMosssAA pi
ti r^gisbrOf d ragionevole accogliere la comune
ledono da te; la quale anche, ohi ben riguardi,
detormina meglio U pensiero dell'autore, poi-
ché, come in dtri òid (eft. Air. sv 10 e
sogg., zzxv 1 e segg.), ood qui la sua vo-
glia potova eesere premia da Beatrioe. An-
che l'autorità dd migliori interpetri moderd,
Lomb., Blag., Costa, Tomm., Bianchi, Andr.,
Blanc, Soart, mi ha oonfortoto ad abban-
PARADISO — CANTO XXVI
796
perch'io la veggio nel verace speglio
ohe £& di sé pareglio all'altre oosoi
108 e nplla face lai di sé pareglio.
Tu vuoi saper quant'ò che Dio mi pose
neiU' eccelso giardinoi ove costei
111 a cosi lunga scala ti dispose,
e quanto fu diletto agli occhi miei,
e la propria cagion del gran disdegno,
114 e ridioma ch'usai e ch'io fei.
Or, figliuol mio, non il gustar del legno
fu per sé la cagion di tanto esilio,
117 ma solamente il trapassar del segno.
donai» U ladone «ooolta dal Witta. — 106.
yarA* !• aoo. H ooneatto d ohiariariiao, poi-
ché Dante ripeta gid ciò oha ha datto Taiiaf-
manta in altri' Ino^ dal poama (ofir. Air. oc
74, n 21, XT 61, xvm 16, za 80, zxr 68),
alia I beati guardando in Dio reggono i pan-
alari a f^ aranti nnumi (ofr. anche iWy. xzz
108); ma par indicare Dio a' è serrito di nna
parifraai ohe ha dato molto da tàn agli in^
«oipetri e per fé ateaea e per l'incertezza
della leaione. Tra i commentatori antichi pare
oha preraleaee la lecione aooolta dal Wìtte,
ohe Lana, Ott, Oan., Bnti, Benr., Land.,
intandoaio in aoatanza: nel reraoe ipecchlo,
in Dio, ohe tatto comprende e da nulla è oom-
praao; a bmodoMparian^ cioè la peiifraii,
è ooaf apiagato daU' Ott :€ Dice com' e^ rada
pariittamante la roi^ aaa in Dio, il quale
fli di aé a l'altra ooae paiegUo, cioè ohe tatto
oompiande a nnlla poote Ini comprenderà. La
pi^Ula li Ih paiagUo della ooaa raduta, in
quanto quella apeoie rialra ohe antro ri ti
«tltlplica è cdoiata e figurata al modo d'eaaa
aoaa raduta; coaf in Dio il rada tutto, e pacò
in quanto li ti redo, eaio il pareglia a quella
aoaa che in hd il rada; a però dice fa dite
panglio a Vattn com, • mlUa fae$ hd di té
jNMiytto, cioè ch'altra coaa non è che poeaa
aomprendere Iddio e per conaeguento Iddio
non ai può in eeaa ipeochiare ». Secondo que-
ata aapoaliiona parpglio è il noto aggettiro
uaato aoatantiramante col senio di pareggiar
manto, pariflcacione, lomiglianza, imagine
(ofr. BuU, m U6). Altri teati portano éh$
fa ài »i partgVé Vatbn ùcm»^ dee che rende
almUi a lé le altre coae; Mpranione che da-
rebbe un aanso oscuro a fonato: altri ancora
leggono e intendono direnamante, ma sono
errori manUiBati (ofr. BuXL m 21, X 259). —
epegllot ofr. Air. xzx 85. — 109. Ta mei
eoo. Quattro cose rolera saper Dante da Ada-
mo: quanti anni erano pesasti dalla oreaxione
del primo uomo, quanto tempo ei dimorasse
nel paradiro terrestro, quale Ibese la natura
dal peccato originala e quale l' idioma ada-
mitico. — HO. BeU'aaealse eoo. nel paradiao
terzeatra, posto sulla cima del aaoro monta
(ofr. Pmrg, zxrm 2). — ara aeatei eco. nel
quale Beatrice ti reae oi^aoe di ascendere
per i cieU del paradiao ; alluda « tutto ciò
che Dante operò nel paradiso terrestre per
direnir degno di salire a Dio (ofr. Purg, xxix-
zxxm). — 112. f aaata fa eoo. per quanto
tempo io godetti della beata dimora nel pa-
radiso terrestre. Questo è il senso, ma la let-
tera non ò ben chiara; dUtUo può essere so-
stantlro, e allore s' Intenderà : qwinio^ quanto
tempo, ju dOitto agii ooohi mM, gli occhi miei
ebbero 11 diletto di contemplare le bellezze
eco. ; 0 si prende per aggettiro, e bisognerà
spiegare : quanto tempo Vtaod» giardino^ li
paradiso, fu caro ai miei ooohl, porche mia
dimora eco. — 118. e la propria eoo. e la
rara cagione per cui Dio si sdegnò con me
e oon tutto il genere umano. ~ 114. e lidio-
Ma eco. e la lingua ohe lo usai e creai.
Tomm. : < usò il linguaggio da Dio rivelatogli
in poche radicali parole contenenti la som-
mità del rero ; fdet U restante, da quelle po-
che per analogia derirando la lingua intera
0 i nomi di tutte le cose ». — 115. Or, fl-
gliuol ecc. Adamo chiarisce a Dante il terzo
punto, dicendo ohe la cagione per cui egli tu.
cacciato dal paradiso terrestre non fu già
l'arero gustato il frutto dell' albero proibito,
ma l'arero oltrepassato In dò li giusto segno.
D poeta seguita qui le dottrine teologiche del
suo tempo, e in partioolar modo quelle di
Tomm. d'Aqu., Stmm, F. Il** qu. oLzni, art.
1-2, ore è detto ohe « pilmum peoóunm
hominls fblt in hoc, quod appetUt quoddam
spirituale bonnm wpra fnènturanif quod per^
tinet ad superblam », perohó « appetere slml-
litudlnem Del abaohUs quantum ad sdentiam,
non set peooatum, sed appetere hulusmodi si-
militudinem inonUnaief Idest sapre mensuram,
peocatnm est > (ofr. anche F. Lombardo, Sm-
imU, n 22; Ugo da S. Vittore, D$ taora-
796
DIVINA COMMEDIA
Quindi, onde mosse tua donna VirgiliO|
quattromila trecento e due volumi
120 di sol desiderai questo concilio;
e TÌdi lui tornare a tutti i lumi
della sua strada noyecento trenta
123 fiate, mentre ch'io in terra fumi.
La lingua ch'io parlai fìi tutta spenta
innansi assai eh' all' opra inconsumabile
126 fosse la gente di Nembrot attenta;
che nullo effetto mai razionabile,
per lo piacere uman, che rinnoTella
129 seguendo il cielo, sempre fu durabile:
opera naturale è ch'uom favella;
ma, cosi o cosi, natura lascia
182 poi fare a voi secondo che y' abbella.
Pria ch'io scendessi all'infernale ambascia,
nwnL I 7, 84 eoo.). — 118. Quindi eco. RI-
folre Dia il primo gaesito, dioendo : dal lim-
bo, onde Beatrice fece maorere YiigiUo perché
Yeniaae in tao alato (cfr. Inf, n 62 e segg.),
io desiderai di aalize a questo concilio del
beati per lo spazio di 4302 anni, e nel mondo
era stato 980 anni : dalla creazione di Adamo
al momento della risione dantesca erano dun-
que corsi 6496 anni, doè 980 della sua Tita
terrena, 4802 da lui passati nel limbo sino al
tempo che Cristo lo trasse fuori (cfir. Inf. tv
66), 1266 passati in paradiso (daU'a. 84 al
1800 d. 0.). — 119. ToUml di sei: moTi-
menti di sole, traslazioni annue; voìume è
latinismo poetico, che Dante avrà usato per
rimembranza dell' oyidiano, Mit, ii 71 : « Si-
deraque alta trahit celerique Tolumine tor-
quet>. — 120. ••■elllo: cfìr. Awy. Z33 16.
— 121. e Tidl Ul tornare ecc. e vidi il sole
ripercorrere la sua strada annuale, tornare a
tutte le costellazioni delio zodiaco per 980
Yolte, Tissi insomma in terra 980 anni : la
durata della yita di Adamo d data dal Oetmi
T 5. — 124. La lingua eoo. Riguardo al lin-
guaggio adamitico Dante riprova qui 1* opi-
nione manifestata nel De vulg, doqu, i 6. ore
d affermato che 1* idioma di Adamo fu parlato
da tutti i suoi discendenti sino all'edliicazione
della torre di Babele e che dopo la oonftuione
delle lingue rimase proprio degli Ebrei. — fa
tutta eoe venne a mancar del tutto, prima
che Nembrotte (cfr. Inf. xzzi 77) e 1 suoi si
mettessero al gran lavóro (IStrg. xii 84) della
torre, impossibile a compiere. — 127. ohe
■allo eoe poiché la lingua, come tutte le
creazioni della ragione umana, non è immu-
tabile, ma segue il piacere umano che si muta
secondo la varietà delle influenze celesti. II
concetto del poeta ò illustrato da queste pa-
role del trattatista, i^i»«^. Ooqm, 1 9:
omnes diffsrentiae atque sermonom varieta-
tes, quid acddunt, una eadeoiqus lattone pa-
teUt. Didmus ergo, quod nullos effeotos sa-
porat suam caosam, in qoantum efféctas set,
quia nihil potest eflicere quod non est. Cam
igitur omnia nostra loquela, praeter Ulam ho-
mini primo conereatam aDeo, sit a nootro beae-
plaoito reparata post oonfOsionem illaai, qoae
nil toìt aliod qaam prioria oblivio, et hooio sit
instsbilissimum atque variabilissimam animai,
nec dnxabilis nec continiia esse potest; «ed
sicut alia, quae nostra sont, pnta mores et
habitus, per loocmm temponuaqae distanti«
variali oportet ». ~ effMte rasloMhlle i ef-
fetto, creazione, prodotto della ragione amaoa.
— 180. opera eoe. il pariaie è un affetto na-
turale, ma il modo dal pazlara, il parlare in
un modo piuttosto òhe in un altro èlibenunents
lasciato dalla natora aU'aiWtrio dair nonio.
— 182. seeeido eoe secondo che vi piace,
che vi par bello: ff abbella è un provenza-
lismo (cf^. Awy. zzvi 140), «ma in esso Dante
doveva pur sentire qualche cosa di toscano »
(Parodi, BuU. m 146). — 183. Pria ecc.
Prima che io scendessi all'inferno, piima
eh' io morissi, il sommo bene cioè Dio era
chiamato /; la quale lettera, piuttosto che
come iniziale del nome ebtaioo di Dio, Jriumk
( Sakn. Lxvm 4), si ha da intendere per il
segno deUa spiritualità divina. Nel De wIq.
ehqu. 1 4 Danto scrive che il noatie primi-
tivo di Dio fu £1 : « Quid «ttem prins vox
primi loquentis scaaverit, viro sanae man-
tia in prompta esse non titubo, Ipsom frisse
quod Deus est, sdlicet £1, voi per modua
interrogationis vel per modom lespouaionia > ;
e qui nel poema rettifloa la sua opinione,
considerando la forma JB
PARADISO - CANTO XXVI
797
I s' appellava in terra il sommo bene,
185 onde vien la letisia che mi fascia;
El si chiamò da poi, e ciò conviene,
chó l'oso de* mortali ò come fronda
138 in ramo, clie sen va ed altra viena
Nel monte, che si leva più dall'onda,
fa' io, con vita pura, e disonesta,
dalla prim'ora a quella che seconda,
142 come il sol mata qaadra, l' ora sesta ».
saooadnta aU'J del lixìgiuiggio di Adamo. In
Mstanza Dante nel De en^. thq, aTeya rl-
tenato ohe l'ebraioo foase la lingoa di Adamo
rimasta inalterata preeso quel popolo; nel
JRir. invece ai oonedae, perché aU'nomo primo
caooiato dal panuUao teixeetre non al addl-
oerm pid una lingua inalterabile ; efr. il bel-
lissimo stodio del D'Ovidio, pp. 486-607.
Nei manosoritti poi ai trovano altre lesioni
nel V. 184 (£(, i^ Y, Un\ ma derivate da
erronee interpretaxloni del testo primitivo.
— 186. cade eoo. dal quale procede la mia
beatitudine. — 186. El il ekiamò eoe Poi
la divinità prese il nomo di M presso gli
Efarei; ofir. Isidoro, JSJtymof. vn 1 : « Primom
«pad Hebraeos Dei nomen El dioitar, secon-
dnm nomen Uhi est ». -^ 187. Poso eoo. le
parole del linguaggio nmano sono mutabili
oome sai rami le fronde, alcone delle quali
cadono mentre altre germogliano. Dante re-
stringe in una similitudine di particolare ef-
ficacia il concetto dei versi notissimi d' Ora-
zio, Ari, pod. V. 60 e segg.. e Ut sAvae fo-
llia pronot mvtantmr in annos. Prima oadunt;
ita verborum vetus interit aetas, St inveDum
rita florent modo nata virentque... Multa re-
nasoeotor, quae iam coddere, oadentque,
Qoae nono sunt in honore, vocabula, si vx>-
let osus, Quem penea arbltrium est et los et
norma loquendi ». — 189. He! monte eoo.
SaOa dma del monte sacro, nel paradiso ter-
restre, io dimorai in tutto sette ore, dalla
prima del giorno In cui ftd creato a quella
ohe viene dopo la sesta. — ék» si leva ecc.
cfr. Atfp. lu 15. — 140. eoa flto para, e
disemetta : la vita pura, senza peccato, fu
dalla crearione sino al godimento del fhitto
vietato; la dùonula dal momento del peo-
oato sino alla cacd^t^ ^ paradiso terrestre.
— 141. feeeada: seguita, accompagna (efr.
Any. zvi 88). — 142. come U sol ecc. ap-
pena che II sole ha mutato quadrante, doò
ha percorso una quarta parte del suo giro
quotidiano.
CANTO xxvn
Dopo che tatto il paradiso ha cantato un inno di grazie al Signore, &an
Pietro fa ana flerissima invettfra contro i pontefici romani, e tutti 1 beati
risalgono all'Empireo. Beatrice e Dante s* innalzano al nono cielo o Primo
Mobile, del quale la donna spiega al poeta la natura, traendone occasione
per censurare 11 decadimento delP umanità e invocare prossimo un rinnova-
mento morale [14 aprile, ore pomeridiane].
Al Padre, al Figlio, allo Spirito Santo
cominciò € Gloria > tatto il paradiso,
8 si ohe m'inebbriava il dolce canto.
Ciò ch'io vedeva mi sembiava un riso
xxvn 1. ÀlPadreeocSodisfiattooonil
disoono di Adamo il desiderio di Dante (Air.
XXVI lOB-142), tutti i hesti del paradiso, in
xendimeato di grazie alle tre persone divine,
intonaiono il Gloria patri «t fUio H apiritui
mmeto eoe, cantando 1* inno con tale dolcezsa
che il poeta restò inehhriato di inellkbile al-
legreiuL — 4. Clè eh* le eoo. Alla gioia pio-
dotta dal dolce canto ai aggiungeva quella
cagUmata dallo spettacolo offerto dal tripudio
dei heati, che a Dante apparve come un riso
déU'unkarÈOf come la Bunifestasione di una
gioia sovrumana diifnsa per tutti gli spaat
creati. < Un infinito tripudio (nota il Blag.X
mille splendori di vivi raggi sfavillanti, ohe
a* abbellivano di mutua Inoe, aoeompagaavano
798
DIVINA COMMBDU
dell'universo; per che mia ebbresza
6 entrava per l'udire e per lo viso.
O gioia! o ineffabile allegreszal
o vita intera d'amore e di pacet
9 o senza brama sicura riochezsa!
Dinanzi agli ocobi miei le quattro face
stavano accese, e quella obe pria venne
12 incominciò a ùasi più vivace;
e tal nella sembianza sua divenne,
qual diverrebbe Giove, s'egli e Marte
16 fossero augelli e cambiassersi penna
La provvidenza, che quivi comparte
vice ed officio, nel beato coro
18 silenzio posto avea da ogni parte,
quand' io udi' : € Se io mi trascoloro,
non ti maravigliar; che, dicendMo,
21 vedrai trascolorar tutti costoro.
Quegli ch'usurpa in terra il loco mio,
in qnegl' ImniMisl ipuf il dololirimo oanto,
• tal viste pueva proprio » Danto un liso
déir unirono; imagine Twamento degna del
luogo e di ^ lo doBoriTe. Eschilo chiama
rito infinito qnesto che il poeto noetro rièo
dtWwmtrao >. — 6. per eh« eoo. per la qnal
oota rebbrezxa del piacerò entrayain me per
r udito, a cagiona del canto, e per la Tista,
a cagione dello sfkTillare dei beatt. ~ 6. tIioi
ett, hif» rr U. -- 7. 0 gioia ecc. 0 gioia
indidùle del paradiso, ore le anime viTono
una Tito perfetto di amore e di paoe, e go-
dono di una JnfiJIihtla beatitodine, lenaa al-
cun deeiderio. — 8. o Tltft Intera eoo. efr.
Air. zm 64. ~ 9. o lensa brama eco. È
in relazione od oonoetto eepreaao nel ObMO.
m 14 : € n desiderio esser non pud odila bea-
titudine, aedo che U beatitudine sia cosa per-
fètto e il desiderio sia cosa difettlTa; che
nullo desidera quello che ha, ma quello ohe
non ha, che è manifesto difetto > : ondo il
Petrarca oomindò il son. ozoi dicendo : € Si
oomo etema Tito è Todflir Dio, N6 più si brama
né bramar più lice >. — 10. le f lattro eco. Le
quattro tod ohe risplondeyano innansi aDanto
orano lo anime di san Pietro, di san Iacopo, di
san Giovanni e di Adamo, dello quali prima a
Tonire ora stoto quella di san Pietro (oft. Ar.
zznr 19 o oeg.). — 12. Ucomlnelò eoo. San
Pietro, inilammandnsl di sdegno, prorompo in
mosso alla sdonnito dd silensio edesto, to
una fiera luTottiTa contro il pontefice romano
(tt. 19-27), o ed disdegnoso consenso dd
beatt (rr. 28-86) rioorda la santo Tito o il
martirio dd primi papi oomo rimproyero ai
lupi rapad diyonutt pastori di animo, o in-
voca contro U Owto lomann 0 toooorso doDa
diTina proTfidonza (vr. 87-66). ~ 18. o tei
eoo. e d acceso di qud ooloio rosM» flaa-
meggianto che Giovo aoquistecobbo oe osso
o kaxto d scambiassero i odori. Ani.: € La
luco bianca, oosm qudla di Giovo, « questo
punto d trastormA, per aoconriono di odo, in
luce rossastra oomo qudla di Marte. Che Viano
a indioard od cambto dello panno tra Giovo
e llarte, se fossero uccelli; ood d raasmo-
mora dd poeta, oho la luoo di cho risplon-
devano qud beoti q^ti, ora cosa dlatlmtodnlla
loro osswìH, 0 quad una spoeto di manto ».
Quesf dtimo pensiero, oomo troppo sottfle,
non obbo fono il poeto; il quale ad ogni modo
to questo slmOitadiiio non fti troppo fd&oo,
por to strana ipoted di una oonvenlono di duo
pianottin ucodlL — 16. La prowldoasn eoo.
La prowidonia divina, la qude in ddo di>
stiibuisco vod od uffid, doè ordina l'swi-
oondard dd moto o ddla quiete, dd pariare
e dd taosco, o assegna a dasouno il suo pro-
prto uflUdo(dipadaio, di aaodtazo eoe.), aveva
imposto dtondo a tutti i boati. — 18. Solo
ecc. So io cambio odoro por to sdegno die
mi agita, non to ne moravigllaro, poldié vo-
drd allo mto paiolo cambiar ooloio per lo
stesso sentimento tuttt i mid 'rft"«pogirf di
beatitudine : oomo d d oomune la gloria, ood
ogni altro sentimento d è oonuno o produco
to tetti nd gU stesd oflstti. — 21. vedrai
eco. cfr. w. 98 e sogg. — 22. fae^ eoo.
Odui ohe to terra usurpa il mto posto, oho
d cospetto di Gos4 Cristo appare vaoanto per-
ché I F>^*g'»yw*to occupato, ba tolto di Boom
un imputo riotttaoclo d'ogni vldoima • d'ogni
PABÀDISO - CANTO XXVH
790
il loco TDÌOf il loco mio che vaca
24 nella presenza del figliaol di Dio,
ùAXo lia del cimitero mio cloaca
del sangue e della puzza, onde il perverso,
27 che cadde di qua su, là giù si placa».
Di quel color, che per lo sole avverso
nube dipinge da sera e da mane,
80 vid'io allora tutto il del cosperso:
e come donna onesta, che permane
di sé sicura, e, per l'altrui fallanza,
83 pure ascoltando, timida si fané,
cosi Beatrice trasmutò sembianza;
e tal eclissi credo che in del fiie,
86 quando pati la suprema possanza.
p«oe«to, di modo oho LnoUbro neU' inferno
il xmllegn di tanto mal«. L' ioTettiTa è dirotta
in genere oontto i ponteflei del tempo di
Dante: contro Boniikxlo Vm (ofr. In/l zxz
68) te li ha xigoaido all'anno aisegnato dal
poeta alla ma lisione, contro Oioyanni YXTT
(ofr. Ar. xTm 180) te il oontidera il tempo
Sb coi Tantore totiTeiTa questi tenibili versL
— 28. U loe« eoo. La ripetisione, non pare
liolìlama con maggiore Iniiitenga V idea della
aedo apoetolioa indegnamente oocapata, ma
aocrecce forza all'invettiTa : e ferse è qói nn
xieordo dell* eeproMione biblica (leremia vn
4): e Onesto d il tempio del Signore, il tempio
diel Signore, il tempio del Signore >. — 28.
càe TMa eoo. Land. : e Non dice assolata-
mente che raohi, per dò cho segnirebbe che
non fosse vero e legittimo papa, e per con-
Beqaente non Tanebbe oosa che lucesse, ma
Taoa nel conspetto del flgliaol di Dio, peroh6
ha pervertito roflSdo sao e per conseqoente
Cristo lo riprora come apostata. Non Taoa
adnnqoe tra gli nomini, peroh6 il sao decreto
nOe; ma quanto a Dio, non tiene tal grado
di ragione, ma lo osorpa >. ~ 24. aella pre-
■ens» eòo. al cospetto di OesA Cristo, fonda-
torse capo della chiesa cristiana. — 26. cìmI-
ter«: Boma, ore fa sepolto, secondo la tradi-
done, san Pietro, eia soa mUixia (cfr. Par, a.
189 e segg.); ma si potrebbe intendere por del
Vaticano e degli altri luoghi saorL — 26. del
Magne eco. del sangue di innocenti vittime,
del sangue sparso neUe lotte accese in Boma
daQ' ambidone pontiAda (cfr. hìf. xxvn 86 e
ngg.). — deUa pnssa t dell' imniondida dei
peccati, e specialmente dell'aTariiia e della
lussuria dominanti in corte di Boma. ~ 11
ftrrerso eoe. Lucifero, precipitato dal cido
all'inferno (cfr. Ihf, xxziy 121), d oompiaoe,
d rallegra delle iniquità commesse nella ca-
pitale dd mondo cristiano. — 28. Di fn«l
•00. Alle parole di san Pietro contro il ponp
teflce romano tutti i beati direntano rosd di
sdegno, come la nuvola d tinge in rosso
quando d mattino o alla sera d trova oppo-
sta al sole. — per lo sole ecc. per essere il
sole dalla parte opposta; d detto con tome
latlneggiante, die ricorda i verd ovidiani,
3ùt. m 183 : < Qui color infectis advord so-
lis ab ictu Nubibus essesolet aut porpureae
aurorae, Is fdt in vulta visse sino veste
Dianae > ; onde Dante trasse oerto la sua d-
militudine ( cfr. Moore, I 227 ) rinnovandola
con assd efficace brevità. — 29. nube di-
pinge ecc. il colore dipinge la nube, cosparge
di b6 lanube(cfr. Btr. xxvni 28): non mi pare
che sia fondata, a questo laogo, la censura
di ambiguità fetta da donni interpreti essendo
chiaro che la nube non può dipinger nulla,
si esser dipinta d' alcun colore. — 81. come
donna ecc. come l'onesta donna, senza per-
dere la dcurexza della propria purità, nd-
l'ascoltare i feUi di un'dtrad fe timida, ar-
rossisoe per naturde timore, ood Beatrice d
cambiò di colore, diventando timida per dò
che aveva detto san Pietro. Venturi 266:
« La similitudine è appropriatissima, in quanto
d riferisce a donna. In sua onestà, innocente;
nella quale il sentimento del pudore sud ce-
serò più vivo >. •— 88. fàae : fe ; ofr. I\trg.
XXV 42. — 84. eesf Beatrice ecc. Buti : «di-
ventando timida e vergognosa per quello ohe
aveva detto san Pietro dd papa che era d-
lora; e per questo dà ad intendere che tutti
li teologi, li santi e buoni cristiani d vergo-
gnano dd peccato de' pastori della santa chie-
sa ». — trasBBtò eco. Yentori 266 : « Modo
che rammenta il biblico: Aspeoiui faoiei i^
Uus immuialuM «d (Dan. m 19) ». — 86. e tal
eellssi ecc. Yentori 266 : « Danto, con dto
concetto, imagina ora in dolo lo stesso osca-
ramento e attristamento di sembianti, qnd
fa alla morte della »upr«ma pottanxa^ di Cri-
sto »; ofr. Matteo xzvn 46, Marco xv 0^ Luoa
800
DIVINA COHMBDU
:n
Poi procedetter le parole aue
con voce tanto da sé trasmatata
89 che la sembiaasa non si mutò piùe:
< Non fa la sposa di Cristo allevata
del sangue mio, di Lin, di quel di Cleto,
42 per essere ad acquisto d'oro usata;
ma per acquisto d'eeto viver lieto
e Sisto e Pio e Calisto ed Urbano
45 sparaer lo sangue dopo molto fleto.
Non fa nostra intenadon eh' a destra mano
dei nostri successo^ parte sedesse,
48 parte dall'altra, del popol cristiano;
né che le chiavi, che mi far concesse,
divenisser segnacolo in vessillo,
51 che centra i battezzati combattesse;
né ch'io fossi figura di sigillo
ai privilegi venduti e mendaci,
xzm M-46. — 87. Poi eoo. Da questo ponto
le puole di nn Pietro fegoitarono oon yooe
non meno alterata di q nel ohe foaee ttato al-
terato l'aspetto : la sua rooe insomma faoen-
doei più forte esprimeva raooresoimento dello
sdegno sosoitato dal confronto degli atti dai
presenti pontefici con la vita santa dei primi
papi. — 40. Hon fti eco. La Chiesa cristiaiia
(cfir. Par, u 82) non fa fondata e fortificata
ool martido mio, di Lino, di Cleto eoo. per-
ché le institoxioni eoolesiastiohe fossero og-
getto di nn indegno traffico, fossero il meno
di ammassare dell'oro. — 41. lia: Lino,
primo yesooTO di Boma e svcoessore di san
Pietro ; nella serie dei pontefici romani gli 4
assegnato il tompo che corre dal 66 al 78 d.
C; era volterrano e scrisse la vita di san
Pietro ; to. decapitato il 23 settembre 78. —
Clet« tsaoerdote romano, che soocedette a Lino
nel pontificato, tenendolo dal 78 al 91; e Ite
martirizsato sotto l' imperatore Domiziano. —
43. Ma per eoe ma porche la Chiesa fosse
goida all'aoqaisto della beatitadine celeste. —
44. Sisto t Sisto I, yescovo o pontefice romano
per died anni, secondo alooni sino al 127,
seoondo altri sino al 182 : ebbe il martirio
sotto l'imperatore Adriano. Erroneamente lo
Soart. credette che si accennasse qoi aSisto II
(257-260) ; poiché dò ò escluso dal fatto che
il poeta ha manifestsmente segoito l'ordine
cronologico della serie tradizionale dei ponte-
fici xomanL — Pio t Pio I, pontefice dal 166
al 166 (secondo altre fonti, dal 139 al 164);
era d'Ajqnlleia e mori anch' esso di martirio.
— Calisto t Calisto I, pontefice dal 217 al 222,
ebbe il martirio sotto Alessandro Severo. -~
Urbano X Urbano I, pontefice dal 222 al 280,
finito anch' egli per martirio. — 46. sfartar
•oc dopo ona vita di longhi dolori, per le
peraecozioni alle quali fa soggetta la iato
chiesa, morirono martiri della fede cristiana.
— 46. Hom tm eoo. Noi non avemmo mai l' in-
tenzione che r una parte del popolo cdstiano
fòsse dal pontefid tonata per prediletta, e
l'altra come nemica. È manifesta l'allasions
allo parole evangeliche (Matteo zxv 81-88) :
«Quando il figlinol dell'aomo sarà venato
nella sua gloria... metterà le pecore alla soa
destra, ed i oapretti daUa ifnistrm > ; ma e* è
anche un accenno alle parti poUtidie dal
tempo, dell'una deUe quali i papi d servi-
vano per combattere l' altra, oome ben vide
rott scrivendo: «Dice san Pietro che non fb
la intenzione di lui, né dalli predetti papi, fi
quali spaiasto il sangue per la Qdesa, che
alla mano diritta, doè dalla parte della grazia,
de' loro successori papi, sedessero una parte
de' cristiani per via di parte gvalik, nédaOa
ainistra, doè della indignazione, sedesee l'al-
tra parte, doè i ^bellini; né che le chiavi,
che sono segno dell'apostolica antoiritade,
fossero dipinte per via di parti neDi gonfaloni
de' mortali cristiani andanti incontro aUi altri
cristiani ; né che la imagine di san Fiero fesse
impronta nella bolla de' privilegi e de' beoe-
fid acquistati per simonia, donde speaeo d
vergogna e d adira >. — 49. eàe ■! ftr eco.
ohe mi furono affidate come simbolo dell'ito-
stolioa autorità • dalla scienza eaoerdotale
(cfr. Pùty, a. 117, Bmt. xnv 86). — 60. di-
venisser eoo. divenissero segno di guerra delle
milizie ponlìflde, mandate a oombattare con-
tro gente cristiana. ~ 62. b4 eà* le eoe. né
che il sigillo pontificale oon la mia figura
fosse mal destinato a convalidare le bolle di
oonoossione dd più nendad e slmoniad pd*
PARADISO — CANTO XXVH
801
54 ond' io sovente arrosso e disfavillo.
In vesta di pastor lupi rapaci
si veggion di qua su per tutti 1 paschi:
57 0 difesa di Dio, perché pur giaci?
Del sangue nostro caorsini e guaschi
s' apparecchian di bere : o buon principio,
60 a che vii fine convien che tu caschi!
Ma l'alta provvidenza, che con Scipio
difese a Roma la gloria del mondo,
68 , soccorra tosto, si com'io concipio.
E tu, figliuol, che per lo mortai pondo
ancor giù tornerai, apri la bocca,
66 e non asconder quel eh' io non ascondo >.
Tilegf , doè ohe 1 papi abusassero della loro
aatorità per emettere atti lìalsi e disonesti.
— 54. «BdMo eco. del qnaH privilegi ho
spesso ragione di vergognarmi e sdegnarmi
perchó frequenti sono queste Calsità e simo-
nie. — 66.- la Testo ecc. Dal cioio noi ve-
diamo che tntti gli nffiof e benefict eocleeia-
stici sono oonferiti a persone indegne, che
amnmono le ftindoni sacerdotali (in vetta di
postar) come mezzo a esercitare le loro robe*
rie e rapine (lupi rapaoi)» Bati : « Ooei sono
U beneflct a' cherid, come li paschi a le pe-
core ohe ne vìvono ; e come li lupi nelle pa-
store assallsoono e divorano le pecore, cosi
H prelati della chiesa, che doverebbono essere
come pastori a difendere dai lapt, doè dai
dimeni, li loro sadditi e li loro pcpnli, sono
come lopi lapad a divorare le loro facoltà et
a (kili minare eoi loro malo esemplo ». — di
psst«r ecc. Modifica leggermente le parole
evangeliche (Matteo vii 16) : « Or guardatevi
dai fiftld profeti, i qoali vengono a vd in
abito di pecore; ma dentro son lopi rapad»;
ohe da altri antichi scrittori fturono osate a
rimproverare l'ingordigia e la rapadtà dei
prelati. — Inpl rapaci : appropria ai cattivi
ecdesiastid on' espressione fteqnentemente
osata nel medioevo per indicare i malvagi
dttadini perturbatori della quiete pubblica e
del boono stato d'una repubblica (cfìr. i%tr.
XXV 6). — 67. e difesa ecc. o aiuto divino,
peroh6 non sorgi contro questi profonatori
della Chiesa? È in fondo la tnae del Salm.
xuY 23 : € Risvógliati, perch6 dormi, o Si-
gnore ? » ; on eodtamento doè alla divinità
perché intervenga a ponire i malvagi sacer-
doti; e il senso del nome difesa si accosta a
qoello di soooorso (cfr. Pur. xxii 96), come di-
mostra l'oso paralldo fatto nei w. 61-62 dei
vb. difsndsn e soeeorrers. — 68. Del sangoe
eoo. Del patrimonio ecclesiastico, (tatto del
nostro martirio, 1 caorsini di Giovanni XXII
a i goasconi di Clemente V, s' apparecchiano
Danti
a fhre stoario eoo. Dopo il pontificato di Bo-
niiazio Viu, ftirono infuni per simonie e cor-
ruzioni quelli di Clemente V (cftr. Inf. xix
83, Pbr. XXX 142 e segg.), e di Giovanni
XXn (cfr. Par, xvni 130); l'ano e l'altro
favoreggiatori dei loro compaesani, 1 guaaehi
e i caorsini, che ebbero gli alti offld eode-
siastìd e giorisdizioni e benefid d'ogni ma-
niera. ~ 69. 0 bnOB eoo. o Chiesa cristiana,
iniziata col saorifldo e con la santità della
vita, a qoale orrìbile oorrozione sd ta mai
pervenota sotto gU indegni pontefld. — 61.
Um l'alt» eco. Ma la provvidenza divina,
che per mesco di Sdpione mantenne a Roma
l'impero dd mondo, verrà presto in aioto
della Chiesa cristiana, cosi come io intendo.
Scart: « È sempre la stessa profezia, espressa
In forma pid vaga e pid generale che nella
profezia del Veltro e del Clnqoecento died e
dnqoe (Inf. i, Purg. xxxm). Dante non la
vide avverata, benché ne aspettasse tosto l'a-
dempimento >. — Scipio : cfr. Par, vi 49-^.
P. Cornelio Sdpione Africano, per obbligare
Annibale a ritornare a Cartagine, impress
fondata in Africa per la franchoxaa di Roma
(Con», rv 6), e qoivl prostrò l'eterno nemico
della soa patria (Mon, n 10), e cosi conservò
a Roma l' impero oniversale. — 68. eomelple :
concepisco, intendo ; latinismo insolito. — 64.
E t« eoo. E to, flgliool mio, ohe non essendo
ancora sdolto dal peso dd corpo devi ritor-
nare solla terra, parla apertamente agli uo-
mini e manifesta loro dò che io non ho na-
scosto a te, lo sdegno dod end' io avvampo
per la corruzione della Chiesa e degli ordini
ecdesiastid. — 66. e boìi aseenéer eco. È
inutile avvertire oho tutta qoad la Comme-
dia ò l'attuazione di quosto consiglio, perohé,
essendo la corruzione eodesiastica uno de' più
forti impedimenti alla rigenerazione morale
dell' umanità sognata da Danto, era naturale
che il poeta alzasse spesso e in vario modo
la voce contro i pontefld, prima cagione di
61
802
DIVINA COMMEDIA
Si come di vapor gelati fiocca
in giuso Paer nostro, quando II corno
69 della Capra del ciel col sol si tocca;
in 6u yid'io cosi Teiere adorno
&xaìf e fioccar di vapor trionfanti,
72 che fatto avean con noi quivi soggiorno.
Lo viso mio seguiva i suoi sembianti,
e segui in fin che il mezzo, per lo molto,
75 gli tolse il trapassar del più avantL
Onde la donna, che mi vide assolto
dell* attendere in su, mi disse : € Adima
78 il viso, e guarda come tu sei volto ».
Dall'ora eh* io avea guardato prima,
io vidi mosso me per tutto l'arco
81 che fa dal mezzo al fine il primo clima;
oolato oonroadono. — 67. 8f eoa» eoo. Come
l>tmoBfera deUa terra nuuida in già » floo-
ohl la nere allorohó il wle appare nella co-
stellazione del Caprioomo, ooei la sfera cele-
ste cosparsa di lami parre innalxarri sospin-
gendo in alto i lami ch'erano stati con noi
eoo. Il oonoetto del poeta è evidentissifflo :
le Inoi o anime beate s* innaharono tranqnil-
lamente Terso l' Empireo, oon qaella calma
regolarità che è propria della nere cadente
a larghi flocchi salla terra {htf, znr 80); e la
similitudine non è del tatto naora in Dante,
che nella V, N. xzui 168 scrisse : e Leraya
li occhi mi^ bagnati in pianti, E redea (che
parean pioggia di oianna), Li angeli ohe tor-
nayan soso in cielo », ore, come in questa
del poema, il termine di paragone non d la
direxione del morimento, ma il modo di esso.
Qualche difficoltà trovano gli interpreti nel
determinare il ralore del rb. fioooon; che non
dere ricercarsi, isolatamente, ma nello intere
frasi: fosr floioa di vapori in ffinuo, Vder$
fiooea di vapor tu su ecc., oro d manifesto
il senso di mandar gid a flocchi la nere, e
mandar sa a flocchi gli splendori. — 68.
piando eoe nel solstisio inremale da messo
dioembre a meno gennaio, allorchó il sole d
nel segno del Gaprioomo. — 70. U si...
Csrtly e floeear eoe i'stors oiomo, dod Tot-
taro cielo oosparso sino allora delle lad dei
beati le sospinsa in alto eoo. — 71. rapor
trlenfaatl eco. anime arrolte nella luce
splendidiBslma, le quali si erano trattenuta sino
allora nel delo ettaro. — 78. Le riso eco.
n mio sguardo tenera dietro a quelli splen-
dori e li seguitò flnchó lo spazio intermedio
per la molta lunghezza o distsnza gi' impedi
di perrenire pid oltre, guardai dietro aqaoUe
luci sino a tanto che esse sempre innalzandosi
disparrero dagli ooohi miei. — saol : dei r»-
^ori; cft. Inf, x 18. — 76. Onde la deana eoo.
Beatrice, rodendo Dante ormai libero dal
guardare in alto dietro a quei lumi, lo iarita
a rolgere lo sguardo alla torra ed ossorrare
quanto il moto coleste lo abbia aggirato in
questo tempo eh* egli ò stato nell'ottaro dato.
— assetto eco. libero dall' otto di guardare in
su; perchó i beati erano scomparsi e Dante
area finito di guardare ; circa il part. omoUd
cfr. Air. zxv 25. — 77. àdlaa ecc. Abbassa
gli ooohi, e osserra quanto U set aggirato
insieme oon questo dolo. — 79. Dal!* ora
ecc. Danto entrando nel delo delle stelle fisse
si era trorato nel segno del Qemolli, donde
ripercorse oon lo sguardo 1 pianeti sottostantì
(cfr. Air. xxu 13S e segg.); allora era nd
moridiano di Qerusalenune (cfr. Par. rxii 1S4X
mentre ora d trorara spoetato di 90 gradi
rerso ocddente, sf eh' egli redo oltre lo stretto
di QibUterra l'Oceano AtUntioo. Per espii-
mere questo pensiero egli dice ohe dall'oca
(mezzogiorno), in cui arerà prima rirolto Io
sguardo all'aiuola ék$ tifa Umio feroci (Air.
zxu 161), a questo momento (respero) d en
mosso per tutta la lunghezza che il ptrism
eliima fa^ determina dod, dal rnsseto al fS/rn,
dalla sua intersecadone col meridiano all'oris-
zonte ocddentde : che è appunto lunghesa
di 90 gradi, quanti Dante ne arerà percorri
morendori coi GemellL Su questi rerd o(r.
Della Valle, S&Hooffeogr, aaironom^^ pp. 120
e segg. e la nota d Par, xxn ISA. — 81. cfee
fa eoo. Upri$iioolm%a d la prima, comincian-
do dall' Equatore, delle sette zone abitabili,
in cui i geografi antichi diriderano a aostzo
emisfero, e oominoiara d grado 12 • Bezso
di latitudine, terminando d 20 e mezzo : dd
punto, ore questa sona è trarersata dal bm>
ridiano, sino all'orizzonte occidentale ore essa
termina, l'arco ch'essa determina ha ano sri-
luppo di 90 gradi, la distania tra Gerusalem-
me e il limite ooddentde dd mondo eoo^
PARADISO - CANTO XXVII
803
si cV io vedea* di là da Gade il varoo
folle d' UUsBe, e di qua presso il lito,
84 nel qual si fece Europa dolce oaroo:
e più mi fora discoperto il sito
di questa aiuola; ma il sol procedea,
87 sotto i miei piedi, un segno e più partito.
La mente innamorata, che d(mnea
con la mia donna sempre, di ridure
90 ad essa gli occhi più che mai ardea.
E se natura od arte fé* pasture
da pigliare occhi, per aver la mente,
98 in carne umana o nelle sue pitture,
tutte adunate parrebber niente
yèr lo piacer divin che mi rifulse,
96 quando mi volsi al suo viso ridente.
E la virtù, che lo sguardo m'indulse,
del bel nido di Leda mi divelse
■doto (ofr. I\Krg, n 4). Ma, leoondo U Moore,
p. 168, Danto §1 mébbe Tslao di quflcto •-
spraatono a gvba di peiifraai per aipilmere
lo apasio di oltre sei ore, e«eiido il piimo
«Usa q[QeUo in eoi il giorno ha la dorate
BUMima di tredid ore. — 83. af eVlo ecc.
di nodo ohe io Tederà di là da Qade (Ca-
dioe, lai. Oocto) U mare che UIÌmo foUe-
mento tonto di narigare, l'Oceano Atlantico :
il eorao folk non è lo stretto di Gibiltorra,
ma il A>Ui «Dio di Ulisse ( J^. xrm 126), il
mare al di là di qoello stretto. — 88. e di
f «a eco. e dalla parto d'oriento Q lido della
Fenicia, donde Oiore rapi Eoropa, figlia di
Agenore re del paese. Soropa si fece doleé
cono significa che divenne dolce, gradito pe-
so alle spalle di Giove, che trasformatosi in
toro la porto via in groppa; secondo il rac-
conto ohe Danto lesse in Gridio, M§L n 882-
876, e predsamento secondo le parole del
T. 868 : « Ansa est qnoqoe regia virgo, Ne-
sda qoem premeret, torgo considero toori >.
— 86. e pld ecc. e dal pnnto ove io era
avrei potato vedere nna pid ampia plaga
della terra, al di là della Fenida, se fosse
stete illomlnate dal sole ; ma questo prooo-
deva nel soo corso, diviso o lontano da me
un mgno 9 più^ doè pili di nove gradi, e per
qneste distanta non illominava della sua tace
quello stesso emisfero della terra eh' io po-
teva abbraodare con lo sgoardo. — 86. alno-
la: ofir. Foar, Tra 161. — 87. aa segno e
pli eco. Dante era nd Gemelli, e il Solo
nell'Ariete : in meno en adunque la costei-
Iasione del Toro. — 68. La Mente eoe La
mia mente, ohe per impolso d'amore vagheg-
gia sempre la mia donna, ardeva più che mai
di rivolgere in Id lo sgoardo. — donnea :
dy. FtMT, XS3V 118. — 89. ridarei dal lat
nàmefré è tratto regolarmento ridw (of^.
fan da fmotn, riiUr$ da red^otn ecc.), che
pd prese nella lingoa la fi>rma tidumf. ~
91. K se aatara eoo. Ventoxi 469 : « Al sa-
lir di Beatrice da nna in altra etera, il riso
e U volto di Id cresce in beUecsa... D bdlo,
eeoondo il concetto dell'Alighieri, è l'esca,
coi la ragione prosento all' omana volontà
per fatlb amare il bene. Se pertanto, egli
dice, la natora e l'arto hanno 1* esca della
bellezsa (qoella, dd corpi ; qoesta, delle pit-
tore) a pascer di s6 gli occhi per innamorar
l'anima; tatto adonato ootali belletro pare-
rebbero niento rimpetto ai piaotr dMnOt alla
divina bdtà, die nflilse nd vdto di Beatrice
sorridento». — • natora od artet cftr. Awy.
zxn 49. — pastore t sono i dbi graditi agli
oooelli, onde eed restan pred nelle reti; e
metaf<Nrioamento, ^ allettamenti della bel-
lezsa natorale o artistica, con la qoale d pi-
gliano gli occhi per aver la mento, per con-
quistar l'anima. — 94. tatto adonato ecc.
Di queste mossa d ricordò probabilmento 11
Petrarca nella cans. ix 46 e segg. : < Quan-
te dolcezza unquanco Fu in cor d' awenta-
rod amanti, accolta Tutte in un loco, a quel
ch'i' sento, è nulla > ecc. ~ 96. vlr le pia-
cer ecc. al confronto della divina bellezza, che
mi riftUse dagli occhi ridenti di Boatrioe. —
97. la virtd eoo. quella virtd, che lo sguardo
di Id mi concesse, mi trasse dal segno dd
Gemelli e mi spinse nd Primo Mobile o dolo
cristallino. — 98. nido di Leda chiama la
costellazione dei Gemelli, Castore e Polluce,
che nacquero dall'evo di Leda fecondato da
Giove. — ni dlvelse: il vb. dioeUere ha
qui il semplice senso di allontanare, ri-
804
DIVINA COMMEDIA
99 e nel ciel yelooiseimo m'impulse.
Le parti sue yiyistime ed eccelse
si uniformi son ch'io non so dire
102 qual Beatrice per loco mi scelse.
Ma ella, che vedeva il mio disire,
incominciò, ridendo tanto lieta
105 che Dio parea nel suo volto gioire:
« La natura del mondo, che quieta
il messo, e tutto l'altro intomo move,
108 quinci cominda come da sua meta.
E questo cielo non ha altro dove
che la mente divina, in che s'accende
IH l*amor che il volge e la virtù ch'ei piove.
Luce ed amor d'un cerchio lui comprende,
si come questo gli altri, e quel precinto
114 colui che il cinge solamente intende.
Non è suo moto per altro distinto;
moTei»i fleniA alonn* Uè* di yiolaim (cfr.
Jnf. zzznr 100). — 99. • ■•! ei«l eoe. H
BASO delo, detto Primo Mollilo o dolo ori-
stallino « oioè diafkno o toxo tatto traspMon*
to » (Obnv. n 4), è quello ohe imprime il mo-
vimento a tntti i deli lottoetanti (ofir. la nota
al Ar. u 118XedèUpiAampioeilpi&Te-
locedi tam,' tanto 6h9 la ium^etooUà è fmai
mwmfrmmbik: ti noti ohe Dante accenna
qui al noto dionu», ohe neceotariamente deve
eaaere tanto più lapido qnanto maggiore è la
gtandesza del cielo (ofr. Della Valle, op. dt.,
p. 129 e aegg.). — 100. Le parti eoo. Le parti
di questo dolo sono cod nniformi ohe io non
posso dire qnale Beatrioo soeglieose per laogo
mio, perohó io mi vi lérmaad : l' uniformità
toglie la nodone dd lao^ particolari, ohe
non possono essere distinti e indicati se non
per qualche difforenca rispetto ad altri luo-
ghi. — vItIsbIbm ei eeeelset eod Danto
chiama le parti dd Primo Mobile, secondo il
Lomb., perohi sono e parti di un ddo vdo-
cisdmo ed dtisdoM» » ; dirimenti d può spto-
gare per parti luminosissime e sublimi. Non
ò da tacere ohe molti testi recano inreoe vi-
etsfwiM td Modsa, ohe vorrebbe dire vidne e
lontane; ma è ledono da dubitarne, non
ostante la molto autorità dei oodid ohe la
portano, per l' insdito voce vioiumé, ~ 106.
che vedeva ecc. che conoeoeva il mio ded-
derio, senza di' io lo avead manifeetoto. De-
dderava il poeto di sapere in qud parto dd
nono cido ei fosse entrato. — 106. tk» Dio
ooc. che nel volto di Beatrice sembrava rì-
speoohiato il gaudio divino. È una ddle tanto
espresdoni stupende, con le quali Danto si-
gnifica la beUezsa della sua donna immortde,
trasfondendovi quad raoimo suo di amanto
e di cristiano. » 106. 1m BStam eoe Ia
nator» dd mondo, la quale fa d ohe sia (èrma
la torra nd centro dell* univeno e tatto le
dtze parti all'intorno d muovano, trae im-
pulso da questo ctoto, come da suo prindpto;
perché il Primo Mobile € od suo movimento
ordina la ooddiana zivdudone di tutti ^
dtri » (OWM. Ili 16). Quad tutto le modans
edidoai leggono: Im natma dd wwto ecc.,
lezione ood spiegato dd oommentatorì : H
naturd moto dell'universo ohe laada quieto
il centro e r^isoe intorno tutto il rimanente,
doè ohe è moto droolare, oomtoda di qd
dd Primo Mobfle, oome da eoo ponto di
mossa ; cfr. À. Sorocoa, Jl siattma éanttan,
dt, p. 88. — 109. queste dele eoo. il ddo
cristallino non è oompreso dtrove che aeOa
mento divina, neDa qude d accende Tamors
che aggira esso ddo e la virtd che ceso in-
iluisoe nd deli sottostanti. » UL. l'naer
eoo. è quel /àrsnifasimo amore ohe ito do-
esima tua parta di §ta&r tomgmmàa eo» do-
aeuma parU dell' Empireo {Om», ii 4). — la
vlrtd ecc. ofr. Pur, n US. ~ 112. I«ee té
amer eoo. La luce e l'amore dd aok» ddo
Empireo comprendono il dolo cristallino, a
quel modo ohe il dolo cristallino contiene in
sé gU dtri oidi sottostonti; e l'Empireo «
inteso solamento da colui oho to cinge cioè
da Dio. " 118. e qed prednte eoo. U ddo
Empireo (detto frwinto nd eanso di oetdiio,
oftr. Inf. XXIV 81) è e 11 sovrano edifloto dot
mondo, nel quale tatto il mondo s* inchiodo,
e di fuori dd qude nulla è, ed esso non é
in luogo, ma formato fu sdo nella prima
mento » (Coev. ii 4). — U5. Mea è ecc. 11
moto dd cielo cristallino non èmiswatoper
aìiro moto, doè dd moto di alcun dtro doto;
PARADISO - CANTO XXVII
805
117
120
123
126
129
ma gli altri Bon misurati da questo,
si Gome dieci da mezBO e da quinto.
E come il tempo tenga in cotal testo
le sue radici e negli altri le fronde,
ornai a te puot' esser manifesto.
0 cupidigia, che i mortali affondo
si sotto te che nessuno ha potere
di trarre gli occhi fuor delle tue onde!
Ben fiorisce negli uomini il volere;
ma la pioggia continua converte
in hozsacohioni le susine vere.
Fede ed innocenza son r^>erte
solo nei parvoletti ; poi ciascuna
pria fugge che le guance sien coperte.
ma i moti degli altri lono mitorati dal sao,
come il dieci è misoiato dal dnqae e dal due,
cioò a tutti gii altri cieli ogni impulso pro-
cede dal Primo Mobile. — 117. af eoMe ecc.
perché il dnqae (mezzo del dieci) e il due
(quinto del diod) moltiplicati insieme formano
died. Venturi 836, a proposito di questa si-
militudine • delle altre due del Bxr. ▼ 68,
XT 66 osserFa : e A chi paresse troppo umile
la forma poetica di queste tre ultime simili-
tudini, è da rispondere che come i deli hanno
per Dante una significazione filosofica, cosi
anche i numeri ; e perd^ rammentando i nomi
di questi egli non teme di i^parir prosaico,
perché l' ingegno suo Tede nella parola ir-
raggiata dal concetto la nobiltà dell' imagine
e la schiettezza del yero ». — 118. eome 11
tCBpo ecc. ormai a te può essere manifo-
sto come il tempo sbbia la sua prima orìgine
in questo delo cristallino, e negli altri deli
fieno solamente i moti apparente Lomb. :
« Fondando noi l' idea del tempo nel diurno
moto, che rediamo, do' pianeti, e di ootal
moto essendone csgione il diurno inyisibile
moto del primo Mobile, Tiene perdo il tempo
ad avere in esso primo Mobile, quasi pianta
in teatOt in Taso, le radid sue nascoste, la
nascosta sua origine ; e ne' pianeti k fnmàò^
il misuratore a noi risibile moto ». — testo:
raso, e per metafora il delo che comprende
gU altri. — 121. 0 enpldigU ecc. Dopo arer
csgionato della natura del nono delo, che ò
l'estremo confine della natura creata, il li-
mite dello spazio, il prindpio del moto e del
tempo. Beatrice è tratta naturalmente a pen-
sare alla cagione per cui gli uomini non sanno
innalzare il loro spirito dtre questo cielo sino
a Dio, e la trova nella cupidigia, terribile
passione che spegne il sentimento della giu-
stizia e del bene {JPwr, zv 8, Afo». i 13, u
6), acceca gli animi (fbr. xxz 189), sugge-
risce loro insensate risoluzioni {Pwr, t 79),
e cosi impedisce agli aomini l'acquisto del
^ielo. ~ che 1 mortali eoe. ohe sommergi
nelle tue onde gli uomini, si ohe nessuno di
ossi pud liberarsi da te : la cupidigia awinoe
oosf gli animi ohe non possono levarsi alla ooih
templazione di Dio, essendo volti al consegui-
mento dei beni terroni (ofr. B»» xi 1 e segg.).
— 124. Bea florlsee eoo. Negli animi umani
soige qualche volta il fiore della buona vo-
lontà, ma invece di riuscire a ùntto di buone
opere produce eflbtti malvagi per i oontinui
incentivi al male. Abbiamo qui una similitu-
dine implicita ohe acquista efficacia dell'ap-
propriare al oonoetto l'espressione metafori-
ca fi che il senso proprio e il figurato si con-
fondono in una sentenza : oome l' albero del
susino produce nella primavera il fiore ohe
darebbe a suo tempo un frutto perfetto, se
non fosse trasformato dalla pioggia fkequonte
in bozzacchione; cosi raniina umana ha la
volontà di operare il bene, e questa volontà
si eetrinseoherebbe in atti buoni, se i con-«
tinui allettamenti ai male non facessero de-
viare l' uomo a opere di peccato. — 126. In
bossacehloal ecc. Diced hwasaoMmib la tv^
Sina che si guasta nell'allegare, doè nel mo-
mento in cui il fiore si tramuta in frutto,
quando il guasto avviene per azione malefica
della pioggia eooesdva ; onde in Toscana di-
cono i contadini che Quando piom la domò-
niea di Pastvme, ogni mtsina va in boxxoù-
oàÙMM, oppure Se piove U giorno dM*A9em'
sione, le susine vanno in bolgione (cfr. B%Ul.
IX 161). Lana : < Li susini o prugni addu-
cono nella primavera molti fiori, li quali pro-
durrebbero buono frutto, dod buone susine o
prugne, se non fossero turbati da piova con-
tinua, la quale piova converte le dette susine
in bozzacohioni o caccole, e sono queste cao-
oole piene di vermicelli, li quali poscia non
che le foglie, ma tutto il midollo del brocco
danniflcano e rodono ». — 127. Fe4e eoo. X
806
DIVINA COMMEDU
Tale, balbusiendo ancor, digiuna,
che poi divora, con la lingua sciolta,
132 qualunque cibo per qualunque luna;
e tal, balbuzlendo, «ma ed ascolta
la madre sua, che, con loquela interay
135 disila poi di vederla sepolta*
Cosi si la la pelle bianca, nera,
nel primo aspetto, della bella figlia
188 di quei eh' apporta mane e lascia sera.
Tu, perché non ti fitcci maraviglia,
pensa che in terra non è chi governi;
141 onde si svia l'umana famiglia.
pml fentimentl n troTtao lolniMiito nell'età
paorlle; o prima olie l'uomo tla glonto All'età
matura la fede e l' iimooensa se ne ranno,
lo abbandonano. — 180. Tale eoo. Tale in-
oomincia ancor findollo a diginnare ohe fktto
adulto divora qoalonqne oibo in qoalanqai^
tempo, tnagrediioe doè i precetti della Chien
•opra l'oMerransa del digiuno in determinati
tempi dell' anno. — baibnxlendo ; essendo
ancora nell' otà in coi imperfetto è V uso dolla
parola, nella pnerisia. — 181. eea la llagaa
eoo. qnando ò nell'età in coi Tuomo ha li-
bera e piena la facoltà del parlare. — 182.
per qnaluqne lana: Bnti : e qnando è qua-
resima e qnando non è, d'ogni tempo se-
goendo l'appetito de la gola *, ma dice hma,
imperò ohe la luna è segno nnde si coglie la
qnarseinia, aodd che il renenU santo sia lo
plenilunio ». — 188. e tal eoe. e tale in
quella prima età ama ed obbedisoe la madre
sua, il quale poi fatto pi6 grande non Tede
l'ora oh' ella si muoia, per poter dissipare la
dote di lei 0 per non sentirne pid le ripren-
sioni. ~ 184. eea leqaela Intera: è lo stesso
che 00» ia tingm miotta del ▼. 181. — 186.
Cosi si tk ecc. È questa una terzina di dif-
ficile interpretadone. Secondo la gran ma^
gioranza dei commentatori, la bella figlia di
qtiei eh*apporta man* • loBoia Mera sarebbe la
natura umana figliuola del sole, padr$ d'ogni
mortai vita (Par. xxii 116); accettando que>
sto punto, gli stessi oommentatori si dividono
in due gruppi ; i pid intendono : La natura
umana para nei suo nascere (p$lU trianea) di-
Tonta turpe (nera) per il peccato; sltrì in-
reoe riconoscono In questi Tersi una compa-
razione spiegando: L'uomo è fgicile a tra-
smutare in male le rlrtuoee inclinazioni, a
quel modo ohe la sembianza della natura
umana, ohe nel primo suo aspetto è bianca,
diviene poi scura i rale a dire, come la polle
bianca del Cuìciullo annerisce noli' età vi-
rile, cosi le buone tendenze naturali si vol-
gono ad Atti malvagi. Diveise affatto da que-
ste sono altre due in te rp rotazioni di antichi
oommentatori, rinnovate da interpreti mo-
derni. L' una è del Butl e hi ragtoiala lar-
gamente dall'Ant, il quale spiega : OosC la
superficie (pelU) della luna, ohe oi si mostra
bianca generalmente, ed in partipolar modo
allorché nel suo periodico giro è più remota
dal sole per la opposizione con esso, si &
nera nel primo aspetto cioè nel novilunio o
nella sua congiunzione, quando appunto per
la sua maggiore vicinanza alla sorgente dolla
luce, ne attinge in maggior copia, e quindi
pid largamente sarebbe in grado di fante di-
spensa. L'altra è del Lana, e fu accolta e
difesa dallo Soart, il quale scrive : e PkU» ha
qui il significato di sembianza, apparenza, e
simili ; il primo aspetto è il divino, 1* ocehio
di Dio; la bella figlia è la Chiesa, cAr. P^aim.
zLiv U, Oifi^. TU l'eoe passi che s'inten-
devano della Chiesa; qìui ek'apporla wtan» e
laooia oera è il sole spirituale ed intellettuale.
Dio, cui Danto chiama ripetute volte SD(f».
Secondo questa interpretazione, che è la pid
logica, la terzina significherebbe : In tal modo
la bianca apparenza della Chiesa si Ik nem
nell'aspetto di Dio, doè la Chiesa che fVi pura
e santa nelle sue origini è ora divenuta turpe
e malvagia innanzi agli occhi divini (cfr. i
w. 28-24). Per tuU'altra via si misero altri
interpreti moderni : il Tornea, prendendo ta
bella figlia per l' Aurora, spiega: e ooe£ la
pelle bianca degli uomini diventa nera là
dove primamente apparisce l'Aurora »; il Fi-
lomnsl Quelfi (cfr. BulL I 28) ritiene che fa
bella figlia sia Ciroe {ootìo fitìa in Virgilio,
A», vu 11 e Ovidio, Md, nv 846) e che
queeta sia da riconoscere nella femmina haJka
del Pwrg, ut 7 e segg., e spiega: « fino a
tal punto la sembianza, l'apparenza di Ciroe,
turpe, deibrme al primo apparire, si Ik pia-
cevtde, dilettoea », eco. ~ L39. Ta eco. Affin-
ché poi tu non ri meravigli di questa general
oonruzione dell' umanità, pensa che snll* terra
non è ohi governi ; dappoiché la sede pontifi-
cia, per essere indegnamente oooupata, si p«d
considerare vacante, e la sede Imperiale è va-
cante perché r imperatore non pensa né a Be-
rna né aU* Italia : cfr. Purg. vi 76. — 141« •■•
PARADISO - CANTO XTVTL
807
144
148
Ma prima che gennaio tutto si sverni,
per la oentesma eh' è là giù. negletta,
ruggiran si questi cerchi superni
che la fortuna, che tanto s'aspetta,
le poppe volgerà u' son le prore,
■i che la classe correrà diretta;
e vero fratto verrà dopo il fiore >.
et eoe per U quale mancanza delle dae po-
deetà, capaci di frenare la capidigia del mor-
tali (ofr.lVy. xn 106, CbfMT. ir 12), T uma-
nità è flionriata tanto dal retto sentiero. —
142. Utk prtoui eoo. Ha non avranno a passare
migHiiia di anni che qnesti oiell mggiranno
per segno della Tenuta del tanto Lnyocato rifor-
matore dell'amanita. — prima ehe genBale
eco. Dante mol dire cho fra poco tempo Terrà
eoe., e si serre di on' espressione figurata :
prima che il mese di gennaio cessi di far parte
dell' inToroo, per raccumularsi di queir an-
nua frazione di tempo che in terra è trascu-
rata, prima Insomnm che passino le migliala
di anni dopo le quali l'equinozio di prima-
rera cadrà nel gennaio e questo sarà dire-
nuto un mese primayerile ecc. H fatto astro-
nomico, cui Dante si riporta, è cosi dichia-
rato dall' Ant : e La riforma del calendario,
fiitu da Giulio Cesare, arerà per base che
la durata dell'anno tropico fosse di S66 giorni
e 6 ore : quindi costituì l' anno comune di
quella parte completa di giorni, e ogni quat-
tro anni roUe raccolta la parte frazionaria
per formare un giorno intero; che, aggiunto
ai d66, compose l'anno bisestile di giorni 866.
Al tempi però dei poeta, e anche prima, si
erano accorti gli astronomi che la rivoluzione
tropica del sole era stata sopposta maggiore
del giusto da quell'insigne liformatore per
circa 12 minuti, ohe fanno quasi la centesima
parte di un giorno; il perohó ogni secolo re-
nirm ad anticiparsi di quasi un giorno l'equi-
nozio reale rispetto al civile o legale. DI qui
risaltava ohe mentre si attendeva l'equinozio
di primavera al 21 di marzo, Il passaggio del
Sole per l' Equatore aveva già anticipato, sic-
ehó nel 1800 il dissesto era di circa otto
glomL Era evidente pertanto òhe, oontlnaan*
do in quel rapposto senta introdurre la op-
portana oorresione, siccome poi fd fatto noi
1682 sotto il pontefice Gregorio XITT, col-
l'andare del tempo l'equinozio effettivo sa-
rebbe passato dal mano al febbraio, e da que-
sto a gennaio; U quale, por conseguenza, in-
vece di essere un mese invernale, sarebbe
passato a essere uno di primavera, e poi an-
che di estate ». Ora si pud con molta utilità
consultare su questa materia e per questi
versi il libro di D. Marzi, La queitiom détta
riforma del Calendario, Firenze 1896 : l' opi-
nione che nel calendario fosse ógni cento
anni l' orrore di un giorno fu sostenuta da
Giovanni Campano, fiorito al tempi di Ur-
bano rV (1261-64). - 143. eh*k là gld ecc.
della quale gli uomini non tengono conto nel
computare 11 tempo : cfr. F. Angellttl, Bull.
Vili 213. — 144. raggirai ecc. questi dell
ruggiranno si che l'avvento fortunato di un
riformatore volgerà l'umanità verso altro fine,
camblerà direzione al corso dell'umanità.
L' Imaglne del ruggito a significare le grandi
commozioni del regno coleste è del tutto bi-
blica, cfr. leremla zxv SO, Osea xi 10, loel,
ni 17 ecc., e come frase del linguaggio pro-
fetico è bene appropriata a questo luogo, ove
Dante insiste sulla venuta non remota del
veltro liberatore. — 146. cke taito ecc. cfr.
Purg, xz 16. — 146. le poppe ecc. farà cam-
biare direzione alle navi, dd sono gli no-
mini. Altri testi portano in tu le prore, le-
zione accolta dal Wltte. — 147. if eke eoo.
di modo che l'umanità procederà per la via
del bene, e ai buoni pensieri seguiteranno le
buone opere. — elaise: flotta {elastie).
CANTO xxvin
Dante contempla nel cielo nn ponto laminosOi figura della divinità, In-
torno al quale si aggirano nove cori angelici ; e Beatrice gli dimostra la
concordanxa del sistema celeste con Perdine di questi cori, gli espone par-
titaroente la qualità e 1* officio di ciascuno, e gli dice in qnal modo la co-
gnizione dello stato degli angeli pervenisse già in terra per le dottrine di
Dionigi Areopagita [U aprile, ore pomeridiane].
808
DIVINA COMMEDIA
Poscia che contro alla vita presente
dei miseri mortali aperse il vero
8 quella ohe imparadisa la mia mente;
come in lo specchio fiamma di doppiero
vede colui che se n'alluma retro,
6 prima che l*ahbia in vista o in pensiero,
e so rivolge, per veder se il vetro
gli dice il vero, e vede ch'ei s'accorda
9 con esso, come nota con suo metro;
cosi la mia memoria^ si ricorda
ch'io feci, riguardando nei begli occhi,
12 onde a pigliarmi fece Amor la corda:
e com'io mi rivolsi, e furon tócchi
XXVm 1. PoseU eco. Dopo ohe Bea-
trice, parlando contro alla oorrozione presente
dell' umanità (otr. Ftar, xxvn 121 e wgg.),
mi ebbe chiarito nella mente il Tero. — 2.
miseri mortali t gli nomini, cosi detti an-
che da Virgilio, Georg, m 66, fn. a 182. —
3. quella eoo. colei ohe innalsa l'anima mìa
alla contemplazione del paradiso; questo mi
sembra essere il valore del vb. imparadisare^
foggiato da Dante, e non dare le gioie del
paradiso, come spiegano i pi6. — 4. eeme
la lo specchio ecc. Dante rigoardando ne-
gli occhi di Beatrice vi scorge specchiato un
ponto laminosissimo, onde rivolgendosi al
cielo vede direttamente ciò che prima area
visto negli occhi della sna donna : a signifi-
care queste diverse azioni opportonissima si
presentò a Dante la slmilitadine di chi tro-
vandosi innanzi allo specchio vi scorge la
fiamma di nn doppiero non prima avvertita
nò imaginata, e voltandosi per vedere se lo
specchio rende il vero trova che s* accorda
con esso alla porfezione. — doppiere : tor-
cia di cera assai usata nel medioevo, massi-
me sui candelabri, per illaminare le sale, in
tempo di danzò o altra festa (lat. duplerius).
— 6. ohe se u* ali ama ecc. che resta illu-
minato di dietro, che l'ha dietro a s6 acceso.
— 8. e vede ecc. e vede che il vero s' ac-
corda oon eeao vetro, con l' imaglne presen-
tata dallo sj^eochio, come il canto s' accorda
con la misura del tempo ; ò tra la realtà e
r imagine quella perfetta rispondenza ohe ò
tra la musica e le parole di chi canta. Que-
sta similitudine aggionta per compiere con
pi& precisione il discprso, come Dante saol
fare, è nella sua brevità efflcaoLseima, per-
ché imprime nella mente del lettore l' idea
di una corrispondenza o conformità piena e
compiuta, senza la minima differenza; quasi
a significare ohe negli occhi di Beatrioe il
lame divino si rifletteva in tutta la soa pu-
rezza ed intensità. — 9. iota: ò il canto, le
parole cantate (cfr. Inf, xvi 127, Purg. xxxu
88), metro V armonia di cui il canto è rive-
stito, la musica secondo cui d cantato. — IG.
eoif ecc. cosi mi ricordo di aver fatto io ri-
guardando negli occhi di Beatrice, cioò scor-
gendovi on lume vivissimo mi voltai dalla
parte del dolo end' esso rìsplendeva per ve-
der se r imagine rispondeva al vero. — 12.
cade eco. dei quali Amore si servi per av-
vìncermi ecc. — 13. e eoni*l« eoo. come io
mi fui rivolto al delo e i miei occhi furono
colpiti da ciò ohe vi si scorge ogni volta che
vi si fissi bene lo sguardo, vidi eoe. In que-
sta terzina Dante non vuol dir altro se non
ohe dal contemplare gli occhi di Beatrice ai
passò a riguardare al cielo e distingue l'a-
zione in due momenti, quello del rìvolgeisi
al cielo {mi rivolsi) che è atto non pur de-
gli occhi, sf anche della persona, e quello
del vedere nel cielo {funm tóoohi eco.), con
perfetta rispondenza al modo tenuto nella
prima parte della similitudine (si npoise.» i
vede): se non che qui ò alquanto oecua l'e-
spressione etd che pan eoe ciò che appars
nel cielo ivohimSf cfr. Bv, xxm 112) ogni
qualvolta s'affissi bene lo sguardo nel giro
di esso cielo. Che cosa vi appare? La mani-
festazione della gloria divina, dicono i cosi-
montatori moderni dal Lomb. allo ScarU, ri-
cordando il Salm. XIX 1: « I deli raccontano
la gloria di Dio » ecc. Gli antichi commen-
tatori sembra che intendessero diversamente;
il Lana, rlferendod certo al r. 22 e segg.,
spiega : e la spedo visibile delle droolaziom
delli angeli d rifece nelle papille d tosto
come drizzò gli occhi ad essa», doè Dante
volgendod d delo vide anzitutto i cori an-
gelid: il Buti, molto me^, chiosa t «da
dò ohe d vede in quella ddtà, ohe è im-
mensa, quando nel tvo giaro^ doà del detto
lume, ben d riguardi, doè quando li mid
occhi abbono veduto dò die d può veder»
de la ddtà, ohe d lume infinito e bene senza
misura, non vìddi se non uno punto, perché
non fui capace di più, nò nessuno intelletto
PARADISO - CANTO XXVIU
809
li miei da ciò che pare in quel Tolume,
15 quandunque nel suo giro ben s'adocchi,
un punto vidi che raggiava lume
acuto si che il viso, ch'egli affoca,
18 chiuder conviensi, per lo forte acume;
e quale stella par quinci più poca,
parrebbe luna locata con esso,
21 come stella con stella si colloca.
Forse cotanto, quanto pare appresso
alo cinger la luce ohe il dipigne,
24 quando il vapor, che il porta, più è spesso,
distante in tomo al punto un cerchio d'igne
si girava si ratto ch'avria vinto
27 quel moto che più tosto il mondo cigne;
e questo era d'un altro circuncinto.
pad essere capace le non dì pochissima parte».
— 15. qvanduqaé: qualunque volta, ogni
Tolta che : ofir. Purg, a 121. — le. u pmto
eco. Questo ponto laminoso, che si mostra a
Dante, è Dio, che V uomo comincia a con-
templare in Agora di on ponto qoasi per di-
sporsi a ona pid profonda e spiritoale con-
templazione deUa divinità (ofr. Bv. xxzni 76
e segg.). Per qoal ragione il poeta abbia
Imaginato che In qoesta prima apparizione
Dio gli si manifesti come on ponto lominoso,
non è determinato oon sicoieiza dagli inter-
preti: tra gli antichi prevale la sposizione
del Lana, che il ponto signiflchi essere dif-
ficile e profonda la cognizione di Dio ; fta i
moderni, qoella del Biag., che 11 ponto e-
sprima l'idea deU> individoaUtà divina. —
eke nnflMjm eoo. il qoale ponto mandava
raggi lominosi cosi intensi che gli occhi da
esso colpiti debbono necessariamente chlo-
dersi per tanta intensità. — 17. vlset cA*.
Inf. rv 11. — affoeat 11 vb. affòoany aUon-
tanandosl qol dalle sae pid abitoali signifi-
cazioni (ofr. Inf, VOI 74, xzv 24, Pmg, vm
26), prende il senso di peroootore, iUominare
di looe fiammeggiante. — 18. aeames come
meuto vale intenso, oasi ooinns, parlandosi
della loce e anche di on sentimento (cfr.
Par. I 84, zzzu 75, zxxm 76), significa in-
tensità. — 19. e «sale ecc. Ventori 525 :
« Ad esprimer V infinita semplicità, onità e
indivisibilità del ponto di looe eh' ò Dio, il
poeta con immagine totta soa dipinge cosi
minoto qoel ponto, che la stella, la qoale
pid d' ogni altra apparisce piccola, parrebbe
grande qoal Iona, se si collocasse vidna a
qoello, come in delo ò vicina stella a stella ».
— f aiBel : di qui, di sovra la terra. — poca:
piccola, di poca estensione; ofi:. Inf. zx 115.
— 20. locata eoo. se fosse posta accanto ad
asso ponto, come ogni stella ò vicina a on' al-
tra. — 22. Forse cotanto eoo. Intorno al
ponto lominoso si aggirava rapidissimamente
on cerchio fiammeggiante, che appariva poco
lontano da quel ponto, press* a poco come
r alone cinge da vicino il sole o la Iona al-
lorché l'aria In coi si forma è pid pregna di
vapori : questo cerchio era circondato da on
altro, e qoeeto da on terzo, e cosi via sino
ai nomerò di nove, ohe tanti sono i cori an-
gelici aggirantiai intomo alla divinità. La
dmilitodine dell'alone (cfìr. Purg. xxix 76 e
specialmente Par. z 67 -6d, ove il fenomeno
è descritto), non noova in Dante, è qoi at-
teggiata on po' singolarmente, per la neces-
sità in coi era il poeta non solo di desoil-
vore i oeroht giranti intorno a Dio, ma di
determinare la distanza intermedia; e dalla
singolarità nascendo qoalche dobbiezza, fu-
rono messe le mani sol testo di qoesta ter-
zina, che nei codici appare alterata nelle pid
strane maniere. Segoendo la lezione pid oo-
mone, si spiegherà la lettera cosi: Intorno
al ponto si girava on cerchio di fbooo di-
stante forse cotanto da esso ponto, qoanto
l'alone appare circondare da vicino ta htet
eh» il dipìffn»t o U sole o la Iona ond'el trae
la soa loce, qoando i vapori nei qoali si
forma sono pid densL È voto ad ogni modo
ciò che nota il Ventori 89, che e in questa
similitodine l'amore della concisione e l'ag-
groppamento delle ideo non giovano alla chia-
rezza ». — 28. alo : alone (lat kakm). — 25.
■■ cerchio ecc. on cerchio ignito, fiammeg-
giante, si aggirava coti rapidamente che a-
vrebbe superato il moto del cielo cristallino,
che tà volge intomo al mondo con velocità
maggiore di tatti gU altri deli. — 27. ohe
pl4 tosto ecc. cfr. Par. zzvu 99. — 28. e
onesto ecc. e questo primo cerohio ora cir-
condato 0 compreso da on secondo, o il so-
oondo da on terzo eco. Q primo cerchio >
810
DIVINA COMMEDIA
e quel dal terzo, e il terzo poi dal quarto,
80 dal quinto il quarto, e poi dal sesto il quinto:
sopra seguiva il settimo si sparto
già di larghezza che il messo di Giuno
83 intero a contenerlo sarebbe arto:
cosi l'ottavo e il nono; e ciascheduno
più tardo si movea, secondo ch'era
86 in numero distante più dall' uno,
E quello avea la fiamma più sincera,
cui men distava la favilla pura;
39 credo, però che più di lei s'invera.
La donna mia, che mi vedeva in cura
forte sospeso, disse: «Da quel punto
42 depende il cielo e tutta la natura.
Mira quel cerchio che più gli ò congiunto,
e sappi che il suo movere ò si tosto
45 per l'affocato amore ond'egli ò punto >.
Ed io a lei : < Se il mondo fosse posto
con l'ordine, ch'io veggio in quelle rote,
48 sazio m'avrebbe ciò che m'ò proposto;
ma nel mondo sensibile si puote
quello dei Serafini, il seoondo del Cherabini,
il tono dei Troni, U qanrto delle Dominar
doni, il quinto deUa Virtd, U sesto delle Po-
deet^ — 81. lopra eoo. fiiori, intomo al se-
•to, si aggirava il settiiiio cerchio, qoello dei
Principati, ormai ooei ampio cho l'arcoba-
leno oomplnto in on circolo intero sarebbe
stretto a contenerlo. » 32. U netM eoo. il
ffiMso di Giunone ò Iride o l'arcobaleno (otr.
Pur, ni 12. — 88. Utere eco. non già come
ci appare sulla terra dasciiTendo pur un arco,
ma se anche si srolgeese in un circolo com-
piuto ecc. — arto : agg. ohe in Dante ri-
corre pi& Tolte (Inf, XIX 42, Purg. zxru 183)
nel senso del lat. tanUu^ stretto, ma sempre
in rima. — 84. cosi I* ettaro eco. • cosi
sempre più si estenderano in ampiena il
cerchio ottavo, quello degli Arcangeli, e II
nono, quello degli Angeli. — • elasefaedoBo
ecc. e ciascheduno dei nove oeroht si aggi^
rara con Telocità decrescente, seoondo cho
era pi6 lontano dal punto luminoso, o, per
stare aUa lettera del testo, seoondo che por-
tava un numero d'ordine pÌ6 alto ddl'uno.
~ 87. B qaelle eoe E pld fiammeggiava quel
cerchio che più era vicino al punto oentiìde,
cioò la luce andava decrescendo via via che
l cerchi si trovavano piA lontani da Dio. —
89. eredo ecc. credo, perchó il oerchio pi6
prossimo a Dio pi6 s' itwmu di M, piA da
vicino conosce e vede la verità dell'essensa
divina. — 40. La donna ecc. Beatrice, ohe
mi vedeva desideroso di conoscere che ocea
fossero 11 punto luminoso e 1 nove oerdd
aggirantisi intorno ad esso, disse eoo. PIA
che nel dubbio, come spiegano alcuni. Dante
era in euro, in desiderio di sapere, o però
assai sospeeo perché l' intensità del desideiio
lo teneva agitato. ~ 41. Da «piel pente eoo.
Da quel punto dipende il cielo e la natura,
cioè la costituzione dei cieli e tutta la loro
azione sulle cose della terra. Dante traduce
quasi alla lettera le parole di Aristotele, MU-
taf,t su 7: e da tale principio dipende 11
cielo e la natura», applicandole al punto
luminoeo apparsogli nel cielo cristallino, e
cosi determinando esso punto come una mar
nifestazione di Dio. — 48. HIra eco. Oeeerra
il primo cerchio, quello che s'aggira plA da
vidno ai punto luminoeo, e sappi ehe eaeo
si muove tanto rapidamente per 1* intontis-
Simo amoro end' ha l'impulso. » 46. Sé !•
a lei ecc. Alle parole di Beatrice Dante è
preso da un dubbio : nel mondo sensibile In
un sistema di sfere concentriche ohe al mao-
vano insieme, tanto pi6 rapido è U moto
d' ogni sfera quanto più dasouna è gsanda,
di modo che la piA estema è la plA velooe
di tutte; invece nel mondo divino appaia 11
contrario, mentre dovrebbe ssseiol conformità
di ordinamento, se il mondo sensiUle è Imji-
glne del divino. — 8e il mende eco. 8e ìm
sfere del mondo fossero ordinate come io
vedo In quei nove cerchi girantisi Intorno
al punto luminoso, ciò ohe tu m' hai detto
mi avrebbe pienamente sodisfatto. ~ 49. mtm
PARADISO - CANTO XXVm
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veder le volte tanto più divine,
quant' elle son dal centro più remote :
onde, se il mio disio dèe aver fine
in questo miro ed angelico tempio,
che solo amore e luce ha per confine,
udir convienimi ancor perché l'esemplo
e l'esemplare non vanno d*un modo;
ohe io per me indamo ciò contemplo >.
« Se li tuoi diti non sono a tal nodo
sufficienti, non ò maraviglia,
tanto, per non tentare, ò &tto sodo ».
Cosi la donna mia; poi disse: «Piglia
quel eh* io ti dicerò, se vuoi saziarti,
ed intomo da esso t'assottiglia.
Li cerchi corporai sono ampi ed arti,
secondo il più e il men della virtute,
che si distende per tutte lor parti.
Maggior bontà vuol fìur maggior salute;
maggior salute maggior corpo cape,
s'egli ha le pai*ti egualmente compiute.
■ci eoo. nut noi mondo sensibile si possono
redeio le sfere celesti tanto pid yelooi quanto
pi6 sono lontane dalla teira, che è il loro
centro. — 60. Tolte : deli, oAr. Pwrg. xxmi
lOA. — divine t mosse dall' impnlso dirino,
e perciò relooi; altri testi leggono fettine^
ohe certo sarebbe leiione pid plana a inten-
dere (ofr. jRir. m 61). — 62. Onde, se il
Mie eoo. Se quindi in paradiso deve essere
oompintamente sodisfatto 0 mio desiderio di
eonoeeere la oondisione eoo. — 68. «fiesto
eoo. Qoesto tempio mirabile ed angelico è la
sede del beati, il paradiso. — 64. ehe sete
eoo. ott. jRir. zxm 112, xxz 89-41. — 66.
■dir eoo. è necessario ch'io sappia perqnal
ragione il mondo sensibile e il mondo so-
nasensibile non sieno ordinati nello stesso
modo. — esemplo: imaglne, copia; e qui è
detto del mondo sensibile in quanto esso è
imagine del mondo intelligibilo, il quale alla
sua Tolta è r isswpter», il prototipo di quel-
lo: si ofr. Boeiio, PML com, in 8: «Tu
ooneta superno Duois ab esemplo: pulorum
puloherrlmus ipso Mundum mente gerens si-
millque in imagine formane Perfectasque
iabens perfSsotum àbsolTore partes ». — 67.
eM le eoo. perché io senza il tuo aluto
non riesco a intendere tale ragione. — 68.
Se 11 taci eoo. Se la tua mente non è ca-
pace di risolTore tale ardua questione, non
è meraTiglia, perché essa è difflcillssima per
non essere stata trattata da alcuno. Bella ò
r imagine delle dita e del nodo; poiché come
la mano dell'uomo troTa maggiori difficoltà
a disgroppaie un nodo se nessuno abbia ten-
tato di allentarlo, cocf la mente si perde da-
Tanti alle questioni non ancora trattate per-
ché le manca il soocoieo delle opinioni e dei
giudizi altruL — 60. per ^ea testare: per-
ché non è stata trattata eoe; meno bene, al-
cuni interpreti, spiegano: perché non hai
tentato prima d'ora ecc., quasi ohe Beatrice
flsoesse qui a Dante rimprovero di non aTer
studiato abbastanza; rimproTero inamissi-
bile (ofir. Pitrg, zza 87 e segg.. Far. ii 1 e
segg.). — 61. Pigila eoo. Se Tud essere so-
disfatto, ascolta quello ohe io ti dirò e poi
assottiglia r ingegno nel meditare le mie pa-
role. — 68. Istemo da esse : si avTerta la
singolare costruzione, non insolita nella lin-
gua antica (cf^. Pwrg, ti 86). — 64. U eer-
eht eoe Le sfere materiali sono ampie o
strette, secondo che sono destinate a rioe-
Tore una maggiore o minore Tirtd por in-
fluirla nelle cose sottostanti (cfir. Fair, ii 121-
128). — 67. Maggior eco. <;tiianto maggiore
è la Tirtd iPonià) , tanto maggiore doTO es-
sere il bene, l'effetto salutare {(taiuté) che ne
derira; e un corpo è capace di accogliere
tanto pid di bene quanto esso è pid grande,
se ogni sua parte ò nella stessa oondisione
di perfezione; o, come spiega il Lomb. :
«Bontà pid grande Tuole una pid grande
estensione de' salutari, de' benefioi suoi in-
flussi ; ed un corpo di natura sua pid grande,
se in nissuna delle sue parti sia mancante, è,
per la sua maggior estensione, capace di ri-
coTere in sé una maggior copia di ootali in-
812
DIVINA COMMEDIA
Dunque costui, che tutto quanto rape
l'altro universo seco, corrisponde
72 al cerchio che più ama e che più sape:
per che, se tu alla virtù circonda
la tua tnisura, non alla parvensa
75 delle sustanzie che t'appaion tonde,
tu vederai mirahil conseguenza,
di- maggio a più e di minore a .meno,
78 in ciascun cielo, a sua intelligenza >.
Come rimane splendido e sereno
Pemisperio dell'aer, quando soffia
81 Borea da quella guancia ond'è più leno,
per che si purga e risolve la roffia
fiossi >. » 70. DHBqB« eoe. Donqae, se nelle
sfere materisU sono tatf uno 1* Tiit& e la
grandezza, qnesto delo in eoi siamo, il Primo
Mobile, ohe trasoina seoo nel suo movimento
tatto il resto dell' oniyexBO, ooxrisponde al
primo cerchio, quello dei Serafini (cft. r. 26),
i quali «Teggìono più della prima cagione
che alcun' altra angelica natura» (Gmr. n
6). — 71. eorrispoaie eoo. Lomb.: « Ha tanto
maggior perfezione sopra gli altri deli, di
lui piti piccioli, quanto sopra degli altri cer-
oht pi6 ampli ne ha qui il più picciolo, com-
posto di Serafini, angeli i più innamorati di
Dio e da Dio iUnioinati ». — 78. se ti eoo.
te tu applichi il tuo criterio di misura non
all'apparenza delle sostanze angeliche ohe
▼edi dirotto in oerdit, ma alla virtù onde
i componenti di dascun cerchio sono dotati,
vedrai una mirabile proporzione tra ciascun
delo e l' intelUgenza che a lui prosiede ; se
tu ragguagli questi cerchi non alla stregua
della grandezza, ma della virtù propria di
oiasouno, redrai ohe al maggior delo oorrì*
sponde l' intelligenza maggiore, doè il coro
angdioo più Yidno a Dio, e al minor delo
l' intelligenza minore doò il coro angelico
più remoto da Dio. Da dò consegue che i
Serafini sono intelligenze motrìd del delo
cristallino, i Cherubini del ddo stellato, i
Troni del delo di Saturno, le Dominazioni
del delo di (Hore, le Virtù del delo di Marte,
le Potestà del delo del Sole, i Prindpati .
del ddo di Venere (ofr. Ftir. vin 84), gli
Arcangeli del delo di Mercurio, e gli An-
geli del delo della Luna. — 70. eenteguea-
za: proporzione, conformità; ò la lezione
più probabile, contro la più comune emve-
fMiwa, con la quale del resto ha comune il
senso. — 77. di Maggio eoe dd maggior
delo alla maggiore intelligenza; quanto al-
l' agg. maggio ofr. /n/l vi 48. — 78. a ava
ecc. all' intelligenza che governa dasoan
ciclo. — 79. Cerne eco. Le parole di Bea-
trice hanno dissipato il dubbio dì Danto con
tanta Inddità ohe nella sua monto rischia-
rato la visione del vero risplende oonw stella
fiammeggiante ndla serenità dd ddo. n con-
cetto ò bellissimo e perspicuo, ma la simili-
tudine, intessute di rimembranze dsadche e
troppo diffusa in partiodari dd tutto aooes-
soil, non ò, almeno nella prima parte, delle
più felid, fors' anche perché oltre i suoni che
e non rispondono alla giocondità deU'lma-
gine », come note il Venturi 19, offendono
il lettore moderno le vod arcaiche e strane,
alle quali l'autore stretto dalla rima ha do-
vuto fare accoglienza in questi vezd; ma
nella chiusa della nmilitudine, e ndle pa-
role dd V. 87 con le quali essa è quad rias-
sunte e ripresa, come per suggellare con un
tratto potento l' impresdone destato da versi
precedenti, riappare l' arto divina dbl gzan-
disdmo poeta. — spleadiéo eoo. ett, Lucre-
zio i 9 : « Plaoatnmque nitet diflàeo lumino
code». — 80. Pemlsperle eoo. la mezza
sfera celeste che d ste sopra. — «aaade
ecc. allorché Borea spira da qndla parte
ond'è più temperato. L'espressione dantesca
d richiama alle rappresentazioni figurato dd
quattro prindpali vanti, che solevano dipin-
gere come feeoe umane in atto di soffiare
da tre parti, direttamente dalla bocca o con
la bocca storte verso la guanda destra o la
sinistra: Borea è U vento di tramontana, che
dalla destra gote spira meno zigidamento (ctr-
eio) ohe non facda dalla sinistra {aquikme). Del
soflSare di Borea, Virgilio, .SH. xn 865 : e Ae
velut Edoni Boréae cum spiritns alto Insouat
Aegaeo sequiturque ad litora finetus; Qua
venti incubuere, ^igam datd nàbita cotto >.
-~ 81. leso I lene ; arcaismo non insolito (eù*.
Nannucd, Nomi p. 119, 138, 142 e Parodi,
Bull, m 118). ~ 82. per ehe eoo. sotto l'a-
zione dd qual vento il ddo d rasserena, pur-
gandod e liberandod dalle nubi o dalla neb-
bia che prima io oscurava ; il vb. si pmrga
di Danto ricorda l'oraziano, Od, i 7, 13:
«Albus ut obseuro ddtrgd nubila oodo».
PARADISO - CANTO XXVIH
813
ehe pria turbava, ni che il del ne ride
84 con le beHesse d'ogni sua paroffia;
cosi fac'io, poi che mi provride
la donna mia del suo risponder chiarOi
87 e, come stella in cielo, il ver si vide.
E poi che le parole sne reetaro,
non altrimenti ferro disf^villa
90 ohe bolle, come i cerchi s&villaro:
lo incendio lor seguiva ogni scintilla;
ed eran tante ohe il numero loro
— refi* t tmébxort otgionato dalle nuU •
didlA nébbia; è Toet caduta dall'uso, ohe il
Boti daSnlioe : € oaoniità di Tapori, umidi,
«|iMati e eoadond iMiena >; il Parodi, BvU,
lU 164 la dioa Tira Mi aifnifloato di ripnlitoxm
6 spuitatQX» della palli ooiuriata. » 88. ifehe
eoe. di modo olle il delo soiride per la aece-
nità diftua in ogni inn plaga. Grande Taxletà
d' inteipretaaiooi abbiamo a qneato paaao, in
propoeito della ToeejMro/jia: molti degU an-
tichi non la spiegano, perdié era rooe nsoale
nel primo trecento e da tutti inteea in To-
scana e Inoghi ricini, nel senso di parroo-
Mm (ofr. Puodi, Bua. m 168); Inreoe U
Lana le attrlboi il senso di abbondanza, certo
enraneamente. Benr. e Boti interpretarono
jMTto, ohe sta benissimo per il senso, tanto
più die In stessa signlflcarione paò ayere nel
Inogo del Boooaoolo, TtttUé rn lU : « Ar-
citn entrt con tutta sna paroflia >t cioè con
tottn la sna parte, oon tutti i suoi compagni,
I^and., accogliendo In loro spiegadone, ag-
giunse: « disse jxnno/^ in luogo di jMroeoMs,
e parocohin è in una città quella parU degli
uomini ohe sono sotto una medesima chie-
sa >. Questo è il modo migliore d'intendete.
— 86. eesf f ee* le eco. cosi la mia mente
rimase disgombrata dall'oscurità del dubbio,
dopo ohe Beatrice mi ebbe fotta quella chiara
eapoaisione, e ridi interamente la Terìtà. —
87. eeme stella : ofr. jRir. zzir U7. Ven-
turi 19: € Altra similitudine di schiettezza
incomparabile. La mente rischiarata par»-
gonn al sereno del delo, e la vidone del rero
a stella fiammeggiante >. — 88. B pel ecc.
Dopo ohe Beatrice ebbe Anito di parlare, i
nore cori angelid incominciarono a sfhyil-
lare come massa di finro incandescente. —
88. Ben altrlmentt ecc. La dmiUtudine del
fbRO scintillante sotto l' adone dd fboco è
assai accenda a significare la ferrentisdma
gioia die le innumerabili schiere degli an-
geli Ihoerano d loro Dio. Questa compara-
done (suggerita forse dalle parole di Eze-
chiele I 4: « di mezzo di qud fbooo apparirà
oome U sembianza di fin rame scintillante >)
è da darrldnare a quella del Par, i 60, con
la quale ha comune il fondamento: là la
■■Ma dd imo è oonsidsffata nd eoo lari-
noeo oompleseo, qua neDe infinite sdntHle
che se ne stacoano dUftmdeodcd allintomo.
— 9L Io Ineeadie eoo. Delle adte spleg»-
doni date di questo recso nessuna è piena-
mente sodislhoente, forse perdi6 l'oeptee-
done danteeoa è dquante raga e indetermi-
nata. Oomnnemente d accetta quella dd
Lomb., U quale spiegò : € Oon senso pl4 a-
datto d alle presenti parole, ohe d seguente
pstagone dd pmgiessivo doppiat étpU ssoooM,
parrebbe ohe pd ttfftrirà egni edwtfffa T ia-
emtdio de* c$nM s* intendesse ^e, oome l'in-
cendio de' cerchi fti ohe s/briUoro, doè tra-
mandarono fàrille, solntille, ood ogni Mtn-
tiUa imitando essa pure h «nommUo, lo sfo-
rmare de' eeroht, proeegnlsse a sforiUare, a
diriderd in altre scintille; neOa guisa ^
punto ohe rediamo ford dagli aoosd tforil-
lanti tlid donna rdta, non senza plaoera
di un occhio curiceo >: die Dante possa aree
oeserrato un simUe fonomsnoi oemunlsslmo
dd recto, ce lo atteda U dmiUtudine dd
Par. xnn 100 e segg.; ma questa SMltlpU-
cadone di edntille, ciascuna delle quali non
s' intende se fosse un angelo o una parte di
aagdo, non sembra oonreniie a questo luo-
go, n Land, e il Veot. ridero forse plA ad-
dentro spiegando in questo senso : tutte le
scintille non d allontanarano dd rispottiro
cerchio di fooco (iaoMuKo ter), o in dtri tsr-
mini, gli angeli pur rolando qua e là per
segno di tripudio non abbandonarano fl oer-
chio dd loro ordine, non isoomponerano fl
cerchio luminoso, il qude mantenera la sua
forma e il suo morimento regolare. Lo Scart.
rorrebbe intendero per Vinotnàh il punto lu-
minoso, Dio, detto ood perché i cerchi angelid
risplenderano deDa sua luce, spiegando poi
tutto il rerso ood : ogni sdntiUa, doè ogni
angelo, d morera in giro sempre rirdto a
Dio ; è sposidone ingegnosa, ma troppo sot-
tile. ~ 92. ed eran eoo. il numero di que-
ste scintille, doè degli angeU, era infinito.
Oià nelle ridoni bibliche è accennato il gran
numero degli angeli ; olir. Daniele m 10 :
e Un fiume di Aioco traera ed usdra dalla
mille migliaia gli ministraraBe,
814
DIVINA COMMEDIA
93 più che il doppiar degli scaccili sMmniilla.
Io sentiva osannar di coro in coro
al punto fisso che li tiene all'u&t,
96 e terrà sempre, nel qual sempre fòro;
e quella, che vedeva i pensier dubt
nella mia mente, disse: ci cercM primi
99 t'hanno mostrati 1 Serafi e i CherubL
Cosi veloci seguono i suoi vimi,
• diedmUA deoiiM di migUalA staTano d*-
ymntl » lai » ; ma Dante, oome d lUerm dal
F», zziz iaO-186 e da un pano del Ovnv.
n 6 ore dioe òhe la Chiesa e erede e predica
quelle BoMUiMiine ereatue quaal innnmani-
bili >, doTera arw pxeaente le dottrine teo-
logidie fa qneeta materia; p. et., Tomm.
d'Aqo., 8umm,t P. I, qn. czu, art 4: < Mol-
titodo angelomm transcendit omnem mate-
rialem moltitadinem ; ut adlicet tioat cor-
pocm iaperiora trMoendant ocupora infetiora
magnitudine quasi in immeasnm, ita sape-
riores natone Inoorporeae trasoendant mal-
titadine omaes nataras oorporeas; quia qood
est rnelins, est magia a Deo Intentam et
moltiplioatam ». — Ae 11 BoMere ecc. che
il numero degli angeli ascende a molte mi-
gliaia pi6 che non sieno quelle ooi riesce
la progrossira duplicacione degli scacchi^ è
insomma infinito; poiché il numero ohe si
ottiene oon la moitipllcaxione per due di
tutta la serie degli scacchi ò grandissimo. È
manifesto ohe Dante si ricordò qui della leg-
genda, diffosa anche al di suoi, dell' inyen-
tore degli scacchi, il quale ohieee al re di
Pèrsia, in premio dalla sua InTenxione, tanti
chicchi di grano quanti erano dati dalla pro-
gressiva moltipllcaxione di due chicchi per
il numero del quadrati dello scacchiere: di
ohe rise quel re, ma listtosi il computo si
troTò oh*ei non ayera grano abbastanza per
sodisfare la richiesta fotta dall' iuTentore
del giuoco. — 93. s'imMllla: il vb. immU^
larsiy di conio dantesco oome altri parecchi
foggiati sui numerali, Tale ascendere a mi-
gliaia. — 94. Io sentlfa eco. Bispondendoei
da cerchio a cerchio gli angeli cantavano
08tuma (ofr. Bxr. tu 1), in lode di Dio ohe
11 mantiene e manterrà sempre nel luogo ove
sempre Airone. — 96. li tiene eco. Vuol
dire ohe gli angeli sono confermati nella gra-
da divina, la quale godono presentemente,
oome la godranno noli' avvenire e come in
essa furono ab etemo perché a dò predesti-
nati nella mente prima. — 97. «nella, cIm
eoe Beatrice, che leggeva nella mia mente
ogni dubbio ecc. L' incertezza da cui Danto
era agitato nasceva dalle discordanti opi-
nioni professate dai padri* della Chiesa in-
tomo aUa distribndone degli angelid corL
Intorno ai quale argomento ò da sapere an-
dtutto die nd libri del vecchio testamento
sono ricordati spesso i Oierabini {Ofwrubm)
e i Serafini (Smiphim); nelle Epistole di
san Pado I Prindpati, le PdMtà, le Virt6,
le Dominadoni (H^ iy« Efkt, i 21) e 1
Troni (^. ai OM. I 16) • fl^ Arcangeli (/
Epiai, ai Ttsaabm, iv 16); gU Angdi sono
mendonati in tutte e due le serie dd libri
biblicL Fondandod su questi nomi i padri
della Chiesa divisero le creatore angeliohe
in tre psroroMf, ciascuna di tre ordùri o eori;
ma non tutti tanno eonoordi noli' ordinare
le gorarohie e i oorL La pi6 comune e pìA
celebre partidone è quella di Dionigi Areo-
pagita (ctt. Par, x 116), doè : I gerarchia,
1. Serafini, 2. Cherubini, 8. Troni; II gecar-
ohia, 4. Dominadoni, 6. Vlrtd, 6. Podestà;
m gerarchia, 7. Prindpati, & Arcangeli, 9.
Angeli. Questa partidone, aocdta dal pi6
famod teologi (p. ss. P. Lombardo, StiUmL
II 9, Tomm. d'Aqu., SummL P. I, qu. ovui,
art 1-8 ecc.), fu seguita nel poema mMuk»
da Dante ; il qude invece nd Cono, u 6
aveva esposto un ordinamento delle gerar-
chle angelicho alquanto diverso, ponendo
nella I gerarchia, I. Serafini, 2. Cherubini,
8. Podestà; neUa n, 4. Prindpati, 6. Virt6,
6. Dominadoni; ndla HI, 7. Troni, 8. Ar-
cangeli, 9. Angeli : cfi-. la nota d t. 1S8 per
dd ohe riguarda la partidone adottata da
Oregorio I, diversa anch' essa da quella del
Oom, — 98. I eerthl eoe. Il primo e il s»-
oondo cerchio comprendono i Serafini e l
Cherabini : sul significato di questi nomi eir,
le note d Bit. a 87, 88. — 100. CmI ve-
leel ecc. Con tanta velodtà seguono l' im^
pulso dell'amore e della grazia, perché d so-
migliano aUa divinità per quanto possono
somigliarle le creature, e possono tanto quanto
più sono devati nella oognidone di Dio. Se-
condo le parole bibliche (Giovanni, I S^fiaU
in 2) < Quando egli sarà manifesto saremo
dmiU a lui, per dò ohe nd lo vedremo oom«
egli è >, dice Dante che la misura della so-
miglianza ddle creature a Dio è data dal
grado della oognidone di Dio stesso, di modo
ohe i Serafini e i Chombini, essendo i pia
vidni a Dio e perdo qudll che ne hanno
pi& piena visione, sono anche i più simili a
Dio, e dò ò cagione che essi d aggirano pia
vdooemente dogli dtii cori angelid intomo al
PARADISO - CANTO XXVIH
815
per simigliarsi al punto quanto ponno,
102 e posson quanto a veder son sublimi.
Quegli altri amor, che intomo a lor vonno,
si chiaman Troni del divin aspetto,
105 perché il primo temaro terminonno.
E dèi saper che tutti hanno diletto,
quanto la sua veduta si profonda
108 nel vero, in ohe si queta ogn' intelletto.
Quinci si può veder come si fonda
l'esser beato nell'atto che vede,
111 non in quel ch'ama, che poscia seconda;
e del vedere ò misura mercede,
che grasia partorisce e buona voglia;
114 cosi di grado in grado si procede.
L'altro temaro, che cosi germoglia
ponto laminofo, perché pi& degli altri sen-
tono e aegnltaao l'inipalto dell'affetto ohe a
Dio U lega. — vinU: Tiniini, legami, è U
Ut. rJfiMfi, dal quale gli antichi fecero vims
(otr. Rd". mz 86). I legami che arrincono
gli angeli alla dìTlnità sono V amore e la
grada, iotto il coi impulso si mnorono in-
tomo al pnnto centrale i nove cori angelicL
— 102. • pessen eoo. e possono esser tanto
più simili a Dio quanto più sono innalzati,
prossimi alla visione di Dio. — 108. <|«eg]i
nitri eoo. Le ereatme angeUohe del terzo
cerchio, elie Tien dopo quello dei Serafini e
doi Gherobini, sono chiamato Troni perché
oompiono la prima gerarchia, il primo ter-
nario dei oori ang^ci. Questa ragione del
nome Troni è data da Dionigi Areopagita,
D$ eoektéi ìU$r, oap. tu ; invece Oregorìo I,
Bomiliar. u 84 dioe che sono cosi chiamati
perché < in eis sedeat Deus, et per eos ludi-
da deoemeat », alla quale opinione pare che
Danto s' aooostasse, per la menzione dsl di-
vino aspetto e peroid ohe sorisse in Piar» a
61 e segg.; xiz 28 e segg. — aMor: nome
dato agli angeli in genere, come creature
prediletto di Dio, cfr. Purg, a 8, Far. xm
18, 46, xzni 94. — vonne t vanno ; forma
verbale non insolita, spedalmento nelle scrit-
ture umbre (cfr. Parodi, BulL HI 126). —
106. B éii saper eoo. S devi sapere che il
grado, l'intonsità della loro beatitodine è pro-
porzionato alla profondità della cognizione di
Dio che è propria di dasonn ordine angeUoo.
Ott: e Tanto sono eccellenti in beatitodine,
quanto sono intellettuali in visione di Dio,
per In quale il oonosoono ; • quanto il cono-
scono, tanto r amano ; e però dice che il
primo atto è nella visione, e lo secondo é
nello amo^ ». ~ 108. nel vero eoe in Dio,
ohe ò la verità in cui ogni intelletto trova
tua quieto (cfr. Patr, iv 126): d lo stesso
pensiero espresso nel Cbrw, n 16, ove Dio,
come oggetto dogli stadi teologloi, è detto
< il vero nel quale si cheto l'anima nostra ».
— 100. Qaincl eoo. Da ciò appare come la
beatitodine consisto nella visione di Dio, e
non già nell'amore di Dio, ohe è un effètto
della visione stessa (cftr. Far, xiv 41): Danto
segue qui la dottrina di Tomm. d' Aqu.,
^Mifim., P. I 2m, qu. Ili art. 1-8, P. IH, sup-
plem., qu. xon, art. 1-8 ; e riprova l'opinione
di Scoto ohe Ikoeva consistere la beatitodine
nell'amore di Dio. — Ili. seeendni seguito,
tien dietro, in quanto è effetto. — 112. •
del vedere eoo. e il grado della visione è di-
pendento dalla msrowi» ossia dalle opere me-
ritorie (cfr. Inf, IV 84), to quali sono un
ftntto della grùla divina e della buona vo-
lontà. Buti: «Debbesl Intondere questo or-
dine cosi; la grazia preveniento eccito lo
buono Tolere, la grada cooperanto aiuto que-
sto buono volere e compie questo buono vo-
lere e confermalo; e tanto quanto è l' atto
del Teiere in accettare questo grazia ohe 'l
muove, tanto è lo merito, si ohe nella orea-
tun è U grandezza del rolere, e per oonse-
qusnto del merito, e secondo lo merito è lo
intendete Iddio, e secondo lo Intendere è
l' amare, o seoondo V amare d fruere Iddio,
ohe è essere beato ». » 114. di grado occ.
dalla grazia al volere, dal volere al merito,
dal merito alla cognizione, dalla cognizione
all' amore. — 115. L* altre eoo. La seconda
gerarchla, la quale é allo stesso modo for-
mato in questo paradiso, è anch' essa costi-
tuito di tre ordini angelid. — geraioglia
eoo. La ragione della metafora è cosi dichia-
rato dal Lana: •gwmogUar» proprio d è in
U àlbori nella primavera, quando cominciano
a germogliare, dò è pullulare loro verdura,
o dascune brooche producano nuove lògliot-
to; ood a simile tatto lo coUegto dalli an-
816
DIVINA COMMEDU
117
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123
126
129
132
in qaeeta prìmayera Bempiteroa,
che notturno Ariete non dispoglia,
perpetualemente Osanna sverna
con tre melode, che tuonano in trée
ordini di letizia, onde s'interna.
In essa gerarchia son le tre dee:
prima Dominasioni, e poi Virtudi;
l'ordine terso di Podestadi èe.
Poscia nei due penultimi tripudi
Principati ed Arcangeli si girano ;
l'ultimo è tutto d'Angelici ludi
Questi ordini dì su tutti rimirano>
e di giù vincon si che yerso Dio
tutti tirati sono e tutti tirano.
E Dionisio con tanto disio
a contemplar questi ordini si mise,
che li nomò e distinse com'io.
Ma Gregorio da lui poi si divise ;
gioii, deHi qnAli sempre pallQla amore, sdei»*
zia e giiutida, e sta sempre in tale polhi-
lare ». — 117. ohe nottano eoo. ohe ee-
seado eterna noft ò soggetta alle Tioende della
primarera terrestre. F. Angelitti, BulL VII
198 : « La ftase notturno Arido non si dere
intendere per Ariote torgenié di moMs, bensì
per Ariete ohe età nel dominio della notte (tale
è l'Ariete durante 11 mesi, mentre il Sole
non è in esso), o Tiene a dire die la prim»>
vera in paradiso è sempre al sno primo mese,
dorante il quale il Rote è nel segno d'Arie-
te ». Di tale particolarità astronomica si è
ralso Dante per significare il sno concetto
con on'imagine di singolare Taghezsa. —
118. Oiaana eco. canta il sno Osanna (ofir.
Par, TD 1), il sno inno di lode a Dio, con
tro diverse melodie ohe rlsnonano nei tre or-
dini angelici del qnali si compone. — trer-
■a : il Tb. ooemare rignifloò dapprima il can-
tar d' allegrezza che fanno gli nooelti ne^
primarera, qnasi rallegrandosi d'essere nsoiti
dal Temo («EAdsman); poi ebbe il sento plA
generale di cantare. ~ 120. esde i* laterali :
dei quali si fk temo, triplioe, si oompone in
tre (ofr. la nota al Par, xm 57). — 121. le
tre deet le tre nature o schiere divine, i
tre ordini degli angeli ohe muorono, oome
intelligenze, altrettanti deU. — 122. Doal-
nasloni t è il quarto ordine degU angeli, oosl
detti (secondo Dioni^4 Areopqglta, og, dt,
cap. vm e Tommaso d'Aquino, Smmn, P. I,
qu. oTm, art 6-6) perdio liberi da ogni oon-
dizione servile, capad di eserdtare una in-
fleesibile signoria, e desiderod di partedpare
al dominio divino. — Virtudi s ò l' ordine
quinto, cosi detto (Dionigi, 1. dt.; Tomm.
d'Aqn. 1. dt), perche gli angeli di esso bob»
^>tati di virile e inconcussa fortezza Dal-
l' operare. — 12B. Peéettadl x è SI sesto or-
dine, ood denominato (Dionigi, op. dt, cap.
XX, Tomm. d' Aqu., L dt) per un oonoetto
di ordinazione deDe cose che devono easero
eseguito dagU inferiori. — 121. PoieU eoe.
Vengono pd nd settimo e nell'ottavo or-
dine i Prindpati e gli Aicaagdi, gli imi
ood detti (secondo Dionigi, L dt) perché
eserdtano la Ainzione di dnd, e gli altri
perché sono angeli rispetto al Prindpoti e
sono prindpi rispetto sgli AngelL — 126.
Pnitimo eoo. Il nono ostehi^ è Hoimato d*-
gli Angeli, ood detti in quanto sono nunzi
di Dio e manifestano le cose divine (IMonigi,
op. dt, cap. v; Toma. d'Aqu., L dt; cfr.
Purg, xxz 18). — 127. ^umM eco. Tatti
questi nove ordini rimirano In sa vino Dìo,
centro di tutti gli esseri, isd eserdtano sotto
a 86 una azione cosi benefica che tutti sono
attirati verso Dio ndlo stesso tompo ^e
v* attirano gU altri : tìtt, Pbw, n 128. — 130.
IHonlsIo eco. Dionigi Areopagita d mise a
meditare su questi ordini angelid con tanto
dedderìo di oonosoere il vero, ohe H deno-
minò e distribuì come ho tetto io, nd suo
libro detta eeleete gerarekia, — 132. oom* le
eoe con quella douxezaa con la qusle ne ho
parlato lo, avendone oognidone diretta» —
188. Ha Oregorloeoe. Ma eregrario I d sl-
lontanò dalla paitizioae di Dionigi, cadendo
in un errore del quale rise quando giungendo
in paradiso oonobbe la vera distribuzione dd
cori angelid nelle tre gecardùe. DeDe mo-
dificazioni introdotto da Qregorie I nella dot-
trina di Dionigi toeca Tomm. d'Aqu., SmmL,
r-^"
PARADISO - CANTO XXVID
817
136
139
onde, si tosto come PoocMo aperse
in questo oiel, di sé medesmo rise.
E se tanto segreto Ter proferse
mortale in terra, non voglio di'ammiri;
che olii il vide qua sa gliel discoperse
con altro assai del ver di questi giri >.
P. I, qiL orni, art. 6; ma qvi baiti ziftrire
l'ordinamento da lai dato ai nore ood : I ge-
xaxolda, 1. Serafini, 2. Gheinibini, 8. Troni;
n geniohia, i. Dominazioni, 6. FriBoipatl,
6. Fedeltà ; m gerarchia, 7. Virtd, 8. Ar-
oangeU, 9. Angeli. — 186. di itf medemo
eco. Se Gregorio I riprovò il tao errore en-
trando in paradieo. Dante nel poema ripodid
ciò ohe avera ioritto nel Cbnv.; né già perché
•orirendo il trattato filoiofloo egli non oono-
aoeeee anooxa il lihro di Dionigi, ma perché
in on' opera filosofloa egli non arerà obbligo
alcuno di labordinare le sae dottrine a qnelle
riconoidate come legittime dalla Ohieaa, e
inreoe nel poema egli ToIIe sempre CMere
■orapoloiamente ortodosso anche nei ponti
secondari. — 186. le tante eoo. se on nomo
mortale, Dionigi, potè manifisttare al mondo
nna reiltà ooei profonda e rimota dalla co-
gnizione emana, non te no meravigUare, poi-
ché a lai fii rivelata da sai! Paolo insieme
con molte altre verità sol paradiso che egli
aveva conosciate qnando fa rapito al cielo
(cflr. Inf, n 28). — 188. gliel discoperse eoo.
Lo stesso Dionigi, J>9 eoel, hier,^ cap. v, di-
chiara che la soa dottrina salle gerarchle an-
geliche deriva dalla visione di san Paolo.
CANTO XXIX
Dopo un istante impercettibile di silenzio, Beatrice riprende a parlale
per esporre a Dante la cagione, il tempo e il laogo della creaslone degli
angeli, la lor qnalità e la differenza tra gli angeli fedeli e i ribelli, le Ai-
colta delle creatore angeliche ; con una ianga digressione ella inveisce con-
tro coloro che predicano cose rane e fknno traffico delle indolgenze; e ri-
tornando alla sna trattazione, spiega 11 numero degli angeli e la grandezza
divina che in essi risplende [14 aprile, ore pomeridiane].
Quando ambedue i figli di Latona,
coperti del Montone e della Libra,
8 fanno dell'orizzonte insieme zona,
quant'è dal pxmto che il zenit inlibra,
XnX 1. Qaaade eoe. Beatrice volgendo
per nn istante io sguardo a Dio vede in lai
il desiderio di Dante di oonosoeie pi6 larga-
meotela natora angeliea : a signiflcarela bre-
vità del sUeudo di lei il poeta ha imaginato
una aimUitadine, che ha dato molto da fue
agli interpieti, anche perché U testo di qae>
•ti versi fti assai per tempo corrotto. Bista-
bilita la lesione che per aatorità di eodid e
di commentatori appare la più conforme al
concetto dantesco, si paò slegare con saffl-
olenta sIcoiOBa, oosi : Qaando il sole e la
hma, essendo Fono nella oostellarione del-
l'Ariete e l'altra in quella della Libra, ohe
aono in dna ponti opfKwtt dello Zodiaco, ven-
gono a trovairi oontemperaneamoite soll'oili-
zonte (e ciò accade nel ponto preciso del
plenihmio), dal mooMoto in ohe essi si tro-
vano in questa oondirione di perfètto equili-
brio rispetto allo Zenit (essendo equidistanti
da esso) sino a qoeUo in coi l'ano e l'altra
cambiando emisfero escono dall'orizzonte, cor-
re tanto tempo quanto fa quello che Beatrice
eco. Per la perennità del moto apparento del
sole e della luna questa oondirione di equi-
distanza dallo Zenit dura un istante, dopo il
quale l'equilibrio cessa : Dante per esprimere
meglio l' idea di un momento impercettibile
imagina (cosi il Della Valle, Stnsogtogr. aatr,
p. 146) €ohe quell'equilibrio sia distrutto,
come lo d di latto, da tutti e due quei corpi,
movential l'uno per un verso, e l'altro pel
verso contrario ; e ocef d mena a pensare la
metà ddl' istante, ohe nd primo caso dura
quell'equilibrio, doò d mena a dividere per
mezzo quéU' istante, benché sU indiviribfle ».
» flfli ecc. ofr. P¥rg, zz 180-182, Par, x
67.-8. fiume ecc. ftnno a sé stéssi dn-
tora dell'orizzonte, doè vi d trovano, innmw,
stesso momento di tempo. — i. che il
818
DIVINA COMMEDU
infin die Pano e l'altro da quel cinto,
6 cambiando Pemisperio, si dilibra,
tanto, col volto di riso dipinto, •
si tacque Beatrice, riguardando
9 fisso nel punto che m'aveva vinto;
poi cominciò: «Io dico, non domando
quel ohe tu vuoli udir, perch'io l'ho visto
12 dove s' appunta ogni t^ ed ogni qttando.
Non per aver a sé di bene acquisto,
ch'esser non può, ma perchè suo splendore
15 potesse, risplendendo, dir: Suòsisto;
in sua eternità di tempo fuore
fuor d'ogni altro comprender, co^ie i piacque,
18 s'aperse in nuovi amor l'eterno amoro.
Né prima quasi torpente si giacque;
selli eoo. nel quale lo Zenit Mibra, deter-
mina ziipetto al sole e alla lana un equilibrio,
perché equidistante dall'uno e dall'altra. Qne-
ito Qflo aMolnto del tb. ittUbran (fonnaie
una bilancia, oostltaiie eqniUbiio) non piace
ad alconi interpreti, òhe lo oonMdenno come
Terbo transittro che abbia per oggetto il eM:
lo lenH inUbra doè eqoilibrm Ujiunfo, oeria,
secondo questo modo d'intendere, la altaa-
sione del sole e della lana; ma è certo ohe
punto qoi significa il momento di tempo (dal
punto ch$.„ in/In eh$), Méfl^o in caso sarebbe
aocettace la lezione dbs il ZmU i Ubra doè
pone in condizione di parità il sole e la Iona;
perché cosi 0 senso generale resterebbe inal-
terato; ma è variante sproTTista d'ogni au-
torità, come l'altra M0«MffMmlt»ra è cer-
tamente erronea, sebbene diilùsa per molti
oodid e stampe. •» 6. l'mn* eoe. il sole e la
lana, passando l' ano dal nostro emlifero nel-
r inferiore e l'altro dall' inferiore nel nostro,
abbandonano la linea dell'orizzonte, della
qoale s'erano fktto cinto o fluda, nella qaalo
insomma s* erano momentaneamente trovati
insieme. — 6. si dillbra: il vb. daUbntni^
se è formato sol nome Ubra come il prece-
dente inì^bram^ ha il Talora di sdogUersi dal-
l'equilibrio, usdre daUa poaliione di equidi-
stanza; se non che, avendo per complemento
da quA cinto, né l'equidistanza essendo ri-
spetto all'orizzonte ma rispetto allo Zenit, si
può anche prandece per una forma contratta
di dOSbmtni (ofr. dXtìbmsn in jRir. n 94).
— 7. eel TOlio eoo. atteggiando il vdto al
suo divino sorriso. — 9. nel punte eoo. in
Dio, quel punto luminoso ohe mi aveva ab-
bagliato (cfir. jRir. zzvm 16 e segg.). — 10.
pel eeadnelò eoe Beatrice in questa lunga
trattazione soUa natara angelioa, parla deUa
creazione degli angeli (w. 18-48), degli an-
geU fedeU • dd ribdU (w. 49-69), delle flib-
ooltà degli angeli (w. 70-84); intenompe la
sua esposizione per fue un' invettiva ooatzo
i predicatori di vanità e i mercanti d' indul-
gense (w. 85-126); e, riprendendola, ragiom
dd numero degli an^ (w. 137-186) e della
grandezza di Dio in esd(w. 186-145). — !•
Alee eco. Io parie, senza chiederti dò òhe ta
desideri di sapeie, perché l' ho veduto nel
divino aspetto, in oui tutto è presente : ttr.
Par, xzvi 106. » 12. s* appunta eoo. d rac-
coglie ogni luogo ed ogni tempo: modo effi-
cace di signifloarel'unlvetsalità deDa sapiena
divina, e a oui tutti li ten^i scn prosonti s
(jRir. xvnlS). — 18. Hen per eoo. Entrando,
senz* altro a pariare della creadone de^ an-
geli. Beatrice tocca della ragione per coi Ai-
rone creati, dicendo òhe Dio creò gli angeli
non per accrescere a sé il bene, die non puA
essere essendo egli il bene primo o sommo,
ma perché la sua bontà d manifestasse sus-
sistente nelle creature ; dunque la ragione di
tale creadone tu smore verso il arcato. Dante
qui seguita le dottrine di Tomm. d' Aqu.,
Svimm, P. I, qu. L, art 1, e Smnm, conlrs
fftnL n 46. — 14. ■» perehé eoo. ma aflln-
ché la sua bontà manHbatandod noUe crea-
tore potesse affermale la propria susaifltaBza:
ofir. jRir. xm 62-60. — 16. la san ecc. l'e-
terno amore d manltetò in nuovi amori, d
estrinsecò nella cressione degli angeli (oaiori,
of^. jRir. ixvm 108), Itaori deDa sua eternità
di tempo e di spazio, secondo che a lui piac-
que. I padri della Chiesa non furono d'ao-
oordo circa il tempo della creazione degli an-
geli : Dante tenne l'opinione di Pietro Lom-
bardo, Stnàmd. n 1 e di Tomm. d'Aqu., Dmmi,
P. I, qu. Lzi, art 2-8, secondo oui ^ aa-
gdi ftarono creati nd primo giorno ddla
creadone, furono dd primi «yfstti* C^^. xi
8) della mano divina. » 17. cerne eco. di soa
libera volontà, spontaneamente. — 19. K
PABADISO - CANTO XXIX
819
che né prima né poscia procedette
21 lo discorrer di Dio sopra quest'acque.
Forma e materia congiunte e purette
uscirò ad esser che non avea òlio,
24 come d'arco tricorde tre saette;
e come in vetro, in ambra od in cristallo
raggio risplendo si che dal venire
27 all'esser tutto non è intervallo;
cosi il triforme effetto del suo Sire
neli' esser suo raggiò insieme tutto,
80 senza distinzion nell' esordire.
Concreato fu ordine e costrutto
pgìmM «00. Né d ondA éha prima dèlia erea-
sioiia Dio rfnmiaiwa qvail Inopaioto; poiolié
Fatto della anadona non fti né prima né poi,
Al cioè innaosi al tempo, il quia, Moondo la
deflniziona tomittiea (Symm, P. I, qn. z, art
1) ò « nnmeina motns Moondom priva et po-
ttarins ». — ai. la dlaeorrer eoo. è frase
UUioa, dal 6^1 2: cE lo spirito di Dio
ti Borera lopia la Ikooia della aoqoe ». —
22. Fanaa eoo. La forma pura a la materia
para a la forma ooogianta alla materia ftuono
creata dallo iteeeo atto di Dio, rioeoirono a
eeeensa perfètte : dal nnlla Dio truse nel
principio del tempo la oieatara larionala a
ipizitaale (formapuntta, natura aagelioa), la
oceatara ooiporala (mtUtHa pumUa^ natora
ooiporea) e la ereatua ooxpcsale a reslonAle
(forma • maitria «mgimU, natura umana) ;
a la oceaslona fo ooe( ooetitozione di enenze
(«Maro od «fair) perfotta (oM mo» oms faUo),
▲• Scxoooa, JR tigUma damUmo^ dt., pp. 29
e oegg. oostlena ohe d aooennino inyeoe gli
angeli, la materia informe e i oieli ; ood ohe
farebbe antidpato qni il oonoetto egresso nd
TT. 81-86. — 28. eeeer : essenza; la Tarlante
atto è da rifiutare anohe perché oon essa Tiene
a manoare la triplidtà simmetrica per coi in
dasonna delle tre terrine rioorre la parola
«SMT (T. 28, 27, 29); triplidtà ohe d oonTiene
oon le altre idee dell'arso trioord»^ delie tn
Mdte, del triforme effetto^ e dd tre corpi loddi
(t. 25). — che non eoo. senza difotti, ofr. Cfon,
I 81 : e Ed Iddio Tide tatto qaello ohe egli
aToa latto: ed eooo era mdto buono ». —
24. ao«a d'area eoo. non, come alooni in-
tendono, nello stesso momento, ma per af-
fotto dallo stesso impulso, sotto la medesima
adone dalla mente dtrina; a qud modo ohe
dallo scattare d'un aroo tricorde rioerono im-
palao tre saette. Ood intese il Lana sori-
Tendo : e queste tie oose uscirono ad essere
par Tolontà divina ». — d'aree tricorde eoo.
Eoomaanente i commentatori moderni dicono
qnestf aroo tricorde essere stato imaginato dal
poeta per esprimere H suo oonoetto : e fànd
ardd (fioe il I^ma) e* hanno tro corde e saet-
tano insieme tie saette, ood bdestre ohe
saettano tre bddoni o quadrelli ». n Boti
poi diohiaca il senso allegorico della compa-
razione : e E ben d oouTiene questa simili-
tudine ; imperò ohe Taroo figura la DiTinità;
le tre corde, le tre persone. Padre, Figliuolo,
Spirito Santo; le tre saette, le tre spedo ge-
nerali dette di s(^ra, doò forma, materia e
ooniunto: imperd ohe in essa oreadone fu
ooncieante la potenzia del Padre, la sapien-
zia dd Figliuolo, e la benoTolenzla delio
Spirito Santo ». -- 26. a cerne In Tetro eoo.
e oome il raggio luminoso, che viene a col-
pire Tetro o ambra o dtro corpo luddo in
Jùi istante tì d diffonde tutto, ood la trì-
plice natura creata usd dalla mente diTina
nella pienezza dd suo essere, senza che nel-
l'atto della oreadone tì fosse distindone di
tempo. La dottrina delTistantandià della
creazione, seguita da Dante, è data da Ago-
stino, D$ oÌ9, Dei SI 9, da Pietro Lombardo,
SmUmiL n 1, da Tomm. d'Aquino, Summ, P.
I, qu. LzziT, art 2 eoo. — crislalle t corpo
lucido, in genere; cfi:. I^ar, zzr 101. —26.
dal Tenlre eoo. dd Tenire dd raggio nel
Tetro d suo diffonderd nd Tetro stesso non
è interTallo di tempo, il diifonderd e il Te-
nire sono tutt'uno. Ant: e Questo passo
merita condderadone per la noTità oon coi
d esprime uno stesso oonoetto, e per la dot-
trina ohe Ti professa il poeta quanto alla ra-
pida propaganone della luce, creduta istan-
tanea da lui, oome dd Qallld e da tutti i
dotti prima dd tempi nostri ». — 28. 11 trl-
f erme eoo. la forma pura, la materia pura e
la forma congiunta a materia uscirono, agnisa
di raggio, dalla dlTinità in piena e istanta-
nea sussistenza ecc. — 80. seasa eoo. senza
che nell'atto della oreadone, nella creazione
di dasouno di questi tre s/f«fti, forse donna
distinzione di tempo. — 81. Cencreate eco.
Insieme oon le tre nature create ta. croato e
820
DIYINA COÌfMEDIA
alle mtatanoie: e quelle foron cima
83 nel mondo, in che poro atto fu prodatto;
pura potensa tenne la parte ima;
nel messo strìnse potensa con atto
86 tal vime che giammai non si divima.
eteronimo vi scrisse, lungo tratto
di secoli, degli angeli creati,
89 anzi che l'altro mondo fosse &tto;
ma questo vero è scritto in molti lati
dagli sorittor dello Spirito Santo,
42 e tu te n'avvedrai, se bene agguati:
ed anche la ragione il vede alquanto,
che non concederebbe che i motori
45 senza sua perfezion fosser cotanto.
Or sai tu dove e quando questi amori
stabilito l'ordine proprio di dMomuu ~- 82.
fatile eoe fimmo cima mi mondo, ftuxmo
oollooete nel taiogo pl6 iiibUine della crear
xione, quilU in eh» fu produMo jmn atto, gli
Angeli in cai Tatto fti poro, eeeendo cesi
pua foxBa; ofr. Tomm. d'A^o., gmiim., P.
I, qn. L, art. 2: «Fonna est aetoa: qnod
ergo est forma tantom, est aotna poma >. ~
84. para potensa eoo. le aostanse ehe Dio
dotò deOa aola capacità di rioerere V influenza
altrui ftirono collocate nella jMrte ima, solla
terra. — 86. ad messe eoe nel messo, tra
la tMxa e il delo empireo, furono poste le
sostanae attive e passlTe, cioè capaci di ri-
cerere dagli esMri anperiori e d' infloire su-
gli inferiori, ossia 1 deli e die di sa pren-
dono e di sotto &nno » (Air. n 128). — 86.
lai tIbm ecc. tale legame (cflr. Par. zmn
100) ohe non sari mal disdolto eoo. Si ar-
▼erta che «Am è soggetto; intendendo: un
legameindissolabile eongionse, pose congiunte
la potensa e l'atto nel meno ecc. — 87. Gè-
roalaie eco. San Girolamo scrisse che gli
angeli ftuono eresti una lunga serie di secoli
prima che il resto del BKmdo. Questa opinione
ò riferita e ooaftitata da Tomm. d'Àqu., Smm»,
P. I, qu. uà art 8. — fi scrisse eco. Nota
il Lomb. ohe la singolarità di questa oostru-
tione dipende dell'aver Dante espresso il suo
pensiero al modo latino : «or^pstt 4$ angtU$
onoMf muita oatoula amt$ ^moii» eoe; ma non
d sarebbe bisogno di ricorrere a questa spie-
gasione, se d potesse ritenete che il poeta al
emUi avesse dato un senso più gonersle :
scrisse, accennò nd sud scritti al lungo coxso
di secoli durante i quali esistettero gli an-
geli, prima che ecc. — 89. l'altro atOBéo :
il resto dd mondo. — 40. ma fuesto ecc.
ma la verità oh' io f ho esposta, doò che gli
angeli fìinmo creati insieme od mondo, ò
scritta in più parti dd libri sasri o se tu vi
poni attensione, te n'avvedrai. Dante d ri-
porta aa'argomento usato da Tosun. d'Aqu^
ammn. L dt: « Didtv Gmm. 1 1 : li» jw^
oi^orta9Uàmig ootlmn d itmm; non aatem
hoc esset verum, d aliqaid ereneset aate ea:
eigo angeli non sunt ante naturam eoipo-
resm creati 9 : e fono miche «vava la mente
al passo dsU'JWssiagftwis zvm 1: «Qui
vivit In aetsraum, craavtt omnia simul ». —
il.4agU serltt«r eoo. dagli autori dei libri
sacri : ofr. Mon. mi : «Quamquam soribae di-
vini doquii multi sint, uaicns tamoa diotator
est Deus, qui benepladtum snum aobis per
multoomm calamos «rpttcare dignatas est».
— 42. aggaatls dal nome yaoto, che ebbe il
senso di guardia afllae a quello del moderno
aggualo, d formarono i vb. ^«atara e aggm-
ian con dgniflcasloaa oonforme; • ^ggmian
qui significa porre mente, guardare, mnttin
rate. — 48. ed aaehe oca e questa veritàè
dimostrata in parte anche dalla ragione amena,
la quale non potrebbe asunettare ohe gli an-
geli, motori dd ddi (ofr. Ome. n S), fosssto
stati per tanto tempo ommm sua pmiMon,
senza eserdtace quell'uffido di motori deOa
afere che compie la loro perfédone. Dant»
riprende e svolge un pensiero dell' Aquinat»,
Smnm. P. I, qu. lzi, art 8 : « Angeli... snit
qoaedamparsuniverd; non enim oonstitaant
per se unum universum ; sed tam ipsi, qasa
creatura corporea, fai constttutìonem unim
univard conveniunt Quod appsiat ex er&s
unias ciaaturae ad aKam. Orio enim rsna
ad invicem est bonum univard. Nulla aatsa
pars pertKta est a suo tote separata. Ma
est igitur probabile quod Deus, OHìat jmt/Ws
tmU operoy ut didtur D$iiL xxzn 4, laedii
ram angdicam seorsam ante alias ersaturas
creaverit ». ^ 46^ Or sai eoo. Adesso ta eo-
nosd il laogo o il tempo fan sai tfl aagan te-
• eosM esd feroao maati tatti
PARADISO — CANTO XXIX
821
furon eietti, e come; ai che spentì
48 nel tao disio già sono tre ardori
Nò giugneriesi numerando al venti
si tosto, oome degli angeli parte
61 turbò il soggetto dei vostri elementi.
L'altra rimase, e cominciò quest'arte,
che tu disoemi, con tanto diletto
64 clie mai da circuir non si diparte.
Principio del cader fu il maledetto
superbir di colui, che tu vedesti
67 da tutti i pesi del mondo costretto.
Quelli, che vedi qui, ftiron modesti
a riconoscer sé dalla bontate,
GO ohe gli a^ea £Eitti a tanto intender presti ;
per che le viste lor fClro esaltate
con grana illuminante e con lor morto,
68 si o* hanno piena e forma volontate.
perfetti; di modo ohe tre dei taoi dedderl
tono già eodiffottL — 48. M4 gìmgmuiMÌÌ
eco. Della oreesione degli engett elle oadnte
di perte di etel pessd un tempo ooei breve
che non bertasebbe itor contare lino e rentL •
Le ragione di qneeta opinione è date da Tomm.
d'Aqn., là ore {Summ, P. I, qn. ucn, art
6) eoiire ohe Taageio aoqnifta la beaiitadine
dopo nn primo atto meiitodo : se dnnqne Ln-
eifteo non avease peccato anbito, U ano primo
atto, ohe aaiebbe atato meritorio, gli aTrebbe
acquietata la beatitadine ; cfr. Smm. P. I,
qn. Lzm, art. 6 : e Neceaae eèt dicece [qnod
atatim póat primnm instans aoae ereationia
diabohia peooaTeiit], ai ponator qnod in pri-
me instanti aoae creatioaia in actom liberi ar-
bitrii pronperit, et onm gratia ftierit oreatoa.
Onm enim Angeli per nnnm aotom merito-
rinm ad beatitadinem penreniant, ri diaboloa
in primo instanti in gratia creatoa memit,
atatim poet primnm instana beetitndinem ao-
uepisset, nisl statim impedimentom praestl-
tlaset pecoendo. Si vero ponatnr qnod Ange-
los in gratia oreatas non ftierit, Tèi qnod in
primo instanti actom liberi arbitrii non po-
tneiit habere, nihil prohibet, aliqoam moram
fuisen intar oraationem et lapenm >. Anche
nel CbfMT. n 6: cDi tatti qoeeti ordini ri
perderoBoalqoanti tatto eh$ fttiwio crtaU, forse
in nnmsto della decima parte; alla qoale re-
stanme ta ì* nmana natora poi creata >. —
61. tvrM eoo. cadde a torbare la tene, ohe
è éA quattro elementi quello che è aoggetto
de^ altri. — 62. L'altra eoo. Oli angeli fe-
deli rimeeero in delo, e incominciarono il
loro giro Intorno a Dio. — 68. eoa tante eoo.
oompiacendori tanto di qoeato lor morimento
che non oeaaano mai di girare intorno eoo.
— 66. Frinelple eeo. La prima cagione della
caduta degU angeli ta. la aopeiUa di Luci-
fero, ohe tu Todeeti nel centro della terra,
atretto da tutto V uniTorao che gravita aopra
di hd. Tutti i padri deUa chiesa sono oon-
oordi neU'ammettsTO ohe il peooato di Luci-
fero fti di superbia. — 66. vedesti eoe ofr.
Inf. zzznr 19 e segg. — 67. da tutti eco.
perché è nel punto < al quel ri traggon d'o-
gni parte i peri > (itf. uaaw 111). — 68.
<)ueUl eoe OU engeU buoni, ohe tu redi
spatri per i nove cori, ftuono umili nel rioo«
noscere Tesser loro dalla bontà divina, la
qoale U areva ereati capad d' intender Dio.
— ■•iestls umiU; pùché la virtd della
umiltà è una delle forme della modsetla e
deUa temperanxa (ofr. Tomm. d'Aqu. Aemn.
P. n ^, qu. oLTi, art. i). — 69. a rlee-
noseer ed t a riconoscer la loro sussistenza;
altri slegano : a mostrarri rlooncscentl Terso
la divbia bontà; ma il dotta eeclude questa
interpretaiione. — 60. a tante eco. disposti,
capaci di intendere una cosi alta Terità,
qoanta è l'opera della crearione divina. —
61. per ehe eoe per la qual cosa la loro ca-
pacità di Teder Dio, llimdamento deUa beati-
tadine (ofr. Air. zzvm 109-110), fri aocre-
sduta con la grasia illuminante e col merito
che acquistarono accogliendola : è conforme
alla dottrloa svolta da Tomm. d'Aqu., Stmm,
P. I, qu. Lzn, art A : < Gratiam habuit An-
gelus antequam esset beatus, per quam beo-
tìtudinem meruit ». — 68. sf eke ecc. di modo
ohe hanno piena e forma Tolontà di operare
il bene ; pnché « Angelus beatus nullo modo
pecoase potest > (Tomm. d'Aqu., L ctt, art
822
DIVINA COMMEDIA
E non voglio che dubbi, ma aie certo
cbe ricever la grazia è meritorio,
66 secondo ohe VaSétto Vh aperto.
Ornai d'intorno a questo consistorio
puoi contemplare assai, se le parole
69 mie son ricòlte, senz'altro aiutorio.
Ma perché in terra per le vostre scuole
si legge che l'angelica natura
72 ò tal che intende e si ricorda e vuole,
ancor dirò, perché tu vegg^ pura
la verità che là giù si confonde,
75 equivocando in si &tta lettura.
Queste sustanzie, poi che far gioconde
della fftccia di Dio, non volser viso
78 da essa, da cui nulla si nasconde :
però non hanno vedere interciso
da nuovo obbietto, e però non bisogna
81 rimemorar per concetto diviso.
Si che là giù non dormendo si sogna,
<»edendo e non credendo dicer vero;
84 ma nell'uno è più colpa e più vergogna.
8). — Si. K som ?0f !!• eoo. Spiega il mtrio
che ha rioordato accanto alla graxia (r. 62),
dicendo: Né ta deri dabitare, maener fer-
mamente penoaso che è opera meritoria ao-
coglier la gmU; eecondo che è più o meno
▼irò l'affetto col qoale l'animo ai apre alla
grazia stessa : maggiore è il merito quanto
pid Tira è la disposizione ad accoglier la
grazia. — 67. Ornai eco. Intorno a tatto dd
ohe si riferisce all'angolico collegio ta paci
comprendere senz' altro alato molte altre cose,
se hai intesa la mia esposizione. — eesil-
storle t cf^. la nota al Purg. ix 2A. ~ 68.
■e le parale eoe. oflr. la stessa espressione
in Piar, iv 88. ~ 69. alntorie : aiuto (dal
lat adiuiorium). — 70. Ha perché ecc. Ha
perché giù nel mondo, nelle scuole teologi-
che, si insegna cho gli angeli hanno le facoltà
dell'intelligenza, della memoria e della to-
lontà, parlerò ancora affi oche tu conosca in
tutta la purezza quella verità che laggiù si
confonde, per gli equiroci dei dottori. I teo-
logi cristiani ammettevano queste tre Csooltà
negli angeli, tuttavia Tommaso d' Aqu., 5wmm.
P. I, qu. Liv, art 6 fa alcune riserve circa
la facoltà della memoria, che sooondo lui si
può tribuire agli angeli solo in quanto è ool-
looata nella mente (cfr. Agostino, De trint"
tate iz 2, X 11); ma Dante nega loro asso-
lutamente tale facoltà. — 71. al legge: ai
insegna dai maestri o lettori^ nelle facoltà teo-
logiche ; onde poi nel v. 76 lettura è, al modo
medioevale, l'insegnamento. — 75. efil?»-
eaado eoe per la confusione dei thì dgai-
ficati d* ona paiola ohe ti fa nelle scuole. 8i
ricordi qoi ohe egMéooeo signiiloò per gli an*
tichi, seoondo l'etimologia, somiglianza di voci
(si cfr. Inf, I 36), onde equwooan ed equirnh
eaxAom espressero 1* idea della signifloaziooe
varia dello stesso vocabolo, o, ooom dice il
Buti, e quando lo vocabolo è ano e le signi-
ficazioni siano vBrìe *. Da dò ritolta che
Dante volle dire che i dottori erravano nel-
l'attribuire, a proposito degli ang^ alla pa-
rola memoria il senso che ha per gli uomini,
di facoltà di richiamare alla monte un' idea
0 un Catto ; mentre per gli angeli questo ri-
chiamare non ha luogo, tutto essendo loro
presente. — 76. ireste eco. Queste creatuxe
angeliche, dal momento che ftirono beato per
la visione di Dio, non rimossero il loro sguardo
da Dio stesso, cui tutto è presente. — 79.
però aon hanno ecc. per ciò la loro vìsiotte
non fu mai interrotta dal sopravenire di al-
cun nuovo obbietto, e perciò esse non hanno
bisogno di ricordare nuovamente per alena
concetto rimasto ftiorl della mante. Videro
tutto sin dal primo momento della beatìto-
dine, quindi nulla dimentioarono, e perciò di
nulla debbono lioordaisi. — 82. 8( ehe eoe.
Nel mondo si sogna ad occhi i^rti, doè s^i-
maginano dottrine che non hanno alcun fon-
damento di verità e di ragione; e questi so-
gni si Canno in buona e in cattiva lède, cre-
dendo di dire il vero e sapendo di dire il
falso. — 84. BA aell'uo «oc mais qaem
PABADISO - CANTO XXIX
823
Voi non andate giù per xm sentiero
filosofando; tanto vi trasporta
87 Tamor dell'apparenza e il suo pensiero.
Ed ancor questo qua su si comporta
con men disdegno, che quando è posposta
90 la divina scrittura o quando ò tòrta.
Non vi si pensa quanto sangue costa
seminarla nel mondo, e quanto piace
93 chi umilmente con essa s'accosta.
Per apparer ciascun s'ingegna, e iàce
sue invenzioni; e quelle son trascorse
96 dai predicanti, e il vangelio si tace.
Un dice che la luna si ritorse
nella passion di Cristo e s'inteipose,
99 per che il lume del sol giù non si pòrse;
ed altri che la luce si nascose
da sé; però agl'Ispani ed agl'indi,
102 com' a' giudei, tale eclissi rispose.
Non ha Fiorenza tanti Lapi e Bindi,
che soetongono dottriiM, alle quali «ni itevi
non credono, è pi6 oolpe e pi6 reigogna. —
85. Voi nen antete eoe n ricordo di on or-
rore bandito dalle cattedre teologiche trae
Beatrice a una digreaaione contro i yani pre-
dicatorL — men andate ecc. nel fllosoCue non
procedete tatti per la medesima Tia, ma esco-
gitate sistemi e metodi noori e opposti fra
loro, tanto siete ftiorTiati dal desiderio e dalla
preooonpazione di iqiparir dotti e profondi
creatori di dottrine. ~ 88. Ed ancor ecc. Né
questo ò il peggio, anzi ecoita in cielo minor
disdegno che il trascurare o l'alterare la sa-
cra scrittore. — 89. posposta: trasoorata al
confronto delle sorittare o dottrine umane
(cfr. la nota al F», ix 183). — 90. tòrta:
alterata, sforzata a significazioni aliene dallo
spirito delle sacre carte. — 91. Men t1 si
pensa ecc. Fra voi non si pensa quanto san-
gue di martiri sia stato rersato perché le
dottrine della sacra scrittura si spargessero
nel mondo, e quanto sia sacro a Dio colui
che coltira e professa umilmeate quelle dot-
trine. ~ 93. con essa eoo. Espressione fe-
lice e vaga, che rende Tidea di una comu-
nione di spirito tra U credente e le sacre
carte ond'egli deriva la sua fede. — 94. Per
apparer ecc. Per amore dell'apparenza (cfr.
▼. 87) ciascuno fa sforzi d'ingegno e d'ima-
ginazione, e i predicatori inreoe di esporre
il rangole si perdono in astruserìe e fanta-
sticherie. Due Tizi trora Dante da ceosurare
nell' eloquenza sacra del suo tempo : l'abuso
del ragionamento (s' kiffeffna)^ per cui le idee
più semplici erano sviluppate per intermina-
bili o lottili dimostrazioni e divisioni; Tee-
cesso dell'invenzione iìuitastioa (faeé tm li»-
«0fM<ofiO» per cui a contema delle verità
s' inventavano strani e inverosimili racconti
di miracoli grotteschi, di avvenimenti pan-
HMi, di castifl^ terribiU eoo. —97. Un dice
eoe. Per dare un esempio delle stranezze dei
predicatori, cita il caso di odoro ohe dal per^
game si pongono inopportunamente a cercare
la ragione per cui nella passione di Cristo il
sole si oscord. A questo proposito correvano
tra altre le due opinioni qui ricordate da
Dante (cfr. Tomm. d' Aqu. ditmm. P. m,
qu. zLiv, art. 2) : secondo alcuni, la luna re-
trocedendo s' interpose fra il sole e la terra;
secondo altri, il sole ritrasse 1 snoi raggt
Qualunque fosse la verità, non sono questioni
da disputarne innanzi al popolo raccolto in
chiesa per udire la parola di Dio. — la lana
ecc. Tomm. d'Aquino, 1. dt.: «CSrca hoo
magia oredendum est Dionysio, qui oculata
fide inspexit hoc, acddisse per interpositio-
nem lunae Inter nos et solem ». — 99. gitf
eoe non arrivò più sulla terra. — 100. ed
altri ecc. Tomm. d' Aqu., 1. dt. : «Seoundum
quosdam... fbit propter hoo quod sol suos ra-
diors retrazit, nulla immutatione £Msta droa
motum ooelestium corporum ». — 101. però
eoo. perdo tale eolissi Iti generale, il sole si
oscurò non pure ai giudei, ma ai popoli del-
l'estremo ooddente (itpanC) e dell'estremo
oriente (indi), — 108. Hen ha eoe Non sono
in Firenze tanti uomini che portano i nomi
di Li^ o di Bindo (usatissimi nel medioevo
nella patria di Dante), quante fàvole di que«
824
DIVINA COBIMEDIA
quante si fatte febvole per anno
105 in pergamo ai gridan quinci e quindi;
6i che le pecorelle, ohe non sanno,
toman dal i^asco pasciute di vento,
106 e non le scusa non veder lo danno.
Non disse Cristo al suo primo convento:
' Andate, e predicate al mondo ciance ',
111 ma diede lor verace fondamento;
e quel tanto sonò nelle sue guance,
si eh* a pugnar, per accender la fede,
114 dell'evangelio fSro scudo e lance.
Ora si va con motti e con iscede
a predicare, e pur che ben si rida^
117 gonfia il cappuccio, e più non si richiede;
ma tale uocel nel becchetto s'annida,
che, se il vulgo il vedesse, vederebbe
120 la perdonansa di che si confida;
per cui tanta stoltizia in terra crebbe
che, senza prova d'alcun testimonio,
■to genere si gridano ^ua e là dal peigamo
eoo. — 104. i£ flitit fkyele eoo. Delle pfe-
diohe del tempo di Dente a noi STanzano so-
Umente quelle di fra Giordano da Blvalto
(n. oiroa 1360, m. 1811), ma non aono tali da
poter ettaro a oonieima deQe parole dei poeta:
ehi TogUa nn ngglo delle immudomi predi-
cabili riprorate dall' AUghierl legga le noTel«
lette degli ambaaoiatorl da Bergamo e di ma-
donna Bnona di Siena, raooontate a qneeto
passo dal Lana. ~ 106. ■( elle eco. di modo
che 1 fedeli ignoranti tornano dalla predica
senza aver ftitto alcnn profitto, e l'ignorare
il danno non è per loro una sonsa snffloiento.
Vuol dire il poeta ohe ogni cristiano ha il
dovere d'istmirai si da eesere in grado di
apprezzare la Taooità di certi predicatori e
di proYTedere alla salate dell'anima sna. —
107. tonan eco. efr. Par, zi 127 e aegg. —
109. Non disse eoo. Oisto non disse agli
apostoli di andare a predicare al mondo doUe
Tane ciance, ma diede loro on fondamento
Torace, oomnnicd loro la Torità OTangelica
che doTeTano bandire ai popoli : efr. Matteo
xxvm 19, Marco xti 16, Gioranni xr 21. —
primo eoiTente ; primi compagni di Cristo
e segnaci della sna fede furono gU apostoli,
propagatori della dottrina cristiana per mezzo
della predicadone e del martirio. — 112. e
qnel eco. e soUe bocche degli apostoli risonò
solamente quella Toraoe dottrina, si che essi
nella lotta per la propagazione della fede non
ebbero altre armi che il Tangelo. — tanto:
solamente; già l'abbiamo troTato in J^. n
67, xnn 13. — 114. seidt e lance : a difen-
dere la fede, e a oombattere gii etrori. —
116. Ora eoe Adesso si Ta a predicare oon
arguzie e freddure, e pur die si riesca ad
eccitare grosse risate la Tanità del predica-
tole è aodisfetta. — lieede: le sc«lt, dioa
il Boigh. p. 267, aono < ooae scipito, e che
direm noi oggi lezii e sTeneroleap», e eecto
piacoTolezse fredde e feetidiose, se piaoero-
lene d posson chiamare questo tali». — HO.
Ikea si rida t non di un riso temperato e de-
cento, ma di risa sgangherato e inoompoets.
•^ 117. gente eoo. il cappuccio del frate pre-
dicante, ossia lo stesso frate gonfia di Tanità.
" US. aa tale eco. ma nella punte del oap-
puodo s'annida il diarole, U wmkMigiò ncetUo
iitf. xxn 96) ohe di ooteste àbenazioni ai
rallegra. — feeeeketlo t è U punte nella quale
termina il cappuccio, in cui, quando è calato
pud annidarsi un uoDello. Si noti l* oso di
queste parole del linguaggio popolare che ar-
TiTano il dlscocso anche nei momenti pl& so-
lenni : Dante sdegnato parla più efficacemento
del sdito il linguaggio materno, perdio la sua
parola prorompe libera e spontanea dall'animo
commosso. — 119. se il tu^ eoo. se il Tolgo
intondesse oome ootali prediche sieno inspi-
rato dal demonio, Todrebbe di non potar otte-
nere la perdonanza o Plndalgenza che spera
di conseguire asooltando una predica. — 121.
per evi eoo. per tale perdonanza, pioiiieeiia
ai frequentotori delle predidie, è Tenute cre-
scendo nd mondo tante stoltesaa che a qual-
siad promessa d' indulgenza il popcdo trar-
rebbe in fella, anohe senn la
ooacesdoni pontificie eco. — 132. t
F .■»■
PARADISO - CANTO XXIX
825
123 ad ogni promission si converrebbe.
Dì questo ingrassa il porco sant' AntoniOi
ed altri ancor cbe son assai più porci,
126 pagando di moneta senza conio.
Ma perché siam digrossi assai, ritòrci
gli occhi oramai verso la dritta strada,
129 si ohe la via col tempo si raccorcL
Questa natura ai olire s* ingrada,
in numero, ohe mai non fu loquela
182 né concetto mortai che tanto vada.
E se tu guardi quel che si rivela
per Daniel, vedrai che in sue migliaia
185 determinato numero si oela.
La prima luce, che tutta la raia,
per tanti modi in essa si recepe,
188 quanti son gli splendori a che s'appaia;
onde, però che all'atto che oonoepe
pur Bumeando le bolle papali di oonoessione
ddla promessa perdonanza. — 128. si eoa-
Terrebbe: si aooonerebbe, il popolo si ra-
doneiébbe aiUe ehiese. — 12A. DI «aeftd
eco. Di questa oredalità popolare i religiosi
traggono profitto per ingrassare il porco e
altri ancora ohe sono pili sessi dei pord, ri-
cambiando i creduli fedeli con false indnl-
genxe. Per intender bene l'espressione dan-
tesca è da altere che per devodone a san-
t'Antonio, eremita egidano (n. 268, m. 868) e
fondatore della yita monastica, il qnale si rap-
presentara accompagnato da nn poioo (sim-
bolo del diavolo die in tatto le forme l'area
tentato), si diffuse nei paesi cristiani l'àbito-
dine di andare accattando in nome di qnel
santo, sotto colore che l'elemosina cosi ri-
chiesta fosse per l'ospedale denominato dal
santo nella dttà di Vienna : inoltre l'ordine
monastico degli Antoniani introdusse l'osanza
di mantenere e ingrassare, od fratto della
Hmnrinifc^ dd pord, cho il popolo anche in
Toscana (cfr. F. Sacchetti, Nov$U« ex) teneva
per benedetti, e credeva die male incogliesse
a chi li avesse maltrattati ; ondo erano da
tatti, non par toUeiati, ma dbati e accarez-
zati. Da qossto pratiche snperstiziose Danto
seppe trarre an'imagine di potente realità,
per dire che i frati predicatori e mendicanti,
del preszo ricavato dalla vendita delle indol-
genxe, mantenevano, non pare il porco, ma
altri pid soKzi dd pord, come servi malvagi,
figUnoU illegittimi, coneabine, mezzani ecc.
~ 126. Meneta sansa eonie : le vane parole
con le qnali promettono indnlgenze fallad.
— 127. Ha perdtf eco. Dalla langa digres-
done Beatrice ritoma all'axgomonto, non
senza Cune avvertito DantOt coi l'invettiva
contro l vani predicatori poteva aver iktto
dimenticare la trattazione salla natora ange-
lica. — ritòret eco. rivolgi ormai gli occhi
dia dritta strada, ripensa d ragionamento
ohe è steto intorrotto, d che possa essere
compiato nel breve tempo che d resta. —
129. s( ebe eco. Si pad dispatare sol senso
di qaesto verso, se doè s' abbia a riforire al
compimento del discorso di Beatrice sopra
gli angeli, o d compimento della vidone dan-
teeca e quindi del poema saero : di qaesto
ultima maniera d' intendere d potrebbe tro-
vare nna conforma nelle parole dd Bar, zxxii
189. — 180. (|aesta eoe. La natnra angdica
si moltiplica tanto nel nomerò, che non fti
mai Ungna o concetto amano capace di d-
gnifioare ood gran qnantltà; il nnmero degli
angeli è tanto grande che non d pnò espri-
mere n6 oonoepire dall' nomo : cfr. la nota
al Bgrg. zxvm 92. — 188. E le ta ecc. E
se ta condderi dò che in propodto d legge
in Daniele (nd passo già riferito in Air.
zxvm 92), intonderd ohe nelle sne mlglida
non d manifesta doon nnmero determinato :
le sae perde mUIia mUHmn (ood la volgata)
non significano se non miffUttSa di migliata^
indeterminatamente. ^ 186. La prima Inee
eoo. La lace di Dio (cfr. Bar, ni 82, v 8, xi
20), che d diffonde sopra tntta l'angelica na-
tnra, è accolta da essa in tanto maniere di-
verse quanti sono gli angeli d qndl si con-
ginnge : perdo, docome alta vidone di Die
ò pn^ordonato l'amore, accade ohe ta dol-
cezza ddl* amore d in dascnn angelo di di-
versa intondtà. — ralas cfr. lìtr, xv 66. —
187. il recepe t à ricevuta ; cfr. I^gr, n 85.
— 189. all'atta eco. all'atto delta compren-
done, delta vidone di Dio, che è dfetto delta
826
DIVINA COMMEDIA
segue l'affetto, d'amor la dolcezza
141 diveraamenie in essa ferve e tepe.
Vedi l'eccelso ornai, e la larghezza
dell'eterno valor, poscia ohe tanti
specoli fatti s'ha, in che si spezza,
145 uno manendo in sé, come davanti ».
Imdiazioiie della laoe dirina, è pfopucdo-
nato l'affotto (ofr. Par, xzrm 109). — HO.
d'asor eco. l'amoie è negli angeli pM o
mono intenso, pi6 férrente o più tepido, ae-
condo che accolgono più o meno della looe
divina. — 142. Vedi eco. Oimai ta paci
oompiendere la mblimità e la Immenrità del-
r etemo yalore, Dio, pololié ha oreato tanti
angeli ni qnali diffonde la ina luce oonsei^
rendo Immutata la eoa primitiTa unità : (> lo
^ in Ar. sn 68-60
eon la medesima imagine degli ipeooU, cara
a Dante lin da quando (D$ m^, tL i 2)
chiamò Dio « ilhid folgentisilmnm •peoalom
in quo eottott [angeli] repraesentantnr poi-
ohMiimi, atqne aTidiatlmi speonlantnr » : cCr.
anche Air. oc 61-62. — 114. tpeenll : lati-
nismo insolito in Dante, ohe altrore osa sem-
pre le forme tpeeehio o fpvyito. — 145. wut"
ntnde : rimanendo, efr. Per. zm 60.
CANTO XXX
Seomparsl t nove cori angelici, Beatrice e Dante si trovano ormai nel
cielo Empireo : il poeta fatto capace di mirare il fulgidissimo fiume di inee,
che da ogni parte gli sfolgora intorno, contempla il meraTlglioso spetta-
colo della rosa celeste, nella quale gli appariscono trion&nti gli angeli e i
beati, e ivi egli vede il seggio predestinato all'imperatore Arrigo TU
[14 aprile, ore pomeridiane].
Forse sei mila miglia di lontano
TTT 1. Forte ecc. Dorendo deecriyere
come il fiolgidiseimo trionfo dei oori angelici
disparisse al suoi occhi nella divina Ince del-
l' Empireo, al quale egli saliva con Beatrice,
il poeta ricorre a una bellissima simiUtndine
dedotta dallo svanire graduale delle stelle al
venir dell'aurora; e dice: Quasi seimila mi-
glia d lontano da noi il mezzogiorno e l'om-
bra della terra si stende In linea orizzontale
dalla parte opposta all'oriente, allorché il
mezzo del delo stellato incomincia a imbian-
care si che le stelle di minor luce cessano
via vìa di apparir sino a noi, e quando l'au-
rora procede il delo resta privo di tutte le
stelle sino alla più luminosa; nello stesso
modo a poco a poco, l' un dopo l' altro, ces-
sarono di apparire al mio sguudo i nove cori
angelici. Nota il Biag.: e L'angelico trionfo,
che ha tenuto sinora Dante sospeso di tanto
stupore, si dilegua a poco a poco allo atto-
nito suo sguardo, ohe s' ha a disporre ad altre
maravigUose viste e miracolL Ha conviene
che, nei rimembrare quell' atto, cerchi l' in-
gegno suo un esempio, e tale di'ogni occhio
mortale aggiunga a tanta vista. Cosi fa di
fatto nella divina similitudine, che Ò porta
e ingresso a tante inaudite bellezze, quante
vedrà l'attento lettore dispiegarsi agli oc-
chi suoi». Secondo alcuni, la similitudine
contenuta In questi versi serve a infioar»
indirettamente il momento in cui Dante • Boe^
trice salirono all' Empireo, che sarebbe stato
verso r alba dell' ultimo giorno del mistioo
viaggio (ofr. BaitoU, Storia delta leU. itoL,
voU VI, parte I, p. 244); ma non si può ani-
mettere che qui si abbia un accenno a tàò^
poldìé dai passi del Par, xxii 138 e aegg.,
xxvn 79 e segg., risulta manifosto cfa« la ri*
sione dantesca volgeva al suo termine nello
ore immediatamente seguite al mezzogiorno.
— sei mila miglia eoe Dante valutava la
droonferenza della terra 20400 mi^ (Cbnv.
DI 6, IV 8)-; la quarta parte, doi il quadrante
che rispetto al oorso solare corrisponde a set
ore di tempo, è dnnque miglia 6100, distanza
del punto della terra in cui è la prìxna ora
del giorno. Ma fl poeta vud indicare an mo-
mento anteriore aUa prima ora del di, circa
un' ora avanti II sorger del sole; e perd pooo
ootesta distanza aoeresduta di circa un sesto
(900 miglia corrispondono a un' ora e pochi
minuti), e nell' indicarla premette un /brse,
per tu ben oomprendere die egli non dà
una dfra matematica precisa : efr. Della Valle,
JI mnto ffeogr. attr, pp. 140 e segg. I com-
mentatori antichi. Lana, Ott, Benv., Bati
ecc., ai quali sfoggi la valutazione accettata
da Dante nd Gmv., dicono die, secondo gH
PARADISO — CANTO XXX
827
ci ferve l'ora sesta, e questo mondo
8 cliixia già l'ombra, quasi al letto piano,
quando il mezzo del cielo, a noi profondo,
comincia a fieursi tal ohe alcuna stella
6 perde il parere infino a questo fondo*;
e come Tien la chiarissima ancella
del sol più oltre, cosi il del si chiude
9 di yista in vista infino alla più bella:
non altrimenti il trionfo, che lude
sempre dintorno al punto che mi vinse,
12 parendo inchiuso da quel eh' egP inchiude,
a poco a poco al mio veder si estinse;
per che tornar con gli occhi a Beatrice
15 nulla vedere ed amor mi costrinse.
Se quanto infino a qui di lei si dice
fosse conchiuso tutto in una loda,
18 poca sarebbe a fornir questa vice.
La bellezza ch'io vidi si trasmoda
non pur di là da noi, ma certo io credo
21 che solo il suo fattor tutta la goda.
astronomi, 1» circonfennza doli* terra è di
24 mila origlia, e perdo il lesto oasia 6 mila
corriapondono aUe tei ore; ai oha il poeta
avrebbe indicata la prima ora del giorno:
ma il V. 7 dimoetra ohe il momento di tempo
è anteriore al venire dell'aurora. — 2. l'era
leatat il mezsogiomo; etr. Inf, xxn? 96;
Pur. xm 142. — e faeite eoe e la noetra
terra manda la eoa ombra snll* orixsonte oc-
cidentale eoo. Ant.: e Biilettendo die l'ombra
terieetre è diametndmente opposta al corpo
illmninante, ii vedrà sabito che, se qneeto
è di pochi gradi al disotto dell'oiizsonte dalla
parte d'oriente, l'asse del cono ombroso della
terra deve essere di altrettanto, cioè di pooo,
elevato sol piano orizsontale della parte d'oo-
ddente >• — 4. 4el ciele ecc. del delo stel-
lato, U ptt alto dei deli determinati dagU
astri (cfir. Virg. Chorf. iv 22: «Tenasqne
traotoaqoe oiazìs ooelomqoe proftmdom »). —
e. perde eoo. cessa d'apparire sino a qnesta
terra; sebbene non sia spenta, la soa loco
non 4 pl6 tale che vinca qnella del sole na-
scente. — 7. la eUarlsslMa ecc. V ancella
laminosa del sole è l' aorora. — 8. 11 elei
ecc. il delo si spegne, nasconde Tona dopo
1* altra le stelle eoe — 9. visto: stella; cfr.
Far, n 116. — 10. 11 trionfo eoe i cori an-
geUd trionftmti intomo al ponto laminoso,
Dio, die sembra da essi oontenoto, mentre
invece sono essi oontenoti da lai eoo. ~
I«de: festeggia; accenna cosi il movimento
degli angeli per segno di letizia (ofr. Par,
ZKvm 126). — 11. al ponto eoo. cfr. Par,
xsvm 16 e segg. , xzxx 9. — 12. parendo
eoo. essendo nd messo sembra oontenoto
dall'oniverso ; mentre esso raochiode e com-
prende in sé tatto il creato; cfr. J\irg, zi 2,
Bar. aiv 80. — 18. si estinse t manoò, cessò
di apparire ; ed osa il vb. «sHngwrH perché
ogni coro angelioo gli era apparso come un
ctròMo d* igne {Par. zxvm 26). — 14. temer
ecc. lo scomparirò de^ angeli e il mio amore
fecero si ch'io volgesd gli ooohi a Beatrice
eco. — 16. Se qnante ecc. A Dante Beatrice
era apparsa sempre j^t bella di mano in
mano che erano passati da on ddo a un
altro : ora ohe sono nd delo Emi^reo, ohe
più di ogni altro partedpa della loco divina
(ofr. Par. I 4), la bellezza di lei è cosi grande
che il poeta rinonzia a descrìverla. ~ 17.
orna -loda: on onice encomio, inteesoto di
totte le lodi già date a Beatrice. — 18. poca
surelkbe ecc. qoest' encomio, por racco-
g^ndo totte le lodi precedenti, sarebbe in-
soiBciente ecc. — fornir ecc. dire compio-
temente qoello che dovrei dire di lei, oppore
con^iere l'offido di parlare degnamente di
Id: Tona e l'altra interpretazione pod stare,
sebbene la seconda risponde meglio alla frase
latina viosm wpìm^ coi sembra riportard
r espresdone dsntesoa. — 19. La Ikellena
eco. La beUesa che allora mi i^parve sol
volto di Beatrioe non solo trascende ogni
intelletto omano, ma anche in paradiso non
pod essere intesa oompiotamente se non da
828
DIVINA COMMEDIA
Da questo passo vinto mi concedo,
più che giammai da pnnto di suo tema
24 suprato fosse comico o tragedo;
ohe, come sole in viso che più trema,
cosi lo rimembrar del dolce rìso
27 la mente mia di sé medesma scema.
Dal primo giorno eh* io vidi il suo viso
in questa vita, infino a questa vista,
00 non m'è il seguire al mio cantar preciso;
ma or convien che mio seguir desista
più retro a sua bellessa, poetando,
88 come all'ultimo suo ciascuno artista.
Gotal, qual io la lascio a mag^or bando
Dio. — 22. Ihk «vtrtt «00. Bft questo ponto,
ohe sarebbe il dssoiiTete la bellssn di Bea-
trice nel oielo Smpixeo, io mi dioUaio vinto
pi6 die non fosse Tinto da dUBooUà del suo
tema qnalnnqiie SGrittoie di commedia o di
tragedia. È 1* espSioosione, eeswptiflnsti, del
concetto srdtto nsUa compaiaiione die or
segnila (tt. 81-88). Tentali 842 : « Fxa le
opere d' arte poetica rammenta a prellMenia
la commedia e la tragedia, perdié arte pili
specialmente dvile Tona con istile dimesso;
politico-religiosa l'attra, con elerato. Ebbero
già ambedue più largo senso; e commsHti
Dante chiama il sno poema [£iA xn 128,
zxi 2], e troffedia qneDo di Virgilio [Inf. zz
113]. Se non ohe a qneUa, col diceva umil-
mente eommecKot doveva darsi poi fl nome
di divina, avendo in sé qnanto di più civile
e religioso, di pid snblime e affettaoso, po-
tesse creare con forma d' arte la sapienza
d' nmano intelletto >. Sta bene, ma d da in-
sistere sa questo panto: che Dante parlando
di wmSeo o tragedOy più tosto che gli scrit-
toli drammatici, intese accennare e distln-
gaere gli scrittori di opere menane di forma
e d'argomento (eemmtdSa) e gli scrittori di
opere sublimi (irttff&dia)^ secondo le dottrine
esplicate nel D$ vutff. ttoq.t circa le forme
dello stUe. Si cfr. sa questa materia 11 D'Ovi-
dio, pp. 464-468. ~ 24. snprate: superato.
— 2&. coae sole eoo. la rimembransa del
dolce riso di Beatrice sapeta le forze della
mia mente, come U sole opera sopra una vista
debole. La similitudine, bella nella sua pit-
trice evidenza, è come reco di concepimenti
giovanili; leggendosi nella F. N, xli 19:
e il mio pensiero sale neUa qualità di costei
in grado che '1 mio intelletto non puote com-
prendere ; con dd sia cosa che '1 nostro in-
telletto s* abbia a quene benedette anime, s(
come rocchio debole al sole >; Cstw., p. 192:
e Cose apparisoon nello suo aspetto, Che mo-
stran de' piacer del paradiso . . . Elle sover-
diian lo nostro intelletto. Come raggio di
sole un firagn viM> >; e audio nd Cbmr. m 8:
< Dioo ohe poco ne dico per due ragioni. L*una
si è che queste cose che paiono nel suo aspetto
soverchiano lo 'ntdietto nostro ; e dioo oome
questo sovereUare è fhtto; ck'è &tto per
lo modo òhe sovecdda il sole lo fragile viso,
non pur lo sano e forte >. — 2S. eeii ecc. oosf
la rimembransa eco. opera nella mia mente in
modo die questa divisile di minor capadtà, e
non pud ricordarsi eoo. — 28. Dal prime ecc.
Dal primo momento che in terra mi apparve
Beatrice (efir. V. N. i l • ssgg.) inlino al
momento eh' dia mi si mostrò circonAisa di
luce noli' Empireo, non Iti impedito al mio
canto di rappreeentane la belleiza. Non oon-
tradioe al luoghi ove Dante si è prima d*ora
confessato incapace di descrivere la bdlesza
della Beatrice celeste (Bw. nv 79, xviii 8,
zxm 24), perché in questi, non ostante tale
confessione, egli oerca di dame un' Idea al-
meno in modo indiretto, parlando dee degli
dfetti di tale bdlesza sopni di luL — 81. ma
or eoo. ma adesso io non posso pld tener
dietro ed mid versi alla crescente bellezza
di Beatrice, a qud modo che l'artista perve-
nuto all'ultimo limite della perfezione di col
è capace non pud rappresentare pid dtre dd
che ha nella mente. D Venturi 841 riawi-
dna alla similitudine di Dante un luogo
d'Omero, ove parla di Minerva: e qual se
dotto mastro, a cui dell' arte Nulla celano
Pallade e Vulcano, l^arge all'aigento il li-
quid'oro intomo, 81 che all'ultimo suo giunge
con l' opra » {Odia, vi 825); e te questa a-
cuta conàdanaiene: e Baro è che gli artisti
anco più grandi giungano a rappresentare
1* imagine meditata e veduta neUa mmte,
dk' è raggio ddl' intelligenaa e parola inte-
riore, a cui suol darsi il nome d'ideale ». —
84. €etal eoe Beatrioe, divenuta oosf bella
quale lo la lasdo da descrivere a ehi ne da
capace eoo. Questo sembra essere il piano
senso di questo passo, e cosf lo Intesero i
commentatori antichi e modemi ; sdvo al-
t>ARADISO - CANTO XXX
829
oHe qael della mia tnba, clie deduce
86 l'ardua sua materia terminando,
con atto e voce d' espedito duce
ricominciò: < Noi semo usdti fuore
89 del maggior corpo al oiel| cli'ò pura luce;
luce intellettual piena d'amore,
amor di vero ben pien di letisia,
42 letizia che trascende ogni dolzore.
Qui Tederai Puna e l'altra milizia
di paradiso, e Puna in quelli aspetti
^5 die tu vedrai all'ultima giustizia >.
Come sùbito lampo ohe discetti
gli spiriti tìsìtI, si che priva
48 delPatto P occhio di più forti obbietti;
oani, ohe riaTTidnando UficMe mon^ bando
oon il iiovMmo bmdo 4el IWy. zzx 18 ■pie-
garono anai direnamento, dicendo ohe la
bellezza di Beatrioe, ohe ingegno ornano non
pad lappieaentaie, farebbe appaxsa nel gior-
no del giudizio finale; ma è nna itranezza
ohe non pad arer neason Talore : a maggior
bando eh§ quel dtUa mia tuba ynol dira a pa-
rola piJfeflloaoe e lionxa ohe non sia quella
òhe eeoo dalla nda boooa, a on poeta di pl6
alto ingegno. — 86. che dednce eoo. ohe
Tiene trattando, ohe conduce a termine la
trattazione del difflcUe argomento : e l'eepree-
tione danteeoa (cfr. Air. ym 121) d forse ri«
fleseo dell'oTidiana {Md. i A): e Ad mea per-
petauffl deduoite tempora carmen >. — 87.
eea atte eco. oon atto e rooe di solleoita
guida, mostrandosi negli atti e nel parlare
desiderosa di porgermi le neoessaiie nozioni
intomo al dolo Empireo, ma oon rapidi oenni,
lenza perder tempo. — 88. Hel seme eoo.
Dal primo Mobile, che è il più grande dei
deli corporali, siamo Tenuti al dolo Empireo,
dolo immateriale di pura luoe. — 89. Bag-
gier eerpei cfr. Btr. xxTnx 6A. — al elei,
eh* è fora lece t è il dolo Empireo, posto
all'infùori dd nere deli corporali; cfr. Danto,
Oom, n A : e Twaì di tutti questi, li eatto-
lid pongono lo ddo Empireo, ohe tanto tuoI
dire, quanto dolo di fiamma o Tero lumino-
so; e pongono esso esaere immobile, per a-
Tere in s6, secondo dasouna parto, dò ohe
la sua materia Tude... E questo quieto e pa-
dfloo dolo è lo luogo di quella somma ddtà
che s6 sola compiutamonto Tede. Questo ò lo
luogo degU Spiriti beati, secondo che la santo
Chiesa Tuole, che non può dire menzogna;
ed anco Aristotele pare dò sentii^, chi bene
lo 'ntonde, nel primo di eieìo e mondo. Que-
sto è il soTrano edifido dd mondo, nd quale
tutto il mondo s' inchiude e di fuori dal
quale nulla è ; ed esso non è in luogo, ma
formato fti solo nella prima Mento, la quale
li gred dicono pntonoé. Questo è quella ma-
gnificenza, deUa quale parlò il Salmisto quan-
do dice a Dio: Ltvata è la me^nifiouMa tua
eopraKoisU*." 40. l«ee eoo. looe intoUet-
tlTa ohe innalza la mento a comprendere Dio,
suscitando nello spirito quel fiarrido amore
del Torace bene, ohe è pione di beatitudine.
Si osserri la bellissima gradazione, con la
quale il poeto riesce a significale in modo
insuperabile il concetto dell'ascendono dello
spirito alla inefEabOe beatitudine. — 48. del-
seret doloezza; Tooe cara ai poeti antichi,
spedalmento per esprimere le gioie dell' a-
nima. — 48. Qml Tederai eoo. In questo
ddo Empireo tu Todrai le due schiere degli
esseri beati, doè le creatore angeliche e le
creature umane, gli angeli e gli eletti. Tn^ypo
sottilmento alcuni trorano nell'uso della pa-
rola miHxia l' idea che gtt angeli militarono
contro i ribelli, gli uomini contro i Tizi. —
44. e r «aa ecc. e gli esseri umani, detti
alla beatitudine, ti d mostreranno nd loro
aspetti reali (non già sTTolti di hioe, cfr.
Pttr, xzn 62 e segg.), in quello stesso sspetto
ohe dascuno riprenderà od suo corpo nd
giorno dd giudizio finale (cfr. Ihf, ti 98). —
46. Ceae subite eco. Come rimprorriso ba-
lenare dd lampo die disperda gli spiriti tì-
dTi, d che l'oochio non ^uò aopportare l'a-
zione di obbietti più luminod, ood la luce
dell' Empireo ecc. Dante asceso all' Empireo
si troTa in mezzo a una ood TiTida luce
d* ogni parte sfolgorante di'd non può sop-
portarla (TT. 49-51); Beatrice gli dà la ra-
gione di tde abbae^iard della sua Tisto (tt.
62-64): e allora egli d sente ndfonato la
foodtà dd Tederò, e diTonoto capaoe di tanto
aAronto con gli occhi lo spettacolo diTino
(TT. 56-69). — dlteett! t è TOoe fi un Tb.
discettare, od senso di disgregare, disperdere.
— 47. spiriti TlslTlt ofr. Par. xxti 79. —
— prlra eoo. priTa l'ocohio dell'atto di pifi
forti obbietti, ddl' azione di luce pifi TiTa,
830
DIVINA COMMEDIA
"^
cosi mi circonfdlse luce viva
e lasciommi fSeuKuato di tal velo,
61 del suo fulgor, che nulla m* appariva.
< Sempre l' amore, die quieta il cielo,
accoglie in so cosi fatta salute,
54 per fiur disposto a sua fiamma il candele ».
Non fClr più tosto dentro a me venute
queste parole brevi, cH'io compresi
67 me sormontar di sopra a mia virtute;
e di novella vista mi raccesi,
tale che nulla luce è tanto mera
€0 che gli occhi miei non si fosser difesL
£ vidi lume in forma di riviera
fulgido di fulgore, intra due rive
68 dipinte di mirabil primavera.
lo rende oioè inci^ftoe a peio^irlA. — 49.
cof< eoo. in tal modo la Tiva ìwm dell' Em-
pizeo zisplendendo Intorno a me mi lasdò
cosi abbagliato, per tuo ftilgoro, che lo non
Todora pid nulla. Si ofr. nel .9bM degU
JpotL zxn 6 6 lefg. il raooonto di san Paolo:
e Di gnbito nna gran Inoe mi folgorò d' in-
tomo [oirotmfidaa «m, lamlg.] dal cielo;...
io non Tederà nnlla per la gloria di quella
lace [etaritudiiu hmMi^ la Tolg.] ». — 62.
SeMpre eoo. Dio, ohe quieta il delo Sn^-
reo, il dolo nel qnalo ora siamo, adona in
i6 co$i faUa takiU, cioè tal copia di Inoe la-
lataze, per diapona chi entra in pazadiao alla
visione beatifica, n concetto del poota, ab-
bastanza pslese, è questo, ohe a chi ascende
all' Empireo si appresenta sempre quel yiya-
dssimo ^lendore perché il suo sguardo si
abitui, o meglio si afforzi sino al punto da
sostenere la visione di Dio. Ma la lesione 4
alquanto incerta, né quella del Wltte, da me
seguita, è sansa qualche difBoòltà; la pid
comune lezione : S§mpr§ l'mnor ek§ qutta ^m-
tto tMo Aeooglia in 9é oon Mi fatta «oJuto è
pid piana e agevole a intendere, solo che si
ricordi H particolare uso del nome tabU» in
senso di salutazione, saluto, che Dante &
nella T. 2/: ni 18, zx 2, 19, zn, 81 e nel
OsfM. p. 116. — 64. per far eoo. aiBnohé
r anima si disponga a sopportare la sua gra-
zia beatìfica, come la csadela sostiene la
fiamma *, ma l' Imagine non rende con la so-
lita penpicuità il concetto dei poeta. — ean-
dele: candela; forma antica, che rioone fre-
quentemente (cfir. Ferodi, BuiL Ul U9, 160);
ò anche in Ar. zx 16. — 66. Hon ftr ecc.
Mentre Beatrice mi dichiarava in brevi parole
la ragione di quel fulgore ohe m' abbagliava,
fentii in me l'effotto di quella luce, che era
aocxeeolmento della mia ftooltà visiva. — 67.
me sermentar eoo. che io acquistavo mag-
gior capacità di vedere, che la mia Caooltà
visiva assorgeva in maggior potenza che non
fosse la sua naturale virtd. ~ 68. e di ne-
vella eoo. e H mio sguardo ta rafforzato tanto
nella sua «tacita ohe sarebbe stato idoneo
a sopportare qualunque luce più abbagUsjite.
— 60. aerat pura, risplendente ;^fr. Ar.
ZI 18, zvm 66. — ei. S vidi eoo. La luce
dell* Empireo i^parve a Dante, fktto capace
di oontemplarìa, oome una luminosa riviera
scorrente tK% due rive dipinte di fiori, dalla
quale oon successione continuata uscivano
faville ohe si posavano sul fiori o poi nuo-
vamente si sprofondavano nel mirsbile fiu-
me. Questa Idea del fiume di luce è bibU-
ca, e Dante 1* avrà attìnta in Daniele vn 10:
«TTn fiume di ftiooo traeva ed usciva dalla
sua prosonis > (ofr. nei Salmi, l 8 : e L'Iddio
nostro verrà . . . egli avrà davanti a sé un
fbooo »), doé nel luogo stesso onde ha tratto
l'idea delle infinite mi^iaU di angeU (efr.
Par. zziz 188): se non. ohe quel fiume che,
secondo la pid comune eeegosi biblica, è vor-
tice che trascinerà i peooatorl, è pid alta-
mente concepito dal poeta nostro oome una
manifestazione deOa divinità per la quale
r uomo diviene capace di contemplaria. —
61. Inae... f algide di Aligere t tre parole
che racchiudono lo stesso conoetto, ma lo
sviluppano nel suoi elementi, oome se di-
cesse una luce (hmm) ohe per il suo sfolgo-
rare (di fiiìgaré) appariva abbagliante (fiiigi'
do). Male intendendo questa espressone po-
tentissima, alcuni vi trovano una tautologia
insolita in Danto, e già gli antichi alterarono
per la stessa ragione U testo, leggendo fimi»
di fulgon : ma l' idea della trssoorrento fin-
mena é confuto nella frase a guisa di fv
visra, senza bisogno di ulteriori determina-
zioni, non oonformi allo stile dsnteice. "
68. prlmaTera t fiori primaverili ; ofr. Asy*
PARADISO - CANTO XXX
831
Di tal fiumana nscian faville vive,
e d'ogni parte si mettean nei fiori,
66 quasi rubin che oro circonscrive ;
poi, come inebriate dagli odori,
riprofondayan sé nel miro gurge,
69 e, s'una entrava, un'altra n'usoia fuori.
< L'alto disio ohe mo t'infiamma ed urge
d'aver notizia di ciò che tu véi,
72 tanto mi piace più, quanlo più turge;
ma di quest'acqua convien che tu bèi,
prima che tanta sete in te si sasi > :
75 cosi mi disse il sol degli occhi miei
Anco soggiunse : < Il fiume e li topazi,
ch'entrano ed escono, e £1 rider dell'erbe
78 son di lor vero ombriferi pre&zi;
non che da sé sien queste cose acerbe:
ma ò difetto dalla parte tua,
81 che non hai viste ancor tanto superbe >.
Non è fantin che si sùbito rua
xzTUi 61. ~ 6A. M tal eoo. Le viv$ faville
uoenti dal flnme lono gli uigeli, 1 fiori nel
quali esse Tanno a posarsi sono le anime
beate (cfr. tt. ttUOS). Bati: e Finge ohe hr
•nU» escano dal fiome e Tadino in sa* floxi,
a signifloare ohe li agnoli, ohe sempre si
riempiono do la grada d' Iddio, li qoali sono
significati per le &Tille imperò che sempre
ardeno nell'amore d' Iddio, Tadano a oonfor-
tare V anime sante, ohe sono in tale graiia,
che sempre si mantengnino nelli atti Tirtoosi
e da esse tornano a la detta grada ; imperò
che li angeli Tldtano e confortano li santi
omini, acciò che durino nella loro santità, e
Tegnono a loro e ritornano a Dio si come
messi da Ini mandati >. — 66. d'ogni parte:
dall' nna e daU' altra rira della laminosa ri-
Tiara. — 66. «nasi raMn eco. sdntillaado
in mezzo al fiori, come il mbino s&Tilla in
mezzo all'oro in coi è incastonato; ofir. Vir-
gilio, Sn, X 181, di Inlo : » Qoalis gemma
micat, fùlTnm qnae diTidit aorom ». ~ 68.
riprofoBdaTan eoo. le scintille si profonda-
yano di nnoTo nel mirabile gorgo, nel fiome
luminoso. — 69. e, s' nna ecc. all' entrare
di nna DaTÌlla nel fiome, nn* altra nsolya a
posarsi sni fiori: la Tioenda dell'entrare e
dell' uscire era oontinna. — 70. L' alte eoe
Beatrice Tede, al solito, il desiderio di Dante,
che ò di conoscere che sieno quelle fsTille e
quei fiori, e lo sodisfa in parte dicendo ohe
tono dimostrazioni anticipate di ciò ch'ei
Tedrà poL — ehe ao ecc. che or t'infiamma
ed ecoita per conoscere ciò che tu Tedi. —
72. qaaato pi< tnrg e : quanto ò più intonso,
forte. ~ 73. aa di «nesf aef aa eoo. ma
prima ohe possa esser sodisfatto pienamente
tale desiderio, bisogna ohe tu contempli an-
cora questo fiume luminoso ; affinché la tua
Tista sia capace di contemplare Dio e la rosa
ààL beati (tt. 100 e segg.) deri prima forti-
floaria nella contempladone del fiume. — 74.
tanta sete ecc. cfjr. IWp. xxi 1. — 76. 11
sol ecc. Beatrice, cfr. Bw. m 1. — 76. 11
flnme ecc. Il lume trascorrente a gdsa di
fiume, le faville che entrano ed escono, e i
fiori sparsi sulle due rìTo non sono altro che
omòrifsri pnfaxi, imagini sotto le quali si
mostrano coperte le loro eesenie : sono ap-
parenze anticipate di Dio, degli angeli, dei
beatL — topasli le faiTille, ossia gU angeli
cfr. Air. XT 86. — 77. U Hder deU'erke:
i fiori ohe adomano le erbe, ohe dipingono
le rive erboee, ossia le anime degli eletti. —
78. di lor eoo. pnfaxi esprime l'idea di cosa
apparente prima del tempo (prefaxio è il lat.
praofatio, prefuione), ombriftH quella di una
forma imagi nosa sotto cui è nascosto il varo,
la Tera essenza o realtà della cosa. — 79.
non ohe eco. non perchó questo cose sieno
per loro natura difficili a percepire, ma per
r insufficienza della tua natura corporea,
la quale non ha Tista tanto potonto da so-
stenere la contemplazione. — 81. snperbe :
detto delle 9ÌtU ossia degli occhi, include
qui l' idea della capacità, della potenza su-
periore alla comune. — 82. Boa è fantin
eoo. Non à bambino, ohe cosi prontamente
si Tolga Terso il petto della madre, se si
STCfflia pid tardi dell'ora in cui è solito pren-
832
DtVÌNA COMMEDU <
col volto Terso il latte, se si svegli
84 molto tardato dall' osansa sua,
come £dc*Ì0| per far migliori spegli
ancor degli occhi, fthifìftJififtTnì all'onda
87 che si deriva, perché vi s* immegli
£ si come di lei bevve la gronda
delle palpebre mie, cosi mi parve
90 di saa lunghezsa divenata tonda.
Poi, come gente stata sotto larve,
che pare altro ohe prima, se si sveste
98 la sembianza non sua in che disparve;
cosi mi si cambiare in maggior feste
li fiori e le faville, si ch'io vidi
96 ambo le corti del del manifeste.
0 ispleodor di Dio, per oa' io vidi
l'alto trionfo del regno verace.
d«n a latto «00. Ve&tozi 189: «NotonellA
■imilitodiiM Ift Toemonx» d«l deddeiio e Tu-
miltà del po«t» ohe d pwagona «n'infanto,
il qoAto tfhmftto lìandMl Tino il latto >.
~ ma : too» dèi Tb. man, non proprio ool
aanao di praoipitara proprio del lat. (ofir. làf.
XX 88), ma di TolgeBd a ooia deaideiata oon
grande libato. — 8A. aMlle eoo. in 'gran ri-
tardo, ricetto all'ora abitoale dello sv»-
^iazaie del pnndice latto. -85. oMMeeo.
ooBke tod io Tolgendoini al flnme lominoao,
afflnohA i miai oeoki tì d lortifloaaaero an-
cosa pid o dirailMeEO 019^ ^ oontem^aie
quelle oalifti viiioni. — fax algUorl eoe.
gli oeoki aono ^naai ^ptgU o tpeochl deQe
ooae eatacne, e tanto migUori qnanto più net-
tamento riflettono la loro imagine : U nome
tptgUOy nnn delle forme del lat tpeovkm
(ofir. Par. xzxr U4) è flreqnento in Danto
(Jt/; xivd06,lìir.x?62,xxTil06), fl quale
pM speeeo aMTaltra forma oomnne «psooMo,
ala in aenao proprio, ala in eeoao flgazato.
— 87. eke al derlra eoo. ohe dalla divina
fonto aoQtre perohó in eeia ai peifeiionino
le «mane ItMoltà. — 88. ■ i£ eeme eoo. S ap-
pena mi tei aiBaato nel flnme Inminoeo, mi
parrà ohe ai foaae taaformato in una Inoe
oiroolare. Qneeto tnaformarione oorrisponde
all'apparire della roaa oeleete, ohe Danto or
om deevÌY«à miratailmento {rw, 100-123) :
la Inoe divina diflUa in oerohio aasai ^d
grande del aole, i fiori ohe appariaoono ani-
me beato e le faville ohe appariaoono angeli,
U popolo dai beati diatribnito per pid di mille
gradini ohe via via a' allargano, l' imagine
della roaa nelle eoi foglie itanno i beati
mentre gli angeli aoendono e riaalgono pei
vart ordini, la lode ohe oome flagranza dal
flore ai leva al Dio nipremo, aono tatto in-
venrioni e oonoettl ohe alla mistica mento
deU' Alighieri aembranmo messo idoneo a
rappreeentaie aenalbUmento la oeleeto oorto,
in modo fontaatioo, è vero, ma oorrispondento
alla maeetà del Inogo e della divinità. — di
lei bevve eoo. la f/rmàa d$Uó mU paìpèbr»
oioè le mto oi|^ b$v9$ éU Iti, aaaorbf al-
quanto della Inoe : eepreaiione pid toeto o-
scora. — 91. Pel, eeme eoo. Poi ^ angeli
e i beati mi apparvero nella loro realtà oome
le persone ohe, dopo eesece stato maeohermto,
ripiendono la loro propria semMania. La let-
tera è da diohiaraie ooaC: Poi come gento
stata maaohsfata, la qnale aembra diversa da
qnéDa ohe è apparsa prima, aUorchd depono
la Anta aembianza aotto coi era aparita la
aemManva vera eoo. Il Venturi 298, por lo-
dando oome e originale e chiara » qoeeta ai-
militodine, nota che e siJEatta traafigoraziona
non sembra ohe ben si addica a ona scena
di paradiso >; e di poca convenienza la oen-
sora anche il Tomm. : ma non saprei acco-
starmi alla loro sentenza, nna volta ohe ìm
comparazione raggiunge il soo fine, di Darci
intendere oon un tratto pittoceaoo o vivace
la trasformazione ohe agli occhi di Denta
subirono U fiori $ k fmiO» : piuttosto al può
osservare che la ripetizione della stessa idea
fondamentale ipare, mmHamxa, disponw)
nuoce alquanto alla chiarezza. — larve: ma-
schere, cfr. IWp. XV 127. — 94. «osi eo««.
nello stesso modo U fiori • k fanU$ si tra-
mutarono agli occhi miei in eletti pid to^
stosi, in sembianze anoora pid gioconde,
quelli di anime beate, questo di creatore aa->
geliche. — 96. am^ eoo. entrambe le mili*
zie di paradiso (cfir. v. 48) nella loro reale
essenza. — 98. l'alto eoo. le creatore ange-
liche o le anime beato trionbntì nel pazam-
PARADISO - CANTO XXX
833
99 dammi virtù a dir com*io lo vidi.
Lume è là su, che visibile face
lo creatore a quella creatura,
102 che solo in lui vedere ha la sua pace;
e si distende in circnlar figura
in tanto che la sua circonferen£a
105 sai-ebbe.al sol troppo larga cintura.
Fassi di raggio tutta sua parvenza
riflesso al sommo del Mobile primo,
108 che prende quindi vivere e potenza.
E come clivo in acqua di suo imo
si specchia, quasi per vedersi adomo,
111 quando ò nell'erbe e nei fioretti opimo,
si soprastando al lume intomo intomo
vidi specchiarsi, in più dì mille soglie,
114 quanto di noi là su fieitto ha ritomo.
E se l'infimo grado in sé raccoglie
di80. — 99. ft dir eoo. BÌaocIiì: < Questa tii-
plio» i^etlsioiie della medesima parola vidi
in lima, non è senza il soo perché: U poeta
volerà richiamar V altroi atteaxione sa que-
sta miracolosa Tisione, ohe è il ponto piA
importante e la catastrofe del poema; e però
nota enfaticamente prima il fiatto diella yI-
sione a Ini giunta, poi il messo onde l'ebbe,
• quindi piega di poter descriTero il conw,
ripetendo per tro volte in fine di Terso qnasi
a modo di trionfo il conseguito ndi ». — 100.
LnsM eoo. Nel délo Empireo è nn lame ohe
rande risibile Dio creatore a qnella oteatnra
ohe nella visione di Ini trova la pace, il so-
disfadmento d'ogni suo desiderio, alla oro»*
tara degna della beatìtodine. — 102. cke sete
eoe ofr. Agostino, Omfu, 1 1: e Feoisti nos
ad te, et inqnietnm est cor nostrnm doneo
reqniesoat in te». — 108. e si distende
•00. questo lame si distende in an immenso
drodo, di tanta ampiesxa ohe la sna droon-
ferensa d assai pld grande di qaeUa dd sde.
— 106. Fessi eoo. Tatto dò che d vede di
questo lame, doè U lume stesso, ò un rsg»
gio della divina luce riflesso sulla superflde
esterìoro dd primo Mobile Cddo cristallino,
il quale dall'Empireo, o dalla divina luce dif>
fosa nell'Ifimpireo trae la sua potenza, doò
il suo movimento e la virtd ch'osso influisoe
nd deli sottostantL — 106. ehe prende eoo.
£ lo stesso concetto significato nel verso dd
Fùr. zzvu 110, ee non ohe qui l'amor eh$
il volge è considerato nel suo effètto, il mo-
vimento ohe è la vita dd dolo oristallino, e
la virtA eh^ Spiova ò detta poUrwa, 81 av-
verta il quindi, ohe da alcuni è inteso come
riferito d raggio rifUsto eoe, da dtri d dolo
l^pireo ; die è interprotadone conforme alla
dottrina di Tomm. d' Aqu., Summ., P. I,
Daxts
qu. Lxn, art. 8 : e Coelum empynum habet
influentiam super corpora quae moventur, 11-
cet ipsum non moTBatur ; et propter-hoc po-
test did quod influii in primum «oekmn quod
movetur, non aUquid transiens et advenlens
per motum, sed aliquid fixum et staibile, puta
virtuimn eonUnmdi ti eamamii». — 109. E
eeme eoo. E come una oollina digradante in
oerohio d speoohia ndl' acqua scorrente d
sud piedi, quad per oontemplan la sua bel-
lesza allorchó è pid abbondante di erbe e di
fiori, ood ecc. Questa bella similitudine della
oollina erbosa e fiorita ohe d specchia nelle
puro acque della valle ronde fdicemente
r idea di qudl' anfiteatro odeete gremito di
anime beate specchiantid nella pura luce rag-
giata da Dio. La ledono di questi versL ò
malsicura, leggendod in mdti testi autore-
voli : quanto è nel vtrde 9 noi flontti opimo;
ohe (laadando staro il vtrdè che è lo stesso
ddle mrbe) risponderd>be meglio d quanto di noi
là su fatto ha ritomo (v. 114); ma è da pre-
lériro la ledono dd Witte, ohe d risolve in
una pittoresca droonlocuzione' per esprimere
r idea della stagione primaverile, anche per-
ché questa oonispondenza formde sarebbe
tra il tarmine prindpale della 2» parte (quanh
di nei eoo. è sogg. ddla propoddone prlnd-
pde, come eUoo ndla 1* parte) e un termine
accessorio ddlapima. — 112. d soprastanAe
eoo. ood vidi tutte le anime beate die stando
sopra d lume, disposte in pid di mille gi»-
did droolari, intomo intomo, d specdiia-
vano in esso. — IIS. soglie: i gradini, come
apparo dd v. 116. — 114. f oanfie eoe quante
anime umane dette all' etema beatitudine
fecero ritomo dalla terra d doto (efk*. Ai»y;
xn 86 e segg.). — 116. E se l' Ulne eoo.
E se U gradino più basso, qudlo ohe corro
£3
834
DIVINA COMMEDIA
117
120
123
126
129
si grande lume, quant' è la larghezza
di questa rosa nell'estreme foglie?
La vista mia nell'ampio e nell'altezza
non si smarriva, ma tutto prendeva
il quanto e il quale di quella allegresiza.
Presso e lontano 11 né pon né leva,
ohe dove Dio senza mezzo governa
la legge naturai nulla rileva^
Nel giallo della rosa sempiterna,
che si dilata, digrada e redole
odor di lode al sol che sempre verna,
qual ò colui ohe tace e dicer vuole,
mi trasse Beatrice, e disse : « Mira
quanto ò il convento delle bianche stole!
Vedi nostra città quanto ella gira!
intorno ai huM osaU 9ÌgiaUo della n$a (ofir.
T. 124), ft ood giattd» da oontenara un lume
più ampio dal aolo, dko immaoaità ft qoalla
degli aatrami gcadini ! Lomb.: e ÀTaado già
datto ohe intorno ai oixoolan pnftvto lume
«sano «ytfi, o alano giadi, più di milla, d'onde
l'anima boato in qnai^loma ai apooctisfano,
ci ha fittto capire ohe' intomo al madeaimo
lama ai alxaaee nna o&ioolaia aoala, oome
d'anfltoatro. Siooome adnnqno 1 gradi di
drodlaia aoala, qo&nto più alti aono, tanto
più in largo atondono la loro oinxmferenaa,
bana pardo pretende il poeta, ohe dalla lar^
^aaia dall' infimo grado, tanto ohe aarebbe
al aola troppo larga oitUÙta, argomentare al
debba qnanta dorerà aaaere la larghaxia de-
^ eatremi più alti gradi. Ma aiooome la
Btnittaxa di qnaUa oaleeto aoala imitava la
Btnittara di nna roaa, in eoi dal giallo inter-
medio veiao l'estremità al yanno impunto le
fog^ di mano in mano nna 9opt% dell'altra
innalzando, però inveoe di dire qtumtè la
larghnxa di quMla teala negU tttnmi gradi,
dice quante la larghmMa di que^ rota fMf-
trmtrma» fogUé >. — US. La vieta eoo. D mio
sguardo, ornai abbastaasa fortifloato, non si
amaniva nell'immensità e profondità della
roaa oelesto, ma oompintamento patoepiva
l'intensità o U qnaUtà di qneUa beatitudine.
— 121. Preaaa eoo. Nell'Empireo, dke è fbori
dello spailo e del tempo, la vicinanza non
aoereeoe e la lontananza non dlmlnnJaoe l'in-
tensità della visione, perché ove Dio go-
verna immediatamento non hanno luogo le
leggi naturali. « IC: nel oi^ Empireo. —
122. aaasa BMise: direttamento; o£r. Par.
vn 142. — 121. V«I f iaUo 4ella roan eoe
Uéntre lo era desiderooo di parlare e pur
taoeva per la meraviglia dalle ooee veduto,
Beatrice mi trasse nel centro della rosa co-
lesto, la quale si aUarga a comprendere tatti
i beati, è disposta a gradini, e innalza una
firegransa ohe d inno di lode a Dio eterno,
n giaUo dtUa rota amnpUtma à il oerohio la-
minoso intorno al quale sono disposti più èhm
mille ordini di beati; tratta l'idea dalla xaale
condizione del fiore, ohe ha nel suo meno
un nucleo di flU di color giallo. — 125. re-
dola oder eoo. sparge una ikagranza; efir.
Virgilio, Qmrg, iv 168: «Farvet opua, re-
dolentque thymo fragrantia malia >. — 126.
al sei eoe a Dio, che forma quella etema
primavera, ohe con U suo splendore boati floa
sempre quelle anime tietto; il vb. «smorv
ha qui il seuM del tutto diverso dall'usuale
(cfr. B^f. JULxm 186, iVy. zziv 64) eaanndo
derivato dal lat. cer, primavera, quaai £ar*
mare primavera. — 127. f aal k eoo. La magw
gior parto dei commentatori rilérisoono qui-
eta similitudine a Beatrice, oome sa il poeto
dicesse ohe ella, noli' atteggiaaiento proprio
di ohi non parla, ma ai dispone a parlar», lo
traeee eco. ; ma è più natùale il riferiria a
Danto steeso, ohe doveva eeeer dominato da
vivo deeiderio di sapere che ooaa slgnifioasae
il novissimo spettacolo, e taoeva oommoaBO
di riverenza e di stupore. — 128. Mira eoe.
Contempla quanto è immensa la oongrega-
zi(me dei beati, vedi l' ampieaza della città
eanta, vedi come ormai ^ eoanni eono quasi
tutti occupati, ti ohe poche anime eletto aono
aspettato in cielo. — 129. U eenvaata eoo.
r unione, la oompagnia (ofir. J^vg. xu 62,
Jtor. xm 90, xzzz 109) dei beati riveatiii di
bianche vesti; cfr. ApoeaL vn 13-16: e Co-
storo, dke aon vestiti di stole bianche, ohi
sono?. . • Costoro mm quelli ohe son venuti
dalla gran tribolazione, ed hanno lavato le
loro stole, e le hanno imbiancato nel sangue
dell'Agnello. Perdo aono davanti al trono di
Dio, e gli eervono giorno e netto ». — 180.
nostra città eoo. il regno dei beati, eecoDdo
PARADISO - CANTO XXX
835
vedi li nostri scanni si ripieni
132 che poca gente ornai ci si disira.
In quel gran seggio, a clie tu gli occhi tieni
per la corona che già y'ò su posta,
186 prima che tu a queste nozze ceni
sederà l'alma, che fia giù agosta,
dell'alto Enrico, eh' a drizzare Italia
138 verrà in prima che ella sia disposta.
La cieca cupidigia, che vi ammalia,
simili fatti v'ha al fantolino,
141 che muor di fame e caccia via la balia;
e fia prefetto nel fòro divino
il lingiuggio dell' ApoeaL xxi 10 • Mgg. «
182. ékt poeft eoo. 8e pochi erano onnai gli
eletti ipettati nel dolo, non mol dire, come
alenili aibrmano, ohe Dante preeaftfiiio ri-
oinft la fine del mondo, ma ohe V età delle
gxmndi Tirtd era paMata per lasdar U campo
a tenpl di corrosione, in meno alla qnale
pochi nomini ai farebbero aalTati: anche qni
fny^mm^^ eebbene indirettamente. Dante non
fa ohe rimproverare all'amanita il ino deca-
dimento morale. — 188. In qael eoe In quel
eeggio ynoto, che ha attirato a tó la tna at-
tenzione perohó lOTra yi iplende nna corona
imperiale, prima che ta mnoia verrà a ledere
lo spirito di Arrigo VII imperatore. « 185.
f rima ecc. prima che ta morendo Tenga a
godere di qaesta beatitadine ; per V espree-
■ioiie ofr. Ar. zzir 1. — 186. 1* alaa eoe
Tanima che in terra larà riveatita della im-
periale dignità. Alla morte di Alberto I (ofr.
/Vy. VI 97), ta tietto imperatore, od fkrore
della corte pontiilcia, Arrigo VII, conte di
Lfttaelbarg (27 noyembre 1808) ; egli prese
in Aqniagrana la corona di re di Germania
(6 gennaio 1800), o sabito renne in Italia
€ per abbattere e gastigare i tiranni che e-
rano per Lombardia e por Toscana » (D. Oom-
pagni, O. in 34). Dante conoepi sabito di
lai le più grandi sperarne, non pare di es-
aere riammesso in patria, ma ch'egli arrebbe
attuato il soo poUtioo aogno di nna monar-
chia oniTersale, e nelle sne epistole latine
lo salato depressore degli empi e restitatore
della ginstlzia, naoro Mosè inviato da Dio a
liberare i popoli : né il sao entosiasmo mo-
vera da sentimenti esclosirameate personali ;
parche qnasi tatti gli esali fiorentini, e di
parte ghibellina e di parte gaelDa bianca, si
troraiono d' aooordo nel rìoonosoere in Arri-
go yn colai che poteva reetitairU non pare
in patria, ma, come allora dioevasi, in baono
stato ; e simili speranze natri nell'Italia sn-
periore e media anche la fendalità di con-
tado oppresia ormiU dalle democrazie coma-
nali. Se non che la spedizione italica di Ar-
rigo Vn ebbe fine infelice, perohó egli, presa
in Roma la corona imperiale (27 giogno 1812),
si logorò in vani sford contro la parte gaeUiav
finché mori improvvisamente a Bnonconvento
(24 agosto 1818). Chi voglia conoscere i fatti
di Arrigo VH, secondo che ftirono apprezzati
dalla parte politica cai Dante aderiva, legga
D. Oompagni, Onm, m 28-86. — 187. a dris-
sart ecc. verrà per rsstaorare in Italia l'or-
dine politioo prima ohe il paese sia a dò
preparato: si otr. la pittore delle condizioni
poUtiche deU' ItaUa di fronte aU'Impero nel
iVy. VI 76; e si avverta che mentre altrove
il poeta dice ohe Arrigo venne troppo tardi
{Firg. vn 97), qni dice che ta troppo presto:
nò v* è contradizione, perché nel primo osso
dichiara tardivi gli sforzi dell'imperatore ri-
spetto alla profondità e immensità dei mali
oh' ei voleva sanare, e qni invece vad dire
che a ana restanrazione si fstta non si era
preparata la via rimovendo le difficoltà se-
condarie che forono d'impedimento all'opera
di Arrigo VIL — 189. La deca eoe La cn-
pldigia sfrenata che vi domina, vi ha resi
simili ai bambiao che eebbene stretto dagli
stimoli della fame allontana da sé la balia;
insomma, per avere libero il campo alle vo-
stre immoderate passioni, non fate baona
accoglienza a chi si presenta come vostro
liberatore. Il rimprovero d rivolto special-
mente alla demooraiia goelCa e alla parte di
Chiesa per l'opposizione fatta all'imperatore,
in partioolar modo ai fiorentini, pi& tenaci
degli altri in tale opposizione. — vi amma-
lia: non già vi afEattnra e qaasi con oocolta
malia vi goasta nell'animo e vi corrompe, ma
pid tosto vi signoreggia per ignota forza;
ofr. Dante stesso, Epùt, xi 5 : « Nec adver-
titis dominantem capidigiam, qoia cocci estis,
venenoso sassarro blandientem, minia frasta-
torìis cohibentem, nec non captivantem vos
in lego peccati ». — 142. 1 fU eco. £ allora
sarà pontefice nn tale. Clemente V (ofr. £%f.
zix 82), ohe con atti palesi e con ocoolti
maneggi si opporrà ai bnoni intendimenti di
836
DIVINA COMMEDIA
144
148
allora tal, ohe palese e ooperto
non anderà oon lui per un cammino.
Ma poco poi sarà da Dio isofferto
nel santo offino; ch*ei sarà detruso
là dove Simon mago ò per suo merto,
e farà quel d' Alagna esser più giuso ».
AfTÌKO Vn (ofr. F», Tm 82). — pnfttt»
&tM, flapiemo modentor» déllm Ohi«ia. — 146.
aa p«M eoo. Ma dopo 1a Boits di Axriso vn,
Cl£i(ii«ato V laià per pooo tollento da Dio
Ti«1 unto ufficio di pontofioe ; inflitti rimpex»-
tore moil U 9A agoeto 181B, • U papa U 1K)
apnle 1314. — 146. el iwà eoo. egU saia
sprofondato nella bolgia dei fimoniad, e spin-
gerà pid in fondo nella buca dei papi il ano
predeceeeore Bonifkcio Vm (ofr. /n/. nz 62
e aegg.). Oon queste paiole di tenibile am-
monimento, ehiude Baatxioe il eoo disoono,
nò più riaoona la eoa voce nel poema di
Danto (ofr. Ar. zzzi 64 e segg.). — 148.
Alaffna: Anagni; cfr. Pwrg, xz 86.
8
CANTO XXXI
Continua Dante a contemplare la rosa dei beati e il movimento degli
angeli con crescente stupore, mentre Beatrice ya ad assidersi al suo scanno
nel terzo giro degli eletti : san Bernardo, mandato a Ini per nltinia guida,
fjtl si manifesta e lo invita a guardare nella parte più alta del cielo la
Ve.rgine ìiaria, che trionfa in mezzo a mille angeli festanti [14 aprile, ore
pomeridiane].
In forma dunque di candida rosa
mi si mostrava la milizia santa,
che nel suo sangue Cristo fece sposa;
ma l'altra, che volando vede e canta
la gloria di colui che la innamora
e la bontà che la fece cotanta,
si come schiera d'api, che s'infiora
una fiata ed ima si ritorna
là dove suo lavoro s'insapora,
nel gran fior discendeva, che s'adorna
di tante foglie, e quindi risaliva
là dove il suo amor sempre soggiorna.
e terra: MiUiia mUlikm 'k^iigr numU %nkr
codum et ttmm, qvaai apet im^oNomm i»i«r
ahearia d flont >. — eke l' USora eoo. che
ora ai posa eoi fiori per eettame il encoo ;
ofr. Virgilio, En, ti 77 : « in pratis ubi ^es
acetato serena Floriboa insidnnt variis ». —
8. ed ina eoo. ed ora ritornano all' alveare,
là ove si converto in miele il fratto del loro
lavoro, il snooo raoootto di sui fiori ; cfr. Vir-
gilio, Qmrtf, XV Ifó : € pniiseima molla Sti-
pant, et liquido dlstondont neetare oellaa ».
— 10. nel gran fier eco. ooei la sohiera de-
gli angeli discendeva gid per la candida rosa,
ohe si spande in foglie innumerevoli, e quindi
risaliva là ove Dio, loro amore, soggioma-
9
12
XXXI 1. la ferma eoo. Le anime dei
bontl, che Oristo conginnae a so versando per
In loio redentione il proprio sangoe, mi ap-
pnrroTO donqne disposto come in nna candida
rij<a di immensa grandezza; secondo la de-
Errldone ohe ò nel Pcar, xzx 100-182. — 8.
rhii nel eco. cfr. il passo dei Fatti degli Jp,
XTi 28 citato in Bit. xi 88. — 4. I* altra eco.
l uttTB milizia, quella degli angeli che volando
coDtflmplano e cantano la gloria di Dio e la
b«»[ità divina che li creò, mi apparve come
uw% E»chiera di api ecc. — 7. eoMe fckiera
e<x\ Venturi 449: e Similitadine, per con-
t'^'tto e melodia di numeri, celestiale. Anche
t ÀEjelmo, dogli angeli dlsoorxenti fra cielo
PARADISO — CANTO XXXI
837
Le facce tutte avean di fiarnma viva,
e Tali d'oro, e l'altro tanto bianeo
15 ohe nulla neve a quel termine arriva.
Quando soendean nel fior, di banco in banco
porgevan della pace e dell'ardore,
18 ch'egli acquista van ventilando il fianco.
Né lo interporsi tra il di sopra e il fiore
di tanta plenitudine volante
21 impediva la vista e lo splendore;
che la luce divina è penetrante
per l'universo, secondo ch'ò degno,
24 si che nulla le puote essere ostante.
Questo sicuro e gaudioso regno,
frequente in gente antica ed in novella,
27 viso ed amore avea tutto ad un segno.
0 trina luce, che in unica stella
scintillando a lor vista si gli appaga,
80 guarda qua giù alla nostra procella.
Se i barbari, venendo di tal plaga.
etenninente. -^ IS. L« f mm eoo. Aloimi de-
^ anttobi oommentttoii ipiegano qieeti tre
ooloxi oome timbolici, dioendo dke U ficmtna
«teo significa l'aidore della carità, l' oro la
gaptenaa, • Il Mcumo la putta ; altri Ti tro-
rano il aimbolo delle tre penone divine. Ha
fone Dante non pento a tatto q^oecto, e in-
teee lolaniente a zappreeentaze qneeti angeli
oome irradiati dai colori più laminosi e pori,
per dare nn' idea della loro bellezxa sopia-
natozale. Nota il Venturi 174 ohe sono e tatto
e tre bibliche le similitodini >, e cita per la
prima Ezeohiel i 18 : e il loro adotto somi-
gliara delle brace di fOoco » ; per la seconda,
Daniele x 5 : « avendo sopra i lombi nna dn-
tora di Uno oro » (ma le ali sono altra cosa);
e per la terza, por Daniele vn 9 : e il suo
vestimento era candido oome neve >. — 14.
Palftro eoe il resto della loro figura era cosi
candido che la neve più paia non arriva a
tal ponto di bianohezsa. — 16. Qaando ecc.
Allorché discendevano nella candida rosa, pas-
sando da nn grado a nn altro oomonicavano
ai beati quella pace e quell'ardore, che essi
acquistavano volando in alto verso Dio. È
si^iUlcato poeticamente il concetto di Tomm.
d' Aqu., Summ^ P. I, qn. ovi, art 4 : « Sanoti
An^li, qui sunt in pienissima partioipatione
divinae bonitatis, qoidquid a Doo perdpiunt,
subiectis impartinntar ». — 18. TSBtilaade
li flanMs toccandosi con le ali il fianco,
doò volando (cfr. Putg, xix 49). Alcuni in-
tendono in questo senso, che gli angoli bat-
tendo verao i beati le aU comunicassero loro
la pace • Fardore; ma tutto il contesto sem-
bra eicludere queste splegaiioae, che presup-
pone un costrutto insolito. — 19. M la In-
terpersl eoe Questo grandissimo numero di
angeli volanti, interponendosi fra il trono di-
vino (cfr. V. 12) e la rosa dei beati, non im-
pediva la viste e lo splendore. — 20. tanta
plenltadine ecc. tante pienesxa, cosi grande
moltitudine di creature angeliche. — 22. che
la laee ecc. perché la luce divina peneta
per ogni parte dell' universo secondo che d*-
scuna è disposte ad accoglierla; cfr. Bit. i
1. — 24. s£ che ecc. di modo che nulla può
esserle d'impedimento. — 25. Qaest* ecc.
Questo regno tranquillo e beato, popolato dai
beati del vecchio e del nuovo testamento,
volgeva a Dio, come ad unico fine, gli sguardi
e gli animL Non è ammissibile la spisgazione,
già note a Benv. e accettete da alcuni mo-
derni, por cui la gente cmUoa « fwotUa sareb-
bero gli angoli e i beati : Dante qui parla di
coloro che sono sparsi nel ngno tioum • ganjh
dioBO, doè nella rosa candida, che sono soli 1
beatL — 28. 0 trina eoo. 0 luce della tri-
nità, luce che risplendendo in nna sola essenza
ai beati li appaghi compiutamente, illumina
il nostro mondo sbattuto da cosi fiere pro-
celle. L'invocarione dantesca sembra essere
una rimembranza di quella di Boezio, Con».
PfuL I 5 : e 0 iam miseras respioe Terras
Quisquis rerum foedera nectis : Operis tanti
pars non vilis Homines quatimur fortunae
sale. Bapidos rector oomprime fluctus Et quo
codum regie immensum Firma stebiUs foe-
dere terras ». — 81. Se 1 barbari eoe Ven-
turi 296 : e Lo stupore va crescendo in propor-
838
DIVINA COMMEDIA
che ciascun giorno d'Elice si copra,
83 rotante col suo figlio end* eli' ò vaga,
vedendo Roma e l'ardua sua opra
stupefEkcènsiy quando Laterano
86 alle cose mortali andò di sopra;
io, che al divino dall'umano,
all'eterno dal tempo era venuto,
89 e di Fiorenza in popol giusto e sano,
di che stupor dovea esser compiuto!
. Certo tra esso e il gaudio mi facea
42 libito il non udire e starmi muto.
E quasi peregrin, che si ricrea
nel tempio del suo vóto riguardando
45 e spera già ridir com'ello stea,
si per la viva luce passeggiando,
menava io gli occhi per li gradi,
48 mo su, mo giù e mo ricirculando.
Yedea di carità visi suadi,
tioiw dell'oggetto mumTiglioto ond'è mono,
n montanaro si torba e ammntiBoo, entrando
in una città qnalonqne [Any. zzri 671. Più
dorerano ximanere attoniti i Barban dri
Settentrione in vedere la prima yolta quella
Boma, di coi Virgilio stesso esdamò: SoiUod
et rmvm faeta est piMurrima Boma (Oeorg,
II 684). Ora, quanto piti di tutti il nostro
poeta, venuto dal soggiorno degli uomini a
quel de' beati, e dal tempo all' eternità I EgU
chiamò stupido il montanaro, perché tale e*
diviene per povertà di cultura e inerzia d' in-
toilette ; chiama stupefcUH i Barbari, perché
la stupefazione esprime impressione più pro-
lungata deUo stupora; e dice sé eompùtio di
Btuporey dod di quello eh' è proprio soltanto
dell'ammirazione intelligente ». — leaeBdo
eoo. venendo da quei paesi settentrionali,
sui quali ruotano sempro Elice e Boote, cioè
la costellazione dell' Orsa maggiore. La ninfa
Elice e il figliuolo, convertiti da Diana in
un'orsa e in un orsatto (ofir. Any. zzv 181),
forono da Qiove collocati in cielo e trasfor-
mati in costellazione. — Si. Pardaa eco. i
suoi eccelsi monumenti. — 86. quando eco.
allorquando la potenza romana (designata per
Laterano, sede imperiale e poi dei pontefici)
superò tutte le cose mortali ; cfr. Virgilio,
En. vm 99 : < teota... quae nunc romana po-
tentia coelo Aequavit » : su questi versi si
veda A. Monti, Danie a Roma, pp. 7 segg.
— 87. che al dlrlno ecc. che ero passato
dal vivere umano al divino, dal mondo tem-
porale al mondo etemo, dalla mia patria piena
di malvagi cittadini alla cittadinanza giusta
e santa dei beati. — 89. e di Fierezza ecc.
Anche in delo Dante sente il disprezzo dei
viziosi oondttadini (otr, iVy. vi 149 e legg.).
Lana: e Da quella dttà dov'è più briga, tri-
boli e odi, di* è Firenze, a quella tanta !•-
rusalem celeste, dov* è la gloria e allegrena ».
40. di thè eco. di quale ammirazione dorerà
io ossero ripieno : « ma la parola dantesca,
nota 11 Ventori 296, oompròi^e un concetto
di sovrabbondanza e fors' anco di perfMone ».
— 41. Certo ecc. l'ammirazione e l'aDegrena
mi facevano piacere il non ascoltare e il non
parlare. Tra tante meraviglie e allegrene
Dante non ascoltava più nulla e restava muto,
tutto assorto nella oontemplazione, di coi
paria nd versi seguenti. — 42. libito: quello
che piace; cf^. Inf. v 66. — 43. E «assi eoo.
Alla ammirazione succede la euriodtà e il
desiderio d' imprimerd ben nella mente tutte
quelle meraviglie; e la dmilitudine, ohe è
quad un' esplicazione della precedente, di-
pinge efficacemente lo stato di Dante. — che
si rleres ecc. giunto finalmente al tempio,
che è termine dd suo pellegrinaggio, d con-
sola contemplandone le belletze e spera di
poter al ritorno deacrivere d sud le cose ve-
dute ecc. — 46. b( per la viva eoe. ood gi-
rando lo sguardo per la rosa luminosa lo lo
posava su per i vari gradi, ora in alto, ora
in basso, ora all' intomo. — 48. rlelreslande :
Ventari 299: «ampia parola ohe dipinge;
Virgilio, di Enea : Miratur, faeiie&qm oouios
fert omnia cireum,., eapOurg^ toois, si sit^ula
lastus ExquirU {En, vm 810); altrove, e con
suono imitativo più spiccato : OeuHs Pkrygia
agnina dmurnspeteU (En. n 66) ». — 49. Te-
dea eoo. Vedeva volti dipinti di fiarvida ca-
rità, illuminati dalla luce divina e dd loro
proprio f^ilgore, e atteggiamenti d'onesta do-
PARADISO - CANTO XXXI
839
d'altrui lume fregiati e del suo riso,
51 ed atti ornati di tutte onestadL
La forma general di paradiso
già tutta mio sguardo avea compresa,
54 e in nulla parte ancor fermato il viso;
e Yolgeami con voglia riaccesa
per domandar la mia donna di cose,
57 di che la mente mia era sospesa.
Uno intendea, ed altro mi rispose;
credea veder Beatrice, e vidi un sene
60 vestito con le genti gloriose.
Diffuso era per gli occhi e per le gene
di benigna letizia, in atto pio.
eenzA. — 41 «urltà... niadl : Danto dal rb.
Mmdtn traaia quatto participio, con ilgni-
fioadona alquanto nmota da qnaDa dal rb*
•toaao, ma che pw il può apiegaie : il Tolto
doli* aomo B'atto(n;la in detorminati modi so-
oondo i iontimonti cho ag:itanQ l'animo, che
qnaai lo eooitono, lo pennadono ad atto^ani
ood ; perd i viai mudi di carità sono 1 volti
tal qnali la carità appaio. — 60. del ivo rito:
del ftilgoie proprio delle anime beato (ofr.
Par, iz 70 e segg.). — 61. «ttl eoo. atti di
qnrìla decorosa oompostesza, ohe rivola gli
animi onesti: nn esempio di cotali atteggi*-
menti sarà descritto in Piar, zxxii 183-186.
— 63. La fofHA f eneral eco. H mio sgoar-
do aveva già percepito nel suo complesso il
generale aspetto del paradiso, e non si era
fermato ancora sopra alcuna parto con spe-
ciale considerazione, s'era limitoto insomma
a nn* occhiato generale percorrendo da ogni
parto l' immenso quadro che mi appariva in-
nanzi : ofr. VT. 46-48. — 64. o im nnlla
eco. n viso è la iSuK)ltà del vedere, la visto
(ofir. Inf, IV 11); lo agtuirdo o sgnardare d
l'atto del vedere : perciò Danto dice che lo
wguardo non aveva firmato il viso^ cioè che
il ano oontomplare non aveva fissati gli occhi
eoe, aebbene l'azione del fsrmau il viso mo-
gUo si riporti all' nomo che goarda, che al-
l'atto del guardare di cui non è cho un modo.
— 66. 0 TOlgeaml ecc. con nuovo dedderìo
mi rivolgeva per intorrogare Beatrice intomo
a cose che tenevano dubbiosa la mia mento:
riaeeeta è la voglia di Danto, perché a suo
desiderio di sapere (cft. Par, zzx 127), che
1a donna aveva sodisfatto con una risposto
già udito {Par, xxx 128 e segg.), era risorto
dopo lo stupore, perché il poeto avrebbe vo-
luto una più diffusa dichiarazione dello spet-
tacolo apparsogli. — 66. di cote ecc. Le cose,
di Otti Danto era preoccupato e desiderava
oonoecere il vero, erano quelle intomo alle
quali gli parlò poi san Bomardo. — 68. Uno
•co. Io credeva di veder Beatrice e rivolen-
domi vidi altra persona eoo. Abbiamo qui una
certo oonformità con la eepararione avvenuto
nel paradiso teirsstre Ara Virgilio e Danto
(cfr. Pitrg, zzx 48 e segg.), e oome quella
separazione significa il suooedere della sdonza
divina alla scienza umana, della fede alla ra-
gione, cosi qui l'apparire del vecchio vene-
rando che sostituirà Beatrice neU' offloio di
guida significa che per elevarsi alla visione
beatifica della Trinità l' uomo per mezzo della
oontomplazione deve ottonerò la grazia di
vedere ciò che non può essere inteso per mezzo
delle scritture : e simbolo della oontompla-
zione è appunto san Bernardo, il quale ot-
tiene da Maria Vergine la grazia ohe rende
capaoe Danto di vedere il mistero della Tri-
nità. — mi rispose: non deve intondecsi
detto rispetto alle parole che or seguiranno
di san Bernardo, ma al fatto della sua appa-
ririone ; e perdo significa mi accadde, mi av-
venne. "^ 69. «■ iene: questo vecchio ve-
nerando (cfr. V. 94) è san Bernardo, n dot-
tore contomplanto, n. a Fontaines nella Bor-
gogna nel 1091, entrato monaco al convento
cistordense di Gteauz nel 1118 e poi abato
di Clairvauz nella Champagne, m. nel 1168;
il quale lasdò opere ascetiche ohe Danto sto-
dio (cfir. Episl. z 28) e fu in singoiar modo
divoto della Vergine Maria, onde fu santifi-
catoe detto ahtmnu» famiUariasknuB DomimM
iVosfrod (Pietro Oellense, EpitL vi 28): cfr.
Bollandlstl, Aeta sanet, 20 Augusti ; Morison,
Lif9 and Hme* of t. Bernard, Londra, 1868 ;
le sue opere pubblicato dal Habillon, Parigi,
1667. — 60. TSiUto ecc. vestito anch'agli di
bianca stola, come totti gli altri beati (ofr.
Par, zzz 129): per il costratto ofr. Àify.
XXIX 146. — 61. Diffuso ecc. B suo volto
era piamento attoggiato a benigna letizia, qnal
si conviene a un padre amoroeo. La dmili-
tudine è sorella di quella del Purg, i 81 e
segg., ma paragonandole si vede, noto il Ven-
turi 201, che in paradiso la riverenza si cam-
bia in letizia, e totto spira serenità di volto
840
DIVINA COMMEDIA
63
66
72
75
quale a tenero padre si conviene.
Ed: € Ella oy*è?» di sùbito diss'io;
ond' egli : € A terminar lo tuo disiro
mosse Beatrice me del loco mio;
e se riguardi su nel terzo giro
del sommo grado, tu la rivedrai
nel trono cHe i suoi morti le sortirò ».
Senza risponder gli occhi su levai,
e vidi lei che si ^Eusea corona,
riflettendo da sé gli etemi rai.
Da quella region, che più su tuona,
occhio mortale alcun tanto non dista,
qualunque in mare più giù s'abbandona,
quanto li da Beatrice la mia vista;
epUteneroBad'Amoxe. ~ gtie : gote, gnan-
00 ; UtlBismo insolito. — 64. ElU «l'èf eoo.
Dante volgendoli ■* accorge di non arere pid
allato la ma dolce goida, e snliito domanda
ore aAs na ; e dice $Ua^ non il nome della
soa donna, perchó in questa astiazlone dal
nome è signifioato pid potentemente l'affetto
che gli fece chieder di lei. — 66. À Urml-
■ar ecc. Beatrice mi fece mnorere dal mio
scanno perché il tuo desiderio fosse compiuto;
si arrerta bene il signifioato di qneste parole,
che non d : affinché io compiessi il tao desi-
derio', ma affinché potesse essere sodisfatto
il tao Toto, si compiesse il tao cammino Terso
la divinità; oome del resto appare dal con-
fronto coi 7T. 94-96. ~ 66. mosse ecc. cfr.,
per il senso del vb. nmovtn, Btr. xxn 118.
~ 67. e se rlgnardl eoe e se ta rigaardi
sa nel terso giro della celeste rosa, la rive-
drai nel seggio che i soci meriti le destina-
rono. Beatrice è dal poeta oollocata nel terzo
giro, a cominciare dal sommo, forse non senza
un ricordo della giovenile imaginazione, per
cai la soa donna gli appariva oome « ano mi-
racolo, la oai radice è solamente la mirabile
Trìnitado > (F. N, znx 20) : ma anche può
essere ch'ei la collocasse nel terzo giro per
una specie di riguardo a Maria Vergine col-
locata nel primo e ad Eva posta nel secondo:
circa la compagnia di Beatrice nel terzo giro
cfr. Par, xzxn 7 e eegg. ~ 68. del somMo
grade: a cominciare dal grado pid alto. —
69. le sortirò: cfr. Par, xvm 106. — 70.
8easa ecc. Dante non risponde alle parole
di san Bernardo, perché troppo gli preme di
vedere Beatrice nella pienezza della sua glo-
ria, assisa sopra lo scanno di beatitadine, e
di ringraziarla di dò ch'ella ha fatto per lui.
— 71. e vidi ecc. e la vidi beata, la vidi che
rifletteva da sé i raggi divini ohe le facevano
corona. Questa imagine della oorona luminosa
a signiilcare la beatitudine Dante potè tzo- .
vaie in Tomm. d*Aqu., Amimi. P. m, sup-
pL, qu. zovi, art 1 : € Praemium ewentisle
hominis, quod est elus beatitudo, oonilsttt in
perfeota ooniunotlone animae ad Deam, in
quantum eo perfeote froitur ut viso et amato
perfécte. Hoc autem praemium metaphorioo
corona didtnr... Corona autem set proprium
signum regiae potostatìs; et eadem ratione
praemium accidentale, quod essentlali addi-
tur, ooronae rationem habet Slgnlflcat etlam
corona perfectionem quamdam, ratione flgii-
rae drcnlaris, ut ex hoc etiam peifeetioni
competat beatorum >. — 78. Da f ueDa eoe.
Alcun occhio mortale, n quale miri dalle magw
glori profondità del mare, non dista tanto
dalla parte più alta dell'atmosfeea tanestre,
quanto la mia vista era distante da Bea^loe.
Per esprimere V idea della sablimità, non pur
dello scanno di Beatrice, ma di tutta la ce-
leste rosa, il poeta ricorre a una similitudine
grandiosa dicendo che nessun occhio mortale,
guardasse pur esso, non dalla superflcie t«r>
restre, ma dalla pid profonda voragine del
mare, sarebbe tanto lontano dall'estrema re-
gione dei tuoni, quanto ecc. — ehe pltf tm
tuena : che pid in alto rumoreggia dei tuoni,
che vi si formano. — 75. fialuao* wo-
Vuole il Lomb. che qui € intendasi la pce-
posirione in posta nel mezzo, invece di essere
anteposta, ad imitazione cioè di quelle latine
twd kaeinurbét t&rikm iumoimi^ gnociiwi
qut in mali » ; ma questo latinismo lintattioo
non è conforme ali* uso dantesco : meglio sin-
tenda quahtnqu» oome un pronome relativo
(qual mai come ^uonftmgus, quanto mai, cfr.
Inf, V 12) includente l'idea d'indetermina-
tezza, e riconnettendolo con oeeMo mortak
ecc. si spieghi : occhio mortale, il quale mai
si sprofondi di pid negli abissi del mare. —
76. qaamte eoo. quanto tt, nel paradiso, U
PARADISO - CANTO XXXI
841
ma nulla mi fi&oea, obé sua effige
78 non discendeva a me per mezso mista.
€ O donna, in cui la mia speransa vige
e che soffiristi per la mia salute
81 in inferno lasciar le tue vestige;
di tante cose, quante io ho vedute,
dal tuo potere e dalla tua bontate
84 riconosco la grasia e la virtute.
Tu m*hai di servo tratto a libertade
per tutte quelle vie, per tutti i modi,
87 che di ciò fare avéi la potestate.
La tua magnificenza in me custodi
si ohe l'anima mia, che fatta hai sana,
90 piacente a te dal corpo si disnodi ».
Ck>8i orai; ed ella si lontana,
come parca, sorrise e rignardommi;
98 poi si tornò all'eterna fontana.
■la Ttela «m bntena da Beatrice, assisa nel
terzo flio delia iosa. — 77. aa siila eoe.
ma questa Immensa distanza non aveva aloan
effètto fisico, perché la sembianza di Beatrice
perrenira ai miei occhi immediatamente : la
ragione l'ha già detta in Ar. zzk 121-128.
— 78. per Messo mlsUi attenuata o alte-
rata dal mezzo fisico, attrarerso al qnale snlla
terra nd Tediamo le coee. — 79. 0 donaa
eoe O Beatrice, in oni è fondata la mia spe-
ranza e che per la mia salrezza non disde-
gnasti di scendere nelle regioni infernali, di
tatto quello ch'io ho yeduto nel mio riaggio
riconosco la grazia o la capacità dal tuo po-
tare e dalla tua bontà. — 80. seflHstl ecc.
Accenna alla discesa di Beatrice al limbo per
muoveie Virgilio in aiuto di Dante (ihf. n
62 e segg.); discesa già ricordata da Beatrice
stessa nel paradiso terrestre, come necessa-
ria alla salrezza di Dante {I^try, xxx 186-
141). — 82. fuante lo he Tedile: in tutto
Il mio Tiaggio por 1 tre regni etemi, non già
nai solo paradiso. — 85. Ti m* hai ecc. Tu
mi hai tratto dalla schiaTitd del peccato alla
libertà dello spirito (ofir. I\iiy, 1 71). Intorno
a ciò ascoltisi la parola di Tomm. d'Aqu.,
Summ, P. n 2>*, qu. oLxxzm, art 4 « Iuto-
nitur in rebus spiritnalibus duplex serritus
0t duplex nbertas: una quidam est serritus
peccati ; altera Toro est serTitus iustìtiae. Si-
mHiter etiam est duplex libertas : una qui-
dam a peccato ; alia Tero a iustitia, ut patet
per Apostolum, qui didt ad Rem. ti 20 : Oum
fMffid vero Ubirati a peeeatOt mni etti» facH
Duo. Est autem serritus peccati Tel lustitiae,
enm aliquis Tel ex habitu peccati ad malum
locUnatur rei ex habitu institiae Indinatur
ad bonum : simOiter etiam Ubertas a peccato
est, enm aliquis ab indinationo peccati non
siqperatnr : libertas autem a iustitia est, cum
aUquis propter amorem lustitiae non retar-
datur a malo. Verumtamen quia homo secun-
dnm naturalem ratìonem ad instltiam indina-
tur, peccatnm autem est centra naturalem
rationem, oonsequens est quod Ub$rUu a fso-
tato tU vera Ubertat^ quae coniungitnr serTi-
tuti lustitiae, quia per utrumque tendit homo
in id quod est conToniens dbi; et similiter
vera mrvUua «rf Bervttiu peeeoH^ cui coniun*
gitur libertas a iustitia, quia sdlicet per hoo
homo impeditur ab eo quod est proprium si*
bi ». — 86. per tutte eoo. per tutte quelle
Tio e per tutti quel modi, che tu utotI fit-
ooltà di usare a questo fine. — 88. La tua
magnifieeasa ecc. Custodisci, conserra In
me il grandissimo dono che tu m' hai fktto,
doè la UbertaU ddlo spirito, di modo che l'a-
nima mia cosi purificata da te si disdolga dal
corpo senza arertl dispiadnto, senza aTor per-
duta la grazia diTina conseguita col tuo aiuto.
— 90. flaeeate ecc. nella steesa oondirione
di grazia In cui essa è ora, senza essere ri-
caduta in peccato. — 91. Oeef ecc. Con que-
ste parole ringraziai Beatrice • la pregai di
conserTarmi neDa grazia diTina; ed ella, cosi
da lontano come mi appariTa, mi sorrise e ri-
guardò, dandomi un tadto eegno die la mia
preghiera sarebbe stata esaudita. — tf !•■•
tana ecc. ofir. tt. 78-76. — 98. poi si tentò
eoe poi d Tolse a Dio, fonte della sua beati-
tudine. — eterna fontana i ò imagine bibli-
ca, p. es. 8ahn, xxxti 9 : cappe te ò lafbnte
della Tita, e per la tua luce noi Tediamo la
luce > ; leremia xTn 13 : « la fonte delle ac-
que tìto, il Signore » ; cfr. anche Bir, xx
842
DIVINA COMMEDIA
E il santo sene : < Acciò che tu assommi
perfettamente, disse, il tuo cammino,
96 a che prego ed amor santo mandommi,
vola con gli occhi per questo giardino;
che veder lui t'acconcerà lo sguardo
99 più al montar per lo raggio divino.
E la regina del cielo, ond' i' ardo
tutto d'amor, ne faxk ogni grazia,
102 però ch'io sono il suo fedel Bernardo >.
Quale ò colui, che forse di Croazia
viene a veder la Veronica nostra,
105 che per l'antica fama non si sazia,
IIS. ^ 94. I 11 luto eoo. San Bernardo
riprende al momento opportono s parlate, per
oonléitaie Dante a fortìlfloar lo ^Irlto nella
Tiiione àtH paradioo e per aMlonrailo ohe la
Volgine MarU gii laià larga della ma fraiia.
— Aeeiò ehe eoo. Affinché tn poaM oompiere
perfettamente il tao cammino, afflnohó la ele-
Tadone dell'anima toa a Dio aia perfetta eco.
Si aTTorta la conformità di espreeaione tra
qneeto paaao e qoeUo del iWy. xxi 112, ore
anche il Th. attomman ha il senso di oon-
dure a termine, compire. — 96. a ehe eco.
al qnal fine io taà mandato da Beatrice eco.
Qoalohe difficoltà ofErono le parole prtgo «d
amor santo : la preghiera che mosso Bernardo
fa oerto quella di Beatrice (cfr. t. 66); ma
roMor mmto pad intendersi si per l'aiEétto di
lei Terso Dante che la mosse a parlare a Ber-
nardo, come a Virgilio (cft. /n/1 n 72), e si
per Taidente carità dei santo dottore che ac-
colse la preghiera : la prima interpratasione
sembra da preferire, perché forse Bernardo
non arrebbe chiamato tanto an aibtto sao
proprio, e perché la carità della qnale egli
arderà è accennata sabito dopo {Tf, 100-101\
— 97. ToU eoe contìnoa a contemplare la
rosa coleste, il coro dei beati (ofr. Bar, xxiii
71), perché tale contemplazione renderà ca-
pace il tao sgoardo di ascendere sempre piò
alto nella risione dirina. — 96. t'aeeoneerài
V nso del vb. aceonùiar» nel senso di render
acconcio, idoneo dovoTa sembrare singolare
anche agli antichi; onde Tennero in qaesto
verso le lezioni f aeoenderàj famtirà, che sono
manifèsto emendazioni di ohi non intese il
Benso della parola dantesca. — 99. fltf al
montar ecc. Batl : e a montar piò soso per
lo raggio dhrino, cioè per la grazia divina,
che non è altro che ano raggio della saa di-
vinità, che raggia nelle sae creatore ». —
100. E la regina ecc. S la Vergine Maria,
per la qnale io ardo tatto d'amore, ci farà
ogni grazia, perché lo sono il sao dlvotiasimo
Bernardo. — 102. 11 suo fede! ecc. Bernardo
di Clairvaox ebbe una singolarissima divo-
zione per la Vergine Maria, oomo appare da
tatti I iool scritti. " 108. QwJe eeo. Per
dait VA* idea deOa tenersoa proTata aUonM
san Bernardo gli ri riTélò tatto aideoto di
carità, Danto ri Tale dionarimlUtadlnesta-
penda tetta da an btto deroto, cornane al
sool tmpl, cioè dall' estaticaocntemplarione
che I pellegrini Tenatl dalle piti lontane parti
del mondo cristiano fkoerano della Imagine
di Cristo Impressa nel sndario ooosenrato a
Boma nella barilica di San Pietro. — ferae
di CreazU i da an paese lontano, tn genere ,
ma il form cosi ben collocato & sentii qoari
1 dissgi e le &tlohe del tengo pellogilnaggio,
al qnale è fine la oontomplarione di tante
reliqnia. — 104. Tiene ecc. La nostra Taro-
nioa (twa imagine) è la prsriosa reliqnia del
Telo, che, secondo la leggenda cristiana, nna
santo Veronica aTrebbe preeteto a Geed sella
Tia del Calvario e riaTato poi da lai stesso
con r impronte del santo Tolto (cfr. BoUan-
distl, Ada Sandonmy lébraftfii, toL 1^ pp.
449-467; Doahet, PiofioM. det légmdmduOiri'
ttian,, pp. 1202 e segg.). Le doTorioni per
qneste imagine dnrarono TiTisrime te Boma
per tatto il mediooTo, e Ti accorreTano no-
merori i pellegrini dalle terre pid lontano,
speclalmento per le festo del gennaio e delte
settimana santa. Qaesto abitoale ooncono dei
pellegrini per te Veronica è •^v^nw^tn da
Danto anche neUa T. ^. xl 1: « te qael
tempo ohe molte gento Ta per Todere qoeUa
Imagine benedetta, te qnale Gesù Cristo la-
sdd a noi per esemplo de te saa bellissima
Agora» ; e dal Petrarca nel son«XTi: «Mo-
tosi il Tocchierel canato e bianco... E Tiene
a Boma, segoendo '1 desio, Per mirar te sem-
blania di colai Che ancor là so nel del Te-
derò spera >: notoToli osson sifoni oompara-
tlTO sopra I Torri di Danto e quelli dri Pe-
trarca te F. C. Pellegrini, JShmtnU di ìttU-
raturOf LiTomo 1896, pp. 210 e segg. — 105.
che per l'antica eoo. il qnale non ri saste
di contemplarte, cori tìto deriderio è stato
acceso m lui dall' aTome sentito parlar tanto
PABADISO - CANTO XXXI
843
ma dice nel pensier, fin che si mostra:
€ Signor mio Gesù Cristo, Dio verace,
106 or fu si fatta la sembianza vostra ? »
tale era io mirando la vivace
carità di colui, che in questo mondo,
111 contemplando, gustò di quella pace.
€ Figliuol di grazia, questo esser giocondo,
cominciò egli, non ti sarà noto
114 tenendo gli occhi pur qua giù. al fondo;
ma guarda 1 cerchi fino al più remoto,
tanto che veggi seder la regina,
117 cui questo regno è suddito e devoto ».
Io levai gli occhi ; e come da mattina
le parti orientai dell'orizzonte
120 soperchian quella dove il sol declina,
cosi, quasi di valle andando a monte.
sin da fknclallo : la fiuna ò detta ùnHea ri-
spetto al desiderio del pellegrino, non rispet-
to al principiare delle derozloni per la Ve-
roniea. — 106. ma dice eoo. ma per tatto
il tempo che V imagine santa gli resta espo-
sta, gli è mostrata, pensa con istnpore ohe
quella ohe ha innanri fa proprio la sembian-
sa di 0eeó Cristo. — 107. Signor ecc. La
forma InterrogatiTa ^1 non esprime dabbiez-
xa, ma è on particolare atteggiarsi dell' e-
sdamaxione, come se dicesse : Dnnqne, o Si-
gnor mio, io sono proprio innanri alla vera
imagine del rostro Tolto I Finalmente si è
adempinto il mio voto di vedere la sembianza
diTina I — 109. tale era eco. nella stessa
condizione di stupore e di riverenza mi tro-
vava io mirando l'aspetto lérvente di carità
di qnel santo nomo, ohe già nel mondo pre-
gustò nella contemplazione le dolcezze della
oeleets beatitadine. — 111. esaUmplande
000. Fra i molti passi delle opere di san Ber-
nardo, ohe si potrebbero citare a dichiara-
zione di questo verso, basti il seguente delle
ModitaHon, piiss., cap. i : e Patrem et Filium
oom Sancto Spiritn oognosoere, vita est ae-
tema, beatitndo perfeota, somma voluptas.
Ocolus non vidlt, neo anris audivit, neo in
oor hominis asoendit quanta daritas, quanta
snavitas, et quanta iuounditas maneat nos in
Illa visione, quando Deum fade ad fàdem
videbimus: qui sst lux illuminatorum, requles
exerdtatomm, patria redenntìum, vita viven-
ttuA, corona vinoentium. Ita in mente mea
quamdam imaginem illins summae Trinita-
tìs invenio: ad quam summam Trìnitatem
zeoolendam, inspldendam et diligendam, ut
«Ins recorder, ea delecter, et eam complectar
et oontempler, totnm id quod vivo, debeo re-
, ~ 112, Figlino! eco. 0 uomo rige-
nerato daOa gnria divina, tu non potrai oo-
nosoers compiutamente questo stato di beati-
tudine, ss tieni gli occhi volti solamente ai
giri infìniori di questa rosa oeleste. — 116.
mtk giarda eoo. ma eleva i tud occhi su per
tutti i giri sino al piò lontano, al più alto,
tanto che tu vegga seduta sopra il suo trono
la Vergine Maria, regina dd deli, alla quale
tutti i beati di questo regno sono sudati e
devotL — 118. Io levai eoo. Innalzando lo
sguardo all'ultimo giro Dante vede in una
vivida luce in mezzo alla moltitudine dello
angeliche eraature sorridere una bellezza ohe
riempie di gioia tutti i beat!, vede la Beata
Vergine, e a descriverla dice di sentirsi in-
capace. Pur lo spettacolo novisdmo d da lui
rappresentato compiutamente, per quanto è
dato alla parola umana di rendere 1* idea delle
cose divin'è : le similitndlni e le imagini che
s* intrecdano in questa descrizione sono come
r ultimo sforzo ohe il poeta fa per costringore
l'arte sua a significalo gli altissimi oonoetti
della sua mente, e sono tali da dipingere agli
occhi nostri, se non la inooncepibilo realtà
del mondo divino, almeno quella idea che
Dante se n'era formata nella fervidissima
fantasia. — eome da mattina eoo. come sul
mattino la parte orientale dell'orizzonte d più
illuminata della parte ocddentale, cosi un
punto del giro estremo, quello corrispondente
al seggio di Maria, vinceva di lume tutti gli
altri punti del giro stesso. — 121. quasi di
valle ecc. innalzando gli occhi, andando con
lo sguardo dal fondo della rosa (v. 114) al
cerchio più rtmoto (v. 116). Venturi 3 : « Com-
parazione inclusa. Qui Dante monta in su con
gli occhi, come pochi verd prima dice che
andava con esd fwr ìa viva htee passegfiando.
In lui sensi ed affètti si vestono di forme
844
DIVINA COIOCEDIA
con gli ocohi vidi parte nello estremo
123 vincer di lame tutta 1* altra fronte:
e come quivi, ove s'aspetta il temo
che mal guidò FetontOi più s'Infiamma,
1^6 e quinci e quindi il lume è fatto scemo;
cosi quella pacifica oriafiamma
nel messo s'avvivava, e d'ogni parte
129 per egual modo allentava la fiamma.
Ed a quel mezzo, con le penne sparte,
vidi più di mille angeli festanti,
182 ciascun distinto e di fulgore e d'arte.
Vidi quivi ai lor giochi ed ai lor canti
ridere una bellezza, che letizia
185 era negli occhi a tutti gli altri santL
E s'io avessi in dir tanta divizia,
quanto ad imaginar, non ardirei
188 lo minimo tentar di sua delizia.
Bernardo, come vide gli occhi miei
nel caldo suo calor fìssi ed attenti,
li suoi con tanto affetto volse a lei
TÌT9; e gli oggetti estarni il mvorono in amo-
roMOonovrtoooU* Anima sua >• —122. farfte:
un ponto. — 12A. e «ome flirt eoe. e come
nelià parto oriantola dell' orizionto, dalla quale
il loie Ito per locgere, più riva è la Inoe ohe
àx xm lato e dall' altzo ▼» diminnendo eoi
creeoere della diitania, ooif lo splendore di
Maria era Tiviieimo nel meno, e d'ogni parto
s'andava froendo meno intenso di mano in
mano ohe oreioeTa la lontananza. — s'aipetta
eoe. li eletto ohe spunti il sole, ohe Tenga
foori il timone del oaxro solarli ohe Fetonte
non seppe guidare. — tome t cfr. iVy. zxn
119. — 126. mal f«idò eoo. cfr. Bif. zvn
106, iVy. IT 72. — 126. è fatto leemei d
diminuito d'intensità, appare meno vivido.
— 127. f nella paelflea eoo. h*orifiaimima o
oriafiamma (lat. aurta fiamma, frano, ort-
fiammà) è l'antioo stendardo dei re di Fran-
cia (la sua origine risale allo stendardo rosso
dato da Cristo a Oarlomagno per segno della
podestà imperiale, secondo le rapprssentaxioni
figurato nei musaici lateranensi, ofr. Q. Dee-
jardins, Iìtek§nhéi wm bs énftanui fnmfai»,
pp. 1 segg.), -e sembra ohe Danto abbia usato
metaftuicamento questo Tooe a indicare il
cerchio risplendente, pensando al colore dello
stendardo ohe era flammanto e dell'aste che
ora dorata, temperando l'espressione oon l'e-
piteto di pacifica. Vuol dirs adunque ohe il
supremo giro splendidamento flammeggianto
si mostrava più luminoso nel meizo eoo. —
129. allentova eoo. diminuiva d'intensità.
— 130. Ed a quel Messo eoo. E intomo a
quel punto più luminoso, cioè intomo al seg-
gio della Vergine Maria, vidi più di mille an-
geli ohe volando f!soevano feste alla madre
di Dio, oiasonno risplendendo variamente •
diversamente morendosL — 182. eiasenn eoe
ciascuno degli angoli oon la diversità dello
splendore dimostrava il diverso grado della
sua carità o del suo amore, e oon la diveiw
sita del movimento quella della letixia. —
arto : ha anche il senso di operadone, atto,
e nel caso di angeli ohe operavano la lor fe-
ste volando, lignifloa movimenti : cfr. la noto
al iVy. zzvm 18. — 183. Tldl f alvi ecc.
Guardando in quel punto vidi ohe alla feste
e al canto degli angeli sorrideva una bel-
lezza, ohe rallegrava di so tatti gli altri bea-
ti: è la bellezza deUa Vergine Maria. —
gioehl: cfr. Par. xx 117. — 186. s'ie avesai
eoo. se io avessi tante riccheoa di paroU
quante d la potenza della fantasia, non ar-
direi di provarmi a descrivere pur la minima
rrte della deliziosa bolleiza della Vergine,
il solito pensiero, che le oose divine tra-
scendono le facoltà umane, signilloato oon
espressioni d'amorosa vaghezza. — 189. Ber-
nardo eco. Come san Bernardo vide oh' io
fissava attentemente lo «guardo in quella calda
fiamma ond'egli ardeva, volse i suoi occhi
alla Vergine con tanto affètto ohe m' infsr-
vorò sempre più a oontomplaria. — 140. ealdo
ma ealor : il cahn d Maria Vergine, detto
$uo, rispetto a san Bernardo, parchi egli li
PARADISO - CANTO XXXI 845
142 che i miei di rimirar fé' più ardenti.
•X» professato ordmUe tutto d'amor» por la eoe. ohe l'esempio della sua fervida oontom-
madie di Dio (cfr. r. 100). — 142. eke 1 miti pladone accrebbe l'ardore della mia.
CANTO xxxn
San Bernardo dimostra a Dante come sieno disposti i beati nella rosa
celeste, toccando a proposito dei pargoli beati il problema della predesti-
nazione ; poi lo Invita a mirare nel volto di Maria Tergine, in cni s* acco-
glie tutta la divina allegrezza; gli addita in nn angelo che canta TAve
Maria Tareangelo Gabriele ; e dopo avergli indicati più altri beati, gli dice
di prepararsi a rivolgere nna preghiera alla madre di Dio (U aprile, ore
pomeridiane].
Affetto al suo piacer, quel contemplante
libero ufficio di dottore assunse,
8 e cominciò queste parole sante:
€ La piaga, che Maria richiuse ed unse,
quella cH' è tanto bella da' suoi piedi
6 è colei che l'aperse e che la punse.
Nell'ordine, che fanno i terzi sedi,
siede Eachei di sotto da costei
9 con Beatrice, si come tu vedi.
Sara, Bebecca, Giuditta e colei
XXYTT 1. AfliBCto eoo. Rimanendo volto di fronte, doò alla sinistra di san Giovanni
con lo sgfoardo nella Vergine, ohe è oggetto Battista siede sant' Anna, e alla destra Ln-
del soo amore, il contemplante Bernardo as- da : dal mezzo in gid i seggi sono tutti co-
sarne, senza altr' invito, l' ofBdo di dimo- capati dai pargoli beatt — 4. ìia |4ags ecc.
strare a Dante la oompodzione della rosa ce- Colei che tanto bella siede ai piedi di Maria
leste. — 2. «melo di dottore : l' ofBdo di ò Eva, la qoale fa prima origine di quel
ammaestrarmL — 8. eomiaelò eco. Da tatto peccato da che la Vergine per mento del
il discorso di san Bernardo risalta che Dante figlio redense V nomo. Lomb. : e È colei la
Imaginava la disposizione dei beati ndla mi- prima donna, la qaale, disabbidendo essa a
stica rosa in questa guisa: nel mezzo del Dio, apri, e rendendo seco disubbidiente
'più alto gradino è collocata la Vergine, e Adamo, inaspri quella ferita fatta all' uman
sotto a Id, ciftscnna nel gradino via via di- genere, òhe Maria Vergine, col dame dalle
scendente, Eva, Rachele, Sara, Rebeoca, Rut castissime sue viscere il Redentore sanò e
e altre donne Ebree; di modo ohe formano medicò. lUa perousaU, ista aanavUy dice an-
co! loro seggi una linea discendente a guisa di che sant'Agostino [Strm, xvin] ». — 6. ch'i
raggio dal sommo gradino al più basso: que- tanto eoe Eva fb bellissima perché creata
sta linea costituisce come una separazione immediatamente e perdo perfetta dalla mano
tra gli scanni assegnati ai beati dell' antico stessa di Dio (cfr. Pter, xm 88). — 7. Net-
testamento, che sono tutti occupati, e quelli l'ordlBe ecc. Nel terzo ordine di seggi, sotto
assegnati ai beati del nuovo testamento, al- Era, siede Rachele, e accanto a )d è Bea-
euni dei quali sono ancora vuoti: di fh)nte, trioe. — sedi: seggi ; pL di j«tfK>, lat •»-
o dall'altra parte dd droolo, la linea di se- dium (cfr. Diez 289, 781). — 8. Baekels cfr.
parazione è formata dai seggi occupati da Pwg, xxvm 104. — 9. een Beatrice ecc.
san Giovanni Battista nel primo giro, da san cfr. Inf, n 102, Ar. xzzi 67. — tf eame ta
Francesco nd secondo, da san Benedetto nel vedi t senza bisogno ch'io ne fiuMssi special
terzo, da sant'Agostino nel quarto e da altri menzione, perché tu ben la conosd. — 10.
aantl non nominati negli altri gradini sotto- Sara eoe SI seguono, di gradino la gradino,
stanti : a destra della Vergine è san Pietro Sara, la moglie di Abraam patriarca e madre
e appresso a lui san aiovanni Evangelista ; di Isacco e di coloro ohe credettero in Cristo
«Ila sinistra. Adamo e appresso a lui Mci6 : venturo {Qmui xv e segg.; Paolo, Ep, §gU
8i6
DIVINA COMMEDIA
che fu bisava al cantor, che, per doglia
12 del fallo, disse : Miserere mei,
puoi tn veder cosi di soglia in soglia
giù digradar, com'io eh' a proprio nome
15 vo per la rosa giù. di foglia in foglia.
E dal settimo grado in giù, si come
infino ad esso, succedono Ebree,
18 dirimendo del fior tutte le chiome;
perché, secondo lo sguardo che fèe
la fede in Cristo, queste sono il muro
21 a che si parton le sacre scalèe.
Da questa parte, onde il fior è maturo
di tutte le sue foglie, sono assisi
24 quei che credettero in Cristo venturo:
dall'altra parte, onde sono intercisi
di vóti, in semicircoli si stanno
27 quei eh* a Cristo venuto ebber li visi.
E come quinci il glorioso scanno
Bbf*4 XI 11) ; Bebeooa, la moglie di Isaac e
mndre di Esaù e Giacobbe {Qmui zziy-zxv);
Oioditia, reroioa figlia di Menudr, ohe uccise
OìofoniB e liberò i Oindei (ofr. Pitrg. zn 68) ;
B Bulli, la moabite moglie di Booi e bisaTa
di DdTld (ofr. fl Ubro di Bafh). ~ 11. ohe
fu bliara ecc. Buth it 21-22: e Boox ge-
D^rò Obed: ed Obed generò Isai: ed Isai
goiìerè DaTid >; dunque il cantore dello Spi-
rito SAuto (Par, xz 88) fa pronipote di Booz
a di Buth. — per defila eco. oppresso dal
HmoDo del Usilo commesso contro Betsabea
e il di lei marito Uria (eflr. II Samuel u 4,
16), ti raccomandò spesso nei salmi alla mi-
■aricardia divina {Sabn. it 2, ti 2 ecc.). —
13. piii>l eoo. ta puoi vedere ohe esse si di-
ftrud&no di soglia in soglia, seggono cioè
V dim dopo r altra nei gradini rispettìva-
mente sottostanti, come io ti vengo dimo-
■tranaQ ool dire i nomi delle persone assise
noUe foglie della rosa. — 16. E dal settive
e<x;. E nel giri ohe sottostanno al settimo
miao, come fino ad esso, delle donne ebree,
Js quali coi loro seggi formano quella linea
di myimmmo ohe distingae le dne parti
dsUa rosa. — 18. dirimendo ecc. separando
Ifl foglio della rosa ; il vb. dùrinun è pretto
hitinuimD, rarissimo nella nostra lingua. —
19. p«r«hé, secondo ecc. perché queste donne,
D mtufUQ la linea dei loro scanni, segnano la
puiixioiie dei giri della rosa, secondo che gli
aomini eletti credettero in Cristo «enduro
(vv. 22-24) o in Cristo 9muto (w. 26-27).
— 31 . a eho eoo. per messo del quale sono
tilsUnbo* — sealte: gli ordini in cui sono ri-
ponitì i beati : Dante li chiama ioglia (Pùtr.
XXX 113, zxxn, 13), banchi {Par, xxxi 16),
gradi (Par, xm 47, 68, xxni 16), giri (Par,
zzzi 67), MfoM (Ar. xzxi 115). — 22. Da
««està parte ecc. DaUa parte sinistra (ett,
T. 121), dalla quale tutti i seggi sono occu-
pati da anime, sono cdUcoati i beati del veo-
ohio testamento, quelli che credettero in
Cristo venturo; cfir. Par, za 106). — 26.
4aU' altra ecc. dalla parte destra, dalla
quale i beati sono in&ammeazati, interrotti
ogni tanto da posti vuoti, sempre dentro il
limite dei semioirooU, sono collocati quelli
che credettero in Cristo redentore. — eade
sona ecc. La più piana spiegaàone si può
dare riferendo irUoreiti all'idea dei beati del
nuovo testamento, i quali si trovano qua e
là separati da vUi ossia da seggi rimasti
vuoti perché destinati a poche anime elette
non ancora assunte alla beatitudine (cfr.
Par, XXX 131X seggi vuoti che non sono se
non sui semicirooli di destra, poiché alla si-
nistra non manca nessuno. E questa spie-
gazione è necessaria se si vuole adottare la
lezione portata dal più autorevoli testi, e
non quella della maggior parte delle stampe:
onde tono iaUtreiai di vóto % awnioàrooK, ohe
è certo più agevole a intendere, ma perciò
anche più sospetta. — 27. ebber li visi: vol-
sero gli occhi dell'anima, ebbero fede. — 28.
B cerne q niaei ecc. E come da questo lato
lo scanno di Maria Vergine e gli altri delle
donne ebree via via sottoposti formano la
linea di separazione sinora descritta, cosi
dall' altro lato abbiamo un'altra linea formata
dai seggi di san Giovanni Battista, di san
Francesco, di san Benedetto, di sant'Ago-
stino e di altri santi. — fulnei: da questo
lato, al quale abbiamo guardato rinora. —
PARADISO — CANTO XXXII
847
della donna del cielo, e gli altri scanni
80 di sotto lui cotanta cerna fanno,
cosi di centra quel del gran Oiovanni,
che sempre santo il diserto e il martiro
88 sofferse, e poi l'inferno da due anni;
e sotto lui cosi cerner sortirò
Francesco, Benedetto ed Angustino
86 ed altri sin qua giù di giro in giro.
Or mira l'alto provveder divino,
che l'uno e l'altro aspetto della fede
89 egualmente empierà questo giardino:
e sappi che dal grado in giù, che fiede
a mezzo il tratto le due discrezioni,
42 per nullo proprio merito si siede,
ma per l'altrui, con certe condizioni;
che tutti questi son spiriti assolti
45 prima ch'avesser vere elezioni.
Ben te ne puoi accorger per li volti.
80. e&rmikt divisione, linea di separazione;
dal lat etmere, » 81. ootf d! tomtrm eeo.
ood nel lato oppotto lo scanno di san Oio>
Tanni Battista ecc. — graa CtteTaoBl eoo.
Giovanni Battista, il precozsore di Cristo,
Tissnto nel deserto in vita di penitenza (ofir.
IVy. xxn 161) e morto di martirio dne anni
innanzi alla morte del Bedentore (ofr. Par,
ma ISA). — 88. da d«e ansi x droa dne
anni, dalla soa morte accaduta, secondo la
leggenda cristiana, nell' agosto del 81 sino
alla discesa di Oiìsto al limbo nel 88 (cfir.
Jf^, rr 62): infamo è detto il limbo come
parte, secondo la concezione dantesca, del-
l' infèrno. — 84. e sotto eco. e come Ini eb-
bero la sorta di tramezzare inial modo le ani-
me beate del Tecchio e qnelle del nnoro te-
stamento, Francesco d'Assisi (cfr. Por, n 48
e segg.), san Benedetto di Norcia (cfir. Far,
xxn 28) e sanf Agostino : dne fondatori di
ordini monastici e l' instauratore della teo-
logia scientifica, i qnali esplicarono e com-
pirono l'opera del Battista, che era stata di
preparare a Dio nn popolo disposto ad acoo-
gHeme i decreti (cfr. Luca i 17). — 86. Aa-
irnstlBO : Agostino di Tagasta, nato nel 864,
fa da giovane maestro di retorica in Boma
e in Milano e convertitosi al cristianesimo
fti fktto vescovo d'Ippona, nella quale di-
gnità moti nel 426; fu il maggior dottore
della Chiesa, e Dante fu studiosissimo delle
opere sue e specialmente delle Oonfuaioni
e della OiUà di Dio (cfr. Omr. x 2, 4,
IT 9, 21, Mon. m 4, Epiai, vm 7, x 28).
— 86. ed altri ecc. Non dice quali fossero,
come già delle donne ebree, contento di
aver ricordato pure i principali: ma certo
pensava ai fondatori di altri ordini religiosi
e ai sommi teologi. — 87. Or ndra ecc. Con-
sideiia quanto profonda d la provvidenza di-
vina, perché sarà uguale il numero dei beati
del vecchio testamento e di quelli del nuovo ;
dovendo gli uni e gli altri riempire un se-
micerchio della rosa celeste. — 88. aspetto
eco. sguardo della fede ecc., cfr. v. 19. —
89. giardino : cfir. Far. xxxi 98. — 40. e
•appi ecc. A cominciare da quel circolo o
grado, che taglia nel loro punto di messo le
due linee di separazione, venendo In gi6 non
sono anime di beati par merito proprio, ma
per merito altrui sotto certe oondisEioni : seno
le anime dei bambini innocenti. — flede a
■lesse 11 tratte: il traUo ò lo sviluppo, la
lunghezza della Unea, che nel suo punto di
mezzo è tagliato dal oiroolo mediano.— 41. di-
sereiloal: le linee di separazione, una delle
quali è indicata nel v. 80 ool nome cerna. —
42. ptr nulle ecc. non per il merito proprio
della fede che non ebbero, ma per la fede
dei genitori. — 43. con «erte eaudlsloml:
cfr. w. 76 e segg. — 44. ebé taUl eoe. pol-
chó tutti questi sono spiriti sciolti dai lacci
corporei prima che avessero l' uso della ra-
gione. Dice il Lana che la vtra eltxion* « si
è quando raziocinando s'intende quel fine;
in li pueri non ò raziocinare, e cosi non
hanno vera lezione >. — 46. Bea te ne ecc.
Tu puoi ben accorgerti di ciò dai volti e dalle
voci puerili, se li guardi e li ascolti attenta-
mente. È notevole che Dante si scosta qui
dal suo maestro nelle cose teologiche, attri-
buendo ai beati voce e aspetto conforme al-
l' età vissuta nel mondo (cfr. anche in itw.
XXXI 69, san Bernardo die conserva aspetto
848
DIVINA COMMEDTA
ed anco per le voci puerili,
48 se tu li guardi bene e ae gli ascoltL
Or dubbi tu, o dubitando sili;
ma io ti solverò il forte legame,
61 in che ti stringon li pensier sottili.
Dentro all'ampiesEa di queato reame
casual punto non puote aver sito,
M se non come tristizia o sete o fame;
cbé per etema legge è stabilito
quantunque vedi, si cbe giustamente
67 ci si risponde dall'anello al dito.
E però questa Retinata gente
a yera vita non è $ine oattsa:
60 entrasi qui più o meno eccellente.
Lo rege, per cui questo regno pausa
in tanto amore ed in tanto diletto
63 cbe nulla volontà ò di pi4 ausa,
le menti tutte nel suo lieto aspetto,
creando, a suo piacer di grazia dota
66 diversamente ; e qui basti l' effetto.
E ciò espresso e chiaro vi si nota
di ▼eoohio): inTMe Tomm. d' Aqn., Sttmm,
P. m, foppL qo. ucoo, art 1*2, Inigm
ob« i b6AtÌ risiiBcitwwuio tatti in età giof»-
nile; TMoèoho i dae oanoetti ponono oon-
dlianl aaaettendo qnaloh* diTwittà naUa
oimdiilQM «egU ttotti ìnaanai al gMiiio
anivwMle • U loro pvcittt» polita dopo qvol
wapnmo giono. — 49. <lr dvkM ooo. San
Boraardo t'aooocgo ohe Dante en stretto da
nn dubbio, sa non OMfEBanitetado; pev5
gli ai ofre pronto a «hiariilo. n dnbUo è
qneeto : Se qnesti bambini non ebbero me-
rito proprio, oome mai tono oollooati in di-
Tersi gndi di gloila? Sarebbe mai qietta
diversità di trattamento dovuto al eaao? —
slUstad, dal Ut «i2wv. — 60. U ferie eoe.
il diffleile dubbio nel qoale f avvolgi per
eoltigliesia di ragionamenti; mentre non può
esser soiolto ohe per fede. — 62. Bentre eoe
In qneet* amplissimo regno non pud aver
luogo alonn oosmoI jmmIo, aloon efistto di
caso, oome non v'hanno loogo la tristsna o
la sete o la ftuae. — 64. se non eco. oCr.
ApoeaL vn 16 : « Non avranno pi4 fsmm^ non
piti S0to: e non oaderà più sopra loro né sole
né aisnra aloana > ; zn 4 : e paximante non
vi sarà più wrdogìto né grido né travaglio >.
— 66. éké per ettna eoo. poiché tatto
quello dke tu vedi in questo regno è presta-
bilito per legge eterna in modo ohe vi ha
una perfetta rispondenza tra il merito e la
grasla. — 67. «ali* anello al Alte: oome
r anello s' aggiusta al dito, oosi la beatitu-
dine à proporzionata al merito. — 68. K pere
eco. X peicid questa gente che presto venne
in paradiso, doè le anime dei bambini morti
prima dol tempo swisgneto dalle leggi natu-
rali alla vita umana, non senza cagione si
trova qui in diversi gradi di beatitudine.
Questo à il senso: ma pud dubitani se la
tnuò a vera vUa debbasi oongiungere con
fmtmata, o con mm è 9in$ eauaa ; meglio in-
tender nel uimo modo, sia perché l'idea
espressa da fiatimata abbisogna di un compi-
mento (affrettarsi a ohe ?X sia perché il qui
del T. éo, sarebbe con l'altra interpretazione
del tutto supecfluo. — 61. Le rege eoo. Dio,
per il quale questo regno si riposa in tanto
amore e In tanta beatitudine che neesun vo-
lere può. desiderare di più eco. — passa:
posa, con il senso intransitivo, proprio del
composto riposare. — 68. ansa i osa, ardita;
ed è forma più etimologica di oso, osa che
lioorrono sempre in rima in iVy. xi 126,
zz léS, Par. ziv 180. — 64. le menti eoo.
noli' atto della oreasione dà a sua piacere
alle aaime diversi gradi di grazia; ofr. P.
Lombardo, 9mùthL m 82: e Electomm aUos
magia, allos minns dileodt ab aetemo >. —
66. e fui kastl ecc. e intomo a questo punto
basti Sisero che Dio opera oos£, senza inda-
garne più oltre la ragione. — 67. S eie eoo.
£ la rerità di questo è espressamente e ohia-
ramente dichiarata nelle sacre scrittore apro-
PARADISO - CANTO XXXII
849
nella Borìttara santa in quei gemelb',
69 che nella madre ebber l'ira commota»
Però, secondo il color dei capelli
di cotal grasia, 1* altissimo lume
72 degnamente oonvien ohe s' incappelli.
Dunque, sensa mercé di lor costume,
locati son per gradi differenti,
75 sol differendo nel {Hrimiero acume.
Bastava si nei secoli recenti
con l'innocensa, per aver salute^
78 solamente la fede dei parenti ;
posito di Esaù e Giacobb»; poiché ti leggo
in Malachi* i 2-8 : e Non era Em6 fratello
di laodb? dice il Signore. Or io ho amato
laoob, ed ho odiato BmA >, e in Paolo, Bp,
ai Bom, TX. 11-18: < Per ciò ohe, non essendo
ancora nati i figlinoli, e non arendo fatto
bene o male alonno (aooiò ohe il proponi-
mento di Dio fecondo l' eledone dimorasse
fermo, non per le opere, ma per colui che
chiama); le fti detto : Il maggiore serrirà il
minore, secondo ohe ò scritto. Io ho amato
lacob, ed odiato £sa6 >: si cfir. sa ciò Tomm.
d'Aqn., Affmn. P. I, qu. xxin, art. 8. — 69.
che nella madre ecc. che nel ventre della
madre Bebecoa ai contrastavano sfonandosi
oiaacono di venire alla lace por il primo ;
cfr. Genesi zsv 21-26 : e Rebocca oonoepette.
Ed i figlinoli s'nrtavano l'on l'altro nel sno
ventre. Ed ella disse. Se cosi ò, perché sono in
vita? Ed andò a domandarne il Signore. £ il
Signore le disse : Dae nazioni son nel tao ven-
tre: e due popoli diversi usciranno dalle ine
interiora : e T un popolo sarà più possente
dell* altro, e il maggiore servirà al minore.
E quando Ai compiuto il termine d'essa da
partorire, ecco, due gemelli erano nel suo
ventre. £ il primo usci fuori, ed era rosso,
tatto peloso come un mantel velluto e gli fu
poeto nome Esaù. Appresso usci il suo fht-
tello il quale con la mano teneva il calcagno
d'Esaó; e gli fti posto nome lacob». —
70. Però eco. Quale sia il concetto del poeta
è chiaro: siccome nei pargoli il diverso grado
di beatitudine non può esser determinato dai
meriti, ma dalla grazia divina, cosi ò conve-
niente ohe il lume beatifico sia sovraposto al
oufo dell'eletto, secondo la misura della gra-
zia di cui dascnino ta. dotato nel nascere. Se
non ohe il ricordo che nei versi precedenti
li fa di Esaù e Giacobbe suggerì a Dante
nn' ardite metafora per esprimere 1* idea del
giade di grada proprio di dasouno, la me-
tafora doè del otÀom dei capelli \ quasi a
dire: come in Esaù e Giacobbe, l'uno rosso
e l'altro nero di capelli, la diversità dol co-
.lore fu segno della diversa predestinazione,
Danti
eoil nel beati secondo la diversa mison della
grazia deve essere maggiore o minore la boa-
titudine. Cosf intesero, sembra, alcuni anti-
chi, o almeno l' Ott e il Buti, che riacco-
starono la ttim dantesca del eo(or»<M«90a<
al Catto biblioo accennato nel versi prece-
denti (ofr. Hooie, I 66); e l' interpretazione,
ohe è la sola acoettabile, fti meglio dichiarate
dal Bianchi e confermate dallo Scart L. Fi-
lomusi Guelfi, Oiom, dauL n, pp. 262-6,
mettendo virgola in fine del v. 70 e toglien-
dola damezso il v. 71, interprete: e perdo
secondo la maggiore o minor copia di grazia
ohe ciascun* anima ha ricevuta, ò giusto che
VaUiitimo iwms, Dio, si coroni, si circondi
degnamenUt proporzionatamente, di eUal grò-
«io, delle anime a cui tal grazia ò stete lar-
gite >. — 72. ■* Incappelli t si ponga a guisa
di «HTona (ofr. jRir. xxv 9) sovra ciascuno
dei pargoli beati, dia a ciascuno il grado
conveniente di beatitudine ( ofr. la note al
B»r. Txja 71). — 78. Danf ae eoo. Dunque
senza alcun merito di opere proprie, di atti
virtuosi, sono collocati in diversi gradi di
beatitudine solo perché diverso fti il dono
della grazia. — 75. primiere aenaie: con-
siderate la grazia In quanto rende capaci alla
visione di Dio, Danto chiama qui oourns l'ef-
fetto di essa nelle anime ohe ne ftuono do-
tete, e che per essa acquistarono capacite
di penetrare più o meno nella vistone bea-
tifica. — 76. Bastava eoo. Or viene a dire
delle condizioni, cui ha accennato innanzi
(cfr. V. 48), le quali furono diverse nelle tre
otà della vite umana: nella prima, da Adamo
sino ad Abraamo, per conseguire la beatitu-
dine era necessaria insieme con 1* innocenza
la sola fdde dei genitori ; nella seconda, da
Abraamo a Cristo, la circoncisione; nella
terza, da Cristo in poi, il battesifflo. — se-
coli recenti t sono i secoli nuovi, reconti ri-
spetto alla creazione del mondo, queUi dun-
que della prima età sino ad Abraamo. Tomnu
d' Aqu., Summ, P. I 2^, qu. t.ttt, art 6:
« ante instìtationem ciroumdaionis tota fidét
ChrisH futuri iustiflcabat tem pueros quam
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poi che le prime etadi fùr oompitite,
convenne ai maschi all'innocenti penne,
per circonciderei acquistar Tirtate:
m% poi che il tempo della grazia venne,
senza battesmo perfetto di Cristo
tale innocenza là giù si ritenne.
Riguarda omai nella faccia oh* a Cristo
più si somiglia, chó la sua chiarezza
sola ti può disporre a veder Cristo >.
Io vidi sopra lei tanta allegrezza
piover, portata nelle menti sante
create a trasvolar per quella altezza,
che quantunque io avea visto davante
di tanta ammirazion non mi sospese,
né mi mostrò di Dio tanto sembiante.
E quell'amor che primo 11 discese,
cantando : Ave, Maria, gratta piena,
dinanzi a lei le sue ali distese.
Rispose alla divina cantilena
da tutte parti la beata corte,
si eh' ogni vista sen fé' più serena.
•doltof >. ^ 79. poi thè eoo. dopo ohe fti
finita U pEima età, dai tempi d' Àbraamo in
poi, ta neoenario ohe i fàndolli masohi ao-
qnistanexo la capadtà di rolare al cielo
mediante 11 rito della olroonci8ione ; ofr. Tomm.
d'Àqa., Summ. P. IH, qn. lxx, art 2: € Oir-
eomeisio institata eet ut signnm fidai Abra-
hae, qui credidit ae patrem fttanun Christi
sibi repromlMl; et ideo oonrenienter eolia
maribos oompetebat. Peccatnm etiam origi-
nale, oontra qaod speclaliter drcamclBio or-
dinabatnr, a patre trahitor, non a matre ».
— 82. ma eoo. ma quando fti Tenuto U tempo
della redenzione, senza il battesimo non si
potè più salire al cielo, e gli innocenti morti
senza tale sacramento fbrono assegnati al
limbo. Tomm. d'Aqn., Summit 1. dt: cBa-
ptLsmns in se oontinet perfeotionem salatLs,
ad qnam Deos omnes homines Tocat. . . Cir-
cumoisio antem non continebat perfeotionem
salntis, sed flgnrabat ipsam ut fiendam per
Christum >. — 83. Cristo: ofr. Par. xn 71.
— 84. là gltf: nel limbo; ofr. B^, tv 86,
Purg. m 81-88. — 85. Bignarda eoo. Con-
templa ornai il Tolto di Maria, di colei che
pid si somiglia al sno figlio dÌTÌno, perché
solamente lo splendore beatifico che da quel
Tolto irraggia ti può render capace di soste-
nere la Tista di Cristo. — 87. sola eoo. Si
onerri, qni e altroTe, oome per Dante da-
ioana Tisione sia nn mezzo per assorgere
tempre più alto nella soa contemplazione
sino a qnella dei più profondi misteri della
fede. — 88. Io ridi eoo. Sopra la Vergine
Maria si racoogiiOTa, discendendo da Dio,
tatto il gaudio portato dagli angeli creati per
Tolaro noli' altezza del paradiso ecc. — 90.
create eco. Mentre s' intende benissimo che
il poeta dica creati per Tolare lassù gU an-
goli, che hanno appunto l'uffido di porgere
cosi della pace « delPardan ai beati (ofir. Air.
XXXI 16 e segg.), non d Tede la ragione per
cui egli aTrebbe pensato die creata a tza-
STolare per 1* Empireo fosse l' aUtgnxKo^ né
di allegrezza d direbbe bene die ta enata :
perdo ha abbandonato la ledono dd Witte
(ereata a traavolar) per seguire la più comune
e più giusta. — 91. quantnf ae eco. tutto
quello che io aTora Toduto sino allora, non
aroTa destato in me ammirazione ood grande
né presentaTa tanta parte dd dÌTino aspetto ;
nulla io aTOTa Tisto di ood mirabile e di-
Tino. — 94. S ««all' aner eoo. L'angelo ohe
discese per primo sopra la Vergine apri le
ali innanzi a Id, in atto di adoradone, can-
tando r Av9 Moria, È l' azoangdo Gabride
(ofr. T. 112), che anche nell'i^oteod di Maria
apparsa a D«nte nell'ottaTO ddo cantaTa un
inno di lode alla madre diTina (ofr. Par, xxm
97-106), a cui rispondeTsno s^ altri beati
(ÌTl, 109-111). — 97. Blspese eoo. Tutta la
corte celede rispose al canto dÌTÌno dell'ara
cangelo da ogni parte della rosa, con tanto
ardore die l'aqpetto di ogni beato d fece più
PARADISO — CANTO XXXn
851
€ 0 santo padre, che per me comporte
P esser qua giù lasciando il dolce loco
102 nel qnal tu siedi per etema sorte,
qual è queir angel, che con tanto gioco
guarda negli occhi la nostra regina,
105 innamorato si che par di foco?»
Cosi ricorsi ancora alla dottrina
di colui ch'abbelliva di Maria,
108 come del sole stella mattutina.
Ed egli a me : € Baldezza e leggiadria,
quanta esser può in angelo ed in alma,
Ili tutta è in lui, e si volem ohe sia,
perch'egli è quegli che portò la palma
giù a Maria, quando il figliuol di Dio
114 carcar si volle della nostra salma.
Ma vieni omai con gli occhi, si com'io
andrò parlando, e nota i gran patrici
117 di questo imperio giustissimo e pio.
Quei due che seggon là su più felici,
lomlnoio. » caBillesas canto, in genere;
ma per lo più gli antichi nsarono questa
parola a indicare un canto breve, o di brevi
Tersi, e tens* indndenri l'idea moderna di
canto monotono. — 100. 0 laato padre eco.
AUa Tista di quell'angelo, ohe ool suo canto
daya intonadone e nonna a tutta la beata
corte, Dante senti un tìto desiderio di co-
noecere chi egli fosse, e ne fé' rispettosa do-
manda a san Bernardo. — per me eoo. per
mia utilità sopporti rolentieri di stare qui
nel fondo della celeste rosa, fuori dello scanno
nel quale tu siedi per eterno decreto di Dio
ecc. — 108. fual è ecc. chi ò quell'angelo,
che con tanta festa contempla negli occhi la
Regina del cielo e della terra, cosi fervente
d'amore per lei da sembrar viva fiamma? -~
gloee s cfr. Par. xz 117. — 107. di eolul ecc.
di san Bernardo, che si faceva bello contem-
plando Maria Vergine. — 106. eeme del tele
eco. come le stelle mattutine si fanno belle
della bianca luce solare. — 109. Baldessa
eoe. Quanta maggior sicurezza e vaghezza
di modi può essere in una creatura angelica
è tutta raccolta in lui, e in dò la nostra vo-
lontà d una con quella di Dio, doò sema
che alcuno di noi non partedpi a questo sen-
timento ecc. : si c£r. ciò che ò detto qui di
Gabriele con Par, zzm 103 e segg. — Bai-
dexsa s è la forza morale, che dà sicurtà ad
ogni Atto, cfir. Par. zvi 17. — leggiadria}
piuttosto che la vaghezza dei modi sarebbe,
secondo il D' Ovidio, p. 576, l' esultanza, la
galena (cfr. w. 88 o 103). — 111. e ■£ vo-
ì%m eoe Lana: «Si nota la unitade della
vdontade de' santi, la quale d è una con
qudla dd re di vita eterna». — 112. per-
eh' egli ecc. perché egli ò l' arcangelo Ga-
briele, il quale, allorché il figliuolo di Dio
volle incamard nella natura umana, portò
gi6 in terra a Maria l'annundazione ch'ella
fra tutte le donne era stata detta per madre
dd Meesia. — la palma: nelle rappresenta-
zioni figurate ddl' annunciazione, Gabriele
porta in mano la palma, per simbolo della
preferenza accordata da Dio a Maria. -- 114.
earear ecc. d volle rivestire di corpo umano.
— 115. Ma Tieni ecc. Riprende san Bernardo
a dimostrare a Dante i seggi dd prindpali
beati, da die lo aveva distolto la domanda
suir arcangelo Gabriele, e invita il poeta a
seguire con lo sguardo le sue parole e ad
Odservare i beati di cui gli indicherà i segg^.
— 116. i graa ecc. i grandi patrizi dell'im-
perio celeste sono gli elettisdmi fra gli e-
letti, quelli che san Bernardo voleva far ve-
dere a Dante, essendo imposdbile indicargli
una per una tutte le anime beate : tolta la
denominazione dal linguaggio dei romani,
presso i quali i patres o patrieii ftirono dotti
i senatori, doè gli uomini prindpdl dello
stato ; e l' imagine continua nella seguente
terzina, dove alla Vergine Maria è dato Tìm-
perial tìtolo di Angusta. -~ 118. <{aei dae
eco. Qnd due che seggono nel primo ordine,
in pi& alto grado di beatitudine per essere
vicinissimi alla imporatrioe di questo ddo,
Adamo e san Pietro, sono quad i capostipiti
di questa beata corte; perché Adamo fu il
primo dei credenti in Cristo venturo, san
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per esser propinquissimi ad Angusta,
BOXI d*esta rosa quasi due radici
Colui che da sinistra le s'aggiusta,
è il padre, per lo cui ardito gusto
l'umana specie tanto amaro gusta.
Dal destro vedi quel padre vetusto
di santa Chiesa, cui Cristo le chiavi
raccomandò di questo fior venusto.
E quei che vide tutt'i tempi gravi,
pria che morisse, della bella sposa
che s'acquistò con la lancia e coi chiavi,
siede lungh'esso; e lungo l'altro posa
quel duca, sotto cui visse di manna
la gente ingrata, mobile e ritrosa.
Di contro a Pietro vedi sedere Anna,
tanto contenta di mirar sua figlia
che non move occhi per cantare Osanna.
E contro al maggior padre di famiglia
siede Lucia, che mosse la tua donna,
quando chinavi, a rulnar, le ciglia.
Pietro il primo dei candenti in Cristo leden-
tote. — 121. Coivi ecc. Quegli che le sta
aDoento dalla parte sinistra ò Adamo, per la
coi colpa romanità sopporta tante amarezse :
si noti la delicatezza, per cui Dante esprime
oon Alice traslato V idea della colpa, quasi
che in paradiso e a proposito di nn beato
non si conrenisse usare la parola propria. —
s'aggiusta: il rb. aggUuÌar»y derivato da
Hiffto, presso, significa collocar vicino, e nella
forma riflessiva, esser vicino. — 122. ardito
giste : cfr. Pur, xxvi 116. — 12i. Dal de-
stro eco. Dal destro lato della Vergine vedi
san Pietro, il principe degli apostoli e primo
papa, al quale Cristo affidò le chiavi del re-
gno celeste. È questo l' ultimo dei tanti passi
di Dante, ove ò fatto ricordo di san Pietro,
verso il quale egli, come ci mostrano il poe-
ma e le altre opere, aveva grandissima re-
verenza e divozione, perché in lui egli ve-
deva r iniziatore incorrotto di quella serie
di pontefici, ch'erano caduti al tempo suo in
tanta abiezlono *, end' ò ohe il ricordo di san
Pietro si collega spesso alle invettive contro
il pontiftcato (cfr. Inf. xix 91 e segg.. Par,
xvm 181, XXII 88, xxvn 19 e segg., Mon,
m 9 ecc.). — 125. le ehlarl eoe. cfr. It^,
XIX 92. — 126. di qaeste ecc. del regno ce-
leste, che a Dante ò apparso in forma di ve-
nusta rosa. — 127. E quei ecc. Accanto a san
Pietro siede san Giovanni Evangelista, che
prima di morire vide la visione da lui de-
scritta neW Apocalisse, che fu come la storia
prolMica della Chiesa cristiana. Di lui si veda
spedalmonte Par. xxv e xxvi. — 128. deHa
spesa eoo. deUa Chieea che s* acquistò oon
la passione di Cristo (cfr. Par, xi 82, su iS,
xxvn 40). — 129. la laaela eoo. la lancia,
con la quale 0esd tn, ferito da Longino; i
cMaoi o chiodi coi quali ta. orodflsso. — 180.
laage l'altre eoo. accanto ad Adamo siede
Moisò, sotto il quale il popolo ebraico tn. con-
dotto attraverso il deeerto e si cibò della
manna caduta dal dolo {Esodo xvx 18-15). —
132. la geate ecc. il popolo ebraieo, cui an-
che nelle sacre carte sono fatti rimproveri
continui di ingratitudine, mobilità e disobbe-
dienza. — 183. Di eo«tre ecc. Di fìscda a
san Pietro (che era alla destra della Vergine)
si trovava alla sinistra di san Giovanni Bat-
tista la madre della Vorgine Ilaria, Anna
figliuola di Matthan sacerdote e moglie di
Gioachino (cfr. su lei i BoDandistl, Jcta
ÉatUorun^jùm, yol. VI, p. 288). ^ 184. teaU
ecc. la quale era tanto contenta di contem-
plare la figlia nella pienezza della sua gloria
che non moveva gli occhi, sebbene anoh'efia
cantasse oon gii altri beati ecc.; è uno de-
gli aiti eco. di cui cfr. Par, xxxi 51. — 186.
E eoatre ecc. e di fironte ad Adamo (die era
alla sinistra della Vergine) si trovava alla
destra del Battista santa Luda, la vergine
siracusana (cfr. Inf. n 97). — 187. elle Hoase
ecc. che mosse Beatrice a venire in tuo aiuto,
slloTché ta, perduta la speranza di giungere
alla dma dd colle luminoso, iwinavi vsrao
PARADISO — CANTO XXXH
853
Ma perché il tempo fugge, ohe t' assonna,
qui farem punto, come buon sartore
141 che, com'egU ha del panno, £» la gonna;
e drizzeremo gli occhi al primo amore,
8i che, guardando verso lui, penetri,
144 quant'ò possibil, per lo suo fulgore.
Veramente (né forse tu t'arretri
movendo l'ali tue, credendo oltrarti)
147 orando grazia convien che s'impetri,
grazia da quella che può aiutarti;
e tu mi segui con l'affezione,
si che dal dicer mio lo cor non parti >;
151 e cominciò questa santa orazione.
la MlT» 0000» (cfr. Jnf. x 54, 61, n 108-106).
— 199. Mft fenhtf eoo. DaU» bxvrità del
tempo assegnato alla viaione del paradiso d
un oenno nelle parole di Beakìoe in Par,
xzxx 127-129 : qiii pM chiaramente san Ber-
nardo dioe ohe ormai si ayvioina il momento
in coi tale Tidone ayrà termine ; perché a
Danto non reste più da contemplare altro ohe
Dio e i mistori della Trinità e della doppia
natora. Da questo passo per altro nnlla si
pa& argoire oiroa la orondogia dell' azione
fiuìtastioa descritte da Dante nel sao poema :
se egli imaginara di essere salito al para-
diso all'alha del U aprile (ofr. Par. i 87) e
il Tiaggio si compie ixi setto giorni, oompn-
tando nel novero anche 1' 8 aprile, questo
momento della cessazione della visione do-
yrebbe essere il pomerìggio del 14 aprile 1800 :
ma sono incerti i fondamenti sui quali ogni
orondogia del poema dantesco si può oosti-
toire (ofr. la note all'In/: i 1). — che t'as-
senaa : che d assegnato alla tea visione. —
140. qal farem eco. non d fermeremo pì6
oltre a parlare di questi santi, imitando il
Talento sartore che adatte la forma della
gonna alla quantità del panno : vuol diro in
somma san Bernardo che gli bisogna propor-
zionare il suo discorso intomo ai leati al
tempo di cui Danto pud disporre, e siccome
gli avanza appena quello che bisogna per le
supreme visioni, cosi conviene intralasciare
la incomindate rassegna delle anime detto.
— 140. come baon eco. Ricordando quella
dell'/n/'. XV 21, il Venturi 377 osserva : « Si-
militedine vìva come la precedente; ma e
nd luogo e in bocca di un santo, men con-
venevole. Là d pennellate da grande artiste :
qui, per usare la parola dell' arto, son colorì
che non armonizzan col fondo >. — 141.
gOAna: vesto, anche maschile. — 142. •
driszereHO ecc. e volgoremo gli occhi a Dio,
affinché te guardtndo verso di lui riesca a
penetrare quanto più potrai attraverso il suo
splendore. ^ 146. Teraaeate ecc. lia, af-
finché per avventura te non abbia a retro-
cedere, ad allontanarti dall'ultimo fine, se
ti disponi a procedere innanzi con la tea
sola virtd, bisogna che con la preghiera si
ottenga la grazia necessaria eco. -~ Ad ferie :
affinché non avvenga ohe ecc.; questo uso
dd n^ come finale negativa, è insdito nella
nostra lingua quanto ò comune ndla la-
tina, ma non senza esempi di scrittori an-
tìchL ^ 146. meveado ecc. avanzando da
te, senz' dtro aiuto che quello deUe tue fa-
coltà. — 148. grazia da qaella eoo. e la
grazia necessaria deve essere ottenute da
Maria Vergine, che sola pud untarti. — 149. e
in mi segai ecc. perdo accompagna con l'af-
fetto la preghiera eh' io ora fiard, si che il
tuo cuore venga ripetondo le parole mie. È
manifesto ohe Danto non d inviteto a dire
anch' egli con la bocca la sante orazione di
Bernardo, ma a ripeteria mentalmente via
via che il santo la dirà ; poiché essa non è
solamente un inno di lode dia Vergine (Bir.
xEzm 1-21), ma preghiera fatte in nome di
tetti i beati perché ella ottenga a Danto la
grazia dell'ultima visione (ivi, 22-89). — 160.
si ohe ecc. Si avverte in questo verso un
ricordo ddle parole bibliche (Isaia xxnc 18,
cfir. Marco vn 6) : e Oltre a dò il Signore
ha detto : Per dò che questo popolo, acco-
standosi, mi onora con la sua bocca, e con
le sue labbra, ed il suo cuore ò lungi da
me>. — 161. questo santo ecc. Sopra di
ossa ò utile consultare il caro libretto di 0.
Cavedoni, U Oraxions di s. Btmardo alta
Beatissima Vèrgins fM* uUimo conio del I^t-
radiso di Dani» esposta eo' riaoontri di quel
santo Ptidre e d*aUri, 8» ediz., Modena, 1866,
riprodotto negli Opusc. dant. n.* 29-80.
854
DIVINA COMMEDU
CANTO xxxm
Pregata con una mirabile orazione da san Bernardo, la Tergine Maria
intercede presso Dio e ottiene a Dante la grazia di contemplare l'ultima
salute : fìitto cosi capace di levar gli occhi al sommo lume, il poeta ha la
visione della divinità, nella quale contempla 11 mistero della Trinità e il
mistero delle due nature di CristOi e un ultimo folgore, nel quale la sua
mente resta vinta e cessa la visione [14 aprile, ore pomeridiane].
€ Yergine madre, figlia del tuo figlio,
umile ed alta più che creatura,
8 termine fisso d'eterno consiglio,
tu se' colei, che l' umana natura
nobilitasti si che il suo Fattore
6 non disdegnò di farsi sua fattura.
xxxm 1. Terglme eoo. La santa ora-
sione innalzata da Bernardo alla Vergine ò
come r oltima manifestaziono del sentimento
Religioso e dell'arte poetica di Dante : sublime
nella sua semplicità, piena di tenerezza e di
dottrina, tatta sparsa di profonda devozione,
questa finale orazione fa concepita dal nostro
poeta come veramente era degno che in dolo
pregassero 1 beati ; e poiché egli la pose sulla
bocca del santo dottore innamorato di Maria,
ò intessnta in gran parte di oonoetti e Ima-
gini derivate dalle opere di lai, armonica-
mente e soavemente espressi con una fira-
granza tutta nuova di vivissima ed efficace
poesia. L'orazione ò distinta in due principali
parti : la lode alla Vergine (w. 1-21) e la
proghiera per Dante (w. 22-39) ; e nell' una
Maria è prima considerata come predestinata
nella profondità del consiglio divino al su-
blime ufficio di madre dol Signore (1-12), poi
come potante e benigna protettrice degli uo-
mini che in lei si confidano (18-21) : nell'al-
tra si rivolge alla Vergine una duplice pre-
ghiera per Dante, quella d' intercedere presso
Dio affinché egli sia fatto capace di vedere
r ultima salute (w. 22-83), e quella di con-
fermarlo nella grazia e di vegliare alla sal-
vezza dell'anima sua (w. 34-39). Si legga
accanto alla proghiera dantesca quella che
san Bernardo inseri nei suoi Sermoni {Sem.
in Advent. ii 4, traduziono di D. Cavalca) :
€ Por te, o benedetta Vergine, ci sia lecito
d'andare al tuo Figliuolo. Per te, o trova-
trice della grazia, genitrice della vita, madre
di salute, per te riceva noi colui, che per te
è dato a noL La santa tua integrità, e piis-
sima madre, iscusi appresso di lui la colpa
della nostra corruzione. £ la tua profondis-
sima umiltà a Dio tanto grata impetri a noi
perdouauza della nostra vanità. La tua co-
piosa carità cuopra la moltitudine de' nostri
peccati, e la gloriosa toa fecondità doni a nd
fecondità di meriti. 0 madonna nostra, o me-
diatrice nostra, o avvocata nostra, preghia-
moti, riconciliaci al Figliuolo tao: al Figliuolo
tuo ci raccomanda : al Figliuolo tao ci n^>pre-
senta. Preghiamoti, o benedetta, per la grazia
la quale ta trovasti; per quella prerogativa
la quale tu meritasti ; per la misericordia la
quale tu partoristi, cóie faccia che esso il
quale per te s' è degnato di fusi partecipe
della nostra miseria ed infermità, ancora per
li prìeghi tuoi ci faccia partecii^ della toa
beatitudine ed eternale gloria, esso Gesù Fi-
gliuolo tuo, il quale ò Signore nostro sopra
tutte le cose, e Dio benedetto in omnia «os-
cula saeoulorum >. — figlia ecc. creatura di
Dio, al quale sei madre; cfr. il Petrarca, oanx.
xxix 46 : e Tre dolci e cari nomi hai in te
raccolti. Madre, figliuola e sposa >. — 2.
umile ecc. umile e sublime più che ogni al-
tra creatura ; cfr. Luca i 48 : « Poiché e^
ha riguardato alla bassezza [humiUlatemy la
vulgata] della sua servente : per dò che, ecco,
da ora innanzi tutte le generazioni mi pre-
dicheranno beata » ; e s. Bernardo {HomiL m
10) : e Si soiree quantum tua humUìtas Altia-
simo placeat, quanta te apud ipsum sublimi'
tas maneat», e s. Bonaventura (Qpsr. XITT
858) : e Te, qua nunquam humUior In crea-
turis legitur Fuisse nec suavior ; Et propter
hoc sttblimior Esse nulla te nosdtur >. — 9.
termine ecc. oggotto prefisso dall'eterno con-
siglio, cioè predesti nata da Dio ali* ufficio di
madre. Opportunamente il Cavedoni richiama
qui le parole del Oonv. iv 5 circa « l'esecu-
zione dello etemo consiglio > nel &tto della
Bedenrione. — 4. t« se' eolel ecc. tn sei
quella che nobilitasti la natura umana ti ohe
il creatore di essa non disdegnò di Carsi crea-
tura. — 6. di fkrsi eoe di fisrsi figliuolo di
donna, fattura dell' umana natura, in quanto
PARADISO - CANTO XXXm
866
Nel Tontre tuo ai raccese l'amore,
per lo cui caldo nell'eterna pace
9 cosi è germinato questo fiore.
Qui sei a noi meridiana face
di oaritate, e glusO| intra i mortali,
12 sei di speranza fontana vivace.
Donna, sei tanto grande e tanto vali
che, qual vuol grazia ed a te non ricorre,
15 sua disianza vuol volar senz'ali
La tua benignità non pur soccorre
a chi domanda, ma molte fiate
18 liberamente al domandar precorre.
In te misericordia, in te piotate,
in te magnificenza, in te s'aduna
21 quantunque in creatura è di bontate.
Or questi, che dall'infima lacuna
preee figoxa nmAiia. — 7. Kel Tentrc ecc.
Per effetto del tao diTÌno oonoepimento ti
riaoceee l'amoie Tioenderole fra Dio e le crea-
tore, dal quale amore nell'eterna beatitadine
,8i è venuta formando questa rosa : tuoI dire
che per la redenzione operata dal flgliaol di
Maria le anime fbiono latte degne di salire
al paradiso. Si ctr. per alcuna conformità di
concetto e d'espressione con Pare xxii 46 e
segg. — 9. f «esto flort : la candida rosa nella
quale seggono i boatL — 10. ({ni sei ecc. In
paradiso sei per noi, spiriti eletti, luminosis-
sima face che tiene acoesa la nostra carità.
S. Bernardo (8«rm, in Auumpt. B. V, M. n
9): cProcessit «rgo gloriosa Virgo, ouias
lampaa ardenHaaima ipsis quoque Angelis mi-
raoulo fait >. — Meridiana: come il sole nel
mezzogiorno risplende di pld viva luce, cosi
fneridiana può dirsi ogni luce splendidissima.
11. e gi«80 eoe e in terra tra gli uomini sei
fonte inesauribile di speranza. San Bernardo,
cit. già dagli antichi commentatori : e Secu-
rum acceseum hahes, o homo, ad Deum, ubi
mater ante fllium, et fllius ante jtatrem ; ma-
ter ostendit Alio pectns et ubera; fllius patri,
latus et vulnera : nulla ergo poterit esse re-
pulsa tiU, ubi tot ooourrunt oharitatLs insi-
gna>. — 18. Donna eoo. Tu, o signora, sei
tanto grande e potente che, se alcuno vuole
ottenere grazia e non ricorre a te, il suo de-
siderio ò vano ; perché non si può aver gra-
da se non per tuo mezzo. Anche questo ò
pensiero di s. Bernardo (Sarm. in Viffil, Nat,
Dom, ni 10) : < Nihil nos Deus habere voluiti
quod per Mariae manna non tranairet >. —
14. funi : qualunque, con lo stesso costrutto
oheò proprio del ehi. — 16. vuol eco. si volge
a cosa impossibile, come chi senza ali vo-
lesse volare. Nota il Torraca la frequenza di
questa similitudine del volar $&nx^aH nei rl>
matori pi6 antiohi ( D' Anc m 86, 264, Y
66 ). — 16. La tna ecc. Tu sei tanto beni-
gna che non solo aiuti ohi te ne fis preghie-
ra, ma molte volte previeni spontaneamente
le altrui domande. — 18. Itberaaeste : spon-
taneamente (cf^. Inf. nix 86, Purg. xi 184,
XXVI 139)*, ma forse v' è inclusa l'idea della
larghezza, della liboralità onde Maria pre-
viene le domande di grazia: cosi intesero
anche Benv.: e liberaliter; ... signum verse
liberalitatis est quando non petltus, non ro-
gatus donat >, e il Buti : € per tua libera-
lità,... e liberalità d larghezza di donare da
sé medesimo mossa >. — 19. In te ecc. In
te si accoglie misericordia, in te pietà, in te
magnificenza, in te quanto mal di bontà ò
nelle creature. Buti: e Tutto questo virtd e
molte altre anco innumerevoli virt6 sono ne
la Volgine Maria; ma l'autore prese quelle
che faceano ora a la materia: imperò che,
perché aveva detto che era benigna a soc-
correre a chi dimandava, si dimostrava ohe
in lei era misericordia ; e perché avea detto
che spesse volto soccorrea inanti che si do-
mandasse, si dimostrava la pietà] e perché
ella arreca a perfezione tutto le grandi coso,
si dimostrava la moffnificmxia >. — 20. ma-
gnlfleensax il dono della perfezione, delle
ooee grandi e sublimi (cfr. J\ir. xm 88). —
21. f nantonqae : cfir. Piar, vm 103. — 22.
Or questi ecc. Danto, che daUe profondità
dell'inferno ò venuto sin qui osservando i
tre stoti della vita spirituale, la dannazione,
la purificazione e la beatitudine, ti supplica
di ottonergli la graria deWvUima aaluU. —
intima laenna dell' nnirerse i cosi d detto
r inferno, come uno degli estremi del vìag^
glo dantesco, il quale fu dall' inferno al pa-
656
DIVINA COMMEDU
dell* imirerso infin qui ha vedute
24 le vite spiritali ad una ad una,
supplica a te, per grana, di yirtutè
tanto che possa con gli occhi levarsi
27 più alto verso 1* ultima salute.
Ed io, ohe mai per mio veder non arsi
più eh' io fo per lo suo, tutti i miei pi*eghi
BO ti porgo, e prego che non sieno scarsi,
perché tu ogni nube gli disleghi
di sua mortalità coi preghi tuoi,
83 si che il sommo piacer gli si dispieghL
Ancor ti prego, regina che puoi
ciò che tu vuoli, che conservi sani,
xadiBO, infin gìd^ a twfvno fi pusfttorlo.
Bettamente intese adunque questo passo il
Batl| ohioeando: < lo luogo basso de Io in-
ferno >, cioè quella parto infima della tona,
qoeUa oa^ità <i» ooatitoisoe l' inferno ; e male
Benr., seffotto ^da molti moderni, spiegò la
lamna per il centro della terra (« a centro
tenae nsque ad somnHun ooelnm >), perché
il viaggio di Danto non oominoia diù centro,
ma dalla superficie della taira, sulla quale
oresoe la sehra oscura. Lana, Ott e altri, te-
nendosi al sMiso idlegorioo, spiegano: e dal
pi& Immso stato òhe possa essere nell'uomo,
ohe ò lo peccato >. ^ 24. le Tito ecc. le varie
condizioni degli spiriti nella vite oltremon-
dana (cfir. Inf, 1 112 e segg.). — 25. sappUea
a tos ott. Par, zv 86. — per grasla eoo.
di ottenere per grazia tanta Tirt6 eoo. È con-
forma alla dottrina di Tomm. d'Àqu., Surnm,
F. I, qu. zn, art. 6 : e Omne quod eleratur
ad aliquid, quod ezoedit suam naturam, <^r-
tot quod disponatur aliqua dispositione, quae
sit supra suam naturam: sicut si aer debeat
aodpere formam ignis, oportot quod dispo-
natur aliqua dispositione ad talem formam.
Cum autem aliquls intollectas creatus yidet
Deum per eesentiam, ipsa essentla Dei fit
forma intoUigibilis intollectas. Unde oportot
quod aliqua dispositio suporoaturalis ai su-
paraddatur ad hoc quod eieretur in tantam
sublimitotem. Cum igitur yirtus nataralis in-
toUeotus creati non suffloiat ad Dei eesentiam
Tidendam, oportet quod w divina grafia mtp»-
raeor9aeat ei pirtua inlélHffmuU, Et hoc aug^
mentum virtutis intellectivae illuminationom
intolloctus Tooamus >. — 36. che possa eoe.
che possa elevarsi alla perfetta cognizione di
Dio nella quale consisto l'etorna beatitudine
(cfr. Par, zxn 124). -- 27. raltlma salato:
Dio, onde procede la beatitudine; cfr. Tomm.
d'Aqu., L dt. art. 1: «Cam... ultima homi-
nis beatitudo in altissima «os operatione oon-
sistat, quae est operatio intelleotas, si num^
quam essentiam Dei videro potest IntoDeetna
creatus, vel numquam beatìtudinem obtina-
bit, vel In alio eius beatitudo oonsistet quam
in Deo: quod est aliennm a fide. In ipso
enim est ultima perfeotio latlonaUs ereato-
rae, quod est ai prindpium ossendi ; in tan-
tum enim unumquodque periéotum est, in
quantum ad suum principium attingit ». —
26. li lo eoe £d io, che non dosidarei mai
di vedere Dio più ch'io desideri ora ohe lo
vegga Danto eco. La carità di san Bernardo
d tanta che nei deeldeirara a Danto VuUima
aakiié è mosse da aifetto pari a qnello onde
già la deeiderò a sé stesso: beUa e oristiaiia
esplicazione dal prino^o dell'amore del pfroa>
Simo. — par mìo vedart perdhó a me fossa
dato di vedere Iddio. La Iasione a la spia*
gazione sono confermato da questo passo di
s. Bernardo {Smrrn, in Dominio, infra Odav.
jLoeumpU 13) : « lamta, Hatermiaariooxdiae,...
Ecclesia mediatrioem stbi apud edam iusti-
tiae oonstitutam devotis supplicationibua in-
torpeUat, ut ia lumina tuo vldeat lumen, et
8olis gratiam tuo maEeatur obtanta ». — 90.
e prego eco. e faccio voti oh' essi siano ef-
ficaci (cfr. Inf, ZXV2 66). — 81. percM eoe
perché ta dissolva ogni nube di mwtalità con
le tue preghiere, tu ottenga insooima a Danto
quella parfezione ddla grazia ohe gli bisogna
per oontomplare il sommo jnaonv. — dlsle-
gU: il vb. disUgata ò usato per lo più da
Danto con l' idea dello sciogline, liberare (da
oolpa in iVp. xzxm 120, da una tpera in
Pcur. xzxv 80X che ha anche qui, perebó le
nubi della mortalità dissipato dalla grazia sono
imagine della liberaaione dello ^irito da ogni
torrone impedimento. — 82. eoi pregU ecc.
con preghiere ohe tu £aooia a Dio, intesoe-
dendo per luL •— 83. il aoniaM eoo. Dio gii
si manifesti. — 84. ragia* eoo. regina on^
potanto. — 85. che aonsenrl eco. che, dopo
che Danto avrà contemplato il sommo pia-
oara, to conservi puro il suo animo, tu lo
PABADISO - CANTO XXXHI
857
86 dopo tanto vederi gli affetti suoi.
Vinca tua guardia i movimenti umani :
vedi Beatrice con quanti beati
89 per li miei preghi ti chiudon le m^ni ».
Gli occhi da Dio diletti e venerati,
fissi nell'orator, ne dimostrare
42 quanto i devoti preghi le son grati
Indi all'eterno lume si drizzare,
nel qual non si de' creder che s' invii
45 per creatura l'occhio tanto chiaro.
Ed io ch'ai fine di tutti i disfi
m'appropinquava, si com'io dovea,
48 l'arder del desiderio in me finii.
Bernardo m'accennava, e sorridea,
perch'io guardassi suso: ma io era
51 già per me stesso tal qual ei volea;
che la mia vista, venendo sincera,
e più e più entrava per lo raggio
54 dell'alta luce, che da sé è vera.
gnarìi dal cadero nnoTamente in peccato. —
86. tanto reder ; la viaione divinia; non ciò
olle ha visto pzima d'ora. — 87. Vinca eoo.
La tua protezione spenga in Ini gì* impulsi
delle passioni umane. — 88. Tedi eco. ecco '
U preghiera, alla quale Beatrice e gli altri
beati si associano tendendo a te le mani con-
giunte in atto di adorazione (ofir. lìarg. tiu
9). » 89. per 11 Miei eoe affinché ta ac-
colga la mia preghiera. — 40. Gli oeehi ecc.
Gli occhi di Maria Vergine, diletti e Tene-
nti da Dio stesso, si fissarono su san Ber-
nardo per segno ohe la deTOta preghiera di
lui era stata accolta benignamente. La Ve>
gine non parla, ma con on sorriso degli oo-
ohi diTini manifesta il suo consentimento alla
preghiera riToItale dal suo dcToto. — 41. ne:
a noi, Bernardo e Dante; alonni prendono il
fM come riferito a solo il poeta, in senso di
mt, che sarebbe uso singolare e strano. —
42. qaanto ecc. Tatto in genere le preghiere
dìTote sono care alla Vergine; dlTotissima
essendo stata l'orazione di san Bernardo, si
Tiene a dire in tal modo che ella dimostrò
di volerla esandire. — 43. lidi ecc. Indi gli
occhi della Vergine si Tolsero al lame diTÌno,
nel qaale nessuna creatura pad penetrare con
occhio cosi sicuro oom' ò quello della madre
di Dio : Tuol dire che la Vergine, essendo
perféttissinia tra le creature si sprofonda pid
d' ogni altra nella cognizione di IMo ; cfr. Bio-
cardo da 8. Vittore {In oantie, cap. 39):
« Haria supra Angelos quoque est, quia eos
poritate supergreditur, dum diTinitatem cla-
lios illis contemplatur >. — 44. ■' Invìi : si
Tolga, entri ; d questa la lezione pid cornane.
sebbene aleno molto autoreToli i testi che re-
cano «' tniij da iniani^ Tb. ohe sarebbe for-
mato sul pronome <o, come inhriani, MnarH
ecc. (si ofir. Parodi, Bull. Ili 138), col senso
di dìTontar simile idla cosa ohe il soggetto
contempla (Lana, Ott) o di mettersi den-
tro, entrare (Buti). — 46. Ed lo eoo. Dante,
aTTicinandori al fine ultimo dei suoi desi-
deit, che d Dio, finisce di ardere di deside-
rio, sente che cessa in lui quell'ardore per^
che ormai ha la certezza di essere sodisfat-
to« aTendo Toduto la Vergine intercedere per
lui la grazia dell' ultima salute. — Une ecc.
Dio, ohe d « ultimus finis humanae Titae >
(Tomm. d'Aqu. Summ. P. n 2^, qu. cxxn,
art 2) e e ultimus finis humanae mentis »
(ìtì, qu. CT.TTTTT, art 1). — 49. Bemar-
de eco. Bernardo sorridendo mi facoTa cen-
no di guardare in alto, a Dio, ma senza
aspettare il suo cenno io aTea già in Dio
fissato lo sguardo. — sorridea : « in segno
di congratulazione della ottenuta grazia», dice
il Lomb. ; ma forse questa idea della congra-
tulazione non ebbe Dante, il quale del sor-
riso degli esseri beati si Tale come mezzo por
significare la letizia intema : qui dunque sor-
ride san Bernardo per la gioia ch'ei prova
nel Tolgere a Dio lo sguardo di Dante. —
61. per me stesso eco. da me stesso mi ero
Tolto a contemplare il sommo lume. — 62.
éhé la mia eoe perché dìTcnendo sempre
più pura, la mia vista penetraTa ognora più
nel raggio di quell' altra luce, che ò Tora per
sua essenza. — veaendo eoo. accreecendosi la
sua virtd mediante 1' inftisione della grazia.
-- 64. ehe da ■< è verai la luoe divina è
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DIVINA COMMEDIA
67
60
63
66
Da quinci innanzi il mio veder fii maggio
ohe il parlar nostro eh' a tal vista cede,
e cede la memoria a tanto oltraggio.
Qual è colui ohe sommando vede,
ohe dopo il sogno la paasione impressa
rimane, e l'altro alla mente non riede ;
cotal son io, chó quasi tutta cessa
mia visione, ed ancor mi distilla
nel cor lo dolce che nacque da essa.
Cosi la neve al sol si disigilla,
oosi al vento nelle foglie lievi
si perdea la sentenza di Sibilla.
O somma luce, che tanto ti levi
Ter» per i6 ttaaia, mentre le altre coie eono
yere in quanto pftrtodpano dell» retità di-
vina ; cfr. Tomm. d' Aqn., Surnm, P. I, qo.
XTii art 6: e Veiit»s invenltor in InteUécsto,
seoondom qnod apprehendit rem nt eat ; et
in re, aeoondiun qnod h»bet eaee oonfocmap
bile intelleotoL Hoc antem maxime inreni-
tor in Deo. Nam esse sanm non solom est
conforme sno intelleotoi, sed etiam est ipsum
snnm intelligeie; et snom intelligere est men-
sor» et c»ns» omnia alterins esse, et omnia
alterine intellectoa: et Ipse est snnm esse et
intelllgere. linde soqnitor qnod non solnm
in ipso Bit reritas, aed qnod ipse sit ips» snm-
m» et prim» veritas ». — 66. D» «nlnel eoe.
D» questo momento in poi la mi» visione fti
più grande ohe non possa dire la nostra pa-
rola, 1» qn»le ò inferiore a tale visione, e la
memori» è ino»pace di ritenere tanta gran-
dezza : — Maggio : ofr. Inf. y 48. » 67. ol*
tragglot secondo la sna etimologia (tittra-<t-
oum) ò ciò che passa il limite solito, e qui
detto dell» visione di Dante ne signiflo» l' im-
mensità, 1» grandiosità : dopo il trecento que-
sta parola non fti più nsata ae non trattan-
dosi di eccesso nel parlare o nell'operare, e
con significazione cattiva. -> 68. ({sai è eo-
li! eoe. A descrivere in qualche modo, non
ostante l' insufSciens» della parola umana, la
sua condizione in questo momento supremo,
il poeta ricorre alle similitudini, e Sul fine
della visione beatìfica (cosi il Venturi 286) si
spenge in lui la memori» delle celesti cose
Tifate, m» gli resta in cuore l'impressione
della dolcezza che gliene venne; cornei* uomo
ohe destatosi continua a provaro la passione,
sia d'affanno, sia d'allegrezza, cagionata da
un sogno, benché di questo più non si ricordi.
È un'imagine dipinta con tócchi maestri:
né più concisamente, né più acconciamente
ai poteva dire la passione impressa^ cioè quel
commovimento doU'animo, di cui Dante stesso
dice altrove : Che riso s pianto son tanto ss-
guaó(j.ttapassiondacksoktsomsispieoa^ Ohs
msn stffum volsr nt^pi6 vsraoi (A07. xn
106) ». Un» iimilitadiBO »nalog» a questa è
in Par. xzm 49 o segg. — ■•■uiodo s ao-
gnando; forma latina, per ragione metzlo».
— 68. 1» pMsione eoo. il aentimento cagio-
nato dal sogno rimane, e le cose vedute, la
vitto» obUla non rì riaffaccia alla menta. —
61. ehé f nasi ecc. perché sebbene si» inte-
ramente cessata la visione e spenta nella mia
mente, pur mi scende ancora aU' animo la
dolcezza che essa cagionò. — 62. si distili» :
Venturi 286: e Verbo ch'esprime 1» gioi»
scendente nel cuore quasi a gocce preziceia-
sime, perché meglio ne gustasse la soavità,
e tutto ne fosse inebriato ». — 64. Cssf la
■ève ecc. La mi» visiono d scomparsa dalla
memoria, oome la neve si scioglie ai caldi
raggi del sole, oome al vento si disperdevano
le foglie leggiere sulle quali la Sibilla di
Ouma scriveva i suoi oracoli. Venturi 236 :
« Le due similitudini compreso in quesf ul^
tima terzina suggellano il concetto della spenta
visione. Ed d da notare che mentre la prima,
tratta dalla neve, accenna il modo della spa-
rizione che si fa col lento perder della forma;
la seconda mostra il dissolversi compiuto della
visione stessa, come le foglie al vento ». —
■1 disigilla: perde sua forma, disdoglion-
dosi; il vb. disigillarsi è composto ^ sigUlars
che ha in sé r idea di dar forma a una cosa,
cfr. Piar, vn 69, xxm 109, xnv 143. — 66.
la sentenza ecc. gli oracoli della Sibilla cu-
mana scritti suUe lievi foglie, « quaeoumque
in foliis descripsit carmina virgo > (Virg. £H.
m 416). — 67. 0 sonusu eoe. Conoscendosi
incapace di rappresentare la sublime visiono,
Dante, nell'atto di dar fine al suo poema,
invoca da Dio un raggio della sua luce per
dare agli uomini avvenire almeno una pal-
lida Idea di dò ch'egli ha veduto in cdolo
(cfr. Par» I 22). — ehe testo ecc. ohe sei
di tanto superiore sd ogni umano oonoepi-
PARADISO - CANTO XXXHI
859
dai concetti mortalli alla mia mente
69 ripresta un poco di quel che parevi,
e fa la lingua mia tanto possente
ch'una favilla sol della tua gloria
72 possa lasciare alla futura gente;
che, per tornare alquanto a mia memoria
e per sonare un poco in questi versi,
75 più. si conceperà di tua vittoria.
Io credo, per l'acume ch'io soffersi
del vivo raggio, ch'io sarei smarrito,
78 se gli occhi miei da lui fossero aversi;
e mi ricorda ch'io fui più ardito
per questo a sostener, tanto ch'io giunsi
81 l'aspetto mio col valor infinito.
0 abbondante grazia, ond'io presunsi
ficcar lo viso per la luce etema
84 tanto che la veduta vi consunsi!
Nel suo profondo vidi che s'interna.
mento. — 68. alla mia nenie eoo. risplendi
ancora alla mia mente, conoedi alla mia mente
un poco di quello splendore che mi moetra-
eti eoo. È manifesto ohe Danto chiede nn
raggio della luce divina, perché da essa sia
avvivata la sua parola e D&tta capace di
esprimere almeno una lontana idea del beato
regno; e però erronea ò la sposizione del
Lomb. : « ridona alla mia memoria la ricor-
danza di parte delle cose manifestatemi » :
né il T. 78 rende necessaria questa spiega-
zione, poiché il ricordare sarebbe stato ef-
fetto della luce concessa. — 71. eh* aaa ecc.
che essa possa lasciare descritta, ad ammae-
stramento della gente futura, una favilla sol
della tua gloria^ un'infinitesima parte dello
spettacolo glorioso apparsomi nel contemplar-
ti. — 73. théf per tornare ecc. perché, se
illuminato da un raggio della tua luce io po-
trò ricordare una parte dell» cose vedute e
in qualche modo rappresentarle in questo ul-
timo canto del mio pooma, gli uomini potranno
meglio concepire il tuo valore e la tua eccel-
lenza, onde tutte le cose sono vinte. — 75.
tva vittoria : la superiorità di Dio rispetto
a tutte lo cose create, o anche il trionfo in
cui essa era apparsa. — 76. le credo ecc.
Io credo che, se i miei occhi sotto l'azione
del raggio divino, che io tollerai, si fossero
invece rivolti altrove, non l'avrei più tolle-
rato. Dante mette implicitamente in rilievo
la differenza tra l'effetto della luce divina e
l'effetto delle altre luci : guardando in que-
ste il senso resta tanto più offeso, quanto es-
so sono più vive, si che distogliendo da esso
lo sguardo questo si riposa e si rafforza per
nuove contemplazioni; invece chi guarda in
Dio sente aocreecersi la capacità di mirarlo,
si che se rivolgesse altrove lo sguardo tale
capacità verrebbe a mancare, né egli potrebbe
più riafflsarsi in luL — 1* Marne del vivo
raggio : l' intensità della fùlgidissima luco,
che usciva da Dio. — 78. da Ini foiMro
aversi : si fossero rivolti via da lui ; avem
ò participio del vb. lat. avertere, — 79. lo fai
ecc. per questo (che se il mio sguardo si fosse
rivolto altrove avrebbe perduto la sua capa-
cità) io mi feci più ardito a durare nella con-
templazione tanto eh' io congiunsi il mio
aspetto con il valor infinito, la mia vista oon
l'essenza divina. Buti : e Giascona santa ani-
ma, che contempla Iddio, adiunge a Dio, se-
condo la sua facultà del comprendere; im-
però che ogni cosa ohe cognosoe, oognosoe
secondo la sua facultà, e non secondo la fa-
cultà deUa cosa cognosciuta; e però Iddio,
secondo sé, ò incomprensibile; ma ciascuna
mente ne cognosoe tanto quanto può, si ch'ella
rimane contenta >. — 81. l*aspetto mio : la
mia vista; cfr. I\trg. xxix 149, Par, xi 29, xz
131 eoe. — 82. 0 abbondante ecc. 0 copiosa
grazia divina, in cui confidando io presi ar-
dire a sprofondare il mio sguardo per la luce
etema, si da vedere tutto ciò eh' io poteva
percepirne. — presnaslt corrisponde al fui
ardito del r. 79; e l'una e l'altra espressione
ò da prendere nel senso buono. — 84. la to-
data ecc. vidi tutto quello ohe potevo ve-
dere, esaurii ogni facoltà di contemplare in
quella luce. Non rettamente il Land., seguito
da parocchi moderni, intese questa fhise nel
senso di consumare, stancare la vista; che
sarebbe contro alla sentenza dei w. 76-78.
— 85. Nel sno profondo ecc. Vidi che nella
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legato con amore in nn volume,
ciò ohe per l'universo si squaderna;
sustanzia ed accidenti, e lor costume,
quasi conflati insieme per tal modo
che ciò ch'io dico è un semplice lume.
La forma universal di questo nodo
credo ch'io vidi, perché più di largo,
dicendo questo, mi sento ch'io godo.
Un punto solo m'ò maggior letargo
che venticinque secoli alla impresa,
che fé' Nettuno ammirar l'ombra d'Argo :
cosi la mente mia, tutta sospesa,
mirava fissa, immobile ed attenta,
e sempre del mirar fiaccasi accesa.
pxofondità delU ìmm etema A nooogUe togato
da un vincolo d* amoro tatto piò che trovasi
spano per l' onivorso : dò che sussisto per
sé e dò ohe sassisto aoddentalmente, o il
modo del loro operare, erano onltl in Dio;
e credo ohe vi fosse anche la forma prima
di qaesto vincolo d'amore. — sMaterBa: si
trova raccolto, oonchioso ; né vi pad essere,
comò credono gli antichi oonunentotorì, al-
cuna idea delle operazioni della Trinità, per-
ché Danto non ha anoora contemplato que-
sto mistero (cfr. v. 115 e seg.). — 86. legate
ecc. Bella e vigorosa ò Timagine del volu-
me risaltante dall'anione dei quaderni dap-
prima disciolti, por esprìmere l'idea di Dio
come sintesi di tatte le cose sparse per 1' u-
niverso creato: cfr. ftor. xv 51. — 88. su-
staasia eco. Secondo la terminologia degli
scolastioi guatanxia ò tatto dò che sassisto
di per sé e accidente dò che sussisto in di-
pendenza da un soggetto ; e il eostumte (lat.
habitus) ò il rapporto ohe passa tra due tor-
mini o la proprietà di dascuno. Dioe Danto
di aver visto insieme unite in Dio tatto le
cose sostanziali ed acddentali con le loro re-
lazioni e proprietà, e tatto queste cose erano
unito con vincolo cosi strotto e mirabile che
tiò che egli ne scrive ò una pallida imagine
del vero. — 89. qiasl eenflati: uniti, oon-
ftisi ; e dice quaei per mostrare l' incertezza
della sua rimembranza. Il concetto che in Dio
non sieno distìnti sostanza ed acddento ò
esplicato da Tomm. d'Aqu., Sutnm, P. I, qu.
m, art. 6. — 91. La forma ooc. Credo d'aver
veduto nell'eterna luce l'essenza divina, che
lega in on tatto le cose creato, porche nel
dir questo io mi sento dominato da una più
intonsa beatitadine, corrispondento appunto
alla maggiore divinità di dò che ho veduto.
— 94. Vu piate eoo. Questo ò uno dei passi
più oscuri del poema di Danto, e le molto
congetture che vi d sono fatte sopra non
hanno certo oontriboito a ohlarìrio. L'inter-
pretazione più oomunemento accettata è quella
fondato suU'ipotod che Danto qui abbia vo-
lato esprimere con la parola letargo V idea
della dimenticanza, dell'obblio in cui egli era
caduto rieletto alla vidone ; e allora s' inten-
derebbe press' a poco cod : Un solo momento
trascorso dopo dò che io vidi cagiona in me
pid profonda dimenticanza che non sia quella
sparsa da venticinque secoli sopra l' impresa
degli Argonauti : ma a questo interpretazio-
ne d oppone la terzina sogoento ove Danto
parla, non già di dimenticanza, d di vivis-
sima attondone prestato a dò che gli apparve
della divina luce. Altrimenti è da spiegare
la voce letargo^ la quale pud significare, non
la dimenticanza in genere, ma quella che ac-
compagna le ammiraiioni più profonde ; per-
ché quando 1* uomo d raccese in una straor-
dinaria ammirazione, ò come in uno stato di
letargo, rispetto a dò ohe non ò la cagione
della sua meraviglia. Posto ciò, d può in-
tendere la terrina cod : Un momento di quella
oontompladone suscito in me una anunira-
done pid grande che non fosse quella che in
venticinque secoli gli uomini tributarono al-
l' impresa degli Argonauti. Una vaga idea di
questo intorpretadone sembra esser balenato
agli antichi commentatori. Lana e OtL; ma
primo a ragionarla ta. lo Scart ^ 95. all'iai-
presa ecc. all' impresa dsgli Argonauti (cfr.
Inf, xvm 86, Par. n 16), per la quale Ui
messa in mare la prima nave, Argo, la cui
ombra fece meravigliare Nettuno : 1* impresa
degli Argonauti, secondo la cronologia ao-
cettoto nd medioevo, d riferiva al 1223 a.
C, venticinque secoli prima dd tempo di
Danto. — 97. cesi eco. in tal modo, doò
piena cod di ammiradone, la mia mento fissa,
immobile ed attento rignardava nella teos
etemaf e riguardando cresceva in essa l'ar-
dore della contempladone : spiega, in certo
PARADISO - CANTO XXXIII
861
A quella luce coiai si direnta
che volgersi da lei per altro aspetto
102 è impossìbil che mai si consenta;
però che il ben, eh' è del volere obbietto,
tutto s'accoglie in lei, e fuor di quella
105 è difettivo ciò che li è perfetto.
Ornai sarà più corta mia favella,
pure a quel ch'io ricordo, che di un fiinte
106 che bagni ancor la lingua alla mammella.
Non perché più eh' un semplice sembiante
fosse nel vivo lume ch'io mirava,
IH che tal è sempre qual era davante;
ma per la vista che s'avvalorava
in me, guardando, una sola parvenza,
114 mutandom'io, a me si travagliava.
Nella profonda e chiara sussistenza
modo, dò che ha dotto ooourunente oon la
similitadiiio ohe preoede. — 100. À f nella
laee ecc. Chi contempla quella luce direnta
coe£ beato che non può Tolgeisi pi6 ad al-
cun altro aspetto; perché il bene, ohe d og-
getto della Tolonià, è tatto raooolto in quella
looe, e tatto il bene, che ivi d, è perfetto,
mentre all' infiori di essa è difettÌTO. Dante
mette in reni, oon mirabile rapidità, la dot-
trina di Tomm. d'Aqa., Svmm, P. I 2^, qa.
y, art 4 :. « Perfecta beatitado homìnis in vi-
sione divinae essentiae consistit. Est aatem
impossibile qaod aliqois yidens dìyinam es-
sentiam yelit eam non yìdero, qoia omne bo-
nam habitom, quo aliqois cerere ynlt, aat est
insafflclens, et qaaeritor aliqnid safflcientias
loco eios, aat habet allqaod incoio modam an-
nexam, propter qaod in fastidiam yenit. Vi-
sio aatem diyinae essentiae replet anìmam
omnibas bonis, cam coninngat fonti totias
bonitatis... Similiter etiam non habet allqnod
incommodam adionctom... Ergo patet qaod
propria yolantate beatos non potest beatita-
dinem deserere». — 108. fero eco. perché n
bene, che d obbietto eoi si yolge l'amana
yolontì^ si raccoglie tatto in Dìo, nel qaale
ò perfezione di bene, come faor di lai ò im-
plosione : il bene ohe d fuori della divinità
ò imperfetto, e perft fidiaco e manchevole.
Si cfir. Bit. v 1-13. — 105. If : in lei, nella
lace divina. — 106. Ornai ecc. Ormai la mia
faveOa, rispetto non a qaello eh' io vidi, ma
solamente a qaello che ricordo delle cose ve-
date, sarà più imperfetta della favella di nn
bambino anoora lattante. Dante dopo la vi-
none della essenza divina ebbe qnoUa dei
misteri della Trinità e dell' Incarnazione ; ma
delle mirabili cose vedate non ricorda se non
una minima parte : e pare a rappresentare
questa minima parte ei sente che la saalin-
gna ò pi6 incapace che la lingaa di an fto-
ciallo lattante. — corta : imperfetta, e per-
ciò insnfflciente ; cfr. Par. xi 68. — 107. pare
a f nel ecc. e non tanto a dir qaello eh' io
vidi, ma solamente a dir qaello che io ricordo.
— di ■■ fante eoe di nn bambino (cfr. fan-
tino in Patr. zxx 82 e fatUe^ forse in qaesto
senso, in Purg. n 66) che ancora prenda il
latte materno; cfir. Stazio, Tèb. nr 790, di
Ofelte : € Teneris meditans verba iUactantia
labris ». — 109. Non perche ecc. Prima di
dire come ei vide nell'eterna luce le tre per-
sone della Trinità, Dante previeno l'obbie-
zione che si sarebbe potato fargli circa la va-
rietà delle imagini sotto cai ritrae la divi-
nità: come mai prima d'ora ha veduto noUa
etema loco determinati aspetti e non gli al-
tri ohe adesso accennerà, se la divinità d sem-
plice e immutabile? Risponde adunque che
non por varietà di aspetti che fossero in Dio,
ma perché il suo sguardo nel contemplarlo
si faceva sempre piò forte, quell' unico sem-
biante gli appariva tramutato secondo che egli
lo guardava con vista diversamente potento.
— pld ch'in semplice ecc. piti di un solo
aspetto, diversi aspetti. — 111. che tal è eco.
ohe d sempre quel che era prima, è immu-
tabile; cfr. Piar, uax 145. — 112. ma per
ecc. ma perché la mia vista attingeva no-
vello valore contemplando il lume divino,
questo che pur aveva un unico aspetto si tra-
mutava a^i occhi miei, assumeva aspetti di-
versi, via vìa che si mutava la mia vista. —
114. si traTagliava : € si mutava, quanto al
cospetto mio ; ma non quanto all' essere suo,
che ò sempre immutabile » ; cosi il Buti, la
chiosa del quale ha importanza perché ci at-
testa del significato preciso che ha qui il vb.
travagliarai^ affine ai sensi che ha conservato
nella lingua periata. — 115. Nella profonda
862
DIVINA COMMEDIA
dell'alto lume parvenu tre giri
117 di tre colori e d'una continenza;
e l'un dall'altro, come Iri da In,
parea riflesso, e il terzo parea foco
120 che quinci e quindi egualmente si spii-i.
0 quanto è corto il dire, e come fioco
al mio concetto! e questo, a quel ch'io vidi,
123 è tanto che non basta a dicer poco.
0 luce etema, che sola in te sidi,
sola t'intendi, e, da te intelletta
126 ed intendente te, ami ed arridi!
Quella circulazion, che si concetta
eoe NeOa profonda e chiara essenza divina
mi apparrero tre oeroht di tre direni colori
e deUa medesima dimensione; • il secondo
parea xiileeso dal primo, e il terzo parea di
Tira iiamma. Qoesti tre giri sono ima^e
delle tre persone della Trinità : i tre eolori
n^presentano i loro attribati (cCr. jRsr. x 1);
la eonUnmxa ima significa la loro perfètta
parità ; il raggio riflettente è la potenza del
Padre, il raggio riflesso ò la sapienza del Fi-
glio, e il raggio fiammeggiante la yirt6 dello
Spirito Santo, che d l'amore procedente dal-
l'ano e dall'altro. — 116. parremi: notano
alcuni commentatori che qni il sing. sia usato
in Inogo del piar, per adombrare l' anità del-
l'essenza nelle tre persone dirine; ma forse
Dante non ebbe questa intenzione. — 117.
eOBtiaessa; contenenza, dimensione; che per
un cerchio è poi la circonferenza. — 118.
eoflie Iri ecc. Dall'arcobaleno trae il poeta
una similitudine assai Tira per esprimere
r idea che il lume del Figlio procede dal
lame del Padre, come in quel fenomeno fisico
la duplice irradiazione luminosa arnene nel-
l'aere piovoso € per r altrui raggio che in sé si
riflette > {Purg. zxvi 92). — 119. parea ecc.
sembrava un fuoco egualmente mosso da ogni
parte; ma quineì « quindi si riferiscono al-
l'uno e all'ottn) giro, perché da essi prooer
deva il terzo : il Padre e il Figlio sono un
Bolo principio dello Spirito Santo, « l' amore
che r uno e l'altro eternamente spira > {Piar.
X 1-2). — 121. 0 fumato ecc. Qaanto ò im-
perfetta la parola umana, quanto inefficace
a rendere il mio concetto I e si che questo
concetto, al paragone di ciò ch'io vidi, ò cosi
piccola cosa che non basta dir che ò poca,
ma bisognerebbe dire che ò nulla. Queste ri-
petute dichiarazioni della insufficienza della
parola umana a significare gli ineflabili mi-
steri divini sono finissimo artifizio non tanto
a scusar l'arte del poeta, cho non ha bisogno
di dò, ma a imprimere nell'animo del lettore,
insieme con l'idea della sua piccolezza, il
sentimento di venerazione e di amore per l'im-
mensità della essenza divina. — 12S. tanto t
oosf piccola parte (cfr. Inf. iv 99) della vi-
sione che a indicarla non basta dir poca, ma
si dovrebbe dir nulla. — 124. O Uee ecc. 0
luce etema dell' essenza trina e una, la quale
sola in te stai, sola f intendi, e, mentre nella
persona del Padre intendi te stessa e nella
persona del Figlio sei da te stessa intosa,
sorridi d'amore nella persona dello Spirito
Santo. Dante oon questa tenina ha voluto
celebrare l' unità dell'essenza divina e nello
stesso tempo illustrarne la trinità ; e perd,
dopo aver detto ohe l' eterna luce d compresa
in sé stessa e da sé stessa s' intende, esplica
il concetto aggiungendo che intende, ò in-
tesa, e ama. ^ sldi i riposi, stai ; lat. sidsn.
— 126. da te intelletta eoe la persona del
Figlio intesa dal Padre ; inisndenU te, la per-
sona del Padre che intende il Figlio ; cfr.
Matteo XI 27 : « Ninno conosce il figliuolo,
se non il Padre: parimente, ninno conosce
U Padre, se non il Figliuolo >. — 126. ami
ed arridi : ami e sorridi alla luce initUetia
e tm* intendente 't perché lo Spirito Santo pro-
cede dal Padre e dal Figliuolo. — 127. Qaella
ecc. Passa ora il poeta a descrivere il mi-
stero dell' Incarnazione ossia delle due nature
in Cristo, del quale già altre volte ha trat-
tato nel suo poema (Par, n 40 e segg., xm
26 e segg., xxxi 121 e segg.); e continuando
il suo discorso rivolto alla luce etema dice:
Contemplata alquanto dagli occhi miei^itfUa
cirouìaaUon, quello doi tre giri die pareva
essere formato in te come un lume rifiesso,
il secondo dd tre giri, mi apparve dipinto,
senz' alcuna variazione di colore, dell'umana
effigie. È il mistero dell' Incarnazione che nel
prendere forma sensibile agli occhi dd poeta
conserva intatta la sua impenetrabilità, per-
ché nell'atto stesso di descriverlo Dante ha
saputo atteggiarlo in modo inconcepibile,
qualo ò l'idea di una figura dipinta dd co-
lore stesso del fondo su cui appare. — dM
ni «oaeetta ecc. che d svolgeva in te rifiscBa
come Iri da Iri (v. 118) : è il cerchio risp^i-
PARADISO — CANTO XXXIH
863
pareva in te, come limie riflesso,
129 dagli occhi miei alquanto circonspettai
dentro da sé del suo colore stesso
mi parve pinta della nostra effige,
132 per che il mio viso in lei tutto era messo.
Qual è '1 geometra che tutto s'affige
per misurar lo cerchio, e non ritrova,
135 pensando, quel principio ond'egli indige;
tale era io a quella vista nuova:
veder voleva, come si convenne
138 l'imago al cerchio e come vi s' indova,
ma non eran da ciò le proprie penne;
se non che la mia mente fu percossa
141 da un fulgore, in che sua voglia venne.
All'alta fantasia qui mancò possa;
ma già volgeva il mio disiro e il vdhj
dente alUt penona del Figlio. — 128. U tei
il dìeoono d livolto sempre alla luce eterna
(ofr. T. 124) ; però ò da accettare la lezione
più comime, abbandonando quella del Witte
(m iti), oìie non ai accorda col oontetto ed
ò di pochi codiot — 129. da«U ecelii eoe
dopo che tn. alquanto contemplata da me ecc.
Si ricordi che la ■accessione dei yart aspetti
della divina essenza d dipendente dal pro-
gressivo fortificarsi della vista di Dante per
mezzo della contemplazione (cfr. t. 109 e
segg.). — 180. dentro da té ecc. nell' in-
temo del droolo apparve la sembianza umana.
Venturi 164: «La forma umana era nella
medesima persona divina; cioò la stessa per-
sona del Verbo sussisteva neUe due sue pro-
prie nature, divina e umana: ohe, conforme
iittogna la Cliiesa, id quod /uU p&rmansUf et
quod non erat, euwmpaU >. — 1S2. per che
eoe. per la quale apparizione il mio sguardo
si affisò tutto in quella umana sembianza
— 133. Q«al ecc. Quale ò il geometra che
con tutto le forze dell' ingegno si raccoglie
nella ricerca della quadratura del circolo, e
per quanto mediti non riesce a trovare il
principio del quale ha bisogno ecc. Per rap-
presentare il suo stato innanzi al mistero
dell'Incarnazione, Dante trae una similitu-
dine dalla condizione intellettuale del geo-
metra affaticato per un problema insolubilo,
la quadratura del circolo, che ò impossibile
a determinare perchó non si può conoscerò
il preciso rapporto tra il diametro e la cir-
conferenza, n problema era stato il tormento
dei matematici antichi, ma Dante, non pur
qui, riteneva giustamente che fosse impossi-
bile il risolverlo {Man, m 8, Conv. ii 14). —
i'ftfflge: s'affiggo con la mente, si raccoglie.
— 185. t«el principio eco. il termine ne-
cetsario per determinare il quadrato del di*
colo, cesia il rapporto tra il diametro e la
circonferenza, ohe non pud essere se non i^
proesimativo. -> 186. tale eoo. tale era io cer-
cando di comprendere come al Verbo divino
si convenne l'umana natura. — 187. veder
eco. avrei voluto oomprendere in qual modo
1* um^uia sembianza à uni al cerchio di-
vino e come nel divino avesse luogo l' umano ;
ma la mente umana non può salire a tanta
cognizione. — 188. ■' Inde va: il vb. indo-
varsif formato sull'aw. dove (usato sostanti-
vamente per luogOf ofr. Par. m 88, xn 80
ecc.), significa trovar il suo dove, trova
luogo, collocarsi: cfr. Parodi, BulL m 189. —
139. ma non ecc. ma le mie facoltà intellet-
tive non erano per sé stesse capaci di pene-
trare il mistero incomprensibile; quando la
mia mente fa colpita da una nuova appari-
li one luminosa, nella quale ebbe la cogni-
zione di quel mistero. Questo falgore che so-
pragiunge mentre Dante é. sforza di compren-
dere il mistero dell' Incarnazione è il termine
piò alto cui egli assorge nella contempla-
zione dell' essenza divina : la sua mente ò
salita ormai a tanta sublimità ohe nulla può
vedere di più alto, e perdo la visione cessa,
essendo adesso il desiderio e la volontà dol
poeta conformi a Dio; e in questa conformità
ò la beatìtadine. — 141. un fklgore ecc.
l'ultimo raggio della grazia, che con la co-
gnizione del mistero porta a Dante l' ultima
perfezione della boatitadine. — 142. All'alt»
eoo. A questo punto cessò la mia visione, es-
sendo compiuto, col tempo assegnatomi (ofr.
Par, xxxii 130), anche il fine del mio viag-
gio per i regni etemi ; dopo il quale il mio
spirito purificato si trovò in una piena con-
formità con Dio. — 143. wèm già eoo. ma già
864 DIVINA COMMEDIA
si come rota di' egualmente ò mossa,
145 l'amor che more il sole e l'altre stelle.
il mio linnoyamento ipiiitaala or» oomphito l'Mitr ék» ■•?• s eoo. Dio, nprano notor»
perohó il mio desiderio • U mia Tdontà di tutte le cose; da Ini oominoift, con Ini ti.
erano mossi in pieiii«ima annonia da Dio. coBÒhinde la tscn oantioa del sacro poema
— TeUe: cfir. Par. it 95. — 14A. É[ eoMe olie è eoa» 1* lane deUa unanità oredmte
eoo. oome raota ohe ubbidendo aU* impulso al suo orsatore. — stelle s efr. £if. xznv
rioemto si mnoye di moto nnifozme. — 145. 188.
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